MATURIPERL’AFRICA READY4AFRICA
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Sabato 30 LUGLIO 2011
HAP LEO
A TU KO + -MA JOR
Un sabato lento ma intenso
Una mattinata ad aspettare ritardi ed occasioni perse Pagina 2
Ospiti ufficiali La noia dei discorsi e l’emozione dei tamburi Pagina 3-4
Serata godereccia e baccanale conclusivo Pagina 5
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.14
ANNO III N.14
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Una mattinata ad aspettare RITARDI ED OCCASIONI PERSE
Sabato, festa alla HIS, tutto dovrebbe scorrere tranquillo perché ci vengono a prendere loro alle 9.30. La festa inizia alle 10.00, alle 11-00 io e Carlo ci allontaniamo per mezz’ora, andiamo a parlare con Padre Kizito che forse ci darà un mano per l’invio del container, Poi pranzo alla Shalom House, magari Kizito viene a salutare tutti, poi giro in centro a fare shopping. E invece non va così, perché in Africa non va mai come pensi, porco cane. Va che la mattina si alzano tutti un po’ più tardi, fanno colazione sereni, io e Daniele ci mettiamo a saldare l’altalena che ormai è diventata un gioco per noi o una scultura moderna nel giardino dell’orfanotrofio, a seconda di come la guardi. Gli altri dividono cellulari, preparano i regali per i prof a base di cravatte e foulard procurati dalla Claudia, preparano i libretti da portare in omaggio alla HIS. Alle 9.30 tutti pronti, lavati, vestiti dignitosamente e consapevoli di partecipare ad una festa importante. La Tamara che non c’entra molto con questa ufficialità interscolastica si astiene
e resta all’Orfanotrofio a sistemare vestiti, chiacchierare con Suor Assunta, leggere. Alle 10.00 non si vede nessuno. Telefono a Nestor che ci assicura che stanno arrivando. Alle 10.40 idem e i miei poveri studenti pronti e tirati decidono di aspettare giocando a calcio nel piazzale dell’orfanotrofio. Alle 11.00 il sottoscritto comincia a bestemmiare in bulgaro perché l’incontro con Kizito è sfumato, la figuraccia è nostra e Nestor non risponde al telefono. Alle 11.30 decidiamo di corrompere Philip, il giovane autista delle suore, perché ci porti lui alla HIS. Saliamo mentre la mia sequela di improperi continua, e in quella arriva l’autobus della scuola. Pare abbiano avuto dei problemi con il traffico, che ci fosse la polizia a fare controlli, ma un ritardo di due ore per quattro chilometri di strada continua a sembrarmi impossibile. Saliamo e arriviamo alla Shalom House in dieci minuti. Padre Kizito è andato via da dieci minuti e Ready4AfricaNews - ANNO III, N.14
non posso far altro che chiamare il suo segretario per scusarmi del ritardo. C’è un filo si speranza di poterlo incontrare la settimana prossima, ma proprio un filo… Già che ci siamo prenotiamo un pranzo per tutti al Baraza Hotel, la modesta trattoria della Shalom, e risaliamo sul matatu che ci porta in due minuti alla HIS. Dentro di me prenderei Nestor e lo s t ro z z e r e i p e rc h é m i p a r e un’occasione persa. Africa anche questa, come ieri. E’ vero, noi abbiamo gli orologi e loro possiedono il tempo, cos amano dire, ma ho l’impressione che a volte lo sprechino. Anche questa sarà da rielaborare e da far stare in un disegno mentale che mi sfugge sempre.
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Ospiti ufficiali LA NOIA DEI DISCORSI E L’EMOZIONE DEI TAMBURI Arriviamo alla HIS ma neanche scendo dal matatu e già so che la mia rabbia posso anche mettermela via: mi conviene godermi la festa. Fori dalla porta sono pronti i grandi tamburi del Burundi dipinti di verde e arancione, dentro il cortile ci saranno trecento persone, la maggior parte sedute sotto un grane tendono a forma di pagoda, infondo il tavolo delle autorità. Sono tutti vestiti nel modo migliore, gli uomini in completo nero,le donne con i loro vestiti sgargianti,le ragazze con capelli intrecciatissimi e sorrisi mozzafiato. Guardo me, guardo i miei esemplari maschili al seguito e oggettivamente siamo degli straccioni con jeans sporchi, camicie stazzonate, scarpe da ginnastica. Per essere i rappresentanti del primo mondo, i partner ricchi e gli sponsor ospiti ufficiali siamo un branco di straccioni in confronto ai loro vestiti perfetti ma siamo con la poca roba decente che ci resta dopo una settimana di slums… Credo che aspettino noi per iniziare le celebrazioni e infatti Nestor si alza dal suo tavolo d’onore per
venire a salutarci. C’è Samuel, il Presidente del consiglio di istituto, c’è un delegato dell’Ambasciata del Burundi e altre personalità, per noi hanno riservato un posto in prima fila e uno spazio di intervento. Ovviamente il mio gruppo in queste situazioni si ricorda che io sono il patriarca e mi rifila l’incombenza del discorso ufficiale. Blatero qualcosa in inglese sperando che si capisca, sul fatto che ci sentiamo a casa, che loro sono la nostra scuola sorella, che siamo felici di vederli crescere e che cercheremo di aiutarli ancora, L’inglese di Nella avrebbe giovato molto ma più o meno devono aver capito il senso perché perfino mi applaudono. Poi danzano, ed è di nuovo spettacolo. Le
ragazze del Burundi con i loro vestiti bianchi e neri ci emozionano come il
primo gior no: belle ragazze così ne ho viste poche, francamente, al di là della grazia e della sensualità del ballo. Fotografo a destra e a manca a costa di r a s e n t a r e l’imbarazzante. E finalmente le cerimonie di premiazione, o meglio i diplomi di fine corso. La gaffe nasce dal fatto che i rag azzi vengono chiamati uno alla volta in ordine in base al voto conseguito nelle prove, dichiarato es p res s a m en te, ti p o Mbele Kitungo Sana 74,23. Gi ultimi mi pare di capire si devono a c c o n t e n t a re d i u n “sufficiente”. Vengon avanti nei loro vestiti migliori, le ragazze curate e colorate, i maschi un po’ bulli e impacciati nelle loro giacche e pantaloni neri. Applausi, amici che si congratulano e li coprono di regali, macchine fotografiche dappertutto, una cosa davvero straordinaria HAP
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READY4AFRICA NEWS! che avrebbe fatto la gioia del buon Sergio: fosse qui con noi l’anno prossimo al Liceo faremmo premiazioni con i fuochi di artificio, la banda e il Presidente della Repubblica!! Si premiano i ragazzi delle elementari, delle medie e quelli delle superiori, e ovviamente il clou è per i diplomi. Sono undici che finiscono la scuola e prima di scatenare le celebrazioni, quando sono in fila davanti al tavolo tocca a noi un secondo momento di protagonismo: per ciascuno di loro un special gift del nostro capo di Istituto, che come dice Carlo dovrebbe aiutarli a facilitare le comunicazioni, un cellulare nuovo per loro che hanno una vera e propria mania dei cellulari. Già che ci siamo un regalo piccolo anche per tutti i nostri colleghi della HIS, una cravatta per i maschi e un foulard per le donne, e un minuto per presentare il nostro libretto fatto in collaborazione con loro, quell’Alfabeto degli adolescenti scritto l’anno scorso dai nostri e dai loro allievi. Poi la cerimonia prosegue con discorsi francamente interminabili del buon Samuel e del delegato dell’ambasciata. Nel minestrone dei luoghi comuni mi restano due cose, le sole che salvi la mia scarsa conoscenza del francese: l’ambasciatrice del Burundi è una donna, e già questo è interessante, ma soprattutto mi stupisce che la costruzione dei discorsi da parte di persone colte africane segua la struttura delle orazioni celebrative di cui noi occidentali siamo così fieri. Insomma nello sproloquio un po’ compiaciuto di Samuel ci ritrovo Isocrate e misuro la penetrazione incredibile che la nostra cultura ha avuto in pochi secoli nel pensiero dell’Africa. Ma la cosa è già evidente agli occhi nel contrasto fra i completi impeccabili da cerimonia di stile europeo, curiosamente cascanti addosso agli africani, e i drappi
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colorati che indossano le donne o i ragazzi che si preparano allo spettacolo di percussioni. Noi dovremmo essere di fatto già a pranzo alla Shalom House ma so che lo spettacolo vale la pena e riusciamo a ritardare il pranzo per le tre. La truppa freme per la fame e la stanchezza ma resta da sorbirsi il discorso fiume del delegato e la peroratio finale di Samuel, conclusa dalla preghiera collettiva. All’amen tiro un sospiro di sollievo e parte la sarabanda delle percussioni. Fra i dieci scatenati c’è anche Semplice, il figlio di Violette, che ha un rapporto per varie ragioni più stretto con noi: vedere questo universitario impacciato battere come un forsennato sulla pelle dei tamburi con dei semplici bastoni di legno, tornato all’improvviso guerriero della tribù, concentrato di forza, corpo, ritmo, è spettacolo decisamente curioso che documento opportunamente a beneficio della Nella e di resta a casa. Il ritmo indiavolato, la danza piena di forza e condita di gesti rituali che hanno il chiaro scopo di dimostrare la resistenza e l’energia del maschio tiene incollati per un quarto d’ora gli occhi dei miei giovani amici che dimenticano la fame. C’è un surplus di emozione perché uno dei diplomati è membro del gruppo e viene tirato dentro dai compagni vestito con giacca e cravatta sicchè te lo ritrovi a sbattere legni e tamburi come un ossesso in mezzo a altri nove ossessi almeno in abiti tribali. Andiamo via dopo aver salutato tutti, ma potremmo restare a bocca aperta per altre due ore, credo, in questo mix incredibile di europeo e africano, in qualche modo entrambi vivi e posticci al tempo stesso, una strana cosa che è oggi lo stile dell’Africa in tanti settori.
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Serata godereccia e baccanale conclusivo LA TRUPPA PER NEGOZI, BANCARELLE E LOCALI NEL CENTRO DI NAIROBI
Si pranza alla Shalom House a riso, polenta, pollo, maiale, banane cotte e robe varie. Ci raggiunge la Tamara col matatu di linea e il gruppo torna completo. Passeggiata di decompressione sulla Ngong Road fra i vivai che occupano i margini delle strade o offrono ogni ben di Dio in fatto di piante, eccetto i frangipane che qualcuno di noi sta cercando. Sosta al c e n t ro c o m m e rc i a l e N a k u m at t , immersione in uno stile europeissimo fatto di scaffali, ordine, prezzi in vista, vetrine, scale mobili, Usciamo e leggo negli occhi e nei gesti dei miei soci lo shock da contrasto, ma si salta subito sul primo Citi Hoppa, l’equivalente del nostro autobus, e via per il centro. Un autobus così in Italia non lo prenderei mai da quanto è sporco,ma qui mi pare ormai normale, chiosa Daniele, e questo è il succo vero dopo dieci giorni di Africa: le cose finiscono per diventare normali, non ti stupisci più e ti senti a casa dove prima non ti saresti nemmeno sognato di andare… Fra il Museo Etnografico e il mercato i miei prodi scelgono bene, e cedo all’impellenza degli acquisti. Mercatino adiacente3 al City Market, un capannone a due piani stracolmo di negozietti con ammennicoli da turista, stipato all’inverosimile. Credo che i fanciulli non si siano mai divertiti tanto come qui, a contrattare sul prezzo, tirati
per le braccia da tutte le parti per guardare la merce. E’ una recita che conosco, coi suoi schemi e i suoi rituali da rispettare. Funziona così: anche per una collanina da due euro il negoziante scrive su un lembo di giornale il prezzo, mettiamo 250 scellini. Tu barri il suo prezzo e cominci poco sotto a scrivere 100. Lui barra il tuo, andate avanti un po’ verso un asintoto ideale giocato a gesti di sdegno (“Mi prendi per la gola”, “I have no more money”. “My last price”) e concluso con l’abbandono ideale del compratore che finge di allontanarsi. Chi vende a questo punto cede e ti richiama indietro per venderti la schifezza in questione. Lascio che si sfoghino, al più intervengo facendo la parte dello scafato che non sono, ma dopo pochi tentativi i miei prodi sono diventati più esperti di me e spuntano prezzi da paura. Credo che quest’oretta di mercato, concorrenza, contrattazione, domanda-offerta, sia sufficiente per affrontare il primo esame di economia all’università… Usciamo bardati di tamburi, maschere e collane e ci fermiamo sotto un grande tendone dove cucinano alla g riglia. Un postaccio, roba da sagra, ma fanno musica dal vivo e l’atmosfera è molto verace. Girano procaci signore africane piuttosto discinte, coppie e coppiette, qualcuno ci metterà poco a ubriacarsi. Ci sediamo, solito pollo patate spiedini
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e birra poi all’improvviso la compagnia mi sparisce e restiamo in quattro a controllare i bagagli. Sono in pista con la Claudia a ballare roba sudamericana. Daniele mi racconterà la scenetta che mi sono perso, della avvenente e dottissima signorina africana che ha i n i z i at o a s t r u s c i a r s i addosso a lui, poi addosso ad Andrea e poi perfino addosso alla Annalisa, mimando senza troppi mezzi termini congiungimenti non proprio casti con tutti i miei pudichi compagni di avventura. Ho presente, ho visto le altre volte e in fondo sono contento che anche questo aspetto così carnale e fisico sia venuto fuori. Atena non sarà stata nera, come pretendeva qualcuno, ma Venere di sicuro sì, come ha scritto qualcun altro. E’ un luogo comune ma se penso agli an ch eg giam en ti delle
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bambine dell’orfanotrofio ritrovo questa carica di sensualità e di erotismo esplicito che noi europei da secoli abbiamo cercato di inibire in noi e in loro, con risultati ridicoli o dannosi. Boh, qualcuno di sicuro ci troverà altri risvolti e di sicuro la situazione si può leggere da tanti punti di vista, ma anche questo è uno di quei problemi che mettiamo da parte nel tentativo di decifrare l’Africa.
HAP
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Istantanee
REDAZIONE: JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCO SILVIA BURIOLLA PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA TOMMASO MARTIN VALERIA DE GOTTARDO MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI
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