27 luglio

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MATURIPERL’AFRICA READY4AFRICA

NEWS

Mercoledì 27 LUGLIO 2011

ANNO III N.11

HAP LEO

A TU KO + -MA JOR

Korogocho: immersione e risalita

Inizio con figuraccia qualche gaffe da muzungu Pagina 2-3

A scuola per un rimprovero Pagina 4

Korogocho questi pazzi di comboniani Pagina 5-7

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Un rientro rocambolesco come sardine nella scatola Pagina 8


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Inizio con figuraccia QUALCHE GAFFE DA MUZUNGU

Alex Zanotelli è il comboniano che ha fondato la prima comunità per bambini di strada nella baccopoli più grande e difficile di Nairobi, a Korogocho, un paio di chilometri più a est di Mathare rispetto al centro di Nairobi. Baraccopoli famosa perché di fatto nasce sull’immondezzaio della città. Quando siamo partiti la Claudia ha saggiamente pensato di prendere contatti con Padre Stefano, un giovane comboniano di Como che vive qui. Non so cosa diavolo si siano scritti fatto sta che oggi abbiamo appuntamento con lui alle due di pomeriggio. Questa volta non andremo a fare qualcosa di particolare ma a farci raccontare da lui questo progetto assurdo che vorrebbe riscattare chi ha smesso di pensare ad ogni riscatto. Anticipo così il poco succo che alla sera avremo distillato da un pomeriggio intero passato in un posto assurdo ma è bene andare con ordine. L’appuntamento è alle due quindi il paziente lettore pazienti un po’. La mattina di questo nono giorno passa finalmente tranquilla a rattoppare ferite, lavare

indumenti, riposare. Per me e Claudia comincia con una piccola botta sui denti che va raccontata non fosse altro che per trarne un succo. Le bimbe dopo la colazione delle sei come al solito ci chiedono di accompagnarle a scuola. Oggi è l’ultimo giorno e ci tengono a mostrarcela. Saliamo sul matatu con Annalisa, Silvia, Andrea e Claudia e partiamo. All’arrivo ci fanno salire nelle classi, ognuna vuole mostrarci la sua. Scuola dignitosa, dipinta, con un grande cortile in terra battuta non fosse per classi da quarantasei, banchi affollati all’inverosimile che per i nostri standard sarebbero da diciotto massimo, e per l’aspetto un po’ da lager che danno quei casermoni allineati tutti uguali. Magari una scopata al pavimento e alle scale qualche volta non guasterebbe ma dignitosa. Uscendo però la povera Susan, l’assistente,ci dice che la preside si è lamentata di questa nostra visita e dobbiamo andare a scusarci di persona: certo avremmo dovuto passare prima per la segreteria ma … E’ un donnone corpulento e severo ma ci pare di averla impietosita abbastanza e che la Ready4AfricaNews - ANNO III, N.11

solidarietà fra colleghi abbia fatto il suo dovere. Certo anche con le migliori intenzioni il piglio coloniale non riusciamo a togliercelo del tutto: in una scuola italiana non sarei entrato così sfacciatamente, è bene che me lo dica. Al ritorno trovo gente che dorme ancora, qualcuno pigramente si prepara un caffè solubile. Ahi, l’epidemia continua: Edoardo adesso sta bene, anzi troppo bene visto che ha un’energia addosso da recuperare i due giorni di riposo, ma la Chiara ha qualche linea di febbre. The con zucchero e sale secondo le suore, leggero antibiotico specifico per problemi intestinali secondo la farmacopea occidentale, un mix che pare faccia il suo effetto. La lasciamo a l e t t o, n i e n t e Ko ro g o ch o, purtroppo, e di baraccopoli in questo momento penso ne abbia abbastanza. Finiamo nell’attesa qualche lavoretto iniziato. Con Edoardo aiuto un po’ Daniele a mettere su il lavandino che ci hanno chiesto le suore, mi chiama suor Ivonne una suora di origine polacca che ha fatto sei anni in Ruanda e che adesso sovrintende HAP LEO

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l’Orfanotrofio. Ha un computer portatile che viene da qualche missione a nord nel deserto. Ha cancellato il programma di contabilità per sbaglio e sta cristianamente bestemmiando per la sua distrazione chiamando in causa sabbie del deserto che però non c’entrano nulla. Dopo un’ora il pc è a posto e anche per oggi la direzione dell’Orphanage può procedere serena nella gestione delle cose grazie a Bill Gates e company. Attacco l’operazione biciclette: in un deposito giacciono una decina di bici da bambine ma sono in pessime condizioni e mi ci butto a pesce. Il tempo è poco perché alle undici usciamo a comprare qualcosa e a spedire qualcosa all’Internet point. Intanto la manovalanza si dà da fare con panini e cibo al sacco da portare a Korogocho. Al rientro vedo la mia piccola comunità tranquilla, ciascuno preso dalle sue cose spicciole, un piccolo angolo di pace dentro un cortile di pace. L’Africa a volte, con tutta la sua durezza, finisce per renderti morbido, ahimè.

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A scuola per... un rimprovero! E’ sera e ceniamo con le bimbe. Sono ormai dieci giorni che siamo qui e, nonostante i primi momenti di imbarazzo, siamo diventati parte integrante della loro quotidianità tanto che ci viene chiesto di accompagnarle a s c u o l a . R i fl e t t i a m o u n at t i m o e ripensiamo alle parole di suor Assunta...ultimo giorno di scuola...e visto che della nostra non ci siamo ancora dimenticati (per il momento!), ripeschiamo il lontano Orazio ed il suo carpe diem...non possiamo farci sfuggire questa occasione! All’entusiamo dell’aver detto sì alla loro proposta è seguita, però, la consapevolezza di doversi svegliare due ore prima dell’orario stabilito. Pensiamo alla nostra stanchezza, alle nostre occhiaie. Le paragoniamo ai loro sorrisi e alla loro espressione ogni volta che ci vedono e ci salutano con un ‘give me five!’...valgono più di moltissime mattinate passate a dormire. Così partono gli accordi per chi mette la sveglia e la scelta ricade sulla prof.ssa Claudia che avrà l’ingrato compito di svegliarci alle sei e un quarto. L’ansia è talmente tanta, così come la paura di non riuscire a svegliarsi, che verso l’una, senza nemmeno potersi guardare negli occhi per il buio, Annalisa domanda piena d’agitazione “Silvia, sei pronta?”. Tra compagni di stanza (e d’avventura) bisogna essere solidali e l’unica risposta che sembra pertinente, anche se non lo è per una persona sveglia e completamente cosciente, è “Quasi!”. Passa in questo modo una nottata sui generis e alla fine

alle sei siamo sveglie, un po’ intontite, ma pronte per salire sulllo school bus accerchiate da ragazzine vestite di tutto punto, allegre e vivaci. Dieci minuti e ci troviamo davanti ad un cancello con scritto ‘Primary school’...siamo arrivati a destinazione! Consegnamo la merenda e ci facciamo accompagnare in una visita dell’istituto. L’edificio è spoglio ed estremamente semplice, fatto solo di infissi arrugginiti ed intonaco in via di scrostamento...e noi ci lamentiamo del Leo-Major! Saliamo in classe. Banchi in legno ammassati in aule forse sovraffollate che for nirebbero soddisfacente argomento di disputa ai sindacalisti dell’istruzione di noialtri. Non c’è molto da vedere quindi cerchiamo di tornare verso il bus. Sono passati pochi minuti, ma abbastanza per guadagnarsi un richiamo direttamente dalla preside. Ops! E anche qui ci facciamo notare. Del resto un gruppo di ‘musi bianchi’ che setaccia con stile segugio una normalissima scuola non passa di certo inosservato. Per recuperare un po’ di credibilità, il prof. Venti e la prof.ssa Claudia vanno a scusarsi in direzione mentre noi veniamo trascinati dalle bimbe davanti a Charles, insegnante di matematica e swahili che si presenta e ci dà il benvenuto. Riparata in qualche modo la figuraccia, saliamo sul bus in direzione orfanotrofio caricati da un rimprovero, ma anche dalla felicità suscitata dalla nostra presenza. Annalisa e Silvia

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Korogocho QUESTI PAZZI DI COMBONIANI!

John ci carica sul matatu delle bambine e ci dà uno strappo fino a Korogocho, saranno quasi dieci chilometri di strade dissestate che scavalcano come possono l’autostrada in costruzione per opera dei cinesi. Se le strade di Nairobi sono un disastro questa è l’apoteosi del disastro. Alle due siamo al distributore della Shell come d’accordo con padre Stefano: qui i riferimenti sono i distributori, come una volta erano certe acacie in mezzo alla savana o un pozzo nel deserto: ogni epoca si ritrova dove può rifornirsi di quello che le serve... Telefonata e padre Stefano arriva dopo dieci minuti. E’ un gran bel comboniano, capelli lunghi, sguardo trasparente, un modo di parlare che ti mette in pace con te e con le cose. Parla swahili, si rivolge a destra e a manca a tutti come se fosse nato qui, e in qualche modo lo è. Siamo nel cortile della chiesa di … ma ci guida per circa un chilometro fino nel cuore dello slum, fino alla chiesa di St. John, il centro vero e proprio che padre Zanotelli ha lasciato qui. Oggi conta due missionari comboniani oltre a Stefano: Father John, un keniano che si occupa delle attività di propaganda, educazione, e padre Paul che è giunto quasi alla fine del suo mandato. Attraversiamo questo chilometro di strade invase da quel panorama di umanità che ormai conosciamo bene, solo qui un po’

peggio, non so bene perchè. Prendo le misure, guardo cosa vendono e all’ultima bancarella capisco. Korogocho è la pattumiera di Nairobi ma l’immondizia prima di arrivare qui ha passato varie mani per cui il recuperabile è stato recuperato. Ci sono vere proprie squadre di bambini di strada che lavorano su quella cascata di schifezza e recuperano ancora qualcosa. L’ultima bancarella prima della missione è solo un telo messo per terra,due per cinque, letteralmente coperto di qualsiasi cosa abbia una forma, spezzoni di scarico di lavandino, prese elettriche rotte, una videocassetta lercia, un libro di Giobbe spiegazzato e bisunto, tutto quello che ha una forma e aveva un uso, scartato già da almeno dieci mani che frugavano frenetiche nei rifiuti della Nairobi bene. Entriamo nel cortile della missione, uno spiazzo pulito di terra, a sinistra un bel campetto da calcio con rete di sei metri, una ventina di bambini che giocano. Padre Stefano ci porta nel grande auditorium una struttura coperta da capriate a forma di teatro dove si tengono le messe e gli incontri. Parliamo un po’, ci mostra dietro la lamiera che circonda la missione l’enorme immondezzaio di Korogocho, una discarica che sarà arrivata allo spessore di trenta metri, sotto melmoso il Nairobi river, sullo sfondo, proprio a

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ridosso dei rifiuti i primi condomini della Nairobi bene. Padre Stefano ci racconta della loro lotta per chiudere la discarica, dei problemi gravi di salute che provocano i miasmi in questa zona, delle resistenze del governo ad affrontare il problema, della necessità di trovare attività alternative, strutturate, per migliaia di famiglie che adesso vivono dei rifiuti. La prima della contraddizioni che ci sono qui: la discarica è il male di Korogocho ma senza discarica questo slum non sa di cosa vivere. Missione impossibile, comincio a pensare che i Comboniani non siano del tutto normali a mettersi in questa impresa. Non resisto e glielo dico ma mi sorride e mi dice di aspettare, poi posso fare tutte le domande che voglio. Ci riporta nel cortile della scuola.


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Incredibile, mai vista roba simile!! E’ un cortile grande, ci sono più di ottocento studenti, mensa fornita dal Food Project, costo per studente l’equivalente di due euro al mese, ma qui è una cifra che solo alcuni si possono permettere. Ci spiega che se hai un lavoro “fisso” qui puoi arrivare a due euro al giorno, se vivi di lavori precari è tutto più difficile: una donna che lava per qualcun altro arriva a un euro per una giornata intera, qualcuna nemmeno. Ma la cosa stupefacente sono le pareti della scuola, le pareti esterne: Son degli enormi murales, ci sono i libri di testo spiattellati sul muro, decine di schede sulle parti del cuore, sui pronomi, sul sistema solare, da non credere, un capolavoro che dovrebbe essere eletto a patrimonio mondiale dell’umanità da quelli dell’Unesco. Poi ci porta in un grande ambiente, si uniscono a noi tre ragazze di Como in visita qui: Chiara, Daniela e Angelica, tre professoresse sui trenta e rotti che passano cinque settimane qui, ospiti di una ragazza che lavora come social worker (assistente sociale) per la missione di St. John, una

di loro è venuta in Kenya nove volte, segno che da questa malattia guarisci a fatica o non guarisci più. Ci sediamo in cerchio, ci presentiamo e il buon padre Stefano ha un commento per tutti, scherzoso e affettuoso com’è il suo stile. Poi ci racconta un po’ di come la missione sia nata negli anni novanta, il 17 gennaio 1990 quando padre Alex, così lo chiama, dopo una messa nello slum ha detto semplicemente: “Se mi volete mi fermo qui”. Ci parla di progetti con i ragazzi di strada, della comunità come l’ha concepisce la mente di Comboni,dell’assistenza ai malati, dell’azione pastorale. Lo sommergiamo di domande, giochiamo a chi è più “cattivo”. Si parla di questa inerzia dell’Africa che ci ha scandalizzato un po’, della rivoluzione che ci aspetteremmo ragionando da Occidentali. Ci parla senza pretendere di aver capito niente, ci parla per impressioni, per dubbi: ma ci dà la chiave più importante quando ci dice che la miseria più grave della gente qui nasce dal fatto di non sentirsi considerati, di essere fantasmi per lo stato. Se manca la luce nessuno si preoccupa, se il tasso di AIDS cresce non importa a nessuno e se un bambino muore perché la madre non ha i cinquanta centesimi per portarlo all’ospedale non importa a

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nessuno. A forza di non importare a nessuno non importano nemmeno a se stessi, subentra una rassegnazione sociale, nuova che si sovrappone a un fatalismo tipico della cultura africana. Come ci raccontava don Romano, io non taglio l’erba per l’inver no perchè Dio provvede e a lui mi affido. Quando parlano di uno che muore gli africani raccontano la sua giornata: si è lavato, ha f at t o q u e s t o, p o i h a mangiato, nel frattempo è morto, poi… Per questo non c’è cambiamento, per questo non serve pulire l’immondizia davanti alla baracca. Noi occidentali ci fissiamo su questa cosa dell’immondizia ma padre Stefano ci mostra le contraddizioni senza pretendere di rispondere, mettendoci semplicemente davanti alle cose: se anche uno pulisce e fa il suo sacco di immondizia, dove lo mette? Davanti alla bancarella del vicino? Sono le quattro che ce ne andiamo, dopo un’occhiata alla cappella adiacente dove i murales parlano del sogno di Comboni. Uscendo sulla porta un murales riporta i


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dieci comandamenti in swahili, uno mostra il ritratto di Giovanni Paolo II. Sotto le tavole della legge ci sta una foto della Claudia con padre Stefano, tiro due calci con i bambini a un pallone fatto di stracci, poi definitivamente ritorniamo indietro. Il gruppo si allunga dietro il passo veloce del comboniano e si perde un po’ a guardare baracche, cose, stranezze, bambini. Padre Stefano sta raccontando a Claudia gli aspetti positivi della baraccopoli quando uno giovane si avvicina, sorride alle nostre ragazze, sorride a Claudia e poi con un gesto veloce le strappa dal collo la catenina

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d’oro e scappa via. E’ un attimo di violenza, come uno schiaffo: la catenina ha un suo valore, un suo significato affettivo ma Claudia la prende con filosofia. E’ il battesimo dello slum, un pegno da pagare per entrare dentro questa umanità e mi pare che la prenda così. Da un certo punto di vista una privilegiata ma non me la sento di dirglielo: tempo mi arrivi un calcio negli stinchi…

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Un rientro rocambolesco COME SARDINE NELLA SCATOLA...

Ormai siamo diventati un po’ tirchi anche nel dirottamento dei matatu e questa volta paghiamo cara la spilorceria. All’uscita di Korogocho ne proviamo tre quattro poi combiniamo con uno che dovrebbe portarci ad Hurlingam. All’andata con il mastodonte di John ci abbiamo messo quaranta minuti, questa volta saremo sopra le due ore. Il buon autista parte, siamo accalcati in ventitrè nello spazio che sarebbe stretto per i quindici sedili, qualcuno ha in bocca il piedi del vicino qualcun altro sta seduto sulle ginocchia di un poveretto entrato prima. Musica a tutto volume, rigorosamente rap sparato nelle casse, forse per attutire il casino delle buche, delle sospensioni, dei dossi rallenta-traffico che qui a Nairobi fanno enormi. Ma il problema non è questo, il vero problema è che il nostro amico e il suo socio bigliettaio non sanno affatto dove sia Hurligham e ci fanno fare un giro dell'oca che dura due ore. Ci troviamo per un'ora imbottigliati in mezzo al traffico, immobili. Le p rov i a m o t u t t e p e r buttarla in ridere, ci mettiamo perfino a ballare dentro questa scatoletta di sardine ma dopo un'ora e mezza la vescica aqccusa qualche pressione eccessiva e le giunture delle ginocchia non le senti più. Sono nell'ultima fila e sporgo da chilometri la testa dal finestrino per prendere aria e nei tratti più lenti esco per metà e mi siedo sulla finestra di questo coso di lamiera per diminuire di qualcosa la concentrazione demografica del mezzo. A un certo punto siamo fermi e decido di uscire. Ovviamente non dalla porta perchè dovrei farne alzare diciannove, ma dalla finestra posteriore. Un piede sull'asfalto, piccola

contorsione e sono libero nei prati. Poi regolarmente rientro tanto il biglietto e pagato e rifaccio il giochetto per due tre volte, anche per far divertire un po' quei disgraziati che sono dentro. Ormai è buio, la musica non cala, la meta non si avvicina ma per consolarci partono certe assurde luci psichedeliche al neon che trasformano l'abitacolo in una discoteca in miniatura. Daniele propone di piantare un palo in mezzo per la lap dance ma è solo una allucinazione da mancanza di ossigeno. Finalmente qualche passante dà indicazioni decenti su Hurlingham, mancano solo due chilometri e ci inerpichiamo su per una salita sterrata che forse dovrebbe essere una scorciatoia. Ci ritroviamo in cima con una puzza di bruciato da paura, scendiamo tutti in fretta e furia ma l'autista senza scomporsi alza il sedile anteriore, versa acqua fredda nel radiatore col motore ancora acceso, riprova un po' a riaccendere e via, ci fa risalire e ripartiamo per un'altra, speriamo ultima sequela di buche. Ci scarica ad Hurlingham e vorrebbe un sovrapprezzo per il giro che palesemente è colpa sua. Gli rifilo i millesei pattuiti e non contratto neppure. Adesso dovremmo rientrare, farci la doccia, ripartire con un altro matatu e finire la cena alla Shalom House. Col cavolo! Ci troviamo tutti d'accordo per la il ristorante più vicino. Aspettiamo un sacco, non vuole farci il minimo sconto. Mica tutte vanno dritte, no? Comunque si rientra felici, la Chiara sta meglio, niente febbre niente vomito niente cacarella e questo è un grande risultato: l'Africa ti insegna anche ad apprezzare quello che va bene. HAP

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Istantanee

REDAZIONE: JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCO SILVIA BURIOLLA PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA TOMMASO MARTIN VALERIA DE GOTTARDO MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI

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