MARX-ENGELS
per un socialismo democratico MARX E LA RELIGIONE Marx ha praticamente dimostrato che l'alienazione che l'operaio della società capitalistica vive e avverte di vivere sul piano economico, trova il suo equivalente sovrastrutturale in quello che accade al credente sul piano religioso. Ovverosia, "l'operaio si viene a trovare rispetto al prodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo"(così nei Manoscritti economicofilosofici, ed. Einaudi 1970, p. 72). Estraneo appunto perché, pur essendo la merce un suo prodotto, di fatto non gli appartiene, essendo a lui separata giuridicamente la proprietà della fabbrica. Questa alienazione materiale trova il suo riflesso in quella spirituale della religione, la quale recepisce e giustifica, modificando continuamente i suoi contenuti, l'estraniazione materiale del capitalismo. E così, "quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso"(ib.). Un legame così esplicito di capitalismo e religione sarà ricorrente in tutta l'opera marxiana, anche se mai sviluppato in maniera analitica. Nel capitalismo, quindi, persino la legge naturale dello sviluppo industriale, che dovrebbe portare direttamente, sul piano spirituale, all'ateismo, diventa motivo di perpetuazione dell'alienazione religiosa. Nel senso che se è vero che "i miracoli divini diventano superflui a causa dei miracoli dell'industria"(op.cit., p. 81), è altresì vero che, col capitalismo, i miracoli dell'industria tornano a vantaggio solo di poche persone proprietarie, mentre al lavoratori non resta che continuare a sperare -come vuole la religione- nei miracoli divini, almeno sino a quando essi non si accorgeranno che "non gli dèi, non la natura, ma soltanto l'uomo stesso può essere questo potere estraneo al disopra dell'uomo"(ib.). Questa è una delle ragioni per cui secondo Marx "la critica della religione" va considerata come "il presupposto di ogni critica". Cioè l'operaio può iniziare a criticare il capitalismo partendo dalla critica della religione (in questo Marx si mostrava erede di tutti gli studi compiuti in Germania dalla Sinistra hegeliana. Viceversa Lenin non avrà bisogno di questo passaggio intellettualistico, in quanto per lui il capitalismo andava criticato per le proprie contraddizioni interne, e questo allo scopo di organizzarne un superamento di tipo politico. La critica della religione è sempre stata considerata da Lenin un aspetto di secondaria importanza, anche se proprio lui pretendeva da parte del partito una propaganda ateo-scientifica: cosa che in Europa occidentale i partiti comunisti non hanno quasi mai fatto). Marx assegnò all'ateismo un valore di "presupposto di ogni critica" perché nei paesi capitalisti qualunque aspetto sovrastrutturale, in aperta contraddizione con quelli strutturali (rivoluzione industriale, macchinismo, dominio della natura, benessere materiale...), si è sempre caratterizzato per il suo stretto legame con l'ideologia religiosa, o comunque con l'illusione di matrice religiosa. Prima del socialismo scientifico ogni morale era di origine religiosa, persino quella del socialismo utopistico, è così ogni diritto, ogni politica, arte o scienza. Il contenuto di tutte le scienze era costretto a esprimersi in un involucro religioso. Riflettendo le contraddizioni
antagonistiche della loro epoca, tutte le scienze manifestavano in modo illusorio, cioè sostanzialmente religioso, il loro tentativo di risolverle, e questo avveniva anche quando gli uomini cercavano di emanciparsi dalla religione. Ecco perché sino al socialismo scientifico la lotta contro la religione altro non è stata che la lotta di alcune idee religiose contro altre. Oggi, sotto il capitalismo, le forme ideologiche conservano il loro carattere illusorio pur avendo perso lo stretto legame con la religione (legame che comunque può sempre essere ripristinato, all'occorrenza). Nei confronti della religione la borghesia ha sempre avuto un duplice e apparentemente contraddittorio atteggiamento: di critica, nel momento dell'ascesa al potere economico e politico; di compromesso, nel momento della conservazione di tale potere. Di critica per potersi emancipare dal modo di produzione economico cui la religione era legata (quello feudale); di compromesso (o meglio di strumentalizzazione, per quanto reciproca) per poter impedire alla classe operaia di emanciparsi dal modo di produzione borghese. Nel Terzo mondo, ove la critica della religione non ha raggiunto le punte ateistiche dell'Occidente, quando l'operaio credente abbraccia ideologie di tipo socialista (p.es. la Teologia della liberazione) facilmente gli viene attribuito dalla chiesa l'appellativo di "eretico" ed ovviamente lo si minaccia di "scomunica". Un atteggiamento così autoritario, da parte della chiesa romana, è stato tenuto in Italia e per buona parte d'Europa almeno sino agli anni '70. Di qui la decisione, da parte degli operai credenti, di abbandonare la religione, proseguendo in maniera laica la propria opposizione al capitalismo. Se la chiesa cattolica non si fosse legata così strettamente agli interessi del capitale, probabilmente gli operai cattolici avrebbero smesso d'essere credenti con meno facilità, o forse avrebbero contestato il capitalismo con meno decisione. In ogni caso questo spiega il motivo per cui nel socialismo il regime di separazione di Stato e chiesa è un aspetto sovrastrutturale necessario alla socializzazione dei mezzi di produzione. Certo, se la religione non si fosse compromessa nel difendere il capitalismo (o il feudalesimo), il legame tra i due aspetti (separazione giuridica e collettivismo economico) potrebbe anche non essere indispensabile, ma è fuor di dubbio che là dove esistono più religioni (senza peraltro considerare l'ateismo), il socialismo non può che optare per il regime di separazione. A Marx comunque non bastava l'emancipazione meramente "politica" dalla religione (come per Bauer); voleva anche quella umana, e questo inevitabilmente implicava il rovesciamento dei rapporti produttivi, in quanto l'umano per lui coincideva col sociale e non solo -come per Feuerbach- con la coscienza personale. L'atteggiamento dei confronti della religione andava privatizzato, ma non quello nei confronti della società che produce l'illusione religiosa. La religione si pone sempre laddove esistono delle contraddizioni socioeconomiche basate sui conflitti di classe. Quando le classi antagonistiche si servono della religione politicamente (come fenomeno sociale) o ideologicamente (come convinzione personale), esse lo fanno o per illudersi (se sono oppresse), o per illudere (se invece opprimono). La religione infatti è allo stesso tempo - come dice Marx - "l'espressione della miseria reale e la protesta contro questa miseria" (ovviamente sempre nell'ambito dell'illusione). Rovesciare i rapporti di produzione antagonistici significa "rinunciare non solo alle illusioni sulla propria condizione, ma anche a una condizione che ha bisogno di illusioni"(Marx). Il proletariato -secondo Marx- sa che la sua emancipazione umana è legata al possesso dei mezzi produttivi e se questo obiettivo riesce a conseguirlo non può trasformarsi in un nuova classe dirigente che usa la religione in maniera strumentale, perché vuol rendere partecipe tutta la società di questo suo possesso. Etica e religione Il rapporto che Marx stabilisce tra economia borghese e protestantesimo non è mai stato molto chiaro nelle sue opere. Da un lato infatti egli ha sempre considerato la religione una
sovrastruttura dell'economia; dall'altro però ha spesso scorto nell'economia borghese delle caratteristiche tipicamente religiose (che assumevano forme laicizzate). Marx ha costatato lo stretto rapporto tra i due aspetti, ma ha scarsamente analizzato l'evoluzione del fenomeno religioso in rapporto all'evoluzione del contesto storico ad esso correlato. Marx in effetti non è uno storico in senso lato, ma uno storico dell'economia o al massimo della politica. Engels, in tal senso, ha prodotto qualcosa di significativo con gli studi sul Cristianesimo primitivo (che però riprendono le tesi della Sinistra hegeliana) e sulla Riforma protestante. Marx non ha analizzato per niente il riflesso del fenomeno religioso sul contesto socioeconomico corrispondente, ovvero i condizionamenti culturali della religione sui rapporti sociali. Qui occorre servirsi dei lavori di Weber - il "Marx della borghesia". Marx e Weber Il nesso che Marx poneva, nei Manoscritti parigini del '44, tra economia capitalistica e religione cristiana, racchiude, in nuce, tutte le analisi sociologiche di Weber, anche se Marx ha avuto il torto di non proseguire quelle ricerche, essendosi dedicato esclusivamente all'analisi economica. Weber ha proseguito quelle ricerche, ma da punto di vista borghese, cioè mascherando le contraddizioni antagonistiche del capitalismo. Ora bisognerebbe proseguire quelle ricerche dal punto di vista dell'umanesimo socialista. cfr Marx e Weber sull'evoluzione delle forme economiche e sociali Pro e contro Marx Quando si critica Marx bisogna fare dei distinguo molto importanti. Non ha senso infatti sostenere -come fa Max Scheler- che Marx considerava l'uomo un mero prodotto di condizioni economiche. Un limite di questo genere può essere riscontrato nel Marx "economista", quello posteriore al Manifesto, ma non lo si può certo riscontrare nel Marx dei Manoscritti parigini o in quello delle Tesi su Feuerbach. Nello stesso Capitale Marx non ha mai accettato completamente la tesi della subordinazione della volontà umana alle condizioni economiche. In realtà Marx non ha mai smesso di fare il politico rivoluzionario (molto importante è stato il suo impegno nell'Internazionale). Certamente il Marx "inglese" è stato meno rivoluzionario del Marx "franco-tedesco". La sua sopravvalutazione del fattore economico è dipesa appunto dal calo della tensione rivoluzionaria, nonché dalla subordinazione del "fattore umano" a quello "politico". Il fatto è però che individui come Max Scheler rimproverano a Marx l'eccessivo economicismo non tanto perché lo avrebbero preferito più rivoluzionario, quanto perché, al contrario, lo avrebbero preferito più "idealista", più "hegeliano"... A Marx, in realtà, si sarebbe dovuto rimproverare un'altra cosa, e cioè il fatto che la storia non può essere creata solo dall'homo faber. La storia non è né storia economica , né storia politica, ma è storia dell'uomo, globalmente o integralmente inteso. E' in questa storia che per miopia o per opportunismo si tende a privilegiare l'economia o la politica. Dal punto di vista umano, ogni scienza, ogni attività, ogni forma di pensiero è relativa. Gli aspetti etici o culturali non sono meno importanti di quelli politici o economici. Gli uni senza gli
altri non possono sussistere. Quando si privilegia un fattore rispetto a un altro, le conseguenze sono sempre devastanti, poiché sulle basi dell'unilateralismo non si può mai costruire una società democratica. Non si diventa più "realisti" opponendo all'ideologia filosofica o religiosa il primato del lavoro umano. Un lavoratore non è di per sé migliore di un prete. Finché non si affronteranno le cose in maniera globale, la diatriba fra idealismo e materialismo non finirà mai. Si pensi p.es. a questa assurdità: il marxismo ha sempre sostenuto che il lavoro è "umano" soltanto quando esso dirige coscientemente le forze naturali ad operare nell'interesse dell'uomo. I fatti cos'hanno dimostrato? Che se l'uomo si concepisce anzitutto come homo faber, l'impatto sulla natura è catastrofico. Perché ciò non avvenga, la società ha bisogno di uomini che si adeguino ai processi naturali, che rispettino sino in fondo tutte le leggi della natura e che non compiano assolutamente, attraverso il lavoro, delle modifiche irreversibili all'ambiente naturale. Solo così l'uomo può sperare di campare in eterno. Questo non per dire che la natura è più importante dell'uomo, ma per impedire che l'uomo si evolva contro i processi della natura. Delle due l'una: o la sua evoluzione è conforme a tali processi, e allora tra uomo e natura ci sarà sempre un'intesa perfetta, oppure si è in presenza di una involuzione verso la barbarie. Dobbiamo assolutamente toglierci dalla testa l'idea che l'uomo potrà diventare tanto più "umano" quanto più saprà coscientemente dominare la natura. Ogni forma di "dominio" (avvenga essa sotto il capitalismo o sotto il socialismo) porterà alla morte sia la natura che l'uomo. Molto più importante del lavoro, in realtà, è lo spirito collettivo con cui si vive in una determinata comunità; quello spirito che non sta a distinguere la produttività di un lavoro da un altro, che non si fa scrupolo di mansioni economicamente improduttive (se tutta la comunità è consenziente), che non fa dipendere la dignità di un uomo o di una donna dal lavoro che fa... Il marxismo ha valorizzato il lavoro per contrastare lo sfruttamento, ma anche la borghesia, agli inizi della sua "carriera storica", aveva privilegiato il lavoro per combattere il parassitismo delle classi feudali. Se si decide di privilegiare il lavoro, ad un certo punto si finirà col creare situazioni di sfruttamento, poiché l'assenza di valori ontologici prima o poi porta a desiderare di vivere sulle spalle degli altri. Sotto il capitalismo è l'imprenditore (singolo o associato) che si assume il ruolo di sfruttatore; sotto il "socialismo reale" questo ruolo è stato assunto dallo Stato, con tutti i suoi apparati burocratico-amministrativi. Il "socialismo reale" aveva per così dire "idealizzato" lo sfruttamento, in quanto un ente astratto: lo Stato (che doveva personificare l'interesse generale) aveva preso il posto di una figura soggettiva: l'imprenditore (che nel capitalismo ha sempre anteposto gli interessi privati a quelli pubblici). Non è certo stato il puro e semplice primato concesso al lavoro che ha impedito la possibilità di uno sfruttamento economico. Qui è la mentalità che deve cambiare. Non può essere solo questione di forme o di condizioni in cui avviene l'attività lavorativa.
Per poter realizzare delle condizioni lavorative ottimali, veramente democratiche, occorre educare gli esseri umani a capire l'importanza del bene comune. E questo è un lavoro di tipo etico, pedagogico, culturale, sociale, oltre che politico e rivoluzionario. Si tratta di un'opera di persuasione molto difficile e complessa, poiché implica una metanoia, cioè una conversione interiore, che deve tradursi, concretamente, in azioni esteriori, alternative a quelle dominanti.
CITAZIONI MARX
La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli. House:La religione non è l’oppio dei popoli. La religione è il placebo dei popoli”. "La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli." Karl Marx (1818-1883), filosofo ed economista tedesco. Fonte: "Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico".