FREUD E DIO

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FREUD E DIO Credo che nessuna dottrina scientifica si sia mai espressa così bene come la Psicoanalisi, nel descrivere ed analizzare le religioni, infatti Sigmung Freud, Erich Fromm e seguaci, nella loro professione del decifrare i meccanismi della mente, hanno colto il giusto meccanismo della mente umana, dove trova sede lo sviluppo del senso religioso, così scriveva riguardo le idee di Freud la famosa scrittrice e giornalista Karen Armstrong nel suo libro "Storia di Dio. 4000 anni di religioni monoteiste":"...Sigmund Freud senza dubbio considerava la credenza in Dio come un'illusione che uomini e donne maturi devono abbandonare. Per Freud l'idea di Dio non è una menzogna, ma non prodotto dell'inconscio che deve essere interpretato psicologicamente. Un dio concepito come una persona non è altro che una figura paterna ingrandita; il desiderio di una divinità ha origine nel bisogno di giustizia e nell'aspirazione all'immortalità. Dio è solo una proiezione di questi desideri, ed è temuto e adorato dagli esseri umani a causa dell'insicurezza di cui essi non sanno liberarsi. Secondo Freud, la religione appartiene propriamente all'infanzia della razza umana, è stata una fase necessaria della transizione dall'infanzia alla maturità, e ha promosso valori etici che erano indispensabili alla vita sociale. Ora che l'umanità è matura, però, la religione deve essere abbandonata..." Secondo Freud la religione prende origine dalla debolezza stessa dell’uomo, che si sente impotente di fronte alle forze della natura da cui è circondato esternamente, e alle forze degli istinti che gli insorgono dentro.


La religione nasce in una fase relativamente primitiva dello sviluppo umano, quando l’uomo non è ancora in grado di dominare queste forze esterne e interne per mezzo della ragione, e deve accontentarsi di reprimerle o di tenerle a bada con l’aiuto di altre forze affettive, o “controaffetti”, che hanno la funzione di sopprimere e neutralizzare ciò che egli non saprebbe come affrontare su un piano razionale. Così si sviluppa nell’uomo ciò che Freud chiama "un’illusione", derivata dall’esperienza di ciascun individuo durante l'infanzia. Sentendosi esposto a forze pericolose, incontrollabili e incomprensibili, l’uomo ricorda, tornando indietro negli anni, una esperienza avuta da bambino, quando si sentiva protetto da un padre che gli pareva una creatura supremamente saggia e forte, e da cui era possibile ottenere amore e protezione purché si obbedissero i suoi ordini e non si trasgredissero le sue proibizioni. Nel pensiero di Freud, dunque, la religione non è altro che un ripetersi delle nostre esperienze d’infanzia. Davanti alle forze che lo minacciano, l’adulto si comporta come ha imparato a comportarsi da bambino quando aveva paura e trovava conforto nella figura ammirata e temuta del padre. Freud paragona la religione alle nevrosi ossessive che si riscontrano nei bambini. La religione è appunto una nevrosi collettiva, causata da fattori analoghi. Questa teoria sulla genesi psicologica della religione si propone anzitutto di spiegare perché si sia formata l’idea di un dio. Ma secondo Freud la sua dottrina non si limita a questa spiegazione psicologica. Da essa risulta evidente quanto sia irreale la concezione teistica che è una semplice illusione basata su certi desideri dell’uomo (Freud stesso afferma tuttavia che non è detto che un’idea sia falsa soltanto perché soddisfa un determinato desiderio. E opportuno ripeterlo qui, perché non tutti gli


psicanalisti hanno saputo evitare questa falsa deduzione. In realtà, partendo dal desiderio che una certa idea sia vera, si è arrivati a formulare sia idee false sia idee vere. Nella maggior parte dei casi, le grandi scoperte umane sono state effettuate perché lo scopritore aveva interesse a concludere che così stavano realmente le cose. La presenza di tale interesse giustifica un certo scetticismo nell’osservatore. Ma non basta certo a infirmare la validità di un concetto o di una dottrina. Il criterio di validità non risiede nell’analisi psicologica dei motivi). Oltre che un’illusione, dice Freud che la religione è un pericolo, perché tende a santificare certe cattive istituzioni umane con cui si è sempre alleata; inoltre la religione tende a impoverire l’intelligenza, insegnando a credere a un’illusione e proibendo il pensiero critico (Freud sottolinea il contrasto tra la vivida intelligenza del bambino e l’impoverimento della ragione - Denkschwäche - che si verifica nell’adulto medio. E possibile, dice Freud, che la «natura intima» dell’uomo sia meno irrazionale di ciò che si potrebbe credere vedendo che cosa può diventare l’uomo quando è sottoposto a insegnamenti irrazionali). Sono le stesse accuse che già facevano alla chiesa i pensatori illuministi: ma nel quadro del sistema di Freud questa seconda accusa è oggi più efficace di quanto non fosse allora. Freud ha dimostrato nelle sue analisi che vietando l’uso delle facoltà critiche in una particolare direzione si determina un abbassamento generale dell’acume critico del soggetto, danneggiandone le capacità razionali. C’è una terza critica freudiana alla religione: che essa offre un fondamento molto malsicuro alla morale. Se la validità delle norme etiche dipende dal fatto che esse sono comandamenti divini, la sorte della morale dipende a sua volta dalla credenza in Dio. Freud ritiene che le convinzioni religiose


siano in progressivo declino; ed è costretto perciò a concludere che se si continua a collegare la religione e la morale, quest’ultima resterà travolta dal crollo della prima. Da questa esposizione risulta chiaro che gli ideali e i valori che premono a Freud sono proprio quelli che egli ritiene minacciati dalla religione: la ragione, la riduzione delle sofferenze umane, e la morale. Del resto non è necessario affidarsi a queste deduzioni, dato che Freud ha elencato lui stesso esplicitamente, i suoi ideali: l’amore del prossimo (Menschenliebe), la verità e la libertà. La verità (ossia l’uso della ragione) e la libertà sono strettamente connesse tra loro. Quando l’uomo rinuncia all’illusione di un Dio paterno, e si rende conto di essere solo nell’universo, e di non contare nulla, egli si trova nelle condizioni d’un figliolo che abbia abbandonato la casa paterna. Ma il fine dello sviluppo umano è appunto di superare questa fissazione infantile. L’uomo deve imparare da sé ad affrontare la realtà. Più presto si convincerà che non può contare altro che sulle proprie forze, e meglio imparerà a servirsene. L’autorità minaccia insieme e protegge: solo l’uomo libero che ha saputo emanciparsene è in grado di usare le proprie facoltà razionali e di capire oggettivamente il mondo e la propria parte in seno ad esso. Le illusioni sono cadute, ma egli possiede in cambio la capacità di sviluppare e mettere in uso tutte le sue facoltà. Solo facendoci adulti, e smettendo di lasciarci guidare e intimorire dall’autorità, come i bambini, possiamo trovare il coraggio per pensare con la nostra testa. Ma è vero anche l’inverso, che solo trovando il coraggio per pensare con la nostra testa possiamo emanciparci dall’autorità. A questo proposito Freud afferma che il sentimento dell’impotenza umana è l’opposto del sentimento religioso. È una affermazione tanto più importante in quanto molti teologi — e fino a


un certo punto anche Jung — ritengono che il nucleo centrale dell’esperienza religiosa sia proprio in quel senso di insufficienza e debolezza. L’affermazione di Freud ci permette di capire indirettamente il suo concetto dell’esperienza religiosa, che evidentemente coincide per lui con l’indipendenza e la coscienza delle proprie forze. In queste due diverse concezioni si riassume uno dei problemi cruciali della psicologia della religione.» Erich Fromm


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