Dio è morto! L’ateismo di Nietzsche Dio è morto (“Gott ist tot”) è un celebre motto di Friedrich Nietzsche contenuto nella sua opera La gaia scienza; sintetizza ermeticamente la decadenza del mondo occidentale nell'ultimo squarcio di millennio. Dio, infatti, è la metafora del mondo sovrasensibile in generale, senza riferimenti teologici diretti. Si ritrova inoltre nel classico di Nietzsche Così parlò Zarathustra, che è maggiormente responsabile della popolarità della frase. L’idea è espressa dal “folle” come segue: «Dio è morto. Dio resta morto. E noi l'abbiamo ucciso. Come potremmo sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini? Nulla esisteva di più sacro e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia: chi ci ripulirà dal sangue? Che acqua useremo per lavarci? Che festività di perdono, che sacro gioco dovremo inventarci? Non è forse la grandezza di questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare divinità semplicemente per esserne degni?» (La Gaia Scienza, Sezione 125)
Spiegazione “Dio è morto” non è inteso letteralmente, come “Dio è ora fisicamente morto”, piuttosto è la maniera usata da Nietzsche (che infatti riteneva Dio non fosse mai esistito) per dire che l’idea di Dio non è più fonte di alcun codice morale o teleologico. Nietzsche riconosce la crisi che la morte di Dio rappresenta per le considerazioni morali esistenti, poiché «quando uno rifugge la fede cristiana, uno si toglie il diritto della morale cristiana da sotto i piedi. Questa moralità è senza dubbio autoevidente... Rompendo uno dei principali concetti della cristianità, la fede in Dio, cade il tutto: nulla di necessario rimane nelle mani». Ciò è perché ne Il Folle, il folle si rivolge non ai credenti, ma agli atei il problema è ritenere valido un qualunque sistema di valori in assenza di un ordine divino. La morte di Dio è un modo per dire che l'uomo non sarà più capace di credere in qualunque ordine cosmico quando riterrà che non ne esiste uno. La morte di Dio condurrà, secondo Nietzsche, non solo al rifiuto della credenza in qualsivoglia ordine cosmico o fisico, ma anche al rifiuto dei valori assoluti stessi al rifiuto di credere in un'oggettiva ed universale legge morale che lega tutti gli individui. In questa maniera, la perdita di una base sicura della morale condurrà al nichilismo. Il nichilismo è ciò su cui Nietzsche lavorò per trovare una soluzione al fine di rivalutare i fondamenti dei valori umani. Questo significò, per Nietzsche, cercare una base che andasse più a fondo dei valori cristiani. Significato che la maggioranza delle persone ignora. Nietzsche credeva che la maggioranza delle persone non riconoscesse (o rifiutasse di riconoscere) questa morte per ormai radicate paure od ansietà. Inoltre, se questa morte venisse ampiamente accettata, la gente dispererebbe ed il nichilismo diverrebbe rampante, verificando il credo relativistico che afferma che la volontà umana è una legge contro se stessa qualunque cosa sarebbe permessa. Questo è, in parte, il motivo per cui Nietzsche ritenne la cristianità nichilistica. Secondo nietzsche, il nichilismo è la naturale conseguenza di qualsiasi idealistico sistema filosofico, poiché tutti gli idealismi soffrono della stessa debolezza della morale cristiana che non c'è alcun fondamento sopra il quale iniziare a costruire. Per questo motivo definì se stesso come “un uomo sotterraneo” al lavoro, uno che scava e scava senza sosta. In effetti il passo completo narra di un uomo, un folle, il filosofo per eccellenza che esclama: «Cerco Dio! Cerco Dio!» e come una eco lontana riaccende il celeberrimo “Cerco l’uomo” di Diogene.
Nietzsche pensava che ci potessero essere possibilità positive per l’uomo senza Dio. L’abbandono della fede in Dio apre la strada per sviluppare completamente le abilità creative dell’uomo. Il Dio Cristiano, egli scrive, non sarebbe più sulla loro strada e gli uomini potrebbero smettere di guardare sempre ad un regno soprannaturale ed iniziare a comprendere il valore di questo mondo. L’ammissione della morte di Dio sarebbe come un foglio bianco. È libertà di diventare qualcosa di nuovo, di diverso, di creativo, libertà di essere qualcosa senza essere obbligato a portare il peso del passato. Nietzsche usa la metafora del mare aperto, che può essere allo stesso tempo rinfrancante e terrificante. Quelli che alla fine imparano a creare le proprie vite daccapo rappresenteranno un nuovo stadio dell’esistenza umana, l’Übermensch. La “morte di Dio” è la motivazione per l’ultimo (e incompleto) progetto filosofico di Nietzsche, la “trasvalutazione di tutti i valori”. L’uomo ha dovuto illudersi per dare un senso all’esistenza (si pensi anche a Freud), in quanto ha avuto paura della verità, non essendo stato capace di accettare l’idea che “la vita non ha alcun senso”, che non c’è nessun “oltre” di essa e che va vissuta con desiderio e libero abbandono panico pieno di "fisicità". Se il mondo avesse un senso e se fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l’uomo non avrebbe bisogno di autoilludersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali. L’umanità occidentale, passata attraverso il cristianesimo, percepisce ora un senso di vuoto, trova che “Dio è morto”, cioè che ogni costruzione metafisica viene meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. Fino a che non sorgerà l’Oltreuomo, cioè un uomo in grado di sopportare l’idea secondo cui l’Universo non ha un senso, l’umanità continuerà a cercare dei valori assoluti che possano rimpiazzare il vecchio dio (inteso come qualsiasi tipo di realtà ultraterrena e non come semplice entità quale potrebbe essere il Dio cristiano); dei sostituti idolatrici quali, ad esempio, lo Stato, la scienza, ecc. Secondo Nietzsche la decadenza è il rifiuto dell’amore per la vita e della creatività, della spontaneità del vivere naturale e nello stesso tempo “tragico”, dunque dello spirito dionisiaco. Per lui colui che per primo ha condizionato negativamente la civiltà occidentale verso questo annullamento della vita è stato Socrate: il peccato di Socrate è di aver sostituito alla vita il pensare alla vita e la conseguenza di ciò è il nonvivere. Socrate ritiene che la ragione sia l’essenza dell’uomo e che le passioni, residuo di animalità, possano e debbano essere dominate. Per Socrate una vita fondata sulla ragione è una vita felice, mentre una vita dominata dalle passioni è destinata a dolorosi conflitti e turbamenti. Anche Platone ha indirizzato la vita verso un mondo astratto ed irreale, e in questo processo di decadenza si inserisce poi il Cristianesimo. Quest’ultimo ha prodotto un modello di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza, dettati dal motto cristiano del continuo pentimento e della richiesta implorata di salvezza e perdono. Perciò l’uomo cristiano, al di là della propria maschera di serenità, è psichicamente tormentato, nasconde dentro di sé un’aggressività rabbiosa contro la vita ed è animato da risentimento contro il prossimo. Nietzsche crea in questo periodo le metafore del guerriero e del sacerdote: il primo rappresenta il manifestarsi della volontà di potenza, il secondo invece, timoroso dei propri mezzi, costituisce il “sottomesso” che ad una morale dei forti, antepone una morale dei deboli, facilmente accessibile, che costituisce la negazione vera e propria dell’incondizionata gioia di vivere. Più che con la figura di Gesù Cristo (verso cui manifesta simpatia, considerandolo un “santo anarchico”), Nietzsche è polemico contro il Cristianesimo, in quanto religione dei «poveri di spirito», fondata sul risentimento e sulla cattiva coscienza. Infatti in Così parlò Zarathustra egli dichiara: Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze, essi sono dispregiatori della vita, sono avvelenatori, che siano maledetti!
Da ciò la proposta di Nietzsche di una trasmutazione o inversione dei valori. Si proclama egli stesso il “primo immoralista” della storia; egli non intende tuttavia proporre l’abolizione di ogni valore o l’affermazione di un tipo di uomo in preda al gioco sfrenato degli istinti, ma contrappone ai valori antivitali della morale pessimistica tradizionale una nuova tavola di valori a misura del carattere terreno dell’uomo. Per Nietzsche l’uomo è nato per vivere sulla Terra, la sua esistenza è interamente corpo, realtà sensibile. Infatti Zarathustra afferma: io sono corpo tutto intero e nient’altro. L’anima, secondo Nietzsche, è solo un’immagine metaforica e semplicistica della ricchissima varietà di desideri, inclinazioni e sensazioni che attraversano il corpo in ogni istante: questa rivendicazione della natura terrestre dell’uomo è implicita nell’accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco e dell’immagine del superuomo. La Terra non è più l’esilio e il deserto dell’uomo, ma la sua dimora gioiosa. L’affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole, degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento ad entità metafisiche. Ma comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: assumersi la piena e definitiva responsabilità di ogni decisione, di ogni azione. Ogni comportamento è soggetto ad una decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo conformistico. I contemporanei di Nietzsche dimostrano in mille circostanze di non essere più guidati dalla fede come poteva accadere agli uomini del Medioevo ma, per non essere obbligati ad affrontare le proprie responsabilità, non vogliono riconoscerlo neppure di fronte a se stessi. Celebre è la figura dell’uomo folle ne La gaia scienza (v. aforisma citato). L’annuncio della morte di Dio ha una straordinaria efficacia retorica e forse anche per questo non è stato sempre compreso a fondo: taluni interpreti si sono limitati a leggerlo come l’ennesimo attacco al Cristianesimo e non ne hanno percepito la profondità e la complessità. Infatti Nietzsche con questa affermazione intende annunciare la fine di ogni realtà trascendente, indipendentemente dal culto che predichi tale realtà. Egli considera ciò, come il compimento di un processo nichilistico necessario, le cui radici si ritrovano nell’atto di omissione e di oblio del dionisiaco, che ha consentito all’apollineo nel corso della secolarizzazione, di trovare modelli metafisici ragionevoli, capaci di giustificare il “senso dell’essere”, ma che prima o poi, secondo l’autore tedesco, avrebbero dovuto fare i conti con la vera essenza vitale della natura umana, quale appunto, il dionisiaco, ossia ciò che lega alla terra e alla vita.
Aforismi di Nietzsche sull’ateismo Ne La gaia scienza Nietzsche annuncia al mondo intero quella che sarà la notizia del secolo: la morte di Dio; come egli aveva previsto, in molti continuano comunque ad additarne l’ombra. La gaia scienza (1882) Aforisma 108 – Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un’immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. – E noi – noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!”. Aforisma 125 – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio?”, gridò. “Ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso – voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l’intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo Sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i Soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto” proseguì “non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni – eppure sono loro che l’hanno compiuta!”– . Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”. Aforisma 343 – Il più grande avvenimento recente – che “Dio è morto”, che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile – comincia già a gettare le sue prime ombre sull’Europa. A quei pochi almeno, i cui occhi, la cui diffidenza negli occhi è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più “antico”. Ma in sostanza si può dire che l’avvenimento stesso è fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione dei più perché possa dirsi già arrivata anche solo notizia di esso; e tanto meno poi, perché molti già si rendano conto di quel che veramente è accaduto con questo avvenimento – e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea. Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, tramonti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi già da oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo da diventare maestro e veggente di questa mostruosa logica dell’orrore, da essere il profeta di un ottenebramento e di un’eclisse di sole, di cui probabilmente non si è ancora mai visto sulla terra l’uguale?… Perfino noi, per nascita divinatori d’enigmi, noi che siamo in attesa per così dire
sulle montagne, piantati fra l’oggi e il domani, tesi entro l’opposizione tra oggi e domani, noi primogeniti e figli prematuri del secolo venturo, noi che già dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l’Europa: com’è che perfino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza preoccuparci e temere per noi stessi? Siamo forse ancora troppo soggetti alle più immediate conseguenze di questo avvenimento – e queste più immediate conseguenze, le conseguenze per noi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non sono per nulla tristi e rabbuianti, ma piuttosto come un nuovo genere, difficile a descriversi, di luce, di felicità, di ristoro, di rasserenamento, d’incoraggiamento, di aurora… In realtà, noi filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che “il vecchio Dio è morto”, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa – finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così “aperto”. Aforismi scelti da La gaia scienza Quando sarà che tutte queste ombre di Dio non ci offuscheranno più? Quando avremo del tutto sdivinizzato la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta! Le spiegazioni mistiche passano per profonde: la verità è che non sono nemmeno superficiali. “Dio stesso non può sussistere senza uomini saggi” ha detto Lutero, e a buon diritto; ma “ancora meno può Dio sussistere senza uomini non saggi” − questo il buon Lutero non l’ha detto! La decisione del cristiano di trovare brutto e malvagio il mondo ha reso il mondo brutto e malvagio. Oggi contro il cristianesimo decide il nostro gusto, non più le nostre ragioni. Un’ipotesi inevitabile, in cui l’umanità dovrà sempre ricadere, è a lungo andare più potente della fede più convinta in qualche cosa di non vero (come la fede cristiana). A lungo andare: cioè, in questo caso, in uno spazio di centomila anni. Se Dio voleva diventare un oggetto d’amore, avrebbe dovuto per prima cosa rinunciare a giudicare e alla giustizia: un giudice, fosse anche un giudice misericordioso, non è oggetto d’amore. Su questo punto la sensibilità del fondatore del cristianesimo non era abbastanza raffinata − era ebreo. Come? Un Dio che ama gli uomini a condizione che abbiano fede in lui, e che fulmina con sguardi terribili e minacce chi non crede in questo amore! Come? Un amore patteggiato sarebbe il sentimento di un Dio onnipotente! Un amore che neppure è riuscito a padroneggiare il senso dell’onore e l’eccitata sete di vendetta! Com’è orientale tutto questo! “Se io ti amo, a te che importa?” è già una critica sufficiente di tutto il cristianesimo. Buddha dice: “Non adulare il tuo benefattore!”. Si ripeta questa sentenza in una chiesa cristiana: all’istante purificherà l’aria di tutto quanto è cristiano. “Bene e male sono i pregiudizi di Dio” disse il serpente.
Umano, troppo umano (1878, 187980) Nessuna religione ha mai finora contenuto, né direttamente né indirettamente, né come dogma né come allegoria, una verità. Poiché ciascuna è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell’esistenza fondandosi su errori della ragione. La forte fede dimostra solo la sua forza, non la verità della cosa creduta. Fra la religione e la vera scienza non esiste parentela, né amicizia e neanche inimicizia.; esse vivono su pianeti diversi. Ogni filosofia che fa brillare nel buio delle sue vedute ultime una coda di cometa religiosa, rende di per sé sospetto tutto ciò che essa presenta come scienza: tutto ciò è presumibilmente ancora religione, sebbene agghindata da scienza. La riflessione degli uomini che credono alla magia e ai miracoli mira a imporre una legge alla natura: e, detto in breve, il culto religioso è il prodotto di questa riflessione. Il senso del culto religioso è di influenzare e di esorcizzare la natura a vantaggio dell’uomo, cioè di imprimerle delle leggi che essa di per sé non possiede; mentre nel nostro tempo si vogliono conoscere le leggi della natura per adattarsi a esse. Le persone a cui la loro vita quotidiana sembra troppo vuota e monotona, divengono facilmente religiose: ciò è comprensibile e perdonabile; solo esse non hanno alcun diritto di esigere religiosità da coloro per i quali la vita quotidiana non scorre vuota e monotona. Ammesso che in genere si creda, il cristiano ordinario è una pietosa figura, un uomo che veramente non sa contare neanche fino a tre, e che del resto, proprio a causa della sua irresponsabilità, non meriterebbe di essere punito così duramente come il Cristianesimo gli promette. Il Cristianesimo sorse per alleviare il cuore; ma adesso deve prima opprimerlo, per poterlo poi alleviare. Per conseguenza perirà. L’opinione piacevole viene accolta come vera: questa è la prova del piacere (o come dice la Chiesa, la prova della forza), di cui tutte le religioni vanno così fiere, mentre se ne dovrebbero vergognare. Se la fede non facesse felici, non sarebbe creduta: quanto poco essa varrà dunque! Nel mondo non c’è religione abbastanza, neanche solo per abbattere le religioni. La scienza moderna ha come scopo: meno dolore possibile, vita più lunga possibile – cioè una specie di eterna beatitudine, in verità molto modesta in confronto con le promesse delle religioni. Nel mondo non c’è abbastanza amore è bontà per poterne far dono anche a esseri immaginari. Finora la fede non ha potuto ancora spostare nessuna vera montagna, benché qualcuno − non so chi − l’abbia asserito; ma essa può mettere delle montagne dove non ce ne sono. Solo il cristianesimo ha dipinto il diavolo sulla parete del mondo; solo il cristianesimo ha portato il peccato nel mondo. La credenza nei rimedi, che contro di esso offrì, è stata ormai a poco a poco
scossa fin nelle più profonde radici: ma ancora sussiste la credenza nella malattia, che esso ha insegnata e diffusa. Per provare se qualcuno appartiene o non a noi − voglio dire agli spiriti liberi − si esamini il suo sentimento per il cristianesimo. Se il suo atteggiamento verso di esso è in un qualsiasi modo non critico, voltiamogli le spalle: egli ci porta aria non pura e cattivo tempo. Aurora (1881) Quale luogo spaventevole ha saputo fare della terra il cristianesimo, già per il solo fatto di aver collocato ovunque il crocifisso, e per aver in tal modo designato la terra come il luogo in cui “il giusto viene martirizzato a morte”! Chi annette al fatto di essere creduto una tale importanza da garantire il cielo a compenso di questa fede e da garantirlo a chiunque, fosse pure un ladrone crocifisso, − costui deve aver sofferto un dubbio orrendo e avere conosciuto ogni specie di crocifissione: altrimenti non comprerebbe a sì caro prezzo i suoi credenti. Un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, − oggi si mostra come ha potuto avere origine la fede nell’esistenza di un Dio, e per quale tramite questa fede ha avuto il suo peso e la sua importanza: in tal modo una controdimostrazione della non esistenza di Dio diventa superflua. Quando una volta si erano confutate le prove addotte “per dimostrare l’esistenza di Dio”, restava sempre il dubbio che si potessero trovare ancora prove migliori di quelle già confutate: a quel tempo gli atei non erano capaci di far tavola rasa. Ci sono forse oggi dai dieci ai venti milioni di uomini, tra i diversi popoli europei, che non “credono” più “in Dio” − è troppo esigere che si facciano segno l’un l’altro? Appena si riconosceranno tali, si faranno anche riconoscere, − diventeranno subito una potenza in Europa, e, fortunatamente, una potenza tra i popoli! Tra le classi! Tra poveri e ricchi! Tra chi comanda e chi soggiace! Tra gli uomini più inquieti e quelli più quieti, più acquietanti. Così parlò Zarathustra (1885) Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Al di là del bene e del male (1886) Chi si sente destinato alla contemplazione e non alla fede, trova tutti i credenti troppo rumorosi e importuni: si mette al riparo da loro. La fede cristiana è fin da principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso asservimento e dileggio di se stessi, automutilazione. Crepuscolo degli idoli (1888)
Come? L’uomo è soltanto un errore di Dio? O forse è Dio soltanto un errore dell’uomo? Il concetto di “Dio” è stato fino a oggi la più grande obiezione contro l’esistenza… Noi neghiamo Dio, neghiamo in Dio la responsabilità: soltanto in questo modo noi redimiamo il mondo. L’Anticristo (1888) Quel che ci divide non sta nel fatto che non ritroviamo Dio nella storia, né nella natura e neppure dietro la natura – bensì nella circostanza che noi sentiamo quel che viene venerato come Dio, non come “divino”, ma come miserabile, assurdo, dannoso, non soltanto come errore, ma come delitto contro la vita… Noi neghiamo Dio in quanto Dio… Se questo Dio dei cristiani esistesse, sapremmo ancor meno credere in lui. La forte speranza è uno stimolante vitale molto più grande di qualsiasi particolare felicità che si stia davvero realizzando. Si deve sostenere i sofferenti con una speranza che non possa essere contraddetta da alcuna realtà che non possa venire cancellata da un adempimento: una speranza ultraterrena. È falso sino all’assurdo vedere in una “fede”, per esempio nella fede della redenzione per mezzo di Cristo, il segno distintivo del cristiano: soltanto la pratica cristiana, una vita come la visse colui che morì sulla croce, soltanto questo è cristiano… Se si trasferisce il centro di gravità della vita non nella vita, ma nell’aldilà nel nulla si è tolto il centro di gravità alla vita in generale. L’uomo di fede, il “credente” di ogni specie, è necessariamente un uomo dipendente un uomo che non può disporre se stesso come scopo, che non può in generale disporre scopi derivandoli da se stesso. Il “credente” non si appartiene, egli può essere soltanto un mezzo, egli deve essere usato, sente la necessità che qualcuno lo usi. “Fede” significa non voler sapere quel che è vero. Definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, l’unica grande e più intima depravazione, l’unico grande istinto della vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, furtivo, sotterraneo, meschino lo definisco l’unica immortale macchia d’infamia dell’umanità. Legge contro il cristianesimo (da L’anticristo, 1888) Data nel giorno della salvezza, nel primo giorno dell’anno uno (– il 30 settembre 1888 della falsa cronologia) Guerra mortale contro il vizio: il vizio è il cristianesimo Prima proposizione – Viziosa è ogni specie di contronatura. La più viziosa specie d’uomo è il prete: egli insegna la contronatura. Contro il prete non si hanno ragioni, si ha il carcere. Seconda proposizione – Ogni partecipazione ad un ufficio divino è un attentato alla pubblica moralità. Si deve essere più severi contro i protestanti che contro i cattolici, più severi contro i protestanti liberali che contro quelli di stretta osservanza. Il delittuoso dell’essere cristiani aumenta nella misura in cui ci si avvicina alla scienza. Il criminale dei criminali è perciò il filosofo.
Terza proposizione – Il luogo maledetto dove il cristianesimo ha covato le sue uova di basilisco sia raso al suolo e atterrisca tutta la posterità, in quanto luogo nefando della terra. Vi si allevino serpenti velenosi. Quarta proposizione – La predicazione della castità è istigazione pubblica alla contronatura. Ogni disprezzo della vita sessuale, ogni contaminazione della medesima mediante il concetto di “impuro” è il vero e proprio peccato contro il sacro spirito della vita. Quinta proposizione – Chi mangia allo stesso tavolo con un prete sia messo al bando: con ciò egli si scomunica dalla retta società. Il prete è il nostro Ciandala – sia proscritto, affamato, cacciato in ogni specie di deserto. Sesta proposizione – La storia “sacra” sia chiamata col nome che merita: storia maledetta; le parole “Dio”, “salvatore”, “redentore”, “santo” siano usate come insulti, come marchi d’infamia. Settima proposizione – Il resto segue da ciò. Ecce Homo (1888) Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo? Questa è diventata la mia vera unità di misura, sempre più. L’errore – la fede nell’ideale – non è cecità, l’errore è viltà… Ogni risultato, ogni passo avanti nella conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con sé stessi, della pulizia con sé stessi… L’ateismo, per me, non è un risultato, e tanto meno un avvenimento, − come tale non lo conosco: io lo intendo per istinto. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori, in fondo è solo un grossolano divieto che ci viene fatto: non dovete pensare! Che sia io stesso invidioso di Stendhal? Mi ha portato via la più bella battuta da ateo, che avrei potuto dire proprio io: Dio ha la sola scusa di non esistere... Io stesso ho detto da qualche parte: quale è stata, fino a oggi, la più grande obiezione contro l’esistenza? Dio… In conclusione di quel famigerato libro che si conviene ai pochissimi, che è L’Anticristo, Nietzsche proclama la sua legge contro il cristianesimo, dietro ai cui ideali umanitari si celano potenti forze nemiche della vita.