Il Carciofo- Botanica

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Il carciofo botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


il carciofo e il cardo

botanica Origine ed evoluzione Domenico Pignone Gabriella Sonnante

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


botanica Origine ed evoluzione Genere Cynara Per comprendere l’origine del carciofo e del cardo bisogna innanzitutto conoscere le specie selvatiche affini dello stesso genere. Il genere Cynara appartiene alla famiglia delle Asteraceae o Compositae, la stessa famiglia di specie ortensi e ornamentali economicamente importanti quali la lattuga, la cicoria, il girasole, nonché le gerbere, i crisantemi e le margherite. Le specie che costituiscono il genere Cynara sono diploidi (2n = 2x = 34), suddivisibili in due gruppi, di cui il primo costituisce il complesso C. cardunculus comprendente le forme coltivate del carciofo (C. cardunculus subsp. scolymusi, oppure var. scolymus) e del cardo (C. cardunculus var. altilis) più una forma selvatica (C. cardunculus var. sylvestris), che chiameremo carciofo selvatico. In realtà, il carciofo coltivato era inizialmente considerato come una specie separata, C. scolymus, ma recenti studi lo hanno incluso nella specie C. cardunculus. Il secondo gruppo eterogeneo del genere include, secondo Wiklund, sette specie selvatiche: C. syriaca, C. auranitica (da alcuni autori ricompresa nella variabilità di C. syriaca), C. cornigera, C. algarbiensis, C. baetica, C. cyrenaica e C. humilis. Le specie di Cynara sono generalmente piante erbacee robuste, erette e perenni. Le dimensioni delle piante vanno da meno di 0,5 m fino a circa 2 m, in alcuni esemplari di C. auranitica e C. cardunculus. Le foglie hanno un colore verde di intensità varia-

Vavilov e i centri di origine

• Nikolaj Ivanovič Vavilov (1887-1943)

fu un agronomo e genetista russo che dedicò molti dei suoi studi all’origine delle piante coltivate, all’analisi della loro diversità e delle piante selvatiche da cui derivano. Dopo una lunga serie di spedizioni dal 1916 al 1936 in Africa, Asia e America, giunse a formulare la teoria dei Centri di origine delle piante coltivate, oggi noti anche come Centri di Vavilov, ossia le aree dove alcune specie o gruppi di specie furono per la prima volta domesticati dall’uomo. Oppositore delle teorie neolamarckiane di Lysenko, appoggiato dal regime, fu accusato di difendere la “pseudoscienza borghese” della genetica classica e cadde in disgrazia, morendo in prigione

Centri di origine delle piante coltivate secondo Vavilov

Centro Mediterraneo

Centro Messicano-Americano centrale

Medio Oriente

Centro centro-asiatico Centro Indiano

Centro Cinese

Etiopia Centro Indiano

Centro Sudamericano Centro Sudamericano Centro Sudamericano

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origine ed evoluzione bile anche nell’ambito della stessa specie, mentre C. cornigera presenta foglie variegate che ricordano quelle del cardo mariano. I segmenti fogliari terminano con una spina giallognola in tutte le specie. Altra caratteristica comune delle specie di Cynara è il capolino, cioè l’infiorescenza. Questa è costituita da un involucro formato da brattee generalmente glabre, di cui quelle esterne e intermedie sono coriacee. I numerosi piccoli fiori all’interno dell’involucro sono normalmente viola, tuttavia si osserva una grande variabilità per questo carattere, che può andare dal lilla, al violablu, al bianco, anche nell’ambito della stessa specie. Il genere Cynara è nativo del bacino del Mediterraneo, in cui ha una distribuzione simile a quella dell’olivo e del leccio. La specie più ampiamente distribuita è C. cardunculus, che è stato rinvenuto nell’area nord e sud-ovest del Mediterraneo e in Macaronesia (cioè i 5 arcipelaghi al largo delle coste africane, nell’Atlantico settentrionale), da Cipro al Portogallo e nell’Africa nord-occidentale prospiciente il Mediterraneo. Altre specie hanno una distribuzione più limitata, tipicamente orientale oppure occidentale. Cynara humilis è una pianta relativamente piccola che, a differenza delle altre specie, possiede acheni alati e margini delle foglie revoluti. Per questi caratteri, alcuni autori l’avevano collocata in un genere diverso, ma successivamente, grazie ad approfondite analisi morfologiche e genetiche, è stata mantenuta nel genere Cynara. Questa specie è distribuita principalmente nella zona sud-occidentale della Penisola Iberica e nella parte settentrionale del Marocco, dove si estende a est fino all’Algeria. Cynara algarbiensis è una specie di taglia relativamente piccola, endemica della zona sud-occidentale della Penisola Iberica. Cynara baetica, di taglia media, presenta brattee dai margini scuri e venature biancastre sulla pagina inferiore delle foglie. È suddivisa in due sottospecie: la subsp. baetica è diffusa nelle regioni montuose della Spagna meridionale (500-1700 s.l.m.), con fiori bianchi, mentre la subsp. maroccana, dai fiori bluastri, cresce sulle montagne della catena dell’Atlante in Marocco centro-settentrionale e settentrionale. Cynara cyrenaica è una specie poco conosciuta, sulla quale non sono state effettuate analisi genetiche; cresce spontaneamente nella omonima regione della Libia, e probabilmente anche a Creta. Cynara cornigera è piccola, con infiorescenze portate normalmente da steli molto corti, fiori generalmente bianchi e foglie di un verde brillante attraversate da striature biancastre. È distribuita nel Mediterraneo orientale: si trova in Grecia e lungo le coste della Libia e dell’Egitto. Cynara syriaca è una pianta selvatica robusta, con steli fiorali molto lunghi, che portano pochi capolini relativamente grandi. È stata raccolta lungo la costa della Siria meridionale, nel Libano nordoccidentale e in Israele, mentre C. auranitica, che alcuni includono nella variabilità di C. syriaca, cresce in Turchia sud-orientale,

Capolino di tipologia spinosa. Sono evoluti quanto gli altri coltivati e non sono affatto selvatici

Cynara humilis Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

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botanica Nord Iraq, Sud-Ovest della Siria e Sud Libano, e sembra essere presente anche in Iran e Israele. Cynara cardunculus include il carciofo, il cardo coltivato e il carciofo selvatico. I rappresentati selvatici di questa specie si distinguono dai coltivati per le lunghe e pungenti spine. Tuttavia, sono stati distinti due tipi di selvatici, i quali differiscono per alcune caratteristiche morfologiche e per la distribuzione geografica. Nelle regioni più occidentali, quindi essenzialmente in Macaronesia, Portogallo e Mediterraneo nord-occidentale, si osservano piante e capolini più grandi, con spine ridotte e meno lunghe sulle foglie e sulle brattee, classificati da Wiklund come subsp. flavescens. Viceversa, i tipi più orientali, subsp. cardunculus, distribuiti in Italia, Tunisia, Grecia, sono di taglia più piccola con lunghe spine sulle foglie e soprattutto sulle brattee, mentre le forme invasive diffuse in California, Messico, Argentina, Australia rappresenterebbero tipi rinaturalizzati a partire dai coltivati. Molte evidenze supportano l’ipotesi che il carciofo selvatico sia il progenitore del carciofo e del cardo coltivato. Infatti, se già da un punto di vista morfologico era stata riscontrata una notevole somiglianza tra queste entità, analisi genetiche hanno confermato tali osservazioni. Il carciofo selvatico, così come è stato definito, è l’unica entità selvatica, nell’ambito del genere Cynara, che si incrocia facilmente con il carciofo coltivato e con il cardo, e da tale incrocio derivano numerosi semi fertili F1. Vari tipi di marcatori biochimici e del DNA hanno evidenziato che l’identità genetica tra i taxa del complesso C. cardunculus era più elevata che tra questi e altre specie del genere Cynara. Inoltre, lo

Cynara algarbiensis Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

Distribuzione delle diverse specie del genere Cynara

C. algarbiensis C. baetica C. humilis

C. cardunculus

C. cornigera C. syriaca C. cyrenaica

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origine ed evoluzione Derivazione dei carciofi e dei cardi coltivati da due diversi pool genici Germoplasma di Cynara cardunculus

Cardi coltivati Cardi selvatici orientali

• L’Istituto di Genetica Vegetale del CNR di Bari possiede una collezione di 200 esemplari tra varietà di carciofo coltivate in Italia e in Europa, varietà di cardo coltivato e popolazioni di carciofo selvatico italiano e del bacino del Mediterraneo. Il carciofo selvatico, interfertile con il coltivato, rappresenta un’importante fonte di geni/alleli che possono essere utilizzati nel miglioramento genetico del carciofo per resistenza a malattie e a stress ambientali, oltre che per altri caratteri utili

Cardi selvatici occidentali

Carciofi Landraces Violetti

Romaneschi Catanesi

Spinosi

Diversità genetica

• La diversità (o variabilità) genetica

di una specie descrive il numero di varianti individuali presenti all’interno della specie. Un’ampia diversità è considerata un’assicurazione sulla sopravvivenza, mentre una diversità ridotta aumenta il rischio di scomparsa di una data specie. In genetica delle popolazioni la variabilità viene misurata in termini qualitativi, come numero delle diverse “mutazioni” (varianti geniche) presenti in una specie o popolazione, e quantitativi, ovvero la frequenza dei singoli geni e genotipi. La frequenza di alcune mutazioni dipende dall’interazione con l’ambiente o dalla pressione selettiva operata dall’uomo, mentre altre (mutazioni neutrali) non ne risentono

studio della variabilità genetica in una collezione di germoplasma di carciofo coltivato e di alcuni campioni di cardo coltivato, carciofo selvatico e di tre specie selvatiche di Cynara ha evidenziato che il carciofo selvatico è geneticamente più simile al carciofo e al cardo coltivato che non alle altre specie di Cynara. Altri studi basati su sequenze del DNA hanno dimostrato che l’intero genere Cynara è piuttosto recente e che il carciofo e il cardo coltivato sono stati domesticati separatamente, come due eventi indipendenti nel tempo e nello spazio. Inoltre, i carciofi selvatici di origine orientale sono geneticamente più vicini al carciofo coltivato, mentre quelli di origine occidentale sono geneticamente più affini ai cardi coltivati. La pressione selettiva operata dall’uomo, da un lato verso le dimensioni e l’assenza di spinosità del capolino, dall’altro verso l’ingrossamento delle coste fogliari, ha prodotto rispettivamente il carciofo e il cardo. Per quanto detto, il carciofo selvatico appartiene al pool genico primario del carciofo e del cardo. È interessante notare come questo pattern (modello) che distingue le entità del Mediterraneo orientale da quelle del Mediterraneo occidentale si ritrovi anche a livello delle diverse specie del genere Cynara. Infatti, analizzando le sequenze di DNA di alcune specifiche regioni considerate marcatrici dell’evoluzione, si sono potute 5


botanica osservare sequenze che distinguono le specie selvatiche di origine orientale, da un lato, e quelle di origine occidentale dall’altro. Tali marcatori, in altre parole, individuano differenze geografiche piuttosto che differenze fra specie. Sul significato biologico di questa osservazione torneremo in seguito. Esistono, invece, barriere riproduttive tra le altre specie di Cynara e il complesso C. cardunculus; pertanto, queste altre specie appartengono al pool genico secondario del carciofo. Ci sono tuttavia delle differenze nelle relazioni genetiche tra queste specie e il carciofo: infatti, nell’ambito del pool genico secondario, la specie più vicina al carciofo è C. syriaca, mentre quella più distante è C. humilis.

Pool genici primario, secondario o terziario

• Dall’inglese gene pool, letteralmente

“gruppo di geni”. Per pool genico si intende un insieme di individui appartenenti a una determinata specie che condividono una serie di caratteri, o meglio, di geni. Il termine gene pool può anche essere usato per descrivere la possibilità di scambio di geni tra diversi organismi. Quelli che producono prole fertile possono “mettere in circolazione” tutti i geni e quindi appartengono al gene pool primario; quelli che producono prole non completamente fertile ma che possono essere utilizzati in programmi di reincrocio per lo scambio di geni appartengono al gene pool secondario; infine quelli che possono produrre prole solo con tecniche speciali formano il gene pool terziario. In prima approssimazione il gene pool primario identifica la specie, il secondario il genere e il terziario la tribù

Differenziazione delle specie di Cynara e domesticazione del carciofo e del cardo Quando si sono separate le diverse specie di Cynara dal loro progenitore comune? E quali forze hanno guidato l’evoluzione e la domesticazione in Cynara? Dai dati molecolari in nostro possesso, possiamo ipotizzare che la storia del carciofo abbia avuto inizio con la glaciazione di Würm, la quarta glaciazione del Pleistocene, durante la quale si verificò un abbassamento generale della temperatura del globo con la conseguente espansione dei ghiacciai nell’attuale zona temperata. La glaciazione iniziò circa 110.000 anni or sono e terminò circa 12.000 anni fa. Durante la glaciazione di Würm il livello dei mari si abbassò di oltre 100 m. Alla fine seguì un periodo in cui la temperatura e le precipitazioni raggiunsero gradualmente valori simili agli attuali. Una specie di cardo selvatico oggi sconosciuta e probabilmente presente lungo la sponda sud del Mediterraneo, sotto l’avanzare dei ghiacci e con l’abbassamento delle temperature anche in Nordafrica, si spinse nelle regioni oggi occupate dal deserto del Sahara. Infatti le specie selvatiche di Cynara sono fortemente termofile, ossia necessitano di temperature medie piuttosto elevate e temono il freddo. Alla fine del periodo glaciale, con l’aumento delle temperature, questa specie migrò nuovamente verso nord e, giunta alle coste del Mediterraneo, dovette espandersi lungo l’asse est-ovest. Questa espansione e l’isolamento geografico fra le popolazioni più distanti furono alla base della spinta evolutiva che portò alla differenziazione delle specie di Cynara che oggi conosciamo. Alcune specie di Cynara sono distribuite prevalentemente nel Mediterraneo occidentale (C. baetica, C. algarbiensis e C. humilis), mentre altre sono maggiormente presenti nel Mediterraneo orientale (C. syriaca, C cyrenaica e C. cornigera). Cynara cardunculus var. sylvestris, ossia il progenitore selvatico diretto dei carciofi, è distribuito in entrambi gli areali del Mediterraneo, ma con differenze genetiche rilevanti fra i tipi del Mediterraneo centro-orientale e quelli del Mediterraneo occidentale. Tali deduzioni sono basate

Cynara baetica Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

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origine ed evoluzione Zone climatiche del Mediterraneo al tempo della glaciazione di Würm Domesticazione delle piante

• Il processo mediante il quale una pianta

passa dallo stato selvatico a quello coltivato è detto domesticazione. L’uomo guida l’evoluzione selezionando, in maniera più o meno conscia, dei caratteri della pianta a lui utili. Da ciò deriva la sindrome da domesticazione, cioè tutte le modificazioni che avvengono quando una pianta diventa coltivata. Questi cambiamenti dipendono spesso dall’uso finale che l’uomo fa di una determinata pianta e possono includere l’aumento di dimensione dei semi e dei frutti, la diversità nei colori e nelle forme di fiori, semi, frutti, la riduzione dei cicli biologici della pianta e della dormienza dei semi ecc. A partire dal carciofo selvatico, l’uomo ha operato una selezione per capolini di grandi dimensioni, di varia forma, e con assenza di spine per il carciofo, e con ingrossamento della costa fogliare nel cardo coltivato

Glaciale Atlantica

Continentale

Temperata

sull’esame di diverse regioni del DNA dei vari campioni di Cynara analizzati: infatti, tutte le specie evolutesi a ovest avranno ereditato delle sequenze specifiche di DNA, mentre quelle evolutesi a est ne avranno ereditate altre. Inoltre applicando uno strumento noto come orologio molecolare, basato sulla probabilità che avvenga una certa mutazione nel DNA, è possibile ipotizzare delle date per gli eventi di separazione dei gruppi di specie. Scopriamo così che C. cornigera e C. humilis hanno iniziato a differenziarsi circa 18.000 anni or sono, ovvero all’epoca in cui prendeva avvio la fine della glaciazione di Würm e l’atmosfera iniziava a riscaldarsi. Nel corso di poche migliaia di anni iniziarono a differenziarsi le altre specie di Cynara: C. syriaca e C. baetica circa 15.000 anni fa e C. cardunculus più recentemente. L’orologio molecolare ci permette, inoltre, di convalidare anche altre ipotesi, in particolare quelle relative alla domesticazione del carciofo, datandola a circa 2000 anni fa, e del cardo, avvenuta più recentemente. I dati molecolari ci offrono una serie di indicazioni ulteriori e confermano, così come osservato da dati morfologici, che i carciofi selvatici non sono un taxon del tutto omogeneo, ma si possono identificare ben due pool genici al suo interno: quello centroorientale e quello occidentale, che Wiklund aveva identificato come due sottospecie (subsp. cardunculus e subsp. flavescens, rispettivamente). Da questi due pool genici sarebbero poi derivate due differenti specie agrarie: dal pool centro-orientale è stato domesticato il carciofo, mentre da quello occidentale il cardo coltivato.

Cynara cardunculus Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

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botanica Evoluzione delle specie di Cynara a partire da un progenitore comune durante la glaciazione di Würm

Gruppo specie Cynara cardunculus occidentali Progenitore ignoto

Gruppo specie orientali

80.000 a.C.

30.000 a.C. Periodo Würm

16.000 a.C. Separazione est-ovest

Aspetti linguistici legati alla domesticazione La ricostruzione dell’origine di una specie coltivata a partire da un pool selvatico ha le connotazioni di un’indagine di polizia basata solo su prove e indizi e caratterizzata dalla quasi totale assenza di testimonianze. Le prove sono quelle che derivano dallo studio del DNA, gli indizi da alcuni caratteri genetici associati con le preferenze umane e l’etnobotanica, mentre le testimonianze, più o meno affidabili, sono quelle che derivano dalla letteratura e dall’arte. Delle prove basate sul DNA abbiamo già parlato. L’etnobotanica ci serve per capire quali furono le preferenze umane che hanno guidato la selezione di alcuni caratteri piuttosto che altri. Per esempio, nella domesticazione del carciofo e del cardo la selezione per caratteri di gigantismo è stata fondamentale: nel car-

Cynara auranitica Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

Schema di domesticazione del carciofo e del cardo Differente tempo Differente luogo Meno spine Gigantismo dei fiori Riproduzione vegetativa

Carciofo

Grande diversità

Meno spine Gigantismo delle foglie Propagazione per “seme”

Cardo coltivato

Scarsa diversità

Carciofo selvatico Cynara cornigera Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

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origine ed evoluzione ciofo si è puntato a capolini di dimensione nettamente superiore a quelli della controparte selvatica, mentre nel cardo si è preferito il gigantismo delle foglie, in particolare del picciolo e della venatura centrale della foglia, caratteri assenti nel progenitore selvatico. Questa pianta, poiché si consumano parti erbacee e non dure, non ci ha lasciato resti archeologici da analizzare, cosa invece possibile per cereali e legumi. Ancora più labili sono gli indizi che ci vengono dalla letteratura e dall’arte. Spesso gli scrittori romani ci hanno tramandato importanti testimonianze sulle piante coltivate. Nel caso del carciofo abbiamo moltissime attestazioni greche e romane, che però sono di difficile decifrazione a causa delle incertezze linguistiche. Infatti spesso gli scrittori antichi non usavano un solo nome per descrivere una specie, mentre altre volte per un gruppo di specie diverse impiegavano un nome collettivo. I Greci usavano la parola Scolymos per indicare varie specie di cardo selvatico utilizzate dall’uomo (Scolymus, Silybum, Cynara) e la parola significava semplicemente spinoso o cardo. Anche la parola Cynara più che a una specifica pianta sembra rivolgersi a un gruppo di piante spinose e deriva da una leggenda secondo cui Zeus, per vendicarsi di una fanciulla di nome Cynara, la trasformò in una pianta spinosa. Columella, scrittore latino del I secolo d.C., parla abbondantemente della coltivazione del cinara in Sicilia e Spagna, ma la sua descrizione della pianta non ricorda il carciofo coltivato, piuttosto una varietà selvatica, definita infatti hispida, ossia spinosa o rustica. Anche in Plinio e Apicio si trovano riferimenti a piante che potrebbero essere carciofi o cardi. Apicio parla di spondilii in riferimento ai gambi. Infatti in greco spondylos significa vertebra o colonna vertebrale e quindi per analogia in latino indica il gambo del fiore. Non a caso Columella chiama collo il gambo del cynara. Gli scrittori arabi del periodo della conquista islamica del Mediterraneo non danno indicazioni utili, in quanto spesso si limitano a tradurre i testi degli scrittori latini, Columella in primis. Tuttavia appare chiaro che in Spagna, con la riconquista cristiana, alcune colture tendono a scomparire e vengono solo successivamente reintrodotte. Idrisi sostiene in un suo recente saggio che questo sia stato il caso di molte colture fra cui la melanzana e il carciofo. Questo potrebbe spiegare perché i dati molecolari indicano che l’area di domesticazione del cardo coltivato sia la Spagna e il periodo il tardo Medioevo. Che sia stata la spinta “religiosa” a favorire la selezione di una nuova coltura? Nemmeno le indicazioni linguistiche di per sé sono risolutive. Quasi tutti i nomi del carciofo derivano da tre radici principali: il greco Cynara (in greco moderno Agghinara), l’arabo al Qarshuff, da cui l’italiano Carciofo, lo spagnolo Alcachofa e il portoghese Alcachofra, e il tardo latino Articoculum, da cui l’inglese Artichoke, il francese Artichaut ecc. La parola Articoculum ha anche al-

Cynara cyreanaica Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

Cynara di Columella

• Lucio Giunio Moderato Columella, il

celebre scrittore scientifico romano del I secolo d.C., nel suo De re rustica, Liber secundus, parlando della pianta nota come cynara, dai più ritenuta essere il carciofo, afferma che “pinea vertice pungit”, ossia il capolino è pungente, e che “similis calatho spinisque minantibus horret”, è simile a un canestro irto di spine pungenti. Questa descrizione non fa certo pensare a un carciofo come lo conosciamo noi oggi, ma piuttosto al carciofo selvatico che cresce ancora spontaneo nel Sud Italia oppure a un altro cardo spinoso

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botanica

Carciofo selvatico in Italia

• Il carciofo selvatico cresce

spontaneamente in Italia, dalla Toscana verso sud. Estese popolazioni sono presenti lungo la costa ionica della Basilicata e della Calabria, dove gli abitanti del posto usano spesso raccogliere i giovani capolini per conservarli sottolio. Il carciofo selvatico è abbondante anche in Sardegna e soprattutto in Sicilia, dove si pensa sia stato domesticato. Una grande variabilità si osserva nelle piante spontanee, sia nella taglia e nel portamento, sia nella forma e dimensioni dei capolini e delle spine delle brattee, nonché nel colore dei fiori, che possono essere viola o bianchi Cynara syriaca Fonte: Wiklund A., 1992. The genus Cynara L. (Asteraceae-Cardieae). Botanical Journal of the Linnean Society 109:75-123

tre forme (come per esempio Articoccum o Articactos) e non ha una precisa definizione, essendo una parola del latino volgare, ma dovrebbe significare pigna pungente (artus = fitto, pericoloso e per estensione pungente, e coculum o coccum = pigna, sfera, bacca). È interessante notare che in latino letterario il capolino del carciofo era definito pinea, ovvero pigna. Lo scrittore Adam Lonitzer pubblica a Francoforte, attorno al 1550, una storia naturale in cui dedica molta attenzione al carciofo e nella quale afferma che venisse dall’Italia e fosse chiamato strobilum, ovvero pigna, specificando che la voce cocalum significa pigna. Da queste variazioni del latino volgare sono derivati il lombardo Articiocco e l’antico provenzale Artichau in uso alla fine del XV secolo. Il fatto che nelle regioni mediterranee il nome comune del carciofo derivi dall’arabo lascia supporre che, similmente a quanto avvenuto per altre colture ortive, gli Arabi abbiano giocato un ruolo estremamente importante per la diffusione del carciofo nel mondo da loro dominato politicamente o commercialmente. Tuttavia questa ipotesi pare essere smentita dai fatti, in quanto per esempio in Spagna il carciofo sembra essersi diffuso alla fine del Quattrocento similmente a quanto avvenuto in altri paesi, forse a seguito della citata riconquista. Questo ci indica che già nel XV secolo erano diffuse diverse varietà di carciofo, probabilmente come conseguenza di eventi indi-

Capolini di forma globosa

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origine ed evoluzione pendenti di domesticazione o a causa di ibridazioni incontrollate coi progenitori selvatici che vivono ancora oggi nel Sud Italia. L’ibridazione non controllata è stato un meccanismo importante per la differenziazione delle specie a riproduzione vegetativa, come dimostrano la cassava o alcune piante perenni messicane, a propagazione vegetativa come il carciofo. Resta da capire chi e dove abbia domesticato il carciofo. Sulla base di osservazioni sul campo centrate sul progenitore selvatico, e sulla scorta di dati di letteratura e indicazioni etnobotaniche, si è formulata l’ipotesi che il carciofo sia stato domesticato in Sicilia in epoca Imperiale romana. Recenti dati molecolari e approcci multidisciplinari supportano questa intuizione. D’altro canto, solo in Italia, nonostante l’avanzare di un’agricoltura intensiva, sopravvive un’incredibile ricchezza di varietà locali e biotipi di carciofo che non ha eguali nel resto d’Europa, dai tipi precoci e rifiorenti, a quelli tardivi, a tipi con capolini conici, ovoidali, sferici, subsferici, a calice, con pigmentazioni variabili e presenza o meno di spinosità. E Vavilov, il padre della cultura delle risorse genetiche, ci ha insegnato che laddove c’è la massima variabilità per una determinata specie, là essa ha avuto origine.

Carciofi di forma ovoidale con brattee di colorazione diversa

Capolini di carciofo selvatico diversi per la morfologia delle brattee

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il carciofo e il cardo

botanica Morfologia e fisiologia Vito Vincenzo Bianco Nicola Calabrese

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


botanica Morfologia e fisiologia

Gemme

Il carciofo appartiene alla famiglia delle Asteraceae, sottofamiglia Tubuliflorae, tribù Cynareae, una sottospecie di Cynara cardunculus. Infatti recenti ricerche interdisciplinari hanno accertato che il progenitore dell’odierno carciofo è il cardo selvatico, ampiamente presente nel bacino del Mediterraneo. Pertanto il nome scientifico del carciofo risulta Cynara cardunculus, subsp. scolymus. È una specie poliennale. Le piantine provenienti da achenio presentano la radice principale fittonante e numerose radici secondarie. Le piante provenienti da carduccio o da ovolo presentano radici avventizie fibrose che col passare del tempo diventano carnose, si ingrossano (le radici più piccole scompaiono) e perdono la funzione di assimilazione per assumere quella di riserva. La profondità raggiunta da queste radici più grosse difficilmente supera i 40 cm. Nelle piante di oltre un anno la funzione assorbente viene mantenuta fino a quando il carduccio sul quale le radici sono inserite è in attivo accrescimento; verso la fine della primavera si ingrossano notevolmente e diventano carnose come quelle dell’anno precedente. Quando inizia l’accrescimento dei nuovi carducci le radici fibrose dell’annata precedente diventano carnose e sono rimpiazzate da un nuovo sistema di radici avventizie. L’organo ipogeo di una pianta di carciofo, perciò, è formato dall’originale radice fittonante con le sue radici laterali molto ingrossate,

Radici di riserva

Gemme

Sezione di pianta di carciofo con capolini in accrescimento Capolini in formazione Apparato radicale con radici di riserva e gemme

Foglie

Fusto

Radici con germogli in accrescimento

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morfologia e fisiologia da quelle carnose nate dai carducci dell’anno precedente e dalle radici fibrose portate dai carducci dell’anno. A mano a mano che la pianta si accresce diventa sempre più evidente il fusto rizomatoso, volgarmente detto ceppaia o ceppo, su cui si differenziano le gemme che daranno origine a germogli, detti polloni o carducci, agli steli e ai capolini. La differenziazione dei germogli (da cui si formeranno anche gli ovoli) non è contemporanea e perciò sulla stessa pianta si trovano germogli di età diversa. La differenziazione sembra legata a fenomeni di dominanza apicale e viene meno solo con la differenziazione del capolino principale. Il caule è molto raccorciato, porta inizialmente una rosetta di foglie tanto ravvicinate che il carciofo viene considerato pianta acaule. In effetti la struttura caulinare e quella radicale non sono ben distinte. La gemma apicale si evolve e origina lo stelo che si allunga e all’apice porta il capolino. L’asse fiorale o stelo fiorifero normalmente è di 40-80 cm, ma nelle cultivar ibride può superare i 140 cm di altezza. È cilindrico, leggermente scanalato nel senso longitudinale, eretto, ramificato, di colore verde-grigio, coperto di peli e con foglie alterne; anche le ramificazioni laterali portano all’apice il capolino. Le foglie hanno un colore verde di differenti tonalità, tendenti al grigiastro nella pagina inferiore; in ambedue le pagine sono pre-

Fasciazione

• In botanica, con il termine fasciazione

è indicato il fenomeno di appiattimento e allargamento di fusti, rami, assi fiorali, tronchi, tralci, piccioli, che sono normalmente cilindrici o prismatici, dovuto a concrescenza di gemme, accrescimento irregolare o deformazione dell’apice vegetativo, spesso causato da ferite indotte da insetti, parassiti, shock termici, o altri fattori che provocano alterazioni del meristema

Assi fiorali secondari Asse fiorale principale

Fasciazione

Pianta di carciofo con asse fiorale e ramificazioni secondarie

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botanica

Foto R. Angelini

Pianta di carciofo che presenta foglie con nervature principali di colore violaceo

senti gli stomi, in maggiore quantità in quella inferiore. I peli tettori, di varia forma e ghiandolari, sono presenti in misura diversa nelle popolazioni e nelle cultivar sia sulla lamina sia sul picciolo. La forma delle foglie varia con le cultivar, l’età della pianta, la posizione sulla pianta ecc. In generale le più giovani e quelle che si trovano sullo stelo fiorale più vicino al capolino sono lanceolate con margine intero o variamente seghettate, mentre in quelle più adulte il margine generalmente si presenta profondamente intaccato fino a che la foglia può considerarsi pennatosetta o bipennatosetta. La nervatura centrale è la parte preponderante delle foglie adulte. Il rapporto in peso fresco tra nervatura principale e parte rimanente del lembo fogliare varia da 1 a oltre 2; nelle cultivar tardive il rapporto si attesta verso il valore più elevato. La sostanza secca della nervatura in media oscilla intorno all’8%, mentre quella della parte rimanente del lembo fogliare intorno al 16%. La formazione del capolino inizia dall’apice vegetativo che, attraverso la fase di transizione, giunge alla forma globosa che poi si appiattisce e si allarga mostrando il mantello costituito da due strati meristematici che si sovrappongono allo strato parenchimatoso. In questa fase appaiono i primordi fiorali, che continueranno ad accrescersi centripetamente fino a interessare l’intero ricettacolo; ciò costituisce il completamento della fase di differenziazione, che coincide con la formazione del capolino. Il capolino, o calatide, più o meno compatto a seconda della cultivar e dello stadio in cui viene raccolto, può superare i 400 g di peso e assume diverse forme, che schematicamente possono ricondursi a quella cilindrica, conica, ovoidale, ellissoidale, sferica e subsferica. È costituito dal peduncolo, di lunghezza e diametro variabili (quest’ultimo generalmente maggiore per i capolini principali) e dal ricettacolo o

Carciofo in fioritura

Eterofillia su pianta di carciofo

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morfologia e fisiologia talamo (fondo), nella cui parte più esterna sono inserite le brattee o squame involucrali, mentre in quella più interna sono inseriti i fiori, che a completa maturità sono lunghi anche oltre 8 cm, di colore violetto di varia tonalità, anche se esistono mutanti di colore bianco. Le brattee hanno superficie glabra, sono più spesse e più carnose alla base e più sottili nella zona apicale; inoltre sono più consistenti all’esterno e più tenere all’interno. Assumono forme

Tipologie diverse dei capolini di carciofo

Cilindrico / Violetto-verde

Cilindrico / Verde

Subsferico / Verde-viola

Conico / Verde-violetto

Ovoidale / Viola-verde

Ovoidale / Viola scuro

Ovoidale / Verde-viola

Ovoidale / Verde

Sferico / Viola

Subsferico / Viola-verde

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botanica Sezione del capolino di carciofo Spine Brattee interne

Pappo

Brattee esterne

Peduncolo

Ricettacolo

diversissime (allungata, ovale, rotonda e forme di passaggio tra queste); la lunghezza può superare i 10 cm, mentre la larghezza può essere di oltre 6 cm. Il margine superiore può essere intero, inciso con varia profondità e anche introflesso; l’apice può mostrarsi appuntito, arrotondato, smussato, inerme o con presenza di spine di dimensioni diverse (che possono superare i 5 mm di lunghezza). Il colore della parte dorsale va dal verde chiaro al verde scuro, con sfumature violette, al violetto scuro uniforme; in alcuni casi le brattee sono anche lucenti. La parte ventrale è sempre più chiara di quella esterna, normalmente tendente al giallo chiaro nelle vicinanze dell’attacco sul ricettacolo, dove si nota un rigon-

Singolo fiore di carciofo (flosculo)

Foto R. Angelini

Sezione di un capolino di carciofo in cui si nota la forma convessa del ricettacolo e l’insieme dei flosculi

Capolini a differente stadio di maturazione: quello a destra mostra brattee violette interne con presenza di spine agli apici

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morfologia e fisiologia fiamento più o meno spesso. Le brattee interne, che diventano sempre più piccole man mano che si va verso il centro, assumono colore chiaro; quando i capolini sono ultramaturi o in condizioni anomale esse assumono la colorazione violetta brillante a cominciare principalmente dalla zona centrale. Inoltre, all’apice compare spesso una spina; tali brattee devono essere eliminate nella preparazione culinaria. Il numero delle brattee varia con le cultivar. A titolo di esempio, ne sono state riscontrate da 125 a 150 nelle cultivar spinose, nel Precoce violetto di Chioggia e Precoce di Jesi; da 150 a 175 nelle cultivar riconducibili al Catanese, Violetto di Toscana, Gros Camus de Bretagne, Castellammare; da 175 a 200 nel Bianco tarantino, Masedu, Green globe, Camard, Byrampasa, Sakiz ecc. I fiori sono ermafroditi (flosculi), tubulosi, caratteristici delle asteracee, proterandri. Lo stigma diventa ricettivo 4-8 giorni dopo l’antesi quando il polline appiccicoso dello stesso fiore ha generalmente perso la facoltà germinativa in quanto la sua fertilità dura 3-4 giorni; perciò l’autofecondazione dello stesso fiore è quasi impossibile. La fioritura è scalare, si completa in 3-5 giorni in modo centripeto nello stesso capolino, permettendone però l’autoimpollinazione (geitonogamia). Il trasporto del polline avviene per mezzo di insetti. Il frutto è un achenio (commercialmente indicato come “seme”) che matura circa 60 giorni dopo la fecondazione; gli acheni centrali sono quasi sempre più piccoli di quelli periferici (per via della fioritura centripeta) e mostrano una scarsa capacità germinativa. Il colore è variabile dal grigio chiaro uniforme al marrone e bruno scuro; in qualche cultivar sono presenti screziature più o meno accentuate. La lunghezza media è di 7 mm, la larghezza di 3,5 mm e, quanto alla forma, può essere assimilato a un ellissoide oblungo. Il peso di 1000 acheni varia da 30 a 70 g.

Carciofo in fioritura con le brattee basali divaricate

Achenio

• Quello che nel linguaggio comune

è chiamato “seme”, in realtà è un achenio, che è un frutto, secco, indeiscente (ovvero che a maturità non si apre), contenente un solo seme, con parete coriacea aderente al seme vero, ma non saldata e staccabile dal seme stesso. L’achenio è utilizzato per la propagazione gamica del carciofo, che si sta diffondendo con la recente introduzione di cultivar ibride. L’olio estratto dagli acheni può essere utilizzato per l’alimentazione umana e animale. Inoltre, da esso si possono ottenere farine di estrazione con buon contenuto proteico e recentemente è stata anche valutata la sua utilizzazione come biocarburante o per la preparazione di cosmetici

Foto R. Angelini

Acheni di carciofo detti comunemente “semi”

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il carciofo e il cardo

botanica Coltivazione del cardo Salvatore Antonino Raccuia Maria Grazia Melilli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


botanica Coltivazione del cardo Origine e diffusione Il cardo è una pianta di origine mediterranea. Si hanno notizie della sua coltivazione come ortaggio già al tempo dei Romani; Plinio, nella sua Naturalis historia, lo annovera fra gli ortaggi pregiati. Il cardo da coste è molto simile al ben più diffuso e conosciuto carciofo, il quale oggi spesso lo surroga per la produzione di nervature impiegate con le stesse modalità del cardo da coste. Il prodotto edule del cardo da coste è rappresentato dalla grossa nervatura mediana della foglia, carnosa e dolce, che viene utilizzata in cucina, opportunamente imbianchita, per la preparazione di diverse pietanze, tra cui ricordiamo la bagna cauda piemontese. Nonostante sia stato in passato un ortaggio di notevole diffusione, la coltura del cardo da orto è stata interessata da un fenomeno di forte riduzione degli areali di coltivazione. Negli anni ’60 la superficie coltivata si attestava attorno a 3500 ha, con produzioni di 350.000 q. Agli inizi degli anni ’80 la superficie coltivata si è ridotta a soli 1050 ha, con produzioni di 225.000 q, per diminuire ulteriormente a 800 ha alla fine dello stesso decennio con una produzione totale di 180.000 q e rese di 22 t/ha. Le regioni in cui la coltura riveste ancora oggi una certa importanza sono il Piemonte, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Lazio e le Marche, ma è pressoché costante la sua presenza negli orti familiari in quasi tutte le regioni italiane. Dagli anni ’90 il cardo da coste è stato rivalutato come coltura da destinare alla produzione di biomassa per energia (cardo da energia), come il cardo selvatico, suo progenitore ampiamente diffuso allo stato spontaneo.

Inquadramento botanico

• Il cardo appartiene alla specie Cynara

cardunculus, famiglia delle Asteraceae, sottofamiglia Tubuliflorae, tribù Cynareae, genere Cynara

• La specie Cynara cardunculus

comprende, oltre alla subspecie scolymus (carciofo), due varietà botaniche, Cynara cardunculus var. altilis (cardo domestico o cardo da coste) e Cynara cardunculus var. sylvestris (cardo selvatico). Altre specie spontanee, tutte diffuse nel bacino del Mediterraneo, sono Cynara sibthorpiana, presente nel sud della Grecia e nell’arcipelago Egeo, e Cynara syriaca, diffusa nell’Asia Minore: Siria, Libano, Sud della Turchia e Israele

Bagna cauda piemontese

• Letteralmente salsa calda, è un

piatto tipico della cucina piemontese, originario in particolare delle Langhe, del Roero e del Monferrato. È una pietanza a base di aglio, olio d’oliva, acciughe salate e verdure tradizionalmente legata al periodo della vendemmia. Un tempo si usavano solo cardi gobbi, tipici di Nizza Monferrato, topinambur e peperoni conservati nella raspa (ciò che rimaneva del procedimento di vinificazione del grappolo d’uva). La bagna cauda veniva consumata in maniera conviviale attingendo da un solo contenitore (pèila), posto al centro del tavolo Cardo selvatico allo stato spontaneo

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coltivazione del cardo Caratteristiche botaniche Il cardo è una specie erbacea nitrofila perenne in natura, spesso annuale quando coltivata come ortaggio. L’altezza può variare da un minimo di 40 cm, in alcuni biotipi di Cynara cardunculus var. sylvestris, a oltre 300 cm in alcune varietà di cardo domestico. La pianta è costituita da un grosso fusto rizomatoso (ceppaia) da cui si dipartono le radici laterali che, pur non numerose, sono notevolmente robuste (fino a oltre 2 cm di diametro). L’apparto radicale si può approfondire nel terreno ben oltre il metro. Le foglie sono portate su internodi molto ravvicinati in particolare nella parte basale del fusto e fanno assumere alla pianta un aspetto cespuglioso. Sono pennatosette, di dimensioni, peso e numero variabili in rapporto al genotipo, e presentano colore verde cenerino o talvolta grigiastro nella pagina superiore, verde più chiaro o grigio nella pagina inferiore per la presenza di peluria. Le lamine (o lembi) delle foglie possono risultare più o meno frastagliate a seconda del genotipo e possono o meno presentare delle spine di colore chiaro (giallo-biancastro), sempre in rapporto al genotipo di appartenenza. La spinosità delle foglie è un carattere sempre presente nel Cynara cardunculus var. sylvestris. Le foglie adulte possono raggiungere una lunghezza superiore al metro. I larghi e carnosi piccioli (coste o costolature), in cui si notano delle solcature più o meno profonde, hanno colore grigio-verdastro alla base e si presentano larghi fino a 10 cm. Il fusto (asse fiorale) è eretto, ramificato, robusto, striato in senso longitudinale e fornito di foglie alterne. L’asse principale e le sue ramificazioni (di primo, secondo e terzo ordine) presentano le infiorescenze in posizione terminale.

Infiorescenze di cardo di colore bianco

Infiorescenze di cardo di colore viola

Foto R. Angelini

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botanica I fiori, azzurri o bianchi, ermafroditi, tubulosi, sono riuniti in una infiorescenza a capolino (circa 20-30 unità per pianta), detta anche calatide. La calatide si presenta di forma conica, di modeste dimensioni (3-5 cm), e comprende una parte basale, il ricettacolo carnoso, sulla quale sono inseriti i fiori ermafroditi (circa 300-400 fiori) e, inframmezzate a questi, sono presenti sul talamo numerose setole bianche e traslucide, il cosiddetto “pappo”. Sul ricettacolo si inseriscono le brattee o squame involucrali, a disposizione embricata l’una sull’altra. La presenza di spine all’apice delle brattee è una caratteristica sempre presente nei cardi selvatici. La fecondazione viene favorita di norma dagli insetti pronubi che assicurano una buona percentuale di fecondazione incrociata. Il frutto è un achenio tetragono-costato, comunemente chiamato “seme”, di colore grigiastro scuro con marmorizzazioni chiare, unito al calice trasformato in pappo, per favorire la disseminazione. Il peso di 1000 acheni può oscillare tra i 25 e i 45 g a seconda della varietà. La durata della facoltà germinativa è di 4-5 anni. Considerato l’utilizzo del cardo sia a fini alimentari (cardo da orto) sia a fini energetici (cardo da industria), le due colture verranno trattate separatamente. Cardo da orto Tecnica colturale Il cardo esige terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto e senza ristagni, tendenzialmente neutri; si adatta anche a terreni più o meno marcatamente sabbiosi e sopporta anche un certo livello di salinità. La preparazione del terreno prevede una profondità media di 30-35 cm. Le esigenze termiche sono analoghe a quelle del carciofo; rispetto a questo è solo di poco più sensibile alle basse temperature. La temperatura media ottimale per la crescita si aggira tra i 10 °C e i 15 °C. Anche nelle conci-

Acheni di cardo. In basso, tipologie con colorazione albina Foto R. Angelini

Giovane pianta di cardo Cardo selvatico in fase di rosetta

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coltivazione del cardo mazioni ricorda molto da vicino il carciofo, con asportazioni pari a 250-300 kg/ha di azoto, 50-100 kg/ha di P2O5 e 350-400 kg/ha di K2O per una produzione media di 25 t/ha di coste. Si distribuiscono circa 300 kg di azoto per ettaro, iniziando con un apporto di 200-300 q a ettaro di letame alla lavorazione del terreno e proseguendo poi con interventi frazionati in copertura, impiegando complessi ternari a elevato titolo in fosforo. Una buona produzione richiede frequenti irrigazioni, con volumi di 400-500 m3/ha per volta, a turni di 10-15 giorni. Negli orti familiari si possono effettuare tanto la semina diretta quanto la produzione di piantine con il pane di terra con successivo trapianto. Seminando direttamente in aiole di piccole superfici è opportuno seminare a postarelle, usando 3-4 “semi” alla profondità di 1-1,5 cm, con un sesto di 1 m sia tra le file sia sulla fila. Alla semina segue, dopo l’emergenza, la scarducciatura, cioè l’eliminazione di polloni in soprannumero, con lo scopo di favorire la precocità e la qualità del prodotto. La tecnica dell’imbianchimento si effettua da settembre a novembre e ha lo scopo di rendere eziolate le nervature fogliari. La tecnica tradizionale prevede che si leghi la pianta per i due terzi inferiori rivestendola con materiali opachi, di natura varia (teli plastici, paglia, carta o cartone ecc.). In Toscana l’imbianchimento tradizionale consiste nell’interrare la vegetazione (opportunamente legata a fascio) in una buca ricavata a fianco della pianta, avendo cura sia di non danneggiare le foglie interne, sia che il fusto non si stacchi completamente dalle radici; il prodotto commerciale così ottenuto prende il nome locale di “gobbo”. Attualmente, nelle coltivazioni di maggiore estensione, l’imbianchimento si fa ricorrendo a teli plastici opachi, posti in opera a macchina nelle colture industriali.

Foto R. Angelini

La tecnica dell’imbiancamento prevede la legatura della pianta da settembre a novembre

Foto R. Angelini

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botanica La durata dell’imbianchimento varia dalle 2-3 settimane con i teli plastici alle 4-6 settimane con la tecnica dell’interramento. Le infestanti del cardo sono numerose, in coltura sia primaverileestiva sia estivo-autunnale. La lotta alle infestanti è orientata verso gli stessi principi attivi impiegati per il carciofo. Qualora non si voglia intervenire chimicamente, le infestanti possono essere tenute abbastanza agevolmente sotto controllo mediante sarchiature. Il cardo è soggetto alle stesse avversità e ai medesimi parassiti che colpiscono il carciofo. La raccolta si esegue a imbianchimento avvenuto, scalarmente da novembre a fine primavera. È normalmente manuale e comporta il taglio della pianta all’altezza del colletto, ma è possibile la raccolta meccanica, con taglio della pianta al colletto. Le rese in prodotto lordo con la raccolta manuale si aggirano sui 350-400 q/ha con punte fino a 450-500 q/ha; il prodotto commerciale raccolto, eliminate le foglie esterne, la parte superiore della lamina, raggiunge i 150-200 q/ha (1,5-2,5 kg/pianta). Il prodotto viene normalmente commercializzato fresco, appena raccolto. Le cultivar impiegate si distinguono in funzione delle dimensioni della costa (piene o semipiene), del colore della stessa (verdi, varietà tipo o bianche, varietà autoimbiancanti) e della presenza e consistenza delle spine (inermi o spinose). Il nome delle varietà, come per diversi altri ortaggi, si riferisce soprattutto ai luoghi di diffusione, per esempio cardo di Asti, di Romagna, di Chieri, di Nizza ecc. Questo ortaggio figura solo in alcuni cataloghi di ditte produttrici di sementi orticole e il numero di varietà che può interessare la maggior parte dei piccoli orticoltori è piuttosto limitato. Varietà che si possono reperire abbastanza facilmente sono le seguenti: Bianco avorio (varietà simili: Bianco avorio inerme, cardo di Asti), con foglie frastagliate, costolature medio-larghe e carnose; Gigante di Romagna (varietà simile: cardo di Chieri), pianta di notevole sviluppo (può superare i 160 cm di altezza), con foglie dalla lamina abbastanza suddivisa, di colore verde chiaro, coste larghe e di buon spessore. Una varietà senza spine è Gigante inerme (varietà simili: Gobbo di Nizza, Spadone), che presenta foglie con lamina poco suddivisa, coste larghe, molto carnose ed è privo di spine.

Foto N. Calabrese

Cardo da coste

Cardo come caglio vegetale

• Il caglio vegetale di cardo si ottiene

mediante l’estrazione con acqua degli enzimi presenti nei fiori. In Europa esso è utilizzato tradizionalmente nella produzione di alcuni formaggi tipici del Portogallo, ottenuti a partire da latte di pecora, come il Serra da Estrema e il Serpa, entrambi protetti da Denominazione di Origine. Nel Lazio il fiore di cardo selvatico si usa per la coagulazione del latte di pecora crudo, proveniente dalle campagne romane, per l’ottenimento di un formaggio tipico, il Caciofiore di Columella. Si tratta di formaggi a pasta semimolle. L’estratto acquoso di cardo è termostabile e presenta un’elevata attività proteolitica, di molto superiore a quella del caglio convenzionale (caglio liquido di vitello)

Caratteristiche qualitative del prodotto Grazie all’elevato contenuto in acqua (90-94%) le coste di cardo hanno un basso potere calorico (circa 20 kcal per 100 g di prodotto fresco), potendo vantare inoltre un contenuto apprezzabile in minerali, quali calcio (105 mg/100 g s.f.), potassio (400 mg/100 g s.f.) e sodio (105 mg/100 g s.f.). Studi recenti hanno dimostrato che le coste di cardo possiedono un elevato contenuto in composti antiossidanti, luteolina in particolare, capace di inibire a livello cellulare l’enzima metalloproteasi-9 responsabile di diverse malattie degenerative. 22


coltivazione del cardo Le coste, inoltre, contengono un abbondante quantitativo di polifenoli e di flavonoidi, quali quercetina ed epicatechine, che inibiscono l’azione di diversi radicali liberi e svolgono funzione antibatterica. Questo importante ortaggio della dieta mediterranea può quindi essere considerato un alimento funzionale, in quanto esplica una serie di effetti benefici sull’uomo.

Foto R. Angelini

Cardo da industria L’utilizzazione del cardo come coltura da biomassa per energia nasce dalla considerazione che la specie ben si adatta alle peculiari caratteristiche dell’ambiente mediterraneo, contraddistinto da apporti idrici limitati e irregolarmente distribuiti durante l’arco dell’anno. La specie infatti, grazie al suo ciclo biologico, che va dall’autunno alla primavera, periodo in cui si registrano i maggiori eventi piovosi, è in grado di intercettare tutti gli apporti idrici naturali disponibili. Inoltre l’apparato radicale funge anche da organo di accumulo di sostanze di riserva, capace di sostenere la riattivazione vegetativa dopo la quiescenza estiva. Grazie alla spiccata adattabilità del cardo all’ambiente mediterraneo è possibile ottenere buone rese in biomassa e acheni in condizioni di bassi input energetici. Tecnica colturale Sono da preferire terreni fertili, freschi e profondi, di medio impasto e senza ristagni, anche se il cardo tollera molto bene suoli poveri e pesanti a reazione sia acida sia basica. Può tollerare venti forti. La temperatura media ottimale per la crescita oscilla tra i 10 °C e i 15 °C. La semina diretta viene effettuata tra settembre e novembre in funzione dell’andamento termoudometrico, in modo tale che le

Infiorescenze di cardo

Principali impieghi delle differenti componenti della biomassa di cardo Biomassa

Granella

Olio

Alimentazione umana e cosmesi

Proteine

Biodiesel

Alimentazione zootecnica

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Epigea

Radici

Energia

Inulina


botanica piante si trovino già in fase di rosetta quando le temperature cominciano a scendere e si verificano le prime gelate. Al fine di aumentare le rese in biomassa al primo anno d’impianto è preferibile utilizzare una densità di semina tra 6 e 8 piante/m2. In aree dove vengono registrate gelate già in autunno è preferibile seminare in primavera; in questo caso l’induzione a fiore e la maturazione degli acheni si hanno l’anno successivo. In generale le esigenze idriche sono soddisfatte dalle piogge; un’irrigazione di soccorso può essere effettuata il primo anno per favorire l’insediamento della coltura. La lotta alle infestanti può essere eseguita mediante erbicidi selettivi, oppure mediante sarchiature prima che le piante in fase di rosetta coprano completamente il terreno, solo al primo anno. Il secondo anno, data la maggiore estensione dell’apparato fogliare e la maggiore rapidità con cui si sviluppa, il controllo delle infestanti diviene un elemento secondario. Il cardo da biomassa è soggetto alle stesse avversità e ai medesimi parassiti del carciofo. La raccolta si effettua in estate quando la biomassa epigea è secca e prima della disseminazione degli acheni. Si possono seguire due procedure: – raccolta dell’intera biomassa inclusi gli acheni, con sfalcio della biomassa al colletto e successiva formazione di rotoballe; – raccolta del “seme” con mietitrebbia e contemporaneo sfalcio della biomassa mediante falciatrice. A livello genetico il cardo non ha ancora destato particolari attenzioni da parte delle ditte sementiere, le quali hanno puntato solo su alcune cultivar da destinare alla produzione di coste. Attualmente si utilizzano alcuni genotipi da orto, caratterizzati da maggiore sviluppo e produzione di biomassa e alcuni genotipi di origine spagnola. Sono inoltre in fase di costituzione nuovi genotipi destinati all’utilizzo come biomassa da energia da parte di enti pubblici di ricerca.

Foto R. Angelini

Cardo domestico in fioritura al primo anno di impianto

Capolino in fioritura Impianto di cardo da biomassa di secondo anno in fase vegetativa

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coltivazione del cardo Resa in biomassa e sue componenti Il carattere perennante di questa specie permette la sua messa in coltura o con ciclo poliennale breve (2-3 anni) o con ciclo poliennale lungo (10-12 anni o più). Nel primo caso si può usare la coltura in rotazione con cereali, foraggere e leguminose, integrandola con colture destinate all’alimentazione umana e/o zootecnica. Nel secondo caso il cardo può essere coltivato in ambienti marginali, da destinare esclusivamente alla produzione di colture da biomassa per energia. In questi ambienti la coltura può assumere un ruolo agronomico di rilevante importanza, in quanto permette la reintroduzione in coltura di aree abbandonate, con tutti i benefici ambientali che ne conseguono per il governo complessivo del territorio, tra cui ricordiamo, per molte aree collinari centro-meridionali e insulari, il contenimento dei fenomeni di erosione del suolo. In ambiente mediterraneo, in colture con ciclo breve le produzioni in biomassa epigea secca possono superare le 25 t/ha. Le rese più basse si registrano al primo anno dall’impianto, quando la coltura si insedia. Il secondo e terzo anno le rese incrementano notevolmente. Le rese in acheni in media possono oscillare tra 1,5 e 2 t/ha. I dati finora disponibili sulla resa di impianti poliennali a ciclo lungo in ambiente mediterraneo hanno mostrato rese medie in biomassa epigea secca inferiori (14-15 t/ha per anno). Le rese più elevate si hanno tra il secondo e il quinto anno (20-25 t/ha per anno) per poi abbassarsi negli anni successivi (8 e 9 t/ha per anno). Riguardo alla ripartizione della biomassa, questa dipende dal genotipo, dall’età dell’impianto e dalla resa. Della biomassa totale prodotta a fine ciclo le radici costituiscono il 40-50%, percentuale che si riduce progressivamente con l’età dell’impianto. La rimanente parte di biomassa è costituita in media dal 30% di foglie, dal 25% di fusti e dal 45% di capolini, il 15% dei quali è rappresentato dalla granella.

Foto R. Angelini

Particolare della foglia di cardo

Coltivazione di cardo da orto

Foto R. Angelini

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botanica Utilizzazioni L’interesse che questa coltura riveste è legato non solo alla sua spiccata adattabilità all’ambiente mediterraneo, che permette di ottenere buone rese in biomassa e granella utilizzando bassi input energetici, ma anche alle diverse modalità di utilizzazioni della biomassa. Biomassa per energia. Per il cardo (domestico e selvatico), così come per il carciofo, è stata confermata la possibile utilizzazione della biomassa come combustibile solido. Dalla combustione della biomassa, eccetto gli acheni, è possibile ricavare da 16.500 kJ/kg a 17.800 kJ/kg, valori che rientrano nella norma per biomasse lignocellulosiche. La biomassa di cardo costituisce dunque una buona materia prima dalla cui combustione diretta si può ricavare energia su larga scala per la produzione di elettricità o di calore da impiegare negli impianti di riscaldamento. Dalla biomassa di cardo, così come per gran parte delle biomasse lignocellulosiche, mediante opportuni trattamenti fisici, chimici ed enzimatici è possibile ottenere dei combustibili, la cui natura è in funzione del processo impiegato (gassificazione, digestione aerobica, digestione anaerobica ecc.), utilizzabili per la generazione di energia (biocombustibili di seconda generazione).

Capolino di cardo selvatico

Fibra per la produzione di pasta di cellulosa. Grazie al buon contenuto in cellulosa ed emicellulosa, oltre alla non eccessiva presenza di lignina, la biomassa di cardo può essere impiegata per la produzione di pasta di cellulosa. La carta prodotta possiede buone caratteristiche meccaniche e una porosità sufficientemente bassa. Per la produzione di pasta di cellulosa possono essere impiegati sia gli scapi fiorali sia i pappi, quali prodotto di scarto ottenuto dalla trebbiatura dei capolini; questi ultimi, essendo costituiti quasi esclusivamente da cellulosa, forniscono una carta di migliore qualità. Radici per la produzione di inulina. Le radici di cardo presentano un elevato contenuto di zuccheri, costituiti prevalentemente da inulina, con un elevato grado di polimerizzazione. Il contenuto

Contenuto in cellulosa, emicellulosa e lignina (%) nelle differenti parti della pianta

Particolare di cardo domestico

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Cellulosa %

Emicellulosa %

Lignina %

Fusti

47,8

22,8

10,3

Ramificazioni

41,0

21,3

5,9

Ricettacolo

23,6

15,9

7,1

Brattee

38,5

23,8

6,6

Pappi

59,7

26,5

2,6


coltivazione del cardo in inulina può variare in funzione del genotipo e di norma diminuisce progressivamente con l’età dell’impianto. Data la buona resa in radici e il contenuto non indifferente di inulina (350 g/kg), all’espianto della coltura si possono ricavare, nel caso di ciclo poliennale corto, fino a 6 t/ha di inulina. Questo polisaccaride di riserva, ampiamente conosciuto per le sue proprietà nutraceutiche, assume grande rilevanza per la possibilità di impiego in diversi settori industriali, per esempio per la sintesi di vari composti chimici di base, di notevole interesse economico, il cui uso va dall’impiego della dicarbossinulina per la sintesi di detergenti biodegradabili, alla produzione di composti chiave nella chimica del furano, come l’idrossimetilfurfurolo (HMF), impiegato per la produzione di semilavorati per l’ottenimento di solventi, composti per la protezione delle piante e polimeri, specie nel caso dell’inulina caratterizzata da un elevato grado di polimerizzazione. Inoltre l’inulina può essere utilizzata ai fini della produzione di fruttosio mediante idrolisi enzimatica, dal quale è possibile ricavare biocarburanti di sintesi, come il dimetilfurano (DMF).

HO

O HO OH

OH O

4

HO HO

6

OH

n

O

5 3

O HO

2

1

OH

O

O

OH

OH 1 2

O HO 3

4

5 6

OH

OH

Formula di struttura dell’inulina

Granella per la produzione di olio. Il cardo risulta interessante non solo per le ragguardevoli rese in biomassa, ma anche per le buone rese in granella, che in particolari condizioni possono anche superare le 2 t/ha. La granella presenta un contenuto in proteine pari a circa il 22,5% mentre quello in olio può anche superare il 26%. La produzione di granella di cardo da impiegare per l’estrazione di olio, pur non essendo concorrenziale in termini di rese rispetto ad altre colture oleaginose coltivabili nei medesimi ambienti, presenta il vantaggio di essere complementare e aggiuntiva alla produzione di biomassa utilizzabile ai fini energetici. La specie può dunque essere considerata una coltura a duplice attitudine: produzione di

nc

15,0 DP 8+ 10,0 5,0 0 –5,0 20,0 40,0

60,0 Minuti

80,0 100,0

Cromatogramma dell’inulina estraibile dalle radici di cardo

Composizione chimica degli acheni di Cynara cardunculus Olio (g/100 g s.s.)

26

Composizione in acidi grassi dell’olio (g/100 g di olio) C16 - Palmitico

10,3

C18 - Stearico

2,9

C18:1 - Oleico

25

C18:2 - Linoleico

59

C16

C18

Composizione del panello dopo l’estrazione dell’olio Proteina grezza (g/100 g s.s.)

22,5

Fibra grezza (g/100 g s.s.)

18,5

Ceneri (g/100 g s.s.)

4,2

Estrattivi inazotati (g/100 g s.s.)

28,8

C18:1,ω9

C14

C16:1

C18:2 C19(ST) C18:1,ω11 C20 C22 C24 C18:3

Cromatogramma degli acidi grassi dell’olio di cardo

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botanica Caratteristiche dell’olio di Cynara cardunculus Olio di cardo

• Oltre che a scopo energetico, l’olio di

cardo potrebbe essere utilizzato anche ai fini alimentari, poiché presenta tutte le caratteristiche tipiche di un olio destinato a tale scopo: rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi di 17/3, rapporto acido linoleico/oleico di 1:8 e assenza di acido erucico. Inoltre l’alto contenuto in tocoferoli garantisce la stabilità ai fenomeni di ossidazione a carico degli acidi grassi polinsaturi. La notevole stabilità alle reazioni di ossidazione e l’alto contenuto in composti antiossidanti potrebbero presupporne l’uso anche nel settore cosmetico

Acidità (% acido oleico)

0,92

Numero perossidi (meq O2/kg)

3,4

Frazione insaponificabile (%)

2,65

K232 (1)

1,84

K270 (1)

0,21

L* (2)

94,25

a* (2)

–9,05

b* (2)

72,7

Indice di giallo (ASTM E 313)

76,4

Indice di verde (tan a*/b*)

–7,05

–1

(1) K232 e K270 indicano le lunghezze d’onda standard in corrispondenza delle quali sono state effettuate le letture con lo spettrofotometro (2) L*, a* e b* indicano i parametri del colore previsti dalle norme CIE (così come gli indici di giallo e di verde) per definire in modo oggettivo il colore dell’olio

biomassa lignocellulosica per energia o per ottenere pasta di cellulosa, e granella per la produzione di olio, da destinare o all’uso alimentare o alla sintesi di biodiesel. Olio. L’impiego principale dell’olio, su cui nell’ultimo decennio si è posto grande interesse, è quello della produzione, mediante transesterificazione, di biodiesel. Questo presenta le seguenti caratteristiche: densità 0,916 g/ml, viscosità a 20 °C 95 mm2/s, potere calorico 32,99 MJ/kg, valore allo iodio 350, valore di saponificazione 194. Impiego delle foglie come foraggio. Grazie al suo particolare ciclo biologico il cardo, negli ambienti meridionali, può essere posto in coltura per la produzione di foraggio fresco durante il periodo autunnale, quando in assenza di irrigazioni le altre colture erbacee foraggere non sono ancora in grado di fornire altrettanto, e nei mesi invernali. Le rese e le caratteristiche di qualità del foraggio di cardo variano in relazione al genotipo e alle modalità di taglio della biomassa. È possibile ottenere fino a 15 t/ha di s.s. con un buon contenuto in proteine grezze e un valore di sostanza organica digeribile compreso tra 78 e 80%. Granella e farine di estrazione. Oltre che per l’estrazione di olio, la granella di cardo può essere utilizzata per l’alimentazione zoo­ tecnica, essendo costituita per il 45% dal tegumento, ricco in fibra e lignina, caratteristiche che lo rendono molto più idoneo per l’alimentazione zootecnica, rispetto per esempio al seme di girasole. Nei genotipi di cardo più diffusi, il profilo degli acidi grassi dell’olio risulta caratterizzato da un elevato grado di insaturazione (85%)

Olio estratto dalla granella di cardo

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coltivazione del cardo e dalla presenza predominante di acido oleico (56,7%) e linoleico (28,4%). Sono in corso di selezione dei genotipi con contenuti più elevati in acido oleico. L’impiego nel settore zootecnico può essere esteso anche alle farine di estrazione, in cui il contenuto proteico può superare il 30%. Accanto al buon tenore proteico non è trascurabile il valore biologico di queste proteine, che risultano caratterizzate dal 47% di aminoacidi essenziali.

Liquore di cardo selvatico (likori de gureu)

• Bevanda alcolica della tradizione sarda

di colore giallo paglierino e sapore piacevolmente amarognolo, spesso il liquore, confezionato in bottiglie di vetro trasparenti, può contenere in infusione un pezzo di cardo. Nella tradizione la base alcolica è rappresentata dall’acquavite di vinacce pura, senza aromatizzanti. Vengono utilizzati, per la preparazione di questo liquore, i cardi selvatici (gureu), raccolti freschi di solito in piena primavera, ripuliti dalla pellicola esterna e dalle spine e poi posti in infusione con l’acquavite per almeno 30 giorni, dopodiché si filtra l’estratto e il liquore può essere consumato. Se in luogo dell’acquavite si utilizza alcol puro, terminato il periodo d’infusione, si riduce la gradazione alcolica diluendo con uno sciroppo di acqua e zucchero

Estrazione di principi farmacologicamente attivi Le proprietà medicamentose degli estratti ottenibili dal cardo, note sin dall’antichità, sono ancora oggi assai diffuse nella medicina popolare. Le foglie di cardo rappresentano un serbatoio naturale di composti con spiccata azione disintossicante, tra cui acidi mono- e dicaffeilchinici e flavonoidi, i quali rappresentano la frazione più abbondante; sono inoltre presenti saponine, sesquiterpeni e flavolignani (silimarina). Agli estratti fogliari di cardo sono stati riconosciuti effetti antimicrobici, antiossidanti, anti-HIV (acido 1-3 dicaffeilchinico), epatoprotettivi e coleretici, così come l’abilità di inibire il colesterolo LDL. Le ricerche più recenti hanno focalizzato l’attenzione sull’attività antiossidante degli estratti fogliari acquosi. Lo stress ossidativo dovuto direttamente alla tossicità dell’ossigeno che reagisce con i radicali liberi, o con altre molecole elettrofile, è una delle cause principali delle intossicazioni o delle malattie senili. L’aggiunta alla dieta di polifenoli, estratti da cardo, riduce del 13-31% il tasso di colesterolo nel sangue e del 12-28% quello delle lipoproteine. Dal “seme” di cardo sono stati isolati alcuni interessanti composti, tra cui (–)-artigenina e (–)-artigenina 4´glucoside, caratterizzati da buona attività antiossidante.

Plantula di cardo

Foto R. Angelini

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