Il carciofo botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato
il carciofo e il cardo
ricerca Miglioramento genetico Francesco Saccardo
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Miglioramento genetico Introduzione Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è una delle più importanti colture ortive prodotte sul territorio nazionale, con 50.120 ha coltivati e una produzione lorda vendibile che supera i 500 milioni di euro. Negli ultimi anni, il settore cinaricolo presenta tuttavia alcune problematiche legate principalmente: – alla comparsa sul mercato di prodotti provenienti dall’estero, in particolare dalla Francia e dall’Egitto; – alla mancanza di varietà iscritte al Registro Nazionale MiPAAF; – alla difficoltosa gestione agronomica della coltura a causa della variabilità del germoplasma tradizionale, costituito in genere da popolazioni eterogenee; – all’assenza di un’attività vivaistica innovativa; – all’elevato costo di manodopera richiesta per le cure colturali e la raccolta. Inoltre, il calo dei prezzi, dovuto al fatto che l’offerta per ogni tipologia è per lo più limitata a un arco di tempo piuttosto breve, la ridotta diversificazione varietale esistente e la commercializzazione di un prodotto non qualificato rappresentano ulteriori problemi della coltura. Nuove prospettive possono essere fornite dal miglioramento genetico mediante la costituzione di nuove cultivar che meglio rispondano alle esigenze di produzione (uniformità, attitudine alla raccolta meccanica) e di mercato (precocità) e mediante l’utilizzo di sistemi razionali di gestione dei tradizionali materiali di propagazione e l’impiego di nuove tecniche vivaistiche. La resistenza a stress abiotici e biotici (in particolare a Verticillium dahliae) dovrebbe consentire la coltivazione del carciofo anche in aree sottoposte a stress diversi.
Principali caratteri del carciofo
• Apparato radicale fittonante con rizoma (organo di riserva)
• Fiori ermafroditi violacei
in infiorescenza (capolino)
• Brattee larghe inermi o spinescenti • Gineceo con ovario infero monoloculare, lungo stilo e stigma bifido
• Androceo con cinque stami liberi e antere saldate tra loro
• Polline bianco avorio riunito in piccole masse compatte
• Impollinazione entomofila e proterandria del fiore
• Fioritura scalare e centripeta nel capolino
• Parte edule costituita dal capolino • Frutti (acheni) duri, globosi con abbondante pappo per la disseminazione
Coltivazione per la produzione di “seme”
Foto R. Angelini
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miglioramento genetico Risorse genetiche L’Italia presenta il più ricco pool genico coltivato di carciofo per lo più rappresentato da un elevato numero di ecotipi o cloni, propagati vegetativamente e il cui nome richiama generalmente le zone di origine. Tuttavia, la biodiversità presente a livello locale è tuttora poco conosciuta, tanto da determinare confusione sia nella terminologia sia nella classificazione del germoplasma disponibile. Esiste, infatti, un ampio numero di popolazioni che prendono il nome dalla rispettiva zona di coltivazione, pur non essendo sempre geneticamente differenziate tra loro. Per esempio, è il caso del carciofo Cupello (capolino di colore violaceo, grande e carnoso) che, pur prendendo il nome dalla località di coltivazione, sin dalla fine degli anni ’50, è genotipicamente rappresentato dalla popolazione Campagnano che, assieme a quella denominata Castellammare, concorre alla produzione della tipologia Romanesco. Anche per il Pian di Rocca, il genotipo coltivato è rappresentato dal clone Terom e non da uno specifico ecotipo locale. Il germoplasma di carciofo può essere oggi raggruppato e classificato secondo differenti criteri, fondamentalmente basati sulle caratteristiche morfologiche del capolino quali la forma, il colore delle brattee, la presenza o assenza di spine, o sull’epoca di produzione, autunnale e primaverile. In base alle caratteristiche del capolino, le risorse genetiche coltivate sono state suddivise nelle seguenti tipologie principali: – Spinosi, caratterizzati da lunghe spine sulle brattee e sulle foglie; – Violetti, con capolini viola di medie dimensioni e produzione autunnale; – Romaneschi, con capolini più o meno globosi e produzione primaverile;
Fiore di carciofo
Capolini di carciofo (in alto) e di cardo coltivato (in basso) Diverso colore di infiorescenze di carciofo
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ricerca – Catanesi con capolini relativamente piccoli e allungati e produzioni che si estendono dall’autunno alla primavera. Altri ecotipi, tra cui quello spagnolo denominato Tudela, appartengono a un gruppo intermedio, mentre il germoplasma francese è stato principalmente suddiviso in Bretone, caratterizzato da grandi capolini verdi (per es. Camus de Bretagne, Caribou, Camerys), e Midi, originario del Sud della Francia (per es. Violet de Provence. Violet de Hyères). In California, le varietà Green Globe, Imperial Star, Big Heart, Desert Globe, tutte primaverili, sono le più diffuse; soprattutto la cultivar Imperial Star è interessante per la sua relativa uniformità e per la precocità. In base all’epoca di comparsa del capolino, le varietà autunnali dette anche rifiorenti o precoci (per es. Violetto di Sicilia, Spinoso sardo, Spinoso di Palermo, Spinoso ligure, Masedu, Brindisino, Violetto di Provenza, Tudela, Locale di Mola, Catanese), coltivate principalmente nelle regioni del Sud e nelle isole, assicurano una produzione pressoché continua tra l’autunno e la primavera e riguardano l’80% del patrimonio varietale nazionale. Le varietà primaverili o tardive (per es. Romanesco e Violetto di Toscana), presenti nelle regioni del Centro Italia, forniscono solo produzioni nel periodo febbraio-maggio. Vanno considerati a parte i cardi coltivati che sono completamente fertili se incrociati con il carciofo. Il genere Cynara è relativamente piccolo e comprende, oltre al carciofo, 6-7 specie selvatiche perenni, tutte originarie del bacino del Mediterraneo. La specie più vicina al carciofo è il cardo selvatico (C. cardunculus var. sylvestris), distribuito dal Portogallo alla Turchia. Si tratta di una pianta robusta e ramificata, con tipica rosetta di foglie grandi e spinose e fiori di colore blu-violetto. Altre 5 specie selvatiche quali C. baltica, C. algarbiensis,
Clone Romanesco precoce C3
Varietà California
Germoplasma più coltivato in Italia e incidenza sulla produzione nazionale
Tipo Violetto di Toscana
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Tipologia
Diffusione (%)
Area di coltivazione
Epoca di produzione
Violetto di Sicilia
43
Sicilia sudorientale, Puglia
Ottobre-aprile
Spinoso sardo
22
Sardegna
Novembre-aprile
Romanesco
7
Lazio, Campania
Marzo-giugno
Violetto di Provenza
20
Puglia, Sicilia
Ottobre-aprile
Violetto spinoso di Palermo
5
Sicilia occidentale
Dicembre-aprile
Violetto di Toscana
3
Toscana
Aprile-giugno
Blanc Hyérois (Macau)
Non stimata
Sardegna, Sicilia
Aprile-maggio
miglioramento genetico C. syriaca, C. cornigera e C. cyrenaica hanno mostrato affinità genetica con il carciofo. Controllo genetico dei caratteri Alla base del miglioramento genetico del carciofo, i pochi studi sinora effettuati riguardano il determinismo genico di pochi caratteri principali. La maggior parte dei caratteri morfologici e legati alla produzione presenta un determinismo poligenico. Si tratta in particolare della dimensione, forma e peso del capolino, della dimensione della pianta, della lunghezza del peduncolo e della precocità. Sono invece controllati da geni singoli o da due geni major i seguenti caratteri: – assenza/presenza di spine; l’allele “non spinoso” (Sp) è dominante su quello “selvatico spinoso” (sp); – marcatori della foglia e del fiore; i caratteri “foglia gialla” (j) e “fiore bianco” (b) sono entrambi mutazioni recessive, la prima delle quali è presente nei tipi Romaneschi. La pigmentazione del capolino è un carattere per il quale la base genetica per la colorazione antocianica, influenzata anche dalla temperatura e dalla concimazione, è complessa, in quanto coinvolgerebbe una serie di geni modificatori in aggiunta a 1 o 2 geni major. Poco studiato è invece il carattere della maschiosterilità riportato sotto il controllo di uno (ms1) o di due geni recessivi (ms2 e ms3). Nuovi cloni maschiosterili sono stati recentemente isolati in Italia e studiati da un punto di vista morfologico e funzionale. La maschiosterilità è legata a un blocco post-meiotico che si verifica durante la microgametogenesi determinando la produzione di polline non vitale, probabilmente associata a una bassa attività nutrizionale delle cellule del tappeto nell’antera.
Maschiosterilità
• Mancata produzione di gameti
maschili o produzione di gameti maschili non funzionali. Può essere determinata da fattori genetici nucleari (maschiosterilità genetica), citoplasmatici (maschiosterilità citoplasmatica) o da entrambi (maschiosterilità geneticacitoplasmatica) ed è impiegata nella costituzione di ibridi F1
Cloni maschiosterili visitati da api
Metodi del miglioramento genetico applicato alle specie a propagazione vegetativa
Sviluppo del patrimonio varietale Il miglioramento genetico del carciofo ha una storia piuttosto breve dal momento che le conoscenze sulla biologia fiorale sono state acquisite e sviluppate solo da una trentina di anni e, a livello mondiale, sono ancora pochi gli studi e i risultati sinora condotti in tale settore. Molte difficoltà sono legate all’allogamia e proterandria del fiore. In Italia, la costituzione varietale del carciofo è stata per lo più limitata alla selezione di piante effettuata nell’ambito di ecotipi locali e alla loro successiva propagazione agamica (ovoli, carducci, parti di ceppaia). Questa metodologia di miglioramento genetico consente tuttavia di utilizzare solo la variabilità genetica o le possibili mutazioni presenti in una popolazione. La moltiplicazione vegetativa comporta inoltre, come conseguenza negativa, la realizzazione di carciofaie altamente inquinate da patogeni fungini e virus.
• Selezione clonale • Incrocio e selezione clonale • Selezione di mutanti naturali o indotti • Ibridazioni intra- e interspecifiche • Selezione assistita con marcatori molecolari
• Coltura in vitro (micropropagazione,
rigenerazione, induzione di aploidia)
• Impiego di tecniche di ingegneria genetica
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ricerca Via agamica Sinora la costituzione di nuovo germoplasma di carciofo è stata realizzata mediante selezione di piante effettuata nell’ambito delle popolazioni locali propagate per via agamica (ovoli, carducci e parti di ceppaia), oppure da piante selezionate nell’ambito di popolazioni ottenute da libera impollinazione e successivamente clonate. L’analisi della situazione varietale rivela comunque una condizione stagnante. È auspicabile pertanto un maggiore impegno nel miglioramento genetico ai fini della produzione di varietà in grado di coprire e possibilmente ampliare il periodo di coltivazione, caratterizzate da migliore adattamento alle esigenze dei diversi ambienti pedoclimatici di coltivazione e con caratteristiche più idonee per i diversi impieghi possibili (consumo fresco, carciofini sottolio, paste, surgelato). Tra i cloni più interessanti ottenuti negli ultimi 30 anni, sono da citare: – C3, genotipo Romanesco molto precoce ottenuto mediante selezione clonale e successiva micropropagazione; – Terom, genotipo primaverile più precoce del Violetto di Toscana ma con un capolino notevolmente più grande e coltivato nelle aree tipiche del Violetto di Toscana; – Tema 2000, autunnale e isolato da una popolazione da seme derivata dal Terom; – Grato 1 e Grato 2, entrambi di tipo Romanesco, ottenuti da interincrocio in libera impollinazione di cloni appartenenti agli ecotipi Castellammare, Campagnano e Violetto di Toscana e successiva selezione di piante moltiplicate agamicamente. Il clone C3, costituito da piante di media vigoria con foglie di colore verde cinereo, capolino sub-sferico compatto e schiacciato con brattee serrate di colore verde e sfumature violacee, per la precocità e qualità del capolino, ha sostituito circa il 90% delle carciofaie laziali, e si sta diffondendo su ampie superfici anche di altre regioni cinaricole quali Sicilia, Puglia e Sardegna. L’elevata richiesta di questo clone da parte del mercato sta però causando, almeno in Lazio e Campania, rischi di erosione genetica per le popolazioni autoctone di Romanesco tradizionalmente coltivate in queste aree. La particolare precocità e l’intolleranza al freddo del clone può inoltre mettere a rischio, in inverni molto freddi, l’intera produzione della coltura. La metodologia di miglioramento genetico impostata sull’impiego di incroci in libera impollinazione tra diversi genotipi, che hanno portato alla realizzazione di nuovi cloni di piante F1 selezionate per caratteri utili, ha dato sinora i migliori risultati in termini di rinnovo varietale. A riguardo, bisogna citare i nuovi cloni denominati Moro di Corneto (capolini globosi, di colorazione violetta e dimensioni più grandi del tipo Romanesco), Etrusco (forma più allungata del tipo Romanesco e produttiva), Apollo (clone brevettato), Exploter e Giove che derivano da piante selezionate all’interno di popolazioni ottenute per libera impollinazione e successivamente moltiplicate per via vegetativa. Anche in
Processo di selezione clonale
• Selezione della pianta
e autofecondazione in un ecotipo o in un materiale da ibridazioni
• Clonazione delle piante selezionate e scelta dei cloni migliori
• Coltivazione dei cloni migliori in campi replicati
• Valutazione agronomica in diverse località
Foto N. Calabrese
Capolino di tipologia Romanesco Foto N. Calabrese
Cultivar Tema
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miglioramento genetico Sardegna e in Puglia, sono stati selezionati nuovi cloni per produttività, precocità e caratteristiche all’interno di popolazioni appartenenti rispettivamente alle tipologie Spinoso sardo e Brindisino. Ai fini della valorizzazione e tutela del prodotto, è stata acquisita l’Indicazione Geografica Protetta (IGP) sia per il carciofo di Paestum [Reg. CE n. 465 del 12.03.04 (GUCE L. 77 del 13.03.04)] sia per il carciofo Romanesco del Lazio [Reg. CE n. 2066 del 21.11.02 (GUCE L. 218 del 22.11.02)], mentre è stata evidenziata per la richiesta del marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) la qualità del carciofo Violetto di Sant’Erasmo, già incluso nell’elenco MiPAAF dei prodotti tradizionali locali. Quest’ultimo presenta un elevato contenuto di fruttosio, che rende molto dolci i capolini, una minore quantità di inulina e acido clorogenico; è apprezzabile la sua resa di lavorazione come produzione di cuori. Anche per il carciofo Brindisino è in corso la richiesta di marchio IGP. Molto recentemente invece è stato istituito, con decreto MiPAAF del 18 giugno 2007 (G.U. del 26/06/07), il Registro Nazionale delle Varietà di Carciofo e, già a luglio 2008, è stata richiesta l’iscrizione delle prime 4 varietà di carciofo, Raffaello, Donatello, Michelangelo, Leonardo, tutte afferenti alla tipologia Romanesco e ottenute da piante selezionate rispettivamente all’interno delle popolazioni autoctone Castellammare e Campagnano e dei cloni C3 e Grato 1. In particolare, le cultivar Raffaello e Michelangelo sono precoci, mentre le cultivar Donatello e Leonardo sono tardive e mediamente tardive.
Cultivar Grato
Via gamica Il sistema riproduttivo del carciofo via “seme” (achenio), ha permesso di mettere a punto metodologie di miglioramento genetico tendenti alla realizzazione di ibridi F1 e/o varietà sintetiche che Foto R. Angelini
Cultivar Apollo
Cultivar Etrusco Capolino in sezione con acheni (comunemente detti “semi”) muniti di pappo
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ricerca manifestano gli effetti positivi dell’eterosi, incrementando le rese unitarie e associandole a un minor costo di produzione. Questi materiali ottenuti gamicamente consentono di: – meccanizzare le operazioni di semina; – migliorare lo stato sanitario della pianta; – ottenere carciofaie omogenee; – esprimere il potenziale produttivo già al primo anno di impianto, rendendo possibile la durata di un anno della carciofaia; – avvicendare il carciofo con altre colture; – ridurre l’impiego di agrofarmaci; – favorire la coltivazione della coltura in regime biologico. In particolare, l’utilizzo del “seme” consente di eliminare alcuni problemi fitosanitari, principalmente legati ai virus, che si evidenziano soprattutto quando il carciofo è moltiplicato per via vegetativa. Ricerche effettuate su cultivar propagate per “seme”, generalmente a produzione tardiva o primaverile, hanno evidenziato che applicazioni di GA3 (acido gibberellico) anticipano la produzione di capolini al periodo autunno-vernino. In Francia, Israele e USA, è stata dedicata molta attenzione allo sviluppo di varietà propagate via “seme”, sia attraverso la selezione di linee sufficientemente stabili e la costituzione di ibridi F1 sia attraverso incroci tra linee fertili stabili e maschiosterili. Recentemente varietà a propagazione per “seme” (Talpiot) e ibridi F1 tra i quali Concerto, Opal, Madrigal, di origine francese e israeliana, sono stati oggetto di accurate sperimentazioni agronomiche sia in Sicilia sia in Puglia. Queste costituzioni, sebbene in qualche caso interessanti per la produzione riferita a un breve periodo di tempo e la conseguente riduzione dei costi di raccolta, presentano tuttavia una produzione tardiva e qualitativamente inferiore a quella delle cultivar tradizio-
Cloni maschiosterili (in primo piano) e maschiofertili (in secondo piano) utilizzati come parentali nella produzione di seme ibrido
Foto R. Angelini
Ibrido F1 da seme in California Acheni di carciofo
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miglioramento genetico nali. Recentemente, attraverso programmi mirati di miglioramento genetico, sono stati ottenuti ibridi F1 italiani derivati dall’incrocio di linee inbred fertili e cloni maschiosterili utilizzati come piante portaseme. Le autofecondazioni ripetute in carciofo determinano però fenomeni di depressione da inbreeding con conseguenze negative sul vigore della pianta, sulla superficie fogliare, sull’altezza dello stelo, su numero e dimensione dei capolini commerciali, sulla qualità e quantità del polline e sul numero di semi vitali. Talvolta la depressione da inbreeding compare già alla seconda autofecondazione mentre, in altri casi, alla III-IV autofecondazione, gli effetti possono essere talmente severi da dover rinunciare alla produzione di linee inbred. In contrasto con i fenomeni di inbreeding, gli incroci tra cloni di carciofo determinano elevata eterosi, espressa chiaramente in biomassa e produzione. È stato notato un impressionante vigore ibrido nelle combinazioni di incrocio tra carciofo e cardo. La strategia seguita per l’ottenimento di ibridi F1 presenta le seguenti fasi: 1) realizzazione di variabilità genetica ottenuta mediante clonazione, autofecondazione, incrocio intra/interspecifico e mutagenesi;
Coltivazione di carciofo in serra
Capolini di ibridi F1 commerciali (in basso) e in via di sviluppo (in alto)
Sami
Sami
Madrigal
Madrigal
Concerto
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Opal
ricerca 2) ottenimento di popolazione F2 da autofecondazione di piante e selezione per caratteri morfo-fisiologici compresa la maschiosterilità; 3) ottenimento di linee maschiofertili stabili F3, F4, F5, ottenute da autofecondazione controllata e cloni di piante maschiosterili; 4) ottenimento di ibridi F1 realizzati da incrocio tra linee maschiofertili stabili e cloni maschiosterili; 5) valutazione bio-agronomica in ambienti pedoclimatici diversi. Nell’ambito di questa strategia, sono state messe a punto tecniche di impollinazione (api, bombi, pennello ecc.) per aumentare la resa in “semi” e contemporaneamente ridurre i costi di produzione. Prospettive Per l’importanza economica che la coltura del carciofo riveste a livello mondiale e soprattutto in Italia, è necessario sviluppare nuove varietà e/o ibridi di carciofo in grado di rispondere alle esigenze del mercato sia interno sia estero. In tale contesto, il Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) ha avviato, in questi ultimi anni, due progetti nazionali denominati Carciofo e Valorizzazione di germoplasma di carciofo attraverso la costituzione varietale e il risanamento da virus. Il primo progetto, ormai concluso, era volto ad approfondire le problematiche della produzione esaltando le potenzialità della coltura in termini varietali, vivaistici, agronomici e nutrizionali, mentre il secondo, appena approvato, tende a trasferire i risultati precedentemente ottenuti agli operatori del settore interessati alla coltura cinaricola, quali Regioni ed enti privati (per es. cooperative, consorzi, vivaisti, agricoltori e industrie di trasformazione), contribuendo allo sviluppo varietale e vivaistico del carciofo in Italia. Per il rilancio del carciofo è inoltre necessario considerare la promozione di questa orticola a livello di mercato, facendo leva oltre che su un’adeguata presentazione del prodotto, anche sui suoi aspetti qualitativi e salutistici. La possibilità di espansione della coltura è comunque legata soprattutto al superamento delle problematiche relative alla propagazione, obiettivo tra l’altro raggiungibile con l’impiego di varietà da seme. Per il miglioramento del panorama varietale è pertanto auspicabile la costituzione di ibridi F1 in generale; quelli a basse esigenze di freddo sarebbero utili per superare la “primaverilità” delle produzioni e ridurre la quantità di GA3 impiegata per anticipare la produzione al periodo autunnale. L’impiego quasi esclusivo di antiche varietà locali e la moltiplicazione per via agamica non hanno favorito la realizzazione di un vivaismo del carciofo. Non esistono attualmente aziende orticole vivaistiche in grado di commercializzare materiale di propagazione pronto per l’impianto che viene tuttavia fornito senza garanzie sull’aspetto sanitario e sulla validi-
Impollinazione con pennello dopo copertura dei capolini
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miglioramento genetico Glossario Rizoma
Modificazione del fusto con principale funzione di riserva, ingrossato, sotterraneo con decorso generalmente orizzontale, dotato di gemme che permettono lo sviluppo di un nuovo individuo
Germoplasma
Materiale ereditario trasmesso alla discendenza mediante i gameti, in grado di preservare in modo diretto la biodiversità a livello genetico e di specie
Genotipo
Profilo genetico di un individuo e quindi totalità dei geni presenti nel suo genoma
Ecotipo
Gruppo di piante strettamente collegate nelle loro caratteristiche all’ambiente ecologico in cui vivono e differenziatesi sotto l’influenza di fattori ambientali e dell’azione antropica, cioè dell’uomo inteso come coltivatore
Popolazione
Insieme di piante appartenenti alla stessa specie che convivono in una stessa area geografica ma senza alcun intervento diretto di coltivazione o allevamento da parte dell’uomo
Cultivar
Sistema di classificazione usato per designare le diverse varietà ottenute da una pianta coltivata
Varietà
Insieme di piante coltivate distinte per caratteri morfologici, fisiologici, citologici, chimici o molecolari
Clone
Insieme di organismi o di cellule che originano da un fondatore per riproduzione agamica o da una cellula fondatrice per mitosi. I membri di un clone sono quindi geneticamente identici
Gene
Unità ereditaria fisica e funzionale (costituita da DNA o più raramente da RNA) responsabile del trasferimento dell’informazione genetica da una generazione alla successiva e della manifestazione fenotipica dei caratteri
Allele
(dal greco αλληλος, allelos, l’un l’altro) una possibile forma alternativa di un gene presente in un determinato locus
Pool genico
Insieme delle forme alleliche presenti in una popolazione naturale o coltivata
Allogamia
Unione di due gameti (maschile e femminile) prodotti da individui diversi
Proterandria
Condizione dei fiori ermafroditi in cui il gamete maschile matura prima di quello femminile
Gametogenesi
Processo che porta alla formazione dei gameti, cioè delle cellule sessuali mature, capaci di fecondare o di essere fecondate
Aploide
Cellula o pianta che presenta un unico assetto cromosomico, ovvero una sola copia di ciascun cromosoma nucleare
Inbreeding
Unione sessuale tra gameti dello stesso individuo o di individui imparentati
Linea inbred
Linea omozigote in tutti o nella maggior parte dei loci, ottenuta mediante autofecondazione forzata in una specie allogama
Registro Varietale
Catalogo al quale qualsiasi nuova varietà, una volta costituita, deve essere iscritta per essere commercializzata
Impollinazione entomofila con bombi (sopra) e api (sotto) in ambiente isolato
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ricerca tà in termini di produzione. Sono da aggiungere gli insuccessi registrati nei tentativi di introdurre varietà propagabili per seme e le difficoltà a ottenere materiale risanato in vitro per le varietà precoci e soprattutto autunnali, che rappresentano la parte economicamente più importante del comparto; le piante micropropagate di queste tipologie non garantiscono il mantenimento della precocità. Le cultivar sinora diffuse in Italia non sono inoltre propagabili per via gamica in quanto altamente eterozigoti. Gli obiettivi del miglioramento genetico potranno essere raggiunti sia applicando metodologie convenzionali, sia ricorrendo a tecniche innovative. Tra queste, sono da considerare: – la collezione e conservazione in vivo e in vitro del germoplasma di Cynara spp. reperito in diverse aree cinaricole italiane; – gli incroci compatibili carciofo x cardo per il trasferimento di fonti di resistenza a V. dahliae e di tolleranza al freddo; – l’induzione di nuova variabilità genetica mediante irraggiamento di meristemi e protoplasti in vitro allo scopo di ottenere mutanti a bassa taglia che migliorino l’harvest index del carciofo; – il ricorso alla tecnica degli aploidi per ottenere linee pure (omozigoti) utili da impiegare come parentali nella costituzione di ibridi F1; – l’utilizzo di marcatori molecolari per la caratterizzazione di cloni e varietà, per la selezione assistita e per la determinazione della distanza genetica tra linee parentali e selezioni di linee inbred geneticamente stabili; – la messa a punto di tecniche di micropropagazione non solo per le cultivar non rifiorenti (primaverili) ma anche per quelle rifiorenti (autunnali), che permettano di clonare linee parentali maschiosterili e maschiofertili da utilizzare nella costituzione di ibridi F1. La messa a punto di tecnologie semplici di impollinazione (uso di api o bombi) con impiego di cloni maschiosterili e di linee parentali maschiofertili stabili ed efficienti in termini di quantità di polline prodotto potrà consentire di ridurre i costi per la produzione di ibridi F1. Con l’introduzione delle direttive 92/33/CEE, 2002/55/CE e 2006/124/CE e del decreto MiPAAF del 18 giugno 2007 (G.U. del 26/6/07) sulla commercializzazione del seme, delle piantine e dei materiali di moltiplicazione, è stata resa obbligatoria l’iscrizione delle varietà di carciofo al Registro Varietale delle specie ortive insieme all’obbligo di certificazione fitosanitaria per i materiali vivaistici, per le varietà di piantine e i materiali di moltiplicazione tra cui oggi anche il carciofo. Con il recepimento della direttiva 2006/124/CE è stato inoltre introdotto l’obbligo di registrazione varietale anche per la commercializzazione delle sementi di varietà di carciofo. Tutto questo favorirà l’innovazione del panorama varietale italiano e garantirà ai vivaisti la commercializzazione di materiale genetico certificato. L’istituzione del Registro Varietale consente l’identificazione e la catalogazione
Esempi di parentali MS (MS 6 e MS 16 in alto e al centro) e MF di ibridi F1 (in basso)
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miglioramento genetico delle varietà stesse, favorendo la valorizzazione del patrimonio varietale nazionale del carciofo. A livello comunitario risultano già iscritte 30 varietà di carciofo francesi, spagnole, olandesi nel Catalogo Varietale Comunitario delle specie ortive appartenenti sia a varietà tradizionali sia a varietà ibride. Entro il 2009, anche tutte le varietà commercializzate in Italia dovranno essere iscritte al Registro Varietale Nazionale o Comunitario. In assenza di tale registrazione ufficiale, l’ampia biodiversità nazionale, rappresentata da ecotipi locali, varietà tradizionali, selezioni clonali, priva di costitutore o mantenitore in purezza ma risultante ancora coltivata su scala locale, sarà posta in commercio fuori legge, oppure potrà trovare una valida collocazione nell’ambito dell’applicazione della normativa sulle varietà da conservazione. Sono, infatti, in corso di definizione alcune deroghe e modifiche delle direttive sementiere comunitarie per consentire un uso sostenibile delle risorse genetiche vegetali tramite la commercializzazione delle sementi di ecotipi e varietà coltivati in particolari località o regioni ma minacciati da erosione genetica. È prevista l’istituzione di una nuova sezione del Registro Varietale denominata “varietà da conservazione”, finalizzata alla salvaguardia della biodiversità tramite la conservazione in situ delle risorse genetiche vegetali e la loro coltivazione e commercializzazione. Per essere accettati come “varietà da conservazione”, gli ecotipi e le varietà locali dovranno essere di interesse nell’ambito della conservazione delle risorse genetiche vegetali.
Danni da freddo su piante in produzione Ibrido caratterizzato da capolini di colore viola
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il carciofo e il cardo
ricerca Nuove selezioni in Toscana Romano Tesi
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ricerca Nuove selezioni in Toscana Introduzione Il carciofo in Toscana vanta antiche tradizioni, anche se attualmente la sua coltivazione incontra difficoltà a competere con quelle del Sud e delle isole. Nel 1915 le statistiche relative a questa produzione indicavano la Toscana al primo posto tra le regioni italiane con 25.000 t (39% della produzione nazionale), seguita da Campania e Sicilia, mentre attualmente la produzione del carciofo in Toscana raggiunge 7100 t corrispondenti a circa l’1,4% del totale. Le coltivazioni locali risultano oggi poco competitive a causa dell’elevato fabbisogno di manodopera per la scarducciatura e la raccolta, e dell’aleatorietà delle produzioni, in relazione ai ricorrenti danni da freddo. Le condizioni climatiche della Toscana risultano critiche per la produzione del carciofo soprattutto nel periodo invernale, quando le temperature minime possono scendere sotto zero, ma riteniamo che siano state proprio queste condizioni (area di frontiera per il carciofo) ad aver favorito la selezione di nuove varietà apprezzate e conosciute sia a livello nazionale sia internazionale.
Sulle origini del carciofo in Toscana
• Lo sviluppo iniziale delle coltivazioni
e la ricchezza di tipologie presenti in Toscana fin da epoche antiche potrebbero essere un ulteriore indizio per convalidare l’ipotesi di Sandro Pignatti sull’origine del carciofo (Cynara cardunculus subsp. scolymus), specie che non esiste in natura. Questo ortaggio, secondo tale autore, deriverebbe infatti dall’opera di addomesticamento degli Etruschi sui cardi selvatici (Cynara), presenti in abbondanza in un’area che interessa la bassa Toscana e l’alto Lazio. Le tappe della sua evoluzione non sono note, ma potrebbero essere avvenute anche in altre aree del Mediterraneo, con successive reintroduzioni in Toscana di tipi migliorati
Patrimonio varietale e nuove varietà Una delle caratteristiche della cinaricoltura toscana è quella di presentare l’intera gamma delle tipologie coltivate. Carciofi a produzione primaverile – Violetto di Toscana, di antica coltivazione, con capolini ovali (i principali) e tronco-conici (i secondari), di media dimensione e con brattee esternamente violette terminanti con piccola spina posta in un incavo appena accennato, è denominato anche Morello perché caratterizzato da pigmentazione violacea, oppure Nostrale in quanto di provenienza locale. Il Violetto di Toscana risulta inserito nell’elenco degli ortaggi tradizionali della Toscana di cui al DM del 19/06/01, integrazione dell’allegato al DM 08/05/01, con i nomi di Carciofo del litorale livornese e Carciofo di Chiusure. – Empolese e di S. Miniato, di antica origine, con capolini sferici di grande dimensione di colore verde sfumato di violetto, brattee con apice incavato senza spina. Queste varietà (molto simili) risultano inserite nell’elenco degli ortaggi tradizionali della Toscana con il nome di Carciofo di Empoli e Carciofo di S. Miniato. – Romanino, con capolini ovoidali piccoli, brattee violacee incavate all’apice, portamento ancora molto vicino al cardo selvatico, viene utilizzato esclusivamente negli orti familiari per l’elevato numero di capolini prodotti, utilizzati freschi ma soprattutto per carciofini da sottolio.
Ricerca di nuove selezioni di carciofo in Toscana
• A partire dal 1960 è stata avviata in
Toscana, presso le Università di Pisa e di Firenze, un’attività di miglioramento genetico che ha permesso lo sviluppo di una cinaricoltura di qualità nelle aree costiere, da Livorno a Grosseto
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nuove selezioni in Toscana
Antiche varietà di carciofo toscane
• Le varietà Violetto di Toscana
ed Empolese erano conosciute in Toscana in epoche precedenti al 1800, quando Ottaviano Targioni Tozzetti distingueva un tipo comune di forma conica (corrispondente all’attuale Violetto di Toscana) da un tipo globoso, denominato anche Mazzaferrata (corrispondente all’attuale Empolese). Inoltre si ha testimonianza che Filippo Strozzi nel 1466 introduceva a Firenze un carciofo domestico, proveniente da Napoli, ove esiste ancora oggi un carciofo simile a quello Empolese denominato Castellammare. La denominazione di Empolese risulta da alcuni documenti e testi dell’inizio del 1900, quando si diffondono le produzioni di carciofi per il mercato
Carciofaia di Terom nella Maremma toscana all’inizio della produzione primaverile
– Terom, nuova varietà di recente introduzione, a partire dal 1980, a seguito del lavoro di miglioramento genetico svolto in Toscana; presenta capolini ovali di elevata dimensione, più grandi del Violetto di Toscana, con brattee esterne di colore violetto intenso, ben serrate e terminanti talvolta con una breve spina. Carciofi a produzione autunnale-primaverile – Carciofo d’ogni mese, di antica coltivazione, con capolini ovoidali di media dimensione, di colore verde sfumato di violetto, coltivato ormai solo negli orti familiari. – Tema, nuova varietà di recente introduzione, a partire dal 1990, con capolino ovoidale allungato di media dimensione, con brattee appuntite provviste di una breve spina e leggermente divaricate; ha una colorazione violetta intensa come il Terom da cui deriva.
Due varietà di carciofo coltivate fin dall’antichità in Toscana: Violetto di Toscana (a destra) ed Empolese (a sinistra)
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ricerca Evoluzione varietale Le varietà tradizionali sono ancora presenti sul territorio regionale, con selezioni clonali e interventi di risanamento che tuttavia non ne hanno impedito il declino. Le nuove costituzioni realizzate all’Università di Pisa si sono diffuse rapidamente. Inizialmente il clone n. 5, poi denominato Terom, si è affiancato alla cultivar Violetto di Toscana sostituendola quasi interamente. La maggiore precocità e dimensione dei capolini, e anche il sapore meno amaro, hanno reso gradito questo ortaggio a un numero più ampio di consumatori e ne hanno ampliato il mercato. Questa varietà ha dato nuovo impulso alla cinaricoltura toscana, ma i vantaggi sono stati di breve durata in quanto la sua rapida introduzione in Sardegna ha neutralizzato i temporanei vantaggi ottenuti con la precocità; è infatti noto come le produzioni della Sardegna anticipino di circa un mese quelle della Toscana. A seguito della diffusione del Terom, l’attività sperimentale è proseguita negli anni successivi con selezioni clonali presso le sedi delle Università di Pisa e di Firenze per mantenere la cultivar in purezza. In questo contesto è stato isolato il clone n. 3, poi denominato Tema, adatto alla produzione autunnale, che ha sostituito la cultivar D’ogni mese. Nel giro di pochi decenni, quindi, la Toscana è riuscita ad arricchire il patrimonio varietale del carciofo e a controbilanciare le difficoltà provenienti dalle particolari condizioni climatiche locali. Riteniamo pertanto utile fornire i dettagli di queste due nuove cultivar, che hanno trovato diffusione anche in altre regioni come la Sardegna, la Sicilia e la Puglia, con la descrizione delle principali caratteristiche delle piante e dei capolini.
Produzione commerciale di carciofo Terom (capolini principali)
Schema di selezione delle nuove varietà di carciofo in Toscana
Mutante della cultivar Terom con capolini di colore verde, ottenuto a seguito di micropropagazione
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nuove selezioni in Toscana Schede varietali di nuove cultivar Terom – Origine: selezione di progenie provenienti da “semi” raccolti dal Violetto di Toscana, riprodotto liberamente in una collezione varietale realizzata nel 1964 a S. Piero a Grado, nell’azienda sperimentale dell’Università di Pisa. Nella collezione erano presenti le seguenti varietà: D’ogni mese, Empolese, Precoce di Jesi, Spinoso di Liguria, Spinoso sardo, Vert de Laon, Violetto di Mola, Violetto di Romagna, Violetto di Toscana. Le piante provenienti da “seme”, che si differenziavano dal fenotipo materno (Violetto di Toscana), vennero clonate con il metodo della fila-pianta; allo scopo furono utilizzati i carducci prodotti in autunno; i cloni ottenuti (una ventina) vennero coltivati in confronto alla varietà originale di riferimento; ogni 2 anni i cloni migliori per precocità, uniformità e vigore vennero moltiplicati restringendo l’attenzione inizialmente a 3 cloni e poi a un singolo (clone n° 5) che dette origine alla nuova varietà Terom, abbreviazione del nome del costitutore e autore. Il Terom è stato inizialmente introdotto nelle aree cinaricole del litorale toscano da Livorno a Grosseto, ove è stato subito apprezzato dai coltivatori che l’hanno moltiplicato e diffuso. Il lavoro iniziale di selezione e valutazione del clone ha richiesto 5 anni, dal 1970 al 1975, e quello di diffusione altrettanti, dal 1975 al 1980. – Pianta: presenta foglie disposte a rosetta, pennatosette, di colore verde lucido sopra, verde grigio sotto. Al centro della rosetta fogliare, che può raggiungere 1-1,5 m di altezza, si sviluppa un robusto scapo fiorale ramificato con capolini di 1°, 2° e 3° ordine, di forma ovale con brattee prive di spine. In relazione al vigore delle piante i capolini secondari possono raggiungere anche il numero di 5 (normalmente 3-4). All’ascella delle foglie basali vengono emessi altri scapi fiorali con un piccolo capolino raccolto mediante troncatura per carciofini da sottolio. – Rizoma: presenta un robusto apparato radicale che si approfondisce oltre i 50 cm, con rizoma che tende ad allargarsi con l’età; su questo sono presenti gemme che in autunno danno luogo a teneri germogli (carducci), permettendo il rinnovo della carciofaia e anche la produzione di apprezzata verdura da cuocere. Non si sviluppano ovoli ma per la moltiplicazione estiva si possono impiegare sezioni basali dello stelo (ciocchetti) ove si trovano molte gemme. – Capolini, dimensioni e forma: quelli di 1° ordine sono ovali allungati, 9-10 cm, con un peso di 180-190 g; i capolini di 2° e 3° ordine sono ovali compressi, 7-8 cm, con un peso di 150-160 g, quelli di 4° ordine (carciofini) sono ancora più piccoli e corti. Il ricettacolo su cui si inseriscono le brattee e i fiori è largo e carnoso. Il tempo occorrente tra lo stadio di nocciola e quello di raccolta è di circa 40 giorni.
Clone di carciofo in moltiplicazione con il metodo della fila-pianta
Capolini secondari di una pianta di Terom in buone condizioni colturali
Capolino di Terom (a destra) in confronto con uno di Empolese
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ricerca – Brattee: il colore delle brattee esterne è violetto scuro, con sfumature verdi esterne sui capolini principali, mentre quelle interne sono più chiare e sfumano al giallo paglierino. Si presentano carnose e spesse, molto aderenti e serrate fino all’estremità del capolino, ove si chiudono perfettamente. Le spine sono assenti o appena accennate: l’espressione di questo carattere è influenzata dalle condizioni ambientali. – Produzione: la raccolta del Terom inizia in febbraio-marzo nelle zone litoranee della Toscana, a seconda dell’andamento climatico (2-3 settimane prima del Violetto di Toscana) e si completa entro maggio quando sono disponibili anche i capolini principali dei nuovi impianti effettuati nell’autunno precedente. L’inizio della produzione è più anticipato nelle coltivazioni della Sardegna e della Sicilia. La produzione nella Toscana litoranea raggiunge livelli di 8-10 capolini a pianta, a cui si debbono aggiungere 2-3 carciofini da sottolio. – Qualità dei capolini: vengono apprezzati per il calibro elevato e la colorazione violetta, per le brattee molto tenere, il gusto poco amaro, delicato, e per l’alta resa di utilizzazione (40-50%). – Ciclo colturale: 4-6 anni; si impianta in autunno con i carducci, oppure in estate con i ciocchetti. – Diffusione: Toscana litoranea, Sardegna, Sicilia, Lazio, Marocco, Francia. – Conservazione della cultivar: per evitare il decadimento della varietà, a seguito di attacchi da virus e altri parassiti, è risultata efficace la micropropagazione, che ha permesso il recupero della vigoria delle piante e della produttività. La comparsa di variazioni nella forma del capolino e l’assenza di spine non sono risultate fissabili attraverso la selezione, mentre le variazioni nella precocità e nella taglia della pianta hanno portato alla selezione di una varietà rifiorente, di seguito descritta.
Piantine di Terom in vivaio, pronte per il trapianto
Capolini principali di Tema, prodotti in Sardegna
Tema – Origine: selezione clonale di mutante precoce comparso nella cultivar Terom, soggetta a moltiplicazione intensiva a partire dal 1980. La clonazione di alcune piante, diverse dal fenotipo materno e moltiplicate utilizzando i carducci, ha permesso di individuare una selezione interessante che si distingueva per l’habitus della pianta e per la precocità, analoga a quella delle cultivar rifiorenti. Questo clone è stato denominata Tema. Il lavoro iniziale di selezione e valutazione del clone n° 3 ha richiesto 5 anni, dal 1980 al 1985, e quello di diffusione altrettanti, dal 1985 al 1990. – Pianta: presenta foglie disposte a rosetta, pennatosette, di colore verde lucido sopra e verde grigio sotto, di lunghezza inferiore a quelle del Terom ma con lembo fogliare più largo intorno alle nervature (principali e secondarie). Al centro della
Foglia tipica della cultivar Tema (a sinistra) e foglia di pianta mutante che ha perso la precocità (a destra)
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nuove selezioni in Toscana rosetta fogliare, che può raggiungere 1 m di altezza, si sviluppa uno scapo fiorale con capolini di 1°, 2° e 3° ordine, di forma ovale allungata e brattee appuntite terminanti con una breve spina. – Rizoma: il rizoma ha uno sviluppo più contenuto rispetto a quello del Terom ma, in relazione al precoce ciclo produttivo, differenzia un elevato numero di gemme in primavera, che permettono lo sviluppo di ovoli, normalmente impiegati per i nuovi impianti nel periodo estivo. – Capolini, dimensioni e forma: i capolini di 1° ordine sono ovali allungati, 8-10 cm, con un peso di 120-160 g; i capolini di 2° e 3° ordine sono ovali compressi, 7-8 cm, con un peso di 120-140 g, quelli di 4° ordine (carciofini) sono ancora più piccoli. Il colore è violetto intenso. – Brattee: il colore delle brattee esterne è violetto intenso, mentre quelle interne sono giallo paglierino. Si presentano carnose e tenere ma meno numerose e serrate rispetto a quelle del Terom. – Produzione: nella Toscana litoranea si possono raccogliere 3-5 capolini a pianta in autunno e 4-5 in primavera, ma questi ultimi sono meno apprezzati in quanto di qualità inferiore rispetto a quelli del Terom. Nelle regioni meridionali la produzione è più continua e raggiunge nel periodo autunno-invernale 10-12 capolini a pianta. Interessante anche la maggiore resistenza al freddo rispetto ad altre varietà rifiorenti come Violetto di Provenza, Violetto di Sicilia e Spinoso sardo. – Epoca di produzione: nel litorale tirrenico la produzione inizia a fine ottobre (senza l’uso di gibberelline) e si interrompe a fine dicembre o inizio gennaio in corrispondenza delle prime gelate, riprende poi in primavera sulle nuove piante originatesi dai ricacci laterali. In Sardegna e Sicilia l’inizio della produzione è più anticipato e continua per tutto l’inverno. – Qualità dei capolini: questa cultivar viene apprezzata per la precocità, la colorazione violetta intensa dei capolini, più accentuata delle altre cultivar rifiorenti, e il gusto poco amaro, delicato, e per la buona resa di utilizzazione. – Ciclo colturale: 2-3 anni; si impianta in primavera con i carducci, oppure in estate con gli ovoli. – Diffusione: Toscana litoranea, Sardegna, Sicilia, Puglia, Egitto, Marocco. – Moltiplicazione e conservazione della varietà: come tutte le altre cultivar rifiorenti, il carciofo Tema è soggetto a variazioni genetiche regressive che portano alla perdita delle caratteristiche di precocità o rifiorenza su circa il 5% delle piante per anno; pertanto è necessario rinnovare spesso la carciofaia (ogni 2-3 anni) avendo cura di eliminare le piante regredite. Queste ultime si riconoscono per la morfologia delle foglie.
Piantine di Tema, pronte per il trapianto
Produzione commerciale della cultivar Tema (capolini secondari)
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il carciofo e il cardo
ricerca Biotecnologie Raffaela Tavazza, Paola Crinò, Giorgio Àncora, Mario Augusto Pagnotta
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Biotecnologie Introduzione Con il termine di biotecnologie (tecnologie biologiche) si indicano tutte le applicazioni tecnologiche della biologia. Tra le definizioni disponibili, la più completa è senza dubbio quella adottata dalla Convenzione sulla Diversità Biologica UN, ossia: “La biotecnologia è l’applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati di questi per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico”. Le biotecnologie combinano molte discipline quali la genetica, la biologia molecolare, la biochimica e la biologia cellulare. Nel carciofo le biotecnologie sono state usate principalmente per la micropropagazione, il risanamento da virus, l’ottenimento di aploidi, l’induzione di variabilità genetica mediante mutagenesi e la caratterizzazione molecolare. Il loro utilizzo è ancora in una fase iniziale rispetto ad altre specie vegetali e la loro applicazione è differente nelle diverse tipologie di carciofo; in particolare, è in uno stadio più avanzato per le tipologie primaverili, mentre devono ancora essere messi a punto alcuni protocolli sperimentali per quelle rifiorenti. Vi è quindi la necessità di continuare e approfondire l’utilizzo delle moderne metodologie ed estenderlo a tutte le tipologie di carciofo.
Glossario
• AFLP (Amplified Fragment Length
Polymorphism): marcatori che amplificano frammenti di DNA compresi fra siti di restrizione (digestione da parte di enzimi specifici)
• Aploide: pianta con cellule
che presentano un unico assetto cromosomico, ovvero un solo cromosoma per ogni tipo
• Gray (Gy): unità di misura della dose assorbita di radiazioni
• ISSR (Inter Simple Sequence Repeats): marcatori che amplificano frammenti di DNA compresi fra due microsatelliti
• LD
(Lethal Dose 50%): dose di un 50 materiale somministrato in una volta sola e in grado di uccidere il 50% di una popolazione campione di piante
• Marcatore molecolare: come marcatore
Micropropagazione La propagazione in vitro, nota anche con il termine di micropropagazione o propagazione meristematica, è oggi la tecnica più all’avanguardia nel campo della moltiplicazione delle piante. Essa consente la produzione rapida di un gran numero di individui (cloni) genotipicamente e fenotipicamente identici alla pianta selezio-
genetico, è un frammento di DNA che si associa a una parte specifica di un genoma
• Microsatellite (SSR, Simple Sequence
Repeat): regione del DNA caratterizzata da una ripetizione in tandem di una stessa sequenza di 2-6 basi azotate
• Microspora: cellula aploide formata
per meiosi dalle cellule madri delle microspore all’interno della sacca pollinica. Si può considerare un granulo di polline immaturo
• Primer: sequenza di DNA da cui inizia la reazione di duplicazione
• UPOV: Unione Internazionale per la
Protezione delle Nuove Varietà Vegetali
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biotecnologie nata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio, con un processo di propagazione vegetativa simile a quello della talea. Contrariamente alle tecniche tradizionali di propagazione, che si effettuano in serra o in campo, la micropropagazione viene condotta in condizioni strettamente asettiche e con l’impiego di camere di crescita caratterizzate da parametri di luce e temperatura controllati.
Terreno di coltura
• Per la coltura in vitro si utilizzano
substrati agarizzati composti da una miscela di sali minerali comprendenti macro- e microelementi, una fonte di carbonio (generalmente saccarosio o glucosio) e una serie di composti organici addizionali quali vitamine, ormoni ecc.
Principali fasi della micropropagazione A partire dalla coltura in vitro di un meristema, o di un apice vegetativo, è possibile ottenere un germoglio che, in opportune condizioni di coltura, viene indotto a proliferare sviluppando le gemme ascellari presenti alla base di ogni foglia. I germogli proliferati, dopo diversi cicli di moltiplicazione, possono essere successivamente indotti a formare le radici mediante trasferimento su un terreno di coltura idoneo, originando una piantina completa. Il passaggio della pianta dalla coltura in vitro alla serra è partico-
• Ogni fase del processo (coltura del
meristema, sviluppo, moltiplicazione e radicazione dei germogli) richiede specifici terreni di coltura. La coltura del meristema richiede generalmente un terreno povero con basse dosi ormonali, mentre le fasi di moltiplicazione e di radicazione richiedono substrati più ricchi con concentrazioni più elevate di ormoni
Principali fasi della micropropagazione
3)
4)
2)
5)
6)
Vantaggi della micropropagazione
• Ottenimento di copie identiche
della pianta madre (clonazione)
• Superamento di difficoltà
nella moltiplicazione vegetativa di alcune specie
7)
• Rapidità di ottenimento di un gran numero di piante
• Necessità di quantità ridotte di materiale
1)
di partenza
9)
• Assenza di condizionamento ambientale • Sanità dei materiali ottenuti
8)
1) Meristema prima della sterilizzazione. 2) Meristema in coltura. 3) Germoglio. 4) Trasferimento e moltiplicazione in vitro. 5) Allevamento in camere di crescita. 6) Germoglio con gemme ascellari. 7) Fase di radicazione. 8) Adattamento alle condizioni in vivo. 9) Sviluppo di pianta in campo
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ricerca larmente delicato in quanto la pianta deve riacquisire le proprie funzioni fisiologiche di traspirazione e fotosintesi. La propagazione meristematica, messa a punto per le orchidee negli anni ’50 da George Morel, negli Stati Uniti, è stata gradualmente estesa a un numero sempre crescente di piante a propagazione sia vegetativa sia sessuata e consente di ottenere in un anno centinaia di migliaia di piante tutte uguali a partire da un singolo germoglio, rendendo possibile in tal modo la moltiplicazione a livello industriale. Si tratta di un procedimento particolarmente utile per la moltiplicazione rapida dei materiali genetici che, con l’uso delle tecniche tradizionali di propagazione, richiederebbero molti anni per poter raggiungere gli agricoltori e il mercato. La coltura in vitro di meristemi è inoltre un potente mezzo per il risanamento delle piante dai virus, in quanto il meristema apicale utilizzato per iniziare la coltura (0,2-0,8 mm) è un tessuto composto da poche centinaia di cellule in veloce moltiplicazione e non ancora infette dai virus. Questo rende possibile la produzione e la distribuzione al sistema agricolo di materiale di propagazione di qualità con effetti positivi sulla produzione. L’applicazione della coltura in vitro al carciofo è iniziata negli anni ’70 ed è stata dapprima finalizzata all’ottenimento di materiale esente da fitopatie, quali funghi, batteri e virus. Successivamente sono state messe a punto metodologie di propagazione in vitro che hanno consentito il raggiungimento di tassi di moltiplicazione più elevati rispetto a quelli ottenuti con i metodi tradizionali (carducci/ovoli), una maggiore vigoria e, di riflesso, una più elevata produttività. Nella micropropagazione del carciofo, il materiale di partenza è costituito da meristemi o apici vegetativi prelevati dai carducci. Durante il processo colturale, si possono presentare diversi ostacoli sia nella fase iniziale della coltura, con la scarsa reattività di alcuni espianti e/o di alcune varietà o con la persistenza di agenti inquinanti di difficile controllo, sia durante la fase di radicazione che, per molte varietà di carciofo, rappresenta il vero collo di bottiglia del procedimento. Infine, i diversi genotipi rispondono in maniera disforme alle differenti condizioni colturali. Una fase estremamente importante per la buona riuscita generale di tutto il processo consiste nell’ambientamento in serra delle piantine di carciofo micropropagate. Il successo di questa operazione dipende strettamente dalla qualità del materiale proveniente dalla coltura in vitro in quanto solo le piante ben sviluppate (3-4 cm in altezza) e con un apparato radicale adeguato (3-4 radici) hanno una buona probabilità di sopravvivenza in serra.
Limiti della micropropagazione
• Maggiore suscettibilità delle piante alle avversità ambientali
• Costi di produzione più elevati dovuti
alla manodopera e all’ambientamento in serra
• Richiesta di attrezzature di laboratorio e tecnici altamente specializzati
Prime applicazioni vivaistiche della coltura in vitro La prima applicazione vivaistica delle colture in vitro risale ai primi anni ’80 con l’impiego di piante micropropagate di alcune selezioni di carciofo Romanesco da parte di due ditte, la Sais e la VitroPlant. La coltura in vitro ha avuto inizio con la moltiplicazione
Morfogenesi da protoplasti
306
biotecnologie massiva del carduccio n. 3 (da qui il nome C3) prelevato in una carciofaia tradizionale da una pianta madre selezionata per la notevole precocità di produzione. Questo ha consentito di avviare l’applicazione su scala industriale della moltiplicazione in vitro del carciofo, aprendo la prospettiva concreta per un suo inserimento nella realtà agricola. Attualmente l’impiego di piante micropropagate è diventato una realtà soprattutto per la moltiplicazione di genotipi di carciofo primaverili, consentendo di modificare le tecnologie agronomiche tradizionalmente usate e offrendo la possibilità di clonare piante selezionate per alcuni caratteri quali la precocità. Prova ne è la realizzazione di cloni di carciofo Romanesco quali il C3, attualmente il più diffuso e coltivato, ma anche di altri di nuova costituzione come il Terom, il Tema 2000, l’Apollo, l’Exploter, il Grato 1 e il Grato 2. Con le piante micropropagate di carciofo è possibile oggi avere una carciofaia produttiva già dal primo anno dopo il trasferimento delle piantine in campo. I carciofi di tipo primaverile quali Terom, Apollo ed Exploter, micropropagati per diversi anni, risultano fenotipicamente stabili anche dopo centinaia di subcolture. Viceversa, il clone C3, selezionato per la precocità di produzione, essendo molto sensibile agli stress ambientali e agronomici, è talvolta soggetto a variazioni fenotipiche. Più complesse si sono rivelate le problematiche relative alla micropropagazione di genotipi rifiorenti di carciofo, coltivati prevalentemente nel Sud Italia e nelle isole, sia in relazione alle maggiori difficoltà nelle fasi di radicazione e acclimatamento, sia relativamente all’instabilità genetica delle piante micropropagate. Queste infatti, trasferite in campo, perdono spesso l’habitus morfo-fisiologico tipico dei genotipi rifiorenti e il carattere di precocità. Tale instabilità fenotipica, imputabile alla lunghezza del ciclo di moltiplicazione e
Fasi di propagazione in vitro del carciofo
• Prelievo dei carducci dalla pianta madre • Sterilizzazione degli espianti • Trasferimenti in vitro degli espianti • Moltiplicazione dei germogli • Allungamento dei germogli • Radicazione delle piantine • Ambientamento delle piantine radicate
Produzione massale di piantine micropropagate per la commercializzazione
Tasso di moltiplicazione
• Il numero (N) di germogli teoricamente
ottenibili in un determinato periodo di tempo è dato dall’equazione: N=AX in cui A indica il tasso di moltiplicazione a ogni subcoltura, X indica il n. di subcolture in quel periodo. Nel carciofo, partendo da un singolo espianto, con A=4, si possono ottenere, durante l’arco di un anno di subcolture, oltre 4,2 milioni di piantine
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ricerca alla dimensione dell’espianto, è stata osservata anche in altri genotipi rifiorenti come il Violetto di Provenza, il Brindisino e lo Spinoso sardo. Da qui la necessità di sviluppare adeguate metodologie di moltiplicazione (già sviluppate per alcuni cloni del germoplasma rifiorente) per la produzione di materiale di propagazione qualificato. Per queste tipologie, l’orientamento attuale è quello di utilizzare la coltura in vitro per la produzione di piante madri virus esenti da utilizzare poi per la propagazione con tecniche di moltiplicazione in vivo. Il diffondersi su ampie superfici di singoli cloni micropropagati, se da un lato rappresenta un indubbio vantaggio per il sistema produttivo, che può utilizzare materiale uniforme e quindi con precise caratteristiche organolettiche, morfologiche e produttive, determina nel tempo una drastica riduzione della variabilità genetica presente nelle popolazioni. Ciò comporta l’esigenza di identificare le popolazioni esistenti di carciofo per una loro caratterizzazione, valorizzazione e conservazione. Da qualche anno a questa parte è emersa la necessità di conservare le risorse genetiche e la biodiversità come pure quella di mantenere, a costi ragionevoli, il germoplasma vegetale in condizioni tali da assicurarne la stabilità genetica. Le tecniche di allevamento in vitro sono oggi usate, oltre che per la moltiplicazione, per aumentare la variabilità genetica e per conservare il germoplasma a breve/medio e a lungo termine (per es. crioconservazione).
Mutazione
• Modificazione stabile del materiale
genetico (sia DNA sia RNA) in grado di modificare il genotipo di un individuo. Le mutazioni sono gli elementi base grazie ai quali possono svolgersi i processi evolutivi. Le mutazioni determinano la cosiddetta variabilità genetica, ovvero la condizione per cui gli organismi differiscono tra loro per uno o più caratteri
Morfogenesi La possibilità di rigenerare un individuo completo a partire da cellule e/o tessuti coltivati in vitro è spesso un requisito essenziale per le applicazioni biotecnologiche nelle piante. Questa capacità propria della cellula vegetale viene definita totipotenza ed è alla base dello sviluppo della tecnica della coltura di tessuto. Ogni tecnica di coltura in vitro inizia con l’asportazione di una porzione di pianta che si definisce espianto e che costituisce l’unità di base per l’avvio della coltura. Il processo che, partendo da cellule, tessuti e organi, porta alla formazione di una pianta completa prende il nome di morfogenesi. La morfogenesi in alcuni casi si realizza direttamente, a partire da cellule differenziate di un tessuto che vanno incontro a un processo di differenziamento e successivamente organizzano un germoglio, una radice o addirittura un embrione (somatico). Altre volte si ottiene la produzione di callo (un ammasso di cellule indifferenziate) dal quale successivamente si avvia il processo morfogenetico. La morfogenesi, pur essendo un processo che interessa tutte le specie vegetali, in alcuni casi (specie recalcitranti) si realizza con difficoltà, mentre in altri è spesso genotipo-dipendente. La risposta dell’espianto alla coltura viene influenzata da molteplici fattori quali lo stadio di sviluppo della pianta, l’organo da cui viene isolato l’espianto e la sua posizione sulla pianta madre, l’età del tessuto e il grado di differenziazione cellulare; per l’avvio di una coltura, diventa di primaria importan-
Stanza climatizzata per la coltivazione di tessuti vegetali in vitro
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biotecnologie za la scelta dell’espianto più adeguato. Sul carciofo, falliti i diversi tentativi di ottenere rigenerazione da tessuti somatici utilizzando tessuti prelevati da germogli di carciofo micropropagati, sono state effettuate prove con tessuti (ipocotili, cotiledoni e internodi) derivati da “seme” e con brattee di capolini immaturi di circa 1-1,5 mm di lunghezza, prelevati in primavera da piante allevate in campo. I risultati hanno mostrato che il carciofo è da considerarsi una specie recalcitrante in vitro. Infatti, in materiale derivato da “semi”, l’induzione di rigenerazione avventizia è stata osservata solo in un caso. Risultati interessanti sono stati ottenuti in colture di brattee fiorali che, nel 27% dei casi, hanno originato germogli avventizi. In diverse specie, la rigenerazione di germogli è stata ottenuta anche a partire da protoplasti, cioè da cellule private della parete, per aggiunta nel terreno di coltura di una soluzione enzimatica (cellulasi, macerozima ecc.). Anche questa tecnica sul carciofo non è stata ancora messa a punto del tutto. Infatti, al momento, è possibile isolare protoplasti a partire da una sospensione cellulare, mantenerli vitali in coltura, stimolarne la divisione e la moltiplicazione fino all’ottenimento di calli, ma non è possibile rigenerare un germoglio. In conclusione, la morfogenesi in vitro non è ancora una tecnica utilizzabile per il carciofo, a causa della bassa efficienza di rigenerazione mostrata dal sistema, ma sarebbe molto utile per la sua applicazione nei programmi di miglioramento genetico.
Fasi di produzione di aploidi
• Raccolta dei fiori • Sterilizzazione dei fiori • Isolamento, purificazione e conta delle microspore
• Induzione e coltura in vitro • Trasferimento in vitro degli embrioni
Mutagenesi in vitro L’impiego della mutagenesi, ovvero l’induzione di mutazioni mediante trattamenti con mutageni chimici o fisici, è particolarmente indicato nei programmi di miglioramento genetico nei casi in cui,
Caricamento di un gel di agarosio
Vantaggi delle piante aploidi
• Espressione immediata di caratteri recessivi
• Rapido ottenimento di linee con combinazioni genetiche fissate stabilmente
• Disponibilità di linee con elevato grado
di omozigosi da utilizzare come parentali di ibridi F1
Microspore nelle fasi di induzione e divisione cellulare
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ricerca partendo da una cultivar con caratteristiche ottimali, si vogliano apportare modifiche per uno o pochi caratteri della pianta, soprattutto se non presenti nel germoplasma naturale. Per specie a propagazione vegetativa, la combinazione delle tecniche di mutagenesi e di coltura in vitro rende più efficiente e rapido il processo di induzione e isolamento di mutanti a partire da cellule, tessuti o germogli, consentendo di operare su ampie popolazioni in breve tempo e in uno spazio limitato. L’uso di mutageni fisici, come i raggi gamma, viene generalmente preferito ai mutageni chimici, per efficienza di procedura, maggiore penetrabilità e più elevata frequenza di mutazioni.
Marcatori molecolari
• I marcatori non hanno necessariamente
Inibizione (%)
un ruolo sull’attività del gene specifico, ma sono semplicemente associati (vicini) al gene d’interesse. I marcatori evidenziano differenze, in una sequenza nucleotidica, fra i diversi individui, del tipo: inserzione, delezione, traslocazione, duplicazione, mutazioni puntiformi ecc.
80 70 60 50 40 30 20 10 0
0
Castellammare
20 40 Dose (Gy)
Mutagenesi nel carciofo Nel carciofo, la mutagenesi da sola, o applicata alla coltura in vitro, è stata poco utilizzata e i primi lavori risalgono rispettivamente agli anni ’60 e ’80. Successivamente, negli anni ’90, mediante trattamento con raggi gamma di germogli del clone C3 moltiplicati in vitro, sono stati isolati mutanti morfologici per lo sviluppo della pianta, per le dimensioni e il peso del capolino, per il colore verde o viola delle brattee, per la produttività; questi interessanti caratteri agronomici hanno però confermato solo in pochi casi la loro stabilità nelle generazioni successive. L’induzione di questi caratteri potrebbe rivelarsi utile per migliorare il clone Romanesco C3. La dose ottimale di 40 Gy è stata individuata come LD50 in base a una curva dose-effetto preliminarmente studiata.
60
Induzione di aploidi Un metodo rapido per lo sviluppo di linee omozigoti, da utilizzare nei programmi di miglioramento genetico, è costituito dalla produzione in vitro di piante aploidi. La condizione aploide consente di ottenere linee isogeniche per caratteri recessivi interessanti da impiegare come parentali nella produzione di ibridi F1. Questa tecnica è fondamentale soprattutto in specie dioiche e autoincompatibili, ma anche in specie autogame per ridurre i tempi necessari al raggiungimento dell’omozigosi. Negli ultimi 30 anni, lo sviluppo dei metodi di induzione di piante aploidi ha subito un’enfasi enorme. La tecnica è stata applicata con successo in 247 specie tra cui per esempio Brassica, girasole, asparago, peperone, patata, tabacco e cereali. Come materiale di partenza sono generalmente utilizzate strutture gametiche a numero cromosomico aploide quali antere, microspore e ovari che, in opportune condizioni, possono modificare il loro indirizzo differenziativo dando origine a embriogenesi diretta o indiretta. Al momento non è stato ancora sviluppato nessun protocollo in grado di produrre piante aploidi di carciofo. I tentativi, basati sulla coltura di antere e ovari non fecondati, non hanno dato risultati incoraggianti che invece sono stati osservati, negli anni ’90, con la coltura delle microspore modificando un protocollo messo a punto per Brassica. Un aspetto positivo della coltura in vitro di micro-
C3
Curva dose-effetto per la determinazione della LD50 su piantine trattate in vitro con raggi gamma
Marker Assisted Selection (MAS)
• L’utilizzazione di marcatori,
e in particolare marcatori molecolari, nel lavoro di selezione va sotto il nome di MAS, dall’inglese “selezione assistita da marcatori”. I marcatori sono usati in una selezione indiretta. L’uso di marcatori molecolari strettamente associati a caratteri morfo-fisiologici utili facilita particolarmente il lavoro del miglioratore vegetale, che può anticipare il proprio lavoro di selezione anche in fasi fenologiche molto precoci in cui la pianta non manifesta il carattere da selezionare, che invece è rilevato dal marcatore
310
biotecnologie spore consiste nella differenziazione diretta dell’embrione rispetto a quella indiretta, dove prima si sviluppa il callo e poi l’embrione. Al momento è stata ottenuta una buona percentuale di induzione delle microspore seguita soltanto dalle prime divisioni cellulari. Dalle diverse esperienze condotte sinora, è emerso che, assieme allo stadio di sviluppo della microspora, il genotipo sembra svolgere un ruolo importante nell’induzione dell’embriogenesi. Bisogna comunque ottimizzare, per tutti i genotipi, le condizioni di induzione o di coltura in grado di assicurare l’ottenimento di aploidi. Caratterizzazione molecolare Il carciofo coltivato è rappresentato in Italia dal più ricco pool genico con gruppi varietali che si diversificano sulla base della morfologia del capolino (Spinoso, Violetto, Romanesco, Catanese). La scarsa conoscenza della biodiversità esistente all’interno del patrimonio locale ha determinato confusione sia nella terminologia sia nella classificazione del germoplasma disponibile. Infatti, generalmente questi ecotipi prendono il nome dalla località o dal paese dove sono coltivati con il risultato che ecotipi uguali portano nomi differenti o, al contrario, ecotipi differenti possono portare lo stesso nome. L’impiego di tecnologie molecolari fornisce un metodo rapido di identificazione precoce e contribuisce a ridurre omonimie e sinonimie che generano confusione nel riconoscimento dello stesso germoplasma. Come conseguenza, si trova un buon livello di discriminazione quando si vanno a paragonare accessioni appartenenti a tipologie differenti mentre, nell’analisi delle accessioni entro tipologia, spesso si riscontra una mancanza di corrispondenza fra distanze genetiche e origine geografica.
Esame al microscopio per la valutazione delle caratteristiche del materiale di moltiplicazione
311
ricerca Recentemente l’uso dei marcatori molecolari ha fornito lo strumento per poter valutare il germoplasma, considerando unicamente le varianti genetiche e non quelle ambientali che rendono il carciofo particolarmente plastico. Infatti i marcatori molecolari hanno numerosi vantaggi rispetto agli altri tipi di marcatori: non sono influenzati dall’ambiente, analizzano l’intero genoma, sono virtualmente infiniti, non hanno effetti pleiotropici o epistatici, possono essere codominanti, possono evidenziare anche polimorfismi che non producono varianti fenotipiche. La conoscenza della quantità e della distribuzione della variabilità genetica è essenziale per poter sviluppare strategie razionali, non solo per una corretta conservazione del germoplasma, ma anche per ottimizzare la sua utilizzazione. In questo quadro, l’analisi a livello del DNA fornisce uno strumento complementare all’uso dei tradizionali descrittori morfologici (UPOV) che, nel caso del carciofo, sono peraltro ancora in via di determinazione. Il lavoro in questo senso è però ancora parziale. I marcatori molecolari specifici per il carciofo sono pochi e, per molti di questi, non se ne conosce la localizzazione sul genoma. Al momento è stata pubblicata una sola mappa genetica che copre 1330 cM su circa 3000 cM e sono state effettuate caratterizzazioni molecolari di germoplasma di carciofo (tipologie Romanesco, Spinoso sardo, Violetto di Sicilia, Catanese, Spinoso di Palermo) e di cardo sia selvatico sia coltivato. Un esempio di utilizzazione dell’analisi molecolare per identificare e caratterizzare il germoplasma di carciofo è quello condotto sulla tipologia Romanesco coltivata nel Lazio, dove sono presenti principalmente due ecotipi tradizionali: il Castellammare e il Campagnano, che differiscono per l’epoca di produzione dei capolini. Inoltre, la cinaricoltura del Lazio ha visto l’enorme espansione del clone C3 che, grazie alla propagazione in vitro e alla sua notevole precocità, ha rimpiazzato molto del materiale autoctono laziale. Questo ha comportato una conseguente erosione genetica e perdita di germoplasma autoctono, ponendo la cinaricoltura laziale a rischio di vulnerabilità da stress biotici e abiotici. Mediante l’utilizzazione di marcatori molecolari di tipo ISSR e AFLP, è stato possibile identificare dei fingerprinting genetici per 19 cloni di carciofo Romanesco. I marcatori utilizzati (soprattutto quelli della tipologia AFLP) hanno identificato alcune bande presenti in un solo genotipo e quindi capaci di discriminarlo fra gli altri. La presenza di bande private è comune anche ad altre collezioni di carciofo analizzate con marcatori molecolari. In accordo con le loro distanze genetiche, i cloni analizzati possono essere suddivisi in due gruppi principali, ciascuno dei quali include nove dei 19 cloni analizzati; solo un clone è risultato separato da tutti gli altri. Non è stata rilevata alcuna correlazione fra la matrice basata sulle distanze genetiche e quella basata sui caratteri morfologici [Mantel test (r2=0,0023 n.s.)], sottoli-
Fingerprinting
• Il temine fingerprinting (impronta
digitale), usato come sinonimo di identificazione, è stato inizialmente coniato per indicare una caratterizzazione molecolare che, grazie all’elevato numero di informazioni, identifica in modo univoco un individuo. Per la costruzione di un profilo elettroforetico unico risultano di particolare rilievo le bande private, cioè marcatori presenti in un singolo genotipo. È evidente che nel caso di bande private la presenza della banda discrimina molto bene quel particolare genotipo da tutti gli altri
Analisi fingerprinting
312
biotecnologie Distanze genetiche fra cloni di carciofo Romanesco 1
17 23
8 2
7
4
5 18
10
22 6 15
19 1216 9 30 11
neando l’estrema plasticità fenotipica di questa specie e quindi l’importanza di caratterizzare il materiale genetico per tratti non influenzati dall’ambiente. La caratterizzazione molecolare può essere utile anche per riconoscere e proteggere prodotti tipici con marchi di denominazione controllata. Può inoltre essere usata per la selezione assistita nel miglioramento genetico. Quest’ultima utilizzazione nel carciofo è ancora ai primi stadi di applicazione, sebbene alcuni studi abbiano rilevato l’esistenza di associazioni interessanti fra marcatori e caratteri morfo-fisiologici d’interesse (per es. epoca di comparsa e dimensione del capolino). Queste associazioni sono al momento basate solo su alcune correlazioni che vanno tuttavia verificate nel tempo, in diversi ambienti e su un ampio spettro di tipologie di carciofo.
Esempio di profili di amplificazione ottenuti con marcatore AFLP
313
il carciofo e il cardo
ricerca Propagazione e innovazione Irene Morone Fortunato, Claudia Ruta
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Propagazione e innovazione Introduzione Micropropagazione e micorrizazione sono due biotecnologie di grande interesse per l’agricoltura. Il loro impatto sulle principali tecniche agronomiche (propagazione, difesa dai parassiti, concimazioni) è stato più volte discusso, e se la micropropagazione è oramai entrata nella routine di molti vivai ed è accertata la migliore qualità del materiale di propagazione così prodotto, meno utilizzata è la micorrizazione a causa delle oggettive difficoltà di produzione dell’inoculo e di un più tardivo studio sulle varie problematiche. I metodi tradizionali di propagazione del carciofo, quali l’impianto tramite carducci, ovoli e parti di ceppaia, prelevati in campi destinati alla produzione di capolini, hanno determinato una perdita di materiale di qualità dovuta sia a fattori fitosanitari, sia alla scarsa conoscenza del materiale di provenienza. Sono di seguito riportati studi su tecniche e metodologie innovative per la produzione di piantine di carciofo da trapianto di buona qualità. Fra i vari protocolli di clonazione in vitro, la proliferazione per gemme ascellari è il metodo attualmente più diffuso per la moltiplicazione vegetativa in vitro. Questo non è propriamente un fenomeno rigenerativo, poiché i meristemi organizzati delle gemme ascellari sono strutture già naturalmente predisposte alla produzione di germogli. La coltura in vitro, in pratica, non fa altro che sfruttare la presenza delle gemme, stimolandone il più possibile il germogliamento con opportuni dosaggi nutrizionali e ormonali tendenti a eliminare la dominanza apicale. Il comportamento in vitro è, in aggiunta, una caratteristica legata al genotipo, così che spesso cultivar della stessa specie presentano una diversa attitudine in vitro. Le micorrize sono associazioni simbiotiche tra i funghi del terreno e le radici di molte specie di piante. Ne traggono beneficio sia le piante, con un miglioramento dell’assorbimento di sali dal terreno, sia i funghi, assorbendo dalle radici della pianta i composti del carbonio sintetizzati con la fotosintesi. In natura sono state individuate diverse tipologie di micorrize, che differiscono tra loro sia morfologicamente sia fisiologicamente, a seconda del tipo di fungo e di pianta ospite. Le tipologie di simbiosi più comuni sono: ectomicorrize, ectoendomicorrize ed endomicorrize. Delle tre tipologie il gruppo delle endomicorrize è quello maggiormente rappresentato con le micorrize arbuscolari (AM), che hanno una distribuzione a livello mondiale e si riscontrano nell’80% delle piante. Queste simbiosi sono instaurate da funghi appartenenti al phylum Glomeromycota, simbionti obbligati che, dopo aver instaurato la simbiosi con la pianta ospite, sono in grado di produrre clamidospore che possono germinare nel terreno ma non possono completare il loro ciclo vitale in assenza di una pianta
Micorrize
• Le micorrize (dal greco mykos:
fungo e rhiza: radice) sono vere e proprie simbiosi mutualistiche da cui entrambi i partner (uno autotrofo per il carbonio, la pianta, e l’altro eterotrofo, il fungo) traggono ampi benefici, che si concretizzano in un più rigoglioso sviluppo della pianta nel suo complesso
• Le ectomicorrize sono tipiche delle
piante ad alto fusto; i funghi formano un mantello di ife attorno alla radice (micoclena), scendono tra le cellule corticali, ma non penetrano mai al loro interno. Sono le micorrize più tipiche, in quanto il fungo raggiunge nel corpo fruttifero (denominato tartufo) una sua identità morfologica e funzionale
• Le endomicorrize rappresentano
una categoria molto eterogenea, non riconoscibile macroscopicamente, il cui fattore unificante è dato dalla costante presenza di micelio simbionte all’interno della cellula (tra parete e membrana cellulare)
• Le ectoendomicorrize, infine, sono associazioni tipiche delle pinacee con caratteri intermedi tra i due grandi gruppi prima elencati
314
propagazione e innovazione ospite. I funghi AM sono abbondantemente distribuiti nell’ecosistema naturale e agrario e producono micorrize in quasi tutti i campi coltivati. L’alta reattività mostrata dal carciofo lo prefigura come modello per l’applicazione di queste biotecnologie in agricoltura.
Produzione di micorriza e mantenimento delle piante stock
• Il fungo micorrizico del genere Glomus
Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo Catanese, Brindisino, Locale di Mola La prima attività vivaistica per il carciofo nasce negli anni Ottanta. In quegli anni la micropropagazione veniva sempre più applicata alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario. Esempio di interazione fra strutture di ricerca (ENEA) e territorio (Cerveteri, Ladispoli) è l’utilizzo di piantine micropropagate delle tipologie di carciofo tardivo, tutt’oggi una realtà che ha consentito la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diverse cultivar come il C3. Tale tecnologia ha trovato un’ampia applicazione sulle cultivar tardive; complesse si sono rivelate le problematiche relative alla micropropagazione di tipologie precoci di carciofo, sia in relazione alle fasi di radicazione e ambientamento, sia per le difficoltà riscontrate nella coltivazione in pien’aria.
produce clamidospore che si trovano nel suolo o nelle radici, isolate o riunite in sporocarpi. La biotrofia obbligata determina la necessità di avere piante in vaso sulle cui radici possa vivere in simbiosi il fungo. Circa 20 spore, prelevate con l’aiuto di uno stereomicroscopio da un terreno infetto, vengono poste intorno alle radici di una piantina ospite sterile (fragola, cipolla, trifoglio) su un substrato sterile (sabbia di fiume). Dopo 3 o 4 mesi si ottiene una produzione di migliaia di spore, con cui continuare le colture stock
Schema della micropropagazione e della micorrizazione di tipologie precoci di carciofo mediterraneo. M-: apparato radicale non micorrizato; M+: apparato radicale micorrizato Vitro
Serra
Micorrizazione
Numero subcolture: 4-5
Moltiplicazione
Radicazione
M– Dimensioni apice: 5-6 mm
M+
Stabilizzazione Ambientamento
315
Confronto apparato radicale dopo due mesi
ricerca La fase di radicazione è la fase conclusiva della micropropagazione con l’ottenimento di una piantina morfologicamente completa. Uno dei principali problemi che viene riportato in letteratura per le tipologie precoci di carciofo consiste in una bassa percentuale di germogli radicati in vitro. Inoltre, vengono registrate notevoli perdite di materiale in fase di ambientamento e un ritardo di produzione con variazioni fenotipiche nella coltivazione in pien’aria. Solo recentemente, è stata messa a punto una tecnica efficiente per la micropropagazione delle tipologie precoci di carciofo che prevede l’utilizzo di funghi AM in fase di ambientamento (micorrizazione) e porta alla produzione diretta di piantine da trapianto micorrizate che, una volta trasferite in campo, mantengono le caratteristiche di precocità e di uniformità morfologica con la pianta madre. In conclusione, la messa a punto del protocollo di micropropagazione e micorrizazione ha risolto i differenti problemi che si presentano nei tre ambienti di produzione: vitro, serra di ambientamento, campo.
Foto R. Angelini
Vitro. Per la micropropagazione vengono utilizzati apici vegetativi di giovani carducci in crescita, selezionati per le caratteristiche di precocità da carciofaie delle tre tipologie precoci: Catanese, Brindisino, Locale di Mola. Gli apici prelevati, ridotti alle dimensioni di 5-6 mm, vengono sterilizzati in soluzione di ipoclorito di sodio (ACE 4,9% di Cl attivo) e successivamente lavati in acqua sterile. Per la coltura in vitro viene utilizzato il mezzo base costituito dai macroelementi
L’impiego di piantine micropropagate permette di ottenere carciofaie di elevata uniformità morfologica
Foto R. Angelini
316
propagazione e innovazione di Murashige e Skoog, microelementi di Nitsch e Nitsch, FeEDTA (25 mg/l), tiamina HCl (0,4 mg/l), mioinositolo (100 mg/l), saccarosio (20 o 30 g/l), arricchito con ormoni. Le fasi in vitro si differenziano per la componente ormonale e possono essere così schematizzate: – stabilizzazione: la stabilizzazione è determinante per il successo della fase di proliferazione. In questa fase i germogli allevati in presenza di 6-γγ-dimetilaminopurina, acido indolacetico e acido gibberellico devono raggiungere le dimensioni di 6-8 cm; – proliferazione: l’uniformità dei germogli è garantita da una bassa concentrazione di benzilaminopurina e da un numero limitato di subcolture (4-5); – radicazione: la radicazione è agevolata da una maggiore concentrazione di saccarosio (30%) e dalla presenza di alte concentrazioni di acido indolacetico. Serra. L’acclimatamento avviene in serra climatizzata e nebulizzata. I germogli radicati provenienti da micropropagazione vengono lavati sotto acqua corrente per eliminare le tracce del substrato agarizzato e trasferiti in vasetti con diametro di 10 cm riempiti con una miscela sterile di torba mescolata ad agriperlite, nel rapporto in volume 2/1. In ogni vasetto vengono aggiunti, in prossimità della radice, 10 g di inoculo. L’inoculo consiste in un suolo sabbioso contenente clamidospore, micelio esterno e frammenti di radici infette ottenute da colture di piante ospite (fragola, cipolla, trifoglio) inoculate con funghi AM. È possibile valutare lo sviluppo della simbiosi e la percentuale di infezione tramite analisi microscopica. La fase di ambientamento rappresenta un notevole trauma per la piantina micropropagata, anche se questa è completamente formata, cioè provvista di fusto, foglie e radici. Le piantine provenienti da vitro, infatti, presentano foglie poco efficienti per cloroplasti e stomi non funzionanti, uno scarso, se non assente, strato ceroso a livello cuticolare e, inoltre, radici poco efficienti. Tutto ciò determina un’eccessiva perdita di acqua per traspirazione, che può portare all’appassimento, alla necrosi delle foglie, ma anche alla senescenza e morte dell’intera piantina. Durante l’ambientamento, le piante hanno bisogno di raggiungere velocemente la massima funzionalità, sia nell’assorbimento di acqua e minerali, sia nell’acquisizione di un completo autotrofismo. L’instaurarsi della simbiosi micorrizica con il sistema radicale delle piante micropropagate può ridurre gli stress e influire positivamente sulla sopravvivenza e il tasso di crescita dopo l’acclimatamento, come dimostrato per numerose specie orticole, floricole e da frutto (gerbera, patata, peperone, fragola, mela, uva, kiwi, pesca, pera ecc.).
Fungo AM: ife (sopra) e vescicole (sotto) su radice micorizzata di carciofo
Protocollo di Phillips e Hayman e Slide Method
• Per l’analisi dell’infezione, le radici
pilifere vengono trattate dapprima con una soluzione di KOH (10%, a 90 °C per 60 minuti), poi acidificate con HCl (2%, temperatura ambiente per 3 minuti), quindi colorate con Trypan blue (0,05% in acido lattico a 90 °C per 10-15 minuti) e infine risciacquate con acido lattico. Successivamente le radici vengono montate su vetrini portaoggetti per la visione al microscopio. La percentuale di micorrizazione viene calcolata secondo lo Slide Method, che prevede l’analisi di 100 frammenti di radice di 1 cm prelevati in modo randomizzato, tali da costituire un campione rappresentativo
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ricerca Le cultivar precoci di carciofo hanno sempre presentato una particolare delicatezza nella fase di trapianto; infatti a causa della scarsa sopravvivenza durante l’ambientamento si perde circa il 60% delle piantine ottenute in vitro. Purtroppo sulla perdita delle piantine in ambientamento gravano praticamente tutti i costi di produzione, con forte aggravio sul prezzo di vendita della piantina finita. Le piantine micorrizate fanno registrare percentuali di attecchimento del 90-95% per i germogli radicati in vitro e del 60% per i germogli non radicati. Le percentuali delle piantine non micorrizate risultano molto più basse: 30-35% per i germogli radicati in vitro e 0% per i non radicati. Tutti i parametri di crescita (peso fresco, peso secco, area e numero delle foglie; peso fresco, peso secco, lunghezza e numero delle radici) risultano fortemente avvantaggiati dalla simbiosi e, inoltre, nelle piantine micorrizate, a dimostrazione di un più pre-
Apparati radicali di piantine micropropagate micorrizate (sinistra) e non (destra)
Ambientamento: accrescimento dell’apparato epigeo (peso fresco, secco, area e numero delle foglie) a 0, 30, 60 giorni dopo il trapianto in serra, in piantine micorrizate (Mic+) e non (Mic-) 25 Peso secco foglie (g)
Peso fresco foglie (g)
20 15 10 5 0 –5
0
30
60
2,0 1,8 1,6 1,4 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 –0,2
0
450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 –50
30
60
Giorni 7,5 7,0 Numero foglie
Area fogliare (cm2)
Giorni
6,5 6,0 5,5 5,0 4,5
0
30
60
Giorni Mic–
4,0
0
30 Giorni
Mic+
318
60
propagazione e innovazione coce attecchimento, il numero di foglie raggiunge il suo valore massimo già a 30 giorni. Le piantine non micorrizate, invece, a conferma di uno stato di stress, nei primi 30 giorni riducono il loro numero di foglie e solo nei successivi 30 giorni si nota un incremento. Alla fine dell’ambientamento, quindi, le piantine micorrizate si presentano significativamente più rigogliose e robuste delle non micorrizate e con apparato radicale maggiormente sviluppato. Anche il materiale non micropropagato, costituito generalmente da carducci, risponde positivamente all’inoculo micorrizico, facendo registrare un incremento dell’attecchimento, del numero e della densità radicale. Importante è la valutazione dell’interazione pianta-fungo utilizzando funghi di specie diverse. Nello studio che ha riguardato la risposta del carciofo Catanese a due specie di Glomus (Glomus viscosum e Glomus mosseae), è
Foto R. Angelini
Ambientamento: accrescimento dell’apparato ipogeo (peso fresco, secco, lunghezza e numero delle radici) a 0, 30, 60 giorni dopo il trapianto in serra, in piantine micorrizate (Mic+) e non (Mic-) 3,5
0,15 0,10 0,05 0,00 –0,05
3,0
Peso fresco radice (g)
0,20
0
30
60
2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 –0,5
0
Giorni
30
60
Giorni
25
16 14
20
12 15
Numero radici
Lunghezza radice (cm)
Peso secco radice (g)
0,25
10 5
8 6 4 2
0 –5
10
0 0
30
60
–2
Giorni Mic–
0
30 Giorni
Mic+
319
60
ricerca apparsa evidente una maggiore affinità tra questa specie orticola e il Glomus viscosum. In particolare, i dati relativi all’ambientamento evidenziano significative differenze fra i due inoculi. Differenze confermate dalla diversa percentuale di infezione (60% per Glomus mosseae e 75% per Glomus viscosum). Questi risultati ben si accordano con le misure di SPAD, a conferma del ruolo positivo che le micorrize svolgono sull’efficienza fotosintetica tramite l’incremento della nutrizione fosfatica nelle piante. I valori di SPAD vengono utilizzati come indicatori dello stato nutrizionale della pianta. I maggiori contenuti di clorofilla (valori di SPAD) ottenuti in questo studio sono direttamente correlati all’efficienza delle specie di Glomus saggiate e mostrano in maniera inequivocabile la maggiore affinità del Glomus viscosum con il carciofo Catanese. L’appropriata selezione dell’isolato fungino è quindi un aspetto fondamentale per il buon esito di questa tecnologia. Pertanto è auspicabile poter saggiare ecotipi fungini nativi che dovrebbero essere altamente efficaci nello stabilire la simbiosi. La determinazione dei livelli di infettività ed efficienza dei vari funghi nei confronti delle piante deve rappresentare un presupposto importante per la scelta, da parte degli operatori del settore agricolo, degli inoculi fungini da utilizzare nelle varie coltivazioni. Le modificazioni morfologiche e fisiologiche indotte dal fungo sulle piante di carciofo hanno determinato un più elevato rappor to radici/germoglio. Tale fattore è probabilmente responsabile dell’incremento del potenziale di accrescimento della pianta; è possibile pertanto ipotizzare che l’utilizzo della tecnica di micorrizazione possa favorire un migliore assorbimento di acqua e nutrienti da parte della pianta. La valenza ecologica dei due simbionti, inoltre, risulta di gran lunga aumentata, soprattutto nei terreni poveri di elementi minerali. Infatti le piantine di carciofo, inoculate in vivaio e trasferite in campo, portano con sé i simbionti che, oltre agli effetti positivi sulle piante, permettono un maggiore accrescimento e una maggiore tolleranza verso attacchi fungini, anche devastanti, quali la verticilliosi, con effetti positivi sulle caratteristiche del terreno. In cooperazione con altri microrganismi del suolo, il micelio micorrizico esterno forma aggregati resistenti all’acqua che sono necessari per una buona qualità dello strato di suolo coltivabile. L’uso di piantine a radice protetta, così prodotte, rappresenta un’efficace alternativa per il miglioramento qualitativo delle carciofaie e l’utilizzo di funghi micorrizici può rappresentare una valida strategia per incrementare la tolleranza agli stress biotici e abiotici, oltre che per migliorare le capacità di assorbimento dei sali minerali, rendendo il materiale fruibile in sistemi a basso impatto ambientale per un’agricoltura ecosostenibile. Campo. Le piantine ottenute in vitro e micorrizate in serra, trasferite in campo mostrano uniformità fenotipica, precocità, maggiore
SPAD
• Lo SPAD è un misuratore del contenuto
SPAD letture
di clorofilla nelle foglie che permette misure rapide e non distruttive. Le sue misure riflettono lo stato nutrizionale delle piante in relazione alla disponibilità di azoto, poiché la maggior parte di questo elemento è contenuta nelle molecole di clorofilla. Inoltre possono essere impiegate come indicatori di carenze di elementi nutritivi come il fosforo. Per questi motivi i valori di SPAD vengono utilizzati come indicatori dello stato nutrizionale della pianta; infatti, misurando la concentrazione di clorofilla, danno un’indicazione quantitativa sui cloroplasti, il cui numero sarà massimo in condizioni di crescita ottimale, quando nessun elemento è limitante e in particolare non è limitante l’azoto
29 28 27 26 25 24 23 22 21 20
I
II
III
IV
Settimane Test G. mosseae G. viscosum Andamento dei valori di SPAD misurati su foglie di carciofo micropropagato inoculato con Glomus viscosum e G. mosseae durante l’ambientamento
320
propagazione e innovazione sviluppo dell’apparato radicale e maggiore attitudine alla produzione di carducci, mantenendo le caratteristiche produttive per tutta la durata della carciofaia. Le piante micropropagate e micorrizate confermano le caratteristiche della varietà originale per tutti i caratteri morfologici e produttivi presi in esame. La pianta si presenta di taglia media o piccola, con un’altezza massima di circa 70-100 cm e inserzione del capolino principale intorno ai 35-40 cm. Le foglie sono di colore verde-grigiastro, inermi, di medie dimensioni. L’eterofillia è elevata per la presenza di foglie a lamina intera, più frequenti nei primi stadi vegetativi, lobata e pennatosetta nei successivi stadi. Il capolino, conico e compatto, è di dimensioni piccole o medie. Le brattee esterne sono ovali, di dimensioni medie e colore verdevioletto, ad apice arrotondato intero o lievemente inciso, con una piccola spina violacea. Le brattee interne si presentano biancheverdastre con lievi sfumature violette. Il numero di capolini per pianta oscilla tra 5 e 11. Il peso dei capolini risulta in media lo stesso sia per i principali sia per i secondari ed è di 100-200 g (piccoli o medi). L’andamento del ciclo ontogenetico evidenzia un anticipo di circa 10 giorni nelle diverse fasi (transizione, differen-
Capolini ottenuti in campo dalle piante di carciofo micropropagate e micorrizate
Metodo per la moltiplicazione massiva di funghi micorrizici arbuscolari attraverso l’uso di piante trappola e colture madri controllate
Clamidospore di G. viscosum ceppo A6
Coltura su piante trappola di fragola
Test fitosanitario e controllo dei funghi micorrizici
Riproduzione massiva dei funghi micorrizici ai fini di un loro uso come inoculanti
Coltura madre
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ricerca Caratteristiche morfologiche dei capolini ottenuti in campo dalle piante di carciofo micropropagate e micorrizate
Foto R. Angelini
Media
Minimo
Massimo
Dev Std
Altezza (cm)
12,87
10,50
15,50
1,42
Diametro (cm)
6,56
5,30
7,80
0,68
Altezza brattee esterne (cm)
6,12
5,62
6,56
0,35
Larghezza brattee esterne (cm)
3,80
2,84
4,56
0,56
ziazione, maturazione commerciale) che resta costante negli anni (1°, 2° e 3° anno). La presenza delle micorrize, inoltre, influenza in maniera determinante la crescita delle piante riflettendosi sull’aumento delle percentuali di attecchimento in campo, sul numero delle foglie vive, oltre che sul numero di radici per pianta e sul numero di carducci, caratteristiche, queste ultime, che permangono anche negli anni successivi all’impianto e in condizioni diverse di concimazione (minerale, organica). La produzione risulta sempre avvantaggiata dalla micorrizazione, facendo registrare, almeno nell’anno dell’impianto, un incremento di circa 10.000 capolini per ettaro per ogni stagione di raccolta. Possiamo, perciò, concludere che l’applicazione della micorriza su piantine micropropagate per la produzione di piantine da Caratteristiche delle piante ottenute in vitro e micorrizate
Caratteristiche produttive dei capolini ottenuti in campo dalle piante di carciofo micropropagate e micorrizate
• Uniformità fenotipica • Precocità • Maggiore sviluppo dell’apparato radicale
• Maggiore attitudine alla produzione di carducci • Uniformità morfologica
e produttiva rispetto alla varietà originale
• Aumento della percentuale di attecchimento
322
Media
Minimo
Massimo
Dev Std
Capolini/pianta (n)
7,13
5,00
11,00
1,62
Peso fresco (g)
145,17
92,68
215,59
35,26
Peso secco (g)
24,30
13,12
41,02
6,72
Spessore ricettacolo (cm)
1,13
0,80
2,00
0,18
Peso fresco edule (g)
62,22
38,44
96,53
13,50
Peso secco edule (g)
10,38
5,60
18,73
3,02
propagazione e innovazione Andamento del ciclo ontogenetico: le piante micorrizate e micropropagate entrano in produzione più precocemente del testimone (test) costituito da carducci Apice del germoglio (stadi)
Impianto 01/10/2002 Trattato data
Testimone data
Risveglio 29/07/2003
Risveglio 27/07/2004
Trattato data
Testimone data
Trattato data
Testimone data
Transizione
30/09/2003
10/10/2003
05/10/2004
15/10/2004
Transizione/differenziazione*
10/10/2003
22/10/2003
15/10/2004
26/10/2004
Differenziazione
20/10/2003
01/11/2003
25/10/2004
07/11/2004
15/11/2003
25/11/2003
19/11/2004
30/11/2004
Vegetativo
Maturazione commerciale**
24/03/2003
05/04/2003
* Transizione/differenziazione: 50% apici in transizione/50% apici in differenziazione ** Maturazione commerciale 1a raccolta
trapianto di tipologie precoci di carciofo rende il metodo in vitro altamente efficiente. I dati, inoltre, confermano l’esistenza di cooperazione tra i due approcci biotecnologici (micropropagazione e micorrizazione), che si estrinseca nella produzione di un materiale di propagazione di alta qualità che, oltre a mantenere tutte le caratteristiche di pregio delle cultivar precoci, presenta un’alta valenza ecologica.
Radici Apparato radicale del testimone non micorrizato
323
Carducci
Non micorizzato + concimazione minerale
Apparato radicale delle piante micorrizate + concime minerale
Micorizzato + concimazione minerale
Numero
Apparato radicale delle piante micorrizate + concime organico
30 28 26 24 22 20 18 16 14 12 10 8 6 4
Micorizzato + concimazione organica
Apparato radicale di piante micorrizate e non, sottoposte a concimazioni diverse
il carciofo e il cardo
ricerca Spinoso sardo Maria Cadinu, Anna Maria Repetto
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Spinoso sardo Foto N. Calabrese
Micropropagazione dello Spinoso sardo In Italia le coltivazioni di carciofo più importanti sono collocate nel Centro-Sud e nelle isole dove vengono prevalentemente utilizzate varietà precoci per produzioni autunno-vernine. La coltura di questa specie riveste una notevole importanza nell’economia della Sardegna. Le intense coltivazioni e la scarsa attenzione posta agli aspetti genetici e fitosanitari dagli operatori del settore nella scelta del materiale di propagazione hanno portato a una degenerazione della coltura, determinando negli anni significative flessioni nelle superfici coltivate e nelle rese produttive. Tradizionalmente vengono usati per la propagazione ovoli (organi quiescenti) che non consentono una verifica della sanità del materiale utilizzato. Tale modalità di propagazione è spesso causa di problemi fitosanitari legati soprattutto alla presenza di alcuni dei virus più dannosi, trasmessi da afidi e da tripidi che incrementano la possibilità di diffusione in campo di queste malattie. L’attuale stato sanitario del germoplasma di carciofo è seriamente minacciato da alcune infezioni virali; in particolare, recenti ricerche effettuate in Sardegna hanno confermato una presenza generalizzata dell’ArLV. La necessità di reperire materiale di propagazione sano ha stimolato lo studio di tecniche che consentissero l’ottenimento di piante prive di virus. Tra queste, la coltura in vitro di apici meristematici è stata individuata quale metodo tecnicamente più idoneo,
Spinoso sardo sottoposto con successo a micropropagazione presso i laboratori di Agris Sardegna
Foto C. Cangero
Schema della filiera di produzione del carciofo micropropagato SELEZIONE CLONALE Individuazione dei migliori genotipi da utilizzare come patrimonio genetico da diffondere per la coltivazione MICROPROPAGAZIONE Produzione da cloni selezionati di piante virus-esenti in grandi quantità e tempi brevi ALLEVAMENTO PIANTE MADRI IN SCREEN HOUSE Allevamento e moltiplicazione delle piante in ambiente protetto per l’ottenimento di materiale di propagazione MOLTIPLICAZIONE IN VIVAIO Produzione di ovoli per l’ottenimento in vivaio di piantine da utilizzare per la costituzione degli impianti produttivi
Carciofi in Sardegna
324
spinoso sardo Schema del ciclo di micropropagazione del carciofo
Sviluppo
Proliferazione
Sterilizzazione Carduccio
Radicazione
Pianta madre
Acclimatazione
Pieno campo
sia per l’ottenimento di materiale esente da fitopatie, sia per il raggiungimento di tassi di moltiplicazione più elevati rispetto a quelli ottenibili con i metodi tradizionali. La tecnica di micropropagazione è stata utilizzata con successo nel laboratorio dell’AGRIS per la coltura in vitro del carciofo Spinoso sardo con l’obiettivo di ottenere piante madri sane da utilizzare come fonte di ovoli e/o carducci da destinare all’attività vivaistica. Poiché questa varietà è contraddistinta da una forte eterogeneità biologica e morfologica, è stata avviata, altresì, da molto tempo, un’attività di selezione clonale per valorizzare gli aspetti legati alla precocità, alla produttività e alle caratteristiche qualitative dei capolini. Il germoplasma così selezionato ha rappresentato la fonte da cui prelevare il materiale per la micropropagazione. Descrizione della tecnica di propagazione in vitro Materiale di partenza. È costituito da apici vegetativi di carducci prelevati in pieno campo, sottoposti a lavaggio in acqua corrente, eliminazione delle foglie esterne, riduzione delle dimensioni per facilitare l’operazione di espianto e immersione in soluzione antiossidante.
Preparazione del carduccio
325
ricerca Espianto. I carducci vengono sterilizzati mediante immersione in ipoclorito di sodio ed etanolo, per diminuire il rischio di inquinamento da parte di funghi e batteri. Con l’ausilio di strumenti sterili e dello stereomicroscopio viene prelevato l’apice meristematico delle dimensioni di circa 0,3-0,5 mm. È importante sottolineare che quanto più piccole sono le dimensioni dell’espianto, tanto maggiori sono le possibilità di risanamento, anche se parallelamente si riducono le possibilità di attecchimento e aumenta il numero di piante fuori tipo. Infatti va rilevato che nella maggior parte del materiale così ottenuto, relativamente a cultivar rifiorenti quali lo Spinoso sardo, si ha la differenziazione di tipi giovanili (inselvatichimento) in percentuali elevate. Fase di sviluppo. Gli apici meristematici vengono posti in provette contenenti 10 ml di substrato di sviluppo di Murashige e Skoog con 0,1 mg/l di IBA, 0,5 mg/l di BAP e 0,01 mg/l di 2ip. Dopo circa 20-25 giorni si ha la formazione completa dei germogli.
Sterilizzazione sotto cappa a flusso laminare
Fase di proliferazione. I germogli vengono trasferiti in barattoli contenenti 100 ml di substrato di MS con la stessa composizione di quello di sviluppo, tranne che per la sostituzione della BAP con la kinetina, dimostratasi più efficace nel favorire la proliferazione cellulare e la formazione dei germogli ascellari. Il substrato viene rinnovato ogni 15 giorni previa separazione e cimatura dei germogli di neoformazione. Complessivamente il ciclo di proliferazione non supera le 4-5 subcolture. Fase di induzione alla radicazione. Le plantule, raggiunto un sufficiente sviluppo, vengono trasferite in provette contenenti un substrato liquido di MS ad alta concentrazione di ormoni auxinici (20 mg/l NAA + 20 mg/l IAA) per un periodo di 24 ore.
Espianto dell’apice meristematico
Plantula in fase di sviluppo Separazione dei germogli
326
Germogli in fase di moltiplicazione
spinoso sardo
Panoramica della cella climatica
Fase di radicazione. Le plantule vengono trasferite in un substrato di MS solidificato con agar e contenente NAA e IAA alle dosi di 0,1 + 0,1 mg/l. Qui permangono sino a completa formazione dell’apparato radicale, in genere dai 15 ai 25 giorni. Tutte le operazioni devono avvenire in un ambiente sterile, poiché la presenza nel substrato di elementi quali gli zuccheri, rende la coltura facilmente attaccabile da vari agenti patogeni. Per questo motivo deve essere particolarmente curata la sterilizzazione del materiale di partenza e dello stesso ambiente in cui si opera. Le piante vengono allevate in celle climatiche con parametri ambientali controllati: temperatura di 22 °C, fotoperiodo di 16 ore di luce e 8 di buio e intensità luminosa di 4000 lux.
Pianta in fase di induzione
Pianta completamente formata Germogli in fase di radicazione
327
ricerca
Piantine in fase di acclimatazione
Fase di acclimatazione. Le plantule ottenute in vitro devono essere gradualmente adattate alle condizioni ambientali esterne. Durante questo periodo devono passare da uno stato di eterotrofia a uno di autotrofia e sviluppare un efficiente apparato fogliare e radicale. A tale scopo vengono tenute ancora in cella climatica, in vasetti contenenti terriccio sterile, chiusi superiormente con una busta in PE per mantenere l’umidità relativa a livelli simili a quelli del vitro. Nei giorni successivi vengono praticati dei fori nella busta di protezione per modificare gradualmente la composizione dell’aria a diretto contatto con la piantina. Dopo 15-20 giorni si passa alla seconda fase di acclimatazione che prevede il trasferimento in ambiente esterno al laboratorio ma protetto: le piante vengono trapiantate in contenitori più grandi e continuano l’acclimatazione per almeno altri 20-30 giorni in screen house al fine di evitare possibili reinfezioni a opera di insetti vettori.
Seconda fase di acclimatazione in screen house
Piante in screen house
328
spinoso sardo Mediamente, la durata del ciclo per l’ottenimento di una pianta in vitro completa è pari a circa tre mesi e non è influenzata dalle condizioni climatiche esterne.
Principali obiettivi della micropropagazione
Ricerche effettuate Selezione clonale. Per oltre venti anni l’AGRIS ha condotto un lavoro di selezione massale prima e clonale dopo, partendo dal reperimento di circa ottanta linee provenienti dai principali areali di coltivazione di carciofo Spinoso sardo nell’isola. L’attività svolta ha permesso di evidenziare un discreto numero di cloni di carciofo con caratteristiche di pregio (precocità, produttività, struttura della pianta, conformazione e colore del capolino), selezionati e mantenuti in collezione. Ciò ha reso possibile in parte il recupero e la valorizzazione delle potenzialità produttive del carciofo Spinoso sardo attraverso la distribuzione del materiale di propagazione a cooperative operanti nel settore. Stime effettuate hanno evidenziato come l’attività svolta da almeno un decennio abbia consentito la sostituzione di oltre il 40% della superficie totale coltivata a carciofo con materiale selezionato e micropropagato, creando le basi per una futura crescita del comparto vivaistico del carciofo in Sardegna.
• Ottenimento di materiale esente
da fitopatie: funghi, batteri e virus (ALrV, AILrV e AMCV)
• Raggiungimento di elevati tassi
di moltiplicazione: ottenimento di un elevato numero di piante in spazi e tempi limitati indipendentemente dalle condizioni climatiche esterne
Effetto della coltura in vitro sull’ottenimento di materiale virusesente. La coltura in vitro di apici meristematici è risultata una tecnica valida per l’ottenimento di materiale virus-esente. Prove effettuate per verificare lo stato sanitario del materiale ottenuto utilizzando test diagnostici di tipo molecolare hanno evidenziato percentuali di risanamento pari al 52%. In particolare è stata ricercata la presenza dei tre virus ALrV, AILrV e AMCV. I risultati ottenuti hanno quindi confermato l’efficacia della tecnica. Le piante risultate negative ai
Capolini di quattro cloni selezionati
329
ricerca test diagnostici, allevate in serra protetta (screen house), possono essere utilizzate come nucleo di piante madri dal quale prelevare il materiale di propagazione da destinare all’attività vivaistica. Il mantenimento dello stato sanitario del materiale ottenuto in vitro deve essere accertato mediante periodici test diagnostici. Studi sulla comparsa di fenotipi selvatici. La comparsa di fenotipi selvatici è un problema che si riscontra anche con le tecniche di propagazione vegetativa tradizionali ma, con la coltura in vitro, risulta più accentuato. Le piante presentano una morfologia fogliare atipica con foglie fortemente settate e spinescenti e l’emissione del capolino avviene in ritardo. Le varianti selvatiche dello Spinoso sardo, anche se sottoposte a forzatura estiva, entrano in produzione soltanto in primavera. Le cause che determinano un incremento dell’incidenza dei fenotipi selvatici delle piante ottenute in vitro non sono ancora del tutto conosciute. Le ricerche condotte hanno riguardato la valutazione dell’influenza di diversi fattori tra cui il numero di subcolture in moltiplicazione, l’epoca di prelievo dei carducci utilizzati per l’espianto e le sue dimensioni. La lunghezza del ciclo di moltiplicazione e la dimensione degli espianti influenzano l’incidenza della comparsa di piante fuori tipo, mentre è risultata ininfluente l’epoca di prelievo del carduccio utilizzato per l’espianto. La percentuale di selvatico, presumibilmente a causa dell’accumulo di ormoni citochininici, cresce all’aumentare del numero di subcolture, come mostra il grafico. Le prove condotte su espianti di diversa dimensione hanno evidenziato come una riduzione delle stesse determini una minore stabilità del materiale, che si traduce in una maggiore incidenza di piante fuori tipo. Dalle osservazioni sui dati produttivi è emerso comunque che le piante a fenotipo selvatico, anche se tardivamente, hanno prodotto capolini di buona qualità e hanno manifestato una produttività elevata, quasi pari a quella
Plantule a fenotipo selvatico e gentile ottenute attraverso la moltiplicazione in vitro
Fenotipo selvatico (%)
Influenza del numero di subcolture sull’incidenza di piante fuori tipo
Fenotipo gentile (in alto) e selvatico (in basso)
330
100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0
III
IV
V
VI VII Subcolture (n°)
VIII
IX
spinoso sardo Influenza delle dimensioni dell’espianto sulla percentuale di piante fuori tipo Dimensione dell’espianto
% di piante fuori tipo
0,1-0,3 mm
48%
0,4-0,6 mm
12%
0,7-0,9 mm
3%
delle piante gentili. Queste produzioni potrebbero essere promosse con opportuni programmi di marketing per soddisfare le richieste in un periodo alternativo a quello tradizionale. Produttività delle piante ottenute in vitro. Le piante ottenute in vitro, una volta trapiantate in pieno campo, hanno mostrato una capacità di sopravvivenza quasi totale, un vigore vegetativo e una produttività di gran lunga superiori a quelli delle piante allevate in modo tradizionale. Dagli ovoli provenienti da piante madri micropropagate si sono sviluppate piante in grado di fornire produzioni commerciali superiori del 31% e caratterizzate da una maggiore precocità e da contemporaneità nell’emissione del capolino. Il 9% delle piante micropropagate produce entro le prime quattro settimane di raccolta, contro il 2,3% di quelle ottenute tradizionalmente. Anche la qualità del prodotto ha mostrato delle differenze quali una maggiore lunghezza dello stelo nei capolini di 1° ordine, fattore di pregio per il consumo a crudo, e un maggior calibro e peso dei capolini di 3° ordine.
Capolino di pianta micropropagata
In conclusione, la tecnica di propagazione in vitro dello Spinoso sardo ha consentito di ottenere elevati tassi di moltiplicazione, piante più vigorose e produttive, alta percentuale di risanamento da virus. Per ridurre l’incidenza di piante a fenotipo selvatico sono state individuate alcune scelte tecniche: contenimento del numero di subcolture entro la 4a e 5a, dimensione dell’espianto compresa tra 0,3 e 0,5 mm ed eliminazione in vitro dei germogli con elevato grado di settatura e spinescenza. Relativamente ai percorsi tecnici su cui sviluppare le basi della filiera vivaistica, l’attività futura sarà orientata a completare quella già intrapresa con il perseguimento di ulteriori obiettivi volti al contenimento dei costi di produzione. Quest’ultimo aspetto concorre a delineare una strategia nella quale la pianta micropropagata non venga utilizzata direttamente per gli impianti produttivi, ma come fonte di materiale di propagazione da parte di aziende vivaistiche specializzate. La micropropagazione del carciofo Spinoso sardo deve essere considerata come passaggio indispensabile in un più ampio processo che non escluda ma integri i metodi di propagazione tradizionali, razionalizzati attraverso l’applicazione di più moderne tecniche vivaistiche ancora in fase di valutazione.
Pianta micropropagata in produzione
331
il carciofo e il cardo
ricerca Tecnica vivaistica Fabio Micozzi, Bernardo Pace, Nicola Calabrese
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Tecnica vivaistica Introduzione La propagazione del carciofo è ancora attuata per via agamica, per mezzo di carducci, ovoli, parti di rizoma o ceppaia, spesso autoprodotti dagli stessi agricoltori, che utilizzano per l’impianto materiale prelevato direttamente da carciofaie coltivate per la produzione dei capolini senza fare ricorso a tecniche particolari. Il materiale utilizzato per la moltiplicazione è caratterizzato da notevole variabilità in ordine a età, stadio fisiologico, forma, dimensione, posizione sulla pianta madre, numero di gemme presenti ecc. Ciò ha portato nel tempo alla comparsa di gravi problemi di carattere agronomico e patologico con ricadute negative per i produttori, anche di tipo economico. È infatti evidente un lento e progressivo peggioramento delle potenzialità produttive delle carciofaie e delle caratteristiche qualitative dei capolini; i produttori lamentano che la coltura non risponde all’impiego dei più moderni mezzi tecnici di coltivazione con adeguati incrementi produttivi. Questa situazione risulta più accentuata nelle realtà produttive orientate verso produzioni precoci, che sono quelle maggiormente diffuse su tutto il territorio nazionale. Solitamente si attribuisce la ridotta produttività della coltura al fenomeno della stanchezza del terreno, ma questa, pur verosimile, non considera altri aspetti di fondamentale importanza, quali la mancata applicazione di metodi di selezione del materiale genetico, il risanamento del materiale stesso e la necessaria razionalizzazione della tecnica di propagazione.
Attività vivaistica del carciofo
• Nonostante la notevole importanza
economica del carciofo, per questa specie manca una consolidata attività vivaistica in grado di fornire piantine sane e di buona qualità da impiegare per l’impianto, che possa garantire rispondenza alla normativa vigente, uniformità del materiale di propagazione, conformità alle caratteristiche varietali e, in definitiva, assicurare produttività e sanità delle coltivazioni
Carciofaia nel Foggiano
Foto R. Angelini
332
tecnica vivaistica Con la moltiplicazione in vitro sono stati risolti molti dei problemi legati ai metodi di propagazione tradizionali; notevole successo nei comprensori cinaricoli laziali ha ottenuto negli ultimi anni il clone C3 di tipologia Romanesco, ottenuto per micropropagazione. L’elevato costo delle piantine micropropagate costituisce comunque un limite alla loro maggiore diffusione. Recentemente sono state effettuate ricerche dall’Università della Tuscia di Viterbo per la cultivar C3 e dal CNR ISPA di Bari per il Brindisino (tipologia rifiorente), che hanno messo a punto nuove tecniche di moltiplicazione che rendono possibile la produzione di piantine sane, certificate e a basso costo. Moltiplicazione del C3 Il ciclo di produzione ha la durata di un anno: inizia in agosto con l’impianto e l’allevamento in vaso delle piante madri risanate e si conclude nel periodo luglio-agosto dell’anno successivo con la vendita delle piantine provenienti da propagazione in vivo pronte per l’impianto. Da una singola pianta madre si ottengono mediamente 15 carducci in totale, che sono prelevati in novembre, febbraio e giugno. La tecnica di propagazione prevede le seguenti fasi: – coltivazione fuori suolo di piante madri; – capitozzatura delle piante madri; – emissione e prelievo dei carducci; – frigoconservazione dei carducci; – radicazione dei carducci; – ambientamento e commercializzazione delle piantine.
Carciofo Romanesco C3
Coltivazione fuori suolo di piante madri risanate. Le piantine provenienti da moltiplicazione in vitro sono poste in vasetti di torba e trasferite in serra per favorire la costituzione di un buon apparato radicale e aereo. Dopo circa 40 giorni si effettua l’im-
Serra per la moltiplicazione del Romanesco C3
Carciofo in vitro
333
ricerca pianto in vasi di plastica di 20 cm di diametro, impiegando come substrato terriccio costituito da torba bruna e bionda, in parti uguali, a cui vengono aggiunti lapillo vulcanico (10%) e perlite (10%). Queste saranno le piante madri utilizzate durante l’intero ciclo per la produzione di carducci. I vasi dovranno essere disposti a 35 cm di distanza sulla fila e tra le file (8 piante/m2); il fabbisogno idrico e nutrizionale è assicurato dalla fertirrigazione con distribuzione per singolo vaso con spaghetto. Capitozzatura delle piante madri. La capitozzatura consiste nell’asportazione della parte epigea della pianta, compresa la gemma apicale, e viene effettuata per favorire l’emissione dei carducci dal rizoma. Il primo intervento si esegue in novembre (circa 60-70 giorni dall’impianto della pianta madre in vaso), il secondo in febbraio e il terzo in giugno. Due settimane prima del prelievo dei carducci si sospende l’irrigazione; questa verrà ripristinata subito dopo la capitozzatura per favorire l’emissione di nuovi carducci. Prelievo dei carducci. In genere, dopo 30-40 giorni dalla capitozzatura, il primo carduccio raggiunge le dimensione ottimali per l’asportazione e viene prelevato per favorire l’accrescimento degli altri. Tutti i carducci vengono progressivamente asportati tranne uno che serve per ripristinare la parte aerea e ricostituire la pianta madre per i cicli successivi.
Capitozzatura della pianta madre
Frigoconservazione dei carducci. Il materiale prelevato in novembre e febbraio viene frigoconservato e messo a radicare nel periodo di maggio-giugno, in modo da avere i carducci radicati in agosto, pronti per l’impianto in pieno campo. Prima della frigoconservazione si tagliano le foglie eliminando circa i 2/3 della parte apicale e si effettua un trattamento contro i marciumi. I
Emissione dei carducci Carducci con ottimo apparato radicale
334
tecnica vivaistica
Radicazione dei carducci
carducci così preparati sono conservati in sacchetti di plastica a temperatura di 1 °C ± 1 con umidità relativa del 95%. Radicazione dei carducci. In giugno tutti i carducci, quelli frigoconservati e quelli prelevati direttamente dalle piante madri nel terzo e ultimo ciclo, sono posti a radicare in vasetti di 8 cm di diametro, utilizzando torba bruna come substrato. Questo periodo è caratterizzato da elevate temperature per cui sono necessari impianti di raffrescamento delle serre. Per ottimizzare la radicazione, si applica la micorrizazione delle radici con utilizzo del fungo Glomus viscosum. In condizioni di coltivazione ottimali la radicazione può raggiungere valori del 95%.
Produzione di carducci
Moltiplicazione del Brindisino L’ISPA-CNR di Bari, partendo da circa 150 piante di Brindisino risanate dal DPPMA dell’Università di Bari, ha messo a punto una tecnica che ha portato in un anno a ottenere più di 7000 piante sane. In sintesi questa tecnica ha previsto: 1) la coltivazione in vaso delle piante risanate; 2) ripetute capitozzature delle piante poco oltre il colletto per promuovere l’emissione di carducci; 3) rimozione, radicazione e allevamento dei carducci in vaso e in contenitori alveolari, per la produzione di piantine da sottoporre a successive capitozzature. L’intero ciclo di coltivazione è stato condotto all’interno di una serra opportunamente attrezzata per il mantenimento dello stato sanitario delle piante; questa tecnica è già stata trasferita e applicata in vivaio. Il protocollo, di seguito descritto, consente di ottenere un elevato numero di piante sane da utilizzare per le successive fasi di moltiplicazione presso vivai accreditati, che a seguito dell’applicazione del protocollo saranno a loro volta in grado di fornire piantine certificate per l’allestimento di nuove carciofaie.
Carciofo Brindisino
335
ricerca
Piante madri risanate
Coltivazione di piante madri risanate. Le piante sono state poste in vasi di plastica da 50 l impiegando come substrato una miscela di torba bruna e di torba bionda nel rapporto 2/3 e 1/3; questa combinazione ha fornito i migliori risultati in termini di velocità di crescita e peso dell’apparato radicale. L’apporto idrico e nutrizionale è stato assicurato da fertirrigazione con distribuzione per singolo vaso con spaghetto.
Capitozzatura della pianta madre
Capitozzatura delle piante madri. La capitozzatura si effettua quando le piante madri presentano le seguenti caratteristiche morfologiche: diametro del fusto al colletto ≥ 35 mm; 13-15 foglie ben sviluppate con lamina fogliare superiore a 30 cm di lunghezza e buon apparato radicale. Tale intervento, effettuato in modo da salvaguardare l’integrità del rizoma, stimola la pianta all’emissione di un elevato numero di germogli (carducci). Pianta madre capitozzata
Emissione di germogli (carducci) Pianta con numerosi carducci pronti per il prelievo
336
tecnica vivaistica
Carducci prelevati da una singola pianta Pianta madre dopo il prelievo; si noti il carduccio rimasto per la ricostituzione della pianta
Prelievo dei carducci, impianto e radicazione. Dopo circa 60 giorni dalla capitozzatura, sono stati prelevati, alla stessa data, tutti i carducci presenti sulla pianta, tranne uno che è servito per ripristinare la parte aerea e ricostituire la pianta madre per i cicli successivi. Il numero di carducci prelevato per ogni pianta è stato di 12-15. L’operazione di prelievo dei carducci dalla pianta madre si può ripetere fino a 6-7 volte/anno in funzione dell’età della pianta, del numero di carducci asportati, del numero di cicli già effettuati e delle condizioni ambientali all’interno della serra. Al prelievo i carducci sono stati suddivisi in 3 classi, in relazione al peso e al numero di foglie, per ottenere indicazioni sulla percentuale di attecchimento in funzione della classe di appartenenza. I carducci sono stati poi tagliati, asportando i 2/3 della parte apicale delle foglie, per ridurre lo stress nelle fasi successive all’impianto e piantati in vaso per la radicazione. La fase di radicazione ha previsto l’impiego di vasi e substrati differenti; l’impiego di vasi di Ø 10 cm facilita la movimentazione e riduce la superficie utilizzata, ma obbliga al rinvaso dopo 30-40 giorni. A tal fine si consiglia l’adozione di vasi di Ø ≥ 18 cm che consentono l’allevamento dei carducci per diversi mesi, fino
Classi di dimensione dei carducci
Produzione di piantine ottenute da una singola pianta madre in relazione alla dimensione dei carducci al prelievo Carducci Caratteristiche morfologiche
Prelevati
Radicati
Classe
Foglie (n.)
Peso (g)
Numero
%
Numero
%
I II III
≤3 4-7 >7
< 30 30-50 > 50
275 135 90
55 27 18
206 115 81
75 85 90
Taglio della parte apicale delle foglie prima dell’impianto
337
ricerca Piantine ottenute da singola pianta madre 600 507
Carducci (n.)
500 400 282
300 200 100 0
15 60
27
42
57
120 180 240 300 Giorni dalla 1a capitozzatura (n.)
360
Carduccio prima e dopo il taglio delle foglie
al momento della capitozzatura. Tra i diversi substrati impiegati, i migliori risultati si sono ottenuti impiegando la stessa miscela di torba utilizzata per le piante madri. La fertirrigazione è stata effettuata per subirrigazione riempiendo i vassoi, contenenti ciascuno 8 vasi, per 3-4 cm, con turni di intervento compresi tra 2 e 7 giorni in funzione delle condizioni climatiche. Particolare attenzione va posta al controllo della temperatura all’interno della serra; valori troppo elevati, in particolare nel periodo estivo, rallentano fino a bloccare del tutto l’attività della pianta, con conseguente ritardo nell’emissione dei carducci e nel successivo prelievo. Le piante madri, inoltre, vanno sottoposte periodicamente a saggi per attestare il loro stato fitosanitario. Impianto
Piantina con ottimo apparato radicale Differente accrescimento della radice in funzione del substrato impiegato
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tecnica vivaistica In conclusione, questo protocollo di moltiplicazione consente di ottenere in un anno circa 500 piantine da ogni pianta madre, da destinare a nuovi cicli di moltiplicazione o pronte per l’impianto. Esso permette inoltre la produzione di piantine in qualsiasi periodo dell’anno senza i vincoli della stagionalità e favorisce l’ampliamento dei calendari di impianto delle carciofaie. Moltiplicazione per “seme” La propagazione per “seme” rappresenta una valida alternativa a quella agamica, perché contribuisce alla razionalizzazione della tecnica colturale, al miglioramento dello stato sanitario delle piante e all’incremento delle produzioni unitarie. Il costo del “seme” delle prime cultivar poste in commercio, ottenute per libera impollinazione, era contenuto e permetteva la meccanizzazione della semina diretta in pieno campo, con forte riduzione delle spese di impianto. La recente introduzione sul mercato di cultivar ibride propagate per “seme” offre nuove e importanti prospettive per la disponibilità di piante sane e produttive e per l’incremento dell’attività vivaistica; inoltre, in prospettiva, il contenimento del costo del “seme” potrebbe favorire l’espansione della coltura. Attualmente infatti, la semina diretta delle cultivar ibride è improponibile a causa del costo dei “semi”; è pertanto necessario mettere a
Piante risanate di Brindisino in produzione Piantine propagate per “seme” pronte per il trapianto
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ricerca punto un protocollo tecnico per la produzione di piantine in vivaio a costi contenuti. La germinabilità dei “semi” di carciofo, la contemporaneità dell’emergenza e le caratteristiche delle plantule sono notevolmente influenzate da numerosi fattori: condizioni ambientali che si verificano durante la formazione del “seme”, età della pianta madre, temperatura di germinazione, presenza/assenza di luce, genotipo, età del “seme”, salinità del substrato di germinazione e dell’acqua di irrigazione. La temperatura di germinazione è tra i parametri più importanti per ottenere l’elevata germinabilità e l’uniformità dell’emergenza delle plantule. Le ricerche condotte in questo ambito hanno evidenziato che la germinabilità più elevata e più anticipata è stata ottenuta con la temperatura di germinazione compresa tra 15 e 22 °C (giorno e notte) o con l’alternanza della temperatura 25-15 °C tra giorno e notte. La percentuale di “semi” non germinati aumenta progressivamente con l’incremento della temperatura e raggiunge il 42% a 30 °C. Queste indicazioni sono molto importanti perché l’impianto del carciofo propagato per “seme” si effettua solitamente a partire da luglio fino a settembre. Il ciclo di produzione delle piantine in vivaio avviene in estate (sono di solito necessari 35-50 giorni per ottenere piantine pronte per il trapianto); pertanto in questo periodo è indispensabile controllare la temperatura di germina-
Serra per la moltiplicazione del Brindisino Ottima uniformità delle piantine propagate per “seme”
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tecnica vivaistica zione in vivaio con sistemi di raffrescamento o porre i “semi” in opportune camere di germinazione. Risultati discordanti sono stati osservati con la tecnica del priming (i trattamenti di idratazione del “seme” in mezzo liquido o solido umidificato, effettuati prima della semina per aumentare la contemporaneità e la velocità di germinazione). Con il condizionamento osmotico dei “semi”, non sono stati ottenuti risultati soddisfacenti, mentre indicazioni positive sono state osservate con il condizionamento matriciale (–1,2 Mpa) e la semina al termine del trattamento stesso. La fertilizzazione è un aspetto molto importante per la produzione di piantine di buona qualità. È necessario che gli apporti di fertilizzanti, soprattutto N-P-K, siano bilanciati e non eccessivamente elevati per evitare che le piantine presentino tessuti ricchi di acqua o, al contrario, abbiano una crescita stentata. Recenti prove sperimentali hanno individuato in 200-275-80 mg/l la concentrazione ottimale di N-P-K nella soluzione nutritiva che garantisce l’ottenimento di piantine di carciofo di ottima qualità (in termini di accrescimento, numero di foglie e contenuto di sostanza secca). I migliori risultati si ottengono abbinando questa soluzione nutritiva, completa di microelementi e distribuita tre volte a settimana, con l’allevamento delle piantine in contenitori di 60 alveoli. I risultati migliorano, a parità di dose, utilizzando azoto in forma ureica piuttosto che come nitrato ammonico.
Piantina con ottimo apparato radicale
Piantine pronte per essere commercializzate
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il carciofo e il cardo
ricerca Risanamento da virus Marina Barba
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Risanamento da virus Produzione di germoplasma di carciofo sanitariamente valido Il controllo delle malattie virali, com’è noto anche per le altre colture di interesse agrario, è di tipo preventivo e si basa sulla produzione e sull’utilizzo di materiale di propagazione sanitariamente idoneo. La messa a punto, pertanto, di efficaci metodi di risanamento è un prerequisito indispensabile per l’ottenimento di piante madri virus esenti da cui avviare, attraverso il coinvolgimento di strutture vivaistiche adeguate, la produzione su larga scala di piante di carciofo commercializzabili nel rispetto delle norme fitosanitarie vigenti. Tecniche colturali innovative, quali la propagazione in vitro, associata o meno alla termoterapia, aprono prospettive interessanti per l’ottenimento di piante madri virus esenti e il conseguente miglioramento sanitario del carciofo, attività particolarmente importante per alcuni ecotipi locali fortemente degradati e a elevato rischio di scomparsa. Certamente la propagazione in vitro non garantisce automaticamente l’eliminazione dei virus; infatti, la probabilità di eliminazione dipende dalle dimensioni del meristema di partenza: più questo è piccolo (0,4-0,6 mm), maggiori sono le probabilità di risanamento che va, comunque, sempre accertato con opportuni saggi diagnostici ripetuti nel tempo. L’esperienza maturata applicando la coltura d’apice, associata o meno alla termoterapia in vitro, al risanamento delle varietà più importanti del carciofo
Norme fitosanitarie
• Con il D.M. del 14.4.1997, pubblicato
sul S.O. n. 122 alla G.U. n. 126 del 2.6.1997, relativo alle “Norme tecniche sulla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione di ortaggi, ad eccezione delle sementi”, vengono fissati i requisiti minimi che le giovani piantine di carciofo devono avere per poter circolare liberamente sul territorio. Tali norme elencano, inoltre, gli organismi nocivi che devono essere assenti dal materiale di propagazione contrassegnato come appartenente alla categoria C.A.C. (conformitas agricolae communitatis)
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risanamento da virus tardivo coltivate nell’Italia centrale (cultivar C3, Grato1, Grato 2, Castellammare, Tondo di Paestum, Bianco di Pertosa) ha evidenziato che la termoterapia in vitro presenta alcune difficoltà di applicazione in quanto le alte temperature inducono nel carciofo il riposo vegetativo, per cui non è possibile eseguire cicli termoterapici molto lunghi, riducendo, così, l’efficacia del trattamento. È noto, infatti, che le probabilità di risanamento sono direttamente proporzionali ai tempi di esposizione a 38 °C. Inoltre, gli espianti termotrattati manifestano ricorrenti fenomeni di vetrificazione che determinano una difficoltà di crescita e sviluppo degli apici, provocandone, nei casi più gravi, la morte. La coltura d’apice si è confermata un’ottima tecnica di risanamento consentendo di ottenere un’elevata percentuale di germoplasma privo di virus, anche se la probabilità di successo dipende dalle caratteristiche intrinseche degli ecotipi sottoposti a risanamento: le varietà campane Bianco di Pertosa e Tondo di Paestum, ad esempio, hanno mostrato una grande adattabilità alle condizioni di allevamento in vitro, consentendo di ottenere un’elevata percentuale di piantine capostipiti virus esenti. Altre varietà, invece, hanno confermato che il carciofo è una specie vegetale che mal si adatta alle condizioni artificiali della micropropagazione. Il punto critico è soprattutto nelle fasi iniziali, quando si possono verificare fenomeni di ingiallimento e/o imbrunimento della base dell’espianto a contatto col mezzo di coltura, probabilmente dovuti al rilascio di sostanze ossidanti presenti in elevata concentrazione nei tessuti. È necessario sottolineare che l’avvenuto risanamento deve sempre essere confermato utilizzando specifiche analisi diagnostiche che, ripetute periodicamente fin dalle prime fasi di coltivazione in
Ingiallimenti diffusi della lamina fogliare di piante di carciofo infette da virus
Piante infette producono capolini di ridotte dimensioni accompagnati da malformazioni e necrosi delle brattee
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ricerca vitro, permettono di rilevare le particelle virali in piantine provenienti da apice, consentendo di eliminare prontamente i germogli infetti e di ridurre gli elevati costi di allevamento generalmente sostenuti in un laboratorio di coltura dei tessuti. I metodi molecolari frequentemente utilizzati consentono di rilevare concentrazioni minime del virus in esame rilevando immediatamente eventuali “falsi risanati”. Il risanamento attraverso la coltura d’apice in vitro è un processo complesso e relativamente lungo (circa 8 mesi), che prevede le seguenti fasi operative:
Diagnosi molecolare nel risanamento in vitro
• Nel corso dei processi di risanamento
il titolo virale può essere molto basso e solo l’utilizzo di tecniche di diagnosi molto sensibili può rilevare la presenza del virus che si vuole eliminare
• Le tecniche molecolari, in particolare
– Sterilizzazione degli apici vegetativi e loro messa in vitro I carducci raccolti in periodo autunnale (ottobre-novembre) sono puliti, privati delle foglie fino a raggiungere l’apice vegetativo di circa 1 cm di grandezza, e lavati sotto acqua corrente per 30 minuti. Successivamente vengono sterilizzati, trasferiti su un terreno di crescita solido e mantenuti in camera di crescita a una temperatura di circa 23 °C, luminosità di 3500-4000 lux e un fotoperiodo di 16 ore luce. Dopo circa un mese gli apici devono essere trasferiti su terreno di moltiplicazione. – Mantenimento e micropropagazione. Le piantine ottenute vengono sottoposte a successivi cicli di moltiplicazione su substrato al fine di ottenere una popolazione omogenea di piantine su cui eseguire il risanamento. – Risanamento mediante coltura d’apice. Dai germogli di carciofo allevati in vitro viene isolata la cupola meristematica di dimensione variabile tra 0,2 e 0,4 mm a seconda che siano presenti o meno i primordi fogliari. Gli apici sono posti sul terreno solido di crescita RP, allevati in tubi da 10 ml per circa 30 giorni, quindi trasferiti sul substrato di moltiplicazione. In questa fase è possibile, utilizzando idonee tecniche di analisi molecolare (RT-PCR), eseguire una diagnosi precoce che consenta di eliminare i germogli ancora infetti dal virus, evitando, così, i costi di mantenimento in vitro di materiale non risanato. – Radicazione e ambientamento. Le piantine, giunte a 2-2,5 cm di altezza, possono essere trasferite, per la radicazione, su un substrato contenente una dose dimezzata di vitamine, macro e microelementi di Murashige e Skoog (1962) addizionato con 0,1 mg/l di acido indolacetico, 0,1 mg/l di acido naftalenacetico, 30 g/l di saccarosio, 1 g/l di carbone attivo e 8 g/l di agar. Le piantine radicate vengono, quindi, trapiantate in vasetti di torba e mantenute per circa 7 giorni nelle medesime condizioni di temperatura e luminosità del vitro. Successivamente sono acclimatate in una serra termocondizionata che assicura un’elevata umidità relativa.
la trascrizione dell’RNA virale in cDNA seguita dall’amplificazione a catena della polimerasi (RT-PCR) o l’ibridazione molecolare, a partire da estratto di RNA totale, sono in grado di rilevare concentrazioni bassissime del virus dimostrandosi particolarmente idonee a questo scopo
• È molto importante, pertanto, verificare l’efficacia dei metodi di diagnosi utilizzando come matrice di controllo anche materiale allevato in vitro. Non sempre, infatti, una tecnica di diagnosi che è efficace su matrici fresche conferma le sue capacità nel diagnosticare l’agente infettivo in giovani piantine allevate in vitro
Giovani germogli in moltiplicazione pronti per essere analizzati con saggi molecolari necessari a verificare l’avvenuto risanamento
Applicando questa tecnica di risanamento, è stata ottenuta una ricca collezione di germoplasma di carciofo tardivo, caratteriz344
risanamento da virus
Scelta del materiale di propagazione
• L’uso di materiale di propagazione
infetto è la causa principale della diffusione di agenti virali. Ad eccezione di alcune aziende specializzate, infatti, la produzione di piantine per nuovi impianti viene effettuata dall’agricoltore prelevando i carducci nei mesi estivi da piante giunte alla fine del ciclo vegetativo e sulle quali, quindi, è impossibile osservare la presenza di eventuali sintomi virali. La produzione di germoplasma esente da virus è alla base dello sviluppo di un vivaismo rispondente ai requisiti qualitativi e fitosanitari richiesti dalle normative vigenti. La coltura d’apice consente di costituire piante madri sane appartenenti ai più importanti ecotipi coltivati negli areali carcioficoli italiani
Radicazione di giovani piantine risanate
zata dalla presenza di numerosi cloni (circa 40) appartenenti alle principali varietà di carciofo tipo Romanesco, e capace di fornire alcuni cloni particolarmente promettenti ad alcune strutture vivaistiche che ne stanno verificando l’adattabilità a una propagazione su larga scala, che ne consenta il successivo utilizzo vivaistico. Alcune prove sperimentali in pieno campo hanno confermato l’elevata performance agronomica delle giovani piantine di carciofo risanato che hanno mostrato un’elevata uniformità dei parametri vegeto-qualitativi in tutte le fasi di allevamento in campo e una produttività, in termini di qualità e quantità, notevolmente superiore e statisticamente significativa rispetto al controllo infetto.
Panoramica di una carciofaia allestita con materiale risanato: si noti l’uniformità della vegetazione e la produttività, in termini di qualità e quantità delle piante
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