La Fragola - Paesaggio

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La fragola botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


la fragola

paesaggio Fragola in Sicilia Fabio D’Anna, Giovanni Curatolo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola in Sicilia Introduzione La fragola in Sicilia è coltivata da molto tempo, ma solo nell’ultimo quarantennio ha assunto un’importanza di rilievo. Nel 2009, la superficie si è attestata sui 350 ha, dislocata per oltre il 70% nella provincia di Trapani (Marsala, Petrosino, Mazara e Campobello di Mazara); le rimanenti superfici si rinvengono invece nelle province di Siracusa, Catania, presso le pendici dell’Etna, e Messina, sulle zone montuose dei Nebrodi. La diffusione della fragolicoltura è certamente legata a particolari condizioni pedoclimatiche e alla disponibilità di acqua irrigua di ottima qualità. Lo spazio idrico riconoscibile nel tempo, così come è stato tramandato dagli Arabi, in Sicilia si è rinnovato e ampliato grazie ai ritrovamenti di nuove falde idriche. L’acqua ancora una volta ha permesso di ridisegnare i diversi pae­saggi agricoli definendo nuove permanenze pur conservando i segni della tecnica agricola precedente. Sono state le coltivazioni che si sono succedute negli anni a definire il paesaggio di questi territori descrivendone peculiarità e specificità, dovute sia al tramandarsi delle tradizioni agricole sia alle innovazioni che l’agricoltura moderna ha acquisito. Queste modifiche sono state anche di tipo morfologico se si fa riferimento alla trasformazione in terreni agricoli coltivabili di parte dei suoli rocciosi denominati Sciare, che si estendono tra Marsala e Mazara del Vallo.

La fragola nella provincia di Trapani

• La coltura della fragola in quest’ultimo

quarantennio ha avuto nella provincia di Trapani notevole espansione, insediandosi esclusivamente in ambiente protetto. Rappresenta un esempio di rapida evoluzione tecnica, produttiva ed economica. Le produzioni di fragola che si realizzano lungo la fascia costiera occidentale dell’Isola, nel territorio di Marsala, Petrosino e Mazara del Vallo, si impongono sui mercati nazionali e nord-europei per l’ottima qualità del prodotto e grazie alla capacità di spingere al massimo la precocità di maturazione con bassi costi energetici

Coltivazione di fragola sui monti Nebrodi

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fragola in Sicilia La fragolicoltura presente in questi ultimi territori trae proprio origine dalla qualità dell’acqua presente nel sottosuolo roccioso giustificando così la trasformazione dei litosuoli in terreni agricoli coltivabili. La coltura della fragola, infatti, in questi areali ha ridefinito il contatto tra i borghi rurali di Bufalata, Ciavolo, Ciavolotto, Santo Padre, e Samperi, nelle cui campagne ai filari delle colture ortive di pieno campo si sono sostituiti sistemi protettivi più stabili come le serre e i tunnel. Oggi, nel Marsalese è possibile realizzare una produzione che si distingue sul mercato nazionale ed estero per la capacità di produrre fragole in epoca anticipata, dai mesi di novembre-dicembre fino alla successiva tarda primavera, non trovando concorrenza nella prima fase produttiva con la fragolicoltura della Piana del Sele, di Battipaglia e Metaponto. Inoltre, in queste zone della Sicilia, grazie alla mitezza del microclima è possibile realizzare produzioni precocissime a dicembre e a gennaio che permettono di rifornire, per prime, i mercati del Nord, sebbene con limitati quantitativi di prodotto. La specie spontanea (Fragaria vesca, fragolina di bosco) che cresce nelle radure boschive, lungo i muretti, nei luoghi semiombrosi e ai bordi di prati e ruscelli dei rilievi della Sicilia, necessita di un giusto equilibrio fra sole e umidità; i frutti, che sono prodotti a seguito di una sola fioritura (piante unifere) e maturano dalla primavera fino all’estate, attirano lo sguardo per il loro colore rosso che rallegra la vista, inebriano con il loro intenso profumo e deliziano con il loro gradevole sapore. Botticelli nella sua celeberrima Primavera, dipinta nel 1490, rappresenta le fragole nel prato del bosco dove splendide creature coperte di veli trasparenti simboleggiano l’amore che si dona, si riceve e si restituisce; e ancora, Renoir nel 1908 viene attratto dai frutti di fragola per esprimere una immagine di allegria e vivacità

Sciare

• Dal punto di vista pedologico nell’area

occidentale della Sicilia, in cui è insediata la fragolicoltura, si trovano le terre rosse mediterranee e anche un’ampia zona di litosuoli denominati Sciare, ossia terre aride. Tali formazioni sono caratterizzate da uno spessore di roccia calcarea di circa 30 cm che, sottoposta a lavorazione con potenti mezzi meccanici, realizza un substrato artificiale poco profondo ma ricco di carbonato di calcio, di ossidi di ferro, di alluminio, di silice e potassio ma povero in sostanza organica, in N2 e in P2O5. Il substrato contiene sabbia all’85% e risulta molto poroso e incoerente, con basso tenore in elementi colloidali

Chamaerops humilis (palma nana o giummara), pianta tipica del paesaggio delle sciare Sciare con tipica vegetazione xerofitica

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paesaggio scoprendo l’opportunità di concentrarsi unicamente su forma e colore. La fragolina era anche il frutto prediletto sia da san Giovanni Battista, sia da san Francesco di Sales, che ne lodava la fresca innocenza e il meraviglioso sapore. Gli antichi Romani la chiamavano fragrans perché conoscevano e apprezzavano il profumo di questo frutto, che nell’iconografia medievale diviene il simbolo della tentazione. I fiori simboleggiano stima e amore. Se è vero che la fragola era conosciuta sin dai tempi antichi, i tipi di fragole che sono oggi in commercio hanno origini abbastanza recenti. La fragola, infatti, venne introdotta in Sicilia all’inizio del ’900 dall’amministrazione della ducea di Nelson, proprietaria dell’Abbazia di Maniace, delle terre e della città di Bronte alle pendici dell’Etna dal dicembre 1798, quando Ferdinando I re delle Due Sicilie concesse tali territori al famoso ammiraglio, in segno di riconoscenza per l’aiuto apportato nella repressione della giovane Repubblica di Napoli. Furono proprio le produzioni di fragola e fragolina che resero famoso questo territorio sulle pendici dell’Etna. La coltivazione intensiva è stata invece introdotta negli anni ’50 del secolo scorso sui terreni di origine lavica, le cosiddette “terre morte”, senza l’ausilio di irrigazione artificiale. Negli anni ’60 del secolo scorso, con il rinvenimento di acque di falda, la coltivazione si è spostata più a valle con notevoli incrementi sia di superficie sia di produzione unitaria. Negli anni ’70-’80 la coltivazione della fragola ha subito una drastica contrazione dovuta alle scarse precipitazioni, che hanno diminuito la portata d’acqua dei pozzi. Dall’ultimo decennio questa specie è in netta ripresa sia per la scoperta di falde acquifere sotterranee e la costruzione di nuovi

Sciare prima della trasformazione agricola

• Le Sciare non trovavano alcuna

utilizzazione agricola se si escludono il magro pascolo invernale e la raccolta delle foglie di Chamaerops humilis (palma nana), che fino agli anni ’80 venivano intrecciate da artigiani locali per la produzione di contenitori di forme e dimensioni varie come coffe, zimmili e scope

Trasformazione delle sciare: frangipietre mentre esegue la lavorazione dopo il passaggio del ripper e l’allontanamento del pietrame mediante ruspe

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fragola in Sicilia pozzi da cui attingere, sia per l’introduzione nel territorio della coltivazione di accessioni rifiorenti. Attualmente, la superficie coltivata a fragola e a fragolina nel comprensorio dell’Etna (Bronte e Maletto) si attesta sui 50 ha. Viene ancora coltivata la vecchia varietà francese Madame Moutot, a frutto grosso, che possiede delle proprietà, intese come profumo, sapore e colore, che la rendono unica. Purtroppo il difetto maggiore è la scarsa consistenza della polpa che ne limita la commercializzazione. Tra le fragoline di bosco si coltivano i biotipi Alpine e Regina delle Valli, entrambi rifiorenti e non stoloniferi, che danno una produzione variabile tra 10 e 20 t/ha in funzione della coltivazione, in pien’aria o in ambiente protetto. I frutti di questi biotipi sono destinati prevalentemente all’industria dolciaria. Si è ridotta notevolmente la coltivazione della fragolina di bosco di tipo unifero locale, originaria dei boschi, che produce un frutto con caratteristiche di qualità, ma con rese molto basse che arrivano appena a 4-5 t/ha. La fragola a frutto grosso (Fragaria x ananassa), fino agli anni ’60 del secolo scorso, veniva coltivata su modeste superfici anche nelle province di Siracusa e Catania utilizzando varietà europee. Agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso è stata introdotta in ambiente protetto lungo la fascia occidentale dell’isola, soprattutto nella provincia di Trapani, dove ha trovato condizioni pedoclimatiche favorevoli. La diffusione della coltura è stata agevolata dalle cultivar di origine californiana, Aliso e Sequoia soprattutto, che dalla fine degli anni ’70 hanno trovato riscontri climatici soddisfacenti per estrinsecare le loro capacità produttive, seppur con qualche limitazione di ordine biologico.

Piante della cultivar Sequoia coltivate in serra tipo Sicilia negli anni 1970-80

Fragolina rifiorente Regina delle Valli

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paesaggio Sequoia si è diffusa principalmente grazie alla spiccata precocità di maturazione e alle buone caratteristiche organolettiche dei suoi frutti, di forma conica regolare. Dagli inizi degli anni ’80, Sequoia è stata gradualmente sostituita da Douglas, sempre di origine californiana, che ha determinato un aumento negli standard qualitativi del frutto. A metà dello stesso periodo sono state introdotte altre cultivar come Chandler, Parker, Santana e Tustin, oltre alle rifiorenti neutrodiurne Fern e Selva. Chandler, fra queste, è stata l’unica capace di soppiantare Douglas a partire dagli anni ’90 per l’elevata produttività, le ottime caratteristiche di consistenza, colore, brillantezza e qualità organolettiche dei frutti. Questa varietà leader, per un decennio, della fragolicoltura siciliana è stata poi sostituita da Tudla®Milsei di origine spagnola, ma con parentali californiani, che si è affermata soprattutto per l’elevata precocità di maturazione e la grossa pezzatura dei frutti, di colore rosso brillante. Tudla®Milsei è risultata essere l’unica varietà coltivata per più di un decennio in Sicilia. Attualmente, occupa non oltre il 25% della superficie investita a fragola nell’Isola. Tra le nuove cultivar si segnalano Camarosa e Candonga®Sa­ brosa; quest’ultima, di origine spagnola, è sicuramente quella che sta riscontrando i maggiori successi da parte sia dei produttori sia dei consumatori. Produce frutti di eccezionali caratteristiche qualitative e organolettiche con notevole consistenza della polpa, che garantisce una lunga shelf life nel post-raccolta. Candonga è di media precocità e non molto produttiva, tuttavia impiegando piante fresche con pane di terra (cime radicate) si riesce a ottenere maggiore precocità di maturazione e un aumento di produzione.

Fragoleto di Fern coltivato nelle montagne siciliane

Frutti di Tudla appena raccolti e lasciati sulla prode

Fragoleto di Candonga coltivato in serra Frutti di Camarosa prodotti da piante fresche messe a dimora in autunno

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fragola in Sicilia Tecnica colturale Gli indirizzi produttivi sono riconducibili in prima istanza alle caratteristiche del prodotto. Per le fragole a frutto grosso, i sistemi e i cicli di coltivazione che si configurano sono ormai numerosi. Le varianti che maggiormente entrano in gioco sono: la tipologia di pianta, l’epoca di impianto, la durata del ciclo, l’ambiente di coltivazione e la cultivar. Il periodo di raccolta è assicurato dalle differenti condizioni dei luoghi di produzione della Sicilia, che vanno dalle zone rivierasche della provincia di Trapani fino alle pendici dei monti Nebrodi e al Parco dell’Etna. Le coltivazioni più anticipate sono quelle della Sicilia occidentale, in virtù delle condizioni climatiche autunno-vernine nettamente più miti rispetto alle altre zone fragolicole siciliane. Le differenziazioni di maggiore rilievo nell’ambito del comparto riguardano la tipologia di frutto: fragola a frutto grosso e fragolina. La possibilità di realizzare cicli di produzione variabili è legata all’uso di materiali specifici e alle tecniche di propagazione. Per la fragola a frutto grosso, il ciclo autunno-invernale-primaverile interessa circa l’80% di tutta la superficie fragolicola siciliana e viene attuato utilizzando piante fresche a radice nuda o con pane di terra (cime radicate). Questo interesse è dovuto principalmente all’influenza del clima, con temperature invernali minime, all’interno degli apprestamenti protettivi, che non scendono quasi mai al di sotto dei 4 °C e con le massime che spesso superano i 30 °C, nonché all’insolazione che si mantiene elevata per tutto il periodo di coltivazione. In queste condizioni le piante manifestano una continua attività vegeto-produttiva dall’autunno all’inizio dell’estate. Il trapianto viene effettuato generalmente nella seconda decade di settembre per le cime radicate, circa con un mese in anticipo rispetto

Situazione varietale in Sicilia

• Certamente la scelta delle varietà

costituisce il momento più importante per la riuscita dell’impianto; esclusiva della Sicilia rimane la possibilità di realizzare la più precoce maturazione dei frutti di fragola. Cultivar di origine californiana, che hanno favorito lo sviluppo della fragolicoltura siciliana, sono state: – Aliso e Sequoia, negli anni ’70 – Douglas e Chandler, negli anni ’80 – T udla®Milsei, di origine spagnola ma con parentali californiani, dagli anni ’90 fino a oggi –C andonga®Sabrosa, sempre di origine spagnola con parentali californiani, è sicuramente quella che sta riscontrando i maggiori successi per le caratteristiche qualitative e organolettiche dei frutti – Naiad®CIVL35, cultivar di origine italiana apprezzata per la precocità – Nora, caratterizzata anch’essa da precocità e rusticità delle piante, con frutti di elevata dolcezza – Albion, cultivar neutrodiurna interessante per la precocità di maturazione

Piante di Candonga coltivate sotto tunnel multiplo nel Marsalese

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paesaggio alle piante fresche a radice nuda. La forzatura delle piante viene eseguita normalmente nei primi giorni di novembre. Attualmente l’orientamento dei fragolicoltori è rivolto verso tunnel multipli realizzati con archi metallici zincati e campate di 5 m di larghezza, con altezza in gronda di 1 m e di 2,5 m al colmo, coperti con film di polietilene additivato con EVA, non fissato in gronda per consentire l’apertura laterale, al fine di permettere una migliore aerazione rispetto ai tunnel singoli e di conseguenza condizioni più favorevoli alle piante con produzioni di maggiore qualità. Fino a poco tempo fa, si ricorreva all’utilizzo di tunnel semplici, larghi 4 m, alti al colmo 2 m, lunghi 30-50 m, con struttura portante in archi metallici e copertura con film di polietilene senza aperture laterali. In questi tunnel le temperature nelle ore di massima insolazione anche nei periodi invernali, in concomitanza della fase di antesi e della produzione, potevano raggiungere e superare i 35 °C, compromettendo la fase di allegagione e aumentando la percentuale di frutti deformati. In primavera, lo stress subito dalle piante induceva nei frutti riduzione di pezzatura, calo del grado rifrattometrico e durezza della polpa. L’impianto d’irrigazione a microportata ha sostituito i vecchi sistemi di irrigazione per scorrimento e a pioggia, responsabili dell’insorgere di fenomeni di marcescenza nei frutti e del manifestarsi di malattie fungine. I sistemi d’irrigazione ad ala gocciolante consentono una migliore uniformità nella distribuzione dell’acqua irrigua, oltre che la possibilità di ricorrere alla fertirrigazione. Tale sistema irriguo permette un risparmio in acqua pari al 50% con aumenti di produzione e migliore qualità dei frutti. In Sicilia, nel restante 20% delle superfici destinate a fragole, l’impianto viene effettuato in estate con piante frigoconservate. La coltura fuori suolo della fragola, pur apprezzata dai produttori siciliani perché si pone come mezzo alternativo alla fumigazione

Tipologia di piante impiegate

• L’impianto dei fragoleti siciliani viene effettuato:

– in estate con piante frigoconservate – in autunno con piante fresche

• Tali tipologie garantiscono un periodo

di raccolta compreso tra i mesi di dicembre e giugno. Le prime a produrre sono le piante fresche con pane di terra dette anche cime radicate, nel periodo di dicembre; seguono le piante fresche a radice nuda a gennaio-febbraio e infine a marzo entrano in produzione le piante frigoconservate

Azienda tipica del Marsalese con coltivazione di fragole su terreno proveniente dalla trasformazione delle sciare

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fragola in Sicilia del terreno e soprattutto perché riduce i tempi tra trapianto e raccolta, garantendo produzioni più elevate rispetto alla coltura in situ, occupa una superficie ancora limitata, dovuta alla mancata disponibilità di materiale di propagazione idoneo a tale sistema produttivo: piante già ingrossate di varietà adatte all’ambiente siciliano. La coltura viene effettuata utilizzando sacchi di torba o fibra di cocco spesso posti direttamente sul terreno baulato, rialzato di circa 1 m, o su strutture di legno o cemento. Attualmente si ricorre a piante fresche a radice nuda o con pane di terra (cime radicate) con trapianto autunnale; la coltura per diffondersi avrebbe bisogno di una razionalizzazione della tecnica colturale, soprattutto nella scelta delle cultivar e nel materiale vivaistico, che dovrebbe fornire piante fresche già ingrossate. Tra le tecniche a basso impatto ambientale, alternative all’impiego di sostanze chimiche, assume particolare importanza la solarizzazione del terreno da adibire a fragoleto. Tale tecnica consiste nel ricoprire con film plastico trasparente la superficie del terreno da trattare, già saturo di acqua, cosicché sfruttando la radiazione solare per innalzare la temperatura si favorisce l’instaurarsi di condizioni idrotermiche idonee al contenimento degli agenti biotici e la riduzione della vitalità degli organi di propagazione delle malerbe. Com’è noto, però, l’efficacia di tale tecnica è variabile in relazione all’entità degli innalzamenti di temperatura raggiunti dal terreno, alla loro durata, alla profondità fino alla quale tali incrementi si rivelano utili, alla sensibilità termica dei parassiti e alla loro carica di inoculo. È stato dimostrato che la solarizzazione è efficace se la temperatura del terreno supera per 500 ore valori non inferiori a 37-40 °C, generalmente riconosciuti come soglia termica utile per una riduzione del carico di microrganismi dannosi. In Sicilia la tecnica della solarizzazione si sta diffondendo in molte aziende e i primi risultati appaiono di un certo interesse agronomico se il

Frutti di Naiad

Fragole coltivate sotto tunnel singolo a basso impatto ambientale

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paesaggio terreno rimane coperto per circa due mesi (luglio e agosto) con polietilene trasparente. Fragolina di bosco (F. vesca)

Coltivazione della fragolina La fragolina di bosco a frutto piccolo, coltivata principalmente agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso nella provincia di Agrigento, nelle zone limitrofe di Sciacca fino alla vallata del fiume Verdura e conosciuta come Fragolina di Ribera, ha avuto la sua massima espansione negli anni ’70 del secolo scorso quando ha raggiunto i 100 ha, a cui è seguito un ventennio di modesto decremento mentre nell’ultimo decennio ha subito una significativa riduzione di superficie fino agli attuali 10 ha. Cause di questa flessione sono da attribuirsi alle basse rese produttive, 4-6 t/ha,, agli elevati costi di produzione, soprattutto di raccolta (meno di 1 kg per ora di lavoro) e alla onerosità delle operazioni colturali, riguardanti principalmente l’eliminazione delle erbe infestanti, che vengono eseguite manualmente. Viene coltivata un’accessione di origine locale, Fragolina di Ribera, originaria dei boschi siciliani, pianta unifera con notevole variabilità genetica, fortemente stolonifera, soggetta a stagionalità produttiva (maggio), con frutto medio-piccolo (inferiore a 1 g). La produzione per questo è destinata ai mercati centro-meridionali, che apprezzano la fragranza e la qualità organolettica dei piccoli frutti. Si tratta di una coltura poliennale (2-3 anni di coltivazione), l’impianto è realizzato in inverno su terreno sistemato ad aiuole o a prode baulate; le piantine vengono disposte a quinconce con densità di 5-6 piante a m2. La coltura viene effettuata a tappeto sfruttando la capacità stolonifera delle piante che, nello stesso anno dell’impianto, arrivano a coprire tutto il terreno. La produttività risulta in stretto rapporto con l’indice di copertura del

• In Sicilia si coltivano due tipologie di fragolina:

– unifera, spontanea nei sottoboschi, nelle radure boschive e nei luoghi semiombrosi dei rilievi della Sicilia, i cui frutti maturano dalla primavera fino all’estate e sono dotati di intensi profumi e gradevole sapore. Attualmente, per la scarsa resa a ettaro e per la stagionalità produttiva, la superficie si è ridotta a 10 ha, situati soprattutto nella provincia di Agrigento – rifiorente, con le accessioni Alpine e Regina delle Valli, che ha soppiantato la coltivazione della Fragolina unifera di Ribera, grazie alle maggiori produzioni unitarie e a un più ampio calendario di raccolta, anche se i frutti presentano una scarsa shelf life e una fragranza non paragonabile a quella della endemica siciliana

Raccolta dei frutti della fragolina unifera di Ribera

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fragola in Sicilia terreno per cui nell’anno dell’impianto la resa è più modesta, 2-3 t/ha, mentre nel secondo e nel terzo anno arriva fino a 6-8 t/ha. Agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso è stata introdotta in ambiente protetto, ma non ha trovato consenso da parte degli agricoltori principalmente per la stagionalità delle produzioni e le basse rese unitarie, mentre la fragolina rifiorente e non stolonifera ha trovato condizioni ottimali e apprezzamento da parte degli operatori. Attualmente, nell’areale del Marsalese (TP) vengono coltivate due accessioni, Alpine e Regina delle Valli, su una superficie di 18-20 ha, in coltura fuori suolo, in vaso riempito con fibra di cocco o torba e alimentato con soluzione nutritiva. L’impianto viene effettuato a fine estate con piante frigoconservate o a inizio autunno con materiale vegetante. La produzione in fuori suolo inizia circa 2 mesi dopo il trapianto e continua per 8-10 mesi con rese medie superiori a 1 kg di frutti a pianta. La densità d’impianto è di 2,5 piante/m2, con produzioni che arrivano a circa 20 t/ha. La qualità organolettica dei frutti di queste accessioni risulta inferiore alla Fragolina di Ribera, soprattutto per la minore fragranza e la poca resistenza della polpa. Raccolta, manipolazione e destinazione del prodotto La quasi totalità di fragole e fragoline raccolte in Sicilia viene commercializzata in vaschette di 150 g, poste in numero di 10 per confezione. Un operaio può raccogliere in una giornata lavorativa da 60 a 90 kg di fragole a frutto grosso, in relazione alla varietà e alla quantità di frutti maturi; per la Fragolina di Ribera la raccolta si riduce a 6-7 kg, mentre per le accessioni rifiorenti allevate in fuori suolo si raggiungono i 12 kg. La raccolta per il consumo fresco avviene quando almeno l’80% della superficie del frutto ha assunto il colore tipico della cultivar, mentre per il

Fragolina rifiorente allevata in vaso fuori suolo

Tipica coltivazione di Fragolina di Ribera allevata a tappeto al 2° anno d’impianto

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paesaggio prodotto da destinare all’industria di trasformazione si aspetta che tutto il frutto sia colorato di rosso intenso. Il numero di raccolte e il tempo medio delle staccate variano in relazione alla cultivar, all’epoca di inizio maturazione, alla tecnica colturale, all’andamento stagionale e alla tipologia di pianta. Generalmente, la fragola a frutto grosso coltivata in ambiente protetto, nel periodo invernale, quando la stagione è ancora fresca, si raccoglie settimanalmente ma, aumentando la temperatura, l’intervallo fra le staccate si riduce fino a 2-3 giorni. Per la fragolina in pien’aria, con accessioni unifere e produzioni fra aprile e maggio, la raccolta avviene ogni 5-6 giorni; in ambiente protetto con accessioni rifiorenti le raccolte possono essere settimanali in inverno e quasi quotidiane a primavera inoltrata. Il frutto destinato al consumo fresco deve essere integro, con il calice e un breve peduncolo per quelle a frutto grosso, mentre per le fragoline si raccoglie il frutto privo di calice e posto direttamente nella vaschetta. Conclusioni È dagli anni ’70 del secolo scorso che la fragola a frutto grosso, pur fra alterne vicende, è la regina incontrastata delle colture da frutto in ambiente protetto della costa occidentale della Sicilia. Nella provincia di Trapani la coltivazione si affianca a quella più tradizionale, ma estensiva, della viticoltura da vino, il cui prodotto tipico è il famoso Marsala, vino da dessert che anche nel gusto ben si concilia con la fragola e la fragolina. La fragolicoltura siciliana ha raggiunto in questi ultimi anni apprezzabili traguardi produttivi ed economici grazie alla vocazionalità dell’ambiente pedoclimatico e alla buona professionalità degli operatori locali.

Nonostante l’interesse per la coltivazione della fragolina di bosco, la fragola a frutto grosso rimane ancora oggi la coltura in ambiente protetto più diffusa in tutta la costa occidentale della Sicilia

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fragola in Sicilia Essa rappresenta una della principali fonti di reddito per le piccole aziende diretto-coltivatrici. Si calcola che in Sicilia il reddito lordo della coltivazione della fragola sia superiore a 20 milioni di euro e comporti un fabbisogno di mano d’opera pari a 400.000 giornate lavorative. Per quanto riguarda la fragolina, dal frutto con caratteristiche organolettiche di grande pregio, soprattutto quella spontanea (Fragolina di Ribera), apprezzata dai consumatori di tutta Italia e di non facile sostituzione, si ritiene necessiti di un programma di promozione e valorizzazione del prodotto e soprattutto di un progetto di ricerca che studi tecniche innovative in modo da aumentarne la produttività e ridurne i costi di produzione e di raccolta. L’utilizzo della fragolina rifiorente, sia in ambiente protetto nel versante settentrionale dell’isola sia lungo il versante dell’Etna e fino ai Nebrodi, ha assunto un ruolo importante soprattutto per la capacità produttiva che si protrae per oltre 8 mesi. Il prodotto ottenuto è destinato agli usi di pasticceria. In conclusione, il paesaggio fragolicolo siciliano si sposa molto bene con quello viticolo della Sicilia occidentale e con quello del Parco dell’Etna e dei Nebrodi, pur con le loro specificità di flora e fauna. Tuttavia la sua espansione è subordinata all’ottenimento di accessioni che rispondano al gusto del consumatore, che apprezza fragole dolci e profumate, ma anche del produttore siciliano, che ricerca invece varietà produttive e precoci che rie­scano a fruttificare con tecniche innovative a basso impatto ambientale come l’utilizzo di piante fresche coltivate su terreno solarizzato e in coltura biologica. Il clima caldo in estate e mite d’inverno e i terreni fertili trasmettono alla fragola fragranza, sapore e dolcezza, caratteristiche uniche che rendono riconoscibili questi frutti nei mercati essendo capaci di comunicare la solarità della Sicilia.

Confezioni di fragole siciliane, pronte per essere immesse sul mercato

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la fragola

paesaggio Fragola in Calabria Maurizio Funaro

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paesaggio Fragola in Calabria Introduzione In Calabria, tra le tante produzioni di punta, da alcuni anni v’è da annoverare anche il gustoso frutto che, nella varietà spontanea, una natura prodiga ha profuso a piene mani nei boschi montani e che la sapiente mano dell’uomo sta coltivando in aree di eccellenza come la Piana di Lamezia Terme (CZ). La produzione di fragola in Calabria riguarda quasi esclusivamente la specie a frutto grosso Fragaria × ananassa ed è concentrata quasi esclusivamente nell’areale citato, dove le condizioni climatiche, pedologiche (terreni sciolti, non calcarei e a pH neutro o subacido) e socioeconomiche (disponibilità di manodopera) sono particolarmente favorevoli per questa coltura, che rispetto alle altre presenti, come agrumi, olivo e ortive, ha assunto un ruolo economico predominante. Superfici limitate si trovano anche sulla fascia ionica catanzarese e reggina, in provincia di Vibo Valentia, nell’alto Ionio Cosentino e, recentemente, anche sull’Altopiano della Sila. In poco più di un decennio la fragolicoltura calabrese ha avuto un notevole sviluppo. Infatti, dalla metà degli anni ’90, quando prevaleva un sistema di coltura in campo aperto con l’ausilio della copertura realizzata in primavera con piccoli tunnel e la superficie complessiva era di circa 50-60 ettari, si è passati agli attuali 250-260 ettari, quasi tutti realizzati in coltura protetta sotto grandi tunnel e la Calabria, per estensione delle superfici, è al 6° posto in Italia. Negli ultimi anni hanno iniziato a svilupparsi anche sistemi di coltivazione tecnologicamente molto avanzati realizzati fuori suolo. L’affermazione della fragolicoltura in ambiente protetto ha consentito di sfruttare meglio le condizioni climatiche al fine di

Espansione ed evoluzione della fragolicoltura in Calabria

• Nell’arco di poco più di un decennio la

fragolicoltura in Calabria ha avuto un notevole sviluppo. Infatti, dalla metà degli anni ’90 quando, con il sistema di coltura in campo aperto, la superficie complessiva era di circa 50-60 ettari, si è passati agli attuali 250-260 ettari, quasi tutti realizzati in coltura protetta sotto grandi tunnel, che collocano la Calabria al 6° posto in Italia per estensione delle superfici. Questo processo ha comportato consistenti investimenti pubblici e privati, evidenziando una grande vitalità del comparto e un’elevata capacità imprenditoriale dei produttori di fragola calabresi

Fragoleti con impianti caratteristici degli anni ’90

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fragola in Calabria ottenere prodotto in epoca molto precoce e di sfuggire o limitare gli effetti di eventi climatici sfavorevoli sempre più frequenti nelle ultime annate (gelate, grandine). Questo processo ha comportato consistenti investimenti pubblici e privati (estensione delle superfici investite, realizzazione delle strutture di protezione come i tunnel), evidenziando una grande vitalità del comparto e un’elevata capacità imprenditoriale dei produttori calabresi. Infatti la coltivazione della fragola ha un alto rischio d’impresa, perché ha un lungo ciclo produttivo (circa nove mesi) e richiede elevati investimenti. È inoltre una coltura molto esigente per cui la coltivazione richiede alta specializzazione e capacità professionale. I pregi e l’importanza a livello nazionale delle produzioni calabresi di fragola sono essenzialmente dovuti a tre fattori: – le fragole calabresi sono tra le prime ad arrivare sui mercati (gennaio) e per precocità sono seconde solo alle produzioni della Sicilia; – l’elevata qualità dei frutti (sapore, brillantezza e intensità del colore, consistenza della polpa ecc.); – l’omogeneità dell’offerta varietale (attualmente tutta basata sulla varietà Camarosa).

Areale di coltivazione e importanza delle produzioni calabresi

• La produzione si attua quasi

esclusivamente nella Piana di Lamezia Terme (CZ), dove le condizioni climatiche, pedologiche e socioeconomiche sono particolarmente favorevoli per questa coltura

• I pregi e l’importanza a livello

nazionale delle produzioni calabresi di fragola sono essenzialmente dovuti alla precocità di inizio produzione e all’elevata qualità dei frutti

• Il sistema fragola in Calabria

garantisce redditività ai produttori, occupazione per molta manodopera stagionale e alimenta un importante indotto, rappresentato dall’entità dei mezzi tecnici impiegati per la coltivazione e dal considerevole flusso commerciale di esportazione a esso connesso

Tecnica colturale Il progressivo incremento della coltura protetta ha parallelamente prodotto modifiche nella scelta del tipo di piante utilizzate, che si è orientata sull’impiego prevalente di piante fresche (circa il 75%), preferite alle piante frigoconservate per i seguenti motivi: – maggiore precocità di produzione; – possibilità di posticipare la piantagione di circa un mese, con conseguente riduzione dei costi; – scalarità di maturazione dei frutti che permette un impiego più efficiente e razionale della manodopera;

85


paesaggio – migliori caratteristiche qualitative dei frutti, in genere di forma e pezzatura più uniformi e regolari durante l’intero ciclo produttivo, minore incidenza di frutti deformati e maggiore dolcezza. Il trapianto delle piante fresche viene effettuato durante tutto il mese di ottobre, circa un mese dopo rispetto a quelle frigoconservate. Si adottano prevalentemente tunnel multipli di grandi dimensioni realizzati con archi metallici zincati, coperti con film di polietilene additivato posto in opera prima della messa a dimora delle piantine, dotati di apertura laterale, al fine di consentire una buona aerazione. Si opera su terreno fumigato, sistemato in prode baulate, alte 25 cm e pacciamate con film di polietilene nero, forato, per file binate di 35 cm tra le file e 20 cm fra le piante lungo la fila, per una densità di circa 60.000-70.000 piante/ettaro; l’irrigazione si effettua a pioggia dopo la piantagione, poi con ala gocciolante posta sotto il film pacciamante. La raccolta è eseguita esclusivamente da manodopera femminile e avviene prevalentemente in vaschette da 125 o 250 g, poste in cassette di legno. Essa inizia in dicembre-gennaio, con frequenza settimanale durante la stagione invernale e si riduce a intervalli di 2-3 giorni in primavera. Il frutto destinato al consumo fresco si raccoglie fino alla fine di maggio e il ciclo colturale si conclude in giugno con il conferimento del prodotto residuo all’industria. È da rilevare una certa diffusione di tecniche innovative di produzione integrata, che prevedono la riduzione e la razionalizzazione dell’uso degli antiparassitari e l’ottenimento di un prodotto di alta qualità. Oggi è possibile affermare che gran parte delle produzioni calabresi presenta sufficienti garanzie igienico-sanitarie. Inoltre, una migliore valorizzazione e identificazione del prodotto è stata conseguita con l’istituzione, da parte di un’associazione

Tipologie di piante coltivate

• Si utilizzano prevalentemente piante

fresche a radice nuda (circa il 75%) di diversa provenienza (soprattutto da Spagna e Polonia), che in genere vengono trapiantate in ottobre e, in misura minore, piante fresche e cime radicate e frigoconservate messe a dimora a settembre. Tali tipologie garantiscono un periodo di raccolta compreso tra i mesi di dicembregennaio e giugno

Frutti di Camarosa, la cultivar dominante in Calabria Fragoleto sotto grande tunnel in un moderno impianto nella Piana di Lamezia Terme (CZ)

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fragola in Calabria di produttori, del marchio Fragole di Lamezia, registrato nel 2001, che è regolato da un Disciplinare di Produzione e viene utilizzato in fase di commercializzazione.

Situazione varietale in Calabria

Varietà Lo standard varietale calabrese è sempre stato dominato da varietà di origine californiana o spagnola. Negli anni ’80 erano diffuse le varietà californiane Aliso, Sequoia e Douglas, sosti­ tuite alla fine di quel periodo da Chandler e in misura minore da Pajaro, anch’esse californiane. In particolare Chandler è stata apprezzata per l’elevata produttività e le ottime qualità organolettiche dei frutti. Successivamente è stata introdotta Tudla®Milsei, di origine spagnola, che si è progressivamente affermata per la rusticità, il vigore vegetativo, la precocità e la produttività nonché per la bella forma allungata del frutto, con dei limiti rappresentati dalla scarsa consistenza e dal colore troppo scuro dei frutti nei periodi più caldi; essa ha dominato il panorama varietale calabrese fino alla fine degli anni ’90, quando ha iniziato a essere affiancata da Camarosa, un’altra varietà californiana. Da circa un decennio Camarosa è la varietà dominante in Calabria, dove ancora oggi rappresenta l’85% dell’insieme varietale. Essa ha trovato nell’ambiente pedoclimatico della Piana di Lamezia Terme (CZ), più che in ogni altro areale del Sud Italia, un adattamento ottimale ed è stata alla base dello sviluppo del comparto fragolicolo della regione, in virtù della precocità di maturazione, dell’elevata produttività e dell’alta qualità dei frutti, la cui buona consistenza della polpa consente di sfruttarne appieno il potenziale produttivo per l’intero arco temporale di raccolta. Da alcuni anni, tuttavia, i produttori calabresi manifestano la necessità di ricercare alternative varietali per differenziare e migliora-

• La fragolicoltura calabrese è da circa

un decennio quasi interamente basata sulla varietà californiana Camarosa. Questa varietà ha trovato nell’ambiente pedoclimatico della Piana di Lamezia Terme (CZ), più che in ogni altro areale del Sud Italia, un adattamento ottimale ed è stata alla base dello sviluppo del comparto fragolicolo della regione, in virtù della precocità di maturazione, dell’elevata produttività e dell’alta qualità dei frutti

• Candonga

Sabrosa mantiene una modesta presenza e riscuote indubbio interesse per le caratteristiche qualitative dei frutti, ma incontra difficoltà a diffondersi ulteriormente per la produttività poco elevata ®

• Negli ultimi anni si registra notevole

interesse per la nuova varietà Kilo. Questa varietà si è particolarmente distinta per la precocità di maturazione e l’elevato potenziale produttivo

Visione parziale della Piana di Lamezia e di una struttura protettiva (tunnel multipli di grandi dimensioni)

87


paesaggio re lo standard produttivo, anche in relazione ai difetti che la varietà Camarosa sempre più evidenzia nel periodo invernale, a causa di andamenti climatici ogni anno più sfavorevoli. Sono state quindi avviate alcune iniziative pubbliche tendenti a ricercare soluzioni varietali innovative a sostegno del sistema fragola. Tra esse ricordiamo l’attività di sperimentazione nell’ambito di campi varietali in cui, ogni anno, vengono valutate nuove varietà e selezioni diffuse in Italia quale risultato finale dei programmi di miglioramento genetico condotti nelle aree meridionali. Nell’ambito di tale attività, la nuova varietà Kilo, selezionata a Metaponto nel 2001, ha suscitato, da qualche anno, notevole interesse presso i produttori calabresi. Questa varietà si è particolarmente distinta per la precocità di maturazione, l’elevato potenziale produttivo e la regolarità della forma dei frutti, che sono di colorazione rosso brillante piuttosto attraente, e sta trovando spazio nel complesso varietale calabrese. Inoltre, l’importanza assunta dal comparto nell’ultimo decennio ha fatto ritenere strategico per la Calabria l’avvio di un programma di miglioramento genetico, direttamente sul territorio calabrese, finalizzato alla costituzione di nuove varietà pienamente adatte all’ambiente e dotate di elevate caratteristiche qualitative dei frutti. Questa azione viene svolta da organismi pubblici in stretta connessione con i produttori, con cui sono state costituite forme di gestione miste dei programmi.

Foto W. Faedi

Foto W. Faedi

Frutti di Camarosa

Vivaismo sull’Altopiano della Sila I territori d’altura di cui la Calabria è ricca – l’Altopiano silano, le Serre delle diverse province, l’Aspromonte – si prestano benissimo a essere dei vivai naturali e un’ulteriore fonte di reddito per le

Vivaio di fragola in Sila poco prima dell’estirpazione delle piante (ottobre)

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fragola in Calabria

Vivaismo sull’Altopiano della Sila

• Sull’Altopiano della Sila, negli ultimi

anni è stato avviato un processo innovativo di produzione di piante fresche interessante per gli areali di produzione del Sud Italia ed è stata dimostrata la possibilità di produrre in Calabria piante di fragola di alta qualità, evitando tutti gli inconvenienti connessi con l’impiego al Sud di piante prodotte in ambienti molto distanti dagli areali di produzione meridionali

Qualità delle piante fresche prodotte nei vivai della Sila

popolazioni locali, oltre a rappresentare una possibilità di mettere a frutto la terra e perciò di non abbandonarla. È per queste ragioni che da alcuni anni il vivaismo fragolicolo è stato individuato quale prospettiva di sviluppo socioeconomico di un’area svantaggiata di montagna quale l’Altopiano della Sila, dove si è dimostrato che è possibile produrre piante fresche di fragola di alta qualità, evitando tutti gli inconvenienti connessi con l’impiego di piante prodotte in altri ambienti (Spagna e Polonia) che attualmente sono largamente impiegate dai produttori calabresi: maggiori costi, ritardi nei tempi di consegna, difficoltà di ripresa vegetativa delle piante dopo la messa a dimora e alta incidenza di morie, a causa del troppo lungo periodo che intercorre fra l’estirpazione e la messa a dimora in campo e che, in generale, evidenziano scarsa continuità di risultati produttivi. I potenziali sbocchi dell’attività vivaistica silana sono rilevanti: basti pensare che nella sola Calabria attualmente si commercializzano circa 15-16 milioni di piante all’anno, ma essi interessano anche le altre regioni dell’Italia meridionale. Anche in questo caso, il connubio pubblico-privato ha reso possibile l’avvio di un processo innovativo con cui negli ultimi anni sono state conseguite produzioni di piante silane che, immesse sul mercato, sono state apprezzate dai produttori e dagli operatori del settore che le hanno impiegate o valutate, per i vantaggi registrati rispetto alle piante di altra origine vivaistica: un più rapido attecchimento all’impianto e successiva pronta ripresa vegetativa, anticipo di inizio produzione e, in molti casi, anche migliori performance produttive.

Estirpazione meccanica delle piante in un vivaio sull’Altopiano della Sila

Considerazioni conclusive e prospettive future L’attuale estensione territoriale della fragola (260 ha circa) nella realtà agricola della Calabria non è da trascurare, poiché si tratta di una coltura intensiva e da reddito.

Fragoleto del Lametino in piena produzione

89


paesaggio Su un ettaro, in cui vengono messe a dimora 60.000-70.000 piante, si possono ottenere produzioni di 400-450 q, che significano una produzione lorda vendibile pari a circa 100.000-120.000 euro/ha. Il fatturato attuale delle produzioni calabresi, secondo questi calcoli, dovrebbe quindi aggirarsi intorno ai 25 milioni di euro. Il sistema fragola in Calabria garantisce redditività ai produttori, occupazione per molta manodopera stagionale, soprattutto quella impiegata nelle operazioni di raccolta (da gennaio a giugno, limitate produzioni si ottengono anche in autunno), e alimenta un importante indotto rappresentato dall’entità dei mezzi tecnici impiegati per la coltivazione e dal considerevole flusso commerciale di esportazione (Nord Italia e, in misura minore, estero) a esso connesso. Per quanto riguarda gli impianti per la produzione del frutto, è improbabile prevedere nei prossimi anni significativi incrementi delle superfici attuali nell’area di eccellenza calabrese quale è la Piana di Lamezia Terme. Tale possibilità è fortemente limitata dalla difficoltà da parte delle aziende di reperire sufficiente manodopera stagionale, soprattutto per le operazioni di raccolta. Si tratta di un lavoro di stretto appannaggio femminile, che in passato ha garantito occupazione a molte donne dei centri abitati che gravitano intorno al territorio della Piana di Lamezia Terme. Da alcuni anni il ricambio generazionale nell’ambito di questa categoria di lavoratori non è più garantito, poiché le nuove generazioni preferiscono cercare impiego presso strutture turistico-alberghiere, supermercati, centri commerciali ecc. piuttosto che nei campi. L’ulteriore espansione della fragolicoltura da frutto in Calabria dipende dalla possibilità che essa riesca a svilupparsi anche in altre aree del territorio calabrese, come il Crotonese, l’alto Ionio Cosentino, nonché l’alta collina e la montagna dove potrebbero essere ottenute produzioni estive, compresa la fragolina di bosco, cioè in un periodo nel quale, attualmente, tranne alcune eccezio-

Fruttificazione di piante della varietà Kilo (ex selezione MT 99.163.22.), nuova varietà interessante per la Calabria

Evoluzione delle superfici (ettari) 300 250 200 150 100 50 0 Particolare dei frutti della varietà Kilo (ex selezione MT 99.163.22)

1994

2005

Pieno campo

90

2006

2007

Coltura protetta

2008

2009

2010

Superficie totale


fragola in Calabria ni, non esiste prodotto in tutto il Sud Italia. Lo sviluppo della fragolicoltura in queste aree potrebbe, tra l’altro, rappresentare una soluzione parziale della crisi di altri comparti agricoli. Lo sviluppo e l’importanza che la fragolicoltura ha raggiunto negli ultimi anni in Calabria autorizzano a ritenere meritevoli di considerazione ulteriori sforzi a sostegno di un comparto che ha tutti i requisiti per assumere caratteri di autentica eccellenza nel panorama agricolo regionale. L’obiettivo deve essere quello di proseguire l’azione di rinnovamento della fragolicoltura calabrese per renderla sempre più competitiva, nel panorama nazionale e anche rispetto agli altri Paesi del bacino del Mediterraneo. In particolare, è da ritenersi strategico il recente avvio dei programmi di miglioramento genetico direttamente sul territorio calabrese, svolti dagli organismi pubblici in stretta connessione e con il coinvolgimento dei produttori singoli e associati, finalizzato alla costituzione di nuove varietà pienamente adatte all’ambiente e dotate di elevate caratteristiche qualitative dei frutti. L’attività di miglioramento genetico rappresenta il naturale completamento nella filiera del processo innovativo innescato con le iniziative già realizzate negli anni passati – campi sperimentali tecnologici-varietali, vivaismo nelle aree di montagna, istituzione del marchio di qualità – e l’intero sistema, così integrato, porterà indubbi vantaggi di competitività al comparto, soprattutto se, con l’introduzione di opportune strategie di marketing e di metodologie di tracciabilità e rintracciabilità, si punterà a caratterizzare e rendere sempre più riconoscibile sul mercato il prodotto calabrese.

Confezione di frutti appena raccolti nel Lametino

Coltivazione di fragole fuori suolo Campo sperimentale nella Piana di Lamezia Terme

91


la fragola

paesaggio Fragola nel Metapontino Carmelo Mennone

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola nel Metapontino Introduzione La coltivazione della fragola in Basilicata fu introdotta nel Metapontino nel 1955, ma ebbe una certa diffusione solo alla fine degli anni ’60 raggiungendo la superficie di 70 ha. Nel corso degli anni ’70 si verificò un ulteriore incremento tanto da arrivare a circa 900 ha nel 1979, punto di massima superficie. L’espansione della coltivazione della fragola era allora favorita da manodopera a basso costo, dalla disponibilità di nuove aree irrigue, dalla presenza di nuovi imprenditori e da condizioni climatiche favorevoli, soprattutto nel periodo autunnale caratterizzato da temperature miti, anche nei mesi di ottobre e novembre, idonee alla differenziazione delle gemme, condizione indispensabile per un’abbondante fruttificazione in primavera. La coltivazione era effettuata soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare, in questo modo si riusciva ad abbattere i costi della manodopera. L’aumento dei costi di produzione, determinato dall’incremento del costo della manodopera, provocò a partire dalla metà degli anni ’80 una drastica diminuzione della superficie, con un aumento dei campi coltivati a ristoppio. Inoltre gli anomali andamenti climatici stagionali e l’uso di varietà non molto produttive ridussero la redditività dei fragoleti. Si ebbe un continuo declino delle superfici sino a raggiungere i 350 ha a metà degli anni ’90. Per un certo periodo l’entità delle superfici a fragoleto si è mantenuta costante, segnando però un incremento alla fine degli anni ’90 e il superamento dei 700 ha nei primi anni del 2000. Tale aumento è attribuibile al fatto che grossi gruppi di commercializzazione cooperativistici e privati hanno creato un bacino produttivo

Metapontino: area vocata alla coltivazione

• Il comprensorio del Metapontino deve il suo nome a Metapontum, una delle più antiche e floride colonie della Magna Grecia

• Questa pianura di natura alluvionale

occupa il litorale ionico per circa 35 km ed è stata nei secoli oggetto di enormi trasformazioni

• Le colture estensive, che un tempo

predominavano nell’area, hanno lasciato il posto a impianti specializzati di agrumi, pesco, albicocco, uva da tavola e, soprattutto, ai fragoleti

• Il clima tipicamente mediterraneo

dell’area, con inverni brevi e miti, la qualità delle acque, la fertilità dei terreni, hanno favorito lo sviluppo di una ortofrutticoltura di qualità, apprezzata in Italia e in Europa

Le Tavole Palatine, nel Metaponto, testimoniano il periodo delle antiche e floride colonie della Magna Grecia

Foto R. Angelini

92


fragola nel Metapontino nel Metapontino. Le produzioni lucane, di alto pregio, consentivano, a questi gruppi commerciali, di coprire periodi di mercato non soddisfatti dalle produzioni settentrionali. La ripresa e il rilancio sono avvenuti grazie all’introduzione di nuovi genotipi e alle elevate capacità imprenditoriali, che hanno permesso di puntare alla realizzazione di sistemi colturali tesi a massimizzare la qualità delle produzioni. La presenza di organizzazioni di produttori ha consentito agli imprenditori di partecipare attivamente a tutte le fasi della commercializzazione, dal conferimento alla lavorazione, dalla vendita alla liquidazione. A partire dal 2003 si è avuta una contrazione della superficie dei fragoleti, che si è poi stabilizzata intorno ai 400 ha dei nostri giorni. Evoluzione varietale Negli anni ’60 si introdussero varietà quali Surprise des Halles, Cambridge, Gorella e Pocahontas, successivamente sostituite da cultivar californiane a basso fabbisogno in freddo: Early Dawn, Sequoia, Sunrise, Aliso, Tioga, Tufts, Douglas. Negli anni ’80, quando la coltivazione in ambiente protetto rappresentava circa la metà di quella in pien’aria, furono introdotte cultivar come Pajaro, che si adattavano meglio in quanto selezionate in areali (California) simili per condizioni ambientali a quelli metapontini. Grazie all’intensa attività di miglioramento genetico, pubblica e privata, italiana e straniera, si è assistito, nel corso degli anni, an-

Evoluzione della superficie coltivata a fragola nel Metapontino 1000 902

900 800

730

700

660 680

677

Ettari

600 525

500

426 436 405

400 300 200 100 0

700

720

740 680 630

600 473 381

465

400 345

335

350

450

471 458 432

380

142 30

10 46 64 69 71 76 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 Anno

93


paesaggio

Foto A. Ambrico

Frutti della varietà Paros selezionata a Metaponto

che nel Metapontino a un rinnovo del panorama varietale con l’introduzione di nuove varietà: Eris, Miranda, Tudla, Tethis e Paros. All’inizio del terzo millennio è stato introdotto l’impiego di piante fresche e cime radicate, determinando così il cambiamento dello standard varietale, infatti si sono affermate nuove varietà come Candonga®Sabrosa, utilizzata negli impianti con piante fresche, come pure Ventana e Camarosa. Negli impianti con piante frigoconservate, invece, le cultivar più rappresentative sono Tethis, Naiad®CivI35, Siba.

Prode baulata e pacciamata con materiale plastico: particolare della messa in opera con apposita attrezzatura

Sistemi di forzatura Uno dei punti critici riguardo la mancata diffusione della coltivazione della fragola nei suoi primi anni di introduzione fu rappresentato dalle avverse condizioni climatiche alle quali erano esposte le colture di pieno campo. Soprattutto le ampie escursioni termiche

Standard varietale nell’annata 2009-2010 nel Metapontino 2% 2% 4,8% 2,2% 3,8% 6,6%

78,6%

I tunnel multipli hanno sostituito i tunnellini

94

Candonga

Camarosa

Kàmilà

Ventana

Amiga

Siba

Altre


fragola nel Metapontino e le basse temperature provocavano danni o determinavano l’arresto dell’attività vegetativa. La forzatura nei primi impianti veniva assicurata dalla pacciamatura effettuata con paglia; solo alla fine degli anni ’60 fu introdotta la pacciamatura con film plastici, mentre la paglia veniva utilizzata tra le bine. L’uso delle strutture di forzatura, piccoli tunnel e tunnel-serra, alla fine degli anni ’60, diede inizio alla diffusione reale e significativa della coltura. La coltivazione in coltura protetta, in un primo momento, venne effettuata sotto piccoli tunnel su una singola fila binata. L’uso di tunnel-serra di maggiori dimensioni consentì un miglior effetto serra, con la creazione di un microclima favoverole per la differenziazione a fiore anche nei mesi invernali. L’evoluzione della tecnica colturale della fragola, negli ultimi anni, ha avuto un notevole sviluppo con l’introduzione di materiali innovativi per la forzatura. La gestione dell’apertura dei tunnel, nel periodo primaverile, consente di ottimizzare le condizioni di temperatura e umidità, che svolgono un ruolo fondamentale sia per gli aspetti colturali (impollinazione) sia come fattore sfavorevole per lo sviluppo di patogeni fungini. L’impollinazione è ulteriormente favorita dalla diffusione dell’uso di insetti pronubi (bombi e api) sia indigeni sia di introduzione antropica.

Presenza della paglia tra le bine per mantenere puliti i frutti da residui terrosi

Tipologia di piante coltivate Nei primi anni di coltivazione si utilizzavano piante frigoconservate, messe a dimora a fine agosto, con raccolta primaverile, anche se iniziavano le prime esperienze di coltivazione per produzioni autunnali e primaverili (doppia produzione facendo ricorso a piante di calibro superiore A+). Foto A. Ambrico

Trapianto delle piantine di fragola effettuato nel mese di settembre

Serra con la coltivazione di piante fresche

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paesaggio L’uso di piante frigoconservate dava dei vantaggi, come la buona produttività delle piante concentrata nel mese di aprile. Risultati inferiori si ottenevano per gli aspetti qualitativi. La concentrazione della produzione in tempi ristretti non consentiva un’adeguata commercializzazione del prodotto. Per affrontare tali problematiche nell’ultimo quinquennio la fragolicoltura ha subito un sostanziale cambiamento, con l’introduzione delle piante fresche e delle cime radicate. Dall’impiego quasi esclusivo (95%) di piantine frigoconservate, che permette una maggiore produzione unitaria ma concentrata in poche settimane, si è passati alle piante fresche a radice nuda e/o anche alle cime radicate, che consentono di ampliare il periodo di raccolta dai primi mesi dell’anno a fine maggio. Attualmente l’incidenza di questa tipologia di piantine è del 90%. L’utilizzo delle piante fresche ha permesso di ottenere alcuni vantaggi: – un marcato anticipo della produzione, con diversi benefici, agropomologici e non, con una migliore distribuzione temporale della raccolta; – una migliore gestione della manodopera, aspetto fondamentale per l’intera frutticoltura metapontina, viste le concomitanti esigenze di altre colture; – una diminuzione degli impieghi di manodopera che si ripercuote positivamente sui costi di produzione; – una minore durata del ciclo della pianta, per il trapianto più tardivo; – una migliore qualità dei frutti; – la possibilità di moltiplicare le piante nell’areale (piante fresche e cime radicate), ottenendo piante vegetanti di buona qualità, grazie all’implementazione dell’attività vivaistica presente nel territorio; – un minor numero di interventi antiparassitari. Va comunque messo in evidenza come l’uso di questa tipologia di pianta non determini solo effetti positivi. Andamenti stagionali poco favorevoli (ritorni di freddo tardivi), associati a un modificato comportamento vegeto-produttivo della pianta (anticipo delle fasi di fioritura e maturazione), possono determinare danni quanti/ qualitativi rilevanti, che spesso hanno influito negativamente sul risultato economico dei fragoleti.

Dove si coltiva la fragola

• La fragola fu introdotta nel

Metapontino, a livello sperimentale, dai tecnici dell’Ispettorato Agrario di Matera in alcune aziende leader nei comuni di Bernalda, Pisticci e Nova Siri. Successivamente la coltivazione interessò altre aziende del territorio, prendendo piede nelle piccole aziende provenienti dalla Riforma Fondiaria degli anni ’50. Questo favorì la diffusione della coltura nei comuni di Policoro e Scanzano Jonico. Con il passare degli anni, le condizioni di coltivazione negli appoderamenti sono peggiorate a causa della stanchezza dei terreni, situazione che ha incentivato lo spostamento della coltura in altri areali produttivi in grado di offrire condizioni colturali migliori. In questo modo ai comuni storici, se ne aggiungevano altri, come Rotondella, specialmente negli altopiani, in cui si disponeva di terreni vergini, che oltre a indurre una maggiore precocità, consentivano di superare la problematica della stanchezza del terreno

Calendario di produzione I fragolicoltori hanno ampliato il calendario dell’offerta: infatti si è passati da una produzione concentrata nel mese di aprile a un’offerta di prodotto che parte a novembre per concludersi a maggio, con un picco che va da marzo a maggio. Ampliare il calendario di produzione è stato fondamentale per la fragolicoltura lucana in quanto in questo modo si producono fragole di qualità con caratteristiche organolettiche costanti per un ampio periodo, con 96


fragola nel Metapontino parentesi produttive anche nel periodo autunnale, a partire da novembre-dicembre. Certamente, essere presenti sui mercati in periodi in cui il prodotto proviene da altri Paesi (Spagna) o da regioni italiane come Sicilia e Calabria, è un punto di forza per la fragola metapontina. Le quantità prodotte nei primi mesi del calendario non sono elevate come nei periodi di punta, ma consentono la presenza delle nostre organizzazioni commerciali sui mercati stranieri e italiani.

Quanto costa produrre

• L’organizzazione produttiva

e commerciale della fragola nel comprensorio è altamente specializzata e richiede grossi investimenti in risorse economiche e umane

• La conduzione di un ettaro di fragole

Gestione ecosostenibile L’evoluzione della tecnica colturale del fragoleto ha portato a una gestione ecosostenibile attraverso l’uso di tecniche di coltivazione agronomiche, biologiche e chimiche, secondo i principi dell’IPM (Integrated Pest Management). Tale indirizzo è scaturito dal forte interesse del consumatore riguardo le caratteristiche qualitative dei frutti (colore, sapore ecc.) e la loro salubrità. L’attenzione verso queste nuove problematiche, da parte del fragolicoltore, ha permesso la diffusione di tecniche di produzione integrata e biologica, con risvolti positivi sull’ambiente, sugli operatori agricoli e sui consumatori. Nella fertilizzazione si è diffuso l’impiego della sostanza organica, che consente un arricchimento del terreno in termini microbiologici e nutritivi, migliorandone le condizioni di fertilità chimico-fisica. La nutrizione della fragola, anche per la tipologia di impianto a disposizione (manichette-ali gocciolanti sotto la pacciamatura), viene effettuata con la fertirrigazione. La buona qualità dell’acqua di irrigazione è fondamentale data la sensibilità da parte della coltura alla salinità, che si accentua nelle annate con scarsa piovosità e carenza idrica. Gli apporti e la distribuzione di elementi nutritivi cambiano in base alla varietà, al tipo di impianto, alle condizioni chimico-fisiche del terreno e allo sviluppo vegeto-produttivo della pianta.

rende necessario un investimento che si aggira intorno ai 60.000 €

• Considerando che si producono

mediamente circa 35 t/ha, il costo medio di produzione è di circa 1,7 € al kg

• I costi di produzione negli ultimi anni

sono aumentati costantemente. Le voci che hanno subito maggiori incrementi sono stati i trasporti, la manodopera e le materie prime. Attualmente il 100% della fragola prodotta nell’area viaggia su gomma; il costo per il trasporto, considerata la distanza che ci separa dai mercati del Nord del Paese e dagli altri Paesi europei, ha un’incidenza media di 150 €/t per l’Italia e di 250 €/t per l’estero

• La fragola si avvale, in tutte le fasi della raccolta e del confezionamento, del lavoro manuale che incide per circa il 55% sul costo totale

Controllo dei parassiti Nella gestione della tecnica colturale un grande passo in avanti è stato compiuto nella razionale esecuzione degli interventi fitosanitari, grazie anche alla disponibilità di sostanze attive con caratteristiche di bassa tossicità, di minore impatto ambientale e bassa residualità nei frutti. Questi risultati sono stati conseguiti per merito del lavoro svolto dal mondo della produzione (Organizzazioni dei Produttori [OP], Cooperative), della ricerca (Metapon-

Calendario di produzione della fragola in Basilicata Mesi di produzione

gen.

feb.

mar.

apr.

mag.

giu.

lug.

Basilicata

97

ago.

set.

ott.

nov.

dic.


paesaggio tum Agrobios) e della divulgazione (Azienda Pantanello). L’azione complementare e sinergica di tutti gli operatori ha fatto sì che sulla tavola dei consumatori arrivasse un prodotto di qualità nel senso più ampio del termine. In merito alla geodisinfestazione dei terreni, il divieto dell’uso di alcune molecole storiche (bromuro di metile) ha determinato uno spostamento della coltura su nuovi areali con terreni vergini, il che ha limitato l’uso di sostanze fumiganti per i terreni da adibire a fragoleto. La gestione ecosostenibile del fragoleto inizia già dall’impianto con l’adozione di tecniche alternative all’uso dei geodisinfestanti, quali la solarizzazione e l’uso di piante biocide. Per le crittogame in passato i problemi maggiori si sono avuti con il “Complesso del deperimento progressivo”, che è strettamente correlato alla qualità del materiale di propagazione. Altri agenti dannosi sono l’oidio e la muffa grigia, per i quali la tipologia e il numero di interventi variano in base all’andamento climatico, e comunque subiscono un notevole ridimensionamento con l’apertura dei tunnel e con lo spargimento di paglia per evitare che schizzi di acqua possano diffondere l’inoculo. Tra i fitofagi, negli ultimi anni, sta provocando una serie di problemi la Spodoptera littoralis che, dopo l’impianto del fragoleto, si controlla attraverso esche e interventi sugli stadi larvali. A questo proposito è prezioso l’ausilio del tecnico di campo che, attraverso il monitoraggio, consente di meglio posizionare gli interventi. Il contenimento delle infestazioni di acari si consegue con la pulizia e l’allontanamento delle foglie vecchie, dove si localizzano gli acari dannosi. Questo comporta un notevole abbattimento dell’inoculo, evitando di effettuare interventi chimici. Un parassita che desta maggiore preoccupazione in quanto si concentra durante la fase di fioritura e accrescimento dei frutti è il tripide, controllato in maniera integrata.

Trappola per la cattura massale degli adulti di Spodoptera littoralis

Logo di Policoro Città della Fragola Sacchi che contengono foglie asportate con la pulizia invernale delle piante

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fragola nel Metapontino Mercato della fragola La qualità della nostra fragola, la vocazionalità dell’area, la differenziazione produttiva, le tecniche introdotte, sono gli elementi che ci permettono di far fronte ai mercati. La fragola metapontina viene commercializzata per la gran parte dalle Organizzazioni dei Produttori (OP) attraverso i mercati generali e le grosse catene distributive italiane ed estere. La fragola metapontina ha conquistato negli ultimi anni importanti fette di mercato, pur dovendo fare i conti con la forte concorrenza della produzione proveniente dalla Spagna e dai Paesi del Maghreb, Marocco in testa. In Europa viene esportata maggiormente in Germania, Austria e Svizzera, dove è presente, soprattutto nei mesi primaverili, anche la produzione spagnola. La formazione del prezzo è determinata soprattutto dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), che condiziona il mercato della fragola e impone disciplinari di produzione, esige servizi logistici, utilizza la fragola nelle promozioni come prodotto “civetta”. Il passaggio all’utilizzo delle piante fresche ha consentito di fornire il prodotto anche nei mesi di gennaio, febbraio e marzo, periodi coperti da altri Paesi dell’Europa o del Maghreb a prezzi piuttosto convenienti.

Policoro città della fragola

• La città di Policoro fu costruita intorno al 680 a.C. dai Colofoni provenienti dall’Asia Minore; successivamente fu distrutta da una coalizione achea agli inizi del VI secolo a.C. Dopo un periodo di decadenza, nel V secolo a.C., le colonie di Taranto e Thuru la ricostruirono sulle rovine dell’antica Siris col nome di Heraclea

• La scelta della sede di Policoro come

luogo di celebrazione della coltura fragolicola deriva dall’importanza che tale territorio assume nell’ambito della produzione di fragole nonché dallo scopo di promuovere e sostenere il legame territorio-produzione locale in un’ottica di valorizzazione delle produzioni enogastronomiche anche in chiave turistica. In questo modo si è cercato di favorire la diffusione di conoscenze e competenze tecniche scientifiche in favore dei produttori e degli attori del sistema produttivo locale attraverso una serie di attività di carattere divulgativo (mostre pomologiche, seminari, convegni, visite guidate ecc.). Si è voluto, inoltre, coniugare la valorizzazione delle locali produzioni ortofrutticole, in questo caso la fragola, con un turismo vocato alla riscoperta di territori in grado di abbinare eccellenze turistiche a qualità agroalimentari. Tutto ciò rappresenta una leva competitiva di marketing territoriale in grado di favorire l’apprezzamento delle produzioni enogastronomiche nel panorama turistico nazionale e internazionale

Selezione dei frutti e controlli di qualità La raccolta delle fragole viene effettuata a mano, in quanto la fragola è un frutto molto delicato e, pertanto, deve essere maneggiato con cura. Il momento della raccolta è deciso dal raggiungimento dei requisiti minimi in termini di grado zuccherino, colore e acidità dei frutti; tali controlli sono svolti in laboratori accreditati. Contemporaneamente si eseguono la selezione e il confezionamento dei frutti.

Fragole raccolte e confezionate in campo poco prima del loro trasporto in magazzino

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paesaggio La selezione delle fragole viene fatta direttamente in campo. In questa fase si eliminano i frutti che non rispettano gli standard per dimensione, forma, difetti esterni, colore, presenza di marciumi. Solitamente i frutti non commerciali sono quelli che non raggiungono il peso di 20 g. La presenza di frutti deformi si verifica soprattutto nelle prime fasi di raccolta in concomitanza di periodi freddi. Parametro oggetto di selezione è il colore dei frutti, del quale si considerano l’intensità e l’omogeneità secondo gli standard varietali. Nelle prime fasi di raccolta i frutti non presentano una colorazione uniforme, soprattutto in prossimità del picciolo, dove sono evidenti chiazze bianche. Una disformità del colore si verifica anche in corrispondenza di alte temperature, per cui si può manifestare una forte colorazione che classifica il prodotto come sovrammaturo. Bisogna considerare, inoltre, che vengono eliminati i frutti con difetti dovuti a parassiti come muffe e insetti. Un secondo step del controllo di qualità è attuato in magazzino, quando viene effettuata una campionatura dei frutti per verificare eventuali disformità rispetto agli standard commerciali. Da questo controllo scaturisce la valutazione complessiva delle fragole conferite, che determina il prezzo da riconoscere al produttore.

Raccolta manuale delle fragole

Importanza del packaging e della logistica L’imballaggio con cui vengono confezionate le fragole può svolgere molteplici funzioni. Tra le principali ricordiamo quella di proteggerle al fine di preservarne le caratteristiche qualitative, quella di fornire informazioni al consumatore sulla composizione nutrizionale del prodotto, quella di ridurre le perdite e gli sprechi sia a livello di distribuzione sia di consumatore finale. Inoltre, l’imballaggio rende il prodotto facilmente riconoscibile nel punto vendita dotandolo di determinate peculiarità che possono anche motivare il consumatore all’acquisto. Quando si punta sulla qualità certamente il packaging assume un ruolo molto importante. Per queste produzioni, ad alto valore aggiunto, diverse sono le tipologie di confezioni utilizzate dai nostri fragolicoltori in virtù del tipo di frutti, del periodo e del mercato di commercializzazione. Solitamente le fragole vengono commercializzate in vaschette (aperte o chiuse con flow pack) di dimensioni variabili, in modo da contenere dai 250 ai 1000 g di prodotto, che vengono sistemate in cassette di diverse dimensioni (1-5 kg) e di materiale come cartone o legno. La logistica assume un ruolo fondamentale in quanto nel giro di 24 ore le fragole passano dal campo al punto vendita e questo assicura un prodotto di qualità.

Fragole confezionate in cartoni

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fragola nel Metapontino Flow pack Il confezionamento in flow pack, effettuato in magazzino, permette di preservare al meglio la qualità e la conservabilità del prodotto aumentandone la shelf life. Permette, inoltre, l’inserimento del codice a barre, in modo da fornire tutte le informazioni dettagliate relative al prodotto, come luogo di provenienza, varietà, lotto di produzione, che consentono di rendere tracciabile il percorso produttivo. Il confezionamento in flow pack risulta semplice, sicuro e pratico, in grado di garantire la stabilità delle caratteristiche organolettiche del frutto per diverso tempo. La confezione in questo caso è generalmente costituita da un unico film plastico flessibile. I materiali usati per il flow pack sono esclusivamente composti da film plastici microporosi o microperforati, in quanto la fragola, così come tutti i tipi di frutta e verdura, è un alimento che continua a respirare anche dopo il confezionamento. Conclusioni La fragolicoltura dell’arco jonico-metapontino risulta essere in continua evoluzione e vede, come punto cardine per il suo futuro, lo sviluppo e la diffusione di nuovi genotipi che meglio si adattino alle condizioni ambientali del territorio con il conseguente abbassamento dei rischi e una migliore remuneratività per gli imprenditori. Nonostante sulla fragolicoltura gravino incertezze dovute sia agli onerosi investimenti finanziari sia ai ricavi non sempre certi, la scelta operata dai nostri imprenditori di puntare su un prodotto di qualità consentirà alla coltura un proficuo futuro.

Cestino di fragole confezionato in flow pack

L’attività dei bombi è importante per favorire una impollinazione dei fiori nelle coltivazioni protette di fragola, soprattutto nei periodi più precoci

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la fragola

paesaggio Fragola nella Piana del Sele Giuseppe Capriolo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola nella Piana del Sele Foto P. Bacchiocchi

Il territorio campano è geologicamente giovane e morfologicamente vario: la metà della superficie totale è costituita da colline, mentre soltanto il 15% è occupato da aree pianeggianti, situate lungo la fascia costiera e interrotte da gruppi montuosi e collinari. Una ripartizione schematica consente di individuare quattro distinte aree, riconducibili ai sistemi agricoli impiantati: quella dei litorali e delle pianure costiere, quella del preappennino vulcanico e delle colline tirreniche pedemontane, quella dell’Appennino campano e quella collinare pedemontana sul versante Adriatico. Appartenente alla prima area, il territorio salernitano, dalla tormentata orografia e con una superficie di circa 490.000 ettari, è il più esteso tra quelli delle cinque province campane e comprende, tra l’altro, la Valle del Sele, ubicata tra le due coste più importanti della provincia, a sud il paesaggio aspro e incontaminato della costiera cilentana e a nord il fascino della divina costiera amalfitana. Pur essendo in larga parte lambita dal mare, la Piana possiede un’identità storica e culturale, ma soprattutto economico-produttiva, strettamente legata all’entroterra e all’enorme influenza che il fiume Sele ha esercitato e continua a esercitare su di essa. La piana risulta composta dalle parti inferiori dei bacini del Picentino, del Tusciano e dello stesso Sele, fiumi che, insieme a un numero di corsi d’acqua minori, costituiscono il ricco sistema idrografico della zona, che comprende i comuni di Pontecagnano Faiano, Battipaglia, Eboli, Serre e Capaccio. Il Sele scende dall’Appennino campano e attraversa, dalla metà circa del suo corso, la pianura o piana omonima, che soltanto in tempi relativamente recenti, grazie all’opera di bonifica attuata nel ventennio fascista (il 1932 vede infatti la nascita del Consorzio di

La coltivazione della fragola nella Piana del Sele è stata introdotta circa 40 anni fa e attualmente rappresenta una delle colture più interessanti della zona

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fragola nella Piana del Sele Bonifica Integrale della Riva Destra del Sele) e alla valorizzazione del territorio, è passata dall’agricoltura del latifondo, estensiva e tendenzialmente cerealicola, a quella intensiva, capace di recepire e adattare le tecnologie moderne consentendo il superamento del gap tecnologico tra l’agricoltura dei Paesi avanzati e quella mediterranea. Il processo di rinnovamento della piana iniziò con il riscatto di un territorio insalubre attraverso la messa in coltura di grandi estensioni, grazie soprattutto a capacità e professionalità imprenditoriali abbinate a passione. In questo modo venne meno l’aspetto desolato del paesaggio, dovuto anche all’allevamento brado di mandrie di bufale, e si ridusse l’incidenza della malaria, malattia fino ad allora endemica nel territorio. Tale processo è stato condotto in due fasi: il prosciugamento del territorio con il passaggio da terreni acquitrinosi e paludosi a fertili terreni agrari e l’utilizzo dell’irrigazione che ha avviato l’insediamento produttivo; è stato inoltre influenzato da aspetti complementari, ma non trascurabili, quali il clima e il frazionamento delle superfici. Il clima, tipico dei territori meridionali, con piogge concentrate nei tre mesi invernali e lunghi periodi di caldo intenso mitigati dalla rete irrigua consortile, favorì l’introduzione di colture foraggere e cerealicole, non più idonee però a reggere il confronto con i nuovi ordinamenti colturali. La maglia aziendale, con superfici eccessivamente frazionate, comprese tra i 5 e i 50 ettari, contribuì al preoccupante diffondersi del fenomeno dell’esproprio dei terreni da adibire ad attività extra-agricole. Con l’adozione di nuove tecnologie irrigue, e l’adduzione di grandi quantità di acqua attraverso la moltitudine di canaline realizzate, esaltanti la produttività e la fertilità del suolo, si è via via intensificata la gamma di colture ad alta redditività. Molte di esse, quali i cereali, il tabacco e la barbabietola, non hanno retto il confronto

Fragole e bufale

• “È dolente, però, fuor d’ogni dubbio che i migliori terreni della piana di Salerno, di Montecorvino e di Eboli e perfino i piani di Capaccio, le campagne più fertili e ubertose, siano addette al pascolo delle bufale” 1810 – Statistica del Regno di Napoli – Don Gennaro Guida

Campo sperimentale nella Piana del Sele

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paesaggio con altri ordinamenti produttivi; in particolare il tabacco, coltura a più alto reddito, ha subìto un pesante ridimensionamento, anche per il diffondersi della peronospora, che ha reso aleatorie le produzioni. Le nuove colture intensive, condotte per lo più in ambiente protetto, hanno assicurato un’attività lavorativa distribuita nell’intero anno, eliminando la concentrazione di lavoro in un arco temporale ristretto. Preponderante è stato poi l’apporto di manodopera delle aree interne, dalle quali ogni giorno si riversavano nella Piana del Sele grandi masse di lavoratori, contenendo il fenomeno dell’emigrazione e contribuendo all’integrazione tra pianura, zone collinari e montuose. Punta di diamante dell’attività agricola condotta nella Piana del Sele è stata indubbiamente la fragola, introdotta circa 40 anni fa dall’azione meritoria dell’Istituto per il Commercio Estero (ICE), della Camera di Commercio, dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, e da un gruppetto di operatori illuminati, tra i quali il sig. Gennaro Parrilli. L’impulso all’espansione della coltura fu dato dall’adozione della tecnica di semiforzatura, effettuata con l’ausilio di archetti metallici, e da nuovi prodotti plastici, ottenuti dalla tecnologia di sintesi dei polimeri dall’industria petrolchimica. Pertanto la coltura protetta della fragola, dai pochi ettari del 1965 passò agli oltre mille dei primi anni ’80, superando di gran lunga quella operata in pieno campo. La forzatura della coltura consentiva raccolte precoci già dal mese di marzo, in periodi di particolare carenza di prodotto sul mercato, con prezzi quindi molto favorevoli. La superficie fragolicola campana assunse sempre maggiore ampiezza, passando dal 6,2% di incidenza su quella nazionale del 1975 al 14,4% del 1985, e concentrandosi per il 63% nella Piana

Primi fragoleti

• Negli anni ’60, i primi 1000 m di

pieno campo coltivati a fragola nella Piana del Sele furono impiantati dai lungimiranti fratelli Gennaro e Alfonso Parrilli, utilizzando paglia vecchia quale materiale pacciamante, su cui poter adagiare le prime fragole campane di Gorella e Pocahontas. L’attività dell’azienda, leader anche nelle esportazioni grazie ai favorevoli risultati economici conseguiti, fu tale e così intensa da superare negli anni precedenti il 1990 i 250 ettari coltivati, con eccezionali produzioni di 50 t/ha e una conseguente occupazione di personale pari a circa 4000 unità nei periodi di massima produzione

Fragoleto coltivato sotto tunnel multipli

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fragola nella Piana del Sele del Sele. A partire dal 1998 vi è stato un ridimensionamento nella piana e un incremento nell’Aversano, fino a raggiungere una posizione quasi paritaria negli anni 2004-2007, poi una nuova inversione, quella attuale, sempre in termini di superficie investita. In realtà già nel 1996, circa 20.000 agricoltori salernitani avevano tentato di bloccare l’autostrada Salerno-Reggio Calabria per far valere i propri diritti, in quanto la sospensione del pagamento dei contributi agricoli allo SCAU, in virtù dell’esenzione introdotta in Irpinia in seguito al terremoto del 1980, era stata abolita e il pagamento rateizzato dal 1994, con la sola introduzione della fiscalizzazione degli oneri sociali a partire dal 1998. Nel corso degli anni ’90 la piana si è distinta dalle altre aree campane per il prevalere di grandi aziende con superfici da 10 a oltre 100 ettari, monocolturali, condotte con criteri capitalistici, e orientate alla commercializzazione diretta del prodotto. Nell’Agro Aversano, invece, prevalevano aziende medio-piccole, a conduzione diretta, con compartecipanti familiari. L’ampiezza delle superfici, garanzia di occupazione, ha favorito il manifestarsi di una dura realtà, alimentata anche dal fenomeno del caporalato: i pochi lavoratori dei paesi montani limitrofi sono stati affiancati da lavoratori extracomunitari, definiti popolo di invisibili, assorbiti dall’agricoltura intensiva della piana dalle 6 del mattino alle 14, per pochi euro al giorno, in condizioni precarie, spesso senza una fissa dimora o garanzie di sistemazione definitiva. Allo stato attuale, molti di loro, a eccezione di quanto accade in alcune aziende, sono regolarmente assunti in base alla normativa vigente. Altro aspetto rilevante è stato senza dubbio quello varietale: infatti, dagli impianti dei primi anni ’60, che videro l’impiego delle cultivar diffuse nel Nord Italia, quali Madame Moutot, Gorella e Pocahontas, con elevato fabbisogno in freddo invernale, differen-

Evoluzione della superficie aziendale

• Dai dati del Catasto Agrario del 1929

e da quelli stimati al 1978 emerge un aumento della superficie agraria utile (SAU) a 407 ettari. Nel 1930 le classi di aziende più numerose erano quella con superficie inferiore a 1 ettaro (28,8%) e quella con superficie di oltre 50 ettari (71,2%). Nel 1970 la classe più numerosa era quella da 1 a 3 ettari (37,2%) mentre la classe con maggiore superficie era sempre rappresentata da quella oltre i 50 ettari (42,1%). Negli anni ’50 la Riforma Fondiaria espropriò 18 ditte per una superficie di 931 ettari, costituendo 107 poderi. Altri 226 ettari passarono al catasto urbano e ulteriori frazionamenti furono attribuiti a insediamenti residenziali

Censimento agricolo

• Il Censimento del 1931 ha rilevato

una popolazione agricola di 4796 unità, pari al 59,9% della popolazione residente. I successivi Censimenti, datati 1951, 1961, 1971, hanno rilevato rispettivamente 2111, 2992, 2190 attivi agricoli. Dai dati SCAU risulta, oltre all’incremento degli addetti, l’incremento dell’avventiziato e quindi della sottoccupazione, conseguenze della peculiarità degli ordinamenti produttivi, caratterizzati da calendari di lavoro non omogenei nel corso dell’anno

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paesaggio ziazione fiorale limitata e conseguente riduzione dello sviluppo e della produttività, si passò alle cultivar di origine californiana, appena introdotte e subito apprezzate per i primi buoni risultati conseguiti, essendo costituite in ambienti climaticamente simili a quelli campani. Aliso, molto precoce e abbastanza produttiva per il periodo, dominò lo standard varietale campano degli anni ’70. Successivamente, Tufts tra il 1979 e il 1981, Douglas e Pajaro dal 1982 determinarono l’abbandono di Aliso, per lasciare a loro volta il posto a Camarosa che, per alcuni anni, ha primeggiato in modo quasi assoluto ed è stata affiancata ultimamente da Candonga e Ventana. Attualmente, la tipologia di pianta fresca, rispetto alla pianta frigoconservata utilizzata per anni, ha notevolmente allargato l’arco temporale di raccolta, alienando il concetto di stagionalità della fragola, che viene così prodotta e raccolta 10 mesi all’anno. Altro fattore da non sottovalutare, dal punto di vista pedologico, è stato l’elevato contenuto in argilla di molti terreni situati in Agro di Battipaglia, rivelatisi ottimi per la coltivazione dei fragoleti, con opportuna sistemazione del terreno in prode, con l’ausilio del drenaggio e grazie a cospicue somministrazioni di sostanza organica. La fragolicoltura meridionale non ha avuto, dal punto di vista tecnico, una fisionomia originale derivata da tradizioni locali ma ha direttamente importato gli schemi colturali già in atto nelle regioni settentrionali, adattandoli sapientemente alle peculiari caratteristiche ambientali. Determinante quindi è stato l’apporto della grande azienda, le cui possibilità organizzative ed economiche hanno consentito un rapido aggiornamento tecnico, il più proficuo impiego dei mezzi meccanici, una minore incidenza di alcuni costi e una maggiore capacità contrattuale, anche se la piccola impresa a conduzione familiare consentiva una tempesti-

Camarosa

Ventana Fragoleto moderno nella Piana del Sele

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fragola nella Piana del Sele va esecuzione di alcune operazioni che, in fragolicoltura, possono portare a sensibili miglioramenti produttivi. Si può citare l’esempio della pacciamatura del terreno con film di polietilene nero, che, nelle grandi aziende del salernitano, viene estesa a tutta la superficie coperta, e non solo a quella delle prode baulate, eliminando il diserbo e contenendo l’umidità. La stessa prode viene generalmente allargata per aumentare la densità di piantagione sino a 90.000-100.000 piante a ettaro. Dire Piana del Sele, oggi, significa descrivere un’area ortofrutticola e fragolicola di estremo interesse, con aziende dotate di metodologie produttive di punta e moderni criteri di gestione, ed è probabilmente l’unica area meridionale che esporta la totalità della produzione e vanta realtà avanzate nella commercializzazione del prodotto ortofrutticolo fresco come pure del trasformato. Tante le caratteristiche positive, insomma, per questa brillante realtà ortofrutticola, punto di forza dell’agricoltura salernitana, che però trova il suo tallone d’Achille nella scarsa propensione all’associazionismo. È diffuso l’eccesso d’individualismo, cosicché il problema resta quello della mancanza di concentrazione e standardizzazione dell’offerta che diano garanzie di sbocchi mercantili e di valore aggiunto al prodotto. Si sta però affermando l’idea di costituire un Consorzio per la valorizzazione dei prodotti della Piana del Sele, dotato di un marchio consortile che accorperà fragole, pesche, albicocche e colture ortive della Piana; le aziende aderenti dovranno impegnarsi al rispetto di restrittivi disciplinari di produzione. D’altro canto, per raggiungere risultati aziendali economicamente validi sarà necessario poter disporre di certezze operative e avere oneri di produzione ragionevoli in termini di costi energetici, servizi, trasporti e manodopera.

Foto W. Faedi

Confezioni di fragola appena raccolte e pronte per la commercializzazione

Operazioni di raccolta in un fragoleto a fine febbraio

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la fragola

paesaggio Fragola in Emilia-Romagna Gianluca Baruzzi, Walther Faedi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola in Emilia-Romagna In Emilia-Romagna, come in altre regioni fragolicole che in seguito sarebbero diventate quelle tipiche di produzione a livello nazionale, la coltura si sviluppò fortemente a partire dal dopoguerra per via della crescente richiesta, sia dei mercati esteri sia di quelli interni. Fin dai primi anni, in questa regione vennero investite notevoli superfici e già nel 1° Convegno Nazionale della Fragola, tenutosi a Verona nel 1961, veniva riportato che l’Emilia-Romagna era la regione leader a livello nazionale per questa coltura. Le province di Bologna e Ferrara fornivano il maggior contributo agli allora stimati 2000 ha regionali con una produzione di quasi 14.000 t. La fragola si inserì profondamente nel paesaggio rurale di queste zone e in breve tempo si realizzò il passaggio dalla coltura promiscua (in genere poliennale) a quella specializzata a ciclo annuale. Infatti la coltura, dapprima confinata negli orti e in appezzamenti marginali, assunse carattere industriale in particolare nelle aree collinari del Bolognese (valli del Santerno, del Sillaro e dell’Idice) spingendosi anche fino a 400 m di altitudine. Inizialmente si sviluppò spesso in consociazione al pesco, all’albicocco e al vigneto e la sua diffusione, con la varietà Madame Moutot, raggiunse un livello tale che la fragola venne definita come “pianta colonizzatrice della collina imolese”. Nel Bolognese, in particolare all’inizio degli anni ’60, la coltura raggiunse la ragguardevole superficie di 1500 ha e passò da coltura secondaria a specializzata, di “sicura base economica”, come riportato negli indirizzi di saluto del

Raccolta in pieno campo (sopra) e in coltura protetta (sotto) con agevolatore a carrello (bicicletta) in cui l’operatore rimane in posizione seduta e ombreggiata

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fragola in Emilia-Romagna II Convegno Nazionale della Fragola (Imola, 1962), e in grado di “temperare l’abbandono delle terre collinari”. Nel corso degli anni ’60 la coltura della fragola si espanse notevolmente in Emilia-Romagna giungendo a superare i 5000 ha alla fine del decennio (oltre il 50% della superficie nazionale), confermandosi fortemente concentrata nelle province di Bologna e Ferrara. Nel corso degli anni ’60 la coltura si affermò anche in provincia di Forlì e in particolare nel cesenate dove lo sviluppo iniziale avvenne parallelamente alla forte espansione del pesco, a cui la fragola veniva consociata nei primi anni di impianto, sebbene non mancassero fin dall’inizio fragoleti specializzati, realizzati in pieno campo. L’area cesenate progredì velocemente e alla fine degli anni ’60 era già uno dei principali bacini di produzione a livello nazionale con una superficie coltivata pari a circa 1/5 di quella nazionale (circa 10.000 ha). L’elemento decisivo per raggiungere questa posizione di supremazia della fragolicoltura romagnola fu il fattore tecnico. Avvertita l’importanza economica della coltura, la rapida affermazione delle associazioni dei produttori, organizzati nei movimenti cooperativi, favorì l’altrettanto rapida acquisizione delle innovative tecniche di coltivazione attraverso un’assistenza tecnica capillare, quanto mai necessaria in quest’area caratterizzata da realtà aziendali per la maggior parte a conduzione direttocoltivatrice (82%) e di medio-piccole dimensioni. La superficie aziendale non superava, in media, i 4 ha e i fragoleti occupavano circa 0,4 ha (10% della superficie aziendale), dati analoghi alla realtà attuale. L’aspetto tecnico più importante fu sicuramente

Fragoleto in pieno campo tipico del Cesenate

Foto P. Bacchiocchi

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paesaggio l’irrigazione che consentì la piena affermazione della coltura annuale con piantagione estiva in luglio-agosto, tecnica che richiede elevati apporti idrici sia per favorire l’attecchimento delle piantine al momento dell’impianto sia al fine di garantire elevati standard produttivi nella primavera successiva. Anche la diffusione della pacciamatura delle prode con film di polietilene nero incise profondamente sul successo della coltura, incrementandone le rese produttive. Nel corso degli anni ’70 nel Bolognese la fragolicoltura subì un forte ridimensionamento, che determinò la complessiva diminuzione delle superfici regionali, mentre nel Ferrarese e nel cesenate se ne registrava una sostanziale tenuta, frutto anche dell’elevata specializzazione. La contrazione delle superfici coltivate in Emilia-Romagna coincise con l’avvio del cosiddetto processo di meridionalizzazione della coltura, che portò negli anni successivi a un inarrestabile calo degli investimenti regionali, particolarmente accentuato e veloce nel Ferrarese (–750 ha nel triennio 1979-’81), e a un aumento delle superfici negli ambienti meridionali. Le cause della crisi erano principalmente di ordine economico, tenuto conto del crescente aumento dei costi di produzione e della conseguente diminuzione dei realizzi dei produttori. Questi problemi furono segnalati per la prima volta nella relazione di apertura di un Convegno tenutosi a Ferrara nel 1979. Negli anni successivi la coltura praticamente scomparve nelle aziende condotte in economia, più diffuse nel Ferrarese, permanendo solo in quelle a conduzione familiare, più tipiche del cesenate, nonostante la remunerazione della manodopera familiare impiegata fosse decisamente inferiore a quella prevista dalla vigente contrattazione salariale. Ulteriori preoccupazioni per il futuro della fragolicoltura regionale venivano anche da altri elementi negativi, in particolare dal cosiddetto collasso delle piante della cultivar dominante Gorella, per cui si avvertiva l’esigenza di un profondo rinnovamento varietale. I segnali di declino della coltura furono immediatamente captati dalla Regione Emilia-Romagna che, in difesa di una coltura così importante, finanziò un’azione di miglioramento genetico, tuttora in essere, finalizzata a ottenere cultivar a maturazione precoce e intermedia in grado di sostituire Gorella e Pocahontas, puntando decisamente sulla resistenza ai patogeni dell’apparato radicale, principali responsabili del collasso. Si può affermare che le prime varietà ottenute nell’ambito di questo progetto (Addie, Cesena e Dana, 1982) salvarono la fragolicoltura romagnola, dandole un nuovo impulso e consentendo di ridurre le perdite di superfici. Queste cultivar dominarono lo standard varietale per più di un decennio. Vanno evidenziati anche gli straordinari risultati ottenuti da questo programma, in termini di aumento di pezzatura del frutto, che hanno consentito di aumentare significativamente la resa oraria di raccolta e quindi di ridurre il fabbisogno di manodopera.

Piante di Gorella in fase di collasso durante le prime fasi di raccolta (primi anni ’80)

Fragoleto della cultivar Addie in pieno campo negli anni ’80 nel Cesenate

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fragola in Emilia-Romagna Comunque gli anni ’80 sancirono la perdita della leadership nazionale della fragolicoltura emiliano-romagnola, mai più riconquistata; il calo delle superfici è stato pressoché continuo negli anni successivi e fino a 3-4 anni fa, quando gli investimenti a livello regionale sembravano essersi stabilizzati sui 350 ha. Invece l’annata molto negativa del 2009 ha determinato un ulteriore forte ridimensionamento degli impianti le cui estensioni sono scese agli attuali 283 ha (–18% in un solo anno; fonte CSO-Ferrara). La coltura si è sempre più concentrata nel cesenate, dove la fragola fornisce ancora una seppur limitata fonte di reddito, nelle diffusissime piccole aziende diretto-coltivatrici a indirizzo frutticolo in cui l’apporto di manodopera extra-aziendale è del tutto limitato alle fasi della raccolta. Un’indagine recentemente condotta ha confermato i dati precedenti: le aziende fragolicole sono poco più di un migliaio e coltivano in media appezzamenti di estensione pari a 0,3 ha. La coltura è diffusa principalmente in pieno campo (70% della superficie); il cesenate rappresenta l’unica area italiana in cui la protezione della coltura non è prevalente, esponendo il raccolto a forte rischio ambientale poiché le frequenti piogge primaverili arrecano spesso gravi danni ai frutti. Questa caratteristica di unicità distingue da sempre la fragolicoltura romagnola. Infatti, la coltura protetta, comparsa nel corso degli anni ’70 come aspetto tecnico estremamente innovativo soprattutto per l’anticipo della maturazione dei frutti è stata adottata in aziende via via sempre più piccole poiché richiede un elevato fabbisogno di manodopera (circa il 25% in più rispetto al pieno campo) e si è progressivamente ridotta in seguito all’incremento delle produzioni meridionali, che si ponevano spesso in forte concorrenza sui mercati abbassandone i prezzi di vendita.

Operazioni di raccolta in pieno campo negli anni ’60 a Cesena

Coltivazioni sotto tunnel tradizionale cesenate nell’area di Gattolino di Cesena

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paesaggio Il tunnel tradizionale cesenate protegge i fragoleti anticipandone la produzione di circa 20-25 giorni rispetto al pieno campo e consente una maggiore sanità dei frutti e una riduzione dei trattamenti antiparassitari, attraverso un’attenta gestione delle aperture e quindi degli arieggiamenti. È proprio nelle colture protette del cesenate che si sono inizialmente sviluppate le tecniche di produzione integrata attualmente regolamentate da appositi Disciplinari di Produzione Integrata della Regione Emilia-Romagna. Il tunnel tradizionale cesenate è una struttura ad archi piuttosto economica: è lungo circa 100 m, largo 5 m e alto, al colmo, 2 m ed è coperto a fine gennaio in genere con film plastici di EVA additivato. L’arieggiamento dei tunnel viene effettuato attraverso le aperture laterali delle pareti (con arrotolamento manuale del film) e consente un corretto equilibrio fra temperatura e umidità all’interno, condizione che è alla base anche di una perfetta fecondazione dei fiori e di una limitata insorgenza di marciumi sui frutti. Negli ultimi anni si sta registrando la tendenza a proteggere tardivamente i fragoleti dalla pioggia, senza influenzare l’epoca di maturazione, come invece avviene per le protezioni tradizionali messe in opera più anticipatamente. Si tratta di tunnel multipli, molto utilizzati in altre aree settentrionali (Veronese), posti in opera verso la fine della fioritura dei fragoleti per proteggere la fruttificazione dalle piogge primaverili. Questo tipo di tunnel è privo di spondine laterali e di chiusura delle testate in modo da consentire il più ampio arieggiamento delle piante. In questo modo l’effetto serra è molto limitato e l’anticipo di maturazione, rispetto al pieno campo, è di circa una settimana. Significativo nel cesenate è l’utilizzo del tessuto non tessuto per coprire a fine febbraio i fragoleti in pieno campo, dopo la pulizia del fogliame. Il film viene rimosso all’inizio della fioritura, avendo cura di ripristinarlo nelle giornate in cui si possono verificare brinate primaverili notturne e mattutine. Questa protezione consente un anticipo di maturazione di circa una settimana. La fragolicoltura romagnola è dominata da varietà a maturazione precoce o intermedia, seppure in passato abbiano avuto un ruolo significativo anche varietà a maturazione tardiva come Idea. Considerando le varietà precoci, ad Addie, che ha dominato lo standard varietale fino alla metà degli anni ’90, è seguita Miss (fine ’90 e inizio 2000) mentre negli ultimi anni si è sempre più affermata Alba, che attualmente caratterizza quasi la metà dei fragoleti romagnoli. Tuttavia l’utilizzo di varietà a maturazione precoce in pieno campo aumenta i rischi di danni provocati dai piuttosto frequenti ritorni di freddo in primavera. L’impiego di varietà a maturazione intermedia – come Marmolada e Onda, molto diffuse in passato, e Roxana e Tecla, diffuse attualmente – è finalizzato a evitare questo rischio consentendo anche maggiori livelli produttivi grazie alla notevole pezzatura dei frutti. Va comunque precisato che lo standard varietale è diversificato secondo il ti-

Coltura biologica di fragola in pieno campo vicino ad una coltura di Brassica juncea destinata al sovescio prima dell’impianto di un nuovo fragoleto

Coltivazione biologica protetta e ombreggiata con rete per ridurre la temperatura e quindi lo stress delle piante nella tarda primavera Foto R. Angelini

File binate su prode coperta con film plastico nero

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fragola in Emilia-Romagna po di coltura: ovviamente in coltura protetta vengono coltivate quasi esclusivamente le varietà a maturazione precoce, mentre in pieno campo sono coltivate anche le varietà a maturazione intermedia o tardiva. La fragolicoltura romagnola fornisce tradizionalmente un flusso produttivo concentrato unicamente nei tre mesi primaverili: da metà aprile a metà maggio in coltura protetta, da metà maggio alla prima decade di giugno in pieno campo. Le piante delle varietà unifere tradizionalmente coltivate esauriscono la fruttificazione in soli 25-30 giorni e solo nelle annate con clima primaverile mite alcune cultivar possono avere un secondo flusso produttivo (bifere). Una delle cause delle fortissime contrazioni della fragolicoltura nelle aree romagnole è la sua sovrapposizione con le produzioni di altre realtà fragolicole, come quelle meridionali che con l’utilizzo di piante fresche forniscono un flusso produttivo molto lungo, esteso da dicembre a giugno. L’ampliamento del periodo di raccolta è sicuramente un’arma vincente per far fronte alla crisi del settore: va sottolineato che in Romagna, a parte rarissimi tentativi, non si è mai affermata la cosiddetta coltura autunnale, tradizionalmente adottata nel Veronese, che consente un doppio ciclo di fruttificazione: il primo in autunno appena 50-60 giorni dopo la piantagione e il secondo nella primavera successiva. È con l’obiettivo di prolungare il periodo produttivo che anche in Romagna si stanno diffondendo i primi impianti di cultivar rifiorenti in grado di fornire un flusso produttivo per tutti i mesi estivi, fino ai primi freddi autunno-invernali. Le superfici investite con questa tecnica sono ancora modeste, ma la tendenza è quella di incrementarne l’estensione al fine di creare aziende fortemente specializzate e in grado di produrre fragole per lunghi periodi.

Tunnel tradizionale del Cesenate (a sinistra) e di tipologia veronese (a destra)

Tunnel tradizionale cesenate: si noti l’apertura laterale regolabile Particolare di un fragoleto protetto con tunnel di tipo veronese coperto in primavera per non influenzare la precocità di maturazione dei frutti

Foto P. Bacchiocchi

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la fragola

paesaggio Fragola nel Veronese Leonardo Placchi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola nel Veronese Introduzione La provincia di Verona si estende su poco più di 3000 km2 ma, grazie alla sua posizione geografica, presenta una notevole diversità di ambienti per morfologia, natura dei suoli e clima. A ovest il Lago di Garda ne delimita il confine, affiancato nella parte settentrionale dal monte Baldo che, con i suoi 2200 m, si affaccia a est sulla Val d’Adige. La parte settentrionale della provincia continua verso est con l’altopiano della Lessinia che raggiunge i 1800 m, diviso da numerose valli che, come dita di una mano, si estendono verso l’alta pianura. Ai piedi delle montagne troviamo, verso occidente, gli anfiteatri morenici del Garda e di Rivoli Veronese, mentre verso levante si estende l’alta pianura che digrada verso sud nella media e bassa pianura veronese. La provincia gode di diversi microclimi, da quello dovuto all’azione mitigatrice delle acque nelle zone limitrofe al Lago di Garda, a climi propri delle regioni montane sul monte Baldo e sull’altopiano della Lessinia. La zona collinare e pedemontana beneficia di buona esposizione alla radiazione solare e di buona piovosità estiva, mentre l’ampia pianura veronese gode di un clima sostanzialmente omogeneo di tipo continentale con estati calde e inverni freddi e nebbiosi. Grazie a questa particolare situazione geografica la provincia di Verona si presta egregiamente all’attività agricola con un notevole numero di colture come olivo, vite e ciliegio nelle zone collinari, frutticoltura specializzata come pesco, melo e kiwi principalmente nella pianura lungo il corso del fiume Adige e colture orticole, melone e fragola, nella media e bassa pianura.

Fragolicoltura nel Veronese

• La principale area fragolicola,

caratterizzata da terreni leggeri, sciolti e ricchi di scheletro, è situata nella pianura a sud-est di Verona, prevalentemente nei comuni di San Giovanni Lupatoto, Zevio, Buttapietra e Oppeano Veronese

Impianto in produzione estiva con piante di Irma in fuori suolo. I tunnellini singoli vengono lateralmente alzati o abbassati in base alle condizioni climatiche

Tipica produzione autunnale di fragole in tunnel multiplo nel Veronese

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fragola nel Veronese Prime notizie storiche della fragola nel territorio Già il poeta mantovano Virgilio elogia le fragole nelle Bucoliche ma si deve arrivare al XVIII secolo con Benedetto del Bene per avere le prime notizie di consociazioni pesco-fragola ananassa (Fragaria × ananassa) a frutto grosso nella provincia di Verona. Le fragole coltivate negli orti erano, oltre alla fragola ananassa proveniente dalla Francia dall’incrocio tra Fragaria virginiana e F. chiloensis, anche altre specie indigene o meno come Fragaria viridis, Fragaria vesca, Fragaria moschata, la perpetua o delle quattro stagioni ecc. come racconta l’ing. Giovanni Battista Perez nelle Osservazioni Agrarie di fine ’800. Lo stesso autore, nel 1880, racconta come le fragole di Verona venissero già allora esportate in Germania dando vita a un rapporto commerciale, basilare per il successivo sviluppo della coltura, che si è protratto fino ai nostri giorni. Circa l’ambiente in cui la fragola veniva coltivata in questa provincia, nel 1904 il conte Luigi Sormani Moretti scrive che la fragola, pur riuscendo ovunque, preferisce terreni sciolti, profondi e freschi, individuando l’epoca migliore di piantagione, in assenza di irrigazione autonoma, dopo i torridi mesi estivi, da settembre a ottobre.

Una delle prime testimonianze fotografiche della raccolta di fragola nel territorio risale ai primi anni del 1900. La fragola veniva coltivata nell’interfila di un giovane pescheto su terreno ghiaioso nell’alveo del torrente Astico, in provincia di Vicenza. In lontananza si noti il monte Summano

Fragola poliennale d’inizio ’900 È dal primo dopoguerra che alcuni agricoltori cominciano a importare dalla Francia piante di una nuova varietà, Madame Moutot, con frutti molto dolci e di elevata pezzatura, che verrà localmente conosciuta come el fragòn. Madame Moutot assume un’importanza sempre maggiore nella fragolicoltura veronese tra le due guerre: dai 130 ettari di fragole a frutto piccolo degli anni ’20, con una produzione di 2600 q, si è

Anni ’50. Raccolta del prodotto nei caratteristici cestini di legno

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paesaggio passati ai 750 ettari di fragole a frutto grosso, con una produzione di 36.600 q degli anni ’40. Negli anni ’50, el fragòn Madame Moutot viene parzialmente sostituita da varietà con frutto più piccolo ma contraddistinte da una spiccata precocità e da ottime caratteristiche organolettiche dei frutti, come Perla e, successivamente, Regina di Verona. La tecnica colturale adottata era la coltura poliennale, dai 2 ai 4 anni, spesso consociata ai giovani impianti di pesco, pero o vite. L’impianto avveniva utilizzando gli stoloni ottenuti dalle colture esistenti in zona, tra ottobre e novembre, evitando i caldi mesi estivi, su baulature e in quinconce o meglio in file semplici, con irrigazione a scorrimento per infiltrazione laterale. Nella primavera successiva all’impianto spesso non si aveva produzione, che invece cominciava dal secondo anno di coltivazione per continuare in maniera soddisfacente nel terzo e, raramente, anche nel quarto anno. La zona di produzione si estendeva nelle zone moreniche irrigue delle colline occidentali, nonché in quelle con terreni sciolti del medio Veronese che godevano di acqua di irrigazione. Nuove varietà e sviluppo della coltura protetta Gli anni ’60 vedono l’introduzione di nuove cultivar nel panorama varietale come Senga Sengana proveniente dalla Germania, con frutti di pezzatura media e colore rosso cupo e Hummi Grande, anch’essa tedesca, con frutti di grossa pezzatura. Sono gli anni del boom economico e i mercati stranieri premiano sempre più le produzioni precoci. In questo contesto comincia l’impiego di materie plastiche per coprire la coltura con tunnel, e il suolo con la pacciamatura, permettendo di anticipare la maturazione dei frutti anche di 10-12 giorni.

Primi esempi di coltura protetta negli anni ’60. I tunnel plastici erano costruiti con flessibili pali di castagno legati tra loro

Raccolta di fragole, nei primi anni ’60, nelle zone moreniche ai piedi delle colline veronesi. La fragola era coltivata in terreni ricchi di scheletro e in coltura poliennale senza pacciamatura nell’interfila di giovani impianti di pesco

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fragola nel Veronese Dalle prime applicazioni, costituite da piccoli tunnel coperti con film di plastica trasparenti, sostenuti da archetti rappresentati da rami di carpino, faggio o castagno e successivamente da tondini di ferro, si è giunti rapidamente alla costruzione di ampi tunnel affiancati. Si stima che alla fine degli anni ’60, nel Veronese, la superficie coltivata coperta con tunnel di vario tipo superasse già il 50% e nel 1975 avesse raggiunto addirittura il 90% facendone l’area più importante d’Italia per la fragolicoltura protetta. L’impiego generalizzato di materie plastiche ha trasformato la coltura tradizionale da poliennale ad annuale. Coltura autunno-primaverile Con l’introduzione del trapianto estivo, l’utilizzo di piante frigoconservate di buona qualità e sfruttando la predisposizione di alcune varietà, nei primi anni ’70, Tiziano Tosi, tecnico veronese impegnato nella fragolicoltura in stretta collaborazione con alcuni agricoltori di Raldon, si rende conto che da un singolo fragoleto è possibile avere un doppio ciclo di fruttificazione, il primo nel periodo autunnale, 40-50 giorni dopo la piantagione, e il secondo nella primavera successiva. Il trapianto estivo, nei mesi di luglio-agosto, necessita di irrigazioni brevi e frequenti ed è reso possibile solo grazie all’irrigazione autonoma delle aziende, non più vincolate ai turni di irrigazione. Piante frigoconservate, coltura protetta e trapianto estivo sono i fattori che stanno alla base della produzione autunnale, sviluppata negli anni ’70 e affermatasi definitivamente negli anni ’80, caratterizzando la fragolicoltura veronese fino ai giorni nostri. Questa produzione autunnale, inferiore a quella primaverile, oltre a coprire un periodo di produzione fuori stagione, ha ridotto l’incidenza di una malattia che determina il collasso della pianta nella primavera successiva.

Moderno esempio di produzione autunnale di fragole. I frutti sono più piccoli ma con un maggior grado zuccherino rispetto al prodotto primaverile

Primi esempi di raccolta autunnale nei primi anni ’70. I tunnel hanno pali di ferro, il terreno è pacciamato sulla fila ma l’irrigazione è ancora per scorrimento e infiltrazione laterale

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paesaggio Il panorama varietale di quegli anni vede Gorella, varietà ottenuta a Wageningen in Olanda, come varietà dominante. Si tratta di una cultivar molto produttiva, che ha permesso di aumentare le rese per ettaro, ma particolarmente suscettibile al collasso della pianta durante la fruttificazione primaverile. Oltre a Gorella si affermano altre varietà che ben si adattano alla coltura protetta e autunnale veronese come Red Gauntlet di origine inglese, Pocahontas di origine americana, Belrubi di origine francese e Confitura di origine olandese. Dopo l’euforica espansione della coltura negli anni ’70, sotto la spinta delle innovazioni tecniche e della positiva situazione commerciale, già dai primi anni ’80 la coltura della fragola comincia a subire un notevole ridimensionamento, dai 1400 ettari del 1980 agli 800 ettari coltivati nel 1983, principalmente a causa dell’incremento generale dei costi di produzione. La fragola abbandona le aziende condotte in economia e si localizza nelle aziende medio-piccole a conduzione familiare dove per la notevole capacità e per l’esperienza dei produttori si riescono a ottenere delle rese a ettaro sufficienti per rendere la coltura ancora redditizia. Ormai si coltiva quasi esclusivamente sotto tunnel multipli, tipologia universalmente conosciuta come tunnel veronese, su terreno pacciamato e fumigato, con impianto di irrigazione localizzata con manichetta forata. Negli anni ’80 il panorama varietale si arricchisce di nuove cultivar come Addie e Dana, primi risultati positivi del programma di miglioramento genetico italiano, e come Chandler dalla California. Addie in particolare si imporrà per le buone caratteristiche produttive e organolettiche dei frutti, adattandosi perfettamente alla coltura protetta e sarà gradualmente preferita a Gorella perché più resistente al collasso delle piante.

Fragole in serra

• I numerosi tunnel della tipologia

veronese caratterizzano ormai il paesaggio, orientati in direzione estovest, perpendicolarmente ai frutteti già presenti. L’orientamento est-ovest rende le batterie di serre più resistenti ai venti dominanti di scirocco e bora e permette una migliore aerazione

Fuori suolo e fragolicoltura moderna Marmolada, cultivar ottenuta per incrocio da Gorella dal CIV di Ferrara, caratterizzata da una produttività molto elevata ma con caratteristiche qualitative dei frutti medie o scarse, dominerà la fragolicoltura veronese per tutto l’ultimo decennio del secolo scorso insieme a Elsanta, anch’essa ottenuta da Gorella in Olanda, a Chandler e Addie. Sulla spinta delle esperienze raccolte in Olanda prima e in Trentino poi, si diffonde rapidamente nella provincia di Verona la tecnica di coltivazione fuori suolo, sfruttando anche la predisposizione di varietà come Marmolada ed Elsanta. Nel 1996 la fragola in fuori suolo interessava circa 38 ha. La coltura fuori suolo si era proposta come alternativa alla coltura autunnale in suolo, permettendo di superare le problematiche relative alla stanchezza del terreno e di ottenere maggiori produzioni unitarie e superiore qualità dei frutti.

Tunnel multipli tipici della moderna fragolicoltura veronese

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fragola nel Veronese A cavallo del 2000 la varietà Chandler viene rapidamente sostituita da Tudla, di origine spagnola e, pur restando Marmolada la varietà di riferimento, vengono introdotte nuove varietà come Miss, di origine italiana, interessante per il periodo precoce, e Tethis, ottenuta dal CIV di Ferrara. Nel nuovo millennio la fragola veronese si conferma come il più importante bacino produttivo del Nord Italia. La tecnica colturale rimane sostanzialmente invariata con l’utilizzo di piante frigoconservate e la predominanza della coltura autunno-primaverile, ormai tradizionale nel Veronese. Il panorama varietale subisce una rapida evoluzione per assecondare le richieste produttive e commerciali: Tethis, Patty (di origine italiana) e Darselect sono le cultivar predominanti della prima parte del decennio. Nella seconda parte si affermano Alba e Roxana di New Fruits di Cesena e vengono diffuse commercialmente Eva, Dora e Irma, frutto del lavoro di breeding pubblico-privato per il Veronese. Eva in particolare si impone rapidamente come la varietà di riferimento grazie alla buona adattabilità alla coltura autunnale e alle buone caratteristiche del frutto, in particolare l’elevata consistenza, il colore rosso chiaro-aranciato, la forma allungata e attraente. La fragolicoltura veronese, ricca di un’antica tradizione e di un’elevata professionalità degli agricoltori, partendo da una semplice consociazione colturale come coltura secondaria fino alla moderna coltura autunno-primaverile e al fuori suolo, grazie anche a una rapida evoluzione varietale, ha sempre rappresentato un importante settore per l’agricoltura locale e un esempio di dinamicità per tutta la fragolicoltura nazionale.

Foto R. Angelini

Particolare della produzione in fuori suolo su substrato

Coltivazioni fuori suolo su sacchetto riempito di substrato a Raldon, Verona

Foto R. Angelini

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la fragola

paesaggio Fragola in Trentino Lara Giongo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola in Trentino Introduzione In Trentino la fragolicoltura si è diffusa nei primi anni ’70, quando la montagna iniziò a spopolarsi per ragioni strettamente connesse con l’economia, soprattutto in valli particolarmente chiuse, o più distanti dai centri maggiori, quali la Valle dei Mocheni e la Valle di Cembra. Proprio in questi luoghi ha preso avvio la grande tradizione cooperativistica, legata alla produzione di fragole e piccoli frutti, che ha reso il Trentino un esempio di riuscita e successo dell’associazionismo dal quale è conseguito anche il miglioramento del reddito dei soci produttori. Gli ultimi quarant’anni hanno visto un’energica evoluzione che ha riguardato la tecnica, le scelte varietali, le produzioni e, di conseguenza, l’ambiente naturale in cui la coltura della fragola si è sviluppata.

In sintesi

• Il Trentino è un’area prevalentemente

montuosa e a bassa densità abitativa. Ha una superficie di 6212 km2, di cui il 20% oltre i 2000 m di altitudine. 50.000 ha, meno del 10% del totale, costituisce la superficie agricola regionale e 1048 km2 sono coperti da aree protette

• La variabilità climatica e paesaggistica

è elevata: dal clima alpino e prealpino di monti e valli a quello di tipo submediterraneo del Lago di Garda (alt. 64 m); dalle vallate coperte di vigneti, frutteti, prati e pascoli ai boschi e ai laghi alpini (297 in totale), fino alle alte vette

Un po’ di storia Sino alla fine degli anni ’70 i fragolicoltori trentini hanno privilegiato la scelta di cultivar unifere: le piante frigoconservate venivano prevalentemente messe a dimora a giugno-luglio in file singole o binate, su prode ben baulate e pacciamate con paglia. La vecchia cultivar inglese Redgauntlet, insieme a poche altre, ha fatto da apripista alla fragolicoltura trentina per le produzioni estive, seguita dalle cultivar Cesena, Dana e Marmolada. Dalla fine degli anni ’70 al decennio successivo la produzione di fragole è passata da 300 a 640 t circa. Nel biennio 1982-83 furono introdotte le prime cultivar rifiorenti che, essendo produttive già nello stesso anno di impianto, consentivano di ottenere buone produzioni in periodi di offerta piuttosto limitata. Inizialmente fu coltivata Rapella, sensibile all’oidio, con frutti poco regolari, dalla polpa

• Le aziende agricole trentine sono per

lo più di piccole dimensioni, spesso collocate in zone svantaggiate dove la loro presenza ha assunto sempre più una funzione fondamentale nella tutela del territorio e del paesaggio

• Il settore agricolo contribuisce alla

formazione del prodotto interno lordo con poco più del 3% che diventa il 4,75% considerando i prodotti trasformati

Nella zona dell’Alto Garda le aziende sono poche e di grandi dimensioni rispetto alla media trentina

Foto R. Angelini

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fragola in Trentino poco consistente e di ridotta conservabilità, dopodiché, verso la fine degli anni ’80, si passò alle cultivar neutral day Brighton, Fern, Irvine e Selva. Tutte avevano pregi e difetti: Brighton con acheni sporgenti risultava di limitato interesse commerciale ma utile alle produzioni autunnali ritardate, Fern aveva frutti di pezzatura ridotta, Selva presentava un periodo di produzione più lungo delle altre ma forniva una produttività non sempre soddisfacente. In quegli anni la produzione crebbe costantemente, raggiungendo le 1700 t, ma nel 1992 la fragolicoltura trentina entrò in crisi. Le superfici investite a produzione di fragole rifiorenti ebbero un picco di espansione con una conseguente concentrazione di offerta nel mese di agosto: se da un lato il periodo poteva garantire al produttore un prezzo decisamente vantaggioso, dall’altro era indispensabile attenersi a una domanda molto rigida, per cui i quantitativi in eccesso, per un paio d’anni, causarono ai produttori un ritorno economico inferiore ai costi di produzione. Va ricordato che sino a quel momento ancora si coltivava in pieno campo e quindi con costi relativamente contenuti, ma ciononostante si ebbe un netto declino. Fu questa crisi a dettare una forte spinta verso l’innovazione, sia dal punto di vista varietale, sia della tecnica colturale. Nel 1992-93 furono valutate nuove cultivar unifere, Elsanta, in primis, che risulterà la cultivar dominante nei due decenni successivi. Si iniziò con diverse prove, tentativi volti a ottimizzare le risorse a disposizione, in particolare il territorio e le fasce altitudinali. In un ambiente montuoso sfruttare l’altitudine vuol dire, da un lato, far rendere al meglio un territorio che può essere coltivato con difficoltà e di conseguenza significa offrire una risorsa a chi in quel territorio vive e può così trarne incentivi, anche economici, per rimanervi; dall’altro, significa poter disporre di ambienti diversi, con un differente accumulo di ore crescita e avere quindi la possibilità

Foto Sant’Orsola

Foto storica della raccolta di fragole a Sant’Orsola Foto FEM - C. Agnolin

Foto Sant’Orsola

Particolare di un impianto di fragola di Elsanta coltivata in fuori suolo Impianto protetto di fragola in Val dei Mocheni

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paesaggio di entrare in produzione con una stessa cultivar in maniera scalare e programmabile. L’evoluzione della produzione, che ha visto la sintesi di tecnica e scelta varietale, fu influenzata anche dall’evoluzione della domanda che, dall’inizio degli anni ’80, si fece sempre più attenta sia ai parametri di qualificazione del prodotto, in termini di freschezza, bontà, salubrità nonché di immagine, in relazione alle caratteristiche morfologiche e di omogeneità del frutto, sia alla continuità dell’offerta nell’arco dell’anno. Alcune scelte tecniche incisero in maniera evidente e positiva sulla qualità dell’offerta: l’adozione della coltura fuori suolo, l’utilizzo di tunnel con coperture stagionali, la maggiore attenzione al postraccolta. Le prime prove di coltura fuori suolo furono realizzate per mezzo di attacchi posti sul colmo di prode con baulature elevate, dopodiché si passò gradatamente a strutture più specializzate. Da subito ci si poté avvantaggiare dei benefici del fuori suolo protetto: la riduzione degli attacchi fungini e della loro diffusione nell’impianto, il superamento delle problematiche connesse alla stanchezza del terreno, alle condizioni climatiche avverse quali piogge prolungate, grandine e brinate, la programmazione della coltura in due cicli, l’ottenimento di un prodotto finale più omogeneo, pulito e conservabile. Tuttavia il sistema produttivo adottato era, ed è tuttora, molto più costoso rispetto ai sistemi tradizionali in suolo, per esempio necessita di maggiore attenzione per predisporre una fertirrigazione ottimale, di un monitoraggio costante per ottimizzare la scelta e la produzione delle piante da vivaio e le date di impianto, in conseguenza degli andamenti climatici.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Situazione attuale Oggi le produzioni trentine di fragola sono ripartite tra fuori suolo e pieno campo, con netta prevalenza delle prime. La Valsugana e l’Altopiano di Pinè rimangono le aree di maggiore concentrazione fragolicola; in entrambe si coltiva fuori suolo in prevalenza la cultivar Elsanta, in doppio ciclo o monociclo programmato con concentrazione nel periodo estivo. Altra cultivar unifera di interesse è Darselect; negli ultimi anni si stanno testando anche nuove varietà rifiorenti. Nel tempo si sono affinate le conoscenze e le modalità di intervento su fattori esterni quali temperatura, luce, umidità, substrati che hanno reso possibile una buona precisione nelle programmazioni delle colture. Le diverse altitudini alle quali sono impiantati i fragoleti, variando da 400 a 1200 m s.l.m., permettono di sfruttare la scalarità del periodo di raccolta. Nelle zone di Telve e della Bassa Valsugana, situate ad altitudini inferiori, si predilige l’adozione di un doppio ciclo di produzione autunnale-estiva utilizzando le stesse piante, che vengono messe a dimora in vaso, a fine luglio,

Foto V. Bellettato

Viste aeree del Trentino

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fragola in Trentino per la produzione autunnale, poi, in inverno, vengono pulite e fatte svernare in campo o poste in cella frigorifera. La primavera successiva, l’allestimento viene effettuato con queste medesime piante che forniscono una seconda produzione a partire dalla fine di maggio. Negli impianti realizzati a quote più elevate la tecnica utilizzata è quella del monociclo, che prevede la programmazione dei trapianti di piante ingrossate. Solitamente vengono utilizzate piante di grosse dimensioni, TP (tray plant), messe a dimora da fine aprile a fine luglio. Le piante TP garantiscono normalmente prestazioni migliori in termini di qualità e quantità dei frutti, hanno maggiore capacità di attecchimento e presentano minore sensibilità allo stress da trapianto estivo, operazione colturale che coincide con il periodo più caldo durante il quale la radicazione è resa difficoltosa. Inoltre, le piante TP hanno una ripresa vegetativa lenta, che permette un maggiore sviluppo vegetativo e un leggero ritardo della maturazione dei frutti, influendo quindi sulla raccolta. In queste zone, dove pure permane un numero molto elevato di piccoli produttori afferenti alle diverse cooperative, si è assistito a un sempre maggiore aumento della imprenditoria e della professionalità delle aziende produttrici di fragole, con il passaggio, in molti casi rivelatosi efficace, dalla conduzione part-time a quella specializzata e full-time nonché con il maggiore coinvolgimento di personale di giovane età. Basti pensare che, attualmente, nella zona di Pinè sette aziende raggiungono da sole il 90% della produzione. Oltre alla Valsugana e a Pinè, la fragola è coltivata in Val dei Mocheni, Valle del Chiese, Val Rendena, Valle di Cavedine, Alto Garda, Val di Sole e, in maniera molto limitata, in Val di Non.

Foto R. Angelini

Vista aerea della Val di Sole Foto R. Angelini

Parco naturale Adamello-Brenta Produzione di piante di fragola TP (tray plant)

Foto Sant’Orsola

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paesaggio La Val dei Mocheni, valle di splendidi paesaggi e antiche tradizioni di un popolo estremamente legato alla propria terra, è maggiormente vocata per la coltivazione dei piccoli frutti, soprattutto lampone e mirtillo, che ne hanno fatto il fulcro di queste produzioni. Sebbene di impatto limitato, anche la fragola fa da corollario all’offerta della valle, anche qui mediante lo sfruttamento della coltura programmata fuori suolo. Nel Trentino occidentale, quindi nella Valle del Chiese e in Val Rendena, nel Parco naturale Adamello-Brenta, la coltivazione della fragola fuori suolo fu introdotta a partire dal 1997. A differenza delle zone in cui il prodotto è commercializzato in maniera molto coordinata e piuttosto concentrata, quest’area, che vede la produzione di piccoli frutti e fragola estesa su circa 10 ettari, predilige una forma di commercializzazione effettuata direttamente dai singoli produttori. Nella zona dell’Alto Garda le aziende sono poche e di grandi dimensioni per i parametri trentini. In Val di Sole e in Val di Non la coltura della fragola è piuttosto limitata: al di sopra della zona vocata per la frutticoltura, per il melo nello specifico, la coltivazione di piccoli frutti e fragola ha rappresentato un’opportunità di sfruttamento del territorio. Attualmente la coltura della fragola in questa zona si mantiene stabile a fronte di un incremento della coltivazione del ciliegio. Un accenno, infine, al fabbisogno annuale di piante, che attualmente si aggira attorno ai 9 milioni di unità; normalmente i soci delle cooperative non si occupano della moltiplicazione delle piante ma le acquistano presso vivai specializzati e autorizzati, in Italia e in Olanda, attuando in azienda, come già esposto, solo la fase di ingrossamento.

Foto R. Angelini

In Val di Non la coltivazione della fragola e dei piccoli frutti rappresenta un’opportunità al di sopra della zona vocata alla melicoltura

Panoramica del vivaio di tray plant di fragola della cultivar Elsanta

Foto Agri90

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fragola in Trentino Come emerge dalla descrizione, le superfici investite a fragola in Trentino sono limitate, ma questo non diminuisce l’importanza, a livello commerciale, dell’offerta finalizzata alle produzioni estive. Da questi ambienti montani arrivano sul mercato le uniche produzioni nel periodo estivo-autunnale, dalla prima decade di giugno fino alla prima decade di ottobre, affermando il prodotto trentino sui mercati nazionali, dove viene diretto circa il 90% della produzione, di cui un 70% va verso il Nord Italia mentre la rimanente, piccola, percentuale raggiunge i mercati europei.

Foto Sant’Orsola

Fragolina di bosco Quella della fragolina di bosco (Fragaria vesca), in Trentino, è una produzione molto limitata e dai costi elevati, in particolare per la raccolta. La tecnica utilizzata ha subito la stessa evoluzione di quella della fragola. Un certo incremento qualitativo si è ottenuto grazie alla coltivazione fuori suolo e all’utilizzo, nel confezionamento, dell’icepack, che conserva le delicate caratteristiche organolettiche dei frutti. Carattere trainante nella scelta di questo frutto, da parte dei consumatori, è rappresentato dall’aroma, particolarmente intenso. Due sono le tipologie di piante coltivate: rifiorenti, in prevalenza, e, su scala più limitata, unifere. La fragolina rifiorente maggiormente utilizzata è la cultivar Regina delle Valli, molto produttiva e attraente che in fuori suolo è tuttavia poco programmabile ed è penalizzata da andamenti del prezzo piuttosto fluttuanti. Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni seri tentativi di introduzione delle cultivar unifere (sulle quali è necessario tuttavia operare ulteriormente dal punto di vista genetico) che, a fronte di un livello qualitativo e quantitativo più basso rispetto alle rifiorenti, hanno il grande vantaggio di poter essere programmabili in maniera più precisa, sul modello della fragola, in quanto tendono a concentrare la loro produzione in brevi periodi.

Cestino di fragoline di bosco

Foto Consorzio Piccoli Frutti

Particolare della raccolta di fragole di montagna

Particolare della fruttificazione della fragolina Regina delle Valli (varietà rifiorente)

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la fragola

paesaggio Fragola in Val Martello Massimo Zago

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola nella Val Martello Introduzione Il paesaggio del Sudtirolo cambia profondamente il suo aspetto spesso anche nel raggio di brevi distanze: dal fondovalle, caratterizzato da immensi frutteti, in poco tempo si raggiungono ambienti tipicamente alpini. Se infatti si percorre il tragitto che parte dalla Val d’Adige e si risale il fiume omonimo seguendo il suo naturale percorso si attraversano ampie distese di meleti. Nella conca di Bolzano la Valle dell’Adige si stende verso nord-ovest, salendo lentamente dai 224 m s.l.m. di Salorno ai 325 m s.l.m. di Merano. Sempre seguendo il fiume, che da questo luogo punta decisamente verso ovest, si sale prima velocemente, poi gradatamente lungo la Val Venosta, con le sue infinite coltivazioni di mele. Qui il clima diventa via via più secco, perché la catena montuosa che costeggia questa valle spesso accarezza i 3500 m di altitudine. Proprio queste montagne costituiscono un vero e proprio muro naturale che attenua la forza delle perturbazioni, dando così origine al vento secco chiamato Föhn e quindi al clima tipico della Val Venosta, caratterizzato da vento costante e precipitazioni scarse. Risalendo il fiume Adige fino alla sorgente, si giunge al punto più occidentale della Val Venosta, al Lago di Resia (1498 m s.l.m.) che incanta i visitatori con l’inconfondibile campanile che emerge dalle sue acque. Da qui si possono ammirare enormi distese di prati che rivestono i fianchi delle montagne e che sovrastano l’intera vallata. A questa quota, l’immagine appena descritta è molto frequente in moltissime zone dell’Alto Adige.

Diga di Gioveretto, in Val Martello

In qualsiasi stagione si possono ammirare gli splendidi giochi di luce del lago e delle montagne che vi si riflettono

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fragola nella Val Martello Val Martello: la valle delle fragole In una vallata laterale alla valle appena descritta invece, l’uomo, per sopravvivere, ha imparato a sfruttare le diverse caratteristiche del luogo, addomesticandone i pendii impervi e scoscesi, creandosi così un’interessante fonte di reddito. Fu infatti già nel lontano 1959 che qualcuno intuì la potenzialità di quest’ambiente, e mise a dimora le prime piantine di fragole. Fin dall’inizio, questa coltura ha subito una lenta e costante evoluzione, integrandosi a meraviglia in questo paesaggio e diventandone parte integrante. Infatti, la Val Martello è collocata interamente nel Parco nazionale dello Stelvio e quindi anche la fragolicoltura è stata adattata a questa particolare situazione: la coltivazione avviene in pieno campo, possibilmente senza l’utilizzo di film plastici pacciamanti, preferendo la tradizionale paglia tra le file. Non è raro vedere in mezzo ai campi enormi massi di roccia, probabilmente finiti lì in seguito a frane antiche di secoli o addirittura di millenni, con i fragoleti che li avvolgono come la corrente del fiume avvolge il masso che affiora dall’acqua. Caratteristiche sono anche le recinzioni dei campi coltivati per proteggere le colture dalla pericolosa invasione di cervi e caprioli, molto numerosi in tutta la valle. Di grandissimo impatto visivo sono però i fragoleti che si trovano nella parte più alta della valle e cioè a 1700 m s.l.m. Qui l’aria è decisamente più fina e il confine estremo dei boschi che risalgono le montagne è molto più vicino. Anche nei mesi estivi la luce riflessa dalla neve del ghiacciaio Cevedale abbaglia, tanto è vicina e intensa. Grazie al clima fresco le fragole a questa quota maturano da metà agosto a settembre, il che permette di allungare ulteriormente la stagione fragolicola della vallata.

Nel 1999 si tentò il record del mondo con una torta di fragole di ben 150 m²

Veduta aerea delle coltivazioni di fragola in Val Martello nel mese di agosto, durante la raccolta. Sullo sfondo il ghiacciaio Cevedale

Foto R. Angelini

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paesaggio Tecnica colturale Fino a qualche anno fa i fragoleti venivano prevalentemente effettuati facendo ricorso a piante frigoconservate (A+), il che permette di ottenere una produzione programmata nell’anno del trapianto e un’ulteriore produzione nell’anno successivo. Le esperienze molto positive fatte negli ultimi anni con le cime radicate (stoloni prelevati opportunamente in campo e preparati in modo adeguato in vaso per il trapianto estivo) hanno incrementato l’uso di questo tipo di pianta, grazie a una produzione più elevata e a una minore sensibilità alle gelate invernali. Per sfruttare tutto il potenziale produttivo delle cime è però molto importante metterle a dimora entro la prima settimana di agosto, perché il periodo vegetativo, già ridotto a queste quote, non permetterebbe uno sviluppo completo delle piantine trapiantate oltre tale data. Questo tipo di pianta inoltre permette l’immediata successione di un fragoleto, dopo la coltura del radicchio precoce. Proprio la tecnica della rotazione è un aspetto di importanza fondamentale in Val Martello. Le superfici che si adattano alla coltivazione di fragole in questa piccola valle sono molto ridotte e un utilizzo poco attento dei terreni comprometterebbe irrimediabilmente tutto il sistema. A questo scopo si sono adattati molto bene il radicchio rosso e il cavolfiore, scongiurando così i pericoli della monocoltura e incrementando il reddito grazie al doppio sfruttamento dello stesso terreno senza pause improduttive. Le piante frigoconservate invece vengono messe a dimora da inizio maggio a metà giugno, in relazione all’altitudine e all’esposizione dei pendii, perché anche questi fattori sono determinanti per il loro sviluppo vegetativo. La tecnica di coltivazione adottata nei fragoleti segue quella nordamericana del matted row. Gli stoloni prodotti dalle piantine durante l’estate e l’inizio dell’autunno

La copertura nevosa costituisce un vero e proprio “tappeto termico” proteggendo le piante di fragola dalle gelate e dal disseccamento

Caratteristici sono gli enormi massi di roccia in mezzo ai campi di fragola

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fragola nella Val Martello vengono infatti mantenuti, ricoprendo ben presto gran parte della superficie del terreno disponibile. Essi radicano liberamente formando aiuole molto fitte, entro le quali è sempre piú difficile distinguere le piante madri dalle figlie. Nella primavera successiva si procede alla fresatura degli stoloni in eccesso in quanto le file devono avere una larghezza che non superi i 20-30 cm. Verso la fine della fioritura, nell’interfilare fresato in precedenza, si pone la paglia, per consentire ai frutti in fase di crescita di appoggiarvisi ed evitare loro di sporcarsi. Lo spesso strato di pacciamatura, inoltre, attenua lo sviluppo di erbe infestanti durante la raccolta. Terminate le operazioni di raccolta, gli spazi tra le file vanno nuovamente lavorati con la fresa, interrando così una grande quantità di sostanza organica (3,5 t/ha) che contribuisce a un ulteriore arricchimento di azoto nel terreno. Evoluzione varietale Da quando furono messe a dimora le prime piantine di fragole in Val Martello si sono susseguite numerose cultivar: dalle prime esperienze con le classiche Senga Sengana, Red Gauntlet, Bogota, Gorella e più tardi Elvira, fino ad arrivare ai giorni nostri con Elsanta, Marmolada, Darselect e Arosa. Di recente introduzione sono le varietà Galia e Record, ma ci vorrà ancora del tempo per comprendere se queste ultime avranno tutte le carte in regola per confermare il loro adattamento a una coltivazione su scala più ampia in quest’ambiente. La continua evoluzione del mercato ha modificato costantemente i parametri qualitativi dei frutti e grazie all’intenso lavoro svolto nel campo del miglioramento genetico è stato possibile raggiungere con le nuove varietà uno standard qualitativo molto elevato. A oggi, Elsanta occupa uno spazio vicino al 60% tra le varietà coltivate

Elsanta (piante frigoconservate) al secondo anno di produzione alla ripresa vegetativa (fine aprile): le file sono state “pulite” dalle foglie vecchie e l’interfila è stata fresata interrando la pacciamatura di paglia dell’anno precedente

Raccolta in Val Martello

Foto R. Angelini

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paesaggio in Val Martello, seguita da Marmolada con il 30%. Meno diffuse, ma comunque di grande interesse, sono Darselect e Arosa, per una produzione di qualità molto elevata. Proprio la prima, grazie all’eccellente qualità dei frutti, rappresenta un punto di riferimento importante nel panorama varietale. Cooperativa MEG Fino agli anni ’80 gli acquirenti si recavano nei campi per contrattare il prezzo delle fragole con i proprietari stessi. Il crescente interesse per questo frutto fece anche aumentare i fragoleti nella valle. L’offerta del prodotto aumentò a tal punto, che i produttori ebbero grosse difficoltà nella vendita, in quanto la fragola era poco conservabile e il prezzo imposto dall’acquirente sempre più basso. Così nel 1989 nove soci fondatori costituirono una cooperativa denominata MEG (Marteller Erzeuger Genossenschaft). Da allora il numero dei soci è aumentato, così come la superficie coltivata. Grazie a questa struttura, la produzione di ortaggi e piccoli frutti si è espansa anche oltre la Val Martello. I prodotti conferiti infatti provengono anche da Val Venosta, Val d’Ultimo, Alta Val di Non, Val d’Isarco e Val d’Adige. A oggi la MEG conta 66 soci e 25 fornitori indipendenti. Le aziende associate producono piccoli frutti e ortaggi su una superficie totale di circa 90 ettari così suddivisa: 55 fragola, 4 ribes, 6 lampone, 1 rovo, 1 mirtillo, 3,5 ciliegio, 1,5 albicocco, 15 ortaggi. La produzione di fragole ha raggiunto nel 2009 ben 881 t. La cooperativa, oltre alla vendita del prodotto conferito dai soci, garantisce un servizio completo, che va dall’acquisto dei mezzi tecnici agli imballaggi per il conferimento. Un altro servizio fondamentale, offerto dalla cooperativa, è l’assistenza tecnica che ha permesso alle aziende di crescere e di specializzarsi sempre più.

Elsanta durante la maturazione: i frutti appoggiano sullo spesso strato di paglia

Terreni pesanti e con ristagni idrici possono essere problematici per le fragole: una baulatura del terreno con prode pacciamate con film plastico migliora le condizioni del terreno (a sinistra). La rotazione colturale è indispensabile in caso di reimpianto; a destra si possono vedere piantine di radicchio precoce

Frutti di Elsanta appena raccolti e pronti per il conferimento in cooperativa

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fragola nella Val Martello Festa della fragola La fragola in questa piccola valle rappresenta un’importante fonte di reddito per numerose famiglie di agricoltori. Ma la rilevanza del frutto rosso va ben oltre questo aspetto e la Festa della fragola ne è un esempio lampante. Dal 1999, tutti gli anni, durante l’ultimo fine settimana di giugno, un fiume di persone sempre crescente invade la valle per partecipare a questa festa che ormai ha raggiunto notorietà anche oltre confine. Infatti, il connubio fragola-Val Martello fa da motore trainante anche per il turismo. Il successo di questa manifestazione di carattere folcloristico è sicuramente legato alla tipicità e all’originalità della Fragola della Val Martello. La fragola, grazie alla globalizzazione, ormai è presente dodici mesi all’anno sugli scaffali dei supermercati e forse proprio per questo oggi si apprezzano sempre più quei prodotti che sono legati a un ambiente specifico e a un determinato periodo della stagione. Anche l’elezione della Regina delle fragole durante i due giorni di festa avviene secondo un concetto molto simile: l’aspirante Reginetta, infatti, deve essere originaria della Val Martello. Le candidate, oltre a essere giudicate per l’aspetto fisico, devono dimostrare una certa conoscenza sul tema fragola rispondendo correttamente a diversi quesiti sull’argomento. Solo dopo avere superato queste prove, avviene l’elezione della nuova Regina, la quale potrà portare la corona per due anni consecutivi. Questa valle dal nome così curioso rappresenta per l’Alto Adige un valido esempio di come un ambiente così marginale possa svilupparsi, impiegando proficuamente tutte le potenzialità del proprio territorio, preservandone la bellezza paesaggistica e sfruttando l’immagine che la natura stessa gli ha regalato.

La Regina delle fragole viene eletta durante la tradizionale festa di fine giugno e potrà portare la corona per due anni La qualità della paglia, che si utilizza come pacciamatura delle interfile, è molto importante. La paglia di scarsa qualità infatti può contenere una certa quantità di semi di erbe infestanti. Può essere necessaria una battitura prima di disporla nei fragoleti per ripulirla da eventuali sementi indesiderate

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la fragola

paesaggio Fragola in Piemonte Michele Baudino, Sandro Frati

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: la foto alla pagina 13 (Sandro Botticelli, La Primavera - Firenze, Galleria degli Uffizi) è di © 2010 Foto Scala, Firenze - su concessione Ministero Beni e Attività Culturali. Le foto alle pagine 47, 60 (Ekaterina Starshaya), 66, 337 sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 17 (ronen©), 45 (Massimiliano Pieraccini), 62 (Denis and Yulia Pogostins), 63 (©Kelly Cline 2006), 64 in alto a sinistra, 64 in basso, 65, 497 in alto a destra, 500 in alto a sinistra sono dell’agenzia iStockphoto.com.


paesaggio Fragola in Piemonte Introduzione Il binomio fragole-territorio per il Piemonte ha inizio negli anni 1939-41, periodo nel quale si realizzarono le prime coltivazioni di fragola. Sino ad allora venivano raccolte e consumate, esclusivamente, produzioni ottenute da piante spontanee di fragoline di bosco (Fragaria vesca) particolarmente diffuse negli ambienti ombrosi dei boschi di castagno che circondano tutto l’altopiano cuneese. Le prime esperienze che diedero avvio alla coltivazione della fragola a frutto grosso (Fragaria × ananassa) in Piemonte furono realizzate a Peveragno (Cuneo) da un agricoltore conosciuto come Luis d’la Russia o Luis ‘d la mula, che realizzò i primi campi con piantine importate dalla Francia al rientro dai periodi di lavoro stagionale. Dai documenti storici rinvenuti negli archivi del Comune di Peveragno, si evidenzia come, nella seconda metà degli anni ’40, un altro peveragnese chiamato Min del Gavot o Gavotun si cimentò in questa avventura dando così l’avvio all’espandersi della coltivazione della fragola in Piemonte. La diffusione della coltura in numerose aziende determinò, a partire dagli anni 1955-60, un significativo incremento delle produzioni commercializzate, tanto che la coltivazione cominciò a diventare veramente importante per l’areale cuneese, coinvolgendo un numero sempre maggiore di produttori che operavano alle pendici della Bisalta, la montagna che con i suoi 2400 m di altitudine svetta sulla città di Cuneo e sull’intera pianura cuneese. In queste prime esperienze produttive furono messe a punto anche alcune tecniche colturali innovative (per quei tempi) adatte agli ambienti

Coltivazione forzata sotto tunnel ricoperto con materiale plastico

Impianto di fragole rifiorenti in areale montano della provincia di Cuneo

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fragola in Piemonte di coltivazione pedemontani, caratterizzati da inverni particolarmente rigidi e da abbondanti precipitazioni nevose. Grazie alle condizioni pedoclimatiche favorevoli (disponibilità di suoli fertili, freschi, leggermente acidi, ben dotati in sostanza organica e ambienti di coltivazione caratterizzati da marcate escursioni termiche giornaliere), i fragoleti prosperarono immediatamente, producendo frutti di alta qualità molto apprezzati dai consumatori. Le produzioni, in quegli anni, venivano convogliate sui mercati locali; le buone risposte produttive ed economiche di queste prime esperienze stimolarono molte aziende a intraprendere la coltivazione della fragola e in breve tempo si videro spuntare ovunque i lunghi filari che caratterizzano questa preziosa coltura. Con il crescere della superficie coltivata la produzione piemontese conobbe ulteriori incrementi andando a occupare spazi commerciali sempre maggiori, giungendo sino ai mercati della vicina Liguria e della Lombardia. Da piccola realtà locale, grazie all’intuizione e all’accortezza di operatori particolarmente avveduti, la coltura della fragola si sviluppò presto su tutto il territorio piemontese andando a interessare dapprima le aree collinari del Roero e del Torinese, e successivamente le aziende della pianura cuneese e alessandrina. Rispetto alle tradizionali coltivazioni ortofrutticole diffuse in quel tempo nelle aree collinari e pedemontane, che non ripagavano di certo le energie spese consentendo solo modestissimi margini di guadagno, lo sviluppo della coltivazione della fragola permise a molti agricoltori di voltare pagina e di abbracciare uno stile di vita maggiormente confortevole. Nel corso degli anni 1960-70 si assistette, a livello territoriale, allo sviluppo di mercati alla produzione. Fra quelli maggiormente rappresentativi si possono citare i mercati di Peveragno, importante

Coltura protetta forzata a inizio raccolta

Fragole in coltura forzata nella zona collinare del Roero, Cuneo

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paesaggio punto di concentrazione e contrattazione della produzione locale sino agli inizi del 2000, di Sommariva Perno – Baldissero d’Alba (CN) per la produzione precoce, oggi ancora attivo nella sede di Canale d’Alba, della Piagera (TO) e di Volpedo (AL) a servizio delle produzioni provenienti dalle aree pianeggianti del Piemonte. I produttori conferivano presso questi mercati le fragole confezionate in cassette di legno e trasportate, nei primi anni, su carretti con le ruote di gomma; il traffico di questi veicoli lungo le strade della provincia di Cuneo era tale che presto si dovette istituire un registro per censirli e regolarizzarne la circolazione. Con il passare degli anni il trasporto della produzione subì un’evoluzione e, accanto ai carretti a traino manuale, subentrarono i primi mezzi meccanici. Nel propagandare la fragola ebbero grande merito i sindaci del tempo, che si fecero promotori di una serie di iniziative volte a rendere ancora più popolare la rossa delizia. Tra queste spicca la tradizionale Sagra delle Fragole di Peveragno che prese il via nel 1957 e da allora si pone quale momento di promozione di questo prezioso frutto per l’intera area produttiva della Bisalta. Ancora oggi, questa sagra attira ogni anno una folta schiera di curiosi e turisti. La maggiore diffusione della coltura si raggiunse negli anni ‘70inizio anni ’80 quando, a livello regionale, si stimavano superfici investite superiori ai 1000 ettari con una produzione media annua di circa 15.000 t. In quegli anni si utilizzavano prevalentemente cultivar di fragola unifere con produzioni tardive di maggio-giu-

Nuovo impianto di fragole rifiorenti in areale montano del Cuneese

Evoluzione varietale in Piemonte Madame Moutot

Utilizzata per le prime coltivazioni di fragola sino alla seconda metà degli anni ’60

Pocahontas

Diffusa nell’areale della Bisalta, in particolare a quote medio elevate, negli anni ’60

Red Gauntlet

Si è diffusa nell’areale piemontese nella metà degli anni ’60

Gorella

Per quasi un ventennio ha caratterizzato la fragolicoltura piemontese, diffusa in zona a partire dalla metà degli anni ’60

Brighton

Cultivar rifiorente, introdotta nell’areale cuneese all’inizio degli anni ’80 per ottenere produzioni estivo-autunnali

Elsanta

È stata utilizzata, per alcuni anni, a partire dalla seconda metà degli anni ’80

Dana – Cesena

Hanno avuto un buon successo negli ambienti di coltura piemontesi tra la seconda metà degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 soprattutto per la grossa pezzatura dei frutti

Addie

Si è diffusa nell’areale piemontese, in particolare nelle produzioni protette anticipate, a partire dalla seconda metà degli anni ’80

Miss

Ha trovato negli areali pedemontani del Piemonte situazioni favorevoli per il suo sviluppo, a partire dai primi anni ’90. Per circa un decennio è stata utilizzata sia per produzioni in coltura protetta sia in pieno campo

Marmolada®Onebor

Entra, agli inizi degli anni ’90, nel panorama varietale locale e, per circa 10 anni, è stata considerata la cultivar di riferimento per il Cuneese, specialmente per le produzioni di pieno campo

Maya

Cultivar entrata nel panorama produttivo locale a partire dal 2001. Diffusa all’interno delle aziende in particolare nelle colture protette sino al 2005-2006

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fragola in Piemonte gno; le posticipate epoche di maturazione rappresentavano un valore aggiunto alla produzione locale. Infatti, il prodotto piemontese andava a occupare uno spazio di mercato tardivo, caratterizzato da ridotta offerta a livello nazionale, associato a una buona domanda. L’elevata qualità della produzione locale unita a una marcata presenza in zona di operatori commerciali favorì, in quegli anni, una significativa corrente di esportazione verso la vicina Svizzera e, successivamente, anche verso la Germania e i Paesi del Nord Europa assicurando prezzi interessanti per un lungo periodo di tempo. Purtroppo a partire dalla seconda metà degli anni ’90 la superficie coltivata e le quantità di questa produzione tipica hanno subito una lenta e costante contrazione. La riduzione degli investimenti produttivi è da ascrivere a una serie di fattori economici e sociali che hanno determinato questa involuzione della coltura. In primo luogo si evidenzia una significativa contrazione delle quotazioni legata sia alla flessione delle esportazioni sia alla forte concorrenza di altre aree produttive italiane ed europee. Parallelamente su tutto il territorio piemontese si assiste a un progressivo invecchiamento della popolazione attiva in agricoltura e a una diffusione significativa, nelle aree tipiche di produzione, di particolari avversità di natura patologica e/o entomologica (collassi di piante, eriofide, oziorrinco) con conseguente contrazione delle rese unitarie. La riduzione degli investimenti è stata graduale e costante nel tempo; attualmente si stimano, a livello regionale, investimenti produttivi attorno a 130-140 ettari suddivisi, equamente, tra produzione in ambiente protetto e in pieno campo. L’evoluzione delle tecniche agronomiche degli ultimi anni (in particolare la diffusione di sistemi di irrigazione localizzati, l’adozione di tecniche di produzione integrata, di coltivazioni in fuori suolo e la forte incidenza

Coltura di pieno campo e posizionamento dei tunnel plastici

Fragole in coltura forzata nella zona collinare del Roero, Cuneo

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paesaggio di coltivazioni di fragola rifiorente) ha determinato un significativo incremento della produzione per pianta e delle rese unitarie mitigando, in parte, gli effetti della contrazione delle superfici investite e ampliando, per contro, i periodi di commercializzazione. L’areale piemontese attualmente si distingue sul mercato nazionale per la capacità di produrre fragole di alta qualità (determinata sostanzialmente dall’ambiente di coltivazione) per un ampio lasso temporale. In particolare le produzioni locali tardive primaveriliestive si distinguono per elevati contenuti aromatici dei frutti, associati a buona concentrazione di zuccheri.

Attività di ricerca in Piemonte

• Per migliorare ulteriormente gli

standard qualitativi delle produzioni piemontesi sono state avviate, negli anni, attività di ricerca sul territorio finalizzate alla messa a punto di tecniche di produzione ecocompatibili. Il servizio tecnico del CReSO (Consorzio Ricerca e Sperimentazione per l’Ortofrutticoltura Piemontese), in stretta collaborazione con i dipartimenti Di.Va.PRA-Entomologia Agraria e Agroinnova dell’Università di Torino, ha condotto, nell’ambito di specifici progetti di ricerca finanziati dalla Regione Piemonte, una serie di attività con l’obiettivo di approntare linee di intervento a basso impatto ambientale prendendo in esame, in particolare, gli aspetti legati al controllo dei patogeni tellurici e dei fitofagi

Tecnica colturale Per la fragolicoltura piemontese i sistemi e i cicli di coltivazione che attualmente si adottano sono numerosi; le varianti che maggiormente entrano in gioco sono: la cultivar, la tipologia di pianta, l’epoca di piantagione, la durata del ciclo e l’ambiente di coltivazione. In Piemonte i periodi di raccolta differiscono significativamente in funzione dell’altitudine, delle condizioni climatiche e delle tipologie di fragola utilizzate. I primi stacchi (metà-fine aprile) si effettuano normalmente nelle zone collinari del Roero esposte a sud (altitudine media di 200-250 m s.l.m.) dove le piante vengono gestite adottando tecniche di forzatura dei cicli di maturazione con tunnel che proteggono la coltura a partire da gennaio-febbraio. Successivamente si procede con la raccolta nelle aree del Torinese (Verrua Savoia e zone limitrofe) in cui le produzioni sono ottenute all’interno di piccoli tunnel adottando una semiforzatura dei processi di maturazione dei frutti. Queste due aree rappresentano circa il 30% dell’intera fragolicoltura piemontese. A metà maggio entrano in produzione le zone pianeggianti dell’Alessandrino con investimenti di pieno campo (circa il 15% della superficie fragolicola piemontese) per poi proseguire, in maggio-giugno, con le produzioni del Cuneese ottenute con cultivar unifere (circa un 30% dell’intera superficie coltivata a fragola). La diversa ubicazione degli impianti produttivi che caratterizza l’areale cuneese con investimenti a quote comprese tra i 500 e i 1000 m consente, a parità di cultivar utilizzata, una naturale posticipazione dei periodi di raccolta. Successivamente, proprio nelle aree pedemontane caratterizzate da clima estivo fresco trovano collocazione produzioni rifiorenti (si stima un 25% della intera superficie investita) con maturazione scalare da fine giugno sino all’autunno inoltrato quando, con il sopraggiungere dei primi freddi invernali, le piante cessano l’attività vegetativa. Gli impianti della fragola unifera si realizzano nei mesi estivi; si inizia la piantagione a fine giugno-inizio luglio nelle aree montane, utilizzando materiali di propagazione frigoconservati, per poi proseguire nelle zone pianeggianti del Piemonte sino a fine luglio. In alternativa si possono utilizzare piante fresche o ve-

• Particolare attenzione è stata posta

inoltre alla gestione agronomica dell’impianto, a partire dalla scelta dei materiali di propagazione e delle epoche di piantagione, nonché nella gestione dei tunnel di coltivazione

Cultivar unifere (a sinistra) e rifiorenti (a destra) inserite in Lista nel 2010 (Progetto MIPAAF + Regioni)

• Alba-NF311 • Clery • Sugar Lia • Asia-NF421 • Antea • Arosa • Argentera

• Albion • Elsinore Civri30 • Evie 2 • Monterey • Portola • San Andreas ®

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fragola in Piemonte getanti in vasetto (cime radicate) con trapianti da metà luglio (zone montane) sino alla seconda decade di agosto nelle aree pianeggianti. Gli investimenti di fragole rifiorenti vengono realizzati a inizio primavera (mese di aprile) utilizzando in genere piante frigoconservate di calibro elevato. Per la fragola rifiorente da alcuni anni si fa ricorso, in misura sempre maggiore, alla produzione in fuori suolo adottando substrati contenenti compost con aggiunta di materiali drenanti. Per ridurre l’incidenza dei marciumi e per migliorare gli aspetti di lucentezza e regolarità della superficie dei frutti gli impianti vengono protetti, in fase di pre-invaiatura, con cupolini (tunnel) coperti da film plastici. I tunnel presentano queste caratteristiche: larghezza variabile, di 5,40-6,00 m, lunghezza compresa tra i 30 e gli 80 m, altezza al colmo di 3,5 m e sono mantenuti costantemente aperti sia sui lati sia in testata senza andare a modificare i cicli di maturazione. Il suolo destinato alla coltura viene baulato, sistemato in prode meccanicamente e pacciamato con film in polietilene nero in fase di pre-trapianto, per favorire lo sgrondo delle acque in eccesso nella fase tardo-invernale. Si adottano prode medio-alte (20-25 cm dal piano terra) a forma semisferica. Sotto la pacciamatura viene posizionata l’ala gocciolante. I filari sono distanti tra loro 1,1-1,2 m mentre lungo la fila le piante sono disposte a distanze variabili tra i 30 e i 35 cm con un investimento medio di 3-3,3 piante per metro quadrato. La coltivazione in fuori suolo viene adottata su colture rifiorenti. Il ricorso a questa tecnica può essere considerato un mezzo alternativo alla fumigazione del suolo favorendo, nel contempo, le operazioni colturali di raccolta quando le linee produttive vengono posizionate a un’altezza agevole per gli operatori. I sesti di piantagione adottati nelle aziende consentono l’investimento di 4,5-5 piante per metro quadrato; gli

Attività di ricerca del comparto varietale

• Fragola unifera:

– individuazione di cloni di fragola a maturazione precoce da utilizzare nelle aree di pianura e collinari del Piemonte, caratterizzati da elevati standard qualitativi e da buona produttività

– selezione e individuazione di cloni di fragola da destinare alle aree pedemontane caratterizzate da cicli tardivi di maturazione, al fine di posticipare significativamente i calendari di produzione a livello regionale

• Fragola rifiorente:

– individuazione di cloni di fragola caratterizzati da un’elevata rifiorenza associata a ottimali aspetti qualitativi dei frutti (forma – colore – consistenza – aroma – contenuto zuccherino)

Coltivazione di fragole in fuori suolo a Peveragno

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paesaggio apporti di acqua alle piante vengono assicurati mediante posizionamento di apposita manichetta forata. Particolare attenzione viene posta in zona alla gestione del fragoleto attraverso l’adozione di tecniche di produzione integrata nei confronti dei principali patogeni e controllando specialmente l’apporto di elementi fertilizzanti e di acqua. Il prodotto piemontese oggi presente sui mercati viene particolarmente apprezzato per i requisiti di qualità e di sicurezza alimentare che lo caratterizzano. Raccolta, manipolazione e destinazione del prodotto Le fragole piemontesi vengono commercializzate in vaschette da 150-250 g poste in numero di 8-10 per confezione. I frutti vengono staccati quando hanno raggiunto un giusto grado di maturazione (almeno l’80% della superficie dei frutti deve presentare la colorazione tipica della cultivar). Per le fragole unifere gli stacchi avvengono ogni 2-3 giorni mentre per le rifiorenti l’intervallo tra gli stacchi può essere anche portato a 3-4 giorni a seconda delle condizioni ambientali. Il numero di raccolte varia significativamente in funzione delle cultivar utilizzate, della tipologia di pianta e dell’andamento stagionale. Il prodotto viene convogliato in tempi brevi ai magazzini di stoccaggio e immesso, entro le successive 24 ore, nei canali distributivi. La quasi totalità della produzione piemontese viene inviata ai mercati nazionali.

Operazioni di raccolta in tunnel

Conclusioni La fragola ha rappresentato, in particolare negli scorsi decenni, un’importante risorsa economica per le aziende ortofrutticole che operano negli areali pedemontani; una buona disponibilità di manodopera aziendale e cicli di maturazione brevi hanno contribuito alla diffusione della coltura. Molte realtà aziendali, grazie ai positivi riscontri legati alla produzione di fragola, sono riuscite Coltivazione di fragole in fuori suolo

Foto R. Angelini

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fragola in Piemonte a effettuare investimenti strutturali considerevoli sviluppando, nel contempo, altre attività produttive quali l’allevamento bovino da carne e da latte, le produzioni orticole a ciclo estivo e, in parte, anche la produzione di frutti di bosco, particolarmente diffusa nelle zone pedemontane del Cuneese. La vocazionalità dell’ambiente pedoclimatico e la buona professionalità degli operatori locali hanno favorito la diffusione della coltura. Ancora oggi la fragola rappresenta una delle principali fonti di reddito per le piccole aziende diretto-coltivatrici. Favorevoli situazioni pedoclimatiche, in particolare la significativa escursione termica giornaliera e una buona ventilazione degli ambienti produttivi, assicurano il raggiungimento di interessanti livelli qualitativi, soprattutto relativamente alle caratteristiche di sapore, aroma, dolcezza, croccantezza della polpa anche nella fase centrale estiva, in grado di soddisfare pienamente le richieste dei consumatori più esigenti. Inoltre il prodotto piemontese porta con sé l’immagine di un territorio particolarmente interessante anche dal punto di vista ambientale e turistico, richiamando alla mente le incontaminate vallate alpine e i fondovalle nonché gli ambienti collinari e della pianura alessandrina, torinese e cuneese; terre ricche di tradizioni e di prodotti enogastronomici di elevata qualità, tra cui la fragola.

Coltivazione della varietà Queen Elisa Sibona sotto tunnel Impianto di fragole rifiorenti a Peveragno, Cuneo

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