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il grano
ricerca Origine ed evoluzione Antonio Blanco
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ricerca Origine ed evoluzione Introduzione
Origine delle piante
Durante la Rivoluzione neolitica, l’uomo assunse il controllo della produzione dei propri alimenti. In questo periodo pre-agricolo, l’uomo cacciatore-raccoglitore di semi e frutti cominciò a prendere coscienza della periodicità degli eventi naturali e del ciclo vitale delle piante dominanti nel proprio ambiente e a domesticare molte piante utili a soddisfare i propri fabbisogni. Numerosi studiosi ebrei del II e III secolo d.C. credevano che il frumento fosse la pianta della conoscenza e interpretavano l’antica storia biblica come l’espressione del desiderio umano di appagare la sua creazione a immagine di Dio attraverso la gestione della produzione del proprio cibo. L’origine delle piante coltivate e la prima fase della coltivazione hanno sempre suscitato grande interesse e stimolato la fantasia e la curiosità umane. Nel mondo antico, quando la mitologia era prevalente, le piante coltivate erano considerate un generoso dono divino all’umanità. Così, gli antichi egizi erano grati a Iside e Osiride per l’introduzione del frumento e dell’orzo in Egitto e per aver rivelato al popolo i segreti della loro coltivazione. Similmente, gli antichi greci attribuivano il dono di questi importanti cereali alla dea Demetra, e i romani alla dea Cerere. L’origine e l’evoluzione di una pianta coltivata può essere meglio studiata attraverso l’identificazione del suo progenitore selvatico e la distribuzione geografica passata e attuale del progenitore. Ciò può contribuire alla conoscenza delle variazioni che hanno portato alla sua domesticazione e alla sua iniziale coltivazione. Comunque, la comprensione della storia di una pianta coltivata viene notevolmente ostacolata quando il suo progenitore selvatico non viene identificato o è estinto. Uno dei primi tentativi di rintracciare il progenitore dei frumenti coltivati, e in particolare la specie ancestrale da cui si era originato il frumento tenero, risale alla metà del XIX secolo, quando numerosi botanici pensavano che l’ibrido intergenerico spontaneo Aegilops ovata x frumento tenero e le generazioni derivate rappresentassero le forme ancestrali di questo frumento. Questo ibrido, originatosi su una spiga di Aegilops ovata, fu dapprima trovato in Francia meridionale nel 1821, e successivamente in Italia settentrionale e nel Nordafrica. Sulla base della sua somiglianza morfologica con alcune linee di frumento tenero e di tante forme intermedie tra il frumento tenero e l’Aegilops ovata, nel 1855 Fabre concludeva che tutti i frumenti si erano originati dall’Aegilops ovata. L’ipotesi era che nelle condizioni di coltivazione l’Aegilops ovata si fosse gradualmente trasformata in frumento tenero. Tale ipotesi fu comunque contrastata da Godron, che nel 1876 dimostrò la reale
• Con lo sviluppo delle scienze moderne
nel corso degli ultimi secoli, botanici e studiosi di storia dell’agricoltura hanno tentato di spiegare su basi scientifiche l’origine delle piante coltivate e la loro evoluzione durante la domesticazione e la coltivazione. Nel 1886 De Candolle fu tra i primi a comprendere che le prove di tipo storico, linguistico e folcloristico erano insufficienti da sole a rivelare l’origine delle piante coltivate e che sono invece essenziali studi archeologici, botanici e genetici
Aegilops ovata, la specie selvatica che nel XIX secolo si riteneva il progenitore ancestrale degli attuali frumenti coltivati
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origine ed evoluzione natura ibrida delle presunte piante ancestrali di frumento tenero, riuscendo a produrre sperimentalmente alcune piante dall’incrocio tra l’Aegilops ovata e il frumento tenero e altre piante intermedie attraverso il reincrocio con lo stesso frumento tenero. Questo episodio mise in evidenza la necessità di studi interdisciplinari più approfonditi; da allora l’origine dei frumenti coltivati e la storia della loro domesticazione ed evoluzione in condizioni di coltivazione divennero problematiche centrali per botanici, genetisti, agronomi, paleo-botanici e studiosi della civiltà umana.
Approfondimenti interdisciplinari
• Le differenti ipotesi sull’origine
dei frumenti coltivati e sulla storia della loro evoluzione divennero problematiche centrali per botanici, genetisti, agronomi, paleo-botanici e studiosi della civiltà umana, evidenziando la necessità di studi interdisciplinari più approfonditi
Prime ipotesi sull’origine dei frumenti coltivati Alla fine del XIX secolo la maggior parte dei botanici credeva che i frumenti coltivati avessero avuto un’origine polifiletica, cioè che almeno due diverse specie di progenitori selvatici, caratterizzate rispettivamente dall’avere spighe con una o due cariossidi (semi) per spighetta, fossero state portate in coltivazione nel passato. Frumenti selvatici con una cariosside per spighetta furono dapprima rintracciati in Grecia nel 1834 e successivamente in Anatolia nel 1884. Queste piante, appartenenti alla specie attuale Triticum monococcum ssp. aegilopoides, erano molto simili alle forme coltivate del frumento Triticum monococcum ssp. monococcum, da cui si differenziavano principalmente per il rachide fragile (l’asse centrale della spiga a cui sono attaccate le singole spighette). Tra le due forme non esistono barriere riproduttive, cioè gli individui appartenenti ai due tipi possono interincrociarsi tra di loro e dare progenie fertile; ciò indica che la ssp. monococcum è derivata dalla forma selvatica ssp. aegilopoides attraverso una serie di mutazioni spontanee (variazioni ereditarie delle caratteristiche delle piante). Poiché alla fine del XIX secolo non era stato rintracciato nessun tipo di frumento selvatico con due cariossidi per spighetta, progenitore degli attuali frumenti coltivati (farro, frumento duro, spelta e frumento tenero), molti studiosi ipotizzavano che esso poteva essere estinto. Furono allora avanzate tre teorie riguardanti la regione geografica in cui il progenitore con due cariossidi per spighetta poteva essere esistito ed essere stato portato in coltivazione. Nel 1886 De Candolle, sulla base di numerose indicazioni storiche sulla distribuzione dei frumenti con due cariossidi per spighetta, ipotizzava che nei tempi preistorici l’area di distribuzione del progenitore dei frumenti fosse il bacino dell’Eufrate e che la coltivazione iniziale dei frumenti avesse avuto luogo in quella regione. Solms-Laubach nel 1899 suggerì che la coltivazione dei frumenti avesse avuto inizio in un periodo geologico caratterizzato da condizioni climatiche e da una distribuzione vegetale molto differenti da quelle attuali, pertanto avanzò l’ipotesi che la coltivazione di tutti i frumenti fosse iniziata in Asia centrale. In un periodo successivo, le forme di frumenti con una cariosside per spighetta si sarebbero diffuse a occidente, mentre altri frumenti selvatici si sa-
a
b
Le spighette del farro piccolo (T. monococcum) presentano un solo seme (a); tutti i frumenti tetraploidi ed esaploidi hanno normalmente 2-3 cariossidi per spighetta (b)
Farro piccolo Specie selvatiche
Tipi vestiti
Farro medio Specie coltivate Spelta
Tipi nudi
Prima classificazione naturale dei frumenti secondo Schulz, 1913. La validità di questa classificazione fu confermata da studi citogenetici di numerosi ricercatori, i quali dimostrarono che i tre gruppi di frumenti differivano anche per il numero di cromosomi
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ricerca rebbero estinti e solo i loro discendenti domesticati si sarebbero diffusi a occidente, oriente e nelle regioni meridionali dell’Asia. Nel 1908 Much ipotizzava che in un precedente periodo geologico molti cereali selvatici, in particolare frumenti e orzo, crescessero in Europa, dove furono domesticati. La teoria di Solms-Laubach era la più accettata. Nessuna attenzione venne rivolta a un piccolo gruppo di ricercatori facenti capo a F. Körnicke, un botanico tedesco che presumeva l’esistenza di un progenitore selvatico e affermava di essere in possesso di un frammento di una spiga di un frumento selvatico con due cariossidi per spighetta. Solo un piccolo numero di botanici credeva nella teoria di Körnicke. La maggior parte degli altri studiosi erano scettici e consideravano il campione di Körnicke come un tipo derivato da un frumento coltivato. Tale scetticismo era in qualche modo giustificato dal fatto che diversi botanici famosi avevano già studiato la flora del monte Hermon e delle aree adiacenti e non vi avevano riscontrato alcun frumento selvatico. Nel 1904 Aaronsohn, un giovane agronomo israeliano, dopo aver visitato Berlino, venne incoraggiato a cercare frumenti selvatici nell’area del monte Hermon, e al suo secondo tentativo riuscì a trovare una singola pianta di un frumento selvatico tra le rocce di una località della Galilea orientale, in Israele. Successivamente egli riuscì a trovare questo frumento selvatico anche sul monte Hermon e in altri siti in Israele, Giordania, Libano e Siria. Le piante crescevano in terreni non coltivati ai bordi di campi e strade, e in habitat primari ben definiti. In alcuni siti egli trovò molti esemplari di questo frumento che presentava numerose varianti morfologiche. La reale natura selvatica di questi tipi di frumenti fu quindi confermata, e ciò avvalorava l’ipotesi di Körnicke sull’esistenza di frumenti selvatici aventi spighette con due cariossidi nel Levanto. La notizia di questa importante scoperta si diffuse rapidamente nel mondo accademico ed entusiasmò tutti gli studiosi che si interessavano dell’origine e dell’evoluzione dei frumenti. Il ritrovamento di questa entità tassonomica selvatica, considerata il progenitore della maggior parte dei frumenti coltivati, aprì nuove possibilità per studi citogenetici ed evolutivi in questo importante gruppo di piante coltivate.
Triticum urartu, il donatore del genoma A dei frumenti coltivati
Teoria di Körnicke
• Egli trovò un frammento di spiga
nel 1873 nell’erbario del Museo Nazionale di Vienna, insieme a steli di orzo selvatico, che erano stati ritrovati sul pendio nord-occidentale del monte Hermon nel Libano meridionale. La spiga aveva spighette con due cariossidi e rachide fragile, e Körnicke, convinto della sua natura selvatica, la considerava il progenitore selvatico di tutte le forme domesticate di frumenti aventi spighette con due cariossidi
Classificazione e denominazione dei frumenti Nelle moderne classificazioni, i frumenti appartengono a sei specie del genere Triticum che presentano tutte un multiplo di una serie base di 7 differenti cromosomi (serie cromosomica aploide generalmente, indicata con n = x = 7) nelle cellule gametiche, o cellule riproduttive, e due serie nelle cellule somatiche, cioè quelle che costituiscono gran parte del corpo di un organismo (generalmente indicata con 2n = 2x = 14). Le differenti specie di frumenti formano, quindi, una serie poliploide basata sul set base di sette cromosomi (x = 7) e comprendono due specie diploidi (2x = 14), 172
origine ed evoluzione due specie tetraploidi (4x = 28) e due specie esaploidi (6x = 42). Le due specie con il più basso numero di cromosomi, Triticum monococcum e Triticum urartu, sono normalmente diploidi, cioè possiedono due serie di cromosomi nelle cellule somatiche (2n = 2x = 14). In altri termini si può anche dire che queste due specie hanno 7 coppie cromosomiche. Altre due specie, Triticum turgidum e Triticum timopheevii, sono tetraploidi, possiedono cioè 4 serie di cromosomi o 14 coppie di cromosomi (2n = 4x = 28). La specie di Triticum coltivata con il più alto numero di cromosomi è il frumento tenero (Triticum aestivum) che è esaploide, cioè possiede un totale di 42 cromosomi o 21 coppie cromosomiche (2n = 6x = 42). Dei quattro frumenti coltivati, il Triticum aestivum è economicamente di gran lunga il più importante. La maggior parte delle sue moderne varietà appartiene alla ssp. (sottospecie) aestivum e cade sotto la generale denominazione di frumento tenero o frumento comune, la cui farina è la migliore per il pane. Il frumento tenero comprende più di 20.000 cultivar (varietà coltivate o varietà agrarie) che si sono adattate ad ambienti molto diversi. La sua coltivazione è diffusa in tutto il mondo. Modeste quantità della ssp. spelta (farro grande, granfarro, spelta grande) vengono oggi coltivate in alcune aree dell’Europa e dell’Asia occidentale. Analogamente, il frumento tetraploide T. turgidum, e in particolare le varietà moderne appartenenti alla ssp. durum (frumento duro o frumento da pasta), è largamente coltivato in regioni relativamente semi-aride, come il bacino del Mediterraneo, l’India, la Russia, e alcune regioni con precipitazioni ridotte di Stati Uniti e Canada. In alcune regioni del Mediterraneo, dell’India e dell’Iran viene anche coltivata su superfici limitate la ssp. dicoccum (farro medio o semplicemente farro). Al contrario, la coltivazione della sottospecie timopheevii del T. timopheevii (frumento timopheevii) e della sottospecie monococcum del T. monococcum (farro piccolo) è piuttosto ridotta: il primo è coltivato oggi solo in poche aree della regione transcaucasica della Russia e il secondo è coltivato solo in alcune regioni montuose della Serbia e della Turchia, dove viene usato soprattutto come foraggio per gli animali.
Origine dei frumenti coltivati Le specie selvatiche di Triticum e Aegilops appartengono agli stessi tre livelli di ploidia delle specie coltivate:
• diploide (con 7 coppie cromosomiche)
• tetraploide (con 14 coppie cromosomiche)
• esaploide (con 21 coppie cromosomiche)
Origine dei frumenti poliploidi
• I frumenti poliploidi si sono originati
mediante incrocio tra specie differenti, seguito da raddoppiamento cromosomico
• I frumenti tetraploidi si sono originati dall’incrocio tra un frumento diploide e un’altra specie diploide che ha conferito il genoma B
Origine dei frumenti coltivati Un grande serbatoio di informazioni biologiche di base è attualmente disponibile per alcuni progenitori selvatici dei frumenti, in particolare quelli che appartengono ai generi Triticum e Aegilops. Sebbene le specie diploidi selvatiche discendano probabilmente da un progenitore comune, esse si sono notevolmente diversificate le une dalle altre nel corso del tempo non solo morfologicamente, ma anche ecologicamente e geograficamente. Gli studi sui cromosomi hanno confermato la classificazione tassonomica, dimostrando che quasi ogni specie diploide ha un corredo ge-
• I frumenti esaploidi sono derivati
dall’incrocio tra un frumento tetraploide e un’altra specie diploide donatrice del genoma D
• Il citoplasma dei frumenti tetraploidi ed esaploidi è derivato dalla specie donatrice del genoma B
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ricerca netico differente, cioè un distinto genoma. I cromosomi correlati (omologhi) dei differenti genomi mostrano differenti gradi di affinità l’uno con l’altro, e quindi non si appaiano regolarmente quando le cellule formate da un incrocio o ibridazione interspecifica iniziano la meiosi (il tipo di divisione cellulare che porta alla formazione delle cellule gametiche con un numero dimezzato di cromosomi). Ciò porta alla sterilità delle piante ibride e all’isolamento genetico delle differenti specie diploidi l’una dall’altra. Le specie poliploidi di Triticum (quelle con livelli di ploidia superiori a due) costituiscono un classico esempio di evoluzione mediante anfiploidia, cioè di incrocio tra specie affini seguito da raddoppiamento cromosomico spontaneo. Il loro comportamento è tipico di quella classe di ibridi conosciuti dai genetisti come allopoliploidi genomici: i loro cromosomi si appaiano in maniera simile ai diploidi (formano alla meiosi solo cromosomi appaiati o bivalenti) e il meccanismo di eredità è di tipo disomico (attraverso l’appaiamento di cromosomi correlati o omologhi). La natura allopoliploide delle specie poliploidi del genere Triticum è stata verificata da diversi ricercatori attraverso l’analisi dei genomi degli ibridi formati tra specie con diverso livello di ploidia. Per esempio, ogni specie tetraploide può essere identificata come il prodotto dell’ibridazione di due specie diploidi, seguita dal raddoppiamento cromosomico spontaneo. Analogamente, ogni specie esaploide è il prodotto dell’ibridazione di una specie tetraploide con una specie diploide, seguita da raddoppiamento cromosomico. Nel genere Triticum vengono riconosciuti tre gruppi di poliploidi. Le specie di ogni gruppo hanno un genoma in comune e differiscono per l’altro genoma (o genomi). I poliploidi del gruppo A, per esempio, hanno in comune il genoma del loro progenitore T. monococcum, quelli del genoma D hanno in comune il genoma della specie selvatica Aegilops squarrosa. Nella morfologia di base, e in particolare nel meccanismo di dispersione dei semi, i poliploidi di ogni gruppo assomigliano al diploide donatore del genoma comune. La struttura genetica delle specie poliploidi di Triticum tiene conto di una rapida realizzazione della diversità genetica. In queste specie la maggior parte dei loci genici è presente in quatto o sei dosi (versioni duplicate) e l’accumulo di variabilità genetica attraverso la mutazione o l’ibridazione è tollerato più facilmente che in un organismo diploide. In tal modo la poliploidia facilita la diploidizzazione genetica, il processo per mezzo del quale i geni presenti in dosi multiple, anche elevate, possono assumere nuove funzioni. Poiché i poliploidi del genere Triticum sono veri allopoliploidi, mostrano eterosi permanente (il noto vigore dell’ibrido), un effetto che risulta dall’interazione di certi geni nei loci omologhi dei differenti genomi. Il significato evolutivo della poliploidia deriva soprattutto dal fatto che essa ha facilitato la formazione di una superstruttura genetica che riunisce i geni delle specie diploidi isolate e permette loro di ricombinarsi. Inoltre, la poliploidia, rin-
A sinistra Aegilopsis speltoides, la più probabile specie donatrice del genoma B dei frumenti duri e teneri e a destra Aegilopsis squarrosa, la specie donatrice del genoma D del frumento tenero
Vantaggi della poliploidia nei frumenti
• Permette un maggiore livello di
ricombinazione genetica tra i geni di specie diploidi isolate, portando a un’ampia variabilità morfologica ed ecologica
• Induce nei frumenti poliploidi
coltivati un’ampia flessibilità genetica e capacità di adattamento a una grande variabilità di ambienti
• La poliploidia, associata ad un sistema di riproduzione nel quale predomina l’auto-impollinazione, permette la rapida fissazione di nuovi caratteri importanti per l’evoluzione e la diffusione della specie
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origine ed evoluzione forzata da un sistema di riproduzione nel quale predomina l’auto-impollinazione, ha dimostrato di essere un sistema genetico molto efficiente. Il vantaggio evolutivo dei poliploidi sui diploidi si rispecchia nell’ampia variabilità morfologica ed ecologica. Non ci si meraviglia, perciò, che i frumenti poliploidi coltivati mostrino un’ampia gamma di flessibilità genetica e si siano adattati a una grande variabilità di ambienti. Nel 1926 fu ottenuta per la prima volta una specie sintetica dall’incrocio tra il farro selvatico e l’Aegilops ovata, dimostrando così la possibilità della formazione di nuove specie mediante incrocio tra specie parentali differenti. La scoperta che il raddoppiamento cromosomico può essere indotto da un trattamento con una soluzione di colchicina, un alcaloide derivato dal colchico, aprì nuove prospettive per lo studio dell’evoluzione dei frumenti. Numerose specie sintetiche sono state prodotte dall’incrocio di diverse specie ed è stato studiato il loro comportamento citogenetico. Durante questo periodo sono stati effettuati molti tentativi per identificare i donatori diploidi dei genomi B e D e per sintetizzare artificialmente i frumenti poliploidi. Come riportato in precedenza, i frumenti coltivati poliploidi comprendono tre specie: due specie tetraploidi, T. turgidum (frumento duro) e T. timopheevii, e una specie esaploide, T. aestivum (frumento tenero). Intensi studi di citogenetica hanno indicato che il T. turgidum (genoma AABB) è stato ottenuto dall’incrocio tra il T. urartu (genoma AA) e l’Aegilops speltoides (genoma SS) o una specie selvatica strettamente imparentata (Ae. bicornis, Ae. longissima, Ae. sharonensis, Ae. searsii), mentre l’altra specie tetraploide, T. timopheevii (genoma AAGG), è derivata da un incrocio tra il T. monococcum (genoma AA) e l’Aegilops speltoides. Il frumento esaploide (genoma AABBDD), d’altra parte, ebbe chiaramente origine dall’incrocio tra il T. turgidum (molto probabilmente la sottospecie coltivata dicoccum, il farro medio) e l’Aegilops squarrosa (genoma DD). I frumenti tetraploidi sono molto più antichi dei frumenti esaploidi e i loro genomi devono aver subito notevoli differenziazioni. È risultato perciò molto più difficoltoso identificare il donatore diploide del genoma B dei frumenti poliploidi rispetto al più recente donatore del genoma D. Dati morfologici, geografici, citologici, genetici e molecolari sono stati utilizzati per individuare, tra le numerose specie di Aegilops della sezione Sitopsis, il donatore del genoma B o la specie più strettamente affine alla specie donatrice di questo genoma. In quest’ultimo caso, la stessa specie donatrice è estinta, oppure, se ancora esistente, non è stata fino a oggi scoperta. Gli attuali discendenti del donatore del genoma B possono essersi considerevolmente diversificati dal tipo ancestrale che contribuì alla produzione dei frumenti tetraploidi. In alternativa, il genoma B può essersi diversificato a livello poliploide a causa di incroci con altre specie poliploidi. In ogni modo, l’Aegilops speltoides, la più probabile specie donatrice del ge-
I vari incroci
• Frumenti esaploidi sintetici sono stati
Frumenti coltivati
Frumenti selvatici
prodotti dall’incrocio di forme differenti di frumenti tetraploidi con genotipi diversi di Ae. squarrosa. Le piante ibride ottenute dall’incrocio tra frumenti esaploidi naturali e frumenti esaploidi artificiali sono risultate completamente fertili. I frumenti sintetici sono stati ampiamente utilizzati per ampliare le basi genetiche dei frumenti coltivati
Frumento speltoides
Farro piccolo
Frumento squarrosa
Farro selvatico
Farro medio
Frumento tenero
Frumento duro
Origine del frumento tenero e duro
175
ricerca
Specie e sottospecie
Numero cromosomico
Frumenti selvatici
Nome scientifico dei frumenti coltivati e dei progenitori selvatici Formula genomica
Triticum monococcum
Ae. speltoides o specie affine 2n=2x=14 genoma SS
T. urartu 2n=2x=14 genoma AA
Ae. squarrosa 2n=2x=14 genoma DD
T. turgidum ssp. dicoccoides 2n=4x=28 genoma AABB
T. monococcum ssp. aegilopoides 2n=2x=14 genoma AA
Ae. speltoides 2n=2x=14 genoma SS
T. timopheevii spp. armeniacum 2n=4x=28 genoma AAGG
ssp. aegilopoides
14
AA
ssp. monococcum
14
AA
14
AA
ssp. armeniacum
28
AAGG
ssp. timopheevii
28
AAGG
ssp. dicoccoides
28
AABB
ssp. dicoccon
28
AABB
ssp. paleocolchicum
28
AABB
ssp. parvicoccum
28
AABB
ssp. durum
28
AABB
ssp. turgidum
28
AABB
Origine dei frumenti coltivati
ssp. polonicum
28
AABB
ssp. turanicum
28
AABB
ssp. carthlicum
28
AABB
Triticum zhukovskyi
42
AAAAGG
ssp. spelta
42
AABBDD
noma B, è in contatto geografico con il T. urartu, il donatore del genoma A, nel sud-est del Libano e nel sud-ovest della Siria. In quelle regioni esistono molte popolazioni miste delle due specie diploidi, molte delle quali comprendono anche il farro selvatico. Questa area è considerata, perciò, il più probabile luogo di origine del farro tetraploide selvatico. È ormai accertato che il donatore del genoma D dei frumenti esaploidi sia la specie selvatica Aegilops squarrosa.
ssp. macha
42
AABBDD
ssp. aestivum
42
AABBDD
ssp. compactum
42
AABBDD
ssp. sphaerococcum
42
AABBDD
Triticum urartu
Frumenti coltivati
Triticum timopheevii
Triticum turgidum
Triticum aestivum
T. aestivum 2n=6x=42 genoma AABBDD
T. turgidum ssp. dicoccum 2n=4x=28 genoma AABB
T. monococcum T. timopheevii ssp. monococcum ssp. timopheevii 2n=2x=14 2n=4x=28 genoma AA genoma AAGG
T. turgidum ssp. durum 2n=4x=28 genoma AABB
T. zhukovskyi 2n=6x=42 genoma AAAAGG
Importanza della scoperta del farro selvatico per lo studio della domesticazione dei frumenti La scoperta del farro selvatico (T. turgidum ssp. dicoccoides) nel 1906 e lo studio della sua distribuzione geografica ed ecologica hanno contribuito notevolmente alla delimitazione dell’area geografica dove questo frumento fu inizialmente portato in coltivazione e alla comprensione del processo di domesticazione dei frumenti tetraploidi ed esaploidi. Nel 1914 furono effettuati i primi 176
origine ed evoluzione incroci tra il farro coltivato e il farro selvatico, e tra il farro selvatico e il frumento duro, e dalla completa fertilità delle piante ibride si è potuto affermare che le forme selvatiche e domesticate di farro hanno un’elevata affinità genetica. Numerose prove archeologiche, inoltre, hanno indicato che tutte le forme domesticate di T. turgidum sono derivate dal farro medio selvatico (T. turgidum ssp. dicoccoides), e che la domesticazione di questi frumenti ha avuto luogo nell’area geografica di distribuzione del farro selvatico, e cioè nelle regioni sud-occidentali della Mezzaluna fertile. Reperti di scavi in siti preistorici del Medioriente hanno dimostrato che agli albori dell’agricoltura la distribuzione del frumento domesticato T. turgidum ssp. dicoccum (caratterizzato da due cariossidi per spighetta, rachide non fragile e semi vestiti) si sovrapponeva con la distribuzione del farro selvatico. Spighe della forma selvatica venivano raccolte dall’uomo nei campi incolti di tutte le regioni del Levanto (Israele, Giordania, Libano e Siria) molto tempo prima delle prime forme di coltivazione. La testimonianza più antica dell’utilizzazione del farro selvatico da parte di cacciatori– raccoglitori proviene dal sito Ohalo II, di circa 19.000 anni fa. Tale periodo fu caratterizzato da un considerevole sviluppo di pratiche agricole e dalla realizzazione di numerosi attrezzi per la raccolta e la trasformazione della granella dei cereali. Circa 10.000 anni fa, durante la prima fase della coltivazione, il farro selvatico fu seminato e coltivato in diversi siti della valle del Giordano e del bacino di Damasco. Molto probabilmente ci fu un periodo transitorio di diverse centinaia di anni prima della domesticazione, durante il quale comparvero i tipi a rachide semi-fragile che gradualmente sostituirono le forme con spiga fragile, per cui è verosimile che per un certo periodo di tempo i due tipi possano essere stati coltivati insieme, probabilmente come miscugli. Residui di spighe di farro di tipo con rachide fragile e con rachide rigido risalenti alla prima metà dell’VIII millennio a.C. sono stati rintracciati nella valle del Giordano, in Israele. Questi siti sono tutti localizzati ai margini dell’attuale area di distribuzione del farro selvatico, indicazione che conferma l’ipotesi che la domesticazione di questo frumento avvenne nell’area di distribuzione del progenitore selvatico. In questa regione tipi con spighe a rachide non fragile o semi-fragile sono stati trovati all’interno di popolazioni selvatiche. Frumenti tetraploidi con granella nuda comparvero in questa regione circa 9600-8000 anni fa, insieme a tipi domesticati di farro. Da questa area, tipi di frumenti tetraploidi nudi e tipi con spiga rigida si diffusero rapidamente nei siti agricoli del Medioriente durante il VII millennio a.C. Non esiste alcun progenitore selvatico dei frumenti esaploidi coltivati (frumento tenero e spelta). Si presume che questi frumenti si siano originati da incroci tra forme tetraploidi domesticate (con cariossidi vestite o nude) e la specie selvatica diploide Ae. squar-
Prima utilizzazione del farro selvatico
• La testimonianza più antica
dell’utilizzazione del farro selvatico da parte di cacciatori-raccoglitori proviene dal sito Ohalo II, risalente a circa 19.000 anni fa. Tale periodo fu caratterizzato da un considerevole sviluppo delle pratiche agricole e dalla realizzazione di numerosi attrezzi per la raccolta e la trasformazione della granella dei cereali
Farro selvatico pregenitore dei frumenti
• Il ritrovamento del farro selvatico ha
facilitato gli studi morfologici, genetici e citogenetici dei frumenti selvatici e di tutti i frumenti coltivati; questi studi hanno consentito di concludere che il farro selvatico è il progenitore dei frumenti tetraploidi ed esaploidi domesticati
• In Siria e in Israele sono state
rintracciate piante ibride spontanee tra farro selvatico e domesticato, e la loro analisi citologica ha dimostrato che i cromosomi dei tipi selvatici sono completamente correlati (omologhi) con quelli dei frumenti tetraploidi domesticati e con quelli dei genomi A e B del frumento tenero
• La principale differenza morfologica
tra farro selvatico e domesticato, la fragilità della spiga, è determinata da un numero ridotto di geni
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ricerca rosa prevalentemente. I frumenti esaploidi si sono originati dopo la diffusione dei frumenti tetraploidi domesticati dal Levanto alla Turchia sud-orientale e all’Iran sud-occidentale, dove vennero in contatto con l’Ae. squarrosa che cresceva e ancora cresce nei campi coltivati come pianta infestante. Il frumento tenero compare in reperti archeologici di siti preistorici del Medioriente solo nel VII e VI millennio a.C. Il frumento tenero molto probabilmente è derivato da un numero relativamente ridotto di ibridazioni indipendenti tra frumenti tetraploidi domesticati e l’Ae. squarrosa, seguito da raddoppiamento cromosomico. Pertanto, le basi genetiche primarie del frumento tenero sono molto ridotte. D’altra parte, il farro domesticato è derivato da un certo numero di tipi mutanti per la rigidità del rachide in cui il meccanismo di dispersione dei semi era soppresso e che crescevano insieme a tipi con rachide fragile. Le forme rigide e fragili sono coesistite in campi polimorfici per numerose centinaia di anni e hanno avuto, quindi, molte opportunità di interscambiarsi geni. Pertanto, i frumenti tetraploidi coltivati si sono evoluti come popolazioni piuttosto che come singoli genotipi, e le loro basi genetiche sono relativamente più ampie rispetto a quelle dei frumenti esaploidi. La struttura genetica dei frumenti poliploidi, rafforzata dal comportamento citologico simile a quello delle specie diploidi e dal sistema riproduttivo auto-impollinante, si è dimostrata ottimale per la rapida realizzazione di diversità genetica. Nelle specie poliploidi la maggior
Variabilità genetica dei frumenti
• Durante i 10.000 anni di coltivazione,
numerosi processi hanno contribuito ad allargare la variabilità genetica dei frumenti
• Oltre alle mutazioni, hanno avuto
un ruolo rilevante la formazione ricorrente di frumenti esaploidi da genotipi differenti delle specie parentali tetraploidi e diploidi, e il passaggio di geni dalle forme selvatiche alle forme coltivate, non solo durante i primi secoli, quando i tipi tetraploidi selvatici e domestici coesistevano in miscugli, ma anche più tardi, quando campi di frumento erano coltivati vicino a popolazioni di farro selvatico
Le stelle indicano la presenza di T. turgidum ssp. dicoccoides, progenitore di tutti i frumenti tetraploidi (farro e frumento duro) ed esaploidi coltivati (frumento tenero)
Mar Nero
Caucaso Georgia
Azerbaigian Armenia
Turchia
Eufrate
Iran Siria
Tigri
Mar Mediterraneo Iraq
Nilo
178
Golfo
origine ed evoluzione parte dei geni è presente in quattro o sei dosi e l’accumulo di variabilità genetica attraverso le mutazioni e gli incroci è tollerata più facilmente rispetto alle specie diploidi. Inoltre, i geni presenti in dose multipla possono assumere nuove funzioni utili.
Basi genetiche dei frumenti coltivati
Caratteristiche eco-geografiche dell’area di domesticazione dei frumenti In seguito alla scoperta dei frumenti selvatici durante la seconda metà del XIX e gli inizi del XX secolo, i progenitori putativi dei diversi frumenti coltivati sono stati gradualmente identificati ed è stata determinata la loro area di distribuzione. È stato, quindi, relativamente facile individuare l’area geografica dove ebbe inizio l’agricoltura e le singole regioni in cui furono portate in coltivazione le diverse specie di frumento. Forme selvatiche appartenenti a quattro specie di frumenti e a 17 specie del genere affine Aegilops sono autoctone della zona nota come Mezzaluna fertile, la più probabile area di domesticazione dei frumenti. Numerose sono le prove archeologiche a favore di questa ipotesi. La Mezzaluna fertile è delimitata dal mare Mediterraneo a occidente, da catene di alte montagne a nord e a oriente (Amanos nel nord-ovest della Siria, Taurus nel sud della Turchia, Arafat nel nord-est della Turchia e Zagros nell’Iran occidentale), e a sud dal deserto arabo-siriano che con il suo naturale prolungamento a occidente arriva sino alla penisola del Sinai. Nessuna meraviglia, perciò, che questa regione sia una delle più diversificate del mondo, comprendendo un’ampia gamma di habitat differenti. Le sue condizioni ecologiche variabili si esprimono nelle ampie e diversificate formazioni vegetali, che vanno dalle macchie e foreste mediterranee, a pianure aperte, rovi, vegetazione erbacea sino a piccoli arbusti e formazioni vegetali steppiche. Le ampie pianure e la vegetazione erbacea, comprendente molte graminacee annuali e leguminose, occupano gli habitat ai bordi e all’interno di radure che si aprono nelle macchie mediterranee, e che nel passato molto probabilmente costituivano aree di pascolo per pecore selvatiche, capre e gazzelle. De Candolle ipotizzava che l’agricoltura del Medioriente si fosse sviluppata originariamente all’interno dell’area di distribuzione dei progenitori selvatici delle regioni della Mezzaluna fertile. Egli effettuò esplorazioni sulle colline Zagros (Iran-Kurdinstan) e Taurus (sud-est della Turchia), entrambe localizzate entro l’habitat naturale degli attuali cereali selvatici. Sfortunatamente in quelle aree non furono trovati segni di comunità agricole primitive; molto probabilmente, a causa delle particolari condizioni climatiche, non furono rintracciate piante selvatiche, che si trovavano invece più a sud e a ovest. In realtà, dati geografici, climatici e archeologici indicano che 11.000-10.000 anni fa nella regione mediterranea orientale si verificò un lungo periodo siccitoso,
• La coltivazione ha imposto un nuovo
percorso evolutivo, selezionando caratteristiche che non avevano alcun valore adattativo nei campi selvatici. Malgrado il contributo di questi processi di diversificazione, le basi genetiche dei frumenti coltivati sono comunque più ridotte rispetto a quelle dei progenitori selvatici
Area di origine e domesticazione del frumento
• I progenitori selvatici dei frumenti coltivati sono costituenti naturali di alcune radure che si aprono tra i querceti e le piante erbacee delle regioni collinose dell’Asia sud-occidentale
• Il presunto centro di origine,
e attuale centro di distribuzione e di diversificazione, è nell’area della Mezzaluna fertile, una regione collinare e montagnosa che si estende dai piedi della catena montuosa Zagros nel sudovest dell’Iran e, attraverso i bacini del Tigri e dell’Eufrate, si prolunga verso il nord dell’Iraq e il sud-est della Turchia, continua nel sud-ovest della Siria sino al Mediterraneo e arriva sino alle regioni centrali di Israele e Giordania
179
ricerca caratterizzato da clima freddo e secco. Hillman, utilizzando dati paleo-botanici, ha ricostruito la zona fito-geografica di questa regione durante tale periodo e ha affermato che gli habitat dei cereali annuali si trovavano principalmente nelle pianure e nelle radure tra le querce di una striscia relativamente stretta del Mediterraneo orientale. Questo stretto corridoio (il Corridoio levantino) inizia dalle colline Taurus nel sud-est della Turchia, si estende lungo il Mediterraneo meridionale, comprendendo l’Eufrate centrale, e attraversa il bacino di Damasco, le montagne libanesi, le due sponde della valle del Giordano sino alla penisola del Sinai. In questa area il farro medio selvatico occupava suoli basaltici e rossi nella parte centro-meridionale del Corridoio (dal nord di Damasco a Gerico), e il farro piccolo selvatico, il T. urartu e probabilmente anche il T. timopheevii occupavano la parte settentrionale. Le specie diploidi occupavano anche la parte centrale del Corridoio. Numerosi dati archeologici confermano che l’agricoltura ebbe inizio nel Corridoio levantino. Ciò è chiaramente dimostrato dalla distribuzione dei primi siti neolitici (8300-7500 a.C.): Tell Mureybit e Tell Abu Hureyra lungo l’Eufrate centrale a nord del Corridoio, Tell Aswad e Tell Ghoraife nel bacino di Damasco, e Netiv Hagdud, Gilgal e Gerico nella valle giordana tra il lago della Galilea e il Mar Morto. Le formazioni vegetali prevalenti di questa zona comprendono moltissime specie annuali di graminacee e di leguminose.
Le spighe dei frumenti coltivati hanno rachide resistente (a sinistra), mentre le spighe dei frumenti selvatici a maturità si disarticolano in singole unità (spighette) a causa del rachide fragile; questo meccanismo permette la dispersione dei semi e la sopravvivenza della specie (a destra)
Fasi principali della domesticazione e coltivazione dei frumenti In accordo con il sistema cronologico utilizzato nelle regioni del Mediterraneo orientale, i sette millenni compresi tra 11.000 e 4200 a.C. sono divisi in quattro periodi: il tardo Paleolitico (natufiano), il Neolitico pre-ceramico A, il Neolitico pre-ceramico B e il Neolitico
Caratteristiche climatiche della mezzaluna fertile
Foto P. Viggiani
• Situata tra il mare, il deserto
e le montagne, la Mezzaluna fertile è sotto l’influenza di numerosi fattori climatici differenti: da un lato gode del clima mediterraneo temperato con inverno corto, mite e piovoso, e un’estate lunga, calda e secca; a nord e ad est è influenzata dal clima steppico e dalle condizioni climatiche estreme dell’altopiano iraniano e dell’Anatolia, e a sud da un clima desertico
Frumento timopheevii (Triticum timopheevii ssp. timopheevii)
180
origine ed evoluzione ceramico. Nel periodo natufiano l’uomo cacciatore-raccoglitore del Levanto collezionava semi di cereali selvatici (frumento, orzo, avena, segale e Aegilops), oltre a semi, frutti e radici di altre piante. Non esiste alcuna prova sicura di coltivazione in questo periodo. È nel periodo neolitico A che si può trovare la prima indicazione della coltivazione del farro selvatico e dell’orzo selvatico nel Corridoio levantino meridionale e, in qualche misura, del farro piccolo selvatico e dell’orzo selvatico nella parte settentrionale del Corridoio. Forme addomesticate con spiga rigida dei due frumenti sono comparse molto probabilmente all’inizio del periodo neolitico B. A quel tempo, frumenti nudi, molto probabilmente tetraploidi, comparvero anche a sud del Corridoio e, insieme al farro coltivato, si diffusero in altre parti del Corridoio levantino, mentre più tardi nell’estremo oriente della Mezzaluna fertile e nelle regioni circostanti, entrarono in contatto con l’Aegilops squarrosa dando origine al frumento tenero. Nel tardo Neolitico la coltivazione del frumento si diffuse in Europa, Asia e Africa. La svolta avvenuta in questo periodo, in cui da un’economia basata sulla caccia e la raccolta di semi e frutti si passò a un sistema basato sulla produzione di alimenti mediante la domesticazione di piante e più tardi anche di animali, fu una delle trasformazioni più significative del genere umano. Fu un cambiamento culturale e socio-economico talmente importante che influenzò non solo l’evoluzione dell’uomo ma anche lo sviluppo della civiltà. Per molti secoli si è pensato che la transizione alle attività agricole fosse stato un processo rivoluzionario, perciò denominato Rivoluzione neolitica o Rivoluzione agricola. Tuttavia, l’insieme dei dati archeologici indica che questo passaggio fu un processo evolutivo, una graduale domesticazione di numerose piante e animali. Ogni fase della rivoluzione agricola sembra essere avvenuta durante diverse centinaia o persino migliaia di anni, e ciascuna pianta potrebbe
Fasi della coltivazione del frumento
• La coltivazione dei frumenti e dell’orzo
è avvenuta in tre differenti fasi: la rivoluzione agrotecnica che avvenne nella società dell’uomo cacciatore– raccoglitore; la rivoluzione della domesticazione, cioè la domesticazione e l’allevamento di piante e animali selvatici; la diffusione dell’agricoltura
Fase agrotecnica
• Questa fase si sviluppò
prevalentemente nel periodo natufiano
• Reperti trovati in siti natufiani
del Levanto indicano che i frumenti, insieme ad altre piante, furono in quel periodo importanti costituenti della dieta alimentare dell’uomo
• Il ritrovamento di falci, pestelli, pietre per macinare e di depositi e cave di conservazione, sono la prova che i natufiani erano dediti alla raccolta intensiva di granella di cereali
Cronologia degli eventi della domesticazione e coltivazione dei frumenti nel Levanto Data
Periodo
Eventi maggiori della coltivazione dei frumenti
11.000-8300 a.C.
Tardo Paleolitico (natufiano)
Raccolta di farro piccolo e farro medio selvatici – Sviluppo di tecniche agricole
8300-7500 a.C.
Neolitico pre-ceramico A
Coltivazione di farro piccolo e farro medio con rachide fragile Prima fase della coltivazione dei frumenti
7500-5500 a.C.
Neolitico pre-ceramico B
Comparsa di farro piccolo e farro medio con rachide rigido, frumenti tetraploidi con cariossidi nude, frumenti esaploidi nudi – Seconda fase della coltivazione
5500-4200 a.C.
Neolitico ceramico
Sviluppo della coltivazione dei frumenti in Asia centrale, in Europa meridionale e in Egitto Espansione dell’agricoltura
181
ricerca essere stata domesticata indipendentemente nel tempo e nello spazio. Fase agrotecnica La fase agrotecnica si sviluppò principalmente durante il periodo natufiano, anche se il suo inizio risale a diversi millenni prima. Uno dei primi insediamenti permanenti è Tell Abu Hureyra, nel bacino dell’Eufrate nel nord della Siria (9500 a.C.). In questo sito sono stati identificati residui di molti animali e di forme selvatiche di farro piccolo, orzo, segale e legumi che risalgono al tardo natufiano. Si presume perciò che l’economia natufiana si basasse sulla caccia, sulla raccolta intensiva e sul consumo di semi. In quel tempo, la flora e la fauna ai margini della macchia mediterranea erano molto più ricche, e per i colonizzatori rappresentavano una riserva abbondante e affidabile di alimenti vegetali e animali. Cacciatori e raccoglitori potevano, quindi, insediarsi in quei territori e riprodursi senza impegnarsi in attività agricole. La fabbricazione di falci per la raccolta e di altri strumenti per la lavorazione dei semi rappresentano le maggiori componenti della rivoluzione agrotecnica. Durante questo periodo i natufiani raccoglievano legumi e cereali a seme grosso e cominciarono a intuire il loro ciclo biologico, un prerequisito per la loro domesticazione. I primi tentativi di domesticazione di specie vegetali, soprattutto a opera di donne, potrebbero essere avvenuti in questo periodo.
Fase della domesticazione
• La rivoluzione della domesticazione
(8300-5500 a.C.) può essere suddivisa in due sottofasi: coltivazione di forme selvatiche di cereali e coltivazione di forme domesticate
• L’invenzione dei campi coltivati
da parte delle popolazioni neolitiche del Levanto e lo sviluppo di pratiche agricole associate con la preparazione dei campi e la semina, insieme alla scelta dei semi da seminare, costituiscono i primi stadi della tecnologia agricola
Passaggio dalle forme selvatiche coltivate alle forme domesticate
Fase della domesticazione In base a prove archeologiche, il passaggio dalla cultura natufiana alla cultura neolitica avvenne nella valle del Giordano, nel bacino di Damasco e nella zona dell’Eufrate centrale e fu piuttosto rapido, anche se i primi agricoltori si occupavano sia dell’allevamento di piante sia di caccia. Delle diverse specie di cereali che erano presenti nella Mezzaluna fertile e che erano raccolte dai natufiani, solo il farro piccolo selvatico, il farro medio selvatico, la segale e l’orzo furono coltivati all’inizio del Neolitico. Supponendo che il criterio più importante fosse la quantità di semi raccolti per unità di tempo, le piante di frumento e di orzo dovevano essere preferite a quelle di altri cereali in quanto i semi più grossi e pesanti facilitavano la raccolta. Il farro medio selvatico rappresentava la specie candidata per la domesticazione, in quanto, rispetto all’orzo, presenta granella più grossa e perché ciascuna spighetta possiede due semi. Il farro selvatico, essendo una specie tetraploide, manifestava un più elevato e rapido adattamento alle condizioni della coltivazione. Il sapore della farina, l’elevata qualità nutrizionale, la granella grossa e svestita, potrebbero aver anche contribuito alla preferenza del frumento rispetto all’orzo. I primi insediamenti neolitici nella valle del Giordano erano localizzati ai bordi di piccole pianure e
• La principale differenza tra forme
selvatiche e domesticate consiste nel fatto che nelle prime le spighe a maturità si frammentano in tante spighette
• La sostituzione delle forme selvatiche con quelle domesticate nei campi coltivati fu un processo piuttosto lento
• L’instaurazione di popolazioni di cereali
domesticati fu rallentata dal flusso costante di geni dalle forme selvatiche presenti nei miscugli o che crescevano vicino alle forme domesticate. Inoltre, i primi agricoltori non praticavano alcuna selezione drastica in favore delle forme domesticate, probabilmente a causa delle tecniche di raccolta diffuse a quel tempo
182
origine ed evoluzione terrazze alluvionali. Si presume che la semina iniziale sia avvenuta in questi siti alluvionali e ai bordi di pozze di acqua, dove l’acqua fresca era sempre abbondante e il terreno periodicamente fertilizzato da inondazioni. La scelta dei semi per la successiva stagione di semina fu il primo evento dell’uomo per la conoscenza della struttura genetica dei frumenti coltivati. La seconda sottofase della domesticazione, la coltivazione di forme addomesticate, avvenne presumibilmente diverse centinaia di anni dopo l’inizio della coltivazione dei cereali. Nelle forme coltivate la spiga a maturità non si frammenta più in singole spighette così come avviene nelle forme selvatiche; ciò permetteva la raccolta di spighe intere e non di singole spighette. Viene generalmente accettata l’ipotesi che la domesticazione sia avvenuta circa 1000 anni dopo la prima coltivazione di cereali selvatici, e cioè all’inizio del periodo Neolitico B (7500 a.C.). Le forme domesticate e selvatiche del farro sono pressoché indistinguibili nei materiali archeologici. Pertanto, si presume che tutti i resti di frumenti del Neolitico A appartengano a forme selvatiche che venivano raccolte in siti incolti o in piccoli campi coltivati come fonte supplementare di granella. Mentre per diverse specie di legumi e di lino i dati archeologici indicano che queste piante erano già domesticate 10.000 anni fa nel periodo Neolitico A, per i frumenti domesticati non c’è alcuna prova certa sino a 9000 anni fa, quando furono chiaramente individuati tipi con spighe non fragili e alcune forme con cariossidi nude. Prescindendo dall’esatto periodo della domesticazione, la più importante caratteristica dei cereali domesticati è la loro dipendenza dall’uomo per la semina: una volta perduto il meccanismo di dispersione dei semi, il passaggio di geni alla generazione successiva diventò esclusivamente dipendente dall’uomo. La selezione artificiale e l’allevamento di forme di frumento domesticato potrebbero essere avvenuti solo dopo l’introduzione di alcune pratiche agricole, quali l’assolcatura e la semina. A cominciare da questa fase, la trasformazione di alcune delle forme selvatiche coltivate in frumenti domesticati avvenne rapidamente. Questa variazione comportò non solo la perdita del meccanismo di auto-disseminazione, ma anche la perdita dell’auto-protezione (glume tenaci e ben aderenti ai semi), con la conseguenza di avere granella nuda e facilmente sgranabile. In questo stadio fu anche conseguita la perdita della dormienza dei semi che determina la rapida e uniforme germinazione.
Foto P. Viggiani
Farro piccolo
Grano duro
Farro medio
Farro grande
Grano tenero
Successione cronologica della comparsa dei farri e dei frumenti attualmente coltivati
Fase della coltivazione La terza fase della rivoluzione agricola, la diffusione dell’agricoltura, fu accompagnata dal cambiamento rapido e radicale dell’organizzazione economica del Medioriente e delle regioni circostanti. La coltivazione dei cereali si diffuse dai territori occidentali della Mezzaluna fertile ad altre aree di questa regione, e da 183
ricerca queste all’Asia centrale attraverso l’Iran settentrionale, all’Europa sud-orientale attraverso la Transcaucasia, all’Europa e Nordafrica attraverso l’Anatolia sud-occidentale, e all’Egitto attraverso Israele e la Giordania. Numerose sono le ipotesi riguardanti le ragioni del passaggio dell’uomo neolitico da un comportamento nomade o semi-nomade impegnato nella raccolta di semi e frutti e nella caccia, a un comportamento sedentario in dimore e villaggi stabili in cui si dedicava ad attività agricole. Una controversia nota da molto tempo è l’ipotesi che l’origine dell’agricoltura sia stata determinata dalla pressione delle popolazioni umane: l’aumento della popolazione verso la fine del periodo natufiano costrinse gli uomini a intensificare la produzione di alimenti. Inoltre, in considerazione della riduzione delle fonti alimentari a causa delle variazioni climatiche sopravvenute durante la fine del IX millennio a.C., dello sfruttamento eccessivo dei territori circostanti gli insediamenti dalle popolazioni in aumento, e dello sviluppo di numerose comunità con organizzazioni sociali complesse determinate dal comportamento sedentario, si manifestò un forte decremento delle fonti alimentari e quindi una pressione all’aumento della produzione di alimenti. Con l’intensificarsi delle attività agricole, l’economia delle comunità natufiane-neolitiche divenne largamente dipendente dai prodotti della coltivazione. La caccia, la pesca e la raccolta di frutti, semi e piante selvatiche integravano la dieta, la quale divenne sempre più dipendente dalla coltivazione di frumento, orzo e legumi. Le forme domesticate di frumento, orzo, segale, avena e legumi fornivano alimenti con elevato valore nutritivo e basso contenuto di acqua, quindi facili da conservare, trasportare e trasformare. Ciò rappresentò un presupposto fondamentale per lo sviluppo delle civiltà umane.
Fase della coltivazione
• Questa fase è caratterizzata
dalla diffusione dell’agricoltura in nuove aree
• Tale diffusione ebbe luogo
principalmente con la migrazione degli agricoltori verso nuovi territori, piuttosto che attraverso l’adozione di pratiche agricole da parte dei cacciatori-raccoglitori
• La maggior parte dei frumenti erano
rappresentati dal farro medio e dal farro piccolo vestiti; tipi di frumenti esaploidi e tetraploidi nudi erano relativamente rari
Domesticazione dei frumenti
• Le informazioni disponibili sulla
domesticazione delle varie specie di frumenti coltivati sono piuttosto incomplete e talvolta oscure. Tuttavia, i dati archeologici e genetici disponibili permettono di delineare un quadro generale, sebbene ancora frammentario, della storia dei frumenti coltivati
Domesticazione dei frumenti Numerose specie di frumento furono portate in coltivazione più o meno contemporaneamente dai primi uomini neolitici. Il farro selvatico tetraploide, T. turgidum ssp. dicoccoides, fu dapprima coltivato nel Levanto meridionale, cioè nella valle del Giordano e nel bacino di Damasco, mentre il farro piccolo selvatico, Triticum monococcum ssp. aegilopoides, fu coltivato dapprima nel Levanto settentrionale, cioè nel sud-est della Turchia. Inoltre, nelle stesse zone furono probabilmente coltivati anche il diploide Triticum urartu e il frumento tetraploide Triticum timopheevvii ssp. armeniacum, che crescevano spontanei nel nord del Levanto. I resti di frumenti degli inizi del periodo neolitico (8300 a.C.), ritrovati in numerosi siti del Levanto, erano tutti con rachide fragile. Solo tre delle suddette quattro specie di frumenti selvatici si sono evolute in forme domesticate con spighe rigide: la ssp. dicoccoides ha dato origine al farro tetraploide coltivato ssp. dicoccum; la ssp. aegilopoides ha dato origine al farro piccolo domesticato
• Molto probabilmente il farro medio
e il farro piccolo selvatici furono domesticati più volte in differenti località e da differenti genotipi di progenitori selvatici. I frumenti con spighe non fragili si sono poi gradualmente diffusi, dapprima in miscugli con tipi fragili e, dopo aver sostituito questi ultimi, sono divenuti le colture predominanti in tutta l’Asia sud-occidentale
184
origine ed evoluzione ssp. monococcum; e la ssp. armeniacum ha dato origine al frumento tetraploide coltivato ssp. timopheevii. Per ragioni ancora sconosciute il T. urartu non ha dato origine a forme con spiga non fragile.
Foto P. Viggiani
Domesticazione del farro piccolo Il farro piccolo coltivato, T. monococcum ssp. monococcum, è morfologicamente molto simile al suo progenitore selvatico T. monococcum ssp. aegilopoides: la differenza principale consiste nel rachide rigido della spiga nella sottospecie coltivata. La rigidità della spiga è determinata da due geni complementari recessivi. Il rachide, tuttavia, non è molto resistente e, quando viene applicata una pressione sulla spiga, si frammenta in segmenti (spighette) simili a quelli della forma selvatica. Sia la forma coltivata sia quella selvatica sono tipi vestiti, cioè le cariossidi sono rivestite da involucri (glume e glumette) tenaci. Conseguentemente, il prodotto della sgranatura è la spighetta e non la singola cariosside. Subito dopo la sua scoperta nel 1913, divenne subito chiaro che il farro piccolo selvatico era il progenitore del farro piccolo coltivato. Questo tipo era derivato dalla forma selvatica attraverso alcune mutazioni che avevano interessato la consistenza della spiga e fu chiaramente preferito dagli antichi agricoltori. La stretta affinità genetica tra le due forme è risultata evidente anche dalla completa fertilità delle piante ibride ottenute dal loro incrocio. Fu subito ovvio pensare che la domesticazione del frumen-
Bulgaria
A sinistra farro piccolo (Triticum monococcum), a destra farro medio selvatico (Triticum turgidum ssp. dicoccoides)
Georgia
Mar Nero
Armenia
Mar Caspio
Turchia
Mar Mediterraneo
Tigri
Siria
Iraq
Iran
L’area in grigio rappresenta il centro principale di origine del T. monococcum ssp. aegilopoides, progenitore del farro piccolo, T. monococcum ssp. monococcum. Le stelle testimoniano la presenza del progenitore selvatico anche in aree diverse dal centro principale
Eufrate
185
Golfo
ricerca to diploide fosse avvenuta nel nord-est del Corridoio levantino, il centro di distribuzione del progenitore selvatico nel periodo tardo Paleolitico-inizio del Neolitico, come poi è stato confermato da dati genetici e archeologici. Dalla regione della Mezzaluna fertile, la coltivazione del T. monococcum si è poi diffusa in diverse altre regioni del Medioriente e dell’Europa meridionale. Durante il VII millennio a.C., il farro piccolo coltivato si è diffuso in Europa centrale e occidentale, attraverso le valli del Danubio e del Reno. Nei periodi successivi (Età del bronzo e del ferro), il farro piccolo si è diffuso ampiamente in Europa e nel Medioriente. Attualmente si ritrova solamente come coltura marginale in zone montuose della Turchia, dell’ex Jugoslavia e dell’Italia meridionale, dove viene prevalentemente utilizzato come foraggio.
Coltivazione del farro medio selvatico
• I primi tentativi di coltivare i farri selvatici risalgono agli inizi del Neolitico A
• Resti di farro medio selvatico sono stati trovati in numerosi siti neolitici (8300-7500 a.C.) della valle del Giordano (Netiv Hagdud, Gilgal e Gerico) e del bacino di Damasco (Tell Aswad e Tell Ghoraife). Tutti questi siti sono localizzati ai margini dell’attuale area di distribuzione del farro selvatico nel Levanto e ai margini della sua presunta area di distribuzione alla fine del periodo freddo e secco che si verificò intorno a 8000 anni fa
Domesticazione del farro medio e degli altri frumenti tetraploidi La scoperta nel 1906 del farro medio selvatico, T. turgidum ssp. dicoccoides, e lo studio della sua distribuzione geografica hanno contribuito notevolmente alla comprensione del processo di domesticazione dei frumenti tetraploidi ed esaploidi. Già nel 1889 Körnicke, sulla base di un frammento di una spiga di questo frumento selvatico, aveva ipotizzato che esso poteva essere il progenitore del farro medio coltivato e dei frumenti duri. Nel 1914 furono effettuati gli incroci tra piante della sottospecie dicoccoides con forme coltivate di frumenti tetraploidi, quali la ssp. dicoccum e la ssp. durum; dall’elevata fertilità delle piante ibride si concluse che le forme selvatiche e coltivate erano geneticamente affini. La differenza morfologica principale tra il farro coltivato e quello selvatico, che consiste nella fragilità della spiga, è determinata da un ridotto numero di geni. Fu quindi confermata l’ipotesi che la ssp. dicoccum, l’unico tipo vestito di T. turgidum, e perciò la primitiva forma tetraploide coltivata, era derivata dalla ssp. dicoccoides attraverso una serie di mutazioni. Nel frattempo, in Israele (allora Palestina) e in Siria erano state osservate piante ibride spontanee tra queste sottospecie; l’incrocio spontaneo si osservava frequentemente anche ogni volta che questi tipi venivano coltivati in campi adiacenti. Analisi citologiche degli ibridi tra la ssp. dicoccoides e frumenti coltivati hanno evidenziato che i cromosomi della forma selvatica sono completamente omologhi (cioè geneticamente uguali) a quelli delle altre sottospecie di T. turgidum e a quelli del genoma A e B dei frumenti esaploidi (frumento tenero e spelta). Inoltre, in accordo con l’ipotesi che la ssp. dicoccum sia derivata dalla ssp. dicoccoides, Kislev nel 1992 ha trovato semi di farro selvatico in Ohalo II, un sito preistorico permanente dell’uomo cacciatore-raccoglitore del periodo tardo Paleolitico, vicino al lago della Galilea, già esistente 19.300 anni fa, e che la ssp. dicoccoides era il primo frumento trovato in materiali
• Il farro tetraploide coltivato, malgrado sia un frumento vestito, è stato una delle colture più importanti per quasi 7000 anni
Foto P. Viggiani
Farro medio (Triticum turgidum ssp. dicoccoides)
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origine ed evoluzione archeologici di altri siti neolitici del Levanto; la ssp. dicoccum comparve solo successivamente. Ciò è in accordo con la scoperta che ai primordi dell’agricoltura, nei villaggi preistorici del Levanto, la distribuzione dei tipi tetraploidi con spiga rigida e con semi vestiti della ssp. dicoccum si sovrapponeva con tipi del farro selvatico ssp. dicoccoides, prova che la domesticazione del farro avvenne all’interno dell’area di distribuzione del farro selvatico. I frumenti tetraploidi dei primi campi coltivati avevano le spighe fragili. Questi furono coltivati per centinaia di anni, fino a quando comparvero gradualmente tipi mutanti con rachide rigido e spighe che non si frammentavano a maturità; per diverse centinaia di anni i tipi con rachide non fragile furono coltivati insieme a tipi con spiga che si disarticolava a maturità. Nessuna o solo una blanda selezione fu praticata per la rigidità della spiga. Il T. turgidum ssp. dicoccum verosimilmente è derivato dalla ssp. dicoccoides attraverso mutazioni spontanee per il rachide rigido o semi-rigido della spiga, come era avvenuto per il farro piccolo, T. monococcum ssp. monococcum. Mutazioni ricorrenti per la rigidità del rachide sono comparse in diverse popolazioni naturali della ssp. dicoccoides; in numerosi siti sono stati trovati tipi con spiga parzialmente disarticolante e tipi con spiga completamente rigida. Una volta comparsi tali mutanti, essi vennero mantenuti nei campi coltivati insieme ai tipi fragili, nell’eventualità che si incrociassero spontaneamente tra di loro, e infine furono selezionati dagli agricoltori. Un’altra sottospecie di T. turgidum ora estinta, la ssp. parvicoccum, fu coltivata nel Medioriente e nell’area mediterranea per diversi millenni (sino al periodo greco, circa 2300 anni fa) in territori adiacenti a quelli di coltivazione del farro medio. Il grande vantaggio della ssp. parvicoccum era rappresentato dal rachide rigido e dalle glume piuttosto tenere che facilitavano la sgranabilità della granella. Il fatto che entrambi i tipi di frumento siano stati coltivati contemporaneamente per un così lungo periodo di tempo è un’indicazione che il vantaggio complessivo della ssp. parvicoccum (a seme nudo e piccolo) non era sufficiente per sostituire la ssp.
Foto P. Viggiani
Frumento duro (Triticum turgidum ssp. durum)
Foto P. Viggiani
Grano polacco (Triticum turgidum spp. polonicum)
187
ricerca
Origine dei frumenti esaploidi
• Il frumento esaploide T. aestivum molto probabilmente si è originato solo dopo la domesticazione dei frumenti diploidi e tetraploidi
• Non esiste un progenitore selvatico
degli attuali frumenti coltivati esaploidi (frumento tenero e spelta)
• Il frumento tenero si è originato
nel nord-ovest dell’Iran o nel nord-est della Turchia in seguito all’incrocio tra un frumento tetraploide e la specie diploide selvatica Ae. squarrosa, seguito da raddoppiamento cromosomico
L’area in grigio indica il centro di origine di Aegilops squarrosa, donatore del genoma D e progenitore del frumento tenero
dicoccum (seme vestito e grosso) come coltura maggiore. L’origine della ssp. parvicoccum non è chiara. Le principali caratteristiche che la distinguevano dalla ssp. dicoccum erano le cariossidi nude, la compattezza della spiga e la granella di piccole dimensioni. Il frumento duro è la ssp. durum del T. turgidum, caratterizzato da cariossidi nude e grandi. Resti di questo frumento sono stati trovati nel sito neolitico Can Hassan III (5500-4200), e desta perplessità il fatto che, malgrado la sua antica origine, il frumento duro si sia affermato come coltura maggiore nel Medioriente e nel bacino Mediterraneo solo 2300 anni fa, nell’antica Grecia. Attualmente il frumento duro rappresenta la sottospecie di T. turgidum più coltivata. La sua produttività è relativamente elevata in condizioni caldo-aride ed è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, in Medioriente, India, Russia e nelle estese pianure con ridotte precipitazioni del Canada e degli USA. Le ssp. turgidum, cartlicum, turanicum e polonicum comprendono forme che si discostano solo leggermente dal frumento duro, e la loro coltivazione è limitata solo a qualche area. Origine dei frumenti esaploidi Recenti analisi genetiche, biochimiche e molecolari hanno indicato che il centro d’origine del frumento esaploide si trova in Iran, a sud-ovest del Mar Caspio. Numerose prove indicano che esso si è originato dal farro tetraploide coltivato, T. turgidum ssp. dicoccum, piuttosto che dal farro selvatico ssp. dicoccoides. Attualmente la ssp. dicoccoides non si trova geograficamente in contatto con l’Ae. squarrosa, il donatore diploide del genoma D dei frumenti teneri.
Mar Nero Turchia
Siria
Kazakistan
Mar Caspio
Eufrate
Tigri
Iraq
Afghanistan Iran
188 Golfo
Persico
Pakistan
origine ed evoluzione A metà del VII millennio a.C., quando comparvero i primi tipi esaploidi, molto probabilmente non esisteva nessun contatto geografico tra popolazioni di farro selvatico e Ae. squarrosa. Inoltre, qualsiasi ibrido dicoccoides–squarrosa avrebbe dovuto avere una spiga con rachide fragile e quindi una bassa probabilità di essere selezionato dagli antichi agricoltori. Al tempo in cui ebbe origine il frumento esaploide, il farro tetraploide era coltivato in Turchia orientale e in Iran occidentale e venne in contatto con l’Ae. squarrosa, la quale presumibilmente cresceva come erba infestante all’interno e ai margini dei campi di frumento. Data la presenza di numerosi tipi morfologici, si presuppone che il frumento esaploide si sia originato ripetutamente da numerosi incroci indipendenti tra differenti genotipi di farro tetraploide e Ae. squarrosa. Il T. aestivum comprende numerose sottospecie, alcune delle quali sono a granella vestita e altre a granella nuda. Le principali differenze tra le varie sottospecie sono determinate da uno o due geni che influenzano diverse caratteristiche morfologiche.
Deriva genetica
• Con questo termine viene indicato
il cambiamento della frequenza dei genotipi in una nuova popolazione
• La deriva genetica ha avuto
un differente ruolo nelle diverse specie di frumenti domesticati
Effetto del fondatore e variabilità genetica Il numero di forme mutanti che hanno dato origine al farro piccolo e al farro medio non è elevato. Analogamente, il numero di piante esaploidi derivanti da eventi di ibridazione indipendenti tra il farro medio e l’Ae. squarrosa è limitato. Una delle conseguenze del cosiddetto “effetto del fondatore”, cioè l’affermarsi di una nuova popolazione a partire da pochi individui che necessariamente rappresentavano solo una piccola frazione della variabilità genetica della popolazione originale, è stata la ridotta variabilità genetica. I frumenti teneri, a causa del parziale isolamento genetico dalle due specie parentali, si sono originati da una ristretta variabilità genetica e, conseguentemente, le basi genetiche sono relativamente ridotte. Le prime forme di farro medio con rachide rigido sono state presenti per un lungo periodo di tempo in popolazioni miste con forme selvatiche e hanno avuto modo di interscambiarsi geni. Inoltre, anche dopo la completa sostituzione delle forme di farro selvatico con quelle domesticate, queste ultime potevano continuare a scambiare geni con i tipi selvatici che crescevano nelle vicinanze e ciò ha contribuito ad aumentare il grado di variabilità genetica.
Centri di origine e di diversificazione
• Vavilov nel 1926 ha coniato i termini
“centro di origine” e “centro di diversificazione”. Il primo termine indica il sito in cui una determinata specie si è originata ed evoluta, il secondo indica l’area in cui la specie ha interagito con l’ambiente determinando un’esplosione di variabilità. In molti casi il centro di diversificazione si sovrappone con il centro di origine
• Centri secondari di diversificazione
sono: l’altopiano etiopico e il bacino del Mediterraneo per i frumenti tetraploidi e l’Afghanistan per i frumenti esaploidi. La Transcaucasia è considerata un centro secondario sia per le specie esaploidi sia per quelle tetraploidi
Centri di diversificazione dei frumenti Come già riportato in precedenza, il frumento diploide coltivato (farro piccolo) presumibilmente si è originato nel Corridoio levantino settentrionale, mentre i frumenti tetraploidi domestici (farro medio e frumento duro) si sono originati nelle valli del fiume Giordano a sud del Corridoio levantino. Tutti i frumenti tetraploidi nudi si sono probabilmente evoluti in questa stessa regione. I frumenti esaploidi (frumento tenero e spelta) si sono originati nel sud-ovest 189
ricerca del mar Caspio. Con la migrazione verso nuovi territori, i frumenti coltivati hanno trovato diverse condizioni ambientali, a cui alcuni tipi hanno risposto con un incremento di variabilità e la formazione di numerose forme endemiche. Da notare che l’origine e l’affermazione dei principali frumenti coltivati (farro piccolo, farro medio, spelta asiatico e frumento tenero), si verificarono nel I millennio della coltivazione, cioè a metà del VII millennio a.C. Lo sviluppo di queste nuove forme in un così breve periodo di tempo deve essere avvenuto con un tasso di evoluzione estremamente elevato, molto probabilmente come risultato delle condizioni ambientali prevalenti nei campi coltivati, completamente differenti da quelle dei campi incolti. La pressione selettiva imposta dai primi agricoltori si basava su criteri differenti rispetto ai meccanismi che operavano naturalmente. Caratteristiche con vantaggio selettivo negativo in ambienti naturali furono selezionate nelle condizioni di coltivazione, dando così avvio a nuovi percorsi evolutivi. Ciò potrebbe spiegare la rapida comparsa di forme con rachide non fragile, cariosside nuda e germinazione pronta e uniforme. La diffusione della coltivazione dei frumenti in regioni circostanti esponeva i frumenti a nuove condizioni climatiche, edafiche e biotiche, e quindi a nuovi fattori di pressione selettiva. I frumenti hanno risposto con un aumento della mutabilità, forse anche con l’attivazione di diversi geni in grado di ristrutturare i genomi. La diffusione dei frumenti in nuove regioni facilitò il contatto con specie affini con cui essi potevano scambiare geni o formare nuove specie, come i frumenti esaploidi. Ci sono ancora diversi problemi non risolti riguardanti i frumenti coltivati, come per esempio l’assenza di forme con spighe non fragili nel frumento diploide Triticum urartu (anche se le mutazioni per la rigidità del rachide si erano verificate solo nella ssp. aegilopoides, i geni mutati potevano trasferirsi in T. urartu mediante incrocio). Un altro dubbio riguarda le modalità d’origine del primo frumento tetraploide nudo e le ragioni della sua estinzione circa 1900 anni fa (cariossidi dell’ultima coltivazione della ssp. parvicoccum, risalente al 135 d.C., furono trovate da Kislev nella Giudea meridionale, in Israele. Incerti sono anche i motivi della tardiva affermazione della ssp. durum (frumento duro) come coltura maggiore nel Medioriente, malgrado il suo rinvenimento in materiali archeologici già nel 5500-4200 a.C.; il relativamente ridotto contributo del T. timopheevii ssp. armeniacum alla coltivazione dei frumenti, sia come coltura tetraploide sia come donatore dei genomi AB di alcuni frumenti esaploidi; la comparsa della ssp. aestivum (frumento tenero) in scavi archeologici di 10002000 anni prima del suo presunto predecessore ssp. spelta.
Foto P. Viggiani
Farro grande o spelta (Triticum spelta) Foto P. Viggiani
Diffusione della coltivazione dei frumenti L’espansione dell’agricoltura neolitica si verificò nel VI e V millennio a.C., dapprima a nord del Corridoio levantino e successivamente in Anatolia. L’introduzione della coltivazione dei cereali
Triticum carthlicum
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origine ed evoluzione nel bacino dell’Anatolia avvenne rapidamente (in meno di 1000 anni) a opera dei cerealicoltori levantini che esportarono la loro tecnologia agricola in nuovi territori. Il flusso principale del frumento verso l’Europa avvenne dall’Anatolia alla Grecia circa 8000 anni or sono. Da questa regione le direzioni si diramarono: verso ovest il frumento fu portato in Italia, Francia meridionale e Spagna, dove i primi territori interessati alla coltivazione, come in generale in tutto il bacino del Mediterraneo, furono le pianure sud-orientali lungo le coste. Il secondo itinerario andava verso il nord attraverso i Balcani, la valle del Danubio, sino alla valle del Reno (circa 7000 anni fa). Da quelle regioni il frumento si diffuse nell’Europa centrale, occidentale e settentrionale; in Olanda si diffuse appena 6000 anni fa e in Inghilterra e nei Paesi scandinavi 5000 anni fa. Un altro itinerario dei frumenti verso l’Europa, relativamente di minore importanza e più recente, interessò la Transcaucasia e il Caucaso (circa 7000 anni fa), la Russia meridionale (6000 anni fa) e l’Europa centrale. Attraverso queste rotte si diffusero prevalentemente miscugli contenenti frumenti esaploidi nudi (frumento tenero) e piccole quantità di frumenti vestiti (spelta). La velocità della diffusione fu influenzata da diversi fattori, quali la necessità dei frumenti di adattarsi a nuove condizioni climatiche, la disponibilità di altri cereali selvatici e altri tipi di alimenti nelle aree circostanti, e lo sviluppo dei vari mezzi di comunicazione tra culture differenti. Non tutte le specie di frumento migrarono in Europa centrale con la stessa velocità. Il farro medio e il farro piccolo erano sempre presenti sul fronte della diffusione dell’agricoltura. I frumenti esaploidi e tetraploidi nudi furono portati in Europa nord-occidentale in miscugli con il farro circa 6000 anni fa. Reperti archeologici e recenti studi molecolari hanno confermato la presenza di frumento tenero e frumento tetraploide nudo in miscugli con granella di farro. Comunque, già 5700 anni fa erano presenti alcuni campi coltivati esclusivamente con frumento tenero, mentre 4000 anni fa il frumento spelta, insieme alla segale e all’avena, infestanti nei campi di frumento tenero e farro, si svilupparono a nord delle Alpi come nuove colture. I frumenti si diffusero in Africa attraverso diversi percorsi. Il primo, circa 6000 anni fa, passava per l’Egitto, da dove poi i frumenti si diffusero verso il Sudan, l’Etiopia e la Libia occidentale. Altri itinerari interessarono il Mediterraneo: dalla Grecia verso Creta e la Libia, e dall’Italia meridionale, attraverso la Sicilia, verso Tunisia, Algeria e Marocco. In Africa si diffuse principalmente il farro medio. Il farro piccolo non si è mai diffuso in Egitto, Etiopia e Nordafrica. Frumenti tetraploidi nudi erano sempre presenti in miscugli con il farro. Il frumento duro diventò un’importante coltura durante il periodo greco (circa 2300 anni fa) solo in Egitto. La diffusione in Asia avvenne attraverso il nord dell’Iran. Sebbene il frumento fosse già coltivato nell’Iran occidentale 8000 anni
Diffusione della coltivazione dei frumenti
• La diffusione della coltivazione
dei frumenti avvenne nel VI e V millennio a.C. dalle regioni della Mezzaluna fertile all’Europa, Africa e Asia, e ciò risulta ampiamente da reperti archeologici e da studi genetici sulla distribuzione dei geni in varietà locali di frumenti di diverse regioni del vecchio mondo
• I frumenti furono portati in Europa
come miscugli in cui il farro medio era il costituente principale, il farro piccolo era in quantità significative, mentre i frumenti nudi esaploidi e tetraploidi erano costituenti minori; non erano presenti frumenti esaploidi vestiti
Aree di più recente introduzione
• Il frumento raggiunse la Cina
occidentale circa 4500 anni fa, la Cina orientale durante il II millennio a.C. e il Giappone solo 2300 anni fa
• Il frumento, principalmente quello tenero, fu introdotto in America nel 1529 quando gli spagnoli lo portarono nel Messico
• In Australia il frumento è giunto solo nel 1788
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ricerca fa, l’espansione dei frumenti verso il Pakistan occidentale risale a 6500 anni fa. Resti di frumenti di circa 6000 anni fa sono stati rintracciati in Pakistan e di circa 5300 anni fa nel sito preistorico di Mehrgarh nella vallata indiana, a sud-ovest del Pakistan. I resti del sito Mehrgarh comprendevano farro medio, farro piccolo e un tipo facilmente sgranabile. Sulla base di specifiche caratteristiche morfologiche, è stato ipotizzato l’itinerario attraverso cui i frumenti si sono diffusi in Asia orientale. Un percorso, in accordo con quella che attualmente viene conosciuta come la Via della seta, va dal Turkestan attraverso il Sinkiang sino alla Cina settentrionale. Una seconda rotta andava verso il Pakistan e l’Afghanistan e, attraverso il passo Khyber, raggiungeva la pianura Punjab, da cui si diffondeva verso il sub-continente indiano e la Birmania.
Criteri di selezione dei frumenti coltivati
• Durante i 10.000 anni di coltivazione
dei frumenti, i criteri di selezione sono variati nel tempo e nello spazio, quali per esempio quelli per la produttività. I primi raccoglitori di granella e i primi agricoltori sceglievano piante con granella più grossa e con più semi per spiga. Successivamente gli agricoltori sceglievano tipi con accestimento elevato, cioè piante con più culmi e spighe, e tipi dotati di spighe con molti semi per rachide rigido. Quando la superficie coltivata è diventata un fattore limitante e le coltivazioni monovarietali, il criterio preferito è stato la selezione di tipi con un più elevato numero di semi per unità di superficie. Maggiore importanza è stata perciò attribuita a genotipi che erano competitori deboli, che producevano bene in colture a elevata densità e che rispondevano bene ai fertilizzanti e alle diverse tecniche agronomiche
Evoluzione dei frumenti coltivati Essendo originari di habitat mediterranei marginali della Mezzaluna fertile, i progenitori selvatici dei frumenti coltivati erano preadattati per la domesticazione. Tutte le forme sono annuali, crescono in inverni miti e superano l’estate caldo-secca come semi. Sono prevalentemente auto-impollinanti e hanno semi grossi e ben protetti da rivestimenti glumeali che favoriscono una sicura e rapida affermazione della piantagione. La granella di grosse dimensioni richiamò l’attenzione dei primi uomini raccoglitori. Il loro habitus annuale li ha resi adatti per lo sviluppo in terreni secchi, mentre il sistema di autofecondazione poteva essere di aiuto per la fissazione dei geni desiderabili e dei ricombinanti derivanti da rari eventi d’incrocio. Mentre nei loro habitat naturali questi cereali occupavano suoli poveri e rocciosi, essi risposero bene quando furono trasferiti in habitat più fertili. La domesticazione impose una nuova direzione evolutiva quando vennero scelti tipi con caratteristiche che avevano un valore adattativo più elevato nelle condizioni di coltivazione.
Modificazioni sopravvenute nei frumenti durante le tre fasi della coltivazione Fasi della coltivazione
Modificazioni
Durante il passaggio dallo stato selvatico ai campi coltivati
• Spighe non fragili • Cariossidi nude • Semi non dormienti • Germinazione rapida e uniforme • Piante erette • Cariossidi più grandi • Numero maggiore di spighette per spiga
Durante 10.000 anni di coltivazione in ambienti diversificati
• Adattamento a nuovi ambienti, talvolta con condizioni pedo-climatiche estreme • Maggiore accestimento • Alta taglia • Foglie a portamento orizzontale • Maggiore competitività con altri genotipi di frumento o con piante infestanti • Variazioni nei processi che controllano la durata delle varie fasi sviluppo • Numero più elevato di cariossidi per spighetta • Migliorate proprietà della granella
Durante la coltivazione in campi monovarietali a seguito delle moderne procedure di miglioramento genetico dell’ultimo secolo
• Maggiore produttività in campi con elevata densità di piante; ridotta competizione intergenotipica • Foglie a portamento verticale • Altezza ridotta • Maggiore risposta a fertilizzanti e fitofarmaci • Maggiore resistenza a malattie e insetti • Resistenza all’allettamento • Migliorate qualità panificatorie e pastificatorie
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origine ed evoluzione La pressione selettiva si manifestava in maniera differente e talvolta contraddittoria nei campi coltivati e in quelli spontanei. Durante il processo di adattamento ai diversi ambienti di coltivazione e alle diverse necessità dell’uomo, il frumento ha risposto con variazioni morfologiche e fisiologiche differenti. Le variazioni genetiche principali hanno riguardato l’adattabilità alle condizioni di coltivazione, in particolare la perdita del meccanismo di disseminazione e di protezione dei semi, per cui il frumento per la sua sopravvivenza è diventato completamente dipendente dall’agricoltore. Le moderne varietà di frumento si sono sviluppate attraverso tre fasi principali di selezione: una selezione occasionale e talvolta inconscia esercitata dai primi agricoltori semplicemente attraverso il processo di raccolta e semina; una selezione più deliberata da parte degli agricoltori tradizionali nei campi polimorfici; e una selezione come processo scientifico programmato nei moderni piani di miglioramento genetico.
Le spighette dei frumenti selvatici cadono sul terreno in seguito alla frammentazione della spiga a maturità, meccanismo fondamentale per la dispersione dei semi e per la sopravvivenza delle specie selvatiche
La selezione nei primi campi coltivati Durante la prima fase, si è verificata una serie di variazioni significative durante il passaggio dalle forme selvatiche alle forme coltivate. Numerosi caratteri selvatici che non avevano un valore adattativo per la coltivazione furono selezionati negativamente. Questi comprendono la frammentazione e la disseminazione delle spighette, la dormienza e la protezione dei semi da rivestimenti strettamente aderenti. I frumenti selvatici sono caratterizzati da una spiga fragile che a maturità si disarticola in singole spighette a forma di lancia. Mentre queste unità di dispersione dei semi facilitavano la penetrazione nel terreno (quindi la loro protezione durante l’estate lunga e secca, e successivamente la loro germinazione dopo le prime piogge), esse davano fastidio agli antichi agricoltori che dovevano raccogliere la maggior parte delle spighette dal terreno o tagliare i culmi prima della maturità della granella. Non meraviglia perciò che furono selezionati negativamente i tipi con spighe fragili. Nonostante ciò, è stato necessario più di un millennio affinché le forme mutanti con spiga non fragile diventassero colture dominanti. Le piante con spighe rigide non possono disperdere i loro semi e perciò difficilmente possono sopravvivere in condizioni naturali. La pressione selettiva è particolarmente elevata in aree a pascolo, dove le forme non fragili vengono immediatamente eliminate subito dopo la loro comparsa. Se queste forme sopravvivono alla prima estate, i semi possono germinare sulla spiga subito dopo la prima pioggia, e le piantine quindi seccano. Tuttavia, tali forme mutanti in coltivazione presentano un elevato valore selettivo. I tipi con rachide non fragile furono probabilmente selezionati dalle donne che normalmente avevano il compito di sgranare le spighe.
La selezione per le dimensioni delle cariossidi ha contribuito all’aumento della produttività dei frumenti coltivati. Cariossidi di farro selvatico (sopra); cariossidi di frumento duro (sotto)
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ricerca Le spighe non fragili risultavano più difficoltose da sgranare ed erano quindi lasciate come semente per la primavera successiva. Questi tipi a rachide rigido erano quindi maggiormente presenti nei campi coltivati e si sono diffusi gradualmente tra gli agricoltori e i villaggi in tutto il Levanto. La seconda esigenza per la coltivazione dei frumenti domesticati era la rapida e uniforme germinazione. I frumenti selvatici presentano due tipi di dormienza: un tipo post-raccolta e uno di lungo periodo. Il primo tipo ostacola la germinazione troppo precoce, una caratteristica importante particolarmente per il fatto che i semi erano spesso tenuti in condizioni di conservazione non idonee. Il secondo tipo di dormienza assicura in natura una distribuzione temporale della germinazione: generalmente la cariosside più grande del secondo fiore di ciascuna spighetta germina nel primo anno, mentre la cariosside più piccola del primo fiore germina nel secondo anno. Tuttavia, poiché questa dormienza è indotta dalle glume, essa viene superata dalla svestitura, cioè dall’allontanamento dei rivestimenti del seme durante la trebbiatura. La perdita dell’auto-disseminazione e il controllo temporale della germinazione fu seguito dalla perdita dell’auto-protezione. Le forme selvatiche hanno glume strettamente aderenti ai semi, con il risultato che la granella permane vestita dopo la sgranatura. Numerose forme primitive di frumenti coltivati, T. monococcum ssp. monococcum (farro piccolo), T. turgidum ssp. dicoccum (farro medio) e T. aestivum ssp. spelta (spelta), ssp. macha e ssp. vavilovii, conservano questa caratteristica. Le mutazioni che si sono diffuse durante la domesticazione hanno portato a spighe con rachide rigido e a glume poco aderenti alle cariossidi, e quindi a granella nuda e facilmente sgranabile. La diffusione dei frumenti in Europa, Africa e Asia richiedeva il loro adattamento a nuove condizioni climatiche, edafiche e biotiche. Durante questo adattamento i frumenti hanno accumulato molte variazioni, sia strutturali sia fisiologiche. Durante la diffusione in Europa, per esempio, le piante diventarono più alte e aumentarono le dimensioni delle foglie, delle spighe e dei semi. Le risposte al foto-periodismo e al termo-periodismo, cioè alle variazioni della lunghezza del giorno e della temperatura, furono modificate in maniera tale da conseguire un bilancio ottimale tra fase vegetativa e fase riproduttiva: il periodo vegetativo fu allungato per trarre vantaggio dai giorni estivi più lunghi e dalla stagione piovosa, mentre scomparve gradualmente l’esigenza delle alte temperature necessarie alla maturazione della granella. Inoltre, il periodo di riempimento delle cariossidi diventò più lungo e fu ritardata anche la senescenza della foglia bandiera. Questi ultimi adattamenti, che hanno permesso di assimilare e traslocare una maggiore quantità di carboidrati nelle cariossidi in formazione, hanno contribuito notevolmente all’aumento della produttività mediante l’incremento delle dimensioni delle cariossidi. Molto probabilmente le suddette
I frumenti selvatici e alcuni frumenti coltivati hanno cariossidi vestite (a sinistra), cioè in seguito alla trebbiatura i rivestimenti glumeali rimangono ben aderenti alle cariossidi; gran parte dei frumenti coltivati si liberano facilmente dalle glume e presentano granella nuda (a destra)
Risultati ottenuti nella prima fase di selezione I principali risultati della prima fase furono:
• spighe che non si frammentano a maturità
• maturazione contemporanea delle cariossidi
• germinazione rapida e uniforme • cariossidi più grandi • culmi eretti piuttosto che prostrati • buona sgranabilità Con la diffusione della coltivazione dei frumenti in nuovi territori, questi acquisirono anche maggiore adattabilità ad ambienti differenti
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origine ed evoluzione caratteristiche furono le prime a subire una drastica selezione nei primi stadi della coltivazione. Processi di selezione in campi polimorfici
La selezione nei campi polimorfici Nei campi polimorfici numerosi genotipi erano coltivati insieme sotto forma di varietà locali. La maggior parte dei campi, inoltre, presentava persino miscugli di specie di frumenti tetraploidi ed esaploidi, talvolta anche di frumenti diploidi. L’unità di selezione, pertanto, era costituita da una combinazione di genotipi piuttosto che del singolo genotipo. La presenza di genotipi diversi nei singoli campi coltivati ostacolava notevolmente la diffusione di epidemie o le conseguenze di stress ambientali severi. Pertanto, il vantaggio economico di allevare miscugli di genotipi differenti, o di più specie, era la stabilità produttiva, una considerazione economica che era molto più importante rispetto all’elevata produttività. Gli agricoltori primitivi e tradizionali preferivano una produttività media sicura per ciascun anno, piuttosto che una elevata produttività per più anni che poteva essere seguita da un fallimento della coltura. L’insuccesso della coltura in un qualsiasi anno poteva avere drastiche conseguenze per la mancanza di luoghi idonei per la conservazione a lungo termine e per l’impossibilità di importare granella su ampia scala. La stabilità produttiva, pertanto, rappresentava un carattere di enorme importanza. Nei campi polimorfici la competizione tra genotipi differenti aveva un ruolo determinante. Poiché il contributo di ciascun genotipo alla semente dell’anno successivo dipendeva largamente dalla produttività delle singole piante, l’elevato accestimento e il vigoroso sviluppo vegetativo erano caratteristiche con elevato valore adattativo. Piante con foglie a portamento orizzontale che ombreggiavano altre piante infestanti avevano un vantaggio selettivo sui genotipi con foglie erette. Il principale vantaggio evolutivo in tali campi polimorfici era la possibilità di incroci occasionali tra genotipi e specie differenti. A causa del sistema di riproduzione auto-impollinante, la conseguenza di ciascun incrocio era quella di produrre numerose linee ricombinanti e quindi di fornire costantemente agli agricoltori nuovi genotipi da selezionare. Le popolazioni dei frumenti di questi campi polimorfici avevano una struttura genetica simile a quella dei frumenti selvatici: un miscuglio di molti genotipi e di specie parzialmente isolate dal sistema prevalente di riproduzione. L’occasionale scambio di geni tra genotipi parzialmente isolati costituisce uno dei più efficienti meccanismi di evoluzione. La variabilità genetica così realizzata era mantenuta nei sistemi agricoli primitivi; a causa della bassa produttività dei miscugli era necessario l’uso di una parte considerevole dei semi raccolti per la semina successiva; pertanto, una quota elevata della variazione genetica veniva trasferita alla generazione successiva.
• Nei campi polimorfici, la seconda fase dell’evoluzione in condizioni di coltivazione comportò una intensa e continua selezione per diversi caratteri agronomici e tecnologici
• La pressione selettiva veniva
esercitata in maniera significativa in direzioni differenti nelle diverse regioni poiché gli agricoltori selezionavano e seminavano le cariossidi dotate delle caratteristiche più desiderate per le loro specifiche necessità
• I risultati di questo lavoro furono:
maggiore produttività, granella più grossa, migliore qualità della farina, e migliore adattabilità a un ampio intervallo di regimi climatici e agrotecnici
Foto R. Balestrazzi
Campo di selezione varietale
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il grano
ricerca Genetica e miglioramento • Struttura genetica dei frumenti Norberto Pogna • Miglioramento per la produzione e la resa Gaetano Boggini, Natale Di Fonzo • Miglioramento per la resistenza agli stress Marina Pasquini • Miglioramento per la qualità Norberto Pogna • Ricerche su antiche specie Andrea Brandolini • Metodi per il miglioramento genetico Natale Di Fonzo, Anna Mastrangelo • Risultati del miglioramento genetico Gaetano Boggini • Prospettive del miglioramento genetico Norberto Pogna
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Genetica e miglioramento Struttura genetica dei frumenti Nell’evoluzione delle piante coltivate, la poliploidia ha svolto un ruolo importante in quanto ha aumentato le possibilità di adattamento a un ampio spettro di ambienti e la sopravvivenza in condizioni climatiche instabili. Una forma di poliploidia, nota come “allopoliploidia”, consiste nella presenza in un singolo organismo di genomi (patrimonio genetico contenuto nei cromosomi di un individuo) di due o tre specie vegetali. Nella maggior parte dei casi, l’ibrido interspecifico che si forma da questo incrocio è sterile. Raramente, a seguito di errori che causano il raddoppiamento del numero dei cromosomi durante le divisioni cellulari, l’ibrido interspecifico diventa fertile e costituisce il capostipite di una nuova specie contenente l’informazione genetica originariamente presente in due specie separate. Molte specie di piante allopoliploidi sono tetraploidi (con i genomi di due specie diploidi), mentre le specie esaploidi (con i genomi di tre specie diploidi) sono meno comuni. I frumenti comprendono specie diploidi, tetraploidi (per esempio il grano duro) ed esaploidi (come il grano tenero). Alcune di queste specie sono state coltivate dall’uomo per migliaia di anni e poi abbandonate, altre sono tuttora coltivate sotto forma di cultivar o varietà migliorate geneticamente dall’uomo per sfruttare produttività e qualità della granella.
Poliploidia
• Una specie allopoliploide si forma
quando il polline di una pianta feconda il fiore di una pianta appartenente a una specie diversa
• I frumenti comprendono specie: diploidi (con 14 cromosomi), tetraploidi (con 28 cromosomi) e esaploidi (con 42 cromosomi)
• Il grano duro è tetraploide, quello tenero è esaploide
Complessità del genoma del grano Nella famiglia delle Poacee, che comprende orzo, avena, segale, riso, mais, sorgo e miglio, il grano tenero occupa un posto par-
Genoma del frumento
Il genoma del grano tenero è estremamente ampio e complesso rispetto ad altre specie di cui è stato sequenziato completamente il genoma.
Il patrimonio genetico del frumento è estremamente complesso (sei volte più grande di quello dell’uomo) e ogni gene è presente in più coppie di cromosomi appartenenti a tre genomi diversi che nel corso della storia evolutiva hanno contribuito a costituire questa specie allopoliploide
196
Specie
Numero di geni
Dimensioni del genoma (milioni di coppie di basi)
Lievito di birra (Saccaromyces cerevisiae)
5800
12
Moscerino della frutta (Drosophila melanogaster)
13.601
180
Arabidopsis (Arabidopsis thaliana)
25.498
125
Uomo (Homo sapiens)
31.780 – 39.114
3000
Grano tenero (Triticum aestivum)
150.000
16.700
genetica e miglioramento ticolare a causa del suo ampio genoma, 35 volte più grande di quello del riso e 6 volte più grande di quello dell’uomo. Il patrimonio genetico del grano è estremamente complesso: in esso ogni gene è presente in più copie nei cromosomi appartenenti ai tre genomi che hanno contribuito a formare questa specie allopoliploide. Inoltre, il 75% del patrimonio genetico è costituito da DNA ripetitivo apparentemente privo di funzioni, a dimostrazione del fatto che questa specie ha avuto una complessa storia evolutiva, in cui i diversi componenti del patrimonio genetico hanno raggiunto un’espressione più armoniosa ed efficiente. D’altra parte, questo DNA ripetitivo può costituire un’importante risorsa genetica per la formazione di geni con nuove funzioni o con funzioni più efficienti, anche per rispondere in modo adattativo ad eventuali cambiamenti ambientali. In ogni caso, diversamente dal riso e dal mais, nonostante gli sforzi di numerosi ricercatori in tutto il mondo, passeranno ancora molti anni prima che il genoma del grano possa essere completamente sequenziato e possa svelare i meccanismi della variabilità genetica che contiene. L’estrema plasticità genetica del grano è dimostrata dal grande numero di varietà attualmente coltivate (oltre 25.000) e dal numero di nuove varietà migliorate geneticamente che vengono continuamente immesse sul mercato (solo in Italia, almeno una decina all’anno).
Effetti dell’autogamia
• La semente di grano acquistata
dall’agricoltore è costituita da milioni di individui geneticamente identici (1 ettaro di terreno viene seminato con 4-5 milioni di questi semi), i quali daranno una coltura estremamente uniforme per caratteristiche fisiologiche, qualità del raccolto, maturazione ecc.
Autogamia e suoi effetti L’impollinazione di un fiore da parte del suo stesso polline viene detta autogamia e porta all’autofecondazione. Questo è il modo in cui si riproduce il grano, salvo rare eccezioni dovute a impollinazioni incrociate tra piante diverse (meno del 2-4% dei casi). L’autogamia persistente ha come effetto la produzione di linee pure e di varietà costituite da individui che hanno lo stesso genotipo (composizione genetica) e lo stesso fenotipo (forma, costituzione chimica e comportamento) e che si moltiplicano in forma identica (clonazione), salvo rare mutazioni. Questo comportamento è stato molto importante per la nascita dell’agricoltura durante il Neolitico e condiziona ancora oggi tutte le attività della filiera del grano, dalla costituzione di nuove varietà allo stoccaggio dei raccolti, fino alla trasformazione industriale in prodotti alimentari. La varietà e la capacità di conservare nel tempo le proprie caratteristiche agronomiche e qualitative sono tra i fattori più importanti della granicoltura e dell’agroindustria a essa collegata. Nelle specie allogame come il mais (in cui l’impollinazione è operata dal polline di una pianta vicina), talvolta la progenie ibrida è particolarmente vigorosa e produttiva. Questo fenomeno, noto come eterosi, è ampiamente sfruttato per migliorare la resa e la qualità delle colture allogame (mais, girasole, colza) o autogame (riso, pomodoro e tabacco), ma ha dato scarsi risul-
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ricerca tati nel grano tenero. In questa specie, come anche nel grano duro, la semente ibrida F1 (ottenuta dall’incrocio artificiale tra due varietà) fornisce generalmente produzioni poco superiori (5-15%) rispetto a quelle delle migliori varietà, ma insufficienti a coprire i maggiori costi della produzione commerciale della semente ibrida.
Foto V. Bellettato
Miglioramento genetico La genetica è divenuta scienza soltanto negli ultimi 150 anni, ma le piante di frumento sono state selezionate, incrociate e migliorate anche in epoche preistoriche. Per esempio, la mutazione che ha impedito alla spiga matura di frantumarsi e liberare i semi nel terreno è stata una delle prime a essere sfruttata dall’uomo primitivo perché facilitava la raccolta. Questa mutazione e altre analoghe comparse nell’orzo si sono rapidamente diffuse tra i cereali coltivati oltre 10.000 anni fa. Un’altra mutazione spontanea particolarmente utile e rapidamente sfruttata è stata quella che causa il distacco delle glume dalla cariosside matura che, rimanendo nuda, è più facilmente trasformabile in farina. Talvolta la selezione operata dall’uomo è stata assolutamente inconsapevole, come nel caso della tolleranza all’alluminio presente in varietà di grano allevate in terreni acidi. Attualmente chi si occupa di miglioramento genetico del grano sfrutta le conoscenze acquisite da fisiologi, biochimici e soprattutto da genetisti. Essi hanno l’opportunità, mai riscontrata nella storia dell’uomo, di trarre vantaggio dalla enorme variabilità genetica presente nel grano, potendo anche ricorrere a nuove tecniche (incroci interspecifici, ibridazioni in vitro, mutagenesi, transgenesi) che consentono di ampliare questa variabilità attraverso l’incorporazione di nuovi geni utili nel genoma del grano. Le basi genetiche di alcuni caratteri come la produttività e il contenuto proteico non sono chiare né completamente conosciute. Inoltre, i caratteri che il genetista intende migliorare sono spesso influenzati dall’ambiente in cui la pianta è coltivata (terreno, clima, patogeni, acqua e sostanze nutritive disponibili). D’altra parte i genetisti che si occupano di caratteri quantitativi come la produttività, il contenuto proteico, la resistenza alla pregerminazione o l’altezza della pianta, sono consapevoli che questi caratteri sono controllati da pochi geni principali con grandi effetti, ma anche da molti geni con piccoli effetti. Fortunatamente, questi geni, noti collettivamente come QTL (Quantitative Trait Loci), possono essere individuati e selezionati ricorrendo a geni marcatori, di più facile identificazione, localizzati nel segmento cromosomico contenente i QTL stessi e che sono ereditati insieme a questi ultimi. Per esempio, sono noti marcatori molecolari a base di DNA che identificano alcune regioni cromosomiche le quali ospitano geni che impediscono o riducono la pre-germinazione della cariossi-
L’altezza della pianta di grano è un carattere controllato da pochi geni principali con grandi effetti e da molti geni con piccoli effetti. Questi geni, denominati collettivamente QTL possono essere identificati usando marcatori molecolari relativamente facili da analizzare in laboratorio
Obiettivi del miglioramento genetico Il campo in cui opera il genetista che si occupa di miglioramento vegetale è estremamente ampio, ma può essere suddiviso in quattro aree principali:
• produttività (o resa) • contenuto proteico • resistenza alla malattie e agli stress ambientali
• qualità tecnologica e nutrizionale della granella
198
genetica e miglioramento de direttamente nella spiga; tale fenomeno risulta particolarmente deleterio per la qualità della granella e assai diffuso nelle regioni nordeuropee, caratterizzate da un clima estivo piuttosto piovoso. Questi marcatori consentono di tenere sotto controllo la metà circa dei geni che influiscono sulla pre-germinazione. Attualmente sono disponibili modelli matematici e software che assistono il genetista nell’identificazione dei QTL mediante marcatori genetici e nella selezione assistita da marcatori MAS (Marker-Assisted Selection).
Costi del miglioramento genetico
• Il potenziale di un programma
di miglioramento genetico (breeding) basato su marcatori molecolari costituiti da sequenze di DNA o di proteine dipende molto dai costi delle analisi di laboratorio, attualmente piuttosto elevati e non sopportabili da piccole imprese di breeding
Miglioramento per la produzione e la resa Per una specie come il frumento, sottoposta da oltre un secolo a un’intensa attività di miglioramento genetico, è importante conoscere i progressi in termini di potenzialità produttiva ottenuti in un così ampio arco di tempo. Il problema maggiore a tale riguardo consiste nella difficoltà di separare gli incrementi di resa attribuibili al genotipo da quelli attribuibili all’ambiente in senso lato e in particolare quelli delle tecniche agronomiche. In realtà, le componenti genetiche e ambientali interagiscono, nel senso che il miglioramento di una rende possibile un ulteriore progresso; pertanto la netta separazione tra incrementi attribuibili all’una o all’altra risulta di difficile determinazione. Il confronto di varietà ottenute in epoche diverse a seguito del lavoro di miglioramento genetico rappresenta un approccio largamente seguito dai ricercatori per meglio comprendere le modificazioni morfologiche intervenute e per stimare gli incrementi produttivi ottenuti a seguito del ricambio varietale.
Foto V. Bellettato
Incrementi di resa del frumento negli anni, in Italia 6 5
Incrementi di produzione
• In Italia dal 1950 a oggi gli incrementi
di resa del frumento tenero sono risultati pari a 6 kg/ha/anno, mentre quelli del frumento duro sono stati accertati pari a 4 kg/ha/anno. La differenza tra le due colture è verosimilmente imputabile alle diverse condizioni pedoclimatiche degli areali di coltivazione
3 2
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
F. duro 1960
0 1955
F. tenero 1950
1
1945
Rese t/ha
4
Anni
199
ricerca Dall’esame di sperimentazioni condotte in vari Paesi, emerge che l’attività di miglioramento genetico ha ovunque provocato un graduale abbassamento della taglia, una migliore ripartizione della sostanza secca tra organi vegetativi e riproduttivi, a favore di questi ultimi (più elevato indice di raccolta, noto come harvest index o HI) e una maggiore precocità di spigatura. Una ricerca condotta sul frumento tenero a fine anni ’80 presso l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, sezione di S. Angelo Lodigiano, che metteva a confronto le popolazioni locali (gruppo 0) con le serie 1, 2, 3, 4, 5 di varietà costituite dall’inizio del ’900 fino a quel momento, ha evidenziato che i tre aspetti morfo-fisiologici citati hanno giocato un ruolo importante nell’aumentare la potenzialità produttiva. Infatti, la taglia delle cultivar costituite negli anni ’80 è risultata inferiore del 30% a quella delle popolazioni locali coltivate all’inizio del secolo scorso, mentre l’indice di raccolta è passato da 0,34 delle popolazioni locali, a 0,43 delle varietà di ultima costituzione. L’epoca di spigatura delle più moderne cultivar è invece risultata di 5 giorni più precoce rispetto alle popolazioni locali; tuttavia tale miglioramento si è verificato, a differenza degli altri due caratteri, già dalle prime varietà costituite da N. Strampelli, attraverso l’ibridazione delle popolazioni locali con varietà estere. Dal punto di vista produttivo, la sperimentazione ha evidenziato un incremento conseguente al lavoro di miglioramento genetico stimabile attorno al 120%. Considerando che le prime cultivar derivate da attività di ibridazione hanno cominciato a diffondersi nel nostro Paese negli anni ’20, è stato stimato che per il solo effetto del miglioramento genetico si è conseguito un incremento produttivo pari a circa 6-7 kg/ha/anno. L’aumento delle rese era ampiamente scontato mentre molto interessanti sono risultate le modificazioni intervenute sulla pianta in funzione dell’incremento produttivo. Le moderne varietà (serie 5) presentano, rispetto alle popolazioni locali, oltre a un più elevato indice di raccolta e di resa, un maggior numero di spighe/m2; le differenze a carico del numero di semi
Aumento delle rese in Italia
• Stime effettuate sulla base
dei risultati produttivi delle prove su varietà di frumento tenero nel decennio 1974-83, indicano un incremento annuo pari a 125,7 kg/ha, corrispondente a un aumento medio del 2,12% all’anno
• Le stime degli effetti genetici
e agronomici in termini di incrementi di resa del frumento tenero hanno evidenziato che la quota attribuibile agli effetti genetici, cioè alla positiva risposta dei nuovi genotipi alle migliorate condizioni di coltivazione, è pari a circa il 23%
• Analogamente, nel frumento duro,
attraverso le prove varietali realizzate dal 1974 al 1992, è stato accertato un incremento annuo pari a 140 kg/ha, dei quali il 53% è attribuibile al miglioramento genetico e il restante 47% al miglioramento delle tecniche colturali
16
8
Tecniche agronomiche 1983
1982
1981
1980
1979
1978
1977
1976
1975
4 0
200
Miglioramento genetico
12
1974
Incremento (q/ha)
Incremento della produzione di frumento tenero in Italia
genetica e miglioramento per spiga sono risultate minime, mentre quelle relative al peso dei 1000 semi sono state molto più accentuate. Il maggiore numero di spighe/m2 non è tuttavia da imputare a una maggiore capacità di accestimento delle moderne varietà, bensì a una migliore attitudine alle semine fitte eseguite in Italia. In tali condizioni, vengono privilegiate le varietà a ridotta capacità di accestimento, meno competitive ma in grado di assicurare la formazione, in ogni pianta, di 1-2 spighe di grosse dimensioni. Relativamente alla valutazione dell’importanza del genotipo e delle pratiche agronomiche, esistono diverse stime attendibili. In Inghilterra è stato calcolato che gli incrementi di resa conseguiti a partire dal dopoguerra sono da attribuire in parti uguali a entrambe le componenti. In Svezia, nel medesimo periodo, le rese sono cresciute al ritmo del 3,7% all’anno e la quota dovuta al genotipo sarebbe dello 0,4%. In Messico le rese sono aumentate al ritmo del 5,2% all’anno e la quota dovuta al genotipo è stata stimata nell’ordine dello 0,9%. Il controllo genetico della produzione risulta molto complesso, poiché coinvolge diversi fattori riconducibili a un ideotipo di pianta che dovrebbe, secondo studi fisiologici condotti nel nostro Paese, presentare le seguenti caratteristiche: - altezza ridotta, per poter ricevere maggiori quantità di azoto e migliorare l’indice di raccolta; - ridotta capacità di accestimento, per eliminare la competizione e assicurare la formazione di spighe ben sviluppate; - apparato vegetativo con foglie erette che permettano una migliore penetrazione della luce nello strato vegetale. La quantità di superficie verde per m2 deve essere la più elevata possibile.
Foto V. Bellettato
Attività di sperimentazione in campo
Variazioni di moderne varietà rispetto al gruppo zero
50 40 30
Componenti della produzione
20
• Numero di piante per unità di superficie • Numero di culmi per pianta • Numero di spighette fertili • Numero di semi per spiga • Peso del singolo seme
10 Serie 2 Serie 3 Peso 1000 semi
Semi/spighette
–30
Spighette/spiga
–20
Spighe m2
–10
Serie 1 Harvest Index
0
Resa
Variazioni percentuali rispetto al gruppo 0
60
Serie 4 Serie 5
201
ricerca La pianta deve inoltre rimanere fotosinteticamente attiva il più a lungo possibile, soprattutto nella fase di riempimento delle cariossidi; - una foglia bandiera (l’ultima a svilupparsi prima della spigatura) molto sviluppata in considerazione del suo grande contributo alla sintesi dei carboidrati e alla loro traslocazione nella granella; - una spiga grande, ben sviluppata, eventualmente aristata in frumento tenero. Essa costituisce l’organo di accumulo e deve assicurare ampi depositi. È bene che non sia troppo compatta, per minimizzare la competizione tra spighette, e che l’ultimo internodo si allunghi sufficientemente, in modo da consentire una buona emergenza della spiga dalla vegetazione; - infine è importante che la pianta possieda un buon livello di resistenza alle principali avversità abiotiche (freddo, caldo, siccità, allettamento) e biotiche (oidio, ruggini, fusariosi, septoriosi, ecc.). Attraverso queste caratteristiche vengono determinate le “componenti della produzione”. La difficoltà nel manipolare geneticamente e agronomicamente queste componenti è legata al fatto che la pianta manifesta sempre un’alta capacità di compensazione e ciò impedisce che vengano estrinsecati al massimo grado tutti e contemporaneamente i caratteri valutati. L’unica strategia perseguibile riguarda la possibilità di incrementare un fattore di produzione mantenendo gli altri il più possibile costanti. Il carattere su cui si può maggiormente puntare l’attenzione è il numero di semi per spiga, poiché risulta il più altamente
Foto R. Angelini
Campo di frumento con file binate
Incremento della produzione annua di differenti gruppi di varietà di frumento duro 8
Produzione t/ha
7 6 5 4
Creso Valgerardo Valselva Valnova
Aldura Latino Valnova Appio Valforte Karel
Messapia Norba Duilio Simeto Adamello Plinio Lira Vitron Grazia Miglioramento genetico +1,40 t/ha Tecniche agronomiche +1,26 t/ha
+0,7 t/ha
3 2
202
’74
’76
’78
’80
’82 ’84 Anni
’86
’88
’90
’92
genetica e miglioramento ereditabile, seguito dal numero di semi per spighetta. Attraverso l’abbassamento della taglia si è avuto un significativo incremento della fertilità della spighetta, ma questo risultato può essere interpretato semplicemente come la conseguenza indiretta della minor competizione per i fotosintati esercitata dalle strutture vegetative. La maggiore disponibilità di sostanze di riserva a favore delle spighe migliora l’allegagione, con conseguente formazione di un più elevato numero di semi. Il problema della produttività del frumento viene attualmente affrontato considerando la coltura come un unico sistema biologico in cui si identificano due componenti: source e sink. La dimensione del sink, inteso come numero di fiori per spiga, si determina nel periodo che va dalla levata al termine della fioritura; inoltre, il numero di semi in formazione per unità di superficie è il parametro che meglio esprime la potenzialità produttiva conseguita, poiché risulta positivamente correlato con la produzione finale della granella. La durata e il ritmo di differenziazione degli organi fiorali possono essere manipolati geneticamente, anche se esistono per ogni areale di coltura limiti relativamente ristretti riguardo al periodo ottimale di spigatura. Nonostante l’ampia variabilità genetica per l’epoca di spigatura, è stato dimostrato che, nelle nostre condizioni colturali, non è possibile costituire varietà altamente produttive che siano significativamente più precoci della cultivar San Pastore. Il prolungamento della durata e l’aumento dell’intensità dell’accumulo della sostanza secca nella granella rappresentano, per molti miglioratori vegetali, i principali obiettivi da conseguire per un ulteriore incremento delle rese del frumento.
Componenti del sistema biologico
• Source: insieme delle strutture vegetative che sono in grado di produrre sostanze utili
• Sink: organi preposti all’accumulo degli elaborati nella spiga
Per massimizzare le rese si deve quindi operare in modo da favorire la formazione di un ampio sink, aumentare l’attività e la durata del source e migliorare l’efficienza dell’accumulo e della traslocazione degli elaborati verso la granella
Foto R. Angelini
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ricerca La lunghezza del periodo di accumulo dipende dalla durata della superficie fotosintetizzante nel periodo di granigione (LAD), per la quale è stata identificata variabilità genetica. Nel periodo di granigione la maggior parte della superficie fotosintetizzante è rappresentata dalla foglia bandiera, dall’ultimo internodo e dalla spiga. Le reste e le glume sono pure determinanti ai fini della sintesi dei carboidrati nel periodo finale di granigione. Va tuttavia evidenziato che l’incremento del LAD non è sempre associato a una maggiore produttività; infatti condizioni ambientali particolari, come per esempio alte temperature nella fase finale di granigione, spesso determinano il blocco dell’accumulo delle sostanze di riserva nelle cariossidi anche in presenza di un’ampia disponibilità di assimilati. Una stima indiretta della capacità di accumulo e di traslocazione degli elaborati nella granella è rappresentata dall’harvest index (HI). Agli inizi del secolo, l’HI medio era pari a 0,32, ma le moderne varietà a taglia bassa presentano valori attorno allo 0,50. Queste varietà tuttavia richiedono l’applicazione di una tecnica colturale più adeguata alle loro potenzialità produttive, in particolare una maggiore densità di semina, l’assenza di competizione con le erbe infestanti e una concimazione azotata più elevata e meglio distribuita nel tempo onde evitare periodi di carenza di tale elemento, il cui effetto si manifesta anche sulla qualità della granella prodotta.
Produzione di grano duro nel dopoguerra
• La produzione di frumento duro,
pur rimanendo sempre inferiore a quella del frumento tenero, è passata da una media di 1-1,2 t/ha negli anni ’60 a circa 2 t/ha negli anni ’70. Questo aumento di produzione è stato ottenuto per merito di due varietà diffuse in quegli anni, Appulo e Trinakria
Foto V. Bellettato
Miglioramento della produttività del grano duro in Italia nel dopoguerra Nel dopoguerra la disponibilità di materiali genetici prodotti in precedenti programmi e di nuovi genotipi messi a disposizione dal centro internazionale messicano CIMMYT aprirono un periodo estremamente favorevole per il miglioramento genetico del frumento duro. La scelta degli incroci era facilitata dallo sviluppo di banche dati e dall’uso del computer; inoltre la diffusione di nuovi disegni sperimentali, di macchine e agrotecniche innovative migliorarono l’efficienza delle procedure di selezione. In quel periodo furono elaborati nuovi approcci per lo studio dell’interazione tra varietà e ambiente di coltivazione, e vennero acquisite maggiori informazioni sulla stabilità produttiva. Inoltre si misero a fuoco nuovi concetti quali ideotipo di pianta, potenzialità produttiva, componenti della produzione e selezione in generazioni precoci. In particolare, l’uso di incroci con frumenti esaploidi e della mutagenesi fisica mediante radiazioni nucleari consentirono di ottenere piante più basse ed efficienti. Dalla progenie di un incrocio fra un mutante della varietà di grano duro Senatore Cappelli, prodotta da Nazareno Strampelli negli anni ’30, e un genotipo a bassa taglia sviluppato dal CIMMYT attraverso incroci interspecifici tra grano tenero e grano duro, il centro di ricerche romano della Ca-
Nuovi obiettivi
• Negli anni più recenti l’attenzione
dei selezionatori si è concentrata sul miglioramento qualitativo del frumento duro, in particolare sulla quantità e sulla qualità delle proteine della cariosside, i due principali fattori della qualità pastificatoria
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genetica e miglioramento saccia selezionò negli anni ’60 la varietà Creso. La produzione di questa varietà raggiunse livelli considerevoli pur non presentando ottime caratteristiche qualitative per la produzione di pasta. In alcuni areali e nelle annate favorevoli questa varietà toccò l’incredibile traguardo produttivo di 10 t/ha. Nello stesso periodo, furono rilasciate dall’Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Roma una serie di nuove varietà denominate “Val” , tutte di bassa taglia, buona resistenza alle malattie fungine e, in alcuni casi, ottima qualità pastificatoria, superiore a quella della varietà Creso. Gli anni successivi furono caratterizzati da un intenso lavoro di miglioramento genetico che portò al rilascio di numerose varietà molto produttive, adatte agli ambienti tipici della durogranicoltura nazionale. Un ciclo molto favorevole iniziò negli anni ’80-’90 con le varietà Simeto, Duilio e Ofanto che hanno interessato, nel periodo di massima diffusione, più del 50% della superficie coltivata. Il numero delle varietà iscritte al Registro nazionale superava il centinaio, ma l’80% della superficie era coltivata solo con una decina di varietà, quasi tutte imparentate con la gloriosa varietà Senatore Cappelli selezionata oltre 50 anni prima.
Importanza della resistenza agli stress
• La difesa dei cereali dagli stress biotici, causati da funghi, batteri, virus o animali, e dagli stress abiotici, causati da fattori ambientali quali le alte o basse temperature, la siccità o la salinità del terreno, rappresenta un settore di notevole importanza economica, sociale e ambientale
Miglioramento per la resistenza agli stress Le avversità abiotiche e i parassiti vegetali e animali influenzano negativamente l’adattabilità delle cultivar ai diversi ambienti nei quali vengono coltivate riducendone la resa (infatti in caso di forti epidemie il raccolto può essere seriamente compromesso) e diminuendo spesso la qualità e la salubrità del prodotto finito. A questo proposito, gli effetti negativi possono riguardare il contenuto e la qualità delle proteine (glutenine e gliadine della granella), con le relative ripercussioni sull’attitudine panificatoria, nel caso del frumento tenero, e pastificatoria, nel caso del frumento duro. Per quanto riguarda la salubrità del prodotto per l’alimentazione è noto, per esempio, che alcuni patogeni fungini, come quelli appartenenti al genere Fusarium, sono in grado di produrre micotossine, nocive per l’uomo e per gli animali. In generale, gran parte delle malattie del frumento è causata da funghi e da virus. Questi agenti patogeni possono colpire organi diversi della pianta, attaccando la base del culmo, le radici, l’apparato fogliare o, ancora, la spiga e la cariosside. Tra i patogeni fungini alcuni sono “obbligati”, stabiliscono cioè con la pianta ospite un rapporto di parassitismo per cui il fungo sottrae il nutrimento alla pianta e non è in grado di sopravvivere in sua assenza; inoltre sono altamente specializzati, cioè sono in grado di infettare solo determinati generi, specie o, addirittura, solo certe varietà di frumento e si adattano rapidamente ai loro ospiti in un processo di continua evoluzione. Pertanto, nelle loro popolazioni vengono continuamente selezionati nuovi fattori (geni) di virulenza che rendono inefficaci, nel giro di pochi anni, i corrispondenti fattori (geni) di resistenza introdotti di volta in volta nelle varietà coltivate.
Foto R. Angelini
Esito di attacco di “mal bianco”
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ricerca Chi opera in questo settore deve continuamente tenere sotto controllo tali patogeni proprio per studiare l’evoluzione a cui possono andare incontro; è dunque necessario essere sempre pronti a contrastarne la virulenza con nuovi geni di resistenza da introdurre nelle piante ospiti. L’oidio (causato dal fungo Blumeria graminis f. sp. tritici), così come le ruggini, si sviluppa soprattutto su piante ben nutrite, ricche di carboidrati e che hanno ricevuto abbondanti concimazioni azotate; questo fungo provoca danni notevoli in quanto limita l’attività fotosintetica della pianta, più soggetta a danni da freddo, interferendo sull’accumulo delle sostanze nutritive e riducendone la resa e la qualità (riduzione del numero dei culmi e del peso dei semi e produzione di cariossidi striminzite). L’incidenza dell’oidio era aumentata in Italia qualche anno fa, sia per il ricorso a una maggiore densità di semina, sia per la diffusione di nuove cultivar di frumento a taglia medio-bassa che esprimevano la loro potenzialità grazie a elevate concimazioni azotate. I dati del monitoraggio epidemiologico condotto negli ultimi anni dall’Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Roma indicano però un declino dell’incidenza della malattia a partire dagli anni ’90, probabilmente dovuto alla coltivazione di varietà più resistenti e a un andamento climatico forse poco favorevole allo sviluppo del fungo. Le ruggini che infettano il frumento sono tre e prendono il nome dal colore delle rispettive spore (organi di propagazione del fungo); si parla quindi di ruggine gialla (il fungo agente causale è la Puccinia striiformis f. sp. tritici), ruggine bruna (causata da Puccinia recondita f. sp. tritici) e ruggine nera (causata da Puccinia graminis f. sp. tritici). La ruggine bruna è sicuramente la più diffusa in Italia, in quanto le nostre condizioni climatiche so-
Foto I. Ponti
Sintomi di ruggine gialla
Danni da ruggine
Foto R. Angelini
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genetica e miglioramento no estremamente favorevoli allo sviluppo del fungo che causa la malattia. Normalmente, gli attacchi più pericolosi sono quelli tardivi, ossia dal periodo della fioritura delle piante in poi, che interessano la foglia a bandiera. La malattia ha mostrato una minore pressione in Italia nel corso dell’ultimo decennio probabilmente per i cambiamenti verificatisi nelle condizioni climatiche, ma anche per la scarsità e/o l’arrivo tardivo dell’inoculo primario. Tuttavia, il rischio di epidemie non è certo diminuito, sia per la presenza in loco di una popolazione abbastanza virulenta, peraltro simile a quella presente in altri Paesi europei come Francia e Spagna, ma anche perché vengono coltivate e si diffondono cultivar alquanto suscettibili, anche di provenienza estera, mentre sarebbe necessario favorire la coltivazione di materiali geneticamente resistenti al patogeno, che in realtà sono già ottenuti da anni in Italia grazie al lavoro di miglioramento genetico svolto da istituzioni pubbliche e private. Per esempio, durante gli anni ’70 furono realizzate nel nostro Paese nuove varietà di frumento duro altamente produttive, tra cui le varietà appartenenti al gruppo Val (costituite dall’Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Roma), che hanno mostrato una buona resistenza alla ruggine bruna nonostante fossero coltivate su ampi spazi, in ambienti favorevoli allo sviluppo di epidemie. Durante gli anni ’80 però fu registrata la diffusione di nuovi ceppi del patogeno, dotati di fattori di virulenza in grado di neutralizzare i geni di resistenza presenti in queste varietà. In questa generazione di cultivar, tuttavia, il Creso (realizzato presso l’ENEA), tuttora ampiamente coltivato in Italia, ancora esprime un elevato livello di resistenza alla malattia, nonostante l’incrementata virulenza del patogeno. La varietà Creso probabilmente possiede geni di resistenza, non ben identificati, che gli conferiscono una resistenza durevole. La ruggine gialla è potenzialmente la più pericolosa, in quanto può causare, soprattutto se l’infezione interessa le spighe, perdite sino al 40% e oltre, se le varietà coltivate sono molto suscettibili e la malattia si sviluppa precocemente. Il suo agente causale è però presente nei nostri ambienti solo in maniera sporadica, poiché predilige i climi freschi e umidi delle regioni del centronord Europa (Francia, Olanda, Germania, Danimarca e Regno Unito). In Italia i dati raccolti nel corso di più di 20 anni indicano un andamento ciclico nello sviluppo della malattia, con annate caratterizzate da episodi di infezione consistenti, soprattutto a carico di varietà di frumento tenero, e annate in cui è presente in maniera latente e circoscritta solo su varietà notoriamente suscettibili. Le osservazioni effettuate hanno comunque sempre confermato una maggiore resistenza in campo dei frumenti duri rispetto ai frumenti teneri. Un lavoro specifico di miglioramento genetico per resistenza a questa malattia non è stato sinora effettuato, proprio per la sporadicità della sua comparsa.
Foto I. Ponti
Manifestazioni di ruggine nera Foto A. Iori
Sintomi di septoriosi (Septoria tritici) su foglia di frumento. I punti neri rappresentano i corpi fruttiferi (picnidi) Foto I. Ponti
Infezione artificiale di ruggine nera
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ricerca Gli attacchi di ruggine nera, un tempo particolarmente distruttivi anche per la sensibilità delle varietà di frumento coltivate, sono oggi molto contenuti o praticamente assenti, grazie all’introduzione in coltura di genotipi precoci, che riescono a sfuggire all’infezione: il fungo compare allorché la pianta è matura e non più recettiva. Negli ultimi anni altri patogeni fungini, non obbligati, si stanno diffondendo nel nostro Paese in maniera preoccupante, poiché spesso si ritrovano anche al di fuori dei loro tipici areali di diffusione. Si tratta degli agenti causali di malattie come il complesso della septoriosi, la fusariosi della spiga e il mal del piede. La diffusione degli agenti causali di septoriosi (Mycosphaerella graminicola, anamorfo Septoria tritici) e stagonosporiosi (Phaeosphaeria nodorum, anamorfo Stagonospora nodorum), è notevolmente aumentata non solo al nord ma anche nelle regioni del centro-sud. Il riconoscimento in campo di questi patogeni può risultare piuttosto difficile anche per la presenza di altre patologie che presentano una sintomatologia molto simile. Proprio per questo motivo generalmente i campioni di materiale con sospetta infezione vengono analizzati in laboratorio allo stereomicroscopio, dopo incubazione in camera umida per 48 ore a 20 °C, e al microscopio ottico, sia per osservare meglio i sintomi, sia per identificare i conidi attraverso il loro aspetto morfologico tipico e variabile da un patogeno all’altro. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie molecolari, come una particolare analisi denominata reazione a catena della polimerasi più nota in inglese come Polymerase Chain Reaction (PCR), consentono attualmente una diagnosi precoce non solo di questa malattia, ma anche di altre, poiché si riescono ad amplificare quantità piccolissime di DNA fungino presenti sull’ospite, anche nei casi in cui la malattia non è ancora visivamente evidente. I dati rilevati grazie al monitoraggio epidemiologico che l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Roma conduce ogni anno evidenziano la presenza in campo di entrambi i patogeni, con prevalenza variabile dell’uno o dell’altro a seconda delle annate. Questa malattia, i cui danni consistono in una riduzione della produzione con formazione di semi striminziti, viene riscontrata sul frumento in molte parti del mondo. In Italia viene rilevata, con un’incidenza che sta incrementando negli ultimi anni, in parecchie regioni del nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) ma anche al centro-sud; i frumenti duri risultano in generale più resistenti dei frumenti teneri. Non sono state individuate varietà con resistenza completa a tale malattia, tuttavia le indagini condotte hanno permesso di identificare genotipi meno sensibili di altri agli attacchi dei rispettivi patogeni. Anche la fusariosi della spiga, causata da numerose specie di Fusarium, tra cui le più diffuse sembrano essere F. graminearum, F. avenaceum, F. culmorum e F. poae, e da Microdochium nivale, si sta diffondendo in maniera apprezzabile in diverse regioni italiane,
Foto R. Angelini
Danni da fusariosi
Problema micotossine
• Per garantire al consumatore
la sicurezza alimentare di ciò che arriva in tavola non va sottovalutato il problema delle micotossine
• Molti studi sono attualmente in corso
per ottenere varietà di frumento resistenti agli agenti fungini produttori di micotossine
• Sono stati individuati diversi
meccanismi di resistenza messi in atto dalla pianta per combattere l’infezione fungina. Tali meccanismi sono spesso legati alla presenza di più geni ad azione coordinata
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genetica e miglioramento ove è spesso responsabile di notevoli diminuzioni della produttività. Lo sviluppo della malattia viene favorito sia dalle condizioni climatiche sia dalla tendenza a ridurre i trattamenti al seme; anche le tecniche colturali e la scelta varietale giocano un ruolo importante nella diffusione di questa patologia. Il momento di maggiore sensibilità della pianta va dalla fine della spigatura alla maturazione latteo-cerosa, specialmente quando il clima è caldo e particolarmente umido. Se in questo periodo il fungo riesce a colonizzare la spiga, ne provoca il disseccamento parziale o totale, compromettendo la formazione della cariosside. I semi provenienti da spighe infette possono non germinare affatto o produrre piante stentate che non raggiungono la maturazione. Dal punto di vista diagnostico spesso è possibile riconoscere sulla spiga le fruttificazioni del fungo di colore rosa-arancione, oppure compaiono le caratteristiche spighe bianche. Le infezioni sulla cariosside rappresentano uno dei mezzi di diffusione del patogeno e sono assai pericolose, poiché le cariossidi possono essere contaminate dalla presenza di micotossine quali lo zearalenone (ZEA) e i tricoteceni, tra cui il deossinivalenolo (DON), chiamato anche vomitossina, prodotte da diverse specie di Fusarium, assai pericolose per la salute umana in quanto possono indurre intossicazioni alimentari. In questi ultimi anni un certo allarme è stato sollevato in tutto il mondo per la contaminazione del frumento da parte di queste tossine; le prime indagini condotte in Italia hanno evidenziato la loro presenza in concentrazioni piuttosto basse in frumenti provenienti dalle regioni settentrionali e l’assenza di contaminazione in frumenti coltivati al centro-sud. Tra l’altro, si ricorda che i processi di lavorazione e trasformazione a cui il grano viene sottoposto dovrebbero abbattere l’eventuale presenza di micotossine nel prodotto finito.
Foto I. Ponti
Sintomi di mal del piede causato da P. herpotricoides
Foto F. Casulli
Sintomi di infezioni da virus Imbrunimenti basali: a confronto piante ammalate (sinistra) e piante sane
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ricerca Diverse specie di Fusarium sono tra l’altro annoverate tra gli agenti causali di un’altra manifestazione patologica, il mal del piede, malattia assai complessa per il numero e la diversità di microrganismi che la determinano. Tra questi si annoverano, oltre a diverse specie di Fusarium tra cui F. graminearum, F. culmorum, F. avenaceum, anche M. nivale, Gaeumannomyces graminis tritici, Rhizoctonia solani e Pseudocercosporella herpotrichoides. I danni variano anche a seconda della fase di sviluppo in cui il cereale viene colpito. Il contenimento di queste patologie non può prescindere dal ricorso ad adeguate pratiche colturali quali rotazioni, semine non troppo fitte e profonde, interramento o bruciatura dei residui colturali infetti, concia delle sementi. L’utilizzo di semente sana e di varietà resistenti è determinante per la difesa da questi patogeni. Negli ultimi anni è stata segnalata la presenza in Italia di malattie virali, tra cui quelle causate dal virus del mosaico dei cereali (Soil Borne Cereal Mosaic Virus, SBCMV) e dal virus della striatura fusiforme del frumento (Wheat Spindle Streak Mosaic Virus, WSSMV), entrambi trasmessi nel terreno dal protozoo plasmodioforale Polymixa graminis. Tra i virus trasmessi da vettori animali (afidi), il virus del nanismo giallo dell’orzo (Barley Yellow Dwarf Virus, BYDV) è in grado di attaccare anche il frumento. Laddove è stata segnalata la presenza di virosi, la malattia si ripresenta ogni anno causando danni più o meno gravi (crescita stentata, fallanze nel campo, macchie clorotiche o violacee sulle foglie che formano un mosaico o delle striature, ingiallimenti o accartocciamenti fogliari, nanismo), anche perché il controllo è piuttosto difficoltoso e, tra l’altro, il patogeno rimane attivo nel terreno per molti anni entro le spore del vettore, nel caso del SBCMV e del WSSMV, oppure gli afidi vettori rimangono infettivi per un certo tempo, come nel caso del BYDV. Non esistono mezzi di lotta diretta che possano limitare l’infezione laddove il virus è presente per cui, a parte alcuni accorgimenti che possono alleggerire ma non risolvere il problema (semine leggermente più tardive, rotazioni, uso di aficidi, attenzione nell’uso dei mezzi di lavoro), l’unica possibilità di sfuggire alla malattia rimane quella di un’oculata scelta varietale, ricorrendo alla coltivazione di varietà resistenti. Le indagini condotte negli ultimi anni, anche presso l’Istituto sperimentale per la cerealicoltura di Roma, hanno consentito di segnalare la resistenza di alcune varietà di frumento da poter utilizzare nelle diverse località dove le rispettive virosi sono state riscontrate. Dopo la riscoperta delle leggi di Mendel sull’ereditarietà dei caratteri, la dimostrazione che il carattere resistenza era ereditato in maniera mendeliana si deve al contributo dell’inglese Biffen e ai suoi esperimenti (1905) sulla ruggine gialla del frumento. Flor, nel 1942, fu poi il primo a studiare la genetica della specificità dell’interazione tra ospite e patogeno, e la sua teoria sulla complementarietà dei due sistemi genetici, definita “interazione gene per gene”, si basava proprio sull’ipotesi che i geni responsabili della avirulenza/virulenza nel parassita avessero come contropar-
Ruolo della genetica
• Il miglioramento vegetale per la
resistenza alle malattie, associato a opportune pratiche colturali e alla lotta biologica, ha contribuito in modo considerevole a incrementare la produttività e la qualità del grano, soprattutto grazie all’impulso dato dagli studi genetici condotti in questo settore negli ultimi 100 anni
Costituzione di varietà resistenti
• La conoscenza della base genetica
dell’ereditarietà della resistenza alle malattie nel frumento, unitamente alla conoscenza della genetica dei suoi parassiti, ha consentito di costituire varietà resistenti, e perciò più produttive, dotate di buone caratteristiche merceologiche e tecnologiche. Chiaramente il controllo genetico della resistenza/ tolleranza nella pianta ospite dipende dal patogeno con cui si ha a che fare, nonché dall’ambiente pedoclimatico in cui il materiale è coltivato
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genetica e miglioramento te diretta i geni per resistenza/suscettibilità nell’ospite. Nel corso degli anni è stato effettuato un costante lavoro di miglioramento genetico per l’introgressione nei frumenti coltivati di geni di resistenza alle malattie. I primi metodi di miglioramento si basavano sulla sola selezione, entro popolazioni locali, di individui (genotipi) dotati delle caratteristiche richieste; in seguito furono sfruttate le tecniche di incrocio tra le migliori linee selezionate, anche per consentire la ricombinazione dei caratteri e ottenere quindi materiali superiori ai genitori. Il passo successivo, dopo che era stata ampiamente sfruttata la variabilità genetica presente nella specie, è stato quello di utilizzare la variabilità presente in specie più o meno affini a quelle coltivate e, quindi, di selezionare e utilizzare in programmi di miglioramento genetico (in inglese breeding) geni di resistenza provenienti anche da fonti più o meno esotiche. Per quanto riguarda le metodologie utilizzate, generalmente si è fatto ricorso a quelle tradizionali nel caso di incroci intervarietali e interspecifici, cioè la realizzazione di incroci tra individui donatori di geni di resistenza e varietà accettrici di geni, che possono essere varietà coltivate di frumento agronomicamente e qualitativamente interessanti ma suscettibili alle malattie. Si ricorre invece a nuove metodologie quali la coltura in vitro di tessuti, antere, ovuli o interi embrioni o a metodologie citogenetiche avanzate di ingegneria cromosomica, allorché sia necessario superare barriere di varia natura (morfologiche, genetiche) che a volte impediscono l’ibridazione tra specie diverse, o anche per separare i geni utili da altri geni indesiderati, a volte presenti nel genoma delle specie affini, che possono avere effetti negativi se trasferiti nei frumenti coltivati. Ultimamente, grandi passi sono stati fatti anche nel campo della biologia molecolare. Una delle applicazioni che hanno avuto più largo seguito è quella dei marcatori molecolari; tali marcatori non sono altro che sequenze di DNA localizzate intorno al/i gene/i che esprimono il carattere di interesse, che possono essere riconosciute e individuate con particolari tecniche molecolari (PCR) e che consentono quindi di seguire il trasferimento anche di più geni di resistenza diversi da un genotipo all’altro, senza dover ricorrere a infezioni artificiali con il patogeno. Si parla in questi casi di metodi di “selezione assistita”. Non bisogna dimenticare che il frumento può subire infestazioni anche da parte di insetti; per esempio in Piemonte e in Lombardia è stato avviato un monitoraggio sugli attacchi di cimice del grano, un eterottero che crea danni non indifferenti alla coltura in quanto, pungendo la spiga, il culmo o le foglie, immette nella pianta la sua saliva tossica, causando riduzioni nelle rese o alterazioni a livello metabolico. Si sta cercando attualmente di valutare gli effetti degli attacchi di questi insetti sulla qualità panificatoria dei frumenti teneri, ma anche di individuare opportune strategie di difesa.
Foto F. Casulli
Spighe danneggiate dal gelo
Foto R. Balestrazzi
Cimice su culmo di grano
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ricerca Notevoli perdite in termini produttivi possono essere determinate sulla coltura anche da stress attribuibili a fattori ambientali abiotici, come siccità, alte e basse temperature, salinità, composizione del terreno, danni da vento, fisiopatie da eccesso di concimazione o da diserbo e altre. Tali stress producono sintomatologie che a volte sono facilmente riconducibili alla causa, esaminando con attenzione diversi fattori come le condizioni atmosferiche prevalenti prima e durante la comparsa dei sintomi, i cambiamenti verificatisi nell’atmosfera o nel terreno vicino o nell’area dove le piante sono cresciute, le pratiche colturali effettuate. Generalmente, i disturbi abiotici sono causati da mancanza o eccesso di fattori esterni e si verificano in assenza di patogeni; di conseguenza, non possono essere trasmessi da piante ammalate a piante sane. Spesso però le sintomatologie, piuttosto aspecifiche, possono confondersi facilmente con quelle dovute a fattori biotici. In questi casi è necessario prima di tutto escludere la presenza di agenti patogeni come funghi, virus o batteri e, quindi, risalire alla vera causa della fitopatia. Anche in questo ambito il miglioramento genetico gioca un ruolo importante in quanto la conoscenza degli squilibri metabolici determinati sulla pianta da un agente scatenante, come per esempio in alcuni dei nostri ambienti potrebbero essere la siccità o il freddo, consente di operare selezionando genotipi con caratteristiche tali da consentire loro di resistere a tali condizioni avverse. La tolleranza agli stress è comunque un carattere a controllo poligenico con bassa ereditabilità e con un’elevata interazione genotipo-ambiente; ciò complica notevolmente il lavoro del miglioratore. Dunque, nella difesa della coltura la scelta delle varietà da coltivare deve essere orientata in primo luogo verso quei genotipi che, accanto a buone caratteristiche agronomiche, qualitative e di adattamento alle caratteristiche pedoclimatiche delle aree in cui devono essere utilizzate, posseggano caratteri di resistenza o tolleranza nei confronti di uno o più patogeni. È poi estremamente importante adottare le pratiche agronomiche più idonee per ridurre il potenziale di inoculo dei diversi patogeni e limitare tutti i fattori che potrebbero facilitarne l’insediamento.
Foto R. Angelini
Danno da freddo
Foto F. Casulli
Miglioramento per la qualità Le proteine (enzimi, proteine di riserva e altre) e l’amido sono i principali componenti chimici della cariosside e da essi dipende la qualità nutrizionale e tecnologica (industriale) della granella e dei prodotti della sua macinazione. Pertanto, il genetista, quando è stato chiamato a migliorare la qualità del grano, si è occupato principalmente di proteine e di amido. La quantità e la qualità (sequenza amminoacidica) delle proteine influiscono su moltissimi caratteri importanti in termini di salubrità ed economicità. Tra i più importanti si ricordano il valore nutrizionale delle farine, la durezza della cariosside e il valore molitorio,
Danni in campo provocati dalla siccità
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genetica e miglioramento l’attitudine alla trasformazione in pane, biscotti, prodotti da forno e pasta, il colore della pasta, la composizione dell’amido, ma anche la tossicità degli alimenti a base di cereali per una frazione rilevante di consumatori. È merito dei ricercatori italiani aver chiarito che la bianconatura della granella di frumento duro, un carattere particolarmente sgradito per i suoi effetti negativi sulla qualità della pasta, è dovuta a un basso contenuto proteico della cariosside, per cause genetiche ma soprattutto ambientali (insufficiente concimazione, elevata piovosità, patologie fungine ecc.). Pur essendo fortemente influenzato dalle condizioni colturali (disponibilità di azoto nel terreno in primis), il contenuto proteico è in buona misura (40-70%) determinato dal genotipo della pianta e dalla sua capacità di assorbire l’azoto dal terreno e di trasportare le sostanze azotate nella cariosside. Un obiettivo di particolare importanza strategica nei programmi di miglioramento genetico è l’aumento del contenuto proteico della cariosside in presenza di bassi livelli di concimazione azotata, allo scopo di ridurre i costi di coltivazione e l’inquinamento delle falde acquifere e dell’ecosistema. Il contenuto proteico è un carattere controllato da molti geni (QTL), pochi dei quali hanno un effetto rilevante. L’introduzione nel grano duro di alcuni di questi geni principali, importanti per l’alto contenuto proteico, attraverso l’incrocio con specie selvatiche come Dasypirum villosum o T. dicoccoides ha portato allo sviluppo di piante di buona qualità pastificatoria. Inoltre la ricerca attuale punta alla selezione di particolari proteine che possono migliorare la qualità tecnologica del glutine anche quando sono presenti nella granella in quantità modeste.
Bianconatura del grano duro Questa alterazione è determinata da un ridotto contenuto di sostanze proteiche nella cariosside. Cause determinanti:
• genetiche • ambientali (malattie fungine, carenza di nutrienti)
Caratteri qualitativi
• Valore nutrizionale delle farine • Durezza della cariosside • Valori molitori • Attitudine alla trasformazione • Colore della pasta • Composizione dell’amido • Sicurezza dell’alimento
Le cariossidi vetrose di grano duro (a sinistra) acquistano un aspetto ceroso quando sono povere di proteine (a destra). Il fenomeno è noto come “bianconatura”
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ricerca Rapporto tra volume del pane e contenuto proteico della cariosside in differenti varietà di frumento tenero 78 Oro, RCh, Ot, Tcs, Wsc Tc, Km, Nt Cnn, Kaw, Atc, Wrr, Mq, Plt Nebr, Nc, Cch, Bsn Cmn, Kv, Tk, Rdc, Iow (Hv) Tm, Tmp, Wtr, Om, Pnc, BJ Kk, Crr, Qn, Mnt Pn, Sx Cfk, Wi, Ctt, Yogo Bh, RJ Mm
74 70 66
EB, Mtr
62 58 54 10
12
14
16
18
Il volume del pane (asse verticale, in cm3) cresce con l’aumentare del contenuto proteico della cariosside (asse orizzontale, in %) in tutte le 42 varietà di grano tenero riportate in questo grafico. Tuttavia, a parità di contenuto proteico, alcune varietà di qualità panificatoria buona danno un pane più voluminoso delle varietà di qualità panificatoria scadente. Ciò dimostra che la composizione delle proteine è un importante fattore qualitativo
Composizione proteica e qualità tecnologica La tenuta alla cottura e la collosità della pasta, così come il volume del pane, dipendono sia dalla quantità sia dalla qualità delle proteine contenute nella cariosside, soprattutto quelle di riserva (prolamine). Nel caso della pasta si ritiene che le proteine di buona qualità siano in grado di incapsulare fermamente i granuli di amido, proteggendoli dalla solubilizzazione durante la cottura della pasta, aumentando così la consistenza delle spaghetto e riducendo la collosità dovuta alla degradazione dell’amido. D’altra parte, la capacità degli impasti di trattenere il gas che si sviluppa durante la fermentazione e di rigonfiarsi (lievitare) per dare un pane soffice e di buon volume è in gran parte determinata dalla natura (composizione amminoacidica) delle prolamine. Se la qualità panificatoria e pastificatoria di una varietà di grano dipende in larga misura dalla quantità percentuale di proteine contenute nella sua cariosside, è altrettanto evidente che varietà diverse di grano, a parità di contenuto proteico, possono dare farine assai diverse per qualità tecnologica, a dimostrazione del fatto che la struttura delle prolamine è altrettanto importante della loro quantità.
Subunità gluteniniche Le proteine della cariosside, note come subunità gluteniniche HMW 2 e HMW 12, riducono la tenacità del glutine rispetto alle subunità HMW 5 e HMW 10. Molte varietà di grano tenero di elevata qualità panificatoria (grani di forza) contengono queste ultime subunità. Anche alcune subunità gluteniniche LMW hanno un effetto positivo sull’elasticità e sull’estensibilità degli impasti
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genetica e miglioramento
Molti studi condotti durante gli ultimi 20 anni da parte dei genetisti del grano interessati alla qualità tecnologica si sono concentrati sui geni che determinano la struttura delle prolamine e sulla selezione di varietà contenenti prolamine ad alta qualità tecnologica. Per esempio, è attualmente noto che la presenza di un gruppo di subunità gluteniniche LMW, note come LMW di tipo 2, è una condizione necessaria affinché una varietà di grano duro abbia una buona qualità pastificatoria, mentre in presenza delle LMW di tipo 1 la qualità è gravemente compromessa. Anche le subunità gluteniniche HMW 5 e HMW 10 conferiscono tenacità agli impasti di grano tenero, mentre le subunità HMW 2 e HMW 12 riducono la tenacità ma aumentano l’estensibilità degli impasti. In generale le proprietà tecnologiche di queste proteine dipendono dalla capacità di legarsi tra loro a formare polimeri di grandi dimensioni, in grado di intrappolare i granuli di amido e fornire all’impasto le proprietà visco-elastiche ottimali ai fini della panificazione. Attualmente si conoscono gli effetti delle principali proteine di riserva sulla qualità tecnologica del glutine di grano tenero e di grano duro e la loro gerarchia qualitativa, il che ha semplificato e aumentato l’efficienza dei programmi di miglioramento genetico. Fortunatamente, l’espressione dei geni che controllano la sintesi delle prolamine non risente molto delle variazioni ambientali. In altri termini, la composizione in prolamine di una varietà è un carattere a elevata ereditabilità, a differenza del contenuto in prolamine che dipende in larga misura (50% circa) dalle condizioni colturali, ma soprattutto dalla quantità di fertilizzanti azotati forniti alle piante. I geni che controllano la sintesi delle prolamine sono alcune centinaia, distribuiti su diversi cromosomi in oltre 20 posizioni diverse. Inoltre le forme (alleli) in cui lo stesso gene si presenta in varietà diverse sono decine, il che spiega perché la composizione prolaminica di una varietà possa essere usata come una sorta di
Le varietà di grano possono essere identificate mediante elettroforesi delle gliadine. Salvo rare eccezioni, ogni varietà ha una propria composizione gliadinica esclusiva, come si vede nelle dieci varietà analizzate in questa fotografia
Durezza della cariosside
• La durezza della cariosside è un
importante carattere varietale, particolarmente utile per prevedere la qualità molitoria (energia necessaria per macinare la granella, quantità di farina ottenibile, grado di danneggiamento dei granuli di amido ecc.) e la qualità dei prodotti finali (pane, biscotti, prodotti da forno)
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ricerca impronta digitale per riconoscere la varietà. L’elettroforesi delle prolamine viene spesso usata a questo scopo. Proteine e durezza della cariosside Le varietà a cariosside dura, rispetto a quelle a cariosside soffice, richiedono più acqua, tempi più lunghi di condizionamento (fase di assorbimento dell’acqua che si aggiunge alla granella prima di macinarla) e maggior energia per dare una farina ottimale. D’altra parte, le farine delle varietà a granella dura assorbono più acqua durante la formazione dell’impasto e hanno una resa in pane superiore, mentre le varietà soffici hanno una maggiore resa in farina. Il controllo genetico del carattere è piuttosto semplice. La durezza è determinata da due geni che producono altrettante proteine, note come puroindolina A e puroindolina B. Queste proteine, chiamate anche friabiline, si legano ai granuli di amido dell’endosperma e rendono la cariosside friabile (soffice). Quando mancano, come nel caso del grano duro, o subiscono delle mutazioni spontanee che impediscono o riducono il loro legame con l’amido, la cariosside presenta una tessitura dura o molto dura. Le nostre conoscenze sui geni che codificano per le friabiline e per particolari proprietà chimiche di queste proteine (capacità di legarsi alle membrane cellulari, proprietà emulsionanti, capacità di legare i lipidi ecc.) sono piuttosto approfondite e ci consentono di prevedere e modulare la tessitura delle cariossidi delle nuove varietà ottenute nei programmi di miglioramento genetico. Inoltre, queste proteine sono particolarmente interessanti per le loro proprietà antibatteriche e antifungine.
Il colore giallo delle cariossidi dipende principalmente dal contenuto in carotenoidi
Ruolo delle lipossigenasi
• L’intensità del colore giallo delle paste
e del pane dipende anche dall’azione delle lipossigenasi, enzimi che vengono attivati quando si aggiunge acqua alla farina e che reagiscono con il β-carotene decolorandolo
Foto P. Viggiani
Cariosside farinosa bianca
Cariosside farinosa rossa
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Cariosside farinosa vitrea
genetica e miglioramento In Italia è in corso un programma di miglioramento genetico che mira a introdurre i geni per le friabiline anche nel grano duro, che ne è privo a seguito di mutazioni avvenute migliaia di anni fa.
Foto R. Balestrazzi
Proteine e colore delle cariossidi e delle paste Il colore giallo della cariosside del grano (tenero e duro) e quello del pane e della pasta che si ottengono dalle farine o semole di questi due cereali dipende in larga misura (50% circa) dal contenuto in β-carotene, un precursore della vitamina A. I geni che controllano la sintesi del β-carotene sono numerosi e sono stati localizzati su diversi cromosomi del grano duro (cromosomi 2A, 2B, 4A, 4B, 5A, 5B, 7A e 7B); l’intensità del colore dipende anche dall’azione delle lipossigenasi, enzimi che decolorano il β-carotene. Il colore giallo della pasta e del pane è un carattere ereditario influenzato in qualche misura dai fattori ambientali. Le ricerche condotte sul β-carotene e sulle lipossigenasi hanno dimostrato che esiste una grande variabilità genetica che può essere sfruttata per produrre nuove varietà ad alto contenuto in β-carotene e bassa attività lipossigenasica. Inoltre, l’introduzione nel grano duro del gene Yp (yellow pigment) proveniente dalla specie selvatica Agropyron elongatum ha determinato un forte incremento del contenuto in β-carotene delle semole, con effetti positivi anche sul loro valore nutrizionale. Un’altra famiglia di proteine enzimatiche nota come PPO (polifenolossidasi) è responsabile dell’imbrunimento di numerosi prodotti vegetali come frutta, ortaggi e cereali. Questi enzimi causano anche la perdita di colore di vari prodotti a base di grano tenero come i noodles e il chapattis (pane indiano). Nel grano tenero, i geni per le PPO sono almeno una dozzina e sono portati da diversi cromosomi. Gli enzimi sono localizzati nell’aleurone e pertanto vengono rimossi con la macinazione, finendo nella crusca. Tuttavia, la contaminazione della farina anche con minime quantità di crusca è sufficiente Foto R. Angelini
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ricerca per causare l’imbrunimento dei prodotti finali (pane, biscotti ecc.). Pertanto, lo sviluppo di varietà con scarsa o nulla attività polifenolossidasica è diventato un obiettivo prioritario del miglioramento genetico del frumento. La variabilità genetica naturale per questo carattere è stata già sfruttata per produrre varietà a basso contenuto in PPO. Anche l’inattivazione dei geni che codificano per questi enzimi attraverso la trasformazione genetica (transgenesi) si è dimostrata molto efficace per controllare il processo di imbrunimento.
Nuove varietà di grano per l’alimentazione dei celiaci
• La coltivazione di grani caratterizzati dalla inattivazione specifica di geni prolaminici potrebbe costituire un valido metodo di prevenzione della celiachia
Proteine e tossicità della farina Gli studi condotti nei 50 anni trascorsi dalla scoperta della malattia celiaca come patologia alimentare causata dalle farine di grano hanno dimostrato che le gliadine sono tutte più o meno tossiche per la mucosa intestinale del celiaco. Anche alcune subunità gluteniniche LMW e HMW sono dannose. Nello scorso decennio sono state sviluppate varietà di grano tenero prive di gran parte delle gliadine e caratterizzate da una minore tossicità. Tuttavia, l’eliminazione totale delle gliadine e delle altre proteine con attività tossica o immunogenica comporta la perdita delle proprietà viscoelastiche delle farine. D’altra parte le ricerche più recenti hanno dimostrato che il grano monococco e alcune varietà di grano duro hanno un basso livello di tossicità e provocano lesioni alla mucosa celiaca inferiori rispetto a quelle provocate dal grano tenero. In ogni caso l’unica “cura” della celiachia oggi disponibile consiste nell’eliminazione del glutine dalla dieta, in quanto tutte le specie e varietà di grano sono più o meno tossiche, farro e grano kamut inclusi. In prospettiva, una nuova strategia basata sul silenziamento genico, indotto da piccole molecole di RNA note come siRNA o miRNA, potrebbe portare all’inattivazione specifica di geni prolaminici che contengono sequenze potenzialmente dannose, aprendo la strada allo sviluppo di varietà di grano di buona qualità tecnologica per l’alimentazione dei celiaci.
Relazione fra amido e qualità tecnologica
• Le quantità relative di amilosio
e amilopectina presenti nell’amido di frumento influenzano fortemente il processo di gelatinizzazione dell’amido e, di conseguenza, la viscosità degli impasti
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genetica e miglioramento Amido e qualità tecnologica Il contenuto in amilosio è controllato da tre enzimi legati ai granuli di amido. Mutazioni a carico dei geni Wx (waxy = ceroso) che controllano la sintesi di questi enzimi possono portare alla formazione di granuli di amido che contengono solo amilopectina. Mutazioni di questo tipo sono state individuate in alcune varietà giapponesi di grano tenero e, più recentemente, anche in varietà italiane. Mutazioni Wx sono state introdotte anche in varietà italiane di grano duro. Le farine e le semole di varietà a basso contenuto in amilosio (meno del 20%) sono utilizzate per particolari impieghi in pasticceria e per la produzione dei noodles giapponesi. Sono in corso studi per valutare le proprietà dietetiche di questi frumenti nell’alimentazione dei diabetici.
Il frumento monococco
• Fu il primo cereale addomesticato e per millenni venne coltivato anche in Europa
• Rappresentò l’alimento principale di Ötzi
• Attualmente è una coltura marginale Caratteristiche nutrizionali del frumento monococco
Ricerche su antiche specie I genetisti si stanno occupando anche del recupero di antiche specie o varietà di grano. Una recente linea di ricerca italiana riguarda il grano monococco, il primo frumento coltivato dall’uomo e abbandonato all’inizio dell’Età del ferro, dopo circa 6000 anni di coltivazione.
• Alto contenuto di proteine • Elevata quantità di antiossidanti quali carotenoidi e tocoferoli
• Ridotta allergenicità
Frumento monococco ( Triticum monococcum L.) È un frumento vestito che, come farro e spelta, presenta la cariosside racchiusa dalle glume anche dopo la trebbiatura. È una specie diploide (2n = 2x = 14), coltivata e addomesticata in Oriente da circa 12.000 anni, fondamentale per la nascita dell’agricoltura. Per migliaia di anni (fino all’Età del bronzo) in Europa ha rappresentato la base della dieta delle popolazioni agricole, insieme a farro e orzo. L’analisi dei residui di cibo trovati nell’intestino del corpo congelato di un uomo dell’Età del rame (uomo di Similaun o Ötzi), rinvenuto nel 1991 in alta Val Senales, ne ha confermato il ruolo fondamentale in modo inequivocabile e diretto. Dopo l’adozione di frumento duro e frumento tenero, più produttivi e a granella nuda, questo cereale è stato rapidamente abbandonato. La sua coltivazione tradizionale come foraggio è oggi ristretta a zone marginali dell’area mediterranea. In aree interne
Il frumento monococco secondo Rembert Dodoens (1566)
Pane di monococco (a sinistra) e di frumento tenero (a destra)
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ricerca
Biscotti di monococco (a sinistra) e di frumento tenero (a destra)
del Marocco viene ancora utilizzato, in misura limitata, per la preparazione di pane e altri alimenti. Adattabile ai più diversi ambienti di coltura e resistente a stress e patogeni vari, è tuttavia un cereale particolarmente indicato anche per un’agricoltura moderna a basso impatto ambientale. In tal senso, prove condotte presso l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di S. Angelo Lodigiano (LO) hanno evidenziato rendimenti medi di 2,5-3,5 t/ha, rispetto alle 6,5-7,5 t/ha dei frumenti teneri di controllo. Il rinnovato interesse per questa coltura trova riscontro nelle iniziative in atto in Italia, Germania, Austria, Svizzera e soprattutto Francia, in cui il monococco di un’area delle Alpi di Provenza ha ottenuto dal 2005 l’Indicazione Geografica Protetta e viene attivamente commercializzato da numerosi agricoltori riuniti in cooperativa. Da un punto di vista nutrizionale, il farro piccolo si differenzia dal frumento tenero, dal frumento duro, dal farro e dalla spelta per l’alto contenuto in proteine della granella, in media intorno al 1518%, e per l’elevata quantità di antiossidanti quali i carotenoidi Il monococco secondo Leonard Fuchs (1542)
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genetica e miglioramento (tra cui il β-carotene, precursore della vitamina A) e i tocoferoli (vitamina E), che sono presenti con livelli 2-6 volte maggiori rispetto agli altri frumenti. La farina, quasi impalpabile, presenta un caratteristico colore giallo chiaro ed è adattissima alla preparazione di biscotti e altri prodotti da forno; esistono anche alcune linee dotate di ottima attitudine alla panificazione. L’elevato contenuto in carotenoidi conferisce a tutti i prodotti un caratteristico e attrattivo colore interno giallo dorato, che li differenzia nettamente da quelli ottenuti con farine di frumento tenero o di frumento duro. Alcuni risultati suggeriscono una ridotta allergenicità del frumento monococco per persone con intolleranze alimentari come il morbo celiaco: una sua utilizzazione per l’alimentazione della popolazione, soprattutto di alcune fasce come i bambini, potrebbe quindi contribuire alla prevenzione della celiachia. Rispetto ad alimenti analoghi ottenuti dalle farine degli altri frumenti, i prodotti a base di monococco presentano inoltre un maggior valore nutrizionale e un minor potenziale allergenico.
Foto P. Viggiani
Frumento monococco
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ricerca Metodi per il miglioramento genetico Incroci e selezione Le metodologie utilizzate per la costituzione di nuove varietà variano in base ai sistemi riproduttivi delle diverse specie vegetali. In genere il lavoro di miglioramento genetico inizia con lo sfruttamento della variabilità iniziale; questa successivamente è destinata a ridursi con la selezione. Uno dei metodi per creare nuova variabilità è l’incrocio. Scopo dell’incrocio, e della successiva selezione, è quello di combinare in una singola varietà i geni favorevoli presenti in due o più differenti genotipi. Nel caso dei frumenti, i metodi maggiormente usati sono il metodo pedigree, la selezione ricorrente e il reincrocio. Nel metodo pedigree i due genitori sono varietà agronomicamente valide ma con caratteri complementari in modo da consentire la selezione di una progenie che abbia integrato i caratteri positivi di entrambi. Nel caso la variabilità sia dispersa in più genitori, gli incroci di partenza possono essere più complessi. La fase di selezione può interessare diverse generazioni e, una volta raggiunto un ragionevole grado di uniformità dei caratteri di interesse, diventa necessario validare i materiali ottenuti in diversi ambienti e caratterizzare i genotipi per i principali caratteri qualitativi e quantitativi della produzione. Da ciascun programma si possono selezionare più varietà meritevoli di essere iscritte al registro varietale; di contro, la maggior parte degli incroci, normalmente, non produce varietà superiori. La selezione ricorrente è un metodo usato nelle allogame ma ha dato buoni risultati anche nelle autogame. Attraverso l’incrocio, in tutte le combinazioni di diverse varietà o linee con caratteristiche di interesse è stato possibile eliminare blocchi di linkage e incorporare in genotipi superiori geni utili (stabilità produttiva, resistenza a stress biotici e abiotici) normalmente dispersi nella popolazione. La selezione è ciclica e la partenza di ogni ciclo è rappresentata dall’interincrocio dei migliori genotipi selezionati alla fine del ciclo precedente. Così facendo si sposta la media della popolazione di partenza e si va avanti fino all’esaurimento della variabilità iniziale.
Incrocio: scelta del metodo
• Per trasferire caratteri utili da una
pianta all’altra e creare nuove varietà più produttive si utilizzano gli “incroci”
• L’incrocio si effettua impollinando i fiori di una spiga con il polline prelevato con una pinzetta dalla spiga di un’altra pianta geneticamente diversa
• La scelta del metodo, per raggiungere
l’obiettivo, dipende da molti fattori quali il tipo di controllo genetico del carattere da migliorare, le modalità di esecuzione dell’incrocio, lo spazio richiesto per l’allevamento delle generazioni segreganti
• Il successo dipende, inoltre, da alcuni
presupposti quali: obiettivi ben definiti e scelta dell’ideotipo di pianta da perseguire; criteri di selezione adeguati; scelta dei genitori
Foto V. Bellettato
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genetica e miglioramento Il metodo del reincrocio è adatto per dotare una varietà (genitore ricorrente) agronomicamente valida di nuovi caratteri a base genetica semplice presenti in un altro genotipo (genitore donatore). Le piante ibride ottenute dall’incrocio devono essere reincrociate al genitore ricorrente e si procede nelle generazioni successive in dipendenza della base genetica del carattere (dominante o recessivo), del fenotipo e della difficoltà di selezionare il genotipo ricombinante. La disponibilità di marcatori molecolari agevola il raggiungimento dell’obiettivo. Il numero dei reincroci con il genitore ricorrente dipende dalla distanza genetica dei due genitori di partenza. Nel caso il donatore fosse un genotipo selvatico il numero degli incroci sarebbe maggiore. Mutagenesi La variabilità esistente in natura è stata generata da mutazioni spontanee o indotte. Le prime hanno una frequenza molto bassa, anche se alcuni geni mutano più frequentemente di altri. Le mutazioni, con la selezione, sono alla base dell’evoluzione e interessano anche il miglioramento genetico delle piante. Le mutazioni possono essere recessive o dominanti e interessano il materiale ereditario a diversi livelli: genico, genomico e cromosomico. Possono essere utili o meno, e nella maggior parte dei casi causano una perdita di funzione che può portare alla morte della pianta. I materiali vegetali che possono essere trattati sono di vario tipo (semi, gameti e organi di propagazione vegetativa). L’identificazione, l’isolamento e la valutazione dei mutanti indotti richiedono molta esperienza. I materiali ottenuti possono essere selezionati direttamente per costituire nuove varietà o possono essere incrociati con materiali genetici già esistenti per introdurre in questi i caratteri generati col trattamento. In Italia negli anni ’70 sono state costituite diverse varietà di frumento duro dopo trattamento mutageno. Colture in vitro Le tecnologie avanzate operano prevalentemente ai livelli cellulare e molecolare. Il primo si è sviluppato sulla considerazione che cellule singole, protoplasti e parti di pianta, in vitro, in opportune condizioni possono rigenerare nuove piante. L’uso pratico delle colture in vitro ha portato alla scoperta della totipotenza della cellula vegetale, all’ottenimento di piante aploidi da microspore, alla rigenerazione di piante da protoplasti. Nelle graminacee gli espianti che vengono più frequentemente utilizzati sono gli embrioni immaturi o maturi e le giovani infiorescenze. Il comportamento in vitro dipende dalla specie ma anche dal genotipo entro specie. Per moltiplicare rapidamente le cellule di una pianta si possono usare le colture di cellule. Le colture in sospensione del callo vengono disperse in un terreno di coltura liquido. Per le applicazioni pratiche è evidente che sono di interesse solo le colture che hanno conservato la capacità di rigenerare. Le cellule vegetali senza la parete sono chiamate protoplasti. Nei cereali i protoplasti sono prodotti a partire da cellule coltivate in vitro.
Mutazioni indotte
• Le mutazioni indotte possono essere ottenute mediante trattamenti di natura fisica o chimica
• I mutageni fisici maggiormente usati
sono le radiazioni ionizzanti (raggi X, neutroni, particelle α e β, raggi γ) e non (luce ultravioletta)
• I raggi X sono generalmente utilizzati perché di facile dosaggio e somministrazione
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ricerca Le tecniche delle colture in vitro possono essere utilizzate nel miglioramento genetico; in particolare si utilizzano per il recupero di embrioni di ibridi interspecifici, per la conservazione del germoplasma, per l’ottenimento di piante omozigoti da antere, per sfruttare la variazione somaclonale e la mutagenesi in vitro, per la selezione di linee cellulari. Marcatori molecolari e MAS (selezione assistita con marcatori molecolari) L’enorme sviluppo della genetica molecolare registrato nell’ultimo decennio ha reso disponibili nuove tecnologie, che permettono di rendere più veloce ed efficace la costituzione di nuove varietà. Un marcatore molecolare è un frammento di DNA che contraddistingue con la sua presenza un individuo, in modo inequivocabile. Caratteristica dei marcatori molecolari, perciò, è quella di non essere riferibili all’attività di specifici geni ma di rilevare direttamente le differenze (polimorfismi) nella sequenza nucleotidica del DNA, polimorfismi che possono essere dovuti a inserzioni, delezioni, traslocazioni, mutazioni puntiformi, e così via. I marcatori RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism) permettono di rilevare polimorfismi per la lunghezza dei frammenti di restrizione ottenuti dalla digestione del DNA mediante enzimi di restrizione, valutandone le differenze nel peso molecolare. Essendo co-dominanti, sono particolarmente adatti per la costruzione di mappe genetiche. I marcatori RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA) prevedono l’uso di corti primer che possano riconoscere più siti di appaiamento e rilevarne così delle differenze nella sequenza nucleotidica. Sono marcatori dominanti; infatti il locus eterozigote per il sito di attacco del primer produce una sola banda, così come il locus omozigote. Si tratta perciò di un polimorfismo qualitativo: presenza contro assenza della banda. I marcatori AFLP (Amplified Fragment Length Polymorfism) consentono di rilevare polimorfismi per la lunghezza di frammenti di restrizione amplificati, cioè si basano sull’amplificazione selettiva di frammenti di DNA derivanti da DNA genomico digerito con specifici enzimi di restrizione. Sono prevalentemente dominanti. I marcatori SNP (Single Nucleotide Polymorphism, polimorfismo di singoli nucleotidi) consentono di mettere in evidenza polimorfismi riconducibili a differenze per singoli nucleotidi. Per la rilevazione dei marcatori SNP sono disponibili diverse tecniche. Una delle strategie più comunemente usate consiste nell’amplificare con primer idonei specifiche regioni dei geni di interesse in diversi genotipi e nel sequenziare i prodotti di amplificazione e allinearli per evidenziare le differenze dovute a mutazioni puntiformi (inserzioni, delezioni, sostituzioni). È inoltre possibile effettuare una ricerca di SNPs in silico, cioè confrontando un’ampia quantità di sequenze EST (Expressed Sequenze Tag) e/o cloni genomici pro-
Vantaggi dei marcatori molecolari I marcatori molecolari costituiscono lo strumento ideale per una identificazione varietale attendibile e costante nel tempo grazie ai numerosi vantaggi del loro utilizzo:
• sono indipendenti dai fattori ambientali
e dalle diverse fasi fenologiche della pianta, trattandosi di differenze a livello della sequenza nucleotidica del DNA
• coprono qualsiasi parte del genoma
(trascritta e non, quindi anche introni e regioni di regolazione), permettendo così di rilevare differenze anche fra individui geneticamente simili e fenotipicamente indistinguibili
• non presentano effetti epistatici o pleiotropici
• potendo co-segregare con i geni, sono ereditati secondo i modelli mendeliani consentendo in alcuni casi la distinzione di un genotipo eterozigote da uno omozigote
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genetica e miglioramento venienti da varietà differenti e raccolti in banche dati pubbliche. I marcatori su sequenze EST forniscono informazioni su regioni espresse del genoma e offrono quindi la possibilità di mappare direttamente geni di interesse. Data la frequenza con cui avvengono le mutazioni puntiformi, gli SNPs sono considerati i marcatori con il più alto potenziale di polimorfismo genomico rilevabile e, grazie ad altri vantaggi quali la codominanza e l’elevata ripetibilità, sono considerati la classe di marcatori del futuro, con diverse possibili applicazioni in campo vegetale. I marcatori SSR (Simple Sequence Repeat) sono sequenze di DNA che consistono di corte unità da 1 a 6 bp ripetute in tandem. L’importanza e il valore di questi marcatori derivano dal fatto che sono di natura multiallelica, si trasmettono in modo codominante, sono relativamente abbondanti e ben distribuiti nel genoma e sono semplici da evidenziare. Si utilizza infatti una reazione PCR con una coppia di primer specifici di 16-18 bp che fiancheggia il microsatellite e quindi definisce il locus. Tali marcatori presentano notevoli vantaggi: necessità di una piccola quantità di DNA per l’analisi (0,05 μg), semplicità e rapidità di utilizzo, bassi costi, grande affidabilità e riproducibilità, nonché un alto livello di polimorfismo. Tutte queste caratteristiche rendono i marcatori SSR adatti in agricoltura all’identificazione varietale e alla selezione assistita da marcatori molecolari. L’utilità dei marcatori molecolari nel miglioramento genetico è basata sulla presenza di associazione fra marcatore e geni di interesse; tali associazioni permettono di seguire la segregazione del gene in questione saggiando la presenza del marcatore. In tal modo la selezione per i caratteri desiderati è su base genotipica e non più fenotipica, e pertanto può essere aumentata l’efficienza del lavoro di selezione, per esempio, nell’analisi dell’espressione dei geni che codificano per caratteri quantitativi (QTL) e nel recupero del genotipo del parentale ricorrente nei programmi di reincrocio. Avendo un potere di risoluzione superiore rispetto sia ai marcatori morfologici sia a quelli isoenzimatici, i marcatori molecolari, in particolare quelli basati sulla PCR, sono molto utili nei programmi avanzati di costituzione varietale.
Programma di breeding
• Il primo requisito per sviluppare
un breeding assistito con marcatori molecolari è di disporre di un programma di breeding basato su linee selezionate per i principali caratteri agronomici
• Successivamente, tutti i marcatori
molecolari identificati come associati a caratteri monogenici possono essere introdotti direttamente in schemi di breeding basati su pyramiding, reincrocio e metodo pedigree per trasportare rapidamente i geni identificati dai marcatori all’interno dei genotipi più produttivi
Foto V. Bellettato
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ricerca Ibridi ed eterosi L’utilizzazione dell’eterosi nel miglioramento genetico delle piante è uno dei contributi più significativi della genetica applicata alle piante. L’eterosi è essenzialmente un fenomeno di natura genetica e descrive un aumento di vigore e in alcune specie una maggiore produzione. Il vigore ibrido è la principale componente fenotipica dell’eterosi. Un ibrido si ottiene incrociando due linee inbred o linee pure. Le basi teoriche per spiegare il vigore ibrido sono diverse: i) i genitori dell’incrocio sono dotati di diversi alleli dominanti con effetto favorevole, che verrebbero a compensare, a seguito dell’incrocio, le rispettive deficienze; mai è stata ottenuta una linea pura con un vigore simile all’ibrido, a dimostrazione che questa teoria da sola non spiega il fenomeno; ii) un’altra ipotesi, che non esclude la prima, considera il vantaggio di un eterozigote rispetto agli omozigoti anche dominanti; iii) un’altra ipotesi riguarda l’interazione genica, che è maggiore in un ibrido rispetto a una linea pura. La produzione di seme ibrido è più onerosa rispetto a una semplice moltiplicazione in purezza di una varietà e ciò ha di fatto limitato l’uso di questa tecnica nelle autogame quando il vantaggio produttivo non compensa il maggior costo del seme ibrido.
Eterosi nelle specie autogame
• Lo sfruttamento dell’eterosi, e quindi
la produzione di un ibrido, è largamente diffuso nelle specie a impollinazione incrociata, dove l’aumento di produzione è maggiore rispetto a un ibrido ottenuto nelle autogame come i frumenti
Foto V. Bellettato
Transgenesi Nel corso dell’evoluzione naturale alcuni organismi si sono scambiati segmenti di DNA. Questo processo è raro, ma i biologi molecolari delle piante utilizzano lo stesso meccanismo per produrre un transgenico. Una pianta transgenica è quindi una pianta nella quale sono state introdotte una o più copie di geni provenienti da altri organismi o dalla stessa specie dopo opportune modifiche. Un gene si caratterizza in base a quando, dove e come si esprime e un’alterazione del suo naturale destino può essere vantaggiosamente sfruttata per migliorare caratteri più o meno complessi. Il trasferimento del gene nella cellula ospite può avvenire mediante plasmidi ingegnerizzati di agrobatterio oppure con metodi chimico-fisici (assunzione diretta del DNA, microiniezione, impiego di microproiettili ecc.).
Campo sperimentale
Foto R. Balestrazzi
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genetica e miglioramento Le applicazioni del transgenico più frequentemente riportate riguardano la resistenza agli erbicidi e ai parassiti (insetti, virus, batteri, funghi) e la manipolazione delle sostanze di riserva, della fotosintesi, della fissazione dell’azoto. La tecnologia consente di ottenere nuove varietà in modo più preciso e rapido e di approfondire le conoscenze sulla biologia delle piante.
Biotecnologie molecolari
• Le biotecnologie molecolari si sono sviluppate quando è stata scoperta la possibilità di individuare, isolare e modificare i geni
Risultati del miglioramento genetico Nazareno Strampelli fu uno dei principali pionieri nel miglioramento genetico delle piante erbacee. La sua anima appassionata e la necessità di venire incontro alle esigenze della popolazione, in particolare alla scarsità di frumento, materia prima per la produzione del pane, base dell’alimentazione dei tempi, stimolarono il suo lavoro. La drammatica situazione produttiva, che incideva fortemente sulla bilancia commerciale, servì da incentivo ai politici italiani che supportarono vigorosamente la ricerca agricola tesa ad aumentare le rese e a raggiungere l’autosufficienza. Strampelli, pur lavorando su diverse specie, dedicò la maggior parte della sua vita e delle sue energie al frumento, e avviò un’intensa attività di breeding per realizzare nuove varietà. In primo luogo puntò a una maggiore produttività legata a caratteri di precocità e resistenza all’allettamento, e allo stesso tempo volle pervenire alla costituzione di varietà adeguate alle nuove tecniche colturali. Verso la fine del XIX secolo iniziò la sua attività di costituzione varietale, selezionando i migliori genotipi di frumento tenero presenti nella popolazione locale Rieti. Strampelli era tuttavia convinto che non fosse possibile ottenere significativi miglioramenti selezionando solo all’interno delle popolazioni, anche se queste mostravano un elevato grado di adattabilità a specifici ambienti. Egli era certo, grazie alla sua illuminata intuizione, che fosse necessario ricorrere all’ibridazione per trasferire entro uno specifico genotipo i caratteri di resistenza presenti in altre varietà.
• L’ingegneria genetica è una tecnologia che consente la modificazione del patrimonio genetico di un organismo con l’uso di tecniche di biologia molecolare
Foto O. Porfili
Nazareno Strampelli è nato a Crispiero di Castelraimondo (MC) il 29 maggio 1886 ed è morto a Roma il 23 gennaio 1942
Varietà Rieti
• La popolazione locale Rieti era molto coltivata nelle zone cerealicole dell’Italia centrale. Il suo successo era dovuto all’elevata resistenza alle ruggini e alla buona potenzialità produttiva, anche se fortemente suscettibile all’allettamento
Varietà Rieti
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ricerca Per questa ragione nel 1900, quando le basi scientifiche della genetica, postulate da Mendel, non erano ancora state riscoperte, egli realizzò il primo incrocio intervarietale “Rieti x Noè” (popolazione locale del centro Italia). Successivamente Strampelli realizzò qualche migliaio di incroci tra varietà di frumento tenero raccolte personalmente o provenienti da diverse nazioni, usando Rieti come uno dei principali progenitori; in alcuni casi utilizzò anche altre specie dei generi Triticum e Secale. Nel 1914 realizzò la sua prima varietà, Carlotta Strampelli, derivata da un incrocio effettuato nel 1905, scelta dopo diverse valutazioni agronomiche e caratterizzata da resistenza a ruggine, freddo e allettamento. Nel 1918 la varietà, che era largamente coltivata in molte regioni italiane, risultò notevolmente suscettibile alle alte temperature tardive che si manifestarono durante la fase di granigione (fenomeno noto con il nome di “stretta”), con conseguenti sensibili riduzioni delle rese: questo diede origine a molte critiche negative sull’attività di ricerca di Strampelli. Indifferente alle critiche, egli continuò il suo lavoro, avendo già inserito tra gli obiettivi più urgenti l’anticipo della data di spigatura e di maturazione. Tale risultato venne ottenuto con l’utilizzo, negli incroci effettuati dal 1913 in poi, della varietà giapponese Akagomughi, molto precoce. Strampelli rilasciò la sua prima varietà precoce resistente alla “stretta”: Ardito, derivata dall’ibridazione tra la cv Akagomughi e la Linea 21 (aristata), selezionata a sua volta dall’incrocio “Rieti x Wilhelmina Tarwe”, varietà quest’ultima di origine olandese. Ardito e le sue linee sorelle, Damiano Chiesa, Mentana e Villa Gloria, ebbero subito un grande successo in Italia e in altri Paesi, divenendo inoltre progenitori di importanti varietà costituite in diversi Paesi del mondo. Negli anni successivi parecchie varietà di Strampelli si diffusero con esito positivo in Italia, grazie alla loro adattabilità ai diversi ambienti pedoclimatici. Nel 1929 Strampelli rilasciò la famosa varietà San Pastore, precedentemente denominata Bruno, che per oltre 35 anni è rimasta la più diffusa in Italia, oltre che in altri Paesi europei, asiatici e americani.
Foto P. Viggiani
Varietà Carlotta Strampelli Foto M. Cattaneo
Varietà Akagomughi, portata in Italia da un famoso sementiere dell’epoca, l’Ing. Ingegnoli di Milano Foto M. Cattaneo
Foto M. Cattaneo
Foto P. Viggiani
Varietà Ardito Varietà Damiano Chiesa
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Varietà Mentana
genetica e miglioramento Foto P. Viggiani
Battaglia del grano
• Con la “Battaglia del Grano”,
il ruralismo fascista toccherà il suo culmine. Mussolini, raggiunse l’obbiettivo di aumentare la produzione di frumento nel quadro di una “autarchia” che, in caso di guerra, avrebbe reso l’Italia autosufficiente Foto P. Viggiani
Varietà Villa Gloria
Negli anni 1920-1940, le nuove varietà di Strampelli furono alla base della cosiddetta “Vittoria del grano”, meglio nota ai nostri giorni come “Battaglia del grano”. La varietà San Pastore, per le sue caratteristiche di elevata produttività e adattabilità, fu quella che maggiormente contribuì al successo dell’iniziativa, ma fu altresì importante progenitore in incroci che diedero origine a numerose varietà ancor oggi coltivate nel mondo. Con il San Pastore iniziava una nuova e fiorente era per la granicoltura italiana. Anche nel frumento duro Strampelli profuse molta della sua attività di miglioramento, sia attraverso selezione entro popolazioni locali, sia mediante ibridazione varietale. Tra le principali costituzioni vanno ricordate le varietà: Dauno, Milazzo, Aziziah 17-45, Garigliano, Volturno, Sapri, Tripolino e Senatore Cappelli. Quest’ultima, selezionata a Foggia, per diversi anni è risultata la varietà più coltivata in Italia, Spagna, Turchia e altri Paesi mediterranei. Inoltre ha avuto un ruolo estremamente importante come progenitore di molte nuove varietà: quasi tutte quelle di frumento duro oggi coltivate in Italia, hanno la varietà Cappelli nella propria genealogia. Strampelli non ha lasciato molte pubblicazioni; quella che maggiormente illustra la grande mole di lavoro da lui svolto è certamente Origine, sviluppi, lavori e risultati edito nel 1932 dall’Istituto Sperimentale di Genetica per la Cerealicoltura di Roma dove tra l’altro scriveva: “Le mie pubblicazioni, quelle a cui tengo veramente, sono i miei grani… ad essi resta affidata l’opera mia nell’interesse del mio Paese”. Nel 1907 Strampelli ottenne di trasformare la Cattedra Sperimentale di Granicoltura, sorta in Rieti nel 1903, in Regia Stazione Sperimentale di Granicoltura. Tale stazione è considerata la casa madre dell’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, ora Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, sorto in Roma nel 1919. Da un’accurata indagine bibliografica risulta che, durante la sua attività di miglioratore genetico, Strampelli abbia costituito circa
Varietà Senatore Cappelli, selezionata a Foggia da Strampelli nella popolazione nord africana Jeanh Rhetifah
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ricerca un centinaio di varietà di frumento, alcune delle quali sono descritte nella pubblicazione sopra citata e corredate da bellissime tavole a colori. Nel 1998, in preparazione del meeting “The Centenary of Nazareno Strampelli Green Revolution”, la Sezione di S. Angelo Lodigiano dell’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura ha iniziato un’attività di recupero del germoplasma di Strampelli da collezioni nazionali e internazionali, seguita da una rivalutazione delle caratteristiche morfologiche, agronomiche, qualitative e di variabilità genetica, utilizzando anche moderni metodi di valutazione biochimica e molecolare. L’attività ha evidenziato come Nazareno Strampelli, 100 anni or sono, sia stato capace di utilizzare l’ampia variabilità genetica presente nel germoplasma di frumento, creando nuove varietà che hanno contribuito fortemente a risolvere molti dei problemi agronomici e sociali presenti in Italia nella prima metà del secolo scorso. A distanza di oltre un cinquantennio, il germoplasma di Strampelli rappresenta un capitale genetico inestimabile e tuttora valido per ulteriori programmi di miglioramento genetico del frumento tenero, volti alla costituzione di varietà idonee per una coltivazione rispettosa dell’ambiente. In Italia il periodo immediatamente successivo a Strampelli è stato caratterizzato in particolare dalle varietà di frumento tenero: Mara, Conte Marzotto, Irnerio, Mec e Centauro. Tra queste meritano una menzione le varietà Irnerio e Centauro, entrambe costituite dalla Società Produttori Sementi di Bologna. Irnerio è stato iscritto al Registro varietale nel 1970, raggiungendo nel 1975 la massima diffusione, per poi rapidamente perdere la sua leadership in pochi anni, causa la sua elevata suscettibilità alla ruggine gialla. Grazie tuttavia all’intensa attività di breeding, la società sementiera ha prontamente sostituito tale varietà con Centauro, iscritto nel 1983, che per oltre 10 anni ha conservato il primato di varietà più diffusa in Italia. La situazione attuale risulta invece caratterizzata da una sempre maggiore introduzione in coltura di varietà costituite fuori dai confini nazionali, causa la riduzione dell’attività di costituzione varietale sia da parte degli enti pubblici sia delle ditte sementiere private.
Copertina della principale pubblicazione di Strampelli
Nazareno Strampelli
• Il merito di Strampelli fu anche quello
di stimolare altri ricercatori a dedicarsi al miglioramento genetico del frumento
• Numerosi allievi, diretti e indiretti,
quali Maliani, Bonvincini, Michahelles, Trentin, Avanzi, Forlani e Dionigi, continuarono il lavoro del maestro, contribuendo a dare alla granicoltura italiana fama mondiale
Foto R. Balestrazzi
• Numerose varietà hanno valicato
i confini italiani e numerosi ricercatori stranieri hanno frequentato i nostri istituti, particolarmente nel periodo dal 1950 al 1965
• Molte varietà di pregio ottenute
all’estero hanno come progenitori varietà italiane
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genetica e miglioramento Relativamente al frumento duro, fino agli anni ’50 nel nostro Paese regnava un diffuso pessimismo per quanto riguardava le possibilità di aumentare la produzione e soddisfare il fabbisogno nazionale. In Italia – principale consumatore ed esportatore di pasta nel mondo – la produzione risultava insufficiente tanto per quantità quanto per qualità. Inoltre la produzione si concentrava, per esigenze ecologiche, ma soprattutto per ragioni economico-sociali, esclusivamente nelle regioni del sud e delle isole e, di norma, in condizioni pedoclimatiche difficili. Un primo tentativo di rompere questa situazione fu quello della graduale sostituzione delle vecchie popolazioni e della varietà Senatore Cappelli con le nuove varietà derivate da ibridazione intervarietale. Tra queste vanno segnalate Capeiti 8, Patrizio 6 e Appulo, che in pochi anni arrivarono a essere le varietà più coltivate, mantenendo tale primato fino agli anni ’70. Queste varietà, così come le tante altre diffuse a metà del secolo scorso, derivavano tuttavia da incroci tra varietà molto simili e pertanto la loro possibilità di incrementare ulteriormente le rese rimaneva limitata. È per opera di diversi ricercatori, tra i quali Forlani, Maliani, Rusmini e Scalfati che, attraverso l’ibridazione interspecifica, si riuscì a trasferire la capacità produttiva del frumento tenero nel frumento duro e a rilasciare nuove varietà più produttive e pure, idonee alla coltivazione in ambienti non tradizionali (Italia centrale e settentrionale).
Foto P. Viggiani
La rivoluzione verde Uno degli esempi più convincenti e più imponenti delle conseguenze del miglioramento genetico ai fini della produttività agraria è certamente quello del Messico, nell’ambito della sperimentazione condotta dallo statunitense Norman E. Borlaug. Questi, arrivato in Messico nel 1944 come patologo vegetale, si rese subito conto che, per risolvere i gravi problemi della granicoltura messicana provocati dalle ruggini (in particolare la ruggine nera del culmo), soltanto il miglioramento genetico per la resistenza presentava adeguate possibilità di riuscita: fu progettato e svolto un programma d’intenso lavoro genetico che in cinque anni sfociò nell’ottenimento di varietà talmente soddisfacenti che, diffuse su vasta scala, consentirono nel 1956 al Messico di raggiungere l’autosufficienza granaria. Le principali direttive che caratterizzavano l’attività sperimentale erano le seguenti: - il lavoro selettivo era condotto in due cicli l’anno, l’uno come coltura invernale nel nord-est del Messico a livello del mare, latitudine 27° N, l’altro come coltura estiva sull’altopiano, a 2600 m e 19° N. Questa migrazione due volte l’anno accelerava il lavoro e comportava vantaggi supplementari, quali l’eliminazione della sensibilità alla lunghezza del giorno nel materiale in selezione nonché un ampliamento dell’adattabilità; - Borlaug introdusse in Messico l’intera collezione americana di frumenti, che comprendeva circa 26.000 campioni. Essa fu
Varietà San Pastore Foto P. Viggiani
Varietà Irnerio
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ricerca sottoposta ripetutamente a diverse osservazioni per la ricerca della resistenza alle malattie e, in base a questo e ad altri caratteri agronomici, vennero eseguiti incroci semplici e multipli, reincroci e ibridazioni varie che accumulavano e concentravano progressivamente fattori genetici vantaggiosi. Ogni anno milioni di piante venivano passate al vaglio di numerose e rigorose osservazioni, ai fini dell’ottenimento di progressi genetici; - la selezione ai fini della resistenza alle malattie era particolarmente severa, perché si basava sia sul comportamento in campo sia sui risultati di infezione artificiali; - le parcelle sperimentali venivano all’occorrenza irrigate per assicurare la sopravvivenza del materiale d’incrocio. Ma dalla F2 in poi i frumenti venivano seguiti sia in irriguo che in condizioni naturali, anche in comuni aziende agrarie, per selezionarli nelle più disparate condizioni, ma soprattutto in quelle che sarebbero state le più probabili per l’eventuale futura varietà. Queste tecniche permisero rapidi progressi nei confronti della resistenza alle ruggini. Il grave problema della resistenza all’allettamento fu risolto con l’impiego del fattore per la bassa statura della varietà giapponese Norin 10. Un altro aspetto di importanza fondamentale delle varietà Cimmyt era la risposta alla concimazione. Con le varietà tradizionali alte, un chilogrammo d’azoto aggiunto assicurava un incremento di tre chilogrammi di granella; le nuove varietà, con lo stesso quantitativo di concime, producevano 10 chilogrammi di granella in più. Queste nuove varietà, collaudate brillantemente in Messico, entro la fine degli anni ’50 raggiunsero diversi Paesi dell’America Latina. Negli anni ’60 raggiungevano il Vicino Oriente, l’Asia e l’Africa. Dati particolarmente significativi sono quelli relativi al subcontinente indiano. Nel 1965/66 vi si coltivavano neppure 10.000 ettari di frumenti cosiddetti messicani; 10 anni dopo (1974/75), secondo dati del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, tali grani erano coltivati su 15.741.000 ettari. La produttività per ettaro della
Effetto dei geni dwarf delle varietà giapponesi nell’abbassamento della taglia
Varietà resistenti all’allettamento
• Nel 1962 vennero
lanciate le prime due varietà di frumento tenero: Pitic e Penamo 62, caratterizzate dal fattore per la bassa statura
Foto R. Balestrazzi
• Altri geni furono presto utilizzati per
ampliare la gamma dei frumenti bassi adatti alle più svariate condizioni ambientali e geografiche
• Tra 1963 e 1966 venne diffusa un’altra
ventina di varietà altamente produttive, fra le quali: Sonora 63, Sonora 64, Lerma Rojo 64, INIA 66, Tobari 66, Siete Cerros e un frumento duro a taglia bassa: Oviachic 65 Pustole di ruggine
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genetica e miglioramento granicoltura indiana è stata quasi raddoppiata in un quinquennio. L’area della “rivoluzione verde” è raddoppiata, durante l’ultimo decennio, per interessare, nel subcontinente indiano, anche Paesi quali Pakistan e Bangladesh, contribuendo in maniera significativa ad alleviare le difficoltà alimentari di aree sino a poco tempo prima sottoalimentate. Per questa attività, nel 1970 N.E. Borlaug è stato insignito del premio Nobel per la pace a riconoscimento del contributo che i suoi frumenti hanno dato alla riduzione della fame nel mondo. Il miglioramento genetico del frumento avviato da Borlaug e il successo delle sue varietà hanno permesso al Cimmyt di potenziare l’attività a livello internazionale con continui scambi di materiale segregante e di nuove varietà, anche con i Paesi sviluppati, dove le linee Cimmyt hanno rappresentato un interessante materiale per combinazione di incrocio da cui sono derivate varietà di successo. La “rivoluzione verde” del Cimmyt comunque continua e il futuro è rappresentato dal super wheat (super grano). Prospettive del miglioramento genetico La produzione di fertilizzanti di sintesi, la meccanizzazione delle operazioni agricole e la cosiddetta “rivoluzione verde”, cioè la creazione di nuove varietà molto produttive di grano, riso e mais, sono responsabili dello spettacolare progresso compiuto nella lotta contro la fame durante lo scorso secolo. Nei primi anni del ’900 quasi 800.000 persone, cioè il 50% circa dell’intera popolazione umana, erano affamate o malnutrite e soffrivano diffusamente di malattie dovute alla scarsità di cibo (come anemia, rachitismo, scorbuto, gozzo, tubercolosi ecc.) o alla scadente qualità sanitaria di alimenti e bevande (diarrea infantile, colera, botulismo, teniasi ed altre parassitosi intestinali). Attualmente la fame e la malnutrizione riguardano circa lo stesso numero di persone, ma la popolazione mondiale ha superato i 6 miliardi di individui.
Norman E. Borlaug nasce il 25 marzo 1914 e inizia la sua attività come patologo vegetale presso la Fondazione Rockefeller messicana, dalla quale nascerà il Cimmyt
Prospettive del miglioramento genetico
Foto R. Balestrazzi
• Per assicurare un accettabile
approvvigionamento di cibo e mangimi, dalle terre attualmente coltivate dovremo ottenere nei prossimi 50 anni produzioni di grano 3-4 volte più elevate delle attuali
• La ricerca tenta di raggiungere questo obiettivo affidandosi prevalentemente al miglioramento genetico, oltre che allo sviluppo di nuovi mezzi chimici
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ricerca Per garantire la sicurezza alimentare del pianeta e fornire alimenti sufficienti anche a quel 15% della popolazione umana affamata o malnutrita, la ricerca pubblica e privata è tuttora impegnata a creare nuove varietà di grano più produttive ed efficienti. Il problema dell’approvvigionamento alimentare è aggravato dall’elevato tasso di crescita della popolazione umana (principalmente in Asia, Africa e Sudamerica) e dall’espansione delle aree di urbanizzazione e industrializzazione a discapito delle aree agricole e delle risorse idriche. Anche i cambiamenti climatici giocano un ruolo importante, come dimostra il fatto che in alcuni Paesi dell’Africa subsahariana la desertificazione conseguente alla crescita costante delle temperature causa ogni anno la perdita di 25 milioni di tonnellate di terreno agricolo, riducendo gravemente la biodiversità esistente. Nuovi metodi Il miglioramento genetico del grano è oggi accelerato dalla disponibilità di nuove tecnologie molecolari che consentono di “marcare” e seguire la trasmissione ereditaria di molti geni contemporaneamente, condizione indispensabile per migliorare caratteri complessi come la fioritura, le dimensioni del seme, l’efficienza della fotosintesi, l’assorbimento dell’acqua, dell’azoto, del potassio e del fosforo da parte delle radici, la resistenza a patogeni o fattori ambientali avversi come le alte/basse temperature, la siccità o la salinità del terreno. Le recenti acquisizioni della “genomica” sulla natura e sulle modalità di espressione dei geni che modulano la morfologia, la crescita e l’adattamento delle piante e lo sviluppo di tecniche molecolari (“biotecnologie del DNA”) che consentono di identificare, modificare e trasferire i geni da un organismo all’altro senza vincoli di appartenenza alla stessa specie, sono alla base di una seconda rivoluzione agricola (“gene revolution” o “rivoluzione genetica”) che si annuncia anche più innovativa della “rivoluzione verde” (“green revolution”) dello scorso secolo.
Strumenti di miglioramento genetico
• Le conoscenze sui geni che controllano la morfologia e la crescita delle piante di grano sono aumentate significativamente da quando sono disponibili tecniche molecolari per isolare, identificare e analizzare il DNA
Veduta area della campagna bolognese con i campi di grano
Foto R. Angelini
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genetica e miglioramento In particolare, l’ingegneria genetica (o transgenesi), cioè l’introduzione di nuovi geni utili nel patrimonio genetico di un organismo, ha un enorme, apparentemente illimitato potenziale nel settore del miglioramento genetico del grano e di molte altre piante di interesse agrario. Come prevedibile, mais, grano e riso sono tra le piante più utilizzate nei programmi di transgenesi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Questi cereali sono stati resi geneticamente resistenti a insetti, batteri e funghi patogeni, oppure tolleranti alla siccità e alla salinità allo scopo di aumentare la produzione in granella riducendo congiuntamente i relativi costi di produzione. I prodotti della transgenesi vegetale hanno un crescente successo in America, Asia e Africa, ma hanno trovato un ambiente ostile in alcuni Paesi europei. Anche le nanotecnologie avranno un ruolo importante nella ricerca dei prossimi anni. Queste tecniche estremamente sofisticate permettono di creare sensori, accumulatori di energia solare, motori e strumenti di dimensioni molecolari che potranno essere utilizzati, per esempio, nel rilevamento istantaneo di patogeni, tossine o metalli pesanti negli alimenti, nella diagnosi a livello cellulare, nella somministrazione di fitofarmaci a specifici bersagli all’interno della pianta, nella modulazione della fotosintesi ecc.
Nanotecnologie
• Recentemente in Olanda è stato
organizzato il concorso “Nano World 2020”, per premiare la migliore rappresentazione degli effetti che avranno le nanotecnologie nei prossimi 14 anni
• Il premio è stato assegnato a un breve
filmato intitolato Come coltivare una bottiglia di Orangina. Nel film viene insegnato come coltivare un arancio transgenico in grado di produrre piccole confezioni di cartone contenenti una spremuta dei suoi frutti
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il grano
ricerca Attività sementiera Bruna Saviotti
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Attività sementiera Foto V. Bellettato
Introduzione Nei capitoli precedenti è stato ampiamente illustrato come si ottiene una nuova varietà e come si sono evolute le metodologie negli anni recenti. Pochi infatti sapevano che a monte di “un bel campo di grano” non vi sono solo l’esperienza e la capacità dell’agricoltore ma anche un’intensa attività scientifica. Il frumento è il cereale più importante ed è la fonte principale di alimentazione dell’uomo. Ne consegue che il fabbisogno di cereali nel mondo è in continuo aumento e va di pari passo con l’aumento della popolazione. Nell’ultimo decennio il consumo annuo ha spesso superato la produzione, facendo scendere il livello degli stock sotto ai limiti minimi di prudenza. Ottenimento di nuove varietà L’attività dei ricercatori assume un’importanza rilevante per: - l’ottenimento di varietà potenzialmente più produttive e geneticamente caratterizzate per rispondere alle esigenze della trasformazione industriale e soddisfare i gusti dei consumatori; - la costituzione di nuove linee “sane” e quindi meno bisognose di interventi chimici e di importanti investimenti tecnici; - la creazione di cultivar capaci di “donare” maggiore contenuto proteico a parità di produzione e di superficie. Accanto ai costitutori vi è poi una intensa attività di supporto fatta dagli sperimentatori che hanno il compito di portare l’innovazione al mondo agricolo: - individuando gli ambienti e le condizioni pedo-climatiche più idonee per la coltivazione del nuovo ritrovato genetico; - verificando le tecniche di coltivazione da adottare per ogni singola varietà, al fine di consentirle di estrinsecare il suo potenziale massimo. Infatti ogni varietà ha, intrinsecamente, una sua precisa capacità produttiva e qualitativa. Compito dello sperimentatore è quindi quello di individuare: - la densità di semina in funzione della capacità di accestimento e della resistenza all’allettamento; - l’epoca di semina ideale in considerazione dell’ambiente di coltivazione e del ciclo vegetativo; - la diversa capacità di adattamento alla semina su terreno non lavorato; - la necessità di difesa fungicida in base all’avvicendamento colturale e alla resistenza o sensibilità alle malattie; - l’eventuale sensibilità a principi attivi diserbanti; - la fertilizzazione, con particolare riferimento all’azoto, per l’innalzamento del contenuto proteico a seconda della varietà e della destinazione finale del prodotto.
Selezione di frumento tenero
Foto V. Bellettato
Parcelle di linee in corso di selezione
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attività sementiera Un intenso lavoro di équipe nell’ultimo ventennio ha portato all’utilizzo di varietà sempre più “performanti”, produttive e ben caratterizzate e ha consentito un rapido ricambio varietale che ha contribuito a migliorare anche lo stato sanitario delle derrate agricole ottenute. Per il frumento tenero tutto questo, purtroppo, è avvenuto più in altri Paesi che non in Italia. A favorire, per esempio, lo sviluppo della ricerca varietale in Francia (maggiore produttore europeo) è stata l’importante superficie ricoperta dalla coltura (4.800.000 ha circa contro i 600.000 ha italiani). Accanto a questo, però, si è avuta e si ha tuttora una maggiore comprensione delle esigenze del settore, supportata dall’attenzione dell’amministrazione pubblica francese, che ha fortemente incentivato la ricerca favorendo innanzitutto il rapporto fra pubblico e privato, al fine di ottimizzare e rendere più produttivi gli importanti investimenti che una moderna attività scientifica richiede. La conseguenza inevitabile è che oggi in Italia, fra le varietà di frumento tenero più coltivate, ve ne sono parecchie di origine francese mentre, in passato, era l’Italia a far produrre le proprie varietà all’estero. Se di per sé l’obiettivo del miglioramento quali-quantitativo della produzione è stato comunque raggiunto, di fatto, i diritti di brevetto dovuti al costitutore per la produzione della “sua opera di ingegno” vanno a potenziare la ricerca francese impoverendo ulteriormente la nostra. Qualche cosa di più è stata fatta per il frumento duro, grazie soprattutto all’importante superficie che, fino a due anni fa, la coltura rivestiva in Italia: circa 1.700.000 ha. Sono italiane molte delle varietà coltivate in Spagna, Grecia e Turchia. L’ottenimento di una nuova varietà, in una specie autogama quale il frumento, nonostante l’applicazione delle moderne tecnologie descritte nei capitoli precedenti, è tutt’altro che rapida. I tempi di selezione per ottenere l’omozigosi sono lunghi e spesso le linee ottenute necessitano di reincroci per migliorarne le caratteristiche qualitative, sanitarie o quantitative. Le nuove varietà create van-
Numero di varietà: un falso problema
• L’elevato numero di varietà disponibili è spesso, a torto, ritenuto causa della disomogeneità degli stoccaggi
• Per ogni specie, in genere, le prime
10 varietà coltivate coprono il 60-70% della produzione ottenuta
• La medesima varietà, coltivata
con tecniche non appropriate o in ambienti diversi, fornisce riultati qualitativamente diversi
• Occorre agire sull’organizzazione
della produzione, degli stoccaggi differenziati per tipologia di prodotto e della commercializzazione
Foto V. Bellettato
Prova di confronto varietale fra le nuove costituzioni e le varietà maggiormente coltivate in Italia
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ricerca no poi testate in più areali e confrontate con quelle già esistenti. Possiamo quindi quantificare l’iter della costituzione di una nuova varietà in 10-12 anni dal momento dell’incrocio. Un periodo molto lungo, soprattutto se si tiene conto che le necessità dell’industria e i gusti dei consumatori cambiano molto rapidamente. Ne è stato un chiaro esempio la richiesta che l’industria ha fatto alla ricerca negli anni ’80 di avere varietà di frumento duro ad “alto indice di giallo” tali da produrre una semola e quindi una pasta di colore giallo. La richiesta dell’industria era dettata da necessità di marketing, dalla verifica che il consumatore, sugli scaffali della grande distribuzione dove erano collocate paste bianche (le tradizionali paste italiane) e paste più gialle, istintivamente sceglieva quelle gialle (forse perché più simili alla pasta fatta in casa dalla nonna con l’aggiunta dell’uovo), dalla necessità di produrre per l’esportazione in Paesi dove normalmente viene consumata come contorno e dove il colore giallo è più piacevole all’occhio rispetto a quello bianco. Legittima e degna di ampia considerazione la richiesta dell’industria, ma l’indice di giallo si può ottenere solo intervenendo geneticamente sulla varietà, aumentando il contenuto in b-carotene e, quindi, la risposta italiana è arrivata solo parecchi anni dopo. L’ottenimento è poi solo la prima fase dell’iter. La varietà costituita deve essere registrata presso il catalogo nazionale e quello europeo, brevettata come nuovo ritrovato, mantenuta in purezza e moltiplicata al fine di ottenere la quantità di seme sufficiente per soddisfare le esigenze degli agricoltori.
Foto V. Bellettato
Particolare di una spiga di frumento duro in fase di maturazione Foto V. Bellettato
Registrazione dei nuovi ritrovati L’attività sementiera, compresa la costituzione varietale, è regolata dalla Legge del 25 novembre 1971 n. 1096, la cosiddetta “Legge sementiera”. Questa norma sia l’attività di costituzione sia quelle di produzione e commercializzazione delle sementi. Infatti, dal 1971 il seme ha una rintracciabilità completa attraverso la certificazione ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette), che garantisce l’utilizzatore sull’identità della varietà che sta seminando, sulla sua provenienza, sulle caratteristiche di purezza e germinabilità del seme contenuto nel sacco. La Legge 1096 al capo VI, art. 19, prevede che le varietà di nuova costituzione debbano essere testate e iscritte su appositi registri varietali istituiti presso il Ministero delle politiche agricole e forestali. La registrazione ha lo scopo di permettere l’identificazione e la conseguente certificazione delle varietà stesse. In ogni Paese dell’Unione Europea è stato quindi predisposto un apposito registro così come, più recentemente, ne è stato istituito uno cumulativo a livello comunitario. Il nuovo ritrovato genetico, prima di essere commercializzato, deve quindi essere iscritto al Catalogo nazionale o al catalogo di un Paese appartenente all’Unione Europea. L’iscrizione al registro può essere chiesta dal costitutore della varietà o dai suoi aventi causa o, in mancanza di essi, da un
Spighe di frumento duro con ariste nere Foto V. Bellettato
Campo parcellare con diverse varietà di frumento
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attività sementiera istituto o altro soggetto operante in campo sementiero che offra le necessarie garanzie del mantenimento in purezza della varietà. L’iscrizione è disposta dal Ministro delle politiche agricole e forestali, sentito il parere di un’apposita Commissione di esperti nominata dal Ministro stesso, e integrata, di volta in volta, da specialisti della specie esaminata. La commissione, ai fini dell’iscrizione, deve accertare che ogni varietà si distingua per uno o più caratteri importanti da quelle già esistenti, che sia sufficientemente omogenea e stabile nei suoi caratteri essenziali e che abbia un valore agronomico e di utilizzazione soddisfacente. La commissione decide sulla base di prove agronomiche, che vengono condotte per due anni in più ambienti italiani, e di prove descrittive per la verifica dei caratteri di differenziabilità di varietà esistenti, stabilità della varietà stessa e uniformità nei caratteri distintivi. La corrispondenza della varietà e il suo valore agronomico e/o qualitativo ne consentono l’iscrizione. Dal momento della registrazione, il costitutore si impegna formalmente a mantenere la varietà in purezza negli anni successivi e a consentire ai funzionari del Ministero la verifica della sua idoneità a esercitare l’attività di conservazione. La perdita di una delle caratteristiche o condizioni richieste per l’iscrizione comporta la cancellazione della varietà dal registro.
Particolare di una spiga di frumento mutico in maturazione
Brevetto per i nuovi ritrovati vegetali L’attività di ricerca si finanzia attraverso gli introiti derivati dal pagamento del diritto di brevetto dovuto al costitutore o ai suoi aventi causa, dalle aziende sementiere che moltiplicano, a scopo di farne attività di commercio, la nuova varietà. Perché il costitutore possa vantare questo diritto è necessario che la varietà, oltre a essere iscritta al catalogo nazionale, venga anche brevettata come nuovo ritrovato genetico. La richiesta di brevettazione deve avvenire dopo l’iscrizione e, comunque, prima della commercializzazione. Purtroppo il nostro Paese non ha mai creato un “Ufficio brevetti vegetali” e il proprietario della varietà è costretto a depositare il proprio ritrovato presso l’Ufficio brevetti industriali. Quest’ufficio, nei primi anni
Spighe di frumento aristato
Foto V. Bellettato
Foto V. Bellettato
Parcella di frumento tenero in fase di riempimento spiga
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ricerca di applicazione della Legge, ha rilasciato, con molto ritardo, alcuni brevetti e negli ultimi anni non ne ha più rilasciato alcuno. Il comportamento dell’Ufficio brevetti industriali è comprensibile: è ben diverso l’iter di valutazione di una nuova attrezzatura industriale in rapporto a un frumento. Ne consegue che la richiesta agricola “vaga” da una scrivania all’altra e viene rimandata nel tempo. Inevitabilmente oggi il costitutore italiano si trova costretto a richiedere la brevettazione della varietà direttamente all’Ufficio brevetti vegetali istituito a livello comunitario con non poche difficoltà, nuove valutazioni, alti costi e lunghi tempi di attesa. Nonostante ciò, il creatore di una varietà deve poter incassare i diritti di brevetto, pena l’impossibilità di finanziare la sua attività. Il grafico a lato mostra quale abisso esista fra l’autofinanziamento italiano e quello degli altri Paesi. Il grafico mette in evidenza come negli altri Paesi, oltre a un diritto riconosciuto ai sementieri moltiplicatori, è stato istituito un sistema di raccolta anche presso gli agricoltori che utilizzano il seme riprodotto in azienda da precedenti colture derivanti dalle varietà brevettate. A oggi in Italia non esiste nulla di simile, sia perché per fare ciò occorre una precisa volontà politico-sindacale, sia perché la dimensione delle aziende agricole italiane è per la stragrande maggioranza piccola e questo rende molto più complicato mettere a punto un sistema di controllo e di raccolta delle “royalty” che non penalizzi o premi nessuno. In futuro occorrerà prestare molta attenzione al problema della ricerca nazionale se vogliamo mangiare pane, pasta e dolciumi italiani fatti con varietà italiane, sane e ben controllate.
Risorse destinate alla ricerca varietale 60
Milioni di €
50
20%
40
25%
30
12%
20 10 0
IT
Seme certificato acquistato
FR
UK
DE
Seme riprodotto in azienda
Fonte: A.I.S. Foto V. Bellettato
Mantenimento in purezza della varietà Perché una varietà possa mantenere nel tempo le caratteristiche rilevate al momento dell’iscrizione occorre mettere in atto un preciso programma di mantenimento in purezza. Mantenere in purezza una varietà significa fare in modo che, anno dopo anno, il coltivatore si ritrovi nel campo piante aventi sempre le caratteristiche di taglia, colore e sanità e spighe con le caratteristiche rilevate al momento dell’iscrizione. È questa l’attività più
Spighe di frumento duro con ariste bianche
240
attività sementiera Campo di moltiplicazione seme
impegnativa che il costitutore deve affrontare dopo la creazione varietale. In sintesi deve, ogni anno, scegliere nell’ambito di un nucleo di conservazione, seminato su un piccolo appezzamento, un numero di piante assolutamente corrispondenti a quelle registrate. Le spighe scelte da queste piante verranno raccolte una a una, sgranate una a una in modo isolato e seminate, l’anno successivo, in file distanziate perché l’operatore possa, in primavera in fase di spigatura, passare tra le file ed effettuare “l’epurazione” di eventuali piante “disgiuntive”. Da questa prima semina nascerà la purezza che, messa in campo l’autunno successivo, darà il primo nucleo commerciale: il pre-base. Questa attività è quindi molto delicata perché un errore in questa fase può compromettere tutto il lavoro svolto in precedenza. Si pensi, per esempio, a una varietà resistente alla ruggine bruna. Se in questa fase viene raccolta una pianta che invece ha denotato sensibilità a questo tipo di ruggine, in due anni la varietà coltivata risulterà sensibile alla suddetta malattia. Tale procedimento si rivela molto impegnativo anche perché più la varietà è diffusa, più file-spighe dovranno essere selezionate.
Foto V. Bellettato
Moltiplicazione e attività sementiera La diffusione delle varietà avviene attraverso l’attività delle aziende sementiere, che spesso sono detentrici delle varietà in quanto esse stesse costitutrici. Diversamente esercitano la loro attività acquistando il “seme tecnico” dal costitutore moltiplicandolo allo scopo di ottenere un prodotto commerciale. Quante sono le aziende sementiere italiane e come sono dislocate sul territorio è possibile rilevarlo dai due grafici successivi. È evidente come la stragrande maggioranza delle aziende italiane è impegnata nella moltiplicazione del seme di cereali a paglia (frumento tenero, frumento duro e orzo). Per quanto
Campo di moltiplicazione seme
Settori di attività delle aziende sementiere in Italia 180
1999
160
2003/04
140 120 90 80 60 40
Fonte: AIS
Numero di aziende
200
20 0
Frumento duro
Frumento tenero
Orzo
Erba medica
Trifoglio alessandrino
Loietto italico
Trifoglio incarnato
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Patata
Veccia
Bietola
ricerca
1998/99
100 80 60 40 20 Duro Tenero Orzo
Soia
Mais
Produzione nazionale Importazione
Friuli
Trentino-Alto Adige
Umbria
Abruzzo
Molise
Basilicata
Quanto seme viene prodotto in Italia Nei grafici viene evidenziata la produzione commerciale italiana di seme e si evincono chiaramente i mutamenti intervenuti dopo l’applica-
Fonte: AIS
Produzione di sementi (tonnellate) 450.000 450.000 400.000 400.000 350.000 350.000 300.000 300.000 250.000 250.000 200.000 200.000 150.000 150.000 100.000 100.000 50.000 50.000 0 0 Fr. duro Fr. duroFr. tenero Fr. tenero OrzoOrzo
Campania
Sardegna
Calabria
riguarda il frumento, le aziende del nord Italia concentrano la loro attività nella produzione di seme di tenero e quelle del centro-sud in quella del frumento duro. La nuova politica agricola comunitaria, entrata in vigore nel 2005, ha spostato la corresponsione dei premi europei dalla coltivazione, in particolare quella di frumento duro, all’azienda agricola come tale, indipendentemente dalla specie seminata. Questo ha radicalmente cambiato la geografia produttiva del nostro Paese disincentivando la coltivazione del frumento duro al centro-sud a favore di altre colture e spostandone parte della superficie negli areali del centro-nord. Questa nuova situazione sta costringendo le aziende sementiere a riconversioni rapide, antieconomiche e, spesso, tutt’altro che semplici.
Bilancio del fabbisogno di sementi
0
Marche
Toscana
Lazio
Piemonte
Veneto
Sicilia
Lombardia
Fonte: AIS
2003/04
Puglia
70 60 50 40 30 20 10 0
Emilia Romagna
Numero di aziende
Distribuzione regionale delle aziende sementiere in Italia
2003/04 2003/04 2004/05 2004/05 2005/06 2005/06
MaisMais
SoiaSoia
Fonte: ENSE Fonte: ENSE
Produzione di sementi (ettari) 180.000 180.000 160.000 160.000 140.000 140.000 120.000 120.000 100.000 100.000 80.000 80.000 60.000 60.000 40.000 40.000 20.000 20.000 0 0 Fr. duro Fr. duroFr. tenero Fr. tenero OrzoOrzo Fonte: ENSE Fonte: ENSE
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2003 2003 2004 2004 2005 2005 2006(*) 2006(*)
MaisMais
SoiaSoia
(*) 2006: datidati provvisori (*) 2006: provvisori
attività sementiera zione della nuova politica agricola comunitaria. Per quanto riguarda il seme di frumento tenero e duro il nostro Paese è, oggi, autosufficiente. Vale però la pena di ricordare che l’autosufficienza italiana per il frumento tenero è ottenuta, come detto, attraverso la moltiplicazione di parecchie varietà costituite in Francia.
Uso del seme certificato
• Bassi prezzi di mercato stanno
comprimendo l’impiego di mezzi tecnici, tra cui le sementi
La certificazione e la commercializzazione del seme Come già anticipato, il seme può essere messo in commercio solo se certificato dall’ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette). Le sementi commerciali appartengono alle seguenti categorie:
• Il seme certificato è alla base
di produzioni di qualità, salubri, controllate anche per la presenza di OGM
Pre-base con cartellino dell’Ente certificatore bianco barrato di viola Base con cartellino bianco 1° Riproduzione con cartellino azzurro 2° Riproduzione con cartellino rosso
• Il seme certificato rappresenta
il mezzo meno oneroso dal punto di vista amministrativo per applicare la tracciabilità
La semina di pre-base produce seme di base e così via fino alla seconda riproduzione. Quello che si ottiene da quest’ultima categoria è il prodotto destinato al consumo. Il pre-base proviene direttamente dal costitutore, le altre categorie sono liberamente commercializzate a seconda degli accordi che le società sementiere hanno stipulato con il costitutore. Per poter ottenere seme certificato, la società sementiera deve sottoporre la coltura al controllo da parte dell’Ente certificatore. È compito dell’ente certificatore: - verificare, attraverso i cartellini esibiti dall’agricoltore moltiplicatore, che la categoria impiegata nella semina sia quella precedente a quella richiesta in certificazione; - verificare le condizioni della coltura in atto: rispondenza varietale sanità, isolamento da altre colture non appartenenti alla stessa varietà, eventuale infestazione da malerbe. Se al termine del controllo l’appezzamento risulta idoneo, l’ENSE rilascia alla ditta sementiera un certificato di avvenuto controllo in campo, il quale consente all’industria sementiera di ritirare il seme dall’agricoltore e, sempre sotto il controllo ENSE, trasformarlo. Nello stabilimento, l’ENSE preleva campioni di seme già confezionato per l’analisi di germinabilità e purezza. Se tutto corrisponde, rilascia i cartellini di certificazione che vengono applicati sui sacchi. L’azienda sementiera è tenuta poi ad annotare su un apposito registro di carico e scarico tutta la movimentazione del seme, sia prima sia dopo la trasformazione. Negli ultimi anni, anche grazie alla professionalità raggiunta dalle imprese sementiere di tutta Europa, dopo alcuni anni di verifica e in seguito alla preparazione di operatori aziendali da parte degli enti certificatori, l’UE ha accreditato a esercitare tutti i controlli afferenti l’attività di certificazione le aziende che hanno dimostrato di avere personale qualificato e laboratori attrezzati. Presso queste aziende l’ENSE esercita un’attività di controllo sull’operato degli addetti ed effettua campionamenti di verifica su un’ingente quota di prodotto messo in commercio.
• Il vincolo del seme certificato
per gli aiuti (ex art. 69) ha favorito il settore contro l’impatto della riforma PAC e deve essere necessariamente salvaguardato
Esigenze del settore sementiero
• Organizzare meglio la produzione e le filiere
• Orientare la ricerca genetica varietale • Promuovere l’innovazione varietale, fattore insostituibile di crescita
• Sostenere la produzione sementiera
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