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il mais
coltivazione Tecnica colturale Tommaso Maggiore, Luigi Mariani, Alberto Verderio
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Tecnica colturale Esigenze climatiche Il mais è una coltura termofila che cresce in una vasta gamma di condizioni climatiche. Anche se gran parte delle coltivazioni si trova nell’emisfero boreale fra il 35° e il 45° parallelo, il mais viene oggi coltivato in una fascia latitudinale assai ampia i cui estremi si collocano a 50° di latitudine nord e a 40° di latitudine sud. Alle latitudini più elevate il principale fattore limitante è la temperatura, per cui si rende possibile solo la coltivazione di ibridi precocissimi e poco produttivi, mentre negli ambienti caratterizzati da siccità estiva (per esempio, areali a clima mediterraneo, areali della fascia intertropicale) il fattore limitante principale è l’acqua e la coltura è possibile solo in presenza di consistenti disponibilità irrigue ovvero, nel caso delle fasce intertropicali, durante le stagioni delle piogge. Per comprendere le peculiarità del mais, che ne fanno un insuperabile produttore di biomassa vegetale, si può prendere spunto dalle caratteristiche agroclimatiche degli areali che a livello mondiale primeggiano per livelli produttivi unitari e cioè gli areali europei delle medie latitudini (Italia centro-settentrionale) e il Corn Belt americano. Tali areali, nel periodo di coltura del mais, si caratterizzano per: – elevati livelli di radiazione solare; – temperature medie fra 21 e 27 °C ; – temperature medie notturne superiori a 15 °C; – periodo esente da gelo di 130-150 giorni. Di seguito vengono descritte le esigenze del mais rispetto ai principali fattori meteoclimatici.
Agrometeorologia per la maiscoltura
• L’impiego di informazioni meteo-
climatiche può rivelarsi di indubbia utilità per le scelte strategiche e gestionali dell’imprenditore maidicolo
• Le previsioni meteorologiche sono
oggi un supporto concreto per le decisioni gestionali. In proposito si deve considerare che una previsione meteorologica è utile per scopi operativi per 3-5 giorni dall’emissione e che, in condizioni di tempo anticiclonico, la previsione può rivelarsi utile per scopi operativi fino a 7-8 giorni dall’emissione
• I produttori debbono interagire e
cooperare con i servizi meteorologici; tuttavia, salvo eccezioni, non possono pensare che il servizio meteorologico possa fornire loro i dati delle principali misure riferiti direttamente al territorio aziendale. Per disporre di tali dati è importante che il produttore si attrezzi con alcuni strumenti, elettronici o meccanici, e che con questi esegua misure con regolarità
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tecnica colturale Esigenze radiative. Il mais in origine era specie brevidiurna mentre le varietà attuali sono fotoindifferenti, il che favorisce in modo considerevole l’ampliamento dell’areale di coltura. Le caratteristiche di pianta C4 del mais gli consentono di sfruttare gli elevati livelli di radiazione propri delle giornate estive di pieno sole, con valori massimi giornalieri di radiazione solare globale dell’ordine dei 800-900 W m-2, che alle medie latitudini corrisponde a valori cumulati giornalieri dell’ordine dei 30 MJ m-2. Al contrario, periodi con copertura nuvolosa persistente si rivelano sfavorevoli alla coltura, mentre la copertura intermittente, propria di condizioni meteorologiche di variabilità, è generalmente ben sopportata. L’ombreggiamento all’interno della canopy, cioè della massa vegetante, limita il livello produttivo del mais e ciò ha spinto i miglioratori genetici a ridurre tale inconveniente modificando il portamento delle foglie in modo tale da favorire la penetrazione della luce, che è stato ottenuto selezionando ibridi che manifestano il carattere “foglie erette”, almeno per le foglie al di sopra della spiga, e una infiorescenza maschile piccola tale da ombreggiare il meno possibile.
Fotoperiodismo
• In molte specie vegetali l’attivazione dei meccanismi che portano alla fioritura (induzione fiorale) è influenzata dalla lunghezza del giorno. Ciò avviene per effetto dell’azione di un particolare pigmento fotosensibile, il citocromo
• La soglia critica di durata del giorno è di 12-14 ore, sia per le specie brevidiurne (per le quali l’induzione fiorale ha luogo quando la durata del giorno scende al di sotto di tale soglia), sia per le specie longidiurne (per le quali l’induzione fiorale ha luogo quando la durata del giorno supera la soglia stessa). Neutrodiurne o fotoindifferenti sono invece le specie insensibili alla lunghezza del giorno
• Fra le specie longidiurne ricordiamo
il frumento, fra le brevidiurne il crisantemo, la fragola e la stella di Natale e fra le fotoindifferenti, oltre al mais, molte specie arboree da frutto
• Dal fotoperiodismo deriva una serie di
precauzioni che devono essere assunte nello spostare una specie vegetale da una fascia latitudinale a un’altra, ovvero le pratiche agronomiche da adottare per indurre la fioritura in specie da fiore in coltura protetta (crisantemi, stelle di Natale)
Confronto fra piante di mais con foglie erette (a destra) e patenti (a sinistra)
Esigenze termiche. Il mais presenta una temperatura cardinale minima di circa 10 °C, una crescita sensibilmente limitata per temperature inferiori a 15 °C, temperature cardinali ottimali per lo sviluppo fra 24 e 30 °C e una temperatura cardinale massima di circa 32 °C. Temperature superiori a 32 °C sono dannose in virtù delle abbondanti perdite di sostanza organica per respirazione. Tuttavia i danni legati alle alte temperature sono contenuti in presenza di abbondanti disponibilità idriche. La temperatura critica minima della coltura si colloca intorno a –2 °C in quanto le piante di mais non sopportano in alcuna misura il gelo; tuttavia l’espansione della coltura verso areali temperati esposti a gelate tardive, oltre 143
coltivazione a giovarsi di specifiche attività di miglioramento genetico (riduzione del cardinale minimo), è stata favorita dal fatto che nelle fasi iniziali di crescita l’apice vegetativo è al di sotto della superficie del suolo e dunque risulta protetto dalle basse temperature. Alla differenza, a volte considerevole, fra la temperatura dell’aria e quella dell’apice vegetativo sono da attribuire molte valutazioni errate in merito allo sviluppo fogliare e più in generale al comportamento vegetativo della coltura nelle fasi iniziali del ciclo. Le basse temperature, specie nella parte iniziale del ciclo, possono provocare carenze nutritive in relazione tanto ai macro che ai microelementi, carenze che si manifestano attraverso anomale colorazioni delle foglie (arrossamenti, ingiallimenti). Le temperature elevate riducono la durata del ciclo e pertanto impediscono il raggiungimento di produzioni unitarie di rilievo, anche se in presenza di elevati livelli di radiazione solare. Ciò spiega perché i livelli produttivi più elevati del mais vengono raggiunti in areali temperati. Le alte temperature notturne (temperature minime dell’ordine di 22-25 °C e oltre), stimolando la respirazione, contribuiscono al calo delle rese negli areali a clima tropicale; tuttavia, il contributo di tale fenomeno appare di rilevanza limitata e comunque non in grado di giustificare la minor resa rispetto agli areali temperati. A favore di questi ultimi gioca invece un ruolo considerevole l’elevata lunghezza del giorno propria del periodo estivo. Deleterie per la coltura del mais si rivelano le temperature elevate (valori superiori a 40 °C, non rari nella fascia intertropicale) specie se associate a bassi valori di umidità relativa, in quanto ne deriva sterilità fiorale e morte del polline. Un indicatore vocazionale particolarmente considerato nel caso del mais è dato dai cumuli di unità termiche (GDD) necessari per portare a maturazione un dato ibrido di mais. In maiscoltura la tecnica dei gradi giorno si presta non solo in sede
Temperature cardinali e critiche
• In presenza di basse temperature per
ogni specie è possibile stabilire due soglie, cioè la temperatura cardinale minima (temperatura al di sotto della quale lo sviluppo si arresta per essere ripreso non appena la soglia viene di nuovo superata in salita) e la temperatura critica minima (temperatura al di sotto della quale si verifica la morte di tessuti o dell’intera pianta). Soglie analoghe possono essere definite per le alte temperature e in tal caso si parla di temperatura cardinale e critica massima
• Si definisce infine cardinale ottimale
l’intervallo di temperature all’interno del quale i processi fisiologici hanno luogo in modo ottimale
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tecnica colturale GDD dal germogliamento alla maturazione fisiologica per alcuni ibridi di mais Pioneer a precocità decrescente
GDD_emissione_sete
Precocissimi
Precoci
Medi
Medio-tardivi
Tardivi
850
Calcolo dei Growing Degree Day (GDD)
800
• Esistono svariati algoritmi per il calcolo delle unità termiche; il più semplice e più comunemente utilizzato prevede il calcolo delle unità termiche giornaliere GDD con la seguente formula:
750 700 650
GDD = (Tmax+Tmin)/2 – Cmin, ove se (Tmax+Tmin)/2 < 0 il valore GDD è 0
600 550
1100
1200
1300 1400 GDD alla maturazione
1500
In tale equazione Cmin rappresenta il cardinale minimo (per il mais 10 °C) e Tmax e Tmin sono le temperature massime e minime giornaliere del giorno in esame
1600
Fonte: rielaborazione con dati Yang et al., 2004
Per esempio in un giorno con Tmax = 28 °C e Tmin = 18 °C, le unità termiche cumulate saranno GDD = (28+18)/2–10 = 13 °C
di stima delle date di accadimento delle fasi fenologiche, ma anche per l’assunzione di decisioni come la scelta degli ambienti più adatti alla coltura o la scelta degli ibridi più idonei a ottimizzare le risorse termiche di un determinato ambiente.
Mappa dell’attitudine termica del mais in Italia 5.200.000
Mappa dell’attitudine termica del mais in Italia
5.000.000
• La cartina a lato, ottenuta con metodi
1800
4.500.000
geostatistici a partire dalle normali climatiche raccolte dalla FAO per 79 stazioni meteorologiche dell’area italiana, riporta con colorazioni diverse i cumuli annui dei GDD a base 10 °C. In bianco sono le aree montane inadatte alla coltura del mais, mentre dal blu al rosso si hanno le aree adatte agli ibridi di mais a tardività crescente, per cui gli areali in blu e azzurro sono adatti per ibridi precoci, quelli in verde e giallo per gli ibridi medi e quelli in arancio e rosso per ibridi medio tardivi
1700 1600
4.600.000
1500 1400
4.400.000
1300 1200
4.200.000
4.000.000
1100
400.000
600.000
800.000 1.000.000 1.200.000
Fonte: elaborazione su dati FAO
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coltivazione Risorse e limitazioni climatiche e distribuzione globale del mais. In base ai criteri enunciati nei paragrafi precedenti è possibile sviluppare una cartografia di massima della vocazione alla coltura del mais. Nel nostro caso, l’individuazione delle aree idonee alla coltivazione del mais è stata ottenuta facendo ricorso a un metodo originale basato su due tipi di strati informativi: – la mappa degli areali con GDD annui > 1100 °C – la mappa delle zone a clima temperato, arido e tropicale secondo la classificazione di Koeppen. I dati di base per ottenere tali strati informativi sono stati i dataset globali della FAO che riportano per celle di 0,5 x 0,5 °C i valori di temperatura media mensile e il codice di tipo climatico di Koeppen. Le aree suscettibili di coltivazione del mais si sono ottenute selezionando le aree che appartengono ai tipi temperati o tropicali di Koeppen e che nel contempo presentano GDD superiori a 1100 °C. Tali aree sono evidenziate nella mappa di sintesi che riporta in arancio l’area del mais.
Classificazione di Koeppen
• Wladimir Koeppen è stato uno dei
maggiori climatologi del ’900 e ha sviluppato una serie di classificazioni che si fondano sulle precipitazioni e sulle temperature dell’aria e che sono ancora oggi molto utili per individuare a livello globale areali omogenei dal punto di vista climatico. Di Koeppen ricordiamo, per esempio, la definizione di clima mediterraneo, definito come quel clima in cui oltre il 70% delle precipitazioni cade nel periodo fra il 1o ottobre e il 31 marzo
Distribuzione globale delle aree vocate al mais su base climatica
50
0
–50
–150
–100
–50
0
Fonte: elaborazione su dati FAO
146
50
100
150
tecnica colturale Terreno Quello ideale per il mais, ma in realtà per tutte le colture, è il terreno profondo, franco, ben fornito di sostanza organica, capace di drenare bene e con una buona capacità di ritenuta idrica, avente lo strato sottostante il profilo colturale profondo e moderatamente permeabile. Il pH deve essere intorno alla neutralità (6,5-7) e la capacità di scambio cationico intorno a 15-20 meq/100 g di terreno. È però evidente che un terreno con queste caratteristiche non è sempre facile da reperire, ciò non deve preoccupare molto in quanto il mais è una coltura che si adatta alle condizioni più diverse. Infatti, operando al meglio, la produttività che si consegue è spesso pari a quella ottenuta nei terreni più dotati. Il mais però poco si adatta a terreni superficiali, a quelli molto compatti o molto limosi, che formano spesso croste superficiali, durissime e tali da non consentire l’emergenza delle piantine o successivamente la penetrazione dell’acqua piovana o d’irrigazione. Anche i terreni pesanti sono idonei alla coltura, anzi proprio in questi, capaci di autostrutturarsi, è più facile realizzare la semina su sodo, o le minime lavorazioni, e ridurre la quantità di acqua irrigua data la loro capacità a trattenerla. Si è fatto cenno prima al pH ottimale, ma in realtà il mais è coltivabile con pH da 5,5 a 8. La conoscenza dettagliata di ogni appezzamento aziendale dal punto di vista chimico-fisico è sempre molto importante per impostare la più corretta agrotecnica, in particolare in questa, una più razionale concimazione e un più puntuale controllo dei competitori nel rispetto dell’ambiente. Infine la conoscenza del suolo e del sottosuolo in termini territoriali, consente di applicare meglio la modellistica e stimare non solo le produzioni, ma anche gli eventuali rischi ambientali.
Terreno
• Il mais non presenta particolari
problemi di adattamento al terreno, anche se non gradisce substrati troppo superficiali o eccessivamente umidi e freddi
• Cresce bene sia in terreni
tendenzialemte sciolti sia in terreni pesanti, purché sia sempre disponibile acqua e nei quali la preparazione del terreno sia stata adeguata al fine di non disperdere le riserve idriche del suolo
• Rispetto al pH e alla salinità è una
specie alquanto tollerante. Le migliori performance si ottengono in genere su terreni neutri o moderatamente acidi, fino a pH 6. Al di sotto di tale soglia, così come al di sopra di pH 8, le condizioni di abitabilità del terreno peggiorano a scapito della produttività
• Molto importante è la funzione del
terreno come substrato nutritivo per la pianta stessa. Un “terreno da mais” deve essere fertile e ricco soprattutto in azoto Foto E. Marmiroli
Nei terreni pesanti la semina su sodo riduce la perdita di acqua del terreno Irregolare densità d’investimento
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coltivazione Esigenze idriche Le precipitazioni caratteristiche dell’areale mondiale di diffusione del mais si collocano nell’intervallo fra 250 e 5000 mm/anno. L’enorme potenzialità produttiva del mais può esplicarsi appieno solo in corrispondenza con il totale soddisfacimento delle esigenze idriche della coltura, il che comporta spesso un apporto idrico considerevole. Per esempio, in luglio, con temperatura media di 25-26 °C e piante in fioritura, il consumo idrico giornaliero è di circa 7-8 mm (70-80 m3 per ettaro), con consumi medi mensili intorno ai 200 mm (2000 m3 per ettaro). Le necessità idriche del mais si concentrano nei 50-60 giorni a cavallo della fioritura e dal soddisfacimento di esse dipende strettamente il livello produttivo finale. Per gli ibridi attuali, nelle condizioni padane, si può considerare un consumo idrico medio da 6000 a 8000 m3/ha. Dato che la pianta attinge acqua anche dalle riserve del terreno, è difficile definire la quantità minima di pioggia che deve cadere nel corso del ciclo per avere una buona produzione in assenza d’irrigazione. I valori orientativi minimi di pioggia caduta lungo il ciclo colturale che possono giustificare l’assenza di irrigazione sono compresi tra 300-400 mm, per terreni di medio impasto e buona capacità di ritenzione idrica del nord, e 450-550 mm per i terreni più leggeri del nord e per il meridione. Tuttavia, in considerazione della variabilità interannuale delle precipitazioni, la scelta di praticare la coltura del mais senza irrigazione deve essere ben ponderata, in quanto la resa risulta assai variabile negli anni.
Criticità per la resa
• I punti di criticità sulla resa finale
si verificano negli stadi R1-R2, seguiti da V7-V9 e ancora da R4-R5. Resta comunque fondamentale il numero di piante per m2
Spiga poco fecondata in punta
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tecnica colturale Foto R. Balestrazzi
Climatologia
• Dalle serie storiche di dati meteorologici
(radiazione, temperatura, precipitazione, vento ecc.) è possibile estrarre una notevole quantità di informazioni. In particolare si può, per esempio, valutare l’adattabilità dei diversi ibridi a un dato ambiente o quantificare il rischio climatico derivante da precipitazioni durante le fasi di semina o raccolta, da freddo tardivo, vento forte, grandine ecc.
• Partendo da tali dati si possono anche
Effetti della carenza idrica
stimare quantitativamente i consumi evapotraspirativi della coltura per poi valutare, tramite tecniche di bilancio idrico, il livello di soddisfacimento delle necessità del mais ottenibile nelle diverse annate tramite le precipitazioni
Carenze idriche intense e prolungate si traducono nella perdita pressoché completa della produzione. È importante considerare anche che apporti idrici insufficienti, nel periodo che precede la fioritura, si traducono in un diffuso fenomeno di proterandria (anticipo della fioritura maschile rispetto a quella femminile), da cui conseguono fenomeni di sterilità fiorale per difetto di impollinazione, il cui sintomo principale è la presenza di spighe di dimensioni ridotte e con la parte apicale priva di semi.
Capannina meteorologica elettronica Piante di mais danneggiate da una violenta grandinata
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coltivazione Ciclo biologico del mais Il ciclo biologico del mais può essere suddiviso in due diverse fasi, differenti anche dal punto di vista delle esigenze pedoclimatiche e nutrizionali: fase vegetativa e fase riproduttiva. La fase vegetativa (nella tabella a lato indicata con la lettera V) procede dalla germinazione all’inizio della fioritura. In tale fase, tutta l’energia posseduta dalla pianta è spesa per il suo accrescimento e per la predisposizione degli organi riproduttivi. Nelle prime 3 settimane dalla semina la piantina cresce e sviluppa prevalentemente a spese delle sostanze di riserva contenute nel seme. Con la successiva formazione delle foglie e l’inizio dell’attività fotosintetica, la pianta inizia la sua vita autonoma. Nei 30-40 giorni successivi l’emergenza, si ha una intensa attività vegetativa che porta alla differenziazione, a livello del “punto vegetativo” posto all’interno della pianta a livello del terreno o subito sotto, delle prime 8-10 foglie. Nello stesso tempo inizia la formazione dell’infiorescenza maschile e successivamente quella della prima spiga all’ascella della 6a foglia sotto il pennacchio. Altre 5-6 spighe sono prodotte nei nodi sottostanti, ma nelle normali condizioni colturali esse non svilupperanno. Superato tale periodo, gli internodi più bassi incominciano ad allungarsi e le piante entrano nella fase di levata che termina 4-6 settimane più tardi con l’emissione del pennacchio. La durata del periodo vegetativo può variare da 45 a 50 giorni per le varietà precocissime a 75-80 giorni, per quelle più tardive. La fase riproduttiva (nella tabella a lato indicata con la lettera R) procede dalla fioritura alla piena maturazione della granella. In tale fase, la maggior parte della produzione fotosintetica della pianta viene accumulata come sostanza di riserva nella granella. L’ingrossamento della cariosside inizia subito dopo la fecondazione e già dopo tre settimane ha raggiunto le dimensioni finali.
Stadi fenologici del mais VE
Emergenza
V1
1a foglia*
V2
2a foglia
V3
3a foglia
Vn
N° foglia (cambia con l’ibrido)
Vt
Compare l’infiorescenza maschile e la spiga senza sete
R1
Comparsa delle sete, impollinazione**
R2
Formazione delle cariossidi che si presentano bianche e con liquido trasparente all’interno
R3
Maturazione lattea. Le cariossidi sono colorate,con liquido di color latte
R4
Maturazione cerosa. Consistenza pastosa della cariosside
R5
Formazione del dente nella cariosside
R6
Maturazione fisiologica. Comparsa del punto nero alla base della cariosside
V = fase vegetativa R = fase riproduttiva * Ogni stadio fogliare è definito dall’ultima foglia il cui collare è visibile ** Gli stadi seguenti a R1 vengono valutati considerando le cariossidi della parte centrale della spiga
Ciclo biologico del mais R3 R1
Vt V9-10 V3 Germinazione
VE
150
R6
tecnica colturale La maturazione “piena” o fisiologica della granella si raggiunge indicativamente 60-70 giorni dopo la fioritura. Germinazione. La radichetta perfora i tegumenti della cariosside quindi si allunga il coleottile per raggiungere la superficie del terreno. Il seme può iniziare a germinare quando la temperatura del terreno è di circa 10 °C e con questo valore l’emergenza si ha in 3 settimane. Con temperature più alte (16-18 °C) si ha in circa 8-10 giorni e con temperature ancora più alte (22-25 °C) in 4-5 giorni. Con la germinazione si ha la ripresa della vita attiva dell’embrione. In questo stadio e nel successivo si determina la densità di piante per unità di superficie. Fattori negativi al regolare andamento della germinazione possono essere: il freddo, l’eccesso o la carenza di acqua e gli eventuali parassiti animali. Gli stessi fattori sono nocivi nei successivi due stadi.
Germinazione
Emergenza (VE). Il coleottile è visibile alla superficie del terreno. Si dice che l’emergenza è avvenuta quando la metà delle piante ha il coleottile visibile. In questo stadio ha inizio la formazione delle nuove foglie a livello della gemma terminale posta sotto il suolo. La differenziazione di tutte le foglie termina circa 30 giorni dopo l’emergenza. Stadio 4 foglie (V4). La 4a foglia è visibile nel cono centrale. In questo stadio la pianta diventa autonoma avendo esaurito tutte le riserve del seme. Il numero di piante è definitivo. Ha inizio la formazione dell’infiorescenza maschile e dopo circa 10 giorni quella della spiga presente all’ascella della sesta foglia al di sotto dell’infiorescenza maschile; vengono inoltre predisposte altre spighe nei nodi sottostanti, delle quali solo alcune possono svilupparsi in condizioni particolarmente favorevoli.
Emergenza e stadi successivi fino a V2
Stadio di 9-10 foglie (V9-V10). Quando spunta nel “cornetto” la 10a foglia, la pianta ha un’altezza di circa 50-60 cm, si completa la formazione della spiga e pertanto il numero dei ranghi della stessa diventa definitivo e si è già determinata la lunghezza di ciascun rango. I fattori limitanti che in questo stadio possono intervenire sono la scarsa alimentazione idrica e la concorrenza determinata dalle piante infestanti. In questo stadio ha inizio la levata, che termina con l’emissione dell’infiorescenza maschile. L’apparato radicale continua ad accrescersi e nuove radici vengono emesse dalla corona (così è chiamato il punto costituito da 4-5 nodi, molto ravvicinati, posto al di sotto del terreno).
Stadio V5
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coltivazione Panicolo visibile (Vt). Stadio di piena levata con attività molto intensa per tutti gli organi della pianta. I principali fattori limitanti che possono intervenire sono: stress idrico, piralide e piegamento del culmo dovuto a forte vento. Complessivamente la durata del periodo emergenza-fioritura, per gli ibridi coltivati in Italia e per epoca di semina normale, è di 5080 giorni. Fioritura femminile (R1). Questo stadio viene definito quando la pianta presenta la spiga con visibili le prime sete, e convenzionalmente, a livello di appezzamento, quando il 50% delle piante si trova nelle condizioni sopra descritte. In questo stadio avviene la fecondazione. Il massimo della resa si ottiene quando tutti gli ovuli presenti nella spiga vengono fecondati. Cause avverse possono essere: stress idrici, piralide, diabrotica e piegamento del culmo dovuto a forte vento.
Fioritura maschile
Maturazione lattea (R3). Ci si trova in questo stadio quando premendo la granella con le dita si ottiene il completo svuotamento, con fuoriuscita di un materiale bianco-lattiginoso e dolciastro. Questo stadio si raggiunge dopo 20 giorni dalla fecondazione con inizio del periodo di accumulo di amido nella granella. Maturazione cerosa (R4). Alla maturazione lattea segue quella cerosa (cariosside che si intacca con la pressione dell’unghia); ciò si verifica dopo circa 25 giorni dal precedente stadio. In R4 si determina, compatibilmente con il genotipo, il peso unitario della granella e vengono definiti la lunghezza del seme e il peso ettolitrico. Un qualsiasi stress in questo periodo (stadi R3-R5) può influenzare, pur essendo fuori dallo stadio critico (R1 e R2), il peso unitario, componente anch’esso della resa unitaria. Limitano le potenzialità della pianta: gli eventuali stress idrici, la piralide e le malattie fungine delle foglie.
Fioritura femminile
Maturazione fisiologica (R6). Il raggiungimento di questo stadio lo si può osservare quando alla base della cariosside (punto di attacco con il tutolo) si riscontra la presenza di un punto nero. In questo stadio, le brattee della spiga tendono a seccare. Non si ha più trasferimento di fotosintati nella granella e quindi un aumento in peso della stessa. In questo stadio i principali fattori che possono limitare la resa sono: piralide, malattie delle foglie e stroncamento del culmo dovuto a parassiti.
Spiga in maturazione lattea
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tecnica colturale Componenti della resa Produzione granella (g/m2)
Numero spighe m2
Cariossidi per spiga n°
Peso cariossidi (g)
N° fiori per spiga
N° piante m2
% allegagione
N° spighe per pianta N° semi m2
% di emergenza
Fasi del ciclo e momenti in cui viene influenzata la resa N° ranghi-ovuli/spiga N° piante/ha
N° ovuli per rango
N° spighe per pianta % fecondazione
Peso cariosside
Stadio critico per i fattori della resa Stadio N° piante “normali” x m
G-V6
Dimensioni della spiga numero ranghi lunghezza rango
V4-V6 V7-V9
Numero cariossidi per spiga
R1-R2
Peso delle cariossidi profondità cariosside densità cariosside
R4-R5 R5
2
Semina
4-5 8-10 foglie foglie
Germinazione
Fioritura
Maturazione
Panicolo al colletto Periodo critico
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coltivazione Avvicendamento colturale Il mais nelle rotazioni di un tempo, come la bietola e la patata, coltura sarchiata che utilizza bene gli apporti di sostanza organica, veniva posto in testa alle stesse, dopo un cereale vernino o la rottura di un prato. Come tutte le piante sarchiate esigenti il mais guadagna a essere coltivato dopo piante “miglioratrici”: leguminose da foraggio (erba medica, trifoglio violetto o ladino) o da granella (soia, pisello, veccia). Pianta soffocante per le infestanti, dopo una certa fase fenologica, è dotata di un sistema radicale potente e può essere considerata anche una pianta pioniera, cioè utilizzata per prima dopo una radicale sistemazione idraulico-agraria dei terreni. Negli ultimi decenni però, in Italia, si è assistito sempre di più, date le mutate condizioni socio-economiche dell’agricoltura, alla successione stretta di mais su mais (omosuccessione) per diversi anni. Questa ripetizione è possibile perché il mais non sembra, contrariamente ad altre piante, lasciare nel terreno residui tossici per se stesso e perché il mantenimento della struttura del terreno è possibile per l’azione del possente apparato radicale e per le restituzioni organiche che lo stesso assicura nel caso del mais da granella; mentre nel caso del mais destinato all’insilamento, le restituzioni organiche con solo liquame potrebbero portare a un impoverimento della sostanza organica del terreno. Ciò però, in pratica, non sembra avvenire sia perché lo stocco viene sempre interrato, sia perché raramente nelle aziende zootecniche si pratica esclusivamente la coltura dell’erbaio di mais per l’insilamento. L’omosuccessione è tuttavia dannosa per più ragioni: – la raccolta, spesso tardiva, effettuata su suoli umidi, fa sì che il terreno di anno in anno diventi più compatto;
Mais nell’avvicendamento
• Il mais è una coltura definita “da
rinnovo” in quanto, come conseguenza delle particolari cure colturali che riceve (lavorazioni profonde, abbondanti concimazioni e irrigazioni), lascia il terreno particolarmente fertile per le colture che lo seguono
• Nei sistemi di avvicendamento classici veniva inserito tra prato e grano: in tal modo il grano si avvantaggiava della fertilità residua delle concimazioni eseguite al mais, il quale, a sua volta, era tra i migliori sfruttatori dei miglioramenti del terreno apportati dal prato
• Nelle aree a più elevata specializzazione maidicola è generalmente avvicendato a se stesso (omosuccessione)
154
tecnica colturale – nei terreni in pendio, anche debole, l’erosione è accelerata dato che il suolo è mantenuto umido ed esposto alle piogge autunnali. In realtà, in questi terreni, il tipo di danno è più alto nel caso delle colture ripetute di erbaio di mais per l’insilamento; – l’impiego di diserbanti selettivi facilita la proliferazione di certe avventizie graminacee (della stessa famiglia del mais) come setaria e digitaria, ma anche di dicotiledoni entro le quali si sviluppano dei biotipi resistenti ai diserbanti normalmente utilizzati; – tutte le omosuccessioni squilibrano il suolo e possono incrementare i parassiti specifici della coltura (per esempio la recente diffusione di Diabroitica virgifera virgifera), necessitano di concimazioni minerali più elevate e costose e un rafforzamento della lotta ai competitori (funghi, insetti, malerbe). Gli avvicendamenti, invece, permettono una utilizzazione molto più ragionevole ed economica dei fertilizzanti e dei nutrienti liberati dal suolo.
Mais nella rotazione classica
• Una rotazione classica lombarda fino
al 1960 era quella settennale: maisfrumento-mais-frumento-prato-pratoprato
• Dopo il frumento di norma venivano
coltivati degli erbai intercalari, alcuni di questi potevano essere di mais in coltura fitta (granturchino). La semina del prato poteva essere fatta nel frumento (bulatura) nella primavera del 4° anno e in questo caso il prato aveva una durata produttiva di tre anni e mezzo
Prove parcellari per valutare l’effetto di avvicendamenti diversi sulla produttività del mais
Preparazione del terreno Il terreno per la coltura del mais deve essere in grado di trattenere grandi riserve di acqua, riscaldarsi facilmente, avere un profilo colturale omogeneo. La riserva di acqua disponibile per il mais dipende dall’infiltrazione della stessa in profondità, nel corso dell’autunno-inverno e poi nel corso del ciclo vegetativo, e dal contenuto in sostanza organica del terreno. Il riscaldamento del terreno è essenziale per una pronta germinazione (temperatura a partire da 10 °C). Una buona struttura e l’assenza di “suole” superficiali o profonde sono necessarie per consentire lo sviluppo dell’apparato radicale in profondità per meglio resistere alla siccità e prelevare nutrienti non solo nello strato più superficiale. Quanto sopra si può realizzare con tecniche tradizionali o con lavorazioni minime.
Soia (in alto) e trifoglio (in basso) sono specie che, come la medica, ben si adattano alla precessione con mais
155
coltivazione Preparazione tradizionale: aratura e affinamento accurato. Le arature permettono una più facile penetrazione dell’acqua nel terreno; lo espongono meglio al sole, al gelo e all’alternanza del disseccamento e umettamento, producendo una buona struttura e distruggendo le “suole” costipate; permettono l’incorporazione dei residui colturali, dei fertilizzanti minerali che si spostano in profondità con una certa difficoltà (fosforo e potassio) e dei fertilizzanti organici. Le arature autunnali sono raccomandate in terreni argillosi o tendenzialmente tali. Al contrario nei terreni leggeri e che si costipano con facilità, l’aratura autunnale può essere dannosa in quanto le piogge potrebbero costipare di nuovo il terreno. In questo caso l’aratura deve essere effettuata tra la fine dell’inverno o meglio appena prima della semina, consentendo così di attuare delle colture a raccolta primaverile precoce. Le lavorazioni superficiali o di effettiva preparazione del letto di semina devono essere tali da rendere lo strato superficiale del terreno affinato per poter ricevere la semente e non creare ulteriori suole superficiali. Per questa ragione è essenziale scegliere bene le attrezzature adatte all’ottenimento dello scopo. Se si escludono i terreni argillosi, per i quali è difficile dare ricette per la preparazione del letto di semina, in certe situazioni basta un semplice passaggio di erpice per ottenere il risultato voluto, in altre è necessario intervenire prima con erpici a disco, poi con altri a rotazione verticale e infine con pareggiatori. Negli altri tipi di terreno oggi si tende, dopo l’aratura, a effettuare un solo passaggio con più attrezzi combinati tra loro, per ridurre i tempi di lavoro, economizzare carburante e ridurre il costipamento. Nelle omosuccessioni è utile o indispensabile completare il lavoro di aratura con dei ripuntatori tipo Chiesel per eliminare le suole profonde o, nel caso in cui si riscontrano anche suole superficiali, con ripuntatori vibranti dotati posteriormente di un rullo a gabbia.Relativamente alla profondità di
Aratura Foto V. Bellettato
Macchina combinata per la preparazione del letto di semina
156
tecnica colturale aratura, che un tempo, come per tutte le colture, in Italia si consigliava profonda, oggi si tende a non far superare i 25-30 cm. Minima lavorazione. È una tecnica molto diffusa negli Stati Uniti e con modalità diverse si va diffondendo anche negli altri Paesi maidicoli per cercare di limitare i costi colturali, senza intaccare la resa, mantenendo una buona struttura del terreno. Si fa cenno qui di seguito ad alcuni metodi di minima lavorazione: – sostituzione dell’aratura con una scarificatura profonda, seguita da un erpice rotativo verticale associato o meno a una seminatrice di precisione. Si può impiegare per la semina diretta su prato dopo aver eliminato la vegetazione con un diserbante totale; – sostituzione dell’aratura con un unico passaggio di una attrezzatura composta da uno scarificatore profondo, vibrante, un estirpatore superficiale e un rullo a gabbia. Più generalmente in Italia, in terreni franchi o argillosi, molto spesso l’aratura viene sostituita con una preparazione del suolo attuata con un solo passaggio di uno strumento ad azione energica quale l’erpice rotativo associato a un rullo a gabbia o, se il terreno è leggero, con vibrocoltivatore sempre munito posteriormente di rullo a gabbia. Esistono anche attrezzature complesse munite di seminatrice, spandiconcime e diserbatrice ancora poco impiegate, almeno in Europa. In molti areali maidicoli degli Stati Uniti la minima lavorazione, ma anche la non lavorazione, di cui si cominciò a parlare dopo la prima crisi petrolifera agli inizi degli anni ’70 dello scorso secolo, vengono effettuate essenzialmente per controllare l’erosione eolica del suolo. Gli eventuali benefici, quali quelli dovuti a un minor impiego di energia, sono aggiuntivi. Molti esperimenti nelle più svariate parti del mondo hanno mostrato che l’applicazione delle tecniche di minima lavorazione o
Ripuntatore con pareggiatore Foto V. Bellettato
Terreno dopo il passaggio del ripuntatore
157
coltivazione non lavorazione consentono risultati favorevoli nei terreni in grado di autostrutturarsi, mentre nei terreni sabbiosi e limosi le tecniche tradizionali risultano ancora le più valide. Sempre prendendo in considerazione l’elevato numero di esperimenti effettuati su questi argomenti i risultati mostrano che attuandoli, quando è possibile farlo, è necessario prevedere una maggiore concimazione azotata e un maggior costo della lotta contro le erbe infestanti.
Ridge till
• È una tecnica americana di minima
lavorazione in ambienti con omosuccessione di mais o con avvicendamento biennale mais-soia. La tecnica è la seguente: 1° anno: rincalzatura accentuata del mais, raccolta e trinciatura degli stocchi 2° anno e seguenti: taglio della “porca” (scalping) per eliminare gli apparati radicali superficiali e semina del mais che, quando raggiunge le 9-10 foglie, viene rincalzato nuovamente
Schema della tecnica “Ridge till” Prima della semina
Dopo la semina
• Consiste pertanto in una sistemazione a porche permanenti che, perché non vengano rovinate, richiede che tutte le attrezzature siano adeguatamente dimensionate
Dopo il primo anno
Secondo anno (ricostruzione della porca)
Concimazione Il mais è una pianta che svolge il suo ciclo velocemente. I bisogni per tonnellata di granella prodotta sono considerevoli anche se inferiori a quelli di altri cereali come il frumento. Tuttavia le restituzioni al suolo con l’interramento dei residui colturali sono elevate: 2/3 dell’azoto; 3/5 del fosforo e 5/6 del potassio. Il ritmo di assorbimento dei macronutrienti è rappresentato nel grafico della pagina seguente dal quale si osserva che lo stesso è molto intenso in un periodo di circa 60 giorni a cavallo della fioritura. Quasi 3/4 dell’azoto sono assorbiti in 1/3 del ciclo. Il mais utilizza bene le riserve del suolo che vengono mineralizzate nel periodo di massima intensità di assorbimento quando la disponibilità idrica è sufficiente.
Assorbimenti di macronutrienti (kg) per tonnellata di granella Granella
Parte epigea senza Radici Totale granella
N
13,5
11,2
8,3
33
P
5,8
4,2
3,3
13,3
K
4,5
16,2
6,6
27,3
158
tecnica colturale Assorbimento dei nutrienti nel corso dello sviluppo della pianta Azoto (N)
N, P, K assorbiti dalla pianta (% del totale)
100
• È presente nel profilo colturale in
90
quantità variabile fra 1000 e 4000 kg/ha, prevalentemente in forma organica, e per 1-2% come ione ammonio, nitrato e nitrito
80 70 60
• Rappresenta l’elemento più importante
50
per il mais in quanto ne influenza in modo determinante la produzione, sia in termini di resa, sia di proteina grezza, anche se non modifica i rapporti fra gli aminoacidi
40 30 20 10 0
0
25
50
75
100
115
Sviluppo della coltura (giorni) Peso secco
N
P
K
Le rese della coltura sono fortemente influenzate da tre fattori: acqua, densità e concimazione. Questi sono fattori tra loro solidali. L’acqua non deve mancare specie nel periodo critico. Relativamente alla densità quando la stessa è insufficiente non si avranno buone rese anche se le spighe saranno più grandi rispetto a quelle che si ottengono con una densità più elevata. La densità, come si vedrà meglio in seguito, può variare da un minimo di 50.000 a 100.000 piante per ettaro; sarà tanto più alta quanto più è possibile irrigare e se, a parità di epoca di semina, l’ibrido è più precoce. Contrariamente ad altri cereali, il peso di 1000 semi di mais è prevalentemente influenzato dal genotipo: ciò significa che se la nutrizione del mais è deficiente si avranno meno cariossidi per spiga, ma il peso sarà poco influenzato. Lo stesso peso, però, può essere influenzato negativamente da un cattivo stato sanitario, per esempio da un attacco tardivo dello stocco da Fusarium spp. (premorienza). Il livello delle concimazioni minerali dipende dalle asportazioni, dalle restituzioni organiche, dalla dotazione del terreno e dalla disponibilità in acqua. Le asportazioni variano in dipendenza del sistema di coltura. Una raccolta di 10 tonnellate di granella asporta per ettaro N, P, K, rispettivamente in ragione di 135, 58 e 45 kg. Se si aggiungono le perdite per lisciviazione (con le piante sarchiate sono nell’ordine di almeno 100 kg di N e 20-25 di K) e per fissazione del fosforo, specie nei suoli ricchi in calcio, di 20 kg/ha; in totale 10 t di granella asportano 235, 80 e 80 rispettivamente di N, P e K.
Spandiconcime
Assorbimento dell’azoto
• Nel periodo della fioritura l’intensità
di assorbimento giornaliera per ettaro è dell’ordine di 5 kg/ha
• A maturità 2/3 dell’azoto totale della
parte epigeica sono nella cariosside (1,4-1,6%), minori quantità si trovano nelle restanti parti della pianta (0,5-1%)
• La carenza di azoto si manifesta con
una diminuzione di vigore e con foglie più piccole del normale e di colore verde-giallo. Prima della fioritura, a partire dalla base della pianta le foglie ingialliscono e seccano in proporzione alla carenza
159
coltivazione Quando viene raccolta la pianta intera (20 t/ha di s.s.) le asportazioni per ettaro ammontano a 260, 90 e 210 kg, rispettivamente, di N, P, K e aggiungendo le perdite per lisciviazione a 360, 110, 250 kg/ha. Quando si produce solo granella e i residui colturali vengono interrati, gli apporti con concimi minerali possono limitarsi alle sole asportazioni, senza considerare le perdite che possono essere compensate: – per il fosforo e il potassio, dalla liberazione delle riserve minerali del suolo stimolata dall’attività biologica e dagli apporti di sostanza organica; – per l’azoto, dalle sintesi di azoto effettuate dai batteri delle leguminose, se queste colture entrano nell’avvicendamento colturale come colture principali (erba medica, trifogli) o come colture da sovescio. Questo azoto rimasto nel terreno può essere utilizzato dal mais. Nelle aziende zootecniche moderne con bovini da latte o carne poste nelle aree maidicole, dove il silomais costituisce la base della razione giornaliera, circa il 50% dell’alimento, nella maggioranza dei casi, proviene dall’esterno e ciò consente di allevare un elevato carico di bestiame per unità di superficie. I reflui prodotti, anche se prevalentemente in forma di liquame, apporterebbero quantità di nutrienti eccedenti rispetto alle esigenze delle colture, ciò impone di disporre di superfici più ampie per la razionale utilizzazione agronomica degli stessi. In breve, con i reflui zootecnici è possibile coprire ampiamente le esigenze colturali in fosforo e potassio e in linea teorica anche dell’azoto. Purtroppo per quest’ultimo, dato che il ritmo di mineralizzazione della sostanza organica non è coincidente a quello della coltura del mais è necessario ricorrere a una piccola integrazione con concimi minerali o di sintesi.
Fosforo (P)
• Nel terreno è presente in combinazioni
organiche e inorganiche, ma per la pianta ne è disponibile solo una piccola parte in quanto il mais assorbe solamente fosfati inorganici solubili
• È essenziale per la pianta, svolgendo
un ruolo di grande importanza nel trasferimento dell’energia. Nella pianta si trova come componente di diverse molecole quali fosfolipidi, lecitine, fitina, nucleoproteine
Spandiletame
160
tecnica colturale Foto V. Bellettato
Assorbimento del fosforo
• Durante le varie fasi della maturazione
il fosforo delle foglie e delle altre parti vegetative, in grande quantità, viene trasferito alle cariossidi. La curva di assorbimento anticipa lievemente quella dell’accumulo della sostanza secca
• Carenze di fosforo si possono osservare nei primi stadi di sviluppo con un più o meno grave arrossamento delle foglie. Questa manifestazione però si ha anche quando la temperatura si abbassa molto. È pertanto verosimile che in condizioni di bassa temperatura del terreno la pianta non sia in grado di assorbire il fosforo. Detto inconveniente si riduce molto se si ha l’accorgimento di effettuare una parte della concimazione fosfatica localizzata alla semina
Barra per la concimazione liquida
Un discorso simile può essere fatto per le aziende zootecniche che allevano suini o avicunicoli, anche se in questo caso, producendo granella, le asportazioni di nutrienti sono più limitate. In conclusione disponendo di reflui zootecnici e apportandoli regolarmente è possibile limitare fortemente gli apporti di concimi minerali. Per tener conto della dotazione del terreno è necessario disporre sempre dei risultati delle analisi chimiche e ciò per evitare di seguire le pubblicità commerciali che consigliano fosforo e potassio in dosi di gran lunga superiori alle asportazioni più le perdite, supponendo sempre necessario l’arricchimento in questi elementi. Molti esperimenti di lunga durata mostrano che le concimazioni consigliate non sono giustificabili. È quindi il caso di raccomandare, per la concimazione minerale, di superare del 50% le asportazioni solo per qualche anno e, sicuramente, di non distribuire fertilizzanti nel caso di aziende zootecniche o che utilizzano reflui da esse pro-
Botte per lo spandimento dei liquami zootecnici
161
coltivazione Bilancio nutrizionale dell’azoto Potassio (K)
• Si trova nel terreno sotto forma di sali
N necessario (asportazioni + perdite)
inorganici o assorbito sul complesso argillo-umico
–
• Nelle piante influenza, come regolatore,
tutti i processi metabolici: assorbimento dell’azoto, divisione cellulare, umidità delle foglie, attività fotosintetica, sintesi delle proteine
=
N fornito dal terreno (residui della precedente coltura; residui colturali; mineralizzazione del suolo; residui della mineralizzazione dei fertilizzanti organici distribuiti negli anni precedenti)
dose totale da apportare
venienti. Il calcolo della dose di concime azotato da distribuire al mais va effettuato seguendo il criterio del bilancio dell’elemento. Da una parte si stimano le asportazioni e le perdite e dall’altra l’azoto non utilizzato, più quello rimasto dalla coltura precedente, più quello derivato dalla mineralizzazione dei residui colturali del precedente e ancor dalla mineralizzazione dell’humus. Anche se le forme di concimi impiegati sono quelle ammoniacali, date le favorevoli temperature per i processi di nitrificazione e le possibili perdite di azoto nitrico per lisciviazione, è bene ricorrere al frazionamento della dose. In molti ambienti maidicoli il frazionamento più impiegato è il seguente: metà dose in presemina, alla preparazione del letto di semina, e metà in copertura allo stadio di 6-9 foglie. Tuttavia in terreni leggeri, al fine di evitare l’inquinamento delle falde con i nitrati, la dose di azoto potrebbe essere distribuita tutta in copertura. Quando in presemina vengono distribuiti reflui zootecnici, la concimazione azotata con fertilizzanti minerali andrà effettuata solo in copertura. Una parte della concimazione fosfatica può essere effettuata alla semina localizzandola. È questo un accorgimento da seguire specialmente oggi che si tende ad anticipare le semine per evitare, nel caso di ritorni di freddo, l’arrossamento delle piantine e la conseguente stasi vegetativa.
• I terreni sabbiosi e comunque tutti
quelli poveri di argilla e sostanza organica risultano scarsamente dotati di potassio; inoltre, mancando una buona capacità di scambio cationico, non è possibile procedere a concimazioni di arricchimento. In questi casi si deve concimare annualmente tenendo conto della stima delle quantità asportate
Assorbimento del potassio
• Alla raccolta, la maggior parte del
potassio si trova nei residui colturali, pertanto con l’interramento degli stessi l’elemento ritorna nuovamente al terreno
• La maggior parte del potassio viene
Foto R. Angelini
assorbita dalla levata alla fioritura
• Verso la fine della coltura, nella pianta si trova una minor quantità di potassio in quanto, essendo lo stesso in soluzione, una parte viene rilasciata attraverso le foglie a seguito delle piogge
• La carenza di potassio deprime
l’attività fotosintetica, fa aumentare la respirazione e porta a un generale indebolimento della pianta. Forti carenze di potassio fanno riscontrare culmi meno resitenti allo stroncamento Coltivazioni di mais vicine all’arco alpino
162
tecnica colturale Scelta dell’ibrido Dall’introduzione degli ibridi, avvenuta negli anni ’50 del secolo scorso, la maiscoltura italiana è stata efficientemente rifornita di materiali genetici via via più efficienti che hanno permesso un aumento medio delle rese intorno ai 130-140 kg/ha/anno pari, nei diversi momenti del periodo considerato, a un valore di 1,5-2,2 punti percentuali su base annua. Il continuo incremento della produzione per unità di superficie è imputabile per la quota maggiore al miglioramento genetico e allo sviluppo di ibridi con una crescente tolleranza agli stress da alto investimento (numero di piante/m2) e in generale a tutti gli stress, specie di natura abiotica. In estesi esperimenti di confronto tra gli ibridi più coltivati nei diversi periodi tra il 1940 e il 2000 non sono stati, sorprendentemente, riscontrati cambiamenti nella produttività potenziale della singola pianta isolata, nel rapporto pianta/ spiga (Harvest Index) e inoltre nella quantità di eterosi (assoluta o relativa) espressa. Sono invece cambiati il numero delle piante per unità di superficie (da 30.000 a 70.000 piante/ha) e tutti i caratteri morfo-fisiologici direttamente collegati alla tolleranza agli stress da elevata popolazione: radici più espanse, stocchi più resistenti, diminuzione di piante senza spiga (barren), migliore stay green, foglie più erette, ridotta proterandria, diminuita superficie fogliare per pianta, aumentata tolleranza alla piralide. Non sono invece variati la lunghezza del ciclo, l’altezza della pianta, l’altezza dell’inserzione della spiga, l’epoca di fioritura, il numero di foglie e l’area fogliare per unità di superficie della coltura (LAI). La rigidità dei valori dell’Harvest Index (HI) e del Leaf Area Index (LAI), pur sotto la forte pressione selettiva esercitata dai breeders, introduce una spiegazione del processo avvenuto in termini di fisiologia della produzione e di rapporto sink-source.
Foto Agrilinea
Produzione degli ibridi in Italia
• Negli anni ’70 la produzione globale
italiana era di circa 5 milioni di tonnellate, a partire dal 1996-’97 a parità di superficie investita e senza sostanziali cambiamenti dell’agrotecnica e dell’intensità colturale, la produzione sta superando i 10-10,5 milioni di tonnellate
Produzioni medie (kg/ha)
Andamento delle produzioni medie per ettaro in Italia 10.000 9000 8000 7000 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 1860
Ibridi semplici b = 149,9
Ibridi a 4 vie b = 118,4
Varietà locali b = 9,4
1880
1900
1920
1940
1960
1980
2004
Anni
163
%
coltivazione
100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0
15
35
55
75
95
Nel mais delle zone temperate-calde, la capacità fotosintetica non è fattore limitante e la produzione di carboidrati risulta “frenata” dalla capacità di rilocazione dei fotosintati e dalla possibilità di accumulo nella spiga e nello stocco. L’incremento del numero di piante/m2 ha avuto il significato di aggirare questa strozzatura fisiologica: essendo il LAI (source) rimasto sostanzialmente invariato, è stato ottenuto a livello di popolazione quanto era risultato impossibile fare a livello di singola pianta, vale a dire una ridistribuzione della sostanza secca totale a favore degli organi di accumulo (sink) costituiti da stocchi e spighe (3 spighe nel 1950 contro 7-8 spighe nel 2000). La tempestiva sostituzione delle varietà coltivate e la scelta dell’ibrido costituiscono forse la più importante decisione nella gestione manageriale dell’azienda agricola.
115
Giorni dall’emergenza Peso secco
Granella
Tutolo
Culmo
Criteri di scelta dell’ibrido Resa per ettaro. Misurata in termini sia di potenzialità produttiva dell’ibrido sia di stabilità delle produzioni è senz’altro il più “immediato” criterio di scelta da parte dell’agricoltore. I due “caratteri” sono espressi al meglio da genotipi con forti caratteristiche di adattamento alle condizioni ambientali e alla conduzione (agrotecnica, organizzazione, indirizzi colturali ecc.) dell’azienda agricola nella quale l’ibrido viene coltivato. Alcuni tratti morfo-fisiologici sono immediatamente individuati come portatori di caratteristiche desiderabili: apparato radicale espanso contro il rischio di allettamento; stay green contro la rottura dello stocco, premorienza della pianta, limitazioni del danno dalle gallerie della piralide; struttura dello strato vegetante (canopy) in grado di minimizzare la competizione tra piante (giusta fogliosità per larghezza o lunghezza delle lamine, portamento eretto ecc.); uniformità di dimensione della spiga per intrinseche capacità “omeostatiche” del genotipo e per la presenza di geni portatori del carattere polispighia; proporzionato rapporto tra altezza della pianta e dell’inserzione della spiga. Altre caratteristiche adattative, espresse in modo differenziale dai diversi genotipi, servono per meglio “posizionare” gli ibridi in azienda: risposta all’investimento; sensibilità all’epoca di semina; tolleranza a condizioni di stress idrico; rapporto tra lunghezza (in GDD) dello stadio vegetativo e lunghezza del periodo di accumulo; dinamica della curva di accumulo, attitudine della granella a perdere acqua a fine ciclo, specifiche tolleranze ai parassiti endemici nella zona di coltivazione.
Foglie Andamento della sostanza secca delle parti epigeiche della pianta
Longevità degli ibridi di mais
• La durata media della vita commerciale di un ibrido di mais è di circa 5-7 anni, periodo di tempo nel quale viene completato un ciclo di selezione genetica e una nuova generazione di materiali è resa disponibile per sostituire la precedente: il miglioramento genetico quale pressione selettiva continua, ciclica e “ricorrente”, costituisce il processo evolutivo delle piante coltivate
Lunghezza del ciclo. Per il completo sviluppo dell’ibrido (misurata in quantità di gradi di calore utili necessari per raggiungere gli stadi di fioritura e maturazione fisiologica) è il più “basilare” tra i requisiti di adattamento; a parità di potenziale genetico la pro164
tecnica colturale duzione è proporzionale al numero di giorni di fotosintesi attiva e alla durata del periodo di accumulo. Per la maggior parte degli ambienti italiani l’ibrido di piena stagione appartiene alla classe FAO 600 (1550-1600 GDD o 130 giorni di relative maturity), nelle zone più calde della bassa Pianura Padana l’ibrido di piena stagione può essere anche di classe FAO 700, e nelle pianure pedemontane di classe FAO 4-500. Ibridi di ciclo più precoce rispetto ai “piena stagione”, generalmente appartenenti alla classe FAO 500, vengono ampiamente impiegati in coltura principale dove esistono limitazioni all’uso dell’irrigazione, dovuti all’indisponibilità di acqua nella fase di riempimento della cariosside, o agli alti costi di distribuzione. È verosimile che in futuro, dove il costo dell’irrigazione non sarà contenuto dall’adozione di razionali metodi irrigui, si stabilizzerà l’uso di ibridi di classi medie.
Classificazione degli ibridi di mais secondo la precocità (FAO)
Destinazione della coltura. È un aspetto di fondamentale importanza: quasi un quinto dell’intero ettarato italiano è destinato alla produzione di trinciato integrale: in epoca primaverile vengono utilizzati ibridi di classe 700 (in mancanza di ibridi ancora più tardivi con accettabili caratteristiche agronomiche di stabilità produttiva e di “tenuta” della pianta) che giungono alla maturazione di riferimento (30-35% di sostanza secca totale) già a partire dalla seconda metà di agosto. La scelta dell’agricoltore privilegia genotipi in grado di massimizzare la produzione di sostanza secca totale, ottenibile con piante dotate di grande “vigore ibrido” per taglia della pianta, fogliosità, sviluppo potenziale della spiga e contemporaneamente dotata di forti connotati “difensivi” per i caratteri più direttamente legati alla tolleranza agli alti investimenti: eccellente apparato radicale contro il rischio di allettamenti e spiga
165
Classe
Ibrido di riferimento
Precocità
Ciclo in giorni
100
Wisconsin 1600
Ultraprecoci
76-85
200
Wisconsin 240
Precocissimi
86-95
300
Wisconsin 355
Precoci
96-105
400
Wisconsin 464
Medioprecoci
106-115
500
Ohio M15
Medi
116-120
600
Jowa 4316
Mediotardivi
121-130
700
Indiana 416
Tardivi
131-140
800
US13
Moltotardivi
141-150
900
US523W
Ultra-tardivi
150-160
coltivazione “consistente” anche in condizioni di elevato aduggiamento con valori del rapporto spiga/pianta non inferiori alla soglia di 0,42-0,45. La qualità del prodotto finale non è meno importante ed è riferibile ai caratteri legati alla insilabilità: stay green, tolleranza alla piralide, assenza di parti secche (brattee, guaine, foglie basali o apicali) al momento della raccolta, presenza di zuccheri solubili negli internodi basali, e ai caratteri legati alla digeribilità e al valore nutritivo: percentuale di proteina, quantità e composizione della fibra totale, percentuale e distribuzione della lignina e, sia pure in modo non proporzionale, quantità e conformazione dell’amido. L’utilizzazione del mais come pastone di spiga intera o di sola granella umida si va diffondendo negli allevamenti di suini per vantaggi di ordine economico (risparmio dei costi di essiccazione) e di ordine nutrizionale (diminuita presenza di micotossine) vengono preferenzialmente impiegati ibridi di piena stagione (FAO 6-700) con spiccate caratteristiche di stay green e di lenta perdita di umidità della granella, atti a massimizzare la “finestra di raccolta” intesa come intervallo di tempo intercorrente tra la formazione dello strato nero intorno al 32% di umidità e il raggiungimento del 28% di contenuto in acqua, considerato come il limite inferiore per una corretta conservazione del prodotto. Varietà sintetica con stay green
Preferenze dell’utilizzatore finale. Rappresentano un requisito per la collocabilità delle produzioni. Il sistema italiano di produzione-raccolta-condizionamento e stoccaggio è ancora essenzialmente basato sul concetto di mais quale materia prima indifferenziata (commodity) con caratteristiche qualitative generiche di “merce sana, leale e mercantile” e in riferimento alle definizioni e alle tolleranze del Contratto Nazionale n. 103 che regola gli scambi. Tutto questo, quando la “qualità”, intesa in generale come aderenza di un prodotto alle richieste del mercato e alle preferenze dei consumatori, oppure, più in particolare, intesa come “qualità d’uso” specifica per i diversi utilizzatori finali, sta diventando un aspetto importante nel sistema di produzione e di commercializzazione delle materie prime alimentari. L’industria molitoria preferisce partite con alto peso ettolitrico, alta percentuale di endosperma vitreo, uniformità di dimensione delle cariossidi, alto rapporto tra gritz e germe, colore intenso delle farine, basso indice di microfessurazione. L’industria amidiera acquista partite con alta resa in amido (data dalla percentuale di amido vs proteine, germe e tegumenti) e dalla estraibilità dello stesso (facilità di separazione dagli altri componenti). Alte rese in amido sono ottenibili da granella con peso ettolitrico medio-basso, basso contenuto di proteine, basso contenuto in olio e da partite con alta percentuale di granella intera e basso indice di microfessurazione più facilmente ottenibile, quest’ultimo, con essiccazione a temperature moderate. 166
tecnica colturale L’industria mangimistica, nella formulazione dei prodotti per i diversi allevamenti (poligastrici, suini, avicoli) apprezza il valore energetico totale e una granella “nutrizionalmente densa” per contenuto in olio e composizione in acidi grassi, contenuto in proteine e composizione aminoacidica, struttura e digeribilità dell’amido, presenza di carotenoidi. La presenza di antimetaboliti e micotossine riducono fortemente gli indici di conversione in allevamento; la conoscenza del tipo di contaminazione (classe di micotossine e loro concentrazione, naturalmente entro i limiti di legge), permette di indirizzare le varie partite in lavorazione verso gli utilizzi (tipo di allevamento) che meno risentono di queste naturali e per certi versi inevitabili sostanze.
Foto R. Angelini
Informazione sulla performance degli ibridi. Ogni anno in Italia vengono approvati per la commercializzazione, dopo un biennio di sperimentazione parcellare da parte del Registro Nazionale delle Varietà, oltre un centinaio di nuovi ibridi appartenenti alle diverse classi di precocità. Contemporaneamente, le società sementiere sviluppano questi ibridi sul territorio attraverso reti di centinaia di campi comparativi tra gli ibridi (strip-test trials) per precisare le performance produttive, le caratteristiche agronomiche e l’adattamento alle condizioni locali di coltivazione. Il settore pubblico, a sua volta, mette in atto un sistema di sperimentazione agronomica varietale a carattere nazionale: per ogni ibrido provato nella sperimentazione parcellare o di pieno campo vengono fornite informazioni sulla resa, l’umidità alla raccolta, la “tenuta” della pianta, l’altezza della pianta e dell’inserzione della spiga, il peso ettolitrico della granella.
Vista di un campo sperimentale di mais ove sono confrontate centinaia di ibridi
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coltivazione Semina Epoca. Nell’Italia del nord, tradizionalmente erano possibili tre diverse epoche di semina sia per la produzione di granella, sia di trinciato integrale: la prima effettuata tra il 15 e il 30 aprile con ibridi di classe 600-700; la seconda, tra il 10 e il 20 maggio, dopo aver raccolto un erbaio autunno-vernino o dopo il primo sfalcio di un prato da vicenda da rompere, con ibridi di classe 400-500; la terza, dal 20 giugno al 10 luglio dopo la raccolta della granella di un cereale vernino (frumento o orzo) con ibridi di classe 200-300. Attualmente, sempre nel nord, anche per effetto delle politiche comunitarie, le epoche di semina, tenendo conto della destinazione, sono le seguenti: – prime semine, per mais da granella e da trinciato integrale, da metà marzo a fine aprile con ibridi di classe 600 per la granella e 700 per il trinciato; – seconde semine, di norma per produzioni di trinciato integrale, dopo la raccolta di erbai autunno-vernini (prevalentemente di loiessa, Lolium multiflorum), tra il 10 e il 15 maggio con ibridi di classe 600 e più raramente 500. Sono da considerare seconde semine anche quelle effettuate dopo la raccolta di frumento, orzo o triticale destinati a trinciato integrale tra il 20 e il 25 di maggio; – terze semine, esclusivamente per trinciato integrale, oggi effettuate in quantità sempre più ridotta, dopo la raccolta dell’orzo da granella e cioè intorno al 20 giugno, con ibridi di classe 300.
Vantaggi della semina precoce
• Il radicamento è più rapido e profondo
e ciò aumenta la resistenza alla siccità
• La raccolta è più precoce e ciò consente di attuare in successione con più facilità la coltura autunnale; inoltre si può scegliere un ibrido lievemente più tardivo, in genere più produttivo
• Lo sviluppo della pianta risulta più
compatto e di norma si consegue un maggiore Harvest Index (Indice di raccolto) e una superiore tolleranza agli alti investimenti che contribuiscono consistentemente a incrementare le rese. Si aggiunga che sfalsando il ciclo tradizionale si altera, almeno per il momento, il parallelismo tra ciclo del mais e cicli della piralide
• Le semine anticipate, inoltre,
consentono una maggiore elasticità per la preparazione del letto di semina senza arrecare danni alla struttura del terreno, cui il mais è estremamente suscettibile
Densità. Le vecchie varietà venivano allevate con un numero ridotto di piante per unità di superficie; mediamente non si superavano le 30.000 piante/ha e ciò perché scarsa era la resistenza allo stroncamento e all’allettamento (quando la pianta si piega sul terreno, mostrando anche parzialmente fuori terra l’apparato ra-
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tecnica colturale dicale). Inoltre, superando le densità indicate, spesso si assisteva alla presenza di numerose piante senza spiga (barren). Dopo l’introduzione degli ibridi si sono incrementate le densità via via che il miglioramento genetico ha introdotto: caratteri di resistenza alle malattie fungine dello stocco (diretti o indiretti), robustezza dell’apparato radicale, il carattere polispighia (che non si estrinseca con elevate densità di piante, ma che garantisce una spiga per pianta). Attualmente, le densità medie consigliate in Italia per le diverse classi di maturità ed epoche di semina sono quelle riportate nella tabella a lato. Aumenti o riduzioni dei valori indicati in tabella si possono verificare in funzione degli ibridi e della intensità colturale capace di controllare gli stress idrici e nutrizionali. Di norma viene adottata una distanza tra le file tra 70 e 80 cm e una sulla fila variabile in relazione al numero di piante desiderate. Il numero di semi da porre a dimora deve essere superiore di circa una unità per metro quadro per tener conto della germinabilità, che non è mai del 100%, sia di qualche perdita accidentale che si può avere nel terreno. Se questo poi viene preparato male, l’unità in più spesso non basta.
Mais da granella: piante per m² * Classe di maturità FAO
1° 2° 3° semina semina semina
200
6
300
8,5-9
5
400
8
7
500
7-7,5
6,5-7
600
6,5-7
6
700
6-6,5
* Nel mais da trinciato si considerano mediamente 1-2 piante/m² in più rispetto al mais da granella
Calcolo della densità di semina
Profondità. In genere non si superano i 5-6 cm, ma si può arrivare anche a 8-10 in terreni secchi in superficie, anche se viene rallentata leggermente l’emergenza, o a 2-3 cm in suoli umidi. Oggi è generalizzata la semina di precisione e pertanto non si ricorre più a quella in fila continua e a un successivo diradamento manuale quando il mais raggiunge lo stadio di 3-5 foglie. Con la semina di precisione si depone nel terreno il seme alla distanza prestabilita. Le seminatrici meccaniche di precisione sono state completamente abbandonate mentre si ricorre in modo generalizzato a quelle pneumatiche. Foto E. Marmiroli
Particolare di seminatrice pneumatica per la semina su sodo
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n. piante per m2
Distanza fra i semi sulla fila (cm)
4,0
N. semi per m2 Distanza tra le file (m) 0,70
0,75
0,80
25
5,7
5,3
5,0
4,2
23,8
6,0
5,6
5,2
4,4
22,7
6,3
5,9
5,5
4,6
21,7
6,6
6,1
5,8
4,8
20,8
6,9
6,4
6,0
5,0
20,0
7,1
6,7
6,3
5,2
19,2
7,4
6,9
6,5
5,4
18,5
7,7
7,2
6,8
5,6
17,8
8,0
7,5
7,0
5,8
17,2
8,3
7,7
7,3
6,0
16,7
8,6
8,0
7,5
6,2
16,1
8,9
8,3
7,8
6,4
15,6
9,1
8,5
8,0
6,6
15,1
9,4
8,8
8,3
6,8
14,7
9,7
9,1
8,5
7,0
14,3
10,0
9,3
8,8
coltivazione Nel caso di semine su sodo è necessario disporre di apposite seminatrici in grado di tagliare il terreno, deporre il seme e coprirlo con la terra. La quantità di semente per ettaro dipende, oltre che dalla densità adottata, dal calibro della stessa. In media si può stimare un impiego di 20-23 kg/ha. Le confezioni di seme oggi in uso (dosi) riportano il numero di semi contenuto, ma non il peso. Sarchiatura e rincalzatura Queste tecniche venivano largamente impiegate prima della comparsa degli erbicidi chimici per il controllo delle malerbe. Il mais, infatti, veniva considerato una coltura sarchiata. Oggi, visto che questa tecnica molto spesso non viene impiegata e comunque lo è poco per il controllo delle malerbe, la coltura del mais dovrebbe essere denominata “diserbata”. La sarchiatura veniva realizzata in parte meccanicamente nell’interfila e in parte a mano lungo la fila, non solo per aerare il suolo eventualmente costipato in superficie dalle piogge battenti, ma soprattutto per controllare le erbe infestanti. La rincalzatura, effettuata poco prima della levata, apportando terreno intorno al culmo, favoriva l’accrescimento dell’apparato radicale avventizio aereo e consentiva una migliore “tenuta” della pianta. Indirettamente poi facilitava l’irrigazione a scorrimento. Attualmente, non sempre le due pratiche sopra ricordate vengono effettuate sia perché, come detto, si tende a effettuare il controllo delle malerbe esclusivamente con mezzi chimici, sia perché gli appezzamenti perfettamente livellati con le moderne attrezzature laser non richiedono per l’irrigazione la predisposizione dei solchi che si venivano a creare con la rincalzatura. Si è però del parere che entrambe le tecniche vadano riconsiderate e applicate nella maggioranza dei casi sia per integrare la lotta alle malerbe (è questo anche il caso del diserbo in banda alla semina e controllo meccanico tra le file), sia nel caso della sarchiatura per interrare i concimi azotati distribuiti in copertura. Quest’ultima operazione è sempre da raccomandare nei terreni ricchi di calcare dove i concimi ammoniacali tendono a volatilizzare. Infine, il ricorso all’irrigazione attraverso i solchi creati con la rincalzatura (irrigazione da solchi), pur in terreni perfettamente livellati, dovrebbe aumentare l’efficienza dell’irrigazione e conseguentemente avere meno perdite di nitrati o di sostanze solubili per lisciviazione rispetto a una irrigazione a scorrimento di un appezzamento sistemato a spianata. L’epoca ottimale per effettuare la sarchiatura è la 5a-6a foglia, mentre per la rincalzatura è l’inizio della levata e prima che il mais “chiuda”. Entrambe le operazioni, eliminando la crosta superficiale e il costipamento del suolo, fanno diminuire le perdite di acqua per evaporazione (pratica di aridocoltura) e fanno aumentare la temperatura del terreno con conseguente migliore mineralizzazione della sostanza organica e maggiore sviluppo dell’apparato radicale.
Sarchiatura e concimazione in copertura
Zappatrice per la sarchiatura interfila del mais, dotata di spandiconcime
Rincalzatura
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tecnica colturale Come effetto finale si consegue un anticipo nell’epoca di fioritura oltre a un anticipo dello sviluppo. Bilancio idrico
Irrigazione Il mais ha un coefficiente di evapotraspirazione basso: 250 kg di acqua per chilogrammo di sostanza secca prodotta. In molti ambienti maidicoli, anche se la piovosità totale nel corso del ciclo può apparire sufficiente, in realtà non è ben distribuita e ciò impone interventi irrigui senza i quali non sarebbero possibili rese elevate e, soprattutto, costanti negli anni. Se una coltura produce 12 t/ha di granella significa anche che ha prodotto una massa epigeica di circa 24 t/ha di sostanza secca e pertanto ha avuto necessità di 6000 m3 di acqua e cioè di 600 mm di pioggia. Per il mais un periodo di grande sensibilità alla mancanza di acqua comincia 15-20 giorni prima della fioritura, quando si sviluppano i fiori femminili, e termina 30 giorni dopo la fioritura, già allo stadio di maturazione lattea. Molte esperienze mostrano che uno stress idrico in questo periodo porta a riduzioni di resa dell’ordine del 50-60%. Tuttavia, un cumulo di più settimane di siccità, anche al di fuori del periodo critico, può causare un calo di resa più elevato di un deficit momentaneo al momento della fioritura. Dati gli andamenti pluviometrici dei mesi estivi, nell’area padana, in tutti gli areali dove le falde idriche non sono sufficientemente alte e in grado di fornire acqua alle piante, è indispensabile l’irrigazione. La quantità di acqua da apportare in ciascun intervento deve riportare l’umidità del suolo a un adeguato livello di umidità quando si è consumata la riserva facilmente utilizzabile (RFU). Questa varia molto con i tipi di suolo da 30 a più di 100 mm, a seconda della tessitura e della profondità del terreno, nonché dall’attitudine delle radici a svilupparsi in profondità.
• Stima dell’evapotraspirazione ET
con 0 il metodo, oggi ritenuto più attendibile, di Penman-Monteith che necessita dei seguenti dati meteorologici: radiazione solare, temperatura, umidità dell’aria e velocità del vento. Ottenuto l’ET0 si moltiplica per il coefficiente colturale (Kc) che varia nel corso del ciclo:
fino alla 6a foglia Kc = 0,3; dalla 6a alla 9a foglia Kc = 0,6; dall’inizio levata all’emissione del pannicolo Kc = 1; dalla fioritura fino alla maturazione lattea-cerosa Kc = 1,2; dalla maturazione cerosa a fine ciclo Kc = 0,6
• Per stabilire il volume di adacquamento occorre conoscere: profondità interessata dalle radici (altezza in millimetri); umidità del suolo al momento della irrigazione (u% in volume); umidità del suolo alla capacità di campo (c% in volume); efficienza dell’irrigazione Ei
• Volume di adacquamento (mm) = h(c-u)/Ei
Rainger
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coltivazione Questo principio teorico merita di essere interpretato, infatti non è più sostenibile attendere, per irrigare, la completa eliminazione della RFU, che si traduce nell’arrotolamento delle foglie del mais con rallentamento o arresto della crescita. Inoltre, non è necessario riempire completamente la riserva del suolo, e cioè portarlo alla sua capacità di campo: tale intervento può essere inutile o nocivo se dovesse verificarsi una pioggia dopo l’irrigazione che potrebbe provocare un temporaneo ristagno con conseguente lisciviazione dei nutrienti e il temporaneo non funzionamento degli apparati radicali e dei microrganismi. Alla fine della coltura, a partire dalla maturazione cerosa, non si ha interesse a lasciare il terreno troppo umido, anche per non ostacolare le operazioni di raccolta o creare, con questa, disturbo alla struttura del terreno. In molti ambienti maidicoli italiani, attualmente, è impossibile seguire i concetti sopra esposti per più ordini di ragioni. In primo luogo perché i turni irrigui sono fissati dai Consorzi di Bonifica e il prelievo di acqua non può essere fatto a domanda, in secondo luogo perché si irriga a scorrimento o per infiltrazione da solchi con volumi di acqua molto elevati per ogni adacquata (da 1000 a 1500 m3/ha). Questa modalità di irrigazione, nata almeno 700 anni fa, utilizzata soprattutto per irrigare i prati stabili e da vicenda, mal si presta per il mais, specialmente oggi, almeno per due importanti ragioni; la prima perché il metodo ha scarsissima efficienza, provocando inevitabilmente la lisciviazione dei sali e di tutte le molecole solubili (per esempio azoto nitrico, molecole di diserbanti) che possono inquinare le falde oltre a provocare un danno economico diretto; in secondo luogo perché l’acqua è un bene prezioso che bisogna risparmiare. L’irrigazione per aspersione è sicuramente il metodo più idoneo per evitare gli inconvenienti sopra esposti, ma se effettuata con i materiali di un tempo presenta dei costi non più sopportabili dalla coltura. Solo l’impiego di grandi macchine irrigue (Pivot e Rainger) appare oggi quello
Irrigazione a scorrimento
Rotolone (al centro) e lancia (in basso) per l’irrigazione ad aspersione Irrigazione per infiltrazione dai solchi
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tecnica colturale tecnicamente migliore. Con queste è possibile, su grandi superfici (di almeno 100 ha), effettuare un programma irriguo tale da fornire al suolo ogni 7-10 giorni la quantità di acqua evapostraspirata, interrompendo l’irrigazione nel caso di piogge di grande intensità. Misure rapide dell’acqua utile presente nel terreno e l’implementazione di appositi programmi informatici consentono di stabilire con una certa precisione l’inizio della stagione irrigua e la gestione delle macchine irrigue facendo loro calibrare la quantità di acqua da erogare in funzione della natura del terreno. I risultati dell’irrigazione sono le rese alte e stabili, infatti la stessa corregge la eterogeneità e la cattiva qualità dei suoli. Quelli leggeri o mancanti di profondità, grazie all’irrigazione e alla fertilizzazione appropriata, possono fornire rese vicine e spesso uguali a quelle dei suoli più fertili. L’inizio dello stress idrico è mostrato specialmente in prefioritura con manifestazioni in successione: opacità delle foglie, arrotolamento, “agliatura”. Queste manifestazioni si possono notare prima nelle testate dei campi, intorno alle ore 13, e indicano che nel campo è ancora disponibile dell’acqua, ma che presto si andrà in carenza.
Punto nero
• Circa dopo 60-70 giorni dalla fioritura,
i processi di accumulo delle sostanze di riserva nella granella cessano. Tale stadio, detto di maturazione fisiologica, è identificato dalla comparsa di un “punto o strato nero” alla base della cariosside nel punto di attacco al tutolo. Affinché la granella possa essere raccolta deve perdere umidità passando dal 30-35% fino al 25-28%
Foto R. Angelini
Raccolta e conservazione del mais Nello stadio R6, quello nel quale si è raggiunta la maturazione fisiologica, si ha anche il successivo sottostadio di perdita dell’umidità della granella. Nei comprensori maidicoli italiani con ibridi di classe piena, questo stadio si raggiunge intorno alla prima settimana di settembre, quando le condizioni climatiche (umidità dell’aria in particolare) non favoriscono la rapida perdita di umidità della granella. Spesso, per perdere 5-6 punti di umidità occorrono 1012 giorni (mezzo punto per giorno), mentre successivamente, per arrivare a umidità più ridotte, cioè del 22-25%, sono necessari, in condizioni stagionali medie, 20 o più giorni. Dalla formazione del punto nero al momento della raccolta si lasciano intercorrere circa 35-40 giorni per la perdita di umidità della granella. Ciò costituisce un rischio sia per le produzioni sia per la qualità delle stesse. Il rischio per la produzione è dato dallo stroncamento delle piante causato dalla piralide e dal marciume dello stocco; per la qualità, da attacchi di funghi tossigeni presenti sia con andamenti caldo umidi (Fusarium verticilloides) sia con andamenti freddi e piovosi (Fusarium graminearum). Inoltre, a causa degli attacchi della piralide, sulla spiga si trovano granelli compromessi nella loro integrità. Ciò significa che, per stabilire il momento di raccolta, è opportuno trovare un compromesso tra i maggiori oneri di essiccazione e la garanzia di produrre una buona qualità. La granella di mais non è mai raccolta secca e cioè tale da poter essere conservata senza aver subito un qualsiasi trattamento di essiccazione, infatti la presenza del tutolo, sempre più umido, della granella impedisce che l’umidità della stessa scenda al di sotto del 16%, tasso minimo necessario per una buona
Umidità alla trebbiatura
• Raccolta in agosto: non meno del 23% per evitare la comparsa di aflatossine e ridurre i Fusarium
• Raccolta in settembre: non meno del 25-27%
• Raccolta in ottobre: appena possibile a qualsiasi umidità
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coltivazione conservazione nei sili moderni (frigoconservazione o atmosfera controllata), pertanto la granella dovrà essere essiccata. Il mais potrebbe essere raccolto subito dopo la maturazione fisiologica, ma a parte i danni (rotture) che si avrebbero sulla granella, provocati dagli organi della mietitrebbia data l’elevata umidità (32-35%) si ha interesse, come visto prima, che la granella perda umidità con la pianta in piedi, ma alle condizioni già esposte. Con una raccolta relativamente precoce (umidità della granella del 25-28%) si hanno i costi di essiccazione alti, ma si evitano altri inconvenienti che si verificano con una raccolta tardiva: allettamento, stroncamento, attacco di parassiti, ritardo nei lavori preparatori delle colture che seguono. La raccolta meccanica che ha ovunque rimpiazzato quella manuale (almeno nei Paesi a maiscoltura avanzata) viene effettuata con mietitrebbia e viene fatta seguire immediatamente dall’essiccazione. Per una corretta conservazione nei sili non condizionati e prevenire fermentazioni e ammuffimenti, l’umidità dovrebbe essere intorno al 13%. La granella umida può essere insilata per produrre i cosiddetti pastoni o conservata in azienda tal quale dopo aver effettuato trattamenti antifungini (per esempio con acido propionico, non più usato però per ragioni economiche). Per la preparazione del pastone di granella, la stessa viene raccolta al 30-32% di umidità. La raccolta meccanica della spiga è effettuata solo per la produzione del seme o per i mais speciali da destinare all’alimentazione umana, o ancora quando la spiga intera, dopo la macinazione, deve essere insilata per essere destinata all’alimentazione del bestiame. Le spighe da insilare dopo macinazione possono essere raccolte con una mietitrebbiatrice dotata di attrezzature che effettuano la macinazione direttamente in campo. Un tem-
Foto R. Angelini
Trebbiatura Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Centro di raccolta Foto R. Angelini
Silos di stoccaggio Impianto di essicazione della granella
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tecnica colturale po, l’essiccazione delle spighe veniva fatta direttamente all’aria sistemandole a festoni sui muri dei fabbricati rurali o in appositi cassoni, mentre la sgranatura veniva effettuata sempre a mano ogni volta che era necessario utilizzare la granella. Attualmente, in Italia, la granella secca di mais convenzionalmente ha una umidità ammessa del 14,5% (Contratto nazionale n. 103). Tuttavia, per una corretta conservazione negli impianti non condizionati, per evitare rischi di ammuffimento, l’umidità di conservazione dovrebbe essere intorno al 13%. Ottenimento delle sementi commerciali Le sementi dei mais ibridi commerciali sono ottenute in due tappe: – moltiplicazione delle linee pure in campi isolati da altri mais a distanze elevate (400 m). Le piante si fecondano tra loro e rimangono omozigoti. La resa in granella è di norma scarsa (raramente superiore a 4-5 t/ha; – ottenimento degli ibridi semplici, incrociando due linee pure e seminando da 4 a 6 file la linea che funge da femmina (portaseme) e 2 file per quella che funge da maschio (impollinatrice). La semina delle due linee pure può essere contemporanea se il gruppo di maturità è identico o sfalsata se vi è differenza nell’epoca di fioritura. Inoltre, per garantire una migliore copertura di polline, la linea impollinatrice viene sovente seminata in due epoche diverse. Quando nella linea femminile non sono stati inseriti i caratteri di maschiosterilità, le piante vengono castrate: viene tolta l’infiorescenza maschile prima dell’emissione del polline, di norma con apposite macchine o a mano con operai trasportati da macchine agevolatrici. Le macchine per emasculare possono essere equipaggiate con due diversi dispositivi: con coltelli rotativi (vantaggi: rapidità di intervento; svantaggi: eliminazione di 2-4 foglie e necessità di un doppio passaggio per eliminare le infiorescenze emerse tardivamente); con rulli che prendono il panicolo e lo strappano. Le stesse macchine per emasculare vengono utilizzate per tutti gli interventi agronomici sulle colture da seme sviluppate (per esempio distribuzione degli insetticidi per la piralide o per la diabrotica). Dopo circa 15-20 giorni dalla fecondazione, le file maschili vengono raccolte e destinate alla zootecnia o distrutte. La raccolta delle spighe della pianta portaseme è effettuata quando la granella presenta una umidità di circa il 30%. Le spighe trasportate nello stabilimento sementiero vengono essiccate in apposite strutture, utilizzando una temperatura non superiore ai 40 °C. Quando l’umidità della granella raggiunge circa il 12%, le spighe vengono tolte dall’essiccatoio e sgranate con attrezzature atte a non ledere l’integrità delle cariossidi. Ottenuta la granella, la stessa viene preliminarmente pulita eliminando le cariossidi rotte e leggere, le polveri e altri corpi estranei.
Antico sistema di essicazione all’aria delle spighe di mais
Classificazione delle categorie di seme commerciale e precommerciale
• Seme della ricerca: si tratta della
produzione di piccole quantità di seme di linee pure (omozigoti) ottenute dalla Stazione di ricerca, che rimane responsabile del mantenimento e del rifornimento alle Società produttrici di ibridi
• Seme di fondazione: è la fase
successiva di incremento del seme della ricerca effettuata in una o più generazioni successive per produrre le quantità necessarie di parentali destinati ai campi di produzione seme
• Seme commerciale certificato: viene
prodotto dalle Società sementiere per destinarlo alla commercializzazione per le diverse produzioni
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coltivazione Successivamente si procede alla calibrazione, che consiste in una separazione in lunghezza e larghezza delle cariossidi, utilizzando cilindri alveolati per la lunghezza e griglie rettangolari per lo spessore. Le classi di semi risultanti sono di norma: tondo piccolo (quelli presenti sulla parte apicale della spiga), tondo grande (quelli presenti nella parte basale o nelle spighe irregolarmente fecondate), piatti variamente separati per lunghezza e spessore (quelli localizzati nella parte centrale della spiga). Le operazioni di selezione vengono perfezionate alla fine attraverso un processo di “selezione” per densità con specifiche attrezzature definite come tavole densimetriche. Quanto sopra è finalizzato all’ottenimento di lotti ottimizzati per qualità tecnologiche: adattamento del seme alle seminatrici di precisione, pneumatiche, condotte sempre più con alte velocità; massima germinabilità e energia germinativa. Di norma queste analisi vengono effettuate sia dalle società sementiere sia dall’organismo pubblico di controllo (in Italia ENSE, Ente Nazionale Sementi Elette); questo organismo di controllo visita anche le colture in campo per controllare l’uniformità genetica e che le operazioni di castrazione siano effettuate tempestivamente. Attualmente le società sementiere si sono dotate di sistemi severi di controllo dei processi di produzione che vengono certificati da enti tecnici esterni (tracciabilità, ISO 9000 ecc.). L’ente ufficiale di certificazione affianca in ogni caso la società sementiera e gli enti certificatori, nelle fasi di campo e di stabilimento per dare maggiori garanzie all’utilizzatore. Prima dell’insaccamento il seme viene conciato, questa operazione consiste nel depositarvi uniformemente su tutta la superficie uno o più prodotti antiparassitari. Di norma sempre un fungicida al fine di preservare il seme e la plantula nelle prime fasi della germinazione da attacchi di funghi presenti nel terreno. Oggi però sempre di più si aggiunge un insetticida sistemico in grado di controllare gli attacchi di insetti presenti nel terreno al momento della semina, ma soprattutto di controllare fino alla 7a-14a foglia eventuali attacchi di afidi dannosi di per sé, ma anche trasmettitori di virus. In questi ultimi anni in Italia i danni da virus (MDMV e BYDV) per attacchi precoci sono diminuiti e gli ibridi, che in qualche misura erano sensibili, hanno guadagnato in stabilità produttiva e ciò per merito della concia insetticida. Il seme degli ibridi per gli areali dove si pratica una maiscoltura progredita viene confezionato in dosi di 25.000, 50.000 e 80.000 semi. Sulla confezione sono apposti, in Italia, due cartellini (uno dell’Ente certificatore e uno della Società sementiera) dove, oltre al nome dell’ibrido e alla classe di maturità, vengono riportati il numero del lotto, l’anno di produzione e il luogo, la germinabilità e la purezza riscontrata all’analisi.
Demasculatrice
Mercato del seme mais in Italia
• Il mercato italiano è costituito da 1,3-1,4 milioni di ettari con una domanda lorda (quantità seminata + 10%) di “resi” non recuperabili di 4.300.000 dosi da 25.000 semi (pari a 3000 t di seme insaccato) per un valore globale all’azienda agricola di 170-180 milioni di euro
• Oggi, un ettaro investito a mais da
seme produce mediamente 350 dosi, sufficienti per seminare 120 ha di mais da consumo
• La maiscoltura italiana dipende quindi
da 11.500-12.500 ha di produzione di seme, allevati per una quota pari al 20% del totale in Italia e per il restante 80% in USA, Paesi dell’Est, Francia e Turchia
• Le società sementiere internazionali,
proprietarie del seme parentale, operano secondo criteri di riduzione dei rischi ambientali (differenziazione delle aree di produzione), dei costi di campagna (selezione delle aree economiche di maggior favore) e disponibilità di idoneo ambiente tecnico (autoorganizzazione dei produttori) nonché giuridico (protezione dei materiali, certificazione, procedure di import-export)
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tecnica colturale Moderna modellistica per la coltura del mais Nel corso del potente processo di innovazione che ha riguardato, nei diversi ambiti disciplinari, la coltura del mais dal dopoguerra a oggi, la modellistica della crescita, sviluppo e produzione ha occupato uno spazio significativo sia per gli aspetti teorici, sia per quelli pratico-applicativi. L’area della modellistica dei sistemi colturali è un ambito di attività di ricerca nato dall’integrazione scientifica e tecnologica di importanti discipline, tra loro diversificate, come l’ecologia agraria, la sistemica, la cibernetica, la matematica, la fisiologia della produzione, che hanno trovato nella moderna Information Technology (IT) una efficace piattaforma di realizzazione e diffusione. Gli attuali modelli informatici di crescita e sviluppo del mais sono in grado di elaborare rapidamente banche dati di tipo meteorologico e pedologico (input), effettuare il calcolo integrale, con passo giornaliero (o sue frazioni) e, in base a conoscenze di carattere eco-fisiologico colturale e agrotecnico, fornire dati di output relativi agli impatti e ai prodotti della coltura stessa. Questi strumenti, che si prestano per analisi strategiche di nuovi scenari, per prevedere le capacità produttive in ambienti remoti, per valutare nuovi prodotti o nuove agrotecniche, sono il frutto di studi sostanzialmente basati sul trinomio sistemamodello-simulazione. Per sistema si intende una parte limitata della realtà caratterizzata dalla interrelazione dei componenti; per modello, una rappresentazione semplificata e strumentale del sistema; per simulazione, l’arte di costruire modelli matematici e di studiarne le proprietà in relazione a quelle dei sistemi che rappresentano. Le diverse ricerche portate avanti, anche in Italia, da alcune Università e Centri di Ricerca, dopo i necessari processi di parametrizzazione-validazione con materiali diversi in differenziati ambienti, rendono possibili oggi applicazioni di ampio respiro nel campo della ricerca (studio e comprensione delle complesse interazioni genotipo-fisiologia-ambiente); della erogazione di servizi (previsione delle produzione, valutazione dei danni da agenti esterni); degli studi territoriali (stima dell’erosione, della domanda idrica, degli inquinamenti, degli effetti di cambiamenti climatici, studi ecotossicologici applicati a diverse scale spazio-temporali ecc.); della valutazione aziendale preventiva e gestionale (confronto di nuove strategie, tattiche, agrotecniche, prodotti innovativi, definizione delle modalità di intervento nei piani di lavorazione, diserbo, irrigazione, controllo dei parassiti, raccolta); delle valutazioni tecniche o economiche (funzioni-obiettivo, riduzione degli yield gap, ricerca della massima efficienza, bilanci aziendali o colturali su basi modellistiche per l’ottimizzazione in funzione di obiettivi tecnici, economici, ambientali diversificati).
Storia della modellistica per il mais
• Il primo contributo significativo alla
moderna modellistica fu dato nel decennio 1945-’55 da un gruppo di studiosi del MIT negli USA: J. Von Neuman, N. Kiener, W. Mc Culloch, W. Pitts i quali, con l’uso della logica matematica per rappresentare processi naturali anche complessi, ottennero dispositivi (hardware e software) per l’elaborazione del dato e dell’informazione
• In Olanda, all’inizio degli anni ’60 del
secolo scorso, nasce una scuola di modellistica agro-ecologica. De Wit e collaboratori pongono le basi teoriche, studiando lo stato dell’agroecosistema e descrivendone l’evoluzione attraverso funzioni matematiche che prendono in considerazione i cambiamenti e le variabili di stato determinati dalle variabili guida
• Alla scuola olandese, che ha prodotto
modelli come SUCROS o MACROS, negli anni ’70 e ’80 si sono affiancate altre scuole, da quella americana (CERESmais, CERES-wheat, DSSAT ecc.) a quella australiana (APSIM ecc. ) fino ai più recenti gruppi scientifici che hanno permesso alcuni significativi passi avanti nel settore. Si pensi, per esempio, a Crop-Syst, che consente di simulare il comportamento di colture singole o di avvicendamenti a livello di singolo appezzamento o di ampie aree territoriali
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il mais
coltivazione Agricoltura di precisione Stefano Bocchi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Agricoltura di precisione Per la messa a punto dei piani di concimazione, di diserbo o di irrigazione vengono generalmente effettuate analisi preliminari di tipo fisico-chimico o biologico del terreno e, attraverso l’interpretazione dei risultati e la conoscenza dei processi di crescita e produzione della coltura di mais, ci si orienta cercando di dosare il fertilizzante, l’acqua, o il prodotto per il controllo delle infestanti. Generalmente, il campione composto di terreno raccolto per tali analisi è considerato rappresentativo di tutta la superficie del campo, all’interno del quale la variabilità dei diversi parametri fisico-chimici e biologici viene considerata trascurabile (viene spesso trascurata non solo la variabilità nello spazio, ma anche quella nel tempo). Tuttavia, in tempi in cui all’agricoltura viene chiesto di razionalizzare l’utilizzazione delle risorse naturali, a partire da quelle più limitate, ci si è chiesto se tale ipotesi di base sia sempre corretta. A partire da alcuni Stati degli USA (la nascita dell’agricoltura di precisione viene collocata negli USA verso la fine degli anni ’80), dalla Germania, Gran Bretagna, Francia l’uso di mietitrebbie munite di GPS (Global Positioning System, un sistema collegato ai satelliti in grado di determinare la posizione geografica della macchina) ha consentito di ottenere rapidamente e con costi relativamente limitati la mappa della variabilità della produzione. Tale mappa, che non deve essere sbrigativamente interpretata (l’equazione produzione elevata = asportazioni più consistenti = concimazioni superiori è spesso errata), rappresenta un valido strumento di supporto alle decisioni agronomiche. La mappa della produzione può essere, infatti, un utile punto di partenza per analizzare la struttura della variabilità del campo e iniziare indagini più approfondite al fine di gestire gli appezzamenti
Agricoltura di Precisione (AP)
• L’agricoltura di precisione è un insieme di conoscenze e di tecniche che permette razionali e puntuali interventi agronomici, modulati in funzione delle variazioni nello spazio e nel tempo delle caratteristiche pedologiche, microclimatiche e colturali
Foto Informatore Agrario
Foto Informatore Agrario
Foto Informatore Agrario
GPS montato su trattore e satellite per la localizzazione puntuale della macchina operatrice
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agricoltura di precisione più ampi ed eterogenei con agrotecnica variata, modulare, sitospecifica. In termini anglosassoni tale approccio è stato definito Precision Agriculture (AP) e ha richiamato non solo l’attenzione del comparto tecnologico, ma anche quella del settore scientifico. Sul piano tecnologico lo sviluppo e l’applicazione di AP richiede: – un sistema di posizionamento per identificare e registrare dinamicamente la posizione di un qualsiasi oggetto o persona posta sulla superficie terrestre, in aria o nello spazio (vi sono diversi sistemi di posizionamento e navigazione satellitare come l’americano NAVSTAR-GPS, il russo GLONASS, l’europeo EGNOS): il sistema permette di rilevare superfici e confini, effettuare campionamenti georeferenziati, georeferenziare dinamicamente processi, come ad esempio la raccolta, ottenendo mappe tematiche; il sistema di navigazione permette a trattori e/o alle macchine operatrici di effettuare in modo preciso le diverse operazioni; – un sistema informatico in grado di acquisire, organizzare, estrarre, elaborare, restituire il dato su base cartografica (per indicare tale sistema viene utilizzata l’espressione anglosassone Geographic Information System-GIS ): ogni dato all’interno di un GIS possiede quindi una coppia di coordinate geografiche, una componente descrittiva, una componente temporale e attributi relativi alle relazioni spazio-temporali con altri dati del GIS stesso; – una serie di conoscenze, strumentazioni, mezzi interpretativi di diversa tipologia, in grado di acquisire informazioni di natura qualitativa e quantitativa in modo indiretto, non distruttivo. Con il cosiddetto Telerilevamento (Remote e Proximal Sensing) si utilizzano le proprietà fisiche degli oggetti (foglie, piante, colture, suolo nudo, rocce, coltri idriche o nevose ecc.) che, colpiti da flussi energetici di diversa origine (sole o altre fonti artificiali) riemettono, in modo del tutto particolare, energia elettromagnetica secondo una propria firma spettrale, differenziabile nel tempo e nello spazio; gli indici di vegetazione (combinazioni sintetiche dei
Obiettivi dell’Agricoltura di Precisione (AP)
• Individuare in modo esatto e ripetibile
dove si trova una porzione di terreno: questa possibilità permette di collegare alle informazioni di posizione (coordinate) un elevato numero di informazioni utilizzabili in vari modi. Per esempio si possono collegare informazioni sulla composizione del terreno, sulla produzione, sulla presenza di particolari infestanti o parassiti, sulle colture degli anni precedenti ecc.
• Utilizzare in modo più mirato le macchine agricole con risparmio di tempo, riduzione dei costi di produzione ecc.
• Accompagnare le produzioni
agricole raccolte con questo sistema con una serie di informazioni che seguiranno per tutto il loro tragitto sino al consumatore. Ciò consente di avere una “rintracciabilità di filiera”, ossia di fornire una documentazione comprovante l’origine e la storia completa di quel prodotto
Foto Informatore Agrario
Funzioni dell’Agricoltura di Precisione (AP)
• I sistemi informativi geografici
sviluppati a livello aziendale possono rappresentare un valido aiuto per una reale applicazione di alcuni recenti regolamenti e direttive CE come, per esempio, il Reg. 178/2002 (normativa sulla tracciabilità)
Macchina operatrice a controllo satellitare
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coltivazione Foto Informatore Agrario
Mappa di produzione
• Una mappa di produzione è una
immagine sullo stato della coltura al momento della raccolta, che consente di vedere le variazioni all’interno del campo
• A ogni zona colorata corrisponde un
diverso livello di resa granellare, a seconda di come la coltura ha risposto nelle varie parti dell’appezzamento alle tecniche colturali, alle caratteristiche del campo (terreno, sostanza organica ecc.), all’andamento climatico dell’annata ecc.
Centralina di controllo e gestione dei diversi interventi agronomici
valori di energia riflessa in diverse bande dello spettro elettromagnetico) aiutano a caratterizzare lo stato mutevole delle colture e a studiarne i comportamenti a seguito di sollecitazioni esterne; – una serie di strumentazioni da installare sulle macchine operatrici. Per ottenere una mappa della produzione, la mietitrebbiatrice deve essere equipaggiata con un ricevitore satellitare, un sensore di portata della granella, un sensore di densità, un sensore di umidità (tecnologia NIR o Near Infrared Reflectance), sensori di velocità di avanzamento, sensori alla barra collegati con una centralina di acquisizione ed elaborazione. Gli aspetti di carattere più scientifico-agronomico riguardano le nuove metodiche di campionamento del terreno e della coltura, le nuove procedure statistiche per l’elaborazione del dato, l’interpretazione integrata della cartografica tematica in grado di rappresentare la variabilità spazio-temporale riscontrabile all’interno del sistema colturale. Con il campionamento del terreno non si vuole tanto avere un campione supposto rappresentativo per determinare valori medi di alcuni parametri, quanto si tende a conoscere l’ampiezza della variabilità degli stessi. Per questo motivo, ogni campione di terreno, quindi ogni bollettino di analisi, deve mantenere una informazione fondamentale: quella relativa alla propria posizione, quindi le coordinate geografiche del punto in cui esso si riferisce. Con i diversi campioni georeferenziati, raccolti a maglia opportunamente scelta, viene così formata una rete geografica di dati che, sottoposta ad elaborazione geostatistica, consente di stimare i valori dei parametri anche nei punti non campionati e di redigere mappe di dettaglio relative al parametro preso in esame. Oltre alle mappe di produzione, l’azienda agraria nel tempo ha, quindi, la possibilità di creare una banca-dati dinamica, con la quale organizzare un sistema informatico con funzionalità cartografiche utili per ottimizzare l’agrotecnica, individuando per ogni campo le zone carenti di elementi nutritivi, o più infestate, o con
Latitudine
Belvedere 45.32 45.32 45.32 9.33 9.33 9.33 9.34 9.34 9.34 Longitudine ≤11.30 ≤11.60 ≤11.85 ≤12.10 ≤12.35 Resa Mappa della produzione di granella di mais
Latitudine
45.32
Cerro 30
45.32 45.32 45.32 45.31 9.33 9.33 9.33 9.34 9.34 9.34 Longitudine ≤9.00
≤11.00 ≤12.50 ≤14.50 ≤16.23 CSC 30
Mappa della capacità di scambio cationico (CSC)
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agricoltura di precisione maggiori problemi di ordine idrologico, e per questo, meno produttive; ciò per poter razionalizzare ulteriormente l’uso di concimi, diserbanti, dell’acqua irrigua e, quindi, ridurre gli impatti ambientali, avvicinandosi uniformemente alla massima produzione potenziale e, in alcuni casi, migliorando il reddito. Con la formazione di un archivio storico aziendale si creano nuove possibilità: per esempio individuare le aree stabilmente poco produttive, quelle stabilmente molto produttive e quelle, invece, che evidenziano grande variabilità temporale. Con un GIS aziendale ben strutturato e fornito di dati elementari (caratteristiche fisico-chimiche dei terreni, andamenti meteorologici, agrotecniche adottate nel corso degli anni) si è in grado di interpretare tale informazione e procedere a quella che viene definita in termini anglosassoni Variable Rate Technology o tecnologia per l’applicazione variabile. La distribuzione differenziata di fattori produttivi può procedere basandosi su mappe o su sensori (sensori sensibili alle proprietà del suolo o della coltura), ma sempre a seguito di uno studio approfondito di tipo agronomico che ne ottimizza l’applicazione. I vincoli individuati per lo scarso successo in Italia della AP sono i seguenti: la struttura del territorio e delle aziende agrarie italiane (orografia, giacitura, dimensione delle aziende e degli appezzamenti, ordinamenti colturali), gli investimenti iniziali richiesti per organizzare un sistema AP aziendale, scarsa ricerca, scarsa formazione e informazione degli operatori. Falliti i tentativi di trasferimento tout court dell’agricoltura di precisione statunitense in Italia, è possibile invece ipotizzare una diffusione di un insieme integrato di tecnologie informatiche che, rivolte all’azienda agraria, permettano un migliore uso del dato e dell’informazione, sia al suo interno, finalizzato principalmente a un oculato uso delle risorse, sia all’esterno, finalizzato a un qualificato collegamento con i consumatori.
Diffusione della AP
• Attualmente (dati 2005) negli USA
sono attive più di 20.000 mietitrebbie con sistema satellitare e circa il 30% delle aziende agricole sta adottando tecniche AP (nel Corn Belt la diffusione è particolarmente alta per il mais con il 30 % della superficie, seguito da soia, con il 25 % e da frumento, con il 10 %). In Europa la diffusione risulta ancora molto limitata, fatta eccezione per alcuni stati come la Germania (7 % delle grandi aziende), o la Danimarca (9% della superficie cerealicola). In Italia, le attuali 50 mietitrebbie (circa) attrezzate con sistemi di mappatura riescono a coprire solo 0,5 % della superficie cerealicola nazionale. Ancora in una fase sperimentale o di prima applicazione, e limitatamente alla coltura del mais (ancora pochi i casi di applicazione in frumento e soia) sono le macchine adatte alla RVT (distribuzione di fitofarmaci, concimi)
Foto Informatore Agrario
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il mais
coltivazione Macchine per la coltivazione Luigi Bodria, Marco Fiala
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Macchine per la coltivazione Macchine per la preparazione del letto di semina La tecnica colturale tradizionale comprende un’aratura medioprofonda, che comporta il rivoltamento della fetta al fine di interrare i residui colturali organici della precedente coltura e i fertilizzanti organici e minerali, seguita da una serie di operazioni di finitura, per portare il terreno al voluto livello di amminutamento. Negli anni più recenti, tuttavia, a fronte delle crescenti esigenze di abbattere i costi di produzione dei processi agricoli, si è progressivamente sviluppata una certa tendenza verso tecniche colturali meno impegnative in termini energetici e ambientali che prevedono una minore profondità di aratura (lavorazione a due strati), fino a tecniche di lavorazione ridotte (minimum tillage) e di semina su sodo. L’impiego di queste nuove tecniche e tecnologie consente, rispetto a quelle convenzionali, risparmi compresi fra il 40 e il 60% in termini economici e fino all’80%, dal punto di vista energetico. Le operazioni per la preparazione del terreno pre-semina si articolano in due gruppi: lavori di rottura (fondamentalmente tuttora coincidenti con l’aratura e/o la ripuntatura) e lavori di preparazione del letto di semina. I lavori di rottura consistono nell’operare una prima disgregazione dello strato coltivato allo scopo, sia di interrare i residui della coltura precedente, sia di ripristinare un’adeguata porosità del terreno che permetta la diffusione e l’accumulo dell’acqua e lo sviluppo dell’apparato radicale. La macchina fondamentale per i lavori di rottura è costituita dal tradizionale aratro a versoio, la cui azione può interessare uno strato di terreno più o meno profondo, da circa 20 cm nei lavori superficiali, a oltre 35 cm nei lavori profondi. Le operazioni che un aratro a versoio deve compiere avanzando nel
Lavorazioni per la preparazione del letto di semina
• Tali operazioni si articolano in due gruppi: lavori di rottura e lavori di preparazione del letto di semina
• I lavori di rottura, prevalentemente
eseguiti per mezzo dell’aratro a versoio, consistono in una prima disgregazione del terreno al fine di interrare i residui della coltura precedente e ripristinare un’adeguata porosità del terreno
• I lavori di preparazione del letto di
semina hanno la funzione di eliminare le erbe infestanti e provvedere allo sminuzzamento ulteriore del terreno adatto a ospitare il seme
Foto V. Bellettato
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macchine per la coltivazione terreno sono quelle necessarie a: tagliare dallo strato non ancora lavorato una fetta continua di terra, sollevarla, rivoltarla facendole compiere una rotazione di circa 135° e lasciandola, quindi, cadere di lato, inclinata di 45°. La fetta risulta di sezione rettangolare, con un rapporto ottimale teorico fra altezza e larghezza pari a 1/1,41. Si tratta, tuttavia, di un’astrazione teorica che non tiene conto delle diverse caratteristiche fisico-meccaniche dei vari terreni, dell’influenza del rapporto terra-acqua, dell’azione di disgregamento dovuta al contatto con gli organi dell’aratro e della presenza della vegetazione. In pratica, nei terreni tenaci ci si avvicina abbastanza a questa formulazione teorica, ma più in generale il rivoltamento e le proporzioni della fetta variano secondo la natura del terreno stesso e della profondità di lavoro da valori di 1,25 (aratura ritta) a valori di 2,00 (aratura rovesciata). All’aratro, poi, pur nelle sue varie versioni, sono andate sostituendosi e/o integrandosi macchine diverse basate su organi di lavoro sia fissi, che si limitano a disgregare il terreno senza rivoltarne gli strati (coltivatori o chisels), sia mossi dalla presa di potenza (p.d.p.) della trattrice (coltivatori rotativi). I lavori di preparazione del letto di semina hanno la funzione di: eliminare le erbe infestanti e provvedere allo sminuzzamento ulteriore del terreno, spianandone e regolarizzandone la superficie. Il tutto, al fine di portare il terreno stesso nelle condizioni fisiche più favorevoli alla successiva operazione di semina. Questi due gruppi di operazioni – rottura e preparazione del letto di semina – possono essere svolti in tempi differiti fra loro e rispetto alla semina stessa, oppure contemporaneamente, mediante macchine a operazioni riunite in associazione alla semina.
Foto V. Bellettato
Rottura del terreno
Preparazione del letto di semina e lavorazioni consecutive
Tecnica convenzionale
Lavorazione in due strati
Lavorazione ridotta (minimum tillage)
Dirompimento (lavorazione primaria)
Preparazione del letto di semina (lavorazione secondaria)
Aratri: - a versoio - a disco Coltivatori (chisels) Vangatrici Coltivatori rotanti
Erpici fissi: - a denti rigidi - a denti elastici - a dischi Erpici snodati
Aratri ripuntatori Ripuntatori + aratri a versoio
Erpici azionati dalla p.d.p.: - a denti oscillanti - a denti ruotanti Zappatrici Rulli: - frangizolle - sottocompressori - compressori
Erpici combinati Coltivatori (+ erpici fissi o azionati dalla p.d.p.) Zappatrici (+ erpici)
183
In copertura
Scarificatori Erpici strigliatori Rotocoltivatori frangicrosta Sarchiatrici: - a utensili fissi - a utensili azionati dalla p.d.p. Rincalzatrici
coltivazione Rottura del terreno La rottura del terreno viene fondamentalmente effettuata a mezzo di aratri a versoio, ma in particolari condizioni si possono utilizzare soluzioni alternative, con macchine a organi rotanti azionati dalla presa di potenza della trattrice.
Schema di un aratro a versoio Versoio
Aratro monovomere
Appendice Vomere Petto Suola
Gli aratri, con il costante sviluppo tecnologico delle trattrici, che ha reso disponibile una sempre maggiore potenza di trazione, si sono progressivamente evoluti, dal tradizionale aratro trainato, ad aratri portati polivomeri, anche di tipo reversibile.
Aratro esavomere
Foto V. Bellettato
Aratro fenestrato Aspetto del terreno dopo il passaggio dell’aratro
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macchine per la coltivazione Nella coltivazione del mais vengono generalmente impiegati aratri polivomere portati o, all’aumentare del numero dei corpi lavoranti, semiportati, accoppiati a trattori a quattro ruote motrici. Una soluzione recente è l’aratro fenestrato, caratterizzato da una riduzione della superficie del versoio, al fine di ridurre la resistenza di attrito con il terreno. È possibile così ridurre la forza di trazione dell’815%. La regolazione della profondità di lavoro avviene a mezzo del sollevatore idraulico e, in caso di aratri semiportanti, di un martinetto idraulico che regola la posizione della ruota di appoggio posteriore. I moderni polivomere sono dotati di sistemi idraulici di regolazione che consentono sia di operare entro e fuori il solco mantenendo il corretto assetto dell’insieme trattore-aratro, sia di variare la larghezza di lavoro mediante bure articolata. Possono, inoltre, essere dotati di dispositivi non-stop che, mediante intermediari deformabili, consentono agli organi di lavoro di sollevarsi in presenza di ostacoli interrati. Al fine di ridurre gli elevati costi economici ed energetici connessi con l’aratura profonda ed evitare la formazione di suole di lavorazione per effetto della compattazione del terreno da parte delle ruote della trattrice e della pressione del vomere dell’aratro, si è sviluppata, in alternativa all’aratura tradizionale, la tecnica della lavorazione a due strati. Tale tecnica, costituita da una ripuntatura profonda seguita da un’aratura superficiale, consente, da un lato, di smuovere il terreno in profondità, mantenendo gli effetti positivi dell’aratura convenzionale e, dall’altro, grazie alla maggiore larghezza di lavoro e velocità delle macchine utilizzate, di realizzare risparmi, in termini di spesa energetica e di produttività del lavoro, dell’ordine di 20-30%. I ripuntatori possono operare a profondità comprese fra 60 e 80 cm e consentono di ridurre del 40% circa la spesa di energia necessaria per unità di volume di terreno lavorato, rispetto a quella richiesta da un aratro convenzionale operante a pari profondità.
Sistema automatico per il superamento degli ostacoli interrati
Parametri operativi di macchine per la lavorazione del terreno Parametri
Unità di misura
Aratri a versoio
Ripuntatori
Coltivatori
Coltivatori rotativi
Tipo di accoppiamento
-
Trainato/portato
Trainato/portato
Trainato/portato
Portato con p.d.p.
Larghezza utile di lavoro
m corpi
0,40-4,00 1-9
0,80-4,00 1-5
2,50-6,00 5-15
2,50-3,00 5-6
Profondità di lavoro
cm
15-60
35-60
15-35
20-35
Velocità di avanzamento
km/h
4,0-7,0
4,0-7,0
4,0-8,0
3,0-6,0
Resistenza specifica di trazione
N/m ∙ cm
300-1400
100-300
100-300
-
Potenza specifica assorbita alla p.d.p.
kW/m ∙ cm
-
-
-
0,6-2,4
Potenza motore al trattore
kW
40-180 (4 RM)
80-280 (4RM)
60-180 (4 RM)
120-180
Capacità teorica unitaria di lavoro
ha/h ∙ m
0,4-0,7
0,4-0,7
0,4-0,7
0,3-0,6
Indice di rivoltamento
-
Elevato
Nullo
Nullo
Basso
185
coltivazione Preparazione del letto di semina A tale scopo si usano, fondamentalmente, due tipi di macchine: gli erpici (di varia forma e tipologia, anche combinati fra loro) e le zappatrici. Gli erpici hanno la funzione di completare il lavoro dell’aratro e, più precisamente, amminutare, livellare e pulire dalle erbe infestanti il terreno arato preparandolo, così, a ospitare la semente. Nella produzione attuale, l’erpice – che si presenta oggi quasi sempre di tipo portato – può distinguersi in diverse categorie, ciascuna delle quali meglio si adatta a particolari tipi di lavoro e a specifici terreni. In particolare, si hanno modelli: a utensili rigidi o elastici; a telaio rigido o snodato; con organi di lavoro fissi rotanti, folli sul proprio asse o a denti azionati dalla p.d.p., che vengono generalmente accoppiati con rulli costipatori. La categoria che prevede organi di lavoro rotanti per reazione dei denti sul terreno comprende erpici a lame radiali ed erpici con rotori dentati. In terreni di medio impasto o di limitata tenacità, si impiegano in generale erpici a denti elastici o a denti rotanti folli in grado di operare a velocità dell’ordine di 12-13 km/h. Nel caso di terreni a elevata zollosità che richiedono un’azione di frantumazione più energica, vengono utilizzati erpici a dischi che offrono anche un apprezzabile interramento della biomassa vegetale. Nel caso di terreni particolarmente tenaci o qualora sia richiesto un più elevato grado di amminutamento, è possibile ri-
Frangizolle
Tipologie di erpice
Erpicatura
Tipologie di erpici
• I più recenti, ma ormai di gran lunga
più diffusi, sono gli erpici a denti rotanti. Essi sono caratterizzati da una serie di rotori ad asse verticale, rotanti ciascuno in senso opposto all’adiacente e provvisti di una coppia di denti variamente conformati
Erpice a dischi
• A parità di velocità di avanzamento,
in genere compresa fra 3 e 6 km/h, il livello di amminutamento del terreno è, quindi, regolabile in base alla velocità di rotazione dei denti, in generale compresa fra i 150 e 400 giri/min Erpice con rotori dentati folli
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macchine per la coltivazione correre all’impiego di erpici a utensili mossi dalla p.d.p. i cui denti possono essere dotati di moto rotativo o oscillante. Le zappatrici possono essere impiegate sia su terreni lavorati particolarmente tenaci per le lavorazioni secondarie di preparazione del letto di semina, sia per la lavorazione primaria per la semina diretta su terreno sodo. Lo sminuzzamento e il rimescolamento del terreno sono tanto maggiori quanto più elevato è il rapporto fra la velocità di rotazione degli organi lavoranti, variabile fra valori dell’ordine dei 100 e 400 giri/min, e la velocità di avanzamento, in genere pari a 3-5 km/h. A causa dell’elevato valore della potenza assorbita (15-30 kW per metro di larghezza di lavoro), i modelli con larghezza di lavoro superiore ai 2 m sono azionati dalla p.d.p. unificata a 1000 giri/min, al fine di ridurre il valore della coppia trasmessa. Macchine combinate L’esigenza di applicare, da un lato, tecniche di coltivazione più economiche in termini generali ed energetici e, dall’altro, meno invasive in termini ambientali, sta generando una crescente attenzione verso l’agricoltura conservativa, ovvero verso tecniche colturali che non inducano trasformazioni tali da modificare nel tempo le caratteristiche generali dell’ambiente e del terreno. L’obiettivo, quindi, è di ridurre l’impatto dei processi agricoli sia sulla naturale composizione del suolo, sia sulla sua struttura e sulla biodiversità, favorendo la conservazione dell’umidità, limitando l’erosione e il calpestamento. A tal fine le tecniche tradizionali di lavorazione profonde con interramento dello strato superficiale, possono essere sostituite con sistemi semplificati che comportano un ridotto numero di passaggi e che disturbano meno la struttura del terreno. Si parla in ordine di intensità decrescente, di lavorazione ridotta e di semina su sodo, quest’ultima nel caso del mais di secondo raccolto, applicata soprattutto nelle semine autunnali. La lavorazione ridotta è costituita da una rottura degli strati superficiali del terreno (5-15 cm) per creare le condizioni favorevoli allo sviluppo del seme. A tale fine vengono impiegate attrezzature semplici, costituite da un telaio su cui sono disposte combinazioni di attrezzi (dischi, denti, organi rotanti, rulli ecc.) scelti in funzione delle caratteristiche e delle tipologie dei suoli. Se si ha una elevata presenza di residui colturali, può anche essere effettuato un leggero rivoltamento del suolo, utilizzando aratri a versoio, che operano a profondità limitate (≤ 15 cm) e ad elevate velocità, seguito dalla semina su terreno affinato da un organo accoppiato con la seminatrice stessa. Nel caso della semina su sodo, vengono utilizzate attrezzature combinate in cui gli organi lavoranti, che operano solo nelle zona interessata del solco di semina, sono accoppiati direttamente con una seminatrice di precisione di tipo pneumatico. Gli organi lavoranti possono essere piccole zappatrici rotative azionate dalla p.d.p., che provvedono alla lavorazione di una striscia di
Confronto fra terreno appena arato (a destra) e pronto per la semina (a sinistra) Foto E. Marmiroli
Esempio di macchine combinate per la minima lavorazione o semina su sodo
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coltivazione pochi centimetri, al centro della quale avviene la deposizione del seme. In qualche caso sono presenti anche organi discissori che provvedono a fessurare il terreno a una profondità di 10-15 cm. Altre soluzioni prevedono come organi lavoranti dei dischi a bordo ondulato o ancore elastiche che provvedono all’apertura del solco prima degli elementi seminanti. Naturalmente l’impiego di tali tecniche richiede terreni strutturati, ben livellati, con buon drenaggio e sgrondo delle acque, al fine di evitare dannosi ristagni idrici.
Fertilizzanti minerali e reflui zootecnici
• Le accuse di inquinamento ambientale
mosse al settore agricolo, le restrizioni normative all’uso di prodotti chimici, nonché la crescente richiesta di prodotti biologici, hanno stimolato l’attenzione verso le tecniche di distribuzione dei fertilizzanti minerali a ridotto impatto ambientale e un rinnovato interesse verso l’utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici, considerati come prodotti fertilizzanti piuttosto che scarti da smaltire
Macchine per fertilizzazione, semina e irrigazione Fertilizzazione I fertilizzanti organici si distinguono in solidi (letame: prodotto palabile formato da deiezioni e lettiera, con contenuto di sostanza secca > 14%) e in liquidi (liquame: prodotto pompabile formato da deiezioni e acqua, con sostanza secca < 14%). I fertilizzanti minerali, invece, si distinguono sia per i diversi componenti chimici, sia per l’aspetto fisico che può essere fluido o, più diffusamente, solido (granuli, scaglie, polveri). L’utilizzazione dei fertilizzanti organici avviene sempre mediante lo svolgimento delle operazioni di: carico, trasporto e distribuzione, eseguite in successione con macchine operatrici diverse in taluni casi raggruppate in un complesso unico. La dose da distribuire (kg/ha) è sempre legata, oltre che alle esigenze agronomiche della coltura, al contenuto in elementi nutritivi (N, P, K) del fertilizzante e alla verifica del rispetto di vincoli legislativi relativi alla vulnerabilità del suolo ai fini dell’inquinamento delle acque. Il letame viene di norma stoccato nel centro aziendale su piattaforme all’aperto in prossimità dei locali di allevamento e caricato sulle macchine per la distribuzione nei campi mediante pale e caricatori azionate idraulicamente e montate anteriormente alla trattrice, oppure mediante piattaforme gommate dotate di benna e accoppiate a punto fisso con la trattrice. Di uso frequente movimentatori semoventi dotati di braccio telescopico, impiegati in azienda per il carico/scarico di altri materiali. I liquami, invece, provenienti dai locali di allevamento, sono stoccati in vasche all’interno delle quali – per
Foto Agrilinea
Particolare di un centro aziendale in cui si notano i vasconi di stoccaggio dei liquami
Macchine per la fertilizzazione Operazione
Letame
Liquame
Concimi minerali solidi
Concimi minerali liquidi
Omogeneizzazione
-
Miscelatori a elica
-
-
Carico
Caricatore a forca
Pompe (centrifughe, a lobi, a vite)
Manuale Pala meccanica Caricatore a gru
Pompe centrifughe
Trasporto
Rimorchio agricolo
Rimorchio cisterna
Rimorchio agricolo
Serbatoio
Distribuzione
Spandiletame
Spandiliquame
Spandiconcime
Irroratrici
188
macchine per la coltivazione evitare la separazione della fase liquida dalla solida e la conseguente formazione di una crosta superficiale – sono sottoposti a operazioni di omogeneizzazione, ottenuta mediante dispositivi a pale, azionati elettricamente o dalla p.d.p. della trattrice. Per l’effettuazione della concimazione minerale trovano impiego gli spandiconcime, caratterizzati da due sistemi di distribuzione: per reazione centrifuga e per azione pneumatica. Recentemente introdotti (e di grande interesse in termini di controllo ambientale) sono i sistemi elettronici per la regolazione della dose distribuita. Nel caso del liquame tali sistemi sono anche abbinati a sensori per la determinazione, in tempo reale, del contenuto in elementi fertilizzanti (N e P) presenti nel liquame stesso. La portata del sistema di distribuzione viene calcolata in base alla velocità di avanzamento della trattrice, della larghezza di lavoro prescelta, mantenendo automaticamente i valori voluti di dose per ettaro. Tale sistema può essere collegato a un dispositivo GPS (Global Positioning System) che, stabilendo la posizione georeferenziata dello spandiliquame nell’appezzamento, permette la variazione della dose distribuita in relazione alle esigenze “locali” nonché la registrazione dei dati di funzionamento, indispensabili per il rispetto dei limiti delle quantità distribuite fissate per il territorio interessato.
Spandiletame
Riempimento Passo d’uomo
Semina Le moderne tecniche di lavorazione del terreno, se applicate correttamente per le specifiche condizioni pedologiche, rappresentano un’efficace alternativa alla aratura profonda tradizionale, con una interessante riduzione dei costi di produzione. Tuttavia, cambiare le modalità di lavorazione significa adeguarsi a un sistema colturale che influenza le successive operazioni, a partire dalla semina. Se, infatti, con le lavorazioni tradizionali si ottiene un letto di semina perfettamente preparato per accogliere il seme e favorirne la germinazione, con le tecniche più moderne precedentemente illustrate tale perfezione è difficilmente raggiungibile. Lavorare meno e più superficialmente porta, infatti, a un letto di semina più grossolano, zolloso e con la presenza di residui colturali. Da qui l’evoluzione anche della moderne seminatrici da mais che, adeguandosi alle nuove necessità, presentano una serie di dispositivi e accorgimenti che garantiscono una semina precisa e regolare in tutte le condizioni di terreno. Le seminatrici di precisione provvedono, mediante elementi seminatori indipendenti per ogni fila di semina, alla deposizione dei semi singoli di mais mantenendo costante la distanza sulla fila. Attualmente i modelli più diffusi sono quelli a distribuzione pneumatica. In tali seminatrici, la distribuzione dei semi è assicurata da una leggera depressione (0,03-0,04 bar) creata da un ventilatore centrifugo aspirante azionato dalla p.d.p della trattrice, che agisce sui dischi distributori, ciascuno dei quali munito di fori equidistanti di diametro leggermente inferiore a quello dei semi di mais. Durante la rotazione, ogni foro trattiene un solo se-
Comando distributore
Serbatoio Filtro Comando aria p.d.p.
Spandiliquame a pressione
Tramoggia
Agitatore Regolazione della dose
Tubo oscillante Spandiconcime
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Compressore
coltivazione me, rilasciato quando viene meno l’effetto aspirante, in corrispondeza del tubo adduttore. La semina pneumatica ben si adatta a semi di calibro diverso e consente elevate velocità di lavoro senza problemi di lesione ai semi. Quasi tutte prevedono come optional l’equipaggiamento con dispositivi spandiconcime che depongono il fertilizzante minerale a monte dei semi e di microgranulatori per la distribuzione, a valle dei semi, di un geodisinfestante. I prodotti, dosati mediante sistemi diversi (meccanici o pneumatici), cadono in uno o più tubi adduttori attraverso i quali raggiungono la superficie del terreno o gli assolcatori della seminatrice. Le larghezze di lavoro delle moderne seminatrici raggiungono 9 m, permettendo nel mais di lavorare fino a 12 file contemporaneamente. Le seminatrici operano con velocità avanzamento di 8-10 km/h, mentre gli assorbimenti complessivi di potenza sono di 4,0-5,0 kW/fila.
Seminatrici a controllo elettronico
• Sui modelli di grandi dimensioni
(8-12 file) si vanno diffondendo sistemi elettronici di controllo costituiti da sensori ottici applicati a ogni elemento di semina in grado di contare i semi distribuiti attivando segnali sonori e visivi in caso di anomalie; tali dispositivi, abbinabili a sistemi GPS, forniscono, inoltre, informazioni all’operatore su superficie seminata, velocità di avanzamento, tempi di esecuzione, chilometri percorsi
Macchina combinata per la preparazione del letto e la semina
1
4 5 6
2
3
1) Serbatoio per i fertilizzanti 2) Ripuntatore 3) Zappatrice 4) Microgranulatore per i geodisinfestanti 5) Seminatrice 6) Irroratrice per il diserbo in “banda”
Seminatrice a 10 elementi, adatta a seminare grandi superfici rapidamente
190
macchine per la coltivazione Impianto semifisso per l’irrigazione a pioggia Tubo di erogazione
Irrigatori ruotanti Irrigatore
Una classificazione degli irrigatori ruotanti è definibile in base alla differente pressione p (bar) di esercizio dell’irrigatore stesso, pressione legata alla gittata b (m) e alla portata Q (dm3/s). Si hanno così:
Idrante
• irrigatori a bassa pressione
(p < 2,5 bar, b < 20 m, Q = 0,5-2 dm3/s)
• irrigatori a media pressione
(p = 2,5-5,0 bar, b < 21-40 m, Q = 2-6 dm3/s)
Condotta di adduzione
• irrigatori ad alta pressione
(p > 5 bar, b > 40 m, Q > 6 dm3/s)
Irrigazione Il mais è una delle colture con il maggiore fabbisogno di acqua e, pertanto, in caso di piovosità limitata o mal distribuita, è necessario compiere tempestivi interventi di irrigazione per evitare fenomeni di squilibrio tra acqua necessaria alla pianta e disponibilità idrica offerta dal terreno. Naturalmente, è opportuno fare ricorso a tecniche di uso razionale dell’acqua al fine di contenere il consumo di una risorsa che va diventando sempre più scarsa nel tempo. Di comune impiego nella coltura del mais è l’irrigazione a pioggia (o per aspersione) che, a parità di esigenze della coltura, comporta mediamente consumi di acqua inferiori alla metà di quelli propri del classico sistema per scorrimento. L’impianto
Irrigatore gigante semovente (rotolone)
Irrigatore mobile
Bobina operante a punto fisso
All’opera di presa
191
coltivazione relativo prevede un’opera di presa dell’acqua; una condotta di adduzione; una o più condotte di erogazione, uno o più irrigatori. L’opera di presa è generalmente rappresentata da una stazione di pompaggio, ossia da un gruppo motore-pompa che provvede a fornire all’acqua l’energia di pressione necessaria a vincere la prevalenza di mandata. L’acqua viene spinta, così, nelle condotte di adduzione, e portata a sistemi di distribuzione di tipo fisso, semifisso o mobile dove sono posti degli irrigatori, in genere di tipo dinamico (o ruotante). Questi sono costituiti da una lancia che termina con un opportuno boccaglio e che ruota attorno a un asse verticale, a giri completi (360°) o secondo un angolo predefinito. L’esigenza di tempestività ed economicità degli interventi hanno portato allo sviluppo di impianti di tipo mobile che comportano un basso impiego di manodopera e offrono un elevato livello di automazione delle operazioni. La soluzione più comunemente impiegata è costituita dagli irrigatori giganti semoventi o rotoloni. Il sistema è costituito da una tubazione flessibile, con lunghezza variabile da 100 a 700 m e avvolta su una bobina montata su un carrello a ruote gommate, alla cui estremità è posto un irrigatore mobile ad alta pressione portato da un carrello. Un motore idraulico a turbina, azionato dalla stessa acqua di irrigazione che giunge dalla stazione di pompaggio a una pressione dell’ordine di 10 bar, provvede all’azionamento della bobina. Una volta posizionato l’impianto e collegato all’opera di presa, il tubo viene interamente srotolato, trainando il carrello dell’irrigatore. Una volta avviata l’irrigazione, il motore idraulico aziona la bobina che riavvolge lentamente il tubo, riportando l’irrigatore alla posizione iniziale. La velocità di movimento dell’irrigatore è regolabile mediante un variatore continuo al fine di ottenere il necessario valore di intensità di pioggia. Si tratta di impianti che si sono grandemente diffusi negli ultimi anni per il loro costo contenuto e la loro elevata maneggevolezza che consente grande tempestività di intervento. Un solo operatore, infatti, è in grado di posizionare l’impianto che
Pivot
Sistema di irrigazione a pioggia tipo pivot
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macchine per la coltivazione provvede a irrigare una superficie di 5-6 ha. Più complessi sono gli impianti ad ala piovana mobile ad avanzamento automatico che possono essere a moto circolare (pivot) oppure a moto rettilineo (rainger). Il sistema a moto circolare consiste in una intelaiatura metallica, portante la tubazione di distribuzione con relativi irrigatori, composta da più elementi di lunghezza variabile da 25 a 50 m, montati su ruote e azionati da motori elettrici. Tali elementi vengono uniti fra loro, collegando le tubazioni con giunti flessibili, e formano ali di lunghezza variabile (fino a 1500 m). Un’estremità dell’ala viene collegata al punto centrale di alimentazione dell’acqua in pressione e il movimento rotatorio viene ottenuto regolando opportunamente la velocità delle ruote dei tralicci di supporto dei diversi elementi, che risulta progressivamente crescente all’aumentare della distanza del centro di rotazione. Anche gli irrigatori, di tipo a bassa-media pressione, devono fornire una portata di acqua crescente, all’aumentare della distanza dal centro, al fine di garantire una intensità di pioggia uniforme su tutta la superficie circolare coperta dall’impianto. La soluzione a moto rettilineo si basa su un carrello semovente montato su quattro ruote pneumatiche, al quale sono collegate due ali laterali (disposte perpendicolarmente alla direzione di avanzamento) composte da elementi mobili analoghi a quelli precedentemente descritti nel sistema pivot. Il complesso è azionato da un motore diesel che provvede, sia all’autodislocamento del carrello e alla produzione di energia elettrica per l’alimentazione dei motori di avanzamento dei tralicci di supporto delle ali, sia all’azionamento della pompa che preleva l’acqua da un canale a fianco del quale la macchina avanza. Si tratta di una soluzione che offre bassi costi di esercizio, ma elevati costi di investimento per l’acquisto delle attrezzature e, pertanto, la sua utilizzazione è limitata ad aziende di adeguate dimensioni e con fabbisogni idrici particolarmente elevati.
Foto R. Balestrazzi
Rainger e canale di adduzione dell’acqua
Sistema di irrigazione a pioggia tipo rainger
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coltivazione Macchine per la distribuzione dei fitofarmaci Le operazioni di diserbo e di controllo dei parassiti vengono effettuate per mezzo di macchine irroratrici, che svolgono la funzione di polverizzare in gocce finissime e distribuire in modo uniforme, la voluta quantità di liquido contenente il principio attivo. Le macchine
Schema di una macchina irroratrice Serbatoio
Agitatore idraulico
Manometro
Ugello Pompa
Ugello a ventaglio
sono costituite da un telaio sul quale sono montati: il serbatoio principale, destinato a contenere la miscela da distribuire e il circuito idraulico. Quest’ultimo ha il compito di regolare la portata di liquido e trasportarlo agli ugelli erogatori, dove avviene la polverizzazione meccanica per effetto dell’espansione del liquido in pressione attraverso il foro degli ugelli stessi. Nel caso del mais le tipologie usate sono quelle a ventaglio e a getto deviato, che derivano il loro nome dalla forma e dalla distribuzione del getto prodotto. Gli ugel-
Ugello a getto deviato
Foto V. Bellettato
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macchine per la coltivazione li a ventaglio, dotati di foro di uscita a sezione ellittica, generano un getto con un angolo di apertura, crescente all’aumentare della pressione, compreso fra 80° e 110°, con un diagramma di distribuzione di tipo triangolare, mentre quelli a getto deviato presentano un orifizio circolare che indirizza il getto contro una parete che lo devia verso terra. Dispositivi antigocciolamento provvedono ad arrestare il flusso di liquido quando viene arrestata la distribuzione al termine dell’appezzamento, per evitare dannose dispersioni del prodotto nell’ambiente. Di fondamentale importanza per questo tipo di macchine sono i dispositivi di regolazione e controllo, sia per la corretta erogazione del liquido e la buona riuscita del trattamento, sia e soprattutto, al fine di evitare la distribuzione incontrollata nell’ambiente dei prodotti impiegati. I sistemi di regolazione meccanici tradizionali più comuni sono di due tipi: a pressione costante e a ritorno proporzionale, ma una sempre maggiore diffusione vanno progressivamente trovando i dispositivi di tipo elettronico, che consentono di realizzare una regolazione con distribuzione proporzionale all’avanzamento (DPA). I sistemi di regolazione a pressione costante sono quelli maggiormente impiegati e si basano su un regolatore di pressione, con molla di taratura, che controlla il flusso di ritorno del liquido al serbatoio. Ai fini dell’uniformità di distribuzione longitudinale, pertanto, è necessario che il conduttore mantenga rigorosamente costante la velocità di avanzamento. Nei sistemi di regolazione a ritorno proporzionale, è mantenuto costante il rapporto fra la portata di ritorno e quella di distribuzione, che varia proporzionalmente al regime di rotazione del motore. Quindi, se la marcia selezionata non viene modificata e in assenza di slittamento delle ruote motrici, la quantità di prodotto distribuita per unità di superficie rimane costante. I sistemi di regolazione a distribuzione proporzionale all’avanzamento (DPA), che nel passato richiedevano sistemi meccanici complessi e ingombranti, stanno oggi trovando sempre maggiore diffusione grazie al rapido sviluppo delle tecno-
Portata di ritorno (Q2)
Valvola (1) Portata della barra (Q1)
Variazioni della portata (Q 0) Regolatore di pressione
Regolatore di pressione
• Il disegno in alto mostra il sistema
di regolazione della pressione che mantiene costante la portata di distribuzione della barra. Le variazioni della portata Qo proveniente dalla pompa fanno variare l’apertura della valvola (1) che varia la portata Q2 di ritorno al serbatoio, mantenendo costante la pressione e la portata Q1 che va alla barra
Computer di controllo
Foto V. Bellettato
Valvola
Radar
Portata della pompa Nel sistema di regolazione proporzionale all’avanzamento, la portata della pompa viene regolata dalla valvola in funzione della velocità reale di avanzamento rilevata dal radar, secondo i valori impostati dal computer di controllo
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coltivazione logie elettroniche e informatiche. Sono essenzialmente costituiti da un sensore per la misura delle portate di distribuzione, da una valvola motorizzata di controllo della portata distribuita e da un dispositivo di misura della velocità di avanzamento della macchina, che nella versione più sofisticata è di tipo “radar”. Le informazioni lette dai sensori giungono ad un dispositivo di controllo, nel quale l’operatore ha impostato la larghezza di lavoro e la dose per ettaro voluta, che provvede a regolare opportunamente l’apertura delle valvole motorizzate al fine di adeguare la portata e di mantenere così sempre costante la dose erogata, indipendentemente dalla velocità di lavoro.
Diverse tipologie di falciatrincia-caricatrici (FTC)
• Le FTC a 1 fila portate da trattori con
potenza motrice pari a 35-80 kW trovano sempre più scarsa applicazione nella moderna foraggicoltura, risultando interessanti soltanto nel caso particolare di distribuzione giornaliera dell’alimento verde; le medesime considerazioni, aggravate dalla minore manovrabilità in campo, valgono per le FTC a 1 fila, di tipo trainato. Più interessanti risultano, invece, le FTC a 2-3 file con testata intercambiabile che, con produttività di lavoro di 20-40 t/h e grazie alla possibilità di impiego su foraggi di varia natura, diventa l’operatrice cardine per le aziende zootecniche di piccola-media dimensione
Macchine per la raccolta Le modalità di raccolta del mais si differenziano in modo sostanziale in relazione alla tipologia di prodotto; esistono, infatti, macchine operatrici specifiche e funzionalmente predisposte per raccogliere il mais in forma di: trinciato integrale, granella, miscuglio granella-tutoli. Raccolta di trinciato integrale per l’insilamento La raccolta del mais ceroso (silomais) si basa sull’impiego di falcia-trincia-caricatrice (FTC), operatrici in grado di preparare in campo il prodotto trinciato, predisponendolo per il suo trasporto e insilamento, previa adeguata compressione della massa, in sili orizzontali nei quali è conservato, in condizioni di anaerobiosi. Le FTC oggi disponibili sul mercato sono di tipo: portato, trainato, semovente. Nel caso, assai diffuso, di FTC portate ad accoppiamento posteriore, dovendosi la trattrice muovere in retromarFoto Agrilinea
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macchine per la coltivazione Foto R. Angelini
Tubo di lancio
Rullo alimentatore
Falcia-trincia-caricatrice
cia, deve presentare il sistema a guida reversibile e un gruppo cambio dotato di inversore; quelle ad accoppiamento anteriore necessitano, invece, di trattrici dotate di sollevatore e p.d.p. anteriori, allestimento peraltro frequentemente riscontrabile nei trattori di medio-elevata potenza; queste macchine non richiedono la preventiva “apertura del campo” e impiegano trattori con potenza dell’ordine = 100-130 kW. Le FTC semoventi (equipaggiate con motori di potenza pari a 200450 kW e con trasmissione idrostatica che permette di adeguare in modo continuo la velocità di avanzamento dell’operatrice, migliorandone anche la manovrabilità) sono le operatrici più interessanti per la produzione di silomais in aziende zootecniche di grandi dimensioni o in dotazione ad aziende agro-meccaniche; esse, infatti, con testate 4-6 file consentono produttività di lavoro di 50-100 t/h.
Falcia-trincia-caricatrice per la raccolta del silomais Foto R. Angelini
Raccolta della granella La granella di mais viene raccolta con la mietitrebbiatrice, macchina polivalente che realizza, con una sola passata in campo, l’intero ciclo di lavoro, dal taglio della pianta alla trebbiatura, alla separazione e pulizia della granella; essa provvede, altresì, all’immagazzinamento temporaneo del prodotto in apposite tramogge periodicamente svuotate, lasciando la biomassa residuale in campo. L’operatrice è sempre di tipo semovente (potenza motrice = 200-350 kW), costituita da: testata di raccolta specifica (spannocchiatrice), organi di trebbiatura e separazione, organi di pulizia e movimentazione della granella, unità motrice e organi di regolazione e controllo. La testata della spannocchiatrice è caratterizzata da una serie di spartitori carenati che delimitano le file di raccolta (da 4 a 8); fra ciascuna coppia di spartitori si trova una coppia di rulli orizzontali scanalati e controrotanti (rulli mungitori). Lo stocco delle piante viene preso fra i rulli e tirato verso il basso, fino a provocare il distacco delle spighe in
Campo di mais pronto per la trebbiatura della granella
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coltivazione corrispondenza di una coppia di lame pareggiatici, orizzontali e poste immediatamente al di sopra dei rulli mungitori, mentre gli stocchi sono trascinati velocemente verso il basso e trinciati da dispositivi (coltelli orizzontali) posti sotto ogni spartitore e distribuiti sul terreno. In alcuni modelli, ai lati della testata sono presenti coclee coniche che agevolano l’operazione ed evitano il ribaltamento delle piante all’esterno. Sopra le lame pareggiatrici scorre una coppia di catene dentate che portano le spighe verso il convogliatore a coclea, posto trasversalmente alla testata e dotato di profili contrapposti, che fa affluire le spighe al centro della testata, dove – mediante un apposito convogliatore-elevatore a elementi retrattili di larghezza analoga al battitore – sono introdotte negli organi trebbianti, interni alla macchina. In caso d'ingolfamento degli organi trebbianti è possibile invertire il moto della coclea. Tutti i dispositivi che costituiscono la testata di raccolta (la cui massa è notevolmente superiore a quella per frumento) sono assemblati in una piattaforma metallica, incernierata al telaio e sostenuta da pistoni idraulici che consentono di variarne l'altezza rispetto al terreno, adeguandola all'altezza di taglio e allo stato (in piedi o allettato) della coltura. È ormai generalizzato l'impiego di sistemi elettronici di controllo automatico della posizione longitudinale e trasversale della testata, che viene costantemente adeguata alla conformazione del terreno nonché di sensori (particolarmente utili in casi di scarsa visibilità) posti all’estremità degli spartitori che rilevano la posizione degli stocchi e “guidano” la mietitrebbiatrice tra le file. Dato che le larghezze superano abbondantemente quelle consentite dal Codice della Strada, durante il trasferimento su strada, la testata viene ripiegata idraulicamente, di norma, in tre sezioni.
Schema della testata di una mietitrebbiatrice da granella
Foto V. Bellettato
Particolare della testata di una mietitrebbia per la raccolta della granella
Foto R. Angelini
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macchine per la coltivazione Gli organi di trebbiatura e separazione, nella versione classica, sono costituiti da un battitore a flusso tangenziale e da una serie di scuotipaglia. Il battitore è costituito da un rotore, provvisto di barre trasversali, rotante all’interno di una griglia fissa (o controbattitore) che lo avvolge per circa 120°, con maglie larghe 20-25 mm). Il distacco delle cariossidi dal tutolo avviene principalmente per attrito, ed è tanto più energico quanto maggiore è la velocità del battitore e minore è la distanza battitore-controbattitore. Questi parametri vanno accuratamente settati nella preparazione della mietitrebbiatrice e, grazie ai sofisticati sistemi elettronici di controllo, costantemente monitorati durante il lavoro affinché siano ridotte al minimo le perdite (≤ 3,0-3,5%) e i danni (≤ 3,54,0%) alla granella. Dopo l’azione del gruppo di trebbiatura, la massa di materia organica, rappresentata dalla granella separata e da parti minute di steli e tutoli, attraversa il controbattitore e cade al piano preparatore che la invia al sistema di pulizia. Le brattee/tutoli e le parti non trebbiate, invece, vengono inviate alla separazione a mezzo di un deflettore e di un tamburo spagliatore (o post-battitore) che opera una seconda separazione fra la restante granella e l’altra biomassa; da qui il flusso di materiale giunge a 4-8 scuotipaglia con funzione di ulteriore separazione della granella residuale. Essi consistono in una serie di cassetti longitudinali in lamiera (superficie complessiva: 3,5-4,5 m2/m di larghezza di battitore), inclinati di 20-30° e rivestiti superiormente da griglie. Sono fissati ad alberi a gomiti, che li scuotono in
Battitore
Controbattitore Gruppo battitore
Mietitrebbiatrice a battitore trasversale
Tramoggia di carico
Cabina
Scuotipaglia
Battitore
Ventilatore
Crivelli
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coltivazione modo da rimescolare il materiale facendolo contemporaneamente avanzare verso la parte posteriore della macchina, dove viene scaricato a terra. La granella che cade dalle griglie scorre lungo i cassetti e viene così anch’essa convogliata al piano preparatore; se il flusso di materiale è eccessivo, l’efficienza di separazione diminuisce, provocando perdite troppo elevate, immediatamente rilevabili con moderni sensori piezoelettrici posti nella parte terminale della mietitrebbiatrice. È da rilevare che, nell’attuale panorama costruttivo, sono disponibili diverse soluzioni tecniche basate su dispositivi che lavorando in concomitanza con gli scuotipaglia, mirano a migliorare ulteriormente l’efficienza di separazione. Il battitore assiale è una soluzione alternativa che riunisce, all’interno di un unico elemento, le funzioni di trebbiatura e di separazione. Il sistema di trebbiatura è costituito da una griglia all’interno della quale ruota un tamburo dotato di rilievi in grado di far avanzare il prodotto verso l’uscita. Nella prima sezione del battitore avviene la trebbiatura, mentre nella seconda si realizza la separazione. L’alimentazione del prodotto al battitore può essere tangenziale o, più frequentemente, assiale; ciò condiziona il posizionamento del sistema trebbiante che, nei due casi, risulta, rispettivamente, trasversale o longitudinale. Poiché la trebbiatura avviene più per frizione che per impatto, la richiesta di energia è circa doppia rispetto a quella necessaria per un sistema di trebbiatura tangenziale, determinando una azione meccanica più intensa sui residui colturali. D’altra parte, nei modelli assiali si verifica una interessante riduzione delle rotture di granella mentre la produttività per unità di volume della macchina risulta incrementata rispetto a quella dei modelli convenzionali. In termini generali, quindi, se i rotori assiali presentano alcune limitazioni per la raccolta dei cereali a paglia, offrono indubbi vantaggi nella trebbiatura del mais.
Principali parametri operativi delle mietitrebbiatrici Parametri
Mietitrebbiatrici Unità a flusso di misura trasversale assiale
Larghezza barra
File
6-8
6-8
Velocità di avanzamento
km/h
3-8
5-10
0,90-3,00 0,45-0,80 500-1200
2,60-2,80 0,50-0,80 300-1300
Battitore m - lunghezza m - diametro - regime giri/min rotazione Potenza specifica motore
kW/m
20-120
60-80
Capacità serbatoio
m3
2,0-12,0
3,5-6,5
Capacità operativa di lavoro
ha/h
1,0-3,0
0,5-1,5
Mietitrebbiatrice a battitore assiale
Battitore assiale
Cabina
Controbattitore Crivelli Ventilatore
200
macchine per la coltivazione Gli organi di pulizia hanno lo scopo di pulire la granella separata dal controbattitore e dagli scuotipaglia e sono costituiti da un piano preparatore, crivelli e ventilatore. Il piano preparatore consiste in una lamiera inclinata oscillante che regolarizza il flusso della granella e lo invia a 2 crivelli sovrapposti. Questi ultimi vibrano per effetto di un meccanismo a eccentrici. I sistemi di pulizia attuali funzionano in modo ottimale solo quando operano in condizioni di perfetta orizzontalità; per ovviare a questo inconveniente sono state messe a punto soluzioni diverse a scala crescente di complessità, fino a prevedere il montaggio dell’intero cassone di pulizia su un sistema autolivellante che lo mantiene perfettamente orizzontale fino a pendenze del 20% o l’adozione di sistemi di autolivellamento automatico dell’intera mietitrebbiatrice basato sull’impiego di pistoni idraulici (anche a funzionamento automatico, comandati da un sensore di pendenza) in corrispondenza delle singole ruote. Le pendenze superabili in perfetta orizzontalità sono del 20% e dell’8% procedendo rispettivamente secondo le linee di livello o a rittochino. Fra i due crivelli agisce un ventilatore centrifugo con portata d’aria regolabile tramite comando elettroidraulico dalla cabina, che asporta le particelle più leggere lasciando cadere la granella, più pesante. Le parti che non vengono allontanate dalla prima ventilazione sono raccolte e convogliate tramite coclea, al gruppo battitore-griglia per essere sottoposte a una seconda trebbiatura. Al di sotto del crivello inferiore, un trasportatore a coclea eleva la granella al serbatoio di raccolta (capacità: 3-4 m3/m di larghezza del battitore) che, a sua volta, è periodicamente scaricato, mediante un’altra coclea di elevata portata (50-100 dm3/s) alloggiata in apposito condotto laterale alla macchina, su un carro a sponde alte posto al servizio della mietitrebbiatrice. Il numero di carri da prevedere per l’ottimizzazione del cantiere di trasporto è dipendente dal tempo di riempimento del serbatoio della mietitrebbiatrice e dai
Foto Informatore Agrario
Regolazioni per la trebbiatura dei cereali principali Battitore Prodotto
Velocità di rotazione
Gruppo di ventilazione
Apertura controbattitore
Apertura vaglio registrabile
anteriore
posteriore
tipo Petersen
tipo Clostz
Fori vaglio anteriore
Ventilazione
(m/s)
(giri/min)
(mm)
(mm)
(-)
(-)
(mm)
(-)
Frumento
25-30
790-950
13
5
Completa
1/4
8-10
Med/max
Orzo
28-32
890-1000
12
6
Completa
1/4
8-10
Med/max
Riso
15-24
490-760
10
5
Esclusa
1/2
16-18-20
Moderata
Mais
15-22
490-700
20
15
Fori fissi
18 mm
14-16
Med/max
201
coltivazione tempi di trasferimento e scarico della granella in azienda. Per quanto riguarda gli organi di movimentazione e i dispositivi di controllo, l’unità motrice che fa capo al motore è costituita da un telaio in profilati metallici che appoggia su due assi: quello anteriore, sul quale sono applicate le ruote motrici gommate e quello posteriore che si scarica sulle ruote direttrici. Per la protezione dell’operatore, tutte le macchine dispongono di cabine insonorizzate con un livello di rumore inferiore agli 80 dB, con sistemi antivibranti, aria condizionata, sedile ammortizzato e ampie vetrature. Nelle attuali cabine si dispone poi di sistemi di informazione e di segnalazione (mediante display digitali, avvisatori acustici ecc.) di eventuali anomalie di funzionamento nonché di di spositivi di regolazione (o controllo automatico) computerizzati sulle macchine di grande dimensioni che contemplano: il monitoraggio del regime di rotazione degli organi lavoranti, atto a prevenirne ingolfamenti; l’indicazione delle perdite di granella, rilevate da appositi sensori; la guida automatica delle testate da mais; il livellamento automatico del gruppo di pulizia, su terreni in pendenza; la misurazione della superficie lavorata, della quantità di prodotto raccolto, della resa produttiva media della coltura. In termini operativi, larghezze di lavoro, velocità d’avanzamento e capacità di battitura sempre più elevate, regolazioni da effettuare in modo sempre più preciso per adattarsi alle variazioni del prodotto, scarico del serbatoio molto rapido sono alcuni aspetti particolarmente studiati sulle mietitrebbiatrici moderne.
Innovazione tecnologica delle mietitrebbie
• In questi anni si è delineato l’obiettivo
di trasformare la mietitrebbiatrice in sede di raccolta e prima elaborazione di dati riguardanti la gestione dell’azienda agricola (mappe di produzioni, umidità prodotto ecc.)
• Alcuni sistemi già presenti su talune
mietitrebbiatrici permettono di memorizzare e stampare tutti i principali eventi manifestatisi durante la giornata lavorativa, costituendo una sorta di “diario di lavoro” e permettendo di effettuare controlli a posteriori per individuare l’origine di eventuali imprevisti o anomalie ai vari apparati
• Altre soluzioni, più complesse,
sono proposte dalla “agricoltura di precisione”. Su molte macchine è già installato il sistema di posizionamento satellitare con apposito software
Trebbiatura della granella: nella parte posteriore della mietitrebbia è visibile lo scarico dello scarto di trebbiatura
Foto V. Bellettato
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macchine per la coltivazione Raccolta del miscuglio granella-tutoli e delle spighe intere Il miscuglio granella-tutoli – altrimenti noto come “pastone” – si ottiene impiegando FTC oppure mietitrebbiatrici; in entrambi i casi le operatrici devono essere munite di apposita testata spannocchiatrice. Nelle FTC, oltre alla testata spannocchiatrice, è necessario applicare, nella parte posteriore dell’organo trinciatore, una apposita griglia con la funzione di completare la frantumazione del prodotto trinciato. Le maglie di questa griglia hanno dimensioni diverse a seconda della granulometria che si vuole ottenere nel miscuglio. Notevole è l’usura dell'organo trinciatore e frequenti possono essere gli ingolfamenti provocati dalla presenza della griglia. Più funzionale è, invece, il cantiere che utilizza mietitrebbiatrici opportunamente trasformate (mediante la sostituzione dei crivelli e delle griglie scuotipaglia) e regolando sia il regime di rotazione del battitore, sia la distanza controbattitore-battitore. Attualmente, essendo praticamente scomparsa la forma di conservazione con essiccazione naturale delle spighe in gabbioni aperti (ungheresi), la raccolta della granella in spiga intera interessa soltanto la filiera della produzione del mais da seme e viene effettuata con raccoglispighe-sfogliatrici, macchine specifiche in grado di ridurre al minimo i danni alle cariossidi, deleteri per la germinabilità del seme. Esse operano il distacco della spiga dallo stocco, eliminando successivamente le brattee e convogliando le spighe in una tramoggia propria o su rimorchio. La testata spannocchiatrice di cui sono dotate, che si differenzia da quella delle mietitrebbiatrici per la mancanza delle lame pareggiatrici e la presenza di rulli mungitori – ai quali è deputato il distacco – mostra risalti a profilo elicoidale; la maggior superficie di contatto tra rulli e spighe facilita una prima parziale sfogliatura delle spighe stesse. La separazione completa delle brattee avviene su un apposito piano di sfogliatura costituito da una serie di coppie di rulli controrotanti, generalmente in gomma. Sopra il piano di sfogliatura, disposti trasversalmente rispetto ai rulli, agiscono dei dispositivi a palette o spazzole in gomma che hanno la funzione di allineare le spighe, disponendole in un unico strato a diretto contatto con i rulli. La controrotazione di questi ultimi comporta lo strappo delle brattee che cadono verso il basso mentre le spighe sfogliate sono inviate ai contenitori. Sul piano di sfogliatura e in prossimità dell’elevatore di carico delle spighe spesso agisce un ventilatore per eliminare le impurità. Le raccoglispighe-sfogliatrici si presentano nelle versioni trainate (1-2 file), portate (1-3 file) e semoventi (4 file) e possiedono capacità reali di lavoro che variano da 0,2-0,4 ha/h per i modelli di piccola dimensione a 0,6-1,2 ha/h per le portate (posteriormente su trattori a guida reversibile) e le semoventi.
A
B Piano di sfogliatura a rulli controrotanti in una raccoglispighe-sfogliatrice per la raccolta di spighe intere (A). Il particolare (B) illustra il principio di funzionamento
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il mais
coltivazione Parassiti animali Aldo Pollini
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Parassiti animali Introduzione In tutti gli ambienti italiani di coltivazione, il mais è esposto agli attacchi di una nutrita schiera di insetti, in parte indigeni e altri acquisiti per accidentale importazione (l’ultimo esempio riguarda Diabrotica virgifera virgifera che, importata dagli USA alla fine del secolo scorso, rappresenta ora uno degli insetti più dannosi). Attualmente, alcuni fitofagi presentano un notevole livello di temibilità negli ambienti in cui la coltura ha raggiunto un’elevatissima specializzazione, soprattutto ove è stato, in tutto o in parte, abbandonato l’avvicendamento con altre colture per lasciar posto alla monocoltura. Nei confronti delle suddette avversità è necessario ricorrere a tecniche di difesa atte a ridurre le perdite produttive e a contenere, sotto i limiti di legge, la presenza di micotossine che si formano in seguito dall’attività metabolica di microrganismi fungini. Essendo la granella destinata, per oltre il 70% dell’intera produzione mondiale, all’alimentazione degli animali e direttamente o indirettamente all’uomo, con consumo dilazionato nel tempo, la suddetta deve possedere elevati livelli di sanità al momento dello stoccaggio e deve essere preservata, per l’intero periodo di conservazione, dagli attacchi di insetti e microrganismi fungini che possono portare a inaccettabili perdite qualitative e quantitative (ingenti nei Paesi meno evoluti), nonché allo sviluppo di micotossine dannose agli animali e all’uomo. Si segnala inoltre che il mais, durante le varie fasi di coltivazione, può essere seriamente danneggiato anche dall’attività di roditori e uccelli.
Larva di piralide su spiga
Foto E. Marmiroli
Danno da Scotia ipsilon
Danno da roditori sulle cariossidi Grave attacco di diabrotica su piante di mais
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parassiti animali Piralide (Ostrinia nubilalis) Lepidottero Pyraustidae di origine europea, dall’inizio del secolo scorso fu introdotto accidentalmente negli Stati Uniti, probabilmente dall’Italia, attraverso l’importazione di saggina per la fabbricazione di scope, divenendo con il termine European corn borer l’insetto più temibile per la maiscoltura americana. Il lepidottero è ampiamente diffuso in tutto l’emisfero boreale, in ambienti assai diversi, dai temperati ai tropicali.
Piralide
• Le piante colpite si stroncano
facilmente in occasione di forti temporali e la loro produzione subisce perdite quantitative e qualitative
• I decrementi produttivi causati da una
larva che attacca lo stocco sono risultati del 6,6% nella fase di prefioritura del pennacchio maschile, del 4,4% nel momento della deiescenza delle antere, del 3% durante la maturazione lattea e del 2% durante la maturazione cerosa
• Sulle spighe danneggiate si sviluppano
varie muffe che producono micotossine alquanto temibili per la salute dell’uomo e degli animali
• L’insetto sverna allo stato larvale entro Maschio di piralide
i resti degli stocchi rimasti in campo
Femmina di piralide
Il livello di suscettibilità delle piante all’attacco della piralide cresce con il loro sviluppo e con la conseguente diminuzione del contenuto fogliare del glucoside a effetto insetticida DIMBOA [2,4-diidrossi-7metossi 2H-1,4 benzossazin-3 (4H)-one]. Quando la pianta raggiunge lo stadio di 7-9 foglie, il contenuto del suddetto composto scende a valori non più in grado di svolgere azione inibitoria verso l’insetto. Le larve durante la loro attività fitofaga perforano le foglie avvolte in cartoccio, scavano gallerie nello stocco, danneggiano l’infiorescenza ma-
Foto R. Angelini
Larva su infiorescenza maschile Ooplacca di piralide
Schiusa delle uova
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coltivazione schile, minano il peduncolo della spiga ed erodono i semi. Le spighe con il peduncolo minato si disarticolano e cadono al suolo durante la trebbiatura. Le erosioni interessanti la granella portano a perdite in peso fino al 20%. In seguito all’attacco larvale a carico delle spighe si sviluppano muffe appartenenti al genere Fusarium, dalla cui attività metabolica si formano micotossine (fumonisine) temibili per la salute degli animali e dell’uomo. Su mais dolce gli attacchi causano forti perdite del valore commerciale delle spighe. La monosuccessione colturale e la mancata aratura delle stoppie, per lasciare posto alla semina su terreno non lavorato, favoriscono lo sviluppo della piralide. Mentre nel sud-est asiatico questo lepidottero riesce a compiere più generazioni all’anno (fino a 5-6), in Europa svolge una sola generazione oltre il 46° parallelo di latitudine nord e due sotto questo limite, con popolazioni delle due generazioni che finiscono per sovrapporsi. Il voltinismo (numero di generazioni) non è tuttavia ben netto in quanto alla suddetta latitudine coesistono razze (biotipi) uni e bivoltini. Le uova sono deposte in ovoplacche sulla pagina inferiore delle foglie. Le larve mature si incrisalidano sulle piante danneggiate. Lo svernamento avviene con larve all’interno dei resti degli stocchi rimasti in campo.
Trappola per il monitoraggio in campo dei voli degli adulti di piralide
Foto E. Marmiroli
Ciclo biologico della piralide Novembre Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto Uova Adulto
Tipici fori “impallinatori” sulle foglie prodotti dalle larve
Crisalide Larva Uova
Adulto Crisalide Larva svernante
I fori di penetrazione delle larve favoriscono lo sviluppo di funghi produttori di micotossine
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Settembre Larva
Ottobre
parassiti animali Nottua delle graminacee [Pseudaletia (=Mythimna) unipuncta] Specie di origine americana, è divenuta comune in tutta Europa, Italia compresa, con popolazioni generalmente disperse su svariate piante ospiti comprendenti graminacee coltivate e spontanee, foraggere, ortive, bietola, tabacco, pomodoro ecc. Le larve compiono erosioni a carico delle foglie e riescono a distruggere l’apice vegetativo. Per quest’ultima modalità di attacco sono oltreoceano conosciute come budworms (vermi della gemma). Più raramente riescono a compiere erosioni sulle brattee delle spighe. Saltuariamente può comparire con ingenti popolazioni larvali derivanti da masse migratorie di adulti, sviluppatesi inizialmente su graminacee spontanee presenti all’interno delle coltivazioni o lungo i fossi e migranti sul mais alla ricerca di nuove fonti alimentari, dopo che piante ospiti spontanee sono state soppresse con operazioni di diserbo. I danni alle coltivazioni di mais sono operati principalmente dalle larve della prima generazione e interessano piante in accrescimento. Si tratta di una nottua con un lungo periodo di volo, dalla fine di febbraio-primi di marzo a tutto ottobre e con massime presenze da maggio a luglio e in settembre-ottobre. Nel corso dell’anno riesce a svolgere 3-4 generazioni, svernando prevalentemente come larva nel terreno oppure allo stato di crisalide. Le uova (fino a 100-1500 per femmina) sono deposte in caratteristiche masse agglutinate, nastriformi, comprendenti in genere alcune centinaia di elementi. Lo sviluppo larvale procede celermente (in un paio di settimane o poco più nelle condizioni più favorevoli), per cui anche l’attività distruttiva è molto rapida, e a completo sviluppo le larve scendono nel terreno per imbozzolarsi entro una cella terrosa.
Nottua delle graminacee
• Le larve sono conosciute come
armyworms (vermi soldato) per la capacità di spostarsi in ranghi compatti dalle graminacee spontanee al mais
• La nottua può comparire saltuariamente con forti popolazioni larvali in grado di danneggiare gran parte dell’apparato fogliare e le spighe
• Nel corso dell’anno la nottua compie
3-4 generazioni, delle quali la seconda è quella più dannosa per il mais
Uova di nottua delle graminacee
Larva di P. unipuncta Adulto di Pseudaletia unipuncta
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coltivazione Crambide (Angustalius malacellus) Si tratta di un lepidottero della famiglia Crambidae che compare saltuariamente nelle coltivazioni di mais della Pianura Padana. È una specie vivente abitualmente su graminacee spontanee e foraggere, che si sposta sul mais in seguito a operazioni di diserbo che sopprimono gli ospiti originari. Interessate dagli attacchi sono soprattutto le coltivazioni di mais dolce di secondo raccolto. Le larve attaccano le giovani piante al colletto e penetrano all’interno del cartoccio fogliare. Le piante maggiormente danneggiate avvizziscono e disseccano, le altre reagiscono con l’emissione di culmi secondari, ma il loro sviluppo è comunque compromesso in quanto difficilmente riescono a produrre le spighe. L’insetto sembra svolgere tre generazioni l’anno, delle quali la seconda è quella che è in grado di compiere danni sul mais. Gli adulti del primo volo, sfarfallati dalle crisalidi originate dalle larve mature che hanno svernato nel terreno, compaiono in primavera e depongono le uova alla superficie del suolo, generalmente in prossimità di graminacee spontanee e foraggere, sulle quali le larve riescono a completare lo sviluppo in circa tre settimane per poi incrisalidarsi nel terreno. Sul mais le larve della seconda generazione compaiono tra la metà di luglio e quella di agosto, ma per la loro disetaneità sono attive fino a tutto agosto. Gli adulti dell’ultimo volo sono presenti fino alla prima decade di settembre e le larve dell’ultima generazione concludono lo sviluppo su graminacee prative, prima dell’arrivo dei primi freddi, per poi imbozzolarsi e trascorrere l’inverno.
Crambide
• L’insetto compie saltuari attacchi, favoriti dalla soppressione di graminacee spontanee
• Le infestazioni interessano quasi
esclusivamente le coltivazioni di mais dolce di secondo raccolto
• Le piante attaccate che riescono a sopravvivere reagiscono con l’emissione di culmi secondari
• Le femmine non depongono le uova sulle piante, ma nel terreno
Larva di A. malacellus
Danno al colletto di giovani piante Adulto di A. malacellus
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parassiti animali Nottua delle messi (Agrotis segetum) È una nottua ad habitat terricolo con un’ampia distribuzione eurasiatica, presente anche nel continente africano e nella fascia subsahariana di coltivazione del mais, dove è superata, per importanza, dalla indigena Busseola fusca. In Italia è diffusa in tutte le aree maidicole, con popolazioni autoctone che abitualmente sono numericamente ben più comuni e superiori a quelle dell’affine nottua dei seminati (Agrotis ipsilon). Le larve compiono erosioni e perforazioni al colletto delle giovani piante, causandone la morte, rendendosi pertanto responsabili di fallanze che, nei casi di maggiore gravità, richiedono operazioni di risemina. I danni interessano prevalentemente le colture di mais da granella e quelle di secondo raccolto di mais dolce, realizzate dopo colture di pisello e di frumento. Contrariamente all’affine Agrotis ipsilon è una specie sedentaria, nonostante le sue popolazioni di adulti siano in grado di compiere importanti spostamenti, soprattutto in estate, alla ricerca di terreni investiti con colture di secondo raccolto (per esempio fagiolo e mais dolce) e irrigati. Gli adulti, caratterizzati da abitudini notturne, sono presenti in campo dal mese di marzo all’inizio di ottobre, con punte massime durante i mesi di luglio e agosto. La separazione dei voli delle singole generazioni (generalmente due) è difficoltosa per l’accavallamento dei diversi stadi di sviluppo preimmaginale (uova, larve di diverse età, crisalidi) e per la presenza, anche in inverno, di crisalidi, larve di diverse età senza diapausa in temporanea inattività e perfino di adulti.
Nottua delle messi
• È una nottua con larve ad habitat
terricolo, diffusa in tutte le aree maidicole e più comune dell’affine Agrotis ipsilon
• Le larve compiono erosioni e
perforazioni al colletto delle giovani piante, causandone la morte
• I danni arrecati possono rivelarsi assai gravi, tanto da causare fallanze che rendono opportuna un’operazione di risemina
• La nottua compie in genere due
generazioni all’anno con voli non ben distinti
Foto E. Marmiroli
Larva (sopra) e adulto (sotto) di A. segetum Fallanza, per morte della piantina, in seguito a un attacco di nottue
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coltivazione Nottua dei seminati (Agrotis ipsilon) Come l’affine Agrotis segetum è una nottua con habitat terricolo. Pur essendo cosmopolita trova condizioni più favorevoli per il suo sviluppo nelle regioni tropicali e subtropicali. Notevoli sono i danni che si verificano nelle annate in cui i territori maidicoli italiani (soprattutto quelli della Pianura Padana e, marginalmente, quelli marchigiani) sono invasi da popolazioni migratorie di adulti che, costretti a interrompere il loro volo per sopraggiunte avverse condizioni atmosferiche, si soffermano nei territori raggiunti. La generazione di larve che ne deriva è a volte così numerosa che riesce a distruggere in pochi giorni intere coltivazioni di mais. Agrotis ipsilon è una specie con comportamento migratorio, in virtù del quale masse di adulti si spostano in primavera dai Paesi caldi africani (Egitto, Sudan), dall’Arabia e dall’Iran verso l’Europa meridionale, dove le condizioni di elevata umidità del suolo e dell’aria sono assai favorevoli alle ovodeposizioni (fino a 2500 uova per femmina). Voli migratori inversi avvengono in autunno e anche in tale periodo, quando sono interrotti da avverse condizioni atmosferiche, le femmine riescono a sgravarsi delle uova nei territori che hanno raggiunto. L’elevata umidità del terreno è molto favorevole per le ovodeposizioni e, conseguentemente, per lo sviluppo di forti infestazioni larvali. Dannose alle coltivazioni del mais si rivelano le popolazioni larvali che hanno svernato nel terreno in diversi stadi di sviluppo e quelle derivanti da ovodeposizioni di individui autoctoni emersi dalle crisalidi svernanti, alle quali si aggiungono, periodicamente, le larve derivanti dalle uova deposte dalle femmine dei voli migratori. Ne deriva che all’inizio della primavera le coltivazioni subiscono danni da parte di larve di diverse età, soprattutto da parte di quelle derivanti dalle ovodeposizioni primaverili di femmine del volo migratorio.
Nottua dei seminati
• Negli ambienti italiani, alle popolazioni autoctone, numericamente inferiori a quelle di A. segetum, si aggiungono ciclicamente quelle derivanti da movimenti migratori
• Le larve vivono interrate per compiere erosioni al colletto delle piante e causarne la morte
• Popolazioni derivanti da voli migratori riescono, ciclicamente, a causare ingentissimi danni
• Storicamente sono ben note le
devastanti infestazioni che si sono verificate alla fine del 1800 nel Polesine e nel Ferrarese nei terreni in precedenza inondati dalle acque del Po
Adulto (sopra) e larva (sotto) di A. ipsilon Danno da nottua dei seminati
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parassiti animali Diabrotica (Diabrotica virgifera virgifera) Questo insetto indigeno dell’America, conosciuto come verme occidentale del mais o western corn rootworm, è il più importante rappresentante degli insetti del terreno (corn rootworm) del Corn Belt occidentale degli Stati Uniti. La sua comparsa in Europa risale all’anno 1992, in seguito a catture di adulti avvenute nelle vicinanze dell’area aeroportuale di Belgrado. Fino al 1998 è rimasto localizzato nelle aree del bacino del Danubio per poi comparire nello stesso anno in appezzamenti di mais prossimi all’aeroporto Marco Polo di Venezia. Nel 2002 l’insetto si è diffuso nelle coltivazioni maidicole lombarde a nord di Milano ma considerato che presenze di adulti, in progressivo aumento, sono state successivamente riscontrate in varie province dell’Italia settentrionale, è temibile un ulteriore allargamento dei territori colonizzati dall’insetto. Le larve si nutrono dell’apparato radicale, troncando le radichette e scavando gallerie in quelle più grosse. Le piante colpite deperiscono e, male ancorate al terreno, si inclinano o si allettano e il loro fusto tenta di riprendere la posizione eretta assumendo la caratteristica conformazione a “collo d’oca” (goosenecked plants).
Diabrotica
• La diabrotica rappresenta attualmente
la più grave minaccia per la maiscoltura dell’Italia settentrionale
• Le larve danneggiano le radici mentre
gli adulti si nutrono delle foglie e della spiga
• L’insetto compie una sola generazione all’anno
• Trattandosi di un organismo nocivo da quarantena è in vigore un decreto di lotta obbligatoria per contrastarne la diffusione nelle aree ancora indenni
Ciclo della diabrotica
Femmina
Accoppiamento Maschio
Femmina che depone Pupe
Larve
Larva svernante
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coltivazione
Diversi livelli di danno alle radici secondo la scala IOWA 0-3 internazionale
Gli adulti si nutrono delle foglie e delle sete della spiga impedendo in tal modo l’impollinazione. L’insetto, pur compiendo una sola generazione all’anno, è notevolmente insidioso per le coltivazioni maidicole. Le larve, nate da uova svernanti in diapausa nel terreno, compaiono scalarmente da metà maggio a giugno inoltrato mantenendosi in attività fino a quasi tutto il mese di luglio, completando tre stadi di sviluppo. Gli adulti emergono dal terreno dalla fine di giugno alla metà di ottobre con massime presenze in piena estate (dalla metà di luglio a metà agosto). In seguito agli accoppiamenti, dalla metà di luglio avvengono le ovodeposizioni (mediamente 400 uova per femmina), che si mantengono elevate per tutto agosto per poi diminuire gradualmente e terminare alla fine di settembre.
Gli adulti si nutrono delle sete
Mancata fecondazione dell’infiorescenza Foto E. Marmiroli
Trappola per il monitoraggio di diabrotica Danno su foglia provocato dagli adulti
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parassiti animali Elateridi (Agriotes litigiosus, A. sordidus, A. ustulatus, A. brevis, A. lineatus ecc.) Agriotes brevis e A. sordidus sono presenti in tutte le aree maidicole del nord; A. ustulatus è distribuita soprattutto nella parte nord-orientale della Pianura Padana; A. litigiosus è adattata maggiormente ai terreni argillosi e di medio impasto; A. lineatus è presente invece in aree circoscritte. I danni causati dalle larve sono fortemente influenzati dalla coltura precedente e si riscontrano con maggior frequenza nelle coltivazioni in successione al medicaio o al prato polifita. Le larve sono attive all’inizio della primavera, durante le prime fasi di sviluppo del mais (in particolare dalla germinazione fino alla 3a-5a foglia), quando il livello di umidità degli strati superficiali del terreno è favorevole all’attività larvale. Fattore di attrazione delle larve è l’anidride carbonica emessa dai semi in germinazione e dall’apparato radicale delle piante. Le larve attaccano dapprima i semi in geminazione e più tardi compiono erosioni sulla parte interrata del culmo con conseguente appassimento della foglia centrale e, successivamente, dell’intera pianta. Il ciclo di sviluppo degli elateridi dura più anni. Gli adulti di Agriotes litigiosus e A. ustulatus compaiono nella tarda primavera e vivono in genere circa un mese per cui non riescono a svernare; quelli di Agriotes sordidus e A. brevis svernano all’interno delle celle in cui si sono formati e compaiono in primavera per poi vivere molti mesi o addirittura un anno. Le uova sono deposte in gruppi nel terreno fresco e umido e si schiudono in una quindicina di giorni. Le larve completano lo sviluppo dopo numerose mute (8-10 per A. sordidus e A. brevis, 11-13 per A. litigiosus e A. ustulatus), superando due inverni. La metamorfosi di Agriotes sordidus e A. brevis si compie nel corso dell’estate, per cui gli adulti neoformati svernano all’interno delle loro celle; quella di Agriotes litigiosus e A. ustulatus si svolge nella tarda primavera.
Elateridi
• Le larve, conosciute anche con il
termine di “ferretti” per la loro vaga somiglianza a pezzi di filo di ferro, attaccano i semi in germinazione e, più tardi, la parte interrata del culmo, causando la morte delle piante
• Il ciclo degli elateridi si completa in più anni, durante i quali le larve risalgono verso gli strati superficiali del terreno in primavera e in autunno per poi approfondirsi in estate e in inverno
• La presenza di larve nel terreno
può essere accertata attraverso il controllo di campioni di terra oppure con l’impiego di vasetti forati interrati, contenenti vermiculite e semi di fumento in germinazione, entro i quali vengono attratte le larve dei ferretti
• Il mais coltivato in successione alla
medica o al prato polifita, in terreni arati in autunno, è maggiormente esposto agli attacchi dei ferretti
I fusti colpiti sono esili, di taglia ridotta e le spighe sono atrofizzate Larve di elateridi
Adulto di Agriotes litigiosus
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coltivazione Nottua gialla del pomodoro [Helicoverpa (= Heliothis) armigera] È una specie presente in gran parte del mondo, escluse le Americhe, dove è sostituita dall’indigena Helicoverpa zea, somaticamente simile. Nei nostri ambienti è prevalentemente diffusa nelle regioni meridionali su piante ortive, ma crescenti infestazioni sono comparse nelle regioni settentrionali, soprattutto nelle zone tipiche di coltivazioni del pomodoro da industria, che costituisce la pianta ospite di elezione, e in quelle in cui si realizzano coltivazioni di mais dolce. Trattasi di una specie assai polifaga, ben conosciuta per i danni che compie su svariate ortive (pomodoro, peperone, cucurbitacee, leguminose, insalate), su cotone e mais nei Paesi tropicali e subtropicali, nonché su fiori (garofano), tabacco ecc. Su mais sono compiute erosioni a carico delle foglie unite in cartoccio, ma i danni maggiori sono quelli che interessano le spighe durante le fasi di maturazione lattea e cerosa, nelle quali le larve penetrano per divorarne i semi della parte distale. I danni più importanti riguardano le coltivazioni di mais dolce di secondo raccolto. Helicoverpa (= Heliothis) armigera compie più generazioni all’anno (generalmente 3, fino a 4 negli ambienti più favorevoli), trascorrendo l’inverno nel terreno allo stato di crisalide in diapausa. Il periodo di volo si estende dall’inizio di maggio a tutto ottobre, con massime presenze in piena estate. Su mais le uova sono deposte sulle foglie e, più frequentemente, sulle sete delle spighe. Le larve nascono dopo un breve periodo d’incubazione (appena 2-3 giorni in estate) per poi attaccare il cartoccio fogliare o, più spesso, le spighe. Nelle prime fasi dello sviluppo larvale due o più larve possono convivere all’interno della medesima spiga, ma dopo la quarta età prevalgono istinti cannibaleschi, soprattutto a spese delle larve più giovani, per cui all’interno di una spiga finisce per completare lo sviluppo una sola larva, che poi l’abbandona per incrisalidarsi nel terreno.
Nottua gialla del pomodoro
• È la specie maggiormente presente su mais dolce, soprattutto nelle zone di coltivazione lodigiane e piacentine
• La nottua compie più generazioni
all’anno (generalmente 3, fino a 4 negli ambienti più favorevoli)
• Le larve sono caratterizzate da un
istinto cannibale per cui le vecchie divorano quelle più giovani
• Le larve compiono erosioni su foglie
unite in cartoccio, ma i danni maggiori sono quelli che riguardano la granella durante le fasi di maturazione lattea e cerosa
• I danni più importanti riguardano le
coltivazioni di mais dolce di secondo raccolto
Adulto di nottua gialla Larve, di diverso aspetto cromatico, su spighe di mais
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parassiti animali Sesamie (Sesamia cretica, Sesamia nonagrioides) Trattasi di due lepidotteri nottuidi con adulti molto simili, il primo dei quali è diffuso in tutta l’area circummediterranea, nelle Canarie, in Arabia, Turkestan, e in gran parte dell’Africa, escluse le parti meridionale, orientale e occidentale, dove è sostituita dall’affine Sesamia calamistis. In Italia S. cretica si trova ovunque (Sardegna compresa), pur predominando nelle regioni centro-meridionali. Sporadica è la sua presenza nelle aree maidicole settentrionali della Penisola. Sesamia nonagrioides si sovrappone, in alcuni areali circummediterranei, alla S. cretica, prevalendo su questa in Spagna, Sardegna e, ancor più nettamente, in Sicilia. Le due nottue si sviluppano, non solo a spese del mais, ma anche su sorgo (specie preferita da S. cretica) e diverse graminacee (cannuccia di palude, canna comune, panico, setaria). Delle due specie S. nonagrioides è più polifaga per cui attacca anche altre piante (cotone, asparago, solanacee, gladiolo ecc.). Nel mais le larve scavano gallerie nello stocco, nell’asse delle pannocchie e penetrano nelle spighe per scavarvi gallerie o per divorarne le cariossidi. Contrariamente alla piralide attaccano anche le giovani piante, causandone la morte. Le piante minate nel culmo si indeboliscono e finiscono per stroncarsi in occasione di violenti temporali. Entrambe le specie svernano con larve riparate all’interno dei residui degli stocchi rimasti in campo. Gli adulti compaiono all’inizio della primavera e, contrariamente alla piralide, le femmine depongono le uova sotto le guaine fogliari, talora all’esterno (isolate, in coppie, talora in file di 1-2 decine di elementi nel caso di S. cretica; in gruppi di decine di elementi per la seconda specie). La fecondità delle due specie è notevole (fino a 800 uova). Le larve mature si incrisalidano all’interno o all’esterno degli organi danneggiati, protette all’interno di un esile bozzolo costituito da fili di seta inglobanti granelli di rosume. Nel corso della stagione vegetativa del mais, S. cretica compie di norma due generazioni (talora una terza nelle regioni meridionali), mentre S. nonagrioides riesce a svolgerne 4.
Sesamie
• Le due nottue sono diffuse nelle regioni centro meridionali e nelle Isole
• Le larve scavano gallerie nello stocco, nell’asse delle pannocchie e delle spighe e danneggiano le cariossidi
• Le piante attaccate in uno stadio
giovanile disseccano; quelle già sviluppate, minate nello stocco, si indeboliscono e si stroncano facilmente
• In un anno Sesamia cretica svolge 2-3
generazioni; S. nonagrioides ne compie 4. Entrambe svernano come larve nei residui degli stocchi rimasti in campo
Adulto di Sesamia cretica
Il maschio di Sesamia nonagrioides si distingue da quello di S. cretica per le antenne bipettinate Adulto di Sesamia cretica: 30-40 mm di apertura alare
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coltivazione Afidi (Rhopalosiphum padi, Rhopalosiphum maidis, Sitobion avenae) Rhopalosiphun padi è la specie che si riscontra con maggiore frequenza nelle coltivazioni maidicole italiane e ad essa si accompagna, saltuariamente, Sitobion avenae. Rhopalosiphum maidis è una specie diffusa nelle aree maidicole calde in quanto, essendo caratterizzato da maggiori esigenze termiche, non riesce a sopravvivere negli ambienti con forti freddi invernali. La prima specie è caratterizzata da un ciclo dioico, con ospiti primari rappresentati da alcuni Prunus (padus, spinosa, virginiana), sui quali è deposto l’uovo durevole e si svolge la prima parte del ciclo. Gli ospiti secondari sono rappresentati dal mais e da diversi altri cereali (orzo, avena, segale), nonché da graminacee spontanee e piante appartenenti alle famiglie Cyperaceae, Typhaceae, Juncaceae e Iridaceae. Negli ambienti maidicoli italiani Rh. padi si sviluppa ininterrottamente sugli ospiti erbacei in quanto riesce a sopravvivere a temperature che scendono fino a –10 °C. Sitobion avenae svolge l’intero ciclo su cereali e graminacee spontanee, svernando con uova durevoli con inverno freddo e con piccole colonie nelle annate o negli ambienti con miti temperature invernali. Gli afidi infestano foglie, pannocchie e spighe con popolazioni che, soprattutto per Rhopalosiphum padi, raggiungono spesso un’elevate densità. Le popolazioni di Sitobion avenae si insediano in genere sulle sole foglie. Con le loro punture di suzione gli afidi penalizzano l’attività vegetativa delle piante, soprattutto quando gli attacchi sono precoci. Assai temibili, soprattutto nei campi di produzione di materiale sementiero, sono i danni conseguenti alla trasmissione, operata in maniera persistente, dei virus del mosaico e del nanismo del mais.
Afidi
• Le infestazioni di afidi si sviluppano in
maniera esponenziale per raggiungere la massima densità nelle fasi di formazione della spiga e di emissione della pannocchia. Particolarmente intense sono quelle che interessano i mais dolci
• In questi ultimi anni, caratterizzati da
inverni non particolarmente freddi, le infestazioni interessano già le giovani piante, colonizzate da afidi provenienti dalle coltivazioni di frumento o che hanno superato l’inverno su graminacee spontanee cresciute lungo fossi e scoline
Foto R. Angelini
Esempi di colonie di afidi su mais
Danno da Metopolophium dirhodum su mais. Questo afide vive comunemente sulla rosa e occasionalmente sui cereali
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parassiti animali Difesa dagli insetti Per salvaguardare il rendimento economico della coltura e ottenere produzioni di elevata qualità è necessario adottare tutti quei provvedimenti in grado di minimizzare i danni causati in campo dagli insetti e di ridurre conseguentemente le perdite produttive, sia quantitative che qualitative. Nell’ambito dei provvedimenti agronomici è importante l’avvicendamento della coltura, anche se adesso è sempre più frequente il ristoppio. Questo è da evitare nei terreni che hanno ospitato mais colpito da Diabrotica virgifera virgifera. La sfibratura degli stocchi e il loro sotterramento con una profonda aratura consentono di ridurre le popolazioni di insetti che attaccano il fusto (Ostrinia nubilalis, Sesamia cretica e S. nonagrioides), nei cui resti riescono poi a superare l’inverno. La scelta di varietà adatte agli ambienti di coltivazione, la semina su terreni ben preparati, il diserbo, razionali concimazioni e irrigazioni consentono di porre le piante in buone condizioni vegetative e di superare meglio gli attacchi degli insetti. Il miglioramento genetico consente l’ottenimento di varietà con fattori (geni) di resistenza verso alcuni insetti (per esempio piralide e diabrotica), tali da non rendere più necessari interventi insetticidi verso questi fitofagi. La difesa con insetticidi chimici e microbiologici è utile, per non dire necessaria, per contrastare diversi temibili fitofagi e salvare conseguentemente la redditività della coltura. Spesso si ricorre alla concia del seme al fine di proteggere lo stesso durante la germinazione nonché le giovani piante dagli attacchi di alcuni insetti quali i “ferretti”, le larve delle nottue terricole e la diabrotica. Alla semina si possono poi somministrare preparati insetticidi geodisinfestanti che, interrati lungo la fila di semina, consentono di combattere popolazioni larvali di “ferretti”.
Difesa
• Provvedimenti di difesa sono necessari
per l’ottenimento di produzioni qualitativamente e quantitativamente in grado di assicurarne un soddisfacente rendimento economico
Strategie agronomiche preventive
• I provvedimenti di difesa di tipo
agronomico sono rappresentati da: avvicendamento della coltura, sfibramento e interramento con aratura dei resti colturali, scelta di varietà idonee all’ambiente di coltivazione, semina sui terreni ben preparati, distruzione delle piante infestanti, razionali concimazioni e irrigazioni per ottenere piante vigorose, in grado di affrontare meglio gli attacchi degli insetti Foto V. Bellettato
Foto V. Bellettato
Particolare dei trampoli Trattamento della vegetazione con barre montate sui trampoli
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coltivazione Durante le prime fasi di sviluppo delle piante può essere necessario intervenire contro le larve delle nottue terricole (Agrotis segetum e A. ipsilon) e del lepidottero crambide Angustalius malacellus, onde evitare il rischio di gravi diradamenti della coltura. Contro questi insetti si ricorre a preparati (per esempio piretroidi) con debole tossicità per l’uomo e che vengono degradati rapidamente da parte dei microrganismi presenti nel terreno. Su piante sviluppate è emersa l’importanza della lotta agli afidi e soprattutto alla piralide per limitare le perdite produttive e per contenere lo sviluppo di micotossine prodotte da funghi che si sviluppano sulle spighe danneggiate dal suddetto insetto. Con la disponibilità di attrezzature semoventi montate su trampoli per l’esecuzione dei trattamenti e di adeguati preparati ovicidi e larvicidi è ora possibile ottenere buoni risultati e, soprattutto, una granella il cui contenuto in micotossine è inferiore ai limiti di legge. Metodi di lotta biologica contro la piralide, in fase di studio e di sviluppo, si basano sull’impiego di insetti antagonisti (per esempio i minuscoli Trichogramma spp., parassitoidi delle uova), del fungo Beauveria bassiana e del protozoo Nosema pyraustae. Ai suddetti metodi di lotta contro la piralide potrebbe aggiungersi quello basato sull’impiego di feromoni sessuali di sintesi per l’applicazione della tecnica della “confusione sessuale”, con la quale è inibito l’incontro dei due sessi. La protezione del raccolto consente di evitare le perdite causate dagli attacchi degli “insetti di magazzino”.
Interventi al seme e al terreno
• Il contenimento dei danni di alcuni insetti (per esempio elateridi, afidi, nottue e diabrotica) può essere conseguito con l’impiego di seme adeguatamente conciato
• In alternativa alla concia si può
ricorrere alla geodisinfestazione localizzata in concomitanza della semina
Interventi sulla vegetazione
• Un intervento sulle giovani piante da
poco emerse può rendersi necessario per evitare forti diradamenti
• Interventi su piante in spigatura
consentono di salvaguardare la resa produttiva della coltura e di ottenere una granella con bassi livelli di micotossine
Tifone per il trattamento al mais dal bordo dell’appezzamento
Foto V. Bellettato
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parassiti animali Concia del seme Uno dei primi presupposti per ottenere colture sane e alte rese produttive è il ricorso a sementi sane o accuratamente conciate. La concia chimica delle sementi è un trattamento protettivo effettuato con sostanze chimiche che vengono applicate in dosi di poche decine di grammi per quintale di semente. Il trattamento avviene all’interno di attrezzature che, per rotazione o gravità, permettono alla sostanza conciante di ricoprire accuratamente l’intera superficie del seme. Tale tecnica ha lo scopo di eliminare eventuali microrganismi patogeni nonché fitofagi presenti sul seme e di contenere i danni che vari parassiti possono arrecare al seme, sia nella fase di germinazione, sia nei primi stadi di sviluppo della piantina. Attualmente la somministrazione al seme di insetticidi sistemici è largamente utilizzata nella difesa del mais per contenere gli attacchi di insetti, in particolare afidi, elateridi, nottue e diabrotica. È inoltre molto importante difendere il seme e la pianta di mais nelle prime fasi di sviluppo, per ottenere l’investimento di piante programmato, al fine di massimizzare le rese produttive. L’utilizzo della concia del seme presenta numerosi vantaggi: migliore protezione del seme dagli attacchi dei principali parassiti terricoli, emergenza migliore sul campo, nonché minor impatto ambientale rispetto alle tecniche tradizionali di geodisinfestazione con prodotti insetticidi granulari.
I prodotti che ricoprono il seme creano una barriera protettiva in grado di controllare i principali insetti del terreno e quelli che causano danni nelle prime fasi vegetative del mais
Particolare del processo di concia Attrezzature per il trattamento dei semi
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il mais
coltivazione Malattie Paola Battilani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Malattie Introduzione I principali patogeni del mais sono funghi microscopici. Questi attaccano le piante per trarne nutrimento e supporto per la riproduzione. Ciò arreca un danno che, in tempi più o meno lunghi, si manifesta con sintomi visibili che vanno da semplici alterazioni del colore delle foglie e del fusto, ad alterazioni della crescita o marciumi dell’intera pianta o di una sua parte. Nei casi più gravi le malattie possono anche causare la morte delle piante. Le alterazioni indotte dagli attacchi parassitari causano perdite di produzione dovute a una crescita stentata della pianta, a una minore produzione di granella o a un’alterazione della sua qualità. La cattiva qualità della granella si ripercuote sia sul prodotto destinato alla semina, con abbattimento della germinabilità e dell’energia germinativa, sia su quello a uso alimentare, con peggioramento delle caratteristiche organolettiche e delle proprietà nutrizionali. Le alterazioni più gravi sono quelle causate da alcuni funghi patogeni della spiga che sono in grado di produrre micotossine, sostanze tossiche per gli animali e per l’uomo, molto stabili, che si ritrovano anche nei prodotti derivati. Le malattie infettive, causate da microrganismi, si verificano solo in concomitanza di situazioni favorevoli che comportano la presenza di popolazioni numerose del patogeno, in prossimità di piante recettive e in condizioni ambientali favorevoli. Negli ecosistemi naturali queste condizioni si verificano saltuariamente, perché le piante della stessa specie non sono concentrate in una superficie ristretta e in genere sono rustiche, quindi manifestano fenomeni naturali di resistenza alle avversità; si crea quindi un equilibrio che consente la sopravvivenza di entrambi. Negli agrosistemi moderni l’uomo ha finalizzato la sua attività all’intensificazione delle coltivazioni, concentrando le specie vegetali nelle aree più vocate, utilizzando varietà selezionate, sempre più produttive, ma meno rustiche, gestite ottimizzando gli apporti di acqua e di nutrienti per ottenere produzioni molto elevate. In queste condizioni gli equilibri naturali sono stati alterati e spesso si rendono necessari interventi specifici per il controllo delle avversità. Dopo la raccolta, durante il periodo di conservazione in magazzino, alcuni dei patogeni del mais rimangono attivi e possono continuare il loro sviluppo, se le condizioni ambientali lo consentono. In questo caso le perdite produttive aumentano e, in presenza di funghi produttori, l’accumulo di micotossine prosegue.
Malattie del mais
• Il mais è sensibile a diverse malattie
che possono alterare la produzione, riducendone sia la quantità sia la qualità. A livello mondiale, si stima che tali malattie causino una perdita di circa il 9% della produzione
• I principali patogeni del mais sono
funghi microscopici che attaccano la pianta per nutrirsi e riprodursi
• I patogeni possono essere attivi
anche dopo la raccolta nel periodo di conservazione Foto I. Ponti
Marciume pedale da Fusarium Foto I. Ponti
Spiga parzialmente ammuffita
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malattie Marciume del seme e delle plantule (Pythium spp., Helmintosporium spp.) Le cariossidi di mais seminate possono essere colpite da diversi funghi patogeni durante la fase di germinazione. Si tratta di funghi presenti nel seme o nel terreno che causano marciume del seme o della giovane piantina e ne determinano la morte nel caso di infezioni gravi. I principali funghi responsabili di questa malattia appartengono ai generi Pythium ed Helmintosporium, in particolare H. maydis. Questa malattia trova le condizioni favorevoli per il proprio sviluppo con terreni scarsamente drenati, molto compatti, freddi e umidi. La gravità dipende anche dalla qualità del seme impiegato, dalla eventuale presenza di danni meccanici e dalla resistenza genetica alle infezioni. I mais dolci sono più suscettibili di quelli dentati.
Marciume del seme e delle plantule
• Il marciume del seme e delle plantule
è spesso causa di morte della piantina
• Di norma l’infezione prende avvio sulle
parti della pianta a contatto del suolo, causandone imbrunimenti e successivi fenomeni di marcescenza
• La gravità della malattia è condizionata da svariati fattori quali: potenziale d’inoculo, microflora terricola, umidità, temperatura e pH del suolo. Con umidità molto elevata e valori termici leggermente inferiori a quelli ottimali per la pianta si hanno gli attacchi di maggiore entità
Elmintosporiosi (Helmintosporium turcicum, H. maydis) Questa malattia è presente in tutte le zone di coltivazione del mais, di preferenza nelle zone temperato-calde, e si può sviluppare anche su altre graminacee, in particolare su sorgo. Il fungo si conserva come spore nei residui della coltura ammalata e talvolta anche nel seme. L’infezione interessa le foglie e a volte anche le spighe e in genere avviene attraverso gli stomi. La temperatura ottimale per la crescita di questi funghi è intorno a 28 °C. La malattia è favorita da condizioni di umidità molto alta e i danni maggiori si osservano quando il periodo primaverile-estivo è eccezionalmente piovoso. Le foglie colpite presentano macchie più o meno grandi in relazione alla specie fungina presente, allungate nel senso delle nervature, larghe fino a 1 cm e lunghe fino a 10 cm, di colore bruno chiaro con alone più scuro. Gli attacchi gravi causano disseccamento delle foglie e di conseguenza indebolimento della pianta e scarsa produzione.
Pythium spp. al microscopio
Elmintosporiosi
• L’elmintosporiosi è una malattia
fogliare che causa disseccamenti con conseguente indebolimento della pianta
Danni da elmintosporiosi su foglie
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coltivazione Peronospora o cima pazza (Sclerospora macrospora) L’agente causale della peronospora del mais è un fungo diffuso negli areali di coltivazione a clima temperato o temperato caldo. Compare raramente nelle zone tropicali, mentre è molto diffuso negli Stati Uniti. È segnalato in Europa, ma la malattia non è considerata di rilievo. Il fungo si conserva come spore nel terreno o nei tessuti di piante ammalate che oltre al mais possono essere altre graminacee, sia coltivate, quali frumento, orzo, avena o riso, che spontanee, diverse erbe infestanti. L’infezione è possibile in condizioni di prolungata permanenza di ristagno idrico. Entrato nell’ospite, il fungo invade i tessuti e può svilupparsi in tutti gli organi della pianta. Dagli stomi fuoriescono poi nuove spore che danno origine a successivi cicli di infezione se le condizioni sono favorevoli. Questa malattia si sviluppa solo quando le colture rimangono sommerse appena dopo la semina o comunque fino allo stadio di 4-5 foglie. Una sommersione di 24-48 ore è sufficiente per consentire l’infezione. Le condizioni ottimali di temperatura per lo sviluppo di questo fungo sono comprese tra 10 e 25 °C.
Peronospora
• La peronospora causa alterazioni
in varie parti della pianta. La più caratteristica è quella a carico dell’infiorescenza maschile da cui il nome di cima pazza Foto I. Ponti
Foto I. Ponti
Particolare della spiga infetta da Sclerospora macrospora
Foto I. Ponti
Aspetto di un campo colpito da “cima pazza”
I sintomi variano notevolmente in funzione del momento di infezione e del grado di attacco dell’ospite. In genere, i primi sintomi sono rappresentati da abbondante accestimento, arricciamento e arrotolamento delle foglie superiori. Il sintomo più caratteristico è comunque a carico dell’infiorescenza maschile che si trasforma in una massa di strutture fogliari chiamata appunto “cima pazza”. La sostituzione delle foglie all’infiorescenza si può verificare anche nell’infiorescenza femminile. Le foglie delle piante fortemente colpite si presentano strette, nastriformi. Inoltre, le piante colpite sono più piccole, mostrano sintomi di nanismo.
Alterazioni delle foglie attaccate da peronospora
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malattie Marciume dello stocco (Fusarium graminearum) L’agente causale principale del marciume dello stocco del mais è Fusarium graminearum, chiamato anche Gibberella zeae. È un patogeno segnalato in tutto il mondo in grado di colpire diverse altre graminacee quali frumento, orzo, avena e riso. Anche F. verticillioides può causare marciume dello stocco del mais con modalità e sintomi praticamente indistinguibili da quanto descritto per F. graminearum. Il fungo si conserva nei residui infetti della vegetazione dell’anno precedente. In condizioni favorevoli, i funghi infettano la pianta del mais attraverso ferite o danni meccanici. Le piante debilitate per qualunque motivo, ad esempio per cattiva preparazione del suolo, gelate primaverili o prolungata siccità, sono più sensibili all’attacco di questo fungo. Le temperature utili per F. graminearum sono quelle comprese tra 10 e 35 °C ed è favorito dalle piogge e da valori elevati di umidità dell’aria.
Marciume dello stocco
• Il rammollimento del culmo e la sua
disgregazione sono i sintomi tipici del marciume che causa indebolimento delle piante fino alla morte nei casi più gravi
Foto I. Ponti
Culmi spezzati in conseguenza al danno provocato da F. graminearum
La colorazione rossastra dei tessuti esterni (a sinistra) o interni (a destra) è tipica delle infezioni da Fusarium spp.
I sintomi tipici sono rappresentati dal rammollimento del fusto, soprattutto nella parte basale, e dalla disgregazione della sua parte interna che può assumere una colorazione bianca o rossastra. Con andamento stagionale umido le parti del fusto ammalate si ricoprono di una muffa bianco rosata. Le piante colpite possono facilmente piegarsi o spezzarsi alla base, soprattutto con piogge forti e vento. Gli attacchi precoci producono spighe di dimensioni ridotte, con cariossidi piccole e striminzite a causa della difficoltà di trasferimento delle sostanze nutritive alla parte apicale della pianta.
Particolare del marciume del colletto
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coltivazione Carbone (Ustilago maydis) Il carbone del mais è un fungo diffuso in tutti gli areali di coltivazione del cereale. Il fungo si conserva nel terreno, durante l’inverno, in forma di spore che rimangono vitali per 5-7 anni. In primavera le spore germinano e producono nuove spore che, trasportate dall’acqua o dal vento, raggiungono le varie parti della pianta. Il fungo penetra nei tessuti dell’ospite attraverso gli stomi nei tessuti verdi, attraverso le sete nelle spighe o attraverso le ferite in qualsiasi parte della pianta. La malattia è favorita da un andamento climatico caldo-asciutto, con valori di temperatura ottimali compresi fra 26 e 34 °C. In condizioni naturali tutte le parti aeree della pianta possono essere colpite. Si possono osservare clorosi, arrossamenti e necrosi delle aree infette, ma il sintomo principale è rappresentato dalla formazione di galle, ovvero da crescita molto superiore al normale e di forma irregolare degli organi colpiti. Le galle possono essere presenti sullo stocco, sulle foglie, ma la parte più gravemente danneggiata è la spiga, che può risultare completamente distrutta.
Carbone
• Il carbone del mais causa la formazione di galle su varie parti della pianta, ma soprattutto sulla spiga
• Le galle inizialmente sono bianche ma dopo circa 20 giorni dalla loro formazione si trasformano in una massa nera polverulenta
• Le galle indotte dal carbone, note
anche come “tartufo del mais” o huitlacoche sono da tempo utilizzate per l’alimentazione umana nelle regioni del Centro America
• Le spighe colpite da carbone non
contribuiscono alla produzione, ma le perdite in genere sono limitate per la bassa incidenza della malattia in campo
Foto I. Ponti
Foto E. Marmiroli
Carbone su culmo e infiorescenza femminile (a sinistra) e su infiorescenza maschile (a destra)
Pochi giorni dopo l’infezione nelle galle sviluppate si ha una proliferazione massiccia del fungo con la formazione di spore di colore nero. Le galle hanno dimensione molto variabile, da piccole, simili a cariossidi, fino a un diametro di diversi centimetri e possono contenere miliardi di spore. Inizialmente le galle hanno una struttura compatta, sono di colore bianco con la superficie bianco lucente; dopo 16-18 giorni dall’inizio dell’infezione il 60-80% del tessuto delle galle è nero e queste hanno raggiunto indicativamente il massimo del loro peso. Dopo 19-21 giorni dall’infezione i tessuti sono completamente neri ed iniziano a perdere consistenza; si trasformano in una
Carbone del mais illustrato in una tavola a colori dell’edizione italiana del trattato di Bonafous
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malattie massa nera polverulenta costituita dalle spore. Tra gli ibridi coltivati, la maggior parte è resistente a questa malattia e le piante infette, in genere, non eccedono il 2%, mentre in genotipi suscettibili la percentuale può salire a 10. Il danno diretto dovuto a questa malattia, inteso come perdita di produzione, solitamente è molto contenuto e non desta preoccupazione. L’impiego di foraggi a base di mais affetto da carbone nell’alimentazione animale, invece, ha creato qualche dubbio in passato sulla eventuale tossicità del prodotto. Il mais raccolto prima della maturazione fisiologica per uso zootecnico viene infatti trinciato e in presenza di carbone assume una colorazione nera che si associa facilmente ad un prodotto tossico. In realtà, il valore nutrizionale del mais attaccato da U. maydis è ridotto, ma lo stato di salute degli animali non è mai risultato alterato e non è mai stata dimostrata la produzione di sostanze tossiche da parte di questo fungo. Un aspetto curioso di questa malattia è il fatto che le galle indotte da U. maydis sulla spiga del mais sono da tempo utilizzate per l’alimentazione umana nelle regioni Latino Americane, specialmente in Messico, e di recente hanno conquistato anche il mercato Nord Americano. Ustilago maydis compare anche nell’elenco dei funghi commestibili riportato nell’ordinanza pubblicata in Svizzera dal Dipartimento Federale dell’Interno (DFI). Annualmente vengono commercializzate, nei mesi di giugnoluglio, 400-550 t di “tartufo del mais” o huitlacoche, come viene definito dai messicani. Il prodotto viene anche inscatolato per prolungare il periodo di commercializzazione. Il momento ottimale per la raccolta di queste galle corrisponde al 60-80% di annerimento dei tessuti. In questa fase di sviluppo l’umidità delle galle è intorno al 92%. Il contenuto in lisina è relativamente alto, 6-7g/100 g di proteine. Gli acidi grassi dominanti sono: linoleico (39-48%), linolenico (25-34%) e palmitico (13-14%). Il momento ottimale per la raccolta delle galle si limita a 1-2 giorni. Infatti, la raccolta a 12-14 giorni non è adeguata, in primo luogo per l’assenza di spore che modificano il colore ed il sapore, e per il peso ridotto rispetto al massimo ottenibile; successivamente, le galle perdono la loro integrità e sono facilmente colonizzate da altri funghi quali Fusarium spp. e Penicillium spp. Vista l’importanza che sta assumendo U. maydis come fungo commestibile, sono stati svolti diversi studi per selezionare ceppi del fungo particolarmente aggressivi, in grado quindi di produrre più galle e di dimensioni maggiori, per ottenere ibridi di mais particolarmente suscettibili e per ottimizzare il momento di inoculo artificiale.
Foto E. Marmiroli
Carbone neoformato su spiga Foto I. Ponti
Carbone della spiga molto sviluppato
Nel Centro America i carboni della spiga di mais sono impiegati nell’alimentazione umana
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coltivazione Fusariosi della spiga (Fusarium verticillioides) L’agente causale principale della fusariosi della spiga del mais è Fusarium verticillioides, chiamato anche Gibberella fujikuroi. Nelle annate più fresche e piovose si può sviluppare su mais anche F. graminearum fungo più frequentemente presente su frumento, dove è più studiato, mentre le informazioni disponibili riguardo allo sviluppo di questo fungo su mais sono scarse. I Fusarium sono segnalati in tutto il mondo; la specie di Fusarium più diffusa nelle varie aree geografiche e colture dipende principalmente dalle condizioni di temperatura durante il periodo di sviluppo della coltura. ll fungo si conserva nei residui infetti della vegetazione dell’anno precedente o nel terreno. In condizioni favorevoli, le spore, trasportate dal vento o dalla pioggia, raggiungono la spiga e l’infezione avviene attraverso le sete o attraverso ferite, quali quelle causate dalla grandine o dagli insetti. Le temperature utili per F. verticillioides e F. graminearum sono comprese fra 10 e 35 °C, con 30 e 25 °C rispettivamente come temperatura ottimale. La fusariosi della spiga si manifesta a partire dalle sete, sulle quali è possibile osservare una muffetta bianca. In genere il marciume è visibile anche nella parte apicale della spiga. Altri sintomi di muffa bianca si possono osservare su singole cariossidi o su piccoli gruppi di cariossidi vicine. In genere questi sintomi sono associati a rosure causate da piralide. A maturazione le cariossidi si possono presentare ammuffite e striminzite, anche se questo non è in stretta relazione con l’attacco del fungo, dato che le cariossidi infette possono anche non presentare sintomi. Durante il periodo post-raccolta il fungo rimane attivo, se l’umidità della granella è superiore al 14%; quindi, soprattutto se vi sono cariossidi danneggiate, la malattia peggiora. Le perdite di produzione causate da questo patogeno sono in genere limitate, almeno in Italia, ma l’interesse nei confronti di
Fusariosi della spiga
• La fusariosi causa marciumi all’apice
o su piccoli gruppi di cariossidi in altre parti della spiga
• F. verticillioides è un fungo che produce fumonisine, micotossine tossiche per gli animali e per l’uomo
• Le fumonisine vengono prodotte in
campo, ma anche in post-raccolta se le condizioni rimangono favorevoli al fungo
Presenza di Fusarium verticillioides sulle sete Foto I. Ponti
Grave attacco di fusariosi su spiga Sintomi di fusariosi della spiga associati a rosure di piralide
226
malattie questa malattia è alto. Infatti, F. verticillioides è un fungo che produce micotossine, in particolare, le fumonisine. Gli effetti tossici delle fumonisine sono stati dimostrati soprattutto nei cavalli e nei maiali, ma si ritiene che possano causare patologie gravi all’esofago nell’uomo. Le fumonisine si accumulano nelle cariossidi durante la maturazione e si rilevano a partire dalla maturazione cerosa. Nelle raccolte posticipate, con umidità delle cariossidi più bassa, le fumonisine sono tendenzialmente presenti a maggiore concentrazione.
Effetti delle micotossine
• Le micotossine sono sostanze naturali,
prodotte da alcune specie fungine, in grado di causare effetti tossici, acuti o cronici, sugli animali e sull’uomo. Gli effetti acuti sono dovuti a ingestione di alimenti molto contaminati, evento possibile solo occasionalmente per gli animali e per l’uomo solo nei Paesi in via di sviluppo, dove il controllo delle produzioni è ancora precario. Gli effetti cronici si verificano per ingestioni ripetute nel tempo di alimenti a bassa contaminazione
Evoluzione del contenuto di Fumonisine Evoluzione del contenuto di FB1 dalla impollinazione (FB1) dall’impollinazione 8000
FB1 (ppb)
6000
• Essendo sostanze molto stabili,
4000
si possono accumulare nell’organismo e causare tossicità una volta raggiunto un elevato livello nei tessuti
2000 0
25
32
38
45
52
59
68
75
• A salvaguardia della salute degli animali
80
e dell’uomo, esiste una legislazione a livello europeo che pone dei limiti di presenza delle principali micotossine negli alimenti. I limiti fissati derivano da un approccio molto cautelativo, quindi hanno l’obiettivo di garantire l’assenza di danno quando l’alimento viene consumato per tutta la vita
Giorni dall’impollinazione
Alla raccolta, che in genere avviene con cariossidi ad umidità superiore rispetto a quella adatta per lo stoccaggio, è necessario procedere ad una essiccazione tempestiva, fino al 14% di umidità della granella, eseguita a temperature non troppo elevate per evitare la fessurazione delle cariossidi (craking). L’umidità della granella alla raccolta è importante anche in relazione ai danni meccanici causati dalle mietitrebbie; infatti, cariossidi troppo secche sono più facili alla rottura e questo favorisce l’attività del fungo in post-raccolta. Per finire, il periodo di conservazione può essere un ulteriore elemento negativo se gestito non correttamente, ovvero se non viene mantenuto il livello di umidità basso perseguito con l’essiccazione. Anche F. graminearum è produttore di un gruppo di tossine definito Tricoteceni, la più nota delle quali è il deossinivalenolo (DON, detto anche vomitossina). I principali effetti tossici noti riguardano infiammazione della pelle, diarrea, vomito, emorragie e rifiuto dell’alimento; i suini sono particolarmente sensibili, ma sono noti anche effetti tossici sull’uomo. In Italia, il problema che si presenta con regolarità è quello della fumonisina. Infatti, per le condizioni meteorologiche e colturali delle zone maidicole la tossina è sempre presente. I controlli eseguiti garantiscono comunque un corretto uso del prodotto.
Coltura in piastra di F. verticillioides
227
coltivazione Marciumi da Aspergillus (Aspergillus flavus) Il patogeno in genere si comporta da saprofita, ovvero si sviluppa preferibilmente su tessuti morti; quindi, colonizza cariossidi danneggiate, anche se in qualche caso invade anche cariossidi integre. Il fungo colonizza le piante in campo; ha diversi ospiti oltre al mais, e tra i più importanti si possono ricordare arachide e pistacchio. Infatti, le aree geografiche più a rischio per gli attacchi di questo fungo sono quelle a clima tropicale o sub-tropicale. L’attività del fungo continua anche nel periodo post-raccolta se i prodotti non sono adeguatamente disidratati. Il fungo si conserva nel terreno o nei residui infetti della coltura precedente, e quando le condizioni sono idonee inizia a produrre spore che, soprattutto grazie al vento, vengono diffuse e raggiungono la pianta fino all’altezza della spiga. L’infezione avviene attraverso le sete e il fungo si sviluppa soprattutto sulla superficie delle cariossidi. La penetrazione delle cariossidi può avvenire attraverso le sete o ferite di varia origine, principalmente danni causati da piralide. L’invasione delle cariossidi è molto contenuta finché l’umidità della granella è superiore al 32%, ma aumenta rapidamente quando questa scende sotto il 28%. L’intervallo di temperature utili per questi funghi è tra 12 e 48 °C, ma le condizioni considerate ottimali sono intorno a 28-30 °C. A. flavus è un agente di marciume, ma i sintomi causati da questo fungo sono visibili raramente sulle spighe. Si tratta comunque di una comparsa di muffa verde che in genere interessa 1 o poche cariossidi vicine, a volte associate a rosure causate da piralide. Alla raccolta è più frequente osservare la muffa verde su cariossidi spezzate. Durante il periodo post-raccolta il fungo rimane attivo se l’umidità della granella è superiore al 14%. Quindi, soprattutto se vi sono cariossidi danneggiate, si possono avere nuove infezioni. Le perdite di produzione causate da questo patogeno sono in genere limitate, almeno in Italia ma, come per F. verticillioides, l’interesse per questa malattia è alto perché A. flavus è un fungo che produce aflatossine. La produzione di aflatossine avviene con temperature comprese tra 20 e 30 °C e si ritiene che il limite superiore coincida con quello ottimale. L’umidità della cariosside diventa limitante sia per la crescita che per la produzione di tossine solo quando è indicativamente al 13%. Le condizioni ambientali più favorevoli alla sintesi delle aflatossine durante la coltivazione del mais sono alte temperature e stress idrico. Il livello di aflatossine cresce rapidamente quando l’umidità della cariosside scende sotto il 32% e il contenuto è molto maggiore quando il fungo è penetrato da ferite piuttosto che attraverso le sete. È opportuno ricordare che anche per le aflatossine le contaminazioni sono cumulative, quindi l’epoca di raccolta e le condizioni di essiccazione e di stoccaggio possono svolgere un ruolo molto importante nel determinare il livello di contaminazione della granella.
Marciumi da Aspergillus
• A. flavus produce una muffa verde sulle cariossidi e può produrre aflatossine
• Le aflatossine vengono prodotte già in
campo, ma per l’ottimo adattamento del fungo a bassa umidità la sintesi può continuare anche in post-raccolta Foto I. Ponti
Sintomi di marciume da Aspergillus
Aflatossine
• Si tratta di micotossine molto
pericolose, a effetto cancerogeno; in seguito a ingestione di prodotti fortemente contaminati sono stati osservati tumori al fegato, cistifellea, colon, retto, stomaco, pancreas e polmoni di diversi animali
• All’aflatossina è stato riconosciuto
anche un effetto di abbattimento delle difese immunitarie con conseguente aumento di alcune malattie quali l’epatite
• Dal mais, l’aflatossina passa
facilmente al latte e quindi ai formaggi, accumulandosi
228
malattie Avvizzimento batterico (Pantoea stewartii) Questa malattia è causata da un batterio, Pantoea stewartii. La fonte di conservazione principale è il seme, ma il batterio si può diffondere da piante ammalate gravemente ad altre piante sane. Le piante colpite avvizziscono rapidamente e si presentano simili a quelle sofferenti per siccità, carenze nutrizionali o danni da insetti. Le foglie mostrano striature longitudinali, di colore da verde chiaro a giallo, con margine irregolare, che si possono estendere per l’intera lunghezza della foglia. Successivamente le aree alterate disseccano e le foglie si presentano deformate. Le piante colpite producono anticipatamente l’infiorescenza maschile che si presenta decolorata e muore rapidamente. Nelle piante gravemente colpite, la parte basale presenta imbrunimenti interni, in corrispondenza dei vasi, a volte accompagnati da marciumi. In queste piante i batteri si possono diffondere attraverso i vasi e raggiungere anche le cariossidi. In genere i mais dolci sono molto più suscettibili a questa malattia rispetto agli altri, ma anche alcuni ibridi di mais dentato mostrano tutti i sintomi più gravi. Attualmente in Italia i sintomi compaiono solo sporadicamente in coltivazioni di mais dolce.
Foto Pataky, Usa
Avvizzimento batterico
Mosaico del mais (Maize Dwarf Mosaic Virus) Responsabile di questa malattia è un virus che si conserva sulle piante infestanti spontanee, quali la sorghetta, e viene trasmesso al mais da afidi. Le piante colpite sono distribuite in modo sporadico nel campo. I principali sintomi sono rappresentati da striature gialle tra le nervature delle foglie, visibili principalmente sulle foglie più giovani, e presenza di internodi accorciati. Questa malattia può causare una riduzione nella dimensione delle spiga e delle cariossidi.
Mosaico del mais
Nanismo giallo dell’orzo (Barley yellow dwarf virus) Il virus del nanismo giallo dell’orzo, responsabile di questa virosi del mais, viene trasmesso da afidi, principalmente Rhopalosiphum padi e R. maidis. Questo virus è più tipicamente presente sui cereali a paglia, ma recentemente ha causato problemi anche nel mais. I principali sintomi associati alle piante colpite da nanismo giallo dell’orzo sono arrossamenti o ingiallimenti ai margini per l’intera lunghezza delle foglie, sia basali che più alte; il colore che assumono le foglie dipende dall’ibrido di mais coltivato. Gli arrossamenti assomigliano alle carenze di fosforo, ma queste in genere si osservano sulle piante giovani. Se le piante sono infettate dal virus nelle prime fasi di sviluppo, risultano in genere di ridotte dimensioni, con spighe più piccole e con mancata fecondazione nella parte apicale della spiga.
Nanismo giallo dell’orzo
229
coltivazione Difesa dalle malattie Le malattie, per i danni che possono causare alla produzione, hanno sempre suscitato l’interesse dell’uomo che ha cercato di individuare specifici interventi di difesa. Essi hanno l’obiettivo di impedire che si creino le condizioni favorevoli allo sviluppo delle malattie, ovvero che siano presenti i patogeni e le piante suscettibili in un ambiente favorevole. Il contenimento delle malattie può avvenire con azioni sulla pianta ospite, sul patogeno o sull’ambiente. Le azioni sulla pianta e sull’ambiente sono essenzialmente preventive, hanno l’obiettivo di impedire che si creino le condizioni idonee per l’inizio della malattia. Le azioni sul patogeno possono essere eseguite con il medesimo scopo, ma anche per curare le malattie in atto. Le azioni preventive sono basate essenzialmente sulla scelta di varietà con resistenza specifica nei confronti di avversità di interesse o con modifiche della tecnica di coltivazione finalizzate a rendere l’ambiente meno favorevole al patogeno. Le azioni curative richiedono l’impiego di prodotti ad azione specifica contro i patogeni. I prodotti più noti sono i fungicidi, prodotti chimici che ostacolano le attività dei funghi limitando o impedendo lo sviluppo di malattie. Per gli altri patogeni, quali batteri e virus, non esistono prodotti simili il cui impiego sia autorizzato in Italia. Di più recente sviluppo sono i prodotti biologici ad azione diretta contro i patogeni. Anche se al momento non sono disponibili prodotti specifici da utilizzare sul mais, sono allo studio funghi e batteri innocui per l’uomo e gli animali, che non
Protezione dalle malattie
• Per limitare lo sviluppo dei patogeni
si può agire sulla scelta delle varietà e delle tecniche colturali o applicando agrofarmaci ad azione specifica contro i patogeni
• Una corretta scelta del seme è alla base della prevenzione delle malattie
• Le tecniche colturali possono svolgere un ruolo importante nel controllo delle malattie
• La concia del seme garantisce buona protezione delle plantule da patogeni presenti nel seme o nel terreno
Confronto fra ibridi resistenti alle virosi (a destra) e ibridi non resistenti (a sinistra)
230
malattie causano danni neppure alle piante del mais, ma in grado di contenere le malattie. Nella pratica, la difesa del mais dalle avversità può essere ottenuta attraverso diversi interventi. In primo luogo è importante la scelta del seme, un’azione preventiva che può ridurre notevolmente i rischi di danno alla produzione. Il seme deve essere sano, quindi provenire da colture che non abbiano manifestato sintomi di malattie trasmissibili per seme, quali Helmintosporium, Fusarium o Sclerospora macrospora, anche se soprattutto per gli ultimi 2 patogeni la trasmissione per seme non è ritenuta importante. Gli ibridi devono essere adatti alla zona in cui saranno coltivati perché questo garantisce la crescita di una pianta robusta. Il miglioramento genetico ha portato alla selezione di ibridi che mostrano resistenza a diverse malattie; la scelta dovrà quindi cadere su materiale resistente alle avversità maggiormente presenti nella zona di coltivazione. Sono disponibili ibridi con resistenza a Pythium, Helmintosporium, Ustilago maydis, Fusarium e Pantoea stewartii. La resistenza alla fusariosi della spiga non fornisce al momento risultati soddisfacenti; infatti, si osservano differenze di comportamento dei medesimi ibridi nelle diverse aree di coltivazione. Le tecniche colturali possono svolgere un ruolo fondamentale nel controllo delle malattie. È importante per la maggioranza delle malattie del mais l’interramento dei residui colturali, in presenza di colture precedenti infette, e soprattutto l’avvicendamento. Una buona preparazione del terreno che eviti i ristagni idrici costituisce un buon sistema preventivo soprattutto per la peronospora e il marciume del seme e delle plantule. Un corretto apporto idrico e nutrizionale garantisce uno sviluppo equilibrato della pianta e un buon controllo delle erbe infestanti, assicura minore suscettibilità della pianta ai patogeni, in particolare a Ustilago maydis e Fusarium. Il controllo degli insetti vettori è un aiuto nella prevenzione delle malattie virali, quali il mosaico e il virus del nanismo giallo dell’orzo. Un intervento diretto sui patogeni fungini, con l’impiego di fungicidi sulle piante di mais in campo, attualmente non è possibile in quanto non vi sono prodotti autorizzati. Interessante ed efficace è invece la concia delle sementi con fungicidi. La concia, sostanzialmente una copertura del seme con fungicidi appropriati, permette di devitalizzare patogeni presenti sul seme o al suo interno, e di contenere i danni che questi possono arrecare al seme stesso, alla plantula o alla giovane piantina, anche in caso di presenza del patogeno nel terreno. Il trattamento viene eseguito dalle ditte sementiere; quindi, il seme in commercio è già pronto all’uso. La concia del seme con fungicidi viene applicata per prevenire gli attacchi di Pythium e Helmintosporium.
Pianta virosata con produzione di granella scarsa o assente
Mais virosato
Semina di mais conciato
231
il mais
coltivazione Prevenzione micotossine Paola Battilani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Prevenzione micotossine Introduzione Il mais è un prodotto che in tutte le aree di coltivazione a livello mondiale è a rischio di contaminazione da micotossine. Attualmente sono note più di 300 micotossine e sono stati elencati parecchi generi di funghi, principalmente Aspergillus, Penicillium, Fusarium, ai quali appartengono specie produttrici di micotossine. Tre importanti funghi micotossigeni, Fusarium graminearum, produttore di deossinivalenolo (DON) e zearalenone (ZEA), F. verticillioides, produttore di fumonisine (FB), e Aspergillus flavus, responsabile della presenza di aflatossine (AF), trovano nel mais un ospite idoneo. Gli effetti tossici delle micotossine sono diversi e sono noti principalmente sugli animali ai quali sono spesso destinati i prodotti più scadenti. Le specie animali più sensibili alle fumonisine sono equini e suini che manifestano rispettivamente leucoencefalomalacia, sindrome neuro-degenerativa, ed edema polmonare, associato ad alterazioni del fegato e del pancreas e mortalità fetale. Il DON causa citotossicità, lesioni cutanee, leucopenia e immunosoppressione. Inoltre, può causare rifiuto del cibo, nausea, vomito e forti reazioni gastrointestinali. Lo ZEA ha un effetto estrogenosimile; i suini sono considerati gli animali più sensibili e i polli i più resistenti. Le notizie relative all’effetto sull’uomo sono molto scarse. Le AFs sono sostanze dotate di elevata tossicità acuta e cronica; l’aflatossina B1 (AFB1) è quella presente in maggior quantità e con tossicità più elevata. Gli effetti acuti causati da AFB1 si manifestano con ittero, febbre, edema degli arti inferiori ed effetti gastroenterici e nei casi più gravi morte. La cancerogenicità, principalmente a carico del fegato, rappresenta l’effetto cronico più rilevante. Tutti
Micotossine
• Le micotossine sono sostanze
naturali, sintetizzate da alcuni funghi microscopici, comunemente chiamati muffe, in grado di causare effetti tossici, acuti o cronici, sugli animali e sull’uomo. Si tratta di molecole non necessarie per la crescita del fungo e quindi considerate metaboliti secondari. Una volta prodotte, le micotossine possono persistere per lungo tempo, anche dopo la morte del fungo
Distribuzione geografica dei funghi micotossigeni
• Nelle diverse aree geografiche di
coltivazione del mais, uno di questi funghi tende ad assumere un ruolo dominante. Nel nord Italia, per esempio, Fusarium verticillioides è normalmente prevalente; in certe annate particolarmente fresche e piovose può prendere il sopravvento F. graminearum e in altre più calde e siccitose Aspergillus flavus. Quindi, le fumonisine rappresentano un problema diffuso nel nord Italia quasi tutti gli anni, DON e ZEA lo sono raramente, e le aflatossine in modo più localizzato e sporadico
Distribuzione di fumonisine nel nord Italia nel 2002
< 2000 ppb 2000-4000 ppb 4000-8000 ppb > 8000 ppb
232
prevenzione micotossine i mammiferi che ingeriscono AFB1, ne eliminano una quota come aflatossina M1 nel latte; questa sostanza ha tossicità acuta paragonabile a quella della molecola da cui deriva, mentre la cancerogenicità epatica è circa il 2‑8% rispetto a quella della B1. Al fine di minimizzare l’esposizione dell’uomo alle micotossine e i problemi sanitari da esse causati, la Commissione Europea ha definito dei limiti massimi di presenza negli alimenti, quindi anche nel mais e nei suoi derivati, riportati nel Regolamento n. 1881/2006 e aggiornati nel Regolamento n. 1126/2007. Vi sono anche delle raccomandazioni per gli alimenti destinati agli animali e sono anch’essi pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Commissione Europea (n. 100/2003 e n. 576/2006).
Normative in materia di micotossine
• Regolamento CE n. 401/2006 definisce i metodi e le quantità di campionamento per il monitoraggio del contenuto in micotossine
• Regolamento CE n. 1881/2006 e
Regolamento CE n. 1126/2007 fissano i limiti massimi di presenza delle micotossine negli alimenti
Contenuti massimi di micotossine in mg/kg per alimenti a uso umano (Regolamenti CE n. 1881/2006 e n. 1126/2007)
• Raccomandazioni CE n. 100/2003
e n. 576/2006 sono relative agli alimenti destinati agli animali
Prodotti
Micotossine
Mais non pulito
Derivati
Baby food
AFB1
5,0
0,1
AFB1+ AFB2+AF1+AF2
10,0
DON GG
1750
750
200
ZEA
350
100
20
FB
4000
1000
200
Contenuti massimi di micotossine in mg/kg suggeriti per gli alimenti a uso zootecnico (Raccomandazioni CE n. 100/2003 e n. 576/2006) Micotossine
Prodotti
Mangimi
Mais Sottoprodotti
Suini, Pollame, Ruminanti Animali equini agnelli adulti da latte
AFB1
0,02
DON
8
12
ZEA
2
3
FB1+FB2
60
0,02
0,01
5
20
Aspetto di una partita contaminata da funghi micotossigeni
0,005
50
Campionamento e analisi Le cariossidi contaminate non sono distribuite in modo uniforme nelle spighe e negli ammassi di granella; dato che una singola cariosside può contenere livelli di tossine anche molto elevati, le modalità con cui si raccolgono i campioni per le analisi sono fondamentali. La Commissione Europea ha predisposto uno spe-
Fluorescenza giallo-verde visibile in cariossidi infette da Aspergillus flavus esposte a radiazioni UV
233
coltivazione cifico Regolamento (n. 401/2006) in cui sono definiti i metodi da seguire e le quantità da campionare. Le analisi ufficiali delle micotossine vengono eseguite con metodi e apparecchiature sofisticati e costosi, basati sulla cromatografia liquida ad alta precisione, che richiedono una accurata preparazione del campione. Per garantire un buon controllo del rispetto dei limiti di legge, ma a costi accettabili, sono allo studio metodi rapidi, meno precisi, ma che possono essere applicati almeno per le indagini preliminari. Risultati interessanti sono stati ottenuti per le fumonisine con la spettrometria nel vicino infrarosso; questa tecnica non distruttiva, che fornisce il risultato in tempo reale, è già applicata da diversi operatori della filiera mais per la determinazione delle componenti della granella. Un sistema ancora più semplice è disponibile per le aflatossine, basato sulla fluorescenza emanata dalle cariossidi contaminate da A. flavus ed esposte a radiazione UV. Questi metodi hanno certamente un interesse pratico per una prima valutazione dei campioni.
Contenuto medio di micotossine in campioni di mais raccolti in nord Italia. Gli anni 1995-2003 sono relativi al nord Italia, e gli anni 2004-2006 alla regione Emilia Romagna ZEA (ppm)
DON (ppm)
FB1 (ppm)
AFB1 (ppb)
1995
0,07
0,19
3,35
1,9
1996
0,45
2,72
1,32
0,3
1997
0,03
0,80
3,10
1,5
1998
0,003
0,30
2,66
1,5
1999
0,02
0,29
5,17
4,1
2002
0,174
0,54
4,80
nd
2003
nd
nd
5,19
4,4
2004
0,174
0,34
6,30
16,64
2005
0,018
0,11
6,91
12,68
2006
0,003
0,00
4,02
14,04
Micotossine nel mais italiano L’importanza delle differenti micotossine varia tra gli ambienti e gli anni, ma F. verticillioides è il fungo maggiormente presente sul mais in Italia. Monitoraggi condotti negli anni 2002-2007 nel nord Italia su più di 450 campioni di granella raccolti in campo hanno confermato l’alta percentuale di cariossidi infette da F. verticillioides, in genere superiore al 40%, con differenze tra le regioni campionate, con un gradiente positivo da ovest a est, più marcato in alcuni anni quali il 2002. Nei sei anni considerati, il contenuto medio di fumonisina è stato intorno a 4500 µg/kg (ppb) con valori massimi vicino a 20.000 ppb; il 35% circa dei campioni è risultato al di sotto della soglia di legge di 2000 µg/kg, ma la percentuale è salita a oltre 50 secondo il nuovo limite di 4000 µg/kg fissato nel Regolamento CE n. 1126/2007. La fumonisina è un problema quasi tutti gli anni, DON e ZEA lo sono occasionalmente, come pure le aflatossine. Inoltre, i livelli elevati segnalati per la fumonisina interessano in genere la maggior parte dei campioni, mentre per l’aflatossina il numero di campioni oltre i limiti di legge è solitamente limitato, ma con contaminazioni molto elevate. Le ragioni di queste differenze vanno ricercate nelle caratteristiche dei funghi, in particolare nelle loro esigenze termiche e di umidità e nel rapporto che stabiliscono con la pianta ospite.
Nota: i valori in grassetto rappresentano valori superiori al limite di legge per la granella a uso umano nd: dati non disponibili
22% 35% 26%
17%
< 2000 ppb
2000-4000 ppb
4000-8000 ppb
> 8000 ppb
Funghi tossigeni Tutti i funghi micotossigeni del mais si conservano durante il periodo invernale, e comunque in assenza del mais, nei residui colturali nel terreno. F. verticillioides, principale agente del marciume rosa della spiga, la raggiunge trasportato dal vento o dalle gocce di acqua e causa l’infezione attraverso le sete, nel periodo di fioritura, o attraverso le ferite, causate principalmente dalla piralide.
Distribuzione dei campioni di mais italiano per classe di frequenza del contenuto di micotossine negli anni 2002-2007
234
prevenzione micotossine F. graminearum, responsabile del marciume rosso della spiga, la raggiunge solo trasportato dalla pioggia e l’infezione avviene attraverso le sete. A. flavus viene trasportato dal vento e può infettare la cariosside attraverso le sete, dalla zona del pedicello e attraverso ferite. Quindi, sia nel raggiungimento della spiga che nella modalità di infezione vi sono differenze tra questi funghi. La muffa, di colore bianco rosato per F. verticillioides, bianco rossastro per F. graminearum e verde per A. flavus, non è sempre ben visibile nel caso dei funghi tossigeni del mais e non vi è una chiara relazione tra le cariossidi ammuffite e il contenuto di tossine, soprattutto in presenza di F. verticillioides. Questi funghi trovano le condizioni ottimali per le loro attività a temperature e umidità differenti. A. flavus resiste a condizioni di bassa umidità e predilige le temperature elevate, intorno ai 30 °C, F. graminearum è il più esigente in umidità e si sviluppa in modo ottimale tra 20 e 25 °C, e F. verticillioides ha un comportamento intermedio, necessita di umidità maggiore rispetto ad A. flavus e di temperatura maggiore rispetto a F. graminearum. Le condizioni meteorologiche non agiscono solo in modo diretto sul ciclo biologico dei funghi, ma possono anche agire indirettamente mettendo la coltura in condizioni di stress. Le piante indebolite, o comunque in condizioni non ottimali, sono più suscettibili agli attacchi dei patogeni.
Le ferite provocate dalla piralide favoriscono i funghi micotossigeni
Influenza delle tecniche agronomiche Sviluppo fungino e formazione di micotossine avvengono in campo, sulla pianta, ma proseguono nelle successive fasi di lavorazione e conservazione se vengono mantenute condizioni utili ai funghi. Le condizioni meteorologiche della zona di coltivazione determinano il rischio di presenza delle micotossine, ma le tecniche di coltivazione possono modificarne il livello e rappresentano un utile strumento di prevenzione. Numerose ricerche sono state condotte per valutare l’effetto delle rotazioni colturali e delle lavorazioni del suolo sullo sviluppo dei funghi tossigeni. In mais non sono stati riscontrati evidenti effetti, sia nei confronti della infezione da A. flavus che da Fusarium spp.; probabilmente, la grande diffusione della coltura sul territorio assicura un inoculo così abbondante che gli avvicendamenti perdono gran parte del loro ruolo, soprattutto per i funghi che sono trasportati dal vento. L’epoca di semina influenza l’accumulo di micotossine. In particolare, un anticipo della semina si traduce, generalmente, in una maggiore robustezza della pianta, meno soggetta a stress, e quindi in un minor rischio di accumulo di micotossine, anche se le condizioni climatiche avverse possono vanificarne l’efficacia. Le semine comprese tra marzo e la prima o la seconda decade di aprile in genere consentono di ottenere livelli di tossine, soprattutto fumonisine, più bassi.
Muffa bianco rosata dei funghi del genere Fusarium prodotta da F. verticillioides
Ambiente di coltivazione e produzione di micotossine
• L’andamento meteorologico e il
microclima che si origina intorno alla pianta di mais hanno notevole influenza sui funghi produttori di micotossine; in particolare, temperatura, pioggia e umidità dell’aria possono indurre condizioni di stress per i funghi, stimolandoli alla produzione di metaboliti tossici
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coltivazione È importante seminare ibridi adatti alla zona di coltivazione ed è necessario dare la precedenza a quelli che offrono le migliori garanzie per quanto riguarda la tolleranza agli attacchi fungini e la resistenza agli stress idrici. La concimazione azotata, per l’influenza che ha sul vigore delle piante e sul ritardo del disseccamento, è in grado di influenzare l’accumulo di micotossine. Una concimazione equilibrata, minimizza il rischio di contaminazione, mentre apporti troppo scarsi o eccessivi lo aumentano. È stata più volte messa in luce la relazione tra stress idrico e contaminazione da aflatossine e il loro contenuto è sempre risultato maggiore dove lo stress idrico era più accentuato. L’effetto delle carenze idriche è meno evidente sulle Fusario-tossine, mentre l’eccesso idrico è in grado di portare a un aumento di accumulo di fumonisine. Quindi, la corretta gestione dell’irrigazione è un’importante azione preventiva. La crescita delle muffe e l’accumulo delle tossine sono maggiori tanto più è prolungato il periodo di maturazione. Ne consegue che il ritardo della raccolta, che ha lo scopo di ottenere una granella meno umida e contenere così i costi di essiccazione, influenza negativamente la sanità della granella. Seppure influenzato dall’andamento meteorologico, il contenuto in FB1 aumenta ritardando il momento della raccolta, in particolare negli ibridi più tardivi che mantengono a lungo condizioni di umidità della granella favorevoli alla crescita dei Fusaria. La formazione di AFs è favorita in campo da temperature elevate (massima giornaliera superiore a 30 °C) nel periodo compreso tra maturazione fisiologica e raccolta e bassa umidità della granella; quindi, una consistente riduzione del rischio può essere perseguita raccogliendo con umidità della granella non inferiore al 22-24%.
Suscettibilità degli ibridi
• I dati disponibili hanno spesso
evidenziato che gli ibridi più precoci (Classe FAO 300-400) sono quelli maggiormente suscettibili alla contaminazione da aflatossine, mentre gli ibridi più tardivi (Classe FAO 600-700) sono più predisposti alla contaminazione da fumonisine
Contaminazione da A. flavus e F. verticillioides
Ruolo delle avversità I funghi tossigeni causano marciumi delle cariossidi, ma dato che il loro effetto di riduzione della produzione è minimo, attualmente non sono previsti interventi di controllo specifici. Sono però allo studio fungicidi che potrebbero avere un effetto diretto sulle contaminazioni. Le larve degli insetti creano una via d’accesso per i funghi e ne favoriscono la diffusione, soprattutto per i Fusarium spp., mentre per A. flavus la relazione tra fitofagi e sviluppo del fungo è stata rilevata solo in alcuni ambienti. In diversi areali maidicoli italiani è stata dimostrata un’apprezzabile influenza dell’entità dell’attacco da piralide sulla concentrazione di fumonisine e l’impiego di insetticidi ha dimostrato una buona efficacia nel ridurre la contaminazione da micotossine, anche se con notevole variabilità fra gli anni e le località. È anche importante mantenere pulito il terreno dalle erbe infestanti, in modo da evitare competizione idrica e nutrizionale con la coltura. Infatti, la presenza di erbe infestanti è un elemento di forte stress per la pianta, quindi predisponente per l’infezione fungina.
Mais Bt
• Negli Stati Uniti, ma anche in alcuni
paesi europei, sono diffusi ibridi di mais geneticamente modificati, chiamati Bt, che essendo resistenti alla piralide risultano meno suscettibili anche ai funghi tossigeni
• Il termine Bt indica il batterio Bacillus thuringensis, fonte del gene che codifica per una tossina neurotossica per la piralide, che, una volta inserito nel DNA del mais lo rende resistente agli attacchi dell’insetto
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prevenzione micotossine Raccolta e stoccaggio L’accumulo di micotossine in mais avviene in campo, ma come detto, può proseguire dopo la raccolta se le condizioni rimangono idonee allo sviluppo del fungo, in particolare se l’umidità della granella non è inferiore al 15%; la temperatura spesso si mantiene nell’intervallo utile per i funghi se non si lavora in ambienti condizionati. Il mais viene raccolto solitamente a umidità superiore al 15%, quindi dopo la raccolta deve essere effettuata tempestivamente l’essiccazione, entro 48 ore dal ricevimento del prodotto, con temperature non troppo elevate ed evitando repentini sbalzi termici che possono comportare rotture delle cariossidi. I danni fisici della granella (rotture e fessurazioni) sono tra gli ele menti che più favoriscono l’attacco dei funghi, promuovendo così le contaminazioni post-raccolta; è quindi necessaria un’opportuna regolazione delle mietitrebbie per ridurre le rotture e per eliminare dal prodotto le cariossidi ammuffite, spesso dotate di un peso specifico inferiore. Questi accorgimenti, tuttavia, non sono sufficienti a eliminare completamente le contaminazioni dato che anche la granella integra può contenere elevati livelli di micotossine. Anche la pulitura della granella, eseguita per allontanare il prodotto alterato (cariossidi spezzate, farina e polvere) ha un’importante azione preventiva e può essere attuata in fase di caricamento dall’essiccatoio e durante le successive movimentazioni dagli impianti, compresa l’uscita dai centri di stoccaggio. Poiché fino a oggi non sono stati ancora individuati ibridi resistenti ed economiche tecniche di detossificazione e risanamento delle partite contaminate da micotossine, la prevenzione risulta essere ancora la migliore strategia di controllo, purché sia applicata su tutta la filiera, a partire dal campo e durante la lavorazione del prodotto.
Micotossine: importanza di racolta e stoccaggio
• La prevenzione è, oggi, il migliore
sistema di controllo per evitare la contaminazione da micotossine
• Per impedire che i miceti presenti sulle
cariossidi contaminate infettino tutta la partita del cereale sono fondamentali: la regolazione della mietitrebbia al fine di ridurre le rotture ed eliminare le cariossidi ammuffite, la tempestiva essiccazione del prodotto trebbiato e la succesiva pulitura della granella per allontanare le cariossidi alterate Foto P. Giorni
Foto R. Angelini
Conidioforo e conidi di Aspergillus flavus al microscopio ottico Foto A. Scandolara
Fusarium verticillioides al microscopio
Le rosure provocate dalla larva di piralide rappresentano una facile via d’ingresso per i funghi produttori di micotossine
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il mais
coltivazione Erbe selvatiche Pasquale Viggiani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Erbe selvatiche Introduzione Una recente indagine indica che circa 130 specie di erbe selvatiche si trovano nei campi di mais di tutta l’Italia. Di queste circa una dozzina sono molto frequenti e molto aggressive nei riguardi del cereale. Di seguito sono descritte 30 specie; lateralmente alla descrizione di ciascuna specie è riportata la cartina dell’Italia che ne mostra la diffusione sul territorio. Tale mappa mostra un dettaglio sulle regioni del nord dove è più diffusa la coltivazione del mais. Non sono state considerate Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Liguria dove al contrario la coltura è quasi assente.
Erbe spontanee più frequenti
Mais fortemente infestato da erbe selvatiche
Infestazione mista con prevalenza di dicotiledoni
Acàlifa ** (Euforbiacee)
Panico delle risaie* Graminacee (=Poacee)
Amaranto comune** (Amarantacee)
Persicaria** (Poligonacee)
Ambrosia con foglie d’Artemisia** Composite (=Asteracee)
Poligono convolvolo** (Poligonacee)
Assenzio selvatico** Composite (=Asteracee)
Poligono degli uccellini** (Poligonacee)
Cencio molle** (Malvacee)
Poligono nodoso** (Poligonacee)
Farinello comune** (Chenopodiacee)
Pomidorella comune** (Solanacee)
Fitolacca, Uva turca** (Fitolaccacee)
Pomidorella della Carolina** (Solanacee)
Forbicina peduncolata** Composite (=Asteracee)
Porcellana** (Portulacacee)
Galinsoga ispida** Composite (=Asteracee)
Sanguinella comune* Graminacee (=Poacee)
Giavone* Graminacee (=Poacee)
Sorghetta, Melghetto* Graminacee (=Poacee)
Girasole comune infestante** Composite (=Asteracee)
Stramonio comune** (Solanacee)
Gramigna comune* Graminacee (=Poacee)
Topinambur** Composite (=Asteracee)
Luppolo comune** (Cannabacee)
Vilucchio** (Convolvulacee)
Nappola** Composite (=Asteracee)
Vilucchione** (Convolvulacee)
Pabbio* Graminacee (=Poacee)
Zigolo dolce* (Ciperacee)
* Monocotiledoni, ** Dicotiledoni
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erbe selvatiche Acàlifa (Acalypha virginica) era così chiamata già dagli antichi Greci. Molto diffusa negli USA, come si arguisce dall’aggettivo latino virginica, questa pianta invade frequentemente le colture di mais formando folti tappeti erbosi che raggiungono un’altezza di circa 50-60 cm. Parente delle euforbie, ha fiorellini poco appariscenti e produce una discreta quantità di semi (fino a un migliaio per pianta). Nasce durante tutta la primavera e anche verso l’inizio dell’estate; si diffonde specialmente negli appezzamenti mal sistemati e in quelli seminati precocemente.
Diffusione dell’acàlifa
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Amaranto comune (Amaranthus retroflexus), molto diffuso nei campi di mais, deve il nome al fatto che le infiorescenze non si disgregano neanche dopo che i semi sono caduti (dal greco a = non e maraino = avvizzisco); il nome italiano però può essere associato anche al colore amaranto dei fusti e della parte ventrale delle foglie di molte piante appartenenti a questo gruppo. L’aggettivo retroflexus si riferisce alle spighe recline; si riproduce esclusivamente per seme: ne produce circa 10.000 per pianta.
Diffusione dell’amaranto
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione La repentina e incontrollabile diffusione dell’ambrosia (Ambrosia artemisifolia) negli ultimi anni, sia lungo le strade sia nei campi di frumento e di mais, ha indotto la regione Lombardia a emanare apposite disposizioni, che impongono sfalci ripetuti per eliminare le piante prima che esse fioriscano, nella tarda stagione estiva, spargendo il loro polline che tante sofferenze procura a migliaia di individui allergici. E pensare che gli antichi Greci chiamavano questa pianta “cibo degli Dei”!
Diffusione dell’ambrosia
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
L’assenzio selvatico (Artemisia vulgaris) è spesso associato alla specie precedente con la quale sovente viene confusa ma dalla quale si differenzia per l’odore aromatico di vermut delle foglie. Le piante di assenzio sono capaci di ricacciare anche dal colletto oltre che riprodursi per seme. Ha foglie con lamina settata, verde di sopra e biancastra di sotto. Pianta conosciuta sin dall’antichità per le sue proprietà medicinali che hanno ispirato il suo nome latino; Artemisia: dal greco artemés = sano.
Diffusione dell’assenzio selvatico
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Dagli inizi degli anni ’70 del secolo scorso il cencio molle (Abutilon theophrasti) è divenuta una delle piante infestanti più dannose per il mais, grazie anche alla sua gigantesca stazza: può raggiungere 4 m di altezza. Questa infestante si diffonde tramite gli abbondanti semi prodotti (fino a 8000 per pianta), spesso sparsi dalle mietitrebbia non ben pulite. Il nome italiano si ispira all’aspetto morbido e vellutato delle foglie mentre quello latino è dedicato a Teofrasto, allievo di Aristotele.
Diffusione del cencio molle
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Farinello comune (Chenopodium album) è così detto perché ha le foglie ricoperte, specialmente nella pagina inferiore, di microscopiche scagliette biancastre che nel complesso costituiscono uno straterello che sembra farina. Il nome scientifico deriva invece da due parole greche (chen = oca e pus = piede) che mette in relazione la forma delle foglie con quella dei piedi delle oche. Quest’erba ha fiori poco appariscenti e si riproduce solo per mezzo di semi: ne produce circa 70.000 per ogni pianta.
Diffusione del farinello
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Fitolacca o uva turca (Phytolacca americana) è così chiamata perché le piante maturano racemi simili a grappolini d’uva formati da bacche contenenti un succo rosso scarlatto indelebile, sfruttato nell’industria per colorare tessuti e generi alimentari: ciò è sottolineato dal nome latino (Phyto = pianta, lacca = colore) il quale mette in rilievo anche la zona di origine della specie. I primi centri di diffusione in Italia si trovano in Lombardia. Si riproduce tramite semi (ogni pianta ne produce circa 3000) o per ricacci radicali.
Diffusione della fitolacca
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Forbicina peduncolata (Bidens frondosa) appartiene alla famiglia delle Composite o Asteracee. Il primo nome italiano si riferisce alla somiglianza dei frutti di questa specie con l’insetto omonimo (Forficula auricolare); i frutti, infatti, come l’insetto, hanno due denti pronunciati alla loro sommità che sono messi in evidenza anche dal nome latino Bidens (due denti). Particolarmente abbondante nelle zone umide la specie forma foglie composte, capolini giallastri e si moltiplica solo mediante semi.
Diffusione della forbicina
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Tra le nuove ospiti indesiderate dei campi di mais la galinsoga ispida (Galinsoga ciliata) è senz’altro una di quelle più diffuse, specialmente dove non si eseguono lavorazioni profonde. Il gruppo di piante del quale fa parte porta il nome di un medico della corte spagnola del XIX secolo: tale Martinez Galinsoga; gli aggettivi ispida e ciliata si riferiscono, invece, alla densa peluria che ricopre i suoi fusti. Si riproduce durante un vasto arco di tempo, in primavera e in estate, grazie a una grande produzione di semi (ogni pianta ne produce circa 10 000).
Diffusione della galinsoga
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Alla stessa famiglia botanica del mais, quella delle Graminacee (chiamate anche Poacee), appartiene una delle erbe infestanti del mais più dannose: il giavone comune (Echinochloa crus-galli), dalle pannocchie simili nella forma ad una zampa di gallo e spesso con reste simili agli aculei del riccio; è questo il significato del nome latino della specie, cioè erba (= chloe) riccia (= Echino) con zampe (= crus) di gallo (= galli). La sua diffusione è affidata ai semi (ogni pianta ne produce alcune migliaia).
Diffusione del giavone
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Nei campi di mais dell’Umbria, attorno a Perugia, si trova una forma di girasole comune (Helianthus annus) inselvatichito, pare proveniente dagli USA in una partita di semi di mais, durante gli anni ottanta del secolo scorso. È un girasole con fusto molto ramificato che produce parecchie calatidi di dimensioni più piccole di quelle dei girasoli coltivati. Queste piante si riproducono solo tramite semi e sono molto competitive nei riguardi delle piante del mais, anche per la loro resistenza a gran parte dei diserbanti chimici.
Diffusione del girasole
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Nella stagione 2006 molti campi di mais del nord Italia sono stati invasi da una “nuova” infestante: la gramigna comune (Cynodon dactylon). In effetti l’appellativo “nuova” si riferisce solo ai campi di mais in quanto la specie rientra da sempre nella compagnia delle infestanti di altre colture. Questa specie in Italia si riproduce quasi esclusivamente tramite rizomi ricoperti di gemme, simili nella forma ai canini dei cani (Cynodon deriva da: Kyon = cane e odon = dente) L’aggettivo dactylon si riferisce alla forma di mano delle infiorescenze.
Diffusione della gramigna
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Luppolo da birra (Humulus lupulus) ama vegetare lungo le sponde dei fossi e da questi luoghi penetra, con i suoi spinulosi fusti flessibili e con i rami tentacolari nei campi di mais, formando con il cereale grovigli inestricabili che ostacolano fortemente la raccolta delle spighe. Percorrendo le strade che da Verona conducono prima nel Bresciano e poi verso Pavia e quindi ad Alessandria spesso si incontrano campi di mais invasi da questa specie. La specie si diffonde per seme e per polloni radicali.
Diffusione del luppolo
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Nappola (Xanthium) appartiene alla stessa famiglia del girasole ma i suoi capolini non sono appariscenti. Essi, infatti, non portano fiori vistosi e, inoltre, sono ricoperti da aguzze spine, tramite le quali si attaccano ai supporti più vari (per esempio al mantello degli animali): è così che si diffonde maggiormente. Il nome latino sottolinea l’uso del decotto che si otteneva dalle piante: per tingere di biondo (in greco = xanthos) i capelli. Queste piante, dal fusto robusto e dalle foglie coriacee, si riproducono solo mediante semi.
Diffusione della nappola
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Il nome latino del pabbio (Setaria spp.) si riferisce alla presenza di setole (resti di fiori abortiti) sulle infiorescenze. Le setole, a loro volta, sono ricoperte di microscopici uncini, rivolti verso il basso nel pabbio verticillato (Setaria verticillata) o rivolti verso la sommità della pannocchia in altre due specie dei campi di mais: nel pabbio comune (Setaria viridis, con setole verdastre o giallastre) e nel pabbio rossastro (Setaria glauca, con setole rossastre). Tutte queste specie si riproducono solo tramite semi.
Diffusione del pabbio
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Un’altra graminacea, particolarmente diffusa, specialmente nelle zone dove il mais segue il riso nella rotazione, è il panico delle risaie (Panicum dichotomiflorum). Si tratta di una specie particolarmente pelosa, molto variabile nel portamento e nell’altezza; nei campi di mais ha portamento eretto e supera i 2 m di altezza, quantunque il suo portamento sia prostrato e la sua altezza non superi il metro quando non si trova in competizione con altre piante. Nasce solo da seme, durante la primavera.
Diffusione del panico delle risaie
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche I fusti cosparsi di nodi avvolti da guaine e, a volte, ginocchiati, hanno ispirato il nome del poligono convolvolo (Polygonum convolvulus): è questo il significato del primo nome latino e di quello italiano (dal greco polys = molti e gony = ginocchi, nodi). Il poligono convolvolo si differenzia per avere il fusto volubile ed avvolgente (dal latino convolvere = avvolgere); per distinguere questa specie dagli altri poligoni le sono stati attribuiti due altri nomi, invece di Polygonum: Fallopia o Bilderdykia.
Diffusione del poligono convolvolo
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Poligono degli uccellini (Polygonum aviculare) è così chiamato perchè pare che i suoi semi (a forma di piccolissimi dardi) siano molto appetiti dagli uccelli. La pianta adulta è adagiata con i rami sul terreno, ha foglioline piccole, lisce, intere, di un bel colore verde brillante e morbide al tatto. In questa specie, più che nelle altre, il termine Polygonum trova giustificazione nei suoi fusti particolarmente nodosi e ripiegati. Si riproduce solo tramite semi.
Diffusione del poligono degli uccellini
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Poligono nodoso (Polygonum lapathifolium), come la specie precedente, ha il fusto segnato da molti nodi particolarmente evidenti (grossi e rossastri). La seconda parte del nome latino si riferisce alle foglie, con picciolo appena accennato ed hanno forma simile a quella delle foglie di lapazio. La lamina fogliare è più grande di quella della specie precedente, essa, inoltre, è ondulata sui bordi, ha colore verde scuro, con una macchia a forma di V in mezzo. Questa specie si riproduce solo tramite semi.
Diffusione del poligono nodoso
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Spesso confuso con la specie precedente è il poligono persicaria (Polygonum persicaria), privo di picciolo sulle foglie e con guaine dei nodi pelose alla sommità. Anche la forma della lamina fogliare è diversa da quella delle foglie della specie precedente, essendo più stretta e con bordo non ondulato; complessivamente ricorda le foglie dell’albero del pesco: è a questo che si riferisce l’aggettivo latino “persicaria”, da persica (uno dei nomi latini del pesco). Si riproduce solamente tramite semi.
Diffusione del poligono persicaria
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Le bacche della pomidorella comune o erba morella (Solanum nigrum) hanno forma del tutto simile a quella delle bacche del pomodoro, solo che sono nere e molto più piccole. È una delle infestanti più difficili da combattere nei primi stadi di vita del mais, anche in considerazione del fatto che le piantine continuano a nascere per un lungo periodo durante la primavera. Si riconosce per avere fiori conformati a stella, ognuno con cinque petali bianchi saldati fra loro alla base. Si riproduce solo tramite semi.
Diffusione dell’erba morella
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Pomidorella della Carolina (Solanum carolinense) è molto simile nell’aspetto alla specie precedente, tranne per le bacche giallastre a maturità e per essere cosparsa di spine rigide sui rami e sotto le foglie. Molto diffusa come pianta infestante negli USA, da qualche anno sta suscitando preoccupazioni anche fra i maiscoltori del nord Italia perché non si conoscono ancora i metodi di lotta, anche in considerazione del fatto che ha ciclo perenne in quanto si può riprodurre oltre che per seme anche per rizomi.
Diffusione della pomidorella della Carolina
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Si deve al fatto di essere particolarmente appetita dai maiali se la porcellana comune (Portulaca oleracea) è così chiamata ma essa era, ed è ancora in molte regioni, anche usata come insalata nella cucina mediterranea (ha sapore con retrogusto salato): è a questo che si riferisce la parola oleracea. Il nome latino deriva, invece, dalla piccola “portula” attraverso la quale il frutto si apre a maturità. Quest’erba dalle foglie grassette e lucide si riproduce solo tramite semi. Preferisce i climi caldi e i terreni sciolti.
Diffusione della porcellana
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Come la specie successiva anche la sanguinella comune (Digitaria sanguinalis) è una graminacea e si trova molto frequentemente nei campi di mais. Le piante sono particolarmente pelose, con rami adagiati sul terreno (e radicanti) spesso con la base di colore rosso-sangue: è a ciò che si riferisce il nome italiano mentre quello latino, oltre a sottolineare questo aspetto, si riferisce alla forma delle pannocchie che sono formate da diversi rametti disposti come le dita di una mano, sono cioè digitate.
Diffusione della sanguinella
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Sorghetta o melghetta (Sorghum halepense) è una delle infestanti del mais più comune e più pericolosa, specialmente nelle zone dove si pratica la monocoltura per diversi anni. Le piante giovani erano utilizzate in passato come foraggio spontaneo da dare agli animali. Esplica una grande competizione nei confronti del mais, anche perché ha due modi di riprodursi: tramite semi e, contemporaneamente, tramite rizomi che sono veri e propri fusti che si sviluppano nel terreno ed emettono nuove piante che, a loro volta, formano rizomi e così via.
Diffusione della sorghetta
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Come molte altre piante appartenenti alla famiglia delle Solanacee lo stramonio comune (Datura stramonium) contiene sostanze tossiche per gli animali: mai fidarsi perciò dei suoi scenografici fiori bianchi a forma di imbuto. Ha fusto robusto e coriaceo che produce frutti spinosi a forma di capsula. La diffusione di questa specie nei campi di mais è dovuta solo alla grande quantità di semi che riesce a produrre (fino a 30.000 per pianta) ed è alquanto incostante, negli anni e nello spazio, anche se quasi mai è abbondante.
Diffusione dello stramonio
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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coltivazione Del topinambur (Helianthus tuberosus) si consumano i giovani tuberi dolciastri debitamente acconciati in insalata; di recente si sta verificando la possibilità di coltivarlo per l’estrazione di zuccheri. Il topinambur produce bellissimi capolini simili a piccoli girasoli: questo fatto è spiegato nel nome latino (Helios = sole, anthos = fiori). Questa pianta si riproduce preferibilmente per rizomi ma anche per semi; predilige le rive umide dei canali perciò essa si diffonde generalmente solo lungo i bordi degli appezzamenti di mais.
Diffusione del topinambur
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Vilucchio (Convolvulus arvensis). Il nome latino di questa specie si riferisce alla forma del fusto che è volubile e si avvolge (in latino: convolvere) attorno ai supporti più svariati, compreso le piante di mais. È una delle piante infestanti più comuni in molte colture (dal grano al mais, dalle colture orticole a quelle arboree ecc). Produce fiori imbutiformi, bianchi o rosati; il frutto è una capsula ovoidale che contiene qualche seme. Si riproduce oltre che per seme anche tramite tenaci rizomi sotterranei.
Diffusione del vilucchio
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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erbe selvatiche Vilucchione (Calystegia sepium) ha grossi fiori bianchi a imbuto alla cui base vi è un calice con due evidenti foglioline alle quali è ispirato il nome latino (dal greco kalix = coppa e stege = coprenti); l’aggettivo sepium riprende, invece, la caratteristica di questa pianta di nascere lungo le siepi. I suoi fusti sono lunghi e flessuosi e si attorcigliano a qualunque supporto, aggrovigliando le piante di mais. La specie si riproduce mediante grossi semi neri e anche attraverso rizomi sotterranei.
Diffusione del vilucchione
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
Zigolo dolce (Cyperus esculentus) è una tipica infestante delle risaie ma ultimamente si trova, sempre con maggiore frequenza, anche nei campi di mais, dove è trasportato tramite l’acqua di irrigazione: questa specie, infatti, ama le zone umide dei canali e produce nuvole di semi talmente leggeri da galleggiare sull’acqua. Il nome Cyperus ci viene dal mondo greco, mentre esculentus deriva dal latino e vuol dire mangereccio: i piccoli tuberi di questa pianta costituivano nel passato una valida alternativa al pane.
Diffusione dello zigolo
assente o sporadica scarsa presenza elevata presenza
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il mais
coltivazione Gestione malerbe
Gabriele Rapparini, Giovanni Campagna
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Gestione delle malerbe Dannosità delle malerbe Nelle colture di mais, le maggiori perdite produttive sono causate dall’incontrollata presenza delle infestanti durante i primi periodi di coltivazione e, per alcune specie annuali (Sicyos, Xanthium ecc.) e perenni (Convolvulacee, Sorghum halepense da rizoma ecc.), anche in stadi più avanzati di sviluppo della coltura. La competizione inizia a essere elevata quando il ritmo di crescita delle malerbe supera quello del mais, con perdite produttive variabili dal 30 al 70%, in funzione della densità e della natura delle infestazioni, nonché della tecnica colturale adottata e delle condizioni pedoclimatiche. Oltre ai danni da competizione, alcune infestanti come Sicyos angulatus possono ostacolare le operazioni di raccolta, oppure inquinare gli insilati quando la coltura è infestata da essenze tossiche come Datura stramonium.
Periodo critico del mais nei confronti delle infestanti
• Il periodo di massima suscettibilità
della coltura ai danni da malerbe è definito “periodo critico” ed è generalmente compreso, nelle tradizionali epoche di semina, tra la terza e la sesta settimana dopo l’emergenza; nelle semine anticipate a fine inverno il “periodo critico” si protrae per altre 2-3 settimane, con aumento dell’esposizione della coltura all’azione concorrenziale delle infestanti
Evoluzione della tecnica colturale e implicazioni relative alla lotta alle malerbe Il mais viene coltivato prevalentemente nei terreni più sciolti della Pianura Padana, soprattutto a nord del fiume Po, dove si concentra la maggior parte della produzione nazionale sia per la granella sia per l’insilato. Le coltivazioni sono in genere irrigue e spesso si effettuano abbondanti spandimenti di letame e di liquame. Per questi motivi, insieme a un’ottima tecnica colturale, i livelli produttivi sono quasi unici al mondo, con una rotazione che spesso vede il mais in monosuccessione. Un tempo, prima dell’avvento degli erbicidi chimici intorno agli anni ’60, le malerbe venivano contenute quasi unicamente con mezzi meccanici, zappature e scerbature manuali. Con il ricorso agli erbicidi, l’onere della manodopera si è drasticamente ridimensionato e le produzioni sono vistosamente aumentate.
Mais infestato da Echinochloa crus-galli Foto R. Angelini
Datura stramonium
Tra le sarchiate il mais durante i primi stadi di sviluppo è una delle colture più sensibili all’azione competitiva delle infestanti
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gestione delle malerbe Le più recenti tecniche di coltivazione del mais prevedono semine più precoci rispetto al passato, cominciando dai primi di marzo e addirittura, in alcuni casi, nel bresciano, da fine febbraio. Le ragioni di questo anticipo vanno ricercate nell’aumento delle rese, in un minore stress idrico per la pianta nel periodo critico della fioritura, in una maggiore possibilità di ridurre l’incidenza di attacchi di piralide (2a generazione) e nell’umidità alla raccolta tendenzialmente minore. Per contro con questa tecnica si è registrata una maggiore diffusione di infestanti presenti in altre colture (grano, bietola) quali Polygonum aviculare, Fallopia convolvulus, Veronica spp., Matricaria chamomilla, Stellaria media, Papaver rhoeas e Alopecurus myosuroides. Inoltre, la coltura impiega un periodo più lungo per raggiungere lo stadio nel quale si possa applicare il diserbo di postemergenza, mentre le infestanti, spesso caratterizzate da minori esigenze termiche, possono competere con maggiore successo in questa fase iniziale. I trattamenti di pre-emergenza in questo contesto debbono pertanto garantire una maggiore residualità e durata d’azione, affinché le giovani piante di mais vengano protette dalla competizione durante le prime fasi di sviluppo.
L’anticipo delle semine a marzo ha aumentato la durata del periodo critico
Tecniche di lotta alle malerbe
• Nelle grandi colture, in genere, per lotta
alle malerbe si intende in primo luogo il diserbo chimico effettuato con gli erbicidi (gestione chimica); tuttavia una razionalizzazione del controllo delle infestanti non può prescindere da una gestione integrata, che presuppone integrazione di tutte le tecniche, agronomiche, meccaniche, chimiche ecc.
Tecniche di lotta alle malerbe Accanto alla pratica del diserbo chimico e nell’ambito di una più complessa lotta integrata ma anche biologica alle malerbe, non è stata trascurata in questi ultimi anni nemmeno la sperimentazione di altre pratiche, come il diserbo localizzato, il pirodiserbo e le sarchiature meccaniche, con scarsi risultati se non effettuate a integrazione dei più economici interventi chimici. Gestione agronomica. Un’appropriata tecnica di gestione agronomica della coltura permette di migliorare le condizioni di crescita del mais a discapito dello sviluppo delle malerbe. Un aspetto fondamentale risulta l’adozione di una corretta e razionale rotazione colturale, che permette di ottenere una flora infestante maggiormente diversificata e meno competitiva, oltre alla riduzione della presenza di semi nel terreno e a una migliore gestione del contenimento delle malerbe di più difficile eliminazione, in particolare quelle a ciclo perenne. Un’altra pratica adottata è quella della cosiddetta “falsa semina”, che consiste nell’affinare e preparare anticipatamente il terreno come se si dovesse effettuare la semina, allo scopo di favorire l’emergenza delle malerbe dai primi strati del suolo. In seguito, una volta che le malerbe sono nate, si procede alla devitalizzazione delle stesse mediante una lavorazione superficiale, o meglio con l’applicazione di un disseccante fogliare, prima di passare alla semina vera e propria della coltura.
La falsa semina rappresenta un valido aiuto per la gestione delle malerbe
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coltivazione Gestione meccanica. Una buona gestione meccanica delle malerbe non può prescindere da una corretta esecuzione delle lavorazioni principali, che permettono di effettuare un miglior contenimento delle infestanti a ciclo perenne. Successivamente, occorre effettuare una corretta preparazione del letto di semina, ma soprattutto sono le sarchiature eseguite in condizioni di tempera del terreno a migliorare la tecnica di lotta diretta alle malerbe. Gestione biologica. La gestione delle coltivazioni biologiche presuppone l’adozione di tutte quelle pratiche che non contemplano l’utilizzo di mezzi chimici di sintesi, tra cui gli erbicidi. In questi ultimi anni si è assistito a una sensibilizzazione pubblica verso la produzione di prodotti biologici, e per questo sono state impostate anche alcune coltivazioni biologiche di mais dove, per il contenimento delle malerbe, si adottano quasi esclusivamente pratiche agronomiche e meccaniche, con il ricorso a strigliature, sarchiature e rincalzature direttamente sulla coltura in atto, nonché ad altri mezzi fisici, come per esempio il pirodiserbo. Gestione chimica. La continua evoluzione della flora infestante costituita prevalentemente da specie annuali graminacee e dicotiledoni, da alcune specie perenni e dalla cosiddetta flora di sostituzione, ha contribuito a fare ulteriormente progredire in questi ultimi anni le tecniche di lotta alle infestanti del mais, valorizzando nuove soluzioni nei trattamenti di pre-emergenza e post-emergenza precoce e modificando ampiamente i criteri di intervento con i nuovi prodotti di post-emergenza per individuare più razionali e sicure strategie di diserbo.
Per una più efficace lotta verso le infestazioni perenni, occorre effettuare profonde e ripetute lavorazioni meccaniche
Gestione chimica del diserbo
• La gestione chimica delle malerbe,
ovvero l’adozione della tecnica di diserbo, innanzitutto comporta la necessità di valutare se occorre effettivamente intervenire, in funzione di esperienze storiche o di una determinata presenza di malerbe definita soglia di intervento, variabile in funzione di ogni specie infestante. Per alcune malerbe a maggior sviluppo e più competitive, tale soglia può essere prossima a zero, mentre per altre può essere superiore
• Occorre poi scegliere quale erbicida
impiegare, in funzione delle caratteristiche del terreno, delle malerbe presenti ecc., e soprattutto se intervenire in pre o post-emergenza della coltura Per l’esecuzione dei trattamenti, specie quelli sistemici di post-emergenza, è consigliabile intervenire nelle prime ore della giornata, in particolare con decorsi stagionali siccitosi
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gestione delle malerbe Diffusione della tecnica di diserbo chimico Si stima che attualmente almeno il 98% della superficie coltivata a mais venga diserbata, di cui quasi il 90% in pre-emergenza e la parte restante solo in post-emergenza con un unico intervento o due applicazioni frazionate. Su circa il 30% della superficie trattata in pre-emergenza vengono successivamente effettuati interventi integrativi di post-emergenza.
Tecniche di diserbo chimico del mais adottate nel 2006 13%
30%
Strategie di diserbo chimico La tendenza ad anticipare la semina del mais di circa un mese, rispetto a quanto si verificava in passato, aumenta la durata del periodo critico in cui il mais è soggetto alla competizione delle infestanti. Pertanto si presenta la necessità di allungare il periodo di azione preventiva dei trattamenti di pre-emergenza in conseguenza del ritardo dello sviluppo delle malerbe a nascita primaverile-estiva rispetto all’emergenza della coltura. Per poter eseguire le sarchiature in tempo utile è necessario intervenire alle 4-5 foglie del mais, quando ancora non è terminata la nascita delle intestanti più tardive (Amaranthus, Abutilon ecc.) o non sono ancora pienamente sviluppate quelle perenni (Convolvulus, Sorghum, Equisetum), per cui i risultati dei trattamenti di post-emergenza possono essere insufficienti. In queste condizioni sono maggiormente valorizzati i trattamenti di pre-emergenza con complesse miscele di prodotti ad azione complementare graminicida e dicotiledonicida, che consentono una maggiore persistenza d’azione, in particolare grazie all’apporto di terbutilazina, la cui degradazione è più lenta rispetto a tutti gli altri erbicidi impiegati nel diserbo del mais. L’anticipo dell’epoca di semina ha inoltre aumentato la competizione sulla coltura delle infestazioni di poligonacee, che un tempo erano più specificamente problematiche per la barbabietola da zucchero, accentuando l’importanza dell’impiego della terbutila-
57%
Pre-emergenza Pre-emergenza + Post-emergenza Post-emergenza Tecniche di diserbo del mais nel 2006
L’anticipato sviluppo del mais rende più difficile la lotta contro graminacee estivali come Echinochloa, Sorghum, Digitaria ecc.
La nascita di Fallopia convolvulus e altre specie non tradizionali del mais ha favorito la diffusione dei trattamenti di preemergenza con erbicidi residuali di lunga durata d’azione Confronto tra mais adeguatamente diserbato (a destra) e non (a sinistra)
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coltivazione zina nel diserbo preventivo del mais, in quanto unico principio attivo in grado di contenere efficacemente in pre-emergenza le infestazioni di Fallopia convolvulus. In tale contesto, una corretta impostazione delle strategie di diserbo presuppone di effettuare applicazioni di pre-semina, dove vengono utilizzati con finalità disseccanti i prodotti ad azione totale che agiscono rapidamente anche a basse temperature, oltre a glufosinate ammonio, con funzioni prettamente dicotiledonicide e autorizzato anche per gli impieghi di pre-emergenza ritardata su semine molto precoci. Più diffusamente, ed esclusivamente in pre-semina, si ricorre all’impiego del devitalizzante sistemico glifosate, disponibile nelle numerose formulazioni di sali isopropilamminici, che si avvantaggiano dell’addizione estemporanea di solfato ammonico, o in quelle a più rapido assorbimento come i sali di ammonio che ne hanno minore necessità.
Strategie di diserbo chimico
• Programmi di pre-emergenza: il
trattamento avviene prima della nascita della coltura e delle infestanti. Si impiegano erbicidi ad ampio spettro d’azione o miscele di erbicidi con spettro complementare, che impediscono la germinazione e l’emergenza delle malerbe
• Programmi di post-emergenza: il
trattamento erbicida viene eseguito dopo l’emergenza della coltura e delle infestanti. Si impiegano erbicidi a penetrazione principalmente fogliare, scelti in base alla flora effettivamente presente. I trattamenti di post-emergenza possono essere effettuati anche per completare l’azione diserbante di un trattamento di preemergenza non andato a buon fine
Tuttavia il diserbo vero e proprio inizia con gli interventi selettivi che, grazie all’ampia possibilità di diverse scelte tecniche e alla numerosa disponibilità di principi attivi, possono essere effettuati mediante differenti strategie che si possono distinguere in due grandi categorie: – programmi di pre-emergenza in cui il trattamento avviene prima della nascita della coltura e delle infestanti. In questo tipo di strategia vengono utilizzati erbicidi che penetrano a livello delle radici o del colletto in modo da impedire la germinazione e l’emergenza delle malerbe. Si utilizzano erbicidi ad ampio spettro d’azione o miscele di erbicidi con spettro complementare; – programmi di post-emergenza in cui il trattamento erbicida viene eseguito dopo l’emergenza della coltura e delle infestanti. Vengono utilizzati erbicidi a penetrazione principalmente fogliare, scelti in base alla flora avventizia effettivamente presente. Possono essere effettuati anche per completare l’azione diserbante di un trattamento di pre-emergenza non andato a buon fine.
Esecuzione di un trattamento in pre-emergenza
258
gestione delle malerbe
Evoluzione del diserbo chimico
• Negli anni ’80 il diserbo del mais era
incentrato nell’utilizzo in pre e postemergenza dell’atrazina, perfettamente selettiva nei confronti della coltura anche a dosi elevate, ed efficace sulla maggioranza delle infestanti dicotiledoni e delle graminacee primaverili
• Il divieto definitivo all’impiego di atrazina del 21 marzo 1990 ha modificato notevolmente le strategie di diserbo. In pre-emergenza sono state inserite nuove triazine impiegate da sole o in miscela con acetanilidi o pendimetalin per potenziarne l’attività verso graminacee, chenopodiacee e Solanum. Pendimetalin era impiegato anche in miscela con linuron per eliminare crucifere e composite. In post-emergenza la sostituzione dell’atrazinia fu più complessa per la presenza di un minore numero di principi attivi disponibili
Nella lotta a Sorghum halepense da rizoma, risultano convenienti le applicazioni di pre-emergenza con prodotti residuali precondizionanti, come isossaflutolo di cui, nella foto, si notano i tipici “sbiancamenti”
I programmi di pre-emergenza, di più consolidata tradizione nel diserbo del mais, hanno avuto in passato, e stanno tuttora subendo un costante processo evolutivo, dovuto alla proibizione di alcune molecole dal consolidato utilizzo, e all’introduzione di nuove, dotate di caratteristiche eco-tossicologiche più favorevoli, che si prestano a sostituirle. I vantaggi di questo tipo di strategia stanno nella possibilità di intervenire in condizioni favorevoli per quanto riguarda la portanza del suolo, in modo da assicurare una prolungata azione di contenimento delle malerbe, che invece non sempre è possibile con applicazioni più ritardate, in caso di andamenti climatici piovosi. Il successo di questo tipo d’intervento è dovuto principalmente alle condizioni del suolo, in quanto gli erbicidi utilizzati sono assorbiti per via radicale o a livello di ipocotile (dicotiledoni) o coleoptile (graminacee), e la loro attività si realizza quando sono disponibili nella soluzione circolante e possono essere assorbiti dalle infestanti; in condizioni di scarsa umidità del terreno essi sono invece adsorbiti dai colloidi e quindi non disponibili per esplicare la loro azione devitalizzante. Questo implica la necessità di almeno un evento piovoso in seguito all’esecuzione del trattamento, per permettere agli erbicidi di raggiungere la soluzione circolante. Grazie alle doti di persistenza degli erbicidi utilizzati e al loro spettro d’azione, in molti casi, utilizzando le miscele di principi attivi più appropriate, è possibile contenere l’infestazione con un solo intervento diserbante di pre-emergenza, seguito da sarchiature o rincalzature meccaniche quando la coltura giunge allo stadio di 6-7 foglie. La scelta dei principi attivi e delle dosi di applicazione viene eseguita in base alle caratteristiche del terreno, alle caratteristiche chimico-fisiche dei principi attivi stessi in relazione all’epoca di semina e al tipo di infestazione da combattere, non solo nei primi stadi di sviluppo del mais ma anche in tempi successivi.
• Negli anni ’90 la ricerca ha portato
alla sintesi di numerose molecole che permettono di non rimpiangere il divieto dell’utilizzo di atrazina, sia in termini di selettività colturale che di efficacia erbicida, tanto in pre quanto in postemergenza della coltura
I diserbi in pre-emergenza possono essere eseguiti anche attraverso una distribuzione localizzata sulle file
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coltivazione In terreni in cui è possibile effettuare la normale preparazione dei letti di semina risultano più convenienti i tradizionali trattamenti di pre-emergenza con miscele di prodotti residuali. Generalmente si ricorre a miscele triplici di graminicidi residuali con dosi medie di terbutilazina e, secondo le necessità, di isossaflutolo che, oltre a completare l’azione dicotiledonicida, ne aumentano sensibilmente anche quella graminicida, consentendo di eseguire in molti casi un solo intervento diserbante, seguito da sarchiature o rincalzature meccaniche quando la coltura giunge allo stadio di 6-7 foglie. Nel caso in cui, per problemi legati al timore di danni alle colture di successione, si intenda evitare l’utilizzo della terbutilazina, occorre optare a favore di programmi che prevedano più passaggi di cui uno in pre-emergenza e il secondo in post-emergenza sulle infestanti residue; a seconda del tipo di terreno, delle condizioni climatiche e del tipo di infestazione prevista, si potrà scegliere tra un intervento risolutivo in pre-emergenza da completare poi con un intervento mirato sulle poche malerbe rimaste in post-emergenza, o invece un preemergenza a efficacia parziale, per gestire poi le infestanti residue con una più risolutiva e complessa miscela di post-emergenza. Per quanto riguarda gli interventi preventivi, essi possono essere eseguiti con miscele comprendenti un graminicida residuale quale alaclor, S-metolaclor, flufenacet, dimetenamide-p o acetoclor, un componente dicotiledonicida quale pendimetalin contro le infestazioni di Solanum e Chenopodium, ma anche di graminacee come Setaria e Panicum, ulteriormente addizionato di isossaflutolo, efficace oltre che nei confronti di Abutilon, anche su molte altre infestanti dicotiledoni. Tra i dicotiledonicidi, in alternativa a pendimetalin è possibile applicare in pre-emergenza anche aclonifen, in grado di rafforzare l’attività delle miscele nei confronti di poli-
Infestazione di Cyperus esculentus
Trattamenti di pre-emergenza: problematiche e soluzioni Infestazioni
Erbicidi
Graminacee (Sorghum da seme, Echinochloa ecc.)
Graminicidi residuali (cloroacetamidi) +
Dicotiledoni (poligonacee, Acalypha, Bidens)
Dicotiledonicidi residuali (triazine) oppure
Dicotiledoni comprese triazino-resistenti (Amaranthus, Chenopodium, Solanum, poligonacee)
Dicotiledonicidi residuali non triazinici
+ Dicotiledoni difficili (Abutilon, Sicyos, Bidens, Datura, Xanthium, Chenopodium, Solanum, Amaranthus ecc.)
Infestazioni di Sycios angulatus (sopra) e Abutilon theophrasti (sotto)
260
Inibitori HPPD (carotenoidi)
gestione delle malerbe gonacee e soprattutto amarantacee, chenopodiacee e crucifere. Se il pre-emergenza così effettuato non ha garantito un controllo ottimale dell’infestazione presente, le infestanti residue verranno eliminate con un trattamento in post-emergenza, modulato in base alle effettive malerbe presenti. Questa soluzione permette di contenere anche le infestazioni di Sorghum halepense da rizoma, di altre infestanti di difficile controllo in pre-emergenza senza l’utilizzo di terbutilazina, come Fallopia convolvulus, e ancora delle specie perenni (Convolvulus arvensis e Calystegia sepium). Le miscele di principi attivi sono modulate in base alle infestanti effettivamente presenti, inserendo una solfonilurea graminicida per eliminare Sorghum halepense da rizoma e le altre graminacee residue, un prodotto ormonosimile come dicamba o fluroxipir per contenere Convolvulus arvensis e Calystegia sepium, e un prodotto a scelta tra prosulfuron, bromoxinil, dicamba e fluroxipir per eliminare le infestanti poligonacee compresa Fallopia convolvulus. Una strategia di pre + post-emergenza può essere impostata dove siano presenti dicotiledoni difficili (Abutilon, Datura, Xanthium, Sicyos ecc.) e/o in presenza di perenni sia monocotiledoni (Sorghum da rizoma o Cyperus) sia dicotiledoni (Convolvulus, Calystegia). I trattamenti di post-emergenza, un tempo eseguiti per il contenimento delle sole dicotiledoni difficili, grazie all’ampia gamma di principi attivi commercializzati nell’ultimo decennio, permettono ora di risolvere le situazioni di inerbimento più difficili, adattando la scelta dei diserbanti alle infestazioni realmente presenti all’atto dell’intervento. Il trattamento di post-emergenza risulta efficace quando, oltre alla scelta del principio attivo, venga effettuata una scelta oculata della dose d’applicazione in funzione dello stadio di sviluppo delle infestanti da eliminare. Per il successo di questo tipo di trattamento bisogna tenere conto delle condizioni climatiche al momento dell’esecuzione e nelle ore immediatamente successive.
In alto infestazione di Xanthium italicum. In basso sono visibili gli esiti di uno o più trattamenti di post-emergenza con trichetoni in associazione a composti ormonici e a solfoniluree
Le attrezzature irroranti dotate di barre a manica d’aria hanno una maggiore penetrazione e una minore deriva
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coltivazione Temperatura e luminosità elevate e bassa umidità relativa dell’aria determinano la formazione di una cuticola più spessa e meno permeabile, favoriscono il disseccamento del deposito erbicida sulle foglie e quindi riducono il tempo utile per la penetrazione e di conseguenza l’efficacia del trattamento. Viceversa, temperature miti e un’elevata umidità relativa mantengono la cuticola meno spessa, prolungano il tempo di disseccamento del deposito erbicida sulla superficie fogliare e favoriscono la traslocazione. Nel caso di erbicidi ad applicazione fogliare, pioggia e vento costituiscono sempre elementi negativi. Quando si prevedono trattamenti di post-emergenza le strategie possibili sono le seguenti: – su terreni preparati anticipatamente per la semina o destinati alla semina su sodo, viene normalmente eseguito un trattamento preliminare con devitalizzanti quali glifosate, con il vantaggio di eliminare nei terreni torbosi, come anche in quelli più argillosi, le nascite di graminacee invernali, Fallopia, Polygonum aviculare, Veronica ecc., che risultano più difficili da eliminare con i soli trattamenti di post-emergenza. Questi ultimi, in relazione al grado d’infestazione, possono essere eseguiti in 1 o 2 applicazioni con miscele di prodotti dicotiledonicidi e graminicidi, con un primo intervento alle 2-3 foglie e un secondo alle 6-7 foglie del mais, per eliminare le infestanti residue e principalmente quelle
Trattamenti di post-emergenza: problematiche e soluzioni Infestazioni
Erbicidi
Graminacee (Sorghum da seme, Echinochloa ecc.)
Graminicidi e dicotiledonicidi (solfoniluree) +
Dicotiledoni (poligonacee, Acalypha, Bidensv Abutilon, Datura, Xanthium)
Strategie di diserbo post-emergenza
Dicotiledonicidi inibitori della fotosintesi oppure/+
• Nei terreni normali e non molto infestati
Dicotiledoni annuali (Chenopodium, Xanthium ecc.) e perenni (Convolvulus, Equisetum ecc.)
(foto in alto), a volte è sufficiente intervenire alle 5-6 foglie del mais con graminicidi fogliari in miscela con i trichetoni e completati con composti ormonici
Dicotiledonicidi ormonici oppure/+
Dicotiledoni annuali (Chenopodium, Xanthium, Ammi, poligonacee ecc.) e perenni (Convolvulus, Equisetum ecc.)
• La lotta contro le infestanti annuali e
perenni dei terreni torbosi e di quelli molto infestati (foto in basso), si basa su due fondamentali applicazioni di post-emergenza: alle 3-4 foglie e alle 6-7 foglie del mais
Miscele di solfoniluree e composti ormonici oppure/+
Dicotiledoni difficili (Abutilon, Sicyos, Bidens, Datura, Xanthium, Chenopodium, Solanum, Amaranthus ecc.)
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Inibitori HPPD (carotenoidi)
gestione delle malerbe
Corretto impiego delle attrezzature irroranti
• Per un’ottimale esplicazione
dell’attività erbicida occorre applicare correttamente gli erbicidi mediante attrezzature ben tarate e funzionanti
• Una volta scelto il volume di
distribuzione in funzione del trattamento che si deve effettuare e gli ugelli montati, bisogna rispettare la velocità di avanzamento e la pressione di esercizio predisposti
Nei casi di difficile infestazione tardiva, si può intervenire tra le 8-10 foglie del mais, anche mediante trattamenti sottochioma
a nascita più scalare. Se si prevede una sola applicazione, questa verrà posizionata alla 3a-6a foglia del mais; – nei terreni a elevato contenuto di sostanza organica, in cui la residualità dei principi attivi risulta insufficiente, il diserbo si basa sull’esecuzione di soli trattamenti di post-emergenza, che nei terreni più infestati da specie annuali e perenni devono comprendere 2 applicazioni, la prima eseguita alle 3-4 foglie del mais e la seconda alle 6-7 foglie in relazione alla presenza di infestanti perenni. Sono indicati nei terreni torbosi, disformi e molto infestati da specie annuali e perenni a nascita precoce e scalare. Grazie all’ampia gamma di prodotti utilizzabili per il diserbo del mais è oggi possibile gestire la flora infestante attraverso programmi di diserbo che prevedono soli trattamenti di post-emergenza. Quando si esegue la semina su sodo, o in terreni a elevato contenuto di sostanza organica, il programma di diserbo comprende un trattamento con devitalizzanti fogliari come glifosate in pre-semina seguito da due interventi erbicidi in post-emergenza, l’uno effettuato in epoca precoce alle 2-3 foglie della coltura, e il successivo alle 6-8 foglie.
• Nel corso della distribuzione, l’operatore
deve provvedere a effettuare passaggi paralleli ed equidistanti, ponendo particolare attenzione in prossimità di capezzagne e appezzamenti di forma irregolare, allo scopo di evitare raddoppi e quindi pericolosi sovradosaggi, o di lasciare strisce non trattate. Anche in prossimità di altre colture sensibili occorre prestare particolare attenzione, in particolare nel caso delle barre più larghe
Infestazione di Equisetum maximum, controllabile con profonde e ripetute lavorazioni completate da trattamenti alle 5-6 foglie del mais con composti ormonici a dosi ridotte, applicabili anche più tardivamente sottochioma a dosi maggiori
263
coltivazione In post-emergenza precoce è quindi opportuno scegliere i graminicidi residuali meno dipendenti dall’umidità del terreno per la loro attivazione, e miscelarli con dosi ridotte di isossaflutolo o del più selettivo mesotrione che per la sua attività su Digitaria ed Echinochloa e per la sua persistenza d’azione è indicato a completare lo spettro d’azione del graminicida residuale, salvaguardando maggiormente la selettività sulla coltura; in alternativa è possibile applicare anche la miscela preformulata di pendimetalin + dicamba. Il secondo intervento verrà eseguito in funzione dell’infestazione scegliendo i principi attivi più adatti a eliminare le infestanti presenti. A questo doppio intervento si può a volte sopperire, in terreni caratterizzati da infestazioni non eccessive di specie annuali e in presenza normale di specie perenni (Sorghum, Convolvulus ecc.) e ruderali (Xanthium), con un solo trattamento di post-emergenza alla 3a-6a foglia del mais. Negli interventi di post-emergenza, i componenti delle miscele diserbanti vengono scelti considerando le condizioni pedoclimatiche e in particolare l’infestazione presente. Nel caso di infestazioni difficili e diffuse, l’associazione di una solfonilurea graminicida con un trichetone, completata da un principio attivo ormonosimile a scelta tra dicamba o fluroxipir, o
Diserbo e avvicendamento
• Riguardo alle problematiche relative
ai danni da fitotossicità che possono subire colture in sostituzione al mais (colture sarchiate a semina tardo-primaverile come soia, sorgo, graminacee foraggere, girasole, pomodoro o colture di secondo raccolto come fagiolo, fagiolino, spinacio ecc.), la scelta della più appropriata coltura da riseminare dipende principalmente dal diserbo ad azione residuale impiegato in pre-emergenza, ma talvolta anche in post-emergenza, dovendo considerare la selettività colturale dei principi attivi impiegati in precedenza alla distruzione della coltura, oltre che alla loro persistenza e al grado di percolazione lungo il profilo del terreno
Strategie di applicazione degli erbicidi del mais Situazione Preparazione autunnale del letto di semina – semina su minima lavorazione Presenza di sorghetta, infestanti ruderali e perenni (Convolvulus ecc.) Assenza di sorghetta e altre infestanti perenni (Convolvulus ecc.) Infestazioni annuali graminacee e dicotiledoni
Epoca di impiego Pre-semina
cautelativo Pre-emergenza risolutivo Post-emergenza precoce
Terreni organici e infestazioni precoci (poligonacee) Infestazioni comuni ed Equisetum Presenza di sorghetta, infestanti ruderali e perenni (Convolvulus ecc.) dopo pre e post-emergenza precoce
cautelativo
2-3 foglie
Erbicidi
Integrati da
Erbicidi
totali
Post-emergenza
Fogliari scelti in funzione dell’infestazione presente
Post-emergenza
Fogliari scelti in funzione dell’infestazione presente
Successivo post-emergenza
Fogliari scelti in funzione dell’infestazione presente
Residuali ad azione graminicida e dicotiledonicida in miscela Residuali e fogliari ad azione graminicida e dicotiledonicida in miscela
3-4 foglie 4-5 foglie Post-emergenza 6-8 foglie
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Fogliari scelti in funzione dell’infestazione presente
gestione delle malerbe in alternativa ai due da bromoxinil, costituisce una miscela che, applicata in condizioni climatiche favorevoli e con piante in uno stato di turgore vegetativo ottimale, è in grado di risolvere in un unico intervento di post-emergenza alle 4-6 foglie del mais i più complessi problemi d’inerbimento della coltura.
Effetti negativi del diserbo
• L’impiego irrazionale del diserbo
chimico può portare a problematiche sia di natura gestionale, in funzione della comparsa di malerbe resistenti, sia di tipo ambientale per inquinamento dei suoli o delle acque
• Da un punto di vista agronomico,
l’applicazione non corretta del diserbo può causare danni alle colture in successione o in sostituzione del mais, nonché alla stessa coltura posta in successione ad altre in cui la persistenza degli erbicidi utilizzati può causare problematiche di carattere fitotossico
I trattamenti effettuati in giornate ventose sono causa di danni da deriva (a sinistra). A destra si osservano i danni su frumento da trattamenti con glifosate in pre-semina del mais
In presenza di elevate infestazioni di difficile contenimento costituite da poligonacee, Ammi, ruderali e perennanti si possono impiegare miscele solfoniluree graminicide e dicotiledonicide e trichetoni, che per una più rapida azione possono essere sostituite da bromoxinil. Le infestazioni di media intensità e con malerbe non eccessivamente sviluppate possono essere contenute con l’applicazione di miscele di una solfonilurea graminicida associata a dicamba + fluroxipir, dicamba + bromoxinil o fluroxipir + bromoxinil. Infine, contro infestazioni più semplici possono essere impiegate miscele di dicamba e nicosulfuron, o la miscela preformulata di rimsulfuron e dicamba.
Fasi fenologiche del mais ed epoche dei trattamenti erbicidi Devitalizzanti ad azione totale
Erbicidi selettivi residuali
Erbicidi selettivi residuali
Erbicidi fogliari e residuali
Erbicidi fogliari
Graminicidi e dicotiledonicidi sistemici
Graminicidi e dicotiledonicidi sistemici
Composti ormonici
Letto di semina inerbito
seme
Seme germinato
1 foglia
3 foglie
4-5 foglie
6-7 foglie
8-10 foglie
Pre-semina
Pre-emergenza
Pre-emergenza ritardato
Postemergenza precoce
Post-emergenza precoce in terreni organici
Postemergenza
Postemergenza ritardata
Postemergenza sottochioma
265
il mais
coltivazione Conservazione della granella Luigi Bodria, Marco Fiala
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Conservazione della granella Introduzione Il mais, come molti altri prodotti di origine vegetale, per poter essere conservato senza incorrere in processi degenerativi, deve essere sottoposto a processi di stabilizzazione quali l’essiccazione e/o la refrigerazione.
Conservazione della granella
• Alla raccolta, la granella presenta
valori di umidità dell’ordine del 27-30% che, in condizioni ambientali normali, porterebbe nel tempo a inevitabili processi fermentativi
Essiccazione È un processo complesso che si basa sull’equilibrio igroscopico che viene a stabilirsi naturalmente fra l’umidità relativa dell’aria e quella del prodotto. L’aria, infatti, è composta da una miscela di diversi componenti gassosi con una certa quantità di acqua sotto forma di vapore, da cui la definizione termodinamica di aria umida. La quantità di acqua presente nell’aria umida è variabile, con valori crescenti all’aumentare delle condizioni di temperatura e pressione dell’aria stessa, fino a un valore massimo che definisce le condizioni di saturazione. Il rapporto fra la massa di vapore contenuta nell’aria e quella corrispondente alle condizioni di saturazione, definisce l’umidità relativa percentuale (UR%) dell’aria. Durante il processo di essiccazione il prodotto viene messo in contatto con una grande quantità di aria, nella quale la pressione parziale del vapore è inferiore alla tensione di vapore dell’acqua contenuta nella granella. Conseguentemente l’acqua presente nel prodotto passa dallo stato liquido a quello di vapore e viene asportata dall’aria di ventilazione, che va a incrementare il proprio contenuto di acqua fino a giungere, almeno teoricamente, alle condizioni di saturazione. Quindi, poiché riscaldandosi l’aria riduce la sua umidità relativa e risulta in grado di assorbire una maggiore massa di acqua, il processo di essiccazione avviene in genere ventilando la granella con aria riscaldata che viene successivamente espulsa, una volta raggiunti valori di umidità relativa il più possibile prossi-
• Il processo di essiccazione consiste
nella asportazione di parte dell’acqua contenuta nella granella tramite ventilazione con una elevata massa di aria calda. L’obiettivo è portare la granella a una umidità non superiore al 14% che costituisce il limite dell’attività enzimatica. Al di sotto di tale valore, infatti, i fenomeni di fermentazione e respirazione vengono ridotti al minimo o annullati
• In tempi più recenti, si sono sviluppati
processi di ventilazione/refrigerazione, consistenti nell’abbassare la temperatura della massa di granella al di sotto di determinati valori, tanto più bassi quanto più elevata è la sua umidità e più lungo è il tempo di conservazione previsto
Foto Informatore Agrario
Aria calda secca
Evaporazione
Aria umida raffreddata
Diffusione acqua verso la superficie Processo di essicazione della cariosside Moderno impianto di essicazione della granella
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conservazione della granella mi alla saturazione. Per la scelta e il dimensionamento degli impianti di essiccazione vanno attentamente considerati tutti i parametri che condizionano il processo quali: la quantità di acqua da evaporare, la temperatura di essiccazione, la portata dell’aria di ventilazione, la capacità di evaporazione e il consumo di energia dell’impianto. Circa le temperature, non bisogna dimenticare che i livelli termici che i cereali possono sopportare senza subire processi di deterioramento delle loro qualità sono limitati. Nel caso del mais a destinazione alimentare, non bisogna superare i 55-60 °C nella fase iniziale del processo, allorché i valori elevati dell’umidità favoriscono l’inattivazione degli enzimi, mentre è poi possibile aumentare gradatamente la temperatura al progredire del processo, mano a mano che si riduce l’umidità del prodotto, fino a valori prossimi ai 100 °C. Ciò non significa che la temperatura dell’aria debba mantenersi entro i valori sopra indicati. Essa, infatti, può raggiungere valori superiori ai 100 °C purché il tempo di contatto con la granella sia limitato, così da mantenere il cereale entro i limiti voluti. Più ridotti, invece, i limiti di temperatura per il mais destinato alla produzione delle sementi. Il mantenimento delle capacità germinative della semente, infatti, richiede che le cariossidi non giungano a temperature superiori ai 40 °C. Altro parametro di grande importanza è la portata dell’aria. Da un lato, quanto più questa è elevata (a parità di altri parametri) tanto più rapida è l’essiccazione, dall’altro, però, il breve tempo di contatto fra aria e granella non consente alla prima di sfruttare completamente la propria capacità di assorbimento dell’acqua e raggiungere le condizioni di saturazione. Il grado di sfruttamento delle capacità di evaporazione dell’aria (espresso in grammi di acqua asportabile da ogni chilogrammo di aria) è il parametro che indica l’efficienza del processo.
Quantità di acqua da asportare
• La quantità di acqua da asportare
dipende dalla differenza fra l’umidità iniziale (Ui; %) della granella e l’umidità finale (Uf ; %) necessaria per la conservazione. Essa è espressa dalla differenza fra massa del prodotto prima e dopo l’essiccazione, riferita alla tonnellata di prodotto fresco, oppure essiccato. Nel primo caso, la quantità di acqua da evaporare per tonnellata di prodotto fresco risulta: Ui - Uf M’H2O = --------------------- × 1000 100 - Uf mentre, nella seconda ipotesi, la quantità di acqua da evaporare per tonnellata di prodotto essiccato è pari a: Ui - Uf M’’H2O = ---------------------- × 1000 100 - Ui
• Nelle condizioni medie dell’Italia
settentrionale, ogni tonnellata di prodotto, all’umidità di conservazione del 14%, comporta l’eliminazione di 160-180 kg di acqua
Diagramma di Mollier
Diagramma di Mollier
• Le caratteristiche termodinamiche
dell’aria sono rappresentate dal diagramma di Mollier, che correla temperatura (T0), umidità assoluta X (gH20/kgaria), che indica la quantità d’acqua contenuta nel prodotto, umidità relativa (%) ed entalpia (kcal/kg), che esprime il contenuto energetico complessivo del prodotto. Riscaldandosi, l’aria mantiene la propria umidità assoluta X, ma riduce la sua umidità relativa risultando così in grado di assorbire una maggiore quantità d’acqua
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coltivazione Essiccatoi Gli impianti per l’essiccazione del mais sono in genere costituiti da: un generatore termico, nel quale viene bruciato il combustibile e riscaldata l’aria; un ventilatore; un corpo essiccante vero e proprio, nel quale avviene il contatto fra aria calda e cariossidi; un camino; attrezzature complementari, strumenti di controllo ecc. Il generatore può essere alimentato con combustibili gassosi, per i quali sono indicati i modelli a vena d’aria che consentono una migliore distribuzione del calore rispetto a quelli pressurizzati tradizionali. Di solito è l’aria stessa della camera di combustione (generatore a riscaldamento diretto) che viene inviata, mediante apposito ventilatore, all’essiccatoio. In altri casi, sempre più rari, vi è una superficie di scambio termico fra i fumi caldi e l’aria pulita di essiccazione; quest’ultima viene, poi, inviata all’essiccatoio mentre i fumi escono dal camino senza entrare in contatto con il cereale. La prima soluzione è più economica, ma richiede un attento controllo della combustione per evitare fenomeni di inquinamento del prodotto; la seconda, al contrario, è più costosa, ha un rendimento termico inferiore (85-90 %), ma offre migliori garanzie dal punto di vista sanitario sul prodotto. Ogni impianto è dotato di: un ventilatore radiale posto a valle del generatore; almeno una o due sonde termometriche che controllano e regolano le temperature della camera di essiccazione e, pertanto, l’andamento dell’essiccazione; dispositivi di regolazione della portata dell’aria e generalmente di un secondo ventilatore per l’aria di raffreddamento del prodotto. In ordine al sistema di circolazione dell’aria calda, oltre alla predetta realizzazione con fluido in pressione, negli impianti più completi del tipo a colonna ermeticamente chiusa è attuata la soluzione in depressione con ventilatore centrifugo o assiale installato in corrispondenza dell’uscita dell’aria umida, ovvero alla sommità anziché alla base del-
Foto Informatore Agrario
Centro di raccolta della granella destinata all’essicazione
Foto R. Angelini
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conservazione della granella la colonna. Con quest’ultima soluzione poi si può anche evitare il ventilatore di raffreddamento, come pure si è in grado di garantire la depolverizzazione dell’ambiente. Le attrezzature complementari di cui deve essere dotato un impianto per garantire continuità di funzionamento, possono essere così schematizzate: – tramoggia di ricezione, che provvede al caricamento meccanico dei corpi essiccanti o dei sili di deposito di prodotto appena mietitrebbiato. Essa è realizzata con pareti in calcestruzzo inclinate verso il centro nella parte più bassa in modo da assicurare il costante riempimento del trasportatore longitudinale, che provvede all’invio del materiale all’elevatore di carico; – pulitori del prodotto, di diversa tipologia (rotativi, alternativi, a ciclone), per l’eliminazione delle diverse impurità verdi e secche. In particolare, l’asportazione delle impurità verdi consente una riduzione dei tempi e dei costi di essiccazione; – sili di deposito del verde, con funzioni di polmone per il diverso ritmo di lavoro del cantiere di raccolta; – sili di stoccaggio, adibiti all’accumulo del prodotto essiccato che può essere contenuto anche in ampi locali con funzioni di magazzino. Come quelli del verde, essi sono in genere di forma cilindrica con pareti ondulate in lamiera zincata, provvisti in particolare di sistema di ventilazione e di scarico automatico. Sono collegati all’essiccatoio con un trasportatore aereo per il carico dall’alto, mentre il prodotto scaricato con trasportatore a fossa viene inviato al successivo elevatore per il carico sugli automezzi. A queste attrezzature vanno aggiunti inoltre: i sistemi meccanici di movimentazione del prodotto (trasportatori a catena o a coclea ed elevatori a tazze); la pesatura automatica prima del magazzinaggio, per gli impianti di una certa potenzialità; i dispositivi di controllo della combustione; il complesso, infine, della strumentazione per la misura delle condizioni fisiche dell’aria (temperatura e umidità prima e dopo l’attraversamento della massa) e dell’umidità del cereale allo scarico. Quest’ultima determinazione, che si è particolarmente perfezionata in questi ultimi anni, ha consentito la completa automazione di quasi tutti gli impianti di essiccazione, riducendo così il lavoro dell’operatore a una semplice mansione di controllo. I tipi di essiccatoi utilizzabili, si differenziano in modelli: a funzionamento continuo e a funzionamento discontinuo o di tipo «statico». Nei primi, il cereale fluisce da un estremo con continuità, incontra il flusso di aria calda e viene progressivamente essiccato, uscendo dall’altra estremità. Nei secondi, invece, il corpo essiccante viene riempito in una volta sola di cereale all’inizio dell’operazione e svuotato a essiccazione terminata. Durante la sua permanenza esso può subire (o meno) dei rimescolamenti atti a facilitare l’evaporazione dell’acqua attraverso il contatto di tutta la massa con l’aria calda.
Innovazioni tecnologiche negli essiccatoi
• Nei moderni impianti i diversi
interruttori di comando sono raggruppati in un quadro sinottico provvisto delle tecnologie elettroniche più sofisticate, dove viene visualizzato il diagramma di lavorazione dell’intero impianto con spie dei diversi elementi e di allarme in caso di disfunzione
• Sempre più impiegati anche sistemi
di depolverizzazione dell’aria umida in uscita dall’essiccatoio con recupero delle polveri sia a secco a mezzo filtri telati, sia a umido, mediante passaggio dell’aria attraverso un film d’acqua, che possono ottenere una filtrazione fino a valori di 3-5 mg di polvere per metro cubo di aria
Foto Informatore Agrario
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coltivazione Schemi delle tre tipologie di impianti continui di essiccazione Flusso incrociato
Tipologie di essiccatoi a funzionamento continuo
Equicorrente
Controcorrente
• Come mostrato nello schema a lato,
in funzione dei percorsi effettuati dall’aria e dalla massa del cereale, gli essiccatoi a funzionamento continuo si distinguono in essiccatoi: a flusso incrociato, in controcorrente e in equicorrente
• In tutti e tre i casi, essi sono costituiti
Umido Secco
da un settore di essiccazione del prodotto e da un altro di raffreddamento dello stesso. Per una buona conservazione la granella deve essere portata a temperature dell’ordine dei 15 °C
Granella Aria fredda
Aria entrante Aria uscente
I modelli a funzionamento continuo sono praticamente suddivisibili in tre gruppi principali a seconda dei percorsi effettuati dall’aria e dal cereale: a flusso incrociato; in controcorrente; in equicorrente. Fra i tipi a flusso incrociato, che sono i più diffusi e il cui schema funzionale prevede un riciclo parziale dell’aria, sono da ricordare gli essiccatoi: a colonna, a nido d’ape e a tappeti sovrapposti. Ognuno di questi − realizzato, in genere, in lamiera metallica (nuda o rivestita) applicata a un telaio in profilati di acciaio – è dotato di un sistema di sollevamento che porta la granella a una tramoggia di carico, alla sommità dell’impianto, da dove questa scende per gravità, incontrando l’aria di essiccazione. Nei modelli a colonna il prodotto scende senza alcuna deviazione, esponendo la granella, che scorre lungo la parete di entrata dell’aria, al rischio di sovratemperature. Nei modelli a nido d’ape (o a losanga), invece, al prodotto viene impresso un movimento verticale a zig-zag, con continuo rimescolamento, da una serie di canali orizzontali di lamiera, sfalsati fra loro e aperti alla base, dai quali viene alternativamente immessa e espulsa l’aria di essiccazione. L’alternanza di file di entrata e di uscita fa sì che l’aria che entra da un canale attraversa il prodotto trovando la via d’uscita nei quattro che lo circondano e, viceversa, ogni canale di uscita riceve l’aria entrata dai quattro canali circostanti, ottimizzando così lo scambio termico. Specifici sistemi automatici di controllo dell’umidità del cereale regolano i dispositivi di apertura per ottimizzare la velocità di discesa della granella. Sempre più frequentemente gli impianti a colonna sono dotati di sistemi a risparmio energetico che prevedono dopo la normale tramoggia di alimentazione del prodotto umido posta alla sommità, una prima zona di pre-essiccazione che utilizza l’aria an-
Aria calda Aria calda di ricircolo Aria calda umida
Schema di funzionamento di un impianto a colonna a risparmio energetico
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conservazione della granella cora calda e non completamente satura proveniente dalle zone di essiccazione successiva. Altra soluzione è rappresentata dall’essiccatoio a tappeto consistente in un piano orizzontale in lamiera forata, di lunghezza e larghezza diversa a seconda della potenzialità dell’impianto. Su di esso viene scaricato da una estremità, in strati di spessore fino a 30-35 cm, il cereale che viene investito dal basso dall’aria calda mentre si muove a mezzo di agitatori-trasportatori verso l’altra estremità. A questo può essere sovrapposto un nastro senza fine nel quale il cereale umido subisce un trasporto in senso inverso a quello del primo. Il cereale, venendo investito dalla stessa corrente d’aria che già è passata dallo strato sottostante, subisce così una pre-essiccazione. I modelli a funzionamento discontinuo sono, in genere, a flusso trasversale, oppure in controcorrente. I tipi statici, più semplici, dove il prodotto rimane fermo mentre l’aria ne attraversa lo strato dal basso sono oggi praticamente abbandonati nel caso del mais. Una soluzione con ricircolo e miscelazione del cereale è costituita dall’essiccatoio cilindrico a ricircolo realizzato tramite un elevatore a coclea, posto all’interno del contenitore, che riporta la massa alla sommità dell’essiccatoio assicurando l’uniformità del processo. Una recente soluzione prevede la collocazione del generatore aerotermico anziché esterno al corpo cilindrico, nella parte inferiore della zona interna. Si realizza così un impianto a recupero potendo suddividere l’intercapedine anulare nella zona superiore di essiccazione e in quella inferiore di raffreddamento dove l’aria fredda, richiamata dall’esterno, si preriscalda prima di entrare nel ciclo di combustione del bruciatore. La rimanente aria richiesta dall’essiccazione entra attraverso le bocchette di apertura regolabili.
Entrata cereale
Uscita cereale Aria calda Aria calda umida Aria fredda Essicatoio mobile di tipo discontinuo a ricircolo della granella
Consumi energetici del processo di essiccazione
• La spesa energetica per l’essiccazione
Essiccatoio a flusso incrociato a doppio tappeto
Carico cereale
Scarico cereale
Tappeto mobile
Raffreddamento
Agitatore trasportatore
del mais comporta, in condizioni normali, un consumo medio di gasolio dell’ordine di 20-25 kg/t di cereale essiccato all’umidità commerciale. L’energia elettrica richiesta per l’azionamento del ventilatore, del bruciatore, degli organi di movimentazione ecc. è, invece, compresa fra 15 e 20 kWh/t di prodotto e risulta, quindi dell’ordine del 10‑12% dell’energia termica spesa
Generatore
Tappeto fisso
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coltivazione Ventilazione e refrigerazione L’umidità e la temperatura dei cereali, al momento della raccolta, ne consentono lo stoccaggio, senza deterioramento, per un periodo limitato, a causa di fenomeni diversi quali la respirazione, la fermentazione e lo sviluppo di parassiti. Affinché il prodotto, adeguatamente essiccato e raffreddato, si possa conservare per parecchi mesi senza perdite quantitative e qualitative importanti è necessario che la temperatura della massa venga opportunamente controllata e mantenuta su valori dell’ordine dei 15 °C. Le basse temperature, infatti, determinano un calo dell’attività metabolica e riducono, fino a eliminarla, l’azione di parassiti animali e vegetali, offrendo le migliori condizioni di conservazione. La riduzione di temperatura del cereale nella fase di stoccaggio può essere effettuata mediante la ventilazione con aria ambiente o mediante refrigerazione. A tale effetto (raffreddamento del prodotto) si accoppia, in generale, anche quello di un completamento dell’essiccazione. Per effettuare la ventilazione si impiegano dei ventilatori, che spingono l’aria attraverso il cereale, stoccato in appositi sili. I ventilatori assiali sono adatti per operare con basse contropressioni, mentre, dovendo operare con contropressioni elevate è necessario ricorrere a ventilatori centrifughi. Per mantenere i necessari valori di portata dell’aria (40-60 m3/h) per metro cubo di granella, si possono anche accoppiare due ventilatori, da utilizzarsi singolarmente o in coppia in funzione del grado di riempimento del silo. Il sistema di ventilazione più comune per la maggiore efficienza offerta è la ventilazione in pressione, dove il raffreddamento della massa comincia dal basso, per arrivare infine agli strati più alti del prodotto. Particolare attenzione va posta, però, nel dimensionamento corretto dei ventilatori al fine di evitare problemi di condensa nella parte alta del silo, con conseguente riscaldamento del
30
Temperatura cereale (°C)
25 20 15 16%
10 22% 20%
18%
5 0
0
25
50
75
100
125
150
Durata di conservazione (giorni) Temperatura e tempo di conservazione del mais in funzione della sua umidità
Temperatura, umidità e tempo di conservazione del mais
• Nel grafico in alto è riportato il
diagramma che correla temperatura e umidità del mais con la durata della conservazione. Tale durata viene raddoppiata a ogni diminuzione della temperatura del cereale di 5 °C, o in seguito a una diminuzione della sua umidità del 2%. Un prodotto essiccato e raffreddato, immediatamente dopo la raccolta, ha un tempo di stoccaggio molto superiore rispetto a quello di un prodotto conservato alla temperatura di uscita dall’essiccatoio. Per esempio, per un cereale con umidità finale del 12-15%, un raffreddamento a 10-12 °C consente un tempo di conservazione praticamente indefinito, mentre, se la temperatura del prodotto è di 16-17 °C, tale tempo si riduce a 3-4 mesi
Foto Informatore Agrario
Impianto di conservazione della granella
272
conservazione della granella cereale. L’utilizzo di sili di conservazione ventilati consente anche sensibili benefici in termini di essiccazione, applicando la tecnica della dryaeration. Essa consiste nell’anticipare il termine del processo di essiccazione quando la granella ha raggiunto valori di umidità residua del 16-19% e trasferirla direttamente nel silo di ventilazione. Qui, per effetto del calore residuo della massa che favorisce la migrazione dell’acqua verso l’esterno della cariosside, avviene il completamento dell’essiccazione da parte dell’aria ambiente di ventilazione. Ciò consente di aumentare del 30-35% la capacità di lavoro degli essiccatoi, riducendo del 20-25% il consumo di energia. Un sensibile miglioramento delle qualità del prodotto conservato, tuttavia, è conseguibile con la refrigerazione della massa, ottenuta ventilando con aria raffreddata e deumidificata da macchine frigorifere. La temperatura da raggiungere è funzione del prodotto da trattare, della sua umidità e dell’umidità relativa dell’aria all’interno della cella di conservazione. In ogni caso, con l’abbassarsi della temperatura stessa aumentano la durata e l’efficacia del trattamento nel tempo. Con riferimento al diagramma di conservazione dei cereali, il mantenimento del cereale a bassa temperatura, ne consente la conservazione con un tenore di umidità più elevato, con un incremento di quantità di prodotto vendibile, rispetto al medesimo conservato a temperatura ambiente con umidità del 13-14%. La refrigerazione del mais porta a una riduzione di umidità dell’1,2‑1,5%, con un risparmio energetico complessivo, rispetto al caso della sola essiccazione, dell’ordine del 25-30%. I tempi di refrigerazione sono funzione della potenzialità refrigerante dell’impianto, che va adeguatamente dimensionato alle quantità di cereale da raffreddare e dell’umidità del medesimo. Il raffreddamento è più efficace con cereali umidi (Uf > 14%), in quanto si sfrutta il passaggio di stato dell’acqua evaporata dalle cariossidi del mais per asportare calore dal prodotto durante la fase di refrigerazione, mentre la refrigerazione del prodotto secco (Uf < 12%), richiede tempi lunghi e comporta consumi energetici molto elevati.
Vantaggi del raffreddamento L’azione del raffreddamento comporta importanti vantaggi in termini di qualità del prodotto, in quanto consente di eliminare o comunque ridurre:
• l’uso di trattamenti antiparassitari,
agendo in favore della salubrità del prodotto
• la periodica movimentazione,
diminuendo la rottura delle cariossidi
• l’azione di parassiti con conseguente, ulteriore diminuzione delle perdite
Impianto di ventilazione del mais con aria refrigerata
Gruppo frigorifero Ventilatore Silo centrale
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coltivazione Strutture per la conservazione del trinciato integrale di mais e del pastone: attrezzature per il prelievo Le strutture adibite alla conservazione del trinciato integrale di mais sono i sili a platea e a trincea, nei quali è possibile immagazzinare, a costi contenuti, grandi masse di foraggio di elevata qualità. Il silo a trincea va correttamente dimensionato, individuando il giusto rapporto tra larghezza e altezza. La lunghezza, infatti, rappresenta un fattore di scarso rilievo, in relazione ai risultati tecnici ed economici dell’operazione di insilamento. Qualora i volumi da stoccare fossero tali da dover superare i 50-60 m, è consigliabile ricorrere a sili affiancati che, tra l’altro, permettono di insilare prodotto fresco pur continuando il prelievo di quello conservato dall’anno precedente. Maggior importanza ha la sezione frontale del silo le cui dimensioni vanno correlate alle modalità di carico, alle perdite di superficie e al consumo giornaliero di stalla. L’altezza delle pareti – influenzando il rapporto tra superficie esposta e volume di prodotto insilato – condiziona l’entità delle perdite provocate da ammuffimenti superficiali; tuttavia, essa va contenuta in 4-5 m, pena un forte aggravio dei costi di realizzazione. La larghezza deve soddisfare due esigenze tra loro contrastanti: quella di facilitare, durante le fasi di carico, le manovre dei carri foraggeri, in modo da ridurre i tempi morti nel cantiere di trasporto e quella di limitare il fronte di scarico del silo che – per evitare ossidazioni e ammuffimenti dell’alimento – va rinnovata giornalmente. Per impedire il verificarsi di questi fenomeni è necessario asportare giornalmente dalla sezione frontale uno strato di almeno 15-20 cm di spessore. Su tale base, noto il volume di trinciato (densità in sili di 3-5 m di altezza: 650-720 kg/m3) giornalmente consumato dai capi allevati, si definisce la sezione del fronte di scarico e, quindi, la larghezza. Il riempimento consiste nella formazione di un cumulo a strati inclinati, iniziando da una estremità del silo e avanzando verso l’altra; il trinciato viene scaricato alla base del cumulo e viene movimentato e accuratamente costipato con una trattrice (gommata a 4 ruote motrici) munita di lama apripista. Per coprire il silo si impiegano teli plastici (spessore: 0,10-0,15 mm), non trasparenti per evitare l'eccessivo riscaldamento della superficie. Il sistema di fissaggio dei teli deve garantire il rapido smaltimento della pioggia, evitando ristagni di ogni genere; il sistema più idoneo prevede l’inserimento del telo in una scanalatura ottenuta sulla sommità della parete e il suo bloccaggio con un profilato in gomma. I sistemi di costruzione e il materiale da impiegare variano dalla realizzazione delle pareti in opera piuttosto che con elementi prefabbricati, attualmente di grande diffusione; la pavimentazione è sempre in calcestruzzo, al piano di campagna e con pendenza variabile (2-5%) verso l’ingresso.
Foto V. Bellettato
Silomais integrale
A
B Desilatrici rotative per sili a trincea: a) con tramoggia incorporata b) con trasportatore pneumatico
Carro dessila-trincia-miscelatoredistributore da accoppiare alla trattrice per la preparazione e distribuzione dell’unifeed
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conservazione della granella Per l’insilamento dei pastoni di granella e di granella-tutolo nonché della granella umida si utilizzano, invece, sili di diverso tipo a seconda delle dimensioni aziendali, ottenendo ottime risposte in termini di qualità e riduzione delle perdite di prodotto. Nelle aziende maidicole con allevamenti medio-grandi, si fa ricorso (insilando con le stesse modalità adottate per il silomais) a sili a trincea con larghezze inferiori, considerata la minore quantità di pastone che entra nella razione; nei piccoli allevamenti si possono trovare anche sili in PVC a tenuta d’aria. Le macchine per il desilamento del trinciato di mais ceroso risultano costituite da un organo per il distacco del prodotto, ottenuto per mezzo di un rotore cilindrico o di una coclea (larghezza: 1,22,4 m) munito di denti o di risalti, montato su un telaio a movimento verticale rettilineo. Completano l’operatrice una tramoggia per la raccolta del trinciato, dotata di coclea per l’invio del prodotto al nastro (o coclea) di carico sul mezzo impiegato per il trasporto e la distribuzione. La capacità effettiva di lavoro di tali macchine è dell’ordine di 1012 t/h per metro di larghezza del fronte di lavoro con potenze medie specifiche dell’ordine di 25 kW/m. I carri alimentatori miscelatori sono macchine di grandissima utilità, adatte per la preparazione e distribuzione di un alimento uniforme (unifeed); il loro impiego migliora l’efficienza della distribuzione degli alimenti, semplifica le operazioni e permette di gestire tutte le fasi con un unico addetto. Le tipologie sono diversificate e i modelli più diffusi sono i trincia-miscelatori-distributori e i dessila-trincia-miscelatori-distributori. Nel secondo caso l’operatrice esegue anche l’operazione di dessilamento. La macchina è costituita da un telaio montato su ruote gommate (semovente o trainato dalla trattrice e azionato dalla presa di potenza) che porta un cassone (capacità: 8-25 m3 corrispondenti a 2,5-10,0 t) all’interno del quale sono sistemate 3-4 coclee orizzontali. Le due superiori provvedono alla sola miscelazione degli ingredienti della razione mentre quella/e inferiori hanno anche il compito di trinciare gli alimenti più grossolani; a tal fine sono dotate di lame disposte discontinuamente sulla spirale. Il cassone di miscelazione poggia su celle di carico che permettono l’agevole e preciso dosaggio della quantità dei singoli alimenti da introdurre per formulare una razione corretta e corrispondente alle necessità nutrizionali degli animali allevati. Di norma, lateralmente al cassone è localizzato un dispositivo dessilatore a nastro che, predisposta e accuratamente miscelata la razione, scarica l’unifeed direttamente nella corsia di alimentazione. Le potenze specifiche necessarie al funzionamento sono pari a 3,0-3,5 kW/m3 mentre la capacità operativa di lavoro per lo svolgimento dell’intero ciclo di operazioni varia da 3,5 a 8,0 t/h in relazione alla capacità del cassone e dell’organizzazione del lavoro.
Foto R. Angelini
Conservazione del pastone in silo a trincea
Carro dessila-trincia-miscelatore Foto R. Angelini
Sili siclatori per la conservazione. Consentono il carico del prodotto dall’alto e lo scarico dal basso e permettono di ridurre le perdite di conservazione
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il mais
coltivazione Parassiti di magazzino Luciano Süss
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Parassiti da magazzino Introduzione Tutti i cereali immagazzinati sono caratterizzati da una situazione di equilibrio con l’ambiente circostante. Influiscono su una buona conservazione umidità e temperatura, nonché la presenza o meno di insetti, acari, roditori e muffe. Gli attacchi parassitari provocano un aumento di anidride carbonica e di umidità nella massa, favorendo così un più rapido sviluppo degli organismi infestanti, sia di origine animale sia vegetale. Per quanto si riferisce agli infestanti, le diverse specie di insetti e acari che si possono rinvenire in numerosi casi presentano comportamenti tra loro simili, in altri si differenziano nettamente. Basti pensare che alcuni insetti sono in grado di attaccare direttamente le cariossidi, ragion per cui vengono definiti come “infestanti primari”, mentre altri si sviluppano solo sui cereali spezzati, sminuzzati o già trasformati in semola o farina, venendo considerati quindi come “secondari”, anche se frequentemente la loro importanza, nel contesto globale di una infestazione, risulta sicuramente fondamentale. È possibile che i cereali siano già infestati non appena raccolti, nei magazzini degli agricoltori, in cui stazionano le mietitrebbie non adeguatamente pulite e disinfestate dopo i precedenti raccolti, oppure sui mezzi di trasporto (navi, vagoni ferroviari, autocarri); il successivo insilaggio, anche in ambienti particolarmente idonei, vedrà il moltiplicarsi in tempi brevi degli insetti primari, a cui seguirà la colonizzazione dei detriticoli infestanti secondari. Diverse decine di specie, appartenenti in particolare agli ordini dei Coleotteri e dei Lepidotteri, sono da considerare come frequenti infestanti di tutti i cereali immagazzinati, risultando diffuse in tutto il mondo. Alcune specie inoltre sono, al momento attuale, in via di progressiva espansione, a causa degli scambi commerciali, partendo da ambienti ove precedentemente si erano sviluppate a spese di piante spontanee, per passare alle cariossidi non appena in quegli areali l’uomo ha introdotto la coltivazione dei cereali.
Infestazioni in magazzino
• Il cereale immagazzinato subisce
perdite in peso e in seguito all’aumento del grado di umidità e al riscaldamento della massa si sviluppano muffe produttrici di micotossine
• Alcuni insetti iniziano la loro attività
già in campo (per esempio tignola vera del grano) proseguendola poi sul mais immagazzinato; altre specie vivono all’interno dei magazzini per poi insediarsi sul mais che viene introdotto
Foto A. Pollini
Specie più frequenti nel mais immagazzinato Anche il mais immagazzinato, conseguentemente, non sfugge agli attacchi parassitari, a opera di lepidotteri, coleotteri e acari. Vengono qui illustrate le caratteristiche essenziali delle specie che più frequentemente si possono rinvenire. Tignola fasciata (Plodia interpunctella) L’adulto è caratterizzato da ali anteriori biancastre nella metà basale e rosso rame lucente, rigato da fasce nero plumbeo nell’altra metà. La larva, di colore biancastro o carnicino, misura a maturità circa 20 mm. L’adulto sfarfalla entro maggio e, dopo
Spiga danneggiata da Sitotroga cerealella durante la conservazione in magazzino
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parassiti da magazzino l’accoppiamento, la femmina ovidepone sui cumuli di granella, isolatamente, 100-300 uova. Le larve attaccano i chicchi preferendo anzitutto quelli rotti. Nelle cariossidi entrano per nutrirsi, poi escono e secernendo fili sericei legano due o tre chicchi creando così una nicchia di annidamento, che ampliano progressivamente, con più spesse bave sericee. Approssimandosi alla maturità, necessitano oltre che di amido anche di grassi: attaccano così decisamente l’embrione. Vivendo nello strato superficiale dei cumuli, raggiunta la maturità escono dal groviglio di semi e fili e cercano un posto riparato per incrisalidarsi. Di solito si trasferiscono sulle pareti dei magazzini, entro crepe o fessure. L’insetto compie di solito 3-4 generazioni, che si accavallano, per cui in caso di fitte invasioni si possono ritrovare adulti tutto l’anno. La tignola fasciata sverna di solito come larva e può vivere anche all’aperto. È specie polifaga per eccellenza, in quanto, oltre al mais in granella o nella semola, infesta una grandissima quantità di sostanze alimentari secche di origine vegetale.
Foto A. Pollini
Adulti di tignola fasciata
Vera tignola del grano (Sitotroga cerealella) Le ali anteriori sono di colore paglierino luccicante, quelle posteriori plumbeo chiaro; entrambe sono fortemente frangiate. La larva neonata è di colore arancio, divenendo biancastra verso la maturità. I primi adulti compaiono in maggio; subito dopo l’accoppiamento, la femmina inizia a deporre 200-250 uova sullo strato superficiale delle granaglie immagazzinate o, in pieno campo, anche sui cereali in via di maturazione, da cui è fortemente attratta. Se le uova vengono deposte in campo sulle spighe, le larve riescono facilmente a penetrare nel germe, data la sua ancora scarsa resistenza, mentre in magazzino la penetrazione nelle cariossidi è ostacolata dalla loro secchezza e durezza (è per questo che quasi sempre il grado di infestazione nel magazzino è in relazione all’attacco avvenuto in campo). La tignola depone sempre le uova negli strati superficiali di cariossidi in magazzino; lo sfarfallamento è pressoché impossibile anche a pochi cm all’interno della massa di cereale. La larva neonata attacca subito le cariossidi, penetrandovi e divorandone l’endosperma; quando si avvicina la maturità, corrode in prossimità della superficie della cariosside stessa una piccola porzione circolare, così che sul chicco si può notare un dischetto di pericarpo sottilissimo, di color grigio, che non viene rotto. L’adulto, per sfarfallare, spinge col capo il dischetto, lo rompe e fuoriesce dalla cariosside. Può compiere sino a 5 generazioni, ma se è costretto all’interno dei magazzini, data la difficoltà delle larve a penetrare nei semi, arriva solo a 3-4 generazioni, svernando come larva nel mais. Colpisce tutti i cereali. Nel caso del mais danni elevati si
Larva di tignola fasciata
Danni da vera di tignola del grano
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coltivazione possono verificare in magazzini piani (data l’ampia superficie esposta all’ovideposizione), o nel caso di conservazione delle spighe in “pile” verticali, ingabbiate (metodo della tradizione contadina).
Foto A. Pollini
Danno da Sitotroga cerealella
Ahasverus advena L’adulto è di piccole dimensioni (1,5-2 mm) con corpo ovale, di colore bruno-rossastro chiaro La femmina depone le uova isolatamente sul substrato; le larve si nutrono preferibilmente su partite di derrate ammuffite. L’adulto si può riscontrare tutto l’anno nei depositi, è molto attivo e longevo (anche 300 giorni). L’insetto si sviluppa in natura su detriti vegetali, ma è soprattutto nei locali di conservazione di derrate che si mostra come ospite frequente, specialmente su cereali piuttosto umidi e ammuffiti. È frequente sul mais in granella non bene essiccato e può divenire vettore per contatto di muffe.
Foto A. Pollini
Punteruolo del grano (Sitophilus granarius) L’adulto è di colore bruno uniforme più o meno scuro, lungo 3-5 mm. Il capo è dotato di un lungo rostro, alla cui estremità sono localizzate le appendici boccali, con le quali è in grado di rodere e forare le cariossidi. Le ali sono atrofizzate; risulta pertanto incapace di volare, ma è ottimo camminatore. La larva è apoda, tozza, di colore bianco perlaceo, con capo bruno e mandibole più scure, lunga 2,5-3 mm. Gli adulti vivono preferibilmente negli strati interni della massa dei cereali. La femmina depone un solo uovo per cariosside, praticandovi un foro con il rostro; può deporre fino a 5 uova al giorno, per un totale di 50-250 in un periodo di 3-5 mesi. La larva si ciba della cariosside, senza mai uscire; dopo 20-40 giorni si impupa all’interno della cariosside stessa; lo sviluppo pupale dura 5-20 giorni, cui segue un periodo di alcuni giorni di permanenza nella celletta dell’adulto ormai completamente differenziato, che quindi si apre un varco nel tegumento della cariosside stessa grazie all’apparato boccale, per sfarfallare. Nei nostri ambienti, può avere 2-3 generazioni annuali. I danni sono causati principalmente dalle larve, che divorano la parte interna della cariosside; tuttavia non vanno trascurate anche le perdite prodotte dagli adulti. Infesta tutti i cereali.
Adulto e danni da Ahasverus advena
Punteruolo del riso (Sitophilus oryzae) L’adulto è di colore bruno-rossastro, lungo 2-3 mm circa; il capo è allungato, simile a quello di S. granarius. Il pronoto è arrotondato, più lungo che largo, con caratteristica punteggiatura leggermente elittica. Le ali anteriori sono bruno-rossastre, con 4 macchie non ben circoscritte rosso mattone, talvolta più o meno sfumate, ma estese.
Adulto di punteruolo del grano
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parassiti da magazzino Le ali sono sviluppate, per cui è possibile il volo, sia in magazzino sia all’aperto. La specie pertanto è in grado di infestare i cereali anche in campo, deponendo le uova all’ interno delle cariossidi ancora nella spiga. Dimensioni, conformazione e colore della larva sono pressoché simili a quelle di S. granarius. La femmina depone mediamente 8 uova al giorno all’interno delle cariossidi, per un totale di circa 300-400 uova, in un periodo medio di 40-50 giorni, con la stessa tecnica descritta per S. granarius. La larva raggiunge la maturità in 20-40 giorni, poi si impupa all’interno della cariosside. L’adulto neoformato staziona per 3-5 giorni nella granella; successivamente sfarfalla. Durante l’annata può completare 3-4 generazioni. Lo svernamento avviene solitamente allo stato di adulto, negli strati più interni della massa di cereali. I danni sono similari a quelli di S. granarius.
Foto A. Pollini
Adulto di Sitophilus oryzae
Punteruolo del mais (Sitophilus zea-mays) Di colore variabile dal bruno-nerastro al bruno-rossastro. L’adulto è lungo 3-4 mm. Complessivamente simile a S. oryzae; le caratteristiche differenziali più sicure tra le due specie si notano dall’esame degli organi genitali maschili. La larva è molto simile a quella di S. oryzae. Il comportamento biologico è da ritenersi identico a quello di S. oryzae. I danni maggiori sono da imputare allo stadio larvale. Infesta tutti i cereali. Cappuccino dei cereali (Rhyzopertha dominica) L’adulto è di colore bruno-rossastro chiaro, lungo 2,5-3 mm. Il capo è globoso nascosto dal protorace che lo ricopre, da cui il nome di “Cappuccino dei cereali”. La larva, biancastra, a maturità misura 2,8-3 mm. Specie cosmopolita, di origine tropicale. La femmina depone 200-500 uova isolatamente sulla superficie delle cariossidi o entro gallerie scavate precedentemente. Lo stadio larvale dura 30-58 giorni, l’impupamento 6-7 giorni. Il ciclo evolutivo nel suo complesso è fortemente variabile; in condizioni ottimali può durare solamente 30 giorni, mentre nella stagione fredda si protrae anche per 6 mesi. In un anno si possono verificare 4-5 generazioni. L’insetto ancestralmente attaccava preferibilmente il legno, che può quindi infestare tuttora (in particolare paratie di contenimento di cumuli di cereali, vecchi impianti in legno di magazzini e molini) si riscontra nei magazzini dei cereali nonché nelle farine, nelle paste alimentari, nei biscotti. Gli adulti, assai longevi, superano in nocività le larve, risultando i maggiori responsabili per le gallerie scavate nei prodotti attaccati. Rhyzopertha dominica deve essere considerata uno tra i principali flagelli per tutti i cereali in magazzino.
Danni causati da Rhyzopertha dominica Foto A. Pollini
Adulti di cappuccino dei cereali
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coltivazione Tribolio della farina (Tribolium confusum) L’adulto misura 3-4 mm, ed è di colore rosso-bruno. La larva raggiunge i 6-7 mm a maturità, è bianca, con macchiettature gialle, capo e superficie dorsale leggermente più scuri. Sull’ultimo segmento addominale sono ben evidenti due appendici. Si tratta di specie molto longeva allo stadio di adulto, essendo in grado di vivere fino a 6-7 mesi. La femmina depone da 200 a 500 uova isolatamente, per un periodo di 150-200 giorni. Il ciclo evolutivo più breve è di 40 giorni, a 30 °C con UR 70-90%. La specie sopporta bene l’ambiente secco; è possibile il suo sviluppo anche ad UR 10% con temperatura di almeno 25 °C. Ricerca preferibilmente le derrate immagazzinate polverulente e ricche di amidi, quali farine, semola e crusca. Gli adulti possiedono ghiandole secernenti, la cui attività determina un odore nauseabondo. Morfologicamente simile a T. confusum, è il Tribolium castaneum da cui si distingue essenzialmente per la struttura delle antenne. L’adulto è lungo 3-4 mm, di colore rosso brunastro. Gli stadi giovanili, i danni e il ciclo di sviluppo sono pressoché uguali a quelli di T. confusum.
Farina infestata da tribolio Foto A. Pollini
Adulto di Tribolium confusum
Silvano (Oryzaephilus surinamensis) L’adulto è di colore bruno più o meno scuro; la sua lunghezza varia da 2,5 a 3,0 mm. La larva, allungata, è bianca alla nascita, diventa in seguito giallastra, con due macchie rettangolari simmetriche, un poco più scure nell’area dorsale di ciascun segmento. A maturità è lunga da 3 a 4 mm. La femmina depone da 200 a 300 uova. Di solito in Italia la specie presenta 2-4 generazioni all’anno. La larva procura a volte danni elevati. Infesta qualsiasi derrata di origine vegetale (frumento, orzo, riso, mais, farine, paste alimentari, biscotti, frutta secca ecc.).
Foto A. Pollini
Criptoleste (Cryptolestes ferrugineus) L’adulto è lungo da 1,5 a 1,8 mm ed è di colore bruno-rossastro, con antenne lunghe più della metà del corpo nel maschio, meno della metà nella femmina. Presenta normalmente tre generazioni all’anno. La femmina depone sino a 300 uova e il ciclo si completa in 5-6 settimane. Predilige cereali, farine, cruscami. Va considerata specie detriticola, in quanto sia la larva che gli adulti sono incapaci di intaccare semi o cariossidi integre. Pertanto, sebbene sia un fitofago “secondario”, viene spesso considerato di primaria importanza, per la presenza di un gran numero di individui, dovuta a preesistenti colonizzazioni, a opera delle Calandre.
Adulto di silvano
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parassiti da magazzino Prostefano (Prostephanus truncatus) L’adulto è lungo 3,5-5 mm, con aspetto simile a Rhyzopertha dominica. L’insetto, originario dell’America centrale, si è diffuso in questi anni in Africa equatoriale e la sua introduzione nei magazzini dell’Europa è gravemente temuta. L’optimum termico è di 37-42 °C; in tali condizioni compie una generazione in circa un mese. Vive in particolare nelle cariossidi del mais, danneggiandole irreparabilmente e producendo, in conseguenza dell’attività trofica, detriti polverulenti finissimi. È considerato un insetto pericoloso e diffusibile, ragion per cui le partite di mais in arrivo via mare devono essere accuratamente controllate.
Foto A. Pollini
Difesa del mais immagazzinato Esistono diverse possibilità per impedire che gli attacchi di insetti provochino nei magazzini danni irreparabili al mais. Innanzitutto, ovviamente, è necessario che gli ambienti in cui il cereale verrà stoccato siano accuratamente ripuliti e, eventualmente, trattati con insetticidi di contatto, in particolare con piretroidi e fosforganici, sia distribuiti mediante atomizzatore, che con termonebbiogeni o impiegando gli appositi candelotti fumogeni. Dopo aver provveduto allo stivaggio del cereale, sia in magazzini piani che nei silos, si dovrà provvedere a organizzare un adeguato monitoraggio, utilizzando trappole a feromone, per i Lepidotteri Plodia interpunctella e Sitotroga cerealella e per alcuni coleotteri (Sitophilus, Rhizopertha, Oryzaephilus). In diversi casi possono essere impiegate trappole a caduta (PITFALL TRAP); si tratta di piccole sonde, forate ai lati, in grado di consentire agli insetti di entrarvi, ma non di uscirne. In questo caso non è necessario utilizzare attrattivi particolari, in quanto gli insetti tendono a rifugiarsi in quegli spazi in cui è maggiore la quantità di ossigeno.
Adulto di prostefano
Difesa degli insetti in magazzino
• Per la disinfestazione si ricorre a un
Foto Informatore Agrario
trattamento con compresse che liberano sostanze fumiganti (per esempio fosfina gassosa) oppure si procede alla nebulizzazione di adeguati preparati (per esempio apposite formulazioni di deltametrina) sulla granella all’atto dell’immagazzinamento. Questi preparati riescono a proteggere il mais dagli attacchi degli insetti per 6 mesi o anche più e si degradano poi rapidamente alla luce con l’apertura dei silos e con la movimentazione del cereale
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coltivazione Foto D. Cauzzi
Foto R. Angelini
Nel caso infine in cui si rendesse necessario intervenire per disinfestare il mais immagazzinato, può essere previsto l’impiego di mezzi fisici, o di sostanze chimiche. Per quanto riguarda i mezzi fisici, si può attuare la frigoconservazione o l’anidride carbonica (CO2). Con la frigoconservazione (che deve essere considerata essenzialmente un metodo di mantenimento, ma non eradicante) si mantiene la massa di cereale a una temperatura di 9-10 °C, valore che determina l’arresto nello sviluppo degli insetti, ma non la loro morte. Viene utilizzata solo in impianti forniti di adeguata ventilazione, evitando così, tra l’altro, fenomeni di condensa e conseguenti ammuffimenti. La CO2 risulta tossica per gli insetti quando si supera la concentrazione del 60%. È necessario però avere strutture a tenuta ermetica.
Differenti strutture per la conservazione e la movimentazione del mais immagazzinato
Foto R. Angelini
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parassiti da magazzino Nell’ambito della lotta con mezzi chimici, l’idrogeno fosforato, o fosfina, è al momento attuale il gas tossico più utilizzato, in tutto il mondo, per disinfestare i cereali in granella immagazzinati. Il suo impiego però richiede che i magazzini siano perfettamente sigillati; è da ricordarsi che l’impiego generalizzato di questo gas, ormai da lungo tempo, ha determinato la selezione di ceppi di insetti resistenti al trattamento. Nel caso di utilizzo di insetticidi di contatto, per periodi di immagazzinaggio sino a 12 mesi, è consigliabile l’impiego di pirimiphos-metile o deltametrina, possibilmente in miscela tra loro, usando le dosi indicate nelle istruzioni d’uso, in grado di combattere la generalità delle specie infestanti. Sulla superficie della massa di cereale può essere effettuato un “trattamento di copertura” utilizzando pure pirimiphos-metile o deltametrina, nelle formulazioni in polvere secca. Infine, nel caso di un trattamento su cereali biologici, è utilizzabile solo del piretro. Data la sua ridottissima persistenza, i risultati non possono essere che molto limitati. È quindi proponibile, per il mais “biologico” ricorrere alla frigoconservazione o alla disinfestazione con CO2. È infine da tener presente che, al momento attuale, è in corso una profonda revisione dei principi attivi insetticidi da parte delle autorità competenti. Per diversi è stata disposta la revoca all’utilizzo. Non è quindi da escludere che, anche nel settore della difesa antiparassitaria del mais immagazzinato, prodotti ora impiegabili non siano più disponibili nei prossimi anni.
Foto R. Angelini
La sanità delle piante in campo è il presupposto per limitare i danni dei parassiti in magazzino
Foto R. Angelini
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il mais
coltivazione Insilamento Mauro Vecchiettini
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 3 in basso a destra (Teresa Kenney), 6 a sinistra (Jo Ann Snover) e a destra (Douglas Mclaughlin), 17 (Annieannie), 24 (Teresa Kenney), 25 (Andrei Calangiu), 47 (Gary Allard), 88 in alto (Hdconnelly), 89 in basso (Ulia Taranik), 90 in basso (Ramon), 92 in alto (Robert Lerich), 92 in basso (Alex Staroseltsev), 93 (Mafoto), 290 in alto (Thomas Perkins), 291 in alto (Tadija Savic), 359 (Annieannie) sono dell’agenzia Dreamstime.com.
coltivazione Insilamento Introduzione L’insilamento del mais, cioè la conservazione del prodotto allo stato umido, rappresentò inizialmente un ostacolo all’affermazione di questo foraggio nel nostro Paese, soprattutto per ragioni di ordine tecnico-scientifico, ma anche per motivi di “costume”. Le prime erano costituite dal paventato rischio per la salute animale derivante dall’impiego degli insilati, figlio dell’esperienza fino ad allora maturata che identificava l’insilato di mais nel prodotto ottenuto dalla raccolta eseguita alla fioritura della pianta, quando esso risulta molto acquoso (86-87% di umidità) e del tutto privo di granella, il quale, durante la conservazione dà origine a vistosi e negativi fenomeni di percolazione (fuoriuscita dal silo di liquidi ad alto potere inquinante) e a processi fermentativi che nel migliore dei casi si risolvono con la produzione di un insilato molto acido (pH < 3,3), ma che possono anche degenerare verso un intollerabile scadimento qualitativo del prodotto. Nel caso del foraggio “ceroso”, invece, la granella è già ben presente (essa rappresenta il 40-45% del peso secco della pianta) e l’umidità scende a valori (65-67%) del tutto compatibili con l’assenza di percolato e con una perfetta conservazione dell’insilato che raggiunge livelli di acidità non inferiori a pH 4,3-4,6. Per quanto riguarda il “costume” si fa riferimento agli atteggiamenti di forte contrarietà manifestata a quei tempi dalle maestranze addette all’allestimento dei sili nel veder scaricare su calcestruzzo e pressare con mezzi cingolati la “polenta” (così era anche definita in Veneto la granella di mais), che da tante generazioni rappresentava un cibo fondamentale per il sostentamento dell’uomo. La prassi e la convenienza hanno poi determinato il pieno successo del silomais e oggi non esistono riserve di alcun genere all’utilizzo di questo formidabile foraggio insilato. Inoltre, sulla scia della sua piena affermazione si è sviluppata anche la produzione
Spiga in maturazione cerosa
Insilamento
• La diffusione degli erbai di mais
“all’americana” per la produzione di foraggi da raccogliere e insilare alla maturazione cerosa della granella è iniziata sul finire degli anni ’60 del secolo scorso e ha rappresentato una svolta decisiva nel determinare l’attuale assetto della foraggicoltura dei più fertili comprensori italiani e della media europea
Campo di mais in maturazione cerosa
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insilamento degli insilati di spiga e di granella di mais, previa macinatura o schiacciatura, i cosiddetti “pastoni”. Conservazione del foraggio
Basi dell’insilamento La conservazione dei foraggi può essere realizzata facendo riferimento a uno dei due seguenti criteri: – aumento del contenuto di sostanza secca, così da determinare una concentrazione del mezzo tanto elevata da inibire l’attività dei microrganismi. Ciò si realizza attraverso l’evaporazione dell’acqua contenuta nel foraggio, che può avvenire in modo totalmente naturale (fienagione in campo), oppure in misura parzialmente naturale (pre-appassimento) e parzialmente artificiale (essiccamento in fienile o disidratazione “industriale” del foraggio pre-appassito); – creazione di ambiente asfittico (per controllare gli organismi aerobi) e acido (per inibire gli agenti anaerobi). Tale metodo prende il nome di insilamento ed è articolato in numerose sottocategorie. Il risultato dell’insilamento è determinato dalla composizione del foraggio e dal modo di operare del foraggicoltore. Gli aspetti qualitativi del foraggio rilevanti ai fini del risultato dell’insilamento sono il contenuto di umidità, di zuccheri fermentescibili e di proteine. Per quanto riguarda il contenuto di umidità, si sottolinea che in linea di massima un foraggio è tanto più facilmente conservabile quanto più è povero di acqua, poiché al diminuire del tenore di umidità corrisponde la perdita di vitalità delle cellule (quindi si riduce, fino ad arrestarsi, la respirazione) e aumenta la concentrazione dei soluti, e con essa la pressione osmotica del mezzo, che riduce fortemente, e in modo selettivo, l’attività dei microrganismi. La relazione tra umidità e “facilità” di conservazione degli insilati è ben evidenziata nel grafico a fianco: man mano che si riduce l’umidità del foraggio aumenta il valore del pH critico e tanto minore risulta la produzione di acidi (per pH critico si intende
• Conservare il foraggio significa evitarne
il deterioramento dovuto a cause fisiche, chimiche e, soprattutto, biologiche. Si tratta di rendere il foraggio inattaccabile dai microrganismi nocivi che causano forti perdite fino al limite della denaturazione del prodotto, che perciò non risulterebbe più idoneo all’alimentazione degli animali
55
% sostanza secca
50 45
Insilato stabile
40 35 30 25
Insilato instabile
20
15 3,8 4,0 4,2 4,4 4,6 4,8 5,0 5,2 5,4 pH Rapporto tra % di sostanza secca e pH critico dell’insilato
Fattori che influenzano la qualità dell’insilato
• Contenuto di umidità • Contenuto di carboidrati solubili • Contenuto di proteine • Capacità tampone • Strutture di conservazione (platee, trincee o sili verticali)
• Cantiere di lavoro e meccanizzazione • Le graminacee sono più adatte delle leguminose
Trinciatura del mais ceroso
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coltivazione il più basso valore raggiungibile con le fermentazioni naturali, in corrispondenza del quale l’attività dei batteri è inibita). L’esempio più eclatante a questo proposito è rappresentato dall’insilamento dei “pastoni”, il cui risultato è sempre eccellente, nonostante il basso contenuto di acidi, in virtù dell’alta percentuale di sostanza secca (65-70%). Circa la percentuale di carboidrati fermentescibili (soprattutto esosi) e di proteine, si rammenta che i primi costituiscono il terreno di coltura pressoché esclusivo per i batteri “utili” ai fini dell’insilamento (i batteri lattici), mentre le seconde possono risultate attaccate da batteri “nocivi” (i clostridi) e in seguito a tale attacco liberano, tra l’altro, ammoniaca che neutralizza gli acidi di fermentazione ostacolando così il processo di acidificazione della massa. È perciò evidente che, in linea di massima, la conservazione in silo risulta tanto più facile quanto più il foraggio è ricco di zuccheri fermentescibili e povero di proteine. Si ritiene che un rapporto “zuccheri : proteine” pari a 1 sia ottimale; che un rapporto di 0,5 possa essere accettabile; che un rapporto di 0,25 sia invece intollerabile. Nel silomais il suddetto rapporto è appunto compreso tra 0,5 e 1 a seconda della fase fenologica di raccolta (con l’avanzare della maturazione esso si riduce), il ché ne rende facile la conservazione. Le azioni dei fattori sopra richiamati: contenuto di umidità e rapporto “zuccheri : proteine” si surrogano vicendevolmente. Tuttavia, quella del tenore di umidità quasi sempre risulta la più importante: in presenza di un’elevata percentuale di acqua il quadro fermentativo che si instaura è sempre intenso e poco favorevole, anche se il rapporto “zuccheri : proteine” è alto. Viceversa è possibile ottenere un buon andamento delle fermentazioni, nonostante un basso rapporto “zuccheri : proteine” in presenza di una bassa percentuale di umidità (non più del 67-68%). Il mais ceroso presenta di norma il 65-67% di umidità e quindi non presenta difficoltà per l’insilamento. Numerosi sono i microrganismi che operano nella massa insilata nell’arco di tempo che va dalla raccolta del foraggio alla somministrazione dell’insilato al bestiame. Qui di seguito vengono presi in esame i principali. Il ruolo fondamentale viene sostenuto dai batteri. Tra questi i più importanti sono i batteri lattici e i clostridi, seguiti per importanza, ma con un consistente distacco, dagli enterobatteri. Di rilevante interesse può essere anche la presenza di funghi: lieviti e muffe. I batteri lattici sono anaerobi facoltativi (molte specie tollerano cioè la presenza di modeste quantità di ossigeno) attaccano prevalentemente gli zuccheri e formano acido lattico. L’attività fermentativa dei batteri lattici determina perdite di sostanza secca e di energia molto limitate. L’acido lattico che si forma a seguito di queste fermentazioni ha un ruolo molto positivo in quanto è il principale agente dell’abbassamento del pH nella massa insilata. I clostridi sono anaerobi stretti e possono essere distinti in due gruppi: saccarolitici, che fermentano carboidrati e acidi organici, e proteolitici o putrefattivi, che attaccano principalmente le protei-
Foto V. Bellettato
Trinciato appena raccolto
Insilamento e fermentazioni
• La conservazione dell’insilato
è il risultato di una successione di fermentazioni microbiche a carico del foraggio
• Per ottenere un buon insilato è
necessario creare un ambiente sfavorevole alla proliferazione di microrganismi negativi (batteri clostridi, lieviti e muffe), orientando le fermentazioni verso la produzione di acido lattico, in modo da abbassare il pH e assicurare condizioni di anaerobiosi Foto V. Bellettato
Scarico del trinciato nelle trincee di conservazione
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insilamento ne. I clostridi sono presenti nel terreno e nel tubo digerente degli animali superiori. Il terreno viene contaminato dalle feci e a sua volta contamina i foraggi. L’attività dei saccarolitici a carico degli zuccheri e dell’acido lattico determina la formazione di acido butirrico, anidride carbonica e idrogeno provocando perdite significative di sostanza secca e di energia. L’attività fermentativa dei proteolitici è molto complessa; essa può limitarsi alla liberazione di ammoniaca (in questo caso si hanno perdite modeste), oppure può procedere fino alla decarbossilazione degli aminoacidi con formazione, tra l’altro, di amine tossiche (putrescina, cadaverina). L’attività dei clostridi è sempre negativa: quella dei saccarolitici perché provoca delle perdite, quella dei proteolitici principalmente perché frena il processo di acidificazione della massa e perché può originare composti tossici per il bestiame. I lieviti che intervengono nell’insilamento sono aerobi o aerobi facoltativi. I primi attaccano principalmente l’acido lattico determinandone la totale perdita. Ciò si verifica soprattutto sulla parete del silo esposta all’aria, cioè durante il periodo di utilizzazione dell’insilato (trattasi delle cosiddette perdite di post-fermentazione). I secondi, in presenza di tracce di ossigeno, fermentano gli zuccheri con produzione di etanolo e anidride carbonica; tale reazione determina una consistente perdita di sostanza secca (50%), ma una perdita modesta di energia. In assenza di ossigeno l’attività dei lieviti è piuttosto ridotta (essi sono infatti competitori perdenti nei confronti dei batteri lattici). In ultima analisi l’attività dei lieviti è da giudicare negativa: quella in presenza di aria per le perdite a essa connesse, quella fermentativa perché sottrae zuccheri ai batteri lattici. Le muffe sono strettamente aerobiche e sono inibite dalla presenza di acidi, in particolare di quelli a lunga catena; esse possono svilupparsi soltanto negli strati esterni della massa insilata non fermentata (fasi iniziali dell’insilamento), oppure sulla parete di taglio se questa resta per molto tempo esposta all’aria, per cui si
Foto Agrilinea
Cantiere di stoccaggio del trinciato
Batteri lattici: – Anaerobi facoltativi – Attaccano gli zuccheri e formano acido lattico
Batteri clostridi: – Anaerobi stretti – Possono attaccare sia zuccheri che proteine
– Abbassano il pH – Non provocano importanti perdite di conservazione
– Provocano importanti perdite – Bloccano l’abbassamento del pH – Possono produrre sostanze tossiche per il bestiame
Batteri delle fermentazioni Compattamento del trinciato all’interno della trincea
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coltivazione
Lieviti – Aerobi o aerobi facoltativi – Attaccano gli zuccheri e formano vari metaboliti
Muffe: – Aerobi stretti – Sono inibite dalla presenza di acidi
– Degradano gli zuccheri e portano alla perdita di sostanza secca sottraendo gli zuccheri stessi ai batteri lattici
– Provocano importanti perdite di conservazione – Possono produrre sostanze tossiche per il bestiame
verifica il dilavamento degli acidi di fermentazione. Sono in grado di attaccare molti metaboliti causando perdite anche consistenti di sostanza secca ed energia. Alcune muffe, inoltre, producono tossine che possono arrecare gravi danni al bestiame. In sintesi, il processo fermentativo è costituito dall’insieme delle attività di vari microrganismi, i quali risultano variamente condizionati dai fattori ambientali: natura del substrato, presenza di ossigeno, temperatura, pH ecc. La scena è dominata da due protagonisti: i batteri lattici e i clostridi, ai quali fanno da sfondo numerose comparse (enterobatteri, lieviti, muffe) che solo raramente assumono il ruolo di co-protagonisti. La vittoria dei “buoni” (batteri lattici) o dei “cattivi” (clostridi) dipende in parte dalle caratteristiche dei batteri e in parte dall’ambiente. I batteri lattici si sviluppano anche in presenza di tracce di ossigeno, mentre i clostridi sono strettamente anaerobi; i primi godono perciò del grande vantaggio di iniziare l’attività fermentativa in anticipo rispetto ai secondi. I clostridi inoltre risultano più sensibili all’acidità rispetto ai batteri lattici per cui sono i primi ad arrestare la propria attività man mano che si abbassa il pH. Date queste diverse caratteristiche, nel caso di un foraggio idoneo all’insilamento come il mais ceroso, i batteri lattici predominano nettamente, mentre i clostridi non entrano quasi mai in gioco; di conseguenza le perdite di conservazione risultano molto basse e la massa insilata diviene biologicamente stabile.
Lieviti e muffe di fermentazione
Processo e perdite di insilamento Il processo di insilamento consta di fasi aerobiche (respirazioni) e di fasi anaerobiche (fermentazioni). Il foraggio reciso ed esposto all’aria è interessato da fenomeni ossidativi endogeni, cioè dovuti alla respirazione delle cellule costituenti il foraggio stesso, ed esogeni, imputabili ai microrganismi aerobi
Prelievo di silomais per l’alimentazione del bestiame
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insilamento presenti sul vegetale (lieviti, muffe, batteri aerobi). I metaboliti coinvolti in questo processo, che sono prevalentemente gli zuccheri, e in particolare gli esosi, vengono totalmente perduti con liberazione di acqua, anidride carbonica e calore. L’entità delle perdite è legata alla durata e all’intensità di questa prima fase, che dipendono essenzialmente dal tempo che intercorre dall’inizio della raccolta al momento in cui all’interno del silo si stabiliscono condizioni di anaerobiosi. Il tempo di esposizione del foraggio all’aria dipende dalla celerità delle operazioni di allestimento del silo, dalla dimensione del silo stesso (un silo grande solitamente richiede parecchi giorni per essere riempito e quindi isolato definitivamente dall’ambiente), dal grado di compattazione del foraggio (cioè dal rapporto tra il volume occupato dall’aria e quello occupato dal materiale) e dall’accuratezza con cui il silo viene isolato dall’ambiente. Se la compressione del foraggio e la copertura del silo vengono effettuate con sufficiente attenzione, la gran parte di questi fenomeni si esaurisce poche ore dopo la chiusura del silo stesso. In un silo correttamente allestito, lo spazio è rappresentato da due terzi di aria e un terzo di foraggio. L’ossigeno contenuto nella massa è appena sufficiente per ossidare circa lo 0,2% della sostanza secca insilata. Ciò significa che le perdite di respirazione si verificano soprattutto durante il caricamento del silo, mentre esse risultano assai modeste dopo la chiusura del silo. Tuttavia, anche se l’isolamento del silo è effettuato con grande scrupolo, una certa penetrazione di ossigeno si verifica ugualmente, ma si tratta in ogni caso di fenomeni di modesta portata. Man mano che si riduce l’ossigeno all’interno della massa, la respirazione endogena e quella esogena rallentano fino a risultare insignificanti. Iniziano intanto le fermentazioni.
Fasi dell’insilamento
• Raccolta-trinciatura del mais • Caricamento nel silo • Compressione della biomassa • Chiusura del silo • Stabilizzazione della massa vegetale • Apertura e utilizzo
Foto R. Angelini
Che cosa succede nel silo Cosa succede nel silo 1° fase
2° fase
3° fase
Fase di stabilizzazione
Respirazione
Fermentazione acetica
Fermentazione lattica
Cessano le fermentazioni
– Produzione di acido lattico – Abbassamento del pH
– Abbassamento del pH (<4)
– Perdita di sostanza organica – Aumento di temperatura
– Perdita di sostanza organica – Produzione di acido acetico – Degradazione proteica più o meno intensa
Sili per pastone di granella
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coltivazione Se l’ambiente presenta le caratteristiche idonee all’insilamento, dapprima si sviluppano gli enterobatteri, che però vengono prontamente sopraffatti dai batteri lattici. La fermentazione lattica prosegue fino a quando il pH non scende a valori critici; la massa risulta così biologicamente stabile e, permanendo le condizioni di anaerobiosi, conservabile indefinitamente. Se però qualcosa si inceppa, se cioè l’abbassamento del pH non è sufficientemente rapido (scarso tenore di zuccheri fermentescibili, eccessiva umidità) può assumere rilievo, come sottolineato in precedenza, l’attività dei clostridi che, in condizioni ambientali a essa molto favorevole, può addirittura prendere il sopravvento nei confronti della fermentazione lattica, e allora i processi fermentativi non si arrestano e si manifestano perdite molto elevate e il deterioramento qualitativo del foraggio che, al limite, può risultare non edile. Nel caso del silomais e dei pastoni, le caratteristiche dei materiali sono così favorevoli che le fermentazioni nocive potrebbero verificarsi solo in presenza di errori grossolani (operazioni rallentate, assenza di compressione e di isolamento). In definitiva, effettuando l’insilamento in modo ottimale le perdite di respirazione e fermentazione del silomais e dei pastoni sono molto contenute. Oltre a tali perdite si possono verificare anche alterazioni sull’esterno del silo (perdite di superficie). Esse dipendono dall’accuratezza e tempestività con cui si effettuano la compressione dell’ultimo foraggio introdotto e la copertura del silo. Se gli strati più superficiali del silo non sono ben compressi, essi vengono interessati da intensi processi ossidativi sia endogeni sia esogeni (lieviti, che provocano consistenti perdite di sostanza secca); altrettanto dicasi se la copertura del silo non viene eseguita scrupolosamente. È evidente la necessità di porre la massima attenzione in queste
Foto R. Angelini
Granella insilata Foto R. Angelini
Carico del silo per la conservazione del pastone
Foto Agrilinea
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insilamento fasi dell’insilamento, così da ridurre le perdite di “superficie” a livelli quasi trascurabili. Un contributo in tal senso può derivare dall’impiego di sostanze antimicrobiche da distribuire in superficie, ma si ritiene che esso debba costituire un intervento a carattere eccezionale (per esempio interruzione prolungata durante il caricamento del silo). Le perdite complessive di conservazione del silomais e dei pastoni, se si opera con il necessario scrupolo, risultano molto basse: 5-6% di sostanza secca, ancor meno in termini di energia.
Tipologie di sili
• Silo verticale o a torre: permette
di riempire la struttura dall’alto mano a mano che si svuota dal basso. Più impiegato per la conservazione dei pastoni
• Silo orizzontale (trincea o platea):
Sili I sili sono le strutture entro cui viene conservato il foraggio. Si distinguono in verticali e orizzontali. Attualmente in Italia, per l’insilamento dei foraggi, vengono quasi esclusivamente utilizzati i sili orizzontali che sono meno costosi e più pratici. I sili orizzontali sono costituiti essenzialmente da un piano in calcestruzzo e da due pareti laterali di contenimento in cemento, rivestite o meno di materiali plastici resistenti alla corrosione degli acidi organici. Talora le pareti mancano e il silo, in pratica, viene a essere un cumulo di foraggio coperto da film di plastica. Il silo con pareti consente di ridurre le perdite di superficie e forse anche l’arieggiamento della massa, ma è certamente più costoso del cumulo. Si sottolinea in ogni caso che il risultato dell’insilamento è condizionato molto più dallo scrupolo dell’operatore nelle varie fasi di lavoro che dal tipo di silo adottato. La copertura del silo viene in genere effettuata con fogli di polietilene di vari colori e spessore. È necessario che il film resti ben aderente al foraggio, in modo che non si formino concavità entro cui ristagni l’acqua (sotto questo profilo forse il cumulo è più rispondente del silo con pareti). Il telo dovrà essere poi ben fissato per evitare che il vento possa scoprire la massa. Nel caso di grandi allevamenti, la dimensione del silo costituisce un elemento di notevole interesse. Delle tre grandezze che la compongono: larghezza, altezza e lunghezza, la prima deve corrispondere alle esigenze di manovra dei mezzi meccanici che trasportano il foraggio e di quelli che operano all’interno della struttura (minimo 12-15 m), la seconda deve garantire la stabilità del fronte di avanzamento in fase di utilizzazione del foraggio (massimo 3,5-4 m), la terza deve consentire una capienza sufficiente per insilare tutto il foraggio di cui si dispone e il consumo di uno strato giornaliero di foraggio tale da prevenire eccessive perdite di post-fermentazione (minimo 10-15 cm, il che significa, nel caso di alimentazione con foraggio insilato durante tutto l’anno, una lunghezza minima del silo di 36,5-55 m). L’operatore, in funzione delle particolari condizioni nelle quali opera, e pur facendo salve le predette esigenze, può adottare delle compensazioni tra lunghezza e larghezza del silo, mentre dispone di modeste possibilità di manovra per quanto riguarda l’altezza.
formato da un corridoio con pareti in muratura e pavimento leggermente pendente con copertura di materiale diverso
Foto R. Angelini
Diverse modalità di copertura del silo: con piastre di cemento sopra al telo (in alto) o vecchi pneumatici (in basso)
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coltivazione Interventi sul foraggio da insilare All’atto dell’insilamento possono essere effettuati interventi per condizionare il processo di fermentazione e/o per migliorare alcuni parametri nutritivi del foraggio. Nel caso del mais ceroso le caratteristiche del foraggio sono molto favorevoli per cui il risultato del processo d’insilamento è ottimale, anche senza prevedere trattamenti, e gli unici interventi giustificabili sono quelli aventi l’obiettivo di integrare le caratteristiche qualitative del foraggio. Sotto tale punto di vista un’interessante eventualità è costituita dal trattamento con urea che consentirebbe di aumentare il contenuto azotato del foraggio a costi piuttosto bassi. In linea di massima la convenienza del ricorso all’urea è tanto maggiore quanto più il prezzo dei concentrati proteici tradizionali (per esempio farina di estrazione di soia) supera il prezzo delle fonti energetiche (per esempio farine di cereali). La dose di urea deve contemperare due esigenze: – l’azoto ureico non può rappresentare oltre il 30% dell’azoto totale della dieta, pena la perdita di efficienza nutritiva e la possibilità che insorgano situazioni patologiche a carico dell’animale; – l’ammoniaca che si forma all’interno del silo per idrolisi dell’urea non deve impedire il raggiungimento del pH critico, pena l’affermazione di fermentazioni clostridiche. In linea di massima il trattamento con urea può essere adottato per i soli foraggi di graminacee, e perciò anche per il mais ceroso, prevedendo una dose massima di 1-1,2 kg per ogni 100 kg di sostanza secca.
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Caratteristiche degli insilati È opportuno conoscere le caratteristiche medie dei foraggi insilati allo scopo di poter esprimere un giudizio di merito sull’andamento del processo fermentativo e, in definitiva, sulla loro qualità. Raccolta del silomais
Foto Agrilinea
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insilamento Caratteristiche di diversi insilati di mais Insilati
Sostanza secca (%)
Acidi di fermentazione (% sul secco)
pH
N-NH3 (% dell’N totale)
Lattico Acetico Butirrico
Silomais (mat.cerosa)
30-35
8-9
2-3
0,1-0,2
3,9-4,0
5-7
Silomais (0,5% di urea)
35-36
10-11
3-4
0,2-0,3
4,1-4,2
15-20
Pastone granella di mais
66-68
2-3
0,3-0,6
0-0,1
4,4-4,5
4-5
Valutazione qualitativa degli insilati
• Aspetto: deve essere riconoscibile
la struttura della pianta di partenza
• Colore: in un buon insilato il colore si mantiene simile a quello della pianta appena trinciata
• Odore: molto aromatico, di frutta dolce e leggermente acido. Un odore molto acido o aspro è indice della presenza di acido acetico e quindi di una cattiva fermentazione del materiale insilato
Nella tabella sono riportati i valori dei principali parametri degli insilati riscontrabili nel caso di un ordinario decorso dell’insilamento. In ogni caso la fermentazione è dominata dai batteri lattici. Nel caso del mais ceroso l’acido lattico rappresenta quasi l’80% dell’acidità complessiva, mentre l’acido butirrico (frutto dell’attività dei clostridi) è quasi assente. Il pH sfiora il valore di 4 e l’azoto ammoniacale rappresenta appena il 6-7% dell’azoto totale, segno evidente del modesto coinvolgimento delle proteine nel processo fermentativo. Il trattamento con urea al silomais (0,5% sul tal quale) intensifica il processo fermentativo, determinando, tra l’altro, un consistente incremento della quota di azoto ammoniacale, quale conseguenza dell’idrolisi dell’urea stessa più che della degradazione proteica del foraggio. Anche in questo caso il risultato complessivo della conservazione è eccellente. Il pastone di granella di mais, per effetto dell’alto contenuto di sostanza secca, è caratterizzato da una modesta attività fermentativa e, di conseguenza, da un basso contenuto di acidi (sufficiente però per raggiungere il pH critico) e dalla scarsa presenza di azoto ammoniacale.
• pH: rappresenta il mezzo più semplice e rapido per valutare la qualità dell’insilato
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