Il Melo - Coltivazione

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Il melo botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


il melo

coltivazione Allevamento e potatura Hermann Mantinger Josef Vigl

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Allevamento e potatura Introduzione In passato, soprattutto negli impianti a melo dell’Alto Adige, si distinguevano chiaramente due tipi di frutticoltura indipendenti fra di loro e precisamente: – la frutticoltura ad allevamento a cordone: dai giardini dei conventi francesi, a partire all’incirca dal 1885, fino alla Prima guerra mondiale (1914-1918), questo tipo di frutticoltura prendeva piede e si sviluppava in particolare nel circondario di Merano, con la varietà Calvilla bianca d’inverno. Le piante erano innestate quasi esclusivamente sul portinnesto Paradiso, con un investimento che andava da 5000 a 13.000 piante/ ha. La forma delle piante era a cordone orizzontale, o verticale, ma anche obliquo e più tardi pure a cespuglio, oppure a piramide. Con questo sistema d’impianto si ottenevano elevate produzioni per ettaro, di ottima qualità, ma in ogni caso con un elevato impiego di manodopera. D’altra parte, questa frutticoltura superintensiva un tempo così fiorente, con il passare degli anni non poté tenere il passo delle mutate condizioni economiche; – la frutticoltura dell’agricoltore o famigliare: era caratterizzata da piante enormi, sviluppate naturalmente, con chioma a pieno vento, su portinnesto franco e distanze molto ampie, cosicché in un ettaro si contavano da 80 a 100 alberi. La coltura principale era l’erba, impiegata a scopo zootecnico per alimentare il bestiame, ma si coltivavano anche cereali, come frumento, orzo, avena, mais, nonché patate ecc. Le produzioni frutticole erano oltremodo rischiose a causa delle numerose avversità dovute ai parassiti animali e alle malattie fungine, alle gelate tardive, alla grandine ecc.; pertanto la frutticoltura era vista come alternativa colturale secondaria e in molti casi solo per autoconsumo.

Evoluzione della melicoltura

• Negli ultimi 50-60 anni, il melo ha

subito una forte evoluzione, sia nelle forme delle piante messe a dimora, sia nei sistemi d’impianto prescelti. Obiettivo da perseguire, in ogni passo della modernizzazione compiuto dalla frutticoltura, è sempre stato quello di raggiungere produzioni elevate e regolari, con frutti di qualità e ottenuti con il minor costo di produzione

Cordone verticale con piante a distanza di 40 cm

Melo a forma naturale su franco. La chioma si forma senza interventi di potatura (circa 80 piante/ettaro)

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allevamento e potatura Prime esperienze di frutticoltura intensiva Nel corso degli anni, specialmente dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in tutta Europa la frutticoltura ha avuto uno sviluppo continuo. In Italia, l’evoluzione è stata inizialmente lenta, mentre più tardi l’intensificazione dei frutteti ha subito una forte crescita. Durante questo periodo in Alto Adige predominavano frutteti con chioma a pieno vento, a mezzo fusto su franco, con distanze d’impianto che, a seconda delle varietà, andavano da 12 × 10 m, a 8 × 6 m (80-200 piante/ha). La chioma di queste piante era quasi una forma naturale con pochi interventi di potatura. Negli anni ’50, come forma d’allevamento si usava la Oeschberg, originaria della Svizzera (dall’omonima località) che, nonostante la struttura relativamente grande delle piante, permetteva una migliore penetrazione della luce nella chioma e quindi anche una migliore qualità dei frutti prodotti, rispetto al vaso naturale precedente, grande e fitto. Il vaso Oeschberg era costituito da un tronco, da un asse centrale come prolungamento dello stesso e da tre branche portanti, distribuite a circa 120° di distanza, su cui crescevano, ben dislocate, le branche laterali e i rami a frutto. Le distanze d’impianto variavano, a seconda della varietà, tra 8 × 6 e 7 × 5 m, cosicché il numero delle piante/ ha cresceva da 200 a 300. Nella Pianura Padana e in parte anche nel Sud della Francia si sviluppava intanto il vaso aperto, cioè un vaso con 3-4 branche portanti, ma senza astone centrale. Questa forma a vaso si è conservata in parte fino a oggi, soprattutto per il pesco. Alla fine degli anni ’50 e negli anni ’60 in Pianura Padana, soprattutto nella zona di Ferrara, si sviluppava la forma a palmetta (palmetta ferrarese o palmetta Baldassari a branche oblique), con branche portanti oblique che si dipartono dall’astone centrale su 2-4 piani. Questa forma d’impianto si presentava come una parete a frutto stretta e alta lungo il filare. Anche in Alto Adige negli anni ’60 si adottava questa forma d’impianto; dopo le prime esperienze realizzate utilizzando la

Melo a forma naturale su franco. Nella chioma si osserva già un certo sistema di allevamento (80-120 piante/ha)

Melo a forma Oeschberg su franco. La chioma è formata dal tronco, da un’asse centrale, come prolungamento del tronco, e da tre branche oblique. Le parti della chioma sono rivestite da branche fruttifere, branchette corte e lamburde. Distanze d´impianto: da 8 × 6 a 7 × 5 m (200-280 piante/ha)

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coltivazione palmetta ferrarese, si adottò una nuova forma di palmetta costituita da una sola impalcatura o, al massimo da due, a distanza di circa 1 m l’una dall’altra. L’asse centrale formava invece uno spindel; pertanto nella palmetta dell’Alto Adige era presente un solo palco con due branche oppure due palchi formati da quattro branche. Quest’ultima forma, anche su portinnesto franco e con distanze d’impianto comprese tra 5 × 5 e 5 × 4 m, permetteva un investimento di 400-500 piante/ha, mentre con l’impiego di portinnesti mediamente vigorosi e distanze di 4-4,5 × 3 m si arrivava a densità di 800 piante/ha. In questo modo si ottenevano produzioni iniziali più rapide ed elevate e soprattutto un più facile impiego delle macchine lungo i filari (atomizzatori, paccia-

Sistemi di allevamento e distanze tra le piante Forma di allevamento Chioma a pieno vento (Vaso Oeschberg su franco)

Palmetta su franco (400-500 piante/ha)

208 285

5×5 5×4 4,5 × 4

400 500 555

4,5 × 3 4,0 × 3

740 833

5×3 4,5 × 3

666 740

3,5 × 1,5 3,5 × 1,25

1900 2290

Oggi (M9)

3,20 × 1 3,20 × 0,80 3,00 × 1 3,00 × 0,8

3120 3900 3300 4160

Tipi spur (M9)

2,80 × 0,5 2,80 × 0,7

7140 5100

Sistema a V (M9)

3,50 × 0,7 3,50 × 0,8

4080 3570

Superspindel (M9)

2,80 × 0,3 2,80 × 0,4 3,00 × 0,3 3,00 × 0,4

11.900 8930 11.000 8330

Solaxe (M9)

3,20 × 1,60

2230

3,20-3,50 × 1,60

2280

(M7, MM106) Fusetto (M7, MM106) Impianto fitto Precedente (M9)

Drapeau (M9)

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Piante/ha

8×6 7×5

Palmetta (Franco)

Palmetta su M9

Distanze d’impianto (m)


allevamento e potatura matrici e carri raccolta). A confronto con il vaso tradizionale, che prevedeva 200-300 piante/ha al massimo, questa forma d’impianto era senza dubbio un significativo passo avanti.

Foto M. Galli

Impianto fitto su portinnesti deboli Il continuo aumento dei salari e contemporaneamente il decrescere della forza lavoro disponibile, nonché la crisi della frutta, che per la sovrapproduzione si faceva sentire negli anni ’68-’69 al massimo livello nei Paesi della Comunità Europea, costringevano i frutticoltori a prendere in considerazione nuove misure, adeguate a razionalizzare gli impianti frutticoli. A questo riguardo, verso la metà degli anni ’60, venivano proposti impianti fitti di melo, già diffusi in Olanda e in Belgio su portinnesti deboli M9 ed M26. All’inizio, tra i frutticoltori dell’Alto Adige e in parte anche fra i tecnici del settore, regnava un grande scetticismo e avvenivano aspre discussioni sulla possibilità di realizzare un simile sistema d’impianto intensivo e sulla sua convenienza economica. Si riteneva, infatti, che i portinnesti deboli non avrebbero sopportato il freddo invernale, che le piccole strutture delle piante non portassero le produzioni desiderate e che un simile sistema d’impianto fosse troppo complicato nella gestione e soprattutto troppo costoso. Ma gli studi subito intrapresi sui vantaggi e gli svantaggi relativi, come pure i primi dati positivi delle prove sperimentali, e i risultati incoraggianti dei primi impianti eseguiti dai frutticoltori dell’Alto Adige, convinsero i responsabili della ricerca e della consulenza a tal punto che, a partire dagli anni ’70, si consigliò unicamente questo sistema d’impianto fitto.

Impianto fitto in fioritura

Giovane impianto

Foto FEM-IASMA

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coltivazione In base alla varietà e alle caratteristiche dell’impianto, all’inizio si consigliavano distanze d’impianto di 3,5 × 1,25 m, fino a 3,5 × 1,50 m nel sistema a fila singola. In questo modo il numero delle piante saliva dalle precedenti 400-800, a ben 1700 fino a 2200 piante/ha. La forma delle piante a fusetto doveva assomigliare, in ultima analisi, a un cono. Ciò significa che nella parte bassa si presenta un po’ più largo, mentre si restringe verso la sommmità. L’asse centrale, a partire da un’altezza di 50-70 cm dal suolo, porta branche laterali sempre più corte man mano si spostano verso la cima della pianta. Tutto ciò garantisce una luminosità molto buona a tutte le parti del fusetto, nonché un rinnovo “naturale” di giovani germogli e brindilli a frutto, con conseguenti produzioni elevate, uniformi e di ottima qualità. Decisivo a tale proposito è pure il minore impiego di manodopera per la potatura, il diradamento e la raccolta. Sono stati realizzati anche sistemi d’impianto a due o più file con un numero ancora più elevato di piante/ha, per avere produzioni iniziali ancora più abbondanti. Le distanze d’impianto oscillavano, secondo le varietà e le caratteristiche del terreno fra 3-3,50 + 1 × 1,50-1,70 m nel sistema a fila doppia e 3-3,50 +1 +1 × 1,50-1,80 m nel sistema a fila tripla. Scopo del sistema a file multiple è l’utilizzo ancora più intenso della superficie con minori corsie di transito per le macchine. La difficoltà però sta nel fatto che occorre ricavare spazio sufficiente tra le file interne, per facilitare il passaggio degli operatori nell’esercizio delle cure manuali necessarie (potature, diradamento, raccolta ecc.) e in special modo per permettere una sufficiente illuminazione della vegetazione, a seconda delle varietà e della vigoria delle

Impianto fitto a fila doppia con distanze d´impianto pari a 3,5 +1 × 1,70 – 1,80 m (2600-2900 piante/ha)

Vantaggi dell’impianto fitto su portinnesti deboli

• Rispetto ai sistemi usati

precedentemente, esso permetteva di ottenere migliori produzioni iniziali, produzioni unitarie per superficie più elevate e regolari, nonché la semplificazione delle operazioni di potatura, diradamento, difesa antiparassitaria, con minore impiego di agrofarmaci Impianto fitto a fila tripla con distanze d´impianto pari a 3,5+1+1 × 1,70-1,80 m (3000-3400 piante/ha)

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allevamento e potatura piante, onde ottenere una buona produzione di ottima qualità, soprattutto nell’età della piena capacità produttiva degli impianti. Inoltre un problema di fondo per i sistemi a più file è legato al fatto che la superficie delle aiuole deve essere tenuta libera da erbe infestanti, con erbicidi, durante tutta la stagione produttiva. L’impiego di erbicidi è stato via via sempre più limitato dagli obiettivi della produzione integrata e ora solamente pochi prodotti sono ammessi allo scopo. Pure il passaggio tra le file per la potatura, per il diradamento manuale e per la raccolta spesso risulta difficile, nonostante tutta l’attenzione che si può prestare in merito. Le tecniche adottate per la difesa chimica, infine, hanno maggiori difficoltà a raggiungere con i trattamenti tutta la vegetazione delle file interne a causa della barriera posta dalla stessa vegetazione esterna. Questo dato di fatto e soprattutto l’accettazione del Programma di Produzione Integrata (Programma AGRIOS), con cui i produttori si sono imposti una limitazione nella scelta e nella dose dei prodotti per la difesa delle piante dai parassiti, delle quantità di fertilizzanti e di erbicidi, comporta di conseguenza l’abbandono dei sistemi d’impianto a file doppie e multiple. Una possibilità per aumentare le produzioni sulla fila singola, rispetto ai sistemi a file doppie e multiple, sta nell’aumentare l’altezza delle piante e precisamente fino a 3 m dal suolo. A questo proposito si può prevedere che per ogni 10 cm d’altezza delle piante si ottengono circa 2 t/ha di incremento produttivo. Ciò comporta che un aumento in altezza della chioma delle piante di circa 50 cm (rispetto all’altezza più contenuta nel caso d’impianti a file doppie o multiple, onde evitare eccessivi ombreggiamenti dei frutti), con un investimento di circa 3000 piante/ha, si ottiene un incremento produttivo di circa 10 t/ha. Per alcune operazioni colturali, come la raccolta, le potature, il diradamento manuale dei frutti sulle cime, occorre per lo più un supporto di salita, come piccole scale, carri raccolta ecc. In ogni caso non si deve comunque esagerare con l’altezza della chioma, in quanto si corre il rischio di un eccessivo ombreggiamento della parte inferiore e interna delle piante, con conseguente minor efficienza produttiva e qualità meno pregiata dei frutti prodotti in queste parti della chioma.

Impianto fitto a fila singola con distanze d´impianto, oggi consigliate, pari a 3,00-3,20 × 0,80-1,10 m (2800-4200 piante/ha)

Sistema solaxe. Questo sistema d’impianto proviene dalla Francia e come obiettivo si propone la diminuzione dei costi d’investimento e della manodopera con un’opportuna riduzione del numero delle piante per ettaro. Con una densità d’impianto di circa 2000 piante/ha, si fanno crescere le piante fino a un’altezza di 2,5-3,0 m. La cima non si pota, ma si deve piegare verso il basso sotto il peso dei suoi frutti, con la conseguenza di uno sviluppo molto rallentato. Nella parte inferiore della chioma si formano leggere ramificazioni portanti, conferendo così all’albero una forma conica.

Red Chief su M9 a fila singola con distanze d´impianto pari a 2,80 × 0,50-0,70 m (5100-7200 piante/ha)

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coltivazione L’astone risulta rivestito di rami a frutto che, in primo luogo, si devono legare orizzontalmente o piegare verso il basso, per indurre una rapida messa a frutto. Questi rami non vengono spuntati e anche la cima si lascia intatta ed eventualmente, se necessario, si raccorciano i germogli a frutto laterali, o i brindilli, oppure se ne eliminano alcuni completamente, in modo che sia sempre disponibile una quantità di legno a frutto giovane e bene esposto alla luce. Per questo sistema di allevamento è importante che, sui prolungamenti dei germogli non toccati dalle forbici, ogni anno si formino 8-10 foglie ben sviluppate. I rami a frutto più lunghi, d’altra parte, fanno sì che sull’astone non possano rimanere troppi rami a frutto di questo tipo. Ciò favorirebbe l’ombreggiamento, che a sua volta farebbe diminuire la qualità e la resa produttiva. Un problema ulteriore di questa forma sta nel fatto che la cima piegata ombreggia spesso in modo eccessivo le parti sottostanti. Sistema a V. Una possibilità per preferire il sistema a fila singola e contemporaneamente poter intensificare l’impianto, sta nell’impiego del sistema a V, con cui è possibile investire da 3500 a 4000 piante/ha (distanze d’impianto: 3,5 × 0,7-0,8 m). In questo modo aumentano le produzioni iniziali e la piena capacità produttiva di circa 5000 m2/ha di superficie fruttificante si raggiunge prima. Con questo sistema ciascuna pianta della fila singola si lega in modo alternato a destra e a sinistra a un sostegno a forma di V e, in tale posizione, se ne cura lo sviluppo. I paletti di sostegno di tale struttura si piantano inclinati di 25-30° rispetto alla perpendicolare del terreno e devono esse-

Sistema solaxe in produzione di Fuji su M9

Gala su M9 con il sistema a V (circa 4000 piante/ha)

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allevamento e potatura re alti almeno 2 m e aperti in alto circa 1,0-1,1 m, in modo da permettere alla luce di penetrare tra le piante a forma di V. Se si fa una costruzione del fusetto tecnicamente corretta, a detta di diversi operatori della sperimentazione, è possibile, con il sistema a V, migliorare il risultato qualitativo per effetto di una migliore distribuzione della luce all’interno della vegetazione. A tale riguardo le varietà a frutto rosso sono quelle che meglio si avvantaggiano di questo sistema d’impianto. La condizione per ottenere risultati positivi è mantenere una forma molto slanciata della pianta. In caso contrario nella parte bassa e interna dell’albero si forma un eccesso d’ombra, con tutti gli svantaggi connessi. Comunque, finora, questo sistema d’impianto è stato applicato ben poco nei frutteti. Infatti, esso necessita di strutture più costose; lo sviluppo degli organi vegetativi, data la posizione inclinata, tende a forzare verso l’interno dove si richiede più lavoro di potatura, sia di allevamento sia di produzione. A confronto con il sistema a fila singola standard, nelle prove sperimentali eseguite presso il Centro Sperimentale di Laimburg, si sono sì ottenute produzioni ben più elevate, dato il maggior numero di piante/ha investito, ma non migliori risultati qualitativi.

Foto FEM-IASMA

Sistema a Y. Dal tronco di una pianta si fanno partire due germogli che si legano a forma di Y ai fili di sostegno, in modo che dall’alto possa giungere la luce a tutte le parti interne della pianta. All’esterno il sistema appare quasi simile al precedente a V. Anche questo sistema non si è diffuso nella pratica agricola.

Gala su M9 allevata a Y (circa 4000 piante/ha)

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coltivazione Sistema a drapeau. È una forma d’impianto un po’ più vecchia, che già negli anni ’60 era presa in considerazione per impianti di pero, soprattutto in Francia e in Belgio. Allora le piante erano innestate su portinnesti più vigorosi con conseguenti problemi dovuti allo sviluppo vigoroso delle piante, cosicché era troppo elevato l’impiego di manodopera per la formazione della chioma. Pertanto questo sistema non ha preso piede e non si è ulteriormente diffuso. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso si pensava che sul melo, con l’impiego di portinnesti deboli, mediante il sistema a “drapeau”, si potesse avere una rapida entrata in produzione, nonché produzioni per unità di superficie elevate e regolari e ottenere piante basse di facile gestione. Le piante giovani si mettono a dimora in fila singola, inclinate nel senso del filare con un angolo di 45°. I germogli che nascono dall’astone si diradano nel numero a una certa distanza fra loro, si legano al filo di sostegno a 90° rispetto all’astone da cui partono. Così si forma un intreccio molto stabile con il supporto. Data la posizione dei rami a frutto si ottiene una fruttificazione molto rapida e la parete produttiva rimane relativamente bassa, cosicché tutte le operazioni colturali si possono eseguire da terra. Nonostante tutto però l’impiego di manodopera necessario per l’impianto e la formazione della parete produttiva risultava troppo elevato, cosicché tale sistema non ha avuto possibilità di concorrere con gli impianti fitti a slender spindle.

Sistema a drapeau

• Vecchio sistema d’allevamento,

sviluppato inizialmente per impianti di pero

• Si caratterizza per la disposizione delle piante in fila singola con inclinazione sul filare di 45°, rapida entrata in produzione e taglia delle piante relativamente bassa

• Gli elevati costi di manodopera

per l’impianto e la gestione ne hanno limitato la diffusione

Granny Smith su M9 con il sistema a drapeau: le piante sono messe a dimora oblique ad angolo di circa 45°

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allevamento e potatura Spinta verso ulteriori intensificazioni dei frutteti È dimostrato che distanze più strette tra le piante e la conseguente formazione di piante un po’ più alte, aumenta l’intercettazione della luce e il suo relativo utilizzo. È noto infatti che, con una maggiore intercettazione della luce da parte della vegetazione, aumentano anche le produzioni per ettaro. Per ottenere le produzioni più elevate in quantità e qualità, si calcola necessario l’utilizzo da parte delle piante di circa il 70-80%, come limite massimo, della luce che giunge nel frutteto. Nel caso in cui vengano intercettati livelli superiori di luce, significa che c’è un’eccesso di vegetazione che aumenta l’ombreggiamento, con conseguente diminuzione della quantità dei frutti e della loro qualità. Oltre alla percentuale di luce utilizzata da parte delle piante, sul totale che arriva nel frutteto, è importante anche la sua distribuzione entro la chioma. In tutte le parti della chioma, infatti, occorre luce sufficiente, da un lato per far maturare bene le gemme che si formano e, dall’altro, per garantire raccolti abbondanti di ottima qualità. La luce è necessaria per la pezzatura dei frutti; il loro peso aumenta, infatti, con l’incremento di luce assunta (oltre il 40-50% d’intercettazione della luce). Oltre il 50% della luce intercettata deve essere utilizzato per la formazione del sovraccolore dei frutti e circa il 40% per la formazione degli zuccheri. Se l’utilizzo della luce totale scende sotto il 30%, come spesso accade anche in frutteti a fusetto nelle parti inferiori e interne della chioma, allora si producono frutti più piccoli, di qualità meno buona e, infine, si ottiene una formazione delle gemme a fiore scarsa o nulla.

Intensificazione dei frutteti

• Alla fine degli anni ’80, soprattutto con

l’arrivo della forma a superspindel in Olanda e in Germania, si riaccendeva la discussione sul sistema d’impianto più conveniente. L’assortimento varietale era ed è sempre in continua e rapida evoluzione; più piante/ha portano ad anticipare e ad aumentare la produzione; in molti impianti a fusetto più vecchi le distanze d’impianto erano troppo larghe, con conseguenze negative sulla produzione per unità di superficie. Inoltre, soprattutto i frutticoltori delle piccole aziende, al momento di costituire i vecchi frutteti sono molto interessati ad avere rapidamente la nuova produzione

Impianto fitto in provincia di Ferrara

Foto R. Angelini

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coltivazione Superspindel (cordone verticale). Tutti gli argomenti sopraesposti hanno portato gli specialisti a discutere sempre di più su quale poteva essere effettivamente il sistema d’impianto migliore e più produttivo. Si pensava effettivamente che il superspindel potesse soddisfare nel modo migliore tutte le aspettative, come per es. rapidità delle produzioni iniziali e produzioni/ha più abbondanti e regolari (80-100 t/ha), con minore investimento operativo. Quindi, secondo gli esperti di questo sistema d’impianto si dovrebbe innalzare il numero delle piante per ettaro a 8000-12.000 e oltre. Ciò significa adottare distanze d’impianto mai usate nella pratica agricola fino a quel momento, pari a 2,7-2,8 × 0,3-0,4 m. La forma della pianta non può essere altro che un cordone con un diametro massimo di 50 cm, dotato di corte branchette che si devono rinnovare continuamente. In questo modo non servono lavori di legatura dei germogli e la luce si distribuisce in modo ottimale, cosa molto positiva per la maturazione delle gemme a fiore e quindi per garantire produzioni regolari della migliore qualità. Questo sistema d’impianto esige dal terreno e dal clima le migliori caratteristiche possibili, ma anche una grande conoscenza circa le misure colturali indispensabili, dalle fasi di formazione della pianta alla potatura, alla concimazione, all’irrigazione e loro interazioni. Nella pratica agricola, tuttavia, il superspindel in molti casi non corrispondeva alle molte promesse. È noto che un ecosistema in agricoltura reagisce ai differenti influssi esterni in modo tanto più sensibile e quindi altrettanto più rapidamente esce dall’equilibrio naturale, quanto più intense sono le tecniche produttive imposte.

Impianto a sistema ultrafitto, chiamato anche superspindel, con distanze d’impianto molto strette e una densità da 9000 a 12.000 piante/ha

Superspindel di Golden Delicious su M9 (11.900 piante/ha)

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allevamento e potatura Tutto ciò si è potuto osservare sia sperimentalmente sia in pratica. A seconda della varietà e fertilità del terreno si presentano difficoltà nel contenere la crescita delle piante entro le strette distanze loro assegnate. La qualità, circa il calibro dei frutti e la formazione del colore, non era sempre conforme alle odierne esigenze del mercato. A confronto con altri sistemi, il calibro dei frutti era spesso più piccolo e anche i raccolti nella fase di piena produzione non crescevano più, a partire da un determinato numero di piante investite. Inoltre un simile impianto fitto non è consentito dalla PFI (Produzione Frutticola Integrata) ed è escluso dalla lista degli interventi produttivi rispettosi dell’ambiente. Infatti, essere in grado di limitare lo sviluppo della pianta compatibile con simili distanze strette e avere sempre più disponibili lamburde e brindilli a fiore, è un’operazione possibile solamente con l’impiego di regolatori di crescita (prodotti ormonali). Il superspindel con questo numero elevatissimo di piante non si è più diffuso nel settore della frutticoltura industriale.

Foto R. Angelini

Altri sistemi di allevamento Per diminuire i costi degli investimenti legati al numero elevato delle piante e nel contempo ottenere numerose strutture produttive di contenute dimensioni (cordoni), nei nuovi sistemi d’impianto si è scelto di mettere a dimora meno piante per ettaro, nelle quali si allevano più cordoni (da due a quattro). Queste strutture produttive raggiungono rapidamente il loro normale sviluppo, possibilmente già dal secondo anno, e consentono di raggiungere rapidamente il massimo della resa produttiva e permettono una migliore intercettazione della luce su tutta la chioma.

Impianto di Red Chief su M9 con distanze d’impianto 2,50 × 0,4 m

Foto R. Angelini

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coltivazione A seconda dei cordoni per pianta si ottengono differenti sistemi: – mikado: le piante sono a fila singola e da ogni pianta, con una potatura idonea dopo l’impianto, si ricavano quattro cordoni distribuiti in maniera omogenea in modo che lo spazio per le cure colturali necessarie e per la raccolta dei frutti sia sempre sufficiente. Per es. con 1500, 2000 e 2500 piante/ha si possono avere ben 6000, 8000 e 10.000 cordoni produttivi; – drilling: Per ogni pianta si allevano 3 cordoni legati a un sistema di sostegno con fili. Il sostegno di questi tipi d’impianto è simile a quello del sistema a V, con un filo di ferro tirato e fissato a 30 cm dal suolo lungo il filare, che serve per fissare le singole piante, come pure i paletti di legno o di bambù. A 2 m d’altezza si fissano altri 2 fili di ferro paralleli, tra i quali si deve lasciare una luce di 1,35 m. I 4 cordoni, come nel caso del mikado, oppure i 3 elementi nel caso drilling sono distribuiti e fissati in modo uniforme su questi fili di sostegno. Il mikado e il drilling, a confronto con il superspindel, permettono una migliore intercettazione della luce; inoltre si può governare meglio l’attività vegetativa di ogni pianta, in quanto distribuita su più cordoni. In concreto, però, questi sistemi d’impianto non hanno trovato pratica applicazione; essi infatti necessitano di un sostegno troppo complesso e costoso, anche in termini di impiego di mano d’opera.

Sistema mikado visto dall’alto

Forma a Y longitudinale (Bibaum®). Già in vivaio le giovani piantine si formano a Y. In questa forma le piante si mettono a dimora a fila singola, in modo che i due astoni siano orientati lungo Foto M. Galli

Sistema drilling visto dall’alto

Controllo della vigoria delle piante

• Produzioni abbondanti e regolari

controllano la vigoria delle piante nel modo migliore e sono la chiave per giustificare distanze strette tra di loro

Giovani piante allevate a Bibaum®

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allevamento e potatura il filare, legati ai sostegni in verticale e così curati a formare due cordoni. Di conseguenza essi formano una parete sottile e alta di frutti. La suddivisione delle piante in due cordoni porta con sè il vantaggio che è più facile tenerne sotto controllo lo sviluppo e inoltre fa diminuire le spese di potatura. Questa forma delle piante era stata già impiegata in tempi passati nella pratica frutticola, però allora si rinviava la biforcazione dell’astone dopo l’impianto e non in vivaio. Ora questa forma è ripresentata come innovazione dai vivaisti che ne hanno curato il nome, con la registrazione relativa e il marchio protetto Bibaum®. Questo sistema d’impianto nella coltura del pero presenta anche il vantaggio che è possibile impiegare un portinnesto un po’ più forte e robusto (per es. BA29 o Sydo). Anche nella coltivazione del melo il Bibaum® è già comparso in diverse aziende. Conclusioni Per lo meno in Alto Adige, ma anche in molte altre zone melicole, tutti questi nuovi sistemi d’impianto intensivo, con un numero molto elevato di piante, non hanno incontrato un grande successo, soprattutto per gli elevati costi d’investimento. In conclusione rimane accettabile nella pratica frutticola solo il sistema a fila singola per la facilità di gestione e il buon equilibrio tra quantità dei frutti prodotti e loro qualità. A ogni modo al posto delle 1800-2500 piante/ha iniziali, oggi si prendono in esame investimenti con un numero più elevato di piante che, tenuto conto della varietà, delle caratteristiche del terreno e della quota a cui si pianta, va dalle 2800 alle 4500 piante/ha, mentre per i tipi spur di Red Delicious su M9 sono consigliate da 5000 a 7000 piante/ha. Da parte dei vivaisti oggi sono offerte sul mercato piante di un anno, ben ramificate della classe I ed extra, oppure piante knip, dotate di germogli anticipati numerosi, fino a 10. In tal modo si presenta la possibilità, nel caso di una buona gestione delle cure colturali (irrigazione e concimazione) e con pochi interventi di potatura, di ottenere già al secondo anno d’impianto produzioni medie di 5 kg/pianta o più, mentre già al terzo, quarto anno si può giungere alla piena produzione, che arriva a 50-70 t/ha di ottima qualità. Questo sistema d’impianto non richiede, tutto sommato, costi d’investimento troppo elevati, è relativamente facile eseguire le cure colturali necessarie da parte del frutticoltore e porta appunto a raccolti in tempi brevi ed elevati per unità di superficie, come gli impianti superintensivi e come i sistemi più complicati nella gestione, tipo a V, mikado, drilling e altri. Inoltre, il sistema d’impianto a fila singola più intensivo è ancora conforme alle norme del programma PFI (Produzione Frutticola Integrata).

Nuovo sistema d´impianto a Y longitudinale o Bibaum®. Le piante preformate in vivaio come astoni bicauli sono messe a dimora con il doppio asse disposto in direzione del filare: si forma così una parete appiattita e alta. Il sistema è stato registrato con marchio protetto Bibaum®

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coltivazione Allevamento e potatura del melo nella forma a spindel (slender spindle, fusetto, superspindel e cordone) In passato le piante giovani erano sottoposte a una potatura piuttosto intensa, per indurre la formazione di un’ampia superficie produttiva. Una volta raggiunto questo obiettivo la pianta veniva mantenuta nella dimensione prefissata. Tutto ciò comportava una attenta e impegnativa opera di potatura sia invernale sia estiva. Oggi si mettono a dimora giovani piantine già dotate d’un certo volume produttivo, con cui ottenere dal secondo e terzo anno d’impianto produzioni elevate che consentono di raggiungere rapidamente produzioni complessive massime per unità di superficie. Proprio la fruttificazione indotta rapidamente frena lo sviluppo vegetativo e mantiene la pianta nelle dimensioni desiderate. Il taglio delle radici, le pennellature con prodotti a base di NAA e i trattamenti con regolatori di crescita, intesi a contenere la vigoria, dovrebbero esser impiegati solo quando sono proprio indispensabili e comunque non è mai opportuno pianificarne l’esecuzione già al momento di un nuovo impianto. Piante con vegetazione eccessiva all’apice formano molti rami lunghi, producono in modo alternante, con molti frutti in zone d’ombra, che, quindi, rimangono di qualità scadente. Pertanto la forma del fusetto deve essere rispettata rigorosamente, in quanto essa permette un utilizzo elevato della luce solare, garantendo produzioni di ottima qualità e abbondanti per unità di superficie.

Foto M. Galli

Produzioni regolari frenano la crescita delle piante Impianto fitto a fusetto slender spindle su M9 a fila singola, con distanze d´impianto consigliate pari a 3,5 × 1,25-1,50 m (1800-2300 piante/ha)

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allevamento e potatura Cura della pianta nell’anno d’impianto Le cure colturali da riservare alle piante nel primo anno d’impianto dipendono dal tipo di pianta prescelta, dalla varietà, dal portinnesto, dalla maturità del legno della pianta, dalla distanza tra le piante, dalle caratteristiche del terreno, dalla disponibilità di concimi e dalla possibilità d’irrigare. Qualora sia necessario procedere alla potatura invernale o a incisioni a caporale sarebbe opportuno attendere la ripresa vegetativa delle gemme. Ciò diminuisce il pericolo di un eventuale disseccamento, in quanto le ferite da potatura e da incisioni, aumentano l’evaporazione, e le poche radici presenti non sono ancora in grado di assorbire sufficienti quantità di acqua dal terreno. Trattamento dell’astone all’impianto Sono possibili diverse soluzioni: – Non spuntare l’astone. Questo modo di procedere si applica a varietà di debole vigoria, per esempio Braeburn, e su apici di rami corti e ben maturi di piante distanti fino a un metro. Questo trattamento non è idoneo per varietà come Gala e Kanzi, che hanno un accrescimento apicale molto dominante e neppure nei casi in cui l’astone è molto lungo. In tal caso, se il ramo non spuntato cresce debolmente, rischia di rimanere spoglio nella parte inferiore. – Legare l’astone piegandone la cima ad angolo retto, raddrizzandolo poi in autunno. Per interrompere già all’inizio la vigoria eccessiva dell’apice delle piante in varietà come Gala, Kanzi e Golden Delicious, che tendono a una forte vigoria apicale e a formare lunghi germogli non ramificati nella parte bassa, per distanze tra le piante fino a un metro, si piega la cima legandola ad angolo retto per poi riportarla nella sua posizione iniziale in autunno. Se invece si lega la cima a “schiena d’asino”, verso il basso, nella parte più alta della curvatura si formano cacciate

Giovane impianto con astone non cimato

Prolungamento intatto dell’astone centrale

Piegatura dell’astone centrale Gala alla quarta foglia

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coltivazione molto vigorose che ben difficilmente si potranno utilizzare per la struttura della pianta. L’astone, per quanto possibile, deve essere piegato in direzione Sud; in tal modo, dopo avere raddrizzato la cima, si ottiene un buon rivestimento dell’astone lungo la parte esposta a Nord, normalmente più difficile da rivestire per la minore esposizione alla luce solare. La parte esposta a Sud avrà senza dubbio maggiori possibilità di rivestirsi negli anni successivi. Con questo trattamento si ottiene una pianta con l’apice a rapida fruttificazione e uno sviluppo armonico. Le piante la cui cima dopo l’impianto è stata piegata verso Sud, dopo alcuni anni, non manifestano più alcun segno di tale piegatura. L’aspetto più positivo non è tanto il rivestimento contenuto quanto il prolungamento controllato della freccia. – Incisione a caporale sull’astone. In alcuni casi per favorire lo sviluppo delle gemme più deboli lungo l’astone occorre procedere all’incisione della corteccia al di sopra della gemma che interessa stimolare. Per questo lavoro si presta molto bene la piccola sega in dotazione al coltello tascabile svizzero. Se invece si incide la corteccia al di sotto della gemma, se ne evita lo sviluppo. Per questo motivo occorre incidere le gemme deboli al di sopra delle stesse, mentre le ultime 5-10 (esclusa la gemma apicale) vanno incise al di sotto. Le incisioni fatte sotto le ultime gemme della cima evitano lo sviluppo di un numero eccessivo di germogli (scope) e quindi favoriscono un rivestimento più equilibrato lungo tutto l’astone. – Cimatura dell’astone. Su astoni che hanno rami laterali troppo bassi, oppure un rivestimento anticipato insufficiente, occorre procedere al taglio della cima circa 30 cm sopra il punto in cui si desidera favorire il rivestimento di base della pianta. Se si procede all’incisione “a caporale” sotto la gemma, dalla seconda fino alla quarta gemma dell’apice rimasto, si evita un’eccessiva crescita delle gemme della cima vicine al punto di

Incisioni a caporale sopra la gemma per favorire lo sviluppo delle gemme più deboli lungo l’astone

Risultato vegetativo del taglio a caporale sotto la gemma

Incisione a caporale sotto la gemma per evitarne lo sviluppo

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allevamento e potatura taglio. In tal modo si ottengono rami a frutto orizzontali e brindilli, che sono favorevoli alla formazione di un astone “coronato”, con rapida messa a frutto. In caso contrario si formano rami concorrenti molto forti che sono sempre un problema per la formazione di un fusetto equilibrato. Strappare questi germogli apicali al di sotto del punto di taglio non porta alcun risultato positivo: per lo più vegetano negli stessi punti le gemme di riserva, che formano ulteriori germogli concorrenti ancora più eretti.

Foto M. Galli

Trattamento dei rami anticipati: – Potatura dei rami anticipati. Rami troppo eretti e troppo grossi, soprattutto quando il loro diametro supera la metà di quello dell’astone, devono essere eliminati subito, in quanto producono solo vegetazione e disturbano la formazione del fusetto. Anche i rami troppo bassi sono da togliere in quanto creano problemi all’esecuzione dei trattamenti da fare al terreno lungo i filari. – Non raccorciare i rami anticipati. Rami anticipati ben maturi e corti di piante collocate in terreni fertili e dotati di fertirrigazione a goccia non si devono raccorciare. Se manca una di queste condizioni la spinta vegetativa risulta in genere troppo debole e quindi si formano tratti troppo lunghi senza gemme sulle future branche a frutto. Sulla gemma apicale si forma per lo più un frutto che piega il ramo verso il basso provocandone l’invecchiamento. Se questo ramo si raccorcia al secondo anno, esso sviluppa per lo più solo al punto di taglio e quindi in modo troppo vigoroso. – Raccorciare i rami anticipati. I rami anticipati si possono raccorciare su varietà che fioriscono in modo eccessivo sui rami di un anno (per es. Braeburn), su rami lunghi e immaturi, dopo l’impianto in terreni poco fertili in cui non sia disponibile l’irrigazione a goccia. In questi casi occorre fare un raccorciamento drastico dei

Una potatura corretta determina un corretto sviluppo della pianta e un’abbondante fioritura

Germogli anticipati non cimati (Braeburn) Germogli anticipati cimati (Braeburn)

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coltivazione rami anticipati, in quanto lo sviluppo laterale dei nuovi germogli si verifica per lo più in un tratto di germoglio, lungo una ventina di cm sotto il punto di taglio. Su piante che tendono a produrre una abbondante vegetazione in agosto, occorre raccorciare i germogli deboli tra la primavera e l’estate, fino alle cacciate d’agosto. Nel caso d’impianti ultrafitti (a distanze d’impianto molto strette) il taglio di ritorno si deve adattare alle distanze tra le piante (la metà della distanza). Rami anticipati e raccorciati solo leggermente, producono per lo più alcuni rami subito sotto il punto di taglio (scope), mentre la parte restante rimane spoglia. Se i rami anticipati si raccorciano in modo eccessivo, crescono solo pochi germogli che sono quasi sempre troppo vigorosi. Varietà che fioriscono eccessivamente sul legno di un anno e formano solo foglie basali piccole (Braeburn), durante il lungo periodo della fioritura s’indeboliscono a tal punto che i germogli hanno difficoltà a produrre ramificazioni laterali e quindi tendono a rimanere spogli. In tal caso, raccorciare i rami anticipati scarica dalle piante una parte di questo stress e favorisce così la formazione di germogli laterali. – Raccorciare solo parzialmente i rami anticipati. Germogli destinati a formare l’impalcatura base della pianta a una determinata altezza sono da raccorciare leggermente, al fine di garantire uno sviluppo più robusto, in vista della loro fruttificazione su branche basali. Gli altri germogli anticipati in grado di fornire una produzione iniziale elevata non si raccorciano. – Piante giovani con scarsa ramificazione. Tali piante sono sempre difficili da trattare, in quanto generalmente non uniformi e reagenti in modo differente alle cure e, di conseguenza, richiedono più lavoro. Piante a buon mercato spesso diventano più costose. Per piante di questo tipo è necessario procedere a un

Parziale cimatura dei germogli anticipati

Foto R. Angelini

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allevamento e potatura raccorciamento un po’ sopra l’altezza a cui si desidera formare l’impalcatura di base. Tagliare o strappare i germogli?

Trattamento delle piante nell’estate dell’anno d’impianto Se durante il mese di maggio si tolgono i rami concorrenti al prolungamento dell’apice dell’astone, successivamente vegetano le gemme dormienti rimaste. Con questo intervento si evita la formazione di tratti spogli lungo l’astone e, inoltre, se ne controlla l’aumento del diametro. In tal modo si distribuisce la vigoria in misura equilibrata lungo l’astone e si interrompe nel modo migliore la dominanza apicale. – Dare forma a rami troppo eretti. Per dare una giusta posizione ai rami cresciuti troppo verticali, al momento in cui si vuole formare l’impalcatura basale delle piante, si può fissare a ogni palo dell’impalcatura, all’altezza di 70-80 cm perpendicolarmente al filare, un sostegno orizzontale lungo 80 cm (40 cm per ogni lato del filare) per formare una “pergoletta” basale. All’estremità del palo orizzontale si fissano due fili paralleli al filare ai quali è successivamente possibile legare i rami anticipati. Questo sistema è stato copiato dal sistema francese detto fusaxe. In questo modo i rami in produzione si appoggiano a tali fili di sostegno e non scendono più in basso per il peso dei frutti. I rami anticipati si possono mettere facilmente e relativamente in fretta, nella posizione voluta, anche mediante opportuni pesi legati con sottili fili di ferro ricoperti con carta. Dare la posizione desiderata ai rami anticipati mediante lo spago, che necessita di ben due nodi per legatura, richiederebbe, al contrario, un tempo eccessivo. Affinché i rami durante l’operazione di legatura non si spezzino, occorre dare loro una giusta torsione laterale. Con ciò si ottiene anche una diminuzione della vigoria del ramo e della formazione di germogli verticali.

• È frequente la pratica di strappare

i germogli in soprannumero invece di tagliarli; in tal modo si ottiene, in quei tratti, uno spazio vuoto e il prolungamento, a causa delle profonde ferite, diminuisce di vigore. Se nel momento dello strappo dei giovani ricacci si mette il pollice della mano alla base del germoglio e si rompe il getto al di sopra dell’unghia del dito, sul pezzo che rimane in sede si forma per lo più un brindillo fruttifero utile, oppure una gemma a fiore

Giovane impianto nella Val d’Adige

Foto R. Angelini

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coltivazione Se un germoglio immaturo si piega molto presto, l’apice può continuare a crescere ad arco verso l’alto. In questo caso si deve far ruotare la cima piegandola verso il basso. Se i rami lunghi e robusti si legano troppo tardi crescono ulteriormente in modo vigoroso lasciando lunghi tratti spogli alla base e non consentono la formazione di un fusetto equilibrato. Se nei sistemi d’impianto intensivo si vuole agire senza formare adeguatamente le piante, occorrono più interventi di potatura e di strappo dei rami, cosa che comporta come conseguenza maggior vigore e quindi richiede l’impiego di regolatori che frenano lo sviluppo stesso. L’angolo di piegatura dei rami anticipati deve essere adeguato alla vigoria varietale, alla distanza tra le piante e all’altezza finale prescelta per le stesse. Per varietà che su legno a frutto pendulo producono di norma solo frutti di qualità scadente, come Braeburn, Gala e gli spur di Red Delicious e nel caso di distanze d’impianto più larghe, i rami destinati all’impalcatura basale non si devono piegare più della posizione strettamente orizzontale, in quanto le branche invecchiano poi molto rapidamente e sono rinnovabili con difficoltà. Quanto più alto è il punto in cui s’insedia un germoglio laterale lungo il prolungamento dell’astone, tanto maggiore deve essere l’angolo di piegatura verso il basso. In questo modo si ottiene più facilmente la forma ideale del fusetto. – Raddrizzare la “freccia” dell’astone nel caso sia stato piegato all’impianto. Per frenare la crescita e per ottenere un rivestimento equilibrato dell’astone è decisivo il momento in cui si opera. Quanto prima si riporta la cima piegata verso l’alto (per

Scopo della piegatura e della legatura

• Se si piega direttamente un germoglio

verso il basso, si crea una gobba a “schiena di gatto”, sulla quale crescono ricacci verticali, dovuti alla dominanza apicale. Senza interventi di potatura, tali germogli verticali, non produttivi, crescono troppo forti, tanto che prima o poi si dovranno comunque eliminare. Scopo della piegatura e della conseguente legatura è quindi di fermare la crescita del germoglio in lunghezza favorendo al contempo lo sviluppo di germogli laterali e la fruttificazione, oppure una gemma a fiore

Cima inclinata dal peso dei frutti Fuji alla seconda foglia

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allevamento e potatura es. a fine giugno), tanto più vigorosa essa riprende a crescere. Quanto più tardi si fa invece quest’operazione (per es. a fine agosto, oppure nell’anno seguente), tanto più lenta è la crescita dell’apice. Il suo rivestimento in questo caso rimane unilaterale (a Nord) nei primi anni, ma si completa di solito in quelli successivi. Durante il lavoro di raddrizzamento dell’astone verso l’alto, può facilmente succedere che esso si rompa. Per evitare l’inconveniente, occorre ricordarsi, anche in questo caso, di eseguire una torsione laterale adeguata. Di conseguenza si forma un prolungamento dell’astone che ha subito una torsione e quindi la vigoria apicale risulta ulteriormente frenata. In ogni caso questo prolungamento dell’astone deve essere ben fissato al suo sostegno, per evitare che il peso dei frutti provochi la piegatura e la rottura. Piegare ad angolo retto e raddrizzare la cima (nel primo anno d’impianto) è certamente un gran lavoro in più, ma questo investimento di tempo ne fa risparmiare molto di più negli anni successivi, in quanto una pianta equilibrata, ben ramificata lungo l’astone, esige poco lavoro.

Foto FEM-IASMA

Altri interventi di potatura Spesso nella pratica agricola si provano soluzioni nuove alla ricerca della migliore combinazione tra qualità, quantità e costi di una messa a punto delle giovani piante del melo. Qui sotto sono indicati alcuni interventi che non sempre danno i risultati attesi: – Scacchiare l’astone. Nel caso di un prolungamento molto lungo, non maturo, dell’astone e distanze d’impianto larghe si può procedere alla scacchiatura dell’ultimo germoglio laterale dell’apice. I rami anticipati rimanenti sono vigorosi quanto la nuova cima dell’astone e sono in concorrenza con essa; possono quindi diventare troppo grandi e frenare il nuovo prolungamento vegetativo centrale a tal punto che esso rimane spoglio e debole. Viene così a mancare il volume della pianta e quindi la produttività; specialmente la varietà Braeburn reagisce male a questo tipo di potatura. – Spuntare le piante nel periodo della fioritura per migliorare la formazione del rivestimento laterale. Anche in questo caso si presentano problemi; infatti, le piante che si sono appena riprese dallo stress dell’impianto, con l’allontanamento di rami dotati di sostanze di riserva sono sottoposte a un ulteriore indebolimento. Le giovani piante emettono solamente più tardi nuovi germogli, che in gran parte non hanno più il tempo necessario per maturare. – Pennellare mediante una pasta all’1% di NAA, per favorire la ramificazione dell’astone. Le piante emettono germogli deboli e poco numerosi. Sopra e sotto il tratto pennellato rimangono per lo più tratti spogli al posto delle attese ramificazioni laterali.

Giovani impianti di melo in produzione

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coltivazione – Dimezzare a metà giugno i nuovi ricacci per favorire la ramificazione laterale. A questa potatura verde le piante reagiscono con una nuova forte emissione di germogli al di sotto del punto di taglio. Specialmente sulla varietà Braeburn molti di questi germogli rimangono vegetanti fino in inverno. – Legare in estate in posizione verticale verso il basso lungo il tronco tutti i nuovi ricacci per ottenere ramificazioni più robuste alla base della pianta. Lo sviluppo delle gemme nella parte bassa della pianta risulta più svantaggiato che favorito, per il fatto che i germogli della parte apicale si piegano su di esse, ombreggiandole. – Spezzare, in estate, soltanto i succhioni forti, per formare, dai germogli lunghi, altrettanti rami a frutto. La rottura dei germogli vigorosi e verticali, tecnica già indicata in un vecchio testo di oltre 100 anni, può avere come conseguenza, per effetto del vento, il disseccamento delle parti spezzate. Soltanto se si spezzano i germogli durante un periodo molto piovoso, si può evitare che le parti spezzate dei rami si secchino; solo così su quel germoglio si ottiene una buona cicatrizzazione del punto di rottura e la formazione di numerose gemme a fiore. – Non raddrizzare l’astone piegato, per formare al suo posto, con un ricaccio, il nuovo prolungamento apicale. Tali ricacci sono però molto vigorosi e come prolungamenti del tronco crescono molto più forti che nel caso in cui la cima iniziale fosse stata lasciata dritta.

Germogli anticipati cimati al secondo anno d’impianto

Potatura al secondo anno La potatura invernale si dovrebbe limitare solo alle correzioni dei rapporti tra l’astone centrale e le ramificazioni laterali. Il germoglio laterale non dovrebbe mai essere più grosso della metà del diametro dell’astone centrale. In questo momento non è il caso di spuntare o deviare l’astone centrale e le ramificazioni laterali. Se così si facesse si incentiverebbe ancora di più la vigoria del ramo nel punto di taglio. Piante che nel primo anno d’impianto sono cresciute poco, si potano solo leggermente. La scarica necessaria si fa mediante l’allontanamento dei fiori. Una potatura robusta toglie alla pianta molte riserve minerali presenti nel legno allontanato. Se sono state tolte le cause della crescita insufficiente della pianta, con una potatura forte essa produce pochi rami, ma molto lunghi. Per ottenere una costruzione conica dell’astone, anche nel secondo anno i nuovi rami (concorrenti), che si sviluppano sul prolungamento dell’astone centrale, si devono regolare in prossimità del giorno più lungo dell’anno (21 giugno). I rami di un anno che non sono stati ancora legati si devono quindi mettere in giusta posizione. Dopo la fioritura si vede se un ramo dev’essere legato, oppure se si piegherà spontaneamente sotto il peso dei frutti.

Fuji alla terza foglia

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allevamento e potatura Potatura al terzo anno Anche al terzo anno d’impianto occorre potare il meno possibile operando secondo gli stessi criteri illustrati per la potatura dell’anno precedente. Le piante devono essere un po’ più alte e più larghe alla base di quanto lo permetta la distanza d’impianto. All’estremità i rami delle piante contigue si possono sovrapporre. Un apice affusolato e più alto e una sovrapposizione dei rami a frutto non danneggiano le piante, ma, anzi, favoriscono il mantenimento di un buon equilibrio vegeto-produttivo. Qui è bene osservare che sono le produzioni regolari quelle che in primo luogo devono e possono tenere a freno la vigoria delle piante e d’altra parte le piante in equilibrio danno a loro volta produzioni regolari. Un raccorciamento troppo precoce dell’astone e dei rami laterali produce molta vigoria, poca produzione e nuovamente richiede molto lavoro. Spesso il palo di sostegno risulta troppo corto per poter eseguire le operazioni necessarie al prolungamento dell’astone e intese ad armonizzare la vigoria delle piante. Se l’apice viene deviato su un ramo laterale orizzontale, quando la pianta non è ancora in equilibrio, al suo posto crescono molti succhioni, che gettano ombra sulla parte sottostante Se, d’altra parte, oltre l’altezza del palo di sostegno si facesse una pennellatura sull’astone con NAA, in questo punto debole il ramo si romperebbe facilmente. Pertanto il palo di sostegno deve avere l’altezza degli apici delle piante a completo sviluppo.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Potatura nella fase produttiva La potatura di produzione, da questo momento in poi, dev’essere eseguita con l’obiettivo di mantenere una forma dell’albero tale da permettere una buona illuminazione a tutte le parti della chioma. A questo riguardo occorre fare attenzione che, soprattutto dalle parti più alte della pianta, siano allontanati i rami troppo grossi. Una cima slanciata e alta produce appunto meno zone d’ombra di una cima troppo rivestita. Ma anche nella parte inferiore della chioma sono da togliere i rami molto ricchi di vegetazione in quanto producono poco, favoriscono lo sviluppo delle radici e di conseguenza provocano nuovo eccesso di crescita vegetativa. Si deve raccorciare la cima solamente nel caso in cui sia piegata per il peso dei frutti. La sua deviazione si dovrebbe quindi fare su un ramo di 3 anni, che sia in posizione eretta e ricco di gemme a fiore. Prolungamenti di un anno, soprattutto succhioni, crescono troppo forti. Il ramo apicale deve avere una giusta vigoria, tale da non ostacolare la vegetazione sottostante, ma nello stesso tempo esercitare la funzione di cima. Nel caso in cui lo sviluppo della pianta fosse ancora troppo forte lo si potrà nuovamente correggere con una potatura. Se l’apice si devia su un ramo troppo orizzontale si formano molti germogli dorsali, che producono ombra e rendono necessario un ulteriore lavoro di potatura.

Giovani impianti in produzione

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coltivazione Momento della potatura su piante in produzione Nelle aree frutticole interessate da infezioni di colpo di fuoco batterico non si devono produrre ferite da taglio alle piante durante tutto il periodo vegetativo, e in particolare nella fase della fioritura, per l’elevato rischio di infezioni da parte del batterio E. amylovora.

Potatura e fasi fenologiche

• Non è consigliabile la potatura delle

piante poco prima, durante e dopo la fioritura a causa delle conseguenze negative che essa comporta: la potatura durante il periodo più impegnativo per la pianta produce ulteriore stress, non tollerato dalla maggior parte delle piante stesse

Potatura invernale. Il raccorciamento del legno a frutto in inverno favorisce lo sviluppo vegetativo. Questo intervento pertanto viene impiegato anche per rinnovare il legno a frutto piegato verso il basso, che si elimina. Per varietà che su legno pendulo portano solo frutti di qualità scadente, per es. Gala, Braeburn, Golden Delicious, Fuji e i tipi spur di Red Delicious, questo tipo di potatura del legno a frutto comporta produzione di frutti decisamente più grossi e pertanto risulta indispensabile per ottenere la qualità desiderata. Anche in inverno, asportando i rami troppo fitti, si dà alla pianta una forma favorevole alla penetrazione della luce, incentivando solo modestamente la crescita. La potatura invernale, però, va fatta con misura e in previsione del prossimo raccolto, adattandola alle caratteristiche della vigoria varietale. Infatti, una potatura troppo forte comporta di conseguenza il fatto che, in seguito, si dovrà procedere nuovamente a un potatura altrettanto forte. Varietà a crescita molto vigorosa, come Fuji, tollerano molto male il raccorciamento dei rami laterali; pertanto su tali varietà sarà opportuno far ricorso alla “potatura lunga“, cioè lasciare intatti i prolungamenti dei rami e raccorciare solo le branche a frutto, nonché eliminarne eventualmente alcune. Potatura estiva attorno al giorno più lungo dell’anno. La potatura estiva fatta in concomitanza dei giorni più lunghi dell’anno, detta anche potatura di giugno, frena nel modo più evidente lo sviluppo vegetativo e i nuovi germogli terminano per lo più con una gemma a fiore. Lo strappo dei succhioni dalle piante molto vigorose impedisce in quel punto l’emissione di nuovi germogli. Una potatura di giugno troppo forte frena soprattutto l’accrescimento dei frutti, favorisce la comparsa di rugginosità e, se si verificano eccessi di luce solare, si può avere anche la comparsa di ustioni sui frutti. Una potatura troppo vigorosa in questo periodo produce, d’altra parte, anche un forte aumento di nuovi germogli. Potatura per favorire la penetrazione della luce nella chioma. Per le varietà rosse, una potatura idonea ad allontanare i germogli inutili, alcune settimane prima della raccolta, può favorire la colorazione rossa della buccia. Anche questa pratica non si deve fare troppo presto e in modo eccessivo. In tal caso i germogli si devono togliere completamente alla base, oppure si devono tagliare su lunghi monconi. Se si lasciano solo

La ferita da strappo cicatrizza meglio e più rapidamente rispetto a quella da taglio

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allevamento e potatura monconi corti, alla raccolta si corre il pericolo di avere frutti danneggiati da ferite prodotte dai medesimi a causa del vento che li fa oscillare. Come appunto ricordato, non si devono mai fare potature drastiche. Pertanto è saggio, nel caso di correzioni di errori e su varietà molto vigorose, fare più interventi di potatura suddivisi nel tempo: quindi, in inverno fare la potatura del legno a frutto, prima della raccolta la potatura idonea a favorire l’illuminazione della chioma e dopo la raccolta il diradamento dei rami. Strappo dei rami. Togliere i rami inutili e i germogli a strappo, anziché con la forbice, frena lo sviluppo e diminuisce l’emissione di nuovi germogli. Si formano meno germogli lunghi e un numero maggiore di gemme a fiore, rispetto a quanto accade mediante il taglio. Le ferite prodotte dallo strappo cicatrizzano più rapidamente e meglio. Strappare rami grossi dalla zona bassa della chioma richiede una tecnica particolare, oppure molta forza e frena intensamente la crescita della parte posta oltre i punti di strappo. Se la potatura o lo strappo dei rami e dei germogli si fa in giugno, in fase di luna calante, si rafforza l’efficacia frenante sulla crescita. Nuove proposte di potatura delle piante Potatura dopo la raccolta. In autunno, le foglie, fino a quando rimangono verdi sulla pianta, producono continuamente assimilati che, in questo periodo, sono utilizzati per la maturazione del legno, per la formazione delle gemme a fiore, per l’accumulo di sostanze di riserva nelle radici. Pertanto, in autunno, si rileva uno sviluppo radicale intenso, che continua fino a quando il terreno gela. Mediante una potatura eseguita subito dopo la raccolta si riduce l’attività fotosintetica e, di conseguenza, le radici ricevono una quantità inferiore d’assimilati e crescono più debolmente. Una minore crescita della radici in tardo autunno significa anche uno sviluppo minore dei germogli nella stagione successiva. In tutti i casi, la potatura dopo la raccolta non si deve mai eseguire prima della seconda settimana di settembre, quando si può meglio sfruttare il tempo che intercorre tra due stacchi delle mele, oppure quando le piante di certe varietà sono troppo bagnate per permettere una buona raccolta, specialmente quando si tratta di Golden Delicious o di Pink Lady, molto sensibili alle pressioni, se raccolte in periodo umido. Comunque la potatura dopo la raccolta deve essere fatta in modo intenso solo su piante molto vigorose. Negli impianti in produzione occorre inoltre deviare la cima e curare il mantenimento della forma conica delle piante. Se un ramo a frutto, dotato di molte gemme a fiore, si lega in posizione verticale come prolungamento della cima, la cre-

Nelle piante potate dopo la raccolta, l’apice tende a essere in equilibrio vegetativo

Taglio delle radici o potatura dopo la raccolta?

• Partendo dalla tesi generalmente

accettata, che il volume delle radici rispecchia il volume della chioma di una pianta, con la potatura della chioma dopo la raccolta si dovrebbe limitare soprattutto lo sviluppo delle radici più profonde, che d’altra parte frena a sua volta la crescita dei germogli, con particolare riferimento alla parte apicale della pianta. Con il taglio delle radici, al contrario, si tagliano principalmente le radici laterali delle piante e si frena, in particolare, lo sviluppo della chioma bassa delle piante e solo poco si agisce sulla cima

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coltivazione scita si frena per un lungo periodo di tempo. Questo ramo a frutto, così legato, comanda la crescita della cima e permane per alcuni anni a sviluppo contenuto e fruttifero. Questo modo di legare si può già attuare in estate, nel momento della potatura in post-raccolta, oppure lo si può riprendere anche nella primavera successiva. Legare un germoglio a frutto è un’operazione, che al momento in cui la si esegue, richiede molto lavoro, ma ne fa risparmiare molto successivamente, in quanto per diversi anni non occorre più potare la cima. In appezzamenti dotati di reti antigrandine questo modo di trattare la cima presenta anche un ulteriore vantaggio. I germogli che da essa si svilupperanno ben raramente cresceranno fino alle reti, rimanendo deboli e sviluppandosi in verticale in modo stentato. Qualora sia necessaria una forte potatura correttiva, il freno alla crescita prodotto dalla potatura in post-raccolta può essere ulteriormente rafforzato mediante pennellature di NAA. Se, come di consueto, quest’operazione si fa in marzo, il NAA trattiene presso il punto pennellato la corrente, prevalentemente ascendente, del succo linfatico. Di conseguenza solo la parte del ramo pennellato è frenato nella sua crescita, mentre al di sotto di questo punto crescono forti germogli di prolungamento e molti succhioni, quindi si ha una vigorosa crescita mezzo metro più in basso. Se, al contrario, la pennellatura del punto di taglio con NAA si fa in autunno, questo ormone, che frena lo sviluppo, è trasportato dalla linfa, prevalentemente discendente, più in basso nel fusto. L’efficacia frenante, in tal modo, è distribuita più o meno in tutta la pianta. Il germoglio a fiore, così legato come apice, cresce dunque armonioso e produttivo.

Potatura dopo la raccolta in frutteti giovani

• In frutteti giovani che crescono troppo

vigorosi, dopo la raccolta è bene tagliare i rami troppo forti, per riportare le piante in equilibrio. Se si spezzano le cime dei germogli immaturi nel momento in cui si passa dal germoglio primaverile a quello estivo, diminuisce il pericolo di danni in inverno e si favorisce uno sviluppo dei germogli uniforme e robusto durante la successiva primavera

Potatura a finestra o potatura lunga. Con questo tipo di potatura fatta sopra le branche basali, si tagliano alcune branche a partire dal tronco. In tal modo l’allontanamento della branca crea una finestra e le branche sottostanti ricevono più luce. Questa circostanza migliora in modo evidente la produzione e la qualità dei frutti. Per varietà a vigoria debole, come Gala, Braeburn e Pink Lady, questo tipo di potatura non è così necessario, perché esse richiedono una potatura corta del legno a frutto, con la quale le piante ricevono luce a sufficienza fino al tronco. Nelle varietà a forte vigoria, per es. Fuji, per le quali è consigliabile la potatura lunga del legno a frutto, le finestre si ricoprono presto di vegetazione, tramite i rami a frutto lunghi e pendenti delle branche salvaguardate. Per la potatura lunga occorre però ricordare che i rami a frutto dovrebbero produrre almeno 10 foglie agli apici dei loro germogli; se manca ciò il ramo a frutto invecchia e i pochi frutti prodotti rimangono piccoli.

Potatura lunga

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allevamento e potatura Potatura a sperone. Appena il prolungamento dell’astone ha raggiunto l’altezza desiderata, esso si raccorcia (a metà della sua lunghezza) su gemme ben formate. L’anno successivo tutti i germogli verticali, presenti sulla cima, compreso il prolungamento dell’astone centrale, si raccorciano su gemme mal sviluppate della base (speroni). In questo modo si contiene semplicemente l’altezza della pianta nei limiti previsti. Anche i prolungamenti delle branche basali e dei rami a frutto, appena hanno raggiunto la lunghezza prevista, sono raccorciati su gemme mal sviluppate. Queste gemme si sviluppano più tardi e pertanto non fanno molta concorrenza ai giovani frutticini. I nuovi ricacci ritardati producono ormoni ai loro apici, ma attirano anche acqua ed elementi nutritivi dalle radici. Con ciò si esalta la vitalità dei germogli e della intera pianta. Speroni si possono lasciare anche alla base dei succhioni e dei germogli. Da questi monconi dei germogli si forma nuovo legno a frutto vicino alle branche e al tronco, cosa che a sua volta migliora la qualità dei frutti. Mediante la potatura a sperone si risparmia anche lavoro di formazione delle piante. Germogli troppo forti, che si formano dai monconi, si dovrebbero nuovamente tagliare a sperone, mentre si devono lasciare intatti i rami a frutto, che crescono orizzontali. Quanti più speroni sono fatti su una pianta, tanto più tranquillo e orizzontale si sviluppa un nuovo germoglio. Questa potatura su monconi di germogli è molto semplice e si può eseguire rapidamente. È anche molto facile da spiegare a personale non qualificato. Questo tipo di potatura si preferisce in grandi aziende, che spesso hanno operai giornalieri non specializzati.

Potatura a sperone per rinnovo del legno

Potatura a sperone alla sommità della pianta Potatura a sperone su rami laterali

141


il melo

coltivazione Concimazione e irrigazione Bruno Marangoni Elena Baldi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Concimazione e irrigazione Concimazione L’apporto di macro e micro-nutrienti, sia a livello dell’apparato radicale sia a livello della chioma degli alberi di melo, ha molteplici scopi: favorire la precoce entrata in produzione, migliorare le produzioni dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, mantenere costanti questi parametri negli anni di produzione dell’impianto, rendere sostenibile la gestione del meleto nel rispetto delle condizioni ambientali.

Asportazioni del melo

• Le quantità di nutrienti asportate

dal frutteto cambiano in funzione del genotipo, dell’età dell’impianto, dello sviluppo vegetativo, delle condizioni pedo-climatiche, della produttività e della tecnica frutticola impiegata

Esigenze nutrizionali del melo La conoscenza delle asportazioni e delle esigenze nutrizionali del melo è fondamentale per impostare un corretto piano di concimazione. In un esperimento condotto sulla cultivar Mondial Gala/M9, nei primi 6 anni dall’impianto, è risultato che il melo assorbe principalmente potassio (K) e calcio (Ca) e, in misura leggermente inferiore, azoto (N). La percentuale di nutrienti ripartita verso le foglie e quindi restituita al suolo con la filloptosi naturale è risultata massima (50%) nel caso del calcio, seguito dal magnesio (Mg, 39%), dal potassio (34%), mentre i frutti hanno asportato un’elevata frazione di potassio e relativamente meno fosforo (P), magnesio e azoto. Tali valori sperimentali permettono di definire gli apporti di nutrienti, considerando che solo gli elementi minerali presenti nel frutto e quelli fissati nello scheletro sono realmente asportati dal meleto, mentre quelli presenti nelle foglie e nel legno di potatura ritornano in gran parte al suolo ogni anno.

Quantità cumulata di nutrienti assorbita nei primi 6 anni dall’impianto da alberi della cultivar Mondial Gala (3000 piante/ha) e loro ripartizione interna

Stima delle asportazioni dei principali macronutrienti in un meleto in piena produzione Elemento

Asportazione (kg/ha)

N

90-100

P

10-20

K

115-150

Ca

130-140

Mg

20

Elemento

Totale (kg/ha)

Scheletro (%)

Foglie (%)

Legno potatura (%)

Frutti (%)

N

358

30

24

21

25

P

66

33

17

22

28

K

435

15

34

11

40

Ca

489

30

50

17

3

Mg

105

19

39

13

29

Fonte: Scandellari et al., 2008

Valutazione dello stato nutrizionale delle piante La frazione minerale del concime che effettivamente viene assorbita dall’apparato radicale può variare sensibilmente e i fattori che la condizionano sono la quantità di concime apportato, la dispo142


concimazione e irrigazione nibilità dell’elemento minerale nel terreno, l’esigenza nutritiva della pianta, le caratteristiche chimico-fisiche del terreno e del concime e le modalità di applicazione dello stesso. La conoscenza di questi parametri è fondamentale per poter effettuare concimazioni mirate, con lo scopo di massimizzare l’efficacia fertilizzante e quindi di ridurre l’apporto di elementi minerali di sintesi al suolo evitando le perdite per lisciviazione e il relativo inquinamento. In questo contesto si sono sviluppate diverse pratiche agronomiche aventi la funzione di valutare il livello nutrizionale delle piante e quindi di fornire indicazioni efficaci per applicare corretti programmi di concimazione. Le analisi del suolo e la diagnostica fogliare sono strumenti utili per impostare un corretto piano di concimazione anche se per entrambi è necessaria la presenza di valori di riferimento affidabili, ottenuti nel comprensorio di coltivazione. La documentazione cartografica dei suoli, unitamente all’analisi del terreno permettono di conoscere la potenziale fertilità del terreno. Le foglie sono molto sensibili e reagiscono con prontezza alle variazioni di fertilità del suolo per questo la diagnostica fogliare è un utile strumento per verificare il livello nutrizionale del meleto. Generalmente le analisi fogliari vengono effettuate su campioni prelevati dalla porzione mediana di rami di un anno, durante i mesi estivi (luglio-agosto), quando cioè la concentrazione degli elementi minerali delle foglie è stabile. I dati ottenuti dovranno essere poi confrontati con degli indici di riferimento, specifici per ogni specie arborea e riferiti al periodo in cui si vuole effettuare l’analisi. Analizzando i tessuti vegetali si può quindi rilevare qua-

Analisi rapida dello stato nutrizionale delle piante

• Sono state messe a punto delle

tecniche rapide e non distruttive tali da permettere un monitoraggio dello stato nutrizionale con maggiore frequenza e con particolare attenzione per l’analisi dell’azoto disponibile nel terreno e nelle foglie

• Sono due i sistemi che più di altri si

sono evoluti: l’analisi del contenuto del N-minerale della soluzione del terreno (estratta mediante lisimetri) e l’analisi del contenuto di N nelle foglie mediante misuratore di clorofilla Minolta SPAD

Intervalli di concentrazione fogliare (% sulla sostanza secca) di macro e microelementi riscontrate in meleti della cultivar Fuji in Emilia-Romagna in tre fasi del ciclo vegeto-produttivo Elemento

RQ-FLEX per l’analisi del contenuto di azoto nel terreno

Epoca Caduta petali

40 gg dopo caduta petali

Metà luglio

N (%)

3,40-3,90

2,40-2,80

2,40-2,70

P (%)

0,20-0,35

0,18-0,30

0,15-0,30

K (%)

1,20-1,80

1,20-1,70

0,80-1,40

Ca (%)

0,80-1,30

1,00-1,30

1,20-1,60

Mg (%)

0,20-0,30

0,25-0,30

0,20-0,40

Fe (ppm)

100-150

70-100

70-95

Mn (ppm)

11-220

15-45

22-55

Cu (ppm)

13-40

8-15

8-16

Zn (ppm)

30-70

28-50

20-30

SPAD per l’analisi del contenuto di azoto nelle foglie

143


coltivazione le elemento è presente in concentrazione non adeguata e intervenire con apporti mirati attraverso la concimazione. Gli indici di riferimento sono in genere riferiti ai mesi estivi e questo periodo, per la maggior parte delle colture arboree, coincide con l’ultima fase di sviluppo dei frutti. Ciò significa che i margini di intervento per recuperare eventuali carenze sono estremamente limitati soprattutto se vogliamo intervenire sulle caratteristiche produttive dell’anno. È necessario quindi avere a disposizione indici relativi a stadi fenologici precoci in modo da poter intervenire durante il ciclo vegeto-produttivo in corso e prevenire o migliorare eventuali carenze.

Concentrazione fogliare degli elementi minerali

• In una pianta da frutto i fattori che

influenzano la concentrazione minerale nelle foglie sono molteplici e, tra questi, i più importanti risultano essere il genotipo (specie, cultivar, portinnesto), l’età delle foglie, la carica produttiva dell’albero, l’ambiente pedoclimatico e le tecniche colturali applicate

Foto FEM-IASMA

Forme di azoto nel terreno

• Le forme azotate presenti nel terreno

possono essere ricondotte alla forma organica e a quella inorganica. In particolare, le forme di azoto prontamente disponibili nel terreno sono quella nitrica e ammonicale

Lisimetro

Principali elementi della nutrizione Azoto. L’azoto (N) rappresenta il più importante elemento per lo sviluppo e per l’attività produttiva delle piante arboree. L’azoto è alla base della sintesi proteica e, facendo parte della composizione della clorofilla, interviene indirettamente nella elaborazione dei carboidrati. La carenza di azoto determina una minore attività vegetativa, clorosi fogliari e influenza negativamente le produzioni, mentre eccessi causano una riduzione del sovraccolore, della consistenza della polpa e del contenuto zuccherino. L’assorbimento dell’elemento non è omogeneo durante tutta la stagione vegeto-produttiva ma varia durante le diverse fasi fenologiche degli alberi. Il melo è una specie in grado di rimobilizzare in primavera considerevoli quantità di riserve azotate precedentemente accumulate nelle radici, negli organi legnosi e nelle gemme. Alla fioritura, più del 95% dell’azoto presente nelle foglie delle lamburde, proviene dal ciclo interno. Al contrario, dopo la caduta dei petali e in corrispondenza con l’inizio del rapido accrescimento dei germogli, l’azoto assorbito dall’apparato radicale ha

• La forma ammoniacale, assorbita

dall’apparato radicale, viene direttamente assimilata in composti organici (aminoacidi e ammidi) che, in una seconda fase, possono essere traslocati per via xilematica verso i sink dell’albero

• La forma nitrica raggiunge la radice

per “flusso di massa” e, in funzione delle esigenze, può essere ridotta e quindi assimilata in composti organici a livello delle stesse radici, può essere accumulata nei vacuoli oppure può essere immediatamente traslocata verso la chioma

144


concimazione e irrigazione Ciclo interno dell’azoto Foto R. Angelini

Primavera Rimobilizzazione

Inverno

Assorbimento

Radici, fusto, rami, germogli

Estate

Foglie

Assorbimento

Ritraslocazione Autunno

una sempre maggiore incidenza, arrivando a rappresentare fino a circa il 50% dell’azoto totale presente nelle foglie dei germogli. Per questo motivo, le concimazioni azotate non vanno effettuate prima della fase di “bottoni rosa” poiché apporti più precoci risultano poco efficienti. Successivamente, al momento della fioritura, concentrazioni nel terreno di N-NO3– superiori alle 10 ppm (azoto minerale su terreno secco) sono sufficienti a garantire un corretto sviluppo dell’albero e quindi non sono necessari ulteriori apporti dell’elemento. Nel caso che vi sia una minore concentrazione di

Fase fenologica dei “bottoni rosa”; le concimazioni azotate vanno evitate prima di questo periodo poiché gli apporti precoci risultano poco efficienti Foto R. Angelini

Concentrazione di macronutrienti nei frutti di melo al momento della raccolta (valori espressi in g/t peso fresco; gli intervalli si riferiscono a diversi anni) Cultivar

Fuji

Località

N

P

K

Ca

Mg

(Italia)1

255-390

-

570-945

52-90

29-54

(N. Zelanda)2

311-469

73-121

860-1320

37-71

39-59

(Brasile)

407

74

725

43

49

(Italia)

345-495

-

540-1140

61-84

25-52

(N. Zelanda)2

322-482

84-112

1050-1400 47-79

47-65

(Brasile)3

464

73

774

53

58

(Brasile)

353

55

990

35

59

3

4

Gala

3

G. Delicious

Braeburn

5

(Canada)

462-603

137-156 1306-1460 36-42

59-66

(Slovenia)6

350-700

91-141

958-1677

34-83

51-66

(N. Zelanda)2

350-456

73-111

800-1260

43-63

40-64

A partire dalla post-allegagione in corrispondenza della fase di espansione cellulare dei frutti e di massimo accrescimento dei germogli si rende necessario l’apporto di 20-40 kg/ha di azoto pari al 60% del fabbisogno annuale

Gerin (2002); 2Palmer et al. (2006); 3Nachtigall et al. (2006); 4Simoni (2002); 5Guak et al. (2001); 6 Tojnko et al. (2002)

1

145


coltivazione N si può rendere invece necessaria una prima applicazione con circa 20-30 kg N/ha. A partire dalla fase di post allegagione, in coincidenza con l’inizio della fase di espansione cellulare dei frutti e del massimo accrescimento dei germogli, si rende necessario l’apporto di circa il 60% dell’azoto utilizzato dall’albero durante l’anno, cioè circa 20-40 kg/ha (in funzione della fertilità del suolo). Verso la fine dell’estate, fino alla fine di settembre, sono consigliati apporti di N al fine di migliorare la formazione di riserve, utili per il risveglio vegetativo dell’anno successivo. Così, anche dopo la raccolta è importante garantire una certa disponibilità di N nel terreno che si aggira intorno a 8 ppm di N-NO3–. La dose di N da apportare può venir calcolata sulla base delle asportazioni dei frutti, a loro volta funzione delle rese attese e della concentrazione di nutrienti dei frutti, oppure in funzione della disponibilità di azoto in forma minerale nel suolo.

Foto R. Balestrazzi

Fosfato biammonico

Fosforo. Il fosforo, sotto forma di fosfato, è un componente di numerosi composti presenti nelle cellule vegetali come gli zuccheri fosfati (importanti per la respirazione e la fotosintesi) e i fosfolipidi che costituiscono le membrane vegetali. Il fosforo viene asportato in misura molto ridotta rispetto all’azoto e al potassio. In funzione della disponibilità nel terreno sono generalmente necessari apporti annui pari a 30-40 kg/ha di P2O5. L’apporto del fosforo dovrà essere effettuato in particolare all’inizio dell’attività vegetativa; in questa fase, la presenza di adeguati livelli di P in corrispondenza dell’apparato radicale, incrementa l’accrescimento delle giovani radichette, migliora l’assimilazione di altri nutrienti, favorisce lo sviluppo delle foglie e migliora la nutrizione degli organi riproduttivi.

Foto R. Balestrazzi

Potassio. Il potassio gioca un ruolo essenziale in diverse funzioni fisiologiche come la fotosintesi, la biosintesi di proteine e carboidrati, l’osmoregolazione, l’espansione cellulare, il movimento delle cellule stomatiche e la regolazione di numerose attività enzimatiche. Nel caso la dotazione del suolo sia ritenuta normale, si consiglia di apportare la quota di elemento asportato annualmente dai frutti. Se invece la dotazione del suolo è bassa allora, la frazione asportata dai frutti dovrà essere integrata con una quota base (20-40 kg K2O/ha) al fine di ripristinare la fertilità del suolo. In ogni caso si preferisce distribuire l’intera quantità di K in primavera, frazionandola in due o tre apporti per non aumentare eccessivamente la concentrazione nella soluzione del terreno. Nei casi di apporti annuali superiori ai 100 kg/ha si può distribuire parte del K in post-raccolta, eventualmente utilizzando un formulato che contenga anche N. Laddove si manifestasse una disponibilità più elevata (per es. 180-200 ppm di K in un suolo di medio impasto) la fertilizzazione può essere ridotta a 40-50

Nitrato potassico Foto R. Balestrazzi

Scorie Thomas

146


concimazione e irrigazione kg/ha, mentre nel caso di dotazioni ancora maggiori (>200 ppm) essa può essere sospesa per alcuni anni. A tale proposito va sottolineato che un’eccessiva disponibilità di K nel terreno può comportare fenomeni di competizione con riduzione dell’assorbimento del Ca e del Mg.

Potassio

• Il K è caratterizzato da un’elevata

mobilità nelle piante a tutti i livelli, cellulare, istologico e nel trasporto a lunga distanza via xilema e floema, è inoltre estremamente importante nella traslocazione dei fotosintetati negli alberi. In questo senso, la presenza del potassio condiziona l’accrescimento del frutto e le sue caratteristiche organolettiche influenzando l’equilibrio acidi/zuccheri e la colorazione dell’epicarpo. In particolare, relativamente a frutti di melo, sono state osservate correlazioni positive tra il contenuto di K e l’acidità, il contenuto in zuccheri solubili e il sovraccolore, mentre un elevato rapporto K/Ca influenza negativamente la durezza del frutto e le sue caratteristiche di conservabilità

Foto F. Venturi

Il potassio è l’elemento minerale che più di ogni altro stimola la colorazione dei frutti

Calcio. Il calcio (Ca) svolge un importante ruolo nello sviluppo della pianta in quanto regola numerose funzioni cellulari, preserva l’integrità e la stabilità della membrana citoplasmatica e conferisce resistenza alla parete cellulare attraverso legami con le pectine della lamella mediana. Il Ca è un elemento molto importante per la qualità dei frutti: migliora la consistenza della polpa e riduce la suscettibilità a diverse fisiopatie come la butteratura amara, il

Foto R. Angelini

Foto F. Venturi

Il corretto rapporto foglie/frutti è fondamentale per garantire la concentrazione ottimale di calcio nel frutto e ridurre quindi la possibilità di fisiopatie dovute alla sua carenza

In Golden Delicious il calcio è polarizzato dal frutto fino al momento del suo distacco dall’albero

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coltivazione disfacimento interno, il riscaldo, la plara e la tuberosi. La somministrazione di Ca, per la limitatissima mobilità di questo elemento nel terreno, non prevede apporti annuali al suolo ma solo concimazioni pre-impianto in caso di evidenti carenze. Durante gli anni di produzione si cerca di favorire l’assorbimento del Ca soprattutto durante le prime 4-6 settimane dalla fioritura quando, in seguito alla maggiore attività traspiratoria, si evidenzia un maggiore accumulo dell’elemento nel frutto. Durante le prime 4-6 settimane dopo la fioritura, è consigliato evitare o ridurre l’apporto di nutrienti come NH4+, K+ e Mg2+ che possano limitare l’assorbimento del Ca2+ a livello dell’apparato radicale mentre, per migliorare la traslocazione del Ca nei frutti attraverso i flusso xilematico, è necessario ridurre la competizione con i germogli controllandone la vigoria vegetativa. Un rapporto foglie/frutti troppo alto tende a favorire le dimensioni del frutto e quindi una diluizione di calcio nel frutto stesso riducendone la concentrazione.

Calcio e sensibilità alle fisiopatie

• Un parametro molto importante al fine di

determinare la sensibilità alla fisiopatie è dato dal rapporto K/Ca; in Alto Adige, per esempio, al fine di prevenire l’incidenza della butteratura amara è stato stabilito che il rapporto ottimale, deve essere inferiore a 30. Tuttavia, la concentrazione di Ca e il rapporto K/Ca variano da frutto a frutto e l’insorgenza di fisiopatie risulta particolarmente probabile in annate di scarica e nei frutti interni della chioma

Magnesio. Il magnesio svolge un ruolo importante nell’attivazione di enzimi coinvolti nella respirazione, nella fotosintesi e nella sintesi di DNA ed RNA. La somministrazione di magnesio è molto importante durante gli anni di elevata carica produttiva e generalmente le asportazioni annuali sono pari a circa 10-20 kg/ha. Una forte disponibilità di K nel suolo può determinare carenze di Mg nelle foglie; si rende quindi necessario prestare attenzione alle concimazioni potassiche e, in caso di elevate produzioni degli alberi, viene consigliato di apportare Mg al suolo con solfato di Mg. Elevate concentrazioni di Mg nel suolo possono ridurre l’assorbimento del Ca, si consiglia pertanto di effettuare eventuali apporti 4 settimane dopo la fioritura.

Apporti di calcio e sensibilità varietale alle fisiopatie

• In cultivar come Braeburn, il Ca cessa

di essere ripartito verso i frutti circa 35 giorni prima della raccolta, mentre in Golden Delicious il Ca è polarizzato dal frutto fino al momento del suo distacco dall’albero. Queste informazioni permettono di stimare la potenziale conservabilità delle diverse varietà, infatti Golden Delicious, poco incline a fisiopatie del post-raccolta, è in grado di accumulare Ca fino alla raccolta

Microelementi. Il ferro (Fe) svolge importanti funzioni metaboliche nella foglia come per esempio la sintesi della clorofilla e la regolazione di molti sistemi di ossido-riduzione nei cloroplasti e nei mitocondri. La carenza di Fe si evidenzia con una tipica clorosi fogliare internervale la quale, se non viene controllata, può determinare una riduzione delle capacità vegeto-produttive della pianta. Il melo è una specie mediamente sensibile ma, in impianti posti su terreni calcarei, la clorosi ferrica si può manifestare penalizzando la produttività della coltura. Per prevenire le carenze ferriche è consigliato l’apporto di sostanza organica sulla fila, mentre, in caso di clorosi fogliari, è necessario l’apporto di chelati di Fe (Fe-EDTA, Fe-EDDHA, Fe-DTPA) al suolo, per migliorare la disponibilità e l’assorbimento di questo micro-nutriente, a livello degli apici radicali oppure attraverso irrorazioni fogliari. Il boro (B) ha un’importante ruolo nella sintesi, trasporto e accumulo degli zuccheri, soprattutto nel loro passaggio attraverso le

Carenza da magnesio

• I sintomi della carenza di Mg sono più

specifici e compaiono, sotto forma di aree clorotiche sulle foglie che possono diventare necrotiche, in suoli sciolti o in presenza di elevate dotazioni di K

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concimazione e irrigazione membrane cellulari. Il boro interviene inoltre nel processo riproduttivo, influenzando la germinazione del polline, lo sviluppo del budello pollinico (e quindi la fecondazione del fiore) e l’attività meristematica degli apici dei germogli e delle radici; questo elemento risulta importante anche nel controllo dell’assorbimento e della mobilità del Ca. Eventuali carenze, rilevabili mediante le analisi fogliari, devono essere prontamente recuperate attraverso irrorazioni fogliari autunnali o primaverili. L’apporto di B è importante soprattutto in quei frutteti che manifestano problemi di allegagione e cascole di fiori; prima della fioritura (per es. a bottoni rosa) può essere quindi consigliabile l’utilizzo di concimi fogliari contenenti B al fine di aumentare la vitalità del budello pollinico. Un eccesso di boro, in seguito a trattamenti fogliari, può però accelerare la maturazione e lo sviluppo del colore rosso dei frutti e determinare un aumento dell’incidenza del disfacimento interno durante la conservazione. È necessario tuttavia prestare molta attenzione all’utilizzo di questo elemento perché le soglie di carenza e tossicità sono molto vicine tra loro. Il manganese (Mn) può risultare carente in suoli sciolti, calcarei, sub-alcalini e in presenza di elevate concentrazioni di Ca e Mg. Carenze di Mn possono comparire più facilmente in alcune varietà come Golden Delicious, Gala e Fuji, soprattutto se innestate su portinnesti vigorosi come M11 e MM106. I sintomi della carenza sono riconducibili a un ingiallimento internervale accompagnato, nei casi più gravi, da filloptosi (per es. Golden Delicious). Negli ambienti italiani dove si sviluppa la melicoltura non si osservano carenze di elementi come zinco (Zn) e rame (Cu) prin-

Foto FEM-IASMA

Sintomi di clorosi ferrica Foto F. Venturi

Foto P. Amadei

Il boro interviene nel processo riproduttivo, influenzando la germinazione del polline, lo sviluppo del budello pollinico e quindi la fecondazione del fiore. Pertanto è consigliabile prima della fioritura l’utilizzo di concimi fogliari contenenti boro per aumentare la vitalità del budello pollinico Sintomi di carenza da magnesio

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coltivazione cipalmente perché essi vengono somministrati con i trattamenti antiparassitari.

Foto FEM-IASMA

Tecniche di applicazione La concimazione del melo può essere distinta in funzione del momento (concimazione d’impianto e di copertura) e della modalità (concimazione tradizionale, fertirrigazione e concimazione fogliare) con cui essa viene effettuata. Concimazione di impianto. La concimazione d’impianto o di “fondo” ha lo scopo di costituire nel suolo un’adeguata e omogenea riserva di elementi nutritivi indispensabili al ciclo della coltura. Questa concimazione deve essere impostata dopo un’analisi attenta delle caratteristiche fisico-chimiche del suolo e in particolare della disponibilità degli elementi minerali. L’apporto della sostanza organica e degli elementi minerali cambia a seconda che si intervenga su terreni “pesanti” oppure su quelli a scheletro prevalente o in quelli sabbiosi. Nel primo caso è opportuno calcolare la dose di potassio e fosforo da apportare in base alla dotazione del terreno mentre, nel caso di terreni sciolti, è opportuno limitarsi all’apporto della sola sostanza organica. La sostanza organica, apportata nell’ordine di circa 60-80 t peso fresco/ha, contribuisce a migliorare la stabilità della struttura, la solubilizzazione degli elementi minerali nonché una loro più facile assimilazione da parte degli apparati radicali degli alberi e permette di stimolare l’attività microbica del terreno. In presenza di terreni sciolti, dove il fenomeno della mineralizzazione è piuttosto intenso, è consigliato l’apporto di sostanza organica ogni due-tre anni. L’apporto degli elementi minerali nella fase di pre-impianto dovrà essere effet-

Concimazione a spaglio in copertura

Applicazione di compost per migliorare il contenuto di sostanza organica nel terreno Concime granulare distribuito al terreno

Foto FEM-IASMA

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concimazione e irrigazione tuata tenendo conto della dotazione del terreno. Con dotazioni elevate non sono necessari apporti, mentre con una disponibilità normale vengono consigliati apporti di P2O5 pari a 200-250 kg/ha e di K2O pari a 150-200 kg/ha. Se invece la dotazione del terreno risulta bassa sono necessarie reintegrazioni pari a 300-350 kg/ha di P2O5 e 250-300 kg/ha di K2O. Nell’ambito della concimazione d’impianto, l’apporto del fosforo localizzato in corrispondenza dell’apparato radicale (a contatto con le giovani radichette) dei giovani astoni di melo, è un operazione importante per l’effetto starter: stimolazione della crescita radicale e migliore differenziazione a fiore. Concimazione di copertura. La concimazione di copertura ha lo scopo di accelerare l’entrata in produzione degli alberi, riducendo la fase di allevamento, e di garantire adeguati livelli produttivi dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo durante la fase di piena produzione. La concimazione di copertura si esegue mediante l’applicazione degli elementi fertilizzanti al suolo e può essere affiancata dalla concimazione fogliare e dalla fertirrigazione. La scelta della modalità dipende dalle necessità dell’albero, dalle caratteristiche dei nutrienti da distribuire e dall’obiettivo che vogliamo raggiungere. Le dosi, i tempi e le modalità con cui i vari fertilizzanti devono essere apportati possono variare di anno in anno in funzione delle necessità nutrizionali delle piante. Per raggiungere una precoce potenzialità produttiva, è necessario favorire una rapida formazione della struttura scheletrica. La concimazione al suolo (granulare e/o mediante fertirrigazione) viene effettuata per apportare macro-elementi come N, P, K, Mg e micro-elementi come il Fe, mentre la concimazione eseguita attraverso irrorazioni fogliari viene utilizzata per apportare macro-nutrienti come l’N e il Ca e micro-nutrienti come Fe, Mn, B, Zn e Cu.

Particolare della concimazione minerale

Parametri che influenzano l’efficacia dei concimi granulari

• La permanenza di un certo grado

di umidità se da un lato permette una continua attività dell’assorbimento radicale dall’altro garantisce la disponibilità dei sali minerali che possono raggiungere il capillizio radicale per “flusso di massa” o per “diffusione”

• Il verificarsi di condizioni di siccità

e la mancanza di sistemi d’irrigazione comportano una riduzione della mobilità dei sali minerali che saranno conseguentemente più soggetti a processi di trasformazione (per es. insolubilizzazione) tali da renderli meno disponibili per le piante

Concimazione tradizionale di produzione. La concimazione tradizionale consiste nell’applicazione di fertilizzanti granulari al suolo generalmente rappresentati da concimi organici e minerali. La distribuzione dei concimi viene eseguita a spaglio con distribuzione su tutta la superficie del frutteto oppure può essere localizzata in corrispondenza dell’asse del filare. L’efficacia della distribuzione dei fertilizzanti sulla superficie del terreno è legata alla velocità con cui il fertilizzante raggiunge la zona di suolo occupata dagli apparati radicali degli alberi. L’efficienza di questa tecnica dipende quindi da particolari fattori come la solubilità in acqua del concime applicato, l’umidità del terreno, il verificarsi di piogge oppure l’uso di irrigazione in grado di poterlo veicolare verso le radici assorbenti e la densità di impianto. Le dosi e i tempi di applicazione dei concimi granulari sono in funzione del nutriente da distribuire. Per l’azoto sono previste 2-3 applicazioni annuali con dosi variabili in funzione dello stadio fe-

• Anche le caratteristiche fisiche del

terreno vanno a influenzare l’attività degli elementi somministrati, in modo particolare, la frazione colloidale del terreno rallenta il movimento di K e P; infatti, nel caso di terreni pesanti, si rende necessaria una maggiore quantità di acqua per favorire il movimento di questi ioni

151


coltivazione nologico mentre, per elementi come il P e il K, viene effettuato un unico intervento annuale. L’apporto unitario del nutriente è quindi caratterizzato da dosi piuttosto alte che, in condizioni favorevoli, possono determinare concentrazioni eccessive dell’elemento e quindi “consumi di lusso” da parte degli alberi e, nel caso dell’azoto, possono essere causa di perdite per dilavamento e conseguente inquinamento delle falde. Con la concimazione “tradizionale” non sempre si eseguono interventi coincidenti con le fasi di maggiore richiesta dell’elemento da parte dell’albero. Fertirrigazione La fertirrigazione è una tecnica agronomica che fornisce gli elementi nutritivi, necessari alla vita delle piante, attraverso l’acqua d’irrigazione e presenta innumerevoli vantaggi rispetto alla concimazione tradizionale. Essa rappresenta il sistema più adatto a una nutrizione mirata del melo, specie quando si adottano portinnesti nanizzanti (M9) ed elevate densità d’impianto. Con questa tecnica è inoltre possibile l’acidificazione della soluzione fertilizzante attraverso l’uso di acidi inorganici, permettendo una temporanea riduzione del pH della soluzione del suolo e quindi aumentando la disponibilità di alcuni elementi altrimenti trattenuti dal terreno. La fertirrigazione permette inoltre una maggior flessibilità nella gestione della nutrizione del frutteto determinata dalla possibilità di intervenire con la massima tempestività a fronte delle reali esigenze nutritive delle piante in modo da sincronizzare le esigenze della pianta con la somministrazione di nutrienti. La possibilità di poter frazionare l’applicazione dei diversi nutrienti permette di ridurre le inefficienze tipiche della

Attraverso l’impianto d’irrigazione è possibile somministrare gli elementi nutritivi necessari alla vita delle piante

Fertirrigazione

Confronto tra l’N apportato mediante concimazione tradizionale (mg N/albero) e la disponibilità di N-NO3– nel terreno 20 15 10

mg N/albero

152

mg N-NO3–/kg terreno

6-ott

16-set

27-ago

7-ago

18-lug

28-giu

5 8-giu

parallelamente alle tecniche di microirrigazione localizzata (irrigazione a goccia o microaspersione) che permette di applicare l’acqua di irrigazione in corrispondenza dell’apparato radicale delle piante, nella zona interessata ai meccanismi di assorbimento, consentendo un risparmio di risorse idriche per la riduzione delle perdite per evaporazione e per dilavamento

25

19-mag

16 14 12 10 8 6 4 2 0

29-apr

• La sua applicazione si è evoluta

9-apr

gli elementi nutritivi attraverso l’acqua d’irrigazione

20-mar

• È una tecnica che permette di fornire

0


concimazione e irrigazione Esempio di piano di fertirrigazione del melo N P K Mg (kg/ha) (kg/ha) (kg/ha) (kg/ha)

Periodo

Concime

Vantaggi della fertirrigazione

Dal 11/04 al 10/05

11,8

9,2

3,5

-

NPK 14-25-5

Dal 11/05 al 10/06

42

8,2

17,6

7,0

NPK 20-9-10 + Mg

Dal 1/07 al 31/07

14,4

4,4

24,2

3,0

NPK 10-7-20 + Mg

Dal 1/08 al 10/09

11,8

3,2

54,7

-

NPK 8-5-44

Totale

80

25

100

10

• Uniforme distribuzione dei fertilizzanti nel volume di suolo bagnato, dove è maggiore l’attività radicale

• Possibilità di veicolare elementi

poco mobili nel terreno, quali P e K, rendendone più agevole l’assorbimento da parte dell’apparato radicale

• Frazionamento degli apporti di elementi

concimazione tradizionale. Allo scopo di ottimizzare l’efficienza del fertilizzante è importante che il formulato si sciolga rapidamente nella soluzione del suolo, che gli elementi minerali giungano in soluzione alle radici e che quest’ultime siano in attiva crescita e quindi ricche di peli radicali, particolarmente attivi nell’assorbimento minerale. La fertirrigazione facilita questa prima fase attraverso la miscela del concime granulare con l’acqua di irrigazione, la quale veicola verso le radici degli alberi gli elementi nutritivi in essa disciolti. Tuttavia, la fertirrigazione è una tecnica i cui effetti benefici sono subordinati a un’attenta conoscenza di tutti i fattori che condizionano le caratteristiche vegeto-produttive del frutteto e, se impropriamente applicata, può essere causa di danni alle piante, quali fenomeni di salinità o squilibri nutrizionali. Per evitare eccesso di salinità nel terreno i valori di conducibilità della soluzione erogata non devono superare i 1500-2000 μS/cm, in genere corrispondenti a un rapporto tra concime e acqua pari a circa 1:500. Le acque d’irrigazione possono avere valori medi di conducibilità elettrica variabili tra 250 e 750 μS/cm (0,25 e 0,75 dS/m).

minerali in piccole dosi, con riduzione dei rischi di dilavamento, particolarmente sentiti per l’N

• Migliore capacità di regolare l’attività

vegeto-produttiva, con anticipo della formazione di gemme a fiore e più precoce entrata in produzione del meleto, rispetto a una distribuzione del fertilizzante in forma granulare

• Riduzione delle dosi di concimi che

può arrivare fino al 30% rispetto alla fertilizzazione tradizionale

350

14

300

12

250

10

200

8

150

6

100

4

50

2

0 aprile

0 maggio

giugno

luglio

mg N-NO3–/kg suolo

mg N/albero/giorno

Confronto tra l’N apportato mediante fertirrigazione (mg N/ albero/giorno) e la disponibilità di N-NO3– nel terreno

Pompe elettriche per iniettare i concimi

agosto settembre ottobre

153


coltivazione Un altro aspetto importante è rappresentato dal pH della soluzione erogata, che si deve mantenere al di sotto di 7 per evitare che si formino sali insolubili come quelli di Mg e di Ca che possono occludere i gocciolatori e quindi per preservare più a lungo la funzionalità dell’impianto. Valori ottimali sono compresi tra pH 5,5 e 7, nel caso in cui sia necessario abbassare il pH della soluzione fertirrigata viene consigliato l’uso di acidi.

Concimazione fogliare

• È un metodo efficace di concimazione

sia per i macroelementi sia per i microelementi quando si manifestano stress nutrizionali che richiedono interventi mirati e tempestivi. L’efficacia dei trattamenti fogliari dipende tuttavia dalla quantità di nutrienti richiesta ed è generalmente maggiore per i microelementi che sono necessari in quote minori

Concimazione fogliare Le piante sono in grado di avvalersi della concimazione epigea, grazie alla capacità dei nutrienti di essere assorbiti dalle foglie. L’assorbimento da parte delle foglie avviene in tre passaggi: dopo che i nutrienti si sono depositati sulla superficie fogliare, essi devono 1) penetrare la cuticola e l’epidermide per diffusione; 2) venire assorbiti sulla superficie delle membrane citoplasmatiche; 3) passare attraverso le membrane ed entrare nel citoplasma. L’ambiente e la luce possono influenzare l’assorbimento fogliare agendo sullo sviluppo della cuticola e/o sui processi fisiologici legati ai meccanismi di assorbimento. In primavera la velocità di espansione delle foglie è superiore alla deposizione di cere, quindi la quantità di cera per unità di superficie è minore e l’assorbimento è perciò facilitato. Affinché la concimazione fogliare determini una risposta positiva è necessario: – che l’albero sia carente di un dato nutriente, se invece lo stato nutrizionale è adeguato, l’apporto di concime fogliare non solo sarà inutile ma addirittura può divenire pericoloso per l’effetto antagonistico verso altri nutrienti; – che la quantità di nutriente apportato soddisfi le esigenze del momento. Come nel caso della fertirrigazione anche la concimazione fogliare permette di sincronizzare la disponibilità di nutrienti con le richieste della coltura. Questa caratteristica si esplica indipendentemente dalle condizioni del terreno, anzi il ricorso alla somministrazione fogliare di nutrienti è giustificato proprio nei casi in cui, a causa di difficili condizioni pedologiche (per es. pH elevato, presenza di carbonati, elevata capacità di scambio cationico), si assiste a un’insolubilizzazione dei nutrienti che renderebbe poco efficiente l’apporto di concime al terreno. L’azoto assorbito per via fogliare deve essere metabolizzato nella pianta prima di poter essere utilizzato; il metabolismo coinvolge diverse reazioni come l’idrolisi dell’urea, la riduzione del nitrato e l’inserimento dell’ammonio negli aminoacidi: in pratica, almeno per l’azoto, sono state evidenziate differenze tra il metabolismo dell’elemento assorbito per via radicale e quello assorbito per via fogliare. Occorre tenere in considerazione le forme di N somministrato per via fogliare. Molti formulati contengono tutte e tre le forme di azoto (urea, ione nitrato, ione ammonio). Considerando il

Caratteristiche botaniche delle foglie e concimazione fogliare

• Le foglie di melo presentano una buona

attitudine all’assorbimento degli elementi nutritivi; in particolare, la presenza di tomentosità è stata associata alla ritenzione idrica delle foglie e al conseguente miglior assorbimento delle soluzioni irrorate. Per questo motivo la presenza di foglie giovani, che dispongono di una maggiore tomentosità della pagina inferiore, favorisce un migliore assorbimento di elementi nutritivi

154


concimazione e irrigazione Condizioni agronomiche e fisiologiche che motivano il ricorso alla concimazione fogliare Obiettivo

Esempio

Prevenire o curare carenze nutrizionali temporanee

Quando la richiesta di nutrienti supera il tasso di assorbimento radicale

Superare le condizioni del suolo che limitano la disponibilità o l’assorbimento di nutrienti e accelerare la risposta della pianta

In condizioni avverse per la crescita radicale (per es. pH, temperatura del suolo e aerazione sfavorevoli)

Aumentare le riserve di nutrienti per la rimobilizzazione nell’anno successivo

Si applica agli elementi che hanno elevata mobilità floematica (N)

Curare o prevenire carenze nutrizionali in organi specifici causate da problemi di ridistribuzione del nutriente all’interno della pianta

Si applicata a nutrienti come il calcio che si muove principalmente attraverso il flusso traspiratorio

Fornire nutrienti a piante con apparato radicale molto profondo quando le applicazione superficiali non sono efficaci

Si applica principalmente al K, Ca e Mg la cui penetrazione in profondità è spesso difficile e, in generale, in condizioni di assenza di irrigazione o di piogge

Foto R. Balestrazzi

Urea granulare: la sua somministrazione per via fogliare può determinare un incremento del contenuto di clorofilla nelle foglie, con effetti positivi sull’attività fotosintetica e il trasferimento di metaboliti dalle foglie ai semi e ai frutti

controllo dell’ammonio sulla riduzione del nitrato, risulta che i nitrati non vengono utilizzati dalle foglie finché non viene assorbito tutto l’ammonio. Allo stesso tempo l’ammonio viene rapidamente a formarsi dall’urea. Le applicazioni fogliari di urea tecnica sono particolarmente indicate in presenza di un’elevata allegagione, quando le riserve dell’albero sono ormai esaurite e se contemporaneamente l’assorbimento radicale è limitato dalle basse temperature e dall’elevata umidità del suolo. In questa fase le somministrazioni di urea possono determinare un incremento del contenuto di clorofilla nelle foglie con effetti positivi sull’attività fotosintetica e il trasferimento di metaboliti dalle foglie ai semi e ai frutti. Le applicazioni di urea risultano essere efficaci anche in post-raccolta in quanto permettono: – di ristabilire le riserve azotate; – un positivo effetto sullo sviluppo delle gemme a fiore; –u na migliore allegagione e produzione nella stagione successiva. Sebbene la maggior parte del calcio presente nei frutti provenga da assorbimento radicale, i trattamenti alla chioma sono spesso necessari per aumentarne la concentrazione di Ca nel frutto. Durante la prima fase del ciclo vegeto-produttivo il frutticino compete con i germogli per l’accumulo di Ca per cui, sebbene la cuticola del frutto sia molto permeabile ai sali di Ca, nella pratica si preferisce eseguire i trattamenti fogliari nella seconda fase di sviluppo del frutto, quando la frazione di Ca proveniente da assorbimento

Foto R. Angelini

Le applicazioni fogliari di urea tecnica sono particolarmente indicate in presenza di un’elevata allegagione, quando le riserve dell’albero sono ormai esaurite

155


coltivazione radicale è limitata. Tra i diversi formulati in commercio, il CaCl2 ha spesso dato ottimi risultati, con dosi variabili tra 0,1 e 0,6 g/l di Ca (500-1000 l/ha d’acqua) meglio se miscelato a un bagnante. Anche il nitrato di Ca può trovare un utile impiego in quanto consente di somministrare contemporaneamente Ca e N, mentre il ricorso a chelati o complessati di Ca, pur presentando un costo più elevato, non ha offerto in genere risultati migliori rispetto al CaCl2. Risultati incoraggianti sono stati ottenuti trattando Golden Delicious con peptidati di Ca, che si sono mostrati efficaci nell’abbassare il rapporto K/Ca. Spesso si ricorre anche alla somministrazione fogliare di Mg e Mn allo scopo di prevenire indesiderati sintomi di carenza. Somministrazioni di Mn in primavera (per es. con solfato o complessato di Mn) alla dose di 0,2-0,5 g/l di Mn sono risultate efficaci nel contrastare la filloptosi e possono avere effetti positivi anche sul colore di fondo del frutto e sulla composizione minerale di foglie e frutti. In caso di carenza di Mg si consiglia il ricorso a concimazioni fogliari con solfato o ossido di Mg alla dose di 0,25-0,50 g/l di Mg. Solfati di Mn e Mg possono essere somministrati insieme senza che vi sia una riduzione di assorbimento dei singoli elementi o la comparsa di rugginosità sull’epicarpo di Golden Delicious. L’apporto di B per via fogliare è importante soprattutto in quei frutteti che manifestano problemi di allegagione e cascole di fiori. Numerosi e noti sono i formulati per la cura della clorosi ferrica, tra essi, oltre ai chelati sintetici (Fe-DTPA), merita maggiore considerazione il solfato di Fe (FeSO4) utilizzato da solo o miscelato con acidi organici (citrico o ascorbico) come chelanti naturali, mentre gli acidi applicati da soli hanno dato risultati poco incoraggianti.

Biostimolanti

• Accanto ai tradizionali concimi di

origine minerale, attualmente sono a disposizione prodotti contenenti sostanze organiche di varia natura: aminoacidi, peptidi, enzimi, ormoni naturali, acidi umici e fulvici, microrganismi e vitamine

• I risultati circa l’effetto di questi

biostimolanti sono contraddittori: alcuni autori hanno riscontrato una buona efficacia di prodotti a base di amminoacidi su produzione e qualità dei frutti danneggiati dalle gelate primaverili; altri hanno evidenziato un buon effetto dei trattamenti fogliari a base di estratti di alghe sulla distribuzione del sovraccolore nella cultivar Gala. In altri casi ancora, invece, non sono stati evidenziati effetti positivi dall’utilizzo dei biostimolanti sulla produzione e sulla qualità di mele in buone condizioni nutrizionali

• Da vari studi sembrerebbe emergere che l’efficacia dei prodotti diversi dai nutrienti minerali sia migliore in condizioni di stress per l’albero

Foto FEM-IASMA

Foto FEM-IASMA

Ala gocciolante per l’irrigazione a goccia Stazione di pompaggio e filtraggio dell’acqua

156


concimazione e irrigazione Irrigazione L’irrigazione riveste un ruolo fondamentale nella melicoltura moderna in quanto è in grado di incrementare le rese produttive, migliorare la qualità dei frutti, stabilizzare la produzione nelle diverse annate, consentire la coltivazione in ambienti prima non adatti, difendere le colture dagli abbassamenti termici (antibrina) e veicolare i concimi minerali aumentando l’efficienza della nutrizione (fertirrigazione). Tuttavia, una gestione inefficiente dell’irrigazione può essere la causa di gravi forme di degrado ambientale come la salinizzazione e l’alcalinizzazione dei suoli, l’inquinamento delle acque superficiali e di falda e contribuire alla rapida mineralizzazione della sostanza organica. La conoscenza della composizione chimica dell’acqua utilizzata a scopi irrigui è necessaria ma non sufficiente per valutare la sua idoneità all’irrigazione. Per evitare il rischio di salinizzazione e alcalinizzazione è necessario considerare anche altri fattori quali il clima, le caratteristiche del suolo, il metodo irriguo e il drenaggio del terreno. La maggior parte dei meleti è dotata di sistema irriguo e la scelta fra i vari tipi dipende da diversi fattori: disponibilità di acqua, struttura del terreno e necessità di utilizzare l’impianto per altri scopi (antibrina, fertirrigazione). La microirrigazione sotterranea (sub-irrigazione) permette di distribuire l’acqua direttamente a livello radicale. Questa tecnica è in fase di diffusione e si presta

Irrigazione

• La quantità di acqua necessaria al

meleto dipende soprattutto dal sistema di impianto e dalla tecnica irrigua adottata, dalle condizioni ambientali, dalla gestione del suolo e della pianta e dal livello produttivo del frutteto

Irrigazione sopra-chioma di meleti in Trentino

Foto FEM-IASMA

157


coltivazione particolarmente in terreni dotati di buona struttura e tessitura. Il risparmio idrico che si ottiene con questa tecnica deriva principalmente dalla riduzione della evaporazione a livello del terreno. Individuare con precisione la quantità di acqua da somministrare agli alberi e il momento di intervento è decisivo per l’ottenimento di buoni risultati di gestione del frutteto. La maggior richiesta di acqua da parte degli alberi avviene nella fase in cui si sviluppano contemporaneamente germogli e frutticini (periodo in cui aumenta anche la temperatura dell’aria); è inoltre importante conoscere l’umidità del terreno (utilizzando tensiometri o calcolando l’evapotraspirazione) al fine di compensare le perdite e non indurre uno sviluppo vegetativo eccessivo. Per una corretta gestione della irrigazione è inoltre necessario conoscere l’architettura della chioma. In generale, le foglie si dividono in foglie di luce e foglie d’ombra; le foglie di piena luce, nonostante traspirino di più rispetto a quelle situate all’interno della chioma, presentano un’efficienza d’uso dell’acqua (WUE = Water Use Efficiency) circa 10-12 volte superiore a quella delle foglie d’ombra. In generale, per foglie di luce si intendono quelle foglie che ricevono fino al 30% della radiazione solare incidente, mentre per foglie d’ombra quelle che sono sotto questo valore. In un frutteto è quindi importante la conoscenza dell’evoluzione dell’area fogliare negli anni e nel corso della stagione vegetativa al fine di stabilire i volumi e i turni di adacquamento. Il rapporto foglie di luce/foglie d’ombra si stabilizza, nei frutteti in piena produzione, nel mese di luglio, quando si arresta lo sviluppo dei germogli; questo rapporto è tuttavia in relazione alla forma di allevamento

Tensiometro

Foto FEM-IASMA

158


concimazione e irrigazione e alla vigoria della pianta. Nella scelta della forma di allevamento risulta quindi molto importante considerare l’aspetto relativo all’efficienza di uso dell’acqua, che aumenta all’aumentare del rapporto foglie di luce/foglie d’ombra; un aumento di tale rapporto è possibile riducendo la taglia degli alberi e lo spessore della chioma e orientando in maniera corretta i filari. Inoltre, una corretta gestione della chioma, attraverso potature verdi e altri interventi finalizzati a ridurre la crescita vegetativa (stress idrico controllato) permette di migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua ed evitare quindi sprechi. Anche la conoscenza del volume di suolo esplorato dalle radici e delle sue caratteristiche idrologiche permettono di calcolare la capacità di ritenzione idrica di tale volume e la quantità di acqua che la pianta è in grado di utilizzare. È importante considerare che lo sviluppo delle radici varia notevolmente nei primi anni di impianto e dipende dal portinnesto, dalla fertilità del suolo e dalle tecniche agronomiche adottate. Combinando la conoscenza della fisiologica della pianta con i rapporti che si instaurano fra pianta, suolo e ambiente è possibile creare dei piani irrigui che permettono di ridurre i consumi idrici e aumentare l’efficienza d’uso dell’acqua da parte del meleto. Il melo, visto il lungo ciclo produttivo e di conseguenza l’elevata traspirazione, risulta una delle specie con i fabbisogni irrigui maggiori. Questi si aggirano attorno a 200-300 m3/ha per stagione. Negli ultimi anni la necessità di risparmiare acqua, combinata con la ricerca di produzioni sempre maggiori sia in termini produttivi sia qualitativi, ha permesso di sviluppare strategie di irrigazione a basso consumo di acqua come la tecnica dello stress idrico controllato. Questa tecnica consiste nel somministrare una

Stress idrico controllato

• Lo stress idrico controllato si basa sul

fatto che durante la stagione vegetativa i vari organi presentano diversa sensibilità alla mancanza di acqua rendendo quindi possibile regolare l’attività vegetoproduttiva dell’albero inducendo deboli stati di stress idrico nelle fasi in cui la pianta è meno sensibile. In generale, questa tecnica viene applicata nelle fasi in cui gli apporti di acqua e nutrienti sono indirizzati principalmente allo sviluppo vegetativo (competizione del germoglio con il frutto e post-raccolta), mentre si dà una piena restituzione dei consumi nelle fasi in cui i consumi idrici sono indirizzati ai frutti (ripresa vegetativa-allegagione e ingrossamento del frutto)

Effetto dello stress idrico controllato sulla resa totale e peso medio dei frutti in diverse varietà di melo Risparmio idrico

Resa totale (t/ha-1)

Peso medio (g)

Test

0

30,2

125,8 b

50% Etm

50%

35,6

148,2 a

Test

0

15,9 b

160,9 b

50% Etm

50%

25,6 a

217,5 a

Test

0

50,3 b

150,2 b

50% Etm

50%

62,4 a

181,6 a

Tesi GALA

FUJI

PINK LADY® Particolare degli aspersori sottochioma mobili nel frutteto

159


coltivazione Contenuto in elementi minerali (mg/100 g pf) dei frutti e sostanza secca (%) alla raccolta in mele di Golden Delicious/M9

Foto FEM-IASMA

Tesi

N

P

K

Ca

Mg

s.s

Controllo

32,5

1,7

159,1

5,1

8,5

16,9

Irrigato

32,6

3,0

172,0

4,4

5,9

14,8

quantità di acqua inferiore a quella di cui la coltura necessita per il suo ottimale sviluppo. Da prove recentemente effettuate è emerso come lo stress idrico controllato, con la restituzione del 50% dell’evapotraspirato, porti a consumi di acqua dimezzati senza conseguenze sulla capacità produttiva della pianta. Sembra inoltre esistere una relazione tra colorazione dei frutti e livelli irrigui: la migliore colorazione dei frutti, in alberi sottoposti a bassa intensità irrigua, può essere ricollegabile al loro minore contenuto di azoto. Anche il minore vigore vegetativo delle piante contribuisce, attraverso la migliore illuminazione, all’ottenimento di frutti con una colorazione più intensa. Una corretta gestione dell’irrigazione conferisce ai frutti una migliore serbevolezza e maggiori garanzie di conservabilità e influenza la composizione minerale dei frutti. Nel melo, nelle aree soggette a basse temperature primaverili, viene applicata l’irrigazione antibrina che costituisce la principale tecnica di difesa nelle zone frutticole a rischio di gelate tardive e consiste nel ricoprire la pianta con uno strato di ghiaccio, in continua formazione, fino al termine della gelata. La protezione della coltura è ottenuta dal calore liberato dall’acqua al momento della sua trasformazione in ghiaccio (80 Foto FEM-IASMA

Protezione delle piante dal gelo con irrigazione antibrina

160


concimazione e irrigazione Foto FEM-IASMA Foto FEM-IASMA

Pompe per la fertirrigazione

calorie/g). È una tecnica molto efficace che viene adottata nelle zone con sufficienti disponibilità idriche. Per prevenire i danni da abbassamenti termici è importante fare avviare l’impianto irriguo quando la temperatura dell’aria a 30-40 cm dal suolo è vicina a 1°C. L’incremento della temperatura dei tessuti della pianta rispetto a quella dell’aria dipende dalla portata dell’impianto e dall’uniformità di distribuzione dell’acqua sulle piante. Di norma viene utilizzata l’irrigazione per aspersione con ugelli aspersori in grado di distribuire acqua finemente nebulizzata e con volumi ridotti al fine di minimizzare le perdite di acqua.

Pompaggio dell’acqua per l’irrigazione

Foto FEM-IASMA

161


il melo

coltivazione Parassiti animali Edison Pasqualini Gino Angeli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Parassiti animali Foto R. Angelini

Introduzione I sistemi agricoli (agroecosistemi) si possono dividere in primari, secondari e terziari in rapporto al grado di complessità raggiunto. Nel primario le specie presenti sono in equilibrio oscillante, di diversa ampiezza: per esempio alcune specie di insetti possono diventare dannose, ma a intervalli di anni o decenni (es. foreste). Al secondario appartengono sistemi sostanzialmente stabili e meno complessi (per es. agrumeti, noccioleti). Nel sistema terziario alcune specie si manifestano dannose anche più volte all’anno (con intervalli spesso molto ravvicinati) e in grado di raggiungere con frequenza alti livelli di popolazione (frutteti specializzati, colture annuali). Questa è, in sostanza, la prima modificazione concreta dell’ambiente alla quale gli insetti rispondono in modo spesso spettacolare e sorprendente, ma non inatteso. Nel sistema terziario, poiché più semplificato, si offrono agli insetti dannosi le migliori condizioni di sviluppo a causa di una concentrazione delle risorse alimentari. In pratica è come se fornissimo loro un supermercato al quale affluire numerosissimi, fino a competere seriamente con noi per l’ambita mela. Nell’ambito del sistema agricolo terziario il meleto rappresenta, senza dubbio, un esempio di agrosistema fortemente semplificato, nel quale numerosi insetti e acari (oltre 400 specie diverse) aggrediscono i vari organi della pianta durante tutto il ciclo vegetativo, causando danni più o meno rilevanti. Ovviamente solo alcune specie fitofaghe sono molto pericolose (specie chiave), per le quali si interviene durante il corso della stagione vegetativa con ripetute applicazioni insetticide, mentre molte altre specie procurano in genere danni economicamente accettabili. Tuttavia anche queste vanno sorvegliate affinché le popolazioni non assumano dimensioni rischiose. Di seguito si descriveranno alcune delle principali specie presenti su melo in Italia, le quali appartengono essenzialmente agli ordini dei Lepidotteri e degli Emitteri.

Larva (a destra) e pupa (a sinistra) di antonomo Foto R. Angelini

Larva di capua Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Colonia di Dysaphis plantaginea Larva di Orgyia antiqua

162


parassiti animali Lepidotteri Fra i lepidotteri la specie universalmente più dannosa è Cydia pomonella. Questa specie è classificata come specie “chiave”, vale a dire che, senza interventi di contenimento delle popolazioni, i danni possono essere gravi e compromettere anche l’intera produzione. C. pomonella è, infatti, una specie carpofaga, cioè che si sviluppa solo a carico dei frutti. Molte altre specie di lepidotteri attaccano il melo, per esempio la tignola orientale del pesco (Cydia molesta), particolarmente pericolosa negli ultimi decenni, soprattutto su frutti prossimi alla maturazione.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Crisalide di ricamatore Foto R. Angelini

Larva di rodilegno giallo

Fra le specie carpofaghe vanno ricordati i “ricamatori” (Pandemis cerasana, P. heparana, Archips podanus, Argyrotaenia ljungiana, Adoxophies orana) così chiamati per le caratteristiche rosure che provocano sulla superficie dei frutti. Queste specie occupano aree diverse di sviluppo e hanno etogrammi anche molto differenti. Non vanno poi dimenticati i “rodilegno” (Cossus cossus e Zeuzera pyrina) che si sviluppano a carico del legno delle piante e per questo potenzialmente molto dannosi. Altre specie sono ora meno pericolose che in passato, per esempio i microlepidotteri minatori (Leucoptera malifoliella, Lithocolletis blancardella), l’iponomeuta (Yponomeuta malinellus) e l’orgia (Orgyia antiqua) che, in particolari condizioni, possono comunque assumere dimensioni potenzialmente critiche.

Frutto attaccato da Cydia molesta Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Larva e danno di carpocapsa Adulto di capua

163


coltivazione Carpocapsa, baco o verme delle mele (Cydia pomonella) La carpocapsa appartiene all’ordine dei Lepidoptera e alla famiglia Tortricidae. È una specie originaria della regione mediterranea e la sua distribuzione è ritenuta coincidente con quella del melo. Si è diffusa nelle altre regioni del mondo con il commercio della frutta, l’esportazione delle piante ecc., tanto che è ora praticamente cosmopolita. C. pomonella attacca principalmente melo, pero e noce, ma può vivere anche a spese dei frutti di cotogno, sorbo, albicocco, susino, pesco, kaki e, meno comunemente, infestare quelli di mandorlo, nespolo del Giappone, melograno, biancospino, rosa, ciliegio, arancio e castagno. Anche il melone può essere una fonte di nutrimento. Gli adulti presentano le ali anteriori (apertura fra 15 e 22 mm) di colore grigio ardesia con una inconfondibile macchia più scura rotondeggiante alla estremità. Nei soli maschi, nella parte inferiore dell’ala anteriore, è presente una macchia sub-rettangolare. L’uovo, che ha una forma lenticolare (o a piatto rovesciato) misura in media 1,25 × 0,95 mm. Appena deposto è di colore bianco opalescente (stadio lattiginoso), dopo 2-4 giorni di incubazione compare un anello incompleto di colore rosso (stadio anello rosso) e prima della schiusura si rende visibile la capsula cefalica (stadio testa nera). Il numero delle generazioni varia da 1 a 4 (e oltre) in funzione della latitudine, dell’altitudine e dell’andamento climatico stagionale ecc. Per quanto riguarda l’Italia, si segnalano una-due generazioni per il Trentino e per l’Alto Adige, così come per il Veneto, mentre ne risultano tre per l’Emilia-Romagna e per l’Italia meridionale. L’inverno è trascorso dalle larve mature (V età), racchiuse in una tipica posizione a “C”, entro un bozzolo situato solitamente nelle screpolature della corteccia o nel terreno. I primi adulti sfarfallano entro aprile (i maschi prima delle femmine = proterandria), continuano a emergere per oltre un mese e possono vivere altrettanto. Gli ac-

Foto Ist. Entomologia PC

Aduto di C. pomonella Foto R. Angelini

Schiusura di uovo di carpocapsa Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Larva di carpocapsa Attacco di carpocapsa su frutti noce

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parassiti animali coppiamenti avvengono al tramonto con temperature intorno ai 16° C. Le femmine depongono le uova (mediamente 60-80) sulle foglie vicine alle fruttificazioni o direttamente sui frutti (soprattutto quelle estive). Il periodo di incubazione può variare da 5 a 16 giorni. Le larve nascono in genere al mattino e sono subito molto vivaci. Trascorrono da qualche ora a qualche giorno all’esterno (vagabondaggio) in funzione della temperatura, dell’umidità, dell’evaporazione e della luce. Durante tale periodo, e prima di penetrare nel frutto, le larve neonate possono rodere lievemente la superficie delle foglie e dei frutti, ributtando le parti staccate dopo averne spremuto il contenuto cellulare. In qualche caso possono nutrirsi di foglie e getti (fino a maturità, ma in condizioni di laboratorio). Le larve entrano nel frutto in seguito alla prima muta, dopo avere scavato una celletta a forma di spirale. La galleria è sempre diritta e diretta ai semi di cui si nutrono e che sono fondamentali per lo sviluppo (coevoluzione). Esse si riempiono di rosura e rosume ricacciato all’esterno dei frutti e che ne indica la presenza in modo inequivocabile. Nel frutto attaccato si trova comunemente una sola larva, raramente due, se durante il percorso non si sono incontrate, in quanto le larve hanno costumi cannibali. Raggiunta la maturità le larve escono dal frutto e si portano verso luoghi adatti per la formazione del bozzolo e per incrisalidarsi. Se il frutto cade a terra le larve si dirigono in genere verso il colletto delle piante. C. pomonella è vittima di molti parassitoidi che si nutrono sia delle uova (oofagi), sia delle larve (larvali), nonché di entrambi gli stadi (ovolarvali). Numerose specie inoltre sono parassite delle larve nei bozzoli. I predatori hanno meno importanza e fra questi si ricordano miridi, crisopidi e tripidi che lo sono prevalentemente a carico delle uova. Anche nematodi e virus contribuiscono alla limitazione naturale di C. pomonella per la quale, considerando anche le avversità abiotiche, si calcola che la mortalità da uovo ad adulto si aggiri intorno al 90% e al 99% da uovo a uovo.

Foto R. Angelini

Foro di penetrazione di carpocapsa Foto E. Menke

Forte attacco di carpocapsa e cascola

Foto R. Angelini

Larva svernante di carpocapsa Danno da carpocapsa

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coltivazione Tignola orientale del pesco (Cydia molesta = Grapholita molesta) La tignola orientale del pesco appartiene all’ordine Lepidoptera e alla famiglia Tortricidae. Di origine orientale (Cina, Giappone), Cydia molesta si è diffusa in numerose zone del mondo compreso il Nordamerica dove è stata descritta da Busck nel 1913. In Europa è presente quasi ovunque. In Italia è stata segnalata per la prima volta nel 1920 in Liguria. C. molesta è polifaga e vive a spese di sole specie della famiglia delle Rosacee, a eccezione di una Mirtacea (Eugenia myrianthus), segnalata in Argentina. Gli adulti di C. molesta, di colore bruno o grigio scuro, con 4-5 linee bianche, sono più piccoli di quelli di carpocapsa e hanno un’apertura alare di 12-15 mm. Le uova sono lenticolari di dimensioni leggermente inferiori a quelle di C. pomonella, non superando il millimetro di diametro. Le larve neonate sono chiare, mentre quelle mature sono di colore rosa da più o meno chiaro fino al rossiccio e misurano 10-14 mm. Il capo è marrone chiaro, mentre all’estremità del corpo è presente una caratteristica formazione a forma di pettine dotato di 4-5 denti detta proprio “pettine anale”. Il pettine rende possibile distinguere le larve di C. molesta da quelle di C. pomonella che ne sono prive. La possibilità di riconoscerle è di fondamentale importanza per la difesa (scelta dei prodotti e momenti di applicazione), dato che possono essere presenti contemporaneamente nei frutteti. A differenza di quelle di C. pomonella, le larve di C. molesta non raggiungono quasi mai la sede dei semi. Le trappole sessuali rendono possibile conoscere la fenologia degli sfarfallamenti dei

Foto Ist. Entomologia PC

Rosure da C. molesta Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Attacco di C. molesta su germoglio Foto R. Angelini

Larva di C. molesta su frutticino Attacco di C. molesta su frutticino

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parassiti animali Foto A. Pollini

Tignola orientale del pesco

• I danni sono in particolare a carico dei

frutti sui quali possono essere deposte anche decine di uova. In un caso, in un solo frutto, sono state raccolte fino a 35 larve. Questa specie, pertanto, non ha atteggiamenti cannibalistici come la carpocapsa, dalla quale si distingue anche per costruire gallerie nella polpa dei frutti che, in genere, non raggiungono i semi

Danno da C. molesta

maschi i quali possono spostarsi anche per distanze notevoli (fino a un paio di km). In particolare le femmine fecondate sembra possano raggiungere distanze maggiori rispetto sia ai maschi sia a quelle vergini. Questa specie passa l’inverno come larva matura dentro un bozzolo nascosto nella corteccia delle piante o nel terreno e compie 4-5 generazioni all’anno. I primi adulti sfarfallano in marzo-aprile, i successivi da fine maggio-inizio giugno a inizio ottobre e si sovrappongono parzialmente. Gli adulti hanno abitudini crepuscolari, le femmine sono più longeve dei maschi e possono vivere oltre 15 giorni. Gli accoppiamenti avvengono normalmente al crepuscolo e una femmina può deporre in media da 50 fino a 200 uova (all’inizio bianche poi rossicce) isolate, prima sui germogli poi sui frutti. In Italia è principalmente legata al pesco su cui attacca prima i getti poi i frutti. Con il progredire delle generazioni e a cominciare dall’invecchiamento dei germogli del pesco si sono osservati attacchi più o meno gravi in pereti e meleti, che in alcuni casi sono risultati superiori al 40%. Le femmine ovidepongono una o più uova in qualsiasi parte del frutto, ma con maggior frequenza in prossimità dell’apertura calicina e nella parte apicale, in vicinanza del picciolo. In frutteti misti per specie e varietà, condizione normale per alcune aree frutticole, è stato possibile osservare una preferenza di attacco scalare, a partire da quelle cultivar più vicine alla maturazione. Le infestazioni sembrano causate soprattutto da popolazioni provenienti dall’esterno dei frutteti, piuttosto che da quelle indigene, e legate all’emissione di sostanze volatili odorose emesse dai frutti in maturazione (cairomoni). Le infestazioni più importanti su melo si rilevano dapprima su Golden Delicious e poi su Stayman.

Foto Ist. Entomologia PC

Adulto di C. molesta Foto Ist. Entomologia PC

Crisalide di C. molesta

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coltivazione Rodilegno rosso (Cossus cossus) Cossus cossus appartiene alla piccola famiglia dei Cossidae, ordine Lepidoptera ed è una farfalla di dimensioni medio grandi, a volte gigantesche. L’apertura alare di C. cossus è mediamente di circa 80 mm (da 65 a 100 mm). Le ali anteriori sono zigrinate da una moltitudine di piccole linee sinuose trasversali e distinte sul colore scuro dell’ala. Una femmina depone da 300 a 800 uova in gruppi di 10-15 elementi, in genere nelle screpolature della parte bassa delle piante o al colletto. L’uovo è di forma ellittica, di colore bruno-rossastro striato di nero longitudinalmente e misura circa 1,2 × 1,7 mm. Le larve, che appena nate sono gregarie, penetrano negli strati sottocorticali poi nel cambio dove svernano e vivono esclusivamente all’interno delle piante. Esse emanano un caratteristico e sgradevole odore di cuoio vecchio molto forte e possono raggiungere una lunghezza di 10 cm. Il colore è rosso scuro nella parte dorsale e giallastro in quella ventrale. Le larve scavano singole gallerie che di norma hanno sezione ellittica e sono dirette sia verso l’alto sia verso il basso della pianta, oltre che intorno al tronco, più frequentemente nella zona del colletto. Dai fori esce continuamente un liquido rossastro mescolato a rosume stopposo e rossastro. Per tutto il secondo anno le larve continuano a scavare gallerie penetrando anche profondamente all’interno del legno. Passano quindi il secondo inverno allo stato di larva il cui sviluppo si completa nella primavera successiva. La crisalide è caratterizzata da una doppia serie trasversale di spine affilate che ne favoriscono il movimento verso l’uscita della galleria poco prima dello sfarfallamento; è di colore rosso mattone e misura 4-5 cm. Prima dell’incrisalidamento le larve si dirigono verso l’uscita della galleria allargandone l’ultimo tratto e otturandolo con residui legnosi. L’incrisalidamento ha luogo in un bozzolo ottenuto da secreti e detriti legnosi. Dopo 15-30 giorni le crisalidi si dirigono verso l’esterno emergendo parzialmente dal tronco. Quindi sfarfallano gli adulti il cui volo inizia in maggio, è massimo in giugno e termina in settembre. Gli adulti hanno abitudini esclusivamente notturne. Il rodilegno rosso vive a spese di un gran numero di piante da frutto e forestali a foglia larga, ma si trova frequentemente anche in alberi deperiti, abbattuti o morti. In particolare attacca melo, ciliegio, pero, susino, cotogno, albicocco, pesco, olivo, castagno e vite. È stato segnalato anche sugli agrumi. Fra le piante forestali si ricordano quercia, salice, tiglio, platano, betulla, acero, pioppo, e molte altre. È stato descritto inoltre su barbabietola e carciofo. I danni provocati da C. cossus consistono in un generale e progressivo indebolimento delle parti attaccate e successiva morte dell’intera pianta a causa dell’interruzione del flusso della linfa. Il legno di piante quali il pioppo e il noce subisce danni irreparabili a causa delle profonde gallerie provocate dalle larve.

Foto R. Angelini

Adulto di Cossus cossus Foto R. Angelini

Larva di rodilegno rosso Foto R. Angelini

Danno da rodilegno rosso

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parassiti animali Rodilegno giallo (Zeuzera pyrina) Appartiene, come il rodilegno rosso, all’ordine Lepidoptera e alla piccola famiglia Cossidae (10 specie appartenenti a 6 generi). Per il suo aspetto è universalmente conosciuta come Leopard moth (farfalla leopardo) a causa delle ali bianche con macchie puntiformi nere dai riflessi blu, distribuite su tutto il corpo dell’adulto. Le ali sono strette e la loro apertura nelle femmine è compresa fra 60 e 70 mm, mentre nei maschi non oltrepassa i 40-50 mm. Gli adulti compaiono in giugno e gli sfarfallamenti proseguono fino ad agosto, con riprese anche a settembre. Fra la fine di giugno e l’inizio di luglio, è frequente notare crisalidi vuote in parte fuoriuscenti dalle gallerie. Le uova possono essere deposte a centinaia (anche 2000) in gruppi di 2-3 elementi fino a qualche centinaio in differenti luoghi: inserzione dei piccioli delle foglie, gemme, screpolature di rami giovani, punti di innesto ecc. Le uova sono di forma ovoidale, di circa 1 × 1,3 mm, di colore giallo chiaro appena deposte e rosa salmone in seguito. Le larve, a completo sviluppo, raggiungono e superano i 6 cm e sono anch’esse caratterizzate da una numerosa serie di punti neri ben visibili (tranne le neonate nelle quali non sono presenti). Le crisalidi sono lunghe circa 4 cm, hanno una colorazione bruno-giallastra e sono provviste di spinette o uncini con i quali si spostano per raggiungere l’uscita delle gallerie. Questa specie può compiere una generazione in 1 o 2 anni in funzione dell’area e delle relative condizioni climatiche. Le larve di una stessa ovatura si costruiscono, appena nate, un nido con fili sericei dentro il quale rimangono per 1 o 2 giorni. Successivamente si dirigono velocemente verso le estremità dei rametti dove ha luogo l’attacco primario, consistente in penetrazioni (gallerie assiali) all’interno della vegetazione fresca. In tempi successivi le larve escono (migrano) per ripenetrare in parti più basse della pianta. Le larve non più piccole possono penetrare nei rami grossi o nel tronco direttamente attraverso la corteccia, nel melo, e più frequentemente attraverso dardi o borse, nel pero. In entrambi i casi le larve danno origine prima a gallerie sinuose dalle quali ne parte una longitudinale e ascendente che percorre anche l’interno di rami grossi e dalla quale la larva espelle rosume e rosura sotto forma di cilindretti rossastri attraverso un foro, spesso chiuso con un diaframma sericeo. Gli attacchi primari terminano in genere verso la fine di agosto, mentre le migrazioni possono continuare fino a ottobre e oltre e anche nella primavera successiva. Le penetrazioni nei grossi rami e nei tronchi appaiono in genere a fine luglio e continuano fino a settembre-ottobre. L’inverno è trascorso in diapausa o, nelle zone con climi più miti, con uno sviluppo rallentato. Le gallerie scavate dalle larve interrompono il flusso linfatico dei rami e dei tronchi che pertanto possono disseccare. I danni possono essere molto gravi su impianti giovani nei quali una sola larva può causare la morte di una intera pianta. In genere consistono in disseccamento di rami, stroncamento di interi grossi rami ecc.

Rodilegno giallo

• Z. pyrina attacca moltissime piante

come per esempio betulle, frassini, meli, peri, albicocchi, susini, ciliegi, nespoli e anche l’olivo, non solo al Sud ma anche, per esempio, in Liguria

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Larva e galleria di rodilegno giallo Foto R. Angelini

Adulto di rodilegno giallo, conosciuto come Leopard moth (farfalla leopardo)

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coltivazione Ricamatori dei frutti Nell’ambito di questo gruppo di insetti fitofagi rientrano varie specie che causano danni prevalentemente ai frutti, provocando rosure più o meno ampie e profonde dell’epidemide (ricamature).

Tortrice verde-gialla

• Pandemis cerasana ha una larga

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distribuzione geografica. È presente in tutta Europa, dalle regioni mediterranee al Nord della Scandinavia, mentre a Est si estende fino all’Estremo Oriente russo, in Cina, Corea e Giappone. In Italia è particolarmente localizzata in Emilia-Romagna. È stata segnalata nelle Alpi ad un’altitudine di 1200 metri

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Danni da ricamatori in post-fioritura

Tortrice verde-gialla (Pandemis cerasana) L’insetto appartiene sempre all’ordine Lepidoptera, ma alla famiglia Tortricidae. L’adulto ha un’apertura alare compresa fra 16 e 22 mm. Il colore delle ali anteriori varia fra il giallo ocra e il giallo cuoio con un reticolo molto vaporoso. Le ali posteriori sono di colore grigio scuro. Le uova sono deposte sulle foglie in ooplacche di colore giallastro, di varia forma e composte anche di molti elementi (oltre 300). Possono essere lunghe 1-2 cm o circolari, mentre ogni uovo ha forma lenticolare con diametro di poco superiore al millimetro. La larva a completo sviluppo (matura) misura 2 cm di lunghezza, ha un colore verde brunastro e presenta delle grandi verruche (zone nelle quali sono inseriti numerosi peli) che sono di colore chiaro subito dopo la muta, mentre normalmente hanno un colore brunastro. Il colore del cranio varia da giallo-verde a ocra e presenta 2 tacche longitudinali scure su ciascuna metà della capsula cefalica.

Larva di Pandemis cerasana

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Ooplacca di Pandemis cerasana Danni da Pandemis cerasana

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parassiti animali Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Erosioni e arrotolamenti delle foglie a cartoccio

È una specie polifaga e vive a spese delle foglie di numerose piante. In particolare può attaccare quercia, acero, betulla, sorbo, ribes, rosa, frassino, pomacee, drupacee ecc. Nell’Italia settentrionale compie due generazione all’anno e passa l’inverno allo stadio di larva giovane all’interno di un bozzolo sul tronco o sui grossi rami. I primi adulti compaiono intorno alla metà di maggio, mentre quelli della prima generazione (secondo volo dell’anno) intorno alla metà di luglio. Di conseguenza le larve della prima generazione sgusciano a cominciare, all’incirca, dai primi di giugno, mentre quelle della seconda (che sono quelle che andranno a svernare) dai primi di agosto. Le crisalidi si formano con maggior frequenza all’interno di foglie accartocciate o unite fra loro (cartocci), oppure in punti di contatto fra vari organi vegetativi (frutti, foglie e rami). Le uova vengono deposte esclusivamente sulle foglie (soprattutto sulla pagina inferiore) di cui le larve si nutrono erodendone sia il parenchima sia i lembi. Normalmente, ma non sempre, esse raggiungono i frutti, potendo provocare anche danni rilevanti, solo quando sono vicine alla maturità. I danni consistono in erosioni e arrotolamenti, di solito longitudinali, delle foglie (soprattutto quelle apicali), nonché di accorpamenti di più di esse a formare “cartocci” facilmente individuabili. Le larve svernanti possono aggredire anche i mazzetti fiorali. I danni più temuti sono quelli ai frutti, in genere provocati principalmente da larve della prima generazione vicine alla maturità. Essi consistono in erosioni superficiali dell’epicarpo (ricamature) e possono essere anche di notevole estensione. Normalmente si possono notare con maggiore frequenza in corrispondenza di punti di contatto fra un frutto e una foglia o fra due frutti ecc., mentre praticamente mai su frutti che non hanno punti di contatto con altri organi. In frutteti dove si interviene con insetticidi selettivi si possono riscontrare elevate percentuali di parassitizzazione larvale, soprattutto a opera di Imenotteri Calcidoidei Eulofidi. Le larve sono molto sensibili a infezioni batteriche e sono vittime di numerosi predatori generici.

Maschio adulto di Pandemis cerasana Foto R. Angelini

Larva di P. cerasana

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coltivazione Tortrice verde (Pandemis heparana) La tortrice verde appartiene all’ordine Lepidoptera, famiglia Tortricidae. È presente in tutto il Centro e Nord Europa, in Medio Oriente e a Est fino nell’Estremo Oriente russo, in Corea e in Giappone. In Italia è diffusa nelle regioni più a Nord. Gli adulti sono di forma e dimensioni comparabili a Pandemis cerasana (apertura alare compresa fra 16 e 22 mm) e si distinguono facilmente da quest’ultima per i colori più scuri. Le ali anteriori sono, infatti, di colore compreso fra il bruno-giallastro e il brunorossiccio, con campo basale e banda mediana bruno scuro, mentre quelle posteriori sono di colore grigio scuro. Le uova vengono normalmente deposte sulle foglie in ooplacche di 30-50 elementi ciascuna, per un totale di 200-300 uova per femmina. Le larve, a completo sviluppo, raggiungono 2,5 cm di lunghezza. Esse sono facilmente riconoscibili per il colore verde chiaro del corpo, con verruche dello stesso colore o più chiare. La crisalide ha una lunghezza compresa fra 10 e 12 mm, è di colore bruno-rosso scuro. P. heparana è polifaga e vive su molte piante, soprattutto arboree. Oltre che su pomacee e drupacee può vivere su molte altre specie forestali fra cui quercia, acero, betulla, tiglio, sorbo, frassino ecc. Compie 2 generazioni in un anno e, come tutte le specie del genere Pandemis, lo svernamento avviene allo stadio di larva giovane (seconda o terza età) dentro un bozzolo sericeo. La ripresa dell’attività larvale coincide con quella vegetativa e lo sviluppo termina verso la fine di maggio. In questo periodo le larve si nutrono di gemme, germogli e fiori che avvolgono con fili sericei. Tra giugno e luglio sfarfallano gli adulti che daranno origine alla prima generazione dell’anno. Le larve di questa prima generazione continuano a sgusciare per tutto il mese di giugno e per gran parte di luglio.

Foto R. Angelini

Danno da Pandemis heparana

Foto R. Angelini Foto R. Angelini

Larva di Pandemis heparana Larva (a destra) e crisalide (a sinistra) di Pandemis heparana

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parassiti animali Quelle sgusciate in quest’ultimo periodo possono entrare in diapausa in una percentuale che è tanto maggiore quanto più lo sviluppo è avanzato (anche 100%). Il secondo volo si verifica in agosto-settembre e le larve della seconda generazione possono rimanere attive fino a ottobre inoltrato. Gli adulti sono notturni e il volo inizia alla fine del crepuscolo, è massimo intorno alle ore 23 e continua debolmente fino all’alba. Gli sfarfallamenti di questa specie sono normalmente sovrapposti, a differenza di quelli di P. cerasana che sono completamente distinti. Le larve giovani possono arrecare danni insignificanti alle foglie. Normalmente esse si costruiscono, lungo la nervatura della pagina inferiore delle foglie, un tubo sericeo dal quale scavano dei piccoli fori nell’epidermide e nel parenchima, rispettando però l’epidermide superiore. Quelle più sviluppate si cibano a carico di tutto lo spessore del lembo, partendo sia dai bordi sia dalle fossette scavate dalle larve giovani. I danni più gravi sono a carico dei frutti sui quali le larve possono provocare estese erosioni superficiali, soprattutto nei punti in cui una foglia aderisce a un frutto. Questi danni si possono manifestare già in maggio-giugno sui giovani frutti, ma sono particolarmente gravi, tra luglio e agosto, su quelli più sviluppati.

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Danno e larva di Pandemis heparana Foto R. Angelini

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Crisalide di Pandemis heparana Foto R. Angelini

Larva di tortrice verde Adulti di Pandemis heparana

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coltivazione Cacecia (Archips podanus) Gli adulti di questo lepidottero, appartenente alla famiglia Tortricidae, sono caratterizzati da dimorfismo sessuale sia per le dimensioni sia per il colore. Il maschio ha una apertura alare compresa fra 19 e 23 mm e ha le ali anteriori vivacemente colorate di bruno-marrone chiaro, mentre le ali posteriori sono di colore grigio-bruno alla base e giallobruno verso l’apice. Le femmine hanno un’apertura alare maggiore di quella dei maschi variabile da 23 a 27 mm. Il loro colore è più uniforme e tutto il campo basale è percorso da linee trasversali scure. Le ali posteriori sono simili a quelle del maschio. Le uova sono deposte in ooplacche sulla pagina superiore delle foglie. Ciascuna femmina può deporre da 300 a 375 uova riunite in 6-8 gruppi di una cinquantina di unità ognuna. Esse sono ricoperte di una leggera secrezione cerosa e hanno lo stesso colore delle foglie. Le larve mature sono riconoscibili per la colorazione verdastra del corpo, più scuro sulla parte dorsale, dalle grandi verruche più chiare del corpo, dalla testa bruno-marrone brillante. La crisalide è di colore bruno-rossastro brillante più o meno scuro, che viene mantenuto anche dall’esuvia. È una specie praticamente presente in tutta Europa, ma vive anche in Asia Minore e nel Sud della Russia, in Siberia e fino al Giappone. È stata segnalata anche in America del Nord. In Italia è comune nei frutteti di melo e pero dell’Emilia-Romagna.

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Larva di Archips podanus Foto R. Angelini

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Ooplacca di Archips podanus Femmina di Archips podanus

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parassiti animali A. podanus è una specie molto polifaga e le larve vivono a spese di numerose piante da frutto, forestali e ornamentali, oltre che su molte piante erbacee. Fra i generi delle piante ospiti più comuni si ricordano: Malus, Pyrus, Prunus, Ribes, Vitis, Salix, Tilia, Abies, Betula, Fraxinus, Trifolium ecc. In Italia questa specie compie tre generazioni all’anno. Le larve svernanti riprendono l’attività con l’inizio della primavera (fine marzo-primi di aprile) e le prime crisalidi si formano circa un mese dopo, normalmente all’interno di foglie arrotolate. Il primo volo degli adulti si verifica in maggio, con il maggior sfarfallamento nella seconda decade del mese. Il secondo volo si manifesta in genere a partire dall’inizio di luglio, il massimo si verifica intorno alla metà dello stesso mese e termina in genere ai primi di agosto. Un terzo volo, di norma meno consistente dei primi due, si manifesta in settembre. I danni causati da questa specie sono simili a quelli descritti per P. cerasana. Consistono, infatti, in arrotolamenti o unioni di foglie con erosioni di vario tipo che non sono da considerare dannose. Qualche danno può invece verificarsi a carico dei fiori, ma solamente in casi di popolazioni larvali molto numerose o in anni di scarsa fioritura. Generalmente tali ricamature sono localizzate in corrispondenza di punti di contatto fra più frutti o, più facilmente, fra un frutto e una foglia. La generazione larvale più temibile è quasi sempre la prima, quella cioè presente nel mese di giugno e nella prima parte di luglio.

Foto R. Angelini

“Ricamato” di Archips podanus

Larve e crisalide di Archips podanus

Foto R. Angelini

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coltivazione Capua (Adoxophyes orana) La capua appartiene all’ordine Lepidoptera, famiglia Tortricidae. Tra i Tortricidi ricamatori presenti nelle aree melicole del Nord Italia Adoxophyes orana è ritenuta, assieme a Pandemis heparana, il fitofago di maggiore interesse economico. La specie, ampiamente polifaga, vive preferibilmente a spese del melo e del pero, ma può attaccare altre piante da frutto nonché alcune piante forestali ed erbacee. La prima segnalazione a sud delle Alpi avvenne in Trentino-Alto Adige nel 1949, regione ove si è poi stabilmente insediata. Attualmente è presente, seppure con ciclicità, in tutte le regioni italiane al confine sud delle Alpi mentre la sua presenza e dannosità nell’areale della Pianura Padana sono saltuarie, probabilmente legate a esigenze ecologiche delle larve che sembrano mal sopportare le elevate temperature estive. La specie sviluppa 2 generazioni all’anno; in primavera, alla ripresa dell’attività vegetativa, le larve svernanti di 2a-3a generazione si localizzano sui germogli e sui mazzetti fiorali che intessono con lunghi fili sericei, sino a formare i caratteristici nidi a ricamo. Gli adulti della generazione svernante compaiono con una scalarità di circa un mese, iniziando a volare da fine maggio. Il secondo volo inizia nella prima decade di agosto e si prolunga per almeno quattro settimane. La femmina depone fino a 300 uova, in placchette di 40-100 elementi sia su foglie sia su frutti. Sono le larve delle generazioni estive, di giugno-luglio e di agosto-settembre, a causare i danni più importanti; essi consistono in erosioni della pagina inferiore delle foglie ma soprattutto della cuticola e del mesocarpo dei frutti, con conseguenti marcescenze che rendono la produzione non commercializzabile. La perdita di produzione talvolta raggiunge livelli del 35-40%.

Foto R. Angelini

Danno da capua su germoglio Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Danno e larve di capua

Ooplacca di capua Aspetto diverso tra maschio (a sinistra) e femmina (a destra) di capua

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parassiti animali Eulia (Argyrotaenia ljungiana) L’eulia appartiene all’ordine Lepidoptera, famiglia Tortricidae. Gli adulti hanno una apertura alare compresa fra 12 e 15 mm. Le ali anteriori sono di colore ocra chiaro con larghe bande trasversali ferruginose, con una piccola macchia marrone nella parte anteriore. Quelle posteriori sono grigio argento con frange biancastre. La dimensione di maschi e femmine è simile. Le uova sono giallastre, di forma discoidale e deposte in ooplacche di oltre un centinaio di unità nella pagina inferiore delle foglie. La larva matura raggiunge 15-18 mm di lunghezza ed è di colore verdastro con sfumature brune. La placca protoracica è giallo-verdastra con sfumature scure. Il pettine anale conta 6-8 denti. La crisalide è di colore giallo-verde scuro. Argyrotaenia ljungiana vive a spese di molte piante fra le quali la vite, il melo, il pero, il mais, la quercia, la lavanda, il pioppo, varie specie del genere Prunus, il pino, la mora ecc. Le larve rodono l’epidermide e il parenchima della pagina inferiore delle foglie dopo avere tessuto una sottile tela. La pagina superiore viene rispettata. Possono rodere anche i frutti provocando caratteristiche erosioni (ricami) di piccole dimensioni e raggruppate. Sui frutti le erosioni sono spesso localizzate nei punti di contatto fra di essi o con altri organi (foglie e rami). Sulle varietà tardive di melo le rosure sono più frequenti attorno al picciolo. Questa specie svolge 2-3 generazioni per anno in funzione della latitudine e dell’altitudine. Sverna come crisalide riparata in vari siti (tronco, foglie cadute a terra ecc.). I primi adulti si osservano in aprile, quelli successivi in giugno-luglio e agosto-settembre. I danni sono a carico delle foglie, in particolare per la prima generazione, mentre più frequentemente sui frutti per quelle successive, con particolare riferimento alle varietà tardive di melo e pero.

Foto A. Pollini

Adulto di eulia Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Crisalide di eulia Foto R. Angelini

Larva di eulia Danno da eulia

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coltivazione Bombice antico (Orgyia antiqua) Appartiene all’ordine Lepidoptera e alla famiglia Limantriidae caratterizzata da dimensioni medie e robuste. I maschi hanno le ali anteriori di colore marrone ocra, abbastanza uniforme, con 2 bande trasversali a zig-zag e una macchia semilunare biancastra su ciascuna di esse. Quelle posteriori sono bruno-rossastre con una frangia di peli dorati. L’apertura alare è di circa 3,5-4 cm. Le femmine, lunghe circa 1,5-2 cm, prive di ali, hanno corpo grosso e tozzo, di colore bruno e ricoperto di lunghi peli scuri. Le uova sono piuttosto grosse, di forma semisferica, di colore bianco con un anello bruno. Sono deposte in gruppi di 120-150 direttamente sulle esuvie delle crisalidi o nelle vicinanze, su foglie spesso unite ai rami. Le larve a maturità sono lunghe circa 4 cm e sono di colore grigio cenere con una banda dorsale scura interrotta da quattro vistosi pennelli giallo-brunastro nei primi quattro segmenti addominali. Presentano tubercoli color arancione e ciuffi di peli bianchi, neri e gialli. O. antiqua compie 4 generazioni l’anno e sverna come uovo deposto in gruppi di oltre un centinaio di elementi, localizzati spessissimo sul bozzolo vuoto della femmina, la quale è poco mobile e generalmente fecondata subito dopo lo sfarfallamento. Le larve sgusciano durante tutto il mese di maggio. Esse si nutrono delle foglie, dapprima rispettando le nervature, quindi divorandole completamente. Dalla seconda età in poi possono nutrirsi anche a carico dei frutticini che erodono più o meno superficialmente (ciò vale soprattutto per melo e pero). La crisalide si forma in un bozzolo biancastro e non molto fitto incollato ai rametti o alle foglie. Entro la fine di giugno sfarfallano gli adulti che daranno origine alla seconda generazione. Il secondo volo si verifica normalmente verso la fine di luglio, mentre il terzo e il quarto in agosto e ottobre. A ognuno di essi, dopo un paio di settimane dall’inizio, fa seguito l’infestazione larvale (escluso l’ultimo poiché sono le uova a passare l’inverno). Attacca soprattutto

Bombice antico

• Questa specie è diffusa in tutta Europa, nel Centro America e in parte dell’Asia

Foto R. Angelini

Schiusura delle uova e danno da O. antiqua

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Larva di Orgyia antiqua

Ovature e adulti di Orgyia antiqua

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Foto R. Angelini

Larva giovane di Orgyia antiqua


parassiti animali le rosacee arboree, in particolare le pomacee e le drupacee, ma è frequente anche su piante boschive (querce, frassini, olmi) e meno su aghifoglie (pini, abeti, larici ecc.). Può attaccare anche piante erbacee (per es. ricino). I danni sono a carico delle foglie e dei frutti. I primi sono in genere poco temuti, mentre lo sono quelli ai frutti che possono essere erosi superficialmente anche per notevoli estensioni. In genere tali erosioni si verificano durante la prima generazione larvale quando i frutticini sono in accrescimento.

Foto R. Angelini

Microlepidotteri fillominatori Nell’ambito di questo gruppo rientrano insetti fitofagi che provocano delle mine fogliari. Cemiostoma (Leucoptera malifoliella) È una fra le specie più importanti del gruppo dei microlepidotteri (così definiti per le ridotte dimensioni), appartenente all’ordine Lepidoptera, famiglia Lyonetiidae. L’apertura alare dell’adulto è compresa fra 6 e 8 mm. La colorazione di fondo degli adulti è grigio chiaro-piombo-metallico. Il torace, l’addome e il fondo delle ali anteriori hanno la medesima colorazione e presentano, sul margine distale, delle macchie bianche separate fra loro da orlature color ocra. Le frange alari sono molto sviluppate agli apici e all’estremità inferiore del bordo tanto da dare un aspetto arrotondato alle ali. Quelle posteriori sono strette, di un colore grigio piombo uniforme e anch’esse fortemente frangiate. Ogni femmina depone una cinquantina di uova di forma discoidale, ispessite, debolmente bombate e provviste di una debole depressione centrale di circa 0,3 mm di diametro. Le uova, deposte sulla pagina inferiore delle foglie all’interno delle nervature laterali, sono di colore grigio appena deposte, ma imbruniscono rapidamente. L. malifoliella è stata segnalata in tutti i Paesi dell’Europa centrale e meridionale. È presente inoltre dalla Crimea al Medio Oriente e nelle montagne dell’Asia centrale. Per contro è assente nelle regioni nord europee e in Si-

“Leccature” di Orgyia antiqua su frutti

Mine fogliari provocate da Leucoptera malifoliella

Bozzoli di Leucoptera malifoliella Adulto di Leucoptera malifoliella

Crisalide di Leucoptera malifoliella

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coltivazione beria, mentre diviene rara sul litorale mediterraneo. Questa specie è polifaga, ma legata a piante frutticole e forestali a foglia larga. In particolare, attacca il melo e il pero, ma anche ciliegio, cotogno ecc. Tra quelle forestali si ricordano l’ontano e la betulla. Sverna di norma sul tronco (sotto la corteccia) come crisalide racchiusa in un bozzolo tenuto da bande sericee a forma di “H”. Il numero delle generazioni varia da 3 a 4-5 rispettivamente nell’Italia settentrionale e meridionale. Lo sfarfallamento si ha, normalmente, nel mese di aprile durante il quale iniziano anche le deposizioni. Le uova sono incollate alla pagina inferiore delle foglie nelle quali le larve neonate penetrano senza uscire all’esterno. Le larve, una volta insediatesi sotto all’epidermide superiore delle foglie, iniziano la loro attività causando delle erosioni ad andamento circolare (mine) che assumono l’aspetto di placca spiralata (eliconomio) di colore marrone. Il secondo volo dell’anno, relativamente alle condizioni dell’EmiliaRomagna, si verifica verso la seconda metà di giugno con conseguente infestazione larvale nel mese di luglio. Fino a questo punto le generazioni sono distinte fra loro, mentre successivamente si possono avere sovrapposizioni. Le larve dell’ultima generazione si spostano in gran numero verso il tronco o le grosse branche dove svernano come crisalide dopo essersi costruite il caratteristico bozzolo. I danni diretti consistono nella riduzione della superficie fogliare attiva, che può compromettere il processo di maturazione dei frutti. Sono inoltre particolarmente temuti i danni di tipo indiretto, quelli in pratica dovuti alla formazione di bozzoli sui frutti, in genere nella cavità calicina, che sono causa di deprezzamento della produzione. In condizioni normali L. malifoliella non reca danni poiché ben contenuta da numerosi entomofagi che svolgono un ruolo fondamentale nel suo controllo tanto che le percentuali di parassitizzazione delle crisalidi svernanti, per esempio, si aggirano spesso intorno all’80%. Questa specie, insieme con altre simili, è in regressione rispetto al passato.

Particolare di una mina di Leucoptera malifoliella

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Danno da Leucoptera malifoliella Mine fogliari provocate da Leucoptera malifoliella

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parassiti animali Litocollete (Phyllonorycter blancardella) Il litocollete appartiene all’ordine Lepidoptera, famiglia Gracillariidae. Gli adulti hanno un’apertura alare compresa fra 8 e 9 mm. Le ali anteriori sono di colore bianco brillante, sulle quali spiccano alcune striature rosso-brunastre a riflessi metallici. Le striature hanno decorso longitudinale nella metà vicina al corpo, mentre sono trasversali nella parte distale. Le ali posteriori sono ridotte a strette lame munite di considerevoli frange. Le uova sono sempre deposte isolatamente sulla pagina inferiore delle foglie, specialmente nella parte centrale. Sono di forma lenticolare appiattita (0,3 mm di diametro), di colore chiaro e difficilmente individuabili poiché inserite fra i peli cuticolari. Le larve di questa specie sono di due tipi. Il primo ha un’alimentazione plasmofaga, si nutre cioè del succo delle cellule, mentre quelle del secondo tipo sono istofaghe, nutrendosi cioè a spese delle cellule del tessuto a palizzata. La crisalide si forma nelle mine dalle quali fuoriesce per una parte. È di colore marrone scuro, della lunghezza di circa 2 mm. Questa specie è diffusa in tutta l’Europa temperata e occidentale, ma si estende in tutta la Siberia fino alla costa pacifica e in Giappone. Recentemente è stata introdotta negli Stati Uniti. Il numero di generazioni varia in funzione delle condizioni climatiche. Per esempio nell’Europa settentrionale svolge normalmente 2 generazioni ogni anno, mentre nelle aree mediterranee le generazioni possono essere 3 o 4. Lo svernamento ha luogo come crisalide nelle foglie cadute a terra o anche parzialmente interrate. Il primo sfarfallamento avviene in aprile, generalmente prima o durante la fioritura dei meli. Dalle uova deposte sulla

Foto R. Angelini

Mine sulla pagina inferiore e superiore Foto R. Angelini

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Crisalide e mina aperta di P. blancardella Foto R. Angelini

Adulto di Phyllonorycter blancardella Larva di Phyllonorycter blancardella

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coltivazione pagina inferiore delle foglie nascono le larve che vi penetrano direttamente e lì vivono, all’interno di una mina che si manifesta con un sollevamento del lembo fogliare, poi caratterizzata da piccole macchie chiare sottoepidermiche, corrispondenti ai morsi delle larve praticati nell’attraversamento del tessuto a palizzata (aspetto marmorizzato). Al termine dello sviluppo, la larva si costruisce un bozzoletto sottile e la crisalide fuoriesce leggermente dalla parte inferiore delle mine. Il secondo volo dell’anno ha luogo in giugno, mentre il terzo e il quarto sono spesso sovrapposti a partire da luglio fino a settembre. P. blancardella vive su melo e pero, ma anche su sorbo, nespolo, cotogno ecc. I danni di questa specie sono a carico delle foglie che, se molto attaccate, possono anche cadere, ma in genere i danni sono da considerarsi secondari e limitati. P. blancardella è vittima di numerosi parassitoidi che ne limitano le popolazioni. Fra questi si ricordano: Apanteles lautellus, A. bicolor, A. circumscriptus, Cirrospilus pulcher, Sympiesis sericeicornis, Pediobius sanguis, Tetrastichus amethystinus.

Foto R. Angelini

Tignola o ragna del melo (Yponomeuta malinellus) Questo insetto appartiene all’ordine Lepidoptera, famiglia Yponomeutidae. Gli adulti hanno ali di colore bianco la cui apertura è di circa 20 mm. Quelle anteriori sono punteggiate di macchie nere, mentre quelle posteriori sono grigie e frangiate. Le uova sono deposte in agglomerati di 20-95 elementi di forma convessa, ovale e su più strati, con dimensioni da 4 a 10 mm. Le ovature, che sono di colore giallo appena deposte per poi virare al marrone, sono deposte su rami di 2 anni. Le larve neonate sono di colore giallo, mentre quelle successive sono di colore grigio-blu subito dopo la muta, per poi assumere, nelle età successive, una colorazione progressivamente più chiara fino a diventare giallo-grigia prima della muta successiva. Ciascun segmento larvale ha 2 punti neri, nero è anche il colore del cranio. La lunghezza delle larve mature è di circa 18-20 mm. La crisalide è gialla e misura 8-9 mm. Y. malinellus è diffusa in tutta Europa, nell’Africa del Nord, in Nord America e in Asia. In Italia è presente su piante isolate e in particolare in Trentino-Alto Adige. Questa specie sverna come larva giovane sotto le proprie ooplacche dalle quali fuoriescono nella primavera successiva (aprile). Quindi penetrano all’interno delle foglie divorandone il contenuto e formando mine anche di notevole dimensione. Successivamente escono dalle mine per imbrigliare altre foglie con una fitta “ragnatela” e cibarsene completamente. Questa operazione può continuare su altri gruppi di foglie fino a sviluppo larvale completo. All’interno di tali formazioni di foglie raggruppate (nidi) si formano le crisalidi dalle quali prendono origine gli adulti che si possono osservare principalmente in luglio. Y. malinellus può causare danni

Yponomeuta malinellus su foglia di melo Foto R. Angelini

Ragnatela e larve di Y. malinellus

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parassiti animali più o meno seri agli apici dei getti e alla produzione quando la defogliazione è severa.

Foto R. Angelini

Rincoti o Emitteri Fanno parte di questo ordine insetti che per alimentarsi pungono le piante per succhiarne il contenuto. Si possono avere inoltre emissioni di sostanze zuccherine e trasmissione di agenti patogeni infettivi. Gli Emitteri o Rincoti (a cui appartengono oltre 50.000 specie) sono suddivisi in due grandi sottordini (Eterotteri e Omotteri) che sono stati di recente oggetto di profonde modifiche sistematiche. Nella nuova classificazione, infatti, i sottordini sono quattro: Prosorrinchi, Archenorrinchi, Clipeorrinchi e Sternorrinchi. A quest’ultimo appartengono le superfamiglie più importanti dal punto di vista dei danni che possono provocare alle colture, vale a dire gli Psylloidea (a cui appartengono le psille), Aleyrodoidea (o aleirodidi), Aphidoidea (gli afidi) e Coccoidea (le cocciniglie). Fra le psille rivestono importanza per il melo quelle legate alla trasmissione di agenti infettivi che causano gli scopazzi (apple proliferation = AP) e cioè Cacopsylla melanoneura e picta. Altrettanto temute sono alcune specie di cocciniglie di cui Quadraspidiotus perniciosus è la più importante. Agli afidi appartiene una specie chiave (Dysaphis plantaginea = afide cenerognolo del melo) che, insieme con Aphis pomi, è la specie maggiormente diffusa. Altre specie sono presenti frequentemente, ma non dannose nella pratica.

Adulto di cicalina Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Danno su foglia da cocciniglia di S. Josè Colonia di afide grigio del melo

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coltivazione Afide grigio del melo (Dysaphis plantaginea) L’afide grigio del melo appartiene all’ordine Rhyncota, famiglia Aphididae. È una delle specie di afidi più temute per la coltura del melo ed è catalogato come specie “chiave”, vale a dire che livelli di popolazione anche molto limitati sono praticamente sempre ritenuti in grado di procurare danni. L’adulto (fondatrice attera) ha un corpo globoso, di colore verde scuro fino a nero rossastro ricoperto di cera biancastra polverulenta, una lunghezza di circa 2,4 mm. La forma alata ha capo, torace e sifoni nerastri e addome di colore verdastro-marrone scuro, con una grande macchia nera centrale e 2 strisce nere trasversali. Gli ospiti primari sono il melo e il cotogno, quelli secondari sono piante erbacee del genere Plantago (in particolare P. lanceolata). Le uova che svernano sono deposte isolate, principalmente alla base delle gemme o nelle screpolature della corteccia e cominciano a schiudere dalla metà di marzo. Le giovani neanidi, che appena nate sono di colore verde scuro fino al rossastro, si coprono di polvere di cera grigia che dà il caratteristico aspetto cenerognolo. La fecondità di una fondatrice è di circa 70 individui, mentre la longevità è di circa 20 giorni. La prima generazione è formata quasi interamente da individui atteri. Sull’ospite primario si possono avere 3-4 generazioni, fino a un massimo di 6. Dopo la schiusura le forme giovanili raggiungono gli apici vegetativi e infestano le foglie. Di norma si insediano sulla pagina inferiore, vicino alla nervatura centrale, che si arrotola su se stessa, provocandone l’incurvamento, deformazioni e bolle. La migrazione verso gli ospiti secondari ha inizio in maggio-giugno e termina in genere entro luglio. Sugli ospiti secondari si possono avere da 3 a 8 generazioni. Dall’inizio di ottobre a novembre inoltrato compaio-

Foto R. Angelini

Melo fortemente infestato da D. plantaginea Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Tipiche deformazioni dei frutti conseguenti all’attacco di Dysaphis plantaginea Colonia di Dysaphis plantaginea

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parassiti animali no femmine anfigoniche che, dopo l’accoppiamento, depongono le uova, isolatamente, a ridosso delle gemme o nelle screpolature del legno dell’ospite primario (melo). Le uova sono giallo chiaro appena deposte, quindi diventano nere e lucide, di forma ovale e allungata. Ciascuna femmina può deporre in media 4-5 uova. D. plantaginea inietta saliva nelle piante, che causa gravi arrotolamenti e distorsioni delle foglie e deformazioni nei frutti. Può inoltre pungere i fiori provocandone l’aborto. L’afide grigio produce anche abbondante melata che può imbrattare altre foglie e i frutti, sui quali possono svilupparsi funghi. L’arrotolamento delle foglie e la melata possono influire sulla crescita delle piante se le infestazioni sono elevate e persistenti negli anni. I danni alla produzione possono essere anche molto gravi se non si interviene in modo opportuno almeno fino alla fase di frutto-noce, oltre la quale i frutti non subiscono deformazioni. Molti fattori abiotici possono influenzare le pullulazioni di D. plantaginea. Per esempio le piogge, nel momento delle migrazioni, possono distruggere una notevole quantità di forme alate o decimare le colonie sulle Plantago spp. Il numero delle uova invernali deposte è fortemente influenzato dalla data e dall’importanza della defogliazione; infatti le varietà nelle quali le foglie cadono precocemente sono molto meno infestate di quelle a caduta tardiva. Il vento forte influenza questo fenomeno e inoltre agisce direttamente sulle popolazioni.

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Attacco di Dysaphis plantaginea su frutticino Foto R.A ngelini

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Accartocciamenti tipici da D. plantaginea Foto R. Angelini

Apice vegetativo fortemente infestato da Dysaphis plantaginea Forte infestazione di Dysaphis plantaginea

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coltivazione Afide verde del melo (Aphis pomi) L’insetto, appartenente all’ordine Rhynchota, famiglia Aphididae, è di colore verde-giallastro con capo, torace e codicola scuri. La lunghezza del corpo va da 1,3 a 2,3 mm. La forma alata ha generalmente il capo e il torace nero e l’addome giallo-verde con lunghezza simile alla forma attera. A. pomi vive principalmente su melo e pero, ma occasionalmente anche su biancospino, nespolo, sorbo e cotogno. Il melo è comunque l’ospite preferito. Benché l’afide verde sia soggetto ad ampie fluttuazioni, generalmente compare all’inizio della stagione. A. pomi è una specie monoica e sverna come uovo nelle screpolature delle gemme a frutto e dei germogli cresciuti nell’anno precedente. Le uova, deposte generalmente in gruppi, sono piccole, ovali, lucenti e nere. Esse schiudono poco prima della fioritura, quando appaiono le prime foglioline. Le neanidi, di colore verde scuro, dopo la nascita si dirigono immediatamente verso l’estremità dei germogli, sulle gemme in procinto della rottura. Le fondatrici danno origine, per partenogenesi, a nuovi individui, generalmente durante la fioritura. Questa specie rimane su melo per tutta la stagione e compie fino a 20 generazioni o più in un anno. Inizialmente si nutre sulle foglie dei giovani germogli, sulle quali si formano colonie molto numerose. Successivamente si portano sulla nuova vegetazione ma, con l’aumentare della popolazione, possono colonizzare anche le foglie più vecchie. I danni maggiori si possono verificare su piante giovani, deprimendone e ostacolandone la crescita e stimolando l’emissione di branche laterali. I danni sono dovuti altresì alla melata che imbratta foglie e frutti. Le foglie possono perdere la loro normale funzione anche in seguito ad accartocciamenti irregolari a cui seguono indebolimento dei getti e caduta. I frutti possono essere invasi da funghi che causano rugginosità, deformazioni e conseguente minore qualità commerciale. In genere il vento e le piogge concorrono alla limitazione dell’afide verde.

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Aphis pomi Foto R. Angelini

Accartocciamenti tipici da afide verde Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Aphis pomi su germoglio Colonia di Aphis pomi su foglia

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parassiti animali Afide dalle galle rosse (Dysaphis devecta) L’afide dalle galle rosse appartiene all’ordine Rhynchota, famiglia Aphididae. Gli adulti atteri sono di colore blu-grigio con addome parzialmente sclerificato nella parte dorsale. I sifoni cilindrici sono corti e anneriti. La lunghezza del corpo è compresa fra 1,8 e 2,5 mm. Gli adulti alati sono di colore lilla-grigio, lunghi fra 1,6 e 2,5 mm, anch’essi con un’ampia sclerotizzazione toracica e addominale. Questa specie, diffusa solamente in Europa, è presente in Italia soprattutto al Nord, nelle zone a forte concentrazione melicola. D. devecta, che sverna come uovo, ha un ciclo monoico e compare in primavera molto precocemente, in genere durante la fase di orecchiette di topo. Si dirige verso le foglioline che attacca e punge provocando la formazione delle galle dentro le quali continua a svilupparsi e riprodursi. Le forme anfigoniche compaiono dopo 3 generazioni partenogenetiche. Prima dell’estate, pertanto, vengono deposte le uova destinate a svernare. Questa specie infesta la pagina inferiore delle foglie, provocandone arrotolamenti che si colorano successivamente di rosso vivo. Non causa, in pratica, danni alla produzione. Il gruppo di varietà più sensibile è quello delle Golden Delicious.

Foto R. Angelini

Danno su germoglio da Dysaphis devecta

Foto R. Angelini Foto R. Angelini

Danno da Dysaphis devecta

Danno da Dysaphis devecta su germoglio, con la formazione delle tipiche pseudogalle che si colorano di rosso intenso

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coltivazione Afide verde migrante (Rhopalosiphum insertum) L’insetto appartiene all’ordine Rhynchota, famiglia Aphididae. L’adulto attero, di colore verde-oliva pallido, ha una lunghezza del corpo compresa fra 1,8 e 2,4 mm. L’addome presenta una sfumatura longitudinale dorsale più chiara e 4 tacche nere per lato. La codicola e i sifoni, lunghi circa due volte la codicola, sono più scuri, tendenti al bruno. È una specie dioica i cui ospiti primari sono le parti aeree delle pomacee e quelli secondari il colletto o le radici delle graminacee. Occasionalmente può compiere un ciclo completo sugli ospiti secondari tra la parte aerea, sulla quale vengono deposte le uova, e le radici della stessa graminacea (ciclo paramonoico eterotopo). Sverna sull’ospite primario come uovo. Le fondatrici (presenti a marzo) e le successive generazioni vivono a spese delle foglie, dei germogli e soprattutto dei mazzetti fiorali. Fin dalla prima generazione compaiono le forme alate migranti. In genere, poco dopo la fioritura, la specie abbandona gli ospiti primari che, nel mese di maggio, ne sono completamente liberi, e migra su quelli secondari di cui frequenta i colletti e le radici. Su tali ospiti compie in genere 10-11 generazioni. In autunno, dalla metà di ottobre circa, le forme alate tornano sugli ospiti primari che possono venire infestati in modo notevole. In tale periodo le colonie si trovano nella pagina inferiore delle foglie e vi rimangono fino a novembre inoltrato. Le femmine depongono le uova, di colore nero, a gruppi o isolate, nelle screpolature della corteccia. I danni sulle pomacee sono soprattutto a carico delle foglie che si piegano in modo da formare una specie di cilindro più o meno serrato. Sulle graminacee può trasmettere il virus del nanismo giallo dell’orzo (virus persistente).

Diffusione dell’afide verde migrante

• R. insertum è una specie diffusa in

Italia nelle regioni settentrionali e soprattutto in Piemonte, Trentino ed Emilia-Romagna. Attacca in particolare le pomacee quali melo, pero, sorbo, biancospino, cotogno ecc. e alcune graminacee dei generi Poa, Festuca, Glyceria, Agrostis, Phalaris ecc.

Foto A. Pollini

Foto A. Pollini

Ninfa di Rhopalosiphum insertum

Contenimento dell’afide verde migrante

• È efficacemente contenuto

dall’Imenottero Braconide Monoctonus cerasi. Coleotteri coccinellidi e larve di ditteri sirfidi sono anch’essi efficaci nei confronti delle popolazioni di questa specie. Anche lo spostamento delle epoche di semina delle graminacee (autunnali ritardate e primaverili anticipate) costituisce un efficace metodo di contenimento agronomico Danno provocato da Rhopalosiphum insertum

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parassiti animali Afide lanigero del melo (Eriosoma lanigerum) L’insetto, appartenente all’ordine Rhynchota, famiglia Aphididae, ha una lunghezza di 2 mm, forma ovale, colore rosso scuro, violaceo o bruno, quasi nero. Le antenne sono corte, rostro potente e cornicoli molto corti che appaiono come un anello leggermente sporgente. Anche le zampe sono corte. La forma alata ha il capo e il torace di colore nero lucido e addome bruno. La lunghezza è di circa 3 mm. Questa forma secerne lunghi filamenti cerosi di colore bianco da ghiandole ciripare situate nella parte dorsale dell’addome. È fondamentalmente legata al melo, sebbene occasionalmente sia stata osservata su Crataegus, Pyracanta, Cotoneaster, sorbo e pero. L’areale di origine è negli USA, dove rappresenta una delle maggiori avversità nelle zone di coltivazione del melo.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Attacco di Eriosoma lanigerum su germoglio Foto R. Angelini

Colonia e danno provocato da afide lanigero

In Italia ha un ciclo monoico legato principalmente al melo. Il ciclo è praticamente sostenuto dalle virginopare attere che si riproducono per partenogenesi. Da fine estate possono comparire, anche sugli eventuali ospiti secondari, le forme sessupare e gli individui anfigonici che possono deporre le uova invernali. Ciascuna femmina depone un solo uovo. In ogni caso le fondatrici che nascono dalle uova durevoli nella primavera successiva muoiono senza essersi alimentate. Lo svernamento avviene principalmente come neanide di prima o seconda età (stadi molto resistenti al freddo), nelle screpolature, in genere della parte più bassa della corteccia dei tronchi o dei rami, in ferite, gallerie ecc. Raramente sverna sulle radici e solo in condizioni di terreno sabbioso e asciutto. Le colonie in primavera sono ben visibili sulle parti legnose (tronchi, branche, rami e rametti), in particolare in corrispondenza di ferite, tagli di potature, gallerie causate da specie xilofaghe. In genere si compiono fino a 20 generazioni. Le colonie sono formate da

Attacco di Eriosoma lanigerum (particolare)

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coltivazione individui di colore rossastro o porpora completamente ricoperte da lanugine di cera bianca. Le iniezioni di saliva causano una notevole riproduzione neoplastica (galle, tumori) che, negli anni successivi, si manifesta con evidenti screpolature della corteccia. I tumori, le masse nodulari o i tessuti galligeni sulle radici non consentono un regolare sviluppo delle piante con conseguente rallentamento o blocco della crescita. In particolare ciò è più evidente su terreni argillosi che con terreni sabbiosi, soprattutto in seguito a periodi secchi che favoriscono la rottura delle radici e una più facile aggressione degli afidi. Sulla parte aerea gli attacchi sono spesso situati dove già sono presenti ferite (potatura, gallerie di altri insetti ecc.). Possono essere colonizzati anche i piccioli delle foglie sui rametti di 1-2 anni. In genere sui rametti attaccati si originano cancri che non consentono lo sviluppo delle gemme a frutto. In presenza di elevate popolazioni la melata prodotta e la crescita di fumaggini possono creare problemi. Sui tumori o sulle grosse ipertrofie radicali si insediano, inoltre, funghi che sono responsabili dell’aggravamento delle condizioni di sviluppo delle piante e del loro repentino indebolimento fino alla morte per disseccamento. La gravità dell’attacco e la sensibilità della cultivar sono determinanti per l’entità dei danni. In particolare tra le varietà resistenti si ricordano Annurca, Jonathan, Early Harvest, Golden Delicious. I portinnesti resistenti sono spesso utilizzati per diminuire le possibilità e la gravità degli attacchi alla parte radicale e quindi aerea. L’afide lanigero è vittima di numerose specie di predatori di svariati ordini e famiglie (Ditteri Sirfidi, Neurotteri Crisopidi, Coleotteri Coccinellidi ecc.) e di parassitoidi. In particolare l’Imenottero Calcidoideo Aphelinus mali, di origine americana, svolge un ruolo molto importante. La parassitizzazione in genere raggiunge livelli molto elevati, anche oltre il 90%.

Foto R. Angelini

Colonia di Eriosoma lanigerum

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Colonia di Eriosoma lanigerum su screpolature del tronco Attacco di Eriosoma lanigerum su rametto

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parassiti animali Tingide del pero (Stephanitis pyri) L’insetto, appartenente all’ordine Rhynchota, famiglia Tingidae, è di forma appiattita con antenne lunghe. Il capo e il protorace sono provvisti di processo sferico somigliante a una ampolla. Le ali anteriori sono trasparenti e reticolate, con macchie nere sfumate, disposte a formare una sorta di “H”. Le uova sono di colore nero lucente, di forma ellittica, inserite obliquamente nel tessuto fogliare della pagina inferiore, lungo la nervatura principale e coperte con una goccia di liquido escrementizio. Le neanidi e le ninfe sono caratterizzate da numerosi processi spinosi di colore chiaro nel capo e nell’addome. In Italia è presente dappertutto. La tingide del pero ha, come ospiti principali, melo, pero, susino, ciliegio, biancospino, rosa, rododendro, azalea, piracanta, sorbo e castagno dolce. Gli adulti svernano nel terreno sotto le foglie secche o sotto la corteccia e riprendono l’attività verso la metà di aprile, accoppiandosi. Le uova vengono deposte dagli inizi di maggio, per circa un mese, raggiungendo anche il centinaio di unità. Le neanidi rimangono nella pagina inferiore delle foglie e raggiungono la maturità in circa 20 giorni. Come gli adulti si cibano di fluidi intracellulari. In giugno prende avvio la seconda generazione alla quale ne succedono una terza e anche una quarta compatibilmente con il sopraggiungere della stagione fredda. I danni non sono solo diretti (sottrazione di fluidi) ma anche per conseguenze delle numerose lesioni: necrosi e disseccamenti fogliari, deposito di liquidi escrementizi che ostruiscono gli stomi con la melata prodotta. Forti infestazioni possono causare una defogliazione completa.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Psilla del biancospino (Cacopsylla melanoneura) La psilla appartiene all’ordine Rhyncota, famiglia Psyllidae. Gli adulti svernanti sono di colore bruno rossiccio, mentre quelli estivi sono verde brillante. Le uova sono di colore giallo-arancio, non hanno in pratica il filamento apicale e vengono deposte oblique, cioè non adagiate come nelle altre specie. In Italia C. melanoneura è molto comune nelle regioni settentrionali nelle quali è tra le specie maggiormente presenti. Le piante ospiti sono il biancospino e altre rosacee (Malus e Pyrus spp.). Questa specie è stata ritrovata anche su Taxus baccata, oltre che su molte piante rifugio o occasionali di differenti famiglie. Svolge un’unica generazione l’anno. Gli adulti passano l’inverno su conifere del genere Taxus, Abies, Pinus, su piante spontanee ecc. Dal biancospino (Crataegus spp.), che è un ospite comune, gli adulti possono passare scalarmente al melo non ancora in vegetazione (sono presenti già prima dell’ingrossamento delle gemme). Sul melo si nutrono e si accoppiano. Le uova vengono deposte in gruppi (anche 200 per femmina) su perule, foglioline o

Colonie di tingide del pero

Uova di Cacopsylla melanoneura

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coltivazione boccioli fiorali per un periodo che può durare anche 40 giorni. Le neanidi colonizzano i mazzetti e si trovano frequentemente localizzate sulle pagine inferiori delle foglie della rosetta, o alla base dei piccioli, dove è prodotta melata. Gli adulti della nuova generazione spariscono dal melo subito dopo la loro comparsa. C. melanoneura compare sui meli con anticipo (ingrossamento delle gemme) rispetto a C. picta (che in genere compare nella fase di orecchiette di topo). Le neanidi e le ninfe producono melata che può causare crescite stentate dei germogli o deformazione dei lembi fogliari, ma non hanno, nella pratica, importanza economica. C. melanoneura è stata identificata quale vettore del fitoplasma degli “scopazzi del melo” (apple proliferation phytoplasma = APP). Il periodo critico per la trasmissione è tra febbraio e marzo in corrispondenza del picco di massima intensità della popolazione (ma anche prima per opera di individui svernanti già infetti).

Adulto di Cacopsylla melanoneura

Neanidi di Cacopsylla melanoneura su boccioli fiorali

Cacopsylla melanoneura è il vettore degli “scopazzi del melo”

Psilla (Cacopsylla picta) Come la specie precedente, C. picta (= C. costalis) appartiene all’ordine Rhyncota, famiglia Psyllidae. Gli adulti svernanti sono di colore scuro, mentre quelli estivi hanno un aspetto verde brillante. Le uova sono di colore bianco-giallastro. C. picta è una specie probabilmente molto rara, presente nelle aree frutticole dell’Italia settentrionale (area di Nord-Est). Oltre che su melo (M. domestica, M. sylvestris e Prunus armeniaca) è stata segnalata su conifere e su piante erbacee spontanee del genere Brassica, Mentha, Avena, Vicia, Pisum ecc. Su melo gli adulti compaiono di norma nella fase fenologica di orecchiette di topo, cioè qualche tempo dopo C. melanoneura,

Adulti di Cacopsylla picta

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parassiti animali che in genere è osservabile già nella fase di ingrossamento delle gemme. Le uova sono deposte singolarmente sulle foglioline non ancora completamente aperte, o appena distese. Una femmina può deporre scalarmente (30-40 giorni) fino a 160 uova. Le neanidi e le ninfe si nutrono a spese della pagina inferiore delle foglie originando una melata tipicamente puntiforme. Gli adulti compaiono scalarmente per oltre un mese (fra giugno e luglio), ma dal melo spariscono in tempi brevi. La melata prodotta dalle neanidi e dalle ninfe non è in genere causa di danni diretti ai frutti, che però possono venire imbrattati e colonizzati da fumaggine nerastra. C. picta è, come C. melanoneura, un vettore del fitoplasma degli “scopazzi del melo”. Uova di Cacopsylla picta sulla pagina inferiore della foglia

Psilla del melo (Cacopsylla mali) Gli adulti (3-4 mm) sono in generale di colore fra il verde chiaro e il bruno rossastro. Le femmine presentano un pronoto di colore prevalentemente rossastro, mentre i maschi di colore bruno-verdastro, così come l’addome per entrambi i sessi. Le ali sono ialine, disposte a tetto. C. mali si differenzia da Cacopsylla pyricola, con la quale potrebbe essere confusa, per la mancanza di una macchia nera sulle ali nella zona posteriore. Le uova (0,4 mm di lunghezza) hanno un breve peduncolo conico e un breve filamento apicale. Sono di colore bianco, appena deposte, poi di colore giallo e quindi rossastro quando prossime alla schiusura. Le neanidi e le ninfe sono di colore compreso fra il giallo e il verde con macchie e striature trasversali nere. C. mali compie 1 sola generazione per anno. Sverna allo stato di uovo deposto in piccoli gruppi (3-10 elementi) nelle screpolature trasversali della corteccia o delle lamburde del melo o, più raramente, del cotogno. La fecondità media per femmina è di circa un centinaio di uova. Le prime neanidi compaiono fra marzo e aprile (più o meno nel periodo di rottura delle gemme) e sono in genere osservabili, anche in gruppi numerosi, sulle gemme ingrossate o nei corimbi. Gli adulti compaiono fra maggio e giugno e possono rimanere su melo o migrare su altre piante (olmo, nocciolo ecc., su cui estivano senza nutrirsi), per tornare a ovideporre su melo in autunno. C. mali arreca in Italia danni trascurabili, mentre è descritta come dannosa in Centro Europa. I danni sono causati dalle punture o dalle ustioni della melata prodotta da neanidi e ninfe a carico di gemme, foglie (che non si distendono completamente) e fiori (aborti e avvizzimenti). Le punture sui frutti possono dare origine a malformazioni.

Segni di ovideposizioni di Cacopsylla picta su foglia Foto A. Pollini

Danno da Cacopsylla mali su foglia

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coltivazione Cocciniglia di S. José (Quadraspidious perniciosus) La cocciniglia di S. Josè appartiene all’ordine Rhyncotha, famiglia Diaspididae. È una cocciniglia praticamente presente in tutto il mondo ed è una delle specie più dannose. È caratterizzata da un notevole dimorfismo sessuale. Le femmine, infatti, sono costantemente senza ali (attere), quasi sempre apode (senza zampe) e con il corpo non suddiviso, mentre i maschi sono di norma alati (il paio anteriore normali e quelle posteriori non funzionali). Nei Diaspini, famiglia a cui appartiene Q. perniciosus, le sostanze cerose emesse, insieme ai resti larvali delle età precedenti, formano caratteristici scudetti circolari o subcircolari. La riproduzione può essere anfigonica (sono presenti i 2 sessi) o partenogenetica (le femmine originano individui senza accoppiarsi). Q. perniciosus è ovovivipara (non sono visibili le uova, ma solo le neanidi) e il numero di uova per femmina varia da alcune centinaia ad alcune migliaia. La cocciniglia di S. José sverna sulle piante come neanide di prima o seconda età, ma anche eccezionalmente come femmina. Normalmente le femmine compaiono in marzo-aprile, sono quindi fecondate e danno origine mediamente a 100-150 nuovi individui. Essi conquistano in tempi brevi nuova vegetazione (rametti) e frutti sui quali si fissano e si nutrono. Nel corso di un anno si susseguono 3 generazioni. Le cocciniglie, in generale, sono importanti insetti fitofagi che attaccano un considerevole numero di piante coltivate. Alcune specie sono monofaghe, altre polifaghe e possono infestare sia le parti epigee sia quelle ipogee. La cocciniglia di S. José colonizza i tronchi, i rami e i frutti iniettando saliva che nei tessuti provoca arrossamenti circolari ben visibili sia sui rami (sollevando la corteccia) sia sulla buccia dei frutti. I danni consistono in prelievi di linfa da un unico punto per individuo. Le piante attaccate possono anche disseccare completamente, mentre i frutti subiscono un irrimediabile danno commerciale. È una specie ritenuta originaria del Nord della Cina, arrivata nella valle californiana di S. José (da cui il nome) nel 1873. In Italia è presente dal 1920 circa. La cocciniglia di S. José presenta scudetti circolari grigi con follicolo centrale nelle femmine, mentre quelli maschili sono ellittici, dello stesso colore e con follicoli eccentrici. Attacca moltissime piante spontanee, forestali e da frutto (oltre 200) con particolare preferenza per le Rosacee.

Foto R. Angelini

Particolare di una colonia di Q. perniciosus Foto R. Angelini

Danno da cocciniglia di S. Josè su frutto Foto R. Angelini

Coleotteri I Coleotteri (dal greco koleòpteros “dalle ali inguainate”, composto di koleòn “guaina” e pteròn “ala”), comprendono oltre 300.000

Danno su branca da cocciniglia di S. Josè

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parassiti animali specie fino a ora descritte. Vivono in differenti habitat e sono diffusi universalmente. In questo ordine sono comprese specie anche molto dannose, sia da adulti sia da larve, in molti e differenti ambienti. Alcune specie sono utili (entomofaghe, impollinatrici, coprofaghe ecc.). In particolare sono qui descritte 2 specie di una certa importanza per il melo: Anthonomus pomorum e Melolontha melolontha.

Foto R. Angelini

Antonomo del melo (Anthonomus pomorum) Si tratta di un coleottero appartenente all’ordine Coleotteri, famiglia Curculionidae di colore bruno-rossastro, di forma ovale, che misura da adulto 4-5 mm; si distingue dal congenere antonomo del pero (Anthonomus pyri) per possedere sulle elitre a riposo una tipica fascia biancastra con decorso a “V”. Tipico fitofago della primavera, le sue piante ospiti sono Rosacee Pomoidee, in particolare il melo e secondariamente il pero. Specie comune nelle regioni dell’Europa centro-settentrionale, nei meleti italiani è diffusa ovunque, sebbene sia tipica degli ambienti a melo posti ad altitudini più elevate (>500 m s.l.m.). Da sempre incluso fra i fitofagi minori del melo, ha assunto lo status di insetto da controllare nell’ultimo ventennio del secolo scorso in seguito al minor utilizzo di insetticidi a largo spettro. Attualmente la sua presenza e la sua dannosità sono circoscritte a limitate aree del Trentino-Alto Adige, Piemonte, Valtellina e FriuliVenezia Giulia. Sviluppa una generazione all’anno; in primavera, gli adulti che hanno svernato sotto la corteccia o in vari ricoveri alla base delle piante rientrano in attività alla ripresa vegetativa pungendo le gemme a fiore e poco dopo si accoppiano. Dal momento in cui tra le perule delle gemme è presente una striscia bianco/verdastra inizia l’ovideposizione; l’antonomo, dopo aver provocato un foro nella gemma vi depone singole uova. Dopo circa una settimana schiudono le larve che rodono gli organi interni di ciascun fiore impedendone la schiusura. Entro una singolare ed evidente sfera di petali di colorazione bruna si forma la pupa. I fiori infestati rimangono generalmente attaccati alla pianta fino alla schiusura degli adulti che avviene fra metà maggio e giugno. Gli adulti neosfarfallati rimangono sulla pianta all’incirca un mese prima di estivare e svernare nei loro ricoveri, per ricominciare il ciclo nella primavera successiva. In questa fase si nutrono erodendo le foglie più tenere o i frutti in accrescimento e provocando su questi ultimi delle piccole lesioni e/o deformazioni del frutto, spesso confuse con punture di miridi e rincoti. Se il numero di fiori/pianta è equilibrato i danni da antonomo sono generalmente trascurabili, tuttavia in alcune situazioni viene perduta fino al 70% della fioritura e perciò il danno può risultare economicamente apprezzabile. Il contenimento naturale, operato prevalentemente da

Danno da antonomo con tipico aspetto a “chiodi di garofano” dei fiori infestati Foto R. Angelini

Larva di antonomo all’interno del frutticino Foto R. Angelini

Danno da antonomo su frutticini

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coltivazione imenotteri incneumonidi (per es. Scambus pomorum) e da braconidi, può contenere anche il 50% della popolazione giovanile e adulta di antonomo. L’entità della popolazione adulta svernante si valuta da fine febbraio utilizzando la tecnica di battitura con ombrello entomologico (frappage). La soglia di intervento proposta è di 20-30% di branchette con antonomo.

Foto R. Angelini

Maggiolino (Melolontha melolontha) Il maggiolino appartiene all’ordine Coleotteri, famiglia Scarabeidae. La sua elevata polifagia, le dimensioni relativamente importanti (25-30 mm) ed i caratteristici voli in massa osservabili da aprile a giugno all’imbrunire, fanno di questo insetto una delle poche specie fitofaghe molto conosciute anche fra i non addetti del settore. Il maggiolino, storicamente temuto per le cicliche defogliazioni inferte a numerose piante arboree, ha assunto nell’ultimo trentennio status di potenziale fitofago del melo per i danni a opera delle popolazioni larvali. Queste infatti svolgono il proprio ciclo nel terreno nel primo mezzo metro di profondità, interessando perciò tutte le radici della pianta coltivata. In particolare ne risentono i moderni impianti a melo innestati su portinnesti nanizzanti caratterizzati da apparato radicale posto nei primi 30 cm di terreno. L’adulto del maggiolino ha torace nero mentre le elitre, che ne ricoprono il dorso, sono di colore rosso-marrone. Nel mese di aprile gli adulti escono con gradualità dal terreno e volano al tramonto verso le più vicine radure boschive, prevalentemente latifoglie (quercia, carpino, acero, ciliegio, betulla, noce ecc.), nutrendosi attivamente dei tessuti verdi. L’attività di alimentazione perdura circa 2 settimane, fase nella quale avvengono anche gli accoppiamenti. Trascorso questo periodo, le femmine ritornano sui terreni da cui sono sfarfallati e depongono alcune decine di uova a pochi cm di profondità; le femmine possono ritornare a nutrirsi sulle latifoglie altre volte per poi ritornare e deporre altre uova. Le larve nascono da metà giugno si nutrono principalmente di radici. La fase larvale dura almeno due anni dopodiché si impupano a fine estate del secondo anno, e nella primavera del terzo anno sfarfalleranno gli adulti. Specie comune in gran parte degli Stati europei, in Italia colonizza soprattutto il Centro-Nord e relativamente al melo alcuni distretti della Val D’Aosta, del Trentino-Alto Adige, Piemonte e Friuli. Le larve di maggiolino, lunghe fino a 40 mm, sono a forma di “C”, biancastre, con capo e zampe aranciate e la parte terminale dell’addome ingrossata rispetto al resto del corpo. Esse prediligono ambienti freschi e terreni sciolti. Per quantificare la popolazione larvale presente si scava una decina di buche nel terreno (50 × 50 cm) e profonde 40-50 cm. Sebbene non vi sia una soglia economica, per il melo, si ritiene che una presenza media di 5-10 larve/m² sia già in grado di determinare un danno reale alla pianta.

Adulti di antonomo Foto R. Angelini

Adulto di maggiolino Foto R. Angelini

Larva di maggiolino

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parassiti animali Ditteri È un ordine vastissimo che comprende specie di varie dimensioni, abitudini, habitat ecc. Comprende specie di notevole importanza anche agraria per le numerose colture attaccate e i danni provocati in particolare dalle larve. Su melo riveste un certo interesse Dasyneura mali.

Foto R. Angelini

Cecidomia fogliare (Dasyneura mali) L’insetto appartiene all’ordine Diptera, famiglia Cecidomyiidae. Gli adulti sono di colore giallo sporco, della dimensione di 2-2,5 mm di lunghezza, mentre le larve, che sono prive di zampe, misurano al massimo 2 mm. Dasyneura mali è originaria dell’Europa da dove si è diffusa nelle Americhe (introdotta nel 1912) e nella Nuova Zelanda. In Italia è comune ovunque. È specificamente legata al melo e il suo ciclo biologico è molto influenzato dalle condizioni climatiche. Nel corso della stagione vegetativa si susseguono 3-5 generazioni legate alla presenza di germogli freschi. D. mali si sviluppa, infatti, a spese delle foglie del melo sulle quali provoca arrotolamenti verso la parte superiore, nella parte distale di entrambi i lembi. La cecidomia sverna come larva dentro un bozzolo. Durante la fioritura compaiono gli adulti che si accoppiano in tempi molto brevi poiché la loro vita media non supera i 2-3 giorni. Le femmine depongono sulle foglie gruppi di 20-50 uova. In questo periodo si originano gli arrotolamenti delle foglie causati dall’attività trofica delle larve che, quando mature, si lasciano cadere al suolo per impuparsi nel terreno a qualche centimetro di profondità. Non è praticamente dannosa in impianti in produzione, mentre in vivaio può generare danni rallentando lo sviluppo dei germogli e l’attività fotosintetica. In sua presenza sembrano aggravarsi i danni da Tortricidi ricamatori che trovano riparo dentro le foglie accartocciate.

Attacco di Dasyneura mali su germoglio Foto R. Angelini

Larve di Dasyneura mali

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Arrotolamenti fogliari da Dasyneura mali Arrotolamenti delle foglie provocati da cecidomia fogliare

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coltivazione Acari Gli acari appartengono alla classe degli aracnidi e sono caratterizzati dal possedere 4 paia di zampe (3 paia sulle larve), tranne gli eriofidi che posseggono 2 paia di zampe in tutti gli stadi dello sviluppo post-embrionale. Di importanza marginale come fitofagi, hanno assunto, a partire dalla metà del secolo scorso, un ruolo importante con danni rilevanti su molte colture, tra cui il melo, in seguito alla rottura dell’equilibrio biologico causato principalmente dall’uso eccessivo di fitofarmaci ad ampio spettro d’azione e poco selettivi nei riguardi dell’entomofauna utile.

Interazione eriofidi-fitoseidi

• Per alcune specie di fitoseidi è

riconosciuto un ruolo fondamentale di predazione degli eriofidi. Typhlodromus pyri, per esempio, si nutre sia di eriofidi che di ragno rosso. Perciò una minima presenza di Eriofide anche nella prima parte della stagione vegetativa può rappresentare un aspetto favorevole per consentire alle popolazioni dei fitoseidi di incrementarsi sulla vegetazione. Nella generalità dei casi tuttavia le specie di fitoseidi più diffuse su melo (Amblyseius andersoni e T. pyri) non sono in grado di operare un controllo biologico soddisfacente dell’eriofide, contrariamente a quanto avviene invece nei confronti del ragnetto rosso

Eriofide del melo (Aculus schlechtendali) È un acaro fitofago importante del melo, che appartiene alla famiglia degli Eriophydae. Colonizza sia piante abbandonate o poco trattate sia frutteti commerciali. Danni su melo in Italia sono stati segnalati in Emila-Romagna, Trentino-Alto Adige, Piemonte e Valtellina a partire dal 1976, ma è soprattutto negli ultimi 15 anni che un significativo incremento di frutticoltori lamentano la difficoltà di gestione delle infestazioni di questo eriofide. Viene segnalata questa problematica soprattutto in ambienti collinari e su talune cultivar quali Braeburn, Fuji, Golden Delicious e Jonagold. L’eriofide del melo è un acaro atipico, caratterizzato da minuscole dimensioni (110-200 micron di lunghezza), dall’aspetto vermiforme e dalla presenza di sole due paia di zampe. Sul melo la specie sverna come femmina del tipo invernale chiamata deutogina, sotto le perule delle gemme o nelle anfrattuosità della corteccia. Alla ripresa vegetativa colonizza le parti verdi della pianta determinando alterazioni sia alle foglie sia ai frutti. Dalla forma invernale si origina la forma estiva o protogina costituita da maschi e femmine e dalla colorazione giallo tenue. Nel centro-nord Italia si svolgono fino a 4-5 generazioni all’anno. Sulle foglie i sintomi dell’azione trofica si manifestano con una decolorazione della lamina della pagina inferiore che da verde vira gradatamente al giallo ocra fino a una tonalità bronzea talvolta confondibile con la sintomatologia da ragnetto rosso, ma distinguibile dal fatto che l’eriofide non altera la colorazione della pagina superiore. Nei casi più gravi la foglia diventa fragile e tende a ripiegarsi a doccia verso l’alto lungo la nervatura principale, simulando uno stress idrico. Dopo una prima fase nella quale l’eriofide si sviluppa sui mazzetti fogliari e sui ricettacoli fiorali, da fine fioritura in poi colonizza anche le foglie dei getti e in particolare quelle apicali sulle quali generalmente raggiunge livelli di popolazione che possono toccare a luglio picchi di 1000-2000 eriofidi/foglia. Generalmente sui giovani impianti (2-5 anni) molto concimati e perciò a forte lussureggiamento la presenza dell’acaro è maggiore, sia in ter-

Foto F. Laffi

Danno da Aculus schlechtendali su frutto

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parassiti animali mini assoluti sia in termini di durata stagionale. Su di essi infatti non è infrequente trovare elevati livelli di popolazione anche a fine agosto. Il danno ai frutti è osservabile con chiarezza alla raccolta ed è rappresentato prevalentemente da interferenze sulla colorazione della buccia, con riduzione della tonalità gialla o rossa di fondo e su cultivar quali Golden Delicious, ridotta presenza della caratteristica “faccetta rossa”. Forti attacchi riducono inoltre il peso medio dei frutti e la pezzatura, con conseguente maggiore incidenza dello scarto. Meno importante sembra essere invece l’effetto dell’eriofide sulla rugginosità della buccia che, almeno su Golden Delicious e Jonagold, sembra manifestarsi soltanto con intensi attacchi precoci che interessano i frutticini da poco allegati. I nuovi orientamenti intervenuti negli ultimi decenni nella melicoltura italiana, con l’introduzione di nuove varietà talvolta più sensibili, il maggior periodo di lussureggiamento estivo (foglie apicali verdi) e l’adozione di nuove pratiche agronomiche che mirano a soddisfare le sempre maggiori esigenze del mercato (frutta colorata e con sfaccettatura, assenza di rugginosità e maggiore pezzatura), sono ritenuti fattori favorevoli allo sviluppo di questo acaro. I maggiori problemi si registrano in ambienti collinari e su talune cultivar quali Golden Delicious, Braeburn, Fuji e Jonagold. Nella generalità dei casi la soglia di 180-200 eriofidi per foglia a metà giugno non risulterebbe in grado di determinare deprezzamenti sostanziali alla produzione di mele Golden Delicious. Questo livello di popolazione corrisponde con la manifestazione di qualche leggera bronzatura delle foglie sulla pagina inferiore. Per le varietà meno suscettibili al danno quali le cultivar del gruppo Red Delicious, Renetta del Canada e Granny Smith, la soglia economica può incrementare a 400-800 eriofidi/foglia. Una considerazione a parte meritano le produzioni ottenute sotto rete antigrandine; queste infatti risentono maggiormente degli effetti negativi dell’attacco e perciò a parità di condizioni (varietà, epoca ecc.) la soglia d’intervento si riduce di almeno un 50%. L’individuazione della soglia di presenza dell’eriofide sulle foglie e lo studio della dinamica di popolazione sono informazioni necessarie per una gestione integrata del problema. La ridotta dimensione dell’acaro (110-200 micron di lunghezza), rappresenta tuttavia un evidente limite per la loro osservazione diretta, anche con l’ausilio di una lente. I metodi di conteggio allo stereo microscopio e l’utilizzo delle tecniche di lavaggio sono adottate per lo più a scopi di ricerca. Nella pratica di campo solitamente si procede al rilievo della loro sintomatologia; il frutticoltore preparato dopo aver individuato le prime foglie bronzate dall’acaro (solo sulla pagina inferiore) dovrà intervenire specificatamente.

Foto F. Laffi

Esemplari di Aculus schlechtendali Foto F. Laffi

Colonia di Aculus schlechtendali Foto F. Laffi

Danno da Aculus schlechtendali su foglie

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coltivazione Ragnetto rosso dei fruttiferi (Panonychus ulmi) Questo acaro tetranichide rappresenta l’acaro fitofago più diffuso nei meleti; specie cosmopolita, si sviluppa sulle foglie di numerose specie vegetali. La specie, ignorata in Italia fino al 1948, è diventata di estrema attualità negli anni ’70-’80. P. ulmi è ritenuto dannoso poiché si alimenta incidendo l’epidermide fogliare con i cheliceri; si alimenta sia sulla pagina superiore, interessando il tessuto a palizzata, sia sulla pagina inferiore, raggiungendo il tessuto lacunoso. Dalle cellule vegetali danneggiate fuoriesce il materiale citoplasmatico e dei cloroplasti con conseguente diminuzione dell’attività fotosintetica e incremento della traspirazione fogliare.

Foto F. Laffi

Foto F. Laffi

Uova di Panonychus ulmi Foto F. Laffi

Adulto di Panonychus ulmi

Le foglie attaccate assumono una colorazione grigio-bronzea, fenomeno chiamato di bronzatura. L’entità dei danni provocati alla pianta è in funzione del livello di infestazione e del tempo per il quale esso si mantiene. Il danno interessa lo sviluppo vegetativo delle piante, particolarmente nei primi anni d’impianto, ma soprattutto interferisce negativamente sulla produzione, sulla colorazione della buccia, riduce la pezzatura dei frutti, il grado zuccherino e ritarda la maturazione. L’acaro svolge, nel corso dell’anno, da 4 a 9 generazioni, le quali, dalla seconda in poi tendono ad accavallarsi, data la scalarità di schiusura delle uova invernali. Le uova svernanti, chiamate “durevoli”, a forma di cipolla e dal colore rosso intenso, svernano talvolta in folti gruppi sulle parti legnose delle piante, specialmente attorno ai punti di inserzione dei giovani rami, alla base delle gemme e sotto il ritidoma. Da aprile inizia la schiusura e le giovani

Forma giovanile di Panonychus ulmi

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parassiti animali larve, dal colore inizialmente arancione chiaro e quindi rosse, si spostano colonizzando le foglioline e attraverso gli stadi giovanili successivi di protoninfe e deutoninfe si sviluppano in forma adulta. Gli adulti di prima generazione compaiono entro 3-4 settimane dopo la schiusura mentre per le generazioni successive in un arco di tempo più breve, anche in sole 2 settimane. Le femmine, lunghe circa 0,4 mm, sono globose e di una colorazione che con l’età vira dal rosso chiaro allo scuro e portano sul dorso numerose setole inserite su tubercoli bianchi, carattere quest’ultimo utile nel riconoscere la specie anche utilizzando una lente di campo.

Foto F. Laffi

Foto F. Laffi

Danno su foglia da Panonychus ulmi Foto F. Laffi

Colonia di Panonychus ulmi

I maschi, leggermente più piccoli e piriformi, sono anch’essi facilmente distinguibili. Ogni femmina depone mediamente una trentina di uova il cui colore varia dal verde chiaro all’arancione. Da giugno in poi possono essere presenti sulle foglie tutti gli stadi di sviluppo. Le uova destinate a svernare vengono deposte con scalarità da fine agosto a ottobre. Oltre ai fitofagi già citati, sul melo possono essere presenti altre specie; fra queste il ragnetto rosso comune Tetranychus urticae che, pur privilegiando le specie erbacee, può saltuariamente colonizzare il melo a stagione inoltrata, spostandosi dal cotico sottostante diventato meno appetibile o eliminato con il diserbo. La presenza invece di Tetranychus viennensis, Eotetranichus pomi e di Bryobia rubrioculus si riscontra prevalentemente in frutteti trascurati o abbandonati.

Esemplare di Panonychus ulmi

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coltivazione Difesa Per quanto riguarda la difesa insetticida e acaricida, il melo richiede, rispetto alle altre piante da frutto, il maggior numero di trattamenti, soprattutto per il gran numero di specie fitofaghe che vivono e che si alimentano a sue spese. Per questa ragione il melo è stata la prima coltura sulla quale è stata adottata la difesa integrata (Integrated Pest Management = IPM) che rappresenta attualmente il principale metodo di lotta che persegue l’obiettivo di intervenire

Epoche di presenza delle larve dei principali insetti dannosi Inverno

Gemma Bottoni Caduta Fioritura ferma rosa petali

Frutto noce

C. pomonella

Accrescimento frutti

C. pomonella

C. pomonella

P. cerasana

C. cerasana

P. heparana

P. heparana

A. orana

P. heparana A. orana

A. orana A. ljungiana

A. ljungiana

A. ljungiana C. cossus Z. pyrina

A. podanus

A. podanus

A. podanus

O. antiqua

O. antiqua

C. molesta

C. molesta L. malifoliella

L. malifoliella

P. blancardella

P. blancardella

S. pyri

S. pyri

D. pyri Q. perniciosus

D. pyri Q. perniciosus

Q. perniciosus

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parassiti animali solo quando è strettamente necessario (treat-when-necessary), nell’ottica della riduzione massima possibile dell’impiego di preparati chimici. Nel rispetto di tale concetto di base sono state sperimentate e applicate strategie innovative operando una selezione attenta delle novità e delle alternative via via disponibili. Per difendere le produzioni dalle più importanti specie fitofaghe esistono varie soluzioni anche integrabili fra loro. Fra queste, gli insetticidi occupano una posizione predominante perché in genere efficaci su più specie, spesso contemporaneamente presenti, di facile uso e con costi accessibili. Ma altre tecniche si stanno proponendo da qualche tempo con molto interesse. Per esempio quelle che si basano sull’impiego dei feromoni sessuali o quelle biologiche con batteri e virus sono le più comuni, anche se, al contrario della maggior parte degli insetticidi, sono specie-specifiche, e quindi applicabili in pratica solo in determinate condizioni e con costi a volte rilevanti. Gli insetticidi di più recente sintesi sono caratterizzati da minore spettro di azione rispetto a quelli del passato e spesso con una specifica attività su precisi stadi di sviluppo. Per questo motivo è assolutamente necessario che siano distribuiti con precisione sullo stadio sensibile della/e specie target, pena risultati non soddisfacenti, spesso attribuiti ad altri fenomeni. Tale corretta applicazione, se non rispettata, può portare, assieme ad altre condizioni di sviluppo favorevoli (per esempio quelle

Foto R. Angelini

Adulto di coccinellide

Epoche di presenza degli adulti dei principali insetti dannosi Gemma Bottoni Caduta Fioritura ferma rosa petali

Frutto noce

Accrescimento frutti

Carpocapsa I volo

Carpocapsa II-III volo P. cerasana II volo

P. cerasana P. heparana I volo

P. heparana II volo A. orana II volo

A. orana I volo A. ljungiana I volo

A. ljungiana III volo

A. ljungiana II volo Zeuzera e Cossus voli principali

Afide grigio Afide verde

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coltivazione climatiche), alla crescita delle popolazioni che diventano pertanto più aggressive. L’attività degli insetticidi è stata messa in discussione in tempi recenti dalla comparsa del fenomeno di resistenza che è un processo ereditario, ancora non pienamente chiarito e comunque molto complesso. Per esempio non è necessariamente frutto di una spinta pressione chimica; possono essere coinvolti più meccanismi di detossificazione ancora non conosciuti. In Europa, e in particolare in Italia e nelle popolazioni sud-orientali della Francia, la resistenza della carpocapsa agli insetticidi è stata rilevata per la prima volta negli anni ’90 per diflubenzuron, mentre nello stesso periodo si osservavano i primi insuccessi in Svizzera e in Spagna. Lo spettro di resistenza di alcune di queste popolazioni è di recente sensibilmente aumentato includendo avermectine, benzoiluree, benzoilidrazine, neonicotinoidi, organofosfati, lattoni macrociclici e piretroidi. La ridotta efficacia degli insetticidi su C. pomonella è stata collegata a meccanismi non-specifici come un aumento della metabolizzazione enzimatica e/o modificazione del bersaglio molecolare specifico di un gruppo chimico. I principali sistemi enzimatici coinvolti nella resistenza agli insetticidi, nelle popolazioni di carpocapsa, sono l’ossidasi a funzione mista (MFO) e il glutatione-S-transferasi (GST) ed esterasi (EST). Una mutazione kdr nel canale voltaggio-dipendente del sodio è coinvolta nella resistenza ai piretroidi, mentre una variazione genetica dell’acetilcolinesterasi (AchE) è stata identificata in un ceppo di laboratorio selezionato per la resistenza all’azinphos-methyl. Passando a esaminare le linee di difesa insetticida, la specie verso la quale è diretto il maggior numero di interventi è da sempre C. pomonella e, da qualche tempo, anche C. molesta. Le 2 specie hanno un etogramma molto differente: C. pomonella è praticamente insediata solo su pomacee (e noce), mentre C. molesta è polifaga e può vivere a spese di molte Rosacee, per lo più drupacee (pesco e nettarine). Entrambe le specie sono in una fase molto aggressiva e fonte di preoccupazione per popolazioni più elevate e, per la sola C. molesta, per colture e aree colonizzate. Le ragioni sono molto dibattute e riconducibili a una maggiore pressione (vale a dire popolazioni più elevate) le cui cause potrebbero essere, come già accennato, l’insorgere di resistenza pratica per C. pomonella (fenomeno però puntiforme) e le risposte ai mutamenti climatici per entrambe. Nella pratica ciò può tradursi in un generale incremento delle popolazioni. Le 2 specie sono molto temute per i consistenti danni che possono provocare e verso di esse si applica non meno del 60-70% del totale degli insetticidi distribuiti. La difesa per questi e altri lepidotteri può essere praticata scegliendo fra diverse opzioni. Gli insetticidi utilizzabili appartengono ad alcuni gruppi chimici fra cui CSI (Chitin Syntesis Inhibitors) e

Meccanismo del monitoraggio

• È un sistema che permette di

sorvegliare le principali specie presenti, l’inizio e la fine dei loro sfarfallamenti ecc. Le informazioni fornite dalle trappole sessuali sono molto importanti anche per una corretta e razionale applicazione degli insetticidi

• Nelle trappole sessuali l’erogatore

emette il feromone femminile sintetico che il vento disperde nell’ambiente (frutteto). Il maschio lo percepisce e si dirige verso la fonte di emissione (erogatore) dove viene catturato dalla trappola con fondo o pareti adesive

Foto R. Angelini

Trappola sessuale con maschio adulto di carpocapsa

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parassiti animali MAC (Moulting Agonist Compounds), fosforganici, neonicotinoidi, spinosine, oxidiazine ecc. Molto utilizzati sono oggi i regolatori della crescita (CSI e MAC). I primi sono caratterizzati da una peculiare attività sulle uova e da un prolungato periodo di efficacia. Il principale problema, già considerato, è la precisione del timing che obbliga a intervenire prima della deposizione delle uova, pena drammatiche diminuzioni di attività. La loro applicazione strategica è pertanto corrispondente all’inizio delle generazioni, prima che prenda avvio la deposizione delle uova. Per i MAC il timing più opportuno è stato individuato in qualche tempo prima della schiusura delle uova di C. pomonella (stadio di testa-nera). Le trappole sessuali e i campionamenti visivi, oltre al modello previsionale, sono gli strumenti raccomandati per stabilire con precisione i tempi delle applicazioni. Gli IGR sono dotati di un buon profilo tossicologico nei confronti dei principali gruppi di ausiliari, quindi rivestono un ruolo primario nella difesa. Per la lotta alla carpocapsa sono fortemente raccomandati i feromoni sessuali, che sono sostanze prodotte da organi diversi del corpo e usate dagli animali per comunicare fra di loro. Quelli degli insetti sono solitamente emessi dalle femmine per attrarre i maschi, ovviamente della stessa specie, all’accoppiamento. Morton Beroza (USDA) ebbe l’idea di utilizzare i feromoni sessuali per interrompere (disrupt) l’accoppiamento (mating). Si stima che tale metodo sia applicato, a livello mondiale, su circa 600.000 ettari di differenti colture per difendersi, in particolare, da alcune specie di Lepidotteri e su 166.000 ettari per la sola C. pomonella. L’efficacia di tale metodo è assodata per alcune specie quali C. molesta, Keiferia lycopersicella e Pectinophora gossypiella, mentre per altre, fra cui la carpocapsa, la questione è dibattuta e, tranne che in alcuni casi (per esempio negli stati di Washington e California in USA e in Alto Adige in Italia), non è ancora possibile applicarlo su larga scala. Le condizioni che ne limitano l’espansione sono sostanzialmente 3: popolazioni di basso livello, area trattata isolata e poche generazioni per anno (1 o 2). Nella pratica, con elevate popolazioni si possono avere alti livelli di accoppiamenti (70-80%) rispetto a quelli osservati in frutteti non confusi, mentre in quelli in cui la popolazione è bassa il loro livello sembra soppresso fino al 30-35%. In ogni caso è stato dimostrato che se l’accoppiamento è ritardato per 4-6 giorni (mate location) rispetto a condizioni normali il numero delle uova deposte diminuisce anche del 50% e oltre, e la fertilità è ulteriormente ridotta. L’integrazione tra la confusione sessuale e alcuni trattamenti specifici è comunque una tattica praticabile e le raccomandazioni per la sua adozione sono ampiamente condivise.

Meccanismo della confusione

• È un sistema integrato di controllo

delle popolazioni di insetti dannosi che si basa sull’interruzione degli accoppiamenti e sul conseguente azzeramento dello sviluppo della popolazione

• Si impiegano trappole sessuali

costituite da una componente attrattiva (feromone femminile sintetico emesso da appositi erogatori inseriti nella trappola) e di una struttura di cattura (trappola con fondo adesivo) per la cattura dei maschi (componente di cattura). Di recente sono stati condotti studi per la cattura di entrambi i sessi. La quantità di feromone distribuita nel frutteto è così elevata che i maschi non sono più in grado di riconoscere e ritrovare la fonte di emissione naturale, cioè le femmine

Foto R. Angelini

Trappola sessuale

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coltivazione Anche il virus della granulosi della carpocapsa continuerà con ogni probabilità a essere uno strumento tenuto in grande considerazione, sebbene la sua attività sia principalmente indicata per la prima generazione e in particolare per popolazioni di limitata densità. Le altre specie di lepidotteri, in particolare i tortricidi ricamatori, ma anche O. antiqua, sono ben contenute da trattamenti a base di Bacillus thuringiensis serovar kurstaki (Btk), da insetticidi regolatori della crescita degli insetti (IGR) e da prodotti di altre famiglie chimiche di recente introduzione (oxidiazine, spinosine), oltre che da esteri fosforici ancora disponibili. La difesa è come sempre basata sulle catture di adulti nelle trappole sessuali, sulle informazioni dei modelli previsionali di sviluppo e sull’applicazione delle soglie di intervento basate sul numero di adulti catturati nelle trappole (15 in una o 30 in 2 settimane) o dalla percentuale di getti infestati (5% per le generazioni estive). Per A. orana è disponibile anche un formulato a base del Virus della Granulosi (AoGV). I microlepidotteri minatori sono attualmente di poco interesse rispetto al passato. In ogni caso alcuni neonicotinoidi, spinosine e anche regolatori della crescita (IGR) si sono dimostrati molto efficaci. Per il rodilegno rosso (C. cossus) e giallo (Z. pyrina) si fa molto affidamento sull’impiego di feromoni sessuali applicati secondo il metodo della cattura di massa (ma risultati sperimentali hanno messo in evidenza che anche quelli ottenuti con la confusione sessuale forniscono dati positivi). Cinque-dieci trappole per ettaro sono in genere sufficienti a contenere le popolazioni.

Interventi acaricidi

• L’intervento acaricida si rende

necessario al superamento della soglia economica di danno, espressa prevalentemente come numero medio di forme mobili di acari per foglia

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Trappola Rothamsted per il monitoraggio degli afidi

Forte attacco di cemiostoma (in primo piano) in confronto a piante protette da un insetticida specifico

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parassiti animali Per la prima specie non ci sono in pratica alternative efficaci, mentre per la seconda 1-2 trattamenti con insetticidi del gruppo dei regolatori della crescita forniscono risultati apprezzabili, sempre se applicati nei momenti opportuni (quindi basandosi sulle catture delle trappole di sorveglianza). Il polisolfuro di calcio per Q. perniciosus fornisce ancora ottimi risultati. Le principali ragioni di tale scelta sono: 1) l’unico stadio presente al momento dell’applicazione (neanidi svernanti di prima o seconda età); 2) la minore tossicità di tale prodotto rispetto alla maggioranza delle altre possibili soluzioni. Per contenere la cocciniglia di S. José in un diverso momento dell’anno (maggio-giugno e/o oltre) sarebbero necessari altri e numerosi interventi (per esempio con esteri fosforici), in genere più tossici per le specie utili presenti e quindi meno adatti alle tecniche di difesa integrata. Gli afidi, e in particolare D. plantaginea, sono tenuti a freno da insetticidi dotati di elevata sistemicità quali quelli del gruppo dei neonicotinoidi applicati in pre o post-fioritura, in funzione delle aree frutticole. Un trattamento è in genere sufficiente per contenere le popolazioni di questa specie e per limitare le altre eventualmente o contemporaneamente presenti. Alcune interessanti indicazioni sperimentali sono recentemente emerse nella difesa da E. lanigerum, che sembra in una fase di recrudescenza. Anche in questo caso i neonicotinoidi si sono dimostrati di notevole efficacia. Il contenimento dell’antonomo era in passato indirizzato a ridurre la popolazione adulta svernante in procinto di ovideporre, utilizzando insetticidi ad azione abbattente. Attualmente la difesa si va progressivamente orientando verso principi attivi più specifici e in tal senso si stanno valutando formulati CSI (inibitori della sintesi della chitina) ed RCI a base ormonale. Per il controllo delle infestazioni del maggiolino si stanno adottando tecniche di difesa diretta (chimica) o indiretta (agronomica). Tra le pratiche agronomiche segnaliamo l’utilizzo di reti antigrandine; queste, disposte sul terreno prima dell’inizio del volo degli adulti e lasciate fino al termine della loro attività di rientro, impediscono di fatto l’ovodeposizione. Relativamente alla difesa diretta, in molte aree europee sono state messe a punto tecniche di contenimento indirizzate alle larve nel terreno; fra i prodotti utilizzabili va segnalato il fungo Beauveria brongniartii, la cui azione di disfacimento dei tessuti larvali risulta tuttavia molto lenta. Si tratta di pratiche dimostratesi interessanti, ma particolarmente onerose sia in termini operativi sia di costo. Infine, la difesa chimica tradizionale indirizzata agli adulti o alle larve risulta di fatto poco utilizzata nel contesto melicolo.

Trappola cromotropica per il monitoraggio degli afidi Foto R. Angelini

Trappola per eulia con erogatore (al centro) e adulti catturati

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il melo

coltivazione Malattie Agostino Brunelli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Malattie Foto A. Pollini

Introduzione Come la maggior parte delle colture anche il melo è interessato da numerose malattie causate da microrganismi di diversa natura (funghi, batteri, virus, fitoplasmi), che possono mettere a repentaglio la sua produttività durante la fase di coltivazione e richiedono quindi le opportune contromisure. Malattie di natura infettiva possono insorgere anche durante la conservazione dei frutti in postraccolta, unitamente ad alterazioni di tipo fisiologico. Per quanto riguarda la fase di coltivazione, il problema principale è rappresentato dalla ticchiolatura ma anche altre malattie fungine (principalmente oidio e cancri rameali da nectria) richiedono attenzione tutti gli anni mentre altre ancora, sempre di natura fungina (per es. marciumi del colletto e delle radici), si manifestano sporadicamente e hanno quindi una limitata importanza pratica; peraltro da alcuni anni è stata segnalata in alcune aree (principalmente Alto Adige e Trentino) una nuova alterazione, presumibilmente causata da Alternaria alternata ma il relativo quadro eziologico non è stato ancora del tutto chiarito. Di scarsa rilevanza sono, fortunatamente, sul melo gli attacchi dei batteri, anche se la recente comparsa in Italia del colpo di fuoco da Erwinia amylovora richiede una costante vigilanza sulla coltura, in particolare sulla cultivar Gala, che risulta particolarmente sensibile. Di seguito sono presentate le principali malattie infettive di natura fungina e batterica che possono colpire il melo durante la fase di coltivazione, con una breve descrizione dei sintomi causati sulla pianta, delle peculiarità del loro ciclo biologico anche in rapporto allo sviluppo vegetativo della coltura e alle condizioni ambientali e climatiche, che rappresentano i fattori fondamentali alla base dello sviluppo e dell’andamento delle infezioni.

Sintomi di patina bianca su frutto

Patina bianca

• Da qualche anno viene segnalata

in diverse aree melicole dell’Italia settentrionale (Alto Adige, EmiliaRomagna, Friuli) una nuova alterazione dei frutti che si presenta sottoforma di estese chiazze bianco-grigiastre aderenti alla cuticola, per la quale è stata proposta dai ricercatori altoatesini di Laimburg la denominazione di “patina bianca”. Essa è causata dal basidiomicete Tilletiopsis spp., fungo epifita che colonizza l’epicarpo senza stabilire rapporti con l’ospite, formando un feltro miceliare sulla cuticola, più evidente in prossimità della raccolta, che deturpa l’aspetto del frutto alterando anche la colorazione dello stesso. Gli attacchi sono favoriti dall’andamento climatico caldo-umido e risultano interessate diverse cultivar tra cui Golden Delicious, Granny Smith, Gala, Fuji

Foto R. Angelini

Macchie di ticchiolatura su frutto

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malattie Ticchiolatura (Venturia inaequalis) Rappresenta la principale malattia del melo e si manifesta costantemente negli anni con una gravità più o meno elevata in dipendenza dall’andamento climatico. Il suo nome italiano deriva dai sintomi causati dalla malattia sugli organi colpiti, rappresentati da macchie scure, più o meno numerose. Attacca tutte le parti verdi della pianta. Sulle foglie determina la comparsa, su entrambe le pagine, di macchie rotondeggianti di colore olivaceo, che diventano sempre più scure e assumono un aspetto vellutato dovuto allo sviluppo di abbondanti fruttificazioni del patogeno. In caso di forti infezioni le macchie possono confluire e le foglie imbruniscono finendo per cadere. Le foglie sono suscettibili agli attacchi sin dai primissimi stadi di apertura della gemma e diventano progressivamente più resistenti col procedere del loro accrescimento. I frutti possono essere colpiti in tutti gli stadi di sviluppo e anche dopo la raccolta, durante la conservazione. Anche su di essi compaiono macchie di colore olivaceo scuro, con un aspetto vellutato come sulle foglie ma a contorno definito sin dall’inizio e più evidente. Quando il frutto viene colpito a inizio accrescimento le macchie possono interessare ampie aree dell’organo, che cade rapidamente. Se il frutto non cade le lesioni si accrescono perdendo, nella zona centrale, il colore scuro a causa dell’affioramento di tessuto suberoso; inoltre le parti colpite e devitalizzate non possono seguire l’accrescimento dei tessuti sani, per cui si originano fessurazioni (anche profonde) e malformazioni dell’organo. Quando l’attacco interessa frutti già sviluppati, le macchie rimangono più piccole e uniformemente scure; più o meno sviluppate e di colore scuro sono anche le macchie che si manifestano sui frutti immagazzinati. I fiori possono essere colpiti in tutte le loro parti, compresi i peduncoli, e manifestano alterazioni analoghe a quelle fogliari.

Ticchiolatura

• La ticchiolatura è la principale malattia del melo e, se non adeguatamente controllata nelle prime fasi vegetative, può compromettere la produzione dell’anno a causa della elevata suscettibilità dei giovani frutti; anche le foglie possono subire gravi danni e cadere anticipatamente

• Le infezioni di ticchiolatura sono

favorite dalle piogge e dalle bagnature delle piante per cui la malattia è più pericolosa negli anni e nei periodi caratterizzati da andamenti climatici piovosi ed elevata umidità Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Tessuto suberoso conseguente ad attacco di ticchiolatura su frutto Foto R. Angelini

Infezioni secondarie di ticchiolatura Sintomi di ticchiolatura su frutticini

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coltivazione L’agente della ticchiolatura del melo è un fungo ascomicete caratterizzato da 2 forme di riproduzione, una sessuata (denominata Venturia inaequalis), l’altra agamica (denominata Spilocea pomi), che si alternano fra di loro nel corso del ciclo vegetativo della coltura. La prima si sviluppa saprofiticamente nelle foglie cadute a terra, la seconda vive a spese della pianta in maniera parassitaria e dà origine a un numero variabile di generazioni responsabili dei danni ai vari organi a partire dalla ripresa vegetativa. Nelle foglie infette cadute a terra in autunno, nel periodo compreso fra l’autunno e la ripresa vegetativa, si sviluppano i corpi fruttiferi sessuati (detti pseudoteci) all’interno dei quali sono contenuti gli aschi che producono le cosiddette ascospore. Queste, alla ripresa vegetativa, a seguito di sufficiente bagnatura delle foglie a terra, vengono emesse dagli pseudoteci e sono trasportate dagli schizzi d’acqua piovana o dal vento sugli organi della pianta dove, in presenza di un velo d’acqua e di idonea temperatura, germinano e, dopo avere perforato la cuticola, danno inizio al processo infettivo (infezione primaria). Dopo diversi giorni di incubazione (la cui durata dipende dalla temperatura) sugli organi infetti si ha la comparsa delle fruttificazioni conidiche responsabili delle sopraricordate macchie olivacee. A loro volta i conidi, in presenza di idonee condizioni ambientali (bagnature della pianta e temperatura adeguata), sono in grado di dare origine a nuovi processi infettivi (infezioni secondarie) per un numero di cicli dipendente dall’andamento meteoclimatico (fondamentale è la disponibilità di acqua) fino all’autunno. In pratica, l’aggressività della ticchiolatura è, negli ambienti italiani, sostanzialmente legata alle piogge e relative condizioni di elevata

Foto R. Angelini

Ticchiolatura su foglie e frutticini Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Attacco di ticchiolatura su foglie Foto R. Angelini

Sintomi di ticchiolatura su Granny Smith Ticchiolatura su frutto di Red Delicious

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malattie Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Sintomi di ticchiolatura su frutticini Granny Smith Infezione primaria di ticchiolatura su foglia

umidità e prolungata bagnatura che si verificano dopo la ripresa vegetativa del melo, periodo in cui la liberazione delle ascospore, sviluppatesi nelle foglie cadute nell’autunno precedente, coincide con la fase di maggiore suscettibilità della coltura e in particolare dei frutti. Purtroppo la maggior parte delle varietà di melo oggi coltivate sono più o meno suscettibili alla ticchiolatura e richiedono quindi di essere adeguatamente protette. Negli ultimi anni è peraltro cresciuto l’interesse per le cultivar selezionate per la resistenza alla malattia, che hanno cominciato a diffondersi e sembrano potere incontrare il favore del mercato, diversamente da quanto verificatosi in passato.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Ticchiolatura sulla cultivar Imperatore Foto R. Angelini

Attacco di ticchiolatura in magazzino Particolare di ticchiolatura su frutto noce

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coltivazione Oidio o mal bianco (Podosphaera leucotricha) Costituisce, in ordine di importanza, la seconda malattia fungina del melo e può causare danni gravi, specialmente in situazioni di elevata suscettibilità della cultivar e condizioni pedoclimatiche favorevoli. Il nome di mal bianco è giustificato dall’aspetto che caratterizza gli organi della pianta colpiti, che si presentano più o meno estesamente ricoperti da una muffa biancastra di aspetto polverulento, costituita dall’insieme del micelio fungino e delle spore. In effetti questo è il sintomo tipico della malattia, anche se la sintomatologia è diversificata a seconda dell’organo colpito e del momento dell’infezione. Sulle foglie compaiono, generalmente nella pagina inferiore, zone più o meno estese della suddetta efflorescenza bianca, a cui, sulla pagina superiore, corrispondono aree clorotiche; nei casi più gravi l’efflorescenza interessa l’intera superficie fogliare compresa quella superiore, inoltre i margini possono deformarsi oppure la foglia può assumere una forma allungata e ripiegata longitudinalmente. I rametti si ricoprono della tipica efflorescenza bianco-grigiastra che persiste anche nell’anno successivo e producono gemme terminali e laterali più piccole della norma, che daranno origine a germogli irregolari, spesso con un numero elevato di piccole foglie; dalle gemme a frutto infette si sviluppano fiori irregolari, piccoli, ricoperti di una leggera efflorescenza

Oidio o mal bianco

• L’oidio del melo è largamente diffuso

(così come quelli di altre colture arboree ed erbacee) ma è una malattia meno pericolosa della ticchiolatura in quanto non distruttiva per gli organi colpiti e più aggressiva per le foglie che per i frutti. In condizioni particolarmente favorevoli alle infezioni può, comunque, arrecare danni in quanto determina alterazioni anche sui frutti

• Diversamente dalla ticchiolatura, il mal

bianco è in grado di svilupparsi anche in assenza di piogge, anzi viene favorito da andamenti climatici poco piovosi e caldi

• La difesa del melo dal mal bianco è

basata sull’applicazione di antioidici concentrata nel periodo compreso tra la fioritura e il rallentamento dell’accrescimento vegetativo

Confronto tra un mazzetto fiorale attaccato da oidio (a sinistra) e uno sano (a destra)

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malattie e di colore giallo o verde pallido, con scarsa allegagione. I frutti provenienti da gemme infettate nell’anno precedente si presentano piccoli e rugginosi, quelli colpiti a partire dalla fioritura-allegagione possono manifestare la classica efflorescenza ma più spesso presentano una rugginosità superficiale reticolata che si conserva fino alla raccolta. L’agente del mal bianco del melo è un fungo ascomicete caratterizzato da 2 forme di riproduzione, una sessuata denominata Podosphaera leucotricha, l’altra agamica chiamata Oidium farinosum. Il patogeno ha, sul melo, un comportamento particolare, analogo a quello tipico di altri agenti di mal bianco sui fruttiferi. Durante il ciclo vegetativo della coltura è in grado di infettare le gemme in formazione con frammenti di micelio che, riparati fra le perule, rimangono quiescenti fino al risveglio vegetativo dell’anno seguente, allorché riprendono a svilupparsi attivamente a carico dei germogli fogliari e a fiore, invadendoli in maniera totale e producendo abbondanti spore (conidi). D’altra parte, nel corso dell’anno, il patogeno continua a svilupparsi e a moltiplicarsi regolarmente in maniera agamica a carico dei vari organi e, nella stagione autunnale, differenzia i corpi fruttiferi sessuati (cleistoteci), all’interno dei quali si ha la formazione degli aschi contenenti le ascospore. Queste, a partire dalla ripresa vegetativa, stimolate da piogge anche leggere, vengono liberate e vanno a infettare i vari organi, sui quali si ha la comparsa della caratteristica efflorescenza bianca da cui vengono prodotte le spore agamiche (conidi) che danno origine a nuovi cicli d’infezione per tutta la stagione. In pratica, quindi, il patogeno è in grado di superare la stagione fredda attraverso 2 forme (agamica, più comune, e sessuata), che, alla ripresa vegetativa, si affiancano nel garantire l’avvio delle infezioni primarie, a cui seguirà una serie di nuovi cicli (infezioni secondarie) per tutto il periodo di accrescimento della coltura. Come la maggior parte degli agenti di mal bianco il patogeno non ha particolare bisogno di acqua per il suo sviluppo. Solo la fase di liberazione e germinazione delle ascospore è legata alla disponibilità di bagnature, in seguito lo sviluppo delle infezioni è favorito da condizioni di assenza di bagnature e da temperature medio-elevate (non superiori a 30 °C). Un altro fattore predisponente le infezioni oidiche è l’attivo accrescimento della vegetazione, che rende i tessuti della pianta più suscettibili. Peraltro la sensibilità delle varietà di melo è molto differenziata, per cui accanto a cultivar molto suscettibili (per es. Jonathan, Jonagold, Imperatore, Summerred, Granny Smith) troviamo cultivar a scarsa suscettibilità come quelle del gruppo Red Delicious.

Infezioni oidiche al germoglio Foto R. Angelini

Attacco di oidio su germoglio Foto R. Angelini

Attacco di oidio su frutto con tipica rugginosità reticolare

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coltivazione Cancri rameali da nectria (Nectria galligena) Come richiamato dalla denominazione della malattia, il sintomo tipico interessa rami e branche, con alterazioni della corteccia e dei tessuti legnosi che presentano cancri di varie forme e dimensioni. Inizialmente, in genere alla base dei giovani rami o in corrispondenza delle gemme, compaiono sulla corteccia piccole tacche depresse, che corrispondono al punto d’infezione. Con l’accrescimento della parte colpita l’intera sezione del ramo può essere compromessa, per cui si ha l’avvizzimento delle foglie e il disseccamento della porzione distale dello stesso. Se il ramo non viene devitalizzato totalmente i tessuti reagiscono producendo un callo cicatriziale che viene invaso dal patogeno l’anno successivo e così di seguito, per cui progressivamente con l’accrescimento del ramo si originano delle formazioni cancerose allungate, con margini irregolari, screpolature nella corteccia, zonature e, a volte, con spessore inferiore a quello delle parti sane. Durante i periodi umidi, sui tessuti colpiti dai giovani cancri si ha la comparsa di ammassi biancastri (corpi fruttiferi agamici denominati sporodochi, da cui vengono prodotti i conidi), mentre sui vecchi cancri, in autunno, si formano corpiccioli sferici di colore rosso aranciato (fruttificazioni sessuate, o periteci, in cui si sviluppano gli aschi e le ascospore). I 2 tipi di fruttificazioni corrispondono alle due forme con cui è in grado di svilupparsi il fungo patogeno, rispettivamente Nectria

Cancri rameali da nectria

• La pericolosità della malattia è

collegata ai danni che la pianta può subire a livello dei rami, delle branche o dei fusti e al conseguente disseccamento parziale o totale della vegetazione

• Le infezioni sono favorite da piogge

ed elevata umidità ma possono avvenire solo attraverso lesioni degli organi di qualsiasi natura; agevole via di penetrazione del patogeno sono le cicatrici che si determinano in corrispondenza del punto di distacco delle foglie in autunno

Attacco di Nectria galligena sulla cavità calicina del frutto, riscontrabile in alcune aree particolarmente umide. In corrispondenza di queste tacche necrotiche il tessuto va incontro a processi di marcescenza

Foto R. Angelini

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malattie galligena quella sessuata e Cilindrocarpon heteronema quella agamica, che si susseguono con tempi regolati dalle condizioni ambientali e climatiche e provvedono a diffondere la malattia. Normalmente i periteci si sviluppano in autunno e liberano le ascospore nella stagione successiva, mentre i conidi vengono prodotti dalla primavera all’autunno. Il patogeno è comunque in grado di superare la stagione invernale anche come micelio nei tessuti infetti dei rami e delle branche. L’infezione dei rami si verifica, in presenza di sufficiente bagnatura, attraverso lesioni della corteccia di qualsiasi natura (per es. da ferite da grandine o potatura, biforcazioni dei rami, distacco delle foglie). Quest’ultima possibilità fa sì che il periodo di maggiore rischio infettivo corrisponda alla fase di caduta delle foglie, specialmente fino a quando le cicatrici non sono completamente suberificate. Il patogeno è in grado di colpire anche i frutti, sia sulla pianta sia durante la conservazione, causando marciumi localizzati in corrispondenza della cavità calicina. La dannosità della malattia è molto più elevata nei giovani impianti, poiché i cancri del tronco e delle branche principali possono portare alla morte delle piante, mentre in quelli adulti difficilmente la vitalità delle stesse viene compromessa. La suscettibilità del melo alla malattia è molto diversificata fra le varie cultivar; fra le più recettive si ricordano quelle del gruppo Delicious rosse.

Foto R. Angelini

Necrosi di rametto a seguito di attacco da nectria

Manifestazioni differenti di cancro provocato da nectria su branche e rami di melo

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coltivazione Cancri e disseccamenti rameali da altri agenti fungini Oltre alla più comune Nectria galligena diversi sono i microrganismi fungini in grado di determinare la sintomatologia dei cancri dei tessuti legnosi e conseguenti disseccamenti rameali. Negli ambienti italiani si ricordano in particolare Botriosphaeria obtusa e Diaporte perniciosa, che comunque solo sporadicamente, nei frutteti in cui viene condotta una difesa regolare contro le precedenti malattie, causano problemi pratici. B. obtusa è un ascomicete la cui forma agamica è rappresentata da Sphaeropsis malorum. Questa, in presenza di elevata umidità, differenzia a livello dei cancri i corpi fruttiferi (picnidi), corpiccioli nerastri erompenti dalla corteccia da cui vengono emessi i conidi, responsabili della diffusione della malattia; negli stessi cancri possono svilupparsi anche i corpi fruttiferi sessuati (periteci) contenenti le ascospore. Le alterazioni cancerose interessano generalmente i rami più sviluppati. Fra gli ascomiceti rientra anche D. perniciosa, in rapporto metagenetico con Phomopsis mali, principale responsabile, nei nostri ambienti, degli attacchi ai rami, sui quali vengono differenziati a livello dei cancri i corpi fruttiferi agamici (picnidi), da cui in presenza di elevata umidità fuoriescono cirri mucillaginosi contenenti i conidi, che diffondono le infezioni. Il patogeno è caratterizzato da deboli attitudini parassitarie e si riscontra quindi più frequentemente su piante in stato di debolezza. I patogeni suddetti rientrano fra i parassiti da ferita in quanto sono in grado di infettare la pianta solo attraverso lesioni della corteccia di qualsiasi natura (da potatura, grandine, distacco delle foglie o dei frutti). Entrambi possono attaccare anche i frutti, sia sulla pianta sia in post-raccolta durante la conservazione, causandovi dei marciumi. Come nel caso di N. galligena lo sviluppo e la diffusione di questi patogeni sono favoriti dalle bagnature e dalla elevata umidità.

Foto I. Ponti

Cancro rameale da Phomopsis mali

Foto I. Ponti

Foto R. Angelini

Picnidi di Sphaeropsis malorum

Le alterazioni cancerose possono interessare anche i rami più sviluppati e le branche

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malattie Marciume del colletto (Phytophthora spp.) Il termine di marciume del colletto deriva dal sintomo caratteristico della malattia, che è rappresentato da una sorta di disfacimento della parte basale del tronco della pianta. A questo livello compaiono sulla corteccia aree imbrunite e necrotiche, a cui corrisponde un imbrunimento dei tessuti legnosi sottostanti e sintomi analoghi possono interessare anche parte del tronco e le radici più sviluppate. Le piante colpite presentano uno sviluppo ridotto, con avvizzimento di foglie e germogli, e vanno incontro a un progressivo deperimento che può arrivare fino alla morte. La malattia può colpire anche i frutti, su cui compaiono più o meno ampie aree marcescenti di colore da verde olivaceo a bruno chiaro.

Marciume del colletto

• Il marciume del colletto, oltre al melo,

interessa numerose specie di fruttiferi

• Gli attacchi della malattia sono favoriti dai ristagni d’acqua e da condizioni di indebolimento della pianta

• Oltre che sulle fondamentali misure

agronomiche di prevenzione (scelta di terreni idonei e loro gestione, utilizzo di portinnesti poco suscettibili), per la difesa si può fare ricorso a fungicidi specifici applicati alla chioma o al terreno

Foto I. Ponti

Foto I. Ponti

Particolare del marciume del colletto

Agenti del marciume del colletto sono microrganismi oomiceti appartenenti al genere. Phytophthora e più frequentemente P. cactorum. Essi sopravvivono sui residui colturali e nel terreno e possono attaccare le radici e il colletto in particolari condizioni come ristagno d’acqua e indebolimento delle piante.

Imbrunimenti necrotici del colletto e dell’apparato radicale provocati da Phytophthora spp. Pianta di melo danneggiata al colletto da Phytophthora cactorum

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coltivazione Marciumi radicali (Armillaria mellea, Rosellinia necatrix) Sono malattie in grado di colpire tutti i fruttiferi, causate principalmente dal basidiomicete Armillaria mellea (= Armillariella mellea) e dall’ascomicete Rosellinia necatrix, microrganismi fungini largamente diffusi nel terreno. Armillaria mellea produce, sotto la corteccia delle grosse radici e della parte basale del tronco, placche miceliali bianche a volte a forma di ventaglio; i tessuti corticali possono essere facilmente sollevati ed emanano un forte odore di fungo fresco. Inoltre sui tessuti infetti si sviluppano cordoni miceliali intrecciati, dapprima di colore chiaro poi nerastro (rizomorfe), che invadono anche i tessuti non infetti e diffondono la malattia nel terreno. Al piede delle piante gravemente colpite compaiono talvolta i corpi fruttiferi costituiti da gruppi di funghi “a cappello” (i noti chiodini o famigliole). Per l’aspetto del micelio la malattia causata da tale fungo viene anche chiamata marciume radicale fibroso. L’ascomicete Rosellinia necatrix determina, a livello delle radici, imbrunimenti dei tessuti che interessano sia il legno sia la corteccia. Alla loro superficie si sviluppano masse miceliali soffici, dapprima bianche poi brunastre, collegate da cordoni miceliali (costituiti da fasci di ife) che formano un reticolo esterno. Per l’aspetto particolare del micelio fungino la malattia viene anche identificata come marciume radicale lanoso. Il patogeno si può sviluppare in 2 forme, ascofora (R. necatrix) e agamica (Dematophora necatrix), in grado di produrre le rispettive fruttificazioni, ma in natura tali stadi riproduttivi sono rari. Il fungo si conserva e si diffonde principalmente per via vegetativa, attraverso il micelio e i cordoni miceliali. Entrambi i patogeni attaccano la pianta attraverso le radici e il loro sviluppo su tali organi ne determina un progressivo deperimento causando, a livello della parte aerea, sintomi generici come vegetazione stentata, decolorazione e appassimento delle foglie, fino alla morte.

Marciumi radicali

• Poiché l’attacco della malattia avviene

a carico di organi vitali per la pianta (radici) la difesa dopo la manifestazione dei sintomi è problematica

• La gestione dei marciumi radicali

è basata fondamentalmente sulla prevenzione: disinfezione del terreno con fumiganti prima dell’impianto, uso di portinnesti poco suscettibili, drenaggio dei terreni, eliminazione e distruzione delle piante colpite Foto I. Ponti

Legno alterato sottostante la corteccia

Foto I. Ponti

Melo sofferente per attacco di marciume radicale lanoso Chiodini di Armillaria mellea alla base del tronco colpito

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malattie Alternariosi (Alternaria alternata) In alcuni Paesi dell’estremo oriente e negli Stati Uniti è da tempo presente su melo una alterazione causata dal fungo Alternaria mali che determina macchie necrotiche sulle foglie e talvolta anche sui frutti in corrispondenza delle lenticelle. Recentemente è stata segnalata, in alcune aree dell’Italia settentrionale (Alto Adige, Trentino, Veneto, Piemonte), una sintomatologia molto simile le cui eziologia ed epidemiologia non sono state ancora chiarite. Le indagini hanno comunque evidenziato la probabile responsabilità del fungo Alternaria alternata, che potrebbe avere selezionato una forma in grado di produrre tossine specifiche per alcune cultivar di melo (in particolare del gruppo Golden Delicious e Gala). I sintomi interessano sia le foglie, su cui compaiono macchie necrotiche di forma irregolare, che possono causarne la caduta anticipata, sia i frutti, che manifestano maculature lenticellari a volte circondate da un alone rosso. La malattia è più frequentemente riscontrabile nelle aree umide ed è favorita da andamenti stagionali piovosi.

Alternariosi

• La cosiddetta alternariosi è presente

in alcune aree melicole dell’Italia settentrionale ma la sua eziologia non è ancora del tutto chiara

• Un possibile mezzo di contenimento

della malattia è rappresentato dall’applicazione sulla pianta di idonei fungicidi

Maculature lenticellari conseguenti ad un attacco di alternariosi su frutto Foto I. Ponti

Macchie necrotiche di alternariosi su foglie

Tumore batterico (Agrobacterium tumefaciens) La malattia determina, a livello delle radici e del colletto, anomali accrescimenti di tipo tumorale dei tessuti. Il fenomeno è causato dall’azione di Agrobacterium tumefaciens, batterio terricolo che, dopo essere penetrato nella pianta attraverso ferite delle radici, stimola un’anomala proliferazione delle cellule. La presenza di tali tumori ostacola le funzioni vitali e il normale accrescimento della pianta e talvolta ne causa la morte. Il patogeno è ubiquitario, anche a seguito della disgregazione dei vecchi tumori, e viene diffuso dall’acqua e dagli animali; un’altra importante via di propagazione è rappresentata dalle piante provenienti da vivai infetti.

Tumore batterico

219


coltivazione Colpo di fuoco batterico (Erwinia amylovora) È una malattia molto pericolosa causata dal batterio E. amylovora. Essa è fortunatamente fino a oggi poco diffusa in Italia su melo, mentre su pero e su alcuni arbusti ornamentali è ormai presente in tutte le principali aree di coltivazione del Nord e richiede un particolare impegno per la sua gestione, anche per la limitata disponibilità di mezzi di lotta diretti. Il sintomo caratteristico, come richiamato dal nome, è costituito dal disseccamento di porzioni più o meno estese della pianta, che si presentano come bruciate da una fiammata. Tutti gli organi possono essere colpiti. Se l’attacco è precoce compaiono necrosi dei mazzetti fiorali, mentre i frutticini imbruniscono e disseccano, raggrinzendosi; i germogli in accrescimento disseccano, ripiegandosi a uncino. In tutti i casi, fiori, frutticini e foglie rimangono attaccati ai rami. Anche i frutti più sviluppati possono essere colpiti, evidenziando più o meno estese aree imbrunite e marcescenti. Dagli organi erbacei colpiti, l’infezione si trasferisce ai rami e alle branche dove compaiono alterazioni cancerose, che presentano dapprima una colorazione grigio-nerastra quindi degli infossamenti circondati da screpolature. Elemento caratteristico di tali cancri è la colorazione rosso-bruna dei tessuti immediatamente sottostanti la corteccia, mentre in profondità gli stessi risultano normali. Se il cancro invade l’intera sezione dei rami, la parte distale degli stessi si dissecca e la pianta può morire se il cancro è localizzato nelle branche principali o nella parte basale del tronco. Dai tessuti degli organi infetti il batterio, dopo essersi moltiplicato, può evadere liberando innumerevoli cellule che provvedono a diffondere la malattia. Esse sono contenute in un essudato che,

Colpo di fuoco batterico

• In Italia, il colpo di fuoco, oltre che

su vari arbusti ornamentali, si è inizialmente sviluppato sul pero e sta attualmente diffondendosi anche su melo

• La difesa dal colpo di fuoco è

imperniata su misure agronomiche di prevenzione e su complementari trattamenti chimici. Fondamentali sono la tempestiva asportazione e bruciatura delle parti di pianta infette

Foto M. Fornaciari

Sintomi di colpo di fuoco batterico su germoglio Rami e foglie disseccati

220


malattie

Sintomi iniziali di colpo di fuoco batterico

in condizioni di elevata umidità, si presenta come un liquido lattiginoso bianco-arancio che cola lungo la superficie dell’organo stesso mentre, in presenza di scarsa umidità, appare sottoforma di filamenti più o meno numerosi. Il patogeno sopravvive durante l’inverno nei cancri dei rami da cui, alla ripresa vegetativa, trasportato da pioggia, insetti, uccelli e vento, infetta le parti erbacee (fiori, germogli, foglie), dapprima moltiplicandosi sulla loro superficie, poi diffondendosi e infettando gli organi in maniera epidemica. La penetrazione del batterio avviene attraverso ferite di varia origine oppure, in presenza di sufficiente umidità, attraverso aperture naturali (per es. nettari, idatodi, lenticelle). Foto M. Fornaciari

Colpo di fuoco su Crataegus (alto), Cotoneaster (centro) e Pyracantha (basso) Avvizzimento, imbrunimento e tipico ripiegamento a uncino dei germogli

221


coltivazione Difesa Per quanto riguarda le malattie, due in particolare (ticchiolatura e mal bianco) hanno assunto progressivamente un ruolo centrale nella gestione fitoiatrica della coltura, richiedendo, soprattutto nel primo caso, una notevole attenzione, a causa delle possibili gravi ripercussioni sulla sanità dei frutti, e, nella maggior parte delle situazioni, interventi ripetuti con idonei fungicidi. In effetti, nelle condizioni pedoclimatiche italiane, la difesa del melo dalle malattie è tradizionalmente imperniata sulla gestione della ticchiolatura, le cui caratteristiche biologiche, in combinazione con il normale andamento climatico del nostro Paese, rendono possibili, per circa 2 mesi dopo la ripresa vegetativa, attacchi epidemici con gravi pericoli per i frutti e obbligano quindi a un costante impegno, in termini sia di cadenze d’intervento sia di scelta dei principi attivi. Praticamente, dopo la ripresa vegetativa, pur con una variabilità collegata da un lato all’andamento climatico antecedente la ripresa vegetativa e dall’altro alla quantità di inoculo conseguente agli attacchi dell’anno precedente, ogni pioggia è potenzialmente in grado di determinare la fuoriuscita delle ascospore e, se accompagnata da una sufficiente bagnatura, di consentire l’instaurarsi dell’infezione primaria. In tale situazione è opportuno garantire un’adeguata protezione della pianta con fungicidi, allo scopo di impedire insediamenti significativi della malattia, che renderebbero difficile una ottimale protezione dei frutti.

Difesa dalle malattie

• Da quando, nella seconda metà

dell’Ottocento, analogamente a quanto avvenuto per altri fruttiferi, la coltivazione del melo ha iniziato ad assumere una caratterizzazione sempre più specializzata, le avversità biotiche, fra cui in particolare le malattie fungine, si sono rapidamente adeguate alla nuova e favorevole situazione di abbondante disponibilità di fonti nutritive e, agevolate anche dalla intensificazione delle tecniche di coltivazione, sono diventate veri e propri fattori limitanti della produzione, tali da richiedere interventi specifici di contenimento. A tale scopo, nel corso dei decenni, un’ampia gamma di fungicidi di sintesi si è affiancata ai prodotti a base di zolfo e rame

Momenti di intervento contro le principali malattie nelle diverse fasi fenologiche

Gemma ferma

Punte verdi

Orecchiette di topo

Mazzetti affioranti

Bottoni rosa

Fioritura

Ticchiolatura Oidio Cancri rameali

222

Caduta petali

Accrescimento Maturazione frutti frutti


malattie L’obiettivo può essere più agevolmente perseguibile con ripetute applicazioni di fungicidi, modulate in modo da mantenere una costante copertura della pianta sulla base delle caratteristiche dei prodotti e dell’andamento climatico nel periodo compreso fra l’apertura delle gemme e l’esaurimento del potenziale ascosporico (che di norma corrisponde al mese di maggio). Tale impostazione cautelativa può portare a un elevato numero di trattamenti e per superare questa criticità si è da tempo cercato di adottare criteri di razionalizzazione, modulando gli interventi anche sulla base degli eventi meteo-climatici in grado di condizionare le infezioni. Al riguardo, un utile strumento decisionale per l’effettuazione dei trattamenti è il grafico di Mills che, sulla base della combinazione delle ore di bagnatura e della temperatura, consente di valutare se l’infezione ha preso avvio e con quale gravità. Un ulteriore contributo in questa direzione è derivato, negli anni più recenti, dalla messa a punto di modelli previsionali matematici su base climatica, che consentono di valutare nel corso della stagione l’andamento del rischio infettivo e di ottimizzare le scelte dei tempi d’intervento e dei principi attivi. D’altra parte l’elevata importanza economica della coltura ha favorito nel tempo una costante evoluzione dei fungicidi, che ha portato a una attuale discreta disponibilità di principi attivi, tale da agevolare l’impostazione di adeguate strategie di difesa. Le prime fasi vegetative comprese tra la formazione e il primo accrescimento dei frutti corrispondono anche al periodo di maggiore rischio per le infezioni di mal bianco, che non sono di

Difesa della ticchiolatura

• La protezione del melo dalla

ticchiolatura riveste un carattere di assoluta necessità e richiede ripetute applicazioni di idonei fungicidi nel periodo compreso fra l’apertura delle gemme e il primo accrescimento dei frutti

• Attraverso il monitoraggio delle spore

di V. inaequalis presenti dopo le piogge, e specifici modelli previsionali del rischio di infezione, è possibile intervenire con elevata efficaca e tempestività

45

Ore Oredi bagnatura

40

Foto R. Angelini

35 30 25 20

Grave

15

Moderata Leggera

10 5

10

15

20

25

Temperatura (°C) Grafico di Mills per la valutazione del rischio di infezioni di ticchiolatura. Sulla base della combinazione ore bagnatura/temperatura è possibile intervenire al superamento delle soglie critiche di infezione Ticchiolatura bloccata da un trattamento fungicida eradicante

223


coltivazione Foto R. Angelini

Epoche dei trattamenti fungicidi

• Il periodo centrale della difesa

del melo dalle malattie corrisponde approssimativamente ai 2 mesi successivi alla ripresa vegetativa, durante i quali è opportuno assicurare una protezione della coltura più o meno continua nei confronti della ticchiolatura e secondariamente contro l’oidio e i cancri rameali

• Con il procedere dello sviluppo

vegetativo il rischio di attacchi epidemici si riduce drasticamente e, specialmente se non si sono verificati attacchi significativi nella fase iniziale, la difesa non pone particolari problemi fino alla raccolta

Attacco di oidio su mazzetto fiorale

carattere distruttivo come quelle di ticchiolatura, ma possono comunque arrecare danni anche ai frutti. Peraltro la difesa dal mal bianco è oggi agevolata dal fatto che molti dei moderni fungicidi utilizzati per la ticchiolatura sono dotati di una buona attività antioidica e quindi contribuiscono indirettamente a contenere eventuali attacchi della malattia. Una costante vigilanza ed eventuali interventi mirati sono richiesti dagli agenti dei cancri e disseccamenti rameali e in particolare dalla Nectria, soprattutto nei primi anni dopo l’impianto, poiché eventuali attacchi a carico del tronco e delle branche principali possono compromettere il successivo sviluppo delle piante. Per contro, negli impianti adulti tale malattia

• Solo in presenza di sintomi e con

andamento climatico favorevole alle infezioni, si possono verificare, in pre o post-raccolta, attacchi consistenti che possono giustificare interventi specifici

Una corretta prevenzione della ticchiolatura in campo ne evita il successivo attacco durante la conservazione in frigorifero

Foto R. Angelini

224


malattie non desta particolari preoccupazioni in quanto difficilmente i suoi attacchi si ripercuotono direttamente sulla produzione e possono quindi essere gestiti con trattamenti chimici solo nelle situazioni di accertata presenza. In ogni caso la difesa da questo tipo di malattia è imperniata su applicazioni di idonei fungicidi nei periodi corrispondenti alla caduta delle foglie e all’inizio della ripresa vegetativa. Attualmente non richiedono trattamenti generalizzati le pur temute problematiche dell’alternariosi e del colpo di fuoco batterico, che per ora hanno una limitata diffusione e sono oggetto, oltre che di interventi mirati, di osservazioni e verifiche finalizzate a comprendere il loro comportamento e a mettere a punto le strategie di difesa nell’eventualità di un loro sviluppo epidemico. Le altre malattie sopra descritte, che riguardano fondamentalmente organi vitali per la pianta e sono difficilmente raggiungibili con interventi diretti, richiedono una gestione soprattutto preventiva imperniata sulla scelta di terreni e materiale d’impianto sani. In Italia esse sono, fortunatamente, di comparsa sporadica e comunque limitata a poche piante nel frutteto, per cui vengono affrontate caso per caso, in genere, attraverso l’eliminazione delle piante colpite.

Difesa dal tumore batterico e dal marciume del colletto

• La lotta contro queste malattie infettive

è basata prioritariamente su misure di prevenzione: scelta di terreni che non abbiano ospitato piante infette da almeno 4-5 anni, uso di piante sane, disinfezione dell’apparato radicale delle piante prima della messa a dimora con soluzioni acquose di rame, eliminazione delle piante infette, evitare di procurare ferite alle piante durante le operazioni colturali

Foto FEM-IASMA Foto R. Angelini

Captaspore sperimentale Captaspore per il monitoraggio delle spore aerodiffuse

225


il melo

coltivazione Virosi e fitoplasmosi Ruggero Osler Luciano Giunchedi

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Virosi e fitoplasmosi Introduzione Il melo va soggetto a una decina di infezioni da virus, viroidi e fitoplasmi e ad alcune alterazioni a presunta eziologia virale. Di tutte queste, solo il fitoplasma degli scopazzi raggiunge, negli impianti italiani dell’arco alpino, una significativa diffusione e provoca danni sensibili. Per quanto concerne, invece, i virus segnalati nei nostri meleti, a parte l’agente del mosaico, di sporadica comparsa e privo di importanza pratica, gli altri virus infettano le varietà commerciali e i portinnesti clonali di melo in forma latente, tranne alcuni ceppi che danno luogo a maculature anulari rugginose sui frutti di qualche varietà. Si tratta dei virus della maculatura clorotica fogliare del melo, della scanalatura del tronco del melo e della butteratura del tronco del melo, diffusi anche nel pero e nel cotogno. Normalmente sono presenti nei portinnesti clonali di melo non qualificati sanitariamente e tramite i quali sono stati diffusi in passato, prima del loro risanamento con la termoterapia intorno al 1970, praticamente in tutte le aree di coltivazione della pomacea. Nonostante la loro presenza in forma latente, l’infezione simultanea della stessa pianta può determinare una certa diminuzione di vigore e produttività. Nell’ambito dei viroidi, è stato caratterizzato proprio nel nostro Paese l’agente dell’infossatura crateriforme delle mele, un’alterazione che attualmente presenta una comparsa piuttosto sporadica, per lo più su vecchie varietà, ma che risulta del tutto identica a una sindrome abbastanza diffusa intorno al 1970. Altri quadri sintomatologici osservati in passato nei nostri meleti e ritenuti per analogia epidemiologica di origine virale, ma la cui

Rugginosità ulcerosa, spaccatura stellare, gibbosità verde delle mele

• Si tratta di anomalie, di cui non si

conosce l’eziologia, presenti in passato in modo sporadico nei nostri impianti e che si manifestano sui frutti di alcune varietà, specialmente Golden Delicious e Bella di Boskoop, mentre le Delicious rosse non evidenziano sintomi

• Esse presentano una considerevole

affinità sintomatologica e probabilmente sono la conseguenza di un singolo agente infettivo

• Si evidenziano sui frutti con

accentuate deformazioni dovute ad aree depresse, in corrispondenza delle quali lo sviluppo dei tessuti è molto ridotto e la buccia può assumere un aspetto rugginoso cui segue la differenziazione di tessuto suberificato che presenta, molto spesso, spaccature di tipo stellare; qualche volta sui frutti si originano delle sporgenze tondeggianti con l’epidermide più o meno rugginosa (verrucosità rugginosa)

Mele Royal Gala affette da gibbosità verde Rugginosità ulcerosa su mele Golden Delicious

226


virosi e fitoplasmosi

Plastomania e mal del caucciù

• Sono entrambe alterazioni degli

organi legnosi a eziologia sconosciuta, ma verosimilmente determinate dal medesimo agente infettivo

• La plastomania dipende dalla riduzione

di sviluppo dei vasi legnosi, per la scarsa funzionalità del cambio, in corrispondenza di alcune aree delle giovani branche. In seguito, per lo sviluppo dei tessuti circostanti alle aree alterate, sui rami principali si formano accentuati appiattimenti, scanalature e deformazioni spiraliformi. In passato l’alterazione era abbastanza frequente nelle piante di Gravenstein

Sintomi di verrucosità rugginosa su mela Granny Smith

eziologia non è stata ancora accertata, riguardano le sindromi della rugginosità ulcerosa-spaccatura stellare, gibbosità verde e verrucosità rugginosa delle mele, che si manifestano essenzialmente solo a carico dei frutti, e le anomalie degli organi legnosi conosciute con i nomi di plastomania e mal del caucciù. Queste alterazioni appaiono attualmente assai di rado, sia perché essendo facilmente individuabili sono state eliminate con la selezione massale del materiale di propagazione operata dagli agricoltori, sia per la realizzazione di gran parte dei nuovi impianti con materiale da riproduzione ottenuto attraverso procedimenti di selezione sanitaria. A parte il fitoplasma degli scopazzi, gli agenti che interessano i nostri meleti non hanno vettori naturali e si trasmettono unicamente per mezzo della propagazione vegetativa di piante infette e

• Il mal del caucciù è caratterizzato

da un’abnorme flessibilità dei rami e delle branche, che si piegano verso terra sotto il peso delle foglie, per l’incompleta lignificazione delle fibre legnose dello xilema. L’alterazione è particolarmente appariscente nelle piante dell’indicatore Lord Lambourne e, in minor misura, in quelle di Golden Delicious e Royal Gala

Contorcimento del tronco e delle branche in melo Gravenstein affetto da plastomania

Giovane pianta di melo Lord Lambourne affetta da mal del caucciù con il fusto incurvato verso il basso sotto il peso delle foglie; a destra, meli sani

227


coltivazione tramite l’innesto radicale tra radici di meli infetti e sani, abbastanza frequente negli alberi della pomacea. Nei nostri meleti sono assenti i virus della maculatura anulare del pomodoro e della foglia rasposa del ciliegio, responsabili rispettivamente della necrosi del punto d’innesto con deperimento del melo e della mela piatta, diffusi nelle aree temperate del Nord America e trasmessi da nematodi. Assenti anche i viroidi dell’epidermide ulcerosa e di una forma di gibbosità verde delle mele, dei quali il primo è frequente nelle varietà orientali di melo e in quelle di pero cinese mentre il secondo, riscontrato solo in Giappone, oltre alle irregolarità della superficie delle mele, in alcune varietà induce la comparsa di pustole nel tessuto corticale dei rami. Di seguito si descrivono singolarmente le malattie degli scopazzi, del mosaico e dell’infossatura crateriforme delle mele, mentre gli agenti virali che danno luogo a infezioni latenti sono trattati insieme in modo conciso.

Virus latenti

• Sono virus che infettano le piante di

varietà commerciali e i portinnesti clonali di melo di uso comune senza indurre apparenti manifestazioni di malattia, pur potendo portare a una diminuzione di sviluppo e produzione

• Per individuare la loro presenza

si ricorre a saggi diagnostici di laboratorio e a test biologici su piante “indicatrici” o piante “spia”, particolarmente sensibili a determinati agenti infettivi, che attraverso la loro reazione, con sintomi caratteristici e in maniera costante, ne indicano la presenza

Virosi latenti Butteratura del tronco La caratteristica sintomatologica fondamentale di questa malattia si manifesta sull’indicatore Malus pumila Virginia Crab con irregolarità di sviluppo del cilindro legnoso sotto forma di depressioni longitudinali (butterature), dovute a sviluppo incompleto delle fibre legnose, in cui si inseriscono estroflessioni della faccia cambiale della corteccia. L’alterazione si rileva anche nelle piante di Malus platycarpa con fessurazioni della corteccia dei giovani rami e il successivo distacco di scaglie di tessuto corticale (desquamazione corticale) e in quelle di Pyronia veitchii e M. pumila Spy 227 con un accentuato incurvamento verso il basso della lamina fogliare accompagnato da maculature clorotiche e necrotiche e dalla necrosi dei germogli.

• Il saggio si esegue innestando

sull’indicatore scudetti di tessuto corticale prelevato dalla pianta da saggiare

• È il metodo di saggio classico che

consente di evidenziare anche le presunte virosi, non diagnosticabili in altro modo. Nel caso del melo si impiega una serie di 6-8 indicatori per evidenziare le diverse infezioni che possono interessare questa specie

Butteratura del tronco

• Agente eziologico: Apple stem pitting

virus (virus della butteratura del tronco del melo)

• Acronimo: ASPV • Posizione tassonomica: Fam. Flexiviridae; Gen. Foveavirus

• Piante ospiti principali: specie dei generi Malus, Pyrus, Cydonia e Crataegus

Scanalature (a sinistra) e butterature (a destra) nel cilindro legnoso di meli Virginia Crab indotte rispettivamente da ASGV e da ASPV

228


virosi e fitoplasmosi

Giovane frutto di Golden Delicious (al centro) con anulature rugginose Sintomi di ASGV su foglie di Virginia Crab allevata in serra

Assai sensibili al virus sono anche specie di melo utilizzate in Estremo Oriente come portinnesti (per esempio M. sieboldii, M. prunifolia) soggette a deperimento dell’intera pianta. Un patotipo del virus adattatosi al pero determina il giallume delle nervature della pomacea.

Maculatura clorotica fogliare

• Agente eziologico: Apple chlorotic

leaf spot virus (virus della maculatura clorotica fogliare del melo)

Maculatura clorotica fogliare Le manifestazioni specifiche della malattia si hanno sugli indicatori M. pumila R12740-7A e Spy 227 e consistono in maculature clorotiche e necrotiche accompagnate da malformazioni e riduzioni di sviluppo della lamina fogliare. Sintomi assai gravi, con progressivo deperimento delle piante, si osservano anche su specie ornamentali come M. platycarpa, M.

• Acronimo: ACLSV • Posizione tassonomica: Fam. Flexiviridae; Gen. Trichovirus

• Piante ospiti principali: Rosacee delle

sottofamiglie Pomoideae e Prunoideae

Foglia di M. platycarpa con maculature e malformazioni indotte da ACLSV Anulature rugginose causate da ACLSV su mela Golden Delicious

229


coltivazione floribunda, M. robusta, M. coronaria ecc. e su certe varietà quali Hopa Crab, Purple Wave e Golden Gem, utilizzate per impollinazione di varietà commerciali. Alcuni ceppi del virus della maculatura clorotica fogliare del melo provocano sui frutti di Golden Delicious, Jonathan, Idared ecc. anulature rugginose superficiali. Il virus infetta anche le drupacee e il pero nel quale provoca la malattia del mosaico anulare.

Scanalatura del tronco

• Agente eziologico: Apple stem grooving

virus (virus della scanalatura del tronco del melo)

• Acronimo: ASGV • Posizione tassonomica: Fam.

Scanalatura del tronco L’alterazione si manifesta sull’indicatore Virginia Crab innestato su semenzali di melo, che evidenzia incavature lungo il tronco che dal punto d’innesto si estendono verso l’alto. Queste depressioni generalmente sono accompagnate da piccole infossature, che circoscrivono il cilindro legnoso in corrispondenza del punto d’innesto e nelle quali si inseriscono estroflessioni di tessuto cambiale necrotico con conseguente ostruzione dei tessuti vascolari e morte della pianta. Nelle piante di Virginia Crab allevate in serra l’infezione si evidenzia con caratteristiche alterazioni cromatiche e malformazioni della lamina fogliare. Nei portinnesti di M. sieboldii e M. prunifolia innestati con marze virosate l’infezione solitamente porta alla morte delle piante nel primo anno di vegetazione.

Flexiviridae; Gen. Capillovirus

• Piante ospiti principali: specie dei

generi Malus, Pyrus, Cydonia e Citrus

Mosaico I sintomi del mosaico consistono in una maculatura di colore giallo intenso oppure a tinta giallastra che varia di estensione e forma dalle foglie della vegetazione primaverile a quelle che si sviluppano successivamente. Nelle foglie primaverili le alterazioni cromatiche sono costituite da areole ben delimitate, a contorno irregolare, diffuse variamente sull’intera lamina. Nelle foglie che sviluppano in primavera avanzata le aree giallastre tendono a interessare i tessuti adiacenti alle nervature primarie e secondarie. Infine, le foglie che sviluppano all’inizio dell’estate possono presentare ampi settori della lamina di colore giallo che in presenza di temperature elevate tende a divenire biancastro, mentre le aree decolorate possono necrotizzare; le foglie sintomatiche poi cadono anzitempo. Le alterazioni cromatiche possono interessare un numero limitato di foglie di qualche ramo o branca oppure, in presenza di ceppi virulenti e di varietà sensibili, manifestarsi su gran parte delle foglie. I sintomi di mosaico si riscontrano con maggiore frequenza nelle varietà Granny Smith e Royal Gala. In quelle maggiormente suscettibili, come Golden Delicious e Jonathan, l’infezione può determinare una riduzione di produzione del 10-15%.

Desquamazione corticale sul fusti di Malus platycarpa indotta da ASPV

Trasmissione da pianta a pianta e categorizzazione fitosanitaria dei tre virus latenti

• Mediante propagazione vegetativa di piante infette e per innesto radicale

• Patogeni espressamente indicati fra

gli organismi nocivi da cui deve essere esente il materiale di moltiplicazione delle categorie “certificato virusesente” e “certificato virus-controllato”

230


virosi e fitoplasmosi

Mosaico

• Agente eziologico: Apple mosaic virus (virus del mosaico del melo)

• Acronimo: ApMV • Posizione tassonomica: Fam. Bromoviridae; Gen. Ilarvirus

• Piante ospiti principali: specie dei

generi Malus, Rosa, Rubus, Prunus, Corylus ecc.

• Trasmissione da pianta a pianta: per propagazione vegetativa di piante infette e innesto radicale

Manifestazioni di mosaico su foglie di melo Imperatore

Infossatura crateriforme delle mele Si tratta di una malattia, indotta da un viroide, che si manifesta solo sulle mele a buccia rossa con areole dell’epidermide che rimane priva di colore anche a maturazione dei frutti. Per lo più le aree decolorate sono rotondeggianti, del diametro di 3-4 mm, a contorno ben definito, superficiali o leggermente depresse rispetto alle zone circostanti e possono congiungersi dando luogo a zone irregolari variamente estese. Talvolta le aree decolorate interessano gran parte della superficie del frutto, altre volte si trovano con maggior frequenza alla sua estremità calicina. La malattia prende la denominazione di infossatura crateriforme perché originariamente riscontrata su mele che mostravano, oltre alle alterazioni cromatiche, piccole cavità di forma

• Categorizzazione fitosanitaria:

espressamente indicato fra gli organinismi nocivi di cui deve essere libero il materiale di moltiplicazione di melo delle categorie “certificato virus esente” e “certificato virus controllato”

Infossatura crateriforme

• Agente eziologico: Apple dimple

fruit viroid (viroide dell’infossatura crateriforme delle mele)

• Acronimo: ADFVd • Posizione tassonomica: Fam.

Pospiviroidae; Gen. Apscaviroid

• Piante ospiti: melo • Trasmissione da pianta a pianta: per propagazione vegetativa di piante infette e innesto radicale

• Categorizzazione fitosanitaria:

espressamente indicato fra gli organismi nocivi di cui deve essere libero il materiale di moltiplicazione di melo delle categorie “certificato virus esente” e “certificato virus controllato”

Germoglio di Imperatore con tipiche manifestazioni di mosaico

231


coltivazione

Scopazzi: cenni storici

• La malattia è stata descritta per la

prima volta in Italia nel 1950, in meleti di Ronco all’Adige (Verona), e poco più tardi in Olanda, Svizzera e Germania

• Attribuita originariamente a

un’infezione da virus, la sua eziologia fitoplasmatica fu accertata verso la fine degli anni ’60

• Attualmente è presente nell’Europa centrale e meridionale

Sintomi di infossatura crateriforme su mele Royal Gala

• In Italia la presenza degli scopazzi è

limitata alle aree frutticole delle regioni settentrionali con una frequenza variabile da zona a zona

circolare e nuclei di cellule necrotiche nella polpa sottostante risultati, poi, entrambi senza alcuna relazione con l’infezione del viroide. L’alterazione è stata segnalata finora solo nel nostro Paese, dove fu riscontrata per la prima volta nel 1966 in Campania, su un numero limitato di piante di Starking Delicious; gli studi successivi portarono all’individuazione di un nuovo viroide di 306-307 nucleotidi. Successivamente questa alterazione è stata osservata anche in meleti del Nord Italia sulle varietà Royal Gala e Starking Delicious e in Campania sull’Annurca. L’infezione si manifesta anche nelle varietà Starkrimson, Sunrise, Pink Lady e Braeburn infettate sperimentalmente, ma non in Golden Delicious, Smoothe, Granny Smith e Fuji. Si ricorda che la malattia in questione coincide nei suoi aspetti sintomatologici con una sindrome molto diffusa intorno al 1970 in Emilia-Romagna sulle varietà Stark Delicious, Delicious e Starking Delicious, ma sempre in meli in cui su alcuni rami della chioma era stata innestata, qualche anno prima, la Golden Delicious per favorire l’impollinazione incrociata delle Delicious rosse. Scopazzi È una grave malattia del melo (Apple proliferation = AP) causata da un fitoplasma trasmesso in natura da insetti del gruppo delle psille. I fitoplasmi sono particolari batteri, non dotati di parete rigida e quindi pleomorfi. Sono agenti di malattie biotrofe auxoniche e quindi sono patogeni specifici, non allevabili in vitro. Il fitoplasma che causa gli scopazzi del melo (Apple proliferation phytoplasma = APP) è stato recentemente denominato Candidatus Phytoplasma mali ed è geneticamente simile ad altri due

Frutti di melo Golden Delicious affetti da scopazzi con piccioli allungati

232


virosi e fitoplasmosi importanti fitoplasmi dei fruttiferi: Candidatus Phytoplasma pyri, agente della Morìa del Pero e Candidatus Phytoplasma prunorum, agente del Giallume europeo delle Drupacee. Si conoscono ceppi geneticamente diversi di Ca. P. mali. Come tutti i fitoplasmi, è rigidamente floematico nelle piante ospiti, e sistemico – anche se distribuito irregolarmente nella pianta – e la malattia che causa non è in pratica curabile. Si tratta di una malattia da quarantena presente finora solo nell’area europea; in Italia è prevista la lotta obbligatoria.

Scopazzi: epidemiologia

• Agente eziologico: Candidatus Phytoplasma mali

• Acronimo: APP [Apple proliferation phytoplasma = Fitoplasma della proliferazione (scopazzi) del melo]

Sensibilità varietale. Tutte le varietà di melo coltivate sono più o meno sensibili al fitoplasma. Fra le cultivar maggiormente coltivate e sensibili ad APP si ricordano Golden Delicious, Granny Smith, Delicious rosse, Renetta del Canadà, ma anche le cultivar resistenti alla ticchiolatura (come Florina, Nova, Golden Rush) derivate da Malus floribunda. Al contrario, la cultivar russa Antonovska esprime caratteri di parziale resistenza verso APP. Anche i comuni portinnesti del melo sono suscettibili ad APP, inclusi i selvatici. Il portinnesto influenza la sensibilità della chioma: infatti il melo innestato su portinnesti apomitici (si tratta di ibridi M. sieboldii × M. sargentii × M. pumila) si comporta come parzialmente resistente verso APP.

• Posizione tassonomica: gruppo

Sintomi. I più tipici sono dovuti essenzialmente a interferenze di ordine ormonale, che inducono malformazioni di vario tipo: deformazioni (scopazzi) dei rami, stipole fogliari abnormi o in so-

• Categorizzazione fitosanitaria:

scopazzi del melo (sottogruppo ribosomico 16 SrX)

• Piante ospiti principali: piante del genere Malus

• Trasmissione naturale: mediante

le psille Cacopsylla picta e C. melanoneura e per anastomosi fra radici di meli infetti e sani. Vi sono evidenze che il fitoplasma sia trasmesso anche dalla cicalina Fiebeiella florii

organismo nocivo da quarantena di cui deve essere vietata l’introduzione e la diffusione in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, ai sensi del D.M. 19/8/2005

Rametti di melo con scopazzi affetti da oidio

Frutti di Golden Delicious con pezzatura ridotta, scarsamente colorati e picciolo allungato di pianta affetta da scopazzi; a sinistra, frutto di pianta sana

233


coltivazione prannumero, foglie disposte a rosetta, fiori anomali con petali in numero superiore a cinque o con virescenze o fillodie; la fioritura può essere prolungata per tutta la stagione vegetativa; fiori e frutti con piccioli esageratamente lunghi. Altri sintomi comuni sono la clorosi e gli arrossamenti fogliari. Le piante affette da AP sono più suscettibili all’oidio e al marciume del colletto. Qualsiasi forma di impulso alla vegetazione, quali eccessive concimazioni azotate o capitozzature, favorisce lo sviluppo di scopazzi sulla chioma. I frutti di piante o di branche infette sono in genere pallidi, piccoli, insipidi, stopposi, poveri sia di acidità sia di zuccheri. La pianta si presenta stentata, deperente, ma di norma non muore per effetto di AP.

Scopazzi: sintomi

• Il termine scopazzi indica un’anomalia

vegetativa dei rami dell’anno caratterizzata da un accentuato affastellamento della vegetazione, a guisa di scopa, dovuto allo sviluppo anticipato delle gemme ascellari, nell’estate in cui si sono differenziate, anziché nella primavera successiva. A causa della perdita di dominanza della gemma apicale dei rami interessati dall’anomalia, si sviluppano brevi germogli secondari che, a loro volta, portano gemme che schiudono in anticipo e danno origine a germogli di terzo ordine

Epidemiologia della malattia. In seguito a ricerche condotte in Italia, è stato dimostrato che Ca. P. mali è trasmesso in natura da almeno due specie di psille: Cacopsylla picta (sin. C. costalis) e Cacopsylla melanoneura. Anche la cicalina Fieberiella florii è stata accertata come vettore di APP. Le prime due specie compiono una generazione all’anno: a fine inverno-inizio primavera gli adulti che hanno svernato su ospiti secondari (conifere o sempreverdi) ritornano sul melo, ospite primario; su questo depongono le uova da cui nascono le neanidi; queste ultime evolvono ad adulti i quali, durante i mesi di maggio/giugno, gradualmente abbandonano il melo (esuli) per estivare e poi svernare sugli ospiti secondari; gli stessi adulti (reimmigranti) ritorneranno sul melo durante i successivi mesi di febbraio-aprile. La trasmissione di Ca. P. mali tramite le psille è di tipo persistente. I tempi di acquisizione e di inoculazione sono lunghi (ore o giorni); fra l’acquisizione e l’inoculazione vi è la presenza di un periodo di latenza (presumibilmente di 3-4 settimane); gli insetti

• I rami avventizi degli scopazzi di meli

infetti dal fitoplasma presentano un angolo d’inserzione con il ramo principale molto più stretto del normale di modo che assumono una posizione pressochè verticale, a differenza dei germogli avventizi che si formano alla base dei rami più vigorosi di meli sani

Giovane melo Golden Delicious innestato su MM106, affetto da scopazzi Ripresa vegetativa anticipata in ramo di melo affetto da scopazzi

234


virosi e fitoplasmosi

Psille vettrici del fitoplasma degli scopazzi

• Il fitoplasma è trasmesso dalle psille Cacopsylla melanoneura e C. picta

• Le due specie hanno una sola

generazione annuale con estivazione e svernamento al di fuori dei meleti, prevalentemente su conifere, anche se alcune esperienze indicano un loro possibile svernamento nei meleti. C. melanoneura ha come ospiti primari oltre al melo anche il biancospino, ospite naturale del fitoplasma, che potrebbe fungere da fonte d’inoculo per insetti vettori, mentre C. picta svolge il ciclo biologico unicamente tra melo e conifere

Affastellamento dei rami in melo colpito da scopazzi (periodo invernale)

infetti possono ritenere l’infettività per lunghi periodi, anche per tutta la vita. Ca. P. mali può essere trasmesso anche mediante innesto. L’efficienza di trasmissione per innesto a gemma dormiente è alta e si può avvicinare al 100%. Altrettanto efficace è la trasmissione se si utilizzano radici infette di melo sovrinnestate in primavera con marze sane. Al contrario, la trasmissione di Ca. P. mali è tendenzialmente pari a zero se si usano gemme raccolte durante l’inverno o in primavera, comunque prima che il fitoplasma abbia ricolonizzato la chioma dalle radici. Ci sono evidenze che Ca. P. mali può passare da una pianta all’altra anche per innesto radicale naturale; non sembra tuttavia che tale via possa spiegare le rapide diffusioni della malattia in campo. È evidente che le piante infettate per vettore in vivaio o per innesto, costituiscono

• Esse presentano una diversa

distribuzione geografica e una capacità di trasmissione del fitoplasma che varia da un’area all’altra. Mentre nell’Italia nord-occidentale (Piemonte e Valle d’Aosta) è stata segnalata solamente C. melanoneura, in tutte le altre aree di coltivazione del melo oggetto di studio (Italia nord-orientale, Germania, Svizzera, Francia e diversi Paesi dell’Europa orientale) risultano presenti entrambi le specie

• In termini di densità di popolazione

nei meleti, C. melanoneura è quella maggiormente presente, mentre C. picta solitamente è presente in numero molto limitato. Tuttavia, nelle aree dove sono presenti entrambe le specie, C. picta è ritenuta l’unico vettore del fitoplasma altamente efficace. Al contrario in Piemonte e Valle d’Aosta C. melanoneura sembra il principale vettore del fitoplasma. Sia le forme giovanili sia gli adulti svernanti e della nuova generazione trasmettono il fitoplasma

Scopazzi: sviluppo anormale di foglie sul picciolo di Golden Delicious

235


coltivazione un grave pericolo ai fini della diffusione della malattia, in particolare in aree ancora incontaminate. In tali zone, se è presente un vettore, sono alte le probabilità che si inneschi un’epidemia dopo l’introduzione di sorgenti di inoculo esogene. Nelle aree infette, la malattia si diffonde con ritmi differenti. Da ricerche anche recenti risulta che possono essere infette e infettive sia le psille adulte che arrivano in primavera in frutteto, sia quelle che lo abbandonano per l’estivazione/svernamento. La progressione delle nuove piante infette nel frutteto è legata anche alla presenza di piante infettate precedentemente: la dislocazione delle piante infette è preferibilmente lungo il filare o a chiazza. Periodo di incubazione della malattia. Nel caso di innesti su radici infette, i primi sintomi compaiono sulla marza entro un mese; il periodo di incubazione minimo in giovani meli infettati via insetto vettore si aggira sui 6 mesi mentre è dell’ordine di 1-2 stagioni in seguito a inoculazioni di piantine bimembri mediante innesto a gemma dormiente. Si presume che il periodo di incubazione in piante adulte sia più lungo.

Sviluppo anormale di foglie sul peduncolo fiorale di pianta con scopazzi

Recovery. Durante l’inverno i fitoplasmi scompaiono di norma dalla chioma, per la degenerazione dei tubi floematici della parte aerea dei meli durante il periodo di riposo vegetativo, ma rimangono attivi nelle radici, dalle quali durante il periodo vegetativo, con la formazione di nuovi tubi floematici, possono ricolonizzare la chioma. È questa la ragione per cui le piante infette da APP evidenziano i sintomi in maniera irregolare e anche la trasmissione del fitoplasma attraverso l’innesto di gemme raccolte da piante asintomatiche o comunque durante il periodo invernale-primaverile, non costituisce un reale pericolo. Il recovery – in funzione della varietà, del portinnesto, delle pratiche colturali, delle condizioni ambientali – può essere permanente, ricorrente o temporaneo. La percentuale annua di piante che presentano recovery è varia, ma spesso si aggira attorno al 20%. Le cause precise di questo interessante fenomeno non sono ancora note, ma si è scoperto recentemente che nelle piante recovered si accumulano perossidi di idrogeno in quanto il sistema deossidante della pianta ospite viene frenato. Dalle prime indicazioni sperimentali, risulta che le piante recovered dimostrano una maggiore resistenza alla reinfezione di APP rispetto a quelle sane, indicando così la presenza di resistenze indotte/acquisite.

A destra, foglia di melo con scopazzi con stipole ingrandite e in soprannumero. A sinistra, foglia di pianta sana

Riconoscimento della malattia e diagnosi. Il primo mezzo di riconoscimento della malattia si basa sull’osservazione dei sintomi. Alcuni, come le stipole abnormi, le rosette, gli scopazzi, i fiori con malformazioni, i frutti piccoli e con picciolo lungo, sono da ritenersi sintomi tipici ed esaustivi per la diagnosi della

Arrossamento autunnale precoce del lembo fogliare e rosettamento della vegetazione in rametto di Golden Delicious su MM106, affetto da scopazzi

236


virosi e fitoplasmosi malattia. La malattia è diagnosticabile su base sintomatologica durante tutte le stagioni. In primavera le piante infette iniziano a germogliare alcuni giorni (da 3 e 5) prima delle sane; producono mazzetti fiorali affastellati, che ben presto producono foglie con stipole abnormi; i fiori hanno peduncolo più lungo del normale e presentano virescenze; i germogli sono affastellati. In estate le piante con AP presentano clorosi diffuse, chioma cadente, rami con tipici scopazzi e foglie con stipole ingrandite; si osservano fioriture tardive e i frutticini presentano il picciolo allungato; si rendono visibili le rosette fogliari. In autunno gli scopazzi si intensificano e continuano le fioriture fuori stagione; le stipole fogliari sono visibili anche sui rami più deboli, che non presentano scopazzi; compaiono le bronzature e gli arrossamenti fogliari (questi sintomi non sono esclusivi di AP ma comuni nei casi di ristagno di amido); sono evidenti le rosette; i frutti si presentano poco colorati e piccoli. In inverno le piante infette si riconoscono per la presenza degli scopazzi formatisi durante la stagione precedente; in certi casi persistono anche le foglie e le stipole anomale. Per la diagnosi di APP si può ricorrere ai saggi biologici, utilizzando come piante test le cultivar Charden o Golden Delicious. La tecnica DAPI, che permette di evidenziare i fitoplasmi al microscopio ottico a fluorescenza in sezioni di tessuto legnoso colorato con un fluorocromo in grado di legarsi al DNA a doppia elica ricco di adenine e timine (4,6-diamidino-2-phenilindolo = DAPI), può essere validamente impiegata per dimostrare la presenza di fitoplasmi in piante ospiti; il test, non specifico per APP, è in compenso rapido e semplice. Il microscopio elettronico a trasmissione costituisce un mezzo per visualizzare i fitoplasmi nel floema, ma non permette diagnosi specifiche (si

Ruolo di Fieberiella florii nella trasmissione del fitoplasma

• F. florii è una cicalina polifaga, legata

prevalentemente a specie erbacee, con una sola generazione annuale e svernamento allo stadio di uova, ninfa e adulti al di fuori dei meleti. Verso la fine di maggio inizia la colonizzazione dei meli che raggiunge il valore più elevato nella seconda metà di settembre-inizio ottobre. Anche questa specie colonizza le piante di biancospino. Al momento F. florii è poco frequente nei meleti e sembra rivestire scarsa importanza nella diffusione del fitoplasma in campo

Prova sperimentale di portinnesti resistenti agli scopazzi. Al centro, meli sani

237


coltivazione ricorda che i fitoplasmi non hanno una forma specifica). I metodi diagnostici per APP attualmente più utilizzati e maggiormente specifici e sensibili sono quelli sierologici e molecolari. Per APP si sono ottenuti anticorpi monoclonali, disponibili in commercio, ed è quindi possibile ricorrere a tecniche sierologiche come ELISA ed immunofluorescenza. Per quanto concerne le analisi molecolari che sfruttano la reazione a catena della polimerasi (PCR, nested-PCR ecc.) sono disponibili varie coppie di primer a specificità diversa; spesso è quindi necessario far seguire alla PCR l’analisi RFLP (analisi del polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione). Sono state messe a punto anche metodiche di real-time PCR. Da primavera inoltrata fino a dicembre si possono adottare, sia per la chioma sia per le radici, tutte le tecniche di diagnosi citate. Il periodo stagionale più adatto per le analisi di laboratorio è quello autunnale; durante il periodo invernale e fino a primavera inoltrata nessuna tecnica è adatta per materiale prelevato dalla chioma (foglie o rami); durante quest’ultimo periodo, è comunque possibile effettuare analisi su radici.

Lotta obbligatoria contro il fitoplasma degli scopazzi

• La materia è regolamentata dal D.M.

23 febbraio 2006 il quale affida ai Servizi fitosanitari regionali le funzioni di accertare la presenza della malattia nei territori di loro competenza e di dichiarare le aree in cui ne è stata accertata la presenza “zona focolaio” oppure “zona di insediamento”

• Nell’ambito della zona focolaio,

definita come un’area di almeno 0,5 km di raggio in cui si può ritenere tecnicamente possibile l’eradicazione della malattia, il decreto impone l’immediata estirpazione di ogni pianta con i sintomi di scopazzi e attribuisce al Servizio fitosanitario regionale competente per territorio la possibilità di adottare ulteriori misure fitosanitarie ritenute idonee al fine di eradicare la malattia o di limitarne la diffusione naturale, come l’estirpazione dell’intero meleto infetto, l’istituzione di zone di sicurezza o il divieto di svolgere attività vivaistiche

Mezzi e strategie di lotta contro AP e le malattie da virus e viroidi. Come detto, la malattia degli scopazzi non è curabile e non ci sono varietà commerciali di melo con resistenze o tolleranze accettabili. Le tetracicline hanno una certa efficacia contro i fitoplasmi ma il trattamento, oltre che proibito per legge, non ha effetto risolutivo. I mezzi di lotta sono pertanto di tipo preventivo. I più importanti sono: utilizzo di piante sicuramente esenti da APP; controllo dei vettori con trattamenti insetticidi mirati; eliminazione delle piante infette (non trascurando tuttavia il ruolo svolto dal

• Riguardo la zona di insediamento, in

cui la presenza della malattia è tale da far ritenere non più possibile una eventuale azione di eradicazione, le misure da adottare per contenerne la diffusione sono definite dal Servizio fitosanitario regionale competente per territorio

Fenomeni di proliferazione in corimbo fiorale di melo con scopazzi. A sinistra fiore di melo sano

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virosi e fitoplasmosi recovery); cure colturali appropriate, che tengano in equilibrio lo sviluppo vegetativo (evitare potature pesanti, concimazioni azotate eccessive e ogni tipo di intervento che stimoli un eccessivo sviluppo vegetativo). Le strategie di controllo sono tuttavia influenzate dalla situazione specifica locale: a) zone ancora incontaminate – In questo caso è consigliabile ridurre al minimo l’introduzione di materiale vivaistico dall’esterno e comunque usare piante con la massima garanzia di sanità. È di fondamentale importanza controllare le zone limitrofe ed effettuare trattamenti precauzionali contro i vettori; b) zone interessate da AP. In queste aree la malattia è soggetta a lotta obbligatoria e gli interventi per il suo contenimento si differenziano a seconda della diffusione assunta dalla fitoplasmosi. Sono in corso ricerche volte alla individuazione di resistenze sia genetiche sia acquisite/indotte e di portinnesti che conferiscano minor sensibilità della pianta ad AP. Quanto finora raggiunto attraverso i tentativi di eradicare infezioni ormai insediate, sta a indicare che i trattamenti insetticidi e l’eliminazione delle piante infette non consentono da soli risultati incoraggianti. Per quanto riguarda la lotta contro le malattie da virus e viroidi, essa si basa unicamente sulla realizzazione dei nuovi impianti con materiale vivaistico certificato virus esente o virus controllato.

Rami affastellati e vegetazione clorotica in melo con scopazzi, nel periodo autunnale

Numero abnorme di petali in fiore di melo con scopazzi

Accentuato arrossamento fogliare anticipato in melo Golden Delicious affetto da scopazzi, su portinnesto apomittico

Sintomi di scopazzi su astoni di Golden Delicious. A sinistra, astone sano

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il melo

coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Flora spontanea Introduzione In arboricoltura il concetto di “erba infestante” ben si adatta alle erbe che nascono spontaneamente sotto il filare a causa della loro competizione nei riguardi delle piante da frutto. Questa definizione mal si adatta, invece, alle piante che nascono tra i filari del meleto andando a costituire un tappeto erboso che il più delle volte è necessario per il normale svolgimento del ciclo produttivo, perché è utile per agevolare le pratiche colturali o per motivi di ordine ambientale, e ciò spesso viene costituito appositamente con la semina di specie adatte. Non tutte le specie che nascono spontaneamente nel frutteto, però, sono idonee alla costituzione di tappeti erbosi funzionali, giacché alcune di esse sono decisamente dannose dato che, oltre a essere eccessivamente competitive, ostacolano la crescita di quelle utili. Forme biologiche La riproduzione delle piante può essere affidata ai semi oppure a gemme su radici, o su rami o su organi perennanti, come rizomi, bulbi, tuberi o stoloni. In natura la capacità di sopravvivenza delle piante dipende dal modo con cui esse riescono a proteggere queste strutture dalle avversità climatiche e ambientali in genere. Tra le avversità da superare vi sono quelle legate alla stagione sfavorevole che negli ambienti

Esempi di meleti naturalmente inerbiti

240


flora spontanea europei viene identificata con l’inverno o comunque con i periodi più freddi dell’anno. Poter superare tale stagione senza subire danni irreparabili è una delle condizioni di sopravvivenza delle piante. A questo scopo ogni specie si adatta in modo diverso e ognuna di esse, a seconda del tipo di adattamento e del portamento, può essere catalogata con una sigla. Agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso il botanico danese Christen C. Raunkiaer, chiamò tali categorie “forme biologiche” tenendo conto della posizione delle gemme perennanti sulla pianta. Il melo, per esempio, siccome è una pianta perenne, con fusto e rami legnosi e con gemme che si trovano a più di 30 cm dalla superficie del terreno, è stato compreso nella forma biologica detta Fanerofite (dal greco phanerós = evidente, con riferimento alle gemme) e indicato con la sigla P e più precisamente con la sigla P scap (Fanerofita scaposa), dal momento che ha un fusto = scapo molto evidente. Naturalmente alla stessa forma biologica appartengono tutte le piante che hanno le medesime caratteristiche. In un primo momento questi studi riguardarono le piante in generale ma nel 1984, per opera di un altro studioso (J. Montegut), gli stessi studi furono estesi più specificamente alle piante infestanti per le quali la sopravvivenza dipende, oltre che dal superare la stagione avversa, anche dalla capacità di adattarsi alle azioni che l’uomo adotta, con le lavorazioni o con altri sistemi, per eliminarle. D’altro canto la conoscenza di questi adattamenti è molto utile all’uomo, specialmente quando si tratta di difendere dalle erbe infestanti le colture arboree che rimangono sullo stesso terreno per diversi anni e che perciò sono soggette a essere infestate da specie con forme biologiche svariate. Le piante che vivono in Italia, sono riconducibili a 32 forme biologiche diverse, secondo Sandro Pignatti autore della più recente Flora d’Italia; qui di seguito però sono descritte solo le forme di 24 tra le specie più diffuse nei meleti italiani.

Meleto inerbito artificialmente

Origine dei nomi e delle sigle delle forme biologiche Sigle e nomi Portamento della pianta (*), organi perennanti (°) e ciclo vegetativo (^)

T (terofite)

Cespitoso (*) Scaposo (*) Rosulato (*)

H (emicriptofite)

G (geofite)

H caesp T scap

H scap H ros

Radici (°)

G rad

Rizoma (°)

G rhiz

Biennale (^)

Studio della flora spontanea in un meleto a Sanzeno (TN), nella Val di Non

H bienn

241


coltivazione Terofite. Sono le piante annuali che si riproducono solo per seme (dal greco: théros = estate e phyta = pianta). Le piante di questa forma biologica, qui descritte, sono indicate con la sigla T scap perché hanno il fusto = scapo ben evidente.

Terofite (T scap) descritte (tra parentesi il nome della famiglia)

• Germinazione dopo l’inverno Amaranto (Amarantacee) Centonchio (Primulacee), può vivere anche d’inverno ma solo con portamento prostrato Galinsoga (Composite = Asteracee), può svolgere anche due o più generazioni all’anno Grespino comune (Composite = Asteracee), può vivere anche d’inverno ma solo come pianta in rosetta Sanguinella (Graminacee = Poacee) Pabbio (Graminacee = Poacee) Polisporo (Chenopodiacee)

Il centonchio è una terofita scaposa (T scap)

• Germinazione autunno-invernale Billeri (Crucifere = Brassicacee) Falsa ortica (Labiate = Lamiacee) Forasacco (Graminacee = Poacee) Poligono degli uccellini (Poligonacee) Veronica comune (Scrofulariacee), vive solitamente anche in estate perché si può rigenerare tramite talee e fusti stoloniferi radicanti

Il senecione comune è una terofita scaposa (T scap)

Emicriptofite. Sono piante biennali o perenni, con gemme svernanti a livello del terreno, protette da squame e poco evidenti (dal greco: hêmi = parzialmente e kryptós = nascosto). Le piante di questa forma biologica sono indicate con la lettera H; possono avere portamento diverso e hanno le gemme collocate su diversi organi, per cui è possibile fare i sottogruppi elencati di seguito. – H bienn (emicriptofite biennali): con ciclo vegetativo che si svolge nel corso di due anni. – H caesp (emicriptofite cespitose): caratterizzate da ciuffi o cespi di foglie basali alla periferia dei quali si formano gemme che estendono il cespo.

• Germinazione indifferente alla stagione Grespino spinoso (Composite = Asteracee), può svolgere anche ciclo biennale (vedi oltre, alla sigla “H bienn”) Senecione comune (Composite = Asteracee) Veronica a foglie d’edera (Scrofulariacee)

La borsa del pastore è una emicriptofita biennale (H bienn)

242

Il loglio è una emicriptofita cespitosa (H caesp)


flora spontanea – H ros (emicriptofite rosulate): piante a “rosula”, cioè con portamento a rosetta appressata al terreno. – H scap (emicriptofite scapose): generano nuovi individui da gemme radicali (specialmente dopo spezzettamento delle radici a opera delle lavorazioni).

Emicriptofite (H) descritte (tra parentesi il nome della famiglia)

• H bienn: Borsa del pastore (Crucifere = Brassicacee)

• H ros:

Cinquefoglie comune (Rosacee): emette stoloni dai quali nascono nuove piante. Soffione (Composite = Asteracee): genera nuovi individui da gemme radicali (specialmente dopo spezzettamento delle radici ad opera delle lavorazioni)

La cinquefoglie è una emicriptofita rosoluta (H ros)

• H caesp:

Il romice è una emicriptofita scaposa (H scap)

Loglio (Graminacee = Poacee) Fienarola comune (Graminacee = Poacee)

Geofite. Sono piante con ciclo vegetativo perenne che portano gemme su particolari organi interrati (dal greco: gê = terra e phyta = pianta). Le piante di questa forma biologica sono indicate con la sigla G. Vi appartengono diversi sottogruppi, fra i quali: – G rad (geofite radicigemmate): con gemme svernanti sulle radici perennanti. – G rhiz (geofite rizomatose): con gemme svernanti su rizomi veri e propri.

• H scap:

Romice (Poligonacee) Vetriola (Urticacee)

Geofite (G) descritte (tra parentesi il nome della famiglia)

• G rhiz:

Equiseto (Equisetacee) Gramaccia (Graminacee = Poacee) Vilucchio (Convolvulacee)

• G rad:

Cardo campestre (Composite = Asteracee)

Il cardo campestre è una geofita radicigemmata (G rad)

Il vilucchio è una geofita rizomatosa (G rhiz)

243


coltivazione Evoluzione della flora spontanea in base alla forma biologica. Sotto i filari dei frutteti la presenza, la diffusione stagionale delle piante caratterizzate dalle diverse forme biologiche e il loro avvicendamento nell’arco dell’anno dipendono dal metodo di gestione agronomica del tappeto erboso che si insedia tra i filari e che rappresenta il serbatoio dei propaguli che si diffonderanno sotto i filari. Negli ultimi 10 anni lo scrivente, con la collaborazione della Bayer CropScience, ha potuto verificare l’evoluzione stagionale delle diverse forme biologiche presenti sotto i filari di una quarantina di frutteti italiani (melo, pero e pesco) di età superiore ai 5 anni: sono sotto riportati i risultati di questa indagine relativa alla flora di superfici non sarchiate e non diserbate.

Evoluzione stagionale delle forme biologiche in funzione del tipo di conduzione dell’interfilare Primavera

Estate-Autunno 5,3 2

6,6

4 10,3 7,1

Campo sperimentale ad Aldeno (TN)

2

83,8

78,6

Lavorazioni ripetute 7,7 15,5

35,9

26 1,1

13,5

36,7

26,2

17,3

20

Inerbimento naturale 2,2

8,8 17,2

30,4

36,7

53,5

5,6

25

15,6

Inerbimento artificiale Infestazione prevalente di terofite scapose (Aldeno, TN)

244

4,8

G rad

G rhiz

H bienn

H scap

H ros

T scap

H caesp


flora spontanea Lavorazioni ripetute nell’interfilare favoriscono l’insediamento su tutta la superficie del frutteto delle piante annuali T scap a scapito delle piante con forme H e G. Le piante annuali sono sempre prevalenti sulle altre, anche se con il passare degli anni la loro incidenza sulla vegetazione spontanea complessiva tende a diminuire, mentre quella delle piante biennali e perenni aumenta. In questi frutteti la maggior parte dell’infestazione durante tutto l’anno, perciò, è formata da specie T scap annuali: quelle a nascita autunno-invernale (es. billeri, falsa ortica, forasacco e veronica comune) occupano la superficie fino a primavera inoltrata quando lasciano il posto alle piante annuali che nascono in primavera (amaranto, galinsoga, sanguinella, pabbio ecc.) e che rimarranno fino all’autunno successivo. Nel corso della primavera tra le specie perenni prevalgono le geofite (G rhiz e G rad) sulle emicriptofite (prevalentemente H caesp). In estate le piante di forme G e H diminuiscono ulteriormente a vantaggio delle piante T scap; in particolare spariscono le G rad (per es. cardo campestre), resistono le H caesp (es. loglio e fienarola comune) e diminuisce molto l’incidenza delle G rhiz (es. gramaccia e vilucchio). Anche nei frutteti appena impiantati ma caratterizzati dalla nascita di vegetazione spontanea naturale, negli interfilari inizialmente prevalgono le specie T scap annuali, sia in primavera con le specie che nascono durante l’inverno, sia in estate e in autunno con le specie a nascita primaverile. Con il passare degli anni però prendono il sopravvento le specie perenni del gruppo G. In diversi ambienti si sviluppano copiose anche alcune specie delle forma H, come, per esempio, la borsa del pastore e il soffione. L’evoluzione stagionale della flora che si insedia in questi frutteti dopo qualche anno dall’impianto comporta una prevalenza primaverile delle specie H e G nel loro complesso sulle specie annuali T scap. In particolare hanno una grande diffusione primaverile le specie H caesp (es. loglio) e H ros (es. soffione) e una quota cospicua è rappresentata dalle geofite. Nel corso dell’estate e dell’autunno si assiste a un ulteriore incremento delle emicriptofite, specialmente H ros, e delle geofite rizomatose. Con la semina artificiale di essenze nell’interfilare vi si costituisce una coltura prativa e si sviluppa anche una flora spontanea caratteristica dei prati, ricca principalmente di specie H, che si insedierà maggiormente nell’area sottesa ai filari. Anche in questo caso inizialmente hanno il sopravvento le piante annuali, la cui invadenza assume un carattere stagionale mentre con il passare degli anni esse cedono gradatamente il passo alle forme G e in particolare alle forme H. Nel periodo primaverile perciò la distribuzione delle erbe spontanee si può identificare con il complesso delle piante che solitamente infestano le colture prative; l’insieme della vegetazione G e H sovrasta quella annuale T scap; la maggior parte della vegetazione è

Infestazione prevalente di emicriptofite (Mezzolombardo, TN)

Foto M. Galli

Infestazione mista

245


coltivazione rappresentata da specie H ros (es. cinquefoglie comune e soffione) e H caesp che rappresenta le essenze seminate per la formazione del cotico dell’interfilare (loglio, poa, festuca ecc.). Nel corso dell’estate diminuisce l’incidenza delle specie H a vantaggio delle geofite, in particolare di quelle rizomatose, e delle specie annuali T scap a nascita primaverile (es. centonchio, grespino e pabbio) che si comportano da vere e proprie infestanti del prato creato nell’interfilare. Effetti delle lavorazioni sulla flora spontanea Gli effetti delle lavorazioni sulla diffusione delle diverse forme biologiche (o anche sulla stessa forma biologica) dipendono, oltre che

Effetti delle sarchiature sulle forme biologiche presenti in autunno, in funzione delle epoche di esecuzione e del tipo di conduzione dell’interfilare (A = lavorazioni ripetute, B = inerbimento naturale, C = inerbimento artificiale) Non sarchiato

Sarchiato a fine primavera

Sarchiato a fine inverno 0,1 6,2 0,1 4

5,3 2

6,6

4,1

0,1

13,3

2

4,9 2,3

83,8

75,4

89,7

A 6,2 1,2

14

26

4,3

36,7 17,3

20

25,4

19,3

62,3

67,3

B 7,5

8,8 17,2 53,5

65,2

4,8

3,4 9,3

27,8 18 35,2

15,6 C G rad

G rhiz

30,1

H bienn

H caesp

246

H scap

H ros

T scap

3,4


flora spontanea da fattori ambientali e stagionali, fondamentalmente dalla quantità e tipo di vegetazione presente al momento dell’intervento oltre che dalla profondità dell’operazione. La vegetazione presente durante l’estate e l’autunno può essere molto influenzata oltre che da eventuali sarchiature anche dall’epoca di esecuzione delle stesse. Nei frutteti con interfilare ripetutamente lavorato, la parte prevalente della vegetazione erbacea, anche sotto i filari, rimane quella formata dalle specie annuali T scap che si succedono quando la lavorazione viene fatta a fine inverno. Ritardando la sarchiatura alla fine della primavera una consistente quota di vegetazione T scap viene eliminata, e in particolare quella nata dopo l’inverno ma anche molta di quella che nasce in primavera, per cui l’incidenza della vegetazione T scap, pur rimanendo predominante, diminuisce a vantaggio di una vegetazione perenne geofita, prevalentemente rizomatosa, che si giova, com’è risaputo, delle lavorazioni per il noto effetto della dominanza apicale per il quale le gemme apicali (o distali) di un rizoma, germogliando, inducono dormienza nelle gemme più vicine alla zona di origine del rizoma stesso. Questo è un adattamento che la pianta madre mette in atto per evitare la competizione con le nuove piante, tanto più forte quanto più vicine sono queste ultime. Con le lavorazioni si frazionano i rizomi, di conseguenza molte gemme dormienti diventano “apicali” e quindi germogliano propagando maggiormente la specie. Un fenomeno simile avviene anche per le piante del gruppo H ros e H scap in seguito alla frantumazione delle radici (es. di soffione e romice) o degli stoloni radicati (es. nel cinquefoglie comune), in particolare nei meleti in cui si pratica l’inerbimento naturale che permette l’insediamento di molte specie perenni sotto i filari. In questo caso le lavorazioni effettuate alla fine dell’inverno provocheranno la riduzione delle piante cespitose (H caesp) a vantaggio delle specie annuali T scap che nasceranno durante la primavera. Ritardando la sarchiatura si provocherà un effetto simile a quello illustrato ma ancora più marcato, tranne che per le piante emicriptofite rosulate (H ros) la cui presenza viene anzi leggermente incrementata. Gli effetti delle sarchiature sulle specie H ros appena descritti, si verificano anche nei frutteti condotti con inerbimento artificiale dell’interfilare, dove invece, eliminando la vegetazione sotto i filari alla fine dell’inverno si favorisce l’insediamento di piante annuali T scap a nascita primaverile. Ritardando la sarchiatura si elimineranno queste piante annuali che lasceranno lo spazio per un massiccio insediamento delle specie H ros e favoriranno anche la diffusione delle specie H caesp seminate appositamente per la costituzione del cotico dell’interfilare, le quali andranno a invadere anche parte del terreno sottostante i filari.

Lavorazioni ripetute sotto il filare

Infestazione naturale (Aldeno, TN)

247


coltivazione Descrizione delle specie Amaranto (Amaranthus spp.). Le sue infiorescenze non avvizziscono mai, anche dopo la loro completa maturazione; a questa loro caratteristica è ispirato il nome della pianta (dal greco a = non e maraino = avvizzisco). Il nome rievoca il colore che spesso assumono fusti e foglie. Pianta adorata dagli Aztechi che usavano i semi per farne farina panificabile: un mito narra come un bimbo di nome Centeotl, nato dal dio della terra Tlazolteotl e dalla dea dei fiori Xochiquetzal, fosse seppellito appena nato e come da esso avessero avuto origine diverse piante, fra le quali il mais (in azteco centil = mais, teolt = dio) e l’A. ibrido (A. hybridus) dai semi buoni. La specie più diffusa nei meleti però è l’A. comune (A. retroflexus).

Quanto (%) se ne trova di amaranto nel non lavorato? 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Billeri primaticcio (Cardamine hirsuta). È una piccola pianta le cui prime foglioline nate si dispongono a rosetta appressata al terreno, hanno lamina suddivisa in piccoli segmenti tondeggianti; le foglie della pianta adulta ricalcano circa la stessa forma ma hanno segmenti più allungati e picciolo più lungo, inoltre sono inserite su esili fusti che portano alla sommità i fiori. I frutticini contengono moltissimi semi giallastri lunghi circa 1 mm. La specie somiglia molto al crescione e ne prende il nome greco (kàrdamon). Il billeri è una delle centinaia di piante selvatiche mangerecce, ancora oggi consumato in insalata o per aromatizzare pietanze.

Quanto (%) se ne trova di billeri primaticcio nel non lavorato? 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

248


flora spontanea Borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris). Il nome ben rappresenta questa pianta e trae origine dai piccoli frutti che ricordano una piccola tasca (in latino: capsella) contenente molti semi piccoli e allungati (circa 2 mm). Le prime foglioline emesse hanno forma di spatola; le successive hanno margine inciso in lobi e sono disposte in una rosetta appressata al terreno. Crescendo, la pianta emette, dal centro della rosetta di foglie basali, un fusto eretto, cilindrico, esile, generalmente arrossato che porta foglie semplici e frutticini cuoriformi. Questa pianta era utilizzata in passato come insalata o per farne decotti emostatici. Con le giovani piante in Lomellina si prepara il delizioso “ris ed erb”.

Quanta (%) se ne trova di borsa del pastore nel non lavorato? 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Cardo campestre o stoppione (Cirsium arvense). Il nome latino sottolinea l’impiego che si faceva in passato di questa specie per curare le varici (kirsós, in greco); il primo nome italiano rimarca la spinosità delle foglie e dei capolini, mentre il secondo nome allude alla sua abbondanza nelle stoppie di grano. Si riproduce tramite gemme radicali e ha grande difficoltà di maturare semi vitali in quanto la maggior parte delle piante matura fiori di un solo sesso, per cui se non si trovano vicino piante con fiori di sessi diversi l’impollinazione risulta molto difficoltosa. Per rafforzare le probabilità di impollinazione la pianta produce fiori con un gradevole odore di muschio che attira le farfalle impollinatrici.

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanto (%) se ne trova di cardo campestre nel non lavorato? 70 60

Foto G. Cortese

50 40 30 20 10 0

249

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


coltivazione Centonchio (Anagallis spp.). Il nome latino Anagallis corrisponde a quello italiano e deriva dalla parola greca anaghelao (rido) per le sue supposte qualità di erba curativa della malinconia. La pianta adulta ha fusti gracili, a sezione quadrangolare, adagiati sul terreno; le foglie sono opposte, a due a due, sono senza picciolo e hanno lamina intera e acuta alla sommità. Al genere Anagallis, che fa parte della famiglia delle Primulacee, appartengono diverse specie ma una in particolare si trova con una certa frequenza nei meleti italiani: il centonchio rosso (A. arvensis) dai bei fiorellini rossi, scelto come simbolo araldico dalla famosa Primula rossa, nomignolo del celeberrimo protagonista di un romanzo ambientato durante la Rivoluzione Francese.

Quanto (%) se ne trova di centonchio nel non lavorato? 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

70

Cinquefoglie (Potentilla reptans). È così chiamata perché ha le foglie formate ognuna da 5 segmenti disposti come le dita della mano; questa conformazione evocava durante il Medioevo forme sovrannaturali ispirate per lo più all’esistenza delle streghe. I contadini la usavano invece per ricavarne infusi febbrifughi; le sue proprietà medicinali sono molto potenti (da pòtens deriva il nome latino). L’aggettivo reptans (strisciante) si riferisce alla sua capacità di emettere dal fusto principale stoloni lunghi e sottili che si allungano e ramificano sulla superficie del terreno. La pianta adulta raramente porta semi maturi.

60

Foto R. Angelini

Quanto (%) se ne trova di cinquefoglie nel non lavorato? 90 80

50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

250


flora spontanea Equiseti. Sono piante che nascono spesso nelle zone più umide del frutteto e che, nell’aspetto, ricordano code di cavallo, con fusti nodosi e rami sottili, verticillati come “sete d’equino” (Equisetum). Piante dalla strana conformazione, con un rizoma sotterraneo il quale dà origine a due tipi di piante di forme completamente diverse fra loro, che si succedono dalla fine dell’inverno fino all’autunno: la prima ad apparire è una pianta costituita da un fusto nodoso senza sete ma munita all’apice di una formazione a clava dentro la quale si formano le spore dalle quali nascono nuove piante. Dal medesimo rizoma poco dopo nascono le “code di cavallo” già descritte che rimarranno nel frutteto fino all’autunno.

Quanti (%) se ne trova di equiseti nel non lavorato? 60 50 40 30 20 10 0

Falsa ortica (Lamium spp.). È così chiamata per via delle sue foglie rugose, simili a quelle dell’ortica, ma non urticanti. Il nome scientifico, che viene ripreso anche dall’intera famiglia di queste piante (Lamiacee), deriva dalla forma del fiore che ha i petali saldati in una gola, all’estremità della quale sono visibili due labbra: per questo motivo la famiglia è anche detta labiate. Il fusto ha sezione quadrangolare, è vuoto, fragile, leggermente contorto e spesso adagiato sul terreno. I fiori, di colore purpureo più o meno intenso, sono riuniti su spighe fogliose e maturano frutticini spigolosi riuniti in piccoli gruppetti inseriti alla base delle foglie.

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanta (%) se ne trova di falsa ortica nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

251

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


coltivazione Fienarola dei prati (Poa pratensis). Il nome latino significa “erba”; essa, infatti, è spesso coltivata come foraggio, sia sotto forma di sostanza verde sia come fieno: è questo il significato del nome italiano. I fiorellini di questa pianta sono piccolissimi e verdastri; sono riuniti in piccole infiorescenze di 2 o 3 elementi, chiamate spighette e queste sono inserite con molte altre a formare ampie pannocchie. Nei frutteti si riproduce tramite semi o per mezzo di gemme e spesso viene seminata apposta, con altre graminacee, per costituire un cotico erboso tra i filari.

Quanta (%) se ne trova di fienarola dei prati nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Forasacchi (Bromus spp.). Anche queste specie sono impiegate come foraggio: il nome latino, infatti, vuol dire “nutrimento”, mentre il nome italiano si riferisce al fatto che le cariossidi di alcune specie, che infestano il frumento, forano facilmente i sacchi di iuta che servono per trasportare il cereale. I forasacchi non ancora maturi si distinguono dalle altre graminacee per avere la guaina delle foglie con i bordi saldati mentre le altre hanno i bordi che si sovrappongono. Un’altra particolarità di alcune di queste specie risiede nella lanugine sparsa sulle foglie e nelle lunghe reste delle infiorescenze.

Quanti (%) se ne trovano di forasacchi nel non lavorato? 70

Foto R. Angelini

60

Foto R. Angelini

50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Bromus hordeaceus

252

Bromus sterilis


flora spontanea Galinsoga (Galinsoga spp.). Il nome italiano e quello latino sono dedicati a Martinez Galinsoga, medico alla corte spagnola del XIX secolo. Appartiene alla famiglia delle Composite, così dette per avere piccoli capolini che sono vere e proprie infiorescenze composite di un insieme numeroso di fiorellini gialli e bianchi. La riproduzione avviene solo tramite semi contenuti all’interno di frutticini nerastri e piumosi chiamati “acheni” o “cipsele”. La galinsoga ha ciclo vegetativo molto corto ed è in grado di svolgere in 1 anno anche 2 o più generazioni, per cui nello stesso meleto si possono trovare contemporaneamente piantine appena nate e piante già fiorite.

Quanta (%) se ne trova di galinsoga nel non lavorato? 80 70 60 50

Foto R. Angelini

40 30 20 10 0

Gramaccia (Agropyron repens). Somiglia alla gramigna comune (Cynodon dactylon); entrambe, infatti, hanno un lungo rizoma, in grado di originare altre piante, che si approfondisce nel terreno. La gramaccia avanza dai margini dell’appezzamento fino a invadere, se non viene disturbata, tutto il frutteto. Deve il nome scientifico alla somiglianza con una forma selvatica di grano (dal greco: àgrios = selvatico e pyròs = grano) e al suo rizoma strisciante (in latino rèpere = strisciare) sotto la superficie del terreno; ha portamento molto simile al loglio, soprattutto per la forma delle spighe (a sezione piatta quelle del loglio, a sezione quadrangolare quello della gramaccia).

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanta (%) se ne trova di gramaccia nel non lavorato? 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

253

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


coltivazione Grespino (Sonchus spp.). È una delle infestanti più assidue dei meleti, il cui nome latino deriva da quello greco (sonkos). Specie conosciuta sin dall’antichità come erba alimentare; si usa anche attualmente per preparare squisite minestre primaverili e costituisce un ottimo condimento per piatti a base di carne. La pianta giovane è formata da una serie di foglie che formano una rosetta adagiata sul terreno. Da adulta ha un fusto eretto, gracile, lattiginoso se si rompe: per quest’ultima sua caratteristica in passato si dava come foraggio alle scrofe in lattazione perché si credeva facesse aumentare la loro produzione di latte destinato ai maialini.

Quanto (%) se ne trova di grespino nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Grespino comune

Loglio comune (Lolium perenne). È una tipica foraggera graminacea, facilmente individuabile per le sue foglie lanceolate, lucide, riunite in folti cespi che si allargano ogni anno di più grazie a gemme periferiche perennanti poste al di sopra delle radici. Il loglio però si riproduce anche tramite semi. Ha piccoli fiorellini raccolti su spighe lunghe, sottili e compresse, simili a quelle della gramaccia, descritta prima, la quale ha, invece, spighe non compresse. Il loglio è da ritenersi infestante quando nasce sotto il filare del meleto ma se nasce tra i filari costituisce un ottimo inerbimento che agevola le operazioni colturali, per il passaggio delle macchine operatrici.

Quanto (%) se ne trova di loglio comune nel non lavorato? 70

Foto R. Angelini

60 50 40 30 20 10 0

Capolini di grespino spinoso

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

254


flora spontanea Pabbio o setaria (Setaria spp.). Caratteristica graminacea con pannocchie cilindriche. Il fusto delle piante giovani è compresso, le foglie sono lanceolate nastriformi. I microscopici fiori sono inseriti su piccole infiorescenze, dette spighette, raccolte su pannocchie; molti fiori sono però sterili e si trasformano in setole: è a quest’ultima caratteristica che si riferisce il nome latino. Le piante maturano cariossidi a forma di goccia contenenti ognuna un seme, tramite il quale la pianta si riproduce. La specie più frequente nei meleti è il p. rossastro (S. glauca); altre due specie che si incontrano spesso sono il p. comune (S. viridis) e p. verticillato (S. verticillata).

Quanto (%) se ne trova di pabbio nel non lavorato? 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Poligono degli uccellini (Polygonum aviculare). È così detto per avere il fusto con molti (in greco: poly) nodi che spesso lo piegano come le ginocchia (gony); per questo motivo la specie è anche detta centonodi. Il riferimento agli uccellini (aviculare, da avis = uccello) deriva dall’essere da questi molto appetito. Quest’erba, dai piccolissimi fiori bianco-rosati, nasce da seme; a volte forma veri e propri tappeti erbosi tra i filari del melo. Durante il Medioevo aveva la nomea negativa per ostacolare la crescita dei bambini: ne fa menzione anche Shakespeare nel suo Sogno di una notte di mezza estate.

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanto (%) se ne trova di poligono degli uccellini nel non lavorato? 60 50 40 30 20 10 0

255

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


coltivazione

60

Polisporo (Chenopodium polysporum). I chenopodi sono così detti per avere le foglie con margine lobato che nella forma ricordano le zampe (in greco pous = piede) delle oche (in greco: chen); sono anche detti farinelli perché le foglie sono ricoperte da una pruina farinosa che le rende molto caratteristiche. Alcuni chenopodi però non hanno tali peculiarità; è il caso del polisporo che ha foglie con lamina intera morbida, di un bel colore verde brillante. Il nome italiano e l’aggettivo specifico latino si ispirano ai minuscoli semi lenticolari (in realtà si tratta di frutti), neri e lucidi e perciò molto visibili sulla pianta tanto da sembrare più numerosi di quanto in realtà sono.

50

Foto R. Angelini

Quanto (%) se ne trova di polisporo nel non lavorato? 90 80 70

40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Romici (Rumex spp.). La forma di lancia delle foglie ha ispirato il nome di queste piante Rumex, che in latino vuol dire, appunto, lancia. La radice di queste piante è a forma di carota, dal leggero sapore amarognolo, che in molte zone si usa ancora come condimento per la carne e in passato veniva tagliata e strofinata sulla pelle per far guarire le piaghe. Anche le foglie hanno proprietà curative, contro le bruciature da alta temperatura o quelle provocate dalle ortiche. I fiori sono molto piccoli, riuniti in larghe pannocchie fogliose che arrossiscono dopo la maturazione. Il nome latino si riferisce anche alla forma dei piccoli frutti, del tutto simili a un dardo, con 3 facce lisce che convergono fra loro.

Quanti (%) se ne trovano di romici nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

256


flora spontanea Sanguinella comune (Digitaria sanguinalis). È una delle più frequenti piante infestanti dei meleti; deve il suo nome italiano (e il secondo nome latino) alla colorazione generalmente arrossata (come il sangue) dei fusti, delle foglie e delle infiorescenze. Il primo nome latino deriva, invece, dalla forma delle infiorescenze che hanno rametti disposti come le dita (in latino: digitus) di una mano aperta. Sui rametti sono inseriti piccolissimi fiori verdastri che maturano frutticini a cariosside contenenti ognuno un seme tramite il quale la pianta si riproduce. Il fusto è in parte adagiato sul terreno e spesso emette radici secondarie dai nodi.

40

Foto R. Angelini

30

Quanta (%) se ne trova di sanguinella nel non lavorato? 70 60 50

20 10 0

Senecione comune (Senecio vulgaris). Noto anche come erba cardellina, deve il nome latino alla candida peluria che scaturisce dai capolini maturi rendendoli simili alla testa d’un vecchio (dal latino senex = uomo vecchio). È una delle erbe più comuni (vulgaris) e si trova ovunque e in ogni stagione dell’anno, potendo nascere sia in inverno sia in estate. In passato era utilizzata come pianta officinale e medicamentosa per curare le ulcere e per regolare il flusso mestruale. I fiorellini, giallastri e raccolti su piccoli capolini, evolvono in frutti simili a semi costoluti (circa un migliaio per ogni pianta), a forma di cuneo, con alla sommità un candido pappo.

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanto (%) se ne trova di senecione nel non lavorato? 60 50 40 30 20 10 0

257

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


coltivazione Soffione (Taraxacum officinale). Il nome italiano è legato alla capacità dei pappi dei piccoli frutti di funzionare come dei minuscoli paracadute, in grado di volare via al minimo soffio. Il nome latino sottolinea le sue virtù officinali, come rimedio (in greco: akos) contro l’intorbidimento della vista (táraxis). Le piante giovani vengono usate ancora oggi per preparare minestre di verdure dal sapore leggermente e squisitamente amarognolo, ma attenzione a non mangiarne troppo perché è molto diuretico, tanto da far fare (così si crede) la pipì a letto ai bambini: si giustifica così il nome piscialletto con cui questa pianta è anche conosciuta.

Quanto (%) se ne trova di soffione nel non lavorato? 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Veroniche (Veronica spp.). Il nome è dedicato a Santa Veronica; appartiene alla famiglia delle Scrofulariacee ed è così detta perché comprende alcune specie impiegate in passato per curare una malattia ghiandolare: la scròfola. Un altro nome con cui queste piante sono conosciute è occhi della Madonna e guardando i fiori si capisce perché: i piccoli fiori, riuniti in racemi fogliosi, sono di un profondo colore ceruleo e iridescenti. Sono piante generalmente adagiate sul terreno, con fusti spesso contorti. Le foglie sono ovali, con margine regolarmente dentato. Il frutto è una piccola capsula che contiene molti semi, incavati a conchiglia, tramite i quali la pianta si riproduce.

Quante (%) se ne trovano di veroniche nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

258


flora spontanea Vetriola (Parietaria spp.). Vicina parente dell’ortica, ma non urticante, non solo è una infestante emergente dei meleti ma anche una pericolosa pianta allergenica. Il nome scientifico sottolinea il suo ambiente prediletto, cioè pareti e vecchi muri. Ha fusti fragili e fiori verdastri, riuniti in grumi. Il nome italiano le deriva dall’uso per lavare le bottiglie, sfruttando la rugosità e la morbidezza delle sue foglie. In passato il succo ottenuto da questa pianta, misto al miele, era impiegato per la cura della tosse e come antidolorifico, pare anche che l’infuso fosse usato per prevenire la caduta dei capelli (peccato che io l’abbia scoperto solo di recente, quando ormai era troppo tardi!).

Quanta (%) se ne trova di vetriola nel non lavorato? 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

Vilucchio (Convolvulus arvensis). È il simbolo dell’invadenza per quel suo vizio di intrufolarsi fra la vegetazione delle altre piante grazie alle sue foglie a forma di lancia che ne agevolano l’intrusione e al suo fusto volubile (dal latino: convolvere = avvolgere) che con le sue volute è capace di avviluppare qualsiasi altra pianta o supporto gli capiti vicino. Ha radici con tenaci rizomi che sono in grado di originare nuove piante. La specie si riproduce però anche tramite semi; questi ultimi hanno la forma di piccoli dardi, sono scuri e rugosi e sono contenuti in frutticini a capsula. I fiori sono imbutiformi, biancastri striati di rosa, dall’odore di mandorla che attira insetti impollinatori.

Fine inverno

Fine primavera

Autunno

Quanto (%) se ne trova di vilucchio nel non lavorato? 70 60 50 40 30 20 10 0

259

Fine inverno

Fine primavera

Autunno


il melo

coltivazione Gestione erbe e polloni Gabriele Rapparini Giovanni Campagna

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coltivazione Gestione erbe e polloni Composizione delle malerbe e dannosità I meleti, come tutte le coltivazioni arboree, permangono negli stessi terreni per numerosi anni sviluppando prevalentemente in altezza. Sotto la chioma dei vecchi impianti e negli spazi interfilari di quelli più moderni, l’assortimento delle malerbe varia in funzione soprattutto delle condizioni pedoclimatiche, dell’età degli impianti e del regime di coltivazione. Durante i primi anni di impianto le malerbe competono maggiormente con le piante arboree, mentre nel periodo di produzione possono essere causa di danno, ma anche offrire aspetti vantaggiosi se vengono ben gestite. Si riscontra una prevalente infestazione a ciclo annuale, più tipica delle colture sarchiate, negli impianti giovani e in quelli adulti dove si effettuano frequenti lavorazioni meccaniche. Durante il periodo primaverile-estivo si succedono specie macroterme che si possono riscontrare nelle colture sarchiate, assai più competitive sia per lo sviluppo in altezza sia per la dissipazione di acqua durante il periodo estivo, manifestando un notevole intralcio a livello dei rami più bassi. In autunno compaiono specie microterme tipiche dei cereali vernini, con una prevalenza di graminacee che permangono durante tutto l’inverno fino alla primavera inoltrata. Se queste non vengono rimosse costituiscono un ostacolo allo sviluppo di quelle macroterme (effetto pacciamatura). Dove si pratica l’inerbimento spontaneo o lavorazioni mal eseguite negli impianti adulti, compaiono gradualmente specie a ciclo biennale e pluriennale tipiche degli ambienti di transizione verso gli incolti e i prati, tra cui dapprima Taraxacum, Torilis, Daucus, Plantago, Conyza ecc. e successivamente Rumex, Artemisia, Cirsium, Convolvulus e Calystegia tra le dicotiledoni, e Bromus,

Infestazione di Cirsium arvense

Trattamento effettuato con glifosate nei confronti di Cynodon dactylon Meleto in fioritura in cui è già stato effettuato il diserbo sotto le file e viene sospesa temporaneamente la trinciatura interfilare per favorire la pullulazione degli insetti pronubi

260


gestione erbe e polloni Agropyron e Cynodon tra le graminacee. Queste divengono maggiormente competitive sia per il maggior sviluppo sia per la più elevata sottrazione di acqua ed elementi minerali. La gestione della flora spontanea mediante trinciatura o sfalcio, adottata più di frequente nelle fasce interfilari dei moderni impianti adulti, tende a selezionare maggiormente specie in grado di ricacciare o a sviluppo prostrato più tipiche dei prati sfalciati, tra cui Poa, Lolium, Dactylis e Festuca tra le graminacee e Plantago, Taraxacum e altre composite tra le dicotiledoni. Sotto le chiome diserbate, soprattutto se si fa ripetutamente ricorso agli erbicidi, si possono selezionare le specie più tolleranti tra cui, in particolare, le perennanti come Convolvulus arvensis, Calystegia sepium, Cirsium arvense, Malva sylvestris, Mentha arvensis, Bryonia dioica, Phytolacca decandra, Potentilla reptans ecc., e tra le graminacee Cynodon dactylon e Agropyron repens. In prossimità di aree incolte e boschive, soprattutto se gli impianti non vengono assiduamente curati, possono subentrare specie arbustive come Rubus spp., Hedera spp., Clematis vitalba ecc., che causano intralcio e deperimento degli impianti. In presenza di specie microterme a lenta crescita, che si riscontrano in genere nel periodo invernale, non si rende necessaria la lotta, a differenza di quelle meso e macroterme che sviluppano dalla primavera fino al termine dell’estate, con la necessità di intervenire per ridurre la competizione con la coltura in fase di ripresa vegetativa e sviluppo dei frutti durante la quale occorre garantire una maggior disponibilità di risorse. Nel corso dell’estate prevalgono le specie più resistenti alla siccità e alle alte temperature, che manifestano un elevato grado di competitività per gli impianti sia irrigui sia condotti in asciutta. Al sopraggiungere delle prime piogge di fine estate iniziano a germinare le specie a ciclo autunno-invernale, che concorrono a inerbire il meleto in una fase in cui non risente più della competizione, con una prevalenza di vantaggi agronomici e gestionali.

Infestazione di fine autunno di Cynodon dactylon (in alto) e Malva sylvestris (in basso)

Evoluzione della tecnica colturale e della gestione delle malerbe L’evoluzione della tecnica colturale adottata in questi ultimi anni negli impianti di melo, ha portato a una progressiva riduzione della distanza di impianto e del vigore vegetativo delle piante, con un riadattamento della modalità di gestione della flora infestante tra cui l’aumento delle superfici trattate con mezzi chimici, in particolare in localizzazione sotto la chioma dei filari. La sensibilizzazione operata dalle direttive comunitarie riguardo la riduzione dell’impatto ambientale e la diffusione degli impianti ad alta densità dotati di apparati radicali superficiali hanno contribuito a fare evolvere la tecnica di gestione della flora infestante, soprattutto negli spazi interfilari. Questi vengono sottoposti prevalentemente a lavorazione durante i primi anni d’impianto e

Infestazione di Sonchus arvensis

261


coltivazione successivamente a trinciatura del manto erboso, seminato con essenze in purezza o lasciato vegetare spontaneamente. I vantaggi che ne derivano sono rappresentati da un minor costo della gestione, ma soprattutto da una rapidità di esecuzione delle operazioni colturali e dall’eliminazione delle lesioni radicali e corticali che si determinano con le ripetute lavorazioni meccaniche. Inoltre si ha una mancata formazione della suola di lavorazione e conseguente riduzione dei ristagni idrici, accanto a una migliore transitabilità dei mezzi meccanici e all’eliminazione dell’erosione superficiale, in particolare nei terreni declivi, e infine all’aumento della proliferazione di insetti utili per la lotta integrata e biologica del meleto. Il cotico erboso gestito nelle fasce interfilari permette di svolgere importanti funzioni di cover crop (copertura vegetale) e di catch crop (cattura degli elementi nutritivi che altrimenti potrebbero lisciviare lungo il profilo del terreno o ruscellare superficialmente nei periodi più piovosi). La flora spontanea gestita oculatamente, in termini sia spaziali (fila e interfila) sia temporali (utilità o minor danno arrecato in determinate stagioni anziché in altre), permette di migliorare la redditività dell’impianto. D’altro canto occorre provvedere alla cura del manto erboso come nella gestione dei tappeti erbosi, in quanto solo una sufficiente fertilizzazione con periodico sfalcio o trinciatura della flora avventizia, senza asportazione dei residui, permette alle piante coltivate di beneficiare del complessivo miglioramento dell’ambiente terricolo che sta alla base della salute e della nutrizione vegetale.

Benefici della flora spontanea

• Il mantenimento della flora spontanea

durante i primi anni d’impianto del meleto non sempre è causa di danno in quanto, oltre ad arricchire di sostanza organica i primi strati del suolo, è in grado di emettere essudati radicali che ottimizzano le funzioni biologiche del terreno, compresa la rimobilizzazione degli elementi minerali. I residui vegetali, a seguito del disseccamento delle malerbe nel periodo primaverile, concorrono inoltre a costituire una sorta di pacciamatura naturale

Aspetti positivi e negativi relativi al mantenimento della flora spontanea negli spazi interfilari dei meleti specializzati

Diserbo sotto la fila di un impianto di melo e trinciatura dell’interfila

Inerbimento artificiale mediante semina dell’interfila e diserbo estivo sulla fila

262

Aspetti positivi

Aspetti negativi

Terreno

Aumento della ritenzione di elementi lisciviabili Riduzione dei fenomeni erosivi Riduzione del ruscellamento Aumento dell’aerazione Miglioramento della struttura e dell’attività biologica

Incremento di arvicole, parassiti e patogeni

Impianto

Aumento della biodiversità e della presenza di impollinatori e di antagonisti naturali Riduzione dell’asfissia radicale Riduzione della clorosi ferrica Depressione del vigore vegetativo (utile solo negli impianti lussureggianti)

Competizione idrica e nutrizionale, con depressione del vigore vegetativo

Produzioni

Miglioramento del colore dei frutti

Riduzione della pezzatura dei frutti


gestione erbe e polloni Contenimento delle malerbe Il diserbo del melo, come per tutte le colture arboree e a differenza di quelle erbacee di pieno campo, viene effettuato su scala più ridotta, in particolare negli impianti meno specializzati. Il contenimento delle malerbe viene diversificato in funzione del sistema di allevamento, dell’età degli impianti, degli ambienti pedoclimatici, della pendenza e dell’area di coltivazione secca o irrigua. La gestione viene spesso adattata in funzione della disponibilità dei mezzi meccanici aziendali per la lavorazione del terreno o per la trinciatura del manto erboso, degli erbicidi di possibile impiego, delle infestanti presenti e delle condizioni pedoclimatiche di coltivazione. In particolare, nei moderni impianti specializzati a elevata densità d’impianto, si tende a privilegiare la tecnica del diserbo sulla fila con attrezzature idonee per evitare di danneggiare l’apparato radicale e la base dei fusti a seguito dell’utilizzo dei mezzi meccanici, ma anche per ottenere un migliore contenimento delle malerbe attorno al fusto, anche se ne possono rimanere alcune mal devitalizzate nelle “zone d’ombra”. In ogni caso si deve operare con cautela per non arrecare danni da fitotossicità alle piante coltivate e per non selezionare malerbe tolleranti o resistenti agli erbicidi. Nei frutteti specializzati, ma anche in quelli familiari coltivati su superfici esigue, occorre praticare una gestione integrata combinando le differenti pratiche di contenimento delle infestanti sulle file e nelle interfile, allo scopo di evitare la comparsa di una flora di sostituzione, caratterizzata da minore eterogeneità e biodiversità, negativa sotto il punto di vista gestionale. Per questo sono da preferire le pratiche che prevedono l’alternanza e l’integrazione di tutti i mezzi di contenimento delle malerbe, come il diserbo chimico abbinato alle lavorazioni meccaniche, oppure la gestione del

Modalità di gestione delle malerbe Fila

Interfila

Inerbimento

Inerbimento

Lavorazione

Inerbimento

Lavorazione

Lavorazione

Diserbo

Inerbimento

Diserbo

Lavorazione

Diserbo

Diserbo

Pacciamatura

Inerbimento

Pacciamatura

Lavorazione

Meleto diserbato sulla fila con glifosate ed erbicida residuale per il contenimento delle emergenze di malerbe annuali

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coltivazione manto erboso interfilare con ripetuti sfalci negli impianti in produzione, avvalendosi della pacciamatura sotto la chioma per quelli di nuova costituzione. In questi ultimi, la competizione esercitata dalle malerbe determina rallentamenti di crescita tanto più accentuati quanto più sono giovani le piante e vigorose le infestanti. Oltre a causare una minore lignificazione con conseguente maggiore suscettibilità ai rigori del gelo invernale, la presenza delle infestanti può accentuare lo sviluppo di malattie fungine e di insetti dannosi, nonché creare squilibri termici nel delicato periodo primaverile di risveglio vegetativo, con maggior rischio di gelate.

Contenimento delle malerbe

• Nei meleti, come in tutti i frutteti, è

corretto ricorrere alla combinazione di tutte le tecniche di gestione della flora infestante presente sulla fila e sull’interfila (gestione integrata), anziché adottare una semplificazione di lotta vera e propria mediante il prevalente impiego del diserbo chimico

Gestione agronomica. L’alternanza di differenti pratiche di contenimento delle malerbe, in funzione delle condizioni pedoclimatiche che caratterizzano l’area di coltivazione, sta alla base di un’ottimale gestione della flora infestante. Le tecniche dell’aridocoltura, in cui le lavorazioni rivestono un ruolo di primaria importanza, sono tendenzialmente privilegiate negli ambienti più caldi e siccitosi, collinari non irrigui e per i nuovi impianti. La tecnica dell’inerbimento controllato si applica prevalentemente negli ambienti più umidi e piovosi di pianura e di valle, come in quelli dotati di impianti di irrigazione. Anche se il mantenimento del manto erboso determina un aumento dei consumi idrici nel periodo estivo, offre una serie indiscutibile di vantaggi. In tal caso occorre ricorrere agli apporti idrici, privilegiando i sistemi a goccia per contenere la nascita e lo sviluppo delle malerbe limitatamente alle aree inumidite. Le maggiori difficoltà di gestione insistono sotto la chioma delle piante, dove risulta più difficile operare per via meccanica sia con le lavorazioni sia con lo sfalcio o la trinciatura. Il diserbo chimico, in questi casi, assume un ruolo di primaria importanza per il contenimento delle infestanti sia negli impianti più giovani sia in quelli in produzione e nei differenti ambienti pedoclimatici.

Sistemazione degli shelter a difesa degli astoni di melo appena messi a dimora

Shelter

• Un valido accorgimento per una

Gestione meccanica. Le lavorazioni meccaniche compiute tra le file e sotto le chiome sono sovente causa di danni sia agli apparati radicali sia ai fusti, anche se vengono effettuate con particolare attenzione e con macchine specifiche dotate di congegni di “rientro”. Per questo è consigliabile eseguire le lavorazioni limitatamente agli spazi interfilari e solo negli ambienti più siccitosi, evitando di avvicinarsi troppo ai fusti delle piante. In ogni caso sono da evitare le lavorazioni profonde e con terreno non in tempera, soprattutto dopo periodi prolungati di non-lavorazione, in quanto verrebbero arrecati gravi danni agli apparati radicali. Le numerose tipologie di macchine di possibile utilizzo adattabili alle varie condizioni pedologiche, sono: a elementi fissi (scarsamente utilizzate per l’insufficiente qualità del lavoro), mobili in folle (cosiddetti a dischi) o azionati da presa di potenza. Assai utilizzati sono gli erpici a dischi, che permettono di conciliare il minor spre-

gestione integrata delle malerbe sotto le file, risulta l’utilizzo degli shelter cioè la collocazione di apposite protezioni attorno alle piante dopo il trapianto. Oltre a limitare la competizione delle malerbe nei confronti del melo, permettono di ridurre i rischi di danni da fitotossicità nei confronti delle giovani piante, ma anche la riduzione di danni da selvaggina e da operazioni meccaniche o manuali di trinciatura dell’erba attorno ai fusti delle piante

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gestione erbe e polloni co di energie accanto a un lavoro vigoroso e superficiale, quindi più adatto per i frutteti allo scopo di danneggiare il meno possibile gli apparati radicali. Tuttavia, per limitare i danni ai fusti e aumentare la superficie lavorata debbono essere dotati di congegni di rientro, che permettono di avvicinarsi maggiormente ai fusti dei meli. Gli erpici con elementi azionati da presa di potenza e che girano su un asse orizzontale (“fresatrice” o zappatrice rotativa) o verticale (erpice rotante), possono essere dotati di organi di rientro ed effettuano un lavoro energico, ma assorbono maggior potenza e possono causare la formazione della suola di lavorazione che tende a rendere asfittico il terreno e a causare ristagni idrici. Lo sfalcio o la trinciatura del manto erboso, sia sull’interfila sia sotto la fila mediante gli appositi congegni di rientro, sono altre operazioni meccaniche che si possono effettuare senza ricorrere alla lavorazione del terreno. Le trinciatrici possono essere munite di elementi che girano su un asse orizzontale (trinciastocchi); tali attrezzature sono indicate per trinciare malerbe più sviluppate e residui di potatura, anche se effettuano una qualità di lavoro più grossolana. Quelle munite di elementi che girano su un asse verticale, invece, eseguono uno sfalcio più preciso, ma occorre intervenire più di frequente quando lo sviluppo della flora spontanea è al massimo 10-15 cm. Vi sono poi modelli muniti di fruste che girano su un asse orizzontale, adatti per la spollonatura meccanica, ma che permettono di contenere parzialmente anche le malerbe annuali, purchè non siano eccessivamente sviluppate.

Nuovi impianti sottoposti a lavorazioni sulla fila e nell’interfila

Gestione biologica. Gli interventi manuali, seppur più precisi, risultano onerosi sia per il costo della manodopera sia per la presenza dei rami talvolta assai prostrati con relative difficoltà di avvicinamento. Le scerbature, le zappature e le vangature, tuttavia, sono le prime operazioni che si rendono necessarie in una conduzione di lotta biologica dove non si possono utilizzare erbicidi, in particolare nei giovani impianti dove la competizione esercitata dalle malerbe può risultare assai dannosa. In ogni caso queste operazioni, nell’ambito di una gestione integrata, si potrebbero rendere necessarie qualora il grado di infestazione dei giovani impianti fosse in grado di pregiudicare lo sviluppo delle piante neotrapiantate, in particolare in assenza di shelter di protezione o di pacciamatura. La predisposizione degli shelter permette di ottenere, oltre al contenimento delle malerbe nei giovani impianti, un primo e immediato tutoraggio e una lieve forzatura termica in virtù dell’innalzamento delle temperature nel periodo di fine inverno-inizio primavera, con protezione dal gelo durante i rigori invernali. D’altro canto il ricorso ai film plastici neri può essere causa di maggiore presenza di roditori, oltre a costituire una minore riserva idrica che necessita di irrigazioni di soccorso o di una preventiva stesura delle

Impianto di melo sottoposto a gestione differenziata delle malerbe nelle interfile: lavorazioni alternate a inerbimento con trinciatura per consentire il passaggio delle macchine per le operazioni colturali

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coltivazione manichette. I modelli biodegradabili consentono di contenere le malerbe per un periodo più limitato di tempo (1-3 anni), senza dover ricorrere alla successiva raccolta dei frammenti di telo. Particolarmente utile si rivela l’uso della pacciamatura per gli impianti molto fitti e a sviluppo limitato in altezza. Altro metodo molto semplice e naturale di possibile applicazione nei vecchi impianti più sviluppati in altezza è l’utilizzo di animali al pascolo (es. pecore), evitando le capre in quanto queste tendono a rovinare la corteccia e anche le fronde dei meli.

Pirodiserbo

• Una pratica utile in regime biologico

è il pirodiserbo, applicabile sia nei giovani impianti sia in quelli più sviluppati, purchè in presenza di malerbe poco sviluppate. In caso contrario e soprattutto con specie perenni, occorre regolare la velocità di avanzamento e l’intensità della fiamma per migliorare il grado di efficacia. Si presta per interventi ripetuti sotto la fila, da integrare con altre pratiche di contenimento delle malerbe nelle interfile, come per esempio la trinciatura

Gestione chimica Il ricorso agli erbicidi si rende utile per limitare l’emergenza delle malerbe attorno alle piante, dove appunto risulta più difficile il controllo. La selettività di questi erbicidi, che agiscono attraverso l’assorbimento radicale o tramite i germogli dei semi durante l’emergenza, in genere sussiste per modalità stratigrafiche. Più in particolare non vengono assorbiti, o solo in dosi trascurabili, da parte delle radici della coltura che si trovano a una maggiore profondità e per questo divengono selettivi con cautela. Pertanto occorre evitare di intervenire su terreni molto sciolti e irrigui, allo scopo di evitare la comparsa di fenomeni di fitotossicità. La scelta dell’erbicida fogliare invece, in funzione del decorso climatico e della flora infestante presente, è più sicuro sotto il punto di vista della selettività radicale, ma può risultare più dannoso in caso di utilizzo di inadeguata attrezzatura che non impedisca il raggiungimento delle parti vegetanti della pianta. Nonostante possano essere applicati in qualsiasi momento del ciclo vegetativo, con l’avvertenza di non interessare al trattamento le foglie delle piante, si tende a intervenire non prima della primavera inoltrata, allo scopo di ridurre il numero degli interventi (2, massimo 3 applicazioni), in particolare negli impianti in produzione.

Raccolta agevolata con carrelli su interfila inerbita e file diserbate

Gestione chimica

• La gestione chimica assume un ruolo

di primaria importanza per il contenimento delle infestanti sotto la chioma delle giovani piante, ma soprattutto di quelle in produzione, dove si presentano le maggiori difficoltà di gestione delle malerbe. Ciò permette di assicurare un controllo più ecocompatibile dell’ambiente e di ridurre eventuali rischi di fitotossicità per le piante causati da accumuli di erbicidi residuali, in virtù della riduzione delle superfici trattate e delle minori dosi di utilizzo complessive

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gestione erbe e polloni Diffusione del diserbo chimico Si ricorre ampiamente alla pratica del diserbo chimico sotto le file degli impianti di melo soprattutto al Nord, con una gestione delle malerbe nelle interfile indirizzata prevalentemente verso periodiche trinciature. In altre aree più siccitose si effettuano talvolta lavorazioni interfilari, ma anche integrali sotto le file, soprattutto negli impianti situati al Sud. Nei meleti specializzati è diffuso il diserbo autunnale, anche se, in questi ultimi tempi, si tende a privilegiare gli interventi di fine inverno, per proseguire con 1-2 interventi durante la fine della primavera e dell’estate, in particolare negli impianti irrigui o se la stagione decorre piovosa.

Evoluzione del diserbo chimico

• Il ricorso ai più tossici disseccanti

dipiridilici è stato pressochè accantonato a favore dei più ecocompatibili glifosate e glufosinate ammonio. La revisione europea dei fitofarmaci e la contingentazione dell’uso di certi principi attivi hanno portato al quasi generalizzato abbandono dei prodotti residuali, prevedendo l’applicazione dei soli fogliari durante i periodi di maggiore dannosità delle malerbe, anche se si ricorre ancora all’impiego di dosi ridotte di oxifluorfen attivanti il glifosate. Il grado di perfezionamento raggiunto in questi ultimi anni con la pratica del diserbo chimico permette di ottenere un soddisfacente controllo delle più dannose infestanti annuali e perenni, oltre che una collaterale azione spollonante con l’impiego del più selettivo glufosinate ammonio. Più problematico permane talvolta il contenimento delle malerbe nelle aziende che aderiscono ai disciplinari di produzione integrata a causa della più limitata disponibilità di erbicidi di possibile impiego

Strategie di diserbo chimico In funzione della composizione malerbologica e delle condizioni pedoclimatiche, nonché dell’età e del tipo degli impianti, vengono adottate differenti strategie di diserbo chimico. Vivai. Nei vivai il diserbo chimico deve essere effettuato mediante barre schermate tra le file, con ripetuti trattamenti fogliari a base del più selettivo disseccante diquat o, con maggiore precauzione, con glufosinate ammonio. Con piante scarsamente sviluppate e nei terreni più sciolti si possono addizionare, con cautela, solo i più selettivi erbicidi residuali, anche se l’impiego di questi risulterebbe più sicuro alla fine dell’inverno del secondo anno di vegetazione, con gemme dormienti. Qualora vengano impiegati prodotti come oxadiazon e oxifluorfen, occorre avere l’avvertenza di non bagnare le gemme.

Vivaio lavorato nelle interfile e diserbato sotto le file con erbicidi residuali

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coltivazione Nuovi impianti. A partire dal primo anno della messa a dimora delle piante arboree, subito dopo l’impianto, con terreno lavorato e privo di infestanti nate, si possono distribuire sulle file i diserbanti ad azione residuale. I più idonei per questo tipo di impiego sono gli stessi che vengono applicati nel diserbo dei vivai, con preferenziale utilizzo di quelli a più lunga persistenza e ridotta percolazione. Possono essere impiegati anche solo gli erbicidi fogliari ad azione di contatto, preferendo nel primo anno di vegetazione il più selettivo diquat, ma su piante ben lignificate e con barre schermate si può utilizzare anche glufosinate ammonio, sebbene in via cautelativa sarebbe più opportuno intervenire dal secondo anno di impianto. A livello localizzato, per il contenimento delle infestanti perenni graminacee e dicotiledoni, si può ricorrere al sistemico glifosate, distribuito con barre assolutamente schermate o con attrezzature umettanti. In prevalenza di graminacee è preferibile ricorrere al più sicuro impiego dei graminicidi specifici nonostante il più elevato costo. In presenza delle apposite schermature (shelter), si può intervenire con maggior sicurezza su tutto il filare, evitando di operare con i prodotti a base di glifosate nei terreni molto sciolti, a causa del potenziale rischio di danno di contatto con gli apparati radicali superficiali delle piante che si trovano ancora a uno stadio semierbaceo. Per una più razionale lotta contro le infestanti dei giovani impianti, si rivelano particolarmente idonee le miscele di prodotti fogliari di contatto e residuali nelle 2 epoche fondamentali di fine inverno e inizio estate.

Nuovo impianto di melo messo a dimora, lavorato nelle interfile e diserbato sulla fila con erbicidi residuali

Impianti in produzione. Dopo i primi anni di impianto, a seguito di una gestione delle malerbe mediante diserbo chimico, aumenta in genere la presenza di specie perenni graminacee, convolvulacee, equisetacee ecc. e altre erbe di sostituzione o di difficile eliminazione con dosi ridotte di soli prodotti fogliari. Se il giovane impianto veniva sottoposto a sole lavorazioni meccaniche, eventualmente abbinate alla pacciamatura sotto la fila, il potenziale di inerbimento è rappresentato prevalentemente da

Prova parcellare trattata con glifosate attivato da dosi ridotte di oxifluorfen

Programma di diserbo chimico nei giovani impianti Autunno Ott.

Nov.

Inverno Dic.

Gen.

Residuali ± fogliari di contatto

Fine inverno

Primavera

Feb.

Apr.

Mar.

Estate

Mag.

Giu.

Lug.

Fine estate Ago.

Fogliari di contatto o graminicidi specifici

268

Set.

Note Impiegare dosi di prodotti residuali proporzionate alla natura del terreno. Utilizzare i prodotti fogliari di contatto solo su fusti lignificati e non bagnare le piante. Evitare la deriva.


gestione erbe e polloni specie annuali, comprese quelle più tradizionali di tutti i coltivi come Veronica, Senecio, Sonchus, Solanum, poligonacee, amarantacee, chenopodiacee ecc. e con abbondanti presenze di chiazze di specie perenni meglio contenute dai film plastici rispetto alle periodiche lavorazioni del terreno. Va considerato che i fusti di melo, dopo 3-4 anni dalla messa a dimora, risultano ben lignificati e, a differenza delle drupacee, la corteccia presenta poche soluzioni di continuità (lenticelle) con le parti vitali interne, e per questo risulta inferiore il rischio di assorbimento degli erbicidi, in particolare del più pericoloso sistemico glifosate. Fatte queste premesse, occorre prendere in rassegna le differenti epoche di intervento nelle quali effettuare i trattamenti: – autunnali, con infestanti alte 10-15 cm;

Orientamenti di diserbo

• I moderni orientamenti di diserbo

non prevedono applicazioni a calendario secondo le tradizionali epoche di impiego, bensì un uso dei soli prodotti fogliari in funzione dei fattori influenti sul grado di efficacia: epoche di emergenza delle malerbe, caratteristiche dei principi attivi, tipo di impianto e disponibilità irrigua

Principali programmi di diserbo chimico negli impianti in produzione Tipo di programma

Autunnale

Autunno Ott.

Nov.

Inverno Dic.

Gen.

Feb.

fogliari + residuali

Primaverile

fogliari di contatto o sistemici

Mar.

Primavera Apr.

Mag.

fogliari di contatto (polloni) o sistemici (Cirsium) ± residuale

fogliari + residuali

Fine inverno

Fogliare e integrato

Fine inverno

Estate Giu.

Fine estate

Lug. Ago.

Set.

fogliari di contatto o fogliari sistemici ± residuale (impianti irrigui)

fogliari di contatto (polloni) o sistemici (Cirsium)

fogliari di contatto o sistemici (perenni)

fogliari di contatto (polloni) o sistemici (Cirsium)

fogliari di contatto o sistemici ± residuali

fogliari di contatto fogliari di contatto (polloni) (polloni) o o sistemici (perenni) sistemici (Cirsium) fogliari di contatto (polloni) o sistemici (perenni)

lavorazioni o sfalci meccanici

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Note

Programma indicato preferibilmente per gli impianti irrigabili nei mesi estivi

Programma indicato preferibilmente per gli impianti già diserbati negli anni precedenti I trattamenti primaverili con fogliari sistemici vanno eseguiti solo con presenza di infestanti di sostituzione e perenni L’addizione dei residuali nei mesi estivi è richiesta negli impianti irrigati e nei terreni sciolti

Trattamenti da eseguire nei mesi primaverili-estivi ogni 45-60 giorni

Interventi meccanici da eseguire 4-5 volte


coltivazione – – – –

autunno-invernali, con infestanti alte 10-15 cm; fine inverno, prima della ripresa vegetativa delle piante arboree; primaverili, dopo la ripresa vegetativa (prima o dopo la fioritura); primaverili-estivi, qualora siano sfuggite malerbe o nel caso di impianti irrigui. I trattamenti autunnali sono necessari con un elevato potenziale di infestazione, in particolare per i giovani impianti, e qualora si attuino programmi di diserbo esclusivamente con prodotti fogliari. In assenza di malerbe sotto le file è possibile intervenire con miscele di erbicidi fogliari e residuali, mantenendo il terreno libero da infestanti. Questo consente di migliorare il grado di lignificazione dei rami con conseguente aumento della resistenza al freddo e riduzione dei danni alla base delle piante causati prevalentemente da insetti o malattie fungine. In questa epoca di intervento le condizioni di assorbimento degli erbicidi risultano favorevoli e permettono di ottimizzare il contenimento delle malerbe con dosi relativamente ridotte di prodotto. Inoltre viene aumentato il grado di devitalizzazione delle specie perenni sensibili agli erbicidi fogliari sistemici come glifosate, con migliori opportunità di contenimento delle più difficili infestazioni di Cynodon dactylon e Convolvulus arvensis. La completa eliminazione delle malerbe sottostanti le file, oltre a semplificare il programma di intervento successivo, facilita le successive operazioni colturali di potatura, asportazione delle ramaglie e di spollonatura. I trattamenti autunno-invernali (dopo la caduta delle foglie) o di fine inverno (prima della ripresa vegetativa) permettono di contenere malerbe non ancora molto sviluppate, evitando i danni da competizione, in particolare per i giovani impianti coltivati a elevata intensità, ma beneficiando nel contempo dei vantaggi derivanti dallo sviluppo della flora avventizia. Nel caso si intervenga in ritardo, con gemme rigonfie o addirittura dopo la ripresa vegetativa, per causa di forza maggiore o per eliminare contemporaneamente specie annuali e perenni a nascita più ritardata come Cirsium, Equisetum, Rumex ecc., occorre adottare preferibilmente attrezzature schermate e in ogni caso bisogna avere l’avvertenza di non interessare i germogli erbacei dei rami basali delle piante. La scelta dell’erbicida fogliare deve essere valutata in funzione del decorso climatico e della flora infestante presente: il glufosinate ammonio è più adatto per malerbe annuali a foglia larga, con temperature non troppo basse e per il contenimento dei polloni, mentre il glifosate si presta anche per temperature inferiori e in presenza di malerbe perenni. L’impiego dei prodotti residuali in miscela con i fogliari richiede un terreno il più possibile libero da malerbe e da foglie o possi-

Esiti di un trattamento autunnale

Diserbo chimico effettuato a fine inverno sotto la fila e inerbimento interfilare

Moderno impianto diserbato a fine inverno

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gestione erbe e polloni bilmente lavorato e sminuzzato per esaltare il grado di efficacia erbicida. I trattamenti primaverili vengono effettuati in genere negli impianti in produzione per ridurre il numero delle applicazioni (2, massimo 3), in particolare se si ricorre all’utilizzo dei soli erbicidi fogliari. Quando il manto erboso più sviluppato viene disseccato dal trattamento, consente di sortire, nonostante il peggiore aspetto estetico, un effetto pacciamante in grado di ridurre l’emergenza di nuove malerbe. In genere l’intervento si esegue verso la fine della primavera, a cui ne segue un secondo nel periodo estivo per il contenimento delle malerbe a sviluppo pluriennale ed eretto che andrebbero a interferire negativamente in fase di raccolta e con le operazioni colturali da eseguire sulle giovani piante, in particolare se allevate a forme piuttosto basse. Un’eventuale terza applicazione si potrebbe rendere necessaria negli impianti con forme di allevamento piuttosto basse e nel caso di decorsi climatici favorevoli allo sviluppo delle malerbe estive, nonchè nei terreni più fertili e irrigui. Inerbimenti successivi, che sviluppano nel corso dell’autunno, in genere non disturbano più lo sviluppo delle piante e consentono di ricostituire, nel periodo invernale, un manto erboso che, una volta disseccato, nel corso della primavera successiva consente di sortire il summenzionato effetto pacciamante. Le applicazioni primaverili-estive, da eseguirsi a completamento delle altre epoche di intervento, sono necessarie qualora siano sfuggite malerbe a sviluppo perenne, ma anche annuali estive soprattutto nei terreni più fertili e irrigui. I trattamenti successivi possono essere ripetuti nel periodo autunnale con miscele di prodotti fogliari e residuali prima della caduta delle foglie o durante l’inverno, in funzione delle specie di malerbe annuali o perenni presenti. Questa tendenza è stata mantenuta per assicurare una più protratta azione e una riduzione del numero degli interventi.

Trattamento estivo eseguito con glifosate per il contenimento di infestanti perennanti

Trattamento estivo effettuato con glufosinate ammonio

Esiti di un trattamento estivo effettuato sotto la fila

Moderno impianto di melo diserbato sulla fila nel periodo estivo e inerbito negli spazi interfilari

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coltivazione Spollonatura Per eliminare i polloni le operazioni di potatura invernale divengono alquanto onerose e costose, a meno che non si intervenga con le operazioni di spollonatura al verde nel periodo primaverileestivo. Se effettuata manualmente richiede un notevole dispiego di manodopera, pertanto per ridurre i costi si deve ricorrere alle operazioni meccanizzate, avendo cura di non danneggiare i fusti con gravi abrasioni e ferite in grado di provocare traumi a livello dell’intera pianta e la compromissione dello stato fitosanitario. In alternativa è possibile effettuare la spollonatura chimica con prodotti ad azione diserbante, tra cui diquat, attualmente quasi abbandonato a causa della sua elevata tossicità, e glufosinate ammonio, con azione congiunta verso la generalità delle malerbe presenti sotto le file delle piante di melo. Per questo scopo occorre intervenire su polloni di consistenza erbacea, lunghi appena 15-20 cm o comunque prima della loro lignificazione, con un’unica applicazione o meglio mediante 2 interventi ben cadenzati nel corso della primavera avanzata e all’inizio dell’estate, che consentono di ottimizzare anche il contenimento delle malerbe.

Spollonatura

• La limitata affinità tra nesto

e portinnesto causa la proliferazione di germogli vigorosi (succhioni) a partire dalle gemme latenti presenti sulla parte basale del fusto, ma soprattutto di germogli originati dalle gemme avventizie situate al colletto delle piante innestate (polloni). Queste emissioni sono indesiderate in quanto costituiscono un inutile spreco di risorse energetiche ai danni della produzione, creano disagi nella gestione delle pratiche colturali e rappresentano un rifugio per gli insetti dannosi

Attrezzature irroranti Il ricorso ad attrezzature irroranti non sufficientemente efficienti e affidabili preclude spesso l’ottenimento di buoni risultati per quanto concerne il contenimento delle malerbe, con possibili danni da fitotossicità alle piante di melo. In ogni caso con attrezzature non schermate è preferibile intervenire solo su impianti sviluppati e impiegare in via precauzionale glufosinate ammonio, più sicuro sotto il punto di vista della selettività colturale, in grado di esplicare nel contempo una complementare azione spollonante. Nel caso di una prevalente presenza di malerbe perenni, come le più difficili infestazioni di Convolvulus e Cynodon che spesso non vengono sufficientemente devitalizzate, si consiglia di intervenire con dosi piene di glifosate durante il periodo di maggiore sensibilità (dopo le prime piogge estive), con l’avvertenza di agire in localizzazione sulle chiazze inerbite e di prestare particolare attenzione con l’utilizzo delle apparecchiature completamente schermate e munite di campane di protezione o di attrezzature lambenti.

Sviluppo di polloni basali

Impiego irrazionale del diserbo e relative problematiche L’impiego ripetuto dei prodotti residuali e fogliari in genere non causa danni da fitotossicità, a meno che non si intervenga in modo irrazionale, soprattutto nei giovani impianti e senza un’adeguata conoscenza dei meccanismi di selettività dei diversi principi attivi. Particolare attenzione deve essere prestata nel caso di impiego di erbicidi residuali su giovani impianti dotati di portinnesti poco vigorosi e apparato radicale molto superficiale. In questi casi è

Trattamento primaverile con duplice finalità di contenimento delle malerbe e dei polloni

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gestione erbe e polloni sconsigliato anche il ricorso al glifosate, se non con particolari attrezzature schermate, soprattutto se vi sono polloni radicali che potrebbero assorbire anche minime quantità di principio attivo. Una gestione delle malerbe mediante eliminazione delle lavorazioni e adozione della tecnica di diserbo dell’intera superficie (non coltura) può essere eseguita con precauzione nei giovani impianti per evitare danni da fitotossicità per via fogliare e anche radicale nel caso si utilizzino erbicidi ad azione residuale. Negli impianti in produzione occorre evitare di intervenire per periodi prolungati di tempo allo scopo di scongiurare l’insorgenza di una flora di sostituzione e di selezione di malerbe chemioresistenti e arbustive di difficile gestione e contenimento. Inoltre nei terreni collinari si può incorrere nel rischio di accumulo di residui nelle aree a valle, con danni da fitotossicità alle piante. Sono sempre da evitare i sovradosaggi, in particolare dove si praticano abbondanti interventi irrigui su terreni più sciolti e dotati di un minore potere adsorbente. La superficialità degli apparati radicali va presa in debita considerazione con l’impiego dei prodotti residuali su terreni sciolti, mentre per i fogliari occorre prestare maggiore attenzione nella fase autunnale di abscissione delle foglie, che varia in funzione delle varietà coltivate e dell’andamento climatico, onde evitare il rischio di assorbimento dei prodotti sistemici e conseguente comparsa di fitotossicità. Il ricorso a oxifluorfen per attivare il glifosate, deve essere fatto con cautela negli impianti particolarmente bassi, allo scopo di evitare danni alle gemme e alla vegetazione basale. In ogni caso non bisogna operare in giornate ventose e con barre non schermate, assicurando un ottimale grado di bagnatura delle infestanti e, all’occorrenza, dei polloni radicali. Per scongiurare la comparsa di una flora di sostituzione o di malerbe resistenti occorre adottare strategie di intervento che prevedano alternanza di diversi principi attivi e diversificazione della gestione delle malerbe.

Aspetti collaterali del diserbo

• Per ottimizzare l’azione degli erbicidi

fogliari occorre intervenire con un sufficiente grado di umidità del terreno e dell’aria, temperature miti e malerbe ai primi stadi di sviluppo

• Nel caso dei prodotti residuali rivestono

maggiore importanza la tipologia dei terreni, le precipitazioni o gli interventi irrigui e l’eventuale presenza di residui colturali o di foglie sul suolo che impediscono l’intercettazione diretta degli erbicidi da parte del suolo o l’adsorbimento irreversibile del principio attivo da parte delle sostanze umiche

• Negli impianti in produzione, più

ombreggiati e con un microclima caratterizzato da una maggiore umidità, rivestono minore importanza gli aspetti collaterali a differenza dei giovani impianti, i quali, nei periodi di siccità, presentano malerbe più esposte agli avversi decorsi climatici e quindi maggiormente stressate, con una minore sensibilità agli erbicidi fogliari e conseguente riduzione del grado di efficacia Foto FEM-IASMA

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il melo

coltivazione Post-raccolta Livio Fadanelli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Post-raccolta Foto FEM-IASMA

Introduzione Con la definizione semplice di post-raccolta (post-harvest), si intendono rappresentare per i prodotti ortofrutticoli, tutti quegli aspetti e ambiti specifici che interessano le produzioni, dal momento della raccolta compreso, fino a quello della distribuzione commerciale e del consumo vero e proprio. Va da sé che gli aspetti interessati rappresentano e coinvolgono pertanto una complessità di fenomeni, comportamenti, scelte e orientamenti tecnologici e organizzativi che si cercherà di affrontare nella maniera più esaustiva possibile alla luce di quanto accade di questi tempi attorno e dentro questo meraviglioso mondo della mela. C’è inoltre chi afferma che i maggiori problemi del post-raccolta dipendano dal pre-raccolta, vale a dire che la vita di una mela dalla raccolta in avanti, non può prescindere dalla sua storia e dal suo “vissuto” precedente, intendendo con ciò tutto quanto concerne le scelte agronomiche, l’ambiente pedoclimatico, gli interventi e le manipolazioni subite fin dalla messa a dimora della piantina che l’ha generata. Fisiologia della maturazione della mela Nel periodo di tempo che va dall’allegagione alla raccolta, si individuano per la mela due fasi distinte: – fase di moltiplicazione cellulare (durata 3-4 settimane) – fase di distensione cellulare fino al periodo di raccolta A queste due distinte fasi sono correlabili comportamenti altrettanto differenti dei frutticini dal periodo post-fiorale e di allegagione o prima formazione fino a quello del completo sviluppo. Foto FEM-IASMA

274


post-raccolta La respirazione è un’attività fisiologica che in tal senso subisce forti variazioni: – è molto intensa durante la fase di caduta petali inizio-allegagione; – decresce poi in maniera evidente durante tutto il periodo di divisione cellulare; – decresce in maniera più lenta durante il periodo di distensione cellulare fino a inizio maturazione; – si stabilizza nelle 3-4 settimane che precedono la maturazione; – subisce un forte incremento fino alla piena maturazione (fase climaterica); – subisce un graduale declino fino alla senescenza dei frutti e alla morte delle cellule (fase post-climaterica).

Foto R. Angelini

Andamento dell’emissione di CO2 della frutta durante la maturazione a CO2 emessa

c d

b

e

f Trenino di raccolta

Luglio

Agosto

a) suddivisione cellulare b) distensione cellulare c) crisi climaterica

Settembre

Ottobre

Novembre Dicembre

Foto FEM-IASMA

d) maturazione completa e) supermaturazione f) morte

Fonte: Kiff 1934

La raccolta dei frutti destinati alla conservazione, con variazioni legate alla precocità e alle caratteristiche varietali, avviene normalmente poco prima o all’inizio della fase climaterica. Le mele da pronto consumo si possono invece raccogliere in coincidenza con il massimo o subito dopo il massimo climaterico. In queste fasi fisiologiche un ruolo determinante è svolto sicuramente dagli ormoni endogeni dei frutti (auxine) e, tra questi, in particolar modo, dall’etilene. L’etilene è dunque un ormone endogeno che regola molti aspetti legati alla crescita, allo sviluppo e all’invecchiamento degli organi vegetali, in particolare i frutti, con l’effetto di regolarne la maturazione, stimolando l’attivazione e la formazione di enzimi quali: perossidasi, amilasi, pectasi, e altri che assumono un ruolo determinante nell’evoluzione della maturità di molta frutta e della mela in particolare. Lo studio dell’andamento respiratorio e della sintesi dell’etilene che caratterizza ogni singola varietà di mela, può costituire la 275


coltivazione Relazione tra produzione di etilene e conservabilità delle mele

Foto FEM-IASMA

Etilene endogeno (ppm)

Stadio di raccolta/conservabilità

<0,1

Mele immature. Non adatte alla conservazione.

0,1-0,5

Stadio di inizio raccolta. Mele idonee a lunga conservazione in AC

0,5-1

Stadio di raccolta intermedio. Mele adatte a conservazione in AC per medio periodo

1-5

Termine periodo utile per raccolta e conservazione in AC

5-10

Breve conservazione (3-4 mesi)

>10

Mele da pronto consumo o per breve conservazione in AN

base scientifica su cui poggiare molte considerazioni di carattere pratico applicativo in merito al delicato momento della raccolta sia ai fini del consumo diretto sia ancor di più allo scopo di ottimizzare l’equilibrio tra qualità organolettica, requisiti estetici, serbevolezza e conservabilità dei frutti. Va precisato che nelle mele, il rialzo respiratorio di inizio climaterio e l’incremento della produzione di etilene endogeno, coincidono. Quando una mela ha iniziato la sua ascesa climaterica è di fatto entrata in fase di maturazione e da questo momento in avanti, essa può essere rallentata ma mai bloccata. In coincidenza con la fase climaterica avvengono di fatto altri fenomeni tra i quali alcuni principali: – l’intenerimento della polpa; – lo sviluppo degli aromi e l’acquisizione del tipico sapore; – il mutamento del colore di fondo e del sovraccolore della buccia; – la degradazione dell’amido nella polpa; – la degradazione degli acidi organici; – la sintesi dell’ATP e di alcuni enzimi ecc. Su tutti questi cambiamenti, sull’intensità e sulla velocità con cui avvengono, giocano un ruolo importante sia il clima sia l’ambiente di coltivazione. In altre parole, nella mela, l’equilibrio gustativo (zuccheri/acidi), il profumo e l’aroma, la colorazione della buccia, la velocità di maturazione e l’intensità respiratoria del frutto pre- e postraccolta, dipendono fortemente dall’ambiente pedoclimatico in cui viene coltivata e sono maggiormente favoriti nelle aree collinari, ben soleggiate e nei climi caratterizzati da significative escursioni termiche (giorno/notte, minime/massime), soprattutto nel periodo (4-5 settimane) che precede la raccolta.

Cassoni di legno per la raccolta delle mele

276


post-raccolta Respirazione, maturazione e serbevolezza Tra i fattori che condizionano l’intensità respiratoria, di certo al primo posto va messa la temperatura. La formula/equazione che spiega tra le altre gli effetti diretti della respirazione intesa come combustione degli zuccheri e degli acidi organici, è la seguente: 6O2

=

6 CO2

+ 6 H2O + energia

Zuccheri + ossigeno = anidride carbonica + acqua + calore

+

3O2

=

4 CO2

400 300

Albicocche Pesche Pere Mele Prugne

200 100

Quando invece sono gli acidi a essere ossidati, si ha: C4H6O5

Fragole

500 j/t/24 ore

C6H12O6 +

600

5

+ 3H2O + energia

10

15

20

25°C

Fonte: Collin 1975

Acidi organici + ossigeno = anidride carbonica + acqua + calore

Rapporto tra respirazione e temperatura di varie specie ortofrutticole

Il coefficiente respiratorio (CR) è un valore che indica la natura delle sostanze ossidate nel rapporto tra volume di CO2 emessa/ volume di O2 consumato e quindi, nei due casi, sarà pari a 1 e a 1,33 così come quando la respirazione avviene in assenza o con poco ossigeno (fermentazione), il CR è più elevato >2. L’intensità respiratoria (IR) esprime invece la quantità di ossigeno consumato o di anidride carbonica emessa da un peso noto di frutta (per es. mg/kg) in un determinato periodo di tempo (per es. ora = h), misurato in condizioni di temperatura costante. La respirazione nelle mele è condizionata, in tutto il periodo di accrescimento (pre-raccolta), dallo stadio fenologico e, in post-rac-

Cantiere di raccolta delle mele

Foto R. Angelini

277


coltivazione Intensità del calore metabolico in rapporto alla temperatura 290

Entità della respirazione della mela a diverse temperature* ml CO2/kg/h

0

5

10

15

20

260

2000

3-6 4-8 7-12 9-20 15-30

Fonte: autori diversi * I valori maggiori si riferiscono a mele mature. Per convertire in Kcal/Ton/h moltiplicare il dato × 61,2

220 Fragola

kcal/kg/24 ore

1500

Banana

Mora

190

150

1000

ml CO2/kg/h

Temp °C

Avocado

120 Fico Foto R. Angelini

Uva spina Ciliegia acida

500 250

Ciliegia

Prugna

60

Ananas

40

Mela 15

20

90

30

25°C

colta, dalla varietà, dalla temperatura dei frutti e dell’ambiente e dalla composizione gassosa dell’atmosfera in cui la mela si trova. Le curve respiratorie della frutta, studiate e pubblicate già oltre 60 anni fa da Kidd e West e poi da Ulrich hanno messo in correlazione diretta l’intensità respiratoria e la temperatura, ponendo di fatto le basi per lo studio della fisiologia post-raccolta e l’applica-

Il parametro Q10 descrive la dipendenza delle reazioni metaboliche dalla temperatura A 5°C la respirazione è pari a 5-7 ml CO2/kg/h (media = 6 ml CO2/kg/h) A 15°C la respirazione è pari a 15-20 ml CO2/kg/h (media = 17,5 ml CO2/kg/h)

Particolare della raccolta con l’uso di carri agevolatori per raggiungere anche le parti più alte della pianta

278

Q10 =

17,5 = 2,9 6


post-raccolta Velocità di degradazione del prodotto in relazione alla temperatura Temperatura (°C)

Q10

0

Velocità relativa di degradazione

Shelf life relativa (%)

Perdita al giorno (%)

1

100

1

10

3

3

33

3

20

2,5

7,5

13

8

30

2

15

7

14

40

1,5

22,5

4

25

Conservazione con l’impiego del freddo Alla temperatura di 0 °C (molto prossima al punto di congelamento), l’intensità respiratoria è minima per cui abbassando la temperatura della mela si riduce la sua intensità respiratoria ottenendo di fatto un allungamento della vita. Ciò che in parole semplici si può chiamare conservazione con l’impiego del freddo

zione delle tecniche di conservazione con l’impiego del freddo. A una intensa attività respiratoria, nella mela, si accompagna un’altrettanto intensa attività metabolica con produzione di calore, indirettamente proporzionale con la vita del frutto stesso.

Foto M. Galli

Umidità relativa dell’aria. Come già evidenziato, la respirazione della mela produce anidride carbonica, energia e acqua. Il fenomeno che avviene in parallelo con la respirazione è dunque quello della traspirazione o perdita d’acqua. Va da sé, dunque, che riducendo l’intensità respiratoria della mela se ne riducono in proporzione la perdita d’acqua e il calo naturale di peso. Gli effetti ultimi di una perdita di peso eccessiva (nella mela il limite massimo è pari al 4-6% a seconda della varietà), si producono nel fenomeno chiamato avvizzimento o appassimento, con perdita dei naturali requisiti di forma e consistenza nella mela. L’entità di perdita di acqua per la mela è pertanto legata a diversi fattori, tra i quali: – intensità respiratoria; – umidità dell’aria; – ventilazione; – altri di natura morfologico-compositiva, tra cui la dimensione del frutto, lo spessore della buccia, il grado di maturazione, la presenza di difetti (per es. rugginosità) e la composizione ed entità di cere presenti sulla buccia. Effetto della composizione dell’atmosfera. La temperatura non è il solo fattore che influisce su respirazione, vita e durata dei vegetali, ma, come è risaputo, anche la composizione gassosa dell’atmosfera in cui vengono mantenuti, assume un ruolo determinante sulle loro funzioni metaboliche. Tra i composti gassosi che producono effetti sul metabolismo delle mele ricordiamo: l’etilene, l’ossigeno, l’anidride carbonica, l’azoto. Gli effetti dei gas naturalmente presenti nell’atmosfera, ossigeno (O2), anidride carbonica (CO2) e azoto (N2), sulla riduzione della respirazione nelle mele, furono oggetto di studio in Inghilterra già

Entità della produzione di etilene della mela a diverse temperature* Temp °C

0

5

10

15

20

ul/CO2/kg/h 1-10 2-25 5-60 15-100 20-150 Fonte: autori diversi * I valori maggiori si riferiscono a mele mature

279


coltivazione Modificazione della respirazione delle mele in relazione alla composizione dell’atmosfera

Maturazione delle mele e conservazione

Composizione dell’atmosfera

• I processi metabolici legati alla

maturazione della mela sono stimolati dall’aumento della temperatura dei frutti, dalla presenza % di ossigeno e di anidride carbonica, e dall’etilene endogeno (prodotto dalle mele stesse) ed esogeno (presente nell’aria). Da questo ne deriva, in termini applicativi, la tecnica di conservazione in ambiente refrigerato e in atmosfera controllata (con composizione diversa nel rapporto O2/CO2/N2)

• Gli effetti indotti dalla composizione dell’atmosfera di condizionamento a temperatura costante, sulla respirazione delle mele sono visibili nella tabella a lato, da cui si deduce come la diminuzione dell’ossigeno e l’incremento dell’anidride carbonica in un ambiente confinato si traducano in una riduzione dell’entità della respirazione nelle mele stesse

Ossigeno (%)

Anidride carbonica (%)

Decremento della respirazione (%)

21

0

100

10

2

61,4

7

0

58

7

2

54,6

4

0

51,7

4

2

48,6

4

5

44,8

3

0

49,6

3

2

46,7

3

5

43

1,5

0

39

1,5

3

25

Fonte: modificato da Fidler e North, 1966

verso gli anni 1914-1917 e successivi, e ancor oggi gli studi di Kidd e West (1927) e quelli di J-B. Biale (1946) e di J.C. Fidler e C.J. North (1966) rappresentano fonti basilari su cui poggiano le

Trenini per la raccolta, Ferrara

Foto R. Angelini

280


post-raccolta Evoluzione dei parametri qualitativi pre-e post-raccolta Foto FEM-IASMA

Epoca ottimale di raccolta Zuccheri Colorazione Aroma

Acidità

Protopectine Estate

Pectine solubili

Colore di fondo Amido Rammollimento

Cascola Distacco del picciolo Autunno

Conservazione

Raccolta troppo precoce

• Pezzatura insufficiente • Peso ridotto • Aspetto verde immaturo • Polpa eccessivamente dura • Deficit di sapore • Avvizzimento • Butteratura amara • Riscaldo precoce

applicazioni del Gas Storage oggi Atmosfera Controllata e Atmosfera Modificata o più semplicemente AC e AM. Maturazione e raccolta Rappresentano il momento culminante di tutto il ciclo di accrescimento dei frutti. Le decisioni che si devono prendere nel momento della raccolta hanno molteplici effetti non solo sulla serbevolezza ma anche, e soprattutto, sulla qualità e conservabilità della mela. Il momento della maturazione è pertanto un concetto “temporale” che va interpretato in funzione di ciò che si vuol ottenere: – il consumo diretto della frutta raccolta; – la conservazione di breve periodo delle mele raccolte; – la conservabilità massima in termini di tempo con le minori perdite possibili (per alterazioni fisiologiche e patologiche, calo di peso ecc.). Qualunque sia lo scopo che ci si pone, la maturazione va interpretata e la raccolta va eseguita secondo canoni, tempi e modalità che permettano di salvaguardare al massimo i requisiti qualitativi intrinseci ed estetici delle mele stesse. In relazione al momento di maggior equilibrio della qualità, si possono distinguere vari gradi di maturazione: –p re-maturazione = mele acide, poco zuccherine, dure, con sfondo verde, assenza di aromi e profumo, cui si associa una sensibilità a talune fisiopatie quali avvizzimento e riscaldo; – i nizio maturazione = coincide con il raggiungimento di equilibrio ai fini della conservazione, anche di lungo periodo, ma le mele non sono adatte al consumo pronto;

Raccolta troppo tardiva

• Cascola del frutto • Vitrescenza • Rammollimento interno • Deficit di acidità • Marciumi, butteratura amara • Imbrunimento interno • Riscaldo da senescenza • Disfacimento interno 281


coltivazione Foto R. Angelini

Finestra di raccolta

• È il periodo di tempo utile per raccogliere una determinata varietà o clone in una precisa zona e annata

• La si definisce di anno in anno valutando l’andamento della maturazione con cadenza almeno settimanale

• Individua l’inizio e il termine del periodo

ottimale ai fini della conservazione e del mantenimento della qualità delle mele

• Si definisce riferendosi a test di

Raccolta a Curicò, Cile

maturazione e a indici min/max per ogni cultivar e clone

– maturazione ottimale = rappresenta il cuore del periodo di maturità e, in tale periodo (breve per la maggior parte delle cultivar), l’equilibrio tra i componenti della mela (acidi, zuccheri, tannini, succo) è in armonia con i requisiti estetici (colore, sovraccolore, turgidità e durezza) che rendono le mele solitamente meno affette da alterazioni; – maturazione avanzata e sovramaturazione = la struttura della mela manifesta segni di cedimento, al gusto prevale il contenuto zuccherino, il colore di fondo vira verso tinte giallo aranciate, aumenta la sensibilità alle alterazioni fungine. Traducendo quanto sopra in un linguaggio più consono ai fini economici e produttivi della coltivazione delle mele, possiamo indicare tre livelli quali: – maturazione da consumo: quando le mele sono di ottima qualità

• È indispensabile che faccia riferimento a una banca dati storica rilevata negli stessi siti produttivi

• Deve necessariamente tener conto

sia dei requisiti estetici delle mele (colore e sovraccolore), sia dei mercati di riferimento (Italia-Estero), e degli standard commerciali richiesti (per es. produzione biologica, integrata, senza trattamenti di post raccolta ecc.)

Indicativamente, nelle ultime 5 annate per le varietà più diffuse, la finestra di raccolta ottimale dalla data consigliata di inizio in Trentino ha avuto una durata media in giorni di:

Effetti del momento della raccolta

• 20-25 Golden Delicious

• 10-15 Red Delicious standard • 7-10

Red Delicious spur

• 15-20 Renetta Canada

• 6-8 Gala e cloni • 10-15 Granny Smith-Imperatore Morgenduft

• 10-15

Fuji e cloni

Troppo presto

Ottimale

Troppo tardi

Calibro dei frutti, colore

+

+

Gusto, sapore

+

(+)

Butteratura amara, avvizzimento

+

(–)

Riscaldo, imbrunimento interno

+

Vitrescenza

(–)

+

(–)

Spot, marciume

(+)

+

Durata della conservazione

(+)

+

Disfacimento della polpa

(–)

+

Profumo, aroma

+

+

– : sfavorevole, + : favorevole, () : solo per determinate varietà e condizioni

282


post-raccolta in termini di sapore, gusto, estetica e pronte per la distribuzione commerciale e il consumo; – maturazione industriale o di conservazione: con lo scopo di conservare le mele il più a lungo possibile, ottimizzando le tecnologie di conservazione applicate con il mantenimento dei requisiti di qualità nel tempo e con il minor decadimento e perdite possibili; – post-maturazione: coincide con le manipolazioni necessarie per rendere le mele adatte al consumo dopo l’uscita dagli ambienti di conservazione, salvaguardando il concetto fondamentale di qualità e shelf life (vita e qualità in fase di distribuzione sui mercati).

Foto FEM-IASMA

Piano di raccolta Si intende l’attività di controllo e monitoraggio su un determinato territorio, eseguito su frutteti di riferimento con campionamenti periodici (in numero di 4-6 ogni 5-7 giorni), a iniziare da 2 settimane in anticipo sulla più probabile data di inizio raccolta. Campione rappresentativo. Deve essere costituito da almeno 20 frutti scelti nella parte centrale del meleto, su due lati delle piante ad altezza d’uomo, affidando alla casualità la scelta dei frutti. Il campione siglato con tutte le indicazioni di cui sopra, va consegnato entro breve tempo al laboratorio di analisi per sottoporlo ai controlli previsti (test di maturazione). I dati di ogni fase/data di campionamento vanno successivamente elaborati e archiviati anche allo scopo di produrre una banca dati e uno storico dei siti controllati. Nelle varie annate successive infatti sarà utile poter consultare il comportamento, l’andamento della maturazione nel tempo, i valori rilevati potendo confrontare il tutto con dati e informazioni già note riferite al passato.

Durata del periodo ottimale di maturazione e raccolta Varia in funzione di tanti parametri (per es. pedoclimatici, agronomici) anche difficili da interpretare, ma soprattutto in funzione della varietà, del clone, del portinnesto, della carica di produzione, dell’annata e del clima

Foto FEM-IASMA

283


coltivazione Come valutare l’andamento della maturazione. Premettendo che valutare la maturazione significa, innanzitutto, caratterizzare la qualità di una mela, cogliendo il momento in cui essa sa esprimere il meglio in termini sia gustativi sia di conservabilità, si sottolinea anche che molte delle metodiche conosciute come test di maturazione servono anche per valutare la qualità dei frutti. È opportuno distinguere tra i tanti metodi di indagine che permettono di conoscere il comportamento delle singole varietà durante la maturazione, suddividendo gli stessi in: – metodi di laboratorio; – test di maturazione (di pratico impiego sia in laboratorio sia talvolta in campo); Allo stesso tempo la metodica applicata può mirare a dare risposte di tipo diverso rivolte a obiettivi diversi: – approfondire lo studio e le conoscenze fisiologico-qualitative non note di una varietà o clone di nuova introduzione; – caratterizzare le mele sotto il profilo della composizione e della qualità organolettica;

Preparazione dei campioni per il test di maturazione I dati esposti su ogni singolo campione da sottoporre a valutazione dello stato di maturazione devono indicare:

• Area di produzione: indicata come valle (per es. Val di Non, Valsugana ecc.) o comprensorio

• Cooperativa-Organizzazione-Ditta:

indicata con il nome del magazzino in cui vengono conferite le mele per la successiva conservazione

• Tipo di prelievo: indicato dalla lettera

(A-B-C ecc.) in ordine progressivo a indicare il numero di campionature eseguite per una determinata azienda frutticola con cadenza settimanale, con riferimento in particolar modo alle varietà prese in esame

Epoche di fioritura e periodo di raccolta Giorni fiorituraraccolta +/– 4 giorni

• Varietà o cloni presi in esame • Portinnesto (per es: M9-M26-franco) • Codice: codifica identificativa di prelievo • Data: il giorno di campionamento • Località e produttore: sito di prelievo del campione e nome del frutticoltore

Summerred

116

Gala – cloni rossi

129

Elstar

132

Jonathan

137

Red Delicious

145

Jonagold

144

Gloster

148

Golden Delicious

140

Idared

155

Braeburn

168

Granny Smith

170

Meran

165

Winesap

173

Morgenduft

167

Fuji

178

Fonte: Laimburg

284

Agosto 1

2

Settembre 3

1

2

3

Ottobre 1

2

3


post-raccolta –d efinire la data di raccolta e il termine utile della stessa; – controllare lo stato di salute durante il periodo di conservazione.

Foto FEM-IASMA

Metodi di studio-ricerca. Tra i tanti dati indicativi della fisiologia e del comportamento di ogni varietà e clone sono di utile conoscenza i seguenti: – numero di giorni dalla piena fioritura (riferimento allo stadio fenologico F2); – f orma e profondità della cavità calicina (metodo Stoll); – numero di giorni dallo stadio T della cavità peduncolare (dal momento in cui l’inserzione del picciolo forma un T ideale con la mela); – stato di sviluppo e di suberificazione delle lenticelle; – stato di sviluppo dei semi; – produzione ed emissione di etilene endogeno (nelle logge seminali) nel periodo che precede la raccolta; – intensità della respirazione nel tempo che precede la raccolta e valutazione del climaterio; – indice di risonanza acustica; – resistività elettrica della polpa della mela;

Conferimento delle mele al magazzino di conservazione

Composizione chimica delle mele Golden Delicious

Renetta Canada

Red Delicious

Umidità

83-86

81-85

85-87

Ceneri

0,21-0,30

0,21

0,23-0,26

Saccarosio

0,55-3,7

0,9-2,9

0,4-0,4

1,8-3,2

1,3-2,4

0,7-3,3

6,7-9,7

6,0-7,8

6,1-8,4

Acido malico

0,36-0,63

0,47-0,75

0,24-0,38

Cellulosa

0,5-0,8

0,85-1,45

0,6-1,0

Pectina

0,2-0,6

0,6-0,9

0,4-0,7

Vitamina C

1-5

0,6-1,1

0,5

7,0-11,0

9,3-14,7

7,0-11,5

73-130

86-140

90-120

3,3-5,2

5,0-7,6

4,6-6,9

4,0-5,5

4,2-6,3

3,9-5,4

0,06-0,17

0,08-0,17

0,05-0,13

Fruttosio

Fosforo Potassio Calcio Magnesio Ferro

mg/100 g di sostanza

Glucosio

% (g/100 g)

Principali determinazioni

Foto R. Angelini

Stadio fenologico F2 o di piena fioritura

Fonte: Stazione Sperimentale Agraria di S. Michele all’Adige-Laboratorio di analisi e di ricerca Ist. Agr. Prov.le S. Michele all’Adige

285


coltivazione – composizione chimica dei frutti: stato delle pectine, quantità di clorofilla, azoto proteico e minerale, fenoli e polifenoli, quantità e qualità delle sostanze volatili e degli aromi emessi, contenuto di elementi minerali e vitamine ecc.

Come si prepara la soluzione iodo-iodurata

Parametri e tesi per la valutazione della maturazione in funzione della raccolta Stadio amido. Consiste nel valutare visivamente la quantità di amido presente nelle mele. Un numero sufficiente di mele (8-10) saranno sezionate orizzontalmente, immerse per pochi secondi in una soluzione liquida a base di iodio (soluzione di Lugol), e quindi controllate e confrontate con un’apposita carta colorimetrica. La carta colorimetrica può essere su scala 1-5 considerando i valori intermedi allo 0,5, o su scala 1-10 considerando i valori a numeri interi. Il test si basa sul principio fisiologico che, a inizio maturazione, l’unico zucchero presente nella mela è l’amido (zucchero complesso o polisaccaride) e che, con la fase climaterica, questo si idrolizza trasformandosi in zuccheri semplici che non hanno alcuna reazione colorimetrica quando sottoposti a tale test. L’amido in combinazione con lo iodio ioduro di potassio assume una colorazione blu scura, che permette di definire il cosiddetto stadio d’amido. Lo stadio d’amido ideale per dare inizio alla raccolta varia a seconda della varietà, come anche il periodo ottimale, entro il quale la raccolta deve essere terminata.

• Prendere 10 g di IK (ioduro di potassio) • Si fanno sciogliere in poca acqua distillata (realizzando una soluzione satura)

• Quindi si aggiungono 2,5 g di I

(iodio 2 bisublimato metallico) e, agitando, si fanno sciogliere completamente

• Si porta a volume di 1 litro con acqua distillata

• La soluzione così ottenuta si mantiene

anche per lungo tempo, purchè sia in recipiente scuro e lontano dalla luce per proteggerla da eventuale degradazione in quanto fotosensibile

Durezza della polpa. La si determina misurando la resistenza alla pressione di uno strumento (penetrometro = dinamometro), su

Scala della degradazione colorimetrica dell’amido

1

1,5

2

2,5

3

3,5

4

4,5

5

>5

286


post-raccolta

Penetrometro a puntale

una o due facce di ogni singola mela, dopo aver asportato la buccia. Nel caso di doppia misura si sceglieranno sia la parte esposta sia quella non esposta al sole. Lo strumento di misurazione è un penetrometro dal puntale di diametro 11 mm ed esprime la consistenza della polpa in kg/cm2. I valori sono espressi anche come media di tali durezze.

Misurazione della durezza con penetrometro da banco

Residuo Secco Rifrattometrico (RSR) (prevalentemente costituito dagli zuccheri). I valori sono espressi in gradi °Brix, misurati su singolo frutto con rispettiva media oppure sul succo estratto da un intero campione. Con il progredire della maturazione e la relativa degradazione dell’amido, aumenta il contenuto zuccherino. Contemporaneamente diminuiscono anche gli acidi. L’amido si trasforma in saccarosio (uno zucchero complesso ) e in glucosio e fruttosio (due zuccheri semplici). Lo zucchero è il parametro più importante per definire la qualità gustativa. Misurazione della durezza con penetrometro a puntale

Misurazione del grado zuccherino Rifrattometro digitale da banco

287


coltivazione

Indice di maturazione STREIF e indice di qualità PERLIM e THIAULT

• STREIF

PO IR×AM

• PERLIM

(0.5×PO)+(0.67×IR)+(0.67×AC)–10

Penetrometro (PO) = kg/cm2 Stadio d’amido (AM) = 1–5 moltiplicato per 2 Indice rifrattometrico (IR) = °Brix Acidità (AC) = g/l

Titolazione dell’acidità totale sul succo

Questi due indici cercano di ridurre a una formula matematica 3 dei 4 parametri essenziali di maturazione

Acidità totale: La si determina sul succo estratto dal campione di mele, utilizzando estrattori di vario tipo e sottoponendo il succo a filtrazione. Il campione di succo viene sottoposto a titolazione con una soluzione di soda (di solito NaOH 0,1 N) fino alla reazione di neutralizzazione a pH 8,1. Per il controllo del punto esatto di viraggio si può utilizzare l’indicatore fenolftaleina (poche gocce aggiunte al campione) oppure un pH-metro. Il valore di acidità totale nelle mele è espresso in meq di NaOH o in g/l come acido malico o sempre in g/l come acidi totali (acido citrico, acido tartarico, acido malico). L’acidità è un parametro di qualità e non un indice di maturazione, e perciò, come tale, per la determinazione dell’epoca di raccolta offre pochi punti di riferimento.

• THIAULT IR+AC×10 Indice rifrattometrico (IR) = g/l Acidità (AC) = g/l Tale indice esprime il rapporto tra zuccheri e acidi ed è pertanto più un indice di qualità (conservazione) che un indice di maturazione

Indice di Streif alla raccolta Varietà

Indice di Streif (valori minimi)

Fonte bibliografica Streif Golden Delicious

0,09

Gloster

0,21

Jonagold

0,07

Elstar

0,30

Dati elaborati Red Delicious

0,17

Gala

0,12

Fuji

0,08

Granny Smith

0,15 Titolazione con buretta

288


post-raccolta Peso medio: Riferito al peso di ogni singolo frutto (g) con rispettiva media sul totale. In base ai dati forniti dalle analisi si possono ricavare delle formule utili come indici di raccolta o di qualità per la conservazione della frutta.

Parametri qualitativi ottimali per la raccolta delle mele Varietà

Amido

Durezza (kg/cm2)

Zuccheri (%)

Aciditá (g/l ac. malico)

Aciditá tot. g/l NaOH

min

max

min

max

min

max

min

max

min

max

Braeburn

2,6

2,8

8,2

9,2

11,5

12,5

5,3

6,5

7,9

9,7

Elstar

2,5

2,8

6,3

6,8

11,5

12,0

5,8

6,8

8,7

10,2

Florina

2,8

3,5

7,5

8,0

10,5

11,5

5,5

6,5

8,2

9,7

Freedom

2,3

2,7

7,5

8,0

10,5

12,0

5,7

7,3

8,5

10,9

Fuij

3,5

4,5

7,5

8,5

12,0

13,5

3,5

4,3

5,2

6,4

Gloster

2,0

2,5

6,3

6,8

11,0

11,5

4,7

6,0

7,1

9,0

Golden Delicious

3,0

3,5

6,5

7,0

11,5

13,0

3,8

5,1

5,7

7,6

Gruppo Winesap

2,5

3,0

6,5

7,2

11,0

12,0

5,7

6,2

8,5

9,3

Granny Smith

2,3

3,0

6,8

7,5

10,0

11,0

6,5

8,0

9,7

12,0

Gruppo Gala

2,5

3,0

6,8

7,0

11,5

12,5

3,1

4,2

4,6

6,3

Idared

2,5

3,0

6,0

6,8

10,5

11,5

5,5

6,5

8,2

9,7

Jonagold

3,0

3,5

6,0

7,0

12,0

13,0

3,8

5,1

5,7

7,6

Jonathan

2,5

3,0

6,2

7,2

11,0

12,0

5,0

6,8

7,5

10,2

MorgenduftRome Beauty

3,5

4,0

6,3

7,3

11,0

11,5

3,7

6,0

5,5

9,0

Red Delicious

1,8

2,2

6,8

7,5

10,0

12,0

2,6

3,8

3,9

5,7

Renetta Canada bianca

1,4

1,8

8,5

9,2

9,0

10,0

8,0

11,3

12,0

16,9

Summerred

2,8

3,1

6,8

7,6

10,0

11,0

6,8

7,8

10,2

11,7

Pink Lady

2,5

3,0

7,0

9,0

12,5

13,5

7,0

8,0

10,4

12,0

Pinova

3,5

3,8

7,3

7,5

13,5

14,5

6,0

7,3

9,0

11,0

Rubens

2,5

3,0

7,0

7,5

12,5

13,5

7,5

8,2

10,9

12,0

Topaz

2,5

3,0

7,5

8,5

12,0

13,0

8,6

10,6

13,0

16,0

Cameo

3,0

3,5

7,0

7,5

11,5

13,0

5,1

6,7

7,6

10,0

Fonte: Istituto Agrario S. Michele all’Adige Dipartimento Produzione Agricola unità operativa conservazione e trasformazione prodotti ortofrutticoli

289


coltivazione Parametri per la valutazione dei requisiti commerciali Non va dimenticato che il momento della raccolta deve anche coincidere con il rispetto e il raggiungimento di requisiti minimi commerciali, talvolta codificati (norme di qualità CEE, marchi di qualità, DOP-IGP), e che pertanto alle valutazioni di tipo organolettico si accostano anche valutazioni di tipo visivo estetico, con l’impiego di metodiche di indagine diverse, tra le quali: a) valutazione del colore e del sovraccolore: – con l’uso di apposite cartine colorimetriche o di apposita strumentazione (colorimetri), che esprimono i valori letti traducendo i componenti cromatici in forma numerica; – considerando l’estensione della tinta diversa (per es. rosso) sul colore di fondo della buccia (per es. verde o giallo); b) determinazione del calibro, del peso, del volume; c) valutazione della forma delle mele e dei difetti presenti sull’epidermide: – ci si riferisce a quanto prescritto nei disciplinari di qualità legati ai rispettivi marchi di tutela; d) valutazione del rispetto dei requisiti chimico-fisici minimi e di indici di qualità precisi: – ci si riferisce a indagini di laboratorio secondo le metodiche sopra descritte per la valutazione dei requisiti fisici (peso-durezzacolore) e chimici (zuccheri-acidità-degradazione amido); – i valori minimi vengono talvolta interpretati con riferimento a indici di qualità calcolati secondo precise formule matematiche (per es. Indice di Thiault, Indice di Perlim, Indici sperimentali ecc.).

Foto R. Barbieri

Cartine colorimetriche di Pink Lady

Cartina colorimetrica (particolare) Colorimetro da banco

290


post-raccolta Tornando ai test di maturazione e a come li si determina utilizzando le metodiche distruttive, va precisato che da qualche anno sono disponibili dei sistemi automatizzati (laboratori automatici e robotizzati ) in grado di eseguire tutte le principali analisi su un campione di 20-30 mele in pochi minuti (4-6). Uno di questi è il Laboratorio automatico Pimprenelle messo a punto dalla ditta Setop (Francia), che utilizzando appunto le metodiche classiche sopra descritte è in grado di fornire, su un campione completo, i seguenti dati: – peso del singolo frutto, peso medio e totale del campione; – RSR% in gradi Brix su singolo frutto e medio sul campione; – durezza della polpa in kg/cm2, rilevata su un punto per frutto e media sul campione; – acidità totale sul campione espressa in meq di NaOH e il g/l di acido malico; – succosità media del campione espressa in % di succo estraibile; – indice TOP del campione o indice di qualità di Thiault. Tutti i dati vengono inoltre espressi come valore min-max, medio e DS, e inoltre sono memorizzati ed esportabili su supporti informatici.

Laboratorio d’analisi automatica Pimprenelle

Organizzazione della raccolta in azienda Tempistica. Ogni varietà deve essere raccolta nel più breve tempo possibile e comunque entro la “finestra annuale di raccolta” indicata e consegnata al centro di conservazione. Le varietà a maturazione scalare richiedono di essere raccolte in più passaggi-stacchi, valorizzandone al meglio i requisiti estetici (colore e sovraccolore). Le mele prodotte da piante giovani e scariche vanno raccolte per prime e separatamente in quanto meno conservabili.

Organizzazione della raccolta: esempio del Trentino Si elaborano piani di raccolta per:

Organizzazione del cantiere di raccolta. In media la capacità lavorativa di raccolta per ogni raccoglitore è pari a 120 a 200 kg/ora (a seconda della fittezza dell’impianto, della possibilità di impiego di mezzi meccanici/carri raccolta, della carica di produzione e delle dimensioni delle piante), quindi una unità lavorativa raccoglie in media in una settimana (6 giorni lavorativi di 8 ore/ giorno) circa 65-80 q di mele. Va precisato che solitamente nelle aree frutticole di fondovalle la “finestra di raccolta” è più breve, mentre nelle zone collinari la maturazione procede più lentamente anche grazie alle favorevoli escursioni termiche.

• Area e centro di condizionamento

(Cooperative: Val di Non, Valdadige, Valsugana, Valle del Sarca ecc.)

• Varietà e clone (tutte le cultivar di mele

coltivate oltre a nuove cultivar in fase di studio)

• Portinnesto ed età media degli impianti frutticoli di riferimento

• Produttore “storico” allo scopo

di valutare la cinetica di maturazione dei siti

Varietà che devono essere raccolte in più stacchi. Nel caso di raccolta a più passaggi, le mele vanno raccolte dalla parte bassa delle piante verso la parte alta (onde evitare cadute e danneggiamenti dall’alto verso la produzione sottostante). Le varietà che oltre 291


coltivazione ad avere una maturazione scalare, anche per esigenze di colorazione e di presentazione, richiedono raccolte a più passaggi sono: – 2 stacchi: Gala, Golden Delicious, Stayman Winesap, Morgenduft, Granny Smith; – 2-3 stacchi: Fuji, Red Delicious, Gloster, Florina; – più di 3 stacchi: Jonagold, Elstar, Summerred, Braeburn. Ogni qual volta si ritenga di poter lasciare in pianta una quota della produzione affinché questa possa maturare, acquisire una colorazione migliore o incrementare la pezzatura, il ricorso a una raccolta a più stacchi può rappresentare una valida scelta organizzativa, sia per l’azienda frutticola sia per il centro di conservazione, tenuto conto ovviamente dei diversi requisiti di serbevolezza. Occorre inoltre tener presente: – di separare le mele raccolte da piante scariche da quelle ottenute su piante a produzione normale o abbondante; – se la frutta raccolta ha subito interventi chimici con prodotti atti a contenere la cascola (anticascola), accertarsi prima della consegna del suo reale grado di maturazione allo scopo di ottimizzarne la destinazione futura; – non raccogliere (se possibile) mele bagnate (da pioggia o rugiada forte), in quanto soggette ad ammaccature e sensibili al tatto; – prestare molta attenzione, durante la raccolta, alle ammaccature soprattutto per le cultivar più sensibili (per es. Golden, Jonagold) e in genere alle mele a durezza più elevata (per es. Modì) e a quelle prodotte in zone collinari e di montagna; – se la frutta raccolta in bins o in casse deve rimanere in campo oltre la giornata evitare di coprirla (per es. con teli in plastica), onde prevenire facili ustioni e scottature; – provvedere a eseguire i trattamenti di pre-raccolta, nel rispetto dei tempi prescritti, secondo le modalità e le indicazioni tecniche consigliate.

Etichettatura per l’identificazione e la tracciabilità di filiera

• Dal I° gennaio 2005 (in recepimento del

Reg CEE 178/2002) tutti gi operatori che intervengono nella filiera alimentare, a partire dai produttori agricoli in avanti, devono documentare la provenienza delle materie prime, dei materiali e delle sostanze utilizzate per la realizzazione (ottenimento) del prodotto. Tutto questo allo scopo di: – g arantire maggior trasparenza e tracciabilità del prodotto, dalla produzione al consumo – f ornire validi strumenti per poter legare un prodotto al suo territorio di origine – r endere il prodotto e i lotti di produzione rintracciabili per poterne ricostruire la “storia”

• L’etichetta applicata all’atto

dell’operazione di pesatura e dello scarico su ogni imballaggio (bins), permette di identificare il lotto (numero di pesata o di bolla di scarico)

Foto M. Galli

Nuovi metodi non invasivi per valutare la qualità Tra i metodi a tutt’oggi indagati dal mondo della ricerca e talvolta testati anche in fase applicativa si ricordano: – N.M.R. = Risonanza Magnetica Nucleare – X-Ray Imaging = immagine ai raggi X – misura della fluorescenza della clorofilla – analisi spettrale della risonanza acustica – analisi della trasmissione di impulsi acustici e meccanici – analisi della riflettanza nella zona luminosa del vicino infrarosso (VIS-NIR) – naso elettronico – spettrometria di massa e foto acustica (PTR-MS) per la valutazione quali – quantitativa dei volatili emessi (VOCs). Va anche precisato che, in genere, queste nuove metodiche non invasive sono studiate non solo per un impiego in laboratorio, ma

Bins con etichetta di rintracciabilità

292


post-raccolta soprattutto per una loro applicazione in linea su sistemi di selezione automatica (calibratrici e selezionatrici automatiche), allo scopo di ottenere una selezione della frutta che tenga conto non solo dei parametri estetici, ma anche di parametri intrinseci-organolettici. Molte delle metodiche sopra menzionate sono tuttora in fase di studio, per renderle affidabili e quindi compatibili e applicabili su scala industriale.

Foto M. Galli

VIS-NIR: Si tratta di un metodo ottico che sfrutta le varie lunghezze d’onda di una fonte di luce. Quando una mela viene colpita da una sorgente di luce monocromatica di elevata intensità, l’energia prodotta penetra all’interno del frutto e interagisce con le molecole chimiche che lo compongono. Questo avviene in particolare per la luce nella zona della banda luminosa non visibile del vicino infrarosso (da cui VIS-NIR) con lunghezze d’onda superiori a 700 nm. Poiché i componenti chimici di una mela condizionano l’assorbimento e la riflessione dell’energia luminosa che li colpisce, tramite l’analisi della luce riflessa è possibile avere precise informazioni su natura e concentrazione dei vari componenti stessi. Allo stato attuale buoni risultati e correlazioni si sono ottenuti sia in laboratorio sia in linee di selezione, relativamente ai requisiti di durezza, e ai contenuti di zucchero e acidi totali. È peraltro indispensabile premettere che l’applicazione del NIR richiede che lo strumento (sensore) venga prima “informato” con delle curve di calibrazione onde permettere di correlare le lunghezze d’onda riflesse dai frutti, con dati certi rilevati in maniera distruttiva.

Cella in fase di riempimento

PTR-MS: Si tratta di una metodica non distruttiva per individuare in tempo reale i composti organici volatili (VOC’s), emessi dal frutto in condizioni diverse. Il profilo che ne emerge è dato da un insieme di masse atomiche a cui vanno correlati i singo-

VIS-NIR

• La misura del R.S.R.% sia su singolo frutto sia sul lotto/campione è di affidabilità elevata

• La misura della durezza ha dato talvolta origine a valori diversi su singoli frutti, ma pressoché identici quando riferiti alla media/campione

• Il “modello” di precalibrazione deve

essere acquisito con estrema precisione

Apparecchiatura QS per misurazione della qualità con VIS-NIR

293


coltivazione li composti aromatici: alcoli-esteri-aldeidi-chetoni. Interessanti risultati sono stati ottenuti, oltre che sull’analisi delle mele, anche per quanto riguarda la dinamica e l’accumulo di composti volatili direttamente all’interno delle celle di conservazione, sulle atmosfere controllate o modificate. Studi e approfondimenti in corso, non tarderanno a offrire validi spunti di studio e applicativi per il settore post-raccolta di frutta e ortaggi e della mela in particolare. E… dalla raccolta in avanti… Una volta definito il momento ed eseguite le operazioni di raccolta, la mela che non viene prontamente consumata deve essere destinata alla conservazione, sia essa di breve (fino a 1 mese), media (fino a 3-5 mesi) o lunga durata (fino a 10-12 mesi). Per ottenere questi obiettivi ci si avvale ovviamente di impianti, tecnologie, sistemi adatti allo scopo, che in ogni forma impiegano il freddo come metodo primario eventualmente abbinato ad altre tecnologie per rallentare la respirazione delle mele in post-raccolta.

Misurazione con lo strumento portatile QS NIR (Quality Station)

Raffreddamento Rappresenta il primo passaggio elementare per ottenere un rallentamento della maturazione e quindi una conservazione della mela. La conservazione si attua mettendo le mele raccolte in adeguati contenitori (casse o bins in legno o plastica), in apposite celle frigorifere. Isolazione termica delle celle frigorifere. Va realizzata tenendo conto dei dati di progetto, con materiali coibentati di spessore adeguato. Di solito è l’impiego di pannelli tipo sandwich costituiti

Conservabilità della mela A tutt’oggi, la mela è il frutto che si riesce a conservare più a lungo (fino a 12 mesi) e spingersi oltre non avrebbe molto senso, in quanto si sovrapporrebbero le produzioni di due annate; va precisato che la conservabilità di una mela, come in parte già visto, dipende da molti fattori e che sicuramente tra questi, a parità di condizioni produttive (area-clima-terreno-gestione colturale), sono prevalenti la varietà e le dotazioni tecnologico impiantistiche utilizzabili (sistema celle, impianto frigorifero, atmosfere controllate, gestione automatica intelligente ecc.)

Foto M. Galli

Bins in magazzino pronti per la lavorazione delle mele

294


post-raccolta da due superfici in lamiera entro cui è fatto espandere del poliuretano ad alta densità (38-40 kg/m3). Le pareti dei pannelli possono essere trattate (zincate o verniciate) a seconda del tipo di atmosfera che si intende realizzare al loro interno. Se nella cella si realizzerà AC si rende indispensabile impermeabilizzare le pareti e i soffitti con apposite resine ad acqua applicate a più mani.

Soglie termiche della mela*

• Punto di congelamento = –1,1/–1,7/–2,8 °C

• Punto critico per danno da freddo

Dimensioni. La geometria ideale di una cella è a sezione rettangolare con il lato maggiore nel senso della profondità pari a circa 1,3-1,5 volte la larghezza. Le dimensioni vanno calcolate sulla base di alcuni fattori : – il quantitativo di mele che si intende conservare calcolando che il coefficiente di riempimento per le mele è stimato pari a 250-260 kg/m3; – la capienza delle celle AC, nel caso di una struttura più complessa (magazzino), va calcolata sulla base della capacità lavorativa giornaliera, tenendo presente che, dopo l’apertura, le mele vanno selezionate e poste in commercio entro e non oltre 8-10 giorni, allo scopo di mantenere intatti i requisiti di freschezza e di qualità shelf life; – le spaziature devono essere di almeno 25-30 cm sui lati, 40-50 cm sul fondo cella e 50-70 cm tra l’ultimo imballaggio e il soffitto. Per quanto riguarda quest’ultimo, comunque lo spazio libero deve permettere una buona circolazione dell’aria erogata dagli aerotermi senza che si frappongano ostacoli. A titolo di esempio per una cella in grado di contenere 3500-3600 quintali di mele in bins da 310-320 kg le dimensioni saranno L 12,0 × P 15,5 × H 8,2 = 1525 m3.

= 0/+ 4 °C

• Punto soglia fisiologica di maturazione = > 10 °C

• Punto limite per una maturazione accelerata = 25-28 °C

• Calore di respirazione = a 0 °C 127-440 W/t/24 ore, a 20 °C 1000-2900 W/t/24 ore

* i valori qui espressi vanno interpretati in riferimento a varietà diverse, diverso grado di R.S.R., stato nutrizionale e grado di maturazione

Canali di cernita delle mele

295


coltivazione

Particolare della sala macchine

Sala di lavorazione mele

Impianto frigorifero. L’impianto deve essere in grado di permettere: – il raffreddamento delle mele, nella quantità prevista (25% del volume cella), dalla temperatura di campo-raccolta a quella di conservazione; – il mantenimento durante tutto il periodo di conservazione della U.R.% (umidità relativa) richiesta; – erogare il freddo non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi per mantenere la frutta nel miglior stato vitale, riducendo al minimo il suo calo peso totale. Di seguito verranno esposte le caratteristiche più importanti dei principali componenti dell’impianto. Foto M. Galli

Compressore a vite

Compressore di tipo aperto Lavaggio e cernita delle mele

296


post-raccolta Compressori. Devono permettere una parzializzazione e un frazionamento della potenza termica totale erogata minimo a 3-4 gradini. La potenza termica di un compressore va espressa alle condizioni di lavoro standard: evaporazione –10 °C, condensazione a +25 °C (se ad acqua) o a +35 °C (se ad aria). Quando i compressori sono assemblati in una unità (chiller), questa deve essere corredata da idonea centralina di comando e regolazione. I compressori a vite di tipo industriale rappresentano la scelta ideale se il numero di giri non è troppo elevato e se la resa termica richiesta è superiore alle 300.000 Kcal/h. Evaporatori. Vanno distinti gli evaporatori di cella e gli evaporatori di tipo primario (chiamati anche scambiatori) quando questi ultimi sono inseriti in un circuito frigorifero a espansione indiretta (fluido-glicole). Gli evaporatori di cella costituiscono la parte più importante dell’impianto in quanto collocati direttamente nell’ambiente di conservazione delle mele (celle). Essi sfruttano l’aria quale mezzo di scambio termico (aerotermi) e vanno collocati a soffitto con un fronte (dimensioni frontali) che dovrebbe occupare almeno 2/3 della larghezza della cella. Sono costituiti da tubi e lamelle di scambio, in numero di blocchi variabili (ranghi), ventilatori in numero variabile alimentati da motori elettrici, una carenatura in lamiera, un sistema di sbrinamento (solitamente ad acqua), una bacinella di raccolta acqua convogliata in apposite tubazioni sifonate; talvolta se l’altezza frontale è troppo ampia, allo scopo di far confluire il flusso dell’aria nello spazio libero (tra la catasta di mele e il soffitto), vengono corredati di appositi convogliatori in lamiera (cuffie di lancio).

Evaporatore-scambiatore a piastre

Aerotermi di cella con cuffie di lancio

Aerotermi: particolare Evaporatori-aerotermi di cella

297


coltivazione Per quanto riguarda gli evaporatori (scambiatore) primari, le tipologie più diffuse sono a fascio tubiero o a piastre in acciaio (ispezionabili, saldate, saldobrasate), con preferenza per questo ultimo nel caso di impianti di tipo indiretto che utilizzano NH3 come fluido refrigerante in quanto garantiscono maggior sicurezza in caso di fughe. Deve essere dimensionato per lo scambio della potenza generata dai compressori a determinate condizioni (per es. evaporazione gas –10/–12 °C, temperatura entrata glicole –4 °C, temperatura uscita glicole –8 °C). L’evaporatore va alimentato da apposite pompe di portata e prevalenza adeguata.

Scelta dell’aerorefrigerante

• La formula di base che regola la scelta ottimale di un aerorefrigerante è espressa dalle seguenti variabili: Q = S × DT° × K dove: Q = quantita di calore da scambiare in Kcal/h S = superficie di scambio dell’evaporatore

Condensatore. Rappresenta il terzo importante componente fondamentale di ogni impianto frigorifero, con la funzione di far condensare il fluido frigorigeno (per es. NH3), nella fase di bassa pressione che avviene con cessione di calore. A seconda del mezzo utilizzato per lo smaltimento del calore di condensazione si distinguono: – condensatori ad acqua (a fascio tubiero o a piastre); – condensatori ad aria, (con aerotermi posti in ambiente ventilato esterno); – condensatori evaporativi (che utilizzano entrambi i mezzi ariaacqua). In impianti frigoriferi di tipo industriale oggi prevale l’impiego di condensatori evaporativi, in impianti di piccole-medie dimensioni, invece, di condensatori ad aria. La resa termica del condensatore deve essere data dalla quantità di calore sottratto dall’evaporatore sommata all’energia termica spesa dal compressore, per cui la potenza termica totale sarà superiore a quella di compressione di almeno il 40-50% (soprattutto nei condensatori ad aria ove le condizioni di resa dipendono dalla temperatura dell’aria esterna). Nel caso dei condensatori a fascio tubiero e a piastre in controcorrente con acqua, l’acqua utilizzata può essere raffreddata con l’impiego di torri evaporative; in tutti i casi in cui il mezzo di scambio sia l’acqua, è opportuno che questa venga utilizzata a ciclo chiuso, con accumulo in vasca, sia per motivi di risparmio sia di recupero di altre fonti idriche (per es. acque fredde di sbrinamento), e che si provveda a un controllo e un eventuale trattamento chimico periodico della salinità e dei composti calcarei. La pulizia periodica dei condensatori oltre a mantenere le macchine della massima efficienza, scongiura rischi (peraltro remoti) di insediamento e diffusione aerea di batteri (per es. Legionella sp.).

DT = delta T°, differenza di temperatura tra evaporatore e aria cella (mele) K = coefficiente globale di trasmissione dell’evaporatore

• Per raffreddare a basso DT° è

indispensabile avere una maggiore superficie di scambio termico, e che minore è il DT° minore è la condensazione di umidità all’evaporatore e quindi la perdita di peso della frutta conservata

• Quando gli evaporatori appaiono di

piccole dimensioni, per garantire la resa termica richiesta, devono raffreddare con un ampio DT° e quindi con bassa T° di evaporazione, producendo un elevato fenomeno di calo peso della frutta

Problema dell’umidità in cella. Già sopra si è accennato al fatto che la mela respira e contemporaneamente traspira (perde) acqua, così come del fatto che qualsiasi impianto frigorifero, in fase 298


post-raccolta

Troppo elevata

Troppo bassa

< 3

< 3

Effetti dell’umidità in cella in rapporto con le diverse esigenze varietali (optimum da 80 a 95% di UR) Buon funzionamento dell’impianto e della cella

Favorisce lo sviluppo di marciumi

Eccessivo calo peso/mese CP/m

Danno da iperidrosi (spaccature)

Danno da avvizzimento (oltre 4% CP)

Perdita di brillantezza della buccia

Riduzione della consistenza e succosità

Maggiore sensibilità alle ammaccature

Perdita di valore e di resa economica

Il buon funzionamento di un impianto e di una cella dipendono dalla possibilità di poter regolare, controllare e gestire tutti i componenti dell’impianto stesso. Una cella deve essere dotata pertanto di:

• sonda termostatica di regolazione

della temperatura, sensibile a 0,1 °C (a parete, collocata a metà altezza sul lato entrata cella)

• uno o più termometri di controllo della temperatura (uno con sonda a parete e uno con sonda da posizionare tra le mele)

di scambio termico (all’evaporatore di cella), provoca fenomeni di condensa dell’umidità dell’aria sotto forma di brina. Il calo peso totale che si realizza durante la conservazione della mela dipende da una serie di fattori tra i quali: – varietà, dimensione dei frutti, rugginosità della buccia, grado di maturazione, tipo di imballaggio (legno-plastica), durata del periodo di conservazione; – dotazioni tecnologiche della cella: tipo di impianto frigorifero, superficie evaporante in rapporto con la quantità di mele conservate, il coefficiente di riempimento della cella, la ventilazione e la movimentazione dell’aria, la presenza di impianto di umidificazione.

• un termostato di sicurezza (per

evitare abbassamenti eccessivi della temperatura)

• due sonde termostatiche (una sul

lato entrata e una sul lato ritorno delle linee glicole) atte a regolare e pilotare la modulazione della valvola a 3 vie nell’impianto a raffreddamento indiretto

• una sonda di controllo della

temperatura nel serbatoio di accumulo glicole

Foto FEM-IASMA

• una sonda umidità sensibile allo 0,5% di UR o in alternativa uno psicrometro (bulbo umido e bulbo asciutto)

• un dispositivo di sbrinamento a

impostazione manuale e/o automatica

• un quadro elettrico che permetta

il controllo visivo e la regolazione manuale dei parametri

Sala di confezionamento

299


coltivazione Modalità di caricamento della cella: La cella va riempita tenendo conto dei dati di progetto e dei calcoli di carico termico (per es. massimo il 25% del volume totale), tenendo presente che l’impianto frigorifero è stato dimensionato per dare il massimo di potenza proprio in questo momento e che il sovraccarico termico andrebbe quindi a penalizzare l’intero impianto a discapito del mancato raffreddamento delle mele. Il riempimento va fatto con la stessa tipologia di imballaggio e in maniera regolare allo scopo di non interrompere il flusso dell’aria tra le cataste e tra i bins o i pallets. La catasta va mantenuta unita in un unico blocco senza spaziature longitudinali o trasversali, gli unici spazi liberi dovranno essere quelli citati, lasciati sul perimetro della cella e al soffitto. Anche davanti alla porta normalmente si lascia uno spazio libero, ove di solito vengono posizionati dei campioni di controllo in casse o in bins, allo scopo di poter ispezionare le mele attraverso il finestrino anche quando sono chiuse in cella in regime di atmosfera controllata (AC). Il principio applicativo dell’AC, si basa sulla modificazione % e il successivo controllo della composizione dell’aria nelle celle di conservazione. La modificazione dell’atmosfera deve avvenire in ambiente ermetico e a tenuta di gas, mantenendo le stesse atmosfere confinate e impedendo, di fatto, che la naturale mescolanza con l’aria ambiente non ne alteri la composizione stessa. L’impiego dell’AC opera di fatto un abbassamento della % di O2 e un aumento della % di CO2, rispetto a quanto presente nell’aria. Va richiamato che lo stesso fenomeno e principio della respirazione delle mele, produce CO2 (in aumento) e consuma O2 (in riduzione), e che, pertanto, durante la conservazione, i gas contenuti nella cella subiscono continue variazioni (elevate in fase iniziale e modeste in fase di conservazione), tali da richiederne un attento controllo (metodo biologico).

Come ottimizzare il tenore di umidità relativa

• Umidificare la frutta nella fase di carico

iniziale, stivandola in maniera razionale

• Preferire impianti a refrigerazione di tipo indiretto (fluido-glicole)

• Preferire evaporatori di cella dotati di

sistemi a ventilazione modulare (motori a doppia polarità o dotati di inverter) e a controllo e gestione automatici

• Regolare la movimentazione dell’aria

onde permettere un flusso misurabile, anche tra gli imballaggi, pari a 0,3-0,5 ml/sec.

• Dotare le celle di idonei impianti di

umidificazione (aria+ acqua nebulizzata ad alta pressione) che abbiano una portata di almeno 30-40 l/ora

• Predisporre la gestione automatica

dell’impianto di umidificazione per mezzo di sonda igrometrica sensibile, per rendere ottimali i livelli di umidità in ogni cella

• Mantenere sul pavimento delle celle un

velo d’acqua soprattutto durante la fase di raffreddamento iniziale

• Controllare periodicamente, con l’uso

di strumentazione idonea di precisione (psicrometro o igrometro elettronico), la reale umidità dell’aria in cella in stato di ventilazione continua

Disposizione dei bins all’interno di una cella frigorifera (prospetto laterale) 50-70 cm Evaporatore

40-50 cm

300

40-50 cm


post-raccolta Disposizione dei bins all’interno di una cella frigorifera (sezione dall’alto) Sigle e tecniche adottate

25-30 cm

• AN = Atmosfera Normale refrigerata • AC = Atmosfera Controllata (normalmente con ossigeno < 4%)

• AM = Atmosfera Modificata (con

aggiunta di gas ad alta concentrazione per es. 15-20% CO2)

Evaporatore

• PD (Pull Down) = Fase di abbassamento veloce dell’ossigeno in cella

40-50 cm

• LO (Low Oxygen) = AC a basso tenore di

40-50 cm

ossigeno (1,1-1,8%)

25-30 cm

• ULO (Ultra Low Oxygen) = AC a bassissimo tenore di ossigeno (0,9-1,1%)

Conservazione con l’impiego di atmosfere controllate Quando la conservazione delle mele avviene in cella con il solo impiego del freddo, si parla comunemente di conservazione in AN (atmosfera normale); quando invece oltre all’impiego del freddo si opera anche una modificazione della composizione dell’aria, allora si definisce come conservazione in AC (atmosfera controllata) o AM (atmosfera modificata). Tali metodologie furono studiate e applicate per la prima volta nei paesi anglosassoni per la conservazione di varietà di mele sensibili alle basse temperature (Cox's Orange e McIntosh), che di fatto rendeva impossibile la loro conservazione prolungata. Dagli anni ’50 a oggi l’evoluzione in questo campo ha subito notevoli mutamenti e ha fatto molti passi, sia per quanto riguarda la ricerca e gli studi sia per quanto riguarda la diffusione applicativa e la evoluzione tecnologica. Se la conservazione della mela ha raggiunto traguardi temporali massimi (fino a 12 mesi dalla raccolta), con il mantenimento di livelli qualitativi di eccellenza, è proprio grazie all’applicazione di tali conoscenze e tecnologie basate su studi ancora oggi in corso presso Istituti di ricerca e Università in molte parti del mondo.

• LECA (Low Ethylen CA) = AC con

mantenimento di bassi tenori di etilene

• LOS (Low Oxygen Stress) = stress a basso tenore di ossigeno

• ILOS (Initial LOS) = stress a basso tenore di ossigeno a inizio conservazione

• DCA (Dynamic CA) = atmosfera controllata di tipo dinamico

• IWCA (Intermittent Warming CA) =

atmosfera controllata a temperatura intermittente

• High CO

Pre-treatment = pre trattamenti 2 con anidride carbonica ad alti tenori

• RCA (Rapid Controlled Athmosphere) = messa a regime rapida con valori di O2 < 4%

Effetti dell’AC sulla mela. È stato chiarito come un abbassamento progressivo della concentrazione di O2% e un incremento della CO2%, producano nella mela un decremento proporzionale del suo tasso respiratorio. Ma esistono dei limiti fisiologici delle mele alle concentrazioni gassose? Sì, certamente, soprattutto tenendo presente che, innanzitutto, durante la conservazione la mela deve mantenersi “viva” e, pertanto, l’obiettivo di ogni tecnica adottata deve porsi come risultato quello di prolungare la vita 301


coltivazione Foto M. Galli

Vantaggi dell’atmosfera controllata (AC)

• Prolungamento del tempo

di conservazione, rispetto alla conservazione in AN (mediamente di 3-6 mesi

• Possibilità di conservare a temperature più alte con meno rischi di danno da freddo

• Riduzione dell’intensità respiratoria e della produzione di etilene esogeno

• Rallentamento della degradazione della

Macchina pallettizzatrice

clorofilla nella buccia (sverdimento rallentato)

• Prolungamento della shelf life post

del frutto in piena vitalità dello stesso, mantenendolo in attività fisiologica di tipo respiratorio. Ecco che come esistono i limiti fisiologici legati all’abbassamento della temperatura nella mela (che deve essere > al punto di congelamento), allo stesso modo esistono limiti all’attività respiratoria legati sia alla % di O2 (che deve essere > 0,8%) e alla CO2 (che non può essere superiore a determinate % in rapporto con la varietà). Va inoltre ricordato come la respirazione e l’intensità respiratoria dipendono non solo dalla concentrazione dell’ossigeno ma anche dal rapporto con la CO2.

conservazione

• Riduzione del calo peso legato alla minor respirazione

• Riduzione dell’incidenza di talune fisiopatie

• Riduzione dell’incidenza di patologie

(marciumi tipici che si manifestano in post-raccolta)

• Mantenimento di standard di qualità

Foto M. Galli

delle mele più elevati

Generatore di azoto del tipo PSA

302


post-raccolta Va da sé pertanto che per ogni singola varietà di mele, tutto questo si traduce in formule ottimali di conservazione. Svantaggi dell’atmosfera controllata (AC)

Impianti AC. Come già detto, la respirazione della frutta in un ambiente ermetico (cella) provoca di fatto la riduzione dell’O2 e l’incremento della CO2, producendo a un certo momento un equilibrio dei gas simile a quello di una AC (è questo infatti un metodo superato di realizzazione dell’AC per via naturale). Se invece come è opportuno fare, i valori desiderati si vogliono ottenere in tempi brevi, ecco che allora bisogna dotarsi di appositi impianti, adeguatamente dimensionati e progettati in funzione delle proprie esigenze: tipo di formule gassose desiderate, varietali, di gestione, temporali ecc. Le parti fondamentali di un impianto per realizzare l’AC sono: – macchine per abbattere i livelli di O2 in cella; – macchine per assorbire la CO2 in cella; – macchine per mantenere bassi i livelli di C2H4 (etilene) in cella; – stazione di controllo delle concentrazioni gassose in cella (O2, CO2, N2); – reti di collegamento tra le celle e le macchine di tipo stagno; – appositi quadri elettrici per la gestione manuale di tutte le macchine; – eventuali sistemi hardware e/o software collegati a tutte le parti impiantistiche per la gestione di tipo intelligente.

• Necessità di investimenti tecnologici adeguati

• Impossibilità di apertura frequente della cella

• Impossibilità di individuare formule

ottimali in caso di mescolanza di varietà diverse

• Possibile comparsa di fisiopatie tipiche da conservazione (dovute ad anomala o inadeguata composizione gassosa in cella)

• Necessità di controlli giornalieri

relativi alla composizione gassosa e al funzionamento degli impianti

Abbattimento dell’ossigeno. L’abbassamento repentino dell’ossigeno in cella si attua immettendo aria arricchita di azoto (N2), un gas inerte che si sostituisce all’ossigeno, in maniera graduale provocando una continua rarefazione dell’ossigeno.

Volume gassoso da generare in funzione della purezza in azoto e del tenore finale desiderato in ossigeno 21

Tenore 02 (%)

18 15 12 9 6 3 0

0

1 95%

97%

2 3 Volume d’aria da generare (m3/h) 98

99%

4

5 Generatore di azoto del tipo a membrana con fibre cave

100%

303


coltivazione Assorbimento dell’anidride carbonica. Il processo respiratorio produce, come già detto, un aumento della produzione di CO2, che, pertanto, nell’ambiente di conservazione della cella raggiungerà concentrazioni molto più elevate di quelle presenti nell’aria atmosferica. Concentrazioni elevate di CO2 in cella contribuiscono di certo a far rallentare la respirazione delle mele, ma è bene ricordare che ogni varietà possiede un suo limite di resistenza alle concentrazioni della CO2, e che il valore di questo gas va mantenuto in AC in condizioni precise di equilibrio con quello dell’O2. Quindi per il controllo a % adeguate della CO2 è indispensabile procedere all’assorbimento della quota in eccesso. Ciò è possibile utilizzando i decarbonicatori cioè macchine in grado di assorbire la CO2 dall’aria delle celle. La classificazione dei decarbonicatori può essere fatta sia in base al funzionamento sia in relazione al tipo di materiale assorbente utilizzato. Semplicemente si distinguono assorbitori ad attività rigenerabile e assorbitori ad attività non rigenerabile. Oggi le macchine impiegate in maniera esclusiva sono appunto gli assorbitori di CO2 a carboni attivi rigenerabili. Il loro funzionamento si basa sul principio fisico che il carbone attivato, in granuli o pallets (proveniente da matrici vegetali), possiede una elevata porosità ed è in grado di trattenere le molecole di CO2 dell’aria che viene messa in contatto con gli stessi (teoria di Van der Wals). Quando vengono successivsmente “lavati” in controcorrente con aria ambiente o azoto, i carboni liberano la CO2 inglobata, si rigenerano e sono pronti per un nuovo ciclo di assorbimento.

Assorbitori di CO2 a carboni attivi di tipo singolo

Tolleranze alla CO2 di diverse varietà di mele durante la conservazione Varietà

% CO2

Livello di attenzione

Granny Smith, Fuji, Pink Lady

0,8-1,3

Molto alto

Gloster, Winesap

1,3-1,9

Alto

Red Delicious (Standard e Spur)

1,5-2,0

Medio

Gala

1,8-2,5

Medio-basso

Renetta Canada, Morgenduft

2,0-2,5

Basso

Golden, Janagold, Florina

2,0-3,0

Molto basso Assorbitori di CO2 a carboni attivi: particolare

304


post-raccolta Messa a regime gassosa. Con la definizione di messa a regime gassosa (pull down), si intende l’abbassamento dell’ossigeno all’interno della cella ove le mele sono depositate e da conservare. Tale operazione implica la necessità di poter disporre di idonea apparecchiatura e impianto, adatti per introdurre nella cella una miscela gassosa povera di ossigeno in un determinato periodo di tempo. Riprendendo il concetto del rapporto respirazione/conservabilità della mela, appare chiaro come sia importante riuscire a ottenere bassi livelli di ossigeno nell’aria a contatto con la mela, in breve tempo. I tempi ottimali (per le cultivar più esigenti), devono rientrare tra 20-48 ore dall’inizio delle operazioni, con una soglia massima del 4% di O2. Questa tecnica, particolarmente necessaria in accostamento con una successiva conservazione a bassi tenori di ossigeno (LO o ULO), è conosciuta come tecnica del RCA = Rapid Controlled Athmosphere. Ecco che allora il dimensionamento delle macchine (generatori di azoto), in termini di portata oraria nm3/ora e la purezza dell’aria introdotta (95-99% di N2), diventano fattori di calcolo per ottenere la messa a regime in tempi adeguati. Non va dimenticato che i tempi ottimali di condizionamento delle mele sempre riferiti alle varietà più esigenti (per es. Golden Delicious, Red Delicious, Granny Smith), vale a dire il tempo necessario per un raffreddamento ottimale sommato a quello per la messa a regime al 4% di O2, non dovrebbe essere superiori a 6-7 gg dall’inizio del carico della cella. Infatti, se ipotizziamo il dimensionamento dell’impianto frigorifero per un carico del 20-30% del volume cella/giorno, in 4-5 giorni le mele saranno a una temperatura di 1-3 °C nella polpa, e quindi

Controllo delle celle

• Giornaliero: - tutte le celle hanno sistemi automatici e computerizzati per la verifica dei principali valori di funzionamento (°t, U.R.%, CO2, O2)

• Annuale: - tenuta ai gas - funzionamento e tenuta della

strumentazione di cella (termometri, termostati, sonde idrometriche)

• pulizia e manutenzione di tutte le parti dell’impianto

Foto M. Galli

Controllo automatico e centralizzato del sistema

Sistema di gestione centralizzata: schermata d’insieme

Plateaux pronti per la spedizione

305


coltivazione Foto R. Angelini

Analizzatore di tipo centralizzato: particolare Cooperativa COCEA di Taio (Val di Non), sede di Mondo-Melinda: veduta dall'alto in preparazione della raccolta

adatte per essere sottoposte a regimazione gassosa entro 1-2 giorni successivi, raggiungendo le condizioni di freddo + AC entro appunto 5-7 giorni. Controllo. Con il termine controllo si deve intendere sia il controllo ordinario durante il funzionamento, sia quello di tipo straordinario che può richiedere interventi di manutenzione, normalmente da effettuarsi a impianti fermi e celle vuote. Tra i requisiti fondamentali delle celle, che vanno verificati, controllati e corretti a inizio di ogni stagione di raccolta delle mele, si raccomandano: – verifica della tenuta ai gas, (prova di pressione) con eventuali interventi di rifacimento o riparazione della barriera ai gas. Queste prove vanno fatte ogni anno in modo preliminare per conoscere i requisiti delle celle da destinare a formule speciali, bassi tenori gassosi, lunga-media-breve conservazione; – verifica di funzionamento e taratura della strumentazione di cella (termometri-termostati-sonde idrometriche), secondo procedure precise e utilizzando strumenti di confronto certificati (si ricorda che dove non è possibile correggere l’errore di lettura di uno strumento o di una sonda, è bene comunque conoscerne i limiti); – pulizia e manutenzione di tutte le parti dell’impianto: frigoriferoAC. Ci si riferisce a tutti gli interventi di manutenzione ordinaria a cui vanno sottoposti compressori (es, cambio olio), condensatori (pulizia da incrostazioni), scambiatori, pompe, vasche, ser-

Bollinatrice-confezionatrice automatica

Quando è da sostituire un impianto?

• Ai fini della sicurezza, dell’efficienza

di funzionamento e della verifica dell’obsolescenza degli impianti frigoriferi, la vita operativa media in anni dei principali componenti di un sistema è minimo di 10 anni per alcune pompe di ricircolo, massimo di 25 anni per i ventilatori centrifughi

306


post-raccolta batoi ispezionabili, assorbitori di CO2 (per es.sostituzione carboni), generatori di N2 (per es. sostituzione filtri), impianto analisi gas (taratura) ecc. Tecnico di campagna-tecnico frigorista-magazziniereresponsabile vendite

Gestione delle celle. Lo sviluppo dei sistemi e degli impianti, verso l’automazione e la computerizzazione, si è evoluto di pari passo con la possibilità di poter realizzare formule e condizioni di conservazione che, prima degli anni ’80, sarebbero state impossibili. In tal senso è stata determinante l’introduzione di analizzatori di gas (portatili e/o di tipo centralizzato), a elevata sensibilità (0,1%), di facile utilizzo e taratura. Per cui da analisi dei gas con apparecchiature a funzionamento di tipo chimico-volumetrico, si è passati a sistemi di analisi con misurazioni di tipo fisico. Oggi si impiegano sistemi di analisi così composti: – analizzatore di ossigeno di tipo termo-paramagnetico con scala singola o multipla (0-21, 0-3% di O2), che sfruttando le caratteristiche paramagnetiche dell’O2, attraverso un ponte Wheatstone, trasforma il segnale paramagnetico a T° costante in segnale elettrico espresso in % V/V; – analizzatore di anidride carbonica di tipo a raggi infrarossi, che si basa sulla differenza di assorbimento da parte dei raggi IR, in funzione della concentrazione di CO2 di un campione d’aria.

Essi rappresentano la filiera umana, o meglio ancora la squadra, che gioca nei rispettivi ruoli per un unico traguardo vincente della mela. Dalle informazioni puntuali che ognuno saprà dare all’altro, certamente potranno nascere considerazioni da fare a 360º per ottimizzare la conservazione e le fasi post-raccolta della mela, ma soprattutto per riuscire a distribuire sui mercati la “mela giusta al momento giusto”, tenendo conto che non tutte le mele sono uguali e della stessa qualità e serbevolezza, così come non tutte le celle sono idonee per una conservazione a lungo termine

Formule di conservazione (2007/2008) delle principali varietà di mele Varietà

U.R.%

CO2%

O2%

Note

Golden Delicious

0,8-1,2

95

2,5-3,0

1,2-1,8

T° maggiori per mele più mature e grosse

Red Delicious

0,8-1,2

95

1,8-2,5

1,2-1,8

Idem c.s.

Renetta Canada

3,0-3,5

+/-85

2,0-2,5 (3,0)*

2,5-3,0

Minimo ventilazione 8h/24h * O2 = CO2 : fiorone

Morgenduft R. Beauty

0,6-1,0

90-95

2,0-2,8

1,2-1,8

Granny Smith

1,0-1,2

90-95

1,2-2,0

1,2-2,0

Gloster

1,0-1,2

90-93

1,3-2,0

1,2-2,0

Royal Gala

0,8-1,3

>90

1,5-2,0

1,5-2,0

O2 = CO2 Max 6-7 mesi

Elstar

1,0-1,5

>90

1,5-2,0

1,2-1,5

6 mesi

Winesap

0,9-1,2

>90

1,2-1,5

1,3-1,6

Fuji

1,0-1,5

>90

1,5-2,0 (1,3)*

2,0-2,5 (1,5)*

7 mesi – No LO se vitrescente, sì LO, se le mele sono buone

Braeburn

1,0-1,5

90-93

</ = 1,2

1,5-2,0

Regimazione ritardata di 20 gg Cons. max 6-7 mesi

Pink Lady

2,0-2,5

90-93

1,0-1,3

1,5-2,0

7 mesi

Nota: nel caso di celle miste tener conto in maniera vincolante della varietà che richiede la formula più “stretta”

307

O2 = CO2


coltivazione Trattamenti di post-raccolta Sono definite trattamenti post-raccolta tutte quelle pratiche di applicazione di sostanze chimiche atte a prevenire la comparsa di malattie di origine fisiologica (fisiopatie) o di origine parassitaria (patologie), come consentite dalle vigenti normative. Va premesso che in tal senso la normativa richiede siano rispettati due fondamentali limiti: – il limite di residuo consentito per un determinato principio attivo, nella fase di distribuzione al consumo (RMA = Residuo Massimo Ammesso espresso in ppm = parti per milione o mg/kg di frutto fresco); – il periodo di sicurezza o tempo di carenza (TC), che deve necessariamente intercorrere tra il trattamento con determinate sostanze chimiche o principi attivi contenuti in altrettanti formulati commerciali e il momento dell’immissione sul mercato.

Impiego permesso di fungicidi* Principio attivo

TC (gg)

RMA** (ppm)

Patogeni

Iprodione

10

5

Alternaria, Botrytis

Tiabendazolo

30

5

Gloeosporium sp.,

Thiofanate metile

15

0,5

* In molti casi i disciplinari di produzione integrata o i marchi di valorizzazione non permettono l’impiego di fungicidi in post-raccolta. ** RMA = Residuo Massimo Ammesso

Malattie di origine patologica: marciumi da conservazione Poiché gli attacchi di origine patologica avvengono sulle mele prevalentemente o esclusivamente in campo in periodo pre-raccolta, possiamo affermare che la loro manifestazione nel periodo successivo alla raccolta è legata solo al prolungamento del periodo di incubazione, sicuramente rallentato sia dalla bassa temperatura di cella (1-3 °C) sia dalla presenza di CO2 ad alta concentrazione (effetto fungistatico). Va da sé che la migliore strategia di difesa è pertanto quella che si può impostare in campo prima della raccolta, adottando un calendario di interventi fungicidi sulla pianta che permettano la raccolta e la conservazione delle mele nel miglior stato di protezione. La difesa pre-raccolta deve tenere debito conto dell’andamento meteorico (bagnatura e dilavamenti), del calendario di raccolta (varietà precoci, medie e tardive), dello stato fitosanitario presente (infezioni primarie presenti, sensibilità varietale e fattori di rischio, presenza di inoculo in pianta e nell’areale ecc.), della scelta del principio attivo da applicare in funzione di diversi fattori (periodo di sicurezza, alternanza dei principi attivi, residui ed effetto di accumulo ecc.). Nella realtà del Nord Italia il calendario si attua normalmente con 2-3 interventi preventivi a iniziare da circa 30 giorni pre-raccolta e successivamente ripetuti a 15 ed eventualmente fino a 7 giorni dalla raccolta, alternando l’impiego di prodotti di copertura con preparati sistemici o ad attività specifica o miscele degli stessi, nel rispetto dei tempi di carenza previsti. Non va inoltre dimenticato che infezioni fungine possono insorgere in varie fasi della filiera successivamente alla raccolta (in fase di selezione in acqua, in fase di mantenimento in cella

Foto R. Angelini

308


post-raccolta post-selezione, sul mercato ecc.), ma che nei loro confronti le migliori soluzioni sono rappresentate da una attenta valutazione dei punti critici (HACCP) e dall’adozione di forme di prevenzione igienico sanitarie. In molti casi i disciplinari di Produzione Integrata a carattere regionale o per ragioni di marchio non permettono l’impiego di fungicidi in post-raccolta sulle mele (per es. Trentino-Alto Adige, marchi Melinda, La Trentina, VI.P, Marlene). L’applicazione di fungicidi in post-raccolta, può essere attuata con l’impiego di appositi impianti di trattamento di tipo fisso, presenti in magazzino oggi rappresentati quasi esclusivamente da applicazioni a doccia d’acqua (Drencher), o da applicazioni estemporanee direttamente in cella di formulati per aerosol impiegando macchine termonebulizzatrici. Quasi abbandonati sono, oggigiorno, i sistemi a immersione dei cassoni in vasche d’acqua, impiegati fino agli anni ’80. Va premesso che per poter eseguire tali trattamenti in magazzino, è necessario disporre di idonea autorizzazione sanitaria rilasciata dagli organismi competenti (APPA, ARPA).

Foto M. Galli

Fisiopatie Rappresentano un gruppo di manifestazioni che possono verificarsi in post-raccolta, non per azione di patogeni, ma per alterazioni del comportamento e quindi per effetti indesiderati della fisiologia della mela. Tra queste, va principalmente indicato il riscaldo, nelle sue varie forme (comune, da senescenza, molle, chiazzato, lenticellare ecc.), nei confronti del quale per talune varietà sensibili è indispensabile ricorrere ad appositi trattamenti preventivi in postraccolta. I trattamenti sono necessari solo qualora le mele vengano conservate a lungo (oltre 3 mesi), e soprattutto nel caso in cui non si adottino altre forme di difesa e prevenzione (per es. le tecniche di conservazione a bassi tenori gassosi, permettono il controllo del riscaldo anche fino a 7-8 mesi dalla raccolta). La possibilità di impiego in cella di prodotti a base di 1-MCP = Metylciclopropene ha, di fatto, dal 2007 fortemente modificato e orientato le scelte strategiche delle singole realtà produttive, introducendo nel post-raccolta delle mele un nuovo fattore che permette strategie di prevenzione del riscaldo e di gestione della qualità e serbevolezza della mela fino a poco tempo fa impossibili. Come per i fungicidi, anche i prodotti antiriscaldo in varia formulazione (fisiofarmaci) possono venir applicati o con sistemi a Drencher o per termonebulizzazione. Il riscaldo rappresenta la principale fisiopatia per la mela, e alla sensibilità e intensità di comparsa è spesso condizionata la possibilità di conservazione nel medio-lungo periodo per talune varietà.

Entrata e uscita dei bins dai Drencher per i trattamenti post-raccolta

Fisiofarmaci ammessi per l’impiego in post-raccolta Principio attivo

TC/gg

RMA/ ppm

Patogeni

Difenilammina

30

5

Riscaldo

Etossichina

90

3

Le dosi d’impiego devono essere quelle indicate in etichetta per ciascuna varietà di mela e il controllo della concentrazione della miscela deve essere effettuato giornalmente, con appositi kit. Prima dell’immissione sul mercato è opportuno procedere all’analisi dei residui presenti sulle mele. Nel caso specifico dell’Etossichina, il tempo di carenza di 90 giorni è comprensivo di 7 giorni di esposizione all’aria delle mele trattate.

309


coltivazione Principali alterazioni e malattie da conservazione Vengono di seguito descritte le più comuni alterazioni non parassitarie che possono manifestarsi sulle mele sia prima sia dopo la raccolta. Sono inoltre trattate le principali micopatie che insorgono durante le fasi di conservazione in magazzino fino al consumo. Per ciascuna alterazione, sono descritti gli aspetti sintomatologici, le cause predisponenti, nonché i possibili rimedi.

Foto VOG

Ammaccature da raccolta e lavorazione Sinonimi Botte, malraccolto, danni meccanici. Cultivar sensibili Golden Delicious, altre.

Puntura da picciolo

Sintomatologia A seconda del momento in cui vengono prodotte possono risultare: – con avvallamenti più o meno estesi, buccia normale e polpa sottostante suberificata, asciutta, soffice se originati alla raccolta; – con buccia leggermente depressa di colore cupo e polpa sottostante imbrunita, ma umida, se le ammaccature sono avvenute in fase di lavorazione o di selezione delle mele.

Foto VOG

Fattori influenti – Durezza della polpa elevata. – Stato di maturazione avanzato. – Pezzatura elevata. – Raccolta di mele ancora bagnate (pioggia o rugiada) o che hanno subito effetti da basse temperature sulla pianta. – Lavorazione delle mele subito dopo l’apertura delle celle senza il necessario adattamento termo/igrometrico.

Lesione da pressione di carico nei bins Foto VOG

Rimedi – Precauzioni alla raccolta, specie per cultivar sensibili e in ambiente di montagna. – Adattare la mela alla successiva lavorazione a macchina dopo l’apertura della cella (aprire e condizionare la cella almeno 4-6 giorni prima in regime di AN e temperatura di 2 °C). – Monitorare i punti critici sulle linee di lavorazione e di confezionamento con uso di strumento rilevatore di impatti. – Talvolta le ammaccature sul fondo dei cassoni sono dovute a un carico sovrastante eccessivo (bins troppo pieni), a traumi da trasporto (sobbalzi dei mezzi di trasporto), alla presenza di scanalature o spigoli sul fondo dei cassoni di raccolta.

Ammaccature

310


post-raccolta Avvizzimento Sinonimi Appassimento, perdita d’acqua, calo peso eccessivo. Cultivar sensibili Golden Delicious, Renetta del Canada. Cause Eccessiva perdita d’acqua. Calo di peso > 5-6%. La naturale traspirazione, qualora eccessiva è dovuta a cause diverse tra le quali l’umidità relativa in cella. Sintomatologia Si manifesta con un aspetto rugoso dell’epidermide e una consistenza da molle a gommosa dei frutti. Il suono alla percussione è cupo.

Sintomi di avvizzimento

Fattori influenti – Ritardo di raffreddamento. – Temperatura troppo alta in cella. – Umidità relativa inadeguata. – Velocità dell’aria troppo elevata. – Delta troppo ampio. – Mele verdi, piccole, immature. – Presenza di rugginosità sulla buccia.

Rimedi contro l’avvizzimento

• Controllo dell’umidità in cella, che

dev’essere >90-92% (umidificatori)

• Raffreddamento adeguato e veloce • Delta temperatura stretto (3-4 °C) tra t° aria e t° frutti

• Mantenere le mele bagnate (Golden

Butteratura amara

Delicious: fin dalle prime fasi di immagazzinamento. I frutti avvizziti non sono commerciabili)

Sinonimi Bitter pit, petecchia, stippe, plara, spot. Cultivar sensibili Red Delicious, Renetta del Canada, Braeburn, Granny Smith (tutte le varietà qualora di pezzatura elevata con rapporto foglie/frutti elevato).

Foto I. Ponti

Sintomatologia I frutti colpiti presentano delle tipiche macchie brune di sapore amarognolo, costituite da nuclei di cellule morte a parete suberificata (butteratura amara). I sintomi sono visibili all’esterno sulla buccia o all’interno nella polpa. Solitamente i nuclei di cellule morte presenti nella polpa, sono di insorgenza più precoce, viceversa quelli visibili sulla buccia sono di insorgenza più prossima alla raccolta. I sintomi si rendono palesi e visibili in momenti diversi: in pianta e durante la conservazione. In entrambi i casi, le cause sono da ricondurre alla gestione agronomica.

Sintomi di butteratura amara

311


coltivazione Fattori influenti – Anticipano la comparsa: raccolta precoce e conservazione in AN. – Ritarda la comparsa: conservazione in AC. –C O2 elevata. – U.R.% elevata.

Cause e comparsa

• Nutrizionali

–  carenza di calcio –  K/Ca, N/Ca, (K+Mg)/Ca alti

Rimedi nessuno (ritardarne la comparsa fino a 120 In conservazione: giorni dalla raccolta in AC). In campagna: – trattamenti (da 6 a 8) con concimi fogliari o fisiofarmaci contenenti calcio (CaCl2); – scelte agronomiche corrette. A titolo indicativo analisi minerali preventive eseguite in periodo estivo pre-raccolta (luglio-agosto), sia sulle foglie che sui frutti, possono rappresentare un elemento di previsione del rischio della comparsa e dell’incidenza futura di butteratura amara.

• Climatiche: sbalzi idrici • Epoca precoce: in pianta fino alla raccolta

• Epoca tardiva: in cella (fino a 120 gg dalla raccolta)

Foto VOG

Valori di riferimento (normali = non rischio butteratura) Elementi

Frutti

N

< 3000/3500 ppm s.s.

< 2,4% s.s.

K

< 9000 ppm

> 1,5-1,6% s.s.

Ca

>270-320 ppm s.s.

1,4-1,8% s.s. 0,25-0,40% s.s.

Mg

> 450-460 ppm s.s.

N/Ca

<10

K/Ca

< 30

Ca/Mg

>1

K+Mg/Ca

<20

Foglie

Cuore roseo

Butteratura amara su Braeburn

Sinonimi Cuore rosa, cuore bruno, danni da CO2, core flush, brown core. Cultivar sensibili Granny Smith, Idared, Renetta del Canada.

Rimedi contro il cuore roseo

• Evitare raccolte troppo tardive,

Cause La senescenza dei frutti conservati in AC In regime di CO2/O2 alti Raccolte e refrigerazioni tardive.

soprattutto per cultivar sensibili, e una conservazione troppo prolungata

• Adottare formule gassose adeguate

Sintomatologia Non visibile all’esterno, si manifesta con una colorazione rosa chiaro nella zona centrale del frutto (endocarpo) delimitata alla superficie carpellare (logge ovariche). Secondo taluni autori il cuore roseo non è altro che una fase eziologica che precede il cuore bruno.

in AC

• Trattamenti post-raccolta con prodotti a base di calcio

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post-raccolta Fattori influenti – Tenori di CO2 maggiori o uguali a quelli di O2 favoriscono la comparsa di questa fisiopatia. – Raccolte a stadio di maturazione troppo avanzato e/o conservazione prolungata favoriscono la comparsa del cuore roseo. Danni da freddo Sinonimi Danni da freddo in cella, danni da congelamento, mele imballonate, ammaccature da congelamento (quando i frutti sono rimasti in pianta a basse temperature). Cause I frutti sono esposti a temperature inferiori al punto di congelamento (–1,5/–2,0 °C) per errata regolazione e malfunzionamento dei sensori. Vi sono diverse forme di danno originate dalle basse temperature, ma qui si intendono solo quelle da congelamento più o meno grave.

Imbrunimento e disfacimento della polpa (cavità da CO2)

Rimedi contro i danni da freddo

Sintomatologia Il livello di danno può essere diverso in funzione della temperatura e del tempo di esposizione delle mele. Inizialmente prendono un colore bruno i fasci vascolari, successivamente anche la polpa dal cuore verso l’esterno, fino a un totale disfacimento. Altre forme che si manifestano con temperature superiori al punto di congelamento sono il riscaldo molle, l’imbrunimento interno e le ustioni epidermiche.

• Sintomi di congelamento leggero di cui ci si accorge presto, possono essere scongiurati riadattando le mele a temperature > a 0 °C, gradualmente dopo aver regolato la temperatura a +2/+3 °C per qualche giorno

• Controllo taratura dei sensori • Adeguato differenziale termico

Fattori influenti – Le mele molto mature sono più sensibili alle basse temperature. – Condizioni di delta temperature troppo ampie con evaporazione a –6/–8 °C, soprattutto per i cassoni vicini alla fonte fredda. – Regolazione del termostato di cella con differenziale troppo ampio. – I mpianti a espansione diretta (freon, ammoniaca).

Danni da freddo

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coltivazione Danni vari Foto VOG

Sinonimi Ustioni, scottature, effetti fitotossici. Cultivar sensibili Tutte le cultivar sottoposte a una errata gestione in post-raccolta, o che già erano predisposte e sensibili a tali manifestazioni.

Macchie da trattamenti antiparassitari (prodotti polverulenti)

Cause In questa scheda vengono raggruppate tutte quelle forme di danno, legate in genere a una errata gestione delle mele, soprattutto per quanto concerne i trattamenti di post-raccolta. Si tratta normalmente di ustioni e/o reazioni fitotossiche dei frutti all’azione di agenti esterni, applicati sia in trattamenti a bagno (drencher) sia in aerosol. La suscettibilità di certe partite di mele a questo tipo di danno può comunque, in qualche caso, essere determinata, da una sensibilità di campo, vale a dire da una predisposizione legata a fattori agronomici di campo.

Foto VOG

Sintomatologia I sintomi più frequenti sono quelli che interessano le lenticelle, con forme di imbrunimenti epidermici concentrati sia nella parte epidermica sia, talvolta, in quella della polpa appena sottostante. Tali punteggiature-ustioni, localizzate attorno alle lenticelle, possono talvolta evolvere in forma di macchie epidermiche più o meno estese, di colore bruno. I tessuti interessati rimangono di consistenza dura e asciutti e questo rappresenta un carattere di distinzione dagli attacchi lenticellari di natura fungina.

Macchie da trattamenti antiparassitari (prodotti liquidi)

Fattori influenti Tra i fattori d’incidenza per queste manifestazioni, vanno ricordati: – l’applicazione di miscele troppo concentrate o troppo sporche; – la mancata asciugatura dei frutti post-trattamento; – l’accumulo di prodotti aerosolizzati in taluni punti più esposti e meno protetti nei cassoni; – la presenza sulle mele di precedenti forme di lenticellosi, o di attacchi parassitari (apple proliferation); – lenta asciugatura delle mele trattate con DPA in drencher, soprattutto in corrispondenza di nuclei spugnosi sottoepidermici dovuti a butteratura amara; – impiego di miscele con più prodotti (per es. antiossidante + fungicidi + fisiofarmaci +bagnanti) di difficile compatibilità; – talune ustioni di tipo lenticellare possono essere provocate da fughe accidentali di fluido refrigerante (ammoniaca).

Foto VOG

Lenticellosi

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post-raccolta Rimedi I rimedi vanno individuati unicamente in forme di prevenzione, adottando razionali comportamenti e adeguata manualità nell’esecuzione dei trattamenti post-raccolta.

Foto VOG

Drenching Impiego di DPA da solo o con l’aggiunta, al massimo, di un fungicida, alle concentrazioni e dosi consigliate in etichetta per ciascuna varietà di mele. Il contatto delle mele con la miscela non deve essere superiore a 45-50 secondi. Far asciugare le mele trattate per almeno 36-48 ore in ambiente ventilato e ombreggiato e sostituire la miscela quando risulta sporca o esausta. Escludere dal trattamento mele che presentano evidenti “slabbrature lenticellari”. Ustioni e decolorazioni della buccia

Termonebulizzazione Coprire adeguatamente i bins esposti prima del trattamento (nella catasta, sopra e davanti), affidandosi, per il trattamento, a personale specializzato. Poiché il dosaggio è deciso in funzione della varietà e delle quantità di mele da trattare, è opportuno effettuare precise verifiche delle quantità presenti in cella. Non bisognerebbe sottoporre a trattamento celle miste, senza una precisa e attenta valutazione preliminare. Occorre poi mantenere una continua ventilazione durante il trattamento e controllare e mantenere costante la temperatura del termonebulizzatore durante le fasi di trattamento.

Foto I. Ponti

Disfacimento della polpa Sinonimi Disfacimento interno, taglio nero, farinosità. Cultivar sensibili Golden Delicious, Renetta del Canada, Red Delicious. Cause Sovramaturazione e raffreddamento in fase di climaterio. Per la varietà Renetta del Canada sottoposta a prematurazione sono importanti il momento di inizio raffreddamento e la durezza della polpa. La sensibilità a questa fisiopatia aumenta in annate caldo-asciutte. Sintomatologia Visibile all’esterno con aree di colore bruno. Al tatto la polpa è cedevole e nelle fasi più evolute assume consistenza farinosa. Perdita totale del sapore.

Disfacimento della polpa

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coltivazione Fattori influenti – Sovramaturazione. – Clima caldo-asciutto nei due mesi precedenti la raccolta. – Sbalzi idrici (irrigazioni troppo abbondanti). – Frutti di grossa pezzatura ottenuti da piante troppo vigorose. – Concimazioni azotate abbondanti e tardive. Rimedi – Raffreddamento più lento in presenza delle cause predispo– nenti. – Prematurazione controllata per cultivar come Renetta del Canada. – Conservare nella stessa cella mele a maturazione uniforme. – Conservazione con U.R.% non troppo alta. Imbrunimento interno Sinonimi Cuore bruno, imbrunimento del cuore. Cultivar sensibili Fuji, Braeburn, Pink Lady, Granny Smith, Renetta del Canada, tutte sensibili ad alti tenori di CO2.

Disfacimento da senescenza

Cause – Vitrescenza dei frutti. – Combinazione di più fattori (danni da CO2 e vitrescenza). Sintomatologia Esistono varie forme distinte per l’estensione dell’area interessata a per l’intensità del fenomeno. Fattori influenti – Anomala composizione dell’atmosfera O2/CO2. – Temperatura di conservazione vicina a 0 °C. – Raffreddamento rapido di mele vitrescenti. – Raccolta tardiva. – Ventilazione scarsa. Rimedi – Riassorbimento forzato della vitrescenza con raffreddamento scalare (Fuji). – Ritardo di regimazione (Braeburn). – Temperature più alte (Pink Lady). – Formule gassose tipo AC Convenzionale o LO per varietà sensibili all’imbrunimento. Imbrunimento interno

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post-raccolta Ipossia – danni da CO2 Sinonimi Cavernosità della polpa, danni da asfissia, fermentazione. Cultivar sensibili Pink Lady, Fuji, Braeburn, Red Deliciuos, Golden Deliciuos, Granny Smith. Cause Errata composizione dell’atmosfera gassosa per O2 troppo basso e CO2 troppo elevata. Rapporto O2/CO2 non adatto alla cultivar. Sintomatologia Nel caso di O2 troppo basso con fenomeni fermentativi di tipo irreversibile, si hanno: – il tipico odore e sapore di alcol; – imbrunimenti estesi (dalla polpa fino all’epidermide). Nel caso di CO2 troppo elevata si hanno: – tipica rugosità con imbrunimento della buccia; – tipiche cavità nella polpa delle mele. I sintomi si sommano nel caso di un rapporto O2/CO2 non adatto alla cultivar. Fattori influenti – Raccolte tardive rendono le mele più suscettibili. – I sintomi dovuti a CO2 sulla buccia sembrano aggravati dalla presenza di un velo d’acqua sulle mele. – Raffreddamento veloce di cultivar sensibili (Fuji, Braeburn) o inadatte a formule tipo ULO.

Danni da CO2 sulla buccia

Rimedi Se individuato precocemente, l’accumulo di alcol può venire riassorbito mantenendo le mele per qualche giorno a temperature più alte e ventilazione forzata e continua in AN.

Foto CRIOF-BO

Marciume del cuore Sinonimi Muffe del cuore. Cultivar sensibili Quelle a canale stilare pervio (per es. Gloster, Red Delicious). Le cultivar che subiscono trattamenti post-raccolta a bagno. Cause Attacchi di varie specie fungine con insediamento nella zona dell’endocarpo (cuore). I funghi interessati possono essere:

Marciume del cuore

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coltivazione – Alternaria spp. (marciume secco); – Trichothecium spp. (marciume roseo); – Fusarium spp. (marciume bruno); – Phomopsis spp. (marciume bruno chiaro/grigio); – Penicillium spp. (marciume verde azzurro); – Mucor spp. (marciume deliquescente).

Foto CRIOF-BO

Sintomatologia Si manifesta dentro e attorno alle logge carpellari nel cuore della mela. Si tratta di infezioni fungine avvenute in momenti diversi (fin dalla caduta dei petali sui residui fiorali o successivamente per penetrazione attraverso la cavità calicina. L’evoluzione dei funghi è lenta e il colore delle zone infette dipende dal fungo prevalentemente presente. Marciume bruno del cuore

Fattori influenti – Primavere piovose e molto umide su cultivar sensibili. – Lavaggio o trattamento a bagno in post-raccolta, quando la sostituzione della miscela non è adeguata. – Il raffredamento di mele ancora bagnate porta a un risucchio dei funghi verso la cavità carpellare dal calice.

Foto CRIOF-BO

Rimedi – Non si richiedono interventi specifici in pianta in quanto l’incidenza economica del problema è normalmente limitata. – Sanitizzazione delle acque di movimentazione e selezione. Muffa a circoli Sinonimi Mele mummificate. Cultivar sensibili Renetta del Canada, Golden Delicious. Cause È un tipico fungo (Monilia spp.) da ferita che attacca quindi le mele attraverso lesioni, ferite, tagli o attraverso screpolature naturali (rugginosità). Sintomatologia I frutti colpiti marciscono totalmente assumendo colorazioni dal marrone al nero con consistenza della polpa gommosa, asciutta, mentre sulla buccia si sviluppa un micelio biancastro con fruttificazioni rosa-aranciate. Può manifestarsi in post-raccolta, in cella, poche settimane dopo la raccolta.

Muffa a circoli

318


post-raccolta Fattori influenti – Clima umido e piovoso nel periodo pre-raccolta (1 mese prima). – Presenza di ferite o lesioni nei frutti (dovute a grandine, danni da uccelli, lenticelle aperte o slabbrate). – Calendario di trattamenti pre-raccolta inadeguato. – Le infezioni si originano da frutti infetti in precedenza presenti nel frutteto (inoculo).

Foto R. A.ngelini

Rimedi –D ifesa preventiva in pre- o post-raccolta (con fungicidi triazolici come tebuconazolo). – Eleminazione dei frutti con lesioni non cicatrizzate alla raccolta.

Muffa a circoli

Marciume lenticellare

Foto CRIOF-BO

Sinonimi Gloeosporio. Cultivar sensibili Tutte le varietà e in particolare Golden Delicious, Red Delicious, Fuji, Pink Lady. Cause Piovosità persistente in coincidenza con la raccolta specialmente su varietà ricche di lenticelle (lenticellosi a macchie rossastre). Sintomatologia Il patogeno (Neofabrea sp.) penetra attraverso le lenticelle della mela e vi rimane insediato fino all’evoluzione in forma di macchie circolari con vertice verso il centro del frutto. I tessuti colpiti, di colore marrone chiaro, diventano di consistenza molle e deliquescente, originando altre contaminazioni a frutti sani vicini (nidi). Fattori influenti Studi anche recenti associano la manifestazione a volte esplosiva del fungo a forme di autodifesa della mela (presenza di sostanze fenoliche/tenori di acidità). Per tali motivi il fungo è in grado di mantenrsi latente per mesi in cella per poi esplodere improvvisamente originando danni anche importanti. Più colpite in genere risultano le partite di mele e le cultivar raccolte tardi senza adeguata protezione. Fenomeni di lenticellosi autunnali possono preannunciare il facile insediamento dei funghi. La lenticellosi si manifesta con aree a colorazione rosata/rossa attorno alle lenticelle quando queste sono chiamate a una intensa

Marciume lenticellare

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coltivazione traspirazione in periodo preraccolta, e quindi di fatto rimangono molto aperte. I marciumi lenticellari possono penetrare comunque nella mela anche attraverso ferite (per es. strappi e lesioni nella cavità peziolare).

Foto CRIOF-BO

Rimedi – Adeguata difesa in pre- e post-raccolta. – Raccolta tempestiva. – Conservazione a lungo termine di mele solo se di ottima qualità. Marciume verde-azzurro Sinonimi Muffa verde-azzurra, marciume azzurro. Marciume lenticellare causato da Neofabrea sp. = Gleosporium album

Cultivar sensibili Golden, Red Delicious, Fuji ecc.

Foto CRIOF-BO

Cause Presenza di fonti di inoculo sia in campo (residui vegetali colpiti) sia in magazzino (imballaggi, celle, acque di processo) possono generare conidi infettanti. Sintomatologia Fungo ubiquitario (Penicillium spp.) di solito colpisce le mele non come agente diretto (parassita), ma insediandosi su tessuti già deteriorati o in associazione con altri funghi (saprofita). Tipica la manifestazione in corpi fruttiferi di colore verde-azzurro. Nelle fasi iniziali è possibile la confusione con Botrytis sp. a causa del micelio bianco che poi, però, evolve rapidamente, a temperatura ambiente, verso una colorazione verde-azzurra (grigia per Botrytis sp.).

Muffa verde-azzurra Foto R. Angelini

Fattori influenti L’insediamento del fungo è favorito da ferite e lesioni epidermiche, da penetrazioni calicine, da lenticellosi, da disgregazioni tissutali delle mele di altra origine (funghi, disfacimenti, ecc). Colpisce solo mele a maturazione avanzata; quelle dure e acide sembrano essere più resistenti allo sviluppo del marciume. Su lotti di mele mature l’infezione si diffonde a nido, per contatto tra mele. Rimedi – Sanitizzazione di locali (celle) e imballaggi utilizzati per la raccolta e la conservazione. – Separazione delle mele lesionate alla raccolta. – Adeguata difesa pre e post-raccolta. Oggi è attuale il problema di diffusione del fungo, attraverso le acque di movimentazione e polmonazione sulle linee di selezione.

Muffa verde-azzurra

320


post-raccolta Marciumi secondari (Alternaria sp.*, Stemphilium sp., Cladosporium sp. Trichothecium sp.**, Gloedes sp.***)

Foto I. Ponti

Sinonimi *Marciume nero, **marciume roseo, **marciume secco, ***fumaggine. Cultivar sensibili Diverse nelle condizioni di suscettività all’infezione o alla presenza dei/l funghi/o che, da normalmente secondario, può diventare di primaria incidenza economica. Cause Diverse. Sintomatologia I sintomi sono diversi e specifici per cui facili da diagnosticare.

Fumaggine Foto I. Ponti

Fattori influenti –A lternaria sp.: presenza di infezioni in campo. –S temphylium sp., Cladosporium sp., Gloedes sp.: presenza di residui e depositi di natura organica (bagnanti-adesivanti) o residui di meleta sulla buccia. –T richothecium sp.: ferite nella buccia su mele poste in “fruttaio”. Rimedi – Evitare tutte quelle condizioni o fattori che predispongono all’insorgenza di infezioni. – In casi gravi, dopo sicura diagnosi, predisporre calendari di difesa preventiva mirati (per es. per Trichothecium sp., Alternaria sp.).

Marciume roseo Foto I. Ponti

Alternaria Marciume roseo

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coltivazione Marciumi deliquescente* e grigio** Foto R. Angelini

Sinonimi * Mucor sp., ** Botrytis sp. Cultivar sensibili Red Delicious, Golden Delicious, Granny Smith. Cause Questi marciumi normalmente non sono molto diffusi. La penetrazione avviene attraverso ferite epidermiche, lenticellari o attraverso il canale stilare. Mucor (o marciume deliquescente) può infettare mele vicine o sottostanti (nei bins) per percolazione. Diffusa per Botrytis la forma saprofitaria. Sintomatologia Sintomi facilmente riconoscibili che in breve tempo invadono completamente i frutti colpiti e originano altre infezioni per contatto.

Mucor sp. Foto R. Angelini

Fattori influenti Poiché le infezioni possono prendere origine sia in campo che in magazzino, rientrano in gioco tutti i fattori di prevenzione igienicosanitaria atti ad abbassare l’inoculo (negli imballaggi), evitando altresì di contaminare le mele con terra, zolle d’erba ecc. Rimedi – La prevenzione rimane il rimedio più efficace senza dover pensare a metodi di difesa chimici. – La sanitizzazione in magazzino delle acque eventualmente contaminate rappresenta un punto critico della filiera.

Mucor sp.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Botrytis sp. Botrytis sp.

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post-raccolta Ticchiolatura da magazzino Foto R. Angelini

Sinonimi Ticchiolatura tardiva, nebbia. Cultivar sensibili Golden Delicious, Morgenduft, Rome Beauty, Granny Smith e quelle provenienti da frutteti con infezioni primarie visibili su foglie e frutti (> 3-5%). Cause La presenza di infezioni primarie sulla pianta (foglie e frutti), causate da Spilocaea pomi rappresenta la principale causa in grado di generare macchie di tipo secondario sulle mele in coincidenza con bagnature e piogge continue in pre-raccolta. La ticchiolatura da magazzino può rappresentare, soprattutto in Trentino-Alto Adige, il pericolo in assoluto maggiore con il massimo danno in termini di mele colpite (fino al 60-70%), in certe annate e su certe partite di mele infette.

Particolare di ticchiolatura tardiva

Foto R. Angelini

Sintomatologia Le macchie sono piccole, nere, numerose e interessano solamente la buccia. Le infezioni avvengono in campo sui frutti pendenti e si sviluppano in cella dopo incubazione. Le condizioni di conservazione rallentano l’incubazione fino a 120-140 giorni dalla raccolta. Fattori influenti – La presenza nel frutteto d’origine di infezioni e macchie primarie di Fusicladium sp. – Autunni piovosi o con forti rugiade che producono bagnature di oltre 20 ore. – La conservazione a temperature alte e alta U.R.% ne accelera l’incubazione. Rimedi – Prevenzione con fungicidi di copertura in pre-raccolta. – Distribuzione commerciale dei lotti e delle partite a rischio entro 2-3 mesi dalla raccolta.

Mele affette da ticchiolatura secondaria

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coltivazione Riscaldo È sicuramente la più importante fisiopatia che colpisce le mele in post-raccolta, sia per incidenza economica da essa provocata sia per diffusione e interessamento varietale nelle varie forme in cui si manifesta. Lungi dal voler trattare in maniera completa ed esaustiva l’argomento, si tiene a precisare che lo studio della fisiopatia è evoluto nel tempo (almeno dal 1923 a oggi…), di pari passo con l’evoluzione delle tecniche di conservazione della mela e con la ricerca costante di metodi efficaci per la prevenzione e il controllo. Basti citare le tecniche con l’impiego di AC, poi in ULO, poi l’impiego di prodotti in post-raccolta di varia efficacia e, fino ai giorni nostri, 1-mcp, DCA-LOS-LECA ecc. Sono tutte tecniche e formule applicate in qualche modo e forma per prevenire o impedire la comparsa del riscaldo. Dalla teoria che imputava alle sostanze volatili presenti nella cella (etilene), la causa del riscaldo, alla definizione che individuava una mancata correlazione tra riscaldo e sostanze non etileniche, fino al 1966 quando si individuò in un composto terpenico (alfa-farnesene = 2,6 dimetil, 10 metilene, alfa-dodecatriene), presente sulle cere nell’epidermide della mela, il precursore che ossidandosi origina i TCI (trieni coniugati idroperossidici), il cui accumulo fin oltre i livelli soglia dà origine al riscaldo (ossidazione ) sulla buccia della mela. In tal senso la presenza sulla buccia di antiossidanti naturali (acido ascorbico, polifenoli ecc.) e la TAC (total antioxydant capacity), variabile a seconda della varietà, per effetto del clima e dell’ambiente colturale, possono confermare l’eziologia, la variabilità, la diversa intensità di comparsa da un anno all’altro per le mele prodotte in ambiente di montagna rispetto a quelle di fondovalle.

Riscaldo comune: la teoria “climatica”

• L’andamento climatico nel periodo

che precede la raccolta (6-8 settimane prima), sembra avere un ruolo determinante nel definire la suscettibilità al riscaldo

• La sommatoria in n° di ore con

temperature inferiori a 10 °C è correlabile in qualche modo con la suscettibilità al riscaldo comune che pertanto risulterebbe prevedibile per intensità e zona di produzione

• Gli stress idrici e le condizioni

climatiche (sbalzi termici giorno/notte T°min/max), sicuramente portano a modificazioni nella composizione e quantità delle cere presenti sulla buccia della mela

• La raccolta precoce favorisce il

riscaldo, le raccolte ottimali o più tardive favoriscono l’accumulo di antiossidanti naturali sulla buccia

• È riconosciuta, in proposito, la minore

suscettibilità al riscaldo delle mele prodotte in ambiente di montagna rispetto alle mele prodotte in condizioni e siti a temperatura più stabile

Foto I. Ponti

Suscettibilità varietale

• Molto sensibili: Granny Smith, Red Deliciuos

• Mediamente sensibili: Morgenduft,

Rome Beauty, Stayman Winesap, Idared

• Poco sensibili: Jonagold, Golden,

Renetta del Canada, Fuji, Braeburn, Pink Lady, Gala Riscaldo comune

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post-raccolta Riscaldo comune Sinonimi Scald, primavera.

Metodi di prevenzione del riscaldo

Cultivar sensibili Red Delicious, Granny Smith, Morgenduft, Rome Beauty, Stayman, Winesap.

• La maggior prevenzione si ottiene con

Cause Ossidazione degli idroperossidi presenti sulla buccia delle mele che derivano da degradazione dell’alfa farnesene. Un ruolo importante in queste modificazioni chimiche a livello della buccia è svolto dall’etilene esogeno (C2H4).

• AGRONOMICI:

un impiego ragionato ed integrato dei vari metodi e tecniche sotto esposte

- raccolta entro termini ottimali per ciascuna cultivar e zona uniforme - controllo della produzione e dell’equilibrio nutrizionale (per es. N/Ca)

Sintomatologia Normalmente il riscaldo comune non compare in cella di conservazione prima che siano trascorsi 2-4 mesi dalla raccolta. Se la conservazione avviene in condizioni di AC e soprattutto con ridotte concentrazioni di ossigeno, tale periodo di latenza si allunga ulteriormente. Il riscaldo esplode in tutta la sua intensità successivamente, quando le mele vengono poste a temperature ambiente (si ricorda che in certe condizioni possono essere interessate dal danno anche oltre il 90% delle mele). Si manifesta sotto forma di macchie di colore bruno più o meno estese a seconda della gravità, di solito più presenti sulla parte verde della buccia. La fisiopatia del riscaldo comune interessa solo la buccia della mela che rimane di consistenza normale anche in presenza di attacco grave. La denominazione con il sinonimo di “primavera”, deriva probabilmente dal fatto che il riscaldo si manifesta, nella sua massima intensità, soprattutto nei primi mesi primaverili quando le mele vengono esposte sui mercati ai primi rialzi di temperatura.

• CHIMICI: - impiego di antiossidanti in post-raccolta (DPA, Etossichina) - impiego di inibitori dell’etilene

• FISICI: - trattamenti di pre-maturazione

• TECNICHE DI CONSERVAZIONE: - raffreddamento adeguato entro poche ore dalla raccolta - rapida regimazione gassosa a valori < 4% di O2 (Rapid CA) - s tivaggio adeguato e controllo della ventilazione in cella - c onservazione a bassi tenori di ossigeno (U.L.O.) - a pplicazione di stress gassosi (ILOS-LOS-DCA)

Fattori influenti Tra i tanti fattori che predispongono le mele all’insorgenza di questa fisiopatia, si ricordano: – anticipo di raccolta; – colorazione dei frutti (le mele a sfondo verde sono più sensibili); – ambiente di produzione (le mele di montagna sono meno sensibili); – clima (annate asciutte e calde predispongono più di autunni freschi e con buone escursioni termiche); – ventilazione in cella quando insufficiente può essere un fattore determinante per la sua incidenza; – conservazione delle mele a temperature più alte ne riduce la comparsa (ma anche la conservabilità). 325


coltivazione Riscaldo da senescenza Sinonimi Primavera, senescent scald.

Fattori influenti il riscaldo da scenescenza

Cultivar sensibili Golden Delicious, Renetta del Canada, Jonagold.

• Annate con condizioni climatiche caldo-asciutte, specialmente in prossimità della raccolta

Cause – Raccolta tardiva con stato di maturazione avanzato. – Ritardo di raffreddamento e di regimazione gassosa in cella. – Permanenza prolungata delle mele a temperatura ambiente o in fruttaio. – Formule di conservazione non adeguate. – Respirazione elevata dei frutti e tempo di conservazione troppo prolungato.

• Produzioni ottenute con forti

concimazioni azotate e pezzatura elevata dei frutti

• Raccolta ritardata rispetto alla finestra di inizio-fine raccolta ottimale

• La conservazione in ambiente

refrigerato rispetto a quella in AC

• La scarsa circolazione d’aria in

Sintomatologia Si manifesta di solito dopo alcuni mesi di conservazione (5-6) quando i frutti appaiono invecchiati, ma sintomi precoci si possono evidenziare anche dopo poche settimane dall’inizio conservazione, quando le cause sono dovute all’ambiente di conservazione stesso (per es. cella con scarsa ventilazione). I sintomi appaiono sotto forma di macchie di colore bruno, prima, poco estese poi, via via di maggior estensione quando le mele vengono esposte a temperatura ambiente (15-20 °C). Il termine popolare “riscaldo primavera”, accosta il massimo sviluppo di tale fisiopatia con le fasi di distribuzione mercantile nei mesi primaverili, dopo appunto 5-6 mesi dalla raccolta e conservazione. È facile che alla manifestazione del riscaldo da senescenza, si accompagnino fenomeni di avvizzimento, imbrunimento e disfacimento della polpa o di alterazioni fungine.

cella, favorisce la stratificazione delle sostanze volatili sulla buccia inducendo la comparsa del riscaldo

• Le mele più gialle o comunque anche

se a sfondo verde, le più mature, sono sensibili alla comparsa

Riscaldo molle Sinonimi Danno da freddo, soft scald. Cultivar sensibili Golden Delicious, Jonagold, Jonathan, Golden-simili (Lasa). Cause Questo tipo di riscaldo è anche conosciuto con il nome di danno da freddo, il che riconduce alla causa principale dovuta proprio a shock termico per la mela. Quando talune varietà sensibili di mele vengono raffreddate in fase di elevata respirazione o in piena fase climaterica - metabolica, l’effetto delle basse temperature (anche

Riscaldo da senescenza

326


post-raccolta se superiori al punto di congelamento), si manifesta appunto con questa forma di riscaldo. Comparsa I sintomi sono specifici e si manifestano sotto forma di macchie con imbrunimento di consistenza molle che interessa la buccia e la polpa delle mele (fino a 1 cm di profondità). Le macchie a contorno netto interessano di solito la fascia trasversale dei frutti, che sembrano essere stati fatti rotolare su una superficie rovente. I sintomi compaiono di solito dopo qualche settimana dal raffreddamento. Fattori influenti Oltre alla sensibilità specifica di talune varietà e cloni, tra i fattori predisponenti si ricordano quelli legati al raffreddamento delle mele quando sono in fase di metabolismo respiratorio intenso (per es. quando permangono in catasta o in fruttaio prima del raffreddamento). Le mele di grosso calibro, ottenute da piante scariche o giovani, sembrano essere più sensibili alla manifestazione del riscaldo molle. Il riscaldo molle è considerato a tutti gli effetti un danno da basse temperature, quindi tutti i casi di malfunzionamento degli impianti frigoriferi o le posizioni delle mele a rischio (per es. davanti ai termorefrigeranti), vanno considerati tra i possibili fattori influenti.

Riscaldo molle

Rimedi contro il riscaldo molle

• Pronta consegna delle partite di mele dopo la raccolta e adattamento dei lotti sensibili ad un raffreddamento più lento (a cascata, da 10 °C a 2-3 °C in 20 giorni circa), sono in grado di scongiurare i danni maggiori e, ovviamente, accorciano il periodo di conservabilità

Spaccature da iperidrosi Sinonimi Screpolature, rugginosità con spaccature, fessurazione.

• Adattamento della conservazione

dopo rapid CA, in AC. Con temperature più alte appare oggi la formula di conservazione migliore, per evitare la comparsa di questo tipo di riscaldo

Cultivar sensibili Gala, Fuji, Braeburn, Stayman. Cause Accrescimento eccessivo dei frutti in prossimità della raccolta.

Foto VOG

Sintomatologia Spaccature più o meno evidenti e profonde della buccia fino alla polpa. Possono essere localizzate (cavità picciolare o calicina, o lenticellare) o, più spesso, longitudinali sui frutti. Si possono originare anche in cella per eccessiva U.R.%. Fattori influenti – Sbalzi idrici, irrigazioni eccessive in prossimità della raccolta. – Concimazioni azotate abbondanti. – Pezzatura elevata. – Clima variabile (secco/caldo – piovoso/umido). Rimedi – Trattamenti con calcio rendono meno suscettibili i frutti.

Spaccatura da iperidrosi

327


coltivazione Scottature da sole Foto VOG

Sinonimi Sun scald, ustioni da sole, colpo di sole. Cultivar sensibili Granny Smith, Fuji, Gala, Red Delicious, Braeburn, Golden, Morgenduft, altre a buccia rossa. Cause Sono esclusivamente legate all’insolazione, vale a dire all’effetto del sole sulla faccia esposta delle mele in pianta. Quando le condizioni climatiche favoriscono bruschi cambiamenti di luminosità ed effetti della temperatura solare (per es. presenza di rugiada al mattino sui frutti) producono scottature sulla buccia nella parte esposta al sole.

Scottature da sole su Summerred

Sintomatologia I sintomi si possono evidenziare sulla pianta, nel periodo che precede la raccolta, sotto forma di macchie di colore chiaro e tinte attenuate, o ancora in cella quando si evidenziano macchie circolari di colore bruno più o meno scuro e di consistenza diversa (molle o cuoiosa). Tali scottature possono assumere incidenza diversa per intensità e forma; si passa infatti da leggeri schiarimenti nel colore di fondo, a indesiderate forme di sovraccolore (per es. sulla cultivar Granny Smith con sovraccolore rosa o rosso), fino a scottature di colore bruno e consistenza.

Foto VOG

Fattori influenti Tutti i fattori di esposizione repentina al sole soprattutto con forte luminosità ed escursioni termiche repentine. I danni si evidenziano maggiormente per effetto dei residui di zolfo, qualora presenti sulla buccia nella zona esposta al sole. Potature estive in prossimità della raccolta che espongono le mele alla luce, dopo che sono rimaste per molto tempo in ombra. Copertura delle mele che sono state raccolte in bins, con teli plastici che favoriscono il surriscaldamento dei frutti, specialmente nelle prime ore del mattino.

Scottature da sole su Elstar Foto VOG

Rimedi Viste le cause predisponenti, i rimedi possibili si riducono a tutte quelle forme che possono proteggere le mele dall’esposizione diretta e repentina ai raggi del sole nei mesi più caldi (estate): – evitare brusche potature al verde in estate; – non irrigare sovrachioma durante le ore più calde del giorno; – non impiegare, in estate, prodotti a base di zolfo ad alte concentrazioni, specialmente con formulazione di tipo colloidale; – evitare di coprire la frutta raccolta con teli plastici durante le prime ore del giorno.

Scottature da sole su Jonagold

328


post-raccolta Vitrescenza Foto VOG

Sinonimi Water core, olio nella polpa, glasigment, glaesigkeit, cuore vitreo. Cultivar sensibili Red Delicious, Fuji, Jonagold, Granny Smith, Renetta del Canada. Cause Presenza di liquido fisiologico (acqua) negli spazi intracellulari dovuta a scompenso foglie/frutti, pezzature elevate, concimazioni azotate eccessive. Sintomatologia Non visibile all’esterno. Zone più o meno estese della polpa (in sezione trasversale), assumono un aspetto traslucido-vitreo, iniziando dai fasci vascolari interessando via via il cuore o la polpa.

Vitrescenza su Gloster Foto VOG

Fattori influenti Temperature elevate e pioggia in prossimità della raccolta, raccolta tardiva, trattamenti con calcio riducono l’insorgenza. La vitrescenza evolve in imbrunimento e disfacimento. Rimedi – Raffreddamento lento che favorisce il riassorbimento (in presenza di attacchi non troppo gravi). – Mantenimento dei frutti a temperatura ambiente per 3-5 giorni, per poi destinarli a conservazione breve. – Metodi di selezione dei frutti affetti che si basano sulla trasmissione della luce (NIR) – densità ottica – galleggiamento flottante (le mele con vitrescenza hanno un peso specifico >1).

Vitrescenza su Red Delicious Stadi di vitrescenza: accettabile, critico e troppo elevato (da sinistra a destra)

Foto VOG

329


coltivazione Additivi alimentari Tra gli additivi alimentari impiegabili e consentiti dalla normativa, si elencano le cere di rivestimento e alcuni prodotti a base di estratti vegetali. Cere. A base di cera naturale d’api, gommalacca e cera carnauba, vengono applicate in post-raccolta generalmente in fase di selezione e calibratura, allo scopo di migliorare l’aspetto estetico della buccia delle mele, che diventano così più lucide e brillanti. L’applicazione delle cere assolve anche allo scopo di ridurre le perdite d’acqua per traspirazione (calo peso), soprattutto in fase di trasporto. La ceratura delle mele è pratica richiesta soprattutto da certi mercati: Sud Est Asiatico, Paesi Arabi, USA, e prevalentemente per le varietà a buccia rossa come Red Delicious. Estratti vegetali. Ricordiamo alcuni preparati commerciali a base di lecitina o estratti vegetali di piante (per es. chiodi di garofano), con effetti diversi, fungistatico, antiossidante, antitraspirante. A un effetto tossico “blando” accostano frequentemente effetti collaterali indesiderati (odori, fitossicità ecc.)

Additivi alimentari

• Solo per dovere di completezza, in

quanto rappresentano non la norma ma l’occasionalità d’impiego, si ricorda che la normativa prevede anche l’impiego di talune sostanze registrate come additivi alimentari (Legge 209 del 27.02.1996 e Dir. CEE 95/2 del 20.02 .1995)

Avanguardie dell’AC Le applicazioni delle Atmosfere Controllate sulla mela hanno visto anche in anni recenti (dal 2000 in avanti), forti innovazioni, superando limiti e condizioni fino a pochi anni fa imprevedibili. Ci si riferisce in particolare ai livelli gassosi di O2 e CO2 che, in applicazione con le nuove tecnologie, raggiungono livelli di molto inferiori a quella che era definita la soglia respiratoria per la mela allo 0,8-0,9% di O2. Le tecniche d’avanguardia sono nella fattispecie: – Atmosfera Controllata Dinamica (DCA); – Stress Gassosi Iniziali o Ripetuti a bassi tenori di ossigeno (ILOS e LOS). Entrambe queste tecniche sono state approfondite e sviluppate con l’obiettivo di riuscire a controllare il riscaldo comune senza impiego di sostanze chimiche, soprattutto per le cultivar sensibili a tale fisiopatia come Red Delicious, Granny Smith, Morgenduft, e indirettamente per gli effetti che sono in grado di produrre sulla qualità delle mele: mantenimento della durezza della polpa, minor degradazione dell’acidità, rallentamento della senescenza ecc., aspetti interessanti per cultivar come Gala, Fuji, Cripps Pink ecc.

Esposizione di mele sottoposte a ceratura

DCA (Dynamic Controlled Atmosphere). Tecnica studiata già verso la metà degli anni ’80 da ricercatori australiani, ha trovato in tempi recenti applicazione su scala commerciale soprattutto in Alto Adige. Il punto critico del sistema, che ne ha ritardato l’applicabilità pratica, sta nel fatto che conservando le mele a tenori veramente bassi di ossigeno +/− 0,4%, chiaramente si possono indurre fenomeni

Sensore per la misurazione delle fluorescenza in DCA

330


post-raccolta Atmosfera controllata dinamica (DCA) Punti critici del sistema

Vantaggi del sistema

Controllo del riscaldo

Controllo degli stress su un n° limitato di mele

Mantenimento di buoni livelli qualitativi

Necessità di apparecchiature /impianti con costi elevati

Assenza di trattamenti chimici

Requisiti di tenuta ai gas della cella ottimali Interpretazione dei valori di stress

fermentativi, con comportamenti non facili da determinare da un frutto all’altro. L’utilizzazione di sensori a fluorescenza e di trasduttori di segnale su sistema integrato a monitor (FIRM Sensor = Fluorescenz Intractive Response Monitor), ha permesso di monitorare in tempo reale le fasi di stress delle mele e di conseguenza di modificare i valori gassosi in funzione dei momenti di stress rilevati dai sensori. Ovviamente, l’accumulo di alcol nella polpa delle mele dovuto all’induzione di fenomeni fermentativi, può rientrare a valori normali ogni qualvolta a una fase di stress (fermentativo) faccia seguito prontamente una fase di ripresa respiratoria.

Unità di controllo dei segnali di fluorescenza

Applicazione della cera durante la fase di selezione e calibratura per migliorare l’estetica della mela che diventa più lucida e brillante, Curicò (Cile)

Foto R. Angelini

331


coltivazione Queste condizioni gestite al limite, possono permettere la conservazione fino a 6-8 mesi dalla raccolta, con un totale controllo del riscaldo comune anche fino a 14 giorni di shelf life.

Foto R. Angelini

LOS (Low Oxygen Stress). Trattasi di tecnica per cui si sottopongono le mele in cella a stress gassosi a bassissimi tenori di ossigeno (0,4-0,6%), per un determinato periodo di tempo. Questa tecnica deriva da una applicazione “variata e adattata”, dell’ILOS., che precede un trattamento con stress di ossigeno da effettuare appunto all’inizio (Initial LOS.) della conservazione. Tale tecnica, rispetto alla DCA, valuta l’effetto delle condizioni limite del trattamento, misurando periodicamente il contenuto in alcol etilico che via via si accumula nella polpa delle mele per effetto delle condizioni di anaerobiosi indotta (fermentazione). Le condizioni di stress (O2= 0,4-0,6% e CO2 < 1%), la durata e la ripetizione dello stesso, dipendono come già detto dai livelli di accumulo di alcol etilico nella polpa delle mele, che non deve comunque superare determinate soglie (da 300-400 ppm max., a seconda della varietà). La determinazione del contenuto in alcol va fatta quindi periodicamente (ogni 5-8 giorni), durante tutto il periodo di stress (15-25 giorni). Al raggiungimento del livello soglia, i valori gassosi e in particolare di O2, vanno incrementati (O2 = 0,9-1,1%), in maniera da far riprendere alle mele una adeguata respirazione aerobica, che sia in grado di far metabolizzare l’alcol accumulato fino a valori “naturali” (5-10 ppm). In conclusione si può affermare che le due tecniche agiscono su medesimi fattori fisiologici della mela (per es. la respirazione anaerobica), inducendo nelle mele condizioni di stress (accumulo di metaboliti: aldeidi, alcoli), che possono essere controllate e gestite in maniera diversa (per

Stress gassosi iniziali (LOS) Punti critici del sistema

Vantaggi del metodo

Controllo del riscaldo

Controllo di etanolo su un campione rappresentativo

Mantenimento di buoni livelli qualitativi

Requisiti di tenuta ai gas della cella

Assenza di trattamenti chimici

Uniformità delle mele in cella Gestione attenta degli “stress gassosi”

Lavorazione nel post-raccolta

332


post-raccolta es. con sensori di fluorescenza o determinazioni analitiche di laboratorio). SmartFresh® (1-MCP). È una nuova tecnologia che aiuta a migliorare ulteriormente la conservazione e il trasporto dei frutti, agendo sul processo di maturazione naturale. I prodotti restano di ottima qualità anche quando le mele giungono negli scaffali dei negozi. Con l’impiego di SmartFresh è possibile garantire in tutta sicurezza una qualità migliore e più costante delle mele, proprio come desiderano i consumatori finali! SmartFresh protegge le mele dagli effetti sfavorevoli dell’etilene bloccando i recettori di tale sostanza. In questo modo l’etilene non può più agire e il processo di maturazione viene significativamente ritardato, non soltanto durante la conservazione in cella, ma anche nella successiva fase di shelf life sulla catena di distribuzione. SmartFresh 1-MCP è stato sviluppato per l’impiego all’interno di celle di conservazione e produce un effetto tampone sulle variazioni di temperatura, mantiene la consistenza della polpa anche nella ritardata messa in AC e mantiene la qualità dopo l’apertura delle celle in AC. Come si impiega: – mettere l’applicatore in una camera stagna piena di frutta; – aggiungere l’acqua e attivare un meccanismo di diffusione. La diffusione comincia solo dopo 5 minuti: nel frattempo l’operatore può uscire e chiudere la camera senza esposizione; – dopo 24 ore di ventilazione si può procedere all’installazione delle condizioni di stoccaggio prescelte. La dose d’utilizzo è molto bassa, quindi i residui nei frutti sono sempre < 0,01 ppm. In conclusione l’impiego di 1-MCP ha certamente rivoluzionato la gestione della mela in post-raccolta, soprattutto per quanto concerne la prevenzione e il controllo del riscaldo sulle cultivar sensibili. Dalla sua applicazione derivano inoltre effetti positivi in termini di mantenimento della qualità (durezza e acidità in particolare), sia durante tutto il periodo di conservazione durante la shelf life (15 giorni almeno). L’abbinamento della conservazione in AC (LO-ULO) e l’impiego di 1-MCP, stanno dimostrando un’ottima sinergia d’azione contribuendo in maniera reciproca a ottimizzare e allungare i tempi di conservazione con risultati economici interessanti. L’impiego di 1-MCP peraltro rende possibile un impiego più “flessibile” delle dotazioni impiantistico-tecnologiche nei magazzini ortofrutticoli, rendendo meno urgenti sia la messa a regime gassosa (Rapid CA) sia il raffreddamento delle mele depositate nelle celle.

Trattato con 1-MCP 95,3%

2,5% 0,7% 0,5%

1,0%

Testimone non trattato 95,6%

2,8%

1,1%

0,0% 0,6%

Frutti sani

Marciumi totali

Guasti

Butteratura

Riscaldo Incidenza delle fisiopatie post-conservazione su Red Delicious trattate con 1-MCP

333


coltivazione Pre- e post-maturazione della mela… per il mercato Con queste due tecniche, integrative alla normale conservazione, in post-raccolta, si intende l’applicazione di metodi “controllati”, allo scopo: – predisporre e preparare la mela raccolta alla futura conservazione e consumo (pre-maturazione); – affinare la mela già conservata per renderla pronta e matura per il consumo (post-maturazione). Tali metodi sono strettamente legati, sia alle prerogative e alle esigenze specifiche di talune cultivar (per es. Renetta del Canada, Annurca, Golden), sia alla necessità di dover rendere il prodotto ottimale, in termini di maturazione e di colorazione, in funzione di determinati mercati (per es. mele trattate con 1-MCP, mele più gialle, più equilibrate nel gusto ecc.). Per esempio, la Renetta del Canada, deve essere raccolta in uno stadio di maturazione “industriale” molto arretrato (le mele appena raccolte sono di fatto acerbe e non mature), per i suoi noti problemi di cascola precoce. Ciò richiede che le mele Renetta siano sottoposte dopo la raccolta a un periodo di preparazione (pre-maturazione) per renderle idonee alla conservazione futura. La conservazione in regime di freddo e di AC può infatti iniziare solo quando le mele hanno raggiunto un preciso stato fisiologicoclimaterico, allo scopo sia di renderle conservabili sia di raggiungere degli ottimi requisiti organolettici per il consumo.

Vantaggi di 1-MCP Dal suo impiego in post-raccolta si ottiene:

• mantenimento della consistenza e

della succosità durante e dopo la conservazione a freddo, inclusa la shelf life

• mantenimento dell’acidità più a lungo (gusto = rapporto acidi/ zuccheri)

• ritardo dei fenomeni di senescenza: farinosità, imbrunimenti interni, marciumi lenticellari

• controllo del riscaldo superficiale: è in grado di sostituire i prodotti residuali attualmente impiegati, quali la DPA

• complementa sia lo stoccaggio in aria

Alla raccolta

2,7

7,5

2,3

0

6,5

4

Sverdimento. Altro caso specifico può essere rappresentato dalla necessità di far virare la colorazione di fondo delle mele dal verde verso il paglierino-giallo (per es. Golden Delicious), senza dover ricorrere a trattamenti chimici peraltro non permessi dalle vigenti normative (per es. impiego di etilene ). In tal caso risultati accettabili possono essere raggiunti operando sulle condizioni di conservazione in maniera da favorire una post-maturazione controllata. I presupposti essenziali per ottenere risultati di colorazione e di maturazione uniformi sono: – sottoporre a tale trattamento mele con colorazione di fondo uniforme (per es. preselezionate per colore di fondo); – caricare la cella di trattamento con stivaggio ampio, onde permettere una buona circolazione d’aria attorno ai cassoni; – predisporre un campione rappresentativo di controllo davanti alla porta, visibile dall’oblò e facile da prelevare; – regolare e mantenere costanti le seguenti condizioni:    • temperatura 4-6 °C (nella polpa)   • U.R. >90%   • O2 9-10%   • CO2 < 1%    • ventilazione di cella (almeno 10 ore di movimentazione/24 h). Con queste condizioni è possibile ottenere un buon viraggio del colore, (per es. dal verde al paglierino o dal paglierino al giallo)

10/04/2007

18/09/2006

Acidità alla raccolta; 2,8

8

Durezza alla raccolta; 7,8

Acidità (g/l acido malico) Durezza ( kg/cm2)

che in Atmosfera Controllata

Post-conservazione dopo 7 gg dalla shelf-life

Evoluzione di durezza e acidità di mele Red Delicious trattate con 1-MCP e non trattate

334


post-raccolta Sverdimento di Golden Delicious a 14 e 24 giorni

14/02/2003 (Collo 32 Paglierino 02- 10%)

03/02/2003 (Collo 32 Paglierino 02- 10%)

14/02/2003 (Collo 31 Paglierino 02- 13%)

14/02/2003 (Collo 32 Verde 02- 10%)

03/02/2003 (Collo 32 Verde 02- 10%)

14/02/2003 (Collo 31 Verde 02- 1,3%)

03/02/2003 (Collo 31 Paglierino 02- 13%)

Verde

03/02/2003 (Collo 31 Verde 02- 1,3%)

Foto R. Angelini

Giallo 3,4 3,2 3 2,8 2,6 2,4 2,2 2

in 15-20 giorni di trattamento. Il parametro più difficile da mantenere è senz’altro quello della CO2 < 1%, per cui è richiesta la necessaria disponibilità di un’elevata capacità di assorbimento all’1% di CO2/giorno.

Scottature da sole su Gala

Post-maturazione di mele trattate con 1-MCP. Può rappresentare un’altra necessità qualora, all’apertura della cella, le mele precedentemente sottoposte a trattamento con 1-MCP fossero non ancora pronte per il consumo. In tal caso sarà sufficiente mantenere le mele in cella a 4-5 gradi in condizioni di atmosfera normale e forti ricambi d’aria, per ottenere in 6-8 giorni mele che manifestano una ripresa respiratoria e una evoluzione del grado di maturazione normali fino al punto da renderle di equilibrio gustativo e olfattivo ottimali per il consumo. Foto R. Angelini

335


coltivazione Controlli della qualità… del “sistema” post-raccolta I tanti passaggi fin qui descritti per ottimizzare la conservazione delle mele mirano a raggiungere traguardi in termini di tempo (breve-medio-lungo termine), di qualità (minor deperibilità dei frutti), e conseguentemente di risultato economico. La qualità, come già detto, rappresenta una materia indubbiamente complessa, sia per come la si voglia definire sia, soprattutto, per come la si può misurare. Ciò non toglie che anche il complesso mondo del post-raccolta, riferito alla mela, non abbia affrontato la possibilità di valutare se e in che modo le tecniche, i passaggi effettuati e le scelte operate siano stati svolti in maniera ottimale e se conseguentemente quindi anche i lotti, le partite, le celle di mele conservate, a cui tali scelte sono rivolte, possano produrre i migliori risultati possibili. Certamente in questa analisi di qualità delle scelte realizzate, di “sistema”, alcuni aspetti e punti possono essere definiti importanti e determinanti per poter giudicare se una cella di mele si trova in condizioni di maggior prevedibile conservabilità. Tra questi, in ordine di applicazione con sequenza temporale: – l’epoca e i termini di esecuzione della raccolta (finestra); – i tempi di raffreddamento (dall’inizio alla fine del carico in cella frigo); – i tempi di regimazione gassosa (per raggiungere bassi valori di ossigeno); – le formule di conservazione adottate (AN, AC, ULO ecc.); – alcuni requisiti qualitativi comuni ai lotti conservati nella stessa cella (difetti estetici, danni da grandine, rugginosità, colorazione di fondo, zona di produzione ecc.);

Come gestire le celle

• In basso è riproposto lo schema di

gestione delle celle. Ad ogni operazione viene assegnato un punteggio e, dalla sommatoria finale, si definisce la conservabilità massima permessa per quel lotto nella cella frigorifera

Legenda punteggio-conservabilità Punti

Conservazione consigliata

<10

Breve conservazione

(2-3 mesi)

11-15

Breve conservazione

(3-4 mesi)

16-20

Media conservazione

(5-6 mesi)

21-25

Media conservazione

(6-7 mesi)

26-30 N.V.

Periodo

Lunga conservazione

(+8 mesi)

Non valutabile

(1-2 mesi)

Esempio di stima della conservabilità delle mele in relazione alla gestione del post-raccolta Cooperativa:

Annata: 2007/08 Regimazione al 01/11/07

Cella 1

Varietà Gala

Data inizio carico

Data fine carico

P

Data con O2 al 4%

P

CO2%

O2%

P

8-08-2007

13-08-2007

10

14-08-2007

10

1,0

2,0

2,5

7

*Note

TOT. P 27

2

Golden

14-09-2007

19-09-2007

10

25-09-2007

1

1,1

3,0

1,8

7

3

Golden

19-09-2007

25-09-2007

8

28-09-2007

6

1,1

3,4

2,3

5

6

Fuji/Morgenduft/ Stayman/Golden

29-09-2007

10-10-2007

2

4-11-2007

0

3,0

3,3

7,0

0

Scarsa tenuta. Dati O2 e CO2 al 12-11

2

7

Red Delicious

6-09-2007

15-09-2007

10

21-09-2007

0

1,1

2,6

2,0

5

Trattamento DPA

15

Montagna

18 19

10

Granny

21-09-2007

25-09-2007

10

19-10-2007

3

1,1

2,1

4,1

0

Smartfresh al 26-09 (+2)

15

13

Red Delicious

3-09-2007

5-09-2007

10

13-09-2007

5

1,0

2,4

1,7

8

Smartfresh al 07-08 (+2)

25

14

Golden

7-09-2007

11-09-2007

10

13-09-2007

10

1,1

2,3

1,2

10

Lotti uniformi

30

* Tra le note indicare: a) tipo di mele per es. gialle-verdi-grandinate ecc.; b) provenienza se da zone diverse; c) stato sanitario (marciumi-ticchiolatura-vitrescenza); d) osservazioni del frigorista per es. respirazione elevata ecc. P: punteggio

336


post-raccolta – l’applicazione di trattamenti e tecniche particolari (DPA, 1-MCP, LOS ecc.). Ma in che modo è possibile definire il peso delle scelte operate, e come queste influiscono sul risultato finale di maggior o minor conservabilità? Un semplice esempio di interpretazione e valutazione può essere quello elaborato in forma di punteggio. Di fronte a una certa numerosità di celle di mele in conservazione, è indubbiamente utile poter discriminare quali tra tutte saranno le celle da mantenere più a lungo nel tempo, quali da commercializzare nel breve o medio periodo, e inoltre quali i lotti di mele che in funzione delle tecniche adottate e dei risultati ottenuti, saranno adatti a differenti destinazioni mercantili (mercato interno, estero, oltremare ecc.). Alla valutazione degli aspetti sopra accennati, sarà inoltre possibile integrare tutte le conoscenze e gli approfondimenti che saranno svolti durante la fase di conservazione vera e propria (analisi di comportamento e shelf life su campioni di mele, valutazioni sui requisiti fisico chimici di qualità delle mele, decadimento dei residui ecc.). Un esempio di come possono venir applicate tali valutazioni, messo a punto in Trentino, e già ampiamente sperimentato presso diverse Cooperative, è rappresentato a pagina precedente. In conclusione una semplice valutazione a punti , permettere di elaborare una classifica tra le diverse celle di mele, permettendo quindi di pianificare al meglio i tempi di apertura e di commercializzazione in funzione degli effettivi requisiti di conservabilità.

Mela elettronica

• Strumento elettronico misuratore di

impatti, con forma e funzione simile a una mela. Il suo impiego permette di rilevare gli impatti meccanici a cui le mele vengono sottoposte in fase di selezione e confezionamento

• È sufficiente immettere questo

strumento sulla linea assieme alle altre mele, perché questo sia in grado di rilevare e memorizzare tutti gli impatti e le accelerazioni di velocità individuabili su tre assi

• Attraverso un apposito software

installato su pc palmare, dotato di rilevatore di segnali-onda a distanza è possibile: – iniziare e terminare il processo di rilevazione – settare la soglia minima di impatti che si intendono rilevare (la forza di impatto è misurata in G pari a una forza gravitazionale di 9,8 MPS2.) – rilevare in tempo reale la magnitudo degli impatti, la posizione dello strumento ed il tempo trascorso – successivamente al termine della prova, tutti i dati sono trasferibili su PC ed elaborabili in forma grafica dettagliata

• È questo uno strumento indispensabile per la regolazione delle linee, in quanto permette di individuare e correggere i punti più critici che potrebbero produrre ammaccature e danneggiamenti (abrasioni) alle mele

Palmare per rilevazione degli impatti a distanza e mela elettronica

337


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