Il Riso - Paesaggio

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Il riso botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


il riso

paesaggio Risaie in Italia Davide Papotti, Carlo Brusa

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.


paesaggio Risaie in Italia Paesaggi agricoli e paesaggi del riso Talvolta, uscendo dalle città e inoltrandoci nella campagna, percepiamo con nettezza questa diretta opposizione fra l’addensato urbano degli edifici e gli spazi verdi delle colture, interpretandola automaticamente come una distinzione fra creazione dell’uomo e opera della natura. Mille messaggi tendono a confermare questa visione. Basta pensare, per esempio, al marketing turistico prodotto dagli agriturismi, o alle pubblicità televisive degli alimenti che, costruendo un paesaggio campestre idilliaco, rinvigoriscono questa contrapposizione fra, da una parte, ciò che è inesorabilmente “artificiale”, le città, e, dall’altra, ciò che è percepito e rappresentato come “naturale”, le campagne. La dicotomia, che è alla base di tanti aspetti economici, sociali e culturali della civiltà occidentale, tende a nascondere il fatto che le campagne sono il risultato di una millenaria azione di intervento dell’uomo, che in un primo tempo si manifesta attraverso opere di regolazione idraulica, di disboscamento, di consolidamento dei terreni e, successivamente, di messa a coltura dei terreni, di regolazione dei confini dei campi, di strutturazione delle sedi rurali ecc. L’attività agricola è tradizionalmente produttrice di paesaggi. L’assetto delle campagne che vediamo oggi in Italia costituisce il risultato di lavori proseguiti lungo la storia, di macrointerventi strutturanti e di microinterventi quotidiani, di grandi progetti centralizzati e di piccole pratiche individuali.

La composizione “sintattica” dei paesaggi di campagna è frutto dell’organizzazione territoriale impostata dall’azione umana: una risaia nel Biellese in una giornata invernale

La trama regolare dei campi bene rappresenta l’artificialità del paesaggio agricolo. Campi di riso nel Ferrarese

Foto R. Angelini

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risaie in Italia I paesaggi del riso rappresentano uno dei paesaggi agricoli più artificiali che si possano immaginare, in quanto la loro geometrica strutturazione è il frutto di lavori di disboscamento, di livellazione, di costruzione di argini, di partizione degli appezzamenti, di definizione di una rete di canali e di strade di comunicazione ecc. Eppure, in virtù delle caratteristiche generali che essi presentano, della prevalenza, all’interno del panorama visuale, degli elementi fisici (terra, acqua, aria, che nella piattezza delle aree coltivate acquistano un insolito risalto), delle tinte verdi delle piantine, della ricchezza di uccelli, migratori e stanziali, che trovano nelle distese allagate in primavera e in estate un perfetto habitat di caccia, di sosta o di nidificazione, essi ci appaiono nondimeno come ambienti “naturali”, espressione delle forze primigenie e di quel brulichio di vita vegetale e animale cui associamo l’idea di “natura”. Lo scrittore Guido Ceronetti, ammirando le paludi e le aree allagate durante i suoi viaggi per la penisola italiana (i cui resoconti sono raccolti nei volumi Viaggio in Italia, del 1985, e Albergo Italia, del 1987), parla delle paludi come incarnazioni territoriali del “cesto mosaico della vita”. Le risaie ci appaiono pertanto come incubatori di vita vegetale e animale, e in questo aspetto risiede parte del loro fascino spaziale.

Risaia: paesaggio naturale o paesaggio artificiale?

• Siamo abituati a pensare alla campagna

come a un ambiente naturale, anche se esso rappresenta in realtà il risultato di un lungo “addomesticamento” del territorio operato dall’uomo per fini produttivi. Le regolari suddivisioni dei terreni nei quali è coltivato il riso suggeriscono un’artificiale geometricità e disvelano dunque tutta la portata dell’intervento dell’uomo; dall’altra parte, però, il verde delle piantine sommerse, l’incanto delle acque, la presenza di svariate specie di uccelli, i filari di alberi ai bordi dei campi comunicano nondimeno la forte e intensa presenza, in questi ambienti, delle forze della natura. Le risaie incarnano perfettamente questa natura “ibrida” dei paesaggi rurali, composti innegabilmente da elementi naturali, ma al contempo innervati in ogni dettaglio dall’azione umana

Risaia “naturale” e risaia “artificiale” Come afferma Sergio Baratti, “[gli ambienti risicoli] si sono ormai fissati nella memoria storica collettiva fino ad apparire ‘naturali’; d’altra parte, la coscienza che questi ambienti sono anche la testimonianza di tante fatiche umane che si sono susseguite nei secoli aggiunge una qualificazione culturale particolare che indubbiamente influenza positivamente il modo stesso di guardare e ap-

Panoramica aerea delle risaie nel Pavese durante il periodo della trebbiatura

Foto R. Angelini

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paesaggio prezzare il paesaggio”. Per approfondire questo delicato rapporto fra natura e cultura sotteso all’ambiente di risaia, una prima importante distinzione da farsi è quella che distingue, per utilizzare la terminologia impiegata da Silvano Tintori, la “risaia naturale” (o “semi-naturale”) dalla “risaia artificiale”. Con il termine “risaia naturale” si intende la semina di riso in zone già paludose e allagate, con la quale in un certo senso si sfrutta un ambiente naturale, senza sovvertirne le caratteristiche di base. Con “risaia artificiale”, invece, si indica il risultato di una sistemazione dei terreni e della rete di irrigazione al fine di creare apposite “camere” di coltivazione allagabili. In entrambi i casi, potremmo parlare di un ruolo pionieristico dei paesaggi della risicoltura. Questa coltura agricola segna una delle prime operazioni di “addomesticamento” di uno degli ambienti più ostili all’uomo, la palude, segno tangibile di un dominio della natura sull’attività umana. Le zone paludose, fossero esse costiere (il riso peraltro si contraddistingue per la sua resistenza alla presenza di sali nelle acque di sommersione e nei terreni) o correlate alla rete di fiumi e affluenti di una pianura interna, hanno rappresentato storicamente un ostacolo rilevante, anche se certamente non insormontabile, per l’insediamento, per le attività agricole e per i trasporti. La trasformazione di una palude in una “risaia naturale” ha rappresentato in molte aree immediatamente peri-fluviali una delle prime fasi di forte “antropizzazione” del paesaggio: uno dei gradini chiave di quella lunga scala di trasformazione che ha portato all’attuale paesaggio monocolturale diffuso nelle aree di produzione risicola dell’Italia settentrionale. La “geografia delle paludi” dell’Italia settentrionale segnò la localizzazione delle prime aree di coltivazione, come ci ricorda uno

Risaie e paludi

• Il paesaggio delle risaie appare,

durante i periodi di sommersione estiva, una sorta di palude controllata dall’azione umana. Storicamente le prime coltivazioni di riso nella penisola italiana furono probabilmente svolte sfruttando zone già naturalmente paludose. Peraltro il riso è una pianta che può sopportare bene la presenza di una certa salinità. Per questo motivo esso è stato coltivato in molte aree costiere, nelle aree allagate che caratterizzano molti delta fluviali. È il caso, per esempio, delle aree del delta del Rodano in Camargue (Francia) o del delta del fiume Ebro nel Sud della Catalogna (Spagna). In Italia un caso esemplare è quello del delta del fiume Po. Nella provincia di Ferrara, sulla sponda destra del fiume, vi sono circa 6500 ettari coltivati a riso

Lungo la sponda destra del fiume Po, in provincia di Ferrara, si concentra la coltivazione del riso

Foto R. Angelini

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risaie in Italia degli agronomi che hanno dedicato maggiori attenzioni allo studio del riso, Antonio Tinarelli: “Ovunque, le prime coltivazioni furono attuate soltanto nei terreni a palude; nelle bassure e tra i boschi, dove il ristagno dell’acqua era assicurato e permanente per le frequenti esondazioni dei corsi d’acqua che pur modificavano con frequenza il proprio alveo a seguito di ogni importante evento meteorico. Alla fine del ’500, in pratica, il riso era coltivato in tutte le aree umide della valle del Po, laddove le paludi assicuravano una sommersione naturale continua nelle camere di coltura”. Paesaggio risicolo fra natura e cultura Il paesaggio risicolo rappresenta in molti casi l’evoluzione di un ambiente naturale semi-paludoso o almeno correlato da una forte presenza d’acqua. La localizzazione di molte aree di produzione risicola si è infatti assestata come azione pionieristica di “conquista” all’agricoltura di terreni alluvionali soggetti a perenne o periodica immersione. Come afferma il geografo Eugenio Turri, le coltivazioni di riso sfruttarono le aree del cosiddetto “disordine idraulico”, dove le acque dominavano l’assetto territoriale e dove la presenza umana doveva fare i conti con paludi, stagni, acquitrini, corsi d’acqua ecc. Osservando gli ordinati meccanismi paesaggistici che sottendono l’attuale risicoltura, sembrerebbe dunque possibile percepire sia una sorta di linea di continuità fra la base naturale sottesa alla risicoltura e l’aspetto contemporaneo, sia un effettivo salto di qualità nella capacità di “addomesticare” il territorio. Le fotografie aeree bene restituiscono l’aspetto geometrico e regolare che caratterizza la partizione colturale. Una trama di ap-

Risaia in Camargue. La coltivazione del cereale nell’area è stata intrapresa proprio per l’adattabilità del riso ad ambienti salmastri. Sullo sfondo dell’immagine il profilo urbano della città di Arles

La risaia “naturale” interessa dapprima i terreni dove il ristagno dell’acqua era assicurato e permanente

Foto R. Angelini

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paesaggio pezzamenti che forma una sorta di “scacchiera”, un mosaico agricolo in cui ciascuna camera di coltivazione rappresenta una tessera compositiva. Per comprendere la distanza, in termini di aspetto paesaggistico, fra un “prima” e un “dopo” l’introduzione della risicoltura in un determinato territorio, può essere utile ricordare l’ammirato rispetto con cui, nella redazione dell’inchiesta sull’agricoltura italiana capitanata dal conte Stefano Jacini alla metà dell’Ottocento, si faceva riferimento al lavoro svolto dall’uomo nell’area lombardo-piemontese della pianura: “Si è alterata perciò la superficie di molta parte della pianura. Insomma si è dovuto costruire, per così dire, la terra che doveva nutrirci nello stesso modo che i Veneziani hanno costruito la loro stupenda città. In questa sorgono grandiosi edifici e sublimi capi d’arte, dove un dì regnava lo squallore della laguna; fra noi si ammira la più ricca vegetazione d’Europa sul piano che la natura avesse condannato alle paludi, alle sabbie e alle ghiaie”.

Foto M. Capris

Geografia storica dei paesaggi del riso La geografia storica del riso in Italia ci restituisce le esigenze territoriali di questa coltura, impegnativa dal punto di vista tecnico-idraulico e bisognosa di un investimento intensivo su scala spaziale medio-grande, ma remunerativa dal punto di vista delle rese. Per coltivare il riso occorrono infatti una certa disponibilità di terreni pianeggianti, ricchezza di risorse idriche e un clima temperato. Gi storici presumono che nell’Italia meridionale vi siano state coltivazioni di piccole dimensioni già nel corso del Medioevo,

Le risaie sono caratterizzate da un “ordine idraulico” rigoroso, all’interno del quale l’afflusso e il deflusso dell’acqua sono regolati da una fitta rete di canali. Nell’immagine un canale di irrigazione presso Terdobbiate, in provincia di Novara

Trama di appezzamenti risicoli “a scacchiera” nel Ferrarese

Foto R. Angelini

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risaie in Italia probabilmente in prossimità di conventi e di insediamenti, civili e religiosi, dove si praticava la coltivazione di piante medicamentose. L’Oryza sativa era considerata e utilizzata all’epoca, infatti, come una pianta officinale. I primi atti documentari legati alla coltivazione del riso seguono la geografia delle pianure e dei fiumi disseminati lungo la penisola italiana: dalla piana del fiume Serchio nei contorni di Pisa (cui si riferisce il primo documento scritto legato alla coltivazione di riso, conservato negli archivi della penisola, risalente alla metà del Quattrocento) alle pianure della Lomellina (appartenente all’epoca ai domini del ducato milanese degli Sforza), a quelle del delta del Po. Uno dei più famosi documenti relativi alla “preistoria” italiana del riso è proprio relativo all’invio di dodici sacchi di riso donati nel 1475 da Galeazzo Maria Sforza al Duca di Ferrara, che progettava la messa a coltura con questo cereale dei difficili terreni paludosi della bassa pianura ferrarese. Nei territori del Ducato milanese le risaie erano dunque, a questa altezza cronologica, già relativamente consolidate. Alcune stime dell’estensione di coltivazioni risicole nella regione lombarda fanno pensare che le risaie avessero un’estensione di circa 5000 ettari a cavallo fra XIV e XV secolo, per poi ampliarsi nel giro di soli cinquant’anni, fino a raggiungere una superficie dieci volte superiore, vicina ai 55.000 ettari, nel 1550. La coltivazione del riso si diffuse con successo in tutta l’Italia settentrionale nel corso del XVI e del XVII secolo, principalmente lungo due direttrici: verso ovest in Piemonte e verso est in Veneto e in Friuli. Ben presto cominciarono le regolamentazioni per

Pianura Padana: un paesaggio idraulico

• Quando pensiamo alla Pianura Padana,

difficilmente una delle prime cose che viene in mente è la sua natura fondamentalmente “artificiale”. Vero è che la pianura si è formata attraverso i sedimenti alluvionali trasportati dal fiume Po e da tutta la rete di affluenti che convoglia le acque dalle Alpi e dagli Appennini verso le zone pianeggianti. L’attuale estensione delle aree di pianura, e soprattutto la “conquista” delle parti di bassa pianura più vicine al fiume Po, è opera umana. La Pianura Padana è fondamentalmente un “paesaggio idraulico” creato e gestito dall’uomo. Una delle aree in cui è maggiormente percepibile questo profondo impatto dell’azione umana è proprio il cosiddetto “distretto risicolo”, che si estende nei territori delle province di Pavia (circa 82.000 ha coltivati a riso), Novara (34.000 ha), Vercelli (73.000 ha) e Alessandria (8000 ha)

Foto R. Angelini

La rete idraulica che alimenta le risaie ha bisogno di un’attenta manutenzione. Nell’immagine un canale a servizio della risicoltura nel Biellese

Il lavoro svolto dall’uomo nell’area lombardo-piemontese della pianura ha permesso, come accadde nella laguna di Venezia, di sottrarre terreni condannati a paludi e alle sabbie, e di costruire sublimi opere d’arte come la Certosa di Pavia

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paesaggio Foto M. Capris

La risaia allagata assume l’aspetto di una geometrica palude

legge alla messa a coltura di risaie, principalmente legate a due motivi: la necessità di salvaguardare la produzione di altri cereali e il timore di epidemie malariche. A fronte di un relativo successo tecnico-economico della risicoltura, che fu alla base di una notevole estensione delle coltivazioni, iniziò proprio nel XV secolo la formazione di un cospicuo corpus giuridico di grida ed editti che vietavano la coltivazione del riso a una determinata distanza dalle mura urbane e dagli altri insediamenti umani. La geografia storica del riso è fatta di un continuo rapporto fra spinte centrifughe ed

Risaia nel Ferrarese durante le operazioni di semina

L’allagamento primaverile delle risaie rappresenta una fase importante per la protezione delle piante e per la loro crescita in condizioni ottimali. La presenza di acque stagnanti, però, ha provocato nel corso della storia forti resistenze nei confronti della risicoltura. Nell’immagine una risaia allagata presso Garbagna Novarese

Foto M. Capris

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risaie in Italia

Risaia e “paesaggi della paura”

• Già nel corso del Cinquecento iniziarono

le polemiche relative al potenziale rischio igienico e sanitario delle acque stagnanti nelle risaie. Il dibattito scientifico sui pericoli di diffusione di malattie e di febbri dovuti alla presenza delle coltivazioni del cereale ha attraversato tutta la modernità, ed è stato responsabile di molta della mobilità territoriale della “geografia del riso”: sia per il fatto che la coltivazione del riso venne proibita in diverse aree, sia perché in molti casi veniva fissata una distanza minima dalle mura urbane che le coltivazioni del cereale dovevano osservare. Le risaie incarnarono a lungo una tipologia ambientale percepita potenzialmente come ostile: un “paesaggio della paura”, per usare il termine proposto dal geografo americano Yi-Fu Tuan e ripreso dallo storico italiano Vito Fumagalli per lo studio del rapporto fra uomini e natura nel Medioevo

Risaia all’epoca del raccolto in provincia di Alessandria, nei pressi del centro di Balzola. Si notino sullo sfondo le coltivazioni di pioppi, che si alternano spesso alle “camere” della risicoltura, e, al centro, una striscia di vegetazione arbustiva che contorna un canale di irrigazione

espansive da una parte e di ridimensionamenti centripeti e riduttivi dall’altra. Fin dall’inizio dell’epoca moderna la risicoltura si presenta come una delle tipologie colturali più soggette a indirizzi di politica agricola e sanitaria decisi dagli organi di governo. Sviluppo dei paesaggi risicoli in Italia nell’Ottocento e nel Novecento Un momento di svolta nella geografia storica del riso fu il XIX secolo. In questo periodo le colture risicole, assestatesi su una distribuzione geografica abbastanza simile a quella attuale, visFoto M. Capris

“Marcia del riso” alla conquista di nuovi territori

• “All’estensione del paesaggio delle

paludi e degli acquitrini tra i secoli XVI e XVIII, la diffusione della risaia stabile darà un contributo non indifferente, e la ‘marcia del riso’ – che diverrà anch’essa una forza di propulsione decisiva per lo sviluppo capitalistico dell’agricoltura – sarà, nelle province settentrionali, non meno trionfale di quella del mais, e segnata come quella, nelle sue tappe, di lacrime e sangue” Storia del paesaggio agrario italiano, Emilio Sereni (1961)

Fosso di irrigazione presso Terdobbiate nel Novarese

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paesaggio sero, al pari di quanto stava accadendo sul fronte agricolo in tutta la penisola, un sostanziale miglioramento tecnico-scientifico dovuto all’avanzamento del sapere nei campi delle selezioni varietali, dell’uso dei concimi, delle tecniche di coltivazione, dell’ingegneria idraulica e delle conoscenze agronomiche. Anche il riso, dunque, visse da protagonista la parte finale di quella che è chiamata la “seconda rivoluzione agricola”, che, nel corso dell’epoca moderna, contribuì a trasformare radicalmente i paesaggi agrari di tutta Europa. Con il progredire delle conoscenze tecniche e scientifiche in diversi settori, anche la capacità antropica di incidere sul paesaggio divenne sempre più incisiva. Per quanto riguarda l’estensione delle coltivazioni risicole, si è calcolato che durante il periodo napoleonico le risaie in Italia avessero un’estensione di circa 120.000 ettari. Al di là dell’unificazione italiana e grazie allo slancio alle coltivazioni prodotto dall’apertura del Canale Cavour, l’estensione delle risaie arrivò al valore attuale, vicino ai 230.000 ettari. Il Canale Cavour collega il corso del Po a quello del Ticino, con un tracciato di 85 km da Chivasso, provincia di Torino, a Galliate, provincia di Novara. Esso fornisce acqua, prelevandola dal fiume Po (fino a una capacità massima di 100 metri cubi al secondo), a una larga fascia della Pianura Padana occidentale. Dagli anni dell’unificazione in poi la produzione di riso in Italia subisce avanzamenti e contrazioni legati a diversi fattori: concorrenza internazionale, variazione varietale, epidemie di infestanti, regolazioni giuridiche ecc. La localizzazione delle colture tende però a stabilizzarsi sempre di più nel cuore produttivo, rappresentato dall’area lombardopiemontese delle province di Pavia, Novara e Vercelli.

Geografia del riso in Italia fra continuità e cambiamento

• Le prime coltivazioni di riso in Italia

furono probabilmente legate, durante il Medioevo, all’utilizzo del riso come farmaco e medicamento. La pianta era conosciuta nella penisola fin dall’antichità classica, ma essa era percepita come un prodotto esotico, proveniente da lontani scenari territoriali. Qualche sporadica coltivazione fu probabilmente effettuata in via sperimentale dapprima nel Mezzogiorno, in virtù dell’influenza araba; furono infatti gli arabi a favorire la diffusione di questa coltivazione, portando con sé le conoscenza necessarie durante la loro conquista dell’Africa e della Spagna. Proprio attraverso i commerci con la Spagna fu però il Ducato di Milano a caratterizzarsi per le prime coltivazioni su larga scala nel XV secolo. Fra i paesaggi risicoli più antichi dell’Italia sono dunque da annoverare le terre dove ancora oggi si coltiva con successo il cereale

La diffusione della risicoltura nel corso dell’Ottocento e del Novecento riguardò soprattutto la Pianura Padana. Nell’immagine una risaia presso Vercelli

L’organizzazione di efficienti “scenari idraulici” è una delle caratteristiche che hanno accompagnato la diffusione della risicoltura in Italia nel corso del XIX e del XX secolo. Nell’immagine un canale di irrigazione nella bassa pianura mantovana

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risaie in Italia Foto M. Capris

Paesaggi risicoli otto-novecenteschi

• La coltivazione estensiva del riso in

Italia può vantare circa sei secoli di storia, ma i connotati attuali dei paesaggi del riso, come di tanta altra agricoltura, cominciano ad assumere le moderne fattezze nel corso dell’Ottocento. Il fattore principale di riorganizzazione e di promozione della risicoltura fu rappresentato dal varo di grandi programmi di lavori pubblici a seguito della nascita dello Stato italiano. Il completamento del Canale Cavour, inaugurato nel 1866, segna una data chiave nella strutturazione dei paesaggi del distretto risicolo lombardo-piemontese. Il canale alimenta un complesso apparato di irrigazione che, attraverso diramatori e canali secondari, immette progressivamente acqua nelle camere di coltura, seguendo la pendenza naturale della pianura, lentamente declinante dal pedemonte alle rive del fiume Po

Un canale di irrigazione costeggia una strada all’ingresso della località di Granozzo con Monticello, nel Novarese. Lo sviluppo della risicoltura fu legato al miglioramento delle tecniche di ingegneria idraulica

Distribuzione attuale dei paesaggi risicoli in Italia Teoricamente la coltivazione risicola potrebbe trovare applicazione quasi ovunque in Italia. I paesaggi risicoli italiani, se analizzati su scala comparativa con altre realtà internazionali, si pongono nella fascia di latitudine più settentrionale fra le varie aree di coltivazione mondiali. Anche solo considerando il continente europeo, il distretto risicolo lombardo-piemontese, congiuntamente ad alcune aree del Veneto e della Lombardia sud-orientale, rappresenta una delle aree di coltivazione più settentrionali di questo cereale, insieme ad alcune zone della Francia e della Romania. Foto R. Angelini

Una risaia in provincia di Alessandria con, sullo sfondo, le colline del Monferrato

La costruzione del Canale Cavour, che segue la pendenza naturale della pianura, segna la data chiave nella strutturazione dei paesaggi risicoli lombardo-piemontesi

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paesaggio Zone risicole – tradizionali o di più recente impianto – in Italia identificate secondo un Decreto Ministeriale nel 2004 Paesaggi risicoli nelle varie regioni d’Italia

• Il nucleo principale dei paesaggi

risicoli italiani si trova nelle pianure delle province lombardo-piemontesi. Non mancano però altre aree di produzione sparse in tutto il territorio nazionale, dal delta del fiume Po alle pianure del Veneto, dalle risaie ricavate nelle pianure toscane (in provincia di Grosseto e di Siena) alle piane alluvionali costiere della Sicilia, della Calabria e della Sardegna. La varietà delle situazioni climatiche trova un fattore accomunante nella ricerca di spazi piani o appena leggermente in pendenza, con ricco apporto di acqua. A testimonianza del radicamento della coltivazione del riso nella penisola, quasi tutte le cucine regionali italiane presentano ricette a base di questo cereale

Fonte: Elaborazione cartografica di Paolo Molinari su dati ISTAT

All’interno dei confini della penisola italiana, la coltivazione del riso è oggi presente in scenari territoriali assai diversi. Anche se la maggior parte della produzione è concentrata nell’area del distretto risicolo lombardo-piemontese (le quattro province di Novara, Vercelli, Milano e Pavia, contigue territorialmente, coprono circa il 90% della produzione italiana, e oltre il 50% di quella europea), le statistiche pubblicate annualmente dall’Ente Nazionale Risi attestano che nel 2007 vi erano coltivazioni risicole in ben ventotto province appartenenti a nove regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Calabria, Sicilia, Sardegna). Facile immaginare come questa accentuata varietà di localizzazione colturale si accompagni a un’estrema diversità di scenari territoriali, diffe-

Risaie allagate nei pressi del paese di Berra, in provincia di Ferrara

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risaie in Italia renti dal punto di vista morfologico, pedologico, climatico ecc. Le fonti archivistiche ricordano poi che la coltura del riso fu praticata, o perlomeno sperimentata, in altre sette regioni della penisola. All’interno della variegata realtà geografica italiana, solo quattro regioni risultano dunque “estranee” alla pratica della risicoltura, principalmente per ovvi ed evidenti limiti della morfologia montana: Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Liguria e Umbria. Questi sintetici dati ci fanno capire come l’ambiente geografico della penisola, sia pur assai mosso da un punto di vista morfologico e delle altimetrie, abbia rappresentato, grazie allo sviluppo delle tecniche colturali e al lavoro intensivo svolto storicamente dalla manodopera, uno scenario ospitale per la coltivazione del riso. L’accresciuta competitività sul piano commerciale e le moderne esigenze di riorganizzazione della produzione hanno poi operato una progressiva selezione delle aree di coltivazione, portando alla concentrazione nelle aree di pianura ove fossero disponibili in larga quantità delle risorse idriche. Oggi la coltivazione risicola si estende su circa 230.000 ettari, con lievi oscillazioni annuali.

Le risaie italiane hanno come sfondo ambientale paesaggi di grande varietà. Nell’immagine, risaie allagate fra le colline della provincia di Siena

Carta delle densità colturali del riso nelle aree di produzione (tradizionali e di nuovo impianto)

Fonte: Elaborazione cartografica di Paolo Molinari su dati ISTAT

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paesaggio

I paesaggi della risicoltura sono costellati di edifici abbandonati. Nella fotografia, campi di riso al momento del raccolto presso Quinto Vercellese

Il paesaggio risicolo si contraddistingue per la compresenza di risaie, di altre colture agricole e di insediamenti umani. Nell’immagine una risaia nell’area del delta del fiume Po, in provincia di Ferrara

Caratteristiche del paesaggio risicolo: dalla localizzazione alla descrizione, all’interpretazione Finora abbiamo sottolineato, nell’approccio ai paesaggi della risicoltura, un criterio di localizzazione: comprendere, cioè, dove le coltivazioni di questo cereale siano posizionate sul territorio nazionale e in che tipologia di ambienti. L’aspetto localizzativo, però, rappresenta solo un piano di indagine fra quelli privilegiati da un approccio basato sulle discipline geografiche. Sapere dove sono posizionati gli oggetti sulla superficie terrestre rappresenta una conoscenza importante, ma non esaurisce certo la complessità delle relazioni fra l’uomo e

Che cos’è un paesaggio?

• Il termine “paesaggio” è ricchissimo di

significati e viene utilizzato in contesti e accezioni assai diversificati. Esso rappresenta inoltre un importante punto di vista interdisciplinare, in quanto la complessa realtà dei paesaggi viene studiata da diverse discipline, quali l’ecologia, la geomorfologia, la climatologia, l’architettura, la pianificazione territoriale, le scienze naturali, la storia dell’arte, la letteratura e, ovviamente, la geografia. Una definizione ufficiale uscita dal Congresso Geografico Internazionale di Amsterdam del 1938: “Il paesaggio è un’entità fisionomica ed estetica, comprendente tutte le relazioni genetiche, dinamiche e funzionali con cui le componenti di ogni parte della superficie terrestre sono tra loro congiunte”

Tempo di raccolto nel Pavese: in primo piano le piante di riso al massimo della maturazione. In secondo piano una camera in cui il prodotto è stato già raccolto. Sullo sfondo una coltivazione di pioppi

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risaie in Italia

La presenza delle risaie nei dintorni delle città fu a lungo osteggiata per ragioni sanitarie e igieniche, in quanto la stagnazione delle acque veniva considerata causa di malattie e, soprattutto, del diffondersi delle febbri malariche. Nell’immagine, una risaia nel delta del Po

Il largo orizzonte del paesaggio risicolo trova delle “quinte teatrali” solo nei filari di alberi e nei profili delle colline o delle montagne all’orizzonte. Nell’immagine, risaie in provincia di Alessandria

la componente spaziale, che trovano nel concetto di paesaggio un’espressione primaria. Comprendere la localizzazione dei paesaggi del riso è una tappa preliminare a ogni approfondimento sul tema, ma non esaurisce certo la complessità del rapporto fra produzione agricola e contesto territoriale. Si tratta dunque di estendere il discorso sui paesaggi in due direzioni. Da una parte soffermandosi sulla loro natura compositiva, aprendo perciò una dimensione descrittiva che identifichi e commenti le caratteristiche principali e le fattezze più significative dei paesaggi del riso. In secondo luogo, occorre poi addentrarsi in uno sforzo di

Il paesaggio risicolo si contraddistingue per la sua dominante di “orizzontalità”. Nell’immagine risaie nel Ferrarese

Foto R. Angelini

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paesaggio interpretazione, per capire quali siano i valori economici, sociali e culturali incarnati da questi paesaggi e al contempo comprendere quale sia stata l’evoluzione di tali caratteri nel tempo.

Com’è fatto un paesaggio risicolo?

Caratteristiche del paesaggio risicolo Il paesaggio risicolo presenta alcune caratteristiche strutturali di fondo che ne delineano gli aspetti identitari. Innanzitutto, ovviamente, dei paesaggi risicoli risalta subito la piattezza, l’orizzontalità degli scenari di coltivazione. Lo spianamento delle singole superfici dove il cereale viene seminato è legato alla necessità colturale di assicurare un allagamento uniforme alle piantine in fase di crescita. All’interno di un campo occorre avere le differenze altimetriche più basse possibili, per evitare appunto che l’acqua si concentri in alcune aree, sommergendo le piantine, e ne lasci scoperte altre. Questo aspetto della piattezza, però, rappresenta solo l’aspetto primario, l’elemento di base della grammatica orizzontale dei paesaggi risicoli. Non solamente, infatti, il singolo campo (la cosiddetta “camera”) deve essere perfettamente orizzontale al suo interno, ma deve essere allineato e coordinato, in quanto a dislivelli altimetrici, con le camere circostanti e con la rete idrografica che permette l’afflusso e il deflusso dell’acqua. L’orizzontalità è dunque senza dubbio un aspetto caratterizzante del paesaggio risicolo, ma essa nasconde in realtà una complessa strutturazione di microlivelli di terreno, in modo che l’acqua possa procedere per gravità da una camera all’altra, o perlomeno con un equilibrio idraulico il più efficiente possibile. Il rapporto fra acqua e terra prevede uno scambio in entrambe le direzioni: la rete di canali serve ad apportare acqua per l’irriga-

• Anche se le caratteristiche pedologiche,

morfologiche e climatiche del contesto ambientale possono cambiare sostanzialmente anche solo all’interno del territorio nazionale italiano, i campi coltivati a riso si riconoscono, soprattutto durante la stagione primaverile ed estiva della coltivazione, per alcune caratteristiche di base: piattezza assoluta dei terreni, divisione in “camere” contornate da arginelli, presenza di una fitta rete di canali di irrigazione, frequente presenza di filari di alberi ai margini. Nel periodo di sommersione, che può variare da zona a zona e a seconda della tecnica di coltivazione adottata, le risaie sono la coltivazione più facilmente riconoscibile di tutta la campagna, in quanto le camere risultano allagate da un sottile strato d’acqua, e tutta la campagna diventa una sorta di “mosaico” di piccoli laghi

Risaia nel Senese. Il verde intenso delle piantine caratterizza i paesaggi della risaia nella tarda primavera

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risaie in Italia Foto R. Angelini

Orizzontalità del paesaggio risicolo ferrarese

zione nei momenti in cui c’è bisogno di sommergere le piantine, ma anche per il deflusso delle acque ove vi siano livelli troppo alti o quando occorre vuotare le camere e tornare alle condizioni di “asciutta”. L’apparato di irrigazione si presenta dunque come uno strumento duttile di regolazione dei terreni di coltura, che asseconda il “respiro” idraulico dei campi gestendo l’“inspirazione” e l’“espirazione” necessarie alla crescita del cereale. Alla base di questi delicati equilibri, dunque, vi è un’attenta articolazione di micro-dislivelli, anche solo di pochi centimetri, che

Risaie nel Novarese e sullo sfondo, come “quinta teatrale”, la catena alpina con il Monte Rosa

Foto R. Angelini

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paesaggio permettono una caduta per gravità dell’acqua dalla camera posizionata più in alto a quella posizionata più in basso. La tessitura territoriale delle camere di coltivazione influenza e imposta anche la presenza arborea, che contrasta, con la propria verticalità, la dominante orizzontale del paesaggio risicolo. I filari di alberi vengono infatti posizionati preferenzialmente lungo i canali d’acqua (spesso la doppia fila di alberi sulle due sponde crea una sorta di “effetto-sottolineatura” al percorso dell’acqua) e lungo i bordi dei campi, a “rinforzo” del ruolo divisorio incarnato dagli arginelli rialzati e anche con funzione protettiva del terreno dei campi contro il vento.

Foto A. Rondinone

Risaia come paesaggio idraulico Alla base del funzionamento idraulico del territorio vi è non solo la rete di canali e di rogge che portano l’acqua ai campi, ma anche una serie di manufatti che regolano i deflussi: paratie, chiuse, dighe, scolatori, cunei partitori, incastri, pompe, barraggi che permettono la regolazione puntuale del sistema attraverso la chiusura e l’apertura controllata delle vie di scorrimento. L’immagine esteticamente apprezzabile delle risaie allagate, di quel “mare apparente” composto per alcuni mesi all’anno di innumerevoli camere ricoperte da un sottile velo d’acqua, è dunque il risultato finale di una complessa serie di operazioni di regolazione dell’afflusso della risorsa liquida espletate attraverso una costellazione di manufatti idraulici. Il paesaggio della risaia, oltre a presentarsi come un paesaggio agricolo, appare dunque immediatamente anche come un “paesaggio idraulico”, come un contenitore territoriale

L’organizzazione del sistema di irrigazione e di regimazione idraulica della pianura lombardo-piemontese risale al Rinascimento. Nell’immagine il canale della Roggia Mora presso Vigevano

La verticalità delle alberature contrasta con l’orizzontalità della risaia, nel Ferrarese

Foto R. Angelini

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risaie in Italia nel quale l’afflusso e il deflusso di acqua cambiano le condizioni climatiche, il grado di umidità, le potenzialità colturali e, non ultimo, le fattezze estetiche del paesaggio stesso. L’aspetto attuale del paesaggio della risaia, come ci ricorda Emilio Sereni, uno dei massimi storici dei paesaggi agrari in Italia, è il frutto stesso delle tecniche di regimazione idraulica: “Sulla tessitura del paesaggio agrario, l’apertura di un nuovo canale d’irrigazione o l’utilizzazione delle acque di un nuovo fontanile ha spesso un effetto addirittura travolgente: alle esigenze dell’irrigazione, e del nuovo sistema agrario che essa comporta, si debbono ormai adeguare, col percorso dei canali, le forme regolari dei campi, e persino i limiti dei poderi e delle proprietà, secondo i rigidi schemi che le nuove tecniche stesse impongono”. Il controllo della risorsa idrica diventa così un elemento fondamentale per l’accesso al potere. Il paesaggio d’acqua della coltura risicola trova dunque nell’elemento liquido non solo un principio ordinatore e un fattore pressoché ubiquamente attivo nel dare indirizzo all’aspetto estetico e visuale, ma anche l’incarnazione di un’espressione di potere. Chi ha il controllo sull’acqua possiede indirettamente il controllo sul territorio, perché la sicurezza, la stabilità e la produttività di quest’ultimo dipendono dall’approvvigionamento idrico. In questo senso, secondo la brillante intuizione di Eugenio Turri, si può parlare anche in questo contesto geografico del riso come “pianta di civilizzazione”. La celebre espressione era infatti stata coniata dal geografo francese Pierre Gourou, che aveva a lungo studiato i sistemi di produzione risicola dell’Asia sudorientale. Con la definizione di “pianta di civilizzazione” Gourou aveva riconosciuto al riso il rango di coltura in grado di influenzare

Un paesaggio “fatto d’acqua”

• Il paesaggio risicolo è un paesaggio

totalmente innervato dalla risorsa idrica. La primazia dell’elemento idrico non è da intendersi solamente come un dominio visuale durante il periodo estivo di sommersione. L’acqua permea direttamente o indirettamente tutta l’organizzazione del territorio circostante. Il controllo della risorsa idrica risulta ancora oggi fondamentale per la sopravvivenza della risicoltura. I conflitti nell’utilizzo delle risorse idriche sono emersi con chiarezza nel corso delle ultime estati, quando le secche dei fiumi e i problemi di approvvigionamento idrico hanno conquistato le prime pagine dei giornali. Il fascino dei paesaggi risicoli è oggi inestricabilmente connesso alla loro “fragilità”, alla complessità della filiera di rifornimento della “materia prima” fondamentale, l’acqua

Risaia nei dintorni di Vercelli durante la fase di allagamento

Foto A. Rondinone

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paesaggio Foto R. Angelini

Paesaggio risicolo e sua mutevolezza stagionale

• I paesaggi del riso offrono il loro

aspetto più spettacolare in tarda primavera e in estate, quando le camere sono allagate e i riflessi del cielo e degli alberi creano effetti ottici inusuali per la campagna. Anche d’inverno, tuttavia, la trama insediativa della risicoltura è facilmente riconoscibile, in virtù della regolare parcellizzazione dei campi, della fitta rete di canali di irrigazione, degli apparati idraulici per la regolazione del flusso delle acque. Lo scenario è dunque ugualmente distinguibile, ma in un certo senso appare come uno stadio calcistico di lunedì, cioè come un contenitore vuoto, in attesa di tornare a riempirsi con i protagonisti del suo “gioco” produttivo: l’acqua e le piantine di riso, dal caratteristico color verde brillante

a catena non solo la produzione agricola, ma lo stesso assetto territoriale, l’equilibrio ecologico, la struttura sociale e le pratiche culturali. In questo senso il riso, anche in contesti geografici meno esotici, come nel caso italiano, è in grado di avvicinare le caratteristiche del cosiddetto “modo di produzione asiatico”. Secondo Turri, quest’ultimo rappresenta “un modo tutto speciale di produzione, le cui peculiarità dipendevano soprattutto dal meccanismo irrigatorio che, non potendo essere gestito nella sua stessa vastità e complessità dal singolo coltivatore, dipendeva da un’entità superiore, organizzatrice”. Foto M. Capris

Risaia a fine settembre nei pressi di Vercelli. Un caldo colore giallo caratterizza i paesaggi della risaia nel periodo del raccolto

Campo di riso sotto la neve presso Terdobbiate, nel Novarese. Il paesaggio risicolo, come tutti i paesaggi agricoli, assume aspetti diversi a seconda delle stagioni

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risaie in Italia Variabilità stagionale dei paesaggi risicoli Proprio in virtù del calendario degli allagamenti delle camere con acqua, la variabilità stagionale del paesaggio risicolo è alta. Nel periodo di sommersione, che va all’incirca da aprile ad agosto (le tecniche colturali adottate sono diversificate, per cui si può avere la semina in asciutto oppure direttamente in acqua, si possono adottare irrigazioni turnate che alternano periodi in asciutta a periodi di sommersione ecc.), il paesaggio risicolo appare come una campagna inusitatamente allagata, all’interno della quale emergono con chiarezza i confini dei campi, orli rialzati sul piano di coltivazione, che definiscono una sorta di “reticolo” sovrimposto sul territorio. Altro elemento che svetta sono le strade, asfaltate o sterrate, che uniscono come cordoni ombelicali le singole cascine alla rete viaria. L’elemento edilizio delle cascine appare perfettamente integrato al sistema di coltivazione, delineando quasi delle “isole” abitative che emergono sulle risaie allagate. Ovvio che nel periodo di non-allagamento, che coinvolge dunque principalmente l’autunno e l’inverno, il paesaggio risicolo sia meno marcatamente originale, e si avvicini, nel suo aspetto visuale, a quello della campagna pianeggiante circostante le aree di coltivazione risicola. La risaia, dunque, ritrova in autunno quella che Pierre Restany chiama l’“asciuttezza della sua linea­rità”. Ciò nonostante, la suddivisione degli appezzamenti in camere, i piccoli arginelli laterali, la presenza dei canali di irrigazione permette di riconoscere le risaie anche nel periodo meno appariscente. Nell’avvicendarsi delle stagioni in risaia Eugenio Turri vede una perfetta consonanza fra azione umana e cicli naturali: “Del terri-

Patrimonio cartografico: una “fotografia di paesaggio” attraverso i secoli

• La cartografia storica, ancora lontana

dal moderno aspetto ingegneristico e tecnico delle carte contemporanee, ci restituisce con efficacia iconografica gli assetti paesaggistici del passato. Proprio in virtù della complessità di gestione dei territori risicoli e delle risorse idriche a esso correlate, le testimonianze cartografiche relative alle risaie sono assai numerose e dettagliate. Una delle raccolte più importanti di cartografia dei territori risicoli è la collezione di disegni, composta da oltre 15.000 pezzi, conservata presso l’Archivio Storico del Canale Cavour a Novara. Le carte antiche, con la loro efficacia grafica, le loro accattivanti tinteggiature, le riuscite iconografie simboliche dei vari elementi territoriali, ci aiutano a comprendere l’evoluzione storica dei paesaggi risicoli e ci offrono ancora attuali chiavi di lettura per la loro corretta comprensione

Foto M. Capris Foto M. Capris

Scorcio della campagna novarese presso Terdobbiate. La piattezza del paesaggio della risaia è funzionale all’organizzazione estensiva delle colture

Risaia del Novarese. Appena dopo il raccolto le risaie tornano ad assumere un aspetto più “normale” e “standard” all’interno del panorama agricolo

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paesaggio Foto V. Mancini

Foto A. Rondinone

Sbocco di un canale di irrigazione regolato da una paratia. Si noti l’utilizzo, come materiale di costruzione, del granito proveniente dalle Alpi

Risaie in sommersione

torio della risicoltura vercellese si può dire che come pochi altri esso fa sentire il respiro stagionale coinvolgente vita fisica e vita antropica, con le piogge di primavera e i fiumi alimentati dallo scioglimento delle nevi alpine, cui corrisponde in pianura la semina nelle risaie allagate: adesione perfetta, cronometrica, del lavoro umano al meccanismo naturale, idrografico”.

Caratteristico verde brillante del riso nel Ferrarese

Foto R. Angelini

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risaie in Italia Carattere evolutivo e dinamico del paesaggio risicolo Il paesaggio risicolo, proprio perché così profondamente sedimentato nel tempo (la sua creazione, come si è ricordato in precedenza, affonda di oltre sei secoli nella storia), potrebbe apparire come tendenzialmente “immobile” e “immutabile”. In realtà, come avviene per tutti i paesaggi, esso rappresenta il risultato di una lunga evoluzione ed è soggetto a continui, anche se impercettibili, cambiamenti. Il paesaggio rappresenta dunque l’ultimo fotogramma di un film che mette in scena l’evoluzione costante del territorio. Attraverso le fonti archivistiche è possibile ricostruire l’evoluzione storica dei paesaggi risicoli. Oltre ai documenti legati al possesso dei terreni, al catasto, all’acquisto di sementi, alla ricerca di manodopera, alle concessioni di derivazione delle acque, cioè a tutte le transazioni di tipo sociale ed economico che rimangono registrate per iscritto, anche le rappresentazioni artistiche (disegni, quadri, incisioni ecc.) e soprattutto la cartografia storica permettono di immaginare i differenti aspetti che i paesaggi risicoli hanno assunto nel corso dei secoli. La cartografia conservata presso gli enti di bonifica e i comprensori di irrigazione restituisce a grande scala l’intensità e la frequenza degli interventi pianificatori e dei mutamenti programmati dall’uomo. Le essenziali carte catastali e i piani di escavazione dei canali, delle derivazioni, delle rogge restituiscono una rappresentazione paesaggistica impregnata di uno sguardo tecnico e ingegneristico sul territorio, non privo, tuttavia, di sintetici richiami (una tinta di colore, un riferimento grafico alla presenza di alberi, un toponimo, un dettaglio) alla valenza estetica del paesaggio che andava profilandosi in parallelo agli interventi di regolazione.

Foto M. Capris

Albero solitario lungo una carraia che costeggia una risaia a Terdobbiate, nel Novarese. Il paesaggio della risaia è oggi molto meno alberato di quanto fu probabilmente in passato Foto M. Capris

Foto M. Capris

All’osservatore contemporaneo i paesaggi della risicoltura appaiono oggi largamente spopolati. Già negli anni Settanta del Novecento il geografo Francesco Adamo aveva significativamente parlato di “agricoltura senza agricoltori”. Nell’immagine la campagna presso Terdobbiate, nel Novarese

Il paesaggio risicolo attuale è il risultato di una lunga evoluzione temporale. Nell’immagine un tratto di campagna tra Nibbiola e Granozzo con Monticello, in provincia di Novara

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paesaggio Evoluzione storica del paesaggio risicolo L’aspetto attuale del paesaggio risicolo nelle principali aree di coltivazione della penisola italiana rappresenta il frutto di una strutturazione consolidatasi progressivamente durante i secoli. La maggior parte dei territori delle aree di produzione italiana rappresenta dunque il risultato di azioni storiche che affondano nel cuore della storia medievale e moderna. L’attuale assetto del territorio nelle zone di produzione risicola piemontese e lombarda, per esempio, è il frutto di lavori di bonifica e di regimazione delle acque iniziati in epoca romana. Anche se la coltivazione del riso si è presumibilmente diffusa in quest’area solamente a partire dalla seconda metà del XV secolo, i lavori di consolidamento e di preparazione dei terreni agricoli sulle quali si svilupperanno le risaie erano iniziati molto prima, e avevano ricevuto un contributo fondamentale dal lavoro di dissodamento e di bonifica promosso dalle grandi abbazie religiose. La coltivazione del riso, avvenuta in Italia settentrionale dapprima nell’area della Lomellina e del Basso Milanese, e poi diffusasi nelle altre province lombarde, piemontesi, venete ed emiliano-romagnole, si presenta dunque come il risultato di imponenti lavori di regolazione idraulica, e insieme come un ulteriore volano di sviluppo per il consolidamento della rete irrigua e dei terreni di coltivazione. In generale il processo di trasformazione territoriale comportò una forte opera di disboscamento, per cui le superfici a copertura

Foto A. Rondinone

La meccanizzazione delle fasi di lavorazione ha contribuito allo spopolamento delle campagne, riducendo drasticamente il fabbisogno di manodopera. Nell’immagine un momento della semina nei dintorni di Berra, in provincia di Ferrara

Le grandi abbazie religiose, come quella di Santa Maria di Lucedio, fornirono un contributo fondamentale all’opera di bonifica

Foto R. Angelini

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risaie in Italia forestale vennero drasticamente ridotte per lasciare spazio ad aree colturali non interrotte da ostacoli. Il fenomeno del disboscamento è inoltre proseguito anche in epoca recente in ragione della meccanizzazione di gran parte delle fasi di coltivazione (semina, spargimento dei fertilizzanti e degli antiparassitari, raccolta ecc.). I potenti trattori e le altre macchine agricole che hanno permesso di ridurre esponenzialmente l’apporto di manodopera hanno richiesto però, viste le necessità di manovra e di movimento, un’ulteriore “pulizia” del paesaggio risicolo da ostacoli di natura morfologica e vegetale. Eugenio Turri bene riassume il lungo tragitto temporale che ha portato alla formazione dell’attuale paesaggio risicolo nel distretto produttivo piemontese: “Il prodigio della risicoltura nella pianura piemontese è stato proprio questo: di aver dato ordine al sistema delle acque (fluviali e di risorgiva) e aver promosso in modi razionali, efficienti, la coltivazione del cereale, sostenuta da tutto quell’insieme di strutture inserite organicamente nel territorio, trasformato in una sorta di macchina produttiva”. Il paesaggio risicolo contemporaneo è composto da camere di maggiori dimensioni rispetto al passato, ed è inoltre caratterizzato da una minore frequenza di siepi e di filari alberati di contorno. In un certo senso il paesaggio della risicoltura si è progressivamente “desertificato” e ha perso parte della sua caratteristica biodiversità. Anche la commistione fra risicoltura e altre colture caratteristiche dell’intensiva agricoltura padana (in particolare mais e pioppeti) rappresenta un assetto territoriale sviluppatosi in un passato piuttosto recente. Oggi

Paesaggi della risicoltura fra passato, presente e futuro

• Ogni innovazione nelle tecniche

agronomiche e nella tecnologia a disposizione degli agricoltori si ripercuote sugli aspetti paesaggistici. La progressiva meccanizzazione della risicoltura, per esempio, ha portato a una maggiore “pulizia” del territorio da siepi, alberi, filari. Le moderne macchine che operano negli appezzamenti coltivati a riso hanno bisogno di un territorio sgombro da ostacoli. L’utilizzo sempre più spinto della tecnologia ha portato anche a una ridotta presenza dell’uomo. I paesaggi della risicoltura, rispetto al passato, appaiono “desertificati” anche da un punto di vista della manodopera. Anche in futuro le politiche di indirizzo agricole e le scelte tecnologiche adottate sul campo continueranno a produrre influenze sull’aspetto paesaggistico delle aree di risicoltura

Foto R. Angelini

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paesaggio l’alternarsi di queste colture dominanti nel regolare mosaico degli appezzamenti di terra della Pianura Padana rappresenta uno dei “paesaggi tipici” più caratteristici di diverse zone della Pianura Padana. Anche dal punto di vista della frequentazione umana il paesaggio risicolo si è “desertificato”. La grande quantità di manodopera che la coltura risicola occupava fino agli anni Sessanta del Novecento è stata progressivamente sostituita da una meccanizzazione spinta. Oggi i trattori impiegati nella risicoltura sono macchine sofisticatissime in grado di svolgere con grande efficacia operazioni, come la semina e lo spargimento di diserbanti, in tempi incredibilmente ristretti rispetto a solo quaranta o cinquant’anni fa. Già a metà degli anni Settanta del Novecento il geografo torinese Francesco Adamo parlava, a proposito di certe aree del Piemonte, di “agricoltura senza agricoltori” suggerendo, attraverso l’efficace formula sintetica, la progressiva “scomparsa” della presenza umana dai paesaggi della risicoltura.

“Prototipo” della moderna cascina: la Villa Sforzesca di Vigevano

• Uno dei primi prototipi storici della

forma-cascina è rappresentato proprio da quello che fu l’insediamento pioniere simbolicamente posto lungo il Canale Sforzesco che approvvigionò d’acqua l’area intorno a Vigevano: la Villa Sforzesca, terminata alla fine degli anni Ottanta del XV secolo su progetto dell’ingegnere Gugliemo da Camino. Anche se la coltura del riso nella tenuta modello della Sforzesca divenne effettivamente dominante solo dopo il passaggio di proprietà alla famiglia ligure dei Saporiti nel corso del XVIII secolo, questo complesso di edifici rappresenta l’archetipo architettonico di quel modello di edilizia rurale oggi noto con il nome di cascina lombardopiemontese

Insediamento umano nel paesaggio risicolo La diffusione del moderno sistema di coltivazione risicola ha condotto a una ridefinizione in chiave intensiva dell’organizzazione agricola delle aree coinvolte. La risicoltura è una tipologia di coltivazione piuttosto intensiva, che abbisogna di forti investimenti tecnici e, fino alla metà del XX secolo, anche di una forte partecipazione di manodopera impiegata stagionalmente. Nel maggior Foto R. Angelini

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risaie in Italia

Foto A. Rondinone

Scorcio degli edifici della Cascina Cinquina, nel comune di Massazza (BI). La quantità di manodopera un tempo impiegata nella risicoltura è testimoniata dall’imponenza delle costruzioni rurali che ospitavano i lavoratori e i macchinari

Le cascine sono sempre posizionate strategicamente lungo corsi d’acqua, canali o rogge, sia per motivi di approvvigionamento idrico sia per utilizzare la forza motrice dell’acqua. Nell’immagine una ruota di mulino azionata dalla forza idraulica in località Mora Bassa, nella campagna di Vigevano

distretto risicolo della penisola, quello lombardo-piemontese, la frammentazione delle grandi estensioni latifondiarie ha prodotto una più frequente dispersione della trama insediativa su territorio. Questa necessità di creare numerosi punti di presidio territoriali ove ospitare la manodopera e le attrezzature necessarie per la coltivazione ha portato lentamente, nel corso dei secoli, alla messa a punto di una tipologia insediativa che è divenuta caratteristica dell’area: la cascina.

Azienda Darola a Trino Vercellese

Foto R. Angelini

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paesaggio La cascina (che deriva etimologicamente dalla forma antica cascio a intendere “cacio”, “formaggio”, origine spiegabile con la presenza integrata di allevamento e di pratiche agricole nella cascina) si presenta come un complesso di edifici di norma uniti a formare un rettangolo o un quadrato. La scansione degli edifici sui quattro lati prevede un’alternanza di destinazioni abitative (sia padronali sia per i contadini) e di usi agricoli (stalle, magazzini, depositi, fienili, granai ecc.). Il complesso edilizio si presenta nel suo insieme come una sorta di castrum romano, di accampamento quasi fortificato (di norma le vie di accesso alla cascina potevano essere chiuse con grandi portoni; sovente si trovano dei torrioni ai quattro angoli del complesso di edifici). La cascina, “iconema” centrale del paesaggio risicolo Nel sistema agricolo della risicoltura la posizione della cascina è decisa non solo in base alla distribuzione delle terre da coltivare, ma anche in relazione alla rete di canali e di rogge per l’approvvigionamento di acqua. La casa rurale è quasi sempre posta in condizioni di facile accessibilità a un corso d’acqua, sia per l’approvvigionamento diretto di acqua sia per necessità di trasporto. Le cascine si presentano dunque come snodi centrali del paesaggio risicolo, gangli cui fanno riferimento sia il tessuto idrografico sia la rete dei trasporti. Eugenio Turri definisce la “grande corte, la cascina acquattata nel verde, tra gli specchi d’acqua delle risaie” come l’“elemento base di tante cellule territoriali (grandi e medie proprietà) che si pongono anche come iconemi fondamentali del paesaggio della Bassa Vercellese (come del Novarese e della Lomellina)”. La parola “iconema”, secondo Turri, deve intendersi “come unità elementare di percezione, come segno all’interno di

Scorcio della Cascina Cinquina, in provincia di Biella, nel comune di Massazza. Le cascine si presentano come quadrilateri di edifici il cui perimetro poteva essere chiuso con cancelli e portoni

Elemento simbolo del paesaggio risicolo: la cascina

• Ogni paesaggio ha i propri elementi

simbolici di riferimento, che diventano una sorta di “bandiera identitaria”. Il paesaggio della risicoltura nella Pianura Padana, in virtù della sua dominante orizzontale, trova un’ideale espressione sintetica nelle forme edilizie dell’insediamento umano tipico di questa forma di conduzione agricola: la cascina. I possenti edifici rurali a forma quadrata si trovano anche in aree della Pianura Padana non dominate dalla coltivazione del riso, ma dove essa prospera questi prototipi architettonici vivono un risalto peculiare, in virtù del loro isolamento, che li rende quasi “avamposti” della presenza umana sul territorio. Durante la sommersione estiva, poi, le cascine acquistano un ulteriore risalto, divenendo quasi “isole” in mezzo al “mare” sommerso dei campi

Foto M. Capris

La cascina, spesso di dimensioni imponenti, si presenta come un segno caratteristico del paesaggio risicolo, un vero e proprio “iconema”, secondo la definizione del geografo Eugenio Turri. Nell’immagine uno scorcio della cascina Buzzoleto Vecchio a Garbagna Novarese

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risaie in Italia

Valore estetico e manutenzione dei paesaggi risicoli

• Tutti i paesaggi agricoli rappresentano

delicati meccanismi territoriali il cui funzionamento ha bisogno di costante manutenzione. Quelli risicoli, a maggior ragione in virtù della complessità di fattori idraulici e agronomici in gioco, sono paesaggi per cui l’attenta “cura” rappresenta una ricetta imprescindibile. Questa “cura” comprende una complessa e diversificata serie di attività e di politiche di prevenzione: la corretta gestione ecologica, la manutenzione dei meccanismi idraulici, la conservazione della varietà floristica e faunistica, la pulizia dei canali, la riduzione dell’inquinamento delle acque e dei terreni, un’equilibrata lotta contro le piante infestanti ecc. Il paesaggio che appare ai nostri occhi rappresenta in un certo senso la “pelle” dell’organismo territoriale che ci sta di fronte: più la pelle appare luminosa e bella, più il corpo sottostante è sano

Gli edifici rurali presentano una tipica alternanza di spazi per il ricovero degli attrezzi, di locali per il deposito dei raccolti e di abitazioni per i contadini. Nell’immagine uno scorcio del perimetro esterno di una cascina del Biellese

un insieme organico di segni, come sineddoche, come parte che esprime il tutto, o che lo esprime con una funzione gerarchica primaria, sia in quanto elemento che meglio d’altri incarna il genius loci di un territorio sia in quanto riferimento visivo di forte carica semantica del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio territorio”. Le cascine, dunque, appaiono come puntuali presidi di attività antropica che costellano le estensioni colturali, a testimonianza di un indissolubile rapporto fra uomo e ambiente naturale, fatto di quotidiane frequentazioni e di un capillare controllo del territorio.

Scorcio della campagna ferrarese presso Berra. Gli insediamenti umani localizzati intorno alle risaie assumono quasi l’aspetto di “isole” durante il periodo della sommersione

Talvolta gli edifici rurali circondano insediamenti nobiliari e castelli, che rappresentavano uno spazio difensivo all’interno del quale era possibile arroccarsi in caso di invasioni e di guerre. Nella fotografia il castello di Quinto Vercellese, sulla destra, circondato da edifici rurali

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paesaggio

Foto R. Angelini

Bruciatura delle stoppie

I piccoli arginelli che separano una “camera” di coltivazione dall’altra necessitano di costante cura. Nella fotografia una risaia nei pressi di Quinto Vercellese

Foto R. Angelini

“Manutenzione” dei paesaggi risicoli Ogni paesaggio agricolo è bisognoso di cura continua per assicurare la propria operatività e la propria funzionalità. Più un meccanismo paesaggistico è complesso nell’interattività delle proprie componenti, maggiore sarà il suo bisogno di “manutenzione”. Il presidio pressoché quotidiano e continuato delle aree agricole si configura come una necessaria opera di continuo aggiustamento e fluidificazione degli ingranaggi che assicurano la base produttiva. L’attenzione necessaria verso il territorio appare macroscopicamente ineludibile proprio nell’ambiente della risaia, che è Foto E. Di Giovanni

Complesso della grancia di Sali Vercellese Foto R. Angelini

Una casa rurale in rovina nella campagna novarese. Le zone della risicoltura presentano anche molti “paesaggi dell’abbandono”, relitti di trame insediative che sono state travolte dalla meccanizzazione agricola e dal crollo del numero degli occupati nel settore primario

Complesso della grancia di Montonero

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risaie in Italia fondato su un delicatissimo equilibrio idraulico, sulla necessità del livellamento dei campi, su una miriade di canali di irrigazione che capillarmente raggiungono ogni appezzamento, sulla rete di argini e arginelli che separano una camera dall’altra. Proprio in ragione della lunga tradizione storica che ha portato all’attuale aspetto dei paesaggi risicoli, la loro salvaguardia sembra oggi assumere non solamente un ruolo di difesa di questo comparto produttivo agricolo, ma anche di conservazione della memoria storica. All’interno di quest’ottica, il paesaggio stesso si presenta come una sorta di archivio a cielo aperto delle tecniche ingegneristiche e della capacità di adattamento e di affinamento del sistema che hanno condotto nel corso dei secoli a continue modifiche e miglioramenti. Il paesaggio del riso richiede una manutenzione perenne, correlata peraltro all’equilibrio idrogeologico dei territori circostanti, perlomeno all’interno del sistema del bacino idrografico. L’afflusso di acqua che sta alla base delle tecniche di sommersione è strettamente correlato alla gestione della risorsa idrica a livelli di bacino, che procede poi a sua volta in parallelo alla gestione agro-forestale e alle politiche di urbanizzazione. In questo senso la risicoltura si inserisce in un più ampio ventaglio di pianificazione territoriale e di gestione delle risorse.

Foto M. Capris

I paesaggi della risicoltura si propongono oggi non solo come esempi di sfruttamento intensivo a scopi colturali, ma anche come patrimonio culturale e storico di un determinato territorio. Nell’immagine una risaia e un pioppeto nella campagna di Terdobbiate, in provincia di Novara

Paesaggio risicolo: risorsa economica e valore territoriale La Convenzione Europea del Paesaggio, documento approvato dagli Stati membri del Consiglio d’Europa nel 2000 e ratificato dall’Italia nel 2006, ci ricorda la natura poliedrica del concetto di paesaggio. Il paesaggio è oggi da intendersi come risorsa tout court, anche in senso economico, come si può leggere nei preamboli della Convenzione: “Constatando che il paesaggio svol-

Valori economici del paesaggio

• Se il paesaggio rappresenta la “pelle”

del territorio, e di esso mette in mostra lo stato di salute, ci si può a ragione chiedere quali siano i vantaggi economici di tale “salute”, o, se si vuole, gli svantaggi economici di eventuali “malattie” paesaggistiche. Il paesaggio possiede anche un solido valore economico, anche se non facilmente quantificabile. Un paesaggio che possa ispirare apprezzamento (anche attraverso una attenta divulgazione delle pratiche di lettura del territorio) rappresenta un valore aggiunto per l’economia. Non solo perché contribuisce alla qualità della vita, ma anche perché è in grado di attrarre risorse esterne, consolidandosi come un punto di riferimento per il marketing turistico-territoriale

Il paesaggio della risicoltura, oltre a costituire una risorsa economica, rappresenta un modello di gestione idraulica del territorio. Nella fotografia una risaia in provincia di Siena

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paesaggio

Territorio, cultura, lavoro

• Le direzioni di valorizzazione dei

paesaggi risicoli sono bene sintetizzate da uno degli studiosi più importanti di questioni risicole, Roberto Magnaghi, che ricopre la carica di direttore dell’Ente Nazionale Risi (che ha sede a Milano): “Eccolo il nesso tra territorio, cultura e lavoro, ben presente fin dalle origini nella risicoltura italiana. L’unica, nel novero delle grandi colture del Paese, che sia riuscita a modellare insieme al territorio una propria civiltà, caratterizzata da una sua tecnica agronomica, da un proprio folclore e da una specifica tradizione gastronomica, ma soprattutto da una filiera che gioca un ruolo di primo piano nell’economia di intere province”

Il paesaggio risicolo è un paesaggio molto complesso, le cui componenti (strade, canali, argini, campi spianati ecc.) hanno bisogno di costante manutenzione. I bordi delle “camere” di coltivazione, per esempio, devono essere tenuti puliti dalla vegetazione. Nell’immagine una risaia del Senese

ge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica, e che, se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”. Per questo l’analisi qualitativa del paesaggio è entrata a far parte delle valutazioni di pianificazione territoriale. Il dato va tenuto presente quando si parla di salvaguardia del Foto M. Capris

L’utilizzo di carte geografiche nel packaging, come nel caso di questo prodotto proveniente da Jolanda di Savoia, in provincia di Ferrara, aiuta a creare un collegamento, agli occhi del consumatore, fra i paesaggi della risicoltura e il prodotto alimentare

Primo piano di una coltivazione di riso a Terdobbiate (NO). I paesaggi della risicoltura sono ricchi di valori ecologici e ospitano numerose specie vegetali e animali

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risaie in Italia paesaggio; preservare un paesaggio non significa solamente investire in un bene che passivamente richiede risorse per la propria sopravvivenza e che nulla restituisce in cambio, se non la propria più o meno riconosciuta piacevolezza estetica. Impegnarsi nella conservazione di un paesaggio significa anche favorire la sopravvivenza di un’economia che intorno a esso trova le proprie radici. Questo aspetto è giustamente emerso nelle discussioni relative alla politica agricola comunitaria (PAC) e ai sussidi di cui gode l’agricoltura italiana. Altrettanto certamente, però, il valore del paesaggio non si esaurisce nelle componenti economiche. Come correttamente afferma uno studioso che ha dedicato al riso molte ricerche, l’ingegner Sergio Baratti: “Nel territorio delle tre province risicole – Novara, Vercelli e Pavia – alle sorti della risicoltura risultano strettamente connessi non solo gli assetti economici ma anche quelli territoriali e paesaggistici”. Alcune varietà di “Riso della Baraggia Biellese e Vercellese”, il primo in Italia a ottenere la certificazione DOP (Denominazione di Origine Protetta) da parte dell’Unione europea. Si noti come nelle fotografie pubblicitarie si enfatizza la vicinanza delle coltivazioni risicole alla catena montuosa alpina: assieme a un prodotto, si “vende” anche un territorio

Paesaggi enogastronomici e valenze turistiche Uno dei punti di forza dei paesaggi risicoli è la potenzialità di divenire elemento di attrazione turistica. Una delle caratteristiche forti del prodotto “riso” è proprio, nelle parole di Sergio Suardi “il secolare legame storico, ambientale, culturale, economico e sociale che lo lega indissolubilmente alle ‘terre d’acqua’ in cui esso viene coltivato”. Questo legame può essere utilizzato nella costruzione di una potenziale appetibilità turistica per i paesaggi risicoli, specialmente quelli del distretto lombardo-piemontese. Pensiamo per esempio a forme di turismo “dolce” e sostenibile Foto M. Capris

La classica immagine delle mondine chine al lavoro in un campo di riso è entrata a far parte del marketing turistico. In questo caso un cartello di benvenuto ai visitatori di Morano, in provincia di Alessandria

La percezione dei paesaggi risicoli passa sempre di più attraverso la conoscenza e la promozione dei prodotti enogastronomici. L’identità dei paesaggi del riso si fonda sempre di più sulla valorizzazione enogastronomica del cereale

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paesaggio come l’agriturismo, il birdwatching, il turismo enogastronomico, che potrebbero trovare, a vario titolo e con diverse ottiche, un privilegiato scenario nelle terre di produzione risicola. I paesaggi del riso potrebbero entrare nel mercato delle destinazioni turistiche con il vantaggio di un prodotto nuovo e inedito. La valorizzazione estetica operata sui paesaggi del riso da tante ricerche fotografiche e indagini antropologiche potrebbe trovare uno sbocco nella promozione turistica dei luoghi di produzione di questo cereale. Anche il ruolo sempre più importante ricoperto nella commercializzazione da parte delle indicazioni geografiche tipiche (nel caso del riso la DOP – Denominazione di Origine Protetta e la IGP – Indicazione Geografica Tipica), attraverso la forte enfasi sul territorio di produzione e sulle sue caratteristiche storico-geografiche, sembra costituire una promettente dimensione di valorizzazione del paesaggio risicolo. La diffusione di un marchio produttivo strettamente correlato a un’immagine territoriale porta con sé la promettente prospettiva di una maggiore riconoscibilità e di un maggiore apprezzamento dei paesaggi che caratterizzano l’area di produzione tipica. Quando uno specifico prodotto ottiene la certificazione (come nel caso della certificazione IGP posseduta dalla varietà “Vialone nano veronese” o della recentissima — agosto 2007 — certificazione DOP ottenuta da sette varietà di “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”), in un certo senso è tutto il suo territorio a ottenere una indiretta e ufficiosa “certificazione di qualità”, in quanto il valore del prodotto enogastronomico riflette il valore delle specificità territoriali all’interno delle quali esso viene prodotto.

Paesaggi multisensoriali

• La comprensione e l’apprezzamento dei

paesaggi passano sempre di più attraverso un vasto spettro di multisensorialità. Accanto alla tradizionalmente dominante contemplazione visuale del paesaggio, stanno prendendo sempre più piede l’“ascolto” del paesaggio (con una rinnovata attenzione ai suoni prodotti da un determinato ambiente, e al contempo alle tradizioni musicali da esso espresse nel corso dei secoli), l’assaporamento olfattivo (i profumi e gli odori dei luoghi hanno un ruolo importante nel rapporto con i paesaggi e nella memorizzazione delle immagini territoriali) e anche l’esperienza tattile (il toccare la concreta fisicità degli elementi di cui si compone un paesaggio agricolo − la terra, l’erba, l’acqua, le foglie, il legno, i prodotti delle coltivazioni ecc. − sta diventando parte integrante dell’esperienza paesistica)

Foto R. Angelini

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risaie in Italia Paesaggi della geografia culturale: immagini letterarie, cinematografiche, musicali e promozione del territorio La percezione dei paesaggi reali viene sempre di più mediata da filtri di natura culturale. I nostri sentimenti nei confronti dei luoghi, i nostri immaginari geografici, la natura delle nostre aspettative di viaggio, le preferenze nel recarsi in una località o in un’altra nascono e si sviluppano in dialogo con un complesso universo massmediatico. Le immagini territoriali presentate sui quotidiani, in televisione, sulle riviste specializzate, nei cataloghi di viaggio, in televisione, su Internet e attraverso molti altri canali informativi contribuiscono, in quanto paesaggi “virtuali”, alla messa a fuoco dei paesaggi concreti, reali, che sperimentiamo direttamente attraverso i nostri sensi. Esiste dunque una sorta di parallelismo fra i processi economici, che tendono a influenzare dall’esterno (attraverso il ruolo di politiche economiche e agricole sviluppate in un “altrove” politico-burocratico: i centri decisionali a livello regionale, nazionale o continentale) lo sviluppo, la gestione, perfino l’estensione dei paesaggi del riso, e i processi culturali. La formazione di immagini territoriali e di “retoriche” del territorio è spesso eterodiretta, non nasce in loco ma viene gestita e diffusa a differenziati livelli transcalari. La percezione dei paesaggi reali non può essere più compresa se non si tengono in considerazione queste forze immateriali che contribuiscono alla loro interpretaUno dei fenomeni più interessanti di promozione integrata del territorio e dei prodotti enogastronomici è rappresentato dagli itinerari organizzati tematicamente e denominati “strade”. Nell’immagine un opuscolo promozionale della “Strada del Riso e dei Risotti Mantovani”

Una risaia in provincia di Siena. Le politiche di pianificazione territoriale sono chiamate a raggiungere specifici “obiettivi di qualità paesaggistica”

Nel marketing turistico convergono immagini relative ai valori ecologici, alla tradizione storica e all’offerta enogastronomica. Nell’immagine due pagine di un servizio sulle terre del riso lombardo-piemontesi apparso nel supplemento “I Viaggi” del quotidiano La Repubblica nel giugno 2003

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paesaggio zione, al loro apprezzamento, alla loro “appetibilità” turistica. Il panorama iconografico legato ai paesaggi del riso è complesso, e in esso si intersecano produzioni culturali, politiche di valorizzazione del territorio, immagini di marketing turistico, strategie di marketing territoriale ecc. Questi canali di produzione di immagini territoriali attingono a loro volta dal patrimonio storicodocumentario disponibile in relazione ai luoghi. Basti pensare, per esempio, all’importanza delle immagini territoriali correlate ad alcune opere artistiche, come nel caso del film Riso amaro di Giuseppe De Santis. Uno dei repertori iconografici “forti” con cui viene interpretato e valorizzato il paesaggio risicolo oggi è proprio quello legato al mondo primo-novecentesco delle mondine, quando masse di lavoratrici confluivano nelle zone di produzione risicola per la stagione estiva del riso. Questa periodica migrazione per lavoro ha rappresentato all’epoca un formidabile veicolo di moltiplicazione delle immagini territoriali correlate alla coltivazione del riso, portando migliaia e migliaia di donne provenienti da altre parti d’Italia nella zona di produzione lombardopiemontese. La forza comunicativa del repertorio iconografico legato a quest’epoca si riflette oggi all’interno di un diffuso revival neo-ruralistico che porta all’apprezzamento del “com’era una volta”, dei “sapori genuini” di un tempo, delle tradizioni agricole del passato. All’interno di questo repertorio di paesaggi immateriali sono da interpretare le strategie di promozione dei musei della civiltà contadina, il recupero delle celebrazioni festive legate al calendario agricolo, la rivisitazione in chiave eclettica e postmoderna del mondo contadino di un tempo. I paesaggi connessi alla produzione culturale finiscono per influenzare incisivamente la percezione dei paesaggi reali. Per questo motivo non si può ignorare, nella descrizione dei paesaggi geografici, il ruolo svolto dai paesaggi mediatici e ideologici che attraversano una società in un determinato periodo storico.

Un nuovo obiettivo: la qualità paesaggistica

• La Convenzione Europea del Paesaggio

definisce il paesaggio come “parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (art. 1). L’enfasi si sta spostando, infatti, sempre di più, sulla partecipazione delle popolazioni ai processi decisionali. Come “obiettivi di qualità paesaggistica” la Convenzione intende “la formulazione da parte delle autorità pubbliche competenti, per un paesaggio determinato, delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita”. In ultimo, con “salvaguardia dei paesaggi” si intendono “le azioni di conservazione e mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore patrimoniale derivante dalla sua configurazione naturale e/o dall’intervento umano”

Nuovi paesaggi del riso: le frontiere del futuro I paesaggi del riso, lo si è osservato in più punti, provengono da lontano, affondano le loro radici nella storia. Oggi sono però chiamati ad affrontare nuove sfide e ad accettare cambiamenti e sollecitazioni. L’organizzazione e la pianificazione paesistica sono sempre di più correlate a differenti scale normative. Le politiche europee, per esempio, attraverso la promulgazione e la ratifica della Convenzione Europea del Paesaggio, stanno sempre di più sollecitando una nuova governance paesaggistica, che tenga anche in debita considerazione le politiche partecipative di coinvolgimento delle popolazioni locali. Le stesse ragioni d’essere dei paesaggi risicoli sono nelle mani delle politiche agrarie comunitarie, che attraverso la regolazione dei sussidi e dei dazi di importazione del prodotto possono determinare l’espansione, la contrazione o la crisi di questo comparto produttivo. 234


risaie in Italia Dall’altra parte è la tecnologia a proporre nuove direzioni di sviluppo. La sfida delle varietà di riso geneticamente modificate, per esempio, è un punto interrogativo sul quale l’Unione europea e i vari Stati che la compongono si stanno confrontando dal punto di vista politico come da quello scientifico. L’adozione di questo tipo di coltivazioni provocherebbe cambiamenti nei metodi di organizzazione colturale (per es. legati ai problemi di separazione dalle colture tradizionali) che avrebbero un diretto impatto sui paesaggi della risicoltura. Sull’altro versante, anche le tecniche di coltivazione biologica, i cui prodotti stanno consolidando sempre di più la propria posizione sul mercato, rappresentano una tendenza non priva di ricadute sugli ordinamenti territoriali. Le politiche adottate in una direzione o nell’altra influenzeranno comunque i paesaggi della risicoltura. Addirittura i paesaggi umani, quelli che il sociologo indiano Arjun Appadurai chiama gli ethnoscape, cioè, letteralmente, paesaggi etnici, stanno cambiando, con la presenza di manodopera immigrata nel settore risicolo. È notorio, per esempio, come più volte segnalato sulla rivista Il risicoltore, che manodopera femminile di origine cinese sta recuperando il ruolo e i compiti delle antiche mondine in alcune aziende a conduzione biologica. Le tensioni cui è sottoposto il mondo della risicoltura sono plurime e provenienti da diverse direzioni. I paesaggi del riso, come sempre hanno fatto nella storia, continueranno a riflettere tanto le permanenze quanto i caratteri innovativi.

Foto M. Capris

La Convenzione Europea del Paesaggio assegna un rinnovato valore alla conservazione dei paesaggi, intesi come elementi identitari delle popolazioni che in essi vivono. Nell’immagine, risaie dell’azienda agricola Calzavacca a Terdobbiate, nel Novarese

I primi tre paragrafi sono da attribuire a Carlo Brusa, i restanti paragrafi sono da attribuire a Davide Papotti.

Tenuta Venaria a Vercelli dove, nel 1948, vennero ambientate numerose scene del film Riso amaro

Foto V. Mancini

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il riso

paesaggio Acqua e rete irrigua Mauro Greppi, Giuseppe Sarasso

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.


paesaggio Acqua e rete irrigua Irrigazione del riso Il riso richiede una buona disponibilità di acqua per lo sviluppo della sua pianta e il governo dell’acqua diventa molto importante per il successo della coltivazione. Nella risaia si crea un ambiente dove esiste uno stretto connubio tra acque superficiali e falda freatica. In particolare nel territorio padano l’irrigazione per sommersione porta a un equilibrio tra le acque del primo acquifero e le acque irrigue che favorisce la coltura del riso. In tale contesto, dove l’irrigazione per sommersione è prevalente, l’efficienza della rete irrigua è di primaria importanza. La rete di canali richiede però una adeguata manutenzione per consentire di soddisfare i fabbisogni irrigui nel rispetto di una gestione economica dell’irrigazione. L’idrodinamica delle acque superficiali, distribuite laminarmente nell’irrigazione per sommersione, il processo d’infiltrazione nel suolo non saturo e la filtrazione nell’acquifero consentono il trasporto di sostanze presenti in sospensione nell’acqua. Il monitoraggio e lo studio di questi processi fisico-chimici diventa importante per conoscere e preservare la qualità dell’ambiente e l’habitat del territorio della risaia. Le acque irrigue, da una parte, trasportano verso i campi sia le particelle fini tenute in sospensione, prodotte dal processo erosivo del bacino idrologico di monte, sia le sostanze chimiche immesse nella rete idrografica di adduzione; mentre, dall’altra, convogliano alla rete di drenaggio le sostanze asportate dalle superfici a coltura. Le acque distribuite sui campi, come le acque meteoriche, in parte percolano e sono il vettore per il trasporto nell’acquifero delle sostanze presenti in superficie; ma il moto dell’acqua nell’acquifero, in assenza di prelievi dalla profondità,

Funzione dell’acqua nella coltivazione del riso

• Ancorché il riso si adatti a essere

coltivato in molte situazioni idriche, in tutto il mondo i migliori risultati produttivi si ottengono dove si attua la sommersione controllata continua. L’acqua, oltre a sopperire alle esigenze fisiologiche della pianta, funge da volano termico proteggendola dagli sbalzi di temperatura, particolarmente dannosi nelle fasi critiche della germinazione e della formazione delle cellule madri del polline. Controlla tutte le piante non acquatiche e rallenta lo sviluppo delle temibili infestanti appartenenti alla specie Echinochloa. Mantiene il suolo in stato ridotto, ove l’azoto si conserva allo stato ammoniacale. Sotto tale forma, è disponibile per il riso e si sottrae al dilavamento legandosi al terreno

Panoramica delle risaie allagate in primavera

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acqua e rete irrigua rende difficile il trasferimento di queste sostanze al di sotto del livello della falda. La presenza invece di prelievi dall’acquifero in profondità, tramite pozzi, favorisce la diffusione delle sostanze anche negli acquiferi profondi. La risaia nella Pianura Padana è in gran parte irrigata con una rete irrigua che distribuisce acqua alla bocchetta di irrigazione in continuo e anche nelle aree di rispetto dei centri urbani, dove si pratica la coltura del riso in asciutta, la rete irrigua è, di solito, sempre in carico. Il mantenere i canali in carico consente una migliore gestione della rete sia per la minore manutenzione che un canale con portata costante richiede rispetto a uno che subisce consistenti variazioni di portata, sia per il minor costo delle operazioni di governo della rete e sia anche per il contributo apportato da questa alla ricarica dell’acquifero superficiale. L’acqua irrigua viene distribuita ai campi tramite manufatti di piccole dimensioni, denominati bocchette, collocati lateralmente alle pareti dei canali, in particolare in quelli di dimensione più piccola che sono detti terziari. La portata derivata è regolata tramite una piccola paratoia e, per consentire una corretta distribuzione dell’irrigazione nel comparto risicolo servito dallo stesso canale, diventa necessario un controllo da parte di operatori. La dimensione dei campi (camere delle risaie) influenza i tempi del controllo e quindi i costi relativi. Infatti a ogni camera in genere corrisponde una bocchetta e ne consegue che a pari superficie irrigata una dimensione minore delle camere comporta un maggior numero di bocchette e di conseguenza un maggior costo per il controllo. L’irrigazione sopperisce ai fabbisogni colturali coprendo sia l’evapotraspirato della pianta sia l’acqua assorbita dall’accrescimento biologico sia l’acqua infiltrata nel terreno. Una parte però dell’acqua irrigua viene restituita alla rete di canali drenante che raccoglie da bocchette di scarico l’acqua di supero di superficie. La

Bocchetta prefabbricata per il passaggio dell’acqua tra due camere

Foto R. Angelini

Comprensorio a riso che evidenzia zone con camere regolari di ampia dimensione e zone con camere di piccola dimensione dal contorno irregolare Risaie nel Ferrarese

237


paesaggio portata di scarico è notevolmente variabile durante il ciclo colturale. L’acqua scaricata dalla camera di risaia sommersa viene chiamata colatura e di solito viene utilizzata per irrigare camere che si trovano a giacitura inferiore. Il reticolo drenante in gran parte confluisce nel reticolo irriguo di valle. La stessa acqua percolata in falda viene in parte restituita a valle dai fontanili e viene riutilizzata per irrigare i terreni a giacitura inferiore. Nello stesso comprensorio una parte dell’acqua irrigua è utilizzata più volte, consentendo di irrigare una superficie molto superiore a quella teoricamente irrigabile con le portate derivate dai corsi d’acqua naturali. Nella risicoltura italiana il controllo accurato del livello dell’acqua di sommersione è da secoli considerato condizione fondamentale per il successo produttivo. Nella tradizione, l’acquaiolo ha sempre rivestito un posto di primo piano nella gerarchia della comunità agricola, proprio per l’importanza del suo compito. Il pradarö o campè (modi dialettali per definire l’operaio addetto alla regolazione dell’acqua) veniva normalmente scelto tra i soggetti più abili ed esperti tra i molti presenti nelle aziende. Dai primi del ’900, epoca di rivendicazioni salariali e normative da parte delle mondine, fino all’apparizione degli erbicidi intorno al 1960, una importante integrazione all’estirpazione manuale era costituita dalla gestione del livello dell’acqua. Approfittando del fatto che le varietà di riso allora coltivate riuscivano a sopportare nelle prime fasi colturali un livello di sommersione leggermente più elevato rispetto ai giavoni, l’acquaiolo doveva essere in grado di regolare la sommersione mantenendola nello stretto confine al di sotto della soglia di danno alla coltura e al di sopra di una eccessiva emergenza dei giavoni. Un insuccesso dell’operazione comportava un costo del lavoro di estirpazione manuale incompatibile con la redditività della coltura. Attualmente con l’evoluzione della tecnologia il compito è diventato ancora più difficile, e determinante ai fini del successo del risultato produttivo, e il lavoro di regolazione dell’acqua viene sempre più frequentemente svolto in prima persona dal coltivatore. Nel metodo di coltivazione tradizionale e più diffuso in Italia, quello della risaia sommersa, l’acqua assolve a tre compiti fondamentali: quello di volano termico, di controllo delle infestanti, e di gestione dell’azoto, oltre a essere a disposizione per le necessità della coltura. La sommersione non è continua, ma viene interrotta più volte nel corso della stagione per brevi periodi, in funzione degli interventi agronomici necessari. La diffusione del riso crodo ha indotto l’introduzione di metodi di lotta che hanno un importante riflesso sulla gestione irrigua, specie nelle prime fasi della coltura. In funzione della strategia di lotta applicata, le necessità irrigue variano sensibilmente, ma necessitano in genere di un drenaggio seguito a breve dalla risommersione, operazioni che devono essere rapide. Il terreno scoperto, lasciato al sole troppo a lungo, asciuga, si ossida, si riscalda,

Colature

• Per mantenere in sommersione a livello

costante un bacino o “camera” di risaia, è d’uso rifornirla di una portata continua di acqua lievemente superiore alla effettiva necessità. La portata in eccedenza, scaricata tramite un piccolo stramazzo, viene definita “colatura”. Quest’acqua, riscaldata dal passaggio in risaia, presenta una temperatura più favorevole allo sviluppo del riso, e viene riutilizzata nelle camere più a valle, dando vita a un importante recupero di risorsa

Foto R. Angelini

Riso crodo in disseminazione: la sua diffusione ha richiesto metodi di lotta che hanno un importante riflesso sulla gestione irrigua, specie nelle prime fasi della coltura

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acqua e rete irrigua e favorisce molte nuove germinazioni di semi infestanti posti in profondità, vanificando i risultati delle applicazioni erbicide. L’ossidazione del terreno porta alla nitrificazione dell’azoto, presente sotto forma ammoniacale nei terreni sommersi, e ne causa il dilavamento. Nei primi giorni dopo la risommersione, un livello d’acqua tale da ricoprire completamente le infestanti ne favorisce la distruzione completa. Indipendentemente dalle strategie adottate per il controllo del riso crodo, all’atto della semina, il livello ottimale per favorire la germinazione del riso è compreso intorno ai 5 cm. L’indispensabile asciutta di radicamento dei germinelli del riso, che viene eseguita di norma a 7-10 giorni dalla semina, e le successive interruzioni dell’irrigazione richieste per gli interventi erbicidi, per i motivi sopra riportati, devono essere di durata tale da non permettere al terreno di perdere lo stato di saturazione (3-6 giorni, a seconda del tipo di terreno e delle temperature). La risommersione dopo questo intervento deve essere comunque rapida, senza però coprire i germinelli del riso. Le nuove varietà contenenti il gene semidwarf, quindi a taglia bassa e ridotta velocità di accrescimento del germinello, le basse concentrazioni di ossigeno presenti nelle acque, e possibili residui di erbicidi applicati in presemina e non ancora completamente degradati, costituiscono una associazione di fattori tali da deprimere la capacità di emersione del riso dall’acqua. La messa al bando per motivi ambientali dei vecchi, efficaci alghicidi rende imperativa una grande cautela in questa fase di risommersione, onde evitare che le plantule vengano coperte dalle alghe. In caso di piogge persistenti la possibilità di scaricare l’acqua in eccesso in tempi rapidi, non oltre le 24 ore, è fondamentale per prevenire una moria dei germinelli, e ottenere un investimento adeguato. Se la risaia è infestata da alghe, e

Foto E. Marmiroli

Risaia allagata in attesa del passaggio dello spianone

Alba di primavera

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paesaggio l’innalzamento del livello di sommersione porta lo strato algale al di sopra della fogliolina del riso, il danno è assicurato. Tutte queste limitazioni impongono regolazioni dell’acqua precise al centimetro, che richiedono una discreta abilità, tenendo conto delle sempre più vaste superfici dominate da un singolo addetto, che possono raggiungere in alcuni casi i 300 ha. Da questo quadro appare evidente l’importanza vitale dell’efficienza della rete idraulica presente sul territorio, affinché le possibilità di manovra siano costantemente assicurate. Il sistema irriguo svolge la doppia funzione di drenaggio (bonifica) e irrigazione, quasi sempre in contemporanea, in quanto gli stessi canali fungono in genere da colatori in un punto, e da irrigatori per un altro appezzamento posto a poche centinaia di metri più a valle. Solo in assenza di coltura, oppure durante piogge persistenti, la rete assolve a una funzione esclusivamente drenante.

Foto R. Angelini

Bilancio idrologico Per la descrizione quantitativa del processo irriguo si opera su scala comprensoriale (come esempio si è scelto quello riportato nella cartina a pagina seguente) utilizzando la semplice equazione di bilancio di massa dei volumi idrici in ingresso e in uscita dall’area oggetto di studio. Questo metodo, chiamato bilancio idrologico, costituisce un valido strumento per la conoscenza e la valutazione quantitativa dei movimenti dell’acqua. Si basa su una semplice equazione di bilancio di massa del sistema considerato:

Risaie nel Novarese

dS = I – Q ___ dt

(1)

dove dS/dt è la variazione di volume immagazzinato nel sistema, I sono gli ingressi al sistema e Q le uscite.

Trebbiatura del riso lungo il Canale Cavour, nel Vercellese

Foto R. Angelini

240


acqua e rete irrigua Per poter risolvere la (1), occorre definire il sistema e l’arco temporale al quale ci si riferisce. Nel caso di un tipico sistema idrologico la (1) può essere scritta come:

P – ΔQ – ΔG – E – T = ΔS

Canale Cavour: meraviglia dell’ingegneria ottocentesca

(2)

• Il canale più importante del sistema

dove P è la precipitazione, ΔQ è la differenza tra deflusso superficiale entrante e uscente dal sistema, ΔG è la differenza tra deflusso sotterraneo entrante e uscente dal sistema, E è l’evaporazione, T è la traspirazione delle piante. In genere, a livello comprensoriale, la risoluzione rigorosa di questa equazione non è possibile in quanto uno o più termini non sono noti. Tuttavia, una valutazione, anche approssimata, dei termini del bilancio risulta comunque di grande interesse, in quanto permette di giungere a considerazioni estremamente utili in sede di progettazione e di gestione dei comprensori irrigui, o più semplicemente di comprensione e quantificazione dei flussi idrici.

irriguo della risaia italiana è intitolato a Camillo Cavour (1810-1861). L’idea della costruzione fu di un agricoltore della zona, Francesco Rossi (1794-1858), e il progetto definitivo è opera di Carlo Noè. La costruzione iniziò nel luglio 1863, e nella primavera del 1866 il canale poteva già trasferire 80 m3/s, dei 110 di progetto. Il canale è lungo 83 km, e intersecava, all’epoca della costruzione, 272 corsi d’acqua e 101 strade. I manufatti relativi, compresi il ponte canale sulla Dora e il sifone sotto la Sesia, hanno resistito in modo mirabile alle ricorrenti alluvioni che hanno colpito il territorio, meglio di opere ingegneristiche più recenti, e il canale continua attualmente a lavorare al massimo della portata prevista

Comprensorio campione delimitato dai tre corsi d’acqua naturali: Dora Baltea, Sesia e Po e dal principale canale di irrigazione della zona: il Canale Cavour

F. Sesia Dora Baltea

C. Cavour

Foto R. Angelini

Po

Questo territorio possiede una struttura pedologica abbastanza uniforme e una ricca disponibilità di acqua che ha consentito di raggiungere un’uniformità colturale veramente singolare per la Pianura Padana con estensioni, a livello di superficie comunale, aventi percentuali superiori al 90% di SAU (superficie agraria utile).

Canale Cavour

241


paesaggio Per l’area in esame, sono state considerate le precipitazioni giornaliere registrate in una serie di stazioni, ubicate all’interno del comprensorio o nelle sue immediate vicinanze. Il volume di pioggia giornaliera è stato quindi ottenuto attribuendo le misure puntuali all’area di influenza di ciascuna stazione, calcolata secondo l’ormai consolidato metodo di Thiessen. Nell’ambito di una stessa giornata, le altezze di precipitazione risultano significativamente differenti tra una stazione e l’altra.

Foto R. Angelini

Ubicazione delle stazioni pluviometriche nel comprensorio campione e relative aree di influenza secondo il metodo di Thiessen Olcenengo: 97,64 km2 Mazzè: 5,12 km2

Staz. Sperimentale: 49,84 km2 Desana: 103,1 km2 Caresana: 99,66 km2

Derivazione dal Canale Cavour

Trino: 237,08 km

2

Rive: 101,04 km2

Riso, mais e pioppi nel Novarese

Foto R. Angelini

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acqua e rete irrigua Per un periodo temporale, per esempio, che va dal 15 aprile al 15 settembre di un anno campione, il volume di precipitazione affluito sull’area di studio è stato di 203 milioni di m3, distribuiti in 76 giorni di pioggia, con una media giornaliera di circa 2,7 milioni di m3.

Distribuzione della precipitazione giornaliera nelle stazioni meteorologiche presenti sul territorio considerato, per il periodo aprile-settembre 90 80 Afflussi (mm)

70 60 50 Ponte canale sulla Dora

40 30 20 10 0

15- 25- 05- 15- 25- 04- 14- 24- 04- 14- 24- 03- 13- 23- 02- 12apr apr mag mag mag giu giu giu lug lug lug ago ago ago set set

Olcenengo

Desana

Caresana

St. sper.

Trino

Rive

Mazzè Chiusa della presa del Canale Cavour a Chivasso

Foto R. Angelini

243


paesaggio Portate superficiali in ingresso (Qin) I volumi derivati dalla rete idrografica e distribuiti al comprensorio campione durante la stagione irrigua, sommati, portano a un valore complessivo di circa 1,14 miliardi di m3, con un valore medio giornaliero di 7,4 milioni di m3 e un massimo di 9 milioni di m3.

Confronto tra i volumi dell’afflusso meteorico e il volume totale distribuito

Confronto tra i volumi dell’afflusso meteorico e il volume totale distribuito (parte a strisce)

• Nel grafico a fianco è possibile

notare che, in concomitanza delle precipitazioni più intense, il volume distribuito viene diminuito per consentire alla rete dei colatori di smaltire il volume meteorico affluito. Solo successivamente la portata derivata dalla rete idrografica viene gradualmente ripristinata e il volume distribuito raggiunge il valore massimo

Ingressi (m3)

30000000 25000000 20000000 15000000 10000000 5000000 0 15- 25apr apr 05- 15- 25magmag 04mag giu 14- 24- 04Afflussi giu giu 14Portate distribuite lug lug 24- 03- 13lug ago 23ago ago 02- 12set set

Portate di deflusso in uscita (Qout) Le acque raccolte dai colatori e non più riutilizzate a uso irriguo sono restituite prevalentemente al fiume Sesia in sponda destra. Il volume annuo, complessivamente defluito nel periodo considerato, risulta di 160 milioni di m3. Analisi dei deflussi superficiali in uscita dal comprensorio

• Dal grafico risulta evidente

Deflussi (m3)

la concomitanza tra i picchi delle portate in uscita dal comprensorio e le precipitazioni ed è inoltre possibile notare che mentre all’inizio della stagione una parte dell’afflusso meteorico viene immagazzinata (con contemporanea riduzione dei volumi distribuiti), con l’avanzare della stagione i volumi precipitati tendono a lasciare completamente l’area sotto forma di deflussi superficiali

9000000

30000000

8000000 7000000

25000000

6000000

20000000

5000000 4000000

15000000

3000000

10000000

2000000

5000000 1000000 0 0 15- 25-05- 15- 25- 04- 14- 24- 04- 14- 24- 03- 13- 23- 02- 12apr apr magmagmag giu giu giu lug lug lug ago ago ago set set Afflussi R. Bona R. Marcova

244

Afflussi (m3)

Analisi dei deflussi superficiali in uscita dal comprensorio


acqua e rete irrigua I picchi di deflusso osservati nei canali colatori, senza che vi sia stata precipitazione, evidenziano le fasi di messa in asciutta della coltura; ciò è particolarmente evidente dalla metà di agosto in poi.

Configurazione dei terreni coltivati a riso

Evapotraspirazione (ET) Per quanto riguarda la valutazione dell’ET, la complessità del fenomeno rende estremamente complicata una sua trattazione rigorosa; una stima per l’area considerata è stata ottenuta dalle temperature massime e minime relative registrate nelle stazioni pluviometriche. Nel caso del riso poi l’evapotraspirazione reale si può far coincidere con l’evapotraspirazione potenziale.

• La parte predominante della risicoltura

italiana si trova in sponda sinistra del Po, tra gli affluenti Dora Baltea e Ticino. Si tratta di una pianura dolcemente digradante verso sud, dalle Prealpi al Po, e verso est. Sfruttando questa configurazione geografica, l’acqua è condotta alle risaie tramite una lunga serie di successivi sbarramenti siti sui corsi d’acqua naturali e sui canali artificiali

Infiltrazione (I) La valutazione dei volumi infiltrati nel suolo a scala comprensoriale, risulta estremamente difficile a causa dell’elevata variabilità spaziale delle caratteristiche del suolo. Per la risaia si hanno anche variazioni sensibili da un anno all’altro a seconda delle lavorazioni meccaniche effettuate. Si è pertanto considerato un tasso di percolazione variabile nel corso della stagione tra 15 mm/giorno in aprile e 10 mm/giorno in settembre. Il processo di infiltrazione nel terreno non saturo avviene seguendo un moto per gravità e per diffusione capillare, in altre parole è un processo composto sia dalla propagazione dell’acqua per adesione alle pareti delle particelle solide, che costituiscono il suolo (processo di capillarità), sia dalla percolazione dell’acqua sotto la forza di gravità. La struttura del suolo superficiale e quella dello stesso terreno in profondità favoriscono o meno questo processo di trasferimento.

Confronto tra i componenti del bilancio idrologico per il comprensorio studiato, valori espressi in m3 30000000 25000000 20000000 15000000 10000000 5000000 0 15- 25- 05- 15- 25- 04- 14- 24- 04- 14- 24- 03- 13- 23- 02- 12apr apr mag mag mag giu giu giu lug lug lug ago ago ago set set P

Qin

Qout

I

ET

245


paesaggio Variazione del volume invasato nel comprensorio (DS) e altezza d’acqua sulla superficie risicola relativa al volume immagazzinato nel comprensorio (S) 25

Afflussi e variazioni di invaso (m3)

30000000

• La variazione giornaliera di invaso

superficiale e i corrispondenti volumi cumulati, sono riportati come livello medio dell’acqua nelle camere di risaia del comprensorio. Per ottenere quest’ultimo si è partiti da un livello medio di allagamento delle camere al 15 di aprile di 10 cm, e si è ipotizzato che le variazioni di livello fossero contemporanee nell’intero comprensorio. In realtà ciò si verifica solamente nel periodo compreso tra fine giugno e metà agosto, quando l’intero comprensorio è pressoché omogeneamente allagato e non si hanno sostanziali variazioni del livello in risaia (a eccezione della corrispondenza con le precipitazioni che vengono invasate completamente). Nei restanti periodi, ciò non è verificato come è evidenziato dall’andamento delle variazioni di invaso non nulle. Si noti che l’andamento dei livelli nelle camere, oltre a essere realistico dal punto di vista temporale (asciutte nella prima decade di giugno e a partire dall’ultima decade di agosto) lo è anche dal punto di vista quantitativo. Nel comprensorio in esame, infatti, i livelli dell’acqua nelle camere variano tra 5 e 10 cm

25000000

20

20000000 15000000

15

∆S

10000000

10

5000000 0 –5000000

25- 05- 15- 25- 04- 14- 24- 04- 14- 24- 03- 13- 23- 02- 12apr mag mag mag giu giu giu lug lug lug ago ago ago set set

–10000000

5 0

Acqua invasata superficialmente (cm)

Variazione del volume invasato nel comprensorio (∆S) e altezza d’acqua sulla superficie risicola relativa al volume immagazzinato nel comprensorio (S)

–5

–15000000 Afflussi

Variazione di invaso

15 cm

10 cm

Acqua invasata superficialmente

Durante la sommersione delle camere delle risaie l’acqua infiltrata nel terreno determina un’importante risalita del livello della falda superficiale fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio, la cui soggiacenza rispetto al piano di campagna è correlata anche alla struttura e tessitura del suolo. Il volume di acqua immagazzinato dalla falda diventa un’importante riserva idrica per l’intero territorio. Una stima del volume immagazzinabile nel suolo dalla variazione della falda per questo comprensorio porta a un valore di capacità di invaso intorno ai 700 milioni di m3.

Piezometro Aramino Livello della falda dal 4/2/03 al 3/2/04 0

– 0,5

m

–1

– 1,5

–2

– 2,5

–3

0

1000

2000

3000

4000

5000 Ore

246

6000

7000

8000

9000

10000


acqua e rete irrigua Rete irrigua: origini, sviluppi, limitazioni Foto R. Angelini

Origini Per comprendere la situazione attuale della rete irrigua al servizio della parte di Pianura Padana in sponda sinistra del Po, tra la Dora Baltea e il Ticino, sede del 90% della risicoltura italiana, è necessario riferirsi alle modalità con le quali si è formata. Furono i cistercensi a eseguire le prime bonifiche del territorio, nel XIII secolo, in un periodo nel quale la coltura del riso non era ancora stata introdotta. Si procedette dapprima a regolarizzare e adeguare i colatori naturali del territorio, integrandoli con altri canali artificiali, e con le aste dei fontanili, scavati in profondità dove le falde affioranti causavano l’impaludamento dei terreni. Successivamente si iniziò a utilizzare le acque delle risorgive, imbrigliandole qualche chilometro più a valle del punto di risorgenza, per l’irrigazione dei prati, sia nella stagione estiva, avara di precipitazioni, sia in quella invernale. La sistemazione particolare di alcuni prati, detti marcite, consentì di sfruttare la favorevole temperatura delle acque risorgive (intorno agli 11 °C) fatte scorrere in strato sottile sui prati per proteggerli dal gelo invernale e stimolarne la crescita. Coltivazione del riso L’introduzione della coltivazione del riso, nel XV secolo, avvenne dapprima nei territori non ancora bonificati, paludosi, inadatti a qualsiasi altra coltivazione. In queste aree, diffuse a macchia di leopardo su tutto il comprensorio, i pastori transumanti durante i loro trasferimenti eseguivano le semine in primavera e il raccolto in autunno, evitando di trascorrere l’estate in luoghi dove la malaria li avrebbe sicuramente colpiti. Grazie ai progressi della biologia e della medicina avvenuti prevalentemente nel corso del XIX Foto R. Angelini

247


paesaggio secolo, e all’ininterrotto lavoro di miglioramento della regimazione idraulica, fu possibile scindere il binomio riso-malaria. Questa associazione è esistita per un tempo talmente lungo nell’immaginario collettivo (la malaria fu sconfitta definitivamente nei primi decenni del ’900) da sopravvivere anche attualmente nella forma di un collegamento ideale della coltura del riso con un ambiente malsano. Nella realtà, la regolazione delle acque finalizzata alla coltivazione del riso ha reso abitabili aree un tempo proibitive per l’insediamento umano.

Foto R. Angelini

Organizzazione del sistema irriguo I primi sistemi irrigui furono realizzati dalle grandi proprietà nobiliari ed ecclesiastiche. Le derivazioni di presa sui corsi d’acqua naturali e le reti irrigue venivano progettate e realizzate in funzione dei titoli di derivazione e dei diritti di proprietà sui terreni da irrigare. Visti i rudimentali mezzi a disposizione per lo scavo dei canali, era d’obbligo sfruttare al massimo i corsi naturali esistenti, molti dei quali correvano lungo traiettorie sinuose. In modo analogo, la riduzione delle pendenze naturali a una successione di “camere” o “bacini” pianeggianti fu subordinata al minimo spostamento di terra possibile, tracciando le arginature secondo le naturali curve di livello, e anche molto vicine tra loro, con il risultato di delimitare spazi di dimensioni ridotte e di forma irregolare. Questo percorso di sviluppo diede origine a un paesaggio del tutto particolare, dominato dalle linee curve e sinuose, molto pittoresco alla vista, ma divenuto del tutto inefficiente al momento dell’introduzione, nell’agricoltura, dei mezzi meccanici, che necessitano, per un buon rendimento, di spazi ampi di forma regolare. L’assoluta separazione dei flussi idrici in ragione dei titoli di proprietà costituì un grave fattore di Foto R. Angelini

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acqua e rete irrigua inefficienza nell’utilizzo delle risorse idriche. L’eredità del passato, molto importante dal punto di vista culturale, costituisce però, unitamente allo spinto frazionamento della proprietà dei terreni dovuta all’incremento di popolazione e alle successioni ereditarie, un pesante ostacolo alla modernizzazione complessiva del sistema risicolo italiano. Questa limitazione è presente nelle aree di antica tradizione risicola come tutta l’Asia, e in alcune aree europee come quella di Valencia in Spagna, mentre nelle aree convertite più recentemente alla coltivazione del riso, come quella di Siviglia per rimanere in Europa, o generalmente in tutte quelle del continente americano, si trovano sistemazioni irrigue e fondiarie più idonee alla meccanizzazione, condizioni che forniscono un vantaggio importante nel clima di competizione economica globale che sta caratterizzando gli inizi del nostro secolo. Un lungo percorso è stato fatto anche in Italia per migliorare la condizione strutturale della risicoltura. A partire dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso la favorevole congiuntura economica dovuta alla costituzione del Mercato Comune Europeo, unita ai prezzi convenienti degli idrocarburi e alla comparsa sul mercato di efficienti bulldozer, ha stimolato una grande razionalizzazione delle forme e dimensioni delle camere di risaia, limitate unicamente dalle dimensioni delle proprietà. Dove queste erano estese, anche la rete irrigua interna è stata razionalizzata, mentre nelle situazioni di spinto frazionamento fondiario la trasformazione è stata di portata molto inferiore, e in questo caso sono ancora ben visibili le eredità del passato. Nelle succitate condizioni di frazionamento, la necessità di servire in modo indipendente l’irrigazione di ogni singola particella richiede il mantenimento di una capillare rete di canalizzazioni, che presenta così un rapporto penalizzante tra l’estensione di superficie occupata e l’area produttiva servita, rapporto che inevitabilmente si riflette anche sul carico dei costi di manutenzione. Per fornire un’indicazione numerica, si riscontrano situazioni che spaziano da meno di 40 a più di 95 metri lineari di canali per ettaro coltivato.

Uso plurimo delle acque

• Il corretto utilizzo della risorsa

idrica passa attraverso il massimo riutilizzo delle portate disponibili. Nelle campagne risicole, questo è avvenuto da sempre: sui canali irrigui vi erano innumerevoli motori idraulici (ruote, turbine) per le necessità agricole e artigianali, tutte abbandonate durante il periodo del petrolio abbondante e a basso costo. Attualmente, esistono numerose centraline idroelettriche sui principali canali d’irrigazione. Nella mutata situazione attuale, grazie anche all’evoluzione tecnologica delle turbine, può essere conveniente sfruttare anche i canali secondari, per produrre energia elettrica

Fonti di approvvigionamento

• Tutti i corsi d’acqua naturali presenti

sul territorio risicolo sono integrati nel sistema irriguo, e le loro acque utilizzate. Le principali fonti sono la Dora Baltea, che alimenta il Naviglio d’Ivrea e i canali Depretis, Del Rotto e Farini. Dal Po a Chivasso è la derivazione principale del Canale Cavour, mentre il canale Regina Elena è derivato direttamente dall’impianto di regolazione del Lago Maggiore

Nascita dei consorzi irrigui Nel corso del 1800 si verificò in Piemonte un grande sviluppo del sistema dei canali demaniali, culminato nel 1866 con l’entrata in funzione del Canale Cavour. La configurazione del territorio consentì di sfruttare le acque con il duplice scopo dell’irrigazione e della produzione di energia tramite la diffusione sul territorio di una grande quantità di ruote idrauliche, anticipando quello che oggi viene definito “uso plurimo”. La gestione della rete di canali era affidata a un ente statale appositamente costituito, l’Amministrazione dei Canali Demaniali, che era responsabile della manutenzione dei manufatti, della regolazione delle acque e della riscossione dei corrispettivi da parte delle utenze agricole e industriali. 249


paesaggio Deflussi nel sistema dei Canali Cavour e capacità di invaso del sistema delle risaie piemontesi-lombarde, raffrontata a quella del Lago Maggiore

Deflussi nel sistema dei Canali Cavour e capacità di invaso del sistema delle risaie piemontesi-lombarde, raffrontata a quella del Lago Maggiore

• Il sistema risaie-canali-falde crea

un gigantesco invaso di pianura, in parte invisibile perché immagazzinato tramite l’elevazione dei livelli di falda, atto a differire (dalla primavera, momento di sommersione, all’estate inoltrata) il deflusso al Po di ingenti volumi d’acqua, come specificato nella tabella a fianco

Origine delle acque

Volumi misurati (milioni di metri cubi)

Prelievi dai fiumi e dal Lago Maggiore consentiti alla Coutenza Canali Cavour (1 giorno)

26

Prelievi dai fiumi consentiti alla Coutenza Canali Cavour (stagione irrigua di 150 giorni, da metà marzo a metà agosto, al lordo degli scarichi a fine comprensorio)

4000

Capienza totale del Lago Maggiore

37.000

Riserva utilizzabile tramite la regolazione del livello del Lago Maggiore

318

Capacità totale di accumulo in falda nell’intero comprensorio risicolo piemontese-lombardo

1500

Rapporto tra i volumi accumulati in falda con la sommersione delle risaie del comprensorio piemontese-lombardo e la riserva utilizzabile tramite la regolazione del Lago Maggiore

4,7 volte

L’imponente attività pubblica svolta in quel periodo incontrava nelle preesistenti derivazioni e strutture private un ostacolo alla razionalizzazione complessiva dell’utilizzo della risorsa idrica. L’attività e l’ingegno di Camillo Benso, Conte di Cavour, portarono a identificare la soluzione del problema nella costituzione di un’associazione tra i proprietari dei terreni irrigati, che fosse in grado di gestire in modo unitario le acque disponibili. L’idea prese corpo il 3 luglio 1854, quando fu costituita l’Associazione di Irrigazione dell’Agro all’Ovest del Sesia, associazione volontaria di proprietari terrieri che accettarono l’obbligo di “accomunare tutte le loro acque con quelle dell’Associazione, alle condizioni previste dagli Statuti”, accettando il vincolo a favore della medesima “sulla restituzione di tutte le acque vive di sovrabbondanza e le colaticcie delle irrigazioni in luogo utile all’Associazione”. Questi vincoli permisero di riutilizzare più volte le stesse acque, che venivano scaricate dai territori più elevati a favore dei sottostanti: fenomeno descritto sinteticamente come “riproduzione delle acque”. L’iniziativa fornì risultati eccellenti, e l’Associazione con mezzi propri e con contributi pubblici ha continuato a perseguire, negli oltre 150 anni di attività, l’opera di razionalizzazione tecnica e giuridica dell’irrigazione sul territorio. I risultati ottenuti nel tempo portarono a ripetere l’esperienza con la costituzione, nel 1922, di un’analoga Associazione di Irrigazione Est Sesia, nei territori tra la Sesia e il Ticino, integrando in seguito la dotazione di acque nella parte terminale del Canale Cavour con il Canale Regina Elena (1954), derivato dal Ticino a valle dell’opera di regolazione del Lago Maggiore. Nel 1978 l’amministrazione dei

Istituzione dell’Ovest Sesia

• Il 7 maggio 1853 Cavour concluse il suo discorso al Parlamento Subalpino con queste parole: “L’esperimento che vi è proposto e a cui prendono parte 3500 agricoltori riuniti in associazione, voi dovete approvarlo, non solo in vista dei vantaggi economici e finanziari che esso reca, ma perché è un gran fatto, un fatto nuovo, non solo in questo Paese, ma oserei dire in tutta Europa, attesoché questa sarebbe la più larga applicazione dello spirito di associazione che siasi fatto alla agricoltura. Se questo riesce, o Signori … questo esempio produrrà un immenso effetto sugli agricoltori di altre Province…”

250


acqua e rete irrigua Canali Demaniali passò dallo Stato alle Regioni, e da queste alla Coutenza Canali Cavour, contemporaneamente e appositamente costituita da Ovest ed Est Sesia.

Stazione idrometrica di Santhià

Gestione dei Consorzi irrigui La struttura amministrativa è molto simile nei due Consorzi, ed è basata su una suddivisione in entità ad autonomia locale: i Distretti Irrigui e i Tenimenti isolati. Queste entità differiscono tra loro in quanto i Tenimenti sono porzioni di terreno riconducibili a una sola proprietà, e irrigabili da uno o più punti di presa sulla rete dei canali consortili, che consentono tecnicamente la misurazione dell’acqua somministrata. Stesse condizioni tecniche per i Distretti, costituiti però al loro interno da proprietà frazionate. La gestione interna delle reti irrigue e della distribuzione dell’acqua è in capo al titolare (proprietario o affittuario) nel caso del Tenimento Isolato, e ad una Amministrazione eletta dai proprietari e affittuari, nel caso dei Distretti. I rappresentanti delle amministrazioni locali eleggono una Amministrazione Centrale, che si occupa della derivazione delle acque, della gestione dei canali principali e dello sfruttamento dei medesimi a scopo idroelettrico, oltre a rappresentare legalmente di fronte a terzi gli interessi di tutta l’utenza. La contribuzione che l’Amministrazione centrale riscuote da quelle locali è binomia, in parte sulla superficie irrigata e in parte sulle portate di acqua somministrate; nelle amministrazioni locali, l’acqua viene distribuita “a luce libera”, essendo tecnicamente impossibile la misurazione dei flussi sulle singole particelle. Gli utenti finali vengono tassati ripartendo esclusivamente a super-

• Con la costruzione del Canale Cavour

la misurazione delle portate idriche assunse una grande importanza tecnica ed economica. Tra il 1870 e il 1907 fu progettato un complesso sistema di vasche, collegate tra loro da edifici di misura (bocche a battente, a stramazzo), che venivano tarati mediante lo svuotamento di vasche di volume noto. Allo scopo di rendere istantanee le manovre, le paratoie vennero azionate da un sistema a pistoni pneumatici. Nell’elegante palazzina, era conservato l’archivio dell’Amministrazione dei canali demaniali, ora trasferito presso l’Archivio Storico della Coutenza Canali Cavour, situato presso l’Associazione Est Sesia di Novara dove è consultabile anche online

Foto Associazione d’Irrigazione Ovest Sesia Foto Associazione d’Irrigazione Ovest Sesia

L’andamento sinuoso di alcuni canali testimonia la loro origine di corsi naturali Stazione idrometrica di Santhià

251


paesaggio ficie sia la tariffa binomia risultante dalla contribuzione dovuta all’Amministrazione centrale sia le spese di gestione della rete interna locale. I Consorzi, tramite le amministrazioni centrali e distrettuali, sono stati per anni grandi utilizzatori di mano d’opera. I canali richiedono un’operazione annuale di spurgo, per liberarli dai copiosi depositi di sabbia e limo, trasportati in sospensione dalle acque fino a quando queste rallentano il corso in prossimità dei luoghi di utilizzo. La provenienza di questi depositi è principalmente dovuta all’erosione che si verifica sulle Alpi, e in parte al terreno asportato dall’acqua quando le risaie vengono drenate totalmente. Nel periodo estivo la crescita di erbe acquatiche sul fondo degli alvei, e di altre erbe sulle sponde, riduce progressivamente la sezione dei canali e aumenta la resistenza allo scorrimento, tanto da rendere necessari, a seconda delle situazioni, fino a tre sfalci annui. Tutte queste operazioni venivano eseguite esclusivamente a mano, impegnando molto personale, drasticamente ridotto dall’avvento della meccanizzazione. In passato molti distretti irrigui si sono dotati di attrezzature proprie. Negli ultimi tempi, partendo dal fatto che le aziende agricole utenti dispongono di un imponente parco macchine, generalmente sottoutilizzato in inverno e nella parte centrale della bella stagione, proprio nei momenti utili alla manutenzione dei canali, si è pensato di poter conseguire ragguardevoli economie impiegando le macchine delle aziende agricole anche per questa operazione. Attualmente è sempre più diffusa la tendenza di affidare agli stessi utenti le lavorazioni meccaniche sui canali, mediante accordi di vario tipo che spaziano dalla suddivisione tra tutti gli utenti delle competenze sui cavi distrettuali alla stipula di contratti di prestazione d’opera, ottenendo in ogni caso una sinergia economica tra i Consorzi e i loro utenti. Per consentire ai mezzi meccanici di accedere, in ogni stagione, alle sponde dei canali, si sta costruendo una fitta rete di strade alzaie, utile anche al transito degli addetti alle regolazioni dell’acqua. Questi, che un tempo si spostavano a piedi, sono stati dotati dapprima di biciclette, poi di scooter e autovetture. La possibilità intervenuta ultimamente di comunicare con i telefoni cellulari ha permesso di migliorare il servizio pur con un numero molto ridotto di addetti. Le operazioni di gestione delle derivazioni dai fiumi e delle portate dei canali sono complesse e delicate, per le possibili gravi conseguenze negative dovute a errori o malfunzionamenti. Un controllo continuo e uno stretto coordinamento delle operazioni su tutto il territorio consentono di eseguire le irrigazioni e di smaltire le acque di piena senza danni. In casi di carenza idrica, le capacità di anticipare l’inizio delle operazioni di sommersione e di razionalizzare l’uso delle acque disponibili si sono dimostrate più volte fondamentali nel limitare i danni. Le tecniche di razionalizzazione prevedono di concentrare i corpi d’acqua di-

Foto B. Scarparo

Spurgo manuale dei fossi

Foto R. Angelini

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acqua e rete irrigua sponibili sui territori situati a monte, in modo da poter usufruire in pieno delle colature e dell’affioramento nelle aree di valle delle falde rimpinguate dalle prime sommersioni. Con un attento coordinamento si riesce a massimizzare il citato fenomeno della riproduzione delle acque, ricavando la massima utilità dalla risorsa idrica disponibile. Nelle situazioni opposte, di precipitazioni eccessive, si esplica invece la funzione di bonifica da parte dei Consorzi. Particolare importanza riveste la continua e attenta manutenzione di tutta la rete di canali, che, come già riferito, ha la doppia funzione di irrigazione e di sgrondo. Tramite il coordinamento nella gestione delle acque di piena, eseguendo manovre di interscambio tra i vari canali e rispettando in genere la norma non scritta di inondare prima le campagne salvaguardando i centri abitati, fino a che i fiumi principali sono in grado di ricevere le portate dei colatori consortili si riescono normalmente a evitare i danni alle abitazioni civili. Infine l’irrigazione dei campi svolge un’importante funzione di ricarica della falda freatica incrementando la riserva idrica dell’acquifero durante tutta la stagione irrigua. L’acqua distribuita sui campi diventa così una risorsa da non sottovalutare nel bilancio idrico territoriale.

Foto R. Angelini

Massiccio del Monte Rosa riflesso in una risaia allagata

253


il riso

paesaggio Habitat risicolo e fauna Giuseppe Bogliani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.


paesaggio Habitat risicolo e fauna Introduzione Le zone umide naturali europee hanno subito una drastica riduzione in tempi storici. Secondo alcune stime, le zone umide naturali mediterranee attuali non coprono che una frazione compresa fra il 10 e il 20% della superficie originaria. In Italia, si stima che in epoca romana le zone umide naturali coprissero circa 3 milioni di ettari, corrispondenti al 10% del territorio; alla fine del XIX secolo, non ne rimanevano che un milione e 300 mila ettari, ulteriormente ridotti a 300 mila ettari alla fine del XX secolo. Questo ha avuto delle conseguenze rilevanti sulle popolazioni e sulle cenosi che vi erano insediate. Da un punto di vista ecosistemico, le risaie sono state a lungo assimilate ad aree umide; dal punto di vista conservazionistico e paesaggistico, si è ritenuto che rimediassero in parte agli effetti della distruzione delle aree palustri naturali. Si consideri che l’estensione delle risaie italiane è stata di quasi 220 mila ettari nel 2003 e di oltre 226 mila ettari nel 2004; ci si può facilmente rendere conto del peso che esse potrebbero assumere nel mantenimento di alcune cenosi delle aree umide. L’effetto della presenza di risaie in un territorio, tuttavia, non può essere valutato semplicemente considerando le superfici interessate; trattandosi di zone umide nelle quali l’acqua ha una scarsa profondità, le risaie dovrebbero surrogare ambienti palustri strutturalmente simili; si tratta di stagni temporanei che d’estate, nell’area mediterranea, tendono ad asciugare per riallargarsi poi nel corso dell’autunnoinverno e a mantenere l’acqua sino alla primavera. In realtà, nelle risaie avviene l’inverso, in quanto mantengono l’acqua nel perio-

Una ricerca di molti anni fa

• “Da un punto di vista generale

conviene dire che, dalle osservazioni fatte, parrebbe risultare che l’ambiente risaia non presenti nessuna speciale caratteristica sia per le specie di insetti che per la loro frequenza, perché ivi ho riscontrato quelle stesse specie che ho avuto occasione di vedere, e anche più abbondanti, in molte località come paludi, morte di fiumi, ruscelli ecc.” Da Moretti, 1932

• È di interesse confrontare l’attuale

situazione della fauna in risaia con quella storicamente presente all’inizio del XX secolo. Al contrario di oggi, uno dei metodi di coltivazione del riso era quello delle “risaie a vicenda”, ovvero a rotazione con altre coltivazioni. Queste risaie venivano coltivate in campagne percorse da solchi di profondità variabile. La profondità dell’acqua era in media di 20 cm da marzo-aprile a settembre-ottobre e il riso vi veniva coltivato solo per un numero limitato di anni (3-8), dopo di che venivano seminate altre essenze vegetali (trifoglio, lino, grano, prato da pascolo ecc.) prima di tornare a essere ancora risaie. La fauna presente era molto più ricca a livello tassonomico, la diversità biologica di invertebrati e vertebrati era notevolmente elevata rispetto a oggi. Gli studi di Moretti e Supino (1932 e 1916) ci forniscono con dovizia di particolari la descrizione della fauna in risaia all’inizio del ’900, dove, solo per citare qualche esempio, erano comuni tricotteri, efemerotteri, larve di odonati, tritoni ed era frequente incontrare il martin pescatore e la lontra

Risaia con solco

254


habitat risicolo e fauna do estivo e restano asciutte durante l’autunno-inverno. È così evidente che solo una parte delle funzioni ecosistemiche delle aree umide possa essere svolto dalle risaie del bacino del Mediterraneo e che la loro presenza ha creato nel tempo nuovi scenari. La presenza delle risaie ha comportato anche dei cambiamenti ambientali notevoli nelle aree circostanti. – La necessità di disporre di acqua abbondante durante i mesi primaverili ed estivi ha portato alla realizzazione di una fitta rete di canali artificiali e alla canalizzazione di corsi d’acqua naturali. La presenza di tre grandi fiumi, il Po, il Ticino e la Sesia, e della fascia dei fontanili nella bassa pianura ha consentito di captare acqua di eccellente qualità e, sfruttando il dislivello del piano generale della pianura, di distribuirla su vaste superfici a decine di chilometri di distanza. In questo modo l’estensione lineare dei corsi d’acqua è aumentata, favorendo la diffusione di organismi legati alle acque correnti: macrofite acquatiche, fauna bentonica reofila, pesci. – Territori storicamente asciutti e caratterizzati da un clima eccellente per gli esseri umani, com’era la Lomellina nel XVI secolo secondo la testimonianza di Bernardo Sacco (1587), sono stati trasformati in distese allagate, con aumento dell’umidità atmosferica e dei fenomeni nebbiosi. – Anche le falde freatiche superficiali, rimpinguate dalla dispersione delle vasche di risaia e dei canali, sono risalite, modificando le condizioni ecologiche e consentendo l’avvio di coltivazioni altrimenti difficili o di scarsa resa in terreni troppo asciutti, come i pioppeti su terreni non golenali.

Principali specie di vertebrati delle risaie

• L’area delle risaie ospita le popolazioni

di ardeidi coloniali più numerose d’Europa. Le due specie più comuni sono la nitticora (42.000 coppie in Europa, delle quali 12.000 in Italia) e la garzetta (61.000 coppie in Europa, delle quali 25.500 in Italia). Le altre specie di ciconiformi gregari nidificanti nell’area delle risaie sono l’airone cenerino, l’airone rosso, l’airone bianco maggiore, la sgarza ciuffetto, l’airone guardabuoi, il mignattaio, la spatola. Tuttavia, la nitticora, la specie più legata alla risaia, ha fatto registrare un crollo delle popolazioni da quando è stata introdotta la pratica delle asciutte. Le altre specie sembrano più abili a procurarsi il cibo in altre tipologie di zone umide

Nitticora (in alto) e airone guardabuoi (in basso)

255


paesaggio Comunità animali delle risaie Il popolamento animale delle risaie della Pianura Padana è cambiato significativamente nel corso del XX secolo. Fino agli anni ’60, la forma di coltivazione prevalente comportava l’allagamento poco prima del trapianto manuale delle pianticelle, coltivate in vasche apposite. L’acqua raggiungeva profondità relativamente cospicue, dell’ordine delle decine di centimetri, e non subiva fluttuazioni rilevanti nel corso della fase di crescita e maturazione del riso. Il diserbo veniva effettuato manualmente dalle “mondine”. Nelle vasche delle risaie potevano essere allevati pesci di acque stagnanti, in particolare carpe, Cyprinus carpio, e vi completavano il ciclo vitale diverse specie di anfibi; innanzitutto la rana verde minore, Rana esculenta, e la raganella, Hyla intermedia, oltre al rospo smeraldino, Bufo viridis, e al pelobate, Pelobates fuscus insubricus. La stabilità dei livelli d’acqua e la maggior profondità consentivano a numerosissimi organismi, soprattutto insetti e crostacei, di completare il ciclo vitale nel corso della stagione di allagamento. Fra gli insetti, in particolare, si raggiungevano densità elevatissime di organismi predatori, soprattutto libellule (ordine odonati) e coleotteri (famiglie idrofilidi e ditiscidi). Le larve di questi insetti sono acquatiche e hanno abitudini predatorie, limitando notevolmente le popolazioni di altri insetti fitofagi e delle larve di zanzara. Fra i crostacei era molto diffusa la coppetta del riso, Triops cancriformis, le cui uova potevano resistere per diversi anni nel terreno asciutto, pronte a riattivarsi in caso di allagamento primaverile. È interessante rilevare che, con il sistema tradizionale di coltivazione, questa specie svolgeva una funzione positiva dal punto di vista agronomico, ma il loro ruolo è cambiato drasticamente quando si è passati ai nuovi sistemi di coltivazione: da utili ausiliari, le coppette diventarono rapidamente dei nemici da combattere.

Raganella

Schema del ciclo di colonizzazione delle risaie

• Lo schema a lato mostra il ciclo di

colonizzazione delle risaie da parte degli organismi acquatici, dalla sommersione primaverile sino alla metà dell’estate

• In alto una risaia della metà del secolo

Schema del ciclo di colonizzazione delle risaie

scorso. Dopo l’immissione dell’acqua, anfibi e altri animali colonizzavano le vasche, deponendo le uova e sviluppandosi nello strato d’acqua profondo alcuni decimetri

Ieri Comparsa di: • Anfibi • Insetti predatori (per es. libellule) • Pesci

• In basso una risaia della Pianura

Padana nord-occidentale oggi. Le sommersioni si alternano ad asciutte ripetute, nel corso delle quali gran parte degli organismi acquatici resta a secco e muore. In seguito, le sommersioni offrono ricetto a popolazioni cospicue di zanzare, non più limitate dall’azione dei predatori

Moltiplicazione di: • Anfibi • Insetti predatori (per es. libellule)

Primavera

Comparsa di larve di zanzara: la fauna sviluppatasi nelle risaie permette un loro contenimento Estate

Oggi Comparsa di: • Anfibi • Insetti predatori (per es. libellule) • Pesci

256

Asciutta: scomparsa della fauna dalle risaie

Comparsa e moltiplicazione incontrollata delle di larve di zanzara


habitat risicolo e fauna Oggi la coppetta del riso non costituisce più un grave problema per la risicoltura ma, fra gli abitanti delle campagne, è ancora vivo il ricordo delle morie di fauna che si verificavano fino agli anni ’70 in corrispondenza con i trattamenti fitosanitari per combatterla. Altri crostacei ben studiati nelle risaie italiane sono i Cladoceri, la cui dinamica di popolazione e il turnover delle comunità hanno visto impegnate almeno due scuole di ecologia del nostro Paese. Un aspetto molto caratteristico dell’ambiente delle risaie era rappresentato dalle libellule, che raggiungevano densità elevatissime a metà estate, in corrispondenza con l’emergenza dall’acqua delle forme larvali e della metamorfosi. Milioni di questi insetti sorvolavano le vasche e i territori circostanti, invadevano strade, paesi e città, predando enormi quantità di altri insetti più piccoli, fra i quali le zanzare. Le specie legate alle risaie erano una ventina, alle quali occorre però aggiungerne altrettante, legate soprattutto alla rete di canali irrigui. Una specie, in particolare, costituiva le popolazioni più numerose: Sympetrum depressiusculum. In determinati periodi questa libellula era talmente abbondante che ogni oggetto emergente dal terreno, fosse un rametto, un palo o anche solo un dito tenuto alzato verso il cielo da un bambino, riceveva la visita di uno o più esemplari, che si disputavano il diritto a posarsi. Nella monografia sulle libellule italiane, Conci e Nielsen (1956) scrivevano ancora, per questa specie: “nelle risaie della Pianura Padana si trova in quantità sterminata”. Tale situazione si è protratta fino agli anni ’70. Oggi, la specie è quasi completamente scomparsa ed è ritenuta fra le più rare nel nostro Paese. Sorte analoga sembra abbiano subito altre specie prima comuni in risaia, come la piccolissima Ischnura pumilio, prima comune e ora rara, o prima abbondanti nei canali d’irrigazione, come Calopteryx virgo, ora quasi scomparsa in pianura, tranne in pochi corsi d’acqua di ottima qualità della Valle del Ticino. Poche altre specie sono invece aumentate nel frattempo. Fra queste è da citare Sympetrum pedemontanum, prima relativamente scarsa e ora abbastanza comune lungo i canali e, marginalmente, nelle risaie; tuttavia non raggiunge mai le densità che si riscontravano per la specie congenere. Si può ipotizzare che una delle cause dell’aumento sia l’eliminazione della competizione con Sympetrum depressiusculum; tuttavia mancano prove che tale meccanismo ne sia la causa. Resta ancora da spiegare la scomparsa di S. depressiusculum dalle risaie padane; anche in questo caso si possono formulare delle ipotesi, anche considerando che la sparizione non ha coinciso con la massima diffusione dei trattamenti con gli antiparassitari fosforganici. Gli indizi sembrano andare a carico delle nuove tecniche di coltivazione del riso che comportano il livellamento del terreno con l’uso di livellatrici laser e l’esecuzione di asciutte ripetute: la prima viene effettuata, di solito, per favorire il radicamento delle pianticelle dopo la germinazione dei semi e la comparsa delle radici embrionali; le successive precedono i trat-

Ruolo ecologico delle coppette

• Nel tradizionale sistema di coltivazione

del riso, le coppette svolgevano una funzione agronomica: rimestavano il fondo, intorbidivano l’acqua e ostacolavano la crescita delle piante infestanti. In questo modo le piantine di riso non soffrivano in quanto erano già ben cresciute al momento del trapianto e radicavano rapidamente. Il loro ruolo è cambiato drasticamente passando ai nuovi sistemi di coltivazione: la semina diretta e l’allagamento precoce delle risaie fecero sì che gli esemplari adulti comparissero in massa in corrispondenza della semina; il continuo rimestamento del fondo smuoveva i semi in fase di germinazione e impediva alle radici embrionali di entrare in profondità nel terreno. Gli insetticidi usati per combatterle erano poco selettivi e dotati di un’azione acuta e a vasto spettro e procuravano danni consistenti agli altri organismi animali della risaia non bersaglio

Triops cancriformis

257


paesaggio tamenti con antiparassitari, soprattutto erbicidi post-emergenza che agiscono per contatto, effettuati con mezzi meccanici. Negli ultimi anni si sono rese necessarie ulteriori fasi di asciutta precoci, allo scopo di combattere il riso crodo. La messa in asciutta delle risaie in assenza, all’interno delle vasche, di canali di estensione e profondità adeguata, comporta la morte di tutti gli organismi acquatici presenti. Molti fra questi sono stadi acquatici di animali anfibi che si recano in acqua per la riproduzione solo nel corso della primavera e non sono in grado di replicare questa fase cruciale del ciclo annuale se le uova o le larve acquatiche sono state eliminate. È, per esempio, il caso delle raganelle e delle libellule, che raggiungono l’acqua per deporre le uova e cambiano ambiente dopo la riproduzione. Ovature, larve o girini soccombono durante l’asciutta, senza che gli adulti possano deporre uova di rimpiazzo. Nelle risaie tradizionali le asciutte erano sporadiche; in quelle dei decenni immediatamente successivi all’introduzione della semina diretta, le asciutte non portavano all’eliminazione totale dell’acqua, poiché il terreno presentava molte irregolarità. Attualmente l’uso delle livellatrici laser è generalizzato, le risaie sono allagate da pochi centimetri d’acqua e il terreno è privo di avvallamenti nei quali possano rimanere pozze temporanee durante i giorni di asciutta.

Sympetrum depressiusculum

Uccelli e risaie Uno degli aspetti meglio conosciuti delle risaie è l’effetto che esse hanno nei confronti delle comunità e popolazioni di uccelli acquatici. La disponibilità di un ambiente umido particolarmente attraente per gli uccelli trampolieri, come gli aironi e i limicoli che ricercano il cibo camminando nell’acqua bassa, o dei nuotatori di superficie, come le anitre selvatiche, fa sì che questi animali

Sympetrum pedemontanum Nidi di airone cenerino

258


habitat risicolo e fauna frequentino le risaie in misura consistente. Le categorie fenologiche di uccelli che beneficiano della presenza delle risaie sono soprattutto due: – le specie che nidificano nelle risaie stesse o in biotopi nelle vicinanze; – i migratori, che sostano per rifocillarsi durante la migrazione primaverile verso Nord e, per le specie precoci che terminano la nidificazione nelle zone artiche molto presto, durante la migrazione di ritorno verso Sud a metà dell’estate. Le risaie sarebbero degli ambienti potenzialmente molto adatti a ospitare, inoltre, popolazioni significative di uccelli acquatici svernanti e migratori autunnali, se solo ne fosse allagata una frazione significativa. Forme di allagamento autunno-invernale esistono già, ma sono legate alla caccia. Le cosiddette “tese”, appostamenti di caccia appositamente allestiti per la caccia agli anatidi, attirano per brevi periodi un gran numero di altre specie acquatiche, che tuttavia non si insediano a causa dell’abbattimento diretto o del disturbo arrecato durante l’attività venatoria. Le stoppie del riso non allagate possono ospitare e fornire alimento, d’inverno, a popolazioni significative di alcune specie, quali il beccaccino Gallinago gallinago, l’airone cenerino Ardea cinerea e la garzetta Egretta garzetta.

Uccelli acquatici nidificanti nelle risaie

• L’area delle risaie ospita popolazioni

interessanti di specie di rilevante valore conservazionistico. Fra queste si evidenziano le cosiddette Species of European Conservation Concern (SPEC) e quelle comprese negli elenchi della Direttiva 79/409/CEE: – tarabuso SPEC 3 – tarabusino SPEC 3 – cicogna bianca SPEC 2 – marzaiola SPEC 3 – pittima reale SPEC 2 – mignattino SPEC 3 – martin pescatore SPEC 3 – gruccione SPEC 3

Gli uccelli nidificanti L’area delle risaie ospita le popolazioni di ardeidi coloniali fra le più numerose d’Europa. Le due specie più comuni sono la nit-

– cannaiola SPEC 4 – cannaiola verdognola SPEC 4

Stima delle popolazioni degli ardeidi gregari nidificanti in Europa, in Italia e nella zona delle risaie (numero di coppie) Europa

Italia

(area delle risaie*)

Airone cenerino

160.000-200.000

10.000-11.000

7500

Airone rosso

50.000-100.000

1800-2000

200

Airone bianco maggiore

14.000-19.000

37-47

5

Garzetta

61.000-72.000

15.000-16.000

10.000

Sgarza ciuffetto

14.000-24.000

550-650

240-320

Airone guardabuoi

88.000-95.000

700-800

200

Nitticora

42.000-59.000

12.000-14.000

8300

Foto V. Bellettato

Le stime sono relative alla fine degli anni ’90; quelle della popolazione italiana sono ricavate da Brichetti e Fracasso (2003); le stime europee da BirdLife International/European Bird Census Council (2000). *L’area delle risaie si riferisce alle popolazioni del Piemonte e della Lombardia. Altre popolazioni italiane, soprattutto nel Delta del Po, utilizzano le risaie in misura di gran lunga inferiore alle altre zone umide.

Airone rosso

259


paesaggio ticora Nycticorax nycticorax (42-59.000 coppie in Europa, delle quali 12-14.000 in Italia, ma erano 17.500 nei primi anni ’80) e la garzetta Egretta garzetta (61-72.000 coppie in Europa, delle quali 15-16.000 in Italia). Altre specie di aironi mantengono nelle risaie delle popolazioni consistenti, come l’airone cenerino, o significative, come l’airone rosso Ardea purpurea, l’airone guardabuoi Bubulcus ibis e la sgarza ciuffetto Ardeola ralloides. Gli aironi coloniali, talvolta insieme al mignattaio Plegadis falcinellus e alla spatola Platalea leucorodia, si radunano per nidificare nei canneti o nei boschi umidi chiamati “garzaie”. Di norma le garzaie sono localizzate in ambienti naturali residui di piccole dimensioni, dove decine, centinaia o migliaia di coppie si riproducono e allevano la prole. La distruzione di uno di questi biotopi toglie a molti animali la possibilità di riprodursi anche se nei dintorni il cibo è abbondante. Il fenomeno della distruzione degli ambienti di nidificazione è stato particolarmente intenso negli anni ’70 e nei primi anni ’80. A partire dagli anni ’70, le regioni Piemonte e Lombardia hanno istituito decine di riserve naturali, monumenti naturali o ZPS (Zone di Protezione Speciale) finalizzate alla tutela delle garzaie; un’altra decina di garzaie è stata tutelata all’interno dei parchi regionali. Attualmente la protezione e la gestione garantiscono il mantenimento delle condizioni idonee alla nidificazione in molte aree ricche di cibo. Nelle garzaie della Pianura Padana nord-occidentale, gli adulti e i piccoli si alimentano con il cibo catturato prevalentemente nelle risaie, nel reticolo di canali e negli ambienti umidi naturali esistenti nelle aree golenali dei grandi fiumi (Po, Ticino, Sesia, Adda). In quest’area, le risaie svolgono un ruolo di sostegno alimentare degli aironi significativamente superiore a quello di altre aree risicole europee. Queste risaie ospitavano biomasse di prede molto più abbondanti rispetto alle altre risaie europee, almeno sino alla seconda metà degli anni ’80.

Sgarza ciuffetto

Percentuale di alimento ottenuto negli ambienti agricoli dagli aironi nidificanti in Europa meridionale Sgarza ciuffetto

Airone guardabuoi

Garzetta

Nitticora

Airone rosso

Airone cenerino

Italia NO

100-86

0

97-78

97-63

0-52

96-50

Italia NE

79-88

0

100-93

100-94

0

0

Delta Rodano Francia

0-?

21-?

10-20

0-46

3-?

0-9

Delta Axiòs Grecia

48-?

0

38-67

15-69

0-?

0

Delta Ebro Spagna

100-?

97-?

76-?

53-?

67-?

0

Fonte: Fasola et al. 1996. Dati raccolti dal 1985 al 1989. Il primo valore indica la stima basata sulla proporzione di animali visti foraggiare in aree coltivate (risaie e canali d’irrigazione) e il secondo valore indica la stima, basata sulla dieta dei pulcini, della proporzione che si presume sia ricavata in questi ambienti.

260


habitat risicolo e fauna

Breeding population Index (2000=1)

Andamento delle popolazioni nidificanti di due specie di aironi in Pianura Padana nord-occidentale (Lombardia, Piemonte, Emilia occidentale)

Andamento delle popolazioni nidificanti di due specie di aironi in Pianura Padana nord-occidentale (Lombardia, Piemonte, Emilia occidentale)

2,5 2,0 1,5

• Nel grafico a lato, il numero totale

di nidi è espresso da un indice, che ha valore convenzionale uguale a 1 per il 2000 (da Fasola 2007)

1,0 0,5

• Sono valutate le popolazioni

0,0 1972 1975 1978 1981 1984 1987 1990 1993 1996 1999 2002 2005 Nitticora Garzetta

di nitticora, una specie molto legata alle risaie, e quelle di garzetta, una specie che può sfruttare più facilmente altri habitat, quali i greti dei fiumi

A partire dagli anni ’90, la coltivazione delle risaie ha subito ulteriori cambiamenti. La comparsa delle risaie asciutte, nelle quali una parte importante del ciclo di coltivazione viene svolto in vasche non allagate, e la diffusione delle livellatrici laser hanno probabilmente modificato le recettività delle risaie per la piccola fauna che costituisce l’alimento degli uccelli acquatici. È significativo il fatto che, proprio a partire da questo periodo, la popolazione di nitticore nidificanti nell’area delle risaie si sia progressivamente ridotta a circa un terzo della consistenza del decennio precedente. Questa specie è una delle tre che dipendevano quasi esclusivamente dalle risaie nel decennio precedente. Le altre due specie con migliaia di coppie nidificanti, l’airone cenerino e la garzetta, che hanno mantenuto o incrementato le popolazioni, sfruttano ora in misura rilevante le aree umide naturali degli ambienti fluviali.

• La freccia azzurra indica l’avvio

dell’istituzione di aree protette da parte delle Regioni. Negli anni successivi le popolazioni di tutte le specie di aironi sono aumentate considerevolmente, a eccezione della nitticora, che a partire dal 1990, dopo aver visto aumentare le popolazioni, è scesa a valori inferiori al periodo pre-protezione

Foto V. Bellettato

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paesaggio Un airone raro: il tarabuso L’area delle risaie dell’Italia nord-occidentale è una delle poche in Europa nelle quali il tarabuso Botaurus stellaris, un airone minacciato, è in espansione nel corso degli ultimi 15 anni. A partire dal 1988 il tarabuso è stato rinvenuto regolarmente nidificante nell’area delle risaie a cavallo fra le province di Vercelli, Novara e Pavia. In quest’area, in controtendenza con le altre popolazioni italiane ed europee, la specie ha mostrato un aumento delle popolazioni e delle aree di nidificazione. Dai primi anni ’90 si è assistito al progressivo allargamento dell’areale nella Lomellina, con la comparsa di maschi in canto territoriale e il ritrovamento di nidi attivi e di successo. Le prime osservazioni hanno riguardato le Riserve Naturali, poi trasformate in Monumenti Naturali, del Lago di Sartirana e di Celpenchio. La specie ha poi colonizzato piccoli canneti nella Lomellina nord-occidentale e, in anni molto recenti, è comparsa nel territorio del Parco Lombardo della Valle del Ticino, dove sono stati rinvenuti dei nidi in piena risaia a partire dal 1999. Una ricerca condotta nel 2000 ha consentito di individuare e censire gli individui di tarabuso in attività territoriale e di nidificazione nell’area delle risaie della Pianura Padana occidentale, in Lombardia e Piemonte, e particolarmente nelle province di Pavia e di Vercelli. I maschi territoriali e i nidi sono stati trovati soprattutto in piccoli canneti, a differenza di quanto avviene nel resto d’Europa, in cui solo i canneti superiori ai 50 ha sono occupati. Durante la primavera-estate del 2000, in 21 dei 53 canneti esplorati, di estensione variabile fra 0,05 e 40 ha (media 5,1 ha), il tarabuso è stato rinvenuto nidificante, con 1-3 maschi territoriali per ciascuna area e con il rinvenimento di 8 nidi. Fra le variabili che influenzavano la probabilità di presenza della specie vi era l’abbondanza di risaie in una fascia di 2000 m circostante ogni canneto; la probabilità di presenza aumentava in misura proporzionale con l’estensione delle risaie, ma nessun canneto con meno del 50% di risaia nei dintorni era occupato. Nessuno dei canneti occupati era invaso eccessivamente da vegetazione arbustiva, in particolare il salicone, o da specie erbacee esotiche, come Solidago gigantea. Dal 1998 sono stati rinvenuti dei nidi di Botaurus stellaris anche in piena risaia e, almeno dal 1999, la nidificazione è avvenuta con successo. Da allora la nidificazione avviene più o meno regolarmente, anche se in alcune annate sembra che nessun giovane sia stato allevato; questo nonostante siano state accertate la presenza di diversi maschi territoriali e l’avvenuta nidificazione. La perdita dei nidi, per quanto si conosce, è stata causata da alcune pratiche agricole nelle camere delle risaie. Le risaie risultano un ambiente idoneo per il foraggiamento dei tarabusi che nidificano nei canneti e nelle risaie stesse, ma la loro idoneità come ambiente di nidificazione dovrà essere valutata oggettivamente. Alcune pratiche agricole sono pericolose per i nidi e per i giovani: le varia-

Tarabuso

Tarabuso con radio

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habitat risicolo e fauna zioni dei livelli d’acqua possono causare la sommersione dei nidi e le trebbiatrici possono uccidere i giovani. Specie di uccelli ospiti delle risaie le cui popolazioni non sono globalmente a rischio

Ruolo delle risaie padane nella conservazione degli uccelli in Europa La comunità scientifica internazionale ha adottato dei criteri oggettivi per valutare l’importanza dei territori per la conservazione della biodiversità. L’adozione di norme europee che si propongono di salvaguardare il patrimonio naturale, come la Direttiva Uccelli (409/1979/CEE) e la Direttiva Habitat (43/1992/CEE) pone i singoli Paesi nella necessità di adeguarsi a standard universalmente riconosciuti per la valutazione del valore conservazionistico e l’adozione di misure di tutela. L’obiettivo è la costituzione della cosiddetta “Rete Natura 2000”, così come definita dall’art. 3 della Direttiva Habitat: “1. È costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati nell’allegato I e habitat delle specie di cui all’allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero, all’occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale. La rete ‘Natura 2000’ comprende anche le zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della direttiva 79/409/CEE. 2. Ogni Stato membro contribuisce alla costituzione di Natura 2000 in funzione della rappresentazione sul proprio territorio dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie di cui al paragrafo 1. A tal fine, conformemente all’articolo 4, esso designa siti quali zone speciali di conservazione, tenendo conto degli obiettivi di cui al paragrafo 1.”

• Le risaie e la rete irrigua collegata

ospitano inoltre popolazioni nidificanti consistenti e rilevanti a livello nazionale: – germano reale – gallinella d’acqua – p orciglione – cavaliere d’Italia – p avoncella – gabbiano comune – mignattino alibianche – cuculo – ballerina gialla – ballerina bianca – c utrettola – c annareccione

Combattenti

263


paesaggio Per la definizione delle ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi della Direttiva Uccelli sono stati fatti propri dall’Unione europea i criteri utilizzati da BirdLife International – un’organizzazione internazionale formata da una rete di organizzazioni non governative nazionali che si occupano della conservazione della natura e degli uccelli in particolare – per la designazione delle IBA (Important Bird Areas, Aree Importanti per la Conservazione degli Uccelli), che utilizzano una serie di parametri oggettivi molto rigorosi. In Italia, la definizione delle IBA è stata realizzata dalla LIPU-Lega Italiana Protezione Uccelli, per conto del Ministero dell’Ambiente, con il concorso di alcuni dei maggiori esperti nazionali. In Piemonte e Lombardia sono state perimetrate complessivamente 24 IBA (12 per ciascuna regione). Quattro fra queste interessano zone nelle quali le risaie costituiscono l’elemento prevalente: IBA017Garzaie del Novarese, IBA020-Garzaie del Sesia, IBA022-Lomellina e Garzaie del Pavese, IBA025-Garzaie del Vercellese. A livello nazionale le IBA sopra elencate sono le più importanti per alcune delle specie caratteristiche, come tarabuso, garzetta, nitticora, sgarza ciuffetto e mignattino e fra le più importanti per il cavaliere d’Italia. Nella graduatoria complessiva l’IBA delle risaie del Vercellese si colloca al 12° posto, l’IBA della Lomellina e delle Garzaie del Pavese al 15° fra le zone umide, su di un totale di 68 IBA con queste caratteristiche; le stesse IBA si collocano, rispettivamente, al 14° e al 25° posto della classifica generale delle 172 IBA italiane, grazie anche al ruolo importantissimo svolto da queste aree per la sosta dei limicoli migratori, oltre che per la nidificazione degli aironi. L’IBA Risaie della Lomellina è stata riconosciuta anche come ZPS (Zona di Protezione Speciale), recependo in questo modo le indicazioni della Direttiva Uccelli.

Foto V. Bellettato

Airone bianco

Foto V. Bellettato

Airone cenerino Cavaliere d’Italia

264


habitat risicolo e fauna Le risaie non sono sufficienti Il quadro sin qui fornito delinea un ruolo determinante delle risaie della Pianura Padana nel mantenimento di elevati valori di biodiversità animale degli ambienti palustri. Viene tuttavia da chiedersi se questa coltivazione, da sola, possa bastare anche per il futuro. Si è visto, d’altra parte, che quasi tutti gli organismi animali che raggiungono elevate densità in risaia necessitano della presenza di biotopi diversi, non coltivati, nei quali svolgere parti importanti del ciclo vitale. Gli aironi gregari, per esempio, non riuscirebbero a mantenere popolazioni vitali se non esistessero, frammisti alle risaie, altri ambienti fondamentali per la nidificazione. Le garzaie sono, nella maggior parte dei casi, localizzate in formazioni di vegetazione palustre, con estensioni di canneto di cannuccia palustre Phragmites australis e Typha latifolia e boschiva naturale o semi-naturale, quali i boschi di ontano nero Alnus glutinosa e di salici, Salix alba e Salix cinerea. Alcune di queste aree si trovano in terreni nei quali la falda freatica superficiale è poco profonda e che sarebbero coltivabili con difficoltà, a meno di scavare profondi canali di drenaggio e mettere in azione le idrovore. In altre aree le formazioni palustri sono di origine secondaria; anticamente erano state coltivate ma, in seguito, sono state abbandonate e si è consentito alla vegetazione spontanea palustre di riprendere il sopravvento. In questi ultimi casi, talvolta, la ricostituzione delle formazioni semi-naturali è stata giustificata dalla necessità di disporre di zone adatte all’allevamento naturale della selvaggina, all’interno delle riserve di caccia, ora aziende faunistiche. Spesso, però, la conservazione della vegetazione spontanea è il risultato di una scelta conservazionistica consapevole, operata da pochi privati, da associazioni ambientaliste, enti locali e, soprattutto, da enti gestori di aree protette, come i Parchi Regionali e le Riserve Naturali. Le aree di alimentazione alternative alle risaie, rappresentate dai fiumi e dalle poche aree palustri naturali, sopperiscono alle esigenze alimentari di molte specie sia durante i periodi di allagamento delle risaie sia durante gli altri periodi dell’anno. Il mantenimento di ambienti golenali ampi, non regimati e ricchi di lanche e altre zone umide laterali, è quindi una condizione indispensabile per consentire alle risaie di continuare a ospitare popolazioni abbondanti di uccelli palustri. Nell’area delle risaie della Pianura Padana nord-occidentale, sono due la aree fluviali protette, il Parco del Ticino (Lombardia e Piemonte) e il Parco Fluviale del Po Alessandrino (Piemonte). Infine, la disponibilità di aree nelle quali alcune forme pesanti di disturbo, come l’attività venatoria, non siano presenti, consente il mantenimento di condizioni idonee allo svernamento e alla sosta degli uccelli migratori. È interessante rilevare che le popolazioni di alcuni degli uccelli palustri oggi comuni nelle risaie, anche come nidificanti, erano assenti o molto scarse prima dell’entrata in vigore di norme sulla caccia più restrittive, che comportavano

Uccelli migratori e svernanti delle risaie

• Le risaie sono ambienti frequentati da numerose specie di uccelli acquatici sia durante la migrazione primaverile e autunnale sia durante l’inverno. Le specie per le quali le risaie sono importanti durante la migrazione primaverile sono le seguenti: – falco di palude – v oltolino – schiribilla grigiata – s chiribilla – corriere grosso – piovanello pancianera – g ambecchio – gambecchio nano – chiurlo maggiore – chiurlo piccolo – pittima reale – piro piro culbianco – piro piro boschereccio – p antana – p ettegola – totano moro – c ombattente –m ignattino – mignattino alibianche – mignattino piombato

265


paesaggio la chiusura della caccia alla fine di marzo, in pieno periodo di nidificazione o di migrazione. Attualmente l’attività venatoria deve chiudersi entro il 31 gennaio; questo consente a specie migratorie precoci di sostare e rifocillarsi e a specie che iniziano la nidificazione relativamente presto di iniziare indisturbate le parate nuziali e la costruzione dei nidi. Un sintomo delle mutate condizioni di disturbo è la presenza di popolazioni rilevanti in risaia di uccelli nidificanti, come il cavaliere d’Italia Himantopus himantopus, la pavoncella Vanellus vanellus, la folaga Fulica atra.

Specie svernanti che dipendono soprattutto dalle risaie e dalle stoppie

• A irone cenerino • G ermano reale • A lbanella reale • B eccaccino • Migliarino di palude

Aspetti problematici delle risaie La percezione delle risaie come elementi positivi dell’area della pianura piemontese e lombarda è ristretta ad alcune categorie di cittadini: agricoltori, naturalisti, cacciatori. Per altre categorie, soprattutto per gli abitanti dei paesi e delle piccole città, la presenza delle risaie viene percepita, non senza buoni motivi, in modo negativo. La presenza delle zanzare, l’aumento dell’umidità atmosferica estiva, l’uso di antiparassitari ad azione nociva anche sull’uomo, riducono per certi aspetti la qualità della vita degli abitanti di queste aree. Passerò brevemente in rassegna alcuni di questi aspetti.

Foto V. Bellettato

Aumento delle zanzare. Una delle controindicazioni della presenza delle risaie, secondo la maggior parte degli abitanti delle pianure, è l’aumento del numero di zanzare presenti anche nei centri abitati. Quando ci si riferisce a questi Ditteri Culicidi, occorre considerare che si ha a che fare con almeno quattro generi, Aedes, Culex, Anopheles e Ochlerotatus, comprendenti molte specie differenti di insetti, ciascuna caratterizzata da esigenze ecologiche particolari. È opinione diffusa che le zanzare siano aumentate di numero nel corso degli ultimi anni, e con esse i fastidi

Germani reali

Foto R. Angelini

266


habitat risicolo e fauna correlati. Mancano dati oggettivi a sostegno di questo presunto incremento, in quanto gli studi quantitativi sulle popolazioni sono carenti, anche se, negli ultimi anni, sono stati avviati programmi di campionamento standardizzato, anche con l’uso di apposite trappole. La percezione di un aggravarsi dei fastidi derivati dalle zanzare potrebbe essere collegata a un effettivo aumento della densità di questi insetti ematofagi. Nell’area delle risaie le zanzare sono sempre state presenti. Tuttavia, è ipotizzabile che, quando le tecniche di coltivazione prevedevano la sommersione prolungata delle vasche, il numero di esemplari che riuscivano a completare la fase acquatica e ad emergere fosse di gran lunga inferiore a quanto avviene oggi. In un paragrafo precedente sono già state illustrate le variazioni delle condizioni ecologiche delle risaie quando si è passati dalla tecnica del trapianto nelle risaie allagate alla semina diretta in vasche livellate con il laser e soggette a ripetute fasi di asciutta. L’eliminazione temporanea dell’acqua nelle vasche porta alla scomparsa, spesso irreversibile, delle popolazioni di molti organismi acquatici o anfibi predatori delle larve delle zanzare, come le coppette del riso, le libellule, i coleotteri idrofilidi, i girini degli anfibi, i piccoli pesci. Fra una fase di asciutta e la successiva non intercorre un tempo sufficiente che consenta agli esemplari adulti delle forme anfibie di tornare a deporre le uova. I cicli riproduttivi di una rana o di una libellula hanno la durata di diverse settimane o mesi. Le zanzare, invece, riescono a completare diversi cicli riproduttivi in questi intervalli; inoltre, possono sfruttare vasche allagate temporaneamente nelle quali gli organismi competitori e predatori sono ridotti di numero o quasi del tutto assenti.

Specie animali incluse negli allegati II e IV della Direttiva 92/43/CEE, o Direttiva Habitat, presenti in risaia

• Un anfibio compreso nell’Allegato II

conduce parte del ciclo vitale in risaia: il pelobate fosco (Pelobates fuscus insubricus)

• Un lepidottero diurno dell’Allegato

II è legato a una pianta nutrice presente talvolta sulle rive dei canali d’irrigazione o sugli arginelli non diserbati: la farfalla Lycaena dispar

• Specie dell’Allegato IV presenti in

risaia: natrice dal collare Natrix natrix, tritone crestato italiano Triturus carnifex, rospo smeraldino Bufo viridis

Contaminazione da antiparassitari. La coltivazione del riso con criteri produttivi convenzionali comporta l’uso di notevoli quantità

Lycaena dispar

Marsilea quadrifolia

• Questa felce acquatica era considerata un’infestante del riso e veniva combattuta in vari modi. Oggi è molto rara, è presente solo in pochissime zone umide naturali ed è inclusa fra le specie da proteggere secondo la Direttiva Habitat della Ue. Pertanto va ora considerata specie protetta

Marsilea quadrifolia

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paesaggio di sostanze antiparassitarie, di composizione chimica diversa e aventi effetti diversificati. Molte di queste sostanze hanno effetti secondari negativi su organismi non bersaglio. Fra le principali conseguenze dell’uso di antiparassitari si possono elencare gli effetti tossici, l’azione immunodepressiva, l’azione cancerogena e l’azione ormono-mimetica ( è recente la dimostrazione dell’azione ormono-mimetica e femminilizzante dell’Atrazina e di altre molecole analoghe a carico delle rane, in cui i maschi perdono la capacità di completare lo sviluppo delle gonadi e di produrre gameti). Occorre peraltro considerare che, al fine di valutare appieno l’impatto tossicologico della risicoltura, sarebbe necessario effettuare un confronto con quanto avverrebbe se i medesimi terreni fossero coltivati con le altre colture prevalenti della pianura, ovvero il mais, la soia ecc. Sarebbe necessario e urgente effettuare studi comparativi per valutare gli effetti sulla biodiversità delle diverse forme di coltivazioni del riso, sottoponendo a indagini rigorose risaie trattate in modo convenzionale e risaie gestite con i metodi dell’agricoltura biologica. Non risulta che lavori analoghi siano stati condotti in Italia e pubblicati su riviste scientifiche internazionali.

Foto G. Sarasso

Uova di uccelli deposte in zone umide

Emissioni di gas-serra. Le risaie contribuiscono alla diffusione nell’atmosfera del pianeta terra di circa 100 milioni di tonnellate/ anno di metano, in conseguenza dei processi di fermentazione, in ambiente anaerobico, del suolo allagato. La concentrazione di metano attuale, di circa 1,8 ppm (in volume), è più che raddoppiata nell’atmosfera nel corso degli ultimi due secoli. Questo gas, insieme all’anidride carbonica e ad altre sostanze, è responsabile dell’aumento della temperatura media della terra poiché rende più intenso l’effetto serra. Sono state riscontrate differenze in relazione alle tecniche di coltivazione, al ciclo dell’acqua e alle varietà Cavaliere d’italia in risaia

Foto V. Bellettato

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habitat risicolo e fauna impiegate. Occorre tuttavia considerare che le risaie europee costituiscono una frazione molto bassa della superficie coltivata a riso nel mondo.

Foto G. Sarasso

È possibile “migliorare” le tecniche risicole a favore della biodiversità? Le risaie possono svolgere un ruolo importante nel mantenimento della biodiversità di un territorio, in quanto ospitano organismi palustri che in natura trovano pochi ambienti adatti. Alcune modifiche alle tecniche colturali introdotte recentemente, relative alle variazioni della profondità dell’acqua e all’uso di antiparassitari con effetti collaterali importanti, hanno abbassato la recettività faunistica di una frazione importante delle risaie attuali. Si ritiene, tuttavia, che con opportuni accorgimenti a basso costo e con la messa a punto di piani di lotta integrata sarebbe possibile riportare il valore faunistico e ambientale ai valori originari, senza ridurre sensibilmente le rese agronomiche. In questa direzione sarebbe opportuno indirizzare le pratiche colturali, con azioni dimostrative e finanziamenti concessi attraverso misure agroambientali, che l’Unione europea dovrebbe incentivare. In previsione della riduzione ulteriore e, in prospettiva, dell’eliminazione dei contributi concessi alla produzione attraverso le misure della PAC - Politica Agricola Comunitaria, è urgente individuare pratiche agronomiche che potrebbero consentire di considerare la risicoltura una forma di gestione del territorio con elevate valenze ambientali e naturalistiche. In questa direzione è urgente avviare una discussione. Al di là delle implicazioni naturalistiche, il mantenimento delle risaie salvaguarderebbe aspetti culturali e del paesaggio di grande rilevanza estetica, sociale ed economica.

Ibis sacri in alimentazione. Questa specie si è diffusa e acclimatata nell’area delle risaie dopo essere sfuggita da uno zoo dell’Italia settentrionale

Garzaia della Lomellina

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