La Patata - Coltivazione

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La patata botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Coltivazione in Italia Italo Giordano, Giovanni Mauromicale, Bruno Parisi, Alfonso Pentangelo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Coltivazione in Italia La patata è una pianta dotata di notevole capacità di adattamento agli elementi del clima, il che consente di coltivarla dal nord al sud del nostro Paese, a diverse altitudini (dalla pianura alla montagna) e in differenti periodi dell’anno (oltre che nel ciclo ordinario primaverile-estivo, anche in cicli fuori stagione, quali quello verninoprimaverile e quello estivo-autunnale). Le piante di patata si adattano alle diverse condizioni modificando la fenologia, l’accrescimento e l’assetto organografico: quelle che svolgono il loro ciclo tra novembre e marzo-aprile, infatti, non arrivano in genere a fioritura e iniziano la differenziazione dei tuberi con largo anticipo fenologico rispetto alle piante coltivate durante il ciclo ordinario. Nelle coltivazioni effettuate in ciclo estivo-autunnale (tra agosto e dicembre), invece, le piantine appena emerse evidenziano un grado di sviluppo più stentato, soprattutto a causa del minore numero di steli per cespo che si differenziano dai tuberi-seme; di conseguenza, in questo ciclo le piante producono un numero inferiore di tuberi, ma di dimensioni più grandi, rispetto al ciclo normale. Le particolari condizioni climatiche di alcune aree costiere del nostro Mezzogiorno e l’adattabilità della coltura ai cicli extrastagionali consentono, pertanto, di realizzare un calendario di produzione pressoché continuo, che copre quasi tutto l’anno e che si può riassumere come segue. – Tra fine febbraio e fine giugno, con sfumature di precocità a volte sostanziali, si produce, nelle regioni meridionali e insulari, la patata cosiddetta “primaticcia” (seminata nei mesi invernali),

Piante di patata in piena fioritura

La patata in Italia Patata da consumo Tipologia di prodotto Patata da industria (french fries, crisps, altri semilavorati)

Cicli di produzione della patata da consumo

Extrastagionali (precoci) Piantamenti: da novembre Raccolte: da marzo (Sud Italia)

Adulti e larve di dorifora su piante di patata

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Extrastagionali Comuni (bisestili) Piantamenti: da febbraio Piantamenti: da agosto Raccolte: da giugno Raccolte: da dicembre (Centro-Nord Italia (Sud Italia) e aree interne del Sud)


coltivazione in Italia

Foto L. Albertazzi

Raccolta meccanica di tuberi di una coltura di patata bisestile nella Piana del Sele

il cui calendario di raccolta parte cronologicamente in Sicilia e si conclude in Campania. Il prodotto dei cicli precoci viene scavato, di norma, prima del completamento della maturazione fisiologica dei tuberi, i quali si presentano con la buccia che si stacca ancora facilmente dalla polpa: questo prodotto è diffusamente conoscciuto anche con la denominazione di “patata novella”. – Da giugno a ottobre, partendo cronologicamente dalle aree meridionali per finire agli ambienti più a nord della penisola, si raccoglie il prodotto cosiddetto “comune” (prima dalle coltivazioni di pianura e poi da quelle di montagna seminate a partire dalla

Tuberi-seme tagliati pronti per la semina

Durata dei cicli della patata in Italia Ciclo comune

Ciclo extrastagionale precoce o primaticcio

Ciclo extrastagionale bisestile o autunnale

AGO

SET

OTT

NOV

DIC

GEN

FEB

MAR

Periodo di semina

APR

MAG

Periodo di raccolta

419

GIU

LUG


coltivazione

Nuove varietà italiane

• Nell’ambito del progetto di ricerca

del MiPAAF “Miglioramento genetico della patata” (1998-2005) sono state recentemente costituite nuove varietà italiane

• Una di queste, Antea, adatta a tutti

i bacini italiani di produzione con terreni sciolti delle zone litorali, ha incontrato il favore di molti produttori e della grande distribuzione organizzata, e pertanto si sta gradualmente diffondendo

Coltura precoce in un areale a orticoltura intensiva

fine di febbraio), rappresentato da tuberi completamente maturi e ben abbucciati. – Tra fine novembre e gennaio, infine, si ottiene, nelle stesse aree della coltura primaticcia, la patata cosiddetta “bisestile”, che sta incontrando, negli ultimi anni, il favore crescente dei consumatori, i quali in tal modo possono disporre di tuberi freschi nel periodo invernale, quando normalmente è presente sul mercato solo prodotto proveniente da stoccaggio post-raccolta. I tuberi prodotti in entrambi i cicli extrastagionali (precoce e bisestile) sono destinati prevalentemente al consumo allo stato fresco e vengono commercializzati subito dopo la raccolta, mentre il prodotto del ciclo comune, proveniente sia dalla pianura sia dalla montagna, oltre a essere consumato fresco (subito dopo la rac-

• Altre nuove varietà (Daytona, Ilaria,

Ninfa, Rubino, Silvy, Zagara) sono state iscritte nel Registro nazionale delle specie agrarie

Tuberi della cv italiana Antea coltivata nel litorale pisano Raccolta manuale di una coltura di patata bisestile nel Napoletano

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coltivazione in Italia

Patate di qualità, varietà locali e territorio

• L’Italia è ricca di ecotipi locali di

patata, presenti soprattutto in zone di montagna

• In alcune aree è il territorio, inteso

come insieme di fattori edafici e di tecnica di coltivazione, a incidere in modo positivo sugli aspetti di qualità organolettica dei tuberi

• È questo il caso, per esempio, della

Irrigazione con ala gocciolante di colture di patata in ciclo precoce

Patata di montagna della provincia di Torino, della Patata trentina di montagna, della Patata dorata dei terreni rossi del Guà, della Patata di Bologna DOP, della Patata di Montese, della Patata della Sila IGP, della Patata novella Sieglinde di Galatina, della Patata tipica di Siracusa, della Patata felix campana

colta o, per la maggior parte, dopo frigoconservazione), limitatamente a specifiche varietà viene destinato anche all’industria di trasformazione. Varietà Una così ampia gamma di tipologie merceologiche di prodotto, ottenuta, tra l’altro, in condizioni pedoclimatiche e colturali a volte anche molto differenti, richiede l’impiego di varietà diverse e specifiche per ogni singola situazione. In particolare, per il ciclo precoce vanno impiegate cultivar capaci di tollerare le basse temperature – che sovente si verificano nelle prime fasi del ciclo – e caratterizzate da pronta differenziazione e rapido accrescimento dei tuberi, in modo che il loro sviluppo possa concludersi prima

• Alcune di queste produzioni sono

tutelate da un marchio di qualità gestito da un consorzio che garantisce l’applicazione di uno specifico disciplinare di produzione Foto L. Albertazzi

Tuberi di Adora, la cultivar più diffusa in Campania

Tuberi di Arielle, varietà in forte espansione Tuberi della cv Monalisa, diffusamente nelle coltivazioni della Campania coltivata in Sardegna

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coltivazione dell’arrivo della stagione calda e secca. Per il ciclo estivo-autunnale, invece, risultano più adatte cultivar tolleranti al caldo nelle prime fasi e al freddo nelle fasi conclusive del ciclo, oltre che caratterizzate da un elevato tasso di tuberificazione. Per le colture biologiche, poi, è fondamentale l’utilizzo di varietà resistenti/tolleranti alle più gravi e diffuse fitopatie della patata e caratterizzate da esigenze limitate riguardo all’impiego di mezzi tecnici. Attualmente la scelta può essere operata tra un numero considerevole di cultivar disponibili in commercio, il cui panorama viene continuamente aggiornato e arricchito da nuove varietà sempre più rispondenti alle esigenze dei produttori, delle industrie di trasformazione e dei gruppi di acquisto della distribuzione. La maggior parte delle cultivar utilizzate in Italia è di provenienza estera, anche se, in molti casi, esse sono state validate in loco, attraverso prove di verifica dell’idoneità alle diverse condizioni colturali del nostro Paese. Solo negli ultimi anni, grazie all’impegno di alcuni istituti di ricerca nazionali, sono state costituite le prime varietà italiane, derivanti da specifici programmi di breeding miranti a soddisfare le particolari esigenze della nostra pataticoltura, soprattutto dei cicli extrastagionali. In molti areali pataticoli, inoltre, sono presenti numerose varietà locali, che si sono adattate, con il passare del tempo, alle particolari condizioni pedoclimatiche dei diversi ambienti. Generalmente esse interessano piccole superfici dove, ancora oggi, continuano a essere coltivate con agrotecniche tradizionali, a volte anche molto differenti tra loro, in relazione ai diversi ambienti e varietà. Grazie alla passione e alla sensibilità di tanti singoli agricoltori che ne hanno, di fatto, assicurato la custodia, queste varietà locali sono entrate a far parte a pieno titolo della storia e delle tradizioni culturali, colturali e gastronomiche di numerose piccole realtà

Tuberi di Arinda, cv tra le più diffuse nelle coltivazioni di patata primaticcia in Sicilia

Tuberi della cultivar Ditta raccolti dalle terre “rosse” del Siracusano

Tuberi della cultivar Sieglinde raccolti in Puglia Tuberi di Inova, cv che ha trovato buona diffusione in Puglia

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coltivazione in Italia rurali italiane, e si è scongiurata la perdita di una preziosa fonte di biodiversità. Agrotecniche L’ampio panorama varietale utilizzato e le differenti condizioni climatiche che caratterizzano i vari ambienti e cicli colturali richiedono l’adozione di agrotecniche che, per alcuni aspetti, sono molto differenziate. In particolare, gli apporti irrigui, che nei cicli precoci sono necessari solo in periodi molto siccitosi durante la fase di accrescimento dei tuberi, diventano invece indispensabili nelle prime fasi di coltivazione dei cicli estivo-autunnali, per favorire un’emergenza regolare delle piantine. Allo stesso modo, le quantità e i momenti di distribuzione dei concimi azotati devono tenere conto della differente lunghezza dei cicli colturali e possono variare in dipendenza degli apporti idrici (sia da pioggia sia da irrigazione). Quanto alla difesa fitosanitaria, va tenuto presente che, a seconda delle differenti condizioni climatiche che caratterizzano i cicli, possono facilmente variare le problematiche fitopatologiche (per esempio, le coltivazioni bisestili sono generalmente interessate da gravissimi attacchi di peronospora, determinati dal clima autunnale particolarmente favorevole allo sviluppo e alla rapida diffusione di questo patogeno). Tra le altre agrotecniche, anche l’utilizzo di tuberi-seme frazionati (molto diffuso nelle coltivazioni precoci, ma assolutamente da evitare in quelle estivo-autunnali) e la densità di investimento (maggiore nelle colture bisestili, per compensare il differenziamento di un numero minore di steli e di tuberi per pianta) possono più o meno variare in dipendenza del ciclo colturale e della destinazione del prodotto (per il consumo fresco, per l’industria ecc.).

Tuberi di Primura, cv molto diffusa nella pianura bolognese Foto L. Albertazzi

Tuberi di Agata, cv molto diffusa in vari bacini produttivi del centro-nord Italia

Tuberi della cv Vivaldi in areale del Friuli Coltura in ciclo precoce irrigata con il metodo per infiltrazione laterale

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Patata comune Bruno Parisi

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coltivazione Patata comune Introduzione Con la terminologia “patata comune” si deve intendere il prodotto (tubero) ottenuto da coltivazioni effettuate nel periodo primaverile-estivo, le cui piante sono prossime al raggiungimento della fenofase di maturazione fisiologica stimabile facilmente, a vista, quando le foglie del primo palco virano di colore passando dal verde al giallo. I tuberi raccolti devono presentarsi con periderma (buccia) ben indurito ed esente da difettosità di abbucciamento (skinning), intesa come suscettibilità a screpolature e lesioni più o meno estese, al momento dello scavo, meccanizzato o manuale che esso sia. Il ciclo colturale della patata definito “comune” prevede, a seconda dei bacini produttivi italiani, semine a partire da fine gennaio (areali campani) fino a tutto maggio (areali di media collina e montagna); le raccolte iniziano da fine giugno nelle zone più calde fino a proseguire per tutto settembre in quelle più fredde (Fucino, Sila).

Pianta ormai matura e prossima allo scavo

Tipologie di prodotto in Italia Tradizionalmente in Italia, con l’allestimento di produzioni pataticole in ciclo comune, si ottengono tuberi destinati di solito a una conservazione post-raccolta più o meno prolungata a seconda delle varietà utilizzate (dormienza differenziata), delle tecnologie di stoccaggio (raffreddamento, uso di antigermoglianti) nonché delle strutture aziendali impiegate (celle fredde, ricoveri a temperatura ambiente, grandi cantine, magazzini sotterranei).

Tuberi posti in cassetta per il mercato fresco

Acquisti al dettaglio di patate delle famiglie italiane per canale commerciale

Foto L. Albertazzi

Tuberi della cultivar Marabel

Canale distributivo

Valore (x 1000 €)

% di incidenza

Supermercati, superette

230.182

33,4

Ambulante, mercato

137.537

25,4

Tradizionali specializzati

85.549

14,9

Ipermercati

75.851

10,8

Discount

62.535

8,9

Self service

21.224

3,2

Negozi tradizionali

15.640

2,4

Altre fonti

6350

1,1

Totale

634.870

100

Rilevazioni su un campione di famiglie rappresentativo della popolazione italiana riferite a prodotto rispondente alle norme di qualità in vigore. Fonte: elaborazioni CSO su dati GFK

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patata comune Nella tipologia “patate comuni” sono distinguibili almeno due grandi categorie merceologiche: – le produzioni da consumo reperite dai consumatori principalmente nel canale distributivo dei supermercati e del dettaglio (ambulanti e mercato); nettamente minori sono in termini percentuali le vendite tramite il canale discount o direttamente gestite dai pataticoltori (farmers market e punto-vendita aziendale); – le produzioni per la trasformazione in lavorati industriali (prefritti surgelati, chips, cubetti ecc.), che interessano una percentuale sempre più alta di prodotto nazionale contrattualizzato (circa 170.000 t).

Foto R. Angelini

Raffronto decennale (2000-2009), su base regionale, di superfici e produzioni di patata comune in Italia Anno di riferimento

Regione

2009 Superficie (ettari)

Piemonte

1847

Produzione Produzione totale raccolta (t) (t) 47.822

2009 vs 2000 (var. %)

2000

47.801

Superficie (ettari)

Produzione totale (t)

Produzione raccolta (t)

Superficie (ettari)

2643

74.735

74.735

–30

Produzione Produzione totale raccolta (t) (t) –36

–36

Valle d’Aosta

130

2400

2400

400

7200

7200

–67

–67

–67

Lombardia

1327

40.372

40.372

2421

78.993

78.993

–45

–49

–49

Liguria

1473

32.023

18.149

871

14.431

13.985

69

122

30

Trentino-Alto Adige

726

21.850

8549

1011

28.386

28.005

–28

–23

–69

Veneto

3269

125.005

124.246

4006

147.374

146.291

–18

–15

–15

Friuli-Venezia Giulia

537

13.756

13.756

659

20.560

20.560

–19

–33

–33

Emilia-Romagna

6452

245.939

222.479

7610

243.900

243.810

–15

1

–19

Toscana

5163

105.017

101.939

2005

38.191

37.052

158

175

175

Umbria

562

8616

8616

483

8835

8835

16

–2

–2

Marche

883

18.878

18.554

2289

52.784

51.572

–61

–64

–64

Lazio

2333

67.540

65.402

4053

100.691

96.886

–42

–33

–32

Abruzzo

4465

168.851

167.919

4511

159.103

159.028

–1

6

6

Molise

1200

13.800

13.800

1255

16.690

16.052

–4

–17

–14

Campania

7931

256.650

248.645

8836

259.202

254.015

–10

–1

–2

Puglia

1580

39.850

38.950

2840

46.745

43.975

–44

–15

–11

Basilicata

250

6250

6250

n.d.

n.d.

n.d.

n.v.

n.v.

n.v.

Calabria

5491

133.398

128.296

8643

162.809

157.917

–36

–18

–19

Sicilia

2415

40.737

38.414

1910

38.500

35.466

26

6

8

Sardegna

1630

26.627

26.347

1459

23.240

22.100

12

15

19

ITALIA

49.664

1.415.381

1.340.884

57.905

1.522.369

1.496.477

–14

–17

–10

Fonte: SMEA su dati ISTAT

425


coltivazione Le principali varietà di patata da consumo in Italia, coltivate in ciclo comune Varietà

Costitutore (anno), Paese

Incrocio

Colore buccia

Colore pasta

Zone produzione

Ciclo maturazione

Classe culinaria EAPR

Titolarità commerciale

Adora

A.D. Mulder (1990), Olanda

Primura x Alcmaria

giallo

giallo

Campania, EmiliaRomagna

precoce

B

HZPC

Agata

Svalöf Weibull (1990), Olanda

52/72/2206 x Sirco

giallo

giallo

EmiliaRomagna, Alto Viterbese, Abruzzo

precoce

BA

AGRICO

Agria

Kartoffelzucht Bohm (1985), Germania

Quarta x Semlo

giallo

giallo intenso

Abruzzo, Calabria, Campania

tardiva

CB

AGRICO, EUROPLANT

Désirée

De ZPC (1962), Olanda

Urgenta x Depesche

giallo

Toscana, Umbria, bacini di produzione collinari e montani

medio-tardiva

CB

libera

Kennebec

USDA (1948), USA

USDA B 127 x USDA 96-56

bianco

bacini di produzione collinari e montani

medio-tardiva

D

libera

Kuroda

G. Kuik (1998), Olanda

AR 76-19-3 x Konst 801407

giallo

bacini di produzione collinari e montani

medio-tardiva

CB

AGRICO

Marabel

R.J. Mansholt (1993), Olanda

Nena x MA 75-364

giallo

EmiliaRomagna, Veneto, Abruzzo, Calabria

medioprecoce

BA

EUROPLANT

Monalisa

Van der Zee & Zonen (1961), Olanda

Bierma A 1-287 x Colmo

giallo

giallo

EmiliaRomagna, Sardegna, Toscana, Marche

medioprecoce

B

libera

Primura

G.S. Mulder (1961), Olanda

Sirtema x Majestic

giallo

giallo

EmiliaRomagna, Veneto

precoce

B

libera

Vivaldi

Van der Zee (1998), Olanda

TS 77-148 x Monalisa

giallo

giallo

EmiliaRomagna

medioprecoce

B

HZPC

rosso

giallo

rosso

giallo

426


patata comune Evoluzione delle superfici coltivate in Italia Nel decennio 2000-2009 la coltivazione di patate comuni ha conosciuto una contrazione (–14%) delle superfici passando da quasi 58.000 ha a poco meno di 50.000 ha, e perdendo mediamente oltre 800 ha/anno. Nel 2009 le regioni italiane principali per la produzione di patata comune sono state, in ordine di importanza, Campania, EmiliaRomagna, Calabria, Toscana e Abruzzo, che insieme detengono a livello nazionale: – il 60% (29.502 ha) delle superfici seminate; – il 64% (869.278 t) dell’intera produzione raccolta. In soli dieci anni il panorama delle regioni a forte tradizione pataticola risulta mutato poiché nel 2000 le prime cinque in ordine di importanza erano Campania, Calabria, Emilia-Romagna, Abruzzo e Veneto; in un decennio la Toscana ha compiuto un grosso salto (+158%) in avanti passando da 2005 a 5163 ha e scalzando così l’Abruzzo dalla quarta posizione del ranking nazionale. Nel periodo di riferimento si è assistito a un sensibile ridimensionamento delle superfici anche in Campania (–10%) ed Emilia-Romagna (–15%); vi è invece sostanziale stabilità negli investimenti ettariali in Abruzzo (–1%), mentre si è verificata una poderosa contrazione in Calabria (–36%). Ancora nel 2009, i bacini produttivi più importanti (>2000 ha) rientravano nelle province di Bologna (3800 ha), L’Aquila (3600 ha), Cosenza (3302 ha), Livorno (3243 ha), Avellino (2400 ha), Napoli (2204 ha) e Caserta (2008 ha).

Calo delle superfici investite

• Nell’ambito dell’intero comparto

pataticolo nazionale (extrastagionale + comune), nel decennio 2000-2009, inalterata è rimasta la prevalenza (70% sul totale) della quota di ettari coltivati per il prodotto “comune”; ciò pur nel ridimensionamento degli investimenti ettariali, che passano da quasi 82.000 ha a poco più di 70.000 ha, perdendo mediamente 1130 ha/anno

• Il declino delle superfici a patata è

comunque un fenomeno strutturale perché ancora un decennio addietro (1990) l’Italia investiva 118.744 ha: in venti anni (1990-2009) si è assistito a un vero tracollo (–42%)

Panorama varietale La patata è una specie agraria che più di altre risente di un’elevata interazione “genotipo x ambiente”: ne è lampante esempio il fatto che il panorama varietale cambia man mano che ci si sposta tra le varie aree di produzione. Per gli aspetti concernenti le cultivar da impiegarsi, per singola destinazione produttiva (consumo o industria), vanno considerati ovviamente l’areale in cui esse vengono coltivate, i periodi di raccolta dei tuberi, la variabilità pedologica dei terreni interessati alla coltivazione ecc. Tra le cultivar da consumo più coltivate troviamo quelle: – a pasta gialla (Adora, Agata, Agria, Marabel, Monalisa, Primura e Vivaldi); – a buccia rossa (Désirée, Kuroda); – a pasta bianca (Kennebec). Tra le cultivar da industria più coltivate troviamo quelle destinate alla trasformazione in: hips (Agria, Hermes, Lady Claire, Lady Rosetta, Sinora); –c – bastoncini prefritti surgelati (Daisy, Fontane, Innovator); – surgelati vari come cubetti, novelle crude e minestroni (Jaerla). In forma schematica possiamo comunque indicare, per bacini di coltivazione, le cultivar oggi più utilizzate e che di fatto si sono

Tuberi della cultivar Innovator

427


coltivazione maggiormente affermate nel tempo suddividendole per destinazione. In ambito varietale è bene ricordare che l’utilizzo del tubero-seme certificato rappresenta la prima garanzia di qualità e pone pertanto le basi per una buona riuscita degli investimenti. Del resto l’impegno economico relativo all’acquisto del tuberoseme obbliga i produttori e le loro OP a una scelta quantomai attenta. In linea di massima l’introduzione di novità varietali (di per sé mai facile) deve essere affrontata con le opportune cautele, tenuto conto della molteplicità di fattori che influenzano i risultati finali, siano essi produttivi o qualitativi. È perciò indispensabile favorire sinergie tra produttori, OP e strutture (cooperative, operatori privati ecc.) che ritirano il prodotto per immetterlo, dopo periodi più o meno prolungati di frigostoccaggio, sul mercato del consumo o per trasformarlo (industrie alimentari) in quanto le risposte agronomiche delle cultivar devono sempre essere associate agli aspetti più specifici della piena rispondenza merceologica (lavabilità, uniformità della forma e dei calibri ecc.) ed efficacia nella trasformazione dei tuberi (insieme di parametri tecnologici). L’idoneità alla trasformazione va poi necessariamente abbinata ai diversi periodi di raccolta in quanto la dilatazione del periodo di ritiro delle patate, implementata o meno alla conservazione del prodotto, risulta elemento essenziale perché si colleghino opportunamente esigenze industriali e agricole. La necessità di valutare con attenzione e per più anni le caratteristiche di nuove cultivar per le diverse destinazioni produttive (consumo o industria) dovrebbe mirare all’individuazione di nuove

Requisiti di qualità in base alla destinazione

• Per la patata da consumo, per lo

più oggetto di frigostoccaggio postraccolta: tuberi lavabili, elevata concentrazione di calibri commerciali, assenza di gravi fisiopatie interne (maculatura ferruginea, cuore cavo, cuore nero) ed esterne (inverdimento), assenza di marciumi di origine fungina e batterica, periodo di dormienza medio-lungo, resistenza all’addolcimento causato dalle temperature di stoccaggio ed elevato valore culinario (gusto tipico, assenza di off-flavours)

• Per la patata da industria: elevata

attitudine (buon contenuto di sostanza secca nei tuberi, assenza di imbrunimento enzimatico durante le operazioni di pelatura e taglio, ridotta presenza di zuccheri riducenti corresponsabili dell’imbrunimento non enzimatico durante la frittura) alle diverse tipologie di processamento industriale

Foto F. Govoni

Foto L. Albertazzi

Tuberi-seme in sacchi Pre-assolcatura autunnale nel Bolognese

428


patata comune Le principali varietà di patata da industria in Italia Costitutore (anno), Paese

Incrocio

Colore buccia

Colore pasta

Bacini produttivi

Ciclo maturazione

Agria

Kartoffelzucht Bohm (1985), Germania

Quarta x Semlo

giallo

giallo intenso

Sud e Centro Italia

tardiva

AGRICO, EUROPLANT

Daisy

Germicopa (1998), Francia

Gipsy x Culpa

giallo

giallo

Nord Italia

medio-tardiva

GERMICOPA

Fontane

Svalöf Weibull (1999), Olanda

Agria x AR 76-34-3

giallo

giallo

Sud e Centro Italia

tardiva

AGRICO

Hermes

NOS (1973), Austria

DDR 5158 x SW 163/55

giallo

giallo

Nord Italia

medio-tardiva

libera

Innovator

HZPC (1999), Olanda

Shepody x RZ 84-2580

bruno

giallo

Sud Italia

precoce

HZPC

Jaerla

Friese Mij. van Landbouw (1969), Olanda

Sirtema x MPI 19268

giallo

giallo

Sud e Nord Italia

precoce

libera

Lady Claire

C. Meijer (1996), Olanda

Agria x KW 78-34470

giallo

giallo

Nord Italia

medioprecoce

C. MEIJER

Lady Rosetta

C. Meijer (1988), Olanda

Cardinal x (VTN)2 6233-3

rosso

giallo

Sud Italia

medioprecoce

C. MEIJER

Sinora

J.J. Schilt (1999), Olanda

Agria x AM 70-2166

giallo

giallo

Sud e Nord Italia

medioprecoce

AGRICO

chips

prefritti surgelati (stick)

Destinazione industriale

Titolarità commerciale

Varietà

altri surgelati (cubetti, novelle crude, minestroni)

429


coltivazione potenziali cultivar per i diversi bacini di produzione italiani poiché l’innovazione varietale è strategica per il settore. Dominanza apicale

Avvicendamento e preparazione del terreno Una successione colturale agronomicamente corretta rappresenta uno strumento imprescindibile per preservare la fertilità dei suoli, contenere le avversità telluriche e migliorare la qualità delle produzioni agricole. La patata è una coltura molto esigente dal punto di vista agronomico in quanto richiede, per ottenere produzioni copiose e di qualità, l’impostazione di un razionale avvicendamento colturale e un’accuratissima preparazione del terreno. Il terreno destinato alla semina di patata comune, che generalmente sarebbe bene fosse stato occupato come precessione colturale da un cereale a paglia, va lavorato durante l’estate con un’aratura profonda (40-45 cm). Nel lungo periodo tra questa aratura e la semina della patata (fine inverno) occorre operare, in uno o due passaggi, in modo che il terreno sia ridotto uniformemente senza zolle e che sia esposto il più possibile all’azione strutturante dei geli invernali. È da valutare, inoltre, in base alle caratteristiche del terreno e al tipo di seminatrice che verrà impiegata, l’eventualità di effettuare la pre-assolcatura autunnale, utile per aumentare l’esposizione della massa terrosa al gelo. Questa tecnica agronomica, indicata per i terreni a contenuto d’argilla piuttosto alto (oltre il 18-20%), consente di realizzare una migliore copertura dei tuberi alla semina. Una leggera pre-assolcaltura è di buona efficacia anche nel caso si utilizzino seminatrici automatiche che non la richiedono: così facendo si elimina l’inconveniente del compattamento (suola) causato dal

• Ogni singola cultivar può avere

attitudine differenziata a emettere fusti e ciò dipende dai due fattori seguenti: – dominanza della gemma apicale del tubero. La sua intensità di dominio, determinata da fattori genetici ed endogeni di tipo ormonale, inibisce con gradiente gerarchico crescente (dalla corona alla zona ombelicare) lo sviluppo dei germogli sottostanti per posizione – numero di gemme e loro posizionamento per unità di superficie del tubero (ben distribuite oppure concentrate nella sola zona della corona)

Emergenza dei cespi

Foto F. Govoni

430


patata comune vomere della seminatrice, il tubero verrà collocato più in profondità e la sua copertura sarà migliore. In terreni limosi o sabbiosi, in primavera, arature leggere seguite da erpicature sono le più consigliabili.

Importanza dell’avvicendamento

• La patata migliora il terreno in cui

Sesti d’impianto, densità di semina e calibri Poiché il materiale con cui la patata si propaga non è costituito dai semi ma dai tuberi, “piantamento” è termine agronomicamente più appropriato di “semina”. Per poter procedere a una scelta ragionata del materiale per l’impianto di una coltivazione di patata e della conseguente tecnica di piantamento, è opportuno richiamare alcune nozioni. Il tubero-seme, una volta affidato al terreno in condizioni di temperatura adeguate (>8 °C), germoglia e da ognuna delle gemme (occhi) su di esso presenti si origina un fusto, cosicché dal terreno emerge un cespo (comunemente chiamato pianta) di germogli autonomi che crescono vicini e tra i quali si instaurano rapporti di competizione edafici. Tuberi grossi, che presentano parecchi occhi, formano un cespo di numerosi steli tra i quali la competizione è forte; viceversa nel caso di tuberi piccoli. Il grado di competizione a livello sotterraneo determina il numero e la dimensione dei nuovi tuberi: se ne deduce che i folti cespi derivati da tuberi grossi formano molti tuberi ma di dimensioni spesso ridotte, e viceversa. Quanto detto è importante per ottenere produzioni di tuberi del calibro più richiesto (piccolo e medio per tuberi da semina, medio per il consumo, grosso per trasformazioni industriali). A livello aziendale poi, fattori economici e organizzativi, oltre a quelli tecnici visti prima, entrano in gioco nella scelta finale del calibro acquistato dal produttore. Molti tendono a utilizzare calibri più grossi (45-55 mm e oltre) per poter tagliare il seme e ottenere un risparmio.

è stata coltivata in virtù dell’elevato apporto di nutrienti che riceve e del buon potere strutturante esercitato dalle sue radici. È coltura da rinnovo che di solito apre la rotazione precedendo il frumento e seguendo il frumento stesso o un altro cereale a paglia (orzo, avena, triticale, segale). Non dovrebbe mai entrare in rotazioni corte: almeno 4 o addirittura 5-6 anni devono passare prima che la patata torni sullo stesso terreno, in successione a un cereale a paglia vernino (meglio se frumento) o anche ad alcune ortive chenopodiacee (spinacio, bietola da coste e da orto), né devono entrare nella rotazione altre colture di solanacee (pomodoro, peperone, melanzana, tabacco). Da evitarsi anche inserimenti in avvicendamenti con colza e girasole o precessioni di prati poliennali e medicai (per i gravi danni sui tuberi causati da elateridi). Rotazioni errate e ristoppi frequenti favoriscono lo sviluppo di agenti biotici di avversità telluriche (rizottoniosi, mal dello sclerozio, sclerotiniosi, dartrosi, nematodi fitoparassiti)

Quantità di tubero-seme di patata tagliato in pezzi, occorrente per ettaro, considerando tre diversi pesi/unità Distanza interfila (cm)

90

Distanza sulla fila (cm)

Quantità (kg) di tuberi-seme tagliati per ettaro considerando tre diversi pesi/unità

Pezzi/ ettaro (n.)

50 g

57 g

64 g

18

3049

3486

3923

61.507

20

2668

3049

3430

53.820

22

2376

2712

3094

47.840

25

2141

2443

2746

43.056

28

1939

2219

2443

38.252

30

1782

2040

2287

35.880

431


coltivazione Distanze di semina più diffuse nel bacino produttivo bolognese Cultivar

Taglio dei tuberi-seme

• Motivazioni di natura economica (costo

elevato dei calibri piccoli) spesso inducono il pataticoltore a optare per il taglio dei tuberi-seme >45 mm. Si tratta di una tecnica diffusa che però richiede particolari cure per evitare che si inneschino fenomeni di marcescenza post-taglio di difficile controllo. In particolare, si porrà la massima attenzione a: – n on tagliare tuberi con temperatura della polpa <10 °C – s anitizzare costantemente gli attrezzi di taglio (per es. con sali quaternari d’ammonio) per evitare il rischio di diffusione di batteri fitopatogeni – f avorire una buona ventilazione e un’umidità relativa intorno al 95% nei locali dove staziona temporaneamente il materiale tagliato, onde favorire una più rapida suberizzazione delle ferite

Agata

Primura

Vivaldi

Calibro (mm)

Taglio

Distanza (cm) Interfila

Sulla fila

28-35

no

75

22

35-45

in 2 pezzi

80

24

45-55

in 4 pezzi

75

18

28-35

no

75

22

35-45

no

90

28

45-55

in 4 pezzi

75

18

28-35

no

90

22

35-45

no

90

28

45-55

in 4 pezzi

75

18

Tuttavia non bisogna dimenticare che il seme tagliato ha bisogno di alcuni giorni e determinate condizioni microclimatiche per poter suberizzare bene la ferita derivante dal taglio. Sono disponibili seminatrici cosiddette cut and sowing che consentono di tagliare e seminare immediatamente, accelerando le operazioni di semina; tali macchine sono dotate anche di uno o più spruzzatori, collegati a una tanica contenente una miscela di fungicida e insetticida, aventi lo scopo di coibentare il seme con un velo protettivo prima che venga coperto definitivamente dal terreno. Comunque, la semina del tubero intero appare, dal punto di vista agronomico e fitosanitario, la soluzione ideale: meno fallanze, meno disetaneità delle piante, più tuberi per pianta, calibri più uniformi alla raccolta. Per ciò che riguarda il sesto di impianto, oggigiorno il produttore si trova di fronte a due scelte: interfile a 75 cm (a volte anche 80 cm) oppure a 90 cm. Le aziende pataticole di dimensioni medio-grandi preferiscono optare per i 90 cm, mentre le aziende piccole propendono per i tradizionali 75 cm. È facile comprendere che una distanza di 90 cm sull’interfila consente di effettuare una rincalzatura più alta, che protegge meglio i tuberi da: – inverdimento, soprattutto nelle cultivar a tuberizzazione superficiale, considerando anche che le piogge e alcuni tipi di irrigazione (impianti semoventi) durante il ciclo produttivo tendono ad asportare terreno dalle prose; – repentini cambiamenti della temperatura del suolo, soprattutto nel caso degli innalzamenti termici oltre i 30 °C, in estate, che favoriscono una perdita di brillantezza nella buccia; – danni da tignola, per il maggior allungamento in profondità degli stoloni.

Foto F. Govoni

Inverdimento dei tuberi per crepacciatura del terreno

432


patata comune Tuber count in una cultivar da chips•, una da bastoncini prefritti•• e una da consumo••• Cultivar

Numero di tuberi-seme per 100 kg Ø 28-35

Ø 35-45

Ø 35-50

Ø 35-55

Ø 45-50

Ø 45-55

Ø 50-55

Ø 50-60

Ø 55-60

Accord•••

3910

1836

1480

1318

1152

1026

826

774

636

Lady Rosetta•

4344

2196

1818

1648

1370

1214

1012

946

782

Russet Burbank••

3372

1622

1490

1474

1018

984

618

618

588 Foto R. Angelini

La densità ottimale di semina, pur con aggiustamenti numerici legati alla cultivar, al calibro e al tipo di tubero-seme usato (intero o tagliato), si può mediamente stimare in circa 45.000-65.000 cespi/ha. Ancora oggi molti produttori si basano sul peso dei tuberi-seme per superficie piuttosto che sul loro numero, anche se si sta affermando sempre più la tendenza a usare seme di calibro più omogeneo possibile, facilitando così il raggiungimento della densità d’impianto desiderata. L’investimento può essere considerato ottimale quando massimizza la produzione in rapporto alla quantità di tubero-seme utilizzata favorendo nel contempo la presenza di piante sane e tuberi di pezzatura omogenea. La fittezza di piantagione quindi deve essere definita non solo come numero di tuberi-seme messi a dimora per metro quadrato, ma anche come numero complessivo di fusti che se ne origineranno; si considera che l’optimum sia una copertura costituita da 15-20 steli/m2.

Foto F. Govoni

Rincalzatura La rincalzatura consiste nell’addossare terreno dall’interfila alla fila di piante di patata in modo da favorire l’emissione di stoloni e radici dalla parte interrata degli steli. Una pre-rincalzatura di 5-10 cm potrebbe essere fatta già al momento della semina con opportuna regolazione dei dischi copritori della piantatrice. Una prima leggera rincalzatura può essere consigliabile appena prima dell’emergenza dei germogli, magari in concomitanza con la rottura della crosta; quella vera e propria si fa con i germogli allo stadio di 2-3 foglie formando una prosa di almeno 20 cm di altezza sul piano di campagna: questo assicura condizioni ottimali di sviluppo alle radici e ai nuovi tuberi in via di differenziazione sugli stoloni. Per realizzare una buona rincalzatura si richiede che il terreno sia stato ben sminuzzato su tutta la profondità interessata; si utilizzano varie tipologie di macchine operatrici (aratro rincalzatore a doppio vomere, rincalzatrice a dischi, rincalzatrice a fresa). Una buona rincalzatura consente: – di evitare ai tuberi gli stress termici nel periodo estivo, caratterizzato da temperature del terreno spesso elevate;

Tuberi tagliati pronti alla semina

433


coltivazione – alle piante di sviluppare un apparato radicale capace di esplorare un maggior volume di terreno, con vantaggi importanti in termini di asportazione di nutrienti e acqua; – di evitare l’inverdimento dei tuberi; – di proteggere i tuberi dalle infezioni di peronospora determinate dalla caduta al suolo degli sporangi del patogeno sviluppatisi sulle foglie attaccate; – di proteggere i tuberi dai danni causati dalle larve di tignola, lepidottero gelechide di estrema pericolosità in alcune annate e in condizioni di campo predisponenti (rincalzatura bassa + crepacciature del terreno).

Foto L. Albertazzi

Concimazione minerale Come per ogni coltura, anche in quella della patata una razionale concimazione deve basarsi anzitutto sul fabbisogno ponderato dei nutrienti e sulle dotazioni del terreno. Una coltura di patata in condizioni equilibrate di nutrizione, senza carenze e senza consumi “di lusso”, per produrre una tonnellata di tuberi richiede le seguenti quantità di macro- e mesoelementi: – azoto (N) = 4,2 kg – anidride fosforica (P2O5) = 1,5 kg – potassio (K2O) = 6,9 kg – calcio (CaO) = 0,2 kg – magnesio (MgO) = 0,3 kg In fatto di macroelementi di solito il terreno non provvede completamente al fabbisogno nutritivo colturale, per cui la differenza va colmata con la concimazione e va stimata con oculatezza considerando che: – insufficienze o squilibri abbassano le rese finali; – eccessi di disponibilità al di là del fabbisogno reale possono essere dannosi per la qualità (eccessivi apporti azotati peggiorano alcuni parametri tecnologici necessari per la frittura industriale), sono sempre dannosi per il conto economico della coltura e talora per l’ambiente (lisciviazioni in falda ecc.);

Coltivazione appena rincalzata

Livelli di dotazione di azoto, fosforo e potassio nel terreno Dotazione del terreno in macroelementi scambiabili Azoto totale (g/kg)

P2O5 (ppm)

K2O (ppm)

Giudizio dotazione

Bray-Kurtz

Olsen

Terreni sabbiosi

Terreni medio impasto

Terreni argillosi e limosi

<0,5

<12,5

<5

<40

<60

<80

Molto bassa

0,5-1

12,6-25

5-10

41-80

61-100

81-120

Bassa

1,1-2

25,1-37,5

11-15

81-120

101-150

121-180

Media

2,1-2,5

37,6-75

16-30

>120

>150

>150

Elevata

>2,5

>75

>30

Molto elevata

434


patata comune – le risposte produttive a input crescenti di fertilizzanti seguono l’andamento degli incrementi decrescenti, per cui la massima convenienza economica spesso può essere trovata con dosi di fertilizzanti inferiori a quelle necessarie per avere la resa areica massima. L’approccio razionale per impostare la concimazione è quello di fare il bilancio tra ciò che serve alla coltura e ciò che essa trova nel terreno: è la differenza che va integrata. Nella moderna agricoltura di precisione (precision farming) lo stato di salute della pianta, vista la sua stretta correlazione con il contenuto di clorofilla, può oggi essere facilmente monitorato con strumenti portatili misuratori di clorofilla (chlorophyll meters); la misurazione diretta di questo pigmento verde è importante perché svariate ricerche dimostrano una forte correlazione tra le misure effettuate e i contenuti di azoto, rendendo così possibile assumere direttamente in campo decisioni gestionali che evitino il rischio produttivo della sottofertilizzazione o i costi superflui, economici e ambientali, del sovradosaggio.

Analisi del terreno

• Le analisi fisico-chimiche costituiscono un importante strumento per una migliore conoscenza delle caratteristiche del terreno cui è destinata una coltura

• I parametri richiesti nell’analisi sono

almeno: granulometria (tessitura), pH, sostanza organica, calcare totale e calcare attivo, azoto totale, potassio scambiabile e fosforo assimilabile, capacità di scambio cationico (CSC)

• Se per un terreno sono disponibili carte pedologiche o di fertilità, i parametri analitici da valutare si possono sostituire o ridurre in parte: in Italia è di recente consultabile un database on line, implementato presso il Centro nazionale di cartografia pedologica di Firenze, contenente informazioni georeferenziate su suoli e pedoclima in varie aree locali

Ruolo dell’azoto L’azoto è nutriente cruciale nella produzione della patata, stante il suo ruolo nel determinare l’ampiezza dell’apparato fogliare e la sua efficienza fotosintetica, fattori questi sui quali si basa l’accumulo di fotosintati (amido) nei tuberi. Tuttavia, l’azoto in eccesso promuove un eccessivo sviluppo fogliare a scapito dell’efficacia della tuberizzazione e ritarda la maturazione dei tuberi diminuendone il peso specifico e quindi la sostanza secca.

Pianta con carenza di azoto

Foto L. Albertazzi

435


coltivazione Se a questi motivi si aggiungono quelli economici (ridurre i costi di produzione) e quelli ecologici (non inquinare le falde con i nitrati) risulta evidente che la concimazione azotata deve essere improntata a criteri razionali e ragionata caso per caso. È questo un compito non agevole, data la complessa dinamica delle disponibilità di azoto del terreno: ancora perfettibili sono i modelli previsionali o analisi di affidabilità. L’azoto è presente nel terreno in tre forme diverse: organica, ammoniacale e nitrica. L’azoto del terreno si trova in massima parte nella sostanza organica umificata e per essere utilizzato deve subire il processo microbiologico di mineralizzazione che trasforma l’azoto organico in azoto ammoniacale. Il ritmo di mineralizzazione varia con la temperatura: molto limitato nei mesi freddi, si avvia in primavera con temperature di circa 10 °C e procede con crescente intensità per tutta l’estate. Il tasso annuo di mineralizzazione si aggira sul 2% dell’azoto organico totale. L’azoto ammoniacale del terreno proviene dalla mineralizzazione della sostanza organica e dall’apporto dei concimi. Non è mobile perché viene fissato dal terreno e non è utilizzabile dalle colture tal quale, ma solo dopo essere stato ossidato ad azoto nitrico nel processo microbiologico della nitrificazione. L’azoto nitrico è la forma preferita sotto cui moltissimi vegetali assorbono l’azoto loro necessario. L’assorbimento dell’azoto da parte di una coltura procede parallelamente allo sviluppo della parte epigea, in relazione al ritmo di accumulo della sostanza secca, andando a diminuire con il declino del filloplano fotosinteticamente attivo. Poiché la parte edule

Sintomi di zolfo-carenza

Foto M. Curci

Coltura alla fenofase di ingrossamento dei tuberi

436


patata comune della pianta è diversa da coltura a coltura (foglie, radici, tuberi, infiorescenze, frutti), i modelli di crescita e di assorbimento dell’azoto variano fortemente. Nella patata, ai fini del risultato produttivo si dimostra importante la disponibilità di azoto sin dalla fase di emergenza delle piante, nonostante il fabbisogno sia basso in questa fase. L’accumulo di sostanza secca procede con intensità crescente durante l’ingrossamento dei tuberi, che si verifica dai 50 agli 80 giorni dopo il piantamento nelle cultivar precoci e tra i 50 e i 100 giorni in quelle tardive. Nei tuberi si accumula la parte più elevata (circa il 70%) dell’azoto asportato dalla coltura. Il fabbisogno di azoto risulta quindi relativamente modesto (0,2-0,5 kg/ha/giorno), ma non per questo meno importante, nelle prime fasi di crescita fino alla differenziazione dei primi tuberini sugli stoloni, per poi raggiungere valori marcatamente più elevati (3-5 kg/ha/giorno) durante la fase del loro rapido di ingrossamento. Quest’ultima fase è anche quella in cui eventuali fattori ostativi all’assorbimento del nutriente (fenomeni di antagonismo con K, carenze idriche, stress termici, avversità biotiche ecc.) possono arrecare danni quanti-qualitativi alla produzione; sempre in questa fase sono da evitare eccessi di azoto, in quanto possono causare: – squilibri nell’allocazione dell’amido nei tuberi con aumento della presenza di aminoacidi liberi (asparagina) che, reagendo con gli zuccheri riducenti (glucosio e fruttosio), alle alte temperature di cottura, possono portare all’accumulo di acrilammide (composto considerato probabile cancerogeno o causa di alterazioni genetiche ereditarie nell’uomo) nel prodotto industriale finito (fritti, grigliati, da forno); – rischio di sviluppo della fisiopatia del cuore cavo nei tuberi che, seppur fortemente legata a genotipi sensibili, si manifesta proprio a seguito di eccessivo dosaggio unito a errato timing dell’azotatura, che favoriscono tassi di crescita giornalieri, in periodi brevi, troppo elevati. In ogni caso, pur essendo pianta potassofila (N:K2O = 1:1,5), la patata risponde più alla concimazione azotata che a quella potassica; è infatti specialmente dall’assorbimento dell’azoto nelle prime fasi di crescita che dipende poi lo sviluppo di un’adeguata biomassa fogliare capace di supportare efficacemente la traslocazione di sostanze di riserva nei tuberi e così assicurare quantità e qualità del raccolto. Purtroppo la disponibilità di azoto nitrico di un terreno è di non facile misurazione per via analitica e difficile da stimare per vari motivi: – la produzione di nitrato dipende direttamente dal ritmo dei processi di mineralizzazione e nitrificazione; – una coltura può contare sull’azoto nitrificato in precedenza (“forza vecchia”) e su quello che si nitrificherà durante la sua crescita;

Foto L. Albertazzi

Tuberi con difetto di spellatura

Tuberi affetti da cuore cavo

437


coltivazione Nutrizione azotata in patata: variabili incidenti sul calcolo totale Produzione ipotizzata di 35-50 t/ha con dose standard di 170 kg/ha di N Decrementi da considerare (Quantitativo di N da sottrarre alla dose standard)

25 kg: se si prevedono produzioni inferiori a 35 t/ha 15 kg: in caso di buona dotazione di sostanza organica 85 kg: in caso di successione a medicai di oltre 5 anni 40 kg: in caso di successione ad altri prati di leguminose 20 kg: in caso di apporto di ammendanti alla precessione

Incrementi da considerare (Quantitativo di N che potrà essere aggiunto alla dose standard. Il quantitativo massimo che si potrà comunque aggiungere alla dose standard è di 40 kg/ha)

25 kg: se si prevedono produzioni superiori a 50 t/ha 15 kg: in caso di scarsa dotazione di sostanza organica (<2%) 25 kg: in caso di interramento di paglie o stocchi 15 kg: in caso di forte lisciviazione dovuta a surplus pluviometrico in specifici periodi dell’anno (per es. pioggia superiore a 300 mm nel periodo ottobre-febbraio) 20 kg: in caso di forti escursioni termiche e precipitazioni anomale durante la coltivazione

– l’azoto nitrico, essendo solubilissimo, non è trattenuto dal terreno e quindi non si accumula, ma si trova disciolto nella soluzione circolante, seguendo la quale è altamente suscettibile di essere lisciviato nel sottosuolo da piogge abbondanti; – l’azoto nitrico inoltre può essere ridotto ad azoto gassoso e perdersi nell’atmosfera nel processo di denitrificazione, in caso di ristagno idrico e conseguente stato asfittico del terreno. Quantificare questi aspetti costituisce la difficoltà di avere modelli affidabili sulla dotazione di azoto, presente e futura, che una coltura, la patata nel nostro caso, troverà. Coltura in stress idrico

Foto L. Albertazzi

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patata comune Un approccio né rigoroso né troppo empirico, ma basato su buonsenso ed esperienza, è di effettuare la concimazione della patata in modo ragionato. Per calcolare gli apporti di azoto da somministrare alla coltura, si può applicare la seguente relazione: Concimazione azotata = fabbisogni colturali – apporti derivanti dalla fertilità del suolo + perdite per lisciviazione + perdite per immobilizzazione e dispersione – azoto da residui della coltura in precessione – azoto da fertilizzazioni organiche effettuate negli anni precedenti – apporti naturali

Come base di partenza si consideri il fabbisogno di azoto, che per una produzione per esempio di 35-50 t/ha di tuberi si aggira su 170 kg/ha. A questa quantità bisogna: – detrarre la presumibile “forza vecchia” lasciata dalla coltura precedente, eventualmente ridotta dopo autunni e inverni piovosi (dopo cereali a paglia si può considerare azzerata); – detrarre l’effetto residuo di un’eventuale concimazione organica fatta alla coltura precedente; – aggiungere azoto nel caso la paglia del cereale fosse stata interrata (1 kg per ogni 100 kg di paglia). Considerando che la dotazione di sostanza organica di molti terreni italiani è bassa, che le rese areiche non sono elevatissime e che la coltura che più comunemente precede la patata è un cerea­le a paglia, le dosi di concimazione azotata consigliate in genere sono di 150-160 kg/ha.

Tuberi con accrescimenti secondari

Coltura in ottimo stato nutrizionale

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coltivazione Il frazionamento dell’azoto in parte alla semina e in parte in copertura trova giustificazione nei bacini di coltivazione con terreni sciolti, dove i rischi di lisciviazione sono consistenti. La localizzazione sulla fila di modeste quantità di concimi azotati a effetto starter può avere azione favorevole in terreni poveri o per varietà precoci. In termini generali, i moderni concimi complessi con forme di azoto a cessione controllata o con inibitori della nitrificazione (3,4 DMPP, DCD) sono particolarmente adatti alla concimazione di fondo; pur sempre valido rimane l’impiego di concimi semplici (perfosfato triplo, solfato potassico, urea) o binari NP (fosfato biammonico). Per la concimazione di copertura si interviene di solito 1-2 volte (prima e dopo la rincalzatura) somministrando la restante parte (55-60%) della dose di azoto non data alla semina: si useranno concimi semplici (urea, nitrato ammonico) o binari NK (nitrato potassico, nitrato di calcio). Nella patata, circa il 50-60% dell’intero fabbisogno di azoto è asportato nella fase fenologica di accrescimento dei tuberi (tuber bulking), conseguentemente la sua disponibilità per la pianta deve essere adeguata sin dalle prime fasi di crescita; apporti eccessivi nel periodo iniziale aumentano però il rischio di lisciviazione (leaching) di nitrati verso le falde, poiché modesta è l’azione di cattura esercitata da un apparato radicale poco sviluppato e aumenta in alcune cultivar la sensibilità dei tuberi al cuore cavo e al cuore scuro; apporti eccessivi nel periodo finale, oltre al rischio di lisciviazione, portano a riduzione della sostanza secca nei tuberi, aumento delle deformazioni da accrescimenti secondari e difficoltà di abbucciamento alla raccolta. Nella patata, il periodo più critico per l’assorbimento dell’azoto corrisponde alle fenofasi “induzione della tuberizzazione – accrescimento tuberi”: in questa parte del ciclo colturale l’assorbimento giornaliero di azoto ha un range di 2-6 kg/ha a seconda della cultivar e del tasso di crescita dei tuberi. Nelle cultivar tardive con raccolta nella tarda estate, poiché il ciclo colturale è piuttosto lungo (anche oltre i 150 giorni), diventa necessario il monitoraggio dello stato nutritivo delle piante mediante analisi chimiche delle foglie intere o dei piccioli fogliari: livelli subottimali di accumulo di macro- e micronutrienti possono determinare carenze e quindi incidere sui livelli produttivi e sulla qualità dei tuberi. Eventuali livelli sub-ottimali possono essere corretti anche mediante concimazioni fogliari poiché l’assorbimento cuticolare-stomatico e la sua traslocazione in pianta sono di solito efficienti (più di P e K) in presenza di piante non affette da stress abiotici e biotici.

Uso di concimi organo-minerali

• Particolare attenzione va posta

all’utilizzo di concimi organo-minerali alla semina perché la curva di rilascio dell’azoto potrebbe essere non sincronizzata con il timing delle esigenze della pianta in fase di emergenza: il rischio è che dosi sub-ottimali del nutriente rispetto alle reali esigenze della pianta portino a: – riduzione del filloplano attivo fotosinteticamente – riduzione del tasso di ingrossamento dei tuberi – senescenza prematura della pianta e sensibilità ad alternariosi

Fosforo e potassio La patata ha esigenze alte di fosforo e molto alte di potassio: entrambi questi nutrienti, avendo elevata affinità con i colloidi del

Chips con frittura inadeguata

440


patata comune Nutrizione fosfo-potassica in patata: variabili incidenti sul calcolo totale P2O5

K2O

Apporto di P2O5 standard in situazione normale per una produzione di 35-50 t/ha: 110 kg/ha: in caso di terreni con dotazione normale 160 kg/ha: in caso di terreni con dotazione scarsa 60 kg/ha: in caso di terreni con dotazione elevata

Apporto di K2O standard in situazione normale per una produzione di 35-50 t/ha: 250 kg/ha: in caso di terreni con dotazione normale 300 kg/ha: in caso di terreni con dotazione scarsa 150 kg/ha: in caso di terreni con dotazione elevata

Decrementi da considerare (Quantitativi da sottrarre alla dose standard)

25 kg/ha: se si prevedono produzioni inferiori a 35 t/ha

50 kg/ha: se si prevedono produzioni inferiori a 35 t/ha 25 kg/ha: con apporto di ammendante alla coltura in precessione

Incrementi da considerare (Quantitativi da aggiungere alla dose standard)

20 kg/ha: se si prevedono produzioni superiori a 50 t/ha 20 kg/ha: con basso tenore di sostanza organica nel terreno

50 kg/ha: se si prevedono produzioni superiori a 50 t/ha

Incrementi/decrementi

terreno, sono sottratti al dilavamento e tenuti a disposizione della coltura. Il ruolo del fosforo è importante perché è fattore di precocità, inducendo lo sviluppo di un buon apparato radicale; una sua carenza invece può determinare cali di produzione, più elevate percentuali di sottocalibro e riduzione del peso specifico dei tuberi. L’asporto giornaliero di fosforo è fattore critico nel periodo di accrescimento dei tuberi: esso è di 0,3-0,6 kg/ha a seconda della cultivar e del tasso di crescita dei tuberi. Carenze anche severe possono verificarsi nel caso vi sia nel terreno inadeguata concentrazione di fosforo assimilabile, pertanto un’attenta valutazione può agevolare un corretto piano di concimazione. Per calcolare gli apporti di fosforo da somministrare alla coltura, si può applicare la seguente relazione:

Foto L. Albertazzi

Concimazione fosfatica = fabbisogni colturali +/– (apporti derivanti dalla fertilità del suolo × immobilizzazione)

È risaputo che la patata è specie agraria definibile ad alto fabbisogno di potassio (o potassofila) e si stima che in terreni scarsamente dotati del nutriente, asportazioni colturali stagionali tra 200 e 400 kg/ha siano proporzionalmente correlate allo stesso risultato produttivo. Durante il periodo di accrescimento dei tuberi l’assorbimento giornaliero di potassio ha un range di 3-9 kg/ha a seconda della cultivar e del tasso di crescita dei tuberi. Per garantire una buona resa in sostanza secca dei tuberi la sua concentrazione in tali organi dovrebbe essere intorno all’1,8%; a questa concentrazione per ottenere 100 kg di tuberi occorrono 0,5 kg di potassio. Una produzione che aumenta mediamente di 1 t/ha/giorno richiede

Tuberi affetti da ammaccature (bruising) da raccolta

441


coltivazione circa 4-5 kg/ha/giorno per garantire adeguati livelli di sostanza secca e buon ritmo di crescita dei tuberi. Il potassio facilita la sintesi di glucidi nelle foglie e la loro traslocazione nei tuberi; un buon livello di potassio nella pianta migliora la qualità dei tuberi limitando alla raccolta l’accumulo di zuccheri riduttori, i quali concorrono allo scadimento delle caratteristiche organolettico-sensoriali (retrogusto dolce) e tecnologiche (fritture scure) nonché attenua la suscettibilità a danni da ammaccature (bruising), questi ultimi spesso molto presenti in cultivar a elevato contenuto di sostanza secca nei tuberi, tanto da invalidarne le possibilità di trasformazione industriale. Criterio principale per determinare le dosi di concimazione per la concimazione fosfo-potassica è la disponibilità nel terreno di ciascuno di essi; un’analisi fisico-chimica del suolo consente di giudicare il livello di fosforo e potassio assimilabili. Nel caso della concimazione potassica la relazione di riferimento è:

Concimazione fosfo-potassica

• In un terreno normalmente dotato

si apporta una concimazione fosfopotassica di mantenimento equivalente alle asportazioni colturali, mentre in un terreno povero si applica una concimazione di arricchimento. In un terreno molto ricco le dosi possono essere ridotte: i terreni italiani sono molto spesso ricchi di potassio e costituzionalmente poveri di fosforo, ma dopo decenni di concimazioni fosfatiche di arricchimento è da ritenere che la soglia di sufficienza sia stata raggiunta quasi ovunque e che quindi le dosi di concimazione fosfatica corrispondano alle asportazioni

Concimazione potassica = fabbisogni colturali + lisciviazione + (apporti derivanti dalla fertilità del suolo × immobilizzazione)

• Bisogna considerare che fosforo

Meso- e microelementi Tra i mesonutrienti, lo zolfo andrebbe reintegrato solo se la sua concentrazione nel suolo è bassa o se non vi è effetto residuo da applicazioni precedenti. Altri due fattori che dovrebbero far propendere i tecnici agricoli per una maggiore considerazione del ruolo dello zolfo sono i seguenti: – se è vero che esso è anione facilmente asportabile dal terreno dall’apparato radicale, è anche vero che altrettanto facilmente va incontro a dilavamento; – le acque di irrigazione possono essere povere di solfati. Pertanto questo nutriente va tenuto sempre più in considerazione nei piani di concimazione, in quanto le immissioni nell’atmosfera si sono drasticamente ridotte; inoltre, avendo esso stretto sinergismo con l’azoto se c’è carenza, il metabolismo di quest’ultimo risulta ostacolato con conseguente rallentamento della crescita della pianta. Per apporti al terreno si ricorda che tra i concimi minerali contenenti zolfo si possono usare, nella concimazione di fondo della patata, i tradizionali solfati granulari (di potassio o potassico-magnesiaco) oppure organo-minerali NPK e organici pellettati arricchiti di zolfo o ancora zolfo lenticolare, mentre alla rincalzatura si userà solfato ammonico. Il magnesio, come componente centrale della clorofilla, partecipa attivamente alla fotosintesi, alla sintesi proteica e degli zuccheri. Le carenze di magnesio si presentano spesso durante le fasi di intenso accrescimento o nei periodi di siccità. Se nella concimazione di fondo viene usato solfato potassico-magnesiaco quasi

e potassio hanno scarsa mobilità nel terreno; pertanto, per esaltare l’efficienza d’azione sarebbe necessario adottare modalità di distribuzione meccanica che rilascino il fertilizzante nella zona di posizionamento del tubero (localizzata in bande)

Tuberi affetti da cuore bruno

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patata comune mai si riscontrano carenze in corso di coltivazione. È un elemento poco mobile in pianta e non si trasferisce dai tessuti vegetativi più vecchi a quelli più giovani, per cui, qualora si manifestassero visivamente temporanee situazioni di carenza, determinabili con analisi fogliari, con coltura in atto si possono considerare strategie di intervento fogliare con svariate formulazioni di magnesio (solfati, nitrati, cloruri). Il calcio è presente in molti terreni in forma di carbonato, fosfato, silicato e nella sostanza organica. Nel terreno si combina con altri elementi nutritivi riducendone la solubilità. Da un punto di vista fisiologico, il calcio è un componente essenziale delle protopectine presenti nelle pareti cellulari. L’apporto di calcio aumenta la consistenza e la resistenza meccanica dei tessuti alla maturazione, alla manipolazione, al trasporto e allo stoccaggio; alcune importanti fisiopatie interne dei tuberi, come la maculatura ferruginea (internal brown spot) e il cuore scuro (brown centre), sono associate a carenze del nutriente; studi recenti hanno confermato che l’assorbimento di calcio nei tuberi avviene per oltre il 40% del suo ammontare attraverso il periderma, pertanto è strategica la presenza di calcio assimilabile nella zona di terreno più vicina possibile alla pianta. Le principali cause che determinano la carenza di calcio possono consistere in un’insufficiente dotazione nel terreno (specialmente quelli sabbiosi), nell’indisponibilità a causa di pH acidi e in un eccessivo contenuto di zolfo o fosforo che legano il calcio formando composti insolubili (solfato di calcio e fosfato di- e tricalcico). Possono verificarsi, inoltre, fenomeni di antagonismo con l’azoto, il potassio e il magnesio. Le piante non riescono a trovare nel terreno tutto il calcio di cui hanno realmente bisogno, perché è sì presente ma probabilmente bloccato e non disponibile oppure, se libero, può essere in forma idratata al punto da presentarsi come una molecola così grande che le radici hanno difficoltà ad assorbirlo se non con alto dispendio energetico. In pataticoltura, se i terreni sono alcalini occorre acidificare con l’impiego di fertilizzanti a pH acido (acido nitrico, acido fosforico, urea fosfato) in fertirrigazione con bassi dosaggi e molto frequentemente, al fine di mantenere la zona vicino alle radici in condizioni ottimali; qualora la fertirrigazione non fosse adottata, per correggere carenze di calcio si può ricorrere a due diverse strategie, anche tra loro sovrapponibili: – apporti in pre-semina (per es. calciocianamide, gesso agricolo) e alla rincalzatura con nitrato di calcio; – applicazioni fogliari con composti veicolanti (ligninsolfonati) il calcio all’interno della pianta o con prodotti che abbiano un legame forte tra il calcio e lo ione nitrico. I micronutrienti zinco, manganese, boro, ferro, rame e cloro sono solitamente presenti in buona quantità nei suoli italiani, soprattutto quelli a pH sub-acido, e comunque sono rilasciati anche ove si usa somministrare concimi e ammendanti organici. Occorre porre

Tuberi affetti da maculatura ferruginea

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coltivazione molta attenzione al fatto che la patata è specie agraria sensibile ai danni da cloro: pertanto, nella scelta dei concimi minerali da distribuire si opterà sempre per quelli a basso contenuto in cloro. In generale, nel caso di carenze da micronutrienti conclamate la strategia migliore è l’intervento per via fogliare: oggi sono disponibili sul mercato decine di formulati con agenti chelanti ad alta efficacia di assorbimento cuticolare.

Foto L. Albertazzi

Concimazione organica La patata è una coltura capace di trarre i massimi benefici dalla concimazione con ammendanti organici, per esempio con apporti fino a 30-40 t/ha di letame. I fertilizzanti organici maggiormente impiegati sono i reflui di origine zootecnica (letame, liquami e materiali palabili) e i compost. Questi contengono, in varia misura, tutti i principali elementi nutritivi necessari alla crescita delle piante. Nella tabella sono riportati valori indicativi dei diversi ammendanti organici, utilizzabili qualora non si disponga di valori analitici. L’effettiva disponibilità dei vari nutrienti contenuti negli ammendanti organici è però condizionata da due fattori: – l’efficienza del processo di mineralizzazione della sostanza organica; – l’entità anche consistente che possono assumere le perdite di azoto (volatilizzazione) durante e dopo gli interventi di distribuzione. Al letame è universalmente riconosciuto il ruolo-chiave non solo di restituzione della fertilità chimica del suolo, ma soprattutto di potente strutturante con miglioramento delle caratteristiche fisiche (aerazione, aumento della capacità di ritenzione idrica nei suoli sabbiosi, limitazione della formazione di strati impermeabili

Danni da compattamento in suolo argilloso

Contenuto di nutrienti in alcuni ammendanti organici (kg/m3) Tipo di ammendante

S.S. (%)

Azoto (‰)

Fosforo (‰)

Potassio (‰)

bovino

20-30

3-7

1-2

3-8

suino

25

5

2

5

ovino

22-40

6-11

1

12-16

Letame

Materiali palabili lettiera esausta polli da carne

60-80

30-47

13-25

14-16

pollina pre-essiccata

50-85

23-43

9-15

17-28

Liquami bovini da carne

7-10

3-5

2-4

3-5

bovini da latte

10-16

4-6

2-4

4-6

suini galline ovaiole

2-6

2-5

1-5

1-4

19-25

10-15

9-11

4-9

444


patata comune nei suoli limosi, compattamento ed erosione nei suoli argillosi) e bioattivatore delle comunità biologiche telluriche. In mancanza di letame, si possono impiegare pollina o borlanda fluida, somministrati con largo anticipo rispetto al periodo di semina, valutando bene, in base alla loro composizione, gli apporti di macroelementi e considerando che la patata ne utilizzerà una frazione intorno al 30% circa poiché: – l’efficienza del processo di mineralizzazione della sostanza organica è variabile; – le perdite di azoto per volatilizzazione, durante e dopo gli interventi di distribuzione, possono essere anche consistenti.

Foto L. Albertazzi

Irrigazione La patata comune ha esigenze idriche elevate durante un periodo dell’anno (la stagione estiva) in cui le precipitazioni sono sovente scarse; l’apparato radicale poco profondo, a debole forza di penetrazione e suzione, la rende molto sensibile allo stress idrico. In Italia è normale che durante il periodo di crescita (primavera-estate) ci sia uno sbilancio idrico crescente tra evapotraspirazione (ET) e piogge (P), quindi l’irrigazione è indispensabile negli ambienti di coltivazione (anche del Nord Italia) dove lo squilibrio ET/P è forte. È risaputo che in condizioni di stress idrico l’efficacia dei fertilizzanti minerali azotati si riduce a causa della mineralizzazione più lenta dell’azoto organico del terreno e delle difficoltà di trasporto del nutriente alle radici. Nella patata, la sensibilità allo stress idrico varia molto con le diverse fenofasi della coltura: – dall’emergenza all’inizio della tuberizzazione un leggero deficit idrico può anche essere utile perché stimola le radici a un maggior approfondimento e quindi una migliore esplorazione del terreno; – dall’inizio della tuberizzazione per circa un mese si ha una fase critica di grande sensibilità alla carenza idrica, che può avere un effetto molto grave provocando atrofia dei tuberini differenziatisi e quindi riduzione del loro numero per pianta; – durante la fase di ingrossamento dei tuberi ogni deficit idrico causa una diminuzione della fotosintesi e quindi una minor traslocazione di fotosintati nei tuberi, ma sarebbe molto pericolosa l’alternanza di periodi secchi e umidi che darebbe luogo ad arresti e riprese di accrescimento con conseguenti fenomeni di ricacci e deformazione, nonché di predisposizione alla fisiopatia del cuore cavo dei tuberi nelle cultivar più sensibili: regola di base è apportare acqua quando l’umidità del terreno è ancora lontana dal punto di appassimento; – quando compaiono i segni di senescenza dell’apparato fogliare l’irrigazione risulta meno utile, anzi comporta ritardo della maturazione, diminuzione del contenuto di sostanza secca dei tuberi e, nei terreni induttivi, sviluppo di marciumi secchi (per es. fusariosi).

Tuberi deformati

Tuberi in frigostoccaggio con danni da fusariosi

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coltivazione Per rendere massima l’efficacia d’uso dell’acqua di irrigazione bisogna calcolare razionalmente il volume d’adacquamento. Il calcolo va fatto considerando aspetti che attengono alle caratteristiche del terreno e della coltura (umidità di intervento, profondità da bagnare).

Esperienze di irrigazione nel Bolognese

Volume di adacquamento Le caratteristiche del terreno da conoscere sono riconducibili a due parametri idrologici essenziali: capacità idrica di campo (CIC) e punto di appassimento (PA), che vengono espressi come percentuale in volume di suolo. La loro differenza fornisce la riserva disponibile (RD, % in volume), cioè la quantità d’acqua che il terreno è capace di trattenere per sola capillarità tenendola a disposizione della coltura. Un programma irriguo non può certamente prevedere di lasciare la coltura arrivare all’appassimento, ma deve prevedere di intervenire con l’irrigazione in un momento intermedio tra il limite superiore (CIC) e il limite inferiore (PA), momento questo variabile da cultivar a cultivar secondo la capacità di suzione dell’apparato radicale e la maggiore o minore suscettibilità allo stress idrico. Da quanto detto emerge che per programmare il volume di adacquamento bisogna conoscere un altro parametro dipendente dalla fisiologia della coltura stessa: la quota della riserva disponibile che può essere assorbita con facilità. Questa frazione è indicata come riserva facilmente utilizzabile (RFU): nel caso della patata, si stima che la RFU sia il 60% della RD, vale a dire che si debba intervenire quando ancora nel terreno c’è un 40% d’acqua disponibile, che però la pianta assorbirebbe solo con notevole dispendio energetico.

• In prove di sperimentazione

quinquennali (2000-2004) condotte nel Bolognese (Budrio), zona ad alta elezione per la pataticoltura comune, la produzione commerciale media per la cultivar Primura è stata di 34,7 t/ha per la coltura non irrigata, 44,8 t/ha per quella irrigata con solo il 50% del fabbisogno irriguo stimato e 48,6 t/ha per quella irrigata con il 100%. Gli incrementi produttivi sono stati rispettivamente del 29% con una restituzione del solo 50% del fabbisogno rispetto alla coltura non irrigata e di un ulteriore 8,5% restituendo il 100% del fabbisogno stimato

• Il calcolo della curva “rese-volumi”

consente di collocare il livello di restituzione ottimale per la patata in tale areale tra il 70 e l’80% dell’ET0 stimata. I vantaggi di un’irrigazione razionale sono evidenti; dal punto di vista economico è conveniente irrigare la patata restituendo alla pianta all’incirca il 75% dei consumi, ottenendo così rese elevate ma contenendo nel contempo i costi e assicurando un più rapido abbucciamento dei tuberi

Foto L. Albertazzi

Apparato radicale nella patata

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patata comune La conoscenza della RFU consente di definire l’umidità di intervento, per esempio, avendo un terreno con i seguenti parametri idrologici: – CIC = 32% vol.; – PA = 18% vol.; – RD = 14% vol.; – RFU 60% di RD = 8,4% vol.; – umidità di intervento 23,6% vol. (32-8,4). L’intervento irriguo va fatto appena l’umidità del terreno scende al 23,6%, con una quantità d’acqua tale da rimpinguare l’8,4% d’acqua consumata dalla coltura. Un altro dato che è necessario conoscere per definire il volume di adacquamento è la profondità dello strato di terreno che si vuole umettare, evitando bagnature troppo superficiali o troppo profonde. La profondità di espansione delle radici è l’elemento base da considerare: nel caso della patata, con piante nel pieno sviluppo vegetativo, si considera ottimale bagnare per una profondità di almeno 50 cm. A questo punto, volendo esemplificare, ci sono tutti gli elementi per calcolare il volume di adacquamento nel terreno: – volume di terreno da bagnare: 0,5 m × 10.000 m2/ha = 5000 m3/ha; –a cqua da reintegrare: 8,4% vol.; – volume d’adacquamento: 0,084 × 5000 = 420 m3/ha (= 42 mm). Ogni pataticoltore dovrebbe conoscere le caratteristiche del suo terreno, non solo per la dotazione in nutrienti su cui basare la concimazione, ma anche per requisiti idrologici sulla base dei quali calcolare il volume d’adacquamento, evitando sprechi o carenze, ritardi dannosi o interventi non tempestivi.

Stazione per il rilevamento dei parametri climatici di interesse agronomico

Coltivazione di patata su terreno sabbioso

Foto L. Albertazzi

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coltivazione Il volume di adacquamento (V) si può calcolare come segue: V = S × s × h × (c – u) × ρ/(100 × Ei) dove S = superficie da irrigare; s = superficie interessata dalla bagnatura (per es. 100% irrigazione per aspersione; 60-65% irrigazione a goccia); h = profondità dell’apparato radicale; c = % umidità alla CIC; u = umidità del terreno al momento dell’irrigazione; ρ = massa volumica apparente del suolo (Mg/m3); Ei = efficienza del sistema irriguo in uso (0,6-0,7 per aspersione oppure 0,85-0,95 per minirrigatori a basso volume e per ala gocciolante, rispettivamente). Bilancio idrico e turno irriguo L’elemento base per impostare il bilancio idrico (WB, Water Balance) è l’evapotraspirazione potenziale di riferimento (ET0), l’indice standard che esprime la “domanda evaporativa” dell’atmosfera con riferimento a una copertura vegetale standard. L’ET0 può essere calcolato: – con formula di Penman-Monteith, che richiede come dati di input temperatura e umidità dell’aria, radiazione solare e velocità del vento. Tali dati sono oggigiorno rapidamente disponibili a livello territoriale, grazie a una fitta rete di stazioni di rilevamento gestite da enti di ricerca, università, ARPA e servizi tecnici regionali; – in base ai dati forniti da vasca evaporimetrica di classe A nella quale si misura quanti millimetri al giorno evaporano (EV). L’ac-

Vasche evaporimetriche

Coltura alla fenofase di massima copertura fogliare

Foto L. Albertazzi

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patata comune qua evaporata da vasca è più dell’acqua evapotraspirata da una copertura vegetale completa, per cui questo dato va corretto per passare a ET0. Il coefficiente di conversione varia secondo le condizioni dello spazio circostante la stazione di rilevamento, ma si può considerare aggirarsi su 0,8 quindi:

Foto F. Govoni

ET0 = 0,8 × EV Si potrà programmare l’irrigazione sulla base dei fabbisogni idrici determinati dall’ET0 per definiti coefficienti colturali (Kc), codificati dalla FAO, secondo le diverse fenofasi relative alla patata di seguito riportate: –d a emergenza al 50% copertura 0,5 –d a copertura 50% a copertura completa 0,8 –3 0 giorni di copertura completa 1,1 –1 5 giorni da inizio senescenza fogliare 0,7 Recenti sperimentazioni per la gestione irrigua della patata in ambiente mediterraneo, mirati alla sostenibilità di tale pratica, hanno dimostrato che una “ricalibratura” dei coefficienti colturali più specifica per singola zona di produzione può portare a sensibili risparmi idrici: infatti, riducendo i volumi irrigui del 25% la produzione non è variata significativamente. Ciò ha dimostrato che i Kc codificati dalla FAO sovrastimano in ambiente mediterraneo i volumi irrigui per la patata; durante la fenofase “30 giorni di copertura completa”, i Kc ottenuti dalla coltura sottoposta a stress idrico controllato (Kc = 0,8-0,9) sono risultati inferiori a quello proposto dalla FAO (Kc = 1,1). Per calcolare l’evapotraspirazione massima (ETc), si adotterà la seguente formula:

Irrigazione con minisprinklers

ETc = Kc × ET0 I valori dell’ET0 giornaliera si sommano progressivamente a partire dall’ultimo evento piovoso o dall’ultima irrigazione che abbia riportato il terreno alla CIC e l’irrigazione va fatta quando la som-

ETc Giorno

ET0 (mm)

mm/d

m3/ha

RFU m3/ha

Giorno 0

420

Giorno +1

4,9 × 1,1

–5,39

53,9

366,1

Giorno +2

5,1 × 1,1

–5,61

56,1

310

Giorno +3

5,5 × 1,1

–6,05

60,5

249,5

Giorno +4

6,7 × 1,1

–7,37

73,7

175,8

Giorno +5

5,6 × 1,1

–6,16

61,6

114,2

Giorno +6

5,9 × 1,1

–6,49

64,9

49,3

Giorno +7

3,8 × 1,1

–4,18

41,8

7,5

449


coltivazione matoria del deficit idrico eguaglia il volume d’adacquamento stabilito per quel terreno. Nel bilancio idrico le piogge vanno conteggiate tra le entrate solo quando superano i 10 mm. Con ogni adacquata il terreno è riportato alla CIC e il problema che si pone all’agricoltore è di sapere quando dovrà intervenire di nuovo o, in altre parole, per quanti giorni servirà l’acqua apportata: il turno è il tempo tra un’adacquata e quella successiva. È evidente che il problema consiste nel conoscere i consumi evapotraspiratori della coltura nei giorni successivi all’adacquamento e quindi tenere il conto della disponibilità idrica del terreno facendo regolarmente il bilancio idrico dell’appezzamento irrigato. Riprendendo l’esempio fatto:

Pioggia Irrigazione Evapotraspirazione Ruscellamento Saturazione

CIC Soglia (p)

V (giorno 0): 420 m3/ha = 42 mm Kc: 1,1 (fenofase “30 giorni di copertura completa”)

PA

Risalita capillare

Nelle condizioni verificatesi il turno risulta di 8 giorni. L’applicazione di volumi irrigui al di sotto del pieno soddisfacimento dell’evapotraspirazione (DI, Deficit Irrigation) è uno strumento importante per aumentare l’efficienza dell’irrigazione: l’obiettivo è di ridurre l’evapotraspirazione con limitati effetti negativi sulle rese. Strategie di DI richiedono comunque valutazioni accurate della tolleranza nelle diverse fenofasi e un’attenta gestione delle risorse idriche, da supportare a sistemi di irrigazione a elevata flessibilità d’intervento. Con la patata, gli errori più frequenti nell’esecuzione

Percolazione profonda

Schematizzazione calcolo bilancio idrico

Irrigazione con ala gocciolante

450


patata comune degli interventi irrigui si verificano nella fase finale del ciclo produttivo: infatti, una sospensione tempestiva delle irrigazioni è garanzia di un prodotto sano e qualitativamente pregiato.

Foto R. Angelini

Scelta del sistema irriguo La scelta della tecnologia irrigua è altamente loco-specifica, riflettendo fattori propri del luogo d’utilizzo (caratteristiche edafiche e microclimatiche), della tecnica (qualità e fornitura dell’acqua) e di mercato (prezzi del materiale, costi energetici, incidenza di manodopera). Dal punto di vista energetico (uso di gasolio o energia elettrica) l’impianto deve mantenere a livelli contenuti i costi/m3; si cercherà pertanto di prediligere sistemi con portate elevate e pressioni medio-basse (2-5 bar). Punti tecnici salienti da considerare nella scelta devono essere: – delicatezza d’impatto dell’irrigazione con il terreno allo scopo di non scoprire i tuberi e neppure provocare ruscellamento (runoff) di nutrienti; – uniformità nella distribuzione e adattabilità a eventuali necessità di fertirrigazione; – efficienza distributiva poco influenzata dal vento; – effetto climatizzante in grado di contrastare le alte temperature estive; mobilità non eccessivamente impegnativa nella gestione del – turno irriguo; Irrigazione con ala pivot

Foto L. Albertazzi

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coltivazione – possibilità di gestione di aree di grandi dimensioni o piccoli appezzamenti. Nella pataticoltura italiana le tipologie tecniche oggi più importanti, in ordine di diffusione, sono: – sistemi semoventi con tubi avvolgibili (detti anche rotoloni) collegati a irrigatore oppure ala piovana carrellati; – aspersione a basso volume con minirrigatori; – impianto a goccia. Ciascuno di questi sistemi gode di una certa popolarità, ma uno solo soddisfa appieno tutti i requisiti richiesti prima richiamati: per praticità ed efficienza complessiva, in patata, il sistema ideale è l’aspersione a basso volume con minirrigatori. La delicatezza di questo sistema è elevatissima in quanto il getto dei minirrigatori (minisprinklers) è realmente leggero e l’effetto battente sul terreno trascurabile. La stessa cosa non si può dire per gli impianti semovente con irrigatore o ala piovana in quanto l’effetto sferzante del primo (la polverizzazione del getto potrebbe essere migliorata aumentando la pressione o riducendo il diametro del boccaglio) e la precipitazione elevata del secondo destrutturano il terreno, causando ristagni indesiderati e allettamento della parte aerea della pianta. L’impianto a goccia è il sistema meno impattante su pianta e terreno, ma induce la pianta a esplorare porzioni più limitate di terreno e questo non sempre è positivo. L’uniformità ottenibile con i minirrigatori può superare il 90% anche in presenza di terreni con forti dislivelli grazie a meccanismi di regolazione della portata.

Foto F. Govoni

Pre-germogliamento nel terreno

Coltura dopo disseccamento chimico

Foto L. Albertazzi

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patata comune Solo i sistemi a goccia sono più efficienti in fatto di uniformità; per i sistemi irrigui semoventi il dato si attesta sovente al di sotto del 70% (valore considerato soddisfacente per una buona irrigazione ad aspersione) per problemi di ventosità o non uniforme distribuzione irrigua (per es. tra le parti terminali delle ali piovane). La ventosità è un aspetto che va tenuto bene in considerazione per l’elevata influenza negativa che esercita sull’efficienza dell’irrigazione. I minirrigatori, data la bassa traiettoria e la vicinanza tra loro (7-15 m), riescono a contenerne gli effetti negativi anche in aree costantemente battute da correnti d’aria, come le fasce litorali. L’impianto a goccia è il sistema meno influenzato dal vento, ma nulla può sugli effetti negativi prodotti sulle coltivazioni di patata da venti secchi e salmastri oppure da aerosol marino carico di tensioattivi (zone litorali) e temperature elevate. La flessibilità di un sistema irriguo è fondamentale quando si tratta di irrigare efficacemente piccoli appezzamenti o grandi aree; l’aspersione a basso volume e la goccia sono sistemi perfettamente adattabili e garantiscono lo stesso risultato. L’economicità di gestione di un sistema irriguo, invece, è tanto più apprezzata quanto maggiore è il prezzo del combustibile o dell’energia elettrica ed essendo il consumo energetico influenzato da parametri quali la portata richiesta e la pressione di esercizio, è chiaro che, a parità di superficie irrigata e millimetri distribuiti, il sistema a goccia e l’aspersione a basso volume sono quelli che comportano un maggiore risparmio. L’irrigazione a goccia della patata è tecnicamente fattibile ed economicamente vantaggiosa, rispetto ad altri metodi irrigui, in diverse aree climatiche, pur presentando alcune criticità operative che è necessario considerare: – posizionamento dei tubi su ogni prosa e quindi grandi quantità in metri lineari con costi da non sottovalutare; – bagnatura della prosa non sempre perfetta (dipende dalle caratteristiche idrologiche del suolo) nonostante l’uso di erogatori autocompensanti, nel senso che l’acqua tenderà a bagnare maggiormente un lato o l’altro della prosa; – se non è interrata, l’ala gocciolante si sposta dal centro della prosa per l’effetto deformante esercitato dal caldo e quindi va fissata con attenzione; – danni da roditori all’ala gocciolante con aggravi di costi per le riparazioni in campo; – monitoraggio attento della salinità delle acque irrigue, soprattutto nelle zone litorali a rischio di infiltrazione di acqua salmastra, al fine di evitare l’accumulo di sodio localizzato vicino alla pianta. L’ala gocciolante viene di solito posizionata sulla prosa e quasi mai tra l’una e l’altra: si deciderà se metterla in superficie (si-

Nuove applicazioni per il risparmio idrico

• Sempre in tema di risparmio

della risorsa idrica, strategica nei comprensori pataticoli a disponibilità limitata ed estate calda, il telerilevamento (RS, Remote Sensing) potrebbe rappresentare uno strumento di grandi prospettive. In patata sono state condotte sperimentazioni per correlare lo stato idrico della coltura (misura del potenziale idrico fogliare) e l’indice NDVI (Normalized Differential Vegetation Index): quest’ultimo è un indice vegetazionale che sfrutta la risposta della biomassa fogliare alle bande spettrali nella lunghezza d’onda del rosso visibile (646 nm) e del vicino infrarosso (831 nm). È stata confermata l’esistenza di una relazione tra i due parametri considerati: ciò offrirà in futuro la possibilità di programmare a livello territoriale gli interventi irrigui a partire da grandezza telerilevata

• L’indice NDVI presenta però alcuni

limiti oggettivi: è utilizzabile solo dopo che la coltura ha adeguatamente coperto il terreno e rende necessario ridurre o correggere gli errori di misura e di interpretazione insiti nella tecnica delle immagini telerilevate

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coltivazione stema più usato) oppure interrata (con macchine interratubo al momento della rincalzatura). La sub-irrigazione della patata invece, posata nel solco di semina, ha evidenziato numerosi vantaggi tecnici e agronomici, così come la semplice rincalzatura dell’ala: tra questi, per esempio, la flessibilità nel recupero del tubo polietilenico attraverso l’utilizzo di macchinari specifici. Altro vantaggio molto importante è la distribuzione di acqua e fertilizzanti direttamente in prossimità dell’apparato radicale e la possibilità di utilizzare le macchine agricole senza interferire con i cicli irrigui giornalieri. Si ricorda che la patata è specie agraria moderatamente sensibile alla salinità, con i seguenti valori di riferimento: – estratto saturo del suolo (soglia 1,7 dS/m; pendenza 12%); – acqua irrigua (soglia 1,1 dS/m; pendenza 18%). Gli effetti negativi dell’eccesso di Na nella soluzione circolante portano a un’alterazione nel bilancio dell’assorbimento di ioni da parte della pianta, con conseguenti squilibri nella concentrazione di nutrienti all’interno dei tessuti (ion imbalance stress); il motivo è l’antagonismo tra ioni, in particolare Na contro K e Ca, e Cl contro NO3.

Irrigazione climatizzante

• Contrastare le alte temperature estive

in modo efficace procura notevoli miglioramenti alla coltura in termini di produttività. I minirrigatori presentano tutte le caratteristiche di erogazione idonee al raffrescamento: – bassa portata – gocce di dimensioni contenute – gestione di turni irrigui molto brevi e ravvicinati nelle ore di massimo calore – i sistemi irrigui semoventi non sono in grado di contrastare adeguatamente le temperature elevate in quanto la gestione di cicli di irrigazione brevi e ripetuti è pressoché impossibile

Tecnica del disseccamento chimico Nelle aree italiane di produzione di patata a raccolta estiva, tra le tecniche agronomiche di recente introduzione (meno di 10 anni) vi è senza dubbio la tecnica del disseccamento chimico delle piante ante raccolta, diffusasi rapidamente perché risulta interessante per i vantaggi descritti di seguito: – riduzione della biomassa fogliare che interferisce con le operazioni di scavatura meccanizzata;

Foto F. Govoni

Foto M. Curci

Tuberi con stoloni fortemente adesi

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patata comune – maggior facilità di distacco dello stolone dal tubero nelle cultivar tardive; – miglior abbucciamento dei tuberi con forte riduzione dei danni provocati da sbucciature (skinning) causate da impatto meccanico, in quanto con la devitalizzazione del fogliame l’attività meristematica del fellogeno (strato cellulare che presiede allo sviluppo radiale e longitudinale del tubero) cessa; – possibilità di riduzione della quota percentuale di tuberi di calibro >75 mm (“fiorone”), poco remunerativi; – eliminazione delle malerbe estive a produzione di biomassa verde elevata (erba morella, farinello comune, amaranto comune, cencio molle) eventualmente presenti, che potrebbero creare intasamenti di alcuni organi meccanici di raccolta; – riduzione della diffusione, per caduta, di spore dalle foglie ai tuberi nel caso di talune malattie fungine (peronospora, alternariosi). Le sostanze attive, tutte ad azione erbicida non selettiva, attualmente disponibili in Italia sono: – carfentrazone etile, incluso anche in alcuni Disciplinari di Produzione Integrata regionali; iquat. –d Fino a pochi anni fa, quando il disseccamento chimico nella patata da consumo non era ammesso come pratica agronomica, la soppressione della chioma verde veniva effettuata mediante frantumazione meccanica (trinciatura) oppure rullatura. Molto spesso, soprattutto nelle cultivar a tuberizzazione superficiale, la rullatura arrecava danni da schiacciamento ai tuberi mentre la trinciatura poteva provocarne l’inverdimento poiché l’eliminazione della parte aerea li lasciava scoperti. Entrambe le operazioni poi non erano esenti da rischi in quanto nelle zone di produzione a stagione estiva piovosa (Pianura padana, Piana del Fucino) le piante trinciate o rullate (ma non devitalizzate), a seguito di precipitazioni importanti, dovendo ritardare la raccolta soprattutto nei bacini con suoli franco-argillosi, riemettevano nuova vegetazione dalle gemme basali dei culmi. Tale fenomeno comportava pesanti squilibri fisiologici, con ripercussioni sulla qualità merceologica e tecnologica dei tuberi come: – pre-germogliamento nel terreno; – aumento delle fisiopatie interne; – perdita di sostanza secca per rimobilitazione dell’amido dai tuberi verso la parte aerea; – aumento del contenuto di zuccheri riduttori, fattori questi di scadimento della qualità delle fritture a livello industriale. Oggigiorno a livello mondiale, soprattutto nelle aree pataticole vocate alla produzione di tubero-seme, l’interruzione della coltivazione è operata effettuando prima la frantumazione meccanica (che preserva la qualità fitosanitaria dal decadimento virale) e poi uno o più passaggi con disseccanti chimici.

Accumulo di salinità

• Effetto finale delle alterazioni causate

dalla salinità è l’abbassamento della produzione. Si intende per produzione relativa la resa di una coltura allevata in condizioni di salinità, espressa come frazione della sua resa in condizioni normali: questo parametro è importante, perché in base ad esso si possono confrontare colture le cui produzioni sono espresse in differenti unità

• La relazione tra salinità dell’acqua

(o del suolo) e resa relativa viene espressa con l’uso di due parametri, secondo la formula di Maas & Hoffman: Pr = 100 – B × (CE–A) dove Pr = produzione relativa per una data CE dell’estratto saturo o dell’acqua di irrigazione A = soglia di tolleranza espressa in dS/m: indica il livello massimo di salinità tollerata senza avere perdita della produzione B = pendenza espressa in % per dS/m: rappresenta la riduzione percentuale di prodotto per unità di incremento di salinità oltre la soglia CE = conducibilità dell’estratto saturo del terreno o dell’acqua di irrigazione A e B sono parametri specifici per ciascuna coltura e descrivono il suo comportamento nei confronti della salinità: il valore di A indica quanto rapidamente, all’aumentare del carico salino, si innesca la risposta (in termini di abbassamento di produzione) alla salinità, mentre B indica quanto sensibile è l’abbassamento percentuale

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coltivazione Per la patata da consumo, il trattamento disseccante va collocato nella fase di viraggio di colore del fogliame, dal verde al giallo, o comunque quando almeno il primo palco fogliare sia ingiallito; è eseguibile con uno o due passaggi, a seconda del vigore della cultivar (che determina calibri e altezze dei culmi molto variabili) e della sua densità di semina (che determina il numero di fusti per unità di superficie). Il tempo di attesa prima della raccolta dipende da molteplici fattori (ciclo di maturità della cultivar, calibro dei culmi, posizionamento dell’intervento disseccante, livello di abbucciamento dei tuberi) e può superare anche le 2 settimane. Interventi troppo anticipati (su piante ancora in piena attività fotosintetica) possono portare alla comparsa di due specifiche fisiopatie dei tuberi: la necrosi della zona del punto di distacco dello stolone (stem-end browning) e l’imbrunimento dell’anello vascolare (vascular discoloration) difettosità merceologiche gravi per le patate da consumo. Fattori predisponenti per queste fisiopatie sono: – disseccamento con piante in intensa crescita e in presenza di suolo secco; – interventi effettuati a fine giornata su piante appassite. Le possibili azioni di contenimento sono: – posizionare il momento del disseccamento quando almeno il primo palco fogliare vira al giallo; – se la coltura è molto verde, somministrare prima potassio fogliare (ripening effect); – evitare stress idrici a ridosso del trattamento disseccante; – non disseccare con terreno secco.

Tuberi con fisiopatia della necrosi del punto di distacco dello stolone

Foto L. Albertazzi

Tuberi con fisiopatia dell’imbrunimento dell’anello vascolare Tuberi con proliferazioni a catena

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patata comune Parametri qualitativi pre-raccolta Per i produttori di patata è di cruciale importanza il momento della raccolta, che giunge dopo un periodo piuttosto lungo (per le cultivar molto tardive, anche oltre 5 mesi dal piantamento) di cure colturali consecutive: dal giusto grado di maturazione dei tuberi dipenderanno infatti qualità merceologica, tecnologica e organolettica. Rispetto ai tuberi provenienti da colture extrastagionali, destinati alla commercializzazione quasi immediata, nel caso delle patate da avviare a frigostoccaggio, siano esse da consumo fresco o da industria, la maturazione dei tuberi deve essere completa: l’obiettivo da perseguire è lo scavo di prodotto fisiologicamente maturo. Parametri oggettivi per valutare la raggiunta maturazione sono: – l’accertamento del contenuto di sostanza secca dei tuberi, crescente via via che il processo di maturazione prosegue; – basso livello di zuccheri riducenti (glucosio e fruttosio). Valori alla raccolta superiori allo 0,15% in peso fresco (oppure 0,8% in peso secco) predispongono a un loro accumulo precoce durante il frigostoccaggio, con ripercussioni negative sia sulla qualità organolettica (addolcimento) sia su quella tecnologica (imbrunimenti non enzimatici alla frittura) dei tuberi; – periderma ben suberizzato quando sottoposto a sfregamento. Tale verifica (skin set) si effettua esercitando con il pollice una pressione tangenziale sul tubero e controllando se vi è rimozione di periderma. Per minimizzare i danneggiamenti da ammaccature (bruising), che possono causare perdite economiche severe per il produttore, connesse alle operazioni di raccolta, è importante monitorare: – temperatura interna dei tuberi (± 18-20 °C); – umidità del terreno (± 60-65%). L’umettamento del terreno in pre-raccolta assurge a grande importanza considerando che bassi livelli predispongono ad ammaccature puntiformi (blackspot) mentre la troppa idratazione, intesa come alta turgidità, può causare danni da microfessurazioni (shatter bruise) o apertura delle lenticelle (enlarged lenticels). È risaputa l’impossibilità di operare la raccolta interamente meccanizzata in suoli con elevata presenza di sassi (pena danni seri alle macchine raccoglitrici). Invece nei suoli franco-argillosi (facilmente costipabili), non adeguatamente curati nella preparazione del letto di semina, poco umettati in pre-raccolta, molto elevato è il rischio di zollosità: tale situazione operativa è predisponente a raccolte di tuberi “spellati” (skinning). In tal caso è possibile intervenire riportando il suolo a un livello adeguato di umidità con irrigazioni pre-raccolta da effettuarsi 3-4 giorni prima dello scavatura, con volumi di 150-

Determinazione della sostanza secca nei tuberi

• Si ottiene in due modi:

– per via diretta, mediante il “metodo dell’idrometro”. Infatti, il peso specifico dei tuberi si può misurare con un densimetro costituito da un galleggiante che nella sua parte superiore porta un’asta graduata e in quella inferiore un gancio. Un campione di alcuni chilogrammi di patate messe in un cestello viene appeso al gancio e immerso in un recipiente pieno d’acqua. Più densi sono i tuberi, maggiore è l’affondamento del galleggiante: sull’asta graduata si legge direttamente la percentuale di sostanza secca – per via indiretta, mediante conversione lineare del peso specifico (SG, Specific Gravity), ottenuto con il metodo della doppia pesata in acqua (UWW, UnderWater Weight) con formula: SG = [peso in aria/ (peso in aria – peso in acqua)] e successiva conversione lineare del peso specifico in % di sostanza secca (TDM, Tuber Dry Matter) a mezzo della formula TDM = 3,3542 + 0,2102 × [(SG – 1) × 1000]

Esiste infatti una relazione diretta tra questi due parametri, dovuta al fatto che l’amido ha un peso specifico assai superiore a quello dell’acqua e che quindi quanto più acquosi sono i tuberi, tanto minore è il loro peso specifico

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coltivazione 200 m3/ha. Nella stessa tipologia di suolo può verificarsi il caso di piogge pre-raccolta; ne deriveranno difficoltà a separare il terreno dai tuberi e i seguenti problemi annessi al frigostoccaggio: – sui tuberi sporchi di fango l’azione degli antigermoglianti chimici (CIPC, olio di menta, etilene) è di efficacia ridotta; – la presenza di una grande quantità di fango nei bins può interferire con il corretto movimento dei flussi di ventilazione interna nelle celle di stoccaggio.

Foto F. Govoni

Raccolta meccanizzata In base alla dimensione dei singoli appezzamenti in cui effettuare la raccolta, ci si trova di fronte a un bivio al momento di scegliere le macchine raccoglitrici: cantieri separati o cantieri riuniti. La prima opzione è tipica delle grandi aree pataticole dell’Europa centro-settentrionale e del Nord America: per grandi appezzamenti la meccanizzazione dedicata è tecnicamente elevata con presenza di: – macchine scavaraccoglitrici capaci di raccogliere fino a 4 file in continuo con scarico in bunker molto capienti (anche oltre 12 t) oppure a mezzo nastro “a collo di cigno” direttamente su carro raccolta; – cantieri per selezione e calibratura dei tuberi prima dell’ingresso nelle celle di frigostoccaggio. La seconda opzione è quella tipica negli areali di produzione italiani dell’Italia centro-settentrionale. Le scavaraccoglitrici in uso, tutte trainate, sono a 1-2 file con bunker di scarico (2,5-6,5 t) a fondo mobile: garantiscono un buon compromesso tra capacità lavorativa oraria e qualità merceologica del prodotto. Sono dotate

Riemissione di vegetazione dopo la pioggia

Foto S.Paradisi

Foto F. Govoni

Impianto fisso separatore tondello da terreno Raccolta meccanizzata nel Bolognese

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patata comune di vomere avente la funzione di sezionare la prosa e di un rullo tastatore, azionato da sensori che correggono il timone sterzante, utile per il controllo della profondità di scavo nonché per la centratura del piano di lavoro. Il trasporto dei tuberi è assicurato da nastri a velocità variabile (grazie alla trasmissione idraulica) che consentono di adattare la raccolta a vari tipi di terreno. La presenza di un nastro di cernita permette la selezione manuale del prodotto con eliminazione dello scarto (guasto, tagliato); uno o più rulli di pulizia favoriscono l’espulsione delle zolle e dei tuberi piccoli (tondello) e un ulteriore nastro gommato ad appendici estroflesse consente di eliminare buona parte del terreno sollevato dal vomere a inizio percorso di scavo. Tutti i punti che possono arrecare danni meccanici da rotolamento e impatto sono ricoperti di materiale antiurto. L’opzione del cantiere riunito è più confacente, come si è detto, alla pataticoltura comune italiana: vi è però un maggior costo per la manodopera addetta alla cernita e per la movimentazione dei bins in campagna. Il vantaggio è determinato dal minor costipamento del terreno e dalla minor quantità di scarto. Nel Bolognese di recente, al fine di determinare un maggior valore economico (fascia B1) per il “tondello sporco” (30-45 mm), si avviano i tuberi, raccolti in campo in un bunker dedicato delle macchine scavapatate, alla cernita in un impianto fisso sterratore, ottenendo così materia prima senza detriti (sassi, zolle terrose) per specifiche preparazioni dell’industria alimentare. La capacità di lavoro oraria per il prodotto precalibrato proveniente dalla campagna è di 15 t/h di prodotto in entrata, con una resa di selezione dell’85-90%.

Foto M. Rebeschini

Fusti con necrosi estese causate da peronospora Bins colmi pronti per il trasporto

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coltivazione Pataticoltura biologica Nel 2009 in Italia le superfici coltivate a patata con il metodo biologico, secondo i dati del SINAB, sono state pari a 957 ha (dei quali 202 in conversione); con un incremento medio annuo del 2% nel decennio 2000-2009, cifra questa ben inferiore rispetto a quelle registrate per altre colture orticole quali, per esempio, pomodoro e pisello. Le regioni italiane leader in questa produzione sono, in ordine di importanza, Sicilia ed Emilia-Romagna; la resa areica media italiana è intorno alle 21 t/ha, livello produttivo questo assolutamente inadeguato, che rende estremamente critico il conto economico della coltura per il pataticoltore. Il lento aumento degli investimenti, rispetto ad altre colture, è da ricondurre a una serie di cause, tra le quali si possono indicare in primis la mancanza di cultivar specificamente adatte a questo metodo di coltivazione, con particolare riferimento alla risposta verso temibili patogeni quali peronospora e alternariosi, che sono fortemente limitanti nei confronti della produttività considerando che il loro controllo, con i fungicidi disponibili in agricoltura biologica, è spesso difficile. La cultivar ideale (ideotipo) adatta alla produzione in biologico deve integrare in un unico genotipo (che possieda anche adeguati standard merceologici): – i caratteri che conferiscono alla pianta di tollerare gli stress (biotici e abiotici) dominanti nell’ambiente di coltivazione in cui si sviluppa; – una maggiore efficienza d’uso dell’azoto (NUE, Nitrogen Use Efficiency) poiché, essendo questo macronutriente non disponibile nel suolo nelle forme convenzionalmente utilizzate (in assenza di concimi di sintesi, banditi dal regime biologico, esso è ottenuto principalmente dalla mineralizzazione della sostanza organica), lo stesso timing di assorbimento potrebbe essere non perfettamente allineato con le esigenze fenologiche della pianta. Con riguardo agli stress di natura biotica, vi sono diverse avversità molto temibili per la patata quando questa non può fruire della protezione con agrofarmaci di sintesi: – la peronospora (Phytophthora infestans), l’avversità fungina che suscita le maggiori preoccupazioni nella produzione biologica, anche in considerazione della progressiva diminuzione dei quantitativi di rame che si possono utilizzare per il suo controllo (6 kg/ha/anno) come da norme contenute nel Reg. CE n. 889/2008. I genotipi più sensibili, in presenza delle condizioni microclimatiche innescanti l’infezione, possono arrivare nel giro di poche ore alla completa distruzione della parte aerea, con risvolti molto seri sull’esito produttivo e qualitativo finale. Sempre con riferimento alla peronospora, altro aspetto importante in pataticoltura è la correlazione ben conosciuta tra indice di

Patata bio: l’approvvigionamento del tubero-seme

• La produzione di patata con il metodo

biologico è normata dal Reg. CE n. 889/2008 che trova disposizioni tecniche attuative nel D.M. MiPAAF n. 18354/2009

• Il produttore è obbligato a seminare

tubero-seme certificato, ottenuto con le tecniche di agricoltura biologica

• Esiste tuttavia la possibilità di chiedere

autorizzazione, in deroga, all’utilizzo di tubero-seme convenzionale qualora quello biologico della cultivar che si intende utilizzare non sia rinvenibile nella disponibilità dell’apposita banca dati gestita dall’ENSE

• Tale motivazione consente di inoltrare

richiesta di deroga all’ENSE ai sensi dell’art. 45, par. 5a del Reg. CE 889/2008: nella campagna 2009, le deroghe concesse sono state 468, per un totale di circa 1300 t

• Sempre nel 2009, a fronte di una

disponibilità in banca dati ENSE di tubero-seme biologico di 8 cultivar (Agata, Agria, Désirée, Elfe, Kennebec, Laura, Nicola e Sante), oltre 60 sono state le cultivar oggetto di deroga: tra queste, quelle i cui quantitativi superavano le 500 t sono state Agria, Arinda, Bellini, Ditta, Labadia, Marabel, Rosara, Safrane e Timate, quasi tutte (tranne Agria, utilizzata prevalentemente in Sila) destinate a semine in Sicilia

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patata comune maturazione e sensibilità alla peronospora, nel senso che le cultivar più precoci sono in genere più sensibili; infatti, uno dei problemi maggiori per la coltivazione biologica è che attualmente non esistono cultivar precoci, di buon valore agronomico e sufficientemente tolleranti, che possano essere curate con bassi dosaggi di rame; – l’alternariosi (Alternaria solani), avversità fungina questa che in Italia, principalmente nei bacini produttivi più a nord, sembra essere addirittura più insidiosa della stessa peronospora (soprattutto sulle cultivar tardive), considerando che, in assenza di cultivar resistenti e con i pochi fungicidi autorizzati in agricoltura biologica, il controllo è scarso e l’unico strumento valido sembra essere la scelta di genotipi meno sensibili alla malattia; – la dorifora (Leptinotarsa decemlineata), il fitofago defogliatore più dannoso per la coltura della patata. In agricoltura biologica il controllo è imperniato sull’utilizzo di alcune varietà e ceppi di Bacillus thuringiensis (Bt), molto efficaci specialmente sulle larve di prima e seconda età, nonché formulati a base di piretrine naturali e spinosad; – la tignola (Phthorimaea operculella), lepidottero minatore di foglie e tuberi in campo e nei magazzini di conservazione. Fino a pochi anni fa preoccupante solo nel Sud Italia, attualmente è divenuto un fitofago-chiave anche negli areali produttivi del Viterbese e del Bolognese, imponendo un serio lavoro di monitoraggio dei voli con trappole a feromoni sessuali al fine di impostare al meglio le strategie di difesa. Buono il controllo esercitato da Bt e spinosad; assai interessanti le prospettive d’uso offerte da specifico Granulovirus (PoGR);

Tubero con danni da tignola

Tuberi con danni da nematodi galligeni Foglie con danni da alternariosi

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coltivazione – gli elateridi (Agriotes spp.), coleotteri polifagi ad ampia diffusione le cui larve erodono tuberi e radici, provocando danni merceologici molto seri. L’impossibilità di utilizzare geodisinfestanti di sintesi impone un’attenta valutazione delle precessioni colturali più predisponenti al loro proliferare, quali prati poliennali di graminacee, medicai, doppie colture (cereali verninimais, loiessa-mais, loiessa-soia), nonché una specifica attività di monitoraggio a mezzo trappole a esca alimentare (per le larve) o a feromoni sessuali tipo YATLORf (per gli adulti); i nematodi cisticoli (Globodera rostochiensis e G. pallida), – molto aggressivi sulla patata in diverse regioni italiane. Anche i nematodi galligeni (Meloidogyne spp.) risultano molto pericolosi, in particolare per le colture a semina estiva (bisestili). La scelta di adeguati avvicendamenti colturali è efficace per la lotta ai nematodi cisticoli aventi una ristretta gamma di piante ospiti; per esempio, di recente in alcune aree del Nord Europa è inserita nella rotazione, come precessione colturale, una specifica solanacea (Solanum sisymbrifolium), avente azione di pianta trappola (catch crop). Più complesso è il controllo dei nematodi galligeni, che invece proliferano su moltissime specie di piante coltivate e spontanee. Sia nel caso degli elateridi che dei nematodi fitoparassiti, l’inserimento nella rotazione di sovesci di alcuni genotipi di piante brassicacee appositamente selezionate come piante trappola (Eruca sativa) o come piante ad azione biofumigante (Brassica juncea), nonché l’uso di loro formulati secchi (pellet o sfarinati) a base di farine disoleate, garantiscono un buon livello di contenimento esercitato dall’azione biocida di alcuni metaboliti secondari (isotiocianati) rilasciati nel terreno a seguito dell’idrolisi, catalizzata dall’enzima endogeno mirosinasi, dei glucosinolati contenuti negli organi vegetativi e riproduttivi. L’uso di piante ad azione biofumigante può consentire, nel corso degli anni, importanti ricadute sulla gestione e sul miglioramento della qualità dei suoli, attraverso il riequilibrio tra micoflora patogena e non e, più in generale, del sistema suolo. In quest’ottica sono documentati a livello internazionale effetti positivi non solo nel contenimento di nematodi fitoparassiti (Globodera, Meloidogyne), malattie telluriche (rizottoniosi, verticilliosi, scabbia argentea, dartrosi) e coleotteri elateridi, ma anche tutti i noti benefici fisici, chimici e biologici derivati dall’uso di sovesci. In particolare è interessante evidenziare che gli apporti fertilizzanti di un buon sovescio biocida possono rappresentare in molti casi la concimazione di fondo della coltura che segue in rotazione e la patata ne beneficia sicuramente. Inoltre, è da ricordare che l’apporto di considerevoli quantità di sostanza organica al terreno consente un’azione di sequestro e immagazzinamento (carbon sink) della CO2 atmosferica che, in con-

Formulato pellettato ottenuto da pianta biocida

Tuberi con danni da elateridi

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patata comune siderazione della gravità degli effetti dei cambiamenti climatici a livello planetario, rappresenta una prospettiva di grande importanza per l’intero sistema agricolo. Un recente studio ambientale riferito a un’esperienza di 13 anni, nel Nord degli Stati Uniti, che prevedeva l’inserimento di sovesci biofumiganti nella rotazione della patata in sostituzione delle fumigazioni chimiche, ha dimostrato ricadute economiche e ambientali di grandi potenzialità applicative. La varietà di patata adatta alla coltivazione in agricoltura biologica deve quindi possedere rese stabili ed elevate, alta efficienza nell’uso dei macro- e micronutrienti, quindi maggior attitudine complessiva alla produzione in condizioni di ridotti input energetici. Inoltre, altro indispensabile tratto di interesse agronomico è la velocità di sviluppo dell’apparato fogliare per consentire: – una più celere copertura del terreno sottostante per i benefici legati alla riduzione dell’evaporazione dell’umidità in esso contenuta; – una maggiore competizione con le malerbe infestanti; – una maggiore protezione dai danni delle infezioni di peronospora, giacché per i genotipi che producono in tempi più brevi e ipotizzabile, in caso di infezioni gravi, la trinciatura della parte aerea, per evitare danni ai tuberi se questi già sono di calibro commerciale.

Trinciatura e interramento di brassicacea biocida Brassica juncea: pianta adatta alla biofumigazione

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Coltura extrastagionale Giovanni Mauromicale

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coltivazione Coltura extrastagionale Introduzione Le condizioni ambientali riscontrabili in alcune aree costiere dell’Italia meridionale permettono di realizzare la coltivazione della patata in due cicli “fuori stagione”: autunno-vernino-primaverile ed estivo-autunnale, temporalmente differenti da quello ordinario, primaverile-estivo. Con il primo ciclo, di gran lunga il più importante, si ottiene la classica e affermata produzione precoce (denominata anche primaticcia o novella), molto apprezzata soprattutto dai mercati europei e del Nord Italia in virtù della sua freschezza e della sua fragranza. Queste qualità, infatti, attirano l’attenzione del consumatore abituato a un prodotto conservato da diversi mesi (6-8). La produzione precoce può essere ottenuta in un arco temporale ampio, che va da marzo a giugno. Con il ciclo estivo-autunnale si realizza, invece, la cosiddetta patata bisestile, che in questi ultimi anni ha visto aumentare la propria importanza relativa, in virtù soprattutto della dislocazione temporale delle raccolte. Queste ultime, infatti, in funzione dell’area di coltivazione, possono essere effettuate tra dicembre e febbraio. Con i due cicli extrastagionali è possibile coprire un arco temporale di produzione di circa 7 mesi, da dicembre a giugno. Ciò determina importanti ripercussioni sia sul piano commerciale – dato che le quotazioni del prodotto, soprattutto di quello precoce, diminuiscono con l’avanzare della stagione – sia su quello agronomico, in quanto le piante, incontrando condizioni climatiche più o meno differenti da quelle della coltura ordinaria, modificano i

In sintesi

• Due cicli extrastagionali: – p atata precoce (o primaticcia o novella) da marzo a giugno – patata bisestile da dicembre a febbraio permettono di coprire un arco temporale di produzione di circa 7 mesi (dicembregiugno)

• Superficie coltivata di circa 20.000 ettari (2007-2009) pari a circa il 40% di quella destinata a patata comune

• Sicilia, Puglia, Campania e Sardegna

coltivano circa il 93% della superficie nazionale e forniscono il 94% della produzione complessiva

• Le produzioni medie unitarie sono di 21 tonnellate/ha (2007-2009)

Coltivazione di patata in prossimità del mare di Monopoli (BA)

Foto M. Curci

464


coltura extrastagionale propri assetti organografici e alcune fasi del ciclo biologico. Ne consegue, quindi, che sul piano operativo la scelta varietale e la tecnica colturale devono essere orientate a soddisfare esigenze anche molto differenti da quelle della coltura realizzata in ciclo ordinario primaverile-estivo.

Foto I. Giordano

Evoluzione delle superfici e delle rese La superficie coltivata a patata precoce in Italia, pari a oltre 23.000 ha nella media del triennio 1960-1962, ha raggiunto i 25.000 ha nel triennio 1970-1972 e ha superato i 30.000 alla fine degli anni Ottanta. Da allora, pur con le consuete oscillazioni legate all’annata, ha subito una costante contrazione, fino ai circa 20.000 ha del triennio 2007-2009. Si tratta di un andamento sostanzialmente diverso rispetto a quello che ha fatto registrare la patata comune, le cui superfici hanno subito un fortissimo ridimensionamento, soprattutto nella seconda metà del Novecento, passando da circa 350.000 a 60.000 ha, per poi attestarsi sugli attuali 50.000 ha. In conseguenza di ciò, nell’ultimo cinquantennio la proporzione della superficie a patata precoce, rispetto a quella a patata comune, è sensibilmente aumentata, essendo passata dal 6% dei primi anni Sessanta al 40% degli ultimi anni. In considerazione delle sue peculiari esigenze climatiche, la dislocazione territoriale della coltura precoce è in prevalenza meridionale. Infatti, Sicilia, Puglia, Campania e Sardegna coltivano il 93% della superficie nazionale e danno luogo al 94% della produzione complessiva. L’analisi delle superfici a livello regionale, nell’ultimo ventennio, permette di rilevare un sostanziale cambiamento nell’assetto territoriale della coltura. Puglia

Semina meccanica di una coltura di patata bisestile, con impiego di tuberi-seme ottenuti in ciclo precoce controllato Foto I. Giordano

Scavatura meccanica di tuberi-seme da una coltura precoce destinati all’impianto di colture bisestili

Foto M. Curci

465


coltivazione e Campania, che detenevano il primato delle superfici coltivate alla fine degli anni Ottanta, rispettivamente con 11.200 e 8600 ha, hanno subito un notevole ridimensionamento della coltura, fino agli attuali 4200 e 3300 ha (media del triennio 2007-2009). Per contro, la Sicilia, nello stesso periodo, ha aumentato di circa il 50% le proprie superfici, diventando la regione leader nella coltivazione della patata precoce con i suoi quasi 10.000 ha, pari a metà dell’intera superficie nazionale. Anche la Sardegna ha mostrato un crescente interesse verso questa coltura: le sue superfici, nel ventennio considerato, sono passate da 1000 a 1500 ha. Le produzioni unitarie, pur con le ovvie oscillazioni da un anno all’altro, hanno manifestato un significativo incremento, passando dalle 16 t/ha del triennio 1987-1989 alle 21 t/ha dell’ultimo triennio (2007-2009). Pianta di patata precoce in fase di accrescimento dei tuberi

Aspetti varietali La scelta della cultivar rappresenta un momento importante nella programmazione colturale, in quanto vi si attribuisce un peso determinante per il raggiungimento di produzioni unitarie elevate. Le difficili condizioni climatiche che accompagnano il ciclo biologico delle colture extrastagionali fanno sì che non tutte le cultivar – costituite, com’è noto, quasi esclusivamente all’estero per contesti ambientali assai differenti da quelli italiani – siano in grado di manifestare un adeguato adattamento. Negli ultimi vent’anni alcune istituzioni di ricerca italiane hanno intrapreso articolati programmi di miglioramento genetico con l’obiettivo principale di costituire varietà di patata adatte ai peculiari contesti ambientali delle colture extrastagionali, per cui il lavoro di selezione e di adattamento delle nuove costituzioni è stato realizzato proprio nelle nostre aree meridionali. I risultati fi-

Tuberi della cultivar Nicola

Andamento della superficie coltivata a patata nel periodo 1985-2009

Superficie coltivata (ha)

120000 100000 80000 60000 40000 20000 0

1985 1987 1989 1991 Patata primaticcia Patata comune

1993

466

1995

1997

1999

2000

2003

2005

2007

2009


coltura extrastagionale nora ottenuti sono incoraggianti. Nella scelta delle cultivar, invero, non sono da sottovalutare i vincoli connessi con l’approvvigionamento dei relativi tuberi-seme e con la destinazione del prodotto, che in alcuni casi prendono il sopravvento sulle considerazioni strettamente agronomiche. La coltivazione della patata precoce, un tempo basata su un numero limitato di varietà, negli ultimi vent’anni ha messo in evidenza un significativo ricambio e un arricchimento del panorama varietale. Infatti, nei primi anni Novanta 4 sole varietà (Sieglinde, Spunta, Jaerla e Nicola) intercettavano quasi i ¾ delle superfici complessive. Per contro, oggi il panorama varietale risulta molto più diversificato, potendo contare anche su una serie di nuove varietà, quali Arinda, Matador, Labadia, Antea, Timate, Mondial, Safrane, Marabel, Bellini e Ditta (quest’ultima molto utilizzata per le colture biologiche), che vanno progressivamente consolidando le proprie posizioni. Le caratteristiche salienti di una cultivar adattabile alla coltura precoce, già efficacemente delineate da Foti nel 1984, possono essere così sintetizzate: – ciclo breve, oscillante, in media, intorno ai 120 giorni; – buon ritmo di accrescimento vegetativo in condizioni di temperature moderatamente basse; – precoce differenziazione dei tuberi ed elevato ritmo di accrescimento degli stessi nelle prime fasi del processo di tuberificazione; – indifferenza al fotoperiodo unita a una buona resistenza alle più comuni avversità biotiche e abiotiche; – forma allungata, pasta gialla e dimensione media dei tuberi; – elevata capacità produttiva.

4% 3%

1987-1989 23%

39% 31%

2007-2009

8% 3% 17%

50% 22%

Puglia

Sicilia

Calabria

Sardegna

Campania

Ripartizione regionale della superficie coltivata a patata precoce in Italia. Confronto tra i trienni 1987-1989 e 2007-2009

Andamento delle produzioni areiche nazionali nel periodo 1985-2009 30

Produzione areica (t/ha)

25 20 15 10 5 0

1985

1987

Patata primaticcia

1989

1991

1993

1995

1997

1999

Patata comune

467

2000

2003

2005

2007

2009


coltivazione Le caratteristiche salienti di una varietà adattabile alla coltura bisestile possono essere, invece, così delineate: - ridotta dormienza del tubero-seme, pronta emergenza e veloce ricoprimento del terreno; – ciclo compreso tra 100 e 110 giorni; – tolleranza sia alle elevate temperature durante le prime fasi di accrescimento, sia a quelle relativamente basse nell’ultimo periodo del ciclo; – capacità di differenziare i tuberi in condizioni di temperature relativamente elevate (>18-20 °C); – resistenza dei tuberi prodotti alle fitopatie, in particolare a quelle che determinano marciumi; – forma allungata, colore giallo della buccia e della pasta, contenuto medio di sostanza secca (s.s.) dei tuberi e qualità culinaria di tipo A, B o AB. Tuttavia nella coltura bisestile la scelta varietale risulta spesso obbligata a causa sia dell’impiego di tuberi “uso-seme”, che

Tuberi della cultivar Safrane

Cultivar diffuse in coltura extrastagionale Cultivar

Epoca di maturazione

Caratteristiche dei tuberi

Qualità culinarie*

Sieglinde

Precoce, semiprecoce

Forma ovale allungata, dimensione medio-piccola, buccia gialla, polpa giallo intenso

Tipo A sostanza secca (s.s.) media

Spunta

Media, medio-tardiva

Forma allungata, dimensione molto grossa, buccia gialla, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Nicola

Medio-tardiva

Forma ovale allungata, dimensione media, buccia gialla, polpa giallo intenso

Tipo A-AB s.s. media

Arinda

Media

Forma allungata, dimensione grossa, buccia gialla, polpa gialla

Tipo B s.s. medio-bassa

Bellini

Precoce, semiprecoce

Forma ovale allungata, dimensione media, buccia gialla, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Timate

Media

Forma ovale allungata, dimensione medio-grossa, buccia gialla, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Liseta

Semiprecoce

Forma allungata, dimensione medio-grossa, buccia giallo chiaro, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Marabel

Precoce, semiprecoce

Forma ovale, dimensione medio-grossa, buccia giallo chiaro, polpa gialla

Tipo AB s.s. medio-alta

Matador

Semiprecoce

Forma ovale allungata, dimensione media, buccia giallo chiaro, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Antea

Precoce, semiprecoce

Forma ovale allungata, dimensione media, buccia giallo chiaro, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. media

Safrane

Precoce, semiprecoce

Forma ovale allungata, dimensione grossa, buccia gialla, polpa giallo chiaro

Tipo B s.s. medio-bassa

* Tipo A: patata da insalata a polpa soda, non sfiorisce e rimane consistente; non farinosa, ha grana molto fine e sapore delicato. Eccellente come patata da insalata oppure cotta al vapore o gratinata. Non adatta per fritture, purè e preparazioni al forno. Tipo B: patata abbastanza soda, per tutti gli usi; sfiorisce leggermente, si apre poco dopo la cottura, ha una consistenza media ed è debolmente farinosa. Ha una grana fine ma sapore delicato. Buona come patata da insalata, abbastanza buona per purè, fritture, preparazioni al forno e gnocchi.

468


coltura extrastagionale impone ovviamente la stessa varietà utilizzata nella coltura precoce, sia della mancanza di genotipi specificatamente costituiti per questa coltura. Oggi le cultivar maggiormente utilizzate nella coltura bisestile sono Timate, Arinda, Mondial, Ditta e Antea. Uno studio da me condotto in Sicilia su oltre 60 genotipi di patata ha messo in evidenza che le produzioni unitarie delle colture bisestili sono positivamente associate alla brevità dell’intervallo semina-emergenza e alla capacità di differenziare un elevato numero di tuberi per pianta, più ancora che alle dimensioni che questi sono in grado di raggiungere. Il peso unitario dei tuberi nella coltura bisestile, infatti, influenza la produzione unitaria in misura meno marcata, rispetto a quanto è in grado di determinare nel ciclo precoce, dove invece risulta la componente più significativa della resa.

Tuberi della cultivar Marabel

Approvvigionamento del seme Nella coltura precoce è generalizzato l’impiego di tuberi-seme certificati di provenienza quasi esclusivamente estera. Ciò da un lato offre indiscusse garanzie sotto il profilo fitosanitario, dall’altro determina ripercussioni rilevanti sull’economicità della coltura e ha possibili implicazioni sugli aspetti biologici. Per esempio, in alcune annate il costo elevato del seme ha contribuito a limitare sensibilmente la convenienza economica della coltura, mentre in altre ne ha reso problematico lo stesso approvvigionamento. Le implicazioni biologiche connesse con l’impiego di seme proveniente da Paesi dell’Europa centro-settentrionale (Olanda, Fran-

Tuberi della cultivar Bellinda

Periodi di semina e di raccolta della patata extrastagionale Ciclo autunno vernino-primaverile

Ciclo estivo-autunnale

AGO

SET

OTT

NOV

DIC

GEN

FEB

Periodo di semina

MAR

APR

Periodo di raccolta

469

MAG

GIU


coltivazione cia, Austria, Germania e Danimarca) sono conseguenza dell’incompleta o alterata maturazione fisiologica dei tuberi-seme, determinata dall’insufficiente intervallo temporale tra l’epoca di raccolta e quella di semina, e dalle non infrequenti anomalie ambientali (temperatura e soprattutto umidità relativa) cui essi vanno incontro durante i lunghi trasporti e la successiva conservazione. Ciò, peraltro, spiega la variabilità della risposta produttiva, anche nello stesso ambiente, di partite diverse di tuberi-seme appartenenti alla medesima cultivar. Nella coltura in ciclo estivo-autunnale, ferme restando l’opportunità e l’utilità dell’impiego di tuberi-seme certificati, andrebbe rigorosamente governata e controllata – sotto il profilo sanitario, agronomico e genetico – la fase di moltiplicazione e messa a punto di un’idonea tecnica di conservazione e pre-germogliazione, atta a garantire la corretta maturazione fisiologica del tubero-seme. Essi derivano da colture precoci (impiantate utilizzando tuberi-seme certificati) e vengono normalmente raccolti in maggio, conservati a temperatura relativamente bassa ed esposti, per un periodo di 15-20 giorni prima dell’impianto, alla luce diffusa e alla temperatura di 18-20 °C, al fine di promuovere il processo di germogliazione. La durata di ciascuna di queste fasi e la temperatura di conservazione vanno regolate in funzione delle varietà utilizzate, poiché queste presentano periodi e intensità di dormienza dei tuberi differenti.

Tuberi della cultivar Red Fantasy

Epoche di semina e di raccolta Relativamente al ciclo precoce, le semine sono realizzate in un arco temporale abbastanza ampio, compreso tra novembre e marzo, Germogli di patata in fase di accrescimento

Foto R. Angelini

470


coltura extrastagionale in accordo con le sostanziali differenze nell’andamento climatico, nonché nella giacitura, esposizione e tessitura dei terreni dei diversi areali di coltivazione. In genere le semine procedono temporalmente dalle aree con microclima più favorevole, dove sono molto rare le gelate, a quelle con più elevato rischio di abbassamenti termici, anche sotto 0 °C, che possono seriamente compromettere la sopravvivenza delle piante. Il posticipo dell’epoca di semina determina un raccorciamento di tutte le fasi del ciclo biologico e, di conseguenza, un anticipo della raccolta dei tuberi, ma favorisce un consistente incremento delle produzioni unitarie, perché le piante intercettano condizioni climatiche più favorevoli alle proprie esigenze. Con il ritardo delle semine, però, diventa sempre più decisivo il ricorso all’irrigazione, che richiede la disponibilità di sufficienti risorse idriche. Le epoche di raccolta nelle tre più importanti regioni interessate alla coltura risultano temporalmente coordinate in una scala di precocità decrescente che va dalla Sicilia alla Puglia, e infine alla Campania. Tuttavia, spesso si verificano spostamenti nell’epoca di maturazione, per cui le produzioni provenienti dalle diverse regioni possono sovrapporsi, provocando intasamenti nei mercati, con conseguente riduzione del prezzo del prodotto. Ciò talvolta può essere accentuato dalla presenza, sui mercati europei, delle produzioni di altri Paesi del bacino del Mediterraneo. A differenza di quella precoce, l’epoca di semina della patata in ciclo estivo-autunnale è concentrata in un periodo piuttosto breve, che va dalla seconda metà di agosto alla prima metà di settembre. La durata del ciclo, compresa tra 100 e 110 giorni, risulta comunque più breve di quella della coltura precoce, che è di circa 120130 giorni. La raccolta dei tuberi nelle colture seminate a metà

Patata precoce consociata al mandorlo

Irrigazione della patata precoce nel Siracusano Irrigazione a pioggia in una coltura di patata precoce

Foto M. Curci

471


coltivazione agosto inizia già alla fine di novembre, mentre quella relativa alle semine più tardive e in presenza di terreni molto sciolti (che favoriscono una buona conservazione dei tuberi maturi) si può protrarre fino a gennaio-febbraio. Infatti, non è raro vedere campi di patata bisestile in cui, per esigenze commerciali, la raccolta avviene a febbraio, ma che già a gennaio presentano la parte epigea completamente secca. Con riferimento a questo ciclo, una recente ricerca effettuata in agro di Siracusa ha rilevato che il rinvio dell’epoca di semina dal 22 agosto al 10 settembre ha mediamente ridotto di 8 giorni l’epoca di emergenza e determinato una più pronta copertura del terreno, attribuibile alla più avanzata maturazione fisiologica del tubero. Tuttavia, la seconda epoca di semina ha comportato la riduzione della produzione unitaria (22 contro 27 t/ha), quale conseguenza, principalmente, del minore peso unitario dei tuberi.

Foto I. Giordano

Coltivazione di patata da seme con, in primo piano, piante decespugliate meccanicamente

Densità di semina La densità di impianto costituisce un aspetto assai rilevante, considerati l’elevato costo, il differente stadio di maturazione fisiologica e le dimensioni del tubero-seme. Per limitare l’incidenza del costo del seme, è diffuso l’impiego di frazioni di tubero (fette) fornite di uno o più occhi (piccole infossature presenti sul tubero che includono una gemma centrale e due gemme laterali). Le dimensioni della fetta sono molto variabili in relazione al peso unitario e al numero di occhi del tubero-seme, nonché al costo del seme stesso; in alcune aree gli agricoltori sono pertanto usi a valutare la produzione come rapporto tra peso del prodotto e peso del seme impiegato. Tutto ciò si riflette sulla quantità di tuberi-seme utilizzata, che può andare dai 1000 kg/ha dell’area di Galatina (LE) ai 2500-3000 kg/ha del Siracusano. Nel caso di tuberi-seme di piccola pezzatura (≤50-60 g), tuttavia, non è infrequente l’impiego del tubero intero. Purtroppo l’impiego di modeste quantità di seme si ripercuote negativamente sulla produzione unitaria, come peraltro hanno dimostrato le ricerche sull’argomento condotte dagli istituti di

Foto M. Curci

Coltivazione di patate tra olivi secolari, Monopoli (BA) Foto I. Giordano

Effetti dell’epoca di semina su alcune caratteristiche biologiche e produttive della patata bisestile

Campo di collaudo di nuove varietà di patata per il ciclo precoce

472

Epoca di semina

Caratteristiche biologiche e produttive

22 agosto

10 settembre

Emergenza [giorni dalla semina]

25

17

Copertura a 45 giorni dalla semina [%]

41

77

Produzione areica [t/ha]

26,6

21,9

Tuberi per pianta [n]

5,7

5,7

Peso unitario [g]

107

84


coltura extrastagionale agronomia delle università di Catania e di Bari e dal CNR. A titolo indicativo, i risultati di alcune prove condotte in Sicilia hanno messo in evidenza che l’investimento unitario più efficace ai fini produttivi è risultato compreso tra 6 e 7 piante per m2, corrispondenti a 3,2-3,5 t /ha di tuberi-seme, utilizzando tuberi interi del calibro di 35-45 mm.

Foto M. Curci

Cure consecutive: concimazione La peculiarità del ciclo biologico della patata precoce fa sì che essa presenti ritmi di accrescimento intensi soprattutto quando la temperatura, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, comincia a innalzarsi. Per sostenere questi ritmi di accrescimento e raggiungere un buon livello produttivo è necessaria un’idonea concimazione, opportunamente supportata da una buona disponibilità idrica. Un corretto programma di concimazione deve tenere conto delle caratteristiche del terreno e delle sue dotazioni in elementi nutritivi, nonché delle asportazioni della coltura. Con riferimento a queste ultime, recenti ricerche hanno accertato che, per una produzione di tuberi di circa 20 t/ha, una coltura asporta in media 102, 27 e 197 kg/ha, rispettivamente, di azoto, fosforo e potassio, con un rapporto di 1:0,3:2. L’azoto e soprattutto il potassio sono asportati in misura maggiore nella prima parte del ciclo colturale, mentre il fosforo nella seconda parte. Le indicazioni sulla dotazione in elementi nutritivi possono essere ottenute attraverso un’apposita analisi del terreno. D’altro canto, per conoscere il fabbisogno nutritivo o eventuali carenze della coltura in un determinato momento, informazioni utili possono essere dedotte dall’esame del lembo fogliare.

Piante di patata in fioritura Foto I. Giordano

Coltura precoce per la moltiplicazione di tuberi-seme irrigata per infiltrazione laterale Patata precoce consociata con l’ulivo

Foto M. Curci

473


coltivazione Concimazione organica L’impiego di concimi organici, quando disponibili, è sempre auspicabile per i loro effetti positivi sulle condizioni di nutrizione e soprattutto su quelle di abitabilità del terreno. È raccomandabile un apporto di 10 t/ha di letame ben maturo. Concimazione fosfatica e potassica Sulla base dei risultati forniti dalle analisi del terreno e avendo come riferimento la dotazione normale di P2O5 e K2O riportata nella tabella sotto, si possono distinguere tre casi: 1) d otazione normale di questi elementi: sono consigliabili apporti di concime miranti a mantenere il livello di fertilità nel terreno (quota di mantenimento) e perciò uguali alla quantità di elementi asportati dalla coltura per il potassio e fino a una maggiorazione del 50% nel caso del fosforo, in considerazione dei processi di immobilizzazione a cui questo elemento va incontro nel terreno; 2) dotazione elevata: per il potassio è consigliabile una dose pari al 70% di quello asportato, mentre per il fosforo gli apporti possono essere aumentati fino al 90% delle asportazioni; 3) dotazione insufficiente: la concimazione di mantenimento (uguale all’asportazione della coltura) va opportunamente maggiorata per reintegrare anche la dotazione nutritiva del terreno. Le maggiorazioni consigliabili possono raggiungere il 100% delle asportazioni nel caso del fosforo e il 20% nel caso del potassio. Il fosforo e il potassio vanno somministrati all’epoca delle lavorazioni preparatorie o all’impianto. Soprattutto nei terreni ricchi di calcare e con pH >7, a causa dei processi di immobilizzazione a cui va incontro, il fosforo deve essere somministrato in quantità sensibilmente più elevate rispetto alle asportazioni. In una coltura normale e su terreno tendenzialmente calcareo è consentito apportare fino a 7 q di perfosfato minerale, curando in particolare il suo immediato interramento. Il potassio è un elemento in genere ben presente nei terreni coltivati a patata extrastagionale, perciò l’uso di concimi potassici si limita al mantenimento di un buon livello della componente facilmente assimilabile dalla pianta, per cui 3 q di solfato di po-

Mostra pomologica di varietà di patata precoce provate in Sicilia

Contenuto normale in fosforo (P2O5) e potassio (K2O) in rapporto alla costituzione del terreno

Tuberi della cultivar Labadia

474

Costituzione del terreno

K2O (ppm)

P2O5 (ppm)

Sabbiosa (S >60%)

102-144

20-30

Medio impasto

120-180

30-35

Argillosa (A >35%)

144-216

35-40


coltura extrastagionale tassio al 48-52%, interrati con le lavorazioni preparatorie all’impianto, possono garantire un buon risultato produttivo. Inoltre, si deve tenere presente che massicce concimazioni con potassio potrebbero facilitare il dilavamento di altri elementi (calcio e magnesio), favorendo quindi alcune deficienze nutritive, quali per esempio quelle di magnesio. Concimazione azotata È sicuramente la concimazione che più condiziona la produzione sotto l’aspetto sia qualitativo sia quantitativo, e che più si ripercuote sull’ambiente. Dosi insufficienti di azoto determinano un accrescimento e uno sviluppo stentati, e conseguentemente basse produzioni; per contro, dosi eccessive allungano il ciclo della coltura, ritardano la tuberificazione, aumentano l’accumulo di azoto non proteico (nitriti e nitrati) nei tuberi, riducono il contenuto di sostanza secca e di amido, e favoriscono la comparsa di numerose fisiopatie (cuore cavo, accrescimenti secondari, deformazioni, germogliazione anticipata). La dose di N da apportare va commisurata alla disponibilità, nel terreno, di N utilizzabile dalla pianta, nonché all’entità delle rese che si intendono raggiungere. In ogni caso, non sono consigliabili apporti di azoto superiori a 180 kg di N per ettaro in assenza di apporti di sostanza organica. La disponibilità di azoto nel terreno va calcolata sulla base delle tabelle a seguito riportate e del livello delle precipitazioni meteorologiche verificatesi da settembre a febbraio. Se queste non superano i 150 mm, si può ritenere che i fenomeni di lisciviazione siano trascurabili; se sono comprese tra 150 e 350 mm, la quota di azoto disponibile nel terreno va ridotta del 50%, mentre se sono superiori a 350 mm si trascura completamente questa voce. Nel calcolo dell’azoto disponibile va tenuto conto, inoltre, che almeno un 30% di esso va perduto per i processi di volatilizzazione. L’azoto, quindi, in considerazione delle possibili perdite per dilavamento e volatilizzazione, deve essere somministrato in più riprese, distribuendone non oltre il 30% all’impianto e la parte restante in copertura in un paio di applicazioni.

Tuberi della cultivar Ditta

Tuberi della cultivar Sieglinde Foto M. Curci

Quantità di azoto assimilabile (kg/ha) calcolata sulla base dell’azoto totale presente in terreni a diversa costituzione Tipo di terreno

Tenore in N totale [‰] 0,9

1,2

1,5

1,8

2,1

Sabbioso (S >60%)

25

34

42

50

59

Medio impasto

23

31

39

47

55

Argilloso (A >35%)

22

29

36

43

50

Tuberi della cultivar Arnova

475


coltivazione Quantità indicative di azoto mineralizzato (kg/ha/anno) in funzione del tenore in sostanza organica (SO) e della costituzione del terreno

Calcolo del volume di adacquamento

Tipo di terreno

• Un metodo agevole ed efficace

per il calcolo del volume di adacquamento si basa sulla stima dell’evapotraspirazione massima della coltura mediante il sistema evaporimetrico: n

V = So (Epan × Kpan× Kc)

Da 50% emergenza a 50% copertura terreno

0,4

Da 50% copertura a 100% copertura

0,8

Da 100% copertura a 30 giorni dopo

1,1

Da 30 giorni dopo a inizio senescenza

0,9

Da inizio senescenza a maturazione

0,7

1,5

2,0

2,5

Sabbioso (S >60%)

18

35

53

70

88

Medio impasto

12

24

36

48

60

Argilloso (A >35%)

6

12

18

24

36

Cure consecutive: irrigazione L’irrigazione costituisce una tecnica indispensabile nella coltivazione della patata extrastagionale ai fini dell’ottenimento di un buon risultato produttivo: la patata è infatti una specie molto sensibile alla carenza idrica. Il suo apparato radicale, anche se

Coefficienti colturali (Kc) della patata Kc

1,0

Microelementi È bene effettuare la correzione di eventuali deficienze di microelementi dopo avere analizzato il terreno e le foglie. L’impiego di concimi fogliari può servire solo a correggere momentaneamente disfunzioni o carenze nutritive di microelementi, e non ad alimentare le piante con macroelementi. L’utilizzo di fertilizzanti idrosolubili mediante la fertilizzazione può aumentare l’efficienza di entrambe le tecniche colturali. Un limite all’adozione della fertilizzazione fogliare nella patata precoce è rappresentato dalla difficoltà, in talune annate, di intervenire durante i periodi invernali piovosi.

dove V = volume di adacquamento (mm); n = numero di giorni fra l’ultima adacquata e il raggiungimento della soglia di intervento; Epan = evaporazione giornaliera da evaporimetro di classe A pan (mm); Kpan = coefficiente di conversione dell’Epan in evapotraspirazione di riferimento (ETo), pari a 0,8; Kc = coefficiente colturale, variabile durante il ciclo come mostra la tabella sottostante

Intervallo del ciclo

Tenore in SO [%] 0,5

Foto M. Curci

Piante di patate in fase di fioritura

476


coltura extrastagionale espanso, è superficiale ed è in grado di estrarre l’acqua trattenuta nel terreno a tensioni comprese tra –0,02 e –0,6 Mpa. Il periodo che intercorre tra la differenziazione dei tuberi e lo stadio in cui essi raggiungono circa il 50% del loro sviluppo finale è notoriamente quello più sensibile alla carenza idrica. Per contro, meno rilevanti sono gli effetti della carenza idrica nelle fasi successive del ciclo. Il momento più opportuno per l’intervento irriguo può essere identificato sulla base dell’evaporato o del contenuto di umidità del terreno. Nel primo caso è consigliabile intervenire al raggiungimento di 30 mm di evaporato cumulato al netto delle precipitazioni (per i terreni molto leggeri), o di 40 mm (per i rimanenti terreni). Nel secondo caso è consigliabile intervenire al raggiungimento del potenziale idrico di –0,6 Mpa, corrispondente a circa il 60% dell’acqua disponibile nel terreno. Per quanto riguarda i metodi di distribuzione dell’acqua di irrigazione, sono da preferire quelli a bassa pressione rispetto a quelli ad alta, sia perché più efficaci sia perché migliorano l’uniformità, evitano gli smottamenti della porca (riducendo i pericoli di inverdimento dei tuberi) e provocano una minore compattazione del terreno. Il volume irriguo stagionale, stimato in Sicilia con il metodo evaporimetrico di classe A Pan, è risultato oscillare in rapporto all’annata tra 160 e 200 mm per le colture precoci, e tra 100 e 220 mm per le colture bisestili. In ogni caso, andrebbero il più possibile evitate le carenze idriche alla coltura, perché ritardano la differenziazione dei tuberi e ne rallentano l’accrescimento, con ripercussioni negative sulla precocità e sulla resa.

Foto R. Angelini

Patata in fase di emergenza

Cassette pronte per il mercato, Bitonto (BA)

Foto M. Curci

477


coltivazione Calendario di raccolta, caratteristiche e destinazione del prodotto Secondo le norme ECE di Ginevra, sono primaticce le “patate raccolte generalmente prima della loro completa maturazione, commercializzate immediatamente dopo essere raccolte e la cui buccia può essere tolta facilmente mediante strofinamento”. In considerazione di ciò, ma anche del fatto che le quotazioni del prodotto diminuiscono con l’avanzare della stagione primaverile, la raccolta viene quasi sempre effettuata prima della maturazione completa del tubero, in una fase più o meno evoluta del suo accrescimento. Ne deriva quindi che, a parità di cultivar e di altre condizioni, i tuberi possono presentare una composizione alimentare anche molto differenziata, dal momento che, con l’avanzare del loro accrescimento, aumenta il contenuto in sostanza secca e amido, mentre diminuisce quello in zuccheri riduttori, proteine e ceneri. Il prodotto raccolto precocemente risulta caratterizzato da scarsa serbevolezza e bassa resistenza ai trasporti per il modesto contenuto in sostanza secca, ma possiede un sapore dolciastro per il contenuto relativamente elevato in zuccheri riduttori, che lo rendono adatto ad alcune preparazioni culinarie. L’extrastagionalità permette di collocare una quota apprezzabile della produzione sui mercati esteri, il più importante dei quali è quello tedesco. L’ampia distribuzione temporale delle semine e i molteplici e variegati contesti ambientali consentono di realizzare un ampio calendario di raccolta e di commercializzazione del prodotto fresco, che si estende ininterrottamente da novembre a giugno. Il primo segmento di questo calendario – da novembre a gennaio – è sostenuto dalla patata bisestile, mentre per la clas-

Confezionamento del prodotto

• I tuberi raccolti, dopo opportuna cernita e ripulitura, vengono confezionati in cartoni e retine. Per quelli destinati all’esportazione possono essere utilizzati anche cesti di castagno oppure sacchi di juta o altre fibre

• Sulle confezioni delle patate per l’esportazione vanno apposti:

– il marchio nazionale di esportazione; – la denominazione, la sede ed eventualmente il marchio di commercio dell’esportatore; – la sigla GL per le patate lunghe a pasta gialla, GT per le patate tonde a pasta gialla, BL per le patate lunghe a pasta bianca, BT per le patate tonde a pasta bianca, VV per le patate di tipo diverso da quelle precedenti

Patate pronte alla raccolta in cassette, Bitonto (BA)

Foto M. Curci

478


coltura extrastagionale Variazione dei principali parametri qualitativi in alcune varietà di patata precoce

Foto M. Curci

Varietà

Sostanza secca [g/100 g]

Contenuto proteico [g/100 g s.f.]

Contenuto in vitamina C [mg/100 g s.f.]

Contenuto in nitrati [mg/kg s.f.]

Arinda

15,3

2,2

21

63

Ditta

16,1

2,1

20

72

Marabel

18,3

2,7

21

53

Matador

12,3

3,1

21

133

Mondial

16,5

2,3

21

64

Roko

18,1

1,7

21

107

Sieglinde

18,0

2,5

25

72

Zagara

14,3

1,5

25

139

Media

16,1

2,3

22

88

Piante di patata in fioritura, Bitonto (BA) Foto I. Giordano

S.f. = sostanza fresca

sica patata primaticcia la raccolta (e quindi l’offerta del prodotto) parte da inizio marzo nell’area di Cassibile (SR), raggiunge la massima disponibilità nella seconda-terza decade di maggio, allorché sono pronti anche il prodotto pugliese e quello delle colture più precoci della Campania, e si conclude in giugno con il grosso della produzione campana.

Cicli precoce e bisestile a confronto Ciclo verninoprimaverile (precoce)

Ciclo estivo-autunnale (bisestile)

Epoca di semina

Novembre-febbraio

Metà agosto-metà settembre

Epoca di raccolta

Marzo-giugno

Dicembre-febbraio

Durata del ciclo

120-130 giorni

100-110 giorni

Varietà impiegate

Arinda, Timate, Mondial, Spunta, Sieglinde, Safrane, Antea

Timate, Spunta, Mondial

Materiale di propagazione – provenienza – certificazione – maturazione fisiologica – modalità d’uso Destinazione prevalente del prodotto Produzione [t/ha]

Olanda, Germania Sì Da sufficiente a buona Porzioni di tubero

Gravi danni da peronospora in una coltura di patata bisestile Foto M. Curci

Reimpiego aziendale No Da insufficiente a sufficiente Tuberi interi

Mercati nazionali ed esteri

Mercati nazionali

15-50

10-20

Cantiere di raccolta meccanica, Bitonto (BA)

479


la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Coltivazione da seme botanico Anita Ierna

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coltivazione Coltivazione da seme botanico La propagazione della patata, com’è noto, viene di norma realizzata utilizzando tuberi-seme interi o loro frazioni (via agamica). Indubbiamente la tradizionale propagazione agamica ha svolto un ruolo decisivo nell’evoluzione di questa coltura, in quanto essa, oltre ad avere consentito di fissare le nuove combinazioni genetiche, sia spontanee sia indotte dall’uomo, ha avuto il merito di ridurre l’eterogeneità all’interno dei genotipi presenti, creando cloni omogenei in grado di fornire tuberi uniformi e qualitativamente apprezzabili. La propagazione agamica, tuttavia, comporta numerosi inconvenienti legati soprattutto allo stato sanitario, ai costi e alla difficoltà di trasporto e di conservazione dei tuberi-seme. Ciò è particolarmente evidente nei Paesi in via di sviluppo, dove questo metodo limita la produzione e il conseguente consumo di patate, ma esso sta progressivamente divenendo fattore limitante anche nella moderna agricoltura dei Paesi industrializzati. Un mezzo innovativo per superare gli svantaggi connessi con l’utilizzazione del tubero-seme potrebbe essere rappresentato dalla propagazione sessuale (limitata da sempre al lavoro di genetica e miglioramento genetico) attraverso il seme botanico, o seme vero, TPS (True Potato Seed). Il seme si estrae dalle bacche carnose tondeggianti di colore verde-bruno, violaceo o giallastro, ciascuna delle quali contiene da 150 a 300 semi reniformi appiattiti. L’infiorescenza è a corimbo. Il fiore è ermafrodita, campanulato e con petali di colore variabile dal bianco al viola intenso.

Pianta in fase di piena allegagione

Grappolo di bacche Tuberi-seme pronti per la semina

480


seme botanico Il seme vero di patata, TPS, è stato lanciato come alternativa al tubero-seme nella coltivazione della patata dal Centro Internacional de la Papa (CIP) di Lima, Perú, nella seconda metà degli anni Settanta. Fino a quell’epoca era stato fatto solo un uso occasionale del seme botanico in Perú e in Bolivia, ed era stato descritto un esempio di utilizzazione del TPS nella produzione della patata da parte dei discendenti degli Inca nell’area di Cuzco (Perú). Sebbene molti altri istituti di ricerca nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo abbiano studiato vari aspetti della tecnologia del TPS, il CIP ha avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo di questa alternativa tecnica di propagazione per la coltivazione della patata. Ne è un esempio concreto l’ibrido da seme botanico chiamato Chacasina, diffuso in Perú e selezionato proprio dal CIP.

Patata Chacasina: un ibrido da seme botanico per le Ande

• Nel Callejón de Conchucos, 300 km

a nord di Lima, a partire dal 1995 gli agricoltori utilizzano una “varietà” di patata che produce in media 45 t di tuberi commerciabili per ha (circa 3 volte la media nazionale)

• Si tratta di un ibrido da seme botanico

derivante dall’incrocio Yungay × 104.12 LB, selezionato nel 1993 dal CIP. Tale ibrido, conosciuto localmente come Chacasina, dal nome del villaggio in cui sono state realizzate le prime semine, combina le qualità culinarie altamente apprezzate del suo genitore femminile, che è di tipo tradizionale (Yungay), con le caratteristiche di alta produttività, precocità di maturazione e resistenza a Phytophtora infestans del genitore maschile (104.12 LB) selezionato dal CIP

Vantaggi e limiti derivanti dall’uso del seme botanico L’impiego del seme botanico in luogo del tubero-seme presenta innumerevoli vantaggi: – miglioramento fitosanitario (su circa 50 virus che attaccano la patata solo 4 possono essere trasmessi attraverso il seme); – facilità di trasporto e di conservazione (sono sufficienti circa 100-150 g di seme botanico per impiantare 1 ha, contro le 2,5 t circa di tuberi-seme); – riduzione dei costi di produzione (sia per il costo minore del seme rispetto ai tuberi-seme, sia perché tutti i tuberi raccolti possono essere destinati all’alimentazione); – migliore conservabilità (il seme ha un contenuto di umidità di gran lunga inferiore a quello dei tuberi); – possibilità di costituire nuove varietà in tempi molto più brevi (23 anni contro 10-15 anni).

• Il successo di questa nuova varietà da

seme botanico deriva dal fatto che i suoi genitori si incrociano naturalmente nel campo (il genitore femminile è maschiosterile e quello maschile è un prolifico produttore di polline) e danno luogo a seme botanico uniforme

Principali acquisizioni del CIP* nella sperimentazione del TPS (seme vero di patata) 1974

Inizia la sperimentazione sul miglioramento genetico per TPS

1977

Primi esperimenti sugli aspetti agronomici

1983

Presentazioni in atti di convegno e nella Planning Conference

1984

Nella sperimentazione del TPS vengono coinvolti 34 Paesi

1995-1996

Massimo sviluppo della ricerca; programmi di collaborazione con 24 Paesi

1990-2000

Formula protocolli su agronomia, fisiologia e tecnologia del seme. Cede produzione e diffusione del TPS a programmi di ricerca nazionale in agricoltura e ai privati

2001-2010

Esplora nuove linee di breeding per migliorare le performance del TPS

* Centro Internacional de la Papa (Lima, Perú)

481


coltivazione Inizialmente questa tecnica di propagazione presentava dei limiti che erano riconducibili alla ridotta produttività delle relative progenie, rispetto a quella ottenibile attraverso la propagazione tradizionale, e alla disformità dei tuberi prodotti per colore, forma e pezzatura. Riguardo a quest’ultimo aspetto, infatti, quando si utilizza la propagazione agamica (tubero-seme) si ha la garanzia di avere piante geneticamente identiche alla pianta-madre, mentre se si utilizza la propagazione gamica (seme botanico) i semi di una pianta daranno origine a piantine geneticamente differenti rispetto alla pianta-madre che li ha generati. La disformità dei tuberi provenienti da piante propagate per seme botanico non era considerata una caratteristica negativa dai contadini delle Ande, avendo essi intuito che il “miscuglio” possedeva una tale variabilità di resistenza nei confronti degli stress biotici e abiotici che, in caso di avversità, avrebbe garantito la sopravvivenza delle piante. Nei Paesi industrializzati, invece, i tuberi devono presentarsi morfologicamente uniformi, poiché i mercati sono molto esigenti nei riguardi degli standard qualitativi. Stabilità di produzione e uniformità delle progenie sono stati, quindi, i principali obiettivi perseguiti nel miglioramento genetico per l’uso del TPS. Inoltre, i problemi legati all’induzione fiorale e ai processi di allegagione e carpogenesi (sviluppo e accrescimento della bacca), comprese la formazione del seme e la sua germinazione, hanno richiesto lunghi e approfonditi studi, che ora sembrano sulla strada della risoluzione.

Particolare di fiori viola

Infiorescenze bianche di piante da seme botanico

482


seme botanico Varietà adatte alla coltivazione per seme botanico Il seme vero di patata può essere costituito da: – seme da libera impollinazione (OP, Open Pollinated); – seme ottenuto da incroci tra cultivar e/o cloni tetraploidi 4X; – seme ibrido altamente eterozigote attraverso l’utilizzo di mutanti meiotici. Il seme da libera impollinazione, OP, dà progenie con produzioni del 30-50% in meno rispetto al seme ibrido, ma ha un costo molto limitato. Il seme ottenuto incrociando varietà e cloni tetraploidi in genere dà origine a progenie eterogenee, anche se molto dipende dal materiale genetico utilizzato, e sarà più o meno costoso a seconda del tipo di impollinazione (manuale ovvero mediante insetti pronubi, o impollinatori). Più ampie prospettive apre il nuovo schema di incrocio basato sull’ibridazione tra cultivar tetraploidi e cloni diploidi, i quali hanno il vantaggio di trasmettere alla progenie un’elevata eterozigosità (utile ai fini del vigore ibrido), oltre che un’adeguata omogeneità. Per la produzione di seme ibrido sono stati valutati diversi schemi di incrocio; tra questi il migliore è quello che prevede come genitore femminile una cultivar tetraploide e come genitore maschile un ibrido aploide interspecifico, derivante dall’incrocio di cloni aploidi e specie selvatiche che formano gameti 2n. I cloni diploidi che provengono da materiale selvatico devono essere migliorati per i requisiti agronomici prima di poter essere impiegati. Con questo schema di incrocio è stato possibile ottenere seme ibrido a un costo modesto, e la progenie è costituita da genotipi con buon vigore, buona uniformità e alta produttività. Questo se-

Vantaggi e limiti dell’uso del TPS in luogo del tubero-seme

• Vantaggi:

– miglioramento fitosanitario – facilità di trasporto e di conservazione – riduzione dei costi di produzione – migliore conservabilità – possibilità di costituire nuove varietà in tempi più brevi

• Limiti:

– ridotta produttività delle relative progenie – disformità dei tuberi prodotti per colore, forma e pezzatura

Schema di incrocio tra cultivar tetraploidi ed ibrido aploide interspecifico (adattata da Frusciante, 1986) Cultivar tetraploide (2n = 4x = 48) – assenza di parentela con aploide – numero elevato di fiori – maschiosterile – alta fertilità femminile – buone caratteristiche dei tuberi

x

Ibrido aploide interspecifico (2n = 2x = 24) – numero elevato di fiori – alta percentuale di polline 2n – buone caratteristiche dei tuberi

Ibrido tetraploide (2n = 4x = 48) – vigore – buona uniformità – alta produttività

483


coltivazione me ibrido garantisce, dunque, stabilità di produzione e uniformità simili a quelle che si ottengono utilizzando i tuberi-seme. Tecnologie di produzione del seme botanico La produzione di seme botanico necessita di piante-madri che producano molti fiori. Alcune varietà fioriscono bene in condizioni di giorni lunghi (12-13 ore) nella fascia tropicale; altre, invece, non producono bacche (e quindi semi) in conseguenza della mancata e/o bassissima differenziazione fiorale prima e dell’assente allegagione poi. Per indurre le piante di patata a sviluppare più fiori sono stati sperimentati vari artifici. Tra quelli più comunemente usati si ricordano l’innesto su pomodoro, il taglio delle infiorescenze seguito da immersione dello stelo in acqua, e l’aspersione delle piante con una soluzione di acido gibberellico (AG3). Questi metodi sono stati utilizzati soprattutto dai genetisti al fine di produrre un numero di fiori sufficiente per effettuare gli incroci. Allorché le piante dei genotipi considerati non fioriscono o fanno pochi fiori si ricorre all’illuminazione supplementare durante le ore notturne. Inizialmente il trattamento di illuminazione supplementare, interrompendo la notte con lampade incandescenti a 18 watt per 3 ore consecutive, veniva effettuato per l’intera durata del ciclo o almeno per 60-70 giorni, mentre di recente si è accertato che è possibile ridurlo, senza conseguenze negative sulla produzione di fiori e sulla durata della fioritura, a 2 settimane nel periodo compreso tra il 16o e il 30o giorno dall’emergenza. Le tecniche di impollinazione e di estrazione del seme sono state largamente copiate e adattate dalle pratiche in uso per il pomodoro. Nella patata si è osservato che semi più grandi migliorano significativamente la germinazione e la crescita dei semenzali, e che le dimensioni del seme si possono modificare attraverso la densità delle piante, la potatura degli steli laterali, il numero di infiorescenze per pianta e il numero di fiori impollinati per infiorescenza. L’allegagione e le dimensioni delle bacche e dei semi dipendono anche dalla varietà portaseme e dal numero di impollinazioni dei fiori, mentre non mostrano variazioni apprezzabili per effetto delle varietà utilizzate come impollinatori.

Le piante che ricevono l’illuminazione supplementare (a destra) sono più alte e producono più bacche

Dormienza dei semi

• La dormienza è lo stato fisiologico

in cui si trova un seme o un embrione che, pur in condizioni ottimali per la germinazione, è incapace di germinare

• Si individuano due tipi di dormienza:

– endogena: l’embrione, anche se privato dei tegumenti e dell’endosperma, non germina; la causa della dormienza risiede quindi nell’embrione, che può essere incompleto o è associata a meccanismi fisiologici di inibizione – esogena: il seme, se privato dei tegumenti e dell’endosperma, germina; la causa della dormienza risiede nel tegumento, che può essere rigido o impermeabile

Germinazione del seme La temperatura ottimale per la germinazione del seme botanico di patata è compresa tra 15 e 20 °C; quella massima cardinale si colloca intorno a 35 °C, mentre quella minima intorno a 10 °C. Il TPS ha una longevità di 8-10 anni, ma a partire dalla raccolta delle bacche rimane dormiente per un periodo di tempo che varia da 6 a 12 mesi. La dormienza del seme determina basse percentuali di germinazione, che peraltro è scarsamente uniforme, e

• La dormienza dei semi di patata è di tipo endogeno

484


seme botanico ridotto vigore dei semenzali. Essa è di intensità e durata variabili in rapporto al genotipo, alle condizioni termo­igrometriche presenti durante la maturazione delle bacche, alla tecnica colturale (con particolare riferimento alla concimazione azotata) e allo stadio di maturazione del seme al momento della raccolta. Questo significa che il seme non può essere utilizzato per un certo periodo di tempo fino a quando non si “sveglia”. Se si conserva il seme con bassa umidità (3,5-4%) a temperatura relativamente elevata (30 °C) si può ottenere una germinazione uniforme dopo circa 6 mesi; in ogni caso la conservazione successiva a 18 °C mantiene il vigore del seme per un lungo periodo. Se è necessario utilizzare il seme prima che esso si sia “svegliato” naturalmente, se ne può interrompere la dormienza con un trattamento con acido gibberellico, che determina percentuali di germinazione accettabili, ma può dare luogo a piantine eziolate, clorotiche e non vigorose. Recentemente è stato dimostrato che il priming – trattamento al seme con soluzioni acquose di sali di potassio (KNO3 + K3P04 a –1,0 MPa e per 5 giorni) – rispetto al trattamento con AG3 determina velocità e uniformità di emergenza più elevate, e di conseguenza anche un maggiore peso secco delle plantule. Esso dimostra un’efficacia migliore sugli ibridi caratterizzati da maggiore dormienza del seme e negli ambienti in cui le condizioni ambientali siano meno idonee alla germinazione. Tecniche colturali adatte al seme botanico L’impianto della coltura a partire da seme botanico può essere realizzato attraverso diverse tecniche. a) L a semina diretta in campo, sebbene rappresenti una tecnica molto interessante perché consentirebbe la completa meccanizzazione delle operazioni colturali, finora non ha dato risultati soddisfacenti, soprattutto a causa della difficoltà di germinazione dei semi e dello scarso potere competitivo esercitato dalle giovani piantine nei confronti delle infestanti, in parte dovuto ai lunghi tempi di insediamento e ai ridotti ritmi di accrescimento delle plantule. b) I l trapianto in campo delle piantine ottenute in vivaio si è dimostrato più conveniente e può essere utilizzato con efficacia soprattutto in quelle aree dove questa pratica viene già utilizzata per altre colture, come per esempio il pomodoro, il peperone e la melanzana. Si semina il TPS in vivaio, dopodiché le piantine si trapiantano in pieno campo così da ottimizzare le condizioni di germinazione e di crescita per i semenzali. Tuttavia, le piantine di patata da TPS mostrano una maggiore sensibilità al trapianto rispetto ad altre colture, e subiscono spesso lo shock da trapianto. Una buona preparazione del suolo, l’irrigazione secondo le necessità del terreno e il controllo delle infestanti hanno un’im-

Il trattamento al seme migliora l’emergenza e lo sviluppo delle piantine

485


coltivazione portanza cruciale subito dopo il trapianto poiché gli stress che la piantina può subire, in particolare quello idrico, determinano una precoce differenziazione dei tuberi, una maturazione anticipata e, conseguentemente, basse rese. Si possono ottenere piantine più sviluppate, e più robuste da trapiantare in campo, effettuando la semina in contenitori alveolati e ponendo questi nei mesi invernali sotto un apprestamento di protezione tipo tunnel. È stata anche valutata la possibilità di trapiantare le piantine ad alta densità in vivaio per ottenere piccoli tuberi-seme (da 2 a 5 cm di diametro). c) La tecnica dei seedling tubers è la più promettente e ha maggiori probabilità di successo nell’immediato, poiché consente di combinare i vantaggi derivanti dall’uso del seme botanico con quelli presenti nell’uso del tubero-seme. Essa consiste nel seminare il seme in vivaio a elevate densità, in modo da ottenere piccoli tuberi-seme (diametro <3 cm) detti seedling tubers. In condizioni favorevoli questa tecnica consente un alto rapporto di moltiplicazione: meno di 1 g di seme è sufficiente per ottenere 10 kg di tuberini, i quali sono a loro volta sufficienti per l’impianto di 100 m2 di coltura. La semina del TPS in vivaio può essere effettuata fuori stagione e/o in serra per evitare l’attacco di afidi e assicurare che i seedling tubers siano esenti da virus; quindi, i seedling tubers possono essere conservati e utilizzati sia per la produzione di tuberi-seme, sia per la produzione commerciabile. Le piccole dimensioni dei seedling tubers danno un alto rapporto germogli/tubero, il che li rende molto economici per l’uso e la conservazione come tuberi-seme.

L’adozione del tunnel può migliorare l’emergenza del seme

Rappresentazione schematica dei possibili sistemi di utilizzazione del TPS Tuberi commerciabili Tuberi commerciabili Semenzaio

“Seedling tubers”

Semi

na Pieno campo

nto

TPS

Pieno campo

Piantine da seme pronte per il trapianto

486

a Trapi Piantine

Semina diretta

Tuberi-seme x moltiplicazione

Tuberi commerciabili


seme botanico Utilizzazione e diffusione del seme botanico Foto R. Angelini

Nel mondo Il seme botanico di patata è diffuso nei Paesi in via di sviluppo, che hanno forte necessità di disporre di fonti alimentari e incontrano difficoltà per la produzione, il reperimento e la conservazione dei tuberi-seme. Il TPS è utilizzato per la produzione di patate da consumo principalmente in Cina, dove è presente fin dal 1967, oltre che in Viet­ nam e in India; è inoltre abbastanza diffuso in Bangladesh, Indonesia, Nepal, Perú, Nicaragua e Venezuela. A livello sperimentale negli ultimi anni sono state condotte diverse prove per valutare la possibilità di utilizzare il seme botanico in altri Paesi del mondo. In Italia Oltre che nei Paesi in via di sviluppo, la tecnica del TPS può essere ritenuta interessante anche in molti Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, tra cui l’Italia. Qui, infatti, si realizzano tre diversi cicli colturali: quello ordinario primaverile-estivo per la produzione di patata comune, e due cicli extrastagionali, il vernino-primaverile per la produzione di patata primaticcia, o novella, e l’estivo-autunnale per la produzione di patata bisestile. Per l’impianto di tali colture si utilizzano tuberi-seme importati dall’estero, principalmente dal Nord Europa, che rappresentano una voce di spesa cospicua; inoltre, essendo questi raccolti in agosto, risultano spesso fisiologicamente troppo giovani per il ciclo verninoprimaverile e troppo vecchi per quello estivo-autunnale. In questo contesto la tecnologia del TPS potrebbe rappresentare una valida alternativa per produrre tuberi-seme da destinare alle semine oppure direttamente patate commerciabili sia per la coltura ordinaria sia per quella extrastagionale.

Foto R. Angelini

Principali caratteristiche del TPS Peso di 100 semi [mg]

75

Numero di semi per bacca [N/bacca]

200

Produzione di fiori [N/pianta]

50-100

Produzione TPS [kg/ha]

200

Peso TPS [mg] per m di semenzaio (50-100 piante/m )

50-75

Peso TPS [mg] per ha (20 piante/m2)

150-200

Peso seedling tubers [kg/ha] (14 piante/m2, 5-10 g di tuberi)

700

Peso tuberi-seme [kg/ha] (14 piante/m2, 40-60 g di tuberi)

2000

2

2

Tratta da Almekinders et al., 2009.

487


coltivazione Ricerche in Italia In Italia la sperimentazione è iniziata nel 1989 presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli, con lo scopo di sviluppare un metodo per produrre in vivaio seedling tubers da destinare l’anno successivo al campo per la produzione di tuberi commerciabili. Inizialmente sono state valutate in vivaio numerose famiglie da seme botanico (TPS) provenienti da incroci 4X × 2X, 4X × 4X e OP (libera impollinazione), dalle quali sono stati ottenuti in media 10 kg/m2 di seedling tubers. I migliori risultati sono stati raggiunti utilizzando le famiglie provenienti da incroci 4X × 2X e applicando in semenzaio una densità di impianto che varia da 70 a 100 piante/m2 in accordo alla percentuale di sopravvivenza delle piante stesse. I seedling tubers così prodotti e distinti in classi dimensionali (<20 mm, 20-30 mm e 30-40 mm) sono stati usati in pieno campo nell’anno successivo per produrre patata da consumo. Utilizzando i seedling tubers di classi dimensionali 30-40 mm, in media sono state ottenute rese in tuberi pari a 25 t/ha, ma che hanno superato le 40 t/ha in alcune famiglie 4X × 2X. I tuberi della classe dimensionale <20 mm danno luogo a rese molto basse, ma possono essere utilizzati per un ulteriore ciclo di moltiplicazione. In Sicilia è stata valutata la possibilità di produrre tuberi-seme a partire da piantine da seme botanico (TPS) direttamente in pieno campo, nel periodo estivo, nelle aree collinari e montane dei Nebrodi, dove le condizioni climatiche sono sfavorevoli allo sviluppo degli afidi, da utilizzare per le colture precoci lungo la fascia costiera. Trapiantando in campo a fine primavera-inizio estate piantine da TPS alla densità di 70 piante/m2 si è ottenuta una produzione me-

Piante da seme botanico in fioritura

Paesi in cui il TPS è diffuso

Particolare di parcella ospitante piante da seme botanico

Livello sperimentale

488

Produzione commerciale


seme botanico dia pari a 340 seedling tubers per m2, di cui 172 per la classe dimensionale <20 mm, 118 per la classe 20-40 mm, e 50 per la classe >40 mm. I seedling tubers di diametro pari o superiore a 20 mm sono stati conservati a temperatura ambiente e luce diffusa per favorirne la maturazione fisiologica, e quindi sono stati utilizzati in ciclo vernino-primaverile lungo la fascia costiera della Sicilia sud-orientale per la produzione di patata primaticcia. Nella coltura primaticcia il comportamento delle varietà da seme botanico non si è discostato in misura sostanziale da quello delle varietà a propagazione vegetativa normalmente utilizzate nell’area, né per quanto riguarda l’emergenza né per la produzione areica di tuberi. Questa in media è stata pari a 35 t/ha nelle varietà da seme e 40 t/ha in quelle a propagazione vegetativa. Le varietà da seme hanno prodotto tuberi di peso unitario più ridotto, ma ne hanno differenziato in maggior numero. I tuberi delle varietà da seme, inoltre, sono apparsi abbastanza uniformi e con caratteristiche esteriori accettabili. La tecnica dei seedling tubers a partire da TPS può consentire agli agricoltori di pianificarne la produzione in relazione all’epoca di semina per ottenere tuberi-seme fisiologicamente maturi da utilizzare nei vari cicli colturali. Ciò può risultare particolarmente importante nel ciclo estivo-autunnale, per il quale, non essendovi la disponibilità di tuberi-seme certificati, vengono di norma utilizzati i tuberi di scarto della coltura primaticcia, con le evidenti ripercussioni negative sulla risposta produttiva della coltura.

Produzione per pianta ottenuta da 2 ibridi da seme botanico, e da Sieglinde a propagazione vegetativa Le piante da seedling-tubers provenienti da TPS manifestano un ottimo adattamento alle semine precoci in Sicilia

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Produzione di tuberi-seme Italo Giordano, Alfonso Pentangelo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Produzione di tuberi-seme Foto R. Angelini

Introduzione L’impianto delle coltivazioni di patata, qualunque sia il ciclo colturale, viene effettuato quasi sempre utilizzando i tuberi (i cosiddetti tuberi-seme) o porzioni di essi, in quanto la moltiplicazione di questa solanacea avviene principalmente per via vegetativa. Ogni varietà di patata rappresenta, quindi, una popolazione geneticamente omogenea, costituita da individui tutti provenienti agamicamente da uno stesso tubero e, pertanto, essa è dotata di elevata stabilità dei caratteri, sia della pianta, sia soprattutto dei tuberi (forma, dimensioni, colore della buccia e della pasta, contenuto di sostanza secca ecc.). La via di moltiplicazione agamica, utilizzata per produrre i tuberiseme, può comportare, però, gravi problematiche di natura fitosanitaria, con particolare riguardo alle virosi, che rappresentano le malattie più diffuse e potenzialmente le più dannose per la patata, in quanto facilmente trasmissibili dalla pianta ai tuberi. Tuberi-seme ottenuti da piante malate danno origine, nella maggior parte dei casi, a piante malate, con ripercussioni assai negative sulla produttività (che in alcuni casi può risultare decurtata di oltre il 50%). La produzione di tuberi-seme di patata richiede la coesistenza di determinate condizioni, climatiche in primis, che non sono riscontrabili in tutti gli ambienti e in tutti i periodi dell’anno, oltre a esigere l’applicazione di specifiche tecniche colturali e di conservazione, finalizzate soprattutto a garantire un elevato livello sanitario del prodotto. Germogli di patate

Foto N. Calabrese

490


produzione di tuberi-seme In Italia e in altri Paesi caratterizzati da un clima favorevole allo sviluppo di insetti vettori di virus (innanzitutto alcune specie di afidi), non sempre si riesce a produrre tuberi-seme sufficientemente sani. Per tale ragione, per poter procedere all’impianto delle coltivazioni di patata da consumo, in Italia ogni anno vengono importati grossi quantitativi di tuberi-seme da Paesi geograficamente collocati a latitudini maggiori (Nord Europa), con conseguente aggravio dei costi di produzione e della bilancia commerciale nazionale. Come per la maggior parte delle sementi, anche la produzione e la commercializzazione dei tuberi-seme di patata sono regolamentate da norme, nazionali e comunitarie, che ne disciplinano non solo gli aspetti sanitari, ma anche quelli riguardanti la purezza varietale, la denominazione della varietà, i requisiti qualitativi minimi per la commercializzazione ecc. L’Unione Europea ha fissato una serie di misure applicative riguardanti la certificazione dei tuberi-seme e la loro commercializzazione tra i Paesi membri. Le direttive più importanti sono la 1993/17/CE del 30 marzo 1993 (che stabilisce specifiche classi comunitarie di tuberi-seme di base delle patate, nonché requisiti e denominazioni relativi) e la 2002/56/CE del 13 giugno 2002, che riguarda la commercializzazione dei tuberi-seme. Per la moltiplicazione dei tuberi-seme di patata sono previsti, inoltre, rigidi protocolli produttivi, nonché specifiche azioni di verifica e di controllo del prodotto ottenuto, da espletare prima di poterlo dichiarare idoneo all’utilizzo come “seme”. Queste operazioni sono svolte da agenzie nazionali che certificano l’idoneità dei tuberiseme con riguardo alla purezza varietale, allo stato fitosanitario e al possesso degli altri requisiti minimi imposti dalla UE. In Italia l’ENSE (Ente Nazionale Sementi Elette) è l’istituzione pubblica preposta alla certificazione ufficiale dei prodotti sementieri e, di conseguenza, anche dei tuberi-seme di patata.

Foto P. Bacchiocchi

Foto P. Bacchiocchi

Provenienza dei tuberi-seme La maggior parte della produzione di patata da seme in Europa si concentra in Olanda, dove nell’ultimo decennio la superficie investita è risultata, seppure con qualche lieve variazione, molto stabile (compresa tra i 33.000 ha del 2007 e i circa 39.000 ha registrati alla fine degli anni Novanta), con una produzione oscillante tra circa 900.000 t, ottenute nel 2005 e nel 2006, e il picco massimo, di poco superiore a 1.000.000 t, del 1999 (dati dell’European Seed Certification Agencies Association). I Paesi Bassi, oltre a essere caratterizzati da condizioni pedoclimatiche particolarmente favorevoli alla moltiplicazione in sanità dei tuberi-seme, vantano una notevole professionalità degli operatori del settore e un alto livello di ricerca e sperimentazione, che hanno consentito la costituzione di un numero assai elevato di varietà, in continuo aggiornamento (nel 2007 erano presenti nel catalogo olandese ben 116 varietà di patata). La certificazione dei tuberi-seme viene

Foto P. Bacchiocchi

491


coltivazione effettuata dal NAK (Nederlandse Algemene Keuringsdienst), una delle più importanti agenzie di certificazione delle sementi in Europa, operante sin dal 1932. Tra gli altri Paesi europei, la Germania e la Francia destinano circa 15.000 ha alla coltivazione della patata da seme, con produzioni annue oscillanti intorno a 450.000 t. La certificazione dei tuberi-seme è garantita dal Bundessortenamt, per la Germania, e dal SOC (Service Officiel de Contrôle et de Certification) per la Francia. In Italia, nel 2008 la produzione di tuberi-seme di patata è stata di circa 2100 t, con una superficie investita di circa 250 ha (dati ISTAT), limitata ad alcuni areali montani della Calabria (Altopiano della Sila), dell’Emilia-Romagna (Appennino bolognese e modenese), del Trentino-Alto Adige (Val Pusteria, Giudicarie, Valle di Gresta, Altopiano della Vigolana, Valle di Cavedine e alta Valle di Non) e del Veneto (Altopiano dei Sette Comuni). Nell’annata 20062007 le varietà più utilizzate, in ordine decrescente di quantitativi di tuberi-seme moltiplicati, sono state: Spunta (circa il 40% del totale), Kennebec, Agria, Désirée, Allerfruheste Gelbe, Liseta, Majestic, Draga, Hermes e Primura.

Foto V. Bellettato

Foto V. Bellettato

Fabbisogno di tuberi-seme in Italia La determinazione dell’esatto quantitativo di tuberi-seme necessari per le coltivazioni italiane di patata da consumo non è facile, in quanto sono interessati numerosi areali e cicli colturali differenti, che contemplano l’adozione di tecniche agronomiche a volte anche molto diverse riguardo alla densità di investimento, al calibro dei tuberi-seme e all’utilizzo o meno della pratica del taglio dei tuberi; a tal proposito si tenga presente che da uno stesso tubero-seme possono essere ottenuti da 2 a 4 e, a volte, anche più porzioni (a seconda del numero di gemme e della dimensione del tubero) utilizzabili per l’impianto della coltura. In alcuni areali meridionali (Sicilia e Campania principalmente), per il piantamento in ciclo estivo-autunnale (per la produzione della cosiddetta patata bisestile), a causa della scarsissima disponibilità di tuberi-seme certificati e fisiologicamente pronti, sono ancora oggi ampiamente utilizzati tuberi interi, di pezzatura ridotta, provenienti dal prodotto di scarto del ciclo precoce, realizzato in genere dallo stesso agricoltore. Questi tuberi, noti con la denominazione di “uso seme”, sono normalmente caratterizzati da basso livello sanitario e inadeguato stato fisiologico (sono molto “giovani” e, nella maggior parte dei casi, ancora in fase di dormienza). Il loro impiego può produrre effetti negativi sulle rese e sulla qualità del prodotto, favorendo la diffusione di gravi infezioni fitopatologiche. Uno studio, condotto dall’Associazione Italiana Sementieri (AIS) sulla base di recenti dati ISTAT, rileva che l’importazione di tuberiseme certificati in Italia è variata da un minimo di 82.900 t del 2005 (per un esborso di circa 22 milioni di euro) a un massimo di

Foto R. Angelini

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produzione di tuberi-seme 87.500 t del 2007, attestandosi su valori medi di circa 85.000 t, pari a un valore monetario di poco meno di 35 milioni di euro. La maggior parte di questo prodotto è importata in confezioni definitive (sacchi da 25 kg principalmente), già provviste di cartellino attestante l’avvenuta certificazione nel Paese d’origine, mentre una piccola parte è importata in sacconi (big bags della capacità di circa 1 t) e riconfezionata sul territorio nazionale sotto il controllo dell’ENSE, che provvede a rilasciare i prescritti cartellini di certificazione. Considerando che in Italia la superficie totale investita a patata negli ultimi anni (in ciclo comune ed extrastagionale, soprattutto primaticcia) si è attestata su 70.000 ha all’anno, e ipotizzando l’impiego di circa 20 q di tuberi-seme per ha, si può stimare un’esigenza di tuberi-seme molto prossima alle 150.000 t annue. Tenendo presente che le importazioni dall’estero, sommate alla produzione nazionale certificata, non superano le 90.000 t, risulta evidente che, a tutt’oggi, in Italia vengono ancora impiegate, per l’impianto delle coltivazioni di patata, circa 60.000 t di tuberi non certificati.

Virus pericolosi per la patata da seme

• I virus sono agenti infettivi privi di

struttura cellulare, che si riproducono solo entro la cellula vivente. Quelli più importanti e più pericolosi per la patata da seme sono il PVY (virus del mosaico nervale), il PVX (virus del mosaico leggero) e il PLRV (virus dell’accartocciamento)

• I sintomi più evidenti della loro infezione sono a carico dell’apparato epigeico e si manifestano con accartocciamenti fogliari, arrossamento dei bordi e clorosi delle foglie apicali, mosaici internervali, maculatura e rugosità dei lembi, necrosi delle nervature (che a volte arrivano al picciolo e allo stelo)

Requisiti dei tuberi-seme certificati I principali requisiti che caratterizzano la qualità dei tuberi-seme certificati riguardano il loro livello di sanità e le dimensioni (peso e calibro). In Italia tutti gli aspetti concernenti la produzione e la commercializzazione dei tuberi-seme di patata sono disciplinati dal DPR n. 1065 del 1973 (regolamento di esecuzione della legge n. 1096 del 25 novembre 1971) e successive modificazioni, che comunque tengono conto delle direttive comunitarie sopra citate. Sulla base di tali normative, i tuberi-seme di patata sono distinti in due categorie: “base” e “certificata”. La prima è suddivisa, a sua volta, in tre classi: S (super), SE (super-élite) ed E (élite); la “certificata” comprende due classi: A e B. Le diverse categorie e classi sono caratterizzate da alcuni aspetti commerciali comuni riguardanti il confezionamento, l’identità e la purezza varietale, ma da differenti livelli di sanità. Riguardo alle impurità, è ammessa una presenza di terra e di corpi estranei non superiore al 2% del peso, mentre la quantità di tuberi con difetti esterni (difformi, con ammaccature, spaccati ecc.) non deve superare il 3% del peso. Quanto agli aspetti fitosanitari, la normativa vigente stabilisce limiti, ben definiti e specifici per ogni classe, alla presenza delle più importanti avversità fitosanitarie, con particolare riferimento alle virosi gravi e alle batteriosi. I tuberi-seme prodotti devono inoltre provenire da campi non contaminati da nematodi (Globodera rostochiensis e Ditylenchus destructor), da Synchytrium endobioticum, agente della rogna nera, e da batteri (Ralstonia solanacearum, agente del marciume bruno, e Corynebacterium sepedonicum, agente del marciume anulare). Sono tollerati un massimo dell’1% (in peso) di tuberi attaccati da marciumi secchi e umidi,

• Una volta infettata la pianta, i virus

traslocano in tutti i suoi organi, compresi i tuberi; questi, se “seminati”, daranno origine, nella maggior parte dei casi, a piante malate

Pianta di patata con evidenti sintomi di infezione virale. Nelle coltivazioni di patate da seme, piante con sintomi anche leggeri devono essere subito eliminate

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coltivazione purché non causati da S. endobioticum, C. sepedonicum o R. solanacearum, e un massimo del 5% (in peso) di tuberi attaccati, per non più di 1/3 della loro superficie, da scabbia comune (da Streptomyces scabies). Circa le dimensioni, la normativa prevede innanzitutto che i tuberiseme di patata non possano essere commercializzati se hanno un calibro <25 mm. Per quelli di calibro >35 mm, i limiti inferiore e superiore del range di una partita sono espressi in multipli di 5, e la differenza di dimensioni tra i due calibri estremi non deve superare 25 mm. A ogni modo, non è consentita la presenza di una quantità maggiore del 3%, in peso, di tuberi con calibro inferiore o superiore agli estremi dichiarati. La prova dell’avvenuto controllo dei requisiti di legge dei tuberi prodotti è rappresentata dal cartellino di certificazione – rilasciato dall’ente preposto, a conclusione dell’espletamento di tutte le indagini previste dalla normativa vigente – che accompagna ogni partita idonea per l’utilizzazione come seme. I tuberi-seme con calibro <25 mm vengono utilizzati, da parte del possessore della varietà, per la moltiplicazione di materiale “prebase” (virus esente) e per ottenere prodotto da seme delle classi S e SE della categoria “base”. I tuberi-seme certificati destinati agli impianti delle coltivazioni da consumo appartengono prevalentemente a classi di calibro comprese tra 30 e 60 mm di diametro: quelli di calibro fino a 35 mm sono utilizzati interi; quelli di calibro compreso tra 35 e 45 mm (peso unitario di circa 50 g) possono essere utilizzati anche interi, ma spesso, per motivi economici, vengono tagliati in due parti; quelli di calibro superiore, infine, sono destinati quasi esclusivamente a quegli areali (soprattutto del Sud) dove, per l’impianto delle colture, è molto diffuso il frazionamento dei tuberi-seme (in tre o più parti).

Cartellino di certificazione

• Rappresenta il documento ufficiale che

attesta l’idoneità di una partita di tuberi a essere commercializzata per l’utilizzo come “seme”

• La normativa prevede due tipi di

cartellini: uno di colore bianco per le partite di tuberi-seme della categoria “base” e uno di colore azzurro per i tuberi-seme della categoria “certificato”

• Su ogni cartellino sono riportati, oltre

alla sigla della classe di certificazione, anche le seguenti informazioni: numero identificativo del produttore, varietà, data di certificazione, Paese di origine, classe di calibro (in mm), anno di produzione, numero del certificato, peso, passaporto fitosanitario e requisiti di conformità alle normative UE

Percentuali massime di piante infette da virosi e da batteriosi previste dalla normativa vigente per la certificazione dei tuberi-seme Categoria e classi Infezioni

Cartellini di certificazione del NAK (bianco per la classe “E” e azzurro per la classe “A”)

494

Base

Certificato

S

SE

E

A

B

All’atto dell’ispezione ufficiale in campo, la percentuale di piante affette da gamba nera (da Erwinia carotovora) non deve essere superiore a:

0

0,5

1,0

1,5

2,0

Nella discendenza diretta, la percentuale di piante con sintomi di virosi non deve essere superiore a:

1,0

2,0

3,0

7,0

10,0


produzione di tuberi-seme Fisiologia del tubero-seme Il tubero è un organo vitale: dopo la raccolta esso continua a svolgere normalmente alcune funzioni fisiologiche (respirazione, traspirazione, germogliamento ecc.), entrando in uno stato di riposo detto di dormienza (stadio fisiologico durante il quale non si verifica emissione di germogli neppure quando il tubero è posto in condizioni ambientali ottimali). Questa fase dura mediamente dalle 12 alle 21 settimane, a seconda della varietà (in genere le cultivar precoci sono caratterizzate da dormienza più breve) e in dipendenza del ciclo colturale, della tecnica agronomica utilizzata e delle condizioni di conservazione (riguardo soprattutto a temperatura e umidità). Al termine della dormienza inizia la fase cosiddetta di risveglio e il tubero entra nello stadio di dominanza apicale – caratterizzato dallo sviluppo, nella parte apicale (corona), di un solo germoglio – a cui segue, in condizioni ottimali di temperatura (15-20 °C) e umidità, lo sviluppo delle altre gemme. Infine, subentra la fase di senilità, in cui i germogli, eccessivamente allungati, portano alla formazione di tuberini figli, e il tubero si esaurisce. Per la buona riuscita di una coltivazione di patata è necessario utilizzare tuberi-seme non solo dotati di un’elevata qualità fitosanitaria, ma tali che, al momento del piantamento, siano anche caratterizzati da un’idonea età fisiologica; più precisamente, essi devono avere già superato la fase di dormienza e trovarsi agli inizi della fase di risveglio. Tuberi-seme fisiologicamente pronti danno luogo a un numero maggiore di steli, che emergono più rapidamente e mostrano uno sviluppo iniziale più veloce. L’età fisiologica dei tuberi è in funzione dell’età cronologica (età accumulata dall’inizio del loro differenziamento sulla pianta-madre, espressa in giorni o mesi), ma varia anche a seconda della cultivar, dell’ambiente di produzione e delle condizioni di temperatura, umidità e luce durante la conservazione. Al momento della semina, quindi, è di fondamentale importanza la storia pregressa dei tuberi-seme che si stanno utilizzando: in base al tempo intercorso tra l’epoca di raccolta e quella del loro impiego, si possono verificare diversi casi, riconducibili a quelli descritti qui di seguito. a) Periodo di 2-3 mesi. A 60-90 giorni dalla raccolta, i tuberi della maggior parte delle varietà non sono ancora in uno stato fisiologico ottimale per il piantamento, non avendo superato pienamente la fase di dormienza. In questi casi è possibile, però, anticipare la fase di risveglio, favorendo l’accumulo di età fisiologica attraverso la conservazione dei tuberi-seme a temperature e umidità più elevate, in presenza di luce. Il germogliamento può essere accelerato anche ricorrendo al frazionamento dei tuberi-seme qualche giorno prima del piantamento, o utilizzando sostanze chimiche risveglianti. A tale proposito, a livello sperimentale è stato evidenziato che immergendo i tuberi-seme, subito dopo la raccolta, per

Tuberi-seme in fase di inizio risveglio

Tuberi-seme di diverse varietà in differenti stadi di germogliamento

Tuberi-seme germogliati con evidente manifestazione di “dominanza apicale”

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coltivazione circa 15 minuti in una soluzione di acido gibberellico (GA3) – da solo, alla dose di 20 ppm, oppure in miscela con altre sostanze, quali la tiourea – si riduce significativamente il periodo di dormienza; anche l’utilizzo di GA3, alla dose di 20 mg/l, direttamente sulle piante in campo durante la coltivazione (in corrispondenza della massima copertura fogliare), determina un apprezzabile anticipo del risveglio dei tuberi-seme. b) Periodo di 3-4 mesi. A 90-120 giorni dalla raccolta, normalmente i tuberi-seme hanno superato la fase di dormienza e sono nella condizione ottimale per essere piantati: è quello che di solito avviene con i tuberi-seme di provenienza olandese o per quelli prodotti in Italia nelle aree di montagna, raccolti tra settembre e ottobre e utilizzati, tra dicembre e febbraio, per le semine dei cicli vernino-primaverili. Per questi tuberi non sono necessarie particolari forzature in fase di conservazione. c) Periodo di 5-7 mesi. A 150-200 giorni dalla raccolta, i tuberi-seme hanno superato completamente la fase di dormienza e sono in piena germogliazione, con qualche differenza a seconda della varietà. È questo il caso dei tuberi-seme di provenienza estera (soprattutto olandesi), quando utilizzati nelle coltivazioni tardive di pianura o in quelle di montagna seminate intorno a maggio. Per evitare che questi tuberi-seme arrivino all’impianto troppo vecchi, e quindi con scarsa energia germinativa, vanno impiegate basse temperature (3-4 °C) durante la loro conservazione. d) Periodo di 8-10 mesi. È il caso dell’utilizzo di tuberi-seme certificati per l’impianto delle coltivazioni extrastagionali in ciclo estivo-autunnale nelle aree insulari e meridionali. Sottoposti a periodi di conservazione così lunghi, anche in condizioni di frigoconservazione ideali, questi tuberi si presentano, al momento del piantamento, con germogli molto lunghi e pressoché svuotati, esausti e con bassa energia germinativa.

Ricerca sulla patata da seme in Italia

• Il primo programma di ricerca coordinata sulla patata da seme in Italia è stato il progetto finalizzato Incremento della produzione di patata da seme e dell’impiego di semente certificata del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, durato circa un decennio a partire dal 1985

• Coordinato dall’Istituto sperimentale per le colture industriali di Bologna, ha visto il coinvolgimento di diverse istituzioni di ricerca italiane (università, istituti di ricerca e sperimentazione agraria, servizi di sviluppo agricolo delle regioni interessate)

• L’attività di ricerca sull’argomento

è poi proseguita, a partire dalla fine degli anni Novanta, nell’ambito del progetto finalizzato Miglioramento genetico della patata, coordinato dalla Cattedra di genetica agraria dell’Università Federico II di Portici, Napoli Foto R. Angelini

Norme per la moltiplicazione di tuberi-seme La moltiplicazione dei tuberi-seme richiede l’adozione di una specifica tecnica colturale finalizzata a ottenere un prodotto il più possibile sano, ma che sia anche in grado di garantire rese quantitativamente soddisfacenti per l’agricoltore. Nel caso di prodotto destinato alla certificazione vanno, inoltre, osservate tutte le prescrizioni previste dalla già citata normativa che disciplina il settore sementiero. In Italia viene prodotto quasi esclusivamente seme della categoria “certificata”, partendo da tuberi-seme “base”. Quanto alla scelta delle varietà da moltiplicare, essa dipende innanzitutto dall’adattabilità delle diverse cultivar alle condizioni pedoclimatiche della zona di produzione, ma anche dalla loro idoneità agli areali di destinazione del prodotto e ai differenti cicli colturali. Il più delle volte, però, intervengono ostacoli legati alla copertura di brevetti delle più importanti varietà commerciali, o ancora allo scarso in496


produzione di tuberi-seme teresse, da parte dei costitutori esteri, a moltiplicare le loro varietà negli ambienti italiani. Quanto alla certificazione sementiera, la prima condizione perché una partita di tuberi-seme sia ammessa al controllo è che essa appartenga a una varietà iscritta nel registro varietale ufficiale, in Italia o in un altro Paese dell’Unione Europea. La certificazione nella categoria “certificata” è subordinata, inoltre, all’uso di materiale di partenza appartenente alle categorie “base” o “prebase” e alla sussistenza, durante la coltivazione e la successiva conservazione dei tuberi, delle seguenti condizioni fondamentali. – Numero delle varietà: se la superficie coltivata è inferiore a 1 ha, è ammesso l’impiego di una sola varietà. – Superfici delle coltivazioni: la superficie impegnata per ogni singola coltivazione non può essere inferiore a 1 ha ad altitudini fino a 600 m s.l.m. e a 0,2 ha ad altitudini superiori. – Materiale di propagazione: nello stesso appezzamento devono essere impiegati esclusivamente tuberi-seme della medesima categoria di certificazione. Non possono essere coltivate, in un unico podere, patate da consumo della stessa varietà coltivata per la produzione di tuberi-seme. – Isolamento: la distanza di una coltura da seme da altre colture non controllate e da colture di un’altra varietà, anche se controllata, deve essere di 100 m per la produzione di tuberi-seme di base, e di 10 m per quelli certificati. – Precessione colturale: nello stesso appezzamento, l’intervallo tra due successive colture di patata deve essere di almeno 3 anni. – Condizioni sanitarie dei terreni e delle colture: i terreni che ospitano colture di patata da seme devono essere esenti da nematodi specifici della patata; le colture devono essere esenti da infezioni batteriche. – Epurazione: è una pratica agronomica fondamentale per le colture da seme. Essa consiste nell’allontanamento, e successiva distruzione, delle piante e degli eventuali tuberi non conformi alla varietà indicata (piante “fuori tipo”) e, soprattutto, di quelle che presentano sintomi ascrivibili a virosi (mosaici, accartocciamenti fogliari, necrosi delle nervature ecc.), a malattie batteriche, fra cui in particolare la gamba nera (da Erwinia carotovora), e a malattie di natura fungina. – Decespugliamento: è la distruzione anticipata della parte epigea delle piante. Consente di impedire la trasmissione di eventuali virus da parte degli afidi vettori ed è assolutamente necessaria nei momenti e nelle zone in cui questi insetti sono particolarmente numerosi. Il decespugliamento può essere effettuato meccanicamente o chimicamente (disseccamento) e va eseguito il prima possibile, compatibilmente con il raggiungimento di un soddisfacente livello di maturazione dei tuberiseme. La distruzione e il successivo allontanamento delle parti

Afidi vettori dei virus

• La trasmissione dei virus nella patata si

realizza principalmente per opera degli afidi, i quali, quando si trasferiscono da una pianta malata a una sana per nutrirsi, iniettano in quest’ultima anche particelle virali derivanti dalla pianta malata

• Tra il momento dell’acquisizione

dal vegetale infetto e la successiva inoculazione nella pianta sana, il virus rimane localizzato sulle parti terminali degli stiletti boccali (virus non-persistenti, come per esempio il PVY) oppure entra in circolo nel corpo dell’insetto (virus persistenti, come per esempio il PLRV)

• Gli afidi maggiormente implicati nella

trasmissione dei virus della patata sono il Myzus persicae (afide verde del pesco), il Macrosiphum euphorbiae (afidone verde), l’Aphis fabae (afide nero), l’Aulacorthum solani (afide a macchie verdi) e l’Aphis nasturtii Foto R. Angelini

Afide verde del pesco

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coltivazione epigee delle piante riducono sensibilmente la trasmissione dei virus, in particolare di quelli non persistenti, che può avvenire con le sole punture di assaggio degli afidi, anche di specie che non colonizzano la coltura. Il momento migliore per il decespugliamento varia nelle diverse zone e dipende soprattutto dal livello di presenza degli afidi e dal loro grado di virulificità. Durante il lasso di tempo intercorrente tra il decespugliamento e la raccolta dei tuberi va posta particolare attenzione ai possibili ricacci dei cespi, che vanno accuratamente eliminati (a mano o con ulteriori trattamenti disseccanti), per evitare pericolose trasmissioni tardive di infezioni virali da parte dei vettori, che in questi periodi sono assai numerosi e viruliferi. – Raccolta e conservazione dei tuberi-seme: la raccolta dei tuberi-seme deve essere effettuata qualche giorno dopo il decespugliamento (7-15 giorni, a seconda della natura dei suoli e dell’andamento meteorologico), in modo da permettere ai tuberi-seme di indurire ulteriormente la buccia, limitando così i danni meccanici durante le stesse operazioni di raccolta e quelle successive di cernita e di stoccaggio. Per la conservazione, i tuberi vanno collocati in locali atti a proteggerli dal caldo ed eventualmente dal gelo. – Controlli: per la certificazione dei tuberi-seme, la normativa vigente prevede una serie di controlli e rilievi che l’ente certificatore espleta attraverso frequenti sopralluoghi alle coltivazioni, ispezioni durante le operazioni di raccolta, verifica dell’idoneità dell’azienda agraria e degli stabilimenti di selezione meccanica, pre-controllo dei lotti, esami ufficiali delle condizioni minime di qualità e della pezzatura dei lotti di tuberi-seme (previo campionamento presso gli stabilimenti di selezione meccanica) e controlli a posteriori, con determinazione del livello di sanità dei tuberi prodotti. Una volta verificata la sussistenza dei requisiti prescritti (varietali e fitosanitari ecc.), l’ente certificatore provvede al rilascio dei cartellini ufficiali. Come previsto dalla direttiva comunitaria 2005/17/ CE (che modifica alcune disposizioni della direttiva 1992/105/CE), i cartellini ufficiali includono anche il passaporto fitosanitario delle piante – obbligatorio per la circolazione dei materiali da coltivazione all’interno dell’UE – il quale attesta che il materiale è esente da organismi parassitari da quarantena.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Tuberi-seme per coltivazioni biologiche Negli ultimi anni sono in costante crescita le produzioni di patate ottenute in regime di coltivazione biologica. Gli attuali regolamenti che disciplinano questo settore (Decreto Ministeriale n. 18354 del 27/11/2009 concernente disposizioni per l’attuazione dei regolamenti CE n. 834/2007, n. 889/2008 e n. 1235/2008 e successive modifiche, che hanno sostituito il regolamento CE 2092/91) prescrivono l’utilizzo, per queste particolari colture, di tuberi-seme

Peronospora

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produzione di tuberi-seme prodotti secondo le norme dell’agricoltura biologica. Eccezionalmente, in caso di mancata disponibilità di semente biologica, è consentito l’impiego di tuberi-seme ottenuti con metodi di produzione convenzionali, purché non trattati con prodotti chimici non ammessi in agricoltura biologica. Oggi la produzione di patata da seme biologica è ancora molto limitata, sia in Europa sia in in Italia. La maggior parte della produzione si concentra in Olanda: nel database dei materiali moltiplicati nel 2010 in questo Paese sono presenti, infatti, ben 12 varietà certificate come “biologiche”, commercializzate da tre diverse ditte. In Italia, tra il 2002 e il 2008 le superfici ufficialmente controllate per la produzione di tuberi-seme biologici hanno interessato appena una decina di ettari (concentrati principalmente in EmiliaRomagna), rappresentando poco più del 2% del totale delle superfici nazionali controllate per la produzione di patata da seme. Di contro, le autorizzazioni concesse per l’utilizzazione di tuberiseme convenzionali in agricoltura biologica hanno riguardato, nel 2009, circa 13.000 q (dati ENSE).

DAS-ELISA (Double Antibody Sandwich)

• È una delle più diffuse e semplici varianti del test ELISA per la diagnosi delle infezioni virali

• Richiede l’uso di particolari piastre

di polistirene con 96 pozzetti e prevede le seguenti fasi di esecuzione: 1) nei pozzetti viene immessa una sospensione di anticorpo primario, specifico per il virus da ricercare, che aderisce alle pareti; 2) si aggiunge il succo della pianta che si vuole analizzare; 3) si aggiunge un anticorpo secondario legato con l’enzima fosfatasi (il cosiddetto coniugato); 4) infine, si unisce un substrato, il p-nitrofenilfosfato, che serve per innescare una reazione cromatica. Se nel succo della pianta è presente il virus, esso si lega, come un sandwich (da cui il nome del test), prima all’anticorpo primario e poi all’anticorpo secondario, il cui enzima coniugato reagisce con il substrato producendo il p-nitrofenolo, di colore giallo. Se il pozzetto si colora di giallo, il campione esaminato è infetto dal virus ricercato

Produzione di tuberi-seme di varietà locali Il nostro Paese è particolarmente ricco di varietà tipiche locali, selezionate nel tempo dagli stessi agricoltori, e dotate di caratteristiche di pregio legate, oltreché al genotipo, anche all’ambiente e alle tecniche tradizionali di produzione. Tra le più famose si possono citare le seguenti: Patata del bur, Piatlina, Ratte (Piemonte); Patata di Campodolcino (Lombardia); Patata dorata dei terreni rossi del Guà, Patata del Montello, Patata di Rotzo (Veneto); Cannellina nera, Quarantina bianca (Liguria); Patata di Montese, Patata di Tolè (Emilia-Romagna); Bianca del Melo, Rossa di Cetica (Toscana); Rossa di Colfiorito (Umbria); Turchesa del Gran Sasso (Abruzzo); Patata di Leonessa (Lazio); Lunga di San Biase (Molise); Biancona e Ricciona di Napoli (Campania); Viola calabrese (Calabria); Patata di Zapponeta (Puglia). Quasi tutte queste varietà sono minacciate da erosione genetica e alcune di esse sono a serio rischio di estinzione. Allo scopo di salvaguardare un così importante patrimonio genetico è stata prevista, in recenti provvedimenti normativi comunitari e nazionali (Direttiva CE n. 62 del 20 giugno 2008 e Decreto Legislativo n. 149 del 29 ottobre 2009), una serie di misure e deroghe riguardanti la loro produzione, nonché la commercializzazione dei rispettivi tuberi-seme. Queste misure, miranti a garantire la conservazione in situ e l’utilizzo sostenibile di risorse fitogenetiche, prevedono innanzitutto che le varietà locali vengano iscritte, nei Registri nazionali delle varietà di specie di piante agricole, come “varietà da conservazione”. Di ognuna deve essere chiaramente determinata la zona di origine – rappresentata dall’areale (o dagli areali) di coltivazione tradizionale – e vanno verificati i requisiti del-

Foto L. Sigillo

Piastra ELISA con pozzetti colorati in giallo corrispondenti a campioni virosati

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coltivazione la distinguibilità e della stabilità (determinati secondo i protocolli UCVV o UPOV). I tuberi-seme di una varietà da conservazione possono essere ottenuti e commercializzati esclusivamente nelle rispettive zone di origine (in via eccezionale, per motivi di certificazione, la produzione può essere autorizzata anche in altre zone). Il controllo dei requisiti e la certificazione secondo le normative vigenti sono affidati, in Italia, all’ENSE. Miglioramento quanti-qualitativo della produzione di tuberi-seme I risultati della copiosa attività di ricerca e sperimentazione condotta sull’argomento hanno consentito di mettere a punto un percorso di filiera (dalla micropropagazione in laboratorio fino alla coltivazione in pieno campo e alla successiva conservazione) che, implementando diverse tecnologie, può consentire l’incremento della produzione di tuberi-seme di patata e migliorarne la qualità ai fini della certificazione. Di seguito sono riportati, in sintesi, i principali risultati ottenuti.

Piantine derivanti da microtuberi allevate in bancale per la produzione di minituberi

Moltiplicazione in vitro Rappresenta la fase iniziale della filiera. Si parte da tuberi completamente esenti da malattie (virali in particolare), i cui germogli, opportunamente sterilizzati (con ipoclorito di sodio all’1%) e tagliati (in microtalee), vengono trasferiti in vitro, su appositi substrati colturali artificiali (quelli a base di sali di Murashige e Skoog, con aggiunta di agar allo 0,8% e saccarosio al 2% – a pH 5,8 – hanno fornito i migliori risultati), in ambiente sterile, con produzione finale di micropiante o vitropiante. Nel giro di circa 2-3 settimane (a seconda della varietà), dalle talee allevate in camera di crescita a 25 °C con fotoperiodo di 16 h di luce a 2000 lux, si ottengono micropiante di circa 7-8 cm, dotate di almeno 4-6 internodi. L’aggiunta di fitormoni (auxinosimili di sintesi) al substrato, quali l’acido indol-3-butirrico (IBA) o l’acido naftilacetico (NAA), favorisce la radicazione delle piantine, mentre l’impiego di citochinine, quali kinetina e benzilaminopurina (BAP), e una concentrazione di saccarosio all’8% favoriscono, nel giro di 60-90 giorni, la formazione di microtuberi, detti anche vitrotuberi (propagoli di alcuni millimetri di diametro e del peso di pochi milligrammi).

Piantine derivanti da microtuberi

Produzione di minituberi Il materiale ottenuto in vitro (micropiante radicate e microtuberi) può essere trasferito su terreno agrario, in ambiente protetto (screenhouse) provvisto di rete antiafidi, e sottoposto a successivi cicli di coltivazione che permettono la produzione di tuberi (sempre esenti da virus) di piccole dimensioni (6-15 mm di diametro con peso di 1-2 g quando derivano dalle vitropiante, o dimensioni maggiori se ottenuti da microtuberi); questi minituberi, viste le di-

Minituberi di varie dimensioni appartenenti a diverse varietà

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produzione di tuberi-seme mensioni ridotte rispetto ai tuberi normali, possono essere molto più facilmente stoccati, conservati e trasportati. Trappole per il monitoraggio degli afidi

Produzione di tuberi-seme I minituberi, dotati di potenzialità produttive molto simili a quelle dei tuberi-seme convenzionali e assolutamente virus-esenti, possono essere rimoltiplicati, con ottimi risultati riguardo al mantenimento del loro stato sanitario, in screenhouse oppure in pieno campo: in questo secondo caso vanno individuate delle aree non molto estese (nicchie) caratterizzate soprattutto da sicuro isolamento da piante che costituiscono possibili ospiti di virus della patata. In tale fase della filiera vengono prodotti i primi lotti di tuberi-seme con un elevato livello di sanità, classificabili nella categoria “base” di certificazione, che possono poi, a loro volta, essere impiegati per la produzione, su larga scala, di tuberi-seme “certificati” secondo le prescrizioni previste dalla normativa vigente.

• Le principali attrezzature utilizzate

per il monitoraggio degli afidi sono la trappola ad aspirazione e le bacinelle cromotropiche

• La prima, detta anche trappola

Rothamsted (dalla stazione sperimentale inglese dove è stata messa a punto), è costituita da un camino di aspirazione (con la bocca posizionata a 12,2 m dal suolo), da un motore a ventilazione centrifuga e da un disco rotante provvisto di 7 contenitori per le raccolte giornaliere

• Le trappole cromotropiche, dette anche

Accertamento dello stato fitosanitario Come si è detto, per i tuberi-seme di patata è di fondamentale importanza il livello fitosanitario, con particolare riguardo alle infezioni di alcuni pericolosi e specifici virus, la cui presenza è diagnosticabile con certezza solo mediante analisi sierologiche. Una svolta importante in questo settore si è avuta negli anni Ottanta con l’acquisizione di tecniche diagnostiche innovative, sufficientemente precise e di semplice applicazione. Tra le metodologie messe a punto, si è rivelato assai interessante il test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), capace di rilevare, con elevata accuratezza e in tempi relativamente brevi, la presenza di malattie virali e di individuarne i relativi agenti. L’ELISA è uno dei test sierologici più diffusi, per la semplicità di esecuzione, per la quantità contenuta di reagenti e per l’elevata sensibilità (bastano, infatti, pochi nanogrammi di virus nel succo della pianta per innescare la reazione di positività).

del tipo Moericke, sono bacinelle di colore giallo (attrattivo di varie specie di insetti, tra cui soprattutto gli afidi) e di forma quadrata (60 cm di lato, con bordo alto 10 cm). Riempite di acqua addizionata di antiputrefattivo, vengono posizionate nelle coltivazioni, su supporti, all’altezza delle piante

Controllo degli afidi vettori dei virus I principali e più gravi virus della patata sono trasmessi da alcune specie di afidi. Ne consegue che è importante conoscere la dinamica di questi insetti (comparsa e successive migrazioni) negli ambienti interessati dalla coltivazione di patata da seme. Le numerose ricerche condotte sull’argomento hanno evidenziato significative correlazioni sia tra la comparsa degli afidi e il tasso di infezione dei tuberi-seme, sia tra la quantità dei voli dei vettori e l’incidenza degli attacchi virali. I rilievi della presenza e della dinamica degli afidi durante il ciclo di coltivazione sono di primaria importanza, non solo per poter eseguire in tempo utile i trattamenti aficidi necessari a ridurre o contenere la presenza di questi insetti, ma anche per decidere il momento più idoneo per

Bacinella trappola cromotropica per il monitoraggio degli spostamenti locali degli afidi

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coltivazione la distruzione anticipata della vegetazione. Per questo motivo sono state determinate delle soglie di pericolosità di presenza degli afidi, raggiunte le quali è consigliabile procedere tempestivamente al decespugliamento delle piante. In alcune delle aree di moltiplicazione dei tuberi-seme sono attive stazioni di monitoraggio degli afidi, gestite da enti pubblici o dalle stesse organizzazioni professionali. Esse sono provviste di specifiche attrezzature per la cattura, il conteggio e il riconoscimento delle più importanti specie afidiche di interesse agrario, con particolare riferimento a quelle vettrici di virus della patata. Ogni stazione è equipaggiata con almeno una trappola ad aspirazione (o a suzione) e diverse bacinelle trappola: con la prima vengono catturati gli afidi che si spostano ad alta quota, tramite correnti aeree, per decine e a volte centinaia di chilometri; con le bacinelle vengono, invece, catturati gli afidi che si spostano ad altezze modeste, con voli locali di breve durata, limitati a qualche decina o centinaia di metri. La trappola a suzione consente, quindi, di monitorare principalmente l’arrivo degli afidi, i quali giungono poi casualmente sulle piante, dove effettuano brevi punture di assaggio, spostandosi in seguito, con voli brevi, alla ricerca delle piante gradite. In presenza di piante infette, gli afidi possono diffondere velocemente i virus, in particolare quelli di tipo non-persistente (come, per esempio, il PVY). Gli afidi catturati con le bacinelle e con la trappola a suzione vengono raccolti periodicamente (in genere a cadenza settimanale), identificati e conteggiati. I dati ottenuti sono utilizzati per orientare al meglio gli interventi di difesa fitosanitaria e, specificamente per la produzione di tuberi-seme di patata, allo scopo di individuare il momento ottimale per il decespugliamento delle piante.

Adulto di Myzus persicae, uno degli afidi vettori di virus più pericolosi per la patata da seme

Colonie di afidi (Macrosiphum euphorbiae) su foglia di patata

Prospettive di incremento della produzione di tuberi-seme in Italia La sperimentazione condotta negli ultimi anni ha evidenziato nell’ambito di diversi progetti di ricerca che esistono ampi margini per incrementare e migliorare qualitativamente la produzione di patata da seme in Italia. Come alternativa alla costosa moltiplicazione in screenhouse è stata largamente sperimentata la moltiplicazione in nicchie a elevato isolamento da fonti di inoculo virale. Tali ambienti, come per esempio piccole aree di limitata estensione, poste in montagna e circondate da boschi, permettono di mantenere la sanità assoluta dei materiali in moltiplicazione e, pertanto, possono essere utilizzati per la produzione dei minituberi (materiale considerato “prebase”), mentre per la moltiplicazione su più ampia scala di materiale certificato è sufficiente l’isolamento, spaziale e temporale, da colture possibili ospiti dei più gravi virus della patata.

Trappola “a suzione” per il monitoraggio dei voli migratori degli afidi

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produzione di tuberi-seme Particolarmente interessanti sono, poi, gli studi che hanno evidenziato la possibilità di conservare la sanità iniziale dei tuberiseme anche in zone di pianura. In alcuni areali costieri del Meridione, caratterizzati dalla presenza, sporadica e discontinua fino a primavera avanzata (fine maggio), degli afidi vettori di virus, è stata infatti accertata la possibilità di ottenere, in ciclo vernino-primaverile, tuberi-seme certificabili, applicando opportuni accorgimenti tecnici miranti alla precocizzazione della coltura, in modo da sfuggire alle infestazioni afidiche secondarie. L’ottenimento, in primavera, di tuberi-seme certificati permetterebbe, tra l’altro, di risolvere il grave problema delle coltivazioni extrastagionali estivo-autunnali (per la produzione della cosiddetta patata bisestile), per le quali nel periodo di piantamento (agosto-settembre) è molto difficile reperire tuberi-seme “certificati”, con adeguata età fisiologica. I pochi disponibili sono, infatti, tuberi raccolti generalmente 9-10 mesi prima e, pertanto, “vecchi” e con energia germinativa molto bassa, avendo ampiamente superato, nonostante la conservazione a basse temperature, la fase di dormienza. Per le colture bisestili vengono sovente utilizzati tuberi-seme autoriprodotti (il cosiddetto “usoseme”) provenienti dalla coltura primaticcia della stessa annata. Generalmente si tratta di tuberi di scarto, di calibro sottomisura (<35 mm di diametro) e/o inverditi, sanitariamente scadenti e fisiologicamente inadeguati, in quanto il periodo che intercorre tra la raccolta e l’utilizzo non sempre è sufficiente perché i tuberi superino la fase di dormienza. I risultati della sperimentazione hanno evidenziato, poi, che per favorire il risveglio dei tuberi-seme raccolti in primavera, è sufficiente conservarli a temperatura ambiente in presenza di luce (che diventa necessaria nella parte finale, in fase di germogliazione dei tuberi) e con umidità dell’aria non troppo elevata (intorno al 70%); la fine della fase di dormienza dei tuberi-seme può essere ulteriormente anticipata utilizzando varietà caratterizzate da dormienza breve, impiegando tuberi-seme di dimensioni non troppo piccole e/o sottoponendo i tuberi a trattamenti con mezzi chimici risveglianti. Le produzioni nazionali di tuberi-seme ottenute in primavera in areali di pianura potrebbero anche trovare collocazione all’estero, per le “semine” precocissime (ottobre-dicembre) delle aree del bacino del Mediterraneo (Paesi nordafricani, Cipro ecc.), che incontrano anch’esse grandi difficoltà nel reperimento di tuberiseme certificati e fisiologicamente idonei al momento dell’impianto di tali colture. Si alimenterebbe, così, una favorevole corrente di esportazione in un settore, quello dei tuberi-seme, altamente deficitario per il nostro Paese, e si offrirebbe un’interessante alternativa a colture eccedentarie in alcuni areali orticoli meridionali.

Screenhouse per le prime moltiplicazioni di materiali di propagazione virus-esenti

Ambiente isolato di montagna per le prime moltiplicazioni in assoluta sanità

Moltiplicazione, in pianura, di tuberi-seme di patata per le colture bisestili

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani

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coltivazione Flora spontanea Introduzione Patata docet! La coltura della patata, quantunque originaria di terre lontanissime dalla nostra Penisola, rappresenta, come nessun’altra, un simbolo di unità (e non è poco per l’Italia, di questi tempi), dal momento che si coltiva dalle aride contrade dell’estremo Sud siciliano alle umide valli dell’intero arco alpino. Il carattere per così dire patriottico della patata si evince anche dalla composizione della flora infestante che la coltura, suo malgrado, ospita, e che è costituita da specie presenti ovunque, come, per esempio, amaranti e chenopodi, e da erbe peculiari di varie latitudini, come la ragusana spinaciastra, il toscano stramonio e l’alpino millefoglie. Sotto questo aspetto, perciò, patata docet! La patata unisce, rimarcando le particolarità dei diversi territori. Questo approccio di tipo “nazionalistico”, oltre a consentirci di uscire momentaneamente dagli schemi rigidi di una trattazione tecnica (senza peraltro abbandonarla), ci permette di sottolineare l’ubiquità della coltura e la variabilità del suo periodo vegetativo che, per motivi climatici o di mercato, interessa pressoché tutte le stagioni dell’anno, con impianti autunnali o invernali nelle colture di patata primaticcia o precoce del Sud Italia, piantagioni primaverili nelle colture di patata comune, e semine estive nelle colture bisestili. Alla grande variabilità che si osserva nella flora spontanea concorrono, oltre alla mutevolezza ambientale (riferita al tipo di terreno e al clima) delle varie zone geografiche, soprattutto fattori di tipo agronomico, in relazione alle pratiche colturali adottate, con particolare riferimento a quelle riguardanti il diserbo.

In Italia la patata si coltiva in ogni ambiente, da nord a sud

Esempio di flora autunno-primaverile

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flora spontanea Stagionalità della vegetazione spontanea erbacea La vegetazione naturale di un dato territorio cambia con il trascorrere delle stagioni e con l’avvicendarsi di specie che nascono, svolgono il loro ciclo vitale e si riproducono in determinati periodi dell’anno. Durante il ciclo di sviluppo di queste erbe, altre nascono e vivono, sovrapponendo, in parte, la loro vegetazione a quella delle erbe nate prima, e queste ultime, a loro volta, cedono il passo ad altre che nascono in un secondo momento e così via. In questo modo la flora si rinnova continuamente nelle sue componenti specifiche, in modo da costituire un manto vegetale sempre presente, ma diversamente assortito con il trascorrere delle stagioni. Un tale fenomeno si osserva anche nei coltivi di patata, dal momento che queste coltivazioni, sebbene di pochi mesi di durata, si susseguono per tutto l’arco dell’anno, in periodi diversi nelle varie regioni, per la produzione delle differenti tipologie di patate richieste dal mercato. Nella tabella a pagina seguente è riportato un quadro della presenza stagionale in natura delle specie spontanee più diffuse negli appezzamenti italiani coltivati a patata, secondo una recente indagine da me condotta. Dall’analisi si evince la presenza di tre gruppi di specie, omogenei per epoca di nascita e di fioritura: 1) specie che nascono in autunno o durante l’inverno, e fioriscono durante la primavera successiva; 2) specie che nascono durante la primavera e che completano il loro ciclo vitale nel corso dell’autunno dello stesso anno; 3) specie con nascita indipendente dalla stagione, tali perché sono munite di organi perennanti sotterranei (rizomi, bulbi o gemme radicali).

L’amaranto è un tipico esempio di specie a ciclo primaverile-estivo

Il cardo campestre è una delle specie a nascita indipendente dalla stagione

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coltivazione Erbe infestanti della patata: presenza stagionale e modalità di riproduzione in natura Nome comune

Inverno

Presenza stagionale (epoca di fioritura in rosso) Primavera Estate

Autunno

Amaranto comune Avena maggiore Becco di gru malvaceo (anche*) Caglio Cardo campestre* Cencio molle Chenopodio bianco Coda di topo*°° Eliotropio selvatico Equiseto** Falsa ortica Fumaria Galinsoga ispida Giavone comune Loglietto Millefoglie° Nappola Ortica minore Pabbio Poligono convolvolo Poligono degli uccellini Poligono nodoso Pomidorella Ravanello selvatico Renaiola comune Scagliola Senape selvatica Sorghetta° Spinaciastra comune Stramonio comune Vilucchio comune° Visnaga maggiore Zigolo infestante**° Le specie non contrassegnate hanno ciclo di sviluppo annuale e si riproducono solo tramite semi; quelle contrassegnate hanno ciclo vegetativo che dura più di un anno e si riproducono, oltre che per semi, anche tramite: gemme radicali (*), o rizomi (**), o tuberi (°), o stoloni (°°).

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flora spontanea Flora infestante: composizione e diffusione Gli andamenti della tabella si riferiscono alle presenze stagionali delle piante che crescono in condizioni naturali, ma la loro distribuzione si discosta alquanto da quella descritta quando esse nascono nelle colture di patata, specialmente in funzione dell’epoca di impianto della patata e delle operazioni colturali necessarie per la sua coltivazione. Le differenze che si registrano in questo senso non riguardano tanto la presenza fisica delle erbe infestanti, quanto piuttosto uno sfasamento del loro stadio vegetativo, rispetto a quello che si osserva in natura, che interessa particolarmente le specie con nascita primaverile. Fra queste le più competitive sono: amaranti, chenopodi, erba morella, poligoni e alcune graminacee, come la sorghetta, il giavone e il pabbio. La dannosità di queste spontanee è alquanto limitata nelle coltivazioni di patata primaticcia, in quanto la loro comparsa avviene poco prima della raccolta dei tuberi, benché possa avvenire già alla fine dell’inverno nelle stazioni più calde del Meridione; in ogni caso la loro nascita è ostacolata, in qualche modo, dalla copertura del terreno per opera della massa verde epigea della coltura, che stempera anche la loro azione competitiva. La presenza di questa flora, invece, si rivela assai virulenta, ovviamente in assenza di diserbo, nella patata comune, il cui impianto avviene all’inizio della primavera, in coincidenza con la nascita naturale di queste

L’irrigazione, come le precipitazioni, stimola la nascita di molte piante infestanti

Le lavorazioni eliminano l’infestazione presente, ma stimolano la nascita di altre piante infestanti

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coltivazione specie. Analoghe considerazioni possono essere estese alle specie a nascita autunno-invernale, che infestano prevalentemente la patata primaticcia, con impianto autunnale: nel corso dell’inverno sono temibili soprattutto le crucifere (senape selvatica e ravanello selvatico, in particolare) e le graminacee (avena, loglio e scagliola, principalmente). La presenza di queste spontanee viene, invece, fortemente limitata con i lavori di preparazione del letto di semina, nelle colture di patata comune. Accanto a tali specie, ve ne sono altre in grado di nascere in diverse stagioni dell’anno, specialmente nei climi meno rigidi delle pianure del Centro-Sud: sono le cosiddette “specie vivaci” o “perenni”, qui rappresentate dal cardo campestre, dall’equiseto, dal vilucchio comune e dallo zigolo. La solanacea è particolarmente suscettibile di infestazione subito dopo l’impianto, in considerazione del fatto che la crescita iniziale delle piante di patata è alquanto lenta. Le infestanti più aggressive in questi frangenti sono quelle a crescita veloce e con portamento prostrato, come, per esempio, il becco di gru malvaceo e la spinaciastra nei comprensori meridionali, oltre alla fumaria e al poligono degli uccellini, presenti ovunque. Crescendo, le piante di patata riescono a coprire uniformemente il terreno sottostante, ma in questo caso sono le specie a portamento eretto e quelle con fusti avvolgenti a penetrare la coltre vegetale colturale e ad avere spesso il sopravvento anche sulle altre avventizie. Con il conforto di questa breve premessa esplicativa è più agevole interpretare gli andamenti mostrati nella tabella a pagina seguente, riguardanti la diffusione delle diverse infestanti in contesti differenti di tipologia colturale.

La crescita iniziale delle piante di patata è alquanto lenta e favorisce la diffusione delle piante infestanti

Il cencio molle è una delle piante infestanti favorite in assenza di rotazioni nelle colture di patata del Settentrione

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flora spontanea Erbe infestanti della patata: portamento e diffusione in funzione della tipologia colturale (bianco = assente o poco diffuso; celeste = discretamente diffuso; azzurro = molto diffuso) Portamento della pianta Specie infestante Amaranto comune

Da giovane

Da adulta

Eretto

Eretto

Avena maggiore

Eretto

Eretto

Becco di gru malvaceo

Prostrato

Semieretto

Caglio

Avvolgente

Avvolgente

Cardo campestre

Eretto

Eretto

Cencio molle

Eretto

Eretto

Chenopodio bianco

Eretto

Eretto

Coda di topo

Eretto

Eretto

Eliotropio selvatico

Eretto

Eretto

Equiseto

Eretto

Eretto

Falsa ortica

Eretto

Eretto

Fumaria

Prostrato

Eretto

Galinsoga ispida

Eretto

Eretto

Giavone comune

Prostrato

Eretto

Loglietto

Eretto

Eretto

Millefoglie

Eretto

Eretto

Nappola

Eretto

Eretto

Ortica minore

Eretto

Eretto

Pabbio

Prostrato

Eretto

Poligono convolvolo

Avvolgente

Avvolgente

Poligono degli uccellini

Prostrato

Prostrato

Poligono nodoso

Eretto

Eretto

Pomidorella

Eretto

Eretto

Ravanello selvatico

Eretto

Eretto

Renaiola comune

Prostrato

Prostrato

Scagliola

Eretto

Eretto

Senape selvatica

Eretto

Eretto

Sorghetta

Eretto

Eretto

Spinaciastra comune

Prostrato

Eretto

Stramonio comune

Eretto

Eretto

Vilucchio comune

Avvolgente

Avvolgente

Visnaga maggiore

Prostrato

Eretto

Zigolo infestante

Eretto

Eretto

Patata primaticcia

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Tipo di coltivazione Patata comune In pianura In montagna

Patata bisestile


coltivazione Influenza dei fattori agronomici e pedologici Ferme restando le considerazioni sopra esposte, l’entità della diffusione e il grado di aggressività delle piante infestanti dipendono, in massima parte, da fattori di tipo agronomico e dall’uso generalizzato dell’irrigazione; anche la natura del terreno esplica, in questo senso, una certa azione, seppure di secondaria importanza e limitatamente all’insediamento di alcune specie. Tra i fattori agronomici sono da considerare, innanzitutto, il tipo di rotazione agraria adottata e le lavorazioni effettuate prima e dopo l’impianto. Le problematiche legate alla diffusione della flora infestante sono particolarmente complesse quando non si attua un’appropriata rotazione agraria. È noto, infatti, che là dove si ripete per più anni la stessa coltura sul medesimo appezzamento (ristoppio) si seleziona una flora spontanea caratterizzata da specie poco numerose ma molto aggressive, come, per esempio, il cencio molle nelle coltivazioni padane, lo stramonio in quelle del Centro Italia e la nappola in quelle centro-meridionali. In condizioni di ristoppio, inoltre, anche le infestanti più comuni incrementano la loro aggressività e la loro invadenza, e fra queste la più temibile è l’erba

Lo stramonio comune è una delle piante infestanti favorite in assenza di rotazioni nelle colture di patata del Centro Italia La nappola è una delle piante infestanti favorite in assenza di rotazioni nelle colture di patata del Meridione

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flora spontanea morella, la cui fisiologia è molto simile a quella della patata per il fatto di avere in comune con essa la famiglia e il genere botanico. La rotazione di colture diverse sullo stesso appezzamento, perciò, è sempre auspicabile, a patto di provvedere a un monitoraggio continuo sull’evoluzione della flora infestante, con particolare riferimento ai casi in cui la coltivazione della patata interessi un terreno condotto in precedenza con arboreto o con vigneto. In queste situazioni, infatti, si può avere l’invadenza di specie perenni o vivaci che, date le scarse lavorazioni effettuate negli anni precedenti, hanno avuto l’opportunità di formare organi vegetativi sotterranei, come rizomi e tuberi, il cui accumulo nel terreno, anno dopo anno, ha garantito loro una grande carica potenziale di infestazione. Tra queste erbe spiccano la sorghetta e l’equiseto nelle colture di patata comune, il cardo campestre e lo zigolo in quelle di patata primaticcia, e in ogni situazione la gramigna comune e la gramaccia. Analogamente succede dopo la rottura di un prato stabile, con invasioni di specie tipiche prative, quali, per esempio, il millefoglie e la coda di topo. Tra le operazioni colturali in grado di influenzare la nascita e lo sviluppo delle infestanti sono da considerare innanzitutto quelle relative alla preparazione del letto di semina e quelle eseguite per chiudere i solchi dopo l’impianto; anche le rincalzature fatte durante il ciclo vegetativo sono discriminanti in questo contesto. Tutte queste lavorazioni consentono di eliminare la vegetazione spontanea presente, ma allo stesso tempo stimolano la germinazione di molti semi che si trovano nei primi strati del terreno e

La pomidorella è difficile da combattere perché botanicamente molto simile alle piante di patata Il millefoglie è una specie prativa tipica delle valli alpine e infesta particolarmente le colture di patata che seguono la rottura del prato stesso

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coltivazione la conseguente nascita delle piantine, specialmente quando tali lavorazioni precedono precipitazioni naturali o irrigazione. Un’altra pratica importante, che influenza notevolmente l’assortimento floristico, è rappresentata dalla sistemazione del terreno, necessaria per evitare ristagni di umidità eccessiva e permanente che, oltre a danneggiare la coltura con fenomeni di asfissia radicale, possono favorire imponenti e pericolose invasioni di equiseti. Viceversa, l’aridità prolungata stimola l’insediamento di becco di gru malvaceo e di altre specie tendenzialmente xerofile come l’amaranto bianco. In generale le erbe infestanti più dannose sono anche le più diffuse, perché non hanno esigenze particolari per quanto attiene alla natura fisico-chimica del terreno. La predilezione della patata per i terreni tendenzialmente acidi e ricchi di fosforo potrebbe però favorire alcune specie minoritarie, quali, per esempio il rafano e altre crucifere, la galinsoga e la falsa ortica, mentre l’abbondanza di azoto favorisce alcune specie nitrofile, come l’ortica minore e le graminacee in genere. Riguardo alla granulometria del terreno, nei suoli sabbiosi si adattano bene la visnaga maggiore e la renaiola, mentre in quelli limosi e argillosi sono favorite specie come il caglio, la senape e la fumaria.

Le graminacee e l’ortica crescono bene nei terreni molto ricchi di azoto

Nei climi piovosi l’assenza di sistemazioni del terreno può favorire grandi invasioni di equiseti

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flora spontanea Descrizione delle specie Amaranto comune (Amaranthus retroflexus). Nella favola 323 di Esopo si legge di un amaranto che confessa alla rosa di invidiarla per la sua bellezza e per il suo profumo; la rosa gli risponde: “O amaranto, io non vivo che pochi giorni e poi appassisco, mentre tu vivi e fiorisci in perenne giovinezza”. Questa citazione poetica spiega il significato del nome di questa pianta, ripreso anche per indicare la famiglia botanica (Amaranthaceae), che deriva da due termini della lingua greca: a = non e maraino = avvizzisco; il riferimento è alle infiorescenze che non si disgregano nemmeno dopo che i semi sono caduti, per cui sembra che non avvizziscano mai. Piante originarie delle zone tropicali, erano venerate come divinità dagli Aztechi e da altri popoli sudamericani, e sono impiegate, tutt’ora, per ricavarne alimenti (le foglie come verdure, i semi per ottenere la farina). Si tratta, infatti, di piante ricche di proteine, acidi grassi, microelementi e vitamina C.

Amaranto comune

Avena maggiore (Avena sterilis). L’antichissimo impiego come foraggio di questa graminacea è testimoniato, oltre che dal ritrovamento di cariossidi risalenti all’Età del bronzo, anche dal nome di derivazione sanscrita avasa, cioè foraggio gradito dagli ovini. La sua presenza è stata sottolineata, nel corso del tempo, con citazioni in componimenti letterari, come, per esempio in Love’s Labour’s Lost di Shakespeare, nella bellissima lirica Rogo amoroso di Torquato Tasso, nel Colloquio sentimentale di Paul Verlaine, nei Poemi italici di Giovanni Pascoli, nella raccolta Juvenilia di Carducci, per finire con La spica contenuta nell’Alcyone di D’Annunzio. Il nome italiano si riferisce alla taglia della pianta, maggiore di quella delle altre specie di avena, mentre il termine sterilis allude alle glume, che sembrano sterili perché vuote dopo la caduta dei semi. Un’altra specie di avena è l’avena selvatica (A. fatua), rara e spesso confusa con l’avena maggiore.

Avena maggiore

Becco di gru malvaceo (Erodium malacoides). Appartiene alla famiglia delle Geraniacee, così denominata dalle piante più rappresentative della famiglia stessa, i gerani, che hanno frutti simili alla testa della gru, in greco ghéranos. Il nome italiano “becco di gru” corrisponde, invece, al latino Erodium, che allude alla testa dell’airone (in greco eródios), forse per le maggiori dimensioni dei frutti di questa pianta rispetto a quelli dei gerani, con riferimento alle maggiori dimensioni della testa dell’airone rispetto a quella della gru. Più in particolare, il frutto è costituito da una serie di reste saldate insieme in un becco appuntito, ognuna delle quali termina alla base in una coppetta che accoglie un seme. Alla maturazione le reste perdono acqua repentinamente e si separano alla base, restando però unite alla sommità; con un brusco movimento si avvolgono a molla d’orologio e, a mo’ di fionda, scagliano i semi in ogni direzione.

Becco di gru malvaceo

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coltivazione Caglio o attaccaveste (Galium aparine). Dei due nomi italiani di questa specie, il primo si riferisce alla sua proprietà di far cagliare il latte (in greco: gala, da cui galium); il secondo mette in risalto la presenza di spinule su tutta la pianta, tramite le quali i frutti specialmente rimangono impigliati nei vestiti: questa proprietà è sottolineata anche dal termine greco aparine (porto via). Non solo infestante, la pianta ha avuto un uso medicinale (in passato era impiegata per curare le malattie della pelle) e alimentare: veniva impiegata come verdura oppure come succedanea del caffè (i suoi semi, minuti e sferici, erano tostati e impiegati per questo scopo; d’altro canto il caglio appartiene alla stessa famiglia botanica del caffè, Coffea arabica, quella delle Rubiacee). Le piante adulte formano grovigli inestricabili con le foglie della patata, verso le quali attuano anche una ferma ed efficace azione competitiva per la luce e per gli elementi nutritivi.

Caglio o attaccaveste

Cardo campestre o stoppione (Cirsium arvense). Il primo nome italiano di questa composita (o asteracea, come dicono i più eruditi) sottolinea la spinosità delle foglie, mentre il secondo si riferisce alla sua abbondanza nelle stoppie di grano. L’uso nell’antica Grecia per la cura delle varici (in greco kirsós) ha, infine, ispirato il nome latino. Strabilianti sono le strategie messe in atto da questa specie per riprodursi: la maggior parte delle piante produce fiori di un solo sesso e perciò l’impollinazione, con la conseguente formazione del seme, avviene con molte difficoltà; allo scopo di facilitare l’incontro tra il polline e i fiori femminili la specie si serve di ignare farfalle, attirate dall’odore di muschio dei fiori, che svolazzando da un fiore all’altro trasportano il polline stesso nell’ambiente circostante. Alla scarsità di semi maturi, inoltre, la pianta sopperisce con un apparato radicale ricco di gemme in grado di originare nuovi individui.

Cardo campestre o stoppione

Cencio molle (Abutilon theophrasti). Solo dopo una decina d’anni dagli inizi della mia vocazione floristica, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, ho sentito parlare di questa pianta come di una specie emergente fra le infestanti del mais. La sua diffusione fu talmente massiccia e repentina per la difficoltà di mettere a punto metodi di lotta volti a ostacolare la sua invasione. A distanza di trent’anni la specie imperversa ancora; anzi, dalle colture di mais delle contrade padane si è diffusa anche nei campi di pomodoro della mia Puglia e della Campania, e persino nei campi di patata della Sicilia. Imparentata botanicamente con la malva, grazie alle sue foglie grandi e morbide si è conquistata il nome italiano, mentre quello latino è in onore del botanico Teofrasto, operante in Grecia fra il IV e il III secolo a.C.

Cencio molle

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flora spontanea Chenopodio bianco o farinello comune (Chenopodium album). Dalle parole greche khen = oca e podion = piede derivano il nome di questa pianta e quello della famiglia cui appartiene (Chenopodiacee): il chenopodio, infatti, presenta foglie che nella forma ricordano le estremità di tali uccelli. I termini “bianco”, album e “farinello” contemplano, invece, la presenza su tutti gli organi di microscopiche sferette bianche che, disidratandosi, assumono aspetto di grumi di farina. La notevole adattabilità ai campi coltivati e la taglia ragguardevole fanno di questa specie una delle più diffuse e pericolose infestanti. A queste prerogative negative si contrappongono notevoli proprietà culinarie, poiché, come nel congenere buon Enrico, le foglie giovani rappresentano un ottimo surrogato dello spinacio. Specialmente nei campi siciliani è molto diffusa anche un’altra specie simile: il farinello rosso (Chenopodium rubrum), il cui nome allude al colore dei fusti. Chenopodio bianco o farinello comune

Coda di topo (Phleum pratense). Questa specie deve il nome italiano alla forma dell’infiorescenza (pannocchia spiciforme), sottile e lunga come la coda del topo. Il suo nome scientifico, coniato da Aristofane, si riferisce invece a una graminacea palustre seminata per allestire prati. Tipica componente dei prati di montagna, la coda di topo si trova solo nella pataticoltura delle valli alpine, in particolare nell’anno successivo alla rottura del prato per far posto alla coltivazione della solanacea. Si tratta di una graminacea, e quindi ha fusto cavo (culmo) e nodoso; le foglie hanno una guaina che avvolge il fusto, e sono dotate di una lamina nastriforme alla sommità. Si riproduce sia tramite semi, sia tramite gemme radicali perennanti. Il seme è strettamente saldato all’interno del frutto (cariosside); quest’ultimo è rivestito da due glume, ognuna delle quali è sormontata da un lungo mucrone. Il complesso frutto-glume costituisce una spighetta minuscola e cornuta alla sommità.

Coda di topo

Eliotropio selvatico (Heliotropium europaeum). Ovidio ci racconta, nelle sue Metamorfosi (libro IV), la triste storia della ninfa Clizia, innamorata del dio Apollo, a sua volta invaghitosi della mortale Leucotoe. Clizia per gelosia denunciò l’amore dei due al padre di Leucotoe, Orcamo, il quale punì sua figlia facendola seppellire viva. Perciò Apollo non volle più vedere Clizia, e questa vagò senza meta, nutrendosi solo di lacrime e rugiada, e seguendo con lo sguardo il dio che guidava il carro del Sole, senza mai riuscire a toccarlo. La sofferenza la portò a consumarsi e a trasformarsi in una pianta di eliotropio, i cui fiori, bianchi e piccoli, riuniti su infiorescenze a forma di coda di scorpione, sono sempre rivolti verso il sole. Il nome della pianta deriva, infatti, dalle due parole greche hélios = sole e trepomai = mi volgo. Parente della ruvida borragine, che dà il nome alla famiglia comune (Boraginacee), l’eliotropio ha però foglie morbide e vellutate.

Eliotropio selvatico

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coltivazione Equiseto o coda di cavallo (Equisetum). Simili nell’aspetto a minuscoli alberi di Natale, queste piante prive di fiori e di semi si moltiplicano per mezzo di spore o di tuberi e rizomi. Le spore si formano in particolari organi claviformi posti all’estremità superiore di un fusto vuoto, siliceo e privo di foglie: siffatte piante somigliano molto ai turioni d’asparago e caratterizzano la fase riproduttiva della specie. Dopo la forma riproduttiva, effimera e transitoria, dalla stessa radice nasce una forma vegetativa che ha la classica forma ad albero di Natale, anch’essa priva di foglie, ma con rami talmente sottili da sembrare crini di cavallo (da cui il nome Equisetum): sono queste le piante che si trovano nei campi di patata. In particolare due specie sono molto diffuse: equiseto dei campi (E. arvense) ed equiseto massimo (E. telmateja). Nel primo la lunghezza dei rami diminuisce procedendo dalla base verso l’apice della pianta; andamento inverso si rileva nella seconda specie.

Equiseto o coda di cavallo

Falsa ortica (Lamium). Le foglie rugose rendono queste piante simili a quelle di ortica, ma non uguali (“false”), dal momento che non sono urticanti. Il termine Lamium viene ripreso anche nel nome moderno della famiglia (Lamiacee), mentre la sua vecchia, ma non desueta, denominazione, sovente e a torto snobbata, è Labiate. Con entrambi i sostantivi si fa riferimento a caratteristiche dei fiori, e in particolare alla loro corolla, con i petali saldati in labbra (Labiate), visibili alla sommità di una gola (Lamiacee). Le piante di questo raggruppamento hanno fusto quadrangolare; le foglie contengono oli essenziali e i fiori, riuniti in spighe fogliose, sono ricchi di nettari per gli insetti pronubi. Nei campi di patata si trova quasi sempre la falsa ortica reniforme (L. amplexicaule) e meno frequentemente la falsa ortica purpurea (L. purpureum). I nomi delle due specie si riferiscono alle foglie: reniformi nella prima, purpuree nella seconda.

Falsa ortica

Fumaria o fumosterno (Fumaria officinalis). L’aspetto nebuloso delle foglioline grigio-verdastre giustifica il nome di questa specie; in verità, secondo alcuni il nome ha etimo differente: c’è, infatti, chi sostiene che il fumo a cui il nome fa riferimento è quello che si sprigiona dal terreno quando si estirpa la pianta. Sebbene appartenga alla famiglia delle Papaveracee, essa è completamente diversa dai papaveri, nella morfologia e nel modo di vegetare. Caratteristici, infatti, sono i fiori, di colore rosa e raccolti su infiorescenze a racemo, con i quattro petali della corolla disposti in modo irregolare. Anche il frutto è dissimile dalle capsule di papavero, in quanto costituito da un achenio globoso contenente un unico seme. La specie è molto diffusa in tutta Italia e spesso, specialmente nei comprensori meridionali, è associata a un’altra specie dai fiori biancastri, la fumaria bianca (F. capreolata).

Fumaria o fumosterno

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flora spontanea Galinsoga ispida (Galinsoga ciliata). Il nome di quest’erba è un omaggio a Martinez Galinsoga, medico e naturalista che fu attivo presso la corte spagnola nel XVIII secolo; ispida e ciliata sono termini equivalenti, e si riferiscono alla densa peluria che ricopre le foglie e i fusti di queste piante. La specie appartiene alla famiglia delle Composite, detta anche delle Asteracee. Entrambi questi nomi sono attualmente usati dai botanici, anche se il secondo, ripreso dal genere Aster, negli ultimi tempi è quello più diffuso; il primo è tuttavia più caratterizzante, perché si riferisce al particolare tipo di infiorescenza (capolino), che sembra un unico fiore ma che, in realtà, è un composito di molti fiorellini. Da ogni fiore matura un piccolissimo frutto ad achenio che contiene al suo interno un solo seme; l’achenio, nero e a forma di cono, porta alla sommità un pappo di piume, derivante dalla trasformazione del calice del fiore stesso. Galinsoga ispida

Giavone comune (Echinochloa crus-galli). L’origine del nome italiano è incerta; il binomio latino, invece, deriva dalle parole greche echino = riccio, chlòe = erba, crus = zampe e galli = gallo, con riferimento all’infiorescenza (pannocchia digitata) che è irta (aristata) come un riccio e ha la forma di una zampa di gallo. Fra le graminacee estive è quella più diffusa nei campi di patata, in tutti gli ambienti della penisola, ed è l’infestante più dannosa nelle risaie. Come tutte le graminacee ha foglie formate da una guaina che abbraccia il fusto e una lamina libera a forma di nastro. Diversamente dalle altre graminacee, però, manca di ligula. La sua riproduzione è affidata esclusivamente al seme, che è racchiuso fermamente nel frutto a cariosside, il quale, a sua volta, è inserito all’interno di brattee: il complesso fruttobrattee forma una spighetta, e molte spighette costituiscono la pannocchia.

Giavone comune

Loglietto (Lolium multiflorum). Un tempo non molto lontano questa graminacea, nota anche con il nome di Lolium italicum, costituiva l’essenza principale dei prati lombardi che andavano sotto il nome di “marcite”, per via di un sistema di irrigazione particolare, ottenuto per scorrimento superficiale. Nell’ambito della famiglia delle Graminacee (= Poacee), il loglietto si distingue per la lucentezza delle foglie e per la presenza di due estroflessioni (orecchiette o auricole) alla base della lamina fogliare. Nella forma infestante si riproduce prevalentemente tramite semi; in natura, però, o come essenza da prato, può avvalersi anche di gemme radicali, che consentono alla specie di svernare senza subire danni e di ricacciare dal cespo radicale l’anno successivo a quello di nascita. Come nelle altre graminacee, ogni frutto (cariosside) contiene un solo seme ed è protetto da brattee; frutto e brattee formano la spighetta, e molte spighette, nel genere Lolium, costituiscono un’infiorescenza a spiga.

Loglietto

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coltivazione Millefoglie (Achillea millefolium). Il nome italiano di questa specie scaturisce dalla forma delle foglie, con la lamina suddivisa in tanti segmenti stretti che la fanno apparire come un insieme di piccole foglioline. La specie è conosciuta anche con il nome di “stagnasangue”, perché in passato veniva usata per curare le ferite, fermando le emorragie: anche il centauro Chirone, secondo la leggenda, la utilizzò a questo scopo, per guarire le ferite dell’eroe Achille, al quale è dedicato il nome latino. È una specie molto radicata, oltre che nella terra, anche nelle vicissitudini umane: impiegata come ingrediente nelle cure di bellezza, era usata inoltre per scacciare il malocchio e come talismano contro le malignità del sesso opposto. Tipica componente dei prati permanenti, si trova come infestante della patata quasi esclusivamente nelle coltivazioni delle vallate alpine, dove trova condizioni ambientali ottime per la sua riproduzione. Millefoglie

Nappola (Xanthium). Composita vigorosa, con radice e fusto tenaci, ha capolini ovoidali, contenenti ognuno due semi (acheni), ricoperti esternamente di aculei, tramite i quali i semi si aggrappano ai supporti più disparati, e in particolare al mantello degli ovini, per essere trasportati e diffusi su vasti territori (nei pascoli australiani questa infestante è ritenuta un vero flagello). Pianta conosciuta da tempi remoti, era impiegata per la preparazione di decotti usati per tingere i capelli di biondo: da questo deriva il suo nome (in greco xanthos = biondo). Attualmente il suo impiego fitoterapico riguarda l’estrazione della xantostrumarina, sostanza tossica che però, opportunamente dosata e impiegata, ha proprietà antispasmodiche, diuretiche, analgesiche, antireumatiche, antibatteriche e antimicotiche. La specie di nappola più diffusa è la nappola italiana (X. italicum), ma al Centro-Sud si trova spesso anche la nappola spinosa (X. spinosum).

Nappola

Ortica minore (Urtica urens). Conosciuta e utilizzata sin dall’antichità, è tanto “integrata” nella società umana da essere considerata la regina delle piante officinali. L’ortica è sfruttata per le sue peculiarità industriali (prevalentemente tessili), culinarie (preparazione di minestre e di paste) e fitoterapiche (proprietà emostatiche, astringenti e depurative). È anche decantata nella prosa e nella poesia di ogni tempo: dal Decameron di Boccaccio alle tragedie di Shakespeare (The Tragedy of Coriolanus), dalle favole di Andersen (I cigni selvatici) alle moderne canzonette, come in quella famosa di Enzo Jannacci che recita “Faceva il palo nella banda dell’Ortica / faceva il palo perché l’era il so meste’”. Si distingue da qualsiasi altra pianta per le prerogative urticanti, che le sono valse il nome (dal latino urere = bruciare), dovute agli acidi contenuti in una microscopica ampolla alla base dei peli che ne ricoprono le foglie.

Ortica minore

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flora spontanea Pabbio (Setaria). Tra le graminacee estive il pabbio si riconosce per le pannocchie setolose (da cui il nome botanico), ovoidali o quasi cilindriche. Le setole derivano da fiori abortiti che non riescono a fruttificare; dai fiori fertili hanno origine, invece, frutti (cariossidi) a forma di piccolissime (lunghe poco più di 1 mm) gocce lisce e lucide. Come le altre graminacee, le foglie hanno una parte basale che inguaina il fusto, e una lamina terminale nastriforme e lanceolata. Le piantine giovani hanno fusto compresso e in parte adagiato sul terreno; da adulti i fusti sono ginocchiati alla base ed eretti nel tratto terminale. Come infestanti si trovano frequentemente tre specie di pabbio: il pabbio comune (Setaria viridis), il pabbio rossastro (Setaria glauca) e il pabbio verticillato (Setaria verticillata). Il primo ha setole giallastre, il secondo setole rossastre, il terzo cariossidi e setole inserite a ciuffetti (verticillati) sulla pannocchia.

Pabbio

Poligono convolvolo (Polygonum convolvulus = Fallopia convolvulus). Sul fusto di questa specie vi sono nodi evidenti; esso è volubile e si avvolge a qualsiasi supporto, morto o vivo, come le piante di patata, che imbriglia in una fitta rete asfissiante: queste caratteristiche sono valse alla specie il nome comune italiano (dal greco polys = molti e gony = ginocchi, nodi) e l’aggettivo specifico latino (da convolvere = avvolgere). Il termine Fallopia, invece, riprende il nome di un naturalista italiano del XVI secolo (Gabriele Falloppio), al quale la pianta è dedicata. Le foglie hanno un picciolo pronunciato e una lamina cuoriforme. I fiori sono minuscoli, riuniti in spighe fogliose che si trovano alla sommità dei rami. La specie si riproduce solo tramite semi; questi ultimi sono neri e un po’ rugosi, hanno forma di dardo con tre facce, e sono lunghi poco più di 2 mm. Negli stadi giovanili il poligono convolvolo viene spesso confuso con il comune vilucchio.

Poligono convolvolo

Poligono degli uccellini (Polygonum aviculare). Il fusto di questa specie, come quello del poligono convolvolo, è nodoso. La presenza di nodi caratterizza infatti un’intera famiglia di piante, le Poligonacee, a cui appartengono le suddette specie e quella descritta a seguire. Il riferimento agli uccellini (aviculare) si rapporta alla spiccata predilezione che i volatili hanno per i suoi semi. Le piante adulte hanno fusti adagiati in parte sul terreno, con rami che formano a volte lunghe catene nodose, giustificando l’altro nome comune con cui questa infestante è conosciuta, centonodi. Le foglie del poligono degli uccellini sono molto piccole, hanno picciolo assai corto e lamina lanceolata. I fiorellini sono minuscoli, di colore bianco o rosa, e maturano ognuno un piccolissimo seme, a forma di punta di freccia, tramite il quale la specie si riproduce.

Poligono degli uccellini

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coltivazione Poligono nodoso (Polygonum lapathifolium). In questo caso la nodosità del fusto, già segnalata per le due specie congeneri appena illustrate, viene ribadita e rafforzata di significato dal termine “nodoso”; l’aggettivo latino lapathifolium sottolinea, invece, la similitudine morfologica fra le foglie di questo poligono e quelle di un’altra poligonacea: il lapazio. Le piante adulte hanno portamento eretto. Le foglie hanno forma simile a quelle del poligono degli uccellini, ma sono più grandi e con una macchia scura a forma di V al centro della lamina. Come gli altri poligoni, la pianta si moltiplica solo per mezzo di semi. Questi ultimi sono scuri, compressi, tondeggianti e discoidali, con le due facce concave. Quest’ultima caratteristica dei semi serve per distinguere questa specie da un’altra morfologicamente simile, la persicaria (Polygonum persicaria), che ha semi della stessa forma complessiva, ma con le due facce convesse. Poligono nodoso

Pomidorella o erba morella (Solanum nigrum). Tra le infestanti qui descritte la pomidorella è una delle più dannose, in quanto fisiologicamente molto simile alla patata, con la quale ha in comune la famiglia (Solanacee) e il genere botanico (Solanum). Per questo motivo, e per una spiccata tendenza dell’infestante a nascere in un lungo periodo di tempo tra la fine della primavera e l’estate, la specie è di difficile controllo, anche con mezzi chimici. Il nome latino, del genere e della famiglia, ne rimarca le proprietà medicinali, dovute a molti composti, fra i quali la solanina: tendenzialmente velenosa, questa sostanza può risultare benefica se ben dosata e impiegata (il nome di queste piante deriva, infatti, dal latino solamen = sollievo). Il termine nigrum, associabile a “morella”, si riferisce al colore nero delle bacche, le quali, tranne che per il colore e le dimensioni ridotte, sono simili a quelle del pomodoro.

Pomidorella o erba morella

Ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum). I nomi di questa crocifera ci vengono direttamente dal mondo romano: Plinio la descrive spesso, e ne rivela le proprietà culinarie e afrodisiache. Ma già gli Egizi dei faraoni e Democrito ne decantavano le virtù; anche nel mondo cinese antico il ravanello selvatico aveva importanza come alimento, soprattutto per le sue virtù terapeutiche. Le piante adulte, dal tipico odore di rapa, hanno notevole stazza, con radice grossa e fibrosa, fusto robusto, e foglie dalla lamina profondamente incisa, con nervature evidenti. I fiori sono costituiti ognuno da quattro petali disposti a croce (da qui il nome della famiglia); sono generalmente di colore bianco e venati di violaceo; alcune sottospecie, però, hanno fiori gialli o violacei. I frutti sono cilindrici-allungati, e si presentano come un festone di salsiccia, ovvero con strozzature delimitanti dei segmenti che contengono ognuno un seme.

Ravanello selvatico

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flora spontanea Renaiola comune (Spergula arvensis). È una pianta minuta e con rami prostrati che si allungano in tutte le direzioni, tanto da dare l’impressione che la pianta intera sia sparsa sul terreno; è questo, forse, il significato del suo nome latino (da spergere = spargere qua e là). D’altro canto, la sua preferenza per i terreni sabbiosi si evince dal nome italiano. Rara in Italia, è molto temuta come infestante nei seminativi del Centro-Nord europeo, dove è conosciuta e coltivata da tempi remoti. I suoi semi sono stati rivenuti nello stomaco di una mummia (l’uomo di Tollund) risalente al 350 a.C., ritrovata una sessantina di anni fa in una torbiera danese. I fiorellini sono costituiti ognuno da cinque petali bianchi che, come in molte altre piante appartenenti alla stessa famiglia (Cariofillacee), sono disposti a formare piccole stelle. I semi sono piccolissimi, simili a piccole lenticchie scure, e sono contenuti in capsule coronate alla sommità. Renaiola comune

Scagliola (Phalaris). Il nome “scagliola” riunisce un insieme di specie graminacee con piccoli frutti (cariossidi), racchiusi tra due lucide scagliette erbacee (glumette) che hanno ispirato il nome di queste piante, coniato nel I secolo a.C. da Plinio il Vecchio (da phalaròs = lucente). Oltre che dalle glumette, le cariossidi sono avvolte da due glume e sono riunite in infruttescenze (pannocchie spiciformi) ovoidali o cilindriche. Nei campi di patata dell’Italia centro-meridionale si trovano spontanee tre specie: la scagliola cangiante (Phalaris brachystachys), la scagliola minore (Phalaris minor) e la scagliola sterile (Phalaris paradoxa). Il nome della prima si riferisce alla corta spiga e alle glumette particolarmente cangianti; la seconda è così detta per le sue cariossidi (minor rispetto a quelle delle altre due); la terza, che è la più diffusa, è strana (paradoxa) perché presenta glume con reste apicali, assenti nelle altre specie.

Scagliola

Senape selvatica (Sinapis arvensis). Molto simile di aspetto al ravanello selvatico, la senape selvatica, appartenente alla medesima famiglia (Crucifere), differisce da esso per il colore dei fiori, sempre gialli, e per le foglie, meno incise di quelle dell’altra specie. Anche i frutti sono diversi da quelli del ravanello, essendo privi di strozzature. I semi, globosi e scuri, sono inseriti su una membrana ialina (replo) avvolta da due brattee coriacee, che si separano a maturità lasciando i semi liberi di cadere sul terreno. La senape selvatica, come il ravanello, è stata utilizzata in cucina sin dai tempi antichi e fino a pochi anni fa, quando si trovava comunemente nei mercati rionali. È diffusa in tutta la penisola italiana, e al Centro-Sud convive nelle coltivazioni di patata con una specie simile, la senape bianca (Sinapis alba), così denominata perché presenta semi generalmente di colore chiaro.

Senape selvatica

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coltivazione Sorghetta o melghetta (Sorghum halepense). Nella pataticoltura settentrionale, specialmente dove la coltivazione della solanacea viene ripetuta per più anni sullo stesso appezzamento, o dove segue una coltura di mais, si trova di frequente questa graminacea spontanea. È molto persistente, perché ha la possibilità di riprodursi sia tramite semi sia per via vegetativa, per mezzo di rizomi sotterranei: nel primo caso invade l’appezzamento in modo uniforme; nel secondo crea delle chiazze di infestazione folte e circoscritte. Si tratta di piante che in passato erano spesso impiegate come foraggio, e che, particolarmente su terreni ben concimati, sono molto lussureggianti, con fusti tenaci e foglie nastriformi verdi, con una vistosa striscia chiara centrale. I semi, che come in tutte le graminacee sono saldamente racchiusi all’interno di cariossidi (frutti), derivano da fiorellini privi di petali veri e propri, e riuniti su ampie pannocchie poste all’estremità dei rami. Sorghetta o melghetta

Spinaciastra comune (Emex spinosa). Il nome latino di questa pianta si riferisce alla sua collocazione botanica, tolta (ex) dal gruppo dei romici e identificata con genere a parte (= Emex). L’aggettivo latino e il nome comune italiano si riferiscono, invece, alla spinosità dei frutti. Questi ultimi, riuniti in folti glomeruli lungo i rami, racchiudono fermamente i semi al loro interno e derivano da fiori poco appariscenti, tipici anche delle altre piante appartenenti alla stessa famiglia, le Poligonacee. Il nome della famiglia, già menzionato nella descrizione dei poligoni, mette in rilievo la nodosità dei rami degli individui adulti. Il fusto e i rami sono di colore verde chiaro, striato di rosso, e spesso sono adagiati sul terreno. Le foglie hanno picciolo lungo e lamina a forma di punta di lancia. Si tratta di una specie tipica delle zone mediterranee, e in Italia si trova nelle regioni meridionali, soprattutto lungo i litorali e nelle zone più aride.

Spinaciastra comune

Stramonio comune (Datura stramonium). Come l’erba morella e la patata stessa, appartiene alla famiglia delle Solanacee, e perciò contiene alcaloidi che la rendono una delle piante più velenose dello scenario floristico mondiale. In particolare, le sue proprietà narcotiche e ipnotiche sono note sin dall’antichità, ed erano sfruttate specialmente dagli indigeni americani durante i loro riti iniziatici; la specie è infatti originaria dell’America centrale e fu importata nel Vecchio continente dopo la spedizione di Colombo come essenza ornamentale, poi diffusasi in tutta l’Europa e l’Asia. Anche in Italia sono riconosciute queste sue peculiarità: lo testimoniano alcuni nomi dialettali (erba del diàvol), alcuni dei quali ne sottolineano anche l’odore sgradevole di topo (erba ratti in Liguria, erba topisera in Piemonte, caca puzza fetente e fetusa in Campania). Essa, però, è nota anche per i suoi bei fiori imbutiformi (tromba dal giudezz in Emilia) e per i suoi frutti spinosi (noce spinosa in Toscana e pomo spinoso nel Veneto).

Stramonio comune

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flora spontanea Vilucchio comune (Convolvulus arvensis). Sfrontato e invadente è il vilucchio, per quel suo intrufolarsi fra la vegetazione delle altre piante, grazie alle foglie a forma di punta di lancia che ne agevolano l’intrusione e al fusto volubile che, con le sue spire, avvolge qualsiasi altra pianta, invischiandola fin quasi a soffocarla. Il vilucchio è munito di apparato radicale rizomatoso, tramite il quale si riproduce; un ulteriore metodo di riproduzione è affidato a grossi semi (3 mm), scuri e rugosi. Questi ultimi sono contenuti in capsule globose e appuntite derivanti dalla maturazione di fiori imbutiformi (le campanelle), spesso decantati dai poeti: “Primavera vien danzando / vien danzando alla tua porta. / Sai tu dirmi che ti porta? / Ghirlandette di farfalle, / campanelle di vilucchio / quali azzurre, quali gialle; / e poi rose a fasci e a mucchi” (Angiolo Silvio Novaro). Visnaga maggiore (Ammi majus). La pianta adulta assume la classica struttura delle Ombrellifere (o Apiacee), così chiamate perché formano infiorescenze tipo ombrelle, con molti raggi di uguale lunghezza, che partono tutte dallo stesso punto alla sommità dei rami. All’estremità superiore di ogni raggio originano altri raggi più corti che portano in cima fiorellini biancastri. I fiori si trasformano in piccoli frutti (mericarpi) accoppiati (diacheni), contenenti ognuno un seme. La visnaga predilige le stazioni aride e sabbiose: il suo nome scientifico, infatti, deriva dal latino ammos = sabbia. Il fusto è robusto e tenace, le foglie sono simili nella forma a quelle del sedano, e perciò la specie è conosciuta anche con il nome volgare di “sedano” o “prezzemolo selvatico”. La sua distribuzione geografica interessa le regioni italiane centro-meridionali, con una maggiore frequenza nei campi di patata primaticcia, dalla Sicilia alla Puglia, passando per la Campania.

Vilucchio comune

Visnaga maggiore

Zigolo infestante (Cyperus rotundus). Simile di aspetto complessivo a una graminacea, in realtà questa specie appartiene alla famiglia delle Ciperacee, caratterizzata da piante con fusto pieno e generalmente a sezione triangolare, differenti dalle graminacee, che invece hanno fusto vuoto e con sezione circolare. Predilige le zone umide, come il congenere papiro (Cyperus papyrus). Si trova più spesso nei terreni alluvionali sciolti, dove può sviluppare facilmente i tuberetti e i rizomi radicali tramite i quali si riproduce, dal momento che nelle condizioni climatiche italiane difficilmente la pianta riesce a maturare seme germinabile. Questo tipo di riproduzione porta a una diffusione a chiazze o, come si suol dire, a macchia di leopardo, a cominciare dai margini dell’appezzamento per poi penetrare più in profondità, e nei casi più gravi l’erba può interessare tutto il campo, come accade in alcune località pugliesi e campane.

Zigolo infestante

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Gestione delle malerbe Gabriele Rapparini, Giovanni Campagna

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coltivazione Gestione delle malerbe Evoluzione delle tecniche colturali La tecnica colturale adottata nei confronti di questa coltura particolarmente sensibile alla competizione delle malerbe si è ulteriormente affinata nel corso degli ultimi anni, prevedendo una semina anticipata e una maggiore distanza tra le file per migliorare la pezzatura dei tuberi e anche il controllo delle malerbe stesse. Il contenimento delle infestanti deve essere integrato da misure agronomiche di carattere preventivo, come una rotazione almeno quadriennale che preveda preferibilmente la coltivazione del frumento in precessione, oltre a escludere le altre solanacee. Non sono da trascurare inoltre le fertilizzazioni organiche, o in alternativa coltivazioni da sovescio, insieme a un’equilibrata concimazione minerale. La preparazione anticipata del terreno nell’autunno precedente è necessaria per le particolari esigenze relative alla struttura del suolo; la minuziosa sistemazione dei terreni al fine di favorire il deflusso delle acque in eccesso è ugualmente indispensabile per gettare le basi di un’ottimale coltivazione. Nei terreni argillosi, in particolare, l’aratura estiva non può essere abbandonata nell’intento di ridurre i costi di gestione. Determinante risulta l’eliminazione chimica delle malerbe dal letto di semina con il ricorso ad applicazioni di devitalizzanti sistemici come glifosate. La lentezza con la quale la coltura compie le prime fasi vegetative e quindi raggiunge la piena copertura del terreno è uno dei principali motivi per cui si deve instaurare una corretta tecnica colturale

Interventi erbicidi

• Per il diserbo della patata si rendono

necessari numerosi interventi erbicidi a causa della limitata competitività della coltura e della recrudescenza delle infestazioni di graminacee e dicotiledoni. Si inizia dall’assolcatura autunnale e si continua con applicazioni di pre-semina di glifosate, intervenendo poi in post-semina o post-rincalzatura con prodotti residuali a base di pendimetalin, flufenacet, metazaclor e del più recente clomazone, addizionati di metribuzin e aclonifen. La serie dei trattamenti in post-emergenza va poi completata con applicazioni singole o frazionate di metribuzin in miscela con i numerosi graminicidi fogliari o, più efficacemente ancora, con il più completo rimsulfuron

Intervento di diserbo chimico Intervento di rincalzatura meccanica effettuata a 90 cm di interfila

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gestione delle malerbe per ottimizzare il contenimento delle malerbe. L’utilizzo alla semina di tuberi-seme pregermogliati è una tecnica che permette di ridurre i tempi di emergenza. Le assolcature, essendo causa di una maggiore instabilità della superficie del terreno e di una maggiore superficie di contatto con l’atmosfera, riducono la concentrazione di erbicidi per unità di superficie favorendo lo sviluppo delle malerbe. Un’efficiente assolcatura, in grado di determinare la formazione regolare del profilo delle prose, è un’ottima premessa per ottenere i migliori risultati nel diserbo, in quanto pareti instabili e franose non fanno altro che aumentare i quantitativi di erbicidi trascinati da particelle di terreno sul fondo del solco lasciando sguarnite le pareti. A tal proposito si è diffusa la tecnica della formazione delle prose a 90 cm con macchine specifiche dotate anteriormente di organi fresanti per l’affinamento del terreno e di un dispositivo baulatore posteriore. Inoltre le sarchiature, abbinate alle rincalzature al fine di riportare terreno sulle prose rimodellandole per proteggere i tuberi dal freddo e per favorire il loro accrescimento, devono prevedere una limitata movimentazione di terreno onde evitare di danneggiare

Strategie di lotta integrata alle malerbe della patata Rotazione

Almeno quadriennale

Diserbo effettuato in pre-emergenza

Cereali vemini in precessione

Impostazione strategie preventive di lotta verso malerbe perenni e di difficile contenimento Preparazione terreno

Aratura

Efficiente rete scolante Impostazione colturale

Preparazione anticipata delle prose

Devitalizzazione malerbe in pre-semina

Efficiente sarchia-rincalzatura a 90 cm di interfila Diserbo di pre-emergenza in funzione della presumibile infestazione Diserbo di post-emergenza in funzione delle malerbe presenti (scouting) e della tecnica colturale utilizzata (irrigazione ecc.) Disseccamento pre-raccolta

Ottimizzazione fasi di raccolta e qualità tuberi

Diserbo effettuato in pre-semina

Contenimento malerbe sfuggite (evitare disseminazioni)

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coltivazione l’apparato radicale superficiale. I migliori effetti si ottengono con malerbe ai primi stadi di sviluppo, prima che abbiano sviluppato un consistente apparato radicale, avendo cura di evitare il verificarsi di piogge poco dopo l’intervento, che potrebbero consentire l’attecchimento delle infestanti sarchiate. Si possono eseguire un paio di interventi in post-emergenza sulla base della particolare situazione floristica, ponendo particolare cura nelle coltivazioni biologiche. La pratica irrigua risulta indispensabile per una pataticoltura di qualità, a causa dell’apparato radicale superficiale e dotato di limitata capacità di penetrazione ed estrazione dell’acqua. Viene eseguita per aspersione con ali piovane o a più bassa intensità con minirrigatori (mini-sprinklers) in alternativa al più moderno ricorso alle manichette, che consente di ottenere una maggiore uniformità di bagnatura e un più costante approvvigionamento di umidità da parte della patata, previo utilizzo dei filtri che impediscono ai semi delle malerbe di raggiungere i terreni coltivati. L’irrigazione, pur essendo una pratica indispensabile, crea un ambiente di coltivazione particolarmente propizio all’emergenza scalare delle infestanti e al rigoglioso sviluppo delle specie macroterme. Un importante ruolo nel diserbo della patata viene svolto dai trattamenti preventivi eseguiti in pre-emergenza dopo l’ultima rincalzatura, allo scopo di contenere le sempre più diffuse infestazioni di Fallopia convolvulus e di altre dicotiledoni, mentre in post-emergenza si può ultimare la lotta verso le malerbe a foglia larga ed effettuare quella più specifica verso graminacee annuali e perenni.

Particolare di Fallopia convolvulus parzialmente devitalizzata

Infestazione di Fallopia convolvulus

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gestione delle malerbe Evoluzione della flora infestante L’anticipo della semina per poter allungare il ciclo e migliorare le produzioni comporta un maggior rischio di infestazione di malerbe a nascita di fine inverno, come crucifere e poligonacee, oltre a quelle primaverili. In primo luogo, risultano sempre più problematiche e diffuse le infestazioni di Fallopia convolvulus e Polygonum lapathifolium. Sempre presenti risultano le più competitive Chenopodium album e Amaranthus retroflexus tra le dicotiledoni, ed Echinochloa crusgalli tra le graminacee. Particolare attenzione va riservata, tra queste ultime, alle specie a ciclo pluriennale come Sorghum halepense, Agropyron repens e Cynodon dactylon, che con lo sviluppo dei loro rizomi possono deformare i tuberi. Tra le malerbe a foglia larga, Solanum nigrum riveste un ruolo determinante ai fini non solo della lotta, ma anche della prevenzione della diffusione di agenti patogeni, anche se per la sua affinità botanica con la patata ne risulta particolarmente arduo il contenimento. Altre specie che risultano in diffusione per la loro rusticità e difficoltà di lotta sono Abutilon theophrasti, Ammi majus, Daucus carota, Datura stramonium, Xanthium strumarium e altre composite. Particolare importanza assumono le rotazioni per contenere le insidiose infestazioni delle malerbe perenni a foglia larga diffusesi con le lavorazioni ridotte, come Convolvulus, Calystegia e Cirsium, ma anche quelle di Cuscuta, non sempre controllabile efficacemente, al punto da costituire talvolta un limite per la coltivazione.

Indicazioni

• In presenza delle diffuse infestazioni

di Echinochloa crus-galli (giavone) si debbono applicare in pre-emergenza le miscele di flufenacet + metribuzin, in grado di contenere anche le infestanti dicotiledoni, rafforzando l’azione verso Solanum nigrum con pendimetalin o verso Fallopia convolvulus con aclonifen

• Le difficili infestazioni di Fallopia

convolvulus (poligono convolvolo) devono essere contenute con l’impiego delle miscele preventive a base di pendimetalin, aclonifen, metazaclor e metribuzin nelle diverse combinazioni di trattamento, in grado di controllare la nascita della maggior parte delle altre dicotiledoni

• Le nascite più tardive di Solanum

nigrum (erba morella) possono essere contenute con l’impiego di miscele contenenti il fondamentale pendimetalin in addizione ai più attivi metazaclor o clomazone, o alla combinazione di flufenacet + metribuzin

• Nei confronti di infestazioni miste

di Fallopia convolvulus, Amaranthus retroflexus e Solanum nigrum, i migliori risultati si possono ottenere con la quadruplice miscela di aclonifen + metribuzin + linuron + pendimetalin, di cui quest’ultimo consente di contenere anche le pericolose infestazioni di cuscuta

Infestazione di Echinochloa crus-galli

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coltivazione Strategie di intervento: i trattamenti erbicidi Per ottemperare a una buona tecnica di diserbo chimico della patata, riveste una fondamentale importanza l’azzeramento delle malerbe in pre-semina con i devitalizzanti fogliari. La successiva applicazione di erbicidi residuali dopo l’ultima rincalzatura in pre-emergenza della coltura si esegue con dosi medio-elevate di più prodotti residuali miscelati tra loro, come flufenacet, pendimetalin, linuron, aclonifen, clomazone o metribuzin, quest’ultimo più indicato a valorizzare i trattamenti di postemergenza in miscela con rimsulfuron allo scopo di contenere contemporaneamente la maggior parte delle malerbe graminacee e a foglia larga. Flufenacet insieme a pendimetalin contribuisce a contenere anche le più problematiche infestazioni di S. nigrum. Inoltre, pendimetalin consente di contenere lievi infestazioni di Cuscuta, oltre a migliorare il contenimento di graminacee, chenopodiacee e poligonacee. Per allargare lo spettro d’azione e ridurre i rischi di danni alla coltura dovuti a elevati dosaggi di principio attivo, che come si sa sono legati a una selettività di tipo stratigrafico o di posizione (in condizioni ideali gli erbicidi formano un film in superficie, mentre le radici della patata si sviluppano indisturbate più in profondità), si tendono a utilizzare complesse miscele di più principi attivi, scelti sulla base delle presumibili malerbe. L’applicazione degli erbicidi residuali subito dopo l’ultima rincalzatura con terreno ancora fresco risulta determinante sia per ottimizzare l’attivazione in assenza di pioggia, sia per la migliore stratificazione del prodotto sul terreno. Applicazioni tardive eseguite poco prima dell’emergenza dei germogli espongono maggiormente la coltura a rischi di fitotossicità, in particolare se si verificano abbondanti piogge su terreni sciolti. In questi casi è da preferire l’impiego di metribuzin, parzialmente selettivo per via fogliare. Al contrario, se il terreno è secco e grossolano si va incontro a lievi perdite dei principi attivi erbicidi, ma soprattutto a una mancata

Infestazione in pre-emergenza

• L’ottimizzazione del contenimento delle infestanti in pre-emergenza è possibile mediante interventi effettuati dopo l’assestamento del terreno e, se non piove entro 7 giorni dall’applicazione, è consigliabile effettuare una leggera irrigazione per aspersione (5-10 mm di acqua)

• Tale intervento è utile anche 3-4

giorni prima delle applicazioni di post-emergenza, qualora le condizioni meteorologiche siano caratterizzate da siccità ed elevate temperature

Diserbo della patata: disponibilità di principi attivi autorizzati in pre-emergenza dal Ministero della Sanità e dosi di etichetta

Infestazione di graminacee

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Diserbanti

Dosi l o kg/ha di f.c.

Flufenacet (Cadou wp)

0,6-0,8

Pendimetalin (Stomp 330E)

3-4

Aclonifen (Challenge)

2,5-3

Clomazone (Command 36CS)

0,25-0,3

Linuron (Afalon DS)

1,5-2

Metribuzin (Sencor WG, Mesozin DF)

1,5-2

Metazaclor (Butisan S)

1-2


gestione delle malerbe attivazione degli stessi; in questi casi occorrerebbe provvedere con una lieve irrigazione. Nel caso di elevate infestazioni sarebbe opportuno intervenire prima della rincalzatura, allo scopo di non seppellire malerbe che poi potrebbero riemergere non controllate dagli erbicidi residuali, e non potrebbero nemmeno essere contenute in postemergenza perché troppo sviluppate. Nel caso in cui dopo gli interventi residuali nascano molte malerbe, è possibile intervenire in post-emergenza per il controllo delle malerbe a foglia larga con rimsulfuron e metribuzin, il primo dei quali risulta più attivo, oltre che verso le graminacee, nei confronti di amarantacee, crucifere e, parzialmente, verso Solanum alle prime fasi di sviluppo. Metribuzin rimane la base per le applicazioni estintive da effettuarsi con malerbe allo stadio cotiledonare; deve essere utilizzato con precauzione sulle varietà più sensibili. Inoltre con l’impiego di metribuzin, allo scopo di migliorare il grado di efficacia, è consigliabile intervenire su malerbe particolarmente idratate, per esempio dopo piogge o interventi irrigui, o prima che si asciughi la rugiada al mattino presto. In questi casi occorre ridurre le dosi di impiego in quanto anche la coltura può risultare un po’ più sensibile.

Infestazione tardiva

• Nella coltura irrigua della patata che

si infesta tardivamente con malerbe estive, tra cui Echinochloa crusgalli e le più comuni dicotiledoni (Amaranthus retroflexus, Fallopia convolvulus, Polygonum lapathifolium), si rende necessario intervenire in post-emergenza con i più attivi graminicidi specifici in miscela con metribuzin. Risultati più completi sulle dicotiledoni si possono ottenere con la miscela di metribuzin + rimsulfuron, da anticipare nei primi stadi di sviluppo delle infestanti o intervenendo con applicazioni frazionate

Strategie di intervento preventive (pre-emergenza o prericaccio dopo l’ultima rincalzatura)

+

Prodotti

Dosi in l o kg/ha f.c.

Principali infestanti controllate

Butisan S

1

Graminacee, Amaranthus, P. persicaria, Portulaca, Labiate, Solanum, Matricaria, Merculiaris

Stomp 330 E + Sencor WG

2,5 + 0,5

+ Chenopodium, crucifere, graminacee, Solanum, Portulaca, Cuscuta

o Challenge + Stomp 330 E

1+ 2-2,5

+ Fallopia, Chenopodium, Polygonum, Solanum, Portulaca, Cuscuta

Stomp 330 E + Sencor WG

2,5-3 + 0,5

Solanum, P. aviculare e P. Iapathifolium, Echinicloa, Chenopodium, Amaranthus, Portulaca, Cuscuta

Stomp 330 E + Challenge + Sencor WG

2,5-3 + 1,5-2 + 0,5

Solanum, Fallopia, P. aviculare e P. Iapathifolium, Echinocloa, Chenopodium, Amaranthus, crucifere, Portulaca, Cuscuta

Command 36CS

+

0,3

Graminacee, Chenopodium, crucifere, P. aviculare

Stomp 330 E

2,5-3

+ Solanum, Chenopodium, P. aviculare, P. Iapathifolium, Portulaca, Cuscuta

o Challenge

1,5-2

+ Fallopia, Chenopodium, crucifere, composite, Polygonum

o Stomp 330 E + Challenge

2,5-3 + 1,5-2

Per infestazioni più difficili compresa Cuscuta

2,5 + 0,8 + 1,5 + 0,5

Solanum, Fallopia, P. aviculare e P. Iapathifolium, Echinocloa, Chenopodium, Amaranthus, Portulaca, Cuscuta

Stomp 330 E + Afalon + Challenge + Sencor WG

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coltivazione Erbicidi di possibile impiego per i trattamenti di post-emergenza Diserbante

Dosi l o kg/ha di f.c.

Rimsulfuron (Titus)

0,04-0,06

Metribuzin (Sencor WG, Mesozin DF)

0,5-0,6

Graminacidi specifici Fluazifop-butile (Fusilade Max)

1-2 2,5*

Quizalofop-p-etile (Leopard 5EC)

1-1,5 1,5*

Propaquizafop (Agil)

0,8-1,2 1,5*

Ciclossidim (Stratos)

0,75-1,25 2-2,5*

Ciclossidim (Stratos ultra)

1,5-2,5 4-5*

* Dosi indicate per il disseccamento di Sorghum halepense da rizoma

Verso la generalità delle infestanti graminacee è possibile disporre di un’ampia gamma di graminicidi specifici, dotati di elevata selettività ed efficacia in tutti gli stadi di sviluppo della coltura.

Prove di confronto tra trattamenti eseguiti in pre-emergenza

Disseccamento della vegetazione in pre-raccolta L’epoca di raccolta viene determinata sulla base di parametri che considerano il peso volumico, la sostanza secca e il contenuto in zuccheri riducenti dei tuberi. Altri aspetti empirici sono la consi-

Infestazione tardiva con malerbe estive Infestazione di Cuscuta

530


gestione delle malerbe stenza dell’epidermide e la senescenza della foglia. È opportuno evitare di ritardare eccessivamente la raccolta per non causare l’inverdimento dei tuberi affioranti, il germogliamento e l’eccessivo ispessimento della buccia. Per ridurre la comparsa di queste problematiche e nel contempo uniformare il grado di maturazione, risulta necessario interrompere l’attività fisiologica della coltura nel momento in cui gli obiettivi di produzione sono stati raggiunti, facilitando nel contempo la maturazione della buccia, così da ridurre i danni durante le fasi di raccolta e di lavorazione, promuovere il distacco dei tuberi dagli stoloni, nonché impedire la migrazione di attacchi di peronospora ai tuberi e la diffusione di virosi. Per fare ciò si può ricorrere alle più blande operazioni meccaniche di rullatura o trinciatura della vegetazione, o ai più radicali interventi di disseccamento della parte aerea, che consentono di devitalizzare le eventuali infestazioni sfuggite al controllo o emerse successivamente a seguito della degradazione degli erbicidi residuali e della riduzione della competitività degli apparati fogliari, mediante la pratica del pirodiserbo o l’applicazione di disseccanti. In presenza di coltura con limitato apparato vegetativo è possibile intervenire direttamente quando le foglie sono ingiallite e senescenti, programmando l’applicazione da circa 7 a 15 giorni prima della raccolta. Con elevato sviluppo vegetativo, in particolare su varietà tardive e in presenza di malerbe vegetanti, potrebbe risultare necessario un doppio intervento, ripetuto a distanza di 5-7 giorni. Qualora vi fosse la necessità di anticipare la raccolta prima del periodo di senescenza fogliare o in presenza di una notevole biomassa, po-

Vistose ustioni fogliari a seguito di applicazioni di post-emergenza

Le miscele di metribuzin con i graminicidi fogliari devono essere applicate durante le ore meno calde e più umide del mattino

531


coltivazione Trattamenti di preraccolta Diserbanti

Sigla di pericolo

Periodo di sicurezza (gg)

Dosi consigliate: l o kg/ha di f.c.

Note

Diquat (Reglone W)

T+

30

4-5

Preferire applicazioni serali assicurando uniforme bagnatura con 300-600 l/ha di acqua

Glufosinate ammonio* (Basta)

n.c.

7

4-5

Utilizzare con 250-300 l/ha di acqua

Carfentrazone (Spotlight)

Xi-N

1

1

Assicurare uniforme bagnatura con 300-600 l/ha di acqua

Glufosinate a.* + carfentrazone

n.c./Xi-N

7

0,5-1 + 0,8

Possibile miscela a più ampio spettro

* Sospeso fino al 30/9/2011

trebbe risultare necessario effettuare una preventiva frantumazione meccanica della vegetazione lasciando una lunghezza degli steli di almeno 10 cm. L’intervento disseccante può essere effettuato alle medesime dosi di applicazione, potendo ridurre sensibilmente il volume di acqua, 2-4 giorni dopo la trinciatura.

Disseccamento in pre-raccolta

• Il disseccamento in pre-raccolta

della patata con glufosinate ammonio (diserbante sospeso fino al 30/9/2011), carfentrazone o miscele degli stessi in differenti rapporti di dose si rende necessario per regolarizzare il grado di maturazione dei tuberi, oltre che per il contenimento delle malerbe sfuggite al controllo durante il periodo estivo

Pirodiserbo La pratica del pirodiserbo non determina la bruciatura della vegetazione, bensì il suo rapido riscaldamento, che comporta la rottura delle membrane cellulari a seguito dell’ebollizione dei succhi e il conseguente essiccamento dei tessuti. Gli organi preposti alla produzione di calore sono bruciatori a fiamma libera alimentati da GPL, di facile reperibilità (bombole per uso domestico) ed efficiente funzionamento. Le macchine operatrici possono essere di piccole dimensioni, a spalla o carrellate, nel caso di piccoli appezzamenti o in coltura

Trattamento di pre-raccolta

532


gestione delle malerbe protetta. In pieno campo si può far ricorso ad attrezzature più complesse, di tipo portato o semiportato da motocoltivatori o trattrici. Normalmente si utilizza il pirodiserbo in coltivazione biologica a partire dal disseccamento del letto di semina fino alla post-emergenza e all’eventuale disseccamento delle coltivazioni in pre-raccolta, ma non mancano casi di utilizzo in coltivazione tradizionale, nonostante il maggior costo di esercizio rispetto alle strategie meccaniche e chimiche. Colture di successione e di sostituzione Gli erbicidi che si impiegano in particolare sulle colture di patata primaticcia raccolte in maggio-giugno possono costituire una fonte di danno per le colture seminate o anche trapiantate in successione come coltura intercalare di secondo raccolto. Non sussistono in genere rischi con il mais, comprese le più sensibili varietà dei tipi da popcorn e dolci, mentre con altre colture orticole come spinacio, fagiolo o fagiolino, insalate ecc., occorre prestare particolare attenzione agli erbicidi e alle loro dosi di impiego, soprattutto nei confronti di metribuzin. È molto più raro che permangano livelli di residui biologicamente attivi pericolosi per le colture che seguono nell’anno successivo. In ogni caso, l’aratura o altre energiche lavorazioni eseguite in profondità riducono i rischi di danno per le colture più sensibili. Per tutti gli erbicidi residuali, invece, possono sussistere rischi di danno per le colture che eventualmente andassero a sostituire la patata diserbata in pre-emergenza, quando risulti irreparabilmente compromessa da danni climatici o patologici.

Stadio vegetativo delle infestanti oltre il quale i trattamenti di post-emergenza con miscela di rimsulfuron + metribuzin non danno buoni risultati

Disseccamento effettuato 10 giorni prima dell’inizio delle operazioni di raccolta

533


la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Parassiti animali Francesco Pennacchio, Antonio Pietro Garonna

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Parassiti animali Introduzione In tutti gli ambienti italiani di coltivazione la patata è esposta agli attacchi di una nutrita schiera di insetti, in parte indigeni e in parte acquisiti per accidentale introduzione. Alcuni fitofagi risultano particolarmente temibili negli ambienti in cui la coltivazione è ripetuta ogni anno e, contro di essi, risulta indispensabile ricorrere a tecniche di difesa atte a ridurre le perdite produttive. La patata può essere danneggiata durante le fasi di coltivazione anche da nematodi e, occasionalmente, da roditori.

Tignola della patata

• Nelle aree coltivate a patata comune, con il disseccarsi della parte aerea, si registra un progressivo attacco sui tuberi con perdite quantitative e qualitative

• Nel corso dell’anno la tignola compie 6-8 generazioni, con voli non ben distinti

Tignola (Phthorimaea operculella) Lepidottero della famiglia Gelechiidae originario delle aree subtropicali americane, attualmente è cosmopolita (Paesi mediterranei, Africa, India, Australia, America centrale e meridionale). Si ritiene che la Phthorimaea operculella sia entrata in Italia, insediandosi, in occasione del secondo conflitto mondiale. La tignola è infeudata a solanacee spontanee e coltivate, con preferenza per patata e tabacco. Le larve sono endofitiche: scavano mine nelle foglie e nei fusti di diverse solanacee, e nel caso della patata possono infestare gravemente i tuberi, sia in campo sia in magazzino, rendendoli non commerciabili. In seguito all’attacco larvale si sviluppano batteriosi che determinano il disfacimento molle dei tuberi. Il lepidottero è omodinamo, pertanto la durata e il numero di

• La diffusione della tignola avviene principalmente tramite i tuberi di patata. In essi la maggior parte delle larve trascorre l’inverno

• Le patate novelle sfuggono quasi

totalmente all’attacco della tignola

• Nelle zone di patata bisestile il danno può essere particolarmente grave sulla parte aerea verde, con ricadute negative sulla produttività

Attacco di tignola su tubero

Foto R. Angelini

534


parassiti animali generazioni che compie annualmente sono strettamente correlati alle condizioni termiche registrate nelle differenti aree dell’attuale distribuzione geografica. Osservazioni svolte in Italia centromeridionale hanno evidenziato che la specie può compiere 6-8 generazioni all’anno, con massima presenza e dannosità durante il periodo estivo-autunnale. Gli adulti, crepuscolari, volano con almeno 16 °C e manifestano un netto idrotropismo. La longevità degli adulti varia a seconda della stagione in cui si svolge il ciclo biologico, da pochi giorni nel periodo estivo a oltre un mese in autunno. Gli adulti di questo gelechide hanno ali anteriori molto strette, grigie con macchioline nerastre nel tratto prossimale (apertura alare 10-17 mm), e ali posteriori di colore grigio uniforme. Le larve sono di colore biancastro, con capo, pronoto e scuto anale bruni; la crisalide, rossastra, è racchiusa in un bozzoletto bianco che ingloba particelle di varia natura (residui vegetali, terreno). Le uova, anch’esse biancastre, sono deposte singolarmente o in gruppetti in punti più o meno rugosi, screpolati o infossati delle piante ospiti, in numero di 80-200 per femmina. Durante l’attività di scavo, la larva usa tappezzare le gallerie con un secreto sericeo. In campo, la larva dalle foglie passa ai fusti o ai tuberi, dove la galleria inizia quasi sempre in corrispondenza dell’infossamento delle gemme, evidenziando un piccolo opercolo sericeo a imbuto. L’incrisalidamento avviene all’esterno del tessuto vegetale. Lo svernamento, in genere, si verifica allo stadio larvale nei tuberi variamente conservati, negli imballaggi, nelle maglie dei sacchi, e nelle fessure di muri e pavimenti dei locali di stoccaggio.

Foto R. Angelini

Adulto di tignola

Foto A. Pollini

Foto R. Angelini

Gallerie larvali di tignola scavate nei tuberi Adulti e crisalidi di tignola

535


coltivazione

Dorifora della patata

• La conoscenza dello zero di sviluppo

della dorifora (12 °C) e della somma termica (330-335° giorno) necessaria al compimento di un ciclo permette una più efficace gestione del controllo delle popolazioni

• Tentativi di lotta biologica possono

essere effettuati mediante l’impiego di Podisus maculiventris, un eterottero pentatomide che attacca le larve di dorifora

• Le differenti popolazioni di questo

parassita diffuse in Eurasia e Nordamerica manifestano resistenza a oltre 40 sostanze insetticide

Larve di tignola su tuberi e danni

• Nelle aree di solito infestate dal fitofago

Un altro lepidottero gelechide, la Tuta absoluta, originaria del Sudamerica, è stato di recente segnalato in Italia. Si tratta della temibile minatrice del pomodoro, che può arrecare gravi perdite di produzione a questa ortiva e, in misura minore, interessare le altre solanacee coltivate. Come riportato per altre aree geografiche, T. absoluta è in grado di attaccare la patata, limitatamente alla parte epigea, su cui si manifestano le tipiche mine a chiazza irregolare. Contrariamente alla tignola della patata, questa specie non infesta i tuberi e, nel complesso, i danni sono da considerarsi trascurabili. Il lepidottero è presente su varie solanacee spontanee, come Solanum, Datura, Nicotiana e Lycium, che fungono da pericoloso serbatoio della specie.

può essere necessario intervenire precocemente su larve neonate con bioinsetticidi o prodotti chitinoinibitori

Foto R. Angelini

Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata) Coleottero della famiglia Chrysomelidae di origine nordamericana (Colorado), la Leptinotarsa decemlineata è arrivata in Europa nel corso dell’Ottocento, dove si è definitivamente insediata negli anni successivi al primo conflitto mondiale, periodo in cui furono segnalate gravi infestazioni in Francia. In Italia la specie è arrivata in Piemonte nel 1944, per poi diffondersi in pochi anni su tutto il territorio nazionale, con l’eccezione della Sardegna. È attualmente distribuita in gran parte dell’Europa, fuorché nel Regno Unito e in parte della Scandinavia, mentre continua la sua espansione verso il Medio Oriente e l’Asia centrale. La dorifora, facilmente riconoscibile per le elitre giallastre dotate ciascuna di 5 linee nere, si sviluppa anche su varie solanacee coltivate, ma la patata resta la sua pianta preferita, consentendole

Erosioni di dorifora su fiore

536


parassiti animali Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Adulti, larve appena schiuse e uova di dorifora

un ciclo di sviluppo più breve e fecondità maggiori. Gli adulti e le larve di questo crisomelide si alimentano delle foglie della patata e, potenzialmente, sono in grado di provocare la distruzione totale della parte aerea della pianta, compromettendo così la produzione di tuberi. Nei climi più miti la specie è in grado di svolgere due generazioni complete all’anno. Sverna nel terreno come adulto in diapausa,

Danni da dorifora

Larve di dorifora

Foto R. Angelini

537


coltivazione ad almeno 20 cm di profondità. Nei mesi di aprile e maggio gli adulti riprendono l’attività biologica alimentandosi voracemente. Con valori termici di 16 °C iniziano gli accoppiamenti e, successivamente, le deposizioni. Ogni femmina depone in 1-2 settimane da 700-800 fino a 2000 uova. Le uova, allungate e di colore giallo-rossiccio, sono deposte in gruppetti di 15-40 elementi sulla pagina inferiore delle foglie. Dopo un’incubazione di 4-15 giorni, nascono le larve, che completano lo sviluppo in 15-25 giorni, dopodiché si infossano nel terreno scavando cellette d’impupamento a 5-15 cm di profondità. I nuovi adulti dell’anno compaiono agli inizi di luglio, per diffondersi sulle colture circostanti, dando origine a una seconda generazione che si completa in settembre.

Foto R. Angelini

Ferretti (Agriotes spp.) Si tratta di specie di coleotteri della famiglia Elateridae, con ampia distribuzione territoriale, appartenenti al genere Agriotes (litigiosus, ustulatus, sordidus, brevis), dotati di marcata polifagia, potendo vivere a spese di diverse colture erbacee cerealicole, ortive e industriali. I danni maggiori sono causati dalle larve endofite, che erodono gli organi sotterranei creando fori molto caratteristici in radici e tuberi. Il nome comune deriva dal colore giallastrorugginoso delle larve, dotate di tegumento coriaceo e forma allungata. Lo sviluppo larvale per completarsi può richiedere più anni (da 2 a 4-5 anni). Generalmente gli elateridi adulti svernano nel terreno, da cui escono tra marzo e aprile, per volare, soprattutto di notte, sulle piante, di cui erodono le foglie e i fusti, ricercando siti di ovideposizione. Vengono preferiti terreni umidi e ricoperti di vege-

Adulti e uova di dorifora

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Adulti di dorifora in accoppiamento Larva di elateride o ferretto

538


parassiti animali Foto A. Pollini

Elateridi

• Gli attacchi di elateridi si verificano

in terreni freschi e ricchi di sostanza organica, soprattutto nei campi coltivati a patata in successione a prati polifiti e/o di leguminose

• L’attacco alle coltivazioni di solito non è uniforme, bensì si manifesta a chiazze

• Per la lotta agli elateridi è consigliabile evitare di irrigare in prossimità della raccolta, così da non stimolare la risalita delle larve eventualmente presenti; risulta inoltre molto utile effettuare ampie rotazioni, includenti specie meno suscettibili a questi fitofagi (come cereali e brassicacee)

Larve di elateridi o ferretti

tazione. Ciascuna femmina depone nel terreno in media 90 uova circa, in gruppetti di 5-6 unità, a pochi centimetri di profondità. Le larve schiudono in giugno, dopodiché penetrano nelle radici e nei tuberi più o meno profondamente, talora forando i tuberi da parte a parte. Per sfuggire alla siccità estiva e ai rigori invernali le larve possono approfondirsi anche fino a 40-50 cm. Gli essudati vegetali e le emissioni di CO2 radicali sono potenti attrattivi per le larve. Varietà di patata tardive in presenza di irrigazioni ritardate e/o piogge estive possono subire attacchi notevoli.

Foto A. Pollini

Foto R. Angelini

Adulto di Agriotes lineatus Erosioni da ferretti su tubero appena escavato

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coltivazione

Nottue terricole

• Le infestazioni primaverili sono le più

pericolose perché interessano piante giovani che vengono facilmente troncate

• L’osservazione diretta sulla coltura,

oltre a fornire dati precisi sull’effettiva consistenza dell’attacco, segnala le imprevedibili pullulazioni di agrotidi

• Con infestazioni localizzate e a bassa

Larva di nottua terricola del genere Agrotis

densità il controllo delle larve può essere affidato all’impiego di esche avvelenate

Nottue terricole (Agrotis ipsilon, A. segetum) Agrotis ipsilon è un lepidottero della famiglia Noctuidae ampiamente diffuso nelle regioni temperato-calde e subtropicali degli emisferi Nord e Sud, noto anche come black cutworm. È una specie migratrice caratterizzata da spostamenti ciclici dagli areali meridionali verso le latitudini più settentrionali. Queste migrazioni possono dare luogo a pullulazioni larvali imprevedibili, con danni talora ingenti. Agrotis segetum ha un areale di distribuzione meno esteso, limitato alla zona paleartica. Le nottue sono dotate di straordinaria polifagia, e sono in grado di svilupparsi in ogni ambiente su numerose specie coltivate e spontanee. I terreni freschi, umidi e ricchi di vegetazione sono i preferiti dalle femmine ovideponenti di questa specie. I danni consistono in erosioni provocate dalle larve (di colore grigio piombo) al colletto e alle radici, con successivi disseccamenti della parte aerea, e ai tuberi più superficiali. Il numero di generazioni varia da 2 a 4 a seconda della latitudine. Le specie svernano allo stadio larvale o di crisalide; in tarda primavera le femmine depongono fino a 2000 uova in piccoli gruppi, alla base delle piante ospiti. Lo sviluppo larvale varia in durata dai 45 giorni, nella stagione più calda, ai 5 mesi circa in quella invernale.

Foto A. Pollini

Larva di Agrotis segetum

Foto A. Pollini

Adulto di Agrotis segetum Uova di Agrotis segetum

540


parassiti animali Schema di olociclo dioico di Myzus persicae

Ospite primario

Afidi

d

c

Primavera

Estate

a

Inverno

Autunno

• Le varie specie di afidi sono in grado

f

e

b

di dare luogo a numerose generazioni nel corso dell’anno

Ospite secondario g

• Concimazioni equilibrate e irrigazioni

i j

misurate impediscono indesiderate pullulazioni afidiche

h

• Per la difesa è opportuno realizzare un efficace sistema di monitoraggio delle migrazioni primaverili-estive di questi fitofagi

a) uovo; b) fondatrice; c) attera virginopara; d) alata migrante; e-g) forme attere ed alate sugli ospiti secondari; h) sessupare attera (maschile) ed alata (femminile); i) femmina anfigonica; j) maschio alato

• È da evitare la trasmissione di virus

Afidi Macrosiphum euphorbiae è la specie che si riscontra con maggiore frequenza nelle aree pataticole italiane e a essa si accompagnano Myzus persicae e, più saltuariamente, Aulacorthum solani. Essi sono noti con il nome comune di “afidi verdi”. Occasionalmente è presente sulla patata anche l’afide nero, Aphis fabae, dotato di un elevato grado di polifagia. La prima specie citata è nota come “afidone della patata e del pomodoro”, per le notevoli dimensioni delle femmine partenogenetiche (4-5 mm), che presentano una colorazione verde tendente al giallastro o al rossastro. L’afidone ha un’ampia distribuzione geografica e presenta notevole polifagia. M. euphorbiae è caratterizzato da un ciclo dioico, con ospiti primari rappresentati, tra gli

alle coltivazioni di tuberi-seme mediante distruzione anticipata dei cespi

• Nella lotta ai diversi fitofagi della

patata occorre tenere conto della numerosa coorte di specie entomofaghe che tengono a freno le popolazioni afidiche

Attacco di afidi

Foto R. Angelini

541


coltivazione Foto R. Angelini

Prevenzione, monitoraggio e lotta ai fitofagi

• Alcune misure preventive per

monitorare e contrastare i fitofagi sono le seguenti: – impiego di tuberi-seme sani e pregermogliati – carotaggi del terreno per la stima della popolazione larvale dei ferretti – ricorso a operazioni agronomiche rivelatesi utili a questo scopo, come sarchiature e rincalzatura – utilizzo di insetticidi a minore impatto (per esempio B. thuringiensis) nella difesa dai fitofagi epigei – evitare di lasciare i tuberi maturi nel terreno oltre i normali tempi di raccolta

Afidi

altri, da Rosa, Euphorbia e Lycium. Gli ospiti secondari sono costituiti da solanacee, cucurbitacee, composite e numerose piante ornamentali. Svolge cicli biologici diversi in funzione delle condizioni climatiche presenti, con prevalenza di anolocicli partenogenetici nei climi miti degli areali orticoli italiani. M. persicae, noto come “afide verde del pesco”, nella patata non raggiunge livelli di popolazione elevati; è tuttavia molto temuto quale vettore di virus (soprattutto CMV e PYV). Svolge il suo ciclo dioico tra i Prunus, gli ospiti primari, e numerose erbacee come ospiti secondari, tra cui, in particolare, le solanacee. Questo fitofago è anche temuto per la capacità di compiere lunghe migrazioni, potendo diffondersi in aree molto vaste. In Italia meridionale le sue popolazioni possono mantenersi da un anno all’altro mediante anolociclo. A. fabae è un’altra specie dioica che presenta come ospiti primari l’evonimo e il viburno, e come ospiti secondari decine di specie botaniche appartenenti a varie famiglie. Si addensa in fitte colonie sulla pagina inferiore delle foglie lungo gli apici vegetativi. A. gossypii compie un olociclo dioico tra Hibiscus, Rhamnus, Catalpa e numerose erbacee come ospiti secondari, tra cui in particolare le solanacee e le cucurbitacee. Nelle regioni meridionali più calde si riproduce con anolocicli sugli ospiti secondari e con paracicli su quelli primari. Le infestazioni afidiche causano tipici danni diretti, che consistono in sottrazione di linfa ed emissione di melata (con successivo sviluppo di fumaggine), deformazione dei germogli, accartocciamento delle foglie e deperimento generale, e i più temuti danni indiretti, che consistono nella trasmissione e nella diffusione di virosi, non tollerabili nei campi di moltiplicazione della patata da seme. I virus trasmessi sono: PVX (virus X della patata), PVY (virus Y della patata) e PLRV (virus dell’accartocciamento della patata).

• Per la lotta vera e propria

è talora necessario ricorrere a geodisinfestazione o esche avvelenate per la difesa dalle specie terricole

Colonia di Macrosiphum euphorbiae, afidone verde delle solanacee

542


parassiti animali Grillotalpa (Gryllotalpa gryllotalpa) Ortottero ensifero dotato di zampe anteriori fossorie adatte allo scavo, è ampiamente distribuito a livello paleartico. Nell’areale di distribuzione coesistono diverse entità specifiche di grillotalpa (Gryllotalpa gryllotalpa in senso lato), distinguibili tra loro per alcuni caratteri morfologici e per il numero di cromosomi, anche se la biologia delle singole specie non si differenzia sostanzialmente. Le specie sono onnivore, cibandosi di bulbi, semi, tuberi, insetti terricoli e lombrichi. I danni si verificano a carico degli organi ipogei delle piante, a causa dello scavo sia di gallerie di alimentazione e di riproduzione, sia dei nidi di dimora e di ovideposizione. I grillotalpa infestano di preferenza terreni umidi e ricchi di humus, realizzando una sola generazione ogni due anni. Gli adulti si accoppiano in superficie, in aprile-maggio, e ciascuna femmina depone, in una camera di terra compressa e agglutinata con liquidi di rigurgito, da 200 a 300 uova, che schiudono dopo una ventina di giorni. Gli stadi giovanili, inizialmente gregari, si nutrono di detriti vari e radichette, trascorrendo il successivo inverno nello stadio di terza età. Gli adulti compaiono nella primavera successiva, ma si riprodurranno solo nell’anno seguente.

Grillotalpa

• I grillotalpa infestano di preferenza

terreni umidi e ricchi di humus; si tratta di fitofagi onnivori che si cibano di bulbi, semi, tuberi, insetti terricoli e lombrichi

• L’utilizzo di esche a base di crusca e/o

riso, avvelenate con insetticidi persistenti, durante il periodo di maturazione delle uova è un efficace sistema di lotta

Difesa integrata dai parassiti animali Per salvaguardare il reddito economico e ottenere raccolti di qualità è necessario adottare misure di controllo efficaci e a basso impatto ambientale. È buona norma non trascurare i provvedimenti agronomici preventivi (avvicendamento, lavorazioni, scelta varietale, periodo di semina, distruzione dei residui colturali ecc.) e applicare la difesa chimica e microbiologica, quando essa diventa indispensabile per contrastare popolazioni elevate di questi temibili fitofagi. Nell’ottica dell’integrazione dei mezzi di controllo, anche la lotta biologica ha un suo spazio. Per esempio, gli entomofagi degli afidi sono abbastanza numerosi, e tra essi si ricordano coleotteri

Danno da grillotalpa

Adulto di grillotalpa

543


coltivazione coccinellidi come Adalia bipunctata e Coccinella septempunctata, i ditteri sirfidi e cecidomidi, i neurotteri crisopidi e gli imenotteri parassitoidi appartenenti alle famiglie Braconidi e Afelinidi, alcuni dei quali sono commercializzati a questo scopo. Numerosi sono anche gli antagonisti della dorifora che sono stati oggetto di prove di lotta biologica, purtroppo senza esito. Sono stati fatti tentativi per perfezionare l’impiego dell’eterottero predatore Podisus maculiventris, abbinato al rilascio del suo feromone di aggregazione, per migliorarne l’efficacia predatrice. Anche il controllo naturale della tignola è largamente insufficiente per un valido contenimento dei danni; inoltre, i tentativi di lotta biologica con l’imenottero poliembrionico Copidosoma koehleri non hanno dato i risultati sperati. I feromoni sessuali come mezzi biotecnici sono utilizzati per la loro indubbia efficacia, soprattutto per il monitoraggio del volo degli adulti delle specie di lepidotteri sopra descritte.

Foto R. Angelini

Crisalide di Acherontia atropos

Interventi al terreno Le rotazioni poliennali favoriscono una drastica riduzione dei problemi causati dai parassiti animali. In comprensori specializzati l’alternativa resta la geodisinfestazione o il ricorso a varietà maggiormente resistenti. I ferretti e le nottue terricole possono danneggiare direttamente i tuberi: perciò, in caso di necessità, vanno contenuti con geodisinfestanti. È utile ricordare che si crea un ambiente sfavorevole alle larve anche mediante operazioni agronomiche, come le sarchiature. In molti casi è necessario accertare preventivamente, mediante carotaggi, la popolazione larvale dei ferretti presente e, al superamento della soglia economica d’intervento, procedere alla geodisinfestazione localizzata con prodotti liquidi o granulari. Nel caso del grillotalpa raramente si deve ricorrere a tale pratica. Di norma questo fitofago si contrasta mediante l’utilizzo di esche, a base di crusca o di riso, avvelenate con insetticidi persistenti, che vengono sistemate di sera in prossimità degli imbocchi delle gallerie, nel mese di aprile, quando le femmine maturano le uova e sono particolarmente voraci. Il controllo delle infestazioni localizzate e a bassa densità di larve di agrotidi va anch’esso affidato all’impiego di esche avvelenate, distribuite su terreno umido.

Foto R. Angelini

Larva di Acherontia atropos

Foto R. Angelini

Protezione della parte epigea Importanza strategica riveste il controllo degli afidi per la difesa delle coltivazioni di tuberi da seme, che in Italia sono praticate in ambienti sfavorevoli a questi fitomizi (zone di montagna dove prevale l’olociclo con popolazioni primaverili esenti da virus) e vengono raggiunte dalle migrazioni di individui infetti solo in estate avanzata. Le misure da adottare comprendono interventi di natura agronomica (isolamento delle coltivazioni, equilibrata concimazione, distruzione anticipata dei cespi) e lotta integrata (oli minerali e aficidi, superfici riflettenti o coperture di polietilene).

Adulto di Acherontia atropos

544


parassiti animali La lotta alla dorifora può essere impostata in vario modo. L’uso di Bacillus thuringiensis Berliner ceppo tenebrionis è indicato su larve giovani di prima e seconda età. È valido l’uso di chitinoinibitori o di sostanze attive di nuova sintesi (per esempio semicarbazoni), che hanno sostituito i vecchi insetticidi a cui la dorifora risulta resistente in vario grado. La gestione del controllo della dorifora si può basare su di un modello fenologico di sviluppo, costruito attraverso il calcolo delle temperature giornaliere, i cosiddetti “gradi-giorno” (°G), utili all’evoluzione del ciclo biologico della specie. Lo zero di sviluppo individuato per il coleottero è pari a 12 °C e la somma dei gradi-giorno necessari al compimento di una generazione risulta pari a 330-335 °G. L’uso di tale modello consente di individuare con maggiore precisione la finestra temporale d’intervento, in modo da sincronizzarlo con la presenza dello stadio di sviluppo più sensibile. La lotta alla tignola inizia a partire dalle precauzioni agronomiche (tuberi-semi esenti da infestazione, tuberi pre-germogliati e anticipo di semina, rincalzatura, eliminazione di solanacee spontanee, distruzione dei residui colturali alla fine del ciclo). Il monitoraggio si avvale di trappole feromoniche di forma opportuna (trappole a pannelli incrociati e invischiati), con relativa soglia di cattura per stabilire il momento dell’intervento. Alla cattura di 30 maschi/trappola/settimana si procede con l’impiego di un insetticida endoterapico. Sulle colture di patata bisestile la soglia critica è maggiore: 70 adulti/trappola/settimana in settembre-ottobre. Per evitare l’attacco ai tuberi può essere utile ricorrere alla pacciamatura del terreno con film plastico nero. Le larve fillofaghe delle nottue fogliari, come Helicoverpa armigera e Autographa gamma, che raramente provocano defogliazioni intense, sono in genere tenute sotto controllo dai trattamenti antitignola e antidorifora. Contro tutti i lepidotteri è possibile l’uso dei ceppi kurstaki e aizawai del B. thuringiensis.

Foto R. Angelini

Cimici

Foto R. Angelini

Ninfa di Nezara viridula

Controllo in magazzino In magazzino i tuberi possono subire attacchi gravi, tali da estendere il danno di campo, se il materiale da stoccare non viene sottoposto ad accurata cernita e viene mantenuto a temperature di conservazione non adeguate. Lo sviluppo di popolazioni di P. operculella è impedito da temperature inferiori a 10 °C. In magazzino anche i trattamenti con anidride carbonica, usata come antigermogliante, hanno effetto disinfestante in funzione antitignola. L’attacco da parte di roditori (topi e ratti) viene evitato attraverso sistemi di esclusione/chiusura integri ed efficienti, o mediante l’impiego di sostanze rodenticide, nel caso in cui si evidenzino danni visibili, segno di popolazioni insediate stabilmente in magazzino. Rodenticidi efficaci e di facile impiego sono gli anticoagulanti a dose singola (brodifacoum, difenacoum ecc.).

Attacco di tignola della patata su prodotto immagazzinato

545


la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Nematodi Nicola Greco, Mauro Di Vito

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Nematodi I nematodi sono dei vermetti microscopici difficilmente visibili a occhio nudo che vivono in ambienti molto vari, quali mari, laghi, fiumi e terreno. Diverse specie possono essere rinvenute anche negli animali, come insetti, uccelli, pesci e mammiferi (uomo incluso), spesso come causa di gravi malattie. Delle specie presenti nel terreno molte hanno rilevanza economica, perché patogeni di piante coltivate. La maggior parte dei nematodi che attaccano la patata misura circa 0,5-1,5 mm di lunghezza e 20-40 µm di diametro. Fanno eccezione le femmine e le cisti di Globodera spp., oltre alle femmine di Meloidogyne spp., le quali misurano circa 0,5-0,8 mm di diametro. Questi organismi attaccano solo le parti sotterranee della pianta e possono persistere sia nel terreno sia nei tuberi, con i quali si sono diffusi nei continenti. Sebbene siano molte le specie di nematodi rinvenute nella rizosfera della patata, solo pochi gruppi di esse causano danni di rilevanza economica. A livello mondiale i più importanti sono i nematodi cisticoli, Globodera rostochiensis e G. pallida; quelli galligeni, Meloidogyne incognita, M. javanica, M. arenaria, M. hapla, M. chitwoodi e M. fallax; quelli delle lesioni, Pratylenchus spp.; i nematodi degli steli e dei bulbi, Ditylenchus dipsaci e D. destructor; e il falso nematode galligeno, Nacobbus aberrans. Gli attacchi dei nematodi agli organi sotterranei della patata non causano sintomi specifici sulla parte aerea, la quale può presentare uno sviluppo stentato, seguito da ingiallimento, prematura senescenza e scarsa produzione. Ciò è dovuto al fatto che le ra-

Nematodi della patata

• I nematodi della patata attaccano in

misura minore anche melanzana e pomodoro, sui quali, però, raramente causano danni

• Poiché i sintomi da essi causati sulla

parte aerea delle piante di patata non sono specifici, spesso la scarsa produzione o la morte anticipata delle piante vengono erroneamente attribuite a scarsa fertilità e a carenza idrica del terreno. Pertanto, una diagnosi precisa potrà essere fatta solo osservando le radici ed effettuando con metodi appropriati l’estrazione dei nematodi da terreno, radici, stoloni e tuberi

I nematodi cisticoli sono originari delle Ande e si sono diffusi nelle più importanti aree pataticole del mondo

Foto R. Angelini

546


nematodi dici soggette all’attacco sono meno efficienti, restano più superficiali e, pertanto, più sensibili alla siccità. Inoltre, gli attacchi dei nematodi possono favorire quelli di altri patogeni tellurici. Nematodi cisticoli

Nematodi cisticoli (Globodera rostochiensis e G. pallida) Sono tra i nematodi più dannosi e più studiati a livello mondiale, e sono compresi tra gli organismi di quarantena da molti Paesi. Originari delle Ande, attualmente sono diffusi in tutte le maggiori aree pataticole del mondo. Si pensa che siano stati introdotti in Europa con l’importazione di tuberi di patata e che dal Vecchio continente si siano poi diffusi in tutto il mondo. Sino al 1972 si conosceva solo la specie Heterodera rostochiensis, rinvenuta per la prima volta presso Rostock, in Germania, alla quale fu dato il nome comune di “nematode dorato della patata” per via della colorazione giallo oro che assumono le femmine mature prima di trasformarsi in cisti. Nel 1973 si osservò che le femmine di alcune popolazioni del nematode presenti nel Regno Unito non assumevano la tipica colorazione giallo oro, ma rimanevano bianco crema. A queste popolazioni, differenti anche per altri caratteri morfometrici, fu dato il nome di H. pallida. Successivamente (1975) le specie di nematodi cisticoli con femmine globose furono trasferite nel genere Globodera, per cui oggi conosciamo due specie di nematodi cisticoli della patata: G. rostochiensis e G. pallida.

• In pieno campo, possono essere

osservate anche a occhio nudo (o con una lente di ingrandimento) le femmine mature, di colore giallo oro o bianco crema, e le cisti (di colore bruno) dei nematodi cisticoli infisse sulle radici delle piante di patata: è sufficiente scrollarle delicatamente per eliminarne il terreno, a partire dal momento della fioritura

• In vasi in serra gli stessi stadi sono

evidenti a partire da 30-40 giorni dopo l’emergenza delle piante. Nelle radici possono essere osservati i vari stadi di sviluppo del nematode

Biologia e patotipi Presentano un dimorfismo sessuale accentuato, in quanto fra gli adulti le femmine sono globose e sedentarie, mentre i maschi sono vermiformi e migratori. Inoltre, sono caratterizzati dal fatto di Danni da nematodi cisticoli

Foto R. Angelini

• Prove in microparcelle hanno

dimostrato che in varie parti del mondo il limite di tolleranza della patata ai nematodi cisticoli è di circa 1,9 uova/g di terreno

• Con l’accrescersi delle popolazioni

nel terreno, le produzioni si riducono progressivamente sino ad azzerarsi intorno a 64 uova/g di terreno

• In genere, sino a livelli di popolazione di 32 uova/g di terreno (che possono causare perdite di produzione del 50%), durante i primi 2-3 mesi dall’emergenza delle piante non sono visibili sintomi sulla parte aerea delle piante stesse

Pataticoltura del Fucino

547


coltivazione possedere un particolare stadio del loro ciclo, la ciste, che chiude il ciclo vitale e rappresenta lo stadio di sopravvivenza di questi nematodi. La ciste contiene alcune centinaia di uova (200-300), le quali si schiudono in condizioni ambientali favorevoli e solo in presenza degli essudati radicali della pianta ospite. Pertanto, dopo la semina della patata, non appena il tubero emette le radici, le uova si schiudono, stimolate dagli essudati (o diffusati radicali), lasciando emergere le larve di secondo stadio del nematode. Queste, lunghe 450-500 µm e del diametro di circa 20 µm, si dirigono verso gli apici delle radici, degli stoloni o anche verso i giovani tuberi; vi penetrano e si insediano nel cilindro centrale della radice, nella zona cambiale o negli strati esterni del tubero, ove sono presenti i vasi conduttori. Subito dopo, le larve perdono la loro mobilità e diventano sedentarie. L’azione trofica del nematode induce gli organi attaccati a formare 4-8 cellule nutrici intorno alla testa del nematode, a spese delle quali il nematode si nutre. Ogni cellula nutrice è il risultato della fusione di diverse cellule contigue che dà origine a un sincizio costituito da cellule polinucleate. Le cellule sinciziali hanno la parete esterna ispessita e sono metabolicamente molto attive e ricche di citoplasma. La formazione delle cellule sinciziali è indispensabile per lo sviluppo del nematode. La larva di secondo stadio muta tre volte, divenendo larva di terzo e quarto stadio e infine adulto. Proseguendo nello sviluppo, da filiforme la larva diviene via via sempre più globosa. Le femmine adulte rimangono sedentarie con la zona cefalica e il collo conficcati negli organi attaccati, dai quali sporge il loro corpo con espo-

Diffusione in Italia dei nematodi cisticoli della patata. R = Globodera rostochiensis; P = Globodera pallida R R R

R R, P R

R, P R

R, P

Diffusione dei nematodi cisticoli

• In Italia i nematodi cisticoli della patata sono presenti nelle regioni del Nord e del Sud, e sono particolarmente dannosi in Abruzzo (conca del Fucino), Campania (provincia di Napoli), Puglia (province di Bari e Foggia), Calabria (altopiano della Sila, nelle province di Cosenza e Catanzaro) e Sicilia (agro di Siracusa)

• Nelle altre regioni essi sono presenti in

aree piuttosto limitate, anche se spesso a livelli dannosi

Diversità di forma e dimensione dei diversi stadi di sviluppo dei nematodi cisticoli della patata

548


nematodi sta la zona perineale, comprendente le aperture anale a vulvare. Le femmine mature e le cisti misurano all’incirca 500-800 µm di diametro. I maschi adulti, invece, tornano a essere vermiformi (circa 1200 µm di lunghezza e 28 µm di diametro) e migratori, non hanno abito parassitario ma, attratti dalle femmine, le fecondano. Dopo l’accoppiamento, il maschio è destinato a morire, mentre la femmina produce alcune centinaia di uova che trattiene nel suo corpo. Quando le condizioni ambientali divengono sfavorevoli (alta o bassa temperatura, siccità, senescenza della pianta ospite) la femmina ispessisce la sua cuticola, la quale, impregnata di sostanze polifenoliche ossidate, diviene ciste e assume una colorazione rosso-bruna. La ciste non si alimenta e si stacca facilmente dagli organi attaccati, potendo persistere per 5-6 anni. Al suo interno le uova subiscono lo sviluppo embrionale, e dopo circa 2 settimane danno origine a larve di primo e secondo stadio. In campo le femmine sono ben visibili sulle radici dal momento della fioritura, mentre nei vasi in serra (a 18-22 °C) dopo circa 40 giorni. Le uova e le larve restano nelle cisti in uno stadio di diapausa, indotto dalla senescenza della pianta e dagli abbassamenti della temperatura in autunno, e le larve di secondo stadio riprenderanno a sciamare nel terreno solo nella primavera successiva, al ritorno delle condizioni ambientali favorevoli e in presenza degli essudati radicali della nuova coltura. In genere, entrambe le specie compiono una sola generazione per ciclo colturale della patata, in un periodo di un paio di mesi su coltura a semina primaverile. Sulle colture a ciclo lungo e a elevata altitudine è possibile una parziale seconda generazione. Nell’Italia meridionale non sono da escludere attacchi autunnali sulla patata in secondo

Pane di terra di patata coltivata in vaso mostrante numerose femmine giallo-oro di Globodera rostochiensis sulle radici

Radice di patata con femmine bianco crema e cisti brune di Globodera pallida

549


coltivazione raccolto. Emergenza delle larve dalle uova, infezione e sviluppo sono favoriti da temperature intorno ai 18-22 °C e invece repressi da temperature superiori ai 25 °C. Di solito, dopo la semina, già al momento della germogliazione della patata le radici risultano invase dalle giovani larve; perciò, in caso di elevate popolazioni del nematode nel terreno, si può verificare un ritardo nell’emergenza dei germogli. Il tasso di riproduzione del nematode è di circa 50-70 sulle colture a ciclo primaverile-autunnale con raccolta alla maturazione fisiologica, mentre può essere di appena 8-10 sulle colture a ciclo invernale-primaverile e a raccolta anticipata. Il ciclo biologico è simile per le due specie, ma G. pallida sviluppa a temperature più basse di G. rostochiensis e, pertanto, risulta più diffusa nelle aree costiere dell’Italia meridionale, ove prevale la coltivazione della patata precoce. Entrambe le specie attaccano anche i tuberi, sui quali le cisti possono permanere in magazzino ed essere disperse: ciò spiega l’inclusione di queste due specie tra gli organismi di quarantena di molti Paesi. Sia G. rostochiensis sia G. pallida, oltre alla patata, attaccano soltanto altre specie selvatiche di patata e poche altre solanacee, quali pomodoro e melanzana. Comunque, su queste ultime colture i danni si verificano raramente, essendo tipiche colture a ciclo estivo. In assenza di piante ospiti la popolazione del nematode si riduce annualmente di circa il 50% nelle regioni temperate, dove la patata si raccoglie in autunno, e anche dell’80-90% nelle regioni calde, dove la raccolta anticipata avviene entro maggio-giugno. Sia G. rostochiensis sia G. pallida sono caratterizzate dalla presenza di razze denominate patotipi. Finora in Europa sono stati

Radice di patata con femmine giallo oro e cisti brune di Globodera rostochiensis

Giovane tubero di patata con diverse femmine del nematode cisticolo Globodera pallida

550


nematodi caratterizzati 5 patotipi di G. rostochiensis (Ro1-Ro5) e 3 di G. pallida (Pa1-Pa3), differenziabili in base alla riproduzione o meno su di una serie standard di cloni di Solanum spp. In Sudamerica sono presenti anche patotipi differenti da quelli europei. Quanto all’Italia, in passato alcune popolazioni di G. rostochiensis furono caratterizzate come Ro1 e alcune di G. pallida come Pa3. Recentemente, per G. pallida è stata confermata la presenza del patotipo Pa3 ed evidenziata quella del patotipo Pa2, mentre tutte le popolazioni di G. rostochiensis sono risultate come patotipo Ro2.

Lotta contro i nematodi cisticoli

• La lotta contro i nematodi cisticoli

della patata deve essere soprattutto preventiva, basata sull’impiego di tuberi-seme certificati, su idonei avvicendamenti colturali e sull’uso di cultivar resistenti

• È da evitare il reimpiego per la semina

Diffusione, diagnosi e danni I tuberi costituiscono il veicolo più importante per la diffusione dei nematodi. Pertanto, le patate dovrebbero essere commercializzate dopo essere state ripulite del terreno che vi aderisce. Un problema generalmente trascurato è quello dello smaltimento del terreno che via via si accumula presso le aziende che lavorano e confezionano la patata per la vendita. Esso è un concentrato di patogeni provenienti da aree diverse e spesso lontane, e pertanto non dovrebbe essere sparso in campi coltivati prima di un’opportuna sterilizzazione, magari effettuata con il calore. Anche il terreno aderente ad attrezzi agricoli, scarpe e animali contribuisce alla diffusione dei nematodi. Infine, essendo leggere, le cisti sono facilmente trasportate dall’acqua, per cui eventuali irrigazioni per scorrimento e inondazioni sono fonti di diffusione di questi e altri nematodi. La diagnosi può essere fatta facilmente ispezionando le radici in campo, a partire dalla fioritura, per verificare la presenza di

di tuberi prodotti per il consumo. Questi ultimi sono la causa principale della diffusione di molti patogeni della patata, incluse le diverse specie di nematodi endoparassiti

Specie e cloni di Solanum spp. utilizzati per l’identificazione dei patotipi delle popolazioni europee dei nematodi cisticoli della patata, Globodera rostochiensis e G. pallida Solanum spp. (cultivar o clone)

G. rostochiensis1

G. pallida

S. tuberosum (cv. suscettibile)

+

+

+

+

+

S. tuberosum sp. andigena (o cv. Saturna)*

+

+

+

S. multidissectum (P55/7)**

+

+

+

+

+

S. kurtzianum (KTT/60.21.19)

+

+

+

+

+

+

S. vernei (GLKS-58-1642.4)

+

+

+

+

+

S. vernei [(Vt ) 62.33.33]

+

+

Patotipo

Ro1

Ro2

Ro3

Ro4

Ro5

Pa1

Pa2

Pa3

n 2

+ Indica riproduzione della popolazione del nematode saggiata sul clone. – Indica assenza di riproduzione della popolazione del nematode saggiata sul clone. * Specie o cultivar utilizzata solo per le popolazioni di G. rostochiensis. ** Clone utilizzato solo per le popolazioni di G. pallida. 1 Oggi il patotipo Ro4 viene considerato simile a Ro1. Secondo altri autori, i patotipi validi sarebbero Ro1 (ex Ro1 e Ro4), Ro3 (ex Ro2 e Ro3) e Ro5.

551


coltivazione G. rostochiensis

femmine e cisti, a occhio nudo, oppure con l’ausilio di una lente o di uno stereomicroscopio in laboratorio. In assenza di coltura in atto, si può prelevare del terreno dal campo, porlo in vasi e trapiantare tuberi di patata nel periodo autunnale o primaverile. Dopo un paio di mesi si osservano le radici esterne al pane di terra per evidenziare la presenza di femmine e cisti. L’intensità dell’infestazione delle radici darà anche un’idea del grado di infestazione del terreno. Comunque, solo l’analisi del terreno potrà dare indicazioni precise sul grado di infestazione del campo, elemento basilare per prevedere l’entità dei danni e decidere le misure di lotta più idonee. L’analisi del terreno va effettuata con opportuni metodi, quali quello dell’apparato di Fenwick, e il risultato deve essere espresso in numero di uova e larve per grammo di terra. Per accertare l’identità della specie è necessario prelevare delle cisti dalle radici o dal terreno, ed esaminarne le “impronte perineali” dopo avere tagliato la parte terminale delle cisti e averla opportunamente montata su vetrini. Se il numero delle creste cuticolari fra ano e vulva è compreso fra 9 e 12 si tratta di G. pallida; se invece è più elevato (anche 20) si tratta di G. rostochiensis. Questa identificazione è valida a condizione che nell’area non vi siano altre specie di Globodera. Per esempio, in Campania è presente anche G. tabacum, nematode avente impronte perineali simili a quelle di G. pallida, che però non attacca la patata. In ogni caso l’identificazione può essere effettuata con maggiore precisione esaminando altri caratteri morfometrici e con metodi biomolecolari.

Vulva

Ano G. pallida

Vulva Ano Impronte perineali di Globodera rostochiensis e G. pallida. Si noti il differente numero di creste cuticulari fra ano e vulva nelle due specie: circa 8 in G. pallida e circa 20 in G. rostochiensis Coltivazione di patata gravemente danneggiata da Globodera rostochiensis nella conca del Fucino (AQ)

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nematodi Localmente, l’entità dei danni causati da G. rostochiensis e G. pallida può essere rilevante e arrivare alla completa distruzione della coltura. Il limite di tolleranza della patata ai due nematodi è di 1,9 uova/g di terreno, con perdite di produzione del 50% in terreni infestati con circa 32 uova/g (e pressoché in assenza di sintomi evidenti), e del 100% in quelli infestati con 62 uova/g al momento della semina. Lotta La lotta ai nematodi cisticoli è anzitutto preventiva. L’impiego di tuberi-seme certificati per l’assenza di organismi patogeni vari deve costituire la norma. Deve essere vinta, invece, la tentazione di riutilizzare per la semina tuberi prodotti in azienda e senza alcuna garanzia fitosanitaria. Trattandosi di nematodi dalla ristretta cerchia di piante ospiti, l’impiego di avvicendamenti colturali, che escludano la coltivazione di patata, pomodoro e melanzana per 4-5 anni nelle aree temperate, e per 2-3 anni in quelle calde e a clima mediterraneo, è il modo più efficace ed economico per lottare contro questi parassiti. Nelle regioni calde le arature estive del terreno sono di grande aiuto per abbassare più rapidamente le cariche dei nematodi. I nematocidi sono molto efficaci contro i nematodi cisticoli, specie se fumiganti. Il loro impiego, però, oltre alle note implicazioni di ordine ambientale, potrebbe non risultare economicamente conveniente. Buoni risultati, specialmente nelle regioni meridionali, possono essere conseguiti con la solarizzazione del terreno, con la quale si possono raggiungere temperature letali ai nematodi anche a 30 cm di profondità e per diverse settimane. Anche questa tecnica, tuttavia, potrebbe non risultare economica.

Campo di patata gravemente danneggiato da Globodera rostochiensis in Puglia

Danni causati da Globodera pallida in Sicilia in Agro di Siracusa

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coltivazione Cariche di nematodi cisticoli nel terreno alla semina e produzione relativa di tuberi 1

Produzione relativa

0,8 0,6 0,4 0,2 0

0

0,25

G. rostochiensis y = 0,1 + 0,9z P-T T = 1,9; m = 0,1

0,5

1

2

4 8 16 Uova/g di terreno (Pi)

32

64

128

256

512

Sull’asse delle ordinate y è riportata la produzione relativa, dove y = 1 rappresenta la produzione in assenza di danno. Sull’asse delle ascisse x è riportata la carica del nematode alla semina (Pi). T = limite di tolleranza (numero di uova/g di terreno secco) e m = produzione minima relativa, ovvero in presenza di alte cariche del nematode

G. pallida y = 0,03 + 0,97z P-T T = 1,7; m = 0,03

Attualmente sono in commercio cultivar di patata di ottima qualità e resistenti a uno o più patotipi della stessa specie di nematode. La maggior parte delle cultivar è resistente al patotipo Ro1 di G. rostochiensis, ma sono già in commercio cultivar resistenti contemporaneamente a più patotipi. Nei riguardi di G. pallida a oggi sono in commercio solo cultivar parzialmente resistenti. Nei cataloghi, delle cultivar resistenti è indicato il patotipo verso il quale è espressa la resistenza. Perciò è necessario conoscere con precisione la specie di Globodera e il relativo patotipo. Comunque, data la possibile complessità genetica delle popolazioni di questi nematodi, è buona regola non utilizzare ripetutamente cultivar resistenti, perché potrebbero selezionare altri patotipi. Di conseguenza, una rotazione di mezzi di lotta, in un programma di lotta integrata, è consigliabile. In Olanda la lotta è basata principalmente su rotazioni quadriennali o quinquennali, coltivando in un ciclo una cultivar resistente e nel successivo una cultivar suscettibile, preceduta, però, da un trattamento nematocida anche non fumigante. Nematodi galligeni (Meloidogyne spp.) I nematodi galligeni appartenenti al genere Meloidogyne sono tipici, in quanto sulle radici delle piante attaccate inducono la formazione di galle più o meno vistose. Sono tra i nematodi più diffusi al mondo e sicuramente i più dannosi, anche perché attaccano molte piante coltivate e spontanee. Anch’essi sono caratterizzati da uno spiccato dimorfismo sessuale. Infatti, mentre il maschio adulto è vermiforme, la femmina è saccata. Il maschio misura circa 1100-1300 µm di lunghezza e 30 µm di diametro, mentre la

Microparcelle per lo studio dei danni causati dai nematodi cisticoli della patata. Si noti il differente sviluppo delle piante nelle microparcelle, che hanno cariche diverse di nematodi

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nematodi femmina misura 500-800 µm di lunghezza e 400-600 µm di larghezza. La larva di secondo stadio, simile a quella dei nematodi cisticoli ma più esile, misura 350-500 µm di lunghezza e 13-15 µm di diametro, ed è l’unico stadio infettivo. Gli altri stadi larvali sono sedentari, e presentano dimensioni e forme intermedie tra la larva di secondo stadio e gli adulti.

Nematodi galligeni

• Sono tra i nematodi più diffusi

e dannosi al mondo, oltre che tra i più familiari, in quanto i loro attacchi sono facilmente riconoscibili dalla presenza sulle radici di vistose galle

Biologia e razze fisiologiche Le specie di nematodi galligeni più importanti sono tipiche delle stagioni calde e dei terreni sciolti. Durante l’inverno, in regioni fredde e in assenza di piante ospiti, essi sopravvivono nel terreno soprattutto allo stadio di uova. Comunque, nelle zone a clima mite, come le nostre regioni meridionali, i nematodi galligeni possono svernare nel terreno allo stadio sia di uovo sia di larva di secondo stadio, e negli organi vegetali in tutti gli stadi, incluso quello di adulto. Nel periodo estivo, la sopravvivenza del nematode è assicurata in terreno umido da uova e larve, e in terreno secco esclusivamente da uova. Dopo la semina dei tuberi, dalle uova emergono le larve di secondo stadio, le quali, attratte dalle radici, si dirigono verso gli apici, vi penetrano, preferendo la zona di accrescimento posta subito dietro la cuffia radicale, e migrano verso il cilindro centrale, ove si insediano permanendo sedentarie. In seguito, la larva di secondo stadio subisce tre mute, passando a larva di terzo e quarto stadio, e infine diventando femmina oppure maschio. Quest’ultimo lascia la radice e migra nel terreno alla ricerca delle femmine per fecondarle. Molte specie dei nematodi galligeni si riproducono per partenogenesi. Mentre muta, la larva femmina si ingrossa e da vermiforme diviene sempre più globosa, sino ad assumere dimensioni e forma da adulto. Non appena la larva di secondo stadio si insedia nella radice, questa reagisce formando intorno alla regione cefalica del nematode e all’interno del cilindro centrale 4-8 cellule più voluminose di quelle circostanti, dette cellule giganti, le quali causano interruzione o restrizione dei tessuti vascolari. Il nematode si nutre a spese di tali cellule giganti, le quali pertanto sono indispensabili per il suo sviluppo. Queste cellule sono polinucleate perché la divisione dei nuclei non è seguita da quella cellulare (a differenza dei sincizi nel caso dei nematodi cisticoli); possiedono una parete cellulare ispessita, un citoplasma denso e un’intensa attività metabolica. Inoltre, la radice reagisce alla penetrazione del nematode anche con fenomeni di iperplasia, che conduce alla produzione di un numero abnorme di cellule intorno al corpo del nematode e, quindi, alla formazione della galla. Le femmine adulte depongono le uova (ciascuna fino a circa 1500) in una massa gelatinosa protettiva aderente alla loro estremità posteriore e generalmente sporgente dalla galla. Sul tubero, invece, alcune femmine si riproducono superficialmente a esso (formando delle piccole scaglie),

• Delle circa 100 specie descritte, finora in Italia tra quelle dannose alla patata sono da annoverare Meloidogyne incognita, M. javanica, M. arenaria e M. hapla

Danni causati da Globodera pallida in Puglia in agro di Polignano a Mare (BA)

555


coltivazione mentre moltissime si riproducono 4-5 mm all’interno: di conseguenza, sfuggendo a un’osservazione solo superficiale, queste ultime possono diffondere l’infestazione in altri terreni. Le uova, dopo uno sviluppo embrionale che di norma si completa in 15 giorni, sono pronte a schiudersi, e in condizioni favorevoli di umidità e temperatura del terreno e in presenza di radici di patata, le larve di secondo stadio che emergono possono iniziare una nuova generazione. Il ciclo biologico, in condizioni ottimali, può completarsi in 25-30 giorni, e se ne possono avere da 3 a 5 l’anno. Ciò si traduce in un elevato tasso di riproduzione, con grave pregiudizio per le colture successive. Infatti, se all’impianto della coltura la carica nel terreno è di poche uova, 1-5 per cm3, spesso alla fine del ciclo può incrementarsi anche di 1000 volte. Le uova dei nematodi galligeni schiudono anche in assenza della coltura ospite se nel terreno vi è un sufficiente grado di umidità e di temperatura. Pertanto, dopo la coltura, le cariche nel terreno si riducono drasticamente: al 50% già dopo 2 settimane e a circa il 13% dopo un mese. In seguito, durante l’autunno e l’inverno, il declino della popolazione rallenta e si mantiene pressoché costante sino all’inizio della primavera successiva, quando la sua carica nel terreno si riduce al 5-6% di quella presente alla fine della coltura precedente. Avendo una vasta gamma di piante ospiti, in assenza della coltura suscettibile i nematodi galligeni possono riprodursi su moltissime piante infestanti che crescono durante la stagione calda, le quali, perciò, vanno tenute sotto controllo. Delle circa 100 specie di nematodi galligeni, le più diffuse e importanti, sia nel mondo sia in Italia, sono M. incognita, M. javani-

Danni da nematodi galligeni in Italia

• In Italia i danni alla patata da nematodi galligeni non sono frequenti, ma potrebbero divenire significativi con i cambiamenti climatici

• Essi sono generalmente trascurabili

sulle colture con semina a fine inverno o a inizio primavera, mentre possono risultare notevoli sulla patata in secondo raccolto seminata a fine estate

Radice di patata seminata a settembre a Portici (NA) con numerose galle causate dal nematode galligeno Meloidogyne incognita, osservate a dicembre (da Russo et al., 2007)

Foto G. Russo

556


nematodi ca, M. arenaria e M. hapla. Le prime tre specie hanno esigenze termiche simili e in genere restano inattive con temperature del terreno inferiori a 18 °C. La temperatura ottimale per lo sviluppo è compresa tra 25 e 28 °C. Un comportamento simile ha M. hapla nel bacino del Mediterraneo, mentre le popolazioni nordamericane di questa specie prediligono temperature più basse. Sono inoltre da annoverare, perché danneggiano la patata, M. chitwoodi e M. fallax. La prima specie è stata rinvenuta per la prima volta nel Nord-Est degli Stati Uniti ed è presente anche in Europa, mentre M. fallax è presente in Belgio e in Olanda. Queste ultime due specie sono considerate organismi di quarantena dall’Unione Europea. Per alcune specie di Meloidogyne è accertata la presenza di razze fisiologiche in base alla loro riproduzione su di una serie di piante standard. Sinora sono state identificate quattro razze di M. incognita, denominate razze 1, 2, 3 e 4; due razze di M. arenaria, denominate razze 1 e 2; mentre di M. hapla e M. javanica non è stata identificata alcuna razza. Nel complesso, tutte le razze sono in grado di danneggiare la patata. In Italia sono presenti le razze 1 e 2 di M. incognita e la razza 2 di M. arenaria. Anche per le specie di Meloidogyne è importante la conoscenza delle razze per adottare idonei avvicendamenti colturali e scegliere cloni o cultivar di patata resistenti.

Piante ospiti

• I nematodi galligeni hanno una vasta

gamma di piante ospiti. Pertanto, in assenza di coltura suscettibile essi possono riprodursi su moltissime piante infestanti estive, le quali, perciò, vanno tenute sotto controllo

Entità dei danni

• Nei Paesi a clima temperato i danni da

nematodi galligeni, come Meloidogyne chitwoodi, spesso sono di scarsa entità in campo mentre divengono importanti durante la conservazione in magazzino, in quanto l’attività del nematode porta alla deformazione dei tuberi

Diagnosi e danni I sintomi sulla parte aerea sono aspecifici e simili a quelli degli altri nematodi. Sulle radici, invece, sono evidenti le galle, di varie dimensioni. Sui tuberi, in prossimità della maturazione, sono presenti numerose escrescenze, e spesso è possibile vedere, con l’ausilio di una lente di ingrandimento, le masse di uova. A volte già a fine coltura possono osservarsi protuberanze sui tuberi. Purtroppo, lievi infestazioni all’interno dei tuberi possono sfuggire all’analisi ed essere causa di diffusione di questi nematodi. L’identificazione della specie è possibile esaminando al microscopio le impronte perineali delle femmine e altri caratteri morfometrici delle stesse, oltre che delle larve e dei maschi. Per l’identificazione di molte specie oggi si può ricorrere a tecniche di biologia molecolare. Anche per i nematodi galligeni è bene determinare la carica di uova e larve nel terreno prima di iniziare una nuova coltura, al fine di adottare idonee misure di lotta. I danni causati dai nematodi galligeni possono essere ingenti, sino alla distruzione della coltura. Il limite di tolleranza a M. incognita della patata con semina a fine estate è di 1,2 uova/cm3 di terreno, e le perdite di produzione possono arrivare al 50% in terreni infestati con 32 uova/cm3 e all’80% in terreni infestati con oltre 128 uova/cm3. Inoltre, forti infestazioni deprezzano anche la qualità dei tuberi, poiché questi mostrano diverse aree necrotiche e marcescenti in prossimità dell’attacco del nematode.

Foto E. Vlachopoulos

Escrescenze su tubero di patata conseguenti a infezione da M. javanica in Grecia

557


coltivazione In Italia danni da nematodi galligeni possono essere maggiormente evidenti sulla patata in secondo raccolto seminata in agostosettembre, specialmente se in successione a una coltura estiva suscettibile a questi organismi. Tali attacchi possono causare sia la crescita stentata sia la deturpazione dei tuberi qualora le temperature dovessero rimanere favorevoli ai nematodi anche dopo la formazione dei tuberi stessi, evento non comune. In tal caso i danni sono di ordine sia quantitativo sia qualitativo. La continuazione dello sviluppo delle specie di Meloidogyne presenti in Italia nei tuberi in magazzino è da escludere, a condizione che, al momento in cui inizia la formazione dei tuberi, la temperatura scenda a livelli non favorevoli ai nematodi (15-18 °C). Sulla patata a semina primaverile, invece, le perdite di produzione di tuberi sono trascurabili, in quanto la temperatura del terreno diviene favorevole a infezione e sviluppo del nematode solo tardivamente. In questo caso, però, specialmente nelle regioni meridionali, diverse larve possono penetrare nei tuberi verso la fine del ciclo senza manifestare alcun sintomo alla raccolta (maggio-giugno), continuando successivamente a svilupparsi e riprodursi in magazzino nel periodo estivo, con conseguente deformazione dei tuberi.

Foto G. Russo

Tuberi di patata infestati da Meloidogyne incognita mostranti diverse protuberanze che ne deprezzano la qualità (da Russo et al., 2007)

Specie di piante differenziali utilizzate per l’identificazione delle razze fisiologiche dei nematodi galligeni Meloidogyne spp. Piante differenziali e relative cultivar Cotone Deltapine

Tabacco NC 95

Peperone California wonder”

Anguria Charleston Grey

Arachide Florunner

Razza 1

–*

+

+

+

+

Razza 2

+

+

+

+

Razza 3

+

+

+

+

Razza 4

+

+

+

+

+

Razza 1

+

+

+

+

Razza 2

+

+

M. javanica

+

+

–/+

+

+

M. hapla

+

+

+

+

Specie e razza del nematode

Pomodoro Rutgers

M. incognita

M. arenaria

* (–) pianta resistente, (+) pianta suscettibile, –/+ pianta suscettibile ad alcune popolazioni del nematode.

558


nematodi Lotta Tutti i suggerimenti forniti a proposito dei nematodi cisticoli sono validi anche per quelli galligeni. Tuttavia, per questi ultimi potrebbe risultare difficile suggerire idonei avvicendamenti colturali, data l’ampia gamma di piante ospiti delle diverse specie. Inoltre, sebbene la resistenza ai nematodi galligeni sia stata identificata anche in nuovi cloni, il reperimento di questi sul mercato potrebbe non essere sempre agevole. Nelle zone infestate, semine e raccolte primaverili anticipate sono da preferire a quelle della patata in secondo raccolto. La lotta alle malerbe estive dovrebbe essere pratica di routine.

Foto G. Russo

Ditylenchus spp. Le specie che potrebbero causare danni alla patata sono Ditylenchus destructor e D. dipsaci. Ditylenchus destructor è noto come il nematode del marciume dei tuberi e attacca solo le parti sotterranee. Ditylenchus dipsaci, invece, è conosciuto come il nematode dei bulbi e degli steli, e attacca soprattutto le parti aeree delle piante e quelle sotterranee superficiali come bulbi, tuberi e radici di riserva (carota e barbabietola), ma non quelle normali. Sono specie endoparassite migratrici; morfologicamente si presentano come aghi o piccolissime anguillule. Gli adulti sono lunghi 1000-1400 µm, con diametro di 35-40 µm e coda appuntita. Il campo laterale presenta sei linee in D. destructor e quattro in D. dipsaci. Il bulbo faringeo è tipicamente a fiasco in D. dipsaci e leggermente lobato in D. destructor. Lo stiletto è piuttosto esile (10-12 µm), per cui i nematodi preferiscono penetrare nei tessuti

Sezione di tubero in corrispondenza delle protuberanze, mostrante diversi stadi di sviluppo e uova del nematode Meloidogyne incognita, di cui il riquadro mostra un ingrandimento delle femmine (da Russo et al., 2007)

Relazione fra cariche di Meloidogyne incognita nel terreno alla semina e produzione relativa di tuberi 1 Relazione fra cariche di Meloidogyne incognita nel terreno alla semina e produzione relativa di tuberi di patata, in base al modello di Seinhorst, su di una coltura a ciclo autunnale (settembre-dicembre). T = limite di tolleranza (numero di uova/cm3 di terreno); m = produzione relativa minima. Da Russo et al., Nematologia Mediterranea 2007;35:29-34

Produzione relativa

0,8 0,6 0,4 y = 0,2 + 0,8z P-T m = 0,2 T = 1,2

0,2 0

0

0,5

1

2

4 8 16 Uova/cm3 di terreno (Pi)

32

64

128

559

256


coltivazione dell’ospite attraverso aperture naturali quali le lenticelle presenti nei tuberi, nelle vicinanze degli occhi. La diagnosi può essere fatta con certezza estraendo i nematodi dal terreno o dalle parti infette. Purtroppo mentre l’identificazione a livello di genere è piuttosto agevole, quella a livello di specie effettuata in base ai caratteri morfometrici è complicata dal fatto che il genere comprende oltre 60 specie. In ogni caso, almeno per le specie più importanti, la caratterizzazione biomolecolare può risultare molto utile alla diagnosi specifica. Entrambe le specie, D. destructor e D. dipsaci, sono frequenti soprattutto nelle regioni a clima temperato o comunque nelle stagioni fresche. Sebbene si tratti di nematodi molto dannosi, grazie soprattutto all’impiego di tuberi-seme certificati oggi i danni sono piuttosto trascurabili nei Paesi ad agricoltura evoluta, e non ci sono segnalazioni di danni evidenti in Italia, anche quando la patata viene coltivata in campi ove è presente la specie D. dipsaci. Di questa sono note circa 30 diverse razze, ognuna delle quali si riproduce su di una cerchia ristretta di piante. Sembra che le razze italiane non danneggino la patata. Comunque, trattandosi di nematodi che si sviluppano a temperature piuttosto basse, 15-20 °C, spesso i danni più gravi si verificano non tanto in campo quanto in magazzino, ove questi nematodi potrebbero continuare a riprodursi e causare marciumi piuttosto secchi, infossamenti della buccia e screpolature dei tuberi che divengono invendibili. Entrambe le specie sono polifaghe e i loro ospiti comprendono anche ife fungine e piante spontanee che svolgono un ruolo importante per la loro conservazione in assenza della coltura

Ditylenchus spp.

• Ditylenchus destructor e D. dipsaci

sono considerati tra i nematodi più dannosi a molte colture e sono in grado di arrecare gravi danni anche alla patata

• Tuttavia, nei Paesi ad agricoltura

evoluta i danni sono inesistenti o trascurabili e, in genere, l’impiego di tuberi sani costituisce una garanzia contro la diffusione dei nematodi e assicura buone produzioni di patate

Esemplari di Ditylenchus dipsaci estratti da tessuti infetti, in sospensione acquosa

560


nematodi ospite principale. Possono compiere diverse generazioni all’anno e, pertanto, raggiungono tassi di riproduzione elevati, sino a 1000×. Allo stesso modo, però, nel terreno (ma non negli organi infetti delle piante) le popolazioni si riducono rapidamente in assenza di piante ospiti. In ambienti secchi (compreso il terreno) D. dipsaci sopravvive come larva di quarto stadio quiescente, mentre D. destructor per lo più come uovo negli organi infestati e meno nel terreno. Entrambe le specie possono essere diffuse con i tuberi infetti e con movimenti di terra, in qualsiasi modo essi avvengano. Pertanto, l’impiego di seme sano e l’adozione di idonee rotazioni che escludano la coltivazione della patata e di altre piante ospiti per 3-4 anni si stanno dimostrando efficaci nel contenere i danni di questi nematodi (che per D. dipsaci, in Italia, sono gravissimi su altre piante ospiti, quali varie bulbose, fragola, fava, erba medica e carota). Non sono disponibili cultivar di patata resistenti. Nematodi delle lesioni (Pratylenchus spp.) Sono nematodi endoparassiti migratori noti come nematodi delle lesioni. Al genere Pratylenchus appartengono circa 80 specie, ognuna caratterizzata da ampia cerchia di piante ospiti, sia coltivate sia spontanee. Le specie più importanti per la patata sono P. penetrans, P. crenatus, P. neglectus, P. andinus, P. flakkensis, P. coffeae e P. vulnus. Si tratta di specie piuttosto piccole, di 500-800 µm di lunghezza e circa 20 µm di diametro, aventi la parte anteriore del corpo tronca e quella posteriore di foggia varia. Sono diffuse in tutto il mondo e in regioni climatiche diverse. Penetrano nelle radici e negli organi sotterranei, nei quali, muovendosi, causano la morte delle cellule parenchimatiche di cui si alimentano, lasciando intravedere dall’esterno delle aree necrotiche. Pertanto, le radici attaccate mostrano imbrunimenti più o meno estesi a seconda dell’intensità dell’infestazione, mentre sui tuberi infetti si notano diversi punti necrotizzati. A volte sui tuberi i sintomi sono simili a quelli causati dalla scabbia polverulenta. Nei campi infestati si notano aree più o meno estese nelle quali le piante mostrano crescita stentata. Spesso danni da Pratylenchus sono segnalati in Nordamerica e sulle Ande. In Europa non sembrano esserci gravi problemi, sebbene in Norvegia siano stati osservati campi con vaste chiazze di piante dalla crescita stentata. Oltre che diretti, i danni possono essere anche indiretti. Infatti, in Israele danni da P. mediterraneus sono stati osservati in quanto il nematode favorisce le infezioni da Verticillium dahliae. In Italia danni da Pratylenchus alla patata sono stati segnalati solo sporadicamente, sebbene alcune specie, quali P. neglectus, P. penetrans e P. vulnus, siano diffuse. La diagnosi può essere fatta osservando i sintomi sulle radici e soprattutto estraendo i nematodi dagli organi infetti e dal terreno.

Tuberi di patata infettati da Ditylenchus destructor (in basso) mostranti screpolature e infossamenti

Nematodi delle lesioni

• Diverse specie del genere Pratylenchus sono parassite della patata

• Danni di rilievo sono segnalati

in Canada, Stati Uniti e Paesi andini. In Europa sono stati segnalati danni solo sporadicamente

• Sinora questi nematodi non sembrano costituire un problema per la pataticoltura italiana

561


coltivazione Anche le specie di Pratylenchus possono essere diffuse con i tuberi infetti e con il terreno, in qualsiasi modo esso venga trasportato. Pertanto, l’impiego di tuberi sani per la semina deve essere la norma. In caso di forti infestazioni del terreno, idonee rotazioni, da saggiare caso per caso, e trattamenti con nematocidi vari prima della semina possono risultare efficaci.

Falso nematode galligeno

• Il nematode del rosario, o falso

nematode galligeno (Nacobbus aberrans), costituisce insieme ai nematodi cisticoli un problema molto serio per la pataticoltura di diversi Paesi andini

Falso nematode galligeno (Nacobbus aberrans) A causa delle piccole galle che causa sulle radici delle piante attaccate, spesso simili a quelle causate dai nematodi del genere Meloidogyne, il Nacobbus aberrans viene indicato come falso nematode galligeno. È presente soprattutto nelle Americhe, dove causa danni gravi a diverse colture da pieno campo. Nell’ambito della specie sono state accertate tre razze. La razza presente in Nordamerica non danneggia la patata, mentre quella presente nei Paesi andini è particolarmente dannosa soprattutto alla solanacea. In Messico è presente una razza capace di danneggiare pomodoro e fagiolo. Al di fuori dell’area citata il nematode è stato segnalato solo sporadicamente, e in Europa solo in serra e mai in campo, per cui è considerato un organismo da quarantena in quanto, attaccando anche i tuberi, con questi può diffondersi a lunghe distanze. Nacobbus aberrans è polifago e si riproduce anche su piante infestanti, sulle quali è molto comune in Bolivia e Perú, in particolare su Asperula arvensis. Dalle uova emergono le larve di secondo stadio (lunghe 350-400 µm e del diametro di circa 20 µm) che penetrano nelle radici capillari, a spese delle quali si nutrono attivamente. Le larve subiscono

• La presenza del nematode al di

fuori del continente americano non è certa. Nacobbus aberrans è comunque considerato un nematode da quarantena dalla legislazione fitosanitaria di molti Paesi

Foto A. Troccoli

Foto J. Franco

Esemplari adulti di Pratylenchus sp. Piccole galle causate da infestazioni di Nacobbus aberrans in Bolivia

562


nematodi due mute, divenendo pre-adulti (quarto stadio). Allo stadio di preadulti lasciano le radici per invaderne altre, nelle quali causano prima piccole necrosi e poi le galle. Successivamente le femmine immature (lunghe 476-1143 µm e del diametro di circa 25 µm) diventano mature (500-1660 µm di lunghezza), vengono fecondate e iniziano a deporre uova in una massa gelatinosa all’esterno della radice. Tutti gli stadi giovanili sono in grado di infettare sia le radici sia i tuberi. A secondo della razza e dell’ospite, il ciclo biologico può completarsi in 25-30 giorni e sono possibili diverse generazioni per ciclo della coltura ospite (almeno due sulla patata nei campi andini). Le popolazioni presenti negli Stati Uniti hanno una temperatura ottimale di sviluppo intorno ai 25 °C, mentre quelle presenti sulle Ande sembrano in grado di svilupparsi a temperature inferiori (anche a 15-18 °C). Gli stadi giovanili, i maschi e le femmine immature sono vermiformi e migratori, mentre la femmina matura è piuttosto globosa e sedentaria. Nei tuberi il nematode penetra preferibilmente dalle lenticelle e si insedia nei 2-3 mm esterni, in corrispondenza dei fasci vascolari. Sulla parte aerea, le piante attaccate presentano sintomi tipici di quelle aventi l’apparato radicale menomato, ovvero crescita stentata, ingiallimento, morte prematura e, quindi, scarsa produzione. Sulle radici, invece, l’infezione di larve e femmine induce la formazione di numerose piccole galle a forma di rosario (di qui viene l’altro nome di “nematode del rosario” dato a questa specie). La femmina immatura induce anche la formazione di un sincizio, a spese del quale si nutre. Le galle da N. aberrans sono spesso confuse con quelle da Meloidogyne spp., dalle quali si differenziano perché sono piuttosto laterali, non inglobano totalmente la radice e sono generalmente più piccole. Le piante attaccate presentano assenza o forte riduzione di radici assorbenti. Sui tuberi non si ha formazione di galle e i sintomi di infezione sono difficili da evidenziare. In casi dubbi, la diagnosi può essere fatta con precisione solo estraendo il nematode dalle radici o con un saggio biologico, trapiantando tuberi in terreno sospettato di essere infetto, in vasi conservati a 25 °C, e osservando le radici dopo 30-35 giorni. Nacobbus aberrans può essere diffuso soprattutto con i tuberi infestati e con movimenti di terreno, e può sopravvivere anche a temperature molto basse (sino a –15 °C) e in condizione di secchezza. Sebbene l’entità dei danni non sia stata ben determinata, N. aberrans è considerato uno dei più gravi parassiti della patata sulle Ande. La lotta deve essere basata soprattutto sull’impiego di tuberi-seme sani. I trattamenti del terreno con nematocidi si sono mostrati piuttosto deludenti. Per contenere le cariche del nematode nel terreno, la lotta contro le erbe infestanti ospiti può risultare molto utile. La cultivar di patata Gendarme presenta ottima resistenza a molte popolazioni di N. aberrans.

Foto R. Angelini

Sulle Ande Nacobbus aberrans è considerato uno dei più gravi parassiti della patata Foto J. Franco

Agricoltore boliviano. La razza di Nacobbus aberrans presente nei Paesi andini è particolarmente dannosa per la patata

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Malattie fungine Marina Barba, Salvatore Vitale

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coltivazione Malattie fungine Foto R. Angelini

La patata è soggetta all’attacco di numerose specie di funghi fitopatogeni che provocano danni notevoli sia nel periodo di coltivazione sia durante la conservazione. Questi microrganismi possono attaccare tutti gli organi della pianta: foglie, fusti, colletto, radici e tuberi. Alcuni sono in grado di colonizzare la pianta intera (peronospora), altri sono specifici dei tuberi (marciume secco e scabbia argentea). L’azione dannosa di questi funghi è favorita da tecniche agronomiche che tendono ad aumentare il potenziale d’inoculo dei microrganismi in ambiente coltivato, quali l’uso eccessivo della monocoltura e la ridotta variabilità genetica delle varietà commerciali utilizzate. Frequenti trattamenti fitosanitari e un eccesso di concimazioni azotate, inoltre, rendono le piante più vulnerabili all’attacco di parassiti. L’adozione di metodi di lotta integrata e innovativa permette di ridurre l’uso di agrofarmaci, ottenendo tuberi di buona qualità. Peronospora (Phytophthora infestans) La peronospora, tra le malattie crittogamiche della patata, è sicuramente la più dannosa, e una delle malattie più gravi in assoluto. La peronospora della patata è passata alla storia per le devastazioni che ha provocato a metà dell’Ottocento in Irlanda, causando la morte di migliaia di persone e costringendo molti irlandesi a emigrare in America, dato che un terzo della popolazione, per sopravvivere, contava sull’annuale raccolto di patate.

Attacco di peronospora sulla vegetazione (particolare)

Attacco di peronospora sulla vegetazione

Foto R. Angelini

564


malattie fungine Foto R. Angelini

Phytophthora infestans: razze fisiologiche

• Fino agli anni Sessanta si conoscevano in Italia 7 razze fisiologiche di Phytophthora infestans, tra le quali la razza 4 era la più comune sulla patata

• Nel corso degli ultimi vent’anni si è

avuto un notevole cambiamento nella popolazione di questo patogeno, con un incremento nel numero delle razze: attualmente in Italia ne sono state identificate 38

È causata da un oomicete che attacca tutti gli organi della pianta, eccetto le radici. Il primo attacco avviene sulle foglie basali; successivamente la malattia può interessare anche gli steli e i tuberi. Questi ultimi, quando sono colpiti, presentano lesioni leggermente depresse, di colore variabile dal grigio-bluastro al bruno e di consistenza spugnosa, che si prestano all’insediamento di altri funghi e batteri, e che provocano il disfacimento del tubero. I sintomi principali si osservano sulle foglie, che assumono una colorazione pallida; successivamente il tessuto fogliare diventa necrotico e si secca, fino ad arrivare alla distruzione di intere foglie. Le aree necrotiche sono contornate da aree clorotiche: in corrispondenza delle zone clorotiche sono visibili al microscopio

Attacco di peronospora sul tubero (sotto) e completo disseccamento della vegetazione a seguito di diversi cicli di infezione (in alto)

Foto R. Angelini

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coltivazione Foto R. Angelini

Difesa agronomica per la peronospora

• Interventi agronomici di difesa contro

la peronospora: – scelta di tuberi sani – varietà meno suscettibili (le tardive, in quanto la peronospora non si sviluppa a temperature troppo elevate) – eliminazione dei tuberi infetti – ampie rotazioni – rincalzature per ridurre la probabilità di infezione – irrigazione a goccia

le ife e i rami zoosporangiofori portanti i sporangi, all’interno dei quali sono pronte a liberarsi le zoospore. A partire dall’inoculo primario la peronospora ha una duplice possibilità di germinazione: con temperature inferiori a 18 °C produce sporangi, e quindi zoospore, che si muovono veicolate dall’acqua presente dopo una pioggia o per eccesso di umidità; con temperature superiori a 18 °C la peronospora produce un tubetto germinativo con cui penetra nelle foglie passivamente attraverso gli stomi, oppure direttamente formando lo stiletto di penetrazione attiva. L’infezione primaria prende avvio da eventuali tuberi infetti presenti nella coltura precedente, rimasti nel terreno. La diffusione della malattia in forma epidemica avviene con il ripetersi delle condizioni favorevoli al patogeno: elevata umidità relativa, repen-

• Gli interventi di lotta chimica hanno

soprattutto un carattere preventivo: il primo trattamento viene effettuato quando si presume che le condizioni ambientali siano favorevoli all’infezione

Modelli previsionali

Foto R. Angelini

• Modelli previsionali come l’IPI

(Infection Potential Index) e il MISP (Main Infection and Sporulation Period) monitorano giornalmente (IPI) e a ogni ora (MISP) parametri quali temperatura, umidità relativa e precipitazioni in relazione allo stato fenologico della coltura, dando indicazioni precise su quando effettuare il primo trattamento contro la peronospora

• Dati sperimentali indicano che, in

annate favorevoli all’attacco della peronospora, con il MISP si riducono da 5 a 2 gli interventi con prodotti rameici

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malattie fungine tini abbassamenti termici e successivi periodi caldo-umidi, temperature tra i 10 °C e i 25 °C. Lotta preventiva alla rizottoniosi

Rizottoniosi (Rhizoctonia solani) È una malattia provocata da un fungo polifago presente in natura e distinto in gruppi di anastomosi (AGs). R. solani AG-3 è il più specifico nei confronti della patata e persiste sottoforma di sclerozi (ammassi di ife che rimangono nel terreno, soprattutto sui tuberi-seme, per diversi anni) sulle parti sotterranee della pianta. La Rhizoctonia attacca prevalentemente le parti ipogee: sulle radici produce macchie brunastre e depresse, che si ingrandiscono e approfondiscono fino a distruggere la radice, compromettendo l’accrescimento dei tuberi neoformati, su cui produce croste nere (sclerozi) facilmente confondibili con piccole croste di terreno scuro, e che permangono sulla buccia anche dopo ripetuti lavaggi. Dai tuberi il patogeno si può trasferire alle gemme e ai germogli (tacche brune, irregolari e depresse), e in alcuni casi (sopravvivenza dell’organo infetto e clima piovoso) persino ai fusti fuori terra. Negli attacchi più gravi le parti basali del fusto vengono ricoperte, per alcuni centimetri, da un manicotto bianco formato dagli elementi vegetativi e riproduttivi del fungo (sintomo caratteristico noto come “calzone bianco”). Il processo infettivo è favorito da una temperatura del terreno superiore ai 15-18 °C e da un’elevata umidità.

• La prevenzione nei confronti della

rizottoniosi si effettua tramite le seguenti pratiche agronomiche: – impiego di tuberi-seme sani – sospensione della coltura sullo stesso terreno per 4-5 anni – ricorso ad ampie rotazioni (per esempio con i cereali)

• È consigliato anche l’uso di tuberi pregermogliati o di semine poco profonde per accelerare lo sviluppo della pianta nelle prime fasi di accrescimento

Alternariosi (Alternaria solani) È causata da un fungo che colpisce, oltre alla patata, anche altre solanacee, sia spontanee sia coltivate. A. solani si conserva nel

Necrosi e macchie tipiche da Alternaria solani

Foto B. Parisi

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coltivazione terreno, sui residui della vegetazione o sui tuberi infetti sottoforma di micelio, conidi e clamidospore. Il processo infettivo è favorito dalla presenza di organi lesionati e da condizioni di stress idrico o nutrizionale della coltura. La diffusione del microrganismo è facilitata da condizioni di elevata umidità (piogge e irrigazioni sopra chioma), da temperature intorno ai 18-25 °C (per la liberazione dei conidi), e dall’alternanza di periodi umidi e asciutti. Il fungo danneggia soprattutto le foglie, con formazione di tacche necrotiche rotondeggianti di 1-2 mm di diametro a contorno ben delimitato e depresso, formanti caratteristiche zonature concentriche contornate da un alone giallo. I primi attacchi interessano le foglie più vecchie e basali, per poi estendersi, in caso di condizioni favorevoli al patogeno, anche alle foglie più giovani. Con il progredire dell’infezione si formano nuove aree necrotiche, mentre quelle più vecchie si espandono sensibilmente fino a disseccare intere foglie. A. solani può attaccare anche i fusti e di rado i tuberi, dove forma macchie brune depresse con tessuti sottostanti di colore scuro e consistenza suberosa. Durante la conservazione le lesioni provocate da questo microrganismo possono aumentare di dimensione, e i tuberi assumono un aspetto grinzoso.

Lotta agronomica all’alternariosi

• La lotta agronomica contro

l’alternariosi si effettua ricorrendo ad ampie rotazioni (in modo da ridurre notevolmente la sua presenza nel suolo), alla distruzione dei residui colturali infetti e all’impiego di tuberiseme sani

• Le varietà più sensibili sono in genere quelle più precoci

• I trattamenti chimici prevedono

l’utilizzo di prodotti antiperonosporici, efficaci anche contro questa malattia

Marciume secco (Fusarium spp.) Una delle maggiori problematiche del tubero in post-raccolta è rappresentata dal marciume secco. Tra i miceti che attaccano i tuberi durante tutte le fasi del frigostoccaggio, sono particolarmente dannosi quelli appartenenti al genere Fusarium. In particolare, Fusarium sambucinum, F. solani varietà coeruleum e F. avenaceum. Questi funghi vivono solitamente sulla superficie dei

Foto CRA-PAV

Foto CRA-PAV

Sezione di tubero di patata con evidenti sintomi di marciume secco Tubero totalmente invaso da agenti di marciume secco

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malattie fungine tuberi o nel terreno sottoforma di micelio, conidi o clamidospore. La penetrazione dei miceti all’interno dei tuberi è favorita da lesioni originatesi durante le operazioni di raccolta e movimentazione pre-stoccaggio. I primi sintomi, piccole aree brunastre, compaiono in genere dopo circa un mese di conservazione; l’alterazione tende poi a espandersi, e il periderma s’infossa e raggrinzisce. I tuberi colpiti sono ricoperti esternamente da ciuffetti di micelio di colore variabile dal bianco al giallo-rosato in relazione alla specie di Fusarium presente, mentre la parte interna del tubero appare fortemente imbrunita e alterata. Condizioni ottimali per lo sviluppo della malattia sono temperature intorno ai 15-20 °C e umidità relativa superiore al 70%. I tuberi di patata che presentano questi sintomi (da seme, da consumo fresco o per l’industria) sono inutilizzabili e devono essere scartati, in particolare quelli destinati alla trasformazione in semilavorati industriali, causa lo scadimento di importanti requisiti tecnologici.

Foto CRA-PAV

Tuberi in post-raccolta affetti da marciume secco Foto R. Angelini

Antracnosi (Colletotrichum coccodes) Nota come dartrosi della patata, questa malattia è diffusa in tutte le aree di coltivazione e può causare perdite di produzione soprattutto in annate calde e siccitose. L’agente causale, C. coccodes, è in grado di attaccare altre solanacee quali il pomodoro e la melanzana. Questo fungo sopravvive in modo saprofitario nei residui colturali e nel terreno sottoforma di sclerozi che, nei periodi caldoasciutti e con temperature intorno ai 28 °C, originano un micelio capace di aggredire i tessuti dell’ospite, soprattutto in presenza di ferite o piante debilitate. I sintomi sono osservabili principalmente sulle parti basali del fusto, con ampie zone marcescenti e secche, in corrispondenza delle quali il tessuto corticale tende a staccarsi con facilità, mostrando sui sottostanti tessuti piccoli corpiccioli nerastri che rappresentano elementi di conservazione (sclerozi) e di moltiplicazione (acervuli). Questi ultimi producono numerosi conidi capaci di avviare successive infezioni. I tuberi attaccati da questo fungo presentano una calibratura ridotta e una consistenza gommosa, e sono più suscettibili a eventuali marciumi. La lotta contro questa malattia è esclusivamente di carattere preventivo, e prevede la distruzione e la raccolta del materiale infetto, l’uso di tuberi-seme sani, avvicendamenti colturali e concimazioni equilibrate.

Lotta contro la scabbia argentea

• La lotta contro la scabbia argentea ha esclusivamente carattere preventivo

• Essa consiste in particolare nell’utilizzo di tuberi-seme immuni o con bassissima percentuale di attacco; nell’evitare di ritardare la raccolta dei tuberi, in quanto una permanenza prolungata nel terreno può determinare ulteriori infezioni; infine, i luoghi di conservazione devono essere mantenuti asciutti e ben aerati

Agenti di scabbia Scabbia argentea (Helminthosporium solani) Questa affezione, diffusa in tutte le aree di coltivazione della patata, è divenuta sempre più importante a partire dagli anni Ottanta. Si trasmette e si conserva essenzialmente tramite tuberi-seme 569


coltivazione (raramente tramite terreno), in cui il fungo penetra attraverso le lenticelle per poi diffondersi negli strati cellulari più esterni. Il processo infettivo può avvenire in qualsiasi fase del ciclo di sviluppo del tubero sano. Elevata umidità e temperature oscillanti tra i 20 e i 24 °C favoriscono lo sviluppo del fungo, sebbene questo patogeno sia in grado di accrescersi anche con temperature molto basse (3 °C). Sui tuberi si possono osservare macchie rotondeggianti di colore grigio-argento e a contorno non ben definito. Su alcune macchie si possono notare dei punti neri che rappresentano le fruttificazioni del fungo (rami conidiofori, ovvero portanti i conidi). In caso di forte attacco, durante il post-raccolta, si osserva la desquamazione della superficie dei tuberi, resi più vulnerabili ai marciumi. I tuberi prodotti nei terreni leggeri sono in genere più colpiti rispetto a quelli prodotti in terreni pesanti. Molto spesso il sintomo non è visibile in fase di raccolta. I danni provocati dalla scabbia non incidono sulle qualità del prodotto ma possono deprezzarne fortemente le caratteristiche merceologiche, rendendone difficile un inserimento nel mercato fresco.

Foto CRA-PAV

Macchie caratteristiche di scabbia argentea su tubero (Helminthosporium solani)

Scabbia comune (Streptomyces scabies) È la scabbia più diffusa sui tuberi di patata, che tuttavia, come è il caso della scabbia argentea, non produce veri e propri danni nei tuberi e non altera l’energia germinativa né il vigore vegetativo dei tuberi-seme. Il patogeno, che si conserva nel terreno, penetra nei tuberi attraverso gli stoloni, le lenticelle e le ferite. Sulla superficie dei tuberi si può osservare la comparsa di aree brunastre, pustoliformi, circolari o poligonali, la cui superficie appare rugosa e percorsa da lievi fenditure. Le pustole, formate da strati di cellule suberificate, sono prodotte dai tessuti sani del tubero allo scopo di arginare la penetrazione del microrganismo all’interno della polpa, che si mantiene inalterata. Si possono distinguere tre tipi di lesioni: superficiali, profonde e sporgenti, in relazione alle condizioni pedoclimatiche e alla suscettibilità varietale. Questo patogeno è diffuso nei terreni leggeri, sabbiosi e asciutti, calcarei e con reazione alcalina. Dal punto di vista climatico il massimo sviluppo si può avere in condizioni calde e siccitose. Il controllo di S. scabies si effettua soprattutto con mezzi preventivi e in particolare agronomici: – lunghe rotazioni; – terreni compatti e a pH subacido; – uso di concimi tendenzialmente acidi; – irrigazione all’inizio del processo di suberificazione; – è da evitare l’uso di varietà sensibili (per esempio Désirée, Primura).

Prevenzione e difesa post-raccolta

• La salvaguardia della qualità del

prodotto è garantita da una buona prevenzione e da una conservazione dei tuberi in ambienti igienicamente idonei

• È pertanto necessario: 1) evitare lesioni ai tuberi durante le operazioni di raccolta e conservazione 2) mantenere i locali di conservazione freschi, asciutti e ben aerati 3) disinfettare le attrezzature (macchine per la raccolta, nastri trasportatori ecc.), i bins e le pareti del magazzino 4) evitare di destinare alla moltiplicazione i tuberi infetti 5) preferire varietà meno suscettibili

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malattie fungine Scabbia polverulenta (Spongospora subterranea) È un tipo di scabbia che può causare epidemie solo in zone a clima freddo-umido. Le prime segnalazioni in Italia si sono avute, infatti, nelle vallate alpine. La S. subterranea si conserva nel terreno sottoforma di spore durevoli (4-5 anni) e si diffonde per mezzo dei tuberi-seme infetti. Queste spore, in primavera, germinano originando zoospore ameboidi che entrano negli ospiti producendo un tallo plasmodiale. La malattia si manifesta sui tuberi, i quali presentano piccole aree brune, rotondeggianti e alquanto in rilievo, che finiscono con lo screpolarsi. I tessuti interessati degenerano trasformandosi in pustole bruno-nerastre che si lacerano lasciando uscire una polvere scura, formata da glomeruli, che rappresentano le fruttificazioni del fungo. Il tubero assume un aspetto deformato, verrucoso e con vistose lesioni superficiali bruno-nerastre. Le radici delle piante colpite presentano escrescenze carnose biancastre, mentre non si evidenziano sintomi nelle zone epigee della pianta. La lotta è esclusivamente di tipo preventivo e si avvale di criteri di natura agronomica, e in particolare: 1) rotazioni molto lunghe (5-6 anni nei terreni contaminati); 2) un accurato controllo dei tuberi, prima della semina, per evitare di seminare tuberi già infetti.

Foto R. Angelini

Attacco di scabbia Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Macchie provocate da Helminthosporium solani Contemporaneo attacco di peronospora e scabbia

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Malattie batteriche Stefania Loreti

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coltivazione Malattie batteriche Introduzione Le malattie di natura batterica hanno da sempre avuto un notevole impatto sulla coltura della patata a causa della gravità dei danni da esse causati. Le alterazioni possono infatti interessare tutti gli organi vegetativi della pianta o, anche, i tuberi in fase di post-raccolta. Le batteriosi possono, inoltre, venire facilmente trasmesse attraverso i tuberi-seme asintomatici. L’incidenza delle diverse patologie batteriche è fortemente legata alle condizioni climatiche delle aree di coltivazione che tuttavia sono notoriamente soggette a cambiamenti, in grado di favorire l’insorgenza di scoppi epidemici improvvisi di malattie già note e presenti sul territorio o la comparsa e la disseminazione di agenti patogeni mai segnalati prima in un certo areale. Alcune specie batteriche sono considerate organismi da quarantena a tolleranza zero e oggetto, quindi, di legislazione fitosanitaria attraverso una Direttiva

Principali malattie batteriche della patata

• Avvizzimento batterico e marciume bruno da Ralstonia solanacearum

• Marciume anulare da Clavibacter

michiganensis subsp. sepedonicus

• Marciume molle da Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum, Dickeya spp. e Pectobacterium carotovorum atrosepticum

• Scabbia comune da Streptomyces scabiei

Diagramma di flusso dello schema per la diagnosi dell’avvizzimento batterico in piante di pomodoro e patata con sintomi sospetti di avvizzimento batterico

Foto A. Zoina

Piante di patata con sintomi Saggio/i rapido/i per selezione preliminare (1) ISOLAMENTO Colonie con morfologia tipica SI

NO

SAGGI DI CONFERMA Identificazione (2) di una coltura pura come Ralstonia solanacearum più prova di patogenicità

SI

NO

Piante non infette da Ralstonia solanacearum

Piante infette da Ralstonia solanacearum

Marciume tubero. Infezione dei tuberi da Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum (ex Erwinia carotovora subsp. carotovora). Il marciume interessa buona parte dei tessuti interni dei tuberi

(1) Saggi idonei: furiuscita dell’essudato batterico dal tessuto vascolare del fusto, saggio dei granuli di poli-beta-idrossibutirrato, colorazione di immunofluorescenza (IF), saggio ELISA, PCR (2) L’dentificazione della coltura pura può avvenire attraverso applicazione di almeno uno dei seguenti saggi: saggi nutrizionali ed enzimatici, colorazione IF, saggio ELISA, PCR, profilo delle proteine, profilo degli acidi grassi

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malattie batteriche europea che ne regola e controlla l’introduzione e la diffusione negli stati membri dell’UE. Tali normative prevedono un costante monitoraggio dei relativi batteri fitopatogeni nei lotti di patate asintomatiche prodotti sul territorio nazionale. Ciò al fine di scongiurare l’insorgenza di gravi epidemie batteriche le cui strategie di lotta sono impostate sulla prevenzione, non essendo, per esempio, ammesso in Italia l’uso di antibiotici in agricoltura. Il controllo è quindi principalmente basato sull’uso di materiale di propagazione sano, sull’eliminazione di fonti di inoculo, su una corretta gestione agronomica, sull’applicazione di rotazioni colturali adeguate, eventualmente associate all’uso di trattamenti preventivi a base di rame o all’utilizzo di germoplasma tollerante o resistente alle malattie.

Foto A. Calzolari

Sintomi iniziali di avvizzimento parziale di una pianta colpita da Ralstonia solanacearum

Avvizzimento batterico e marciume bruno (Ralstonia solanacearum; sin. Pseudomonas solanacearum) Ralstonia solanacearum è considerato uno dei batteri fitopatogeni più pericolosi a causa dell’ampio host-range e della sua vasta distribuzione geografica. Infetta circa 200 specie coltivate e spontanee, in zone tropicali, subtropicali e temperate. La razza 3 biovar 2 di R. solanacearum, adattata a un clima temperato, è l’agente causale del marciume bruno della patata e dell’avvizzimento batterico delle solanacee (pomodoro, melanzana, peperone) e del geranio. È un patogeno da quarantena, oggetto di legislazione fitosanitaria e considerato un potenziale agente di bioterrismo negli Stati Uniti. In Italia è stato osservato la prima volta su pomodoro (1930) e successivamente in coltivazioni di patata in Veneto e in Emilia-Romagna (1995). Probabile

Foto A. Calzolari

In fase di raccolta si possono osservare tuberi marcescenti Marciume bruno della patata

Foto A. Calzolari

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coltivazione origine dell’introduzione fu l’importazione di lotti di patata infetti dall’Olanda; infatti, qualche anno prima scoppi epidemici della malattia erano stati individuati in Belgio, in Olanda e nel Regno Unito (1989-1993). Tra il 1995 e il 1997 sono stati intercettati al porto di Ravenna lotti di patata infetti di provenienza egiziana. Nel 2007, e di recente nel 2009, il batterio è stato segnalato su pomodoro, in Sardegna, in due aree dell’agro cagliaritano. La comparsa dei primi sintomi della malattia avviene in primavera con il rialzo delle temperature: le foglie di uno o più fusti avvizziscono mantenendo la colorazione originale. Le piante possono recuperare vigore temporaneamente durante la notte per l’abbassamento delle temperature. Progressivamente, a carico dell’apparato epigeo si può osservare una decolorazione verde pallido delle foglie basali e la perdita di turgore di quelle apicali. La perdita di turgore interessa gradualmente tutte le foglie; si manifesta inoltre epinastia dei piccioli, fino al rapido avvizzimento e collasso dell’intera pianta. L’avvizzimento della pianta può essere unilaterale. Non si manifesta invece clorosi internervale, né accartocciamento fogliare. Sezioni dello stelo manifestano imbrunimenti dei vasi e si può osservare emissione di un essudato bianco-giallastro. L’essudato batterico può fuoriuscire spontaneamente dai vasi conduttori della pianta quando il fusto, tagliato trasversalmente, viene immerso in acqua. Il decorso della malattia e la sua diffusione in campo possono essere molto rapidi. Nel tubero i sintomi esterni possono essere visibili o meno, a seconda dello stadio della malattia. Il sintomo superficiale più tipico è il marciume e l’imbrunimento dei tessuti circostanti gli “occhi” e l’“ombelico”,

Foto A. Calzolari

Aree imbrunite e depresse osservabili su tubero in corrispondenza degli occhi (gemme) (marciume bruno) Foto A. Calzolari

Porzione dell’anello vascolare con evidenti necrosi ed aree idropiche (marciume bruno) I tuberi al taglio trasversale possono presentare il caratteristico imbrunimento dell’anello vascolare (marciume bruno)

Foto A. Calzolari

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malattie batteriche in corrispondenza dei quali possono essere presenti gocce di essudato che determinano l’adesione di particelle di terreno al tubero. La sezione trasversale dei tuberi rivela alterazioni del colore dell’anello vascolare dal giallo al marrone e con il progredire dell’infezione, imbrunimento e necrosi anche a carico dei tessuti circostanti, che possono cavitarsi. A seguito del taglio può fuoriuscire spontaneamente un essudato cremoso e fluido. I sintomi possono essere confusi con quelli indotti da Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus. La penetrazione del batterio nella pianta avviene principalmente attraverso ferite radicali provocate da cause diverse, come insetti, nematodi, emissione di radici secondarie e strumenti da lavoro. Il batterio si moltiplica dapprima negli spazi intercellulari della corteccia e del parenchima delle radici, quindi prosegue la colonizzazione dell’ospite attraverso il sistema vascolare. Dalla pianta passerà al suolo, sopravvivendo come saprofita, fino a infettare un nuovo ospite. R. solanacearum è infatti in grado sopravvivere nell’acqua e nel suolo per lunghi periodi. La sua sopravvivenza nel suolo sembra correlata all’associazione con residui vegetali o alla rizosfera di diversi ospiti selvatici che fungono da serbatoi asintomatici. La sopravvivenza a lungo termine di R. solanacearum sembra inoltre dovuta alla sua capacità di assumere uno stadio simildormiente (cosiddetto “vitale ma non coltivabile”), tipico di molti microbi del suolo. A causa della sua persistenza nelle aree di coltivazione è molto importante stabilire una corretta rotazione colturale, al fine di mantenere basso il rischio di epidemie. Osservazioni in campo hanno evidenziato che l’alternanza di specie suscettibili con riso Foto U. Mazzucchi

Le cinque razze di Ralstonia solanacearum e relativi ospiti

• Razza 1: tabacco, patata, pomodoro, melanzana, banana diploide, altre solanacee anche spontanee e altre specie di diverse famiglie vegetali (ambienti tropicali, temperature 35-37 °C)

• Razza 2: banana triploide e Heliconia spp. (piante ornamentali) nelle zone tropicali del Sudamerica e delle Filippine (temperature 35-37 °C)

• Razza 3: principalmente patata e

pomodoro, geranio, occasionalmente melanzana, peperone e altre solanacee spontanee (ambiente temperato e subtropicale, temperature 27 °C)

• Razza 4: ginger (Zingiber officinale) • Razza 5: gelso (Morus spp.)

Foto A. Calzolari

Foto U. Mazzucchi

A sinistra, infezione del tubero da Ralstonia solanacearum. L’infezione si manifesta all’esterno tramite un essudato batterico che fuoriesce vistosamente dagli “occhi” che rimangono imbrattati di terreno (al centro della foto). L’essudato è chiaramente visibile sull’occhio della parte superiore della foto. A destra, fasci vascolari alterati. Sezione trasversale di un tubero i cui fasci vascolari sono stati abbondantemente colonizzati da Ralstonia solanacearum. Attraverso i fasci il batterio può arrivare agli “occhi”

Sulle gemme infette si può osservare l’emissione di gocce di essudato batterico (R. solanacearum)

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coltivazione e mais determina una soppressione della popolazione batterica. Altre specie non-ospiti di R. solanacearum e che non albergano il batterio nella rizofera sono: il radicchio, le insalate, la carota, l’aglio, la cipolla e varie brassicacee.

Foto A. Calzolari

Ralstonia solanacearum: razze e phylotype Specie batterica molto eterogenea: tradizionalmente distinguibile in 5 razze (in base al gruppo di piante ospiti) e 4 biovar (in base ai caratteri biochimici); recentemente è stata proposta la classificazione in 4 phylotype e varie sequevar (sulla base di studi filogenetici di sequenza). Flora spontanea ospite di Ralstonia solanacearum Solanum dulcamara, S. nigrum, S. cinereum, S. carolinense, Datura stramonium, Portulaca oleracea, Brassica, Tropaeolum majus, Urtica dioica, Chenopodium album, Phyllanthus niruri, Lagasca mollis, Melampodium perfoliatum, Polygonum pensylvanicum, Hydrocotyle ranunculoide, Ageratum conyzoides, Ranunculus sceratus.

Fase iniziale del processo infettivo che interessa tratti dell’anello vascolare (marciume bruno)

Foto A. Calzolari

Disseminazione del patogeno Il principale rischio per la disseminazione del patogeno a lunga distanza è rappresentato dai tuberi-seme di patata. Il patogeno è stato verosimilmente introdotto in Europa a seguito dell’importazione di patate da tavola dall’Egitto, con conseguente Foto CRA-PAV

Fase avanzata del processo infettivo chiaramente osservabile lungo l’anello vascolare (marciume bruno)

Foto A. Calzolari

Inoculazione sperimentale di un ceppo di Ralstonia solanacearum, razza 3 biovar 2, su piante di patata cultivar Blondy. A sinistra, pianta controllo inoculata con acqua; al centro, pianta con sintomi iniziali di accartocciamento delle foglie basali ed epinastia; a destra, pianta con sintomi avanzati di avvizzimento

Particolare dell’area idropica dell’anello vascolare con presenza di essudato batterico (marciume bruno)

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malattie batteriche contaminazione del sistema di produzione europeo fino all’infezione di colture da seme. Attualmente rappresentano un rischio di introduzione del patogeno le talee infette di geranio, in particolare quelle provenienti da Kenya, Canarie, Israele, Messico, Brasile e Stati Uniti. Per la disseminazione a breve distanza assume importanza la contaminazione degli impianti industriali sia attraverso lotti di patata in commercializzazione che per le acque di lavaggio dei tuberi, poi diffuse nell’ambiente.

Foto Lawrence, Canada

Legislazione fitosanitaria Ralstonia solanacearum e Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus sono soggetti a varie norme di regolamentazione fitosanitaria: – Lista A2 dell’EPPO/OEPP, lista dei patogeni da quarantena per i quali è vietata l’introduzione e diffusione negli Stati membri della Comunità Europea; – DL 214 del 19 agosto 2005 - Direttiva 2002/89/CE (All. I/A2), che prevede “Misure di protezione contro l’introduzione e la diffusione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali”; – DL 308 del 3 novembre 2003, che recepisce la Direttiva 2002/56/CE relativa alla produzione e commercializzazione dei tuberi-seme di patate all’interno della Comunità, e definisce i requisiti sanitari per i tuberi-seme di base e i tuberi-seme certificati, prevedendo l’assenza di entrambi i batteri; – DM 30-10-2007 (Direttiva 2006/63/CE) e DM 28-1-2008 (Direttiva 2006/56/CE), che definiscono le disposizioni per la lotta obbligatoria contro R. solanacearum e C. michiganensis subsp. sepedonicus.

Avvizzimento e progressivo disseccamento di piante di patata colpite da marciume anulare Foto Lawrence, Canada

Marciume anulare (Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus) Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus, originario del Nordamerica, è l’agente causale del marciume anulare della patata, malattia segnalata nei primi del Novecento in Germania. Avendo un optimum di crescita a 21 °C, il patogeno è essenzialmente diffuso nel Nord e Centro Europa e non è presente in Italia. I sintomi della malattia, manifestandosi tardivamente sulla parte aerea del-

Clorosi internervali e ripiegamento a doccia del margine fogliare che progressivamente dissecca a seguito di infezione da C. michiganensis subsp. sepedonicus

Sintomi differenziali (Ralstonia solanacearum/Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus) R. solanacearum

C. michiganensis subsp. sepedonicus

Avvizzimento rapido, senza clorosi

Avvizzimento accompagnato da clorosi internervali delle foglie

Tessuti vascolari

Imbrunimenti del fusto evidenti

Imbrunimenti del fusto non sempre evidenti

Tuberi

Assenza di fessurazioni superficiali

Presenza di fessurazioni superficiali

Essudato

Bianco grigiastro

Bianco latteo, fuoriuscente per spremitura

Apparato epigeo

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coltivazione la pianta e sui tuberi, possono essere confusi con quelli causati da fattori abiotici (senescenza, siccità) o altri agenti patogeni (per es. peronospora, verticilliosi, fusariosi). Negli stadi precoci della manifestazione dei sintomi si osserva avvizzimento e ripiegamento verso l’alto dei margini delle foglie, in genere a partire dalla porzione basale della pianta. Le foglie assumono un aspetto clorotico in corrispondenza degli spazi internervali e con il progredire dell’infezione diventano necrotiche. I fusti non mostrano necessariamente imbrunimenti interni, mentre tagliandoli alla base e sottoponendoli a schiacciamento è talora possibile osservare la fuoriuscita di essudato cremoso. Negli stadi precoci della malattia sui tuberi si formano screpolature superficiali con bordo lievemente scuro, difficilmente individuabili. Tagliando trasversalmente il tubero in corrispondenza dei fasci vascolari è possibile osservare un lieve ingiallimento, tuttavia anche tuberi in apparenza sani possono presentare tratti dell’anello vascolare alterati. Le screpolature col tempo si ramificano e approfondiscono nel tessuto parenchimatico determinando gravi fessurazioni nel tubero. In sezione trasversale l’anello vascolare assume una colorazione che varia dal bianco-crema al bruno scuro; dai tratti compromessi in seguito a schiacciamento si può avere fuoriuscita di essudato biancastro. In stadi avanzati dell’infezione possono subentrare microrganismi secondari causa di marciume molle, che nascondono i reali sintomi di marciume anulare. Il batterio attraverso i fasci vascolari dello stolone può infettare in maniera latente e quindi asintomatica i tuberi, che rappresentano la prima causa di disseminazione del patogeno. In fase di conservazione, tuberi apparentemente sani alla raccolta possono manifestare i sintomi della malattia con un decorso rapido a temperature di 18-22 °C e lento a 3-4 °C. Oltre che dai tuberi-seme, C. michiganensis subsp. sepedonicus è trasmesso

Foto Lawrence, Canada

Screpolature del tubero quale esito di infezioni interne da C. michiganensis subsp. sepedonicus Foto Lawrence, Canada

Ingiallimenti e cavitazioni in corrispondenza dell’anello vascolare causati dal marciume anulare

Foto G. Secor

Foto G. Secor

Marciume anulare. Sezione trasversale di un tubero infetta da C. michiganensis subsp. sepedonicus

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Foto Plant Path. Lab. Harpenden, GB


malattie batteriche principalmente mediante arnesi da taglio, macchine (da raccolta, trasporto), operatori. Il batterio sopravvive nel terreno, associato ai residui vegetali infetti (ma non nel suolo nudo), e su materiali vari come plastica, acciaio, legno, cartone, gomma e iuta. La diffusione in campo da piante infette a piante sane è un evento sporadico, determinato per esempio da acqua (irrigazione) o insetti (dorifora).

Foto B. Parisi

Impatto economico Clavibacter michiganensis subsp. sepedonicus rappresenta una minaccia costante per i coltivatori di patata in Europa. È stato calcolato che il batterio causa annualmente un danno economico stimato intorno ai 15 milioni di euro, dovuto essenzialmente alla campagna di eradicazione e al compenso agli agricoltori. Presenza in Europa Il patogeno è stato segnalato in Europa in: Danimarca, Finlandia, Germania, Regno Unito, Olanda, Austria, Svezia, Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Grecia, Cipro e stati dell’ex Unione Sovietica. È stato eradicato in Francia e Svizzera. Nel giugno 2009, il batterio è stato isolato in Italia su lotti di patata da seme di produzione e provenienza dalla Repubblica Ceca. La campagna di monitoraggio applicata in Italia non ha tuttavia individuato nuovi scoppi epidemici della malattia negli areali di coltivazione italiani.

Appassimento fogliare tipico di danni da P. carotovorum subsp. carotovorum

Foto B. Parisi

Lotta La lotta al marciume anulare della patata si basa su criteri preventivi in quanto non esistono mezzi di lotta chimica e non sono disponibili cultivar resistenti/tolleranti alla malattia, anche se la specie selvatica Solanum acaule è descritta come apparentemente resistente. L’uso di tuberi-seme esenti dalla malattia, certificabili grazie alla disponibilità di protocolli diagnostici, è l’unico vero mezzo di lotta. Per la semina è raccomandabile l’uso di tuberi interi, in quanto il taglio con una lama contaminata da un solo tubero infetto può trasmettere agli altri l’infezione.

Disfacimento del tubero-madre causato da P. carotovorum subsp. carotovorum

Foto D. Carputo

Marciumi molli I marciumi molli delle colture ortive, in zone sia temperate che tropicali, sono principalmente causati da batteri dell’ex genere Erwinia, che, dotati di enzimi pectinolitici, sono in grado di macerare le pareti vegetali dell’ospite. In particolare, le specie patogene su patata responsabili di questo tipo di sintomatologia sono: Erwinia carotovora subsp. carotovora, Erwinia chrysanthemi ed Erwinia carotovora subsp. atroseptica. Possono determinare marciume sia in infezione singola sia in infezione mista. Sulla base di recenti studi, tutte e tre le specie batteriche sono state sottoposte a nuova classificazione, come riportato di seguito.

Inoculo artificiale di una varierà suscettibile a P. carotovorum subsp. carotovorum

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coltivazione Marciume molle (Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum; sin. Erwinia carotovora subsp. carotovora) Tra le specie batteriche responsabili di marciumi molli di organi carnosi delle colture ortive, Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum è quella che presenta la più ampia cerchia di ospiti, tra i quali la patata. Il batterio è diffuso in tutto il mondo, prevalentemente in aree con clima caldo-umido. Il marciume molle del tubero è dovuto alla degradazione delle cellule parenchimatiche per azione enzimatica e, in seguito alla colonizzazione di microrganismi secondari, può essere accompagnato da cattivo odore. Il marciume si manifesta anche alla base del fusto delle piante: i tessuti divengono molli, si degradano, presentano essudati e l’intera pianta può collassare. I sintomi possono essere confusi con quelli indotti dall’ex-Erwinia chrysanthemi, nonostante in quest’ultimo caso la necrosi sia più estesa e interessi anche la parte alta del fusto. Le perdite causate dalla malattia sono piuttosto ingenti in presenza di condizioni predisponenti quali elevata temperatura e umidità, accumulo di acqua (pozze ecc.) in serra o in campo, danni da ferita, raccolta in presenza di clima caldo seguita da successivo rapido raffreddamento del clima o da cattive condizioni di conservazione dei tuberi. Il batterio è in grado di sopravvivere nel suolo, in particolare nella rizosfera, e in acqua. È disseminato nell’ambiente attraverso i tuberi-seme contaminati esternamente, mediante gli insetti e le rispettive larve, l’acqua (irrigazione, piogge), l’aerosol e gli strumenti e/o macchine da lavoro.

Foto CRA-PAV

Inoculazione artificiale su tubero di patata di un ceppo di Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum Sintomi di avvizzimento su piante di patata da Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum

Foto B. Parisi

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malattie batteriche Altri ospiti di Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum. Allium cepa (cipolla), Begonia spp., Brassica spp. (cavolo), Chicorium endivia (indivia), Cucurbita spp. (Cucurbitacee), Daucus carota (carota), Raphanus sativus (ravanello), Rheum rhaponticum (rabarbaro), Solanum melongena (melanzana), Zantedeschia (calla).

Foto A. Calzolari

Controllo. Utilizzare materiale sano per l’impianto (evitare il taglio dei tuberi-seme e le ferite); evitare eccessi di irrigazione; mantenere condizioni igieniche in azienda, in serra, in stazioni di conservazione o imballaggio; scegliere condizioni ottimali per la raccolta e la conservazione (buona ventilazione, evitare la condensa). Gamba nera (Pectobacterium atrosepticum; sin. Erwinia carotovora subsp. atroseptica). La presenza di Pectobacterium atrosepticum è stata riportata in tutte le aree di coltivazione della patata del mondo. Perdite importanti, intorno al 10-25%, possono determinarsi in condizioni di clima freddo e anche durante la conservazione, specialmente se in combinazione con infezioni da P. carotovorum subsp. carotovorum. I sintomi si manifestano subito dopo l’emergenza delle piante o in stadi più avanzati. Infezioni precoci determinano uno sviluppo stentato della pianta, ingiallimento fogliare e ripiegamento dei margini, raccorciamento degli internodi e microfillia. La pianta in fase di sviluppo più avanzato manifesta macchie nerastre alla base del fusto, che evolvono approfondendosi e circondandolo completamente, fino a determinare l’avvizzimento della parte di-

Gamba nera della patata

Foto F. Laffi

Foto A. Zoina

Avvizzimento ed incipiente ingiallimento di una giovane pianta affetta da gamba nera

Foto F. Laffi

I batteri che colonizzano i tessuti della pianta possono giungere ai tuberi figli attraverso i fasci vascolari (P. atrosepticum)

Infezione lenticellare del tubero da Pectobacterium atrosepticum (ex Erwinia carotovora subsp. atroseptica). Se le condizioni ambientali decorrono umide e con temperature comprese tra i 15 e i 20°C il marciume progredisce e interessa tutto il tubero

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coltivazione stale. Sezionando il fusto è possibile osservare imbrunimento dei fasci vascolari. In seguito all’infezione sistemica attraverso lo stolone il batterio colonizza i tuberi, dapprima in prossimità dell’ombelico, intorno al quale si osservano aree depresse, annerite e marcescenti, e in seguito interessando i tessuti interni, che manifestano i tipici sintomi di marciume. Condizioni predisponenti l’infezione sono rappresentate da temperature ambientali intorno ai 15-20 °C, da elevata umidità e dalla presenza di acqua libera nel terreno. In fase di conservazione il marciume dei tuberi è favorito da bagnatura e scarsa ventilazione. La trasmissione del batterio avviene principalmente attraverso i tuberi-seme infetti in maniera latente e/o contaminati. L’infezione di tuberi-figli può avvenire, attraverso le ferite o le lenticelle, anche a seguito della permanenza del patogeno nel terreno (marciume dei tuberi-seme infetti, presenza di residui infetti di vegetazione). P. atrosepticum può infatti sopravvivere sulla superficie dei tuberi, nelle lenticelle e nei tessuti interni dei tuberi in conservazione, nella rizosfera e nei residui di vegetazione. L’infezione latente dei tuberi può rendersi manifesta in fase di conservazione o trasporto, causando il marciume di grandi quantità di patate. Il controllo è basato sull’applicazione di misure preventive: utilizzo di tuberi-seme sani, adeguato apporto nutritivo di azoto e calcio, semina di tuberi interi (per evitare la contaminazione che può trasmettersi attraverso una lama da taglio venuta in contatto con un tubero infetto).

Foto F. Laffi

Area necrotica osservabile in corrispondenza dell’ombelico del tubero proveniente da una pianta infetta (P. atrosepticum) Foto F. Laffi

Altri ospiti di Pectobacterium atrosepticum. Le specie Allium cepa (cipolla), Asparagus officinalis (asparago), Brassica oleracea var. botrytis (cavolfiore), Brassica oleracea var. capitata (cavolo), Chicorium intybus (cicoria) e Daucus carota (carota) sono state menzionate come ospiti, tuttavia non è certo se siano attaccate da ceppi appartenenti ad altre specie e sottospecie di Pectobacterium (per es. P. betavasculorum, P. wasabiae e P. carotovorum subsp. odoriferum) o ceppi intermedi. In Brasile, sintomi di gamba nera della patata sono stati attribuiti a un ceppo lievemente differente descritto come P. carotovorum subsp. brasiliensis. Marciume molle (Dickeya spp., sin. Erwinia chrysanthemi; Pectobacterium chrysanthemi) Varie specie di enterobatteri Gram-negativi appartenenti al genere Dickeya sono agenti di marciume molle su organi carnosi di molti ospiti vegetali, fra i quali la patata. Questi batteri erano precedentemente inclusi nella specie Erwinia chrysanthemi e considerati patogeni diffusi in clima caldo e tropicale. Recentemente, ceppi di Dickeya sono stati isolati da patata non solo in paesi a clima caldo come la Spagna, ma anche in Olanda, Polonia e Finlandia, suggerendo il loro adattamento al clima temperato. I sintomi si riconducono al classico marciume molle a carico dei tuberi: marciume

Disfacimento del tessuto interno del tubero invaso da P. atrosepticum

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malattie batteriche del midollo del fusto, necrosi dei vasi e avvizzimento in relazione alle condizioni climatiche. I tuberi-seme, infettati in maniera latente, rappresentando una pericolosa fonte di trasmissione. La disseminazione nell’ambiente può avvenire attraverso l’acqua d’irrigazione, aerosol, strumenti da lavoro e insetti.

Da Erwinia chrysanthemi a Dickeya chrysanthemi

• Originariamente E. chrysanthemi spp.

(Burkholder et al., 1953) era suddivisa in sei diverse pathovar: chrysanthemi, dianthicola, dieffenbachiae, parthenii, zeae, paradisiaca.

Scabbia comune (Streptomyces scabiei; sin. Streptomyces scabies) La malattia, causata da Streptomyces scabiei, è stata descritta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1891 ed è diffusa in tutte le aree di coltivazione della patata. In relazione alla risposta all’infezione delle diverse varietà possono distinguersi diversi quadri sintomatologici: – la scabbia superficiale, caratterizzata da lesioni superficiali irregolari e brunastre, screpolate, rugose, con margine suberoso, che interessano solo l’epidermide e non la polpa; – la scabbia profonda, caratterizzata da lesioni fessurate più approfondite nella polpa; – la scabbia elevata, risultato di una spiccata azione di difesa da parte dell’ospite, che si manifesta con la presenza di aree suberose rialzate rispetto all’epidermide. Talvolta sullo stesso tubero coesistono tutti e tre i tipi di sintomo. Sugli stoloni generati dal tubero infetto da S. scabiei si notano lesioni brunastre allungate o circolari, mentre non si hanno sintomi nella parte epigea. La malattia causa danni principalmente estetici ai tuberi. Streptomyces è un abitatore del suolo e infetta il tubero tramite le lenticelle; viene diffuso tramite particelle del suolo e i tuberi-seme infetti. S. scabiei è in grado di sopravvivere anche nelle radici di piante coltivate e spontanee (barbabietola, ravanello, colza, rapa, prezzemolo, carota), nelle quali non determina danni. Questo batterio filamentoso è in grado di infettare anche patata dolce, melanzana, cavolo verza, rapa bianca, spinacio. Condizioni predisponenti le infezioni sono rappresentate da suoli neutri o lievemente basici (pH 6-8), in presenza di stagioni siccitose e con temperature del suolo intorno a 13-25 °C (optimum 20-22 °C).

• In base a studi filogenetici la pv.

paradisiaca è afferita al nuovo genere Brenneria, mentre E. chrysanthemi venne inclusa nel genere Pectobacterium.

• Successivamente tutte le sei pathovar

della ex E. chrysanthemi sono confluite nel nuovo genere Dickeya venendo elevate a livello di specie: Dickeya zeae, D. dadantii, D. dianthicola, D. chrysanthemi (biovar chrysanthemi e parthenii), D. dieffenbachiae, D. paradisiaca.

• Le specie D. zeae, D. dadantii,

D. dianthicola, D. chrysanthemi sono state tutte isolate da patate affette da marciume molle e avvizzimento.

• Recentemente una nuova variante

molto aggressiva, proposta come Dickeya solani, è stata isolata in vari paesi europei (Polonia, Belgio, Olanda, Finlandia, Francia, UK, Spagna) e in Israele, in associazione a gravi sintomi di gamba nera, avvizzimento fogliare e marciume molle dei tuberi. Foto R. Angelini

Controllo di Streptomyces scabiei Un efficace controllo della scabbia comune può essere ottenuto: – attraverso un’irrigazione appropriata; infatti un’adeguata umidità del suolo scoraggia lo sviluppo di S. scabiei; – effettuando la rotazione con colture da sovescio (per es. legumi); – evitando eccessi di calce che aumentano il pH del terreno, favorendo lo sviluppo del patogeno; – usando zolfo e fertilizzanti acidificanti; – evitando di incorporare materiale organico, che serve da nutrimento al batterio in fase saprofitica.

Foto R. Angelini

Sintomi di scabbia indotti da Streptomices scabiei

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la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Malattie da agenti infettivi sistemici: virus, viroidi e fitoplasmosi Marina Barba, Francesco Faggioli, Graziella Pasquini, Laura Tomassoli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Malattie da agenti infettivi sistemici: virus, viroidi e fitoplasmi Normative vigenti

Virus I fitovirus sono organismi infettivi di tipo obbligato che si moltiplicano all’interno delle cellule vegetali utilizzando i sistemi metabolici della pianta infettata. Le particelle virali si diffondono rapidamente all’interno della pianta (infezione sistemica) causando alterazioni morfologiche (sintomi) su quasi tutti gli organi vegetativi (compresi quelli utilizzati per la propagazione). Alcuni fitovirus sono in grado di insediarsi anche negli organi riproduttivi della pianta: perciò polline e semi ne risultano infetti. Gli organi di propagazione di una pianta sono uno dei principali mezzi di diffusione spazio-temporale dei virus, ma esistono anche molti vettori (insetti, acari, funghi, nematodi) e, soprattutto, l’azione dell’uomo che agiscono favorendo la trasmissione delle malattie. Le virosi rappresentano da sempre un fattore limitante per la buona riuscita delle coltivazioni di patata sia per il consumo sia per la produzione di tuberi-seme. Infatti, l’uso del tubero-seme per la propagazione di questa coltura rappresenta il principale e permanente elemento di rischio per la diffusione dei diversi agenti infettivi che colpiscono la patata. Oltre 35 virus sono stati identificati in Solanum tuberosum, ma solo alcuni sono economicamente rilevanti per il settore pataticolo, essendo presenti in tutto il mondo e responsabili di perdite produttive significative, da soli o in combinazione. Si tratta per lo più di virus trasmessi da afidi, vettori che trovano lungo tutta la penisola italiana condizioni ambientali molto favorevoli all’insediamento in piena area. L’importanza della coltura della patata nell’agricoltura nazionale e mondiale ha fatto sì che la ricerca scientifica abbia apportato molteplici conoscenze sulle malattie e sugli agenti infettivi, favorendo lo sviluppo di strategie di difesa valide, comprendenti normative fitosanitarie per la produzione della semente e pratiche agricole integrate da attuare in campo (anticipazione della coltivazione con varietà idonee, varietà tolleranti e resistenti, disseccamento precoce delle piante, lotta ai vettori ecc.). In particolare, i programmi di certificazione della patata da seme, obbligatori in tutti i Paesi produttori di semente, hanno consentito di abbassare in modo notevole la soglia di rischio di infezione per molti virus nelle fasi iniziali della coltivazione, preservando al meglio la sanità della coltura. Purtroppo non sono disponibili dati recenti circa l’incidenza dei virus della patata in Italia. Al momento, però, sono due i patogeni sistemici che preoccupano maggiormente il nostro settore pataticolo: il virus Y della patata (PVY) e il viroide dell’affusolamento del tubero di patata (PSTVd). Inoltre, altri virus emergenti, segnalati negli ultimi dieci anni in aree circoscritte europee ed extracontinentali, potrebbero rappresentare una minaccia nel prossimo futuro anche per le nostre produzioni.

• Virus, viroidi e fitoplasmi della patata

sono oggetto di specifiche disposizioni legislative comunitarie e nazionali

• Oltre alla normativa (DL 214/2005)

riguardante le misure di intervento per contrastare l’introduzione e la diffusione in Europa di nuovi organismi nocivi, sono regolamentati dalla Direttiva 2002/56/CE (recepita con DL 308/2003) che si riferisce alla commercializzazione dei tuberi-seme di patata: a questo riguardo la norma stabilisce la percentuale minima consentita di virosi nei tuberi-seme di base (4%) e nei tuberi-seme certificati (10%). Non è tollerata la presenza di viroidi

Virus emergenti

• In base al numero di segnalazioni, alla

distribuzione territoriale e agli effetti dannosi sulla produzione, i virus di recente comparsa vengono stimati per il rischio fitosanitario ed economico che comportano (Pest Risk Analysis)

• Per la patata sono già stati segnalati

in Europa alcuni virus nel confronto dei quali si deve porre attenzione per evitarne l’introduzione in Italia. L’Organizzazione Europea per la Protezione delle Piante (EPPO) indica questi casi particolari (per esempio Potato Yellow Vein Virus, PYVV) nelle proprie liste di organismi da quarantena (List A1 e List A2) o di allerta (Alert List)

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malattie da agenti sistemici Virus trasmessi per afidi Accartocciamento fogliare della patata: Potato Leafroll Virus, PLRV Tra tutti i virus economicamente importanti per la patata, è quello nei confronti del quale si è riusciti a ottenere un efficace controllo nelle coltivazioni per la produzione di tubero-seme certificato e, di conseguenza, nel prodotto per il consumo. Questo virus, un tempo molto diffuso in tutte le aree produttive, è trasmesso dagli afidi in modo persistente; pertanto la sua diffusione in campo è ben controllata mediante l’uso di prodotti insetticidi con le modalità e la programmazione stabilite nei disciplinari di produzione della coltura. Ciò consente di produrre in ambienti già di per sé limitanti per il proliferare delle popolazioni afidiche e, in associazione a controlli diagnostici accurati, di ottenere semente certificata nel rispetto di quanto stabilito dalle normative specifiche sulla patata. Il sintomo tipico causato da PLRV consiste nel ripiegamento verso l’alto del margine fogliare parallelamente alla nervatura centrale; esso si manifesta già nelle infezioni primarie (acquisizione in campo tramite gli afidi) nelle foglie apicali della pianta, più raramente nelle parti basse. Le piante infette sono identificabili in campo anche per una colorazione verde meno intensa. Nel caso di infezione secondaria (pianta generata da tubero infetto), l’accartocciamento è già evidente nelle foglioline dei germogli, e l’intera pianta ha sviluppo stentato e portamento eretto, associati a un maggiore ispessimento delle lamine fogliari e a frattura vitrea. Clorosi, antocianosi e necrosi fogliare sono altri sintomi che possono comparire con l’evolversi dell’infezione. I tuberi sono generalmente asintomatici; tuttavia, se non è ben controllata nel rispetto delle direttive fitosanitarie, l’infezione può causare cali produttivi anche del 60%. In America, alle infezioni di PLRV è stato associato il sintomo di reticolatura necrotica interna dei tuberi in varietà particolarmente suscettibili, che si manifesta principalmente durante la conservazione. PLRV è un virus isodiametrico appartenente al genere Polerovirus (famiglia Luteoviridae). Il Myzus persicae è la specie afidica più efficiente nel trasmettere PLRV; una volta acquisito il virus, l’afide rimane virulifero per tutta la vita, favorendo la diffusione della malattia anche a lunga distanza. Le specie botaniche spontanee (Capsella bursa-pastoris, Solanum nigrum) suscettibili a PLRV non hanno un ruolo prevalente nello svernamento e nella conservazione del virus, mentre i tuberi infetti, i ricacci spontanei e i frequenti cumuli di tuberi di scarto abbandonati a bordo campo sono la vera fonte di inoculo nelle aree di coltivazione. Le rotazioni e la possibilità di utilizzare varietà ad alta resistenza per PLRV, purtroppo non sempre adatte agli ambienti italiani, si integrano utilmente nel processo di prevenzione e difesa della patata.

Curiosità sulla nomenclatura dei virus della patata

• Nel 1930, da piante di patata mostranti mosaico fogliare, vennero isolate due entità virali responsabili di diversa sintomatologia su tabacco. Gli studiosi assegnarono le sigle X e Y per distinguerli. Da queste si originarono i nomi completi di Potato Virus X e Potato Virus Y

• La tradizione di chiamare i virus

della patata con una lettera dell’alfabeto continuò ogni qualvolta si identificavano nuovi isolati associati a determinate sintomatologie, che venivano riprodotte su piante indicatrici attraverso la trasmissione meccanica

• Negli anni Cinquanta le maggiori

conoscenze sulle proprietà fisiche e chimiche dei virus hanno consentito di accertare che molti dei virus identificati erano di fatto isolati particolari di un’unica specie: PVB ceppo di PVX; PVC ceppo di PVY; PVE e PVK ceppi di PVM

Foto L. F. Salazar

Sintomo di reticolatura necrotica sviluppatasi nel parenchima amilaceo di un tubero prodotto da pianta madre infetta da PLRV

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coltivazione Mosaico nervale e anulatura necrotica del tubero: Potato Virus Y, PVY Il PVY oggi è sicuramente il virus più diffuso, colpendo universalmente ogni areale produttivo, ed è il più temuto in quanto figura come il maggiore responsabile di mancato ritiro del prodotto da parte delle industrie. Questo virus appartiene alla famiglia Potyviridae, la più numerosa tra quelle dei virus vegetali, che include 6 generi tra cui Potyvirus, di cui PVY è la specie tipo. Oltre 60 specie botaniche, principalmente nell’ambito delle solanacee, sono state segnalate come naturalmente infette da questo virus, ma altrettante, appartenenti a 5 diverse famiglie, sono risultate suscettibili a infezioni artificiali tramite trasmissione meccanica del virus. Negli agrosistemi, pomodoro, tabacco, peperone e patata sono le colture agrarie maggiormente colpite, con gravi perdite produttive, anche del 100%, mentre numerose specie spontanee, tra cui Convolvulus spp., Solanum nigrum, S. dulcamara e Physalis floridana, rappresentano il serbatoio per lo svernamento del virus e la fonte infettiva per la sua diffusione nell’ambiente circostante. PVY è trasmesso in modo non-persistente da circa cinquanta specie di afidi, di cui il Myzus persicae è il più efficiente in condizioni sperimentali. In questo tipo di trasmissione, lo stiletto boccale dell’afide si imbratta delle particelle virali al solo pungere degli strati superficiali di una foglia infetta, e altrettanto rapidamente le trasmette in piante sane. Questo aspetto rende assai difficile il controllo in campo della virosi, in quanto i prodotti insetticidi non agiscono così tempestivamente sugli afidi da bloccare la fase di inoculazione del virus attraverso le punture d’assaggio. Le forme alate degli afidi sono quindi riconosciute come principale fattore responsabile della diffusione del virus da una coltivazione a un’altra. Un secondo aspetto epidemiologico che ha influito sull’incremento della pericolosità del PVY è la presenza di nuove varianti del virus responsabili di inedite sintomatologie e, si teme, dotate di maggiore capacità di assimilazione da parte degli afidi vettori. Sin dagli anni Sessanta, sulla base della sintomatologia prodotta su particolari varietà di patata e tabacco, gli isolati di PVY sono stati distinti in tre ceppi: il ceppo comune (PVYO), il ceppo della necrosi nervale (PVYN) e il meno diffuso ceppo della striatura (PVYC). La sintomatologia prodotta da questi isolati è piuttosto varia, in quanto esiste una diversa suscettibilità da parte delle varietà in commercio, fino a una completa resistenza per la presenza di geni specifici. PVYO, il ceppo più diffuso al mondo, causa sintomi di mosaico e malformazione fogliare, a volte giallume o necrosi. PVYC è stato raramente segnalato su patata. Gli isolati necrotici PVYN sono responsabili, invece, dei danni più consistenti, in quanto la necrosi nervale ha effetti su tutto il processo fotosintetico dell’apparato fogliare e nutrizionale della pianta, con ricadute negative sulla resa in tuberi (numero e pezzatura). A partire da 1980 in Europa sono comparsi nuovi isolati, indicati con PVYNTN, in grado di produrre anulature necrotiche sui tube-

PTNRD (Potato Tuber Necrotic Ringspot Disease)

• Dal 1997 la malattia PTNRD (Potato

Tuber Necrotic Ringspot Disease) si è diffusa anche in Italia, causando perdite economiche soprattutto nel settore della trasformazione industriale. I sintomi, che si evidenziano solo al momento della raccolta in condizioni climatiche caldo-umide, o successivamente nelle fasi di stoccaggio nei magazzini, consistono in lievi rigonfiamenti in prossimità delle gemme nella fase iniziale e in imbrunimenti o necrosi di cellule epidermiche che formano macchie anulari o irregolari. Foto D.R. Blystad

Sintomi di forte mosaico e necrosi del margine fogliare in una varietà suscettibile al PVA Foto R. Angelini

Colonie di afidi

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malattie da agenti sistemici ri. Recenti indagini diagnostiche su PVY condotte su produzioni dell’Italia centro-meridionale hanno evidenziato che la patata è principalmente affetta da questi ultimi isolati PVYNTN. Risultano ormai rari PVYO e PVYN, mentre la nuova variante ricombinante, indicata con PVYN-Wi, diffusamente rilevata in Europa dal 2005, è risultata ampiamente presente. Gli effetti sintomatologici di questo nuovo ceppo consistono in necrosi nervali, ma non sono esclusi danni macroscopici anche sui tuberi, quali necrosi e rotture. La produzione di tubero-seme certificato rimane la strategia più efficiente per controllare questa virosi particolarmente pericolosa. È necessario tenere alto il livello di controllo sul materiale in importazione mediante ispezioni periodiche e opportuni saggi diagnostici in grado di rilevare la presenza delle nuove varianti.

Virosi endemiche inficianti la qualità dei tuberi

• PLRV e PVY agiscono sul sistema

enzimatico cellulare delle piante infette. In particolare, PLRV determina un accumulo di carboidrati solubili nelle foglie, il cui eccesso viene trasformato in amido, responsabile metabolico del sintomo tipico dell’accartocciamento. PLRV, essendo un virus che si insedia nei vasi floematici, induce la formazione di tappi di callosio, bloccando la traslocazione del saccarosio ai tuberi. Questi rimangono perciò di pezzatura inferiore alla tipologia varietale

Virus trasmessi da afidi di minore importanza economica Il virus A della patata (Potato Virus A, PVA), il virus M della patata (Potato Virus M, PVM) e il virus del mosaico dell’erba medica (Alfalfa Mosaic Virus, AMV) sono altri agenti patogeni della solanacea trasmessi da diverse specie di afidi in modo non-persistente. Essi sono considerati di importanza secondaria in quanto le procedure di controllo nella produzione del tubero-seme hanno consentito una significativa riduzione della loro incidenza in molte aree produttrici di semente, tra cui l’Italia. Possono, comunque, verificarsi infezioni nelle coltivazioni per il consumo qualora altri ospiti naturali di questi virus siano presenti nelle vicinanze. In particolare, AMV è uno dei virus vegetali più diffusi in natura ed è in grado di infettare circa 400 specie botaniche appartenenti a 50 famiglie. La sua presenza in campi di patata è associata quasi sempre a coltivazioni limitrofe di erba medica, trifoglio o altre leguminose, ospiti principali del virus, tanto che l’infezione rimane poi limitata alle piante di patata nel bordo campo. La malattia è di facile identificazione per la comparsa delle caratteristiche macchie di colore giallo più o meno intenso (mosaico calico). Nei Paesi dove il virus è maggiormente diffuso sono riportati cali produttivi del 20% e sintomi anche sui tuberi, se associati a isolati più virulenti. PVA e PVM sono virus specifici della patata e di poche altre solanacee. Essi causano sintomi lievi solo a carico dell’apparato fogliare; alcuni isolati, presenti soltanto nei climi più freddi, possono provocare riduzione dello sviluppo, mosaico accentuato, rugosità e necrosi. Alterazioni fogliari marcate si verificano anche sulle varietà particolarmente suscettibili o in caso di piante già infette da altri virus (per esempio PVY e PLRV).

• La presenza di PVY nei tuberi

provoca nei tessuti parenchimatici la degradazione dell’amido in zuccheri semplici. Questi metaboliti, oltre a rendere problematica la conservazione dei tuberi per il consumo, determinano forti scarti di prodotto da parte delle industrie. La presenza di zuccheri semplici, infatti, provoca l’imbrunimento dei tessuti durante la frittura per la trasformazione in chips e sticks Foto CRA-PAV

Virus trasmessi da nematodi Suberosi anulare del tubero: Tobacco Rattle Virus, TRV TRV (genere Tobravirus) è un patogeno assai temuto in quanto colpisce direttamente la qualità del tubero sia destinato alla costituzione di semente sia impiegato come prodotto da consumo o

Necrosi nervale su foglie dei germogli generati da un tubero infetto da PVYN

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coltivazione industriale. Recenti segnalazioni indicano che si sta diffondendo in nuovi areali produttivi della solanacea, e alcune pubblicazioni scientifiche dell’ultimo decennio documentano l’importanza e la rinnovata emergenza di questo virus. Si tratta di un virus polifago che colpisce almeno 100 specie botaniche, tra cui importanti colture ortive (pomodoro, spinacio, carciofo, barbabietola da zucchero, sedano e lattuga) e floricole. I maggiori danni economici sono denunciati proprio nelle coltivazioni di fiori, bulbose in particolare, e nella pataticoltura. Il sintomo tipico causato da TRV consiste in anulature curvilinee suberose scure che compaiono all’interno del tubero (corky ringspots o spraing symptoms); esse non sempre si manifestano in fase di raccolta, bensì compaiono durante la conservazione o la trasformazione industriale. La presenza di TRV è stata accertata, con opportune analisi di laboratorio, in patatine già processate (chips), mostranti evidenti imbrunimenti. Circa il 25% delle varietà commerciali attualmente in uso nel Nord Europa rimane asintomatico anche in caso di infezione sistemica (presenza del virus nella parte epigea della pianta), determinando, tuttavia, gravi danni all’ambiente di coltivazione, in quanto si favorisce un accumulo dei nematodi viruliferi nel terreno e la diffusione del virus in altri areali di coltivazione attraverso l’uso di materiale di propagazione infetto, impiegato ed esportato come semente. Alcuni studi hanno evidenziato che queste stesse cultivar, erroneamente credute resistenti a TRV, mostrano comunque cali produttivi, in quanto danno luogo a tuberi più piccoli e affetti da rotture del parenchima durante la crescita. In altre varietà sensibili alla malattia, TRV tende a rimanere localizzato nelle radici e nei tuberi. Questi ultimi possono dare origine anche a piante sane attraverso un processo di autoeliminazione. La malattia è diffusa principalmente in terreni sabbiosi idonei allo sviluppo dei nematodi terricoli appartenenti ai generi Paratrichodorus spp. e Trichodorus spp., i quali, attraverso l’alimentazione su radici infette, trasmettono efficacemente il virus a macchia d’olio alle piante vicine. A ogni muta l’individuo perde la capacità di trasmettere il virus, in quanto esso non è circolativo e, quindi, non è presente nella progenie. Al contrario, negli individui dormienti TRV rimane infettivo fino a quasi un anno. Una volta accertata la presenza del binomio TRV-nematodi in un terreno, la malattia è piuttosto difficile da eradicare, soprattutto per la mancanza di prodotti fitosanitari efficienti contro i vettori.

Funghi vettori di virus

• Cinque sono le specie fungine note

come vettori di virus vegetali: – Olpidium brassicae e O. radicale (Chytridiomycetes) sono vettori, rispettivamente, di 9 e 6 specie virali, appartenenti a generi tassonomici diversi e caratterizzati da una struttura isodiametrica (Tombusvirus, Carmovirus, Necrovirus per esempio TNV) o bastoncelliforme (Varicosavirus) – Polymyxa betae trasmette virus specifici della barbabietola (tra cui 2 appartenenti allo stesso genere del Potato Mop-Top Virus). P. graminis (Plasmodiophoromycetes), parassita delle graminacee, può trasmettere 12 specie virali a differenti ospiti – Spongospora subterranea (Plasmodiophoromycetes) a oggi mantiene la specificità nel solo binomio PMTV-patata

• Questi funghi sono parassiti obbligati,

privi di parete cellulare nelle fasi iniziali di crescita (stadio protoplasmatico); pertanto, non uccidendo le cellule attaccate, permettono l’avvio dei processi infettivi del virus Foto D.R. Blystad

Virus trasmessi da funghi Anulatura suberosa del tubero: Tobacco Necrosis Virus, TNV Di minore importanza, questo virus è trasmesso dalle zoospore del fungo Olpidium brassicae attraverso le radici delle piante ospiti. In Italia è stato rinvenuto nella varietà Sieglinde. I sintomi si sviluppano solo sui tuberi; questi, se infetti, manifestano lesioni e fissurazioni

Necrosi nel parenchima amilaceo di un tubero risultato infetto da TRV

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malattie da agenti sistemici brunastre profonde, assumendo un aspetto reticolato. Le fissurazioni, a volte parallele o convergenti, ricordano le lesioni causate dalla scabbia. L’infezione generalizzata a tutta la pianta è molto rara e le piante originate da tuberi infetti risultano sane. La malattia causata da questo virus è anche nota come “virosi ABC”, in riferimento alle tre sintomatologie dei tuberi provocate da altrettanti tipi di isolati: 1) lesioni marroni infossate e fissurazioni larghe e reticolate, causate da isolati di tipo A; 2) lesioni brunastre e fissurazioni fini reticolate, causate da isolati di tipo B; 3) pustole che danno successivamente origine a lesioni profonde, indotte da isolati di tipo C.

Virus da quarantena

• Il DL 214/2005, che recepisce la

Direttiva 2000/29/CE, stabilisce gli organismi nocivi delle piante ritenuti pericolosi per i danni che possono arrecare ai diversi settori agricoli

• I parassiti sono riportati in specifici

allegati, distinguendo quelli di cui “deve essere vietata l’introduzione e la diffusione” in tutti gli Stati membri perché non presenti nella Comunità Europea (Allegato IA) dagli organismi di cui “deve essere vietata l’introduzione e la diffusione in alcune aree protette” (Allegato IB). La normativa, inoltre, elenca nell’Allegato II gli organismi da ritenere da quarantena solo quando associati a un determinato ospite vegetale o suo prodotto

Nanismo maculato della patata: Potato Mop-Top Virus, PMTV Virus originario delle regioni andine del Sudamerica, è stato segnalato per la prima volta in Europa, nel Regno Unito e in Olanda, negli anni Sessanta. Nei decenni a seguire, fino a oggi, altri Paesi dell’Europa settentrionale e orientale, tra cui di recente la Polonia, hanno riscontrato la malattia, con effetti preoccupanti sulla produzione. Virus non regolato da alcuna normativa, PMTV non è mai stato segnalato in Italia, ma essendo il nostro un Paese importatore di patata da consumo e da seme, esiste il rischio di introduzione e di endemizzazione nelle aree produttive dove è presente il vettore specifico (e unico), ovvero l’agente della scabbia polverulenta Spongospora subterranea f.sp. subterranea. PMTV, virus a particelle rigide bastoncelliformi del genere Pomovirus, si insedia nelle spore del fungo, e per loro tramite viene trasmesso alle piante sane di patata per via radicale, oppure si conserva in assenza dell’ospite vegetale all’interno delle spore dormienti anche per 15-18 anni. In una pianta infetta, PMTV non è sempre presente in tutte le parti, poiché la traslocazione per via xilematica delle particelle avviene lentamente; il virus può rimanere localizzato nella parte aerea sviluppata dal tubero infetto senza dare infezione ai nuovi tuberi. Al contrario, in caso di infezione primaria in campo, questa rimane localizzata nella zona ipogea, interessando percentuali diverse dei tuberi nuovi, mentre la parte fogliare e gli steli possono rimanere esenti dal virus. Le piante nate da tuberi infetti si identificano facilmente in campo per una taglia particolarmente ridotta e affastellata a causa del raccorciamento degli internodi, mentre le foglie mostrano una sintomatologia variabile (maculature da clorotiche a gialle di tipo anulare, lineare, irregolare o a V; accartocciamento; malformazione) a seconda delle varietà e delle condizioni climatiche. Sul tubero il sintomo – non sempre presente e molto simile a quello prodotto da TRV – viene osservato con maggiore frequenza durante la conservazione. Esso consiste in linee necrotiche tratteggiate e arcuate, singole o concentriche, che si manifestano nella zona parenchimatica amilacea (assai rare nella zona epidermica). Come è accaduto per PVYNTN, PMTV ha la potenzialità di incidere economicamente sul settore pataticolo. L’uso di semente certi-

• Nel caso della patata, i virus da

quarantena sono riportati nell’allegato IA Sezione 1 e comprendono, oltre al PSTVd, 4 specie virali (Andean Potato Latent Virus, Andean Potato Mottle Virus, Potato Virus T, Potato Black Ringspot Virus) presenti nelle regioni del Sudamerica e tutti gli isolati noneuropei dei virus descritti nel presente capitolo Foto L. F. Salazar

Maculature giallo intenso sulle foglie basali e sviluppo apicale affastellato di una pianta infetta da PMTV

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coltivazione ficata è il principale mezzo di prevenzione nei confronti dell’introduzione di questo virus. Il fungo, per la capacità di produrre in condizioni avverse spore durevoli, risulta difficile da eradicare in un terreno contaminato in assenza di prodotti chimici efficaci, che possano sostituire il bromuro di metile (recentemente vietato perché assai tossico per l’ambiente). Pertanto, nei Paesi dove è presente il binomio PMTV-S. subterranea, vengono effettuate analisi del terreno per la ricerca del virus e del fungo vettore, e si stanno compiendo molti sforzi nella ricerca di varietà resistenti o tolleranti.

Diagnosi dei fitovirus della patata

• Tra i test più frequentemente utilizzati

a scopo diagnostico si segnalano: – ELISA: è un test sierologico (reazione tra proteine virali e anticorpi specifici prodotti in animali) largamente impiegato per quasi tutti i virus della patata. Kit appositi sono addirittura in grado di differenziare vari ceppi dello stesso virus (per esempio PVYC, PVYO e PVYN). Di recente sono stati sviluppati alcuni test sierologici a diagnosi rapida (reazione sierologica su piccole membrane) utilizzabili direttamente in campo o nelle aree doganali di controllo –R T-PCR: è il test molecolare (riconoscimento per complementarità tra l’acido nucleico virale e brevi sequenze nucleotidiche di sintesi, chiamate primers) maggiormente utilizzato per diagnosi di virus da quarantena, in quanto fornisce una doppia identificazione dell’agente virale mediante successivo sequenziamento. Questa tecnica è necessaria anche per l’identificazione di entità virali scarsamente immunogene o di nuove varianti di virus noti (PVYNTN e PVYN-Wi) – s aggio biologico: è un importante test diagnostico, di tipo generico, utilizzato nei centri specializzati per i controlli fitosanitari dei tuberi. Questo saggio presuppone che i virus siano trasmissibili meccanicamente a piante erbacee indicatrici, le quali, allevate in serre termocondizionate, manifestano specifici sintomi in caso di presenza di particelle virali

Virus trasmessi per contatto Mosaico lieve: Potato Virus X, PVX Questo virus è ritenuto universalmente diffuso in tutti gli areali produttivi della patata, ma gli viene attribuita una scarsa importanza economica, in quanto è causa di infezione latente nella maggior parte delle varietà commerciali ed è responsabile di perdite produttive mai superiori al 15%. La comparsa di una leggera mosaicatura si verifica in particolari condizioni climatiche, soprattutto a basse temperature (16-20 °C) e in presenza di ridotta intensità luminosa, oppure è associata a particolari ceppi del virus. In caso di infezione mista con altri virus, in particolare PVY, esso causa invece un aggravamento del quadro sintomatologico generale (effetto sinergico). PVX provoca danni maggiormente apprezzabili su altre solanacee, come pomodoro, tabacco e peperone, e infetta naturalmente diverse specie spontanee di altre famiglie botaniche (per esempio Trifolium pratense, Melilotus alba, Taraxicum officinale). PVX (genere Potexvirus, famiglia Alphaflexiviridae) è un virus allungato che si trasmette per contatto; la sua diffusione può pertanto avvenire tra piante contigue, e a distanza solo attraverso le macchine da lavoro o l’azione dell’uomo. Oggi molti Paesi produttori di tubero-seme sono riusciti a eradicare completamente questo virus, per cui l’uso di seme certificato è la migliore garanzia per evitare di introdurre nelle coltivazioni questo agente infettivo. Mosaico latente: Potato Virus S, PVS Anche questo virus (genere Carlavirus, famiglia Flexiviridae) è trasmesso per contatto tra piante adiacenti e, in particolare, attraverso le lesioni causate dalle macchine da lavoro. È stata accertata anche la trasmissione per afidi (Aphis nasturtii e Myzus persicae) in modo non persistente; questa modalità di trasmissione ha una bassa efficacia rispetto a quella nota per altri virus (PVY), in quanto sono necessari tempi di suzione piuttosto lunghi (2-16 minuti), che rendono più efficace l’azione degli insetticidi. Nelle coltivazioni di tubero da seme, pertanto, PVS viene facilmente controllato consentendo un’efficiente attuazione dei programmi di eradicazione del virus dalle sementi. 590


malattie da agenti sistemici Considerati anche gli scarsi danni denunciati alla coltura in termini di calo produttivo (variabile dal 2 al 20% in funzione della suscettibilità varietale), PVS è ritenuto un virus di scarsa importanza economica. In Europa, e in Italia, sono presenti solo isolati appartenenti al ceppo comune (PVSO). È tuttavia noto un ceppo più aggressivo (PVSA), al momento confinato nelle zone andine ed elencato tra gli organismi da quarantena (Decreto legislativo 214/2005, Allegato IA, Sezione I: Isolati non-europei dei virus della patata), di cui è vietata l’introduzione in territorio europeo. PVSO provoca sintomi molto lievi sulle foglie (rugosità della lamina) o infezioni latenti nella maggior parte delle varietà commerciali diffuse sul territorio. Come molte infezioni virali, è comunque responsabile della precoce senescenza della pianta.

Resistenza alle virosi

• Il controllo delle malattie virali,

basato soprattutto sulla riduzione della popolazione afidica vettrice, è difficoltoso, costoso e poco salutare per l’ambiente e il consumatore

• Il miglioramento genetico per la

resistenza ai virus è considerato oggi il metodo di controllo più eco-compatibile per gli agrosistemi. La produzione di varietà resistenti necessita di geni specifici per singolo virus che, nel caso della patata, sono reperibili nelle numerose specie selvatiche di cui è ricco il Sudamerica

Risanamento della patata dalle virosi Numerose norme fitosanitarie garantiscono la qualità dei tuberiseme e pertanto prevedono che il materiale iniziale con cui avviare le coltivazioni di patata sia esente da patogeni da quarantena, tra cui sono inclusi numerosi virus assai nocivi per questa solanacea. La patata si presta bene alla coltura in vitro, tecnica molto diffusa per mantenere in conservazione collezioni di germoplasma e per accelerare le fasi di propagazione del materiale destinato agli impianti di produzione della semente. La coltura in vitro, attraverso il prelievo dell’apice vegetativo, a volte associato alla termoterapia, è anche un’efficiente tecnica di risanamento da virus. Spesso è necessario recuperare delle varietà di patata fortemente degradate e infette da virosi nei confronti delle quali non esistono idonee terapie. L’unico sistema disponibile, pertanto, è il ricorso al risanamento, che prevede una sequenza di fasi operative ben precisa. In particolare, da giovani germogli ottenuti direttamente dai tuberi infetti vengono prelevate, sterilizzate e poste su idonei substrati di coltura talee uninodali di circa 1 cm di lunghezza. Dalle microtalee così allevate in vitro, e in alcuni casi sottoposte a termoterapia per 40-60 giorni, vengono prelevati apici meristematici di 0,2-0,3 mm, i quali, grazie alle ridotte dimensioni dell’espianto, daranno origine a nuovi individui molto probabilmente privi di virus e non in grado di replicarsi nei tessuti meristematici. Nell’arco di 2-3 mesi è possibile disporre di piantine radicate pronte per essere acclimatate e allevate in serra, e si possono ottenere minituberi da utilizzare per la produzione di nuovo tubero-seme. L’avvenuto risanamento deve essere comunque accertato attraverso idonei saggi diagnostici che attestino l’effettiva assenza dei virus nel germoplasma così ottenuto. Attraverso la coltura d’apice in vitro è stato possibile recuperare alcune varietà autoctone di patata (per esempio la Patata di Montecopiolo e la Patata Rossa di Cetica) fortemente attaccate da virus, che ne avevano inficiato la capacità produttiva, ridotto le qualità organolettiche e, spesso, reso antieconomica, se non impossibile, la coltivazione.

• Più difficile è l’inserimento

di questi geni nel nostro germoplasma mantenendo inalterate tutte le caratteristiche agronomiche e organolettiche richieste dal mercato. Inoltre, non sempre la resistenza è ampia e in grado di proteggere le nuove selezioni da tutti gli isolati del virus che si intende controllare; spesso, soprattutto in particolari condizioni climatiche o di pressione virulifera, si può verificare il superamento o la rottura della resistenza

• Sono state prodotte varietà

commerciali dotate di resistenza, più o meno stabile e duratura negli anni, a tutti i virus riportati nel capitolo, a eccezione di PMTV e PSTVd. Oggi la ricerca si basa sulle nuove conoscenze di ingegneria genetica e sull’approfondimento dei meccanismi di resistenza indotta nelle piante, e tende a individuare resistenze multigeniche in grado di controllare più virus

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coltivazione Viroidi Alla fine degli anni sessanta negli Stati Uniti Theodor Diener segnalava la scoperta, in piante di patata affette da “affusolamento del tubero”, di un nuovo agente patogeno subvirale che denominò “viroide”. Dalla loro scoperta ad oggi i viroidi noti sono circa trenta ed infettano molte specie arboree ed erbacee, causando molto spesso alterazioni gravi a carico di foglie, frutti e organi legnosi. Da un punto di vista biochimico essi rappresentano la forma più elementare di parassitismo. Sono infatti costituiti unicamente da una molecola circolare di RNA singola elica di basso peso molecolare, non in grado di codificare per alcuna proteina ma con la capacità di replicarsi e diffondersi all’interno della cellula ospite senza l’intervento di alcun virus ausiliare.

Potato spindle tuber viroid (PSTVd)

• Il PSTVd è una delle avversità più temibili

e distruttive per la patata e per questo è considerato un organismo da quarantena (All. 1 del DL 214/2005) soggetto a lotta obbligatoria (D.M. 28/01/2008). A seconda del ceppo (mite o severo), della varietà e delle condizioni ambientali, la malattia può provocare danni con incidenze che vanno dal 20% al 70% nella perdita di produzione. Le piante di patata affette da PSTVd presentano una riduzione della taglia dell’apparato fogliare con un cambiamento nell’habitat di crescita caratterizzato da foglie erette, verde scuro e rugose che crescono con andamento destrorso od orario se viste dall’alto; i tuberi invece presentano un accentuato affusolamento con riduzione della taglia, assumendo spesso la caratteristica forma a manubrio di bicicletta con ipertrofia delle gemme od occhi. In patata, il PSTVd si trasmette molto facilmente per contatto, tramite sfregamento di foglie infette, con i vestiti degli operatori e attraverso l’uso di attrezzi agricoli. Il viroide è trasmesso anche per mezzo degli organi riproduttivi quali polline e semi veri. In ogni caso la via di trasmissione più efficiente è sicuramente l’uso del materiale di propagazione infetto (tuberi da semina, piantine). Anche afidi, cicaline e alcuni coleotteri che si nutrono e vivono su piante infette sembrano poter trasmettere il viroide. Il viroide può essere trasmesso per mezzo di afidi anche inglobato all’interno del capsidio proteico del virus dell’accartocciamento fogliare della patata (PLRV).

Affusolamento del tubero di patata: Potato spindle tuber viroid – PSTVd Come detto, la patata ha avuto “l’onore” di essere stata la specie vegetale in cui è avvenuta la scoperta dei viroidi, ma anche “l’onere” di subirne gli effetti distruttivi. Il PSTVd è infatti una delle avversità più temibili e distruttive per la patata. A seconda del ceppo (mite o severo), della varietà e delle condizioni ambientali, la malattia può provocare danni con incidenze che vanno dal 20% al 70% nella perdita di produzione. Il quadro sintomatologico riguarda sia la parte aerea che il tubero, anche se i danni maggiori sono proprio a carico di quest’ultimo. In particolare le piante di patata affette da PSTVd presentano una riduzione della taglia dell’apparato fogliare con un cambiamento nell’habitat di crescita caratterizzato da foglie erette, verde scuro e rugose che crescono con andamento destrorso od orario se viste dall’alto; i tuberi invece presentano un accentuato affusolamento con riduzione della taglia, assumendo spesso la caratteristica forma a manubrio di bicicletta con ipertrofia delle gemme od occhi. Foto. I. Boubourakas

segue

Tuberi affetti dalla malattia dell’affusolamento. In risalto la diminuzione della taglia (a sinistra), la classica forma a manubrio di bicicletta (al centro) e l’ingrossamento delle gemme (a destra)

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malattie da agenti sistemici Il PSTVd si trasmette molto facilmente per contatto, tramite sfregamento di foglie infette, con i vestiti degli operatori ed attraverso l’uso di attrezzi agricoli (forbici da pota, trattori ecc.). Il viroide è trasmesso anche per mezzo degli organi riproduttivi quali polline e semi veri. In ogni caso la via di trasmissione più efficiente è sicuramente l’uso del materiale di propagazione infetto (tuberi da semina, piantine). Controverso e non molto chiaro è invece il ruolo che rivestono gli insetti vettori. Afidi, cicaline e alcuni coleotteri che si nutrono e vivono su piante infette sembrano poter trasmettere il viroide. Il viroide può essere trasmesso per mezzo di afidi anche inglobato all’interno del capsidio proteico del virus dell’accartocciamento fogliare della patata (PLRV). L’affusolamento del tubero della patata è una malattia diffusa principalmente in Estremo Oriente (Afganistan, Cina) ed Africa (Egitto, Nigeria) mentre la sua presenza in Canada, USA e Europa dell’Est è limitata in quanto è stata immediatamente effettuata una opera di eradicazione. In Italia la malattia è assente ma è presente il patogeno. Questo apre uno scenario che rende il PSTVd come una potenziale minaccia per la coltura della patata in Italia. Come per i virus, non esiste alcuna possibilità di intervento terapeutico contro il PSTVd, quindi la lotta alla malattia ed al suo agente causale si limita fondamentalmente alla prevenzione, attraverso l’uso di materiale di propagazione certificato esente dal viroide, il monitoraggio e la rimozione di piante con sintomatologia sospetta, la disinfezione degli attrezzi da lavoro con ipoclorito di sodio, l’attenzione verso tutte le specie vegetali che possono essere ospiti del patogeno e quindi serbatoio di infezione per la patata. Alla base di queste norme profilattiche di prevenzione c’è l’assoluta necessità di disporre ed utilizzare strumenti diagnostici molecolari (gli unici attuabili per i viroidi) validi ed affidabili.

continua

L’affusolamento del tubero della patata è una malattia diffusa principalmente in Estremo Oriente (Afganistan, Cina) ed Africa (Egitto, Nigeria) mentre la sua presenza in Canada, USA e Europa dell’Est è limitata; in Italia la malattia è assente ma è presente il patogeno. Come per i virus, non esiste alcuna possibilità di intervento terapeutico contro il PSTVd, quindi la lotta alla malattia e al suo agente causale si limita fondamentalmente alla prevenzione

Foto CRA-PAV Foto R. Angelini

Tipico aspetto dell’apparato aereo di pianta di patata affetta da PSTVd. Le foglie, di consistenza rugosa, assumono una colorazione verde scura con andamento destrorso

Urtica dioica

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coltivazione Fitoplasmi I fitoplasmi, agenti di malattie delle piante, sono batteri della classe Mollicutes, unicellulari e caratterizzati dal fatto di non possedere una parete cellulare ma di essere delimitati da una semplice membrana. Ciò comporta una morfologia pleomorfa, senza cioè una forma stabile e definita e il conseguente fatto che possono vivere solo all’interno del floema della pianta, dove la condizione di osmolarità consente la loro sopravvivenza. L’azione patogena che esercitano sulle piante è dovuta a un’azione diretta tramite il rallentamento o il blocco della circolazione della linfa elaborata e a un’azione indiretta dovuta alla conseguente alterazione dell’equilibrio dei regolatori di crescita. Diverse malattie di origine fitoplasmale colpiscono la patata. Tra queste le più importanti sono: l’apice viola della patata (Potato purple top - PPT), gli scopazzi (Potato witches’ broom - PWB) e lo Stolbur. Il PPT provoca gravissimi danni nel continente americano ed è inserito nella lista A1 dei patogeni da quarantena. Il PWB e lo Stolbur sono invece malattie diffuse in tutti gli areali di coltivazione della patata compresi quelli italiani, ma provocano danni più contenuti e le occasionali epidemie sono soprattutto collegate agli andamenti climatici. Il controllo delle malattie da fitoplasmi, come tutte le malattie sistemiche, è basato essenzialmente su misure di prevenzione. L’uso di tuberi da seme certificati è naturalmente il mezzo più efficace per la prevenzione della diffusione tramite materiale propagativo. Un’efficace azione preventiva sulla diffusione per mezzo di vettori si attua invece tramite: – adozione di rotazioni ampie; – realizzazione di impianti, quando possibile, lontano da incolti; – eliminazione delle piante infette per abbassare la pressione di inoculo; – controllo selettivo della vegetazione spontanea; – quando ritenuto idoneo, opportuni trattamenti insetticidi agli agenti vettori. Studi recenti stanno verificando l’efficacia dell’uso di alcune sostanze che inducono l’induzione di resistenza nelle piante tramite attivazione di vie metaboliche dirette al contenimento o all’eliminazione del patogeno.

Emergenza PSTVd ed altri viroidi in Italia

• Il PSTVd è un organismo da quarantena

(All. 1 del DL 214/2005) soggetto a lotta obbligatoria (D.M. 28/01/2008) che può provocare ingenti danni nelle coltivazioni di solanacee eduli quali pomodoro, patata e melanzana. Il PSTVd, al pari di altri viroidi appartenenti allo stesso genere Pospiviroid (famiglia Pospoviroidae), è in grado di moltiplicarsi anche su solanacee ornamentali quali Solanum jasminoides, Solanum rantonnetti, Brugmansia spp, Datura spp. e Cestrum spp. Sulle specie ornamentali non si evidenziano, apparentemente, sintomi di infezione e pertanto è possibile diagnosticarne la presenza soltanto attraverso analisi molecolari di laboratorio. In Italia, il PSTVd è stato rinvenuto dapprima su piante ornamentali e successivamente su pomodoro; insieme al PSTVd sono in aumento anche le segnalazioni su solanacee ornamentali di presenza di altri viroidi (es. Tomato apical stunt viroid – TASVd; Tomato chlorotic dwarf viroid – TCDVd; Citrus exocortis viroid - CEVd). Tra questi, alcuni hanno la capacità, in condizioni sperimentali, di replicarsi in patata ed altre solanacee eduli ed il TCDVd anche di indurre sintomi. Alla luce di questa situazione e nell’ottica di proteggere la pataticoltura italiana si sottolinea l’opportunità di alzare il livello di guardia per PSTVd ed altri viroidi, in considerazione del fatto che si tratta di organismi patogeni molto simili tra loro e non facilmente differenziabili

Scopazzi della patata (Potato witches’ broom) - PWB La malattia degli scopazzi della patata è trasmissibile tramite tuberi da semina e diverse specie di cicaline. Le piante derivate da tuberi infetti presentano accestimento, nanismo e stoloni allungati con numerosi tuberi non più grandi di una noce, che danno l’idea di una catena di sfere. Le foglie sono arrotolate e hanno margini ingialliti. Le piante che vengono infettate dai vettori producono invece un forte affastellamento con foglie 594


malattie da agenti sistemici arrotolate e ingiallite ai margini. I tuberi che si formano dopo l’infezione sono molto più piccoli. Potato purple top – PPT

Stolbur della patata La malattia dello Stolbur è indotta da un fitoplasma polifago che è in grado di infettare un elevato numero di ospiti vegetali, principalmente le solanacee, la vite e diverse piante spontanee, che spesso fungono da fonte di inoculo per i vettori. Il fitoplasma è presente in tutto il mondo ed è riportato nella lista A2 dei patogeni da quarantena. In natura viene trasmesso per innesto, ponte cuscuta e tuberi da semina. Diversi insetti, inoltre, sono responsabili della sua trasmissione. Il più importante vettore in Europa è lo Hyalesthes obsoletus, ma altri insetti sono risultati positivi ai test diagnostici per la presenza del fitoplasma e sono, quindi, probabilmente coinvolti nella diffusione della malattia. La malattia segue generalmente dei cicli epidemici che sembrano essere correlati agli andamenti climatici. Estati molto calde e secche sembrerebbero stimolare la migrazione dei vettori dalle piante spontanee alle solanacee, che in condizioni normali risultano essere meno preferite dagli insetti. Si osservano, quindi, annate con gravi danni produttivi seguite da diversi cicli in cui il patogeno sembra non essere presente. Probabilmente il patogeno sopravvive essenzialmente sulle piante spontanee, tra le quali il ruolo di ospite intermedio del vettore è svolto soprattutto dal Convolvulus arvensis e dall’Urtica dioica. Le piante infette presentano germogli affusolati con ingiallimento e arrotolamento delle foglie. Spesso vengono prodotti stoloni aerei e le gemme ascellari lungo il fusto possono produrre tuberi.

• Il PPT è una malattia devastante diffusa

in varie regioni del Nord America e del Messico in cui sono coinvolti almeno tre distinti fitoplasmi. I sintomi tipici (che danno il nome alla malattia) consistono nella formazione di pigmenti giallo-viola sulle foglie apicali che si arrotolano verso il basso. Le piante sono affastellate e disseccano molto repentinamente. Il rischio di introduzione della malattia in Europa è chiaramente molto elevato se il materiale di propagazione importato non origina da schemi di certificazione ufficialmente riconosciuti

Metodi diagnostici

• I fitoplasmi possono essere individuati

Foto P. Viggiani

all’interno delle piante infette solo attraverso l’utilizzazione di tecniche molecolari molto complesse, che prevedono una iniziale estrazione del DNA a partire dal tessuto floematico. Il DNA ottenuto viene utilizzato come stampo per eventi di amplificazione di frammenti specifici del DNA fitoplasmale (tecnica PCR), seguiti dallo studio della loro sequenza per l’identificazione del gruppo tassonomico di appartenenza. I fitoplasmi, infatti, sono tassonomicamente distinti in gruppi ribosomici sulla base della sequenza del gene molto conservato 16S

Convolvolus arvensis

595


la patata Foto M. Rebeschini

coltivazione Post-raccolta Fabio Mencarelli

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti - IstockPhoto: pagg. 97 - 98 - 100 - 101 - 108 (in alto) - 111 - 112 - 113 - 115 - 116 - 117 (in basso) - 118 - 120 - 121 - 122 - 125 (in alto) - 126 (in alto) - 127 - 128 - 129 (in alto) - 131 (in alto) - 132 - 133 - 134 - 135 - 136 - 138 - 139 (in alto) - 141 - 178 - 180 (in basso) - 182 (in alto) - 195 (in alto) - 196 - 198 - 200 - 201 - 203 (in basso) - 206 - 207 (in basso) - 208 - 209 (in alto) - 210 - 211 213 - 240 (in basso) - 242 (in basso) - 243 (in basso) - 249 (in alto) - 250 (in alto) - 260 - 264 (in basso) - 265 - 266 (in basso) - 267 - 270 (a destra) – 271 (a sinistra) - 274 - 275 - 276 - 278 - 279 - 287 (in basso) - 289 - 291 (in alto) 296 (destra) 297 (sinistra) 298 (basso) 299 (in alto) 306 - 307 346 (in alto) - 685 (in alto) - 687 - 691 - 761 (in alto) - 763 (in basso) - 764 (in alto) 765 (in basso) - 857 (in basso). DreamsTime: pagg. 119 - 164 - 165 - 166 - 167 - 169 170 - 171 - 173 - 174 - 175 - 176 - 177 - 179 - 180 (in alto) - 181 - 182 (in basso) - 186 - 187 - 214 (in alto) - 241 - 242 (in alto) - 255 (a sinistra) - 261 (in basso) - 263 (in alto) - 264 (in alto) - 266 (in alto) - 272 - 273 - 277 - 632 - 634 - 673 - 675 - 676 - 681 - 763 (in alto) - 786 - 787 788 - 789 - 857 (in alto).


coltivazione Post-raccolta Foto M. Curci

Epoca di raccolta Il giusto momento per la raccolta della patata è un aspetto di estrema importanza per la qualità e la conservabilità del tubero. Nel caso delle patate novelle la raccolta è anticipata a uno stadio in cui il periderma (buccia) non è ancora suberificato e si distacca facilmente mediante leggera pressione tangenziale delle dita. Per la patata a piena maturazione non esistono metodi oggettivi per stabilire che è giunto il momento della raccolta, e si considera l’avanzato ingiallimento dell’apparato epigeo e l’aderenza del periderma, che deve essere ben suberificato e non distaccarsi dalla polpa. Il parametro migliore per la raccolta sarebbe il contenuto in sostanza secca, che aumenta con il progredire della maturazione. Il contenuto in sostanza secca si misura in maniera indiretta analizzando il peso specifico (o densità) di un campione di tuberi. Esiste, infatti, una relazione tra queste due caratteristiche, dovuta al fatto che l’amido ha un peso specifico assai superiore a quello dell’acqua e perciò quanto più acquosi sono i tuberi tanto minore è il loro peso specifico. Si considera che per le patate da consumo fresco la percentuale di sostanza secca deve essere compresa tra 17 e 20, mentre per quelle destinate all’industria di trasformazione tra 20 e 25. Esistono diversi metodi per misurare il peso specifico: il metoVarietà Arinda

Foto M. Curci

596


post-raccolta Relazione tra peso specifico dei tuberi e percentuale di sostanza secca e di amido Peso specifico [kg/l]

Sostanza secca [%]

Amido [%]

1,070

18

11,8

1,079

20

13,6

1,088

22

15,4

1,099

24

17,5

Misura del peso specifico

• Il più usato è senza dubbio quello della

doppia pesata consiste nel pesare 5 kg di patate (p1) e poi avvolgerle in una retina e immergerle in un recipiente pieno d’acqua, posto su una bilancia con tara azzerata. Se il campione viene tenuto sospeso nell’acqua senza che tocchi il fondo, la bilancia non registrerà il peso delle patate bensì il peso del volume d’acqua spostato dalle patate (p2). Quindi, sottraendo dal peso iniziale delle patate (p1) il peso dell’acqua spostata (p2) otterremo un valore p3. Dividendo il valore p1 per il valore p3 avremo infine il peso specifico. Per il consumo fresco si considera un valore di p3 maggiore di 326 g, e per l’industria maggiore di 367 g

do dell’idrometro, quello delle soluzioni saline e il metodo della doppia pesata. Norme qualitative per la commercializzazione Le norme di qualità relative alla commercializzazione della patata fanno riferimento all’UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) e precisamente al documento UNECE Standard FFV-52 (2009). A differenza di altri prodotti ortofrutticoli, per i quali l’Italia recepisce la normativa emanando sulla “Gazzetta Ufficiale” il riferimento in italiano, per la patata non esiste alcun regolamento nazionale. Riteniamo quindi di estrema utilità riportare in questa sede le norme che dovrebbero regolare la commercializzazione della patata, novella e non.

Foto D. D’ascenzo

I. Definizione di prodotto Lo standard si applica alla patata novella e a quella matura (di seguito denominata comune) di tutte le varietà di Solanum tuberosum L. e relativi ibridi che vengono prodotti per il commercio. Le patate novelle sono varietà precoci o raccolte all’inizio della stagione nel Paese di produzione. II. Disposizioni riguardanti la qualità Le norme che sono di seguito riportate si riferiscono alle patate pronte per essere spedite. Quelle che vengono controllate nelle fasi successive della distribuzione, soprattutto in esportazione, possono mostrare: – una mancanza di freschezza e turgore; – leggero deterioramento dovuto allo sviluppo; Il commerciante può allora decidere di non vendere il prodotto o di metterlo in svendita, oppure potrà anche metterlo sul mercato in altro modo non considerando le norme qualitative, sotto la propria responsabilità. Requisiti minimi a) Rispetto alle tolleranze permesse, i tuberi devono rispettare i requisiti minimi a lato. 597


coltivazione el caso delle patate novelle, la parziale assenza della buccia N non deve essere considerata un difetto. Le patate comuni devono avere buccia ben formata e a copertura dell’intera superficie. Le patate novelle non devono presentare alcun germoglio, mentre le patate comuni possono avere inizi di germogli non più lunghi di 3 mm. Lo stadio di sviluppo e la condizione delle patate novelle e di quelle comuni devono essere tali da permettere loro di essere trasportate e condizionate (preparate per il mercato), nonché di arrivare in condizioni soddisfacenti al luogo di destinazione.

Patate novelle

• Con l’espressione “patate novelle”

si indicano le patate raccolte prima che siano completamente mature, commercializzate immediatamente dopo la raccolta e la cui buccia si stacca facilmente senza necessità di pelatura

b) Ogni confezione o lotto per la commercializzazione deve essere privo di materiale estraneo come terra, parti vegetali, sassi ecc. III. Raccomandazioni per la calibrazione La calibrazione è determinata dalla dimensione dei fori quadrati del vaglio perforato. – I tuberi devono essere di una misura tale da non consentire il passaggio attraverso un foro del vaglio di: 28 mm × 28 mm per le patate novelle 35 mm × 35 mm per le patate comuni 30 mm × 30 mm per le varietà di patate comuni di tipo allungato – I tuberi devono essere di una misura massima tale da permettere il passaggio attraverso un foro di 80 mm × 80 mm, oppure di 75 mm × 75 mm per le varietà allungate. Tutte le patate eccedenti la massima misura saranno tollerate a patto che la massima differenza in misura tra la più piccola e la più grande non superi 30 mm e che siano commercializzate con una specifica denominazione o nome commerciale. Tuberi che misurano da 18 mm a 35 mm possono essere commercializzati sotto la denominazione di “mids” (sottocalibro), o altro nome commerciale equivalente. L’uniformità di pezzatura non è obbligatoria. Comunque, nelle confezioni contenenti fino a 5 kg di peso netto per il commercio al dettaglio la massima differenza tra la più piccola e la più grande non deve superare i 30 mm. Una varietà viene considerata lunga se è catalogata come lunga o ovale lunga nella lista varietale nazionale da cui è stata selezionata. I requisiti di calibro non si applicano alle varietà lunghe di forma irregolare (per esempio Stella, Ratte o Pink Fir Apple).

Calibrazione a vaglio perforato delle patate

IV. Raccomandazioni sulle tolleranze A qualsiasi stadio della distribuzione, la tolleranza per la qualità e il calibro delle patate deve essere permessa per i prodotti che non soddisfano i requisiti minimi. 598


post-raccolta V. Raccomandazioni sulla presentazione A. Uniformità I tuberi contenuti in una confezione (oppure presenti all’interno di un cassone o cassetta commerciale) devono essere uniformi e costituiti soltanto da patate novelle o patate comuni della stessa origine, varietà e qualità, del medesimo colore della buccia e della polpa, nonché dello stesso calibro (se calibrate). Le parti visibili del contenuto della confezione devono essere rappresentative dell’intero contenuto.

Requisiti minimi

• esteticamente normali secondo

i requisiti dell’area di produzione;

• integri (non devono presentare parti mancanti e lesioni che rendano la superficie discontinua);

• sani (i tuberi non devono mostrare

B. Confezionamento Le patate novelle e comuni devono essere confezionate in modo tale da proteggere il prodotto e assicurarne la ventilazione. I materiali usati all’interno della confezione devono essere puliti e tali da evitare lesioni interne o esterne al prodotto. L’impiego di materiali, in particolare carta o marchi adesivi riportanti indicazioni commerciali, è permesso solo se la stampa e l’etichetta sono state realizzate con inchiostri e colle non tossici. Nel caso delle patate novelle, materiali specifici di confezionamento (per esempio torba) possono essere utilizzati per una migliore protezione dei tuberi durante lunghi trasporti. In alcuni Paesi, tuttavia, tali materiali non sono permessi.

alterazioni che li rendano inidonei al consumo);

• puliti, consistenti, esenti da qualsiasi

difetto, interno o esterno, che penalizzi l’aspetto generale del prodotto, la sua qualità, il mantenimento e la presentazione all’interno della confezione, tale da superare i 4 mm in profondità, come: – scottature da calore, fratture, ferite, erosioni da insetto, abrasioni, ruvidità (eccetto per le varietà che hanno la buccia ruvida); – colore verde; sfumature di verde anche lieve che superino 1/8 della superficie e che possano essere rimosse con la pelatura; – deformazioni gravi; – macchie grigie, blu o nere sotto buccia che superino i 5 mm in profondità per le patate comuni; – macchie rugginose, cavità, cuore nero e altri difetti similari; – macchie di scabbia profonda e polverosa che eccedano i 2 mm in profondità per le patate comuni; – macchie di scabbia superficiale (che non devono superare ¼ della superficie del tubero); – danni da congelamento; – umidità superficiale anormale (che si ha per esempio quando le patate non sono adeguatamente asciugate dopo il lavaggio); – qualsiasi odore e/o sapore anomalo

VI. Raccomandazioni per l’etichettatura Ogni confezione deve riportare le indicazioni elencate di seguito, in lettere raggruppate sullo stesso lato, leggibili e indelebili, visibili dall’esterno, stampate sulla confezione stessa oppure su un’etichetta ben assicurata al lotto. Se le etichette sono inserite nel pacchetto (per esempio in una borsa in plastica) devono essere collocate in modo tale che i dati dell’etichetta siano facilmente visibili dall’esterno. Per le patate trasportate alla rinfusa in contenitori, questi dati devono essere riportati in un documento che accompagna il lotto, esposto in modo visibile sul mezzo di trasporto. A. Identificazione Confezionatore e/o trasportatore: nome e indirizzo, oppure codice ufficialmente riconosciuto dall’autorità nazionale. B. Natura del prodotto Indicazione del tipo di patata: novella o comune. Nome della varietà. Nome commerciale, se i tuberi della varietà non rispondono al massimo del calibro. C. Origine del prodotto Paese di provenienza ed eventualmente anche la regione o il luogo di produzione. 599


coltivazione D. Specificazioni commerciali Calibro (se le patate sono state calibrate), espresso come minimo seguito dalle parole “e superiori”, oppure come minimo e massimo. Peso netto. Indicazioni opzionali: colore della polpa (per esempio bianca o gialla), colore della buccia, forma del tubero (rotonda o allungata) e tipo di preparazione culinaria (polpa consistente oppure farinosa), oppure indicazione specifica (purè, frittura, bollitura).

Glicoalcaloidi della patata

• I glicoalcaloidi della patata sono

l’α-solanina e l’α-ciaconina. Pur contribuendo all’aroma della patata, sono particolarmente tossici per l’uomo. La loro sintesi avviene soprattutto nel perisperma (buccia), sia per l’esposizione alla luce sia a seguito di danni da insetti e microrganismi, o danni meccanici (fratture, abrasioni, compressioni del tubero). Il limite massimo permesso di glicoalcaloidi è 20 mg per 100 g di patate. La concentrazione nella buccia (3-100 mg/100 g di buccia) è 3-10 volte più alta che nella polpa (0,1-4,5 mg/100 g di polpa), per cui la sbucciatura riduce sensibilmente il rischio per l’uomo. La tossicità degli alcaloidi è sul sistema nervoso, interferendo con la possibilità di controllare l’acetilcolina; i sintomi sono mal di testa, nausea, affaticamento, vomito, dolori addominali e diarrea

Principali fisiopatie e loro controllo Le principali fisiopatie della patata sono le macchie nere, il cuore nero, il danno da congelamento, l’inverdimento, il cuore cavo e l’addolcimento. Le macchie nere sono dovute a danni meccanici, vale a dire lesioni da impatto. I danni meccanici sono molto frequenti nella patata come conseguenza sia della raccolta sia della lavorazione. Oltre alle lesioni da impatto che provocano le macchie nere in 24-72 ore, si possono avere piccole fratture o abrasioni che spesso si trasformano in marciumi molli. Il tipo di terreno (molto compatto, scarsa aerazione) può favorire la comparsa delle macchie nere, mentre una buona fertilizzazione anche con compost o letame e un’elevata umidità, per mantenere il turgore del tubero, possono prevenire la fisiopatia. Riguardo alle lesioni meccaniche che provocano ferite sulla buccia delle patate comuni destinate alla lunga conservazione, la pratica della curatura ne favorisce la cicatrizzazione. Questa pratica consiste nel mantenere le patate a 20 °C e umidità relativa (UR) tra l’80 e il 100%. La ventilazione è importante per mantenere le condizioni ambientali uniformemente distribuite su tutti i tuberi. Il processo in tali condizioni termo-igrometriche può durare da 1 a 2 settimane. Lo scopo della curatura è quello di stimolare la suberificazione, e quindi favorire la cicatrizzazione delle ferite, riducendo così la respirazione e ostacolando la penetrazione di microrganismi patogeni (Fusarium, Erwinia). Questa tecnica, tuttavia, sta cadendo in disuso a seguito dell’introduzione di varietà precoci (Agata), che hanno una dormienza molto breve e perciò comportano la necessità di intervenire immediatamente con l’antigermogliante. Il cuore nero è causato dalla riduzione dell’ossigeno e dall’accumulo di CO2 nei tessuti interni del tubero. È una fisiopatia rara, presente soprattutto in patate di lunga conservazione quando la ventilazione è scarsa all’interno della cella di conservazione e la temperatura più elevata di quella prevista. Essendo provocata da un fenomeno di asfissia cellulare, l’assicurazione dell’idonea temperatura di conservazione (sotto i 10 °C) e di un buon flusso

• In passato esistevano delle varietà

di patate assai ricche in glicoalcaloidi che oggi sono ormai fuori commercio

• Per evitare la sintesi di questi composti

le patate devono essere maneggiate con cura evitando di provocare lesioni, non devono essere esposte alla luce bensì mantenute al buio in conservazione a 6-7 °C, e ruotate frequentemente durante l’esposizione al dettaglio. Queste precauzioni devono essere prese anche nella conservazione domestica

600


post-raccolta d’aria tra i tuberi all’interno dei bins (0,2-0,4 m/s) impedisce la formazione di questa fisiopatia. Il danno da congelamento è piuttosto raro nella patata dal momento che la temperatura di conservazione è molto più alta del punto crioscopico del tubero (–1 °C), mentre più frequente è il danno da raffreddamento, che si verifica quando le temperature per alcuni mesi sono prossime agli 0 °C. Tra 1 e 2 °C si ha comparsa di una colorazione rosso mogano nella polpa; se invece le temperature si mantengono tra i 3 e i 4 °C si ha l’addolcimento dei tuberi, che non è reversibile con il ricondizionamento a temperatura più elevata. L’inverdimento è invece una fisiopatia che si manifesta frequentemente quando i tuberi sono esposti alla luce. L’inverdimento può avvenire in campo, e quindi le patate sono scartate durante la selezione, ma può anche verificarsi in conservazione e durante la distribuzione. L’esposizione a luce intensa per pochi giorni oppure a bassa intensità luminosa per più mesi provoca la comparsa della fisiopatia, che consiste nella sintesi della clorofilla (inverdimento) e, fenomeno più preoccupante per la salute umana, nello sviluppo di glicoalcaloidi tossici (solanina).

Respirazione e conservazione

• La respirazione è un parametro

fisiologico molto importante poiché quanto più è elevata tanto maggiori sono il consumo di sostanza secca e la perdita di acqua (avvizzimento). In tabella sono riportati i valori generici di respirazione delle patate (mg CO2/kg–h)

Valori di respirazione delle patate Temperatura

Novelle

Mature

5 °C

20-25

5-20

10 °C

30-40

15-20

20 °C

30-80

15-30

30 °C

50-100

25-45

• La conoscenza dei valori di

respirazione è inoltre importante per calcolare la potenza frigorifera di una cella di conservazione, poiché moltiplicando il valore di respirazione per 61 si ottiene il valore di energia emesso in kcal per t al giorno. Le patate producono poca etilene, al di sotto di 0,1 µl/kg–h a 20 °C, ma qualsiasi tipo di lesione aumenta in modo significativo, oltre alla respirazione, anche la produzione di etilene. Un motivo in più, quindi, per manipolare le patate con estrema cura, soprattutto se destinate alla lunga conservazione o alla trasformazione

Patate affette da scabbia (Helminthosporium solani)

601


coltivazione Il cuore cavo e le necrosi interne sono fisiopatie dovute a problemi di produzione in campo, quali irregolare sviluppo del tubero, inadeguata disponibilità di acqua e/o temperature fluttuanti. L’addolcimento è una fisiopatia post-raccolta molto grave per le patate destinate all’industria. Infatti, quando le patate sono tenute sotto i 6-7 °C per alcuni mesi, si ha inizialmente la scissione idrolitica dell’amido in saccarosio e, successivamente, la scissione idrolitica del saccarosio in glucosio e fruttosio. Questo processo biochimico è accelerato quanto più bassa è la temperatura. Esso è anche la causa dell’addolcimento dei tuberi senescenti che vengono tenuti a lungo in conservazione, e al taglio trasversale la patata mostra delle aree translucide in cui il contenuto in zuccheri semplici è 4-7 volte più elevato rispetto alla polpa circostante. Nel momento in cui tali patate vengono cotte in olio ad alta temperatura, gli zuccheri semplici si legano agli aminoacidi dando luogo alla formazione di composti scuri (derivati dalla reazione di Maillard), imbrunendo così il prodotto. Questa fisiopatia è frequente nel caso in cui si usino temperature basse al fine di evitare l’impiego di prodotti di sintesi per controllare il germogliamento. Se tale addolcimento non è eccessivo (vale a dire se si rimane sempre allo stadio di formazione del saccarosio), il ricondizionamento delle patate a 10 °C permette la risintesi dell’amido, e quindi la perdita della dolcezza. È per questo motivo che l’industria stabilisce dei limiti ben precisi.

Tolleranze minime di qualità

• Qualità dei tuberi

– il 4% in peso per le patate novelle – il 6% in peso per le patate comuni In ogni caso, nelle tolleranze, può essere accettato un massimo dell’1% in peso di tuberi affetti da marciume secco o molle. In aggiunta si permette: – l’1% in peso di scarto per le patate novelle – il 2% in peso di scarto, di cui un massimo dell’1% è rappresentato da terra, per le patate comuni

• Tolleranze di calibro

Viene permesso un totale del 5% in peso di tuberi che non soddisfano i requisiti di calibrazione

• Tolleranze di tuberi di altre varietà

Si permette un 2% in peso di tuberi di altre varietà rispetto a quella indicata

Foto R. Angelini

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post-raccolta Il germogliamento è la principale preoccupazione nella conservazione della patata. Trattiamo questo argomento tra le fisiopatie, ma non dovrebbe essere considerato tale, in quanto rappresenta un processo fisiologico naturale del tubero che, dopo alcuni mesi di conservazione, rompe lo stato di dormienza e inizia a emettere il germoglio. Il controllo del germogliamento viene oggi condotto nella pratica convenzionale mediante trattamenti sottoforma di aerosol. Altrimenti l’abbassamento della temperatura al di sotto di tale limite rallenta il germogliamento, ma favorisce, come si è detto, l’addolcimento. Dato che tale prodotto è in polvere e deve esser asperso in cella mediante ventilazione affinché abbia un’uniforme distribuzione, il rischio per gli operatori è molto alto. Inoltre il problema dei residui (valore di tolleranza e valore limite di CIPC per la patata, 10 e 30 mg/kg) dei fitofarmaci di sintesi e lo sviluppo dell’agricoltura biologica ha permesso lo studio e in taluni casi l’introduzione commerciale di composti chimici volatili estratti da piante spontanee o coltivate, molto spesso da spezie. Chimicamente questi composti sono dei terpeni di tipo naturale, aldeidi o alcoli, come il pinene, il limonene, il mentone o, nel caso della salvia, il cineolo e la canfora. L’unico prodotto che però ha avuto un certo riscontro commerciale è il S-(+)-carvone, un monoterpene estratto dai semi di cumino o da Mentha spicata che, però, viene impiegato anche con un sistema di termonebulizzazione. Un’ulteriore alternativa in funzione antigermogliante è l’olio vegetale di pompelmo, un prodotto registrato per l’agricoltura biologica.

Altri parametri per la conservazione

• Temperatura di conservazione: 6-10 °C (con inibitore del germogliamento)

• Umidità relativa: 85-90% • Ventilazione: è necessario garantire

un flusso di 0,1-0,3 m/s tra le patate all’interno dei bins

• Una corretta sanificazione delle celle prima dello stivaggio delle patate è fondamentale

• Per le patate destinate alla produzione

di patatine fritte la temperatura di conservazione dovrebbe essere più elevata, sebbene oggi esistano varietà che anche alla temperatura di conservazione indicata accumulano un basso contenuto in zuccheri semplici

Foto M. Rebeschini

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coltivazione Tecnologie promettenti sono l’ozono e l’etilene. Il primo ha i vantaggi di disinfettare superficialmente la patata, riducendo in modo significativo lo sviluppo dei patogeni, e di ossidare il germoglio in crescita. Oggi l’accuratezza nella misura delle concentrazioni all’interno delle celle e la collocazione del generatore all’esterno permettono, mediante software specifici, di gestire i trattamenti con ozono in modo efficace con ridotte concentrazioni, senza rischi per né gli operatori né per i materiali. L’etilene a basse concentrazioni ha una significativa efficienza nel ridurre il germogliamento, ma può provocare degli imbrunimenti durante la cottura. Entrambi i trattamenti potrebbero essere usati nel biologico.

Foto R. Angelini

Principali patologie e loro controllo Le principali patologie che interessano la patata in conservazione sono di tipo batterico: responsabili del marciume molle sono Erwinia carotovora subsp. carotovora e subsp. atroseptica, e Ralstonia (ex Pseudomonas, ex Burkholderi) solanacearum; tra i funghi il Fusarium spp. provoca il marciume secco, la Phytophthora spp. causa il marciume rosa, il Pythium spp. porta il marciume deliquescente e Helminthosporium solani la scabbia. I metodi di prevenzione consistono in un’accurata selezione prima della conservazione e nell’applicazione della pratica della curatura.

Ferite durante la raccolta

Impianto di lavorazione delle patate

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post-raccolta Condizionamento La pratica di condizionamento della patata è una delle più semplici nel panorama delle linee di condizionamento del settore ortofrutticolo, in quanto la calibrazione è di tipo dimensionale, basata sul diametro del prodotto, e non esistono selezionatrici ottiche o di diverso tipo per altri parametri qualitativi (per esempio il contenuto in zuccheri). La linea prevede lo scarico delle patate direttamente dai bins in una tramoggia, dopodiché le patate proseguono sopra un nastro a rulli (sterratore) per l’eliminazione dei materiali estranei (terra, foglie) e per la calibrazione; quindi si passa al lavaggio in acqua e all’asciugatura per ventilazione; infine si procede alla selezione qualitativa manuale e alla pesatura elettronica per il confezionamento con insacchettatrici. Questa è la linea più comune, ma nel caso in cui il confezionamento della patata avvenga in vaschetta con film retraibile, la calibrazione deve essere più accurata. In questa situazione si ricorre a varietà che hanno dimensioni più contenute e forma rotondeggiante, nelle quali la calibrazione, anche se basata sul diametro, garantisce sempre una uniformità di prodotto.

Foto M. Rebeschini

Analisi chimiche sul prodotto destinato alla commercializzazione L’analisi chimica del prodotto finito pronto per la distribuzione è un passo fondamentale, senza il quale il prodotto non sarà accettato dal mercato, sia per quanto riguarda le caratteristiche fisiche

Pesatura delle patate per il confezionamento

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coltivazione ed estetiche riportate nelle norme di commercializzazione sopra menzionate, sia per la misura del contenuto in residui di fitofarmaci, anche in post-raccolta. Vengono svolte regolarmente le seguenti analisi: analisi del residuo di antigermogliante (clorprofam), analisi per la lavabilità, analisi della sostanza secca (%), analisi per l’imbrunimento allo stick, analisi per l’annerimento. Le analisi dagli agrifarmaci vengono eseguite mediante gas-cromatografo con detector NPD ed ECD, e con un sistema HPLC, entrambi gestiti via software da un computer dedicato. I campioni possono essere prelevati sia in campo, direttamente dall’agricoltore, sia al conferimento al centro di raccolta. Il periodo di inizio raccolta è generalmente luglio e si può protarre anche fino a settembre, a seconda della stagione. Successivamente a questo periodo, il laboratorio svolge analisi su prodotto trattato in cella con antigermogliante (clorprofam), verificando che il prodotto messo in commercio sia sotto il limite massimo residuo, o LMR (Decreto Ministeriale 27/08/2004 e successive modifiche), che per il clorprofam è attualmente di 10 ppm. L’analisi sulla lavabilità si esegue visivamente confrontando un campione minimo di 30 tuberi con una scala di riferimento messa a punto dal CNIPT-ITCF (Comitato nazionale interprofessionale della patata francese; Isituto tecnico per la patata); in base a questa scala i valori ottimali devono essere maggiori di 6. Per la sostanza secca vengono effettuate almeno tre analisi separatamente; il valore finale è quindi la media di tre subcampioni dello stesso campione. L’imbrunimento allo stick misura l’attitudine culinaria alla friggitura: in questo caso viene valutato il grado di imbrunimento (IB)

Foto M. Rebeschini

Foto R. Angelini

606


post-raccolta Concentrazione in sostanza secca e varietà per la trasformazione Tipo di trasformazione

Sostanza secca [%]

Varietà

Usi diversi

>18

Vivaldi, Monalisa

Vapore, insalata

>17

Marabel, Amelie

Patate fritte

>19

Red Fantasy

Purè, gnocchi, crocchette, dolci

>19

Varietà del tipo Sifra

Caratteristiche delle patate per la trasformazione

• La qualità della “pasta” della patata

è legata soprattutto al contenuto di sostanza secca: valori bassi (17-20%) conferiscono migliori comportamenti alla cottura, come modesta farinosità, buone durezza e tenuta; valori elevati (20-25%) sono apprezzati per una maggiore resa industriale dei prodotti finiti, fritti più croccanti e con minore assorbimento di olio, e purè più consistenti

tramite una scala colorimetrica certificata Munsell, denominata VAVI e proposta dal Dipartimento dell’agricoltura statunitense (USDA). I valori di imbrunimento allo stick devono essere minori di 4 per le patate a fascia gialla e a fascia bianca (patate per usi diversi, purè, gnocchi), minori di 4,5 per le patate a fascia azzurra (patate a vapore e insalata) e minori di 3 per le patate da frittura a fascia rossa. L’annerimento dopo cottura a vapore è un difetto dovuto alla formazione di composti melaninici a seguito della complessazione dei polifenoli con il ferro, che avviene durante il raffreddamento di tuberi cotti al vapore o fritti e surgelati (in inglese il fenomeno è conosciuto come after cooking blackening); è considerato un difetto qualitativo che viene misurato con il calcolo dell’indice di annerimento del tubero. Le patate da vapore e insalata devono avere valore zero, mentre per tutte le altre i valori devono essere minori di 0,2.

• Le patate destinate alla trasformazione

hanno esigenze di qualità più precise, dettate dall’industria a seconda dei tipi di lavorazione, come evidenziato nella tabella a lato

Confezionamento in rete

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