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il pomodoro
coltivazione Vivaismo Giorgio Gianquinto
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Vivaismo Introduzione La produzione di piantine di alta qualità è il primo passo per ottenere elevate produzioni di pomodoro in campo e in serra. La sopravvivenza e la rapida ripresa vegetativa delle piante dopo il trapianto dipende in larga misura dalla corretta gestione dell’allevamento in vivaio. Per secoli l’agricoltore ha prodotto da sé le piantine da trapiantare utilizzando i classici semenzai formati da aiuole che venivano coperte con la paglia dopo la semina, o allestendo letti caldi in apposite strutture coperte con lastre di vetro e riscaldate dal basso mediante fermentazione del letame. Con l’introduzione della plastica in agricoltura, ha preso inizio un’attività vivaistica, condotta in serre coperte con film, prima di polivinilcloruro (PVC) e poi di polietilene (PE), che si è sganciata sempre più dall’attività produttiva. Inizialmente, l’allevamento di piantine avveniva nelle serre tradizionalmente impiegate per la coltivazione d’ortaggi; in seguito, sono state realizzate apposite strutture serricole fornite di tutti gli accessori (bancali, impianti per la climatizzazione, la fertirrigazione e i trattamenti fitosanitari, avanserre, reti antinsetti ecc.) da meccanizzare, automatizzare e informatizzare al massimo. Anche se sono stati gli agricoltori a trasformarsi in produttori di piantine, chi ha avuto successo ha mostrato grandi capacità imprenditoriali e una buona conoscenza dei processi fisiologici che sono alla base della germinazione dei semi e delle prime fasi di crescita delle piante. Ormai sono pochissimi i coltivatori italiani che producono piantine in proprio. Tra i vantaggi forniti dalla produzione commerciale delle piantine vanno segnalati principalmente la sicurezza della cultivar, la disponibilità del materiale nel periodo desiderato per realizzare la programmazione colturale, l’uniformità di dimen-
Come riconoscere una piantina di alta qualità
• Le piantine devono presentare una
elevata uniformità, un buono sviluppo radicale in proporzione alla parte aerea e avere le seguenti caratteristiche: – r adici bianche, robuste e ben sviluppate lungo tutto il profilo del substrato (le radici che si presentano di color bruno e che non si estendono in profondità testimoniano eccessi idrici durante l’allevamento in vivaio e sono causa di ritardi nel radicamento delle piantine in campo) – s teli di lunghezza compresa tra 10 e 17 cm circa, robusti, diritti, turgidi e non filati – c otiledoni integri, ben sviluppati e di colorazione verde – f oglie ben espanse con lamine diritte, di colore verde intenso e prive di macchie di qualsiasi tipo e origine – assenza di fiori o frutticini allegati – a ssenza di insetti o di danni da attacchi parassitari
• La piantina deve disporre di una riserva
Foto F. Tosini
di elementi nutritivi che consenta una rapida ripresa vegetativa dopo il trapianto. Un leggero color porpora alla base del fusto e sulla lamina inferiore delle foglie testimonia una buona riserva di carboidrati nella pianta, mentre un diffuso colore porpora della lamina superiore delle foglie è sintomo di carenze di fosforo che causano ritardi di accrescimento
Piantine di pomodoro in vivaio
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vivaismo Foto F. Tosini
Contenitori alveolati
• Le misure più frequenti per i contenitori sono le seguenti: lunghezza 52-54 cm; larghezza 32-34 cm; altezza 5-7 cm
• Il numero dei fori può variare da 15
a 700 con diametri e volumi oscillanti da 1 a 10 cm e da 2 a 100 cm3, rispettivamente
• Negli ultimi anni sono stati introdotti contenitori con misure perimetrali di 80 × 120 cm e 100 × 120 cm, che consentono la pallettizzazione negli europallett
Piantine di pomodoro pronte per il trapianto
sione e, considerate le certificazioni sanitarie, minori rischi di allestire la coltura con piante infette. Contenitori e substrati La scelta del contenitore deve essere ponderata. La disponibilità di una vasta gamma di contenitori alveolati di polistirolo, PE o altro materiale consente ampie possibilità di scelta e permette l’allevamento di un numero di piante che può variare da poco più di 100 a oltre 4000 per m2. Orientarsi verso contenitori con un numero di alveoli elevato permette di sfruttare al meglio la superficie del vivaio abbassando l’incidenza dei costi fissi. Tuttavia, all’aumentare del numero d’alveoli corrisponde una riduzione del loro volume – e quindi della quantità di substrato a disposizione della piantina – e si può avere un eccessivo ombreggiamento reciproco tra le piante. Tali condizioni possono causare uno sproporzionato allungamento degli internodi (filatura), riduzioni del diametro dello stelo, del numero di foglie, della superficie fogliare, del peso secco e fresco di parte aerea e radice. Alveoli poco spaziosi, inoltre, possono stressare le piantine quando vengono trattenute più a lungo nei contenitori in attesa del trapianto. I tipi di contenitore utilizzati variano generalmente a seconda delle aree di produzione e della tipologia di pomodoro. Per il pomodoro da industria prevale l’allevamento in contenitori con numero di fori variabile da 160 a 336, con una netta prevalenza per quelli da 209, 228 e 240 fori (volume tra 10 e 20 cm3). Per il pomodoro da mensa è riscontrabile una maggiore variabilità, in quanto il numero di fori può variare da 40 a 240 (volume tra 15 e 80 cm3), con una certa preferenza per i contenitori da 84, 104, 135 e 160 fori (volume tra 20 e 40 cm3). Ancora diffusa in molte zone (per esempio in Veneto) la semina in contenitori con alveoli molto fitti (336 fori o più) e successivo ripicchettamento in contenitori da 24, 32 o 40 fori, o in vasetti da 8-10 cm di diametro.
Piantine di pomodoro seminate in contenitori alveolati di polistirolo
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coltivazione Gli alveoli più comunemente usati hanno forma tronco-piramidale o tronco-conica. A parità di numero e altezza dei fori, la scelta di contenitori con alveoli di forma tronco-piramidale permette un significativo aumento di volume rispetto a quelli con alveoli di forma tronco-conica (circa il 30% in più). I primi favoriscono anche lo sviluppo delle radici in senso verticale. La maggiore adesione del substrato di coltivazione al seme e alle radici si ottiene pressando il terriccio al riempimento dei contenitori. Questa operazione impedisce anche lo sbriciolarsi del pane di terra al momento dell’espulsione della piantina dall’alveolo prima del trapianto. In alternativa ai contenitori alveolati (per esempio in Piemonte e Liguria), l’allevamento delle piantine può avvenire in cubetti di torba pressata di 4 × 4 cm, 6 × 6 cm o 7 × 7 cm di lato. In funzione della dimensione dell’alveolo o del cubetto, la densità di piantine per metro quadro può oscillare da 200 a circa 2000 e il tempo di permanenza in vivaio da 4 a 8 settimane. Dopo un po’ d’esperienza, ogni vivaista finisce con il prediligere un particolare substrato a lungo collaudato e dal quale si distacca difficilmente. Ormai ci si approvvigiona direttamente dalle ditte che forniscono materiale di ottima qualità e diversificato per colture ed epoche di utilizzazione. Nel caso del pomodoro sono comunemente usati miscugli di torbe bionde (60% circa), brune e nere (40% circa) di diversa provenienza e umificazione, macinati e vagliati per ottenere substrati molto fini, a elevato potere tampone e di buona porosità e nel contempo capaci di aderire ai semi e alle radici. Per consentire una maggiore ritenzione di acqua, si preferi-
Ripicchettamento
• Trasferimento delle plantule dai
contenitori utilizzati per la semina in vasetti, blocchetti di terra o altri contenitori di dimensioni maggiori, con lo scopo di dare luce, spazio alle singole piante e permettere un maggiore sviluppo fogliare e la formazione di uno stelo più robusto e di un apparato radicale con abbondante capillizio che garantisca un’ottima ripresa al momento del trapianto. Consente anche una selezione delle piantine più robuste eliminando quelle imperfette
• Va effettuato preferibilmente subito
dopo l’espansione dei cotiledoni e fino alla comparsa della prima fogliolina, in quanto la crisi del trasferimento è tanto minore quanto più precocemente esso avviene. Può essere compiuto a mano o a macchina
Foto R. Angelini
Fibra di cocco
• Materiale ottenuto dalla sgusciatura
delle noci di cocco e composto quasi esclusivamente da lignina. Prima del suo impiego viene compostato all’aperto per un periodo variabile da 6 mesi a 2-3 anni. Successivamente viene disidratato e compresso. Prima del suo impiego deve essere reidratato aggiungendo acqua fino a 2-4 volte il volume del substrato. Possiede caratteristiche chimico-fisiche simili alle torbe bionde ma pH più elevato e, talvolta, prossimo alla neutralità. Non presenta alcuna controindicazione di carattere ambientale, al contrario delle torbe (esaurimento delle torbiere) e della lana di roccia (problemi nello smaltimento) Vivaio di piantine di pomodoro allevate in cubetti di lana di roccia
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vivaismo
Lana di roccia
• Deriva da rocce basaltiche di origine
vulcanica (silicati di alluminio, calcio e magnesio) che, fuse a 1500-2000 °C, possono essere trasformate in sottilissime fibre e filate. La lana di roccia è sterile e chimicamente inerte, molto leggera e con elevata porosità
Vermiculite
Panoramica su vivaio moderno per la moltiplicazione del pomodoro
• Deriva da silicati idrati di magnesio,
sce arricchire con un 10% in più di torba bruna i substrati utilizzati negli allevamenti di piantine durante i periodi più caldi. In genere, il pH dei substrati varia da 5,5 a 6,5 e la conducibilità elettrica (EC) non supera, di norma, il valore di 1,2-1,5 dS/m, anche se valori fino a pH 5,0 e 2,0 dS/m di EC possono essere tollerati. Negli ultimi anni sta crescendo l’interesse verso la fibra di cocco, substrato meno costoso e con caratteristiche chimico-fisiche molto simili alle torbe bionde. Un discorso a parte riguarda le piantine prodotte in vivaio per poi essere coltivate fuori suolo. Queste vengono seminate in contenitori con numero di fori variabile da 160 a 240, riempiti con substrato torboso o cilindretti di lana di roccia. Successivamente vengono ripicchettate in cubi di lana di roccia da 7,5 × 7,5 cm o 10 × 10 cm dove permangono fino al momento del trapianto.
alluminio e ferro, frantumati e setacciati. La preparazione della vermiculite avviene tramite riscaldamento (750-1000 °C), durante il quale si verifica la dilatazione delle particelle (fino a 15-20 volte il loro volume) che assumono una struttura porosa a nido d’ape. La vermiculite è sterile, molto leggera, con elevati potere tampone, capacità di scambio e porosità (trattiene quantità di acqua fino a 5 volte il suo peso)
Principali caratteristiche dei substrati utilizzati nell’allevamento delle piantine di pomodoro Torba di sfagno(1) bionda
bruna
Torba nera
Fibra di cocco
Vermiculite
Lana di roccia
S.O. (% s.s.)
94-99
94-99
55-75
94-98
-
-
Ceneri (% s.s.)
1-6
1-6
23-30
3-6
-
-
Porosità totale (% vol.)
94-97
88-93
55-83
94-96
80
91
Capacità idrica (% vol.)
52-82
74-88
65-75
80-85
14
6
Capacità per l’aria (% vol.)
15-42
6-14
6-8
10-12
58
15
PA (kg/m )
60-120
140-200
320-400
65-110
80-110
240-270
C.S.C. (meq %)
100-150
120-170
-
60-130
100-150
-
pH (in H2O)
3,0-4,0
3,0-5,0
5,5-7,3
5,0-6,8
6,0-6,8
-
Parametri
3
( ) L’utilizzazione delle torbe di sfagno richiede la correzione del pH con carbonato di calcio (CaCO3), nella misura di 2 kg/m circa, per aumentare il pH di una unità 1
3
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coltivazione Semina e germinazione La preparazione dei contenitori alveolati o nei quali vengono collocati i cubetti pressati avviene, ormai, unicamente in modo meccanico mediante linee di lavorazione automatiche che riempiono i contenitori di substrato, lo pressano, depositano un singolo seme per alveolo/cubetto, bagnano il substrato (meglio se con acqua a 27-28 °C) e spargono uno strato sottile di vermiculite per impedire la rapida evaporazione dell’acqua. Vanno usati semi di alta qualità (germinabilità superiore al 90% ed elevato vigore germinativo), ripuliti e trattati (pellicolatura o confettatura) in modo da avere una superficie liscia che favorisca l’adesione ai rulli perforati delle seminatrici pneumatiche. Queste vanno opportunamente tarate in funzione della forma del contenitore, della distanza dei fori, della dimensione dei cubetti ecc. I contenitori preparati passano nelle camere di germinazione per restarvi accatastati 36-72 ore, al buio, a una temperatura di 2226 °C e a un’umidità relativa del 90-100%, condizioni ideali per consentire un’uniforme germinazione del seme. Bisogna porre attenzione affinché ci sia una buona circolazione dell’aria per assicurare uniformità di temperatura e umidità relativa all’interno della camera di germinazione. Regolando la temperatura è possibile disporre di un margine di maggiore o minore permanenza dei contenitori in cella climatica, ma è sempre bene evitare un eccessivo prolungamento che potrebbe compromettere la regolare emergenza dei cotiledoni e la crescita della plantula. Non appena si ha la fuoriuscita della radichetta dal seme e inizia ad allungarsi l’epicotile, i contenitori vengono trasferiti dalla camera di germinazione alla serra di allevamento, dove vengono sistemati o su bancali o – ed è il sistema più usato – a terra ma non a contatto diretto con il telo plastificato permeabile depositato sul terreno, bensì sistemati su vasetti rovesciati. Se mantenuti
Torbe
• Sono derivate da residui di Briofite,
Ciperacee e Graminacee o di altre specie vegetali, trasformatesi in ambienti saturi d’acqua dove, per effetto della mancanza di ossigeno, viene rallentato o inibito il processo di decomposizione e mineralizzazione della sostanza organica. Nelle torbiere del Nord Europa (torbiere alte) si distinguono uno strato più profondo molto decomposto, di colore scuro (torba bruna), e uno strato più superficiale poco decomposto, di colore chiaro (torba bionda). Entrambe le torbe sono caratterizzate da disponibilità di elementi nutritivi molto bassa e pH decisamente acido. Le torbe brune presentano maggiore capacità idrica e minore porosità libera per l’aria e sono dotate di più elevata capacità di scambio e di potere tampone. Le torbiere delle zone temperate (torbiere basse) forniscono un materiale più decomposto, di colore molto scuro (torba nera) con maggiore contenuto di sostanze nutritive, pH più elevato, maggiore densità apparente e ridotta porosità libera
Cubetti di torba seminati pronti per la camera di germinazione Contenitori di polistirolo con piantine ottenute da semi pregerminati
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vivaismo a un’altezza di almeno 20-25 cm, i contenitori saranno liberi di far sgrondare l’acqua in eccesso e utilizzare meglio il riscaldamento basale. Per l’allevamento delle piantine in serra, si considerano ottimali temperature di 20-25 °C di giorno e 14-17 °C di notte. Tuttavia, il regime termico va differenziato in relazione alle fasi di crescita, al periodo di allevamento e alle disponibilità luminose in serra.
Temperature in vivaio
• Le temperature minima, ottimale
e massima per la germinazione dei semi di pomodoro si hanno, rispettivamente, intorno a 10, 24-29 e 35 °C, mentre per la crescita sono considerate ottimali temperature comprese tra 18 e 27 °C di giorno e fra 16 e 18 °C di notte. È necessario considerare, tuttavia, che nel pomodoro l’accrescimento a basse temperature (11-12 °C), a partire dall’espansione dei cotiledoni per circa due settimane, risulta favorevole alla differenziazione dei fiori della prima e, spesso, anche della seconda infiorescenza determinando un anticipo di fioritura rispetto a temperature più elevate. Questo regime (11-12 °C) risulta efficace sia quando limitato alla notte sia se esteso a tutto il giorno
Concimazione e irrigazione La produzione di piantine in contenitori di ridotto volume ha posto in maggior risalto i problemi connessi con la gestione della nutrizione e dell’irrigazione. Infatti, se in semenzaio di tipo tradizionale o in vasetto le piantine riescono a recuperare dal terreno o dal terriccio gran parte degli elementi nutritivi di cui abbisognano, nei contenitori alveolati ciò non è possibile data l’esiguità del volume del substrato, il quale anche se arricchito con fertilizzanti prima della semina, in poco tempo finisce per perdere per dilavamento gran parte degli elementi nutritivi in possesso, soprattutto quando sono utilizzati sistemi d’irrigazione sovrachioma. Si è osservato, infatti, che una volta drenata una quantità d’acqua pari a due volte il volume dell’alveolo, la concentrazione di tutti i nutrienti si trova già al di sotto della soglia considerata accettabile per l’accrescimento. In tali condizioni le funzioni del substrato si riducono, prevalentemente, a ospitare il seme e a provvedere al supporto della piantina.
Apparato radicale di piantine di pomodoro allevate in lana di roccia Attrezzatura per la semina di precisione in vivaio
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coltivazione Nonostante le esigenze nutrizionali delle piantine siano alquanto modeste, vi è l’esigenza di programmare gli interventi di concimazione, con elementi prontamente assimilabili, a iniziare dall’emissione della prima foglia vera. La distribuzione dei fertilizzanti avviene, di norma, tramite soluzioni nutritive (fertirrigazione) irrorate da impianti di irrigazione sovrachioma, mobili e automatizzati, impiegabili anche per interventi antiparassitari. Allo scopo di non creare pericolosi eccessi, nella preparazione delle soluzioni va tenuto sempre conto della quantità di elementi contenuti nell’acqua di partenza e di quelli eventualmente apportati con le correzioni dei substrati. Oggi si dispone di formulati di fertilizzanti idrosolubili studiati apposta per i vivai; così come si dispone di apparecchiature automatizzate e informatizzate che provvedono alla miscelazione delle soluzioni nutritive, al controllo in continuo del pH e della salinità dell’acqua e delle soluzioni nutritive e alla correzione del pH delle soluzioni. Il pH va mantenuto fra i valori di 5,5 e 6,5, allo scopo di mantenere disciolti i sali nelle soluzioni e disponibili per le piante gli elementi nutritivi. Qualora l’acqua utilizzata presenti eccessiva durezza o pH alto è indispensabile la correzione con acidi forti, dei quali sono comunemente usati il fosforico e il nitrico. La comune adozione dell’irrigazione sovrachioma consente alle piantine di assorbire parte degli elementi anche per via fogliare, pertanto la concentrazione di sali nelle soluzioni può rappresentare un fattore critico e non deve superare 1000 mg/l (EC = 1,5-1,7 dS/m) negli interventi dalla fase cotiledonare alla comparsa della prima foglia vera. In linea generale, è sempre prudente alternare semplici irrigazioni con interventi fertilizzanti e non combinare questi con i trattamenti antiparassitari. Le fertirrigazioni possono essere effettuate a cadenza giornaliera con soluzioni diluite (per esempio 50-100 mg/l N, 5-10 mg/l di P e 60-80 mg/l di K, che equivalgono a circa 3,5-7 mM di N; 0,15-0,30 mM di P e 1,5-2 mM di K) o prevedere 2-3 interventi settimanali con soluzioni più concentrate (per esempio 200-300 mg/l N, 35-45 mg/l di P e 150-250 mg/l di K, che equivalgono a circa 14-21 mM di N; 1,1-1,5 mM di P e 3,9-6,4 mM di K). Alcune ricerche hanno evidenziato una migliore qualità delle piantine in seguito a fertirrigazioni meno frequenti con soluzioni più concentrate. Per evitare l’insorgere di fitotossicità da eccesso di azoto ammoniacale, la cui sintomatologia è piuttosto simile a quella della deficienza di potassio (aree necrotiche infossate sugli steli e imbrunimento delle radici) è bene mantenere un rapporto tra azoto nitrico (NO3) e azoto ammoniacale (NH4) circa pari a 10:1. I volumi di soluzione da distribuire a ogni intervento dovrebbero essere intorno a 500 ml per contenitore, che equivalgono a circa 5-6 litri/m2 di vivaio. L’esiguità del volume degli alveoli o dei cubetti di substrato impone anche molta attenzione nella gestione dell’irrigazione fin dal momento del trasferimento in serra delle piantine, quando ogni
Foto C. Magnani
Foto C. Magnani
Foto C. Magnani
Fasi della semina del pomodoro
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vivaismo eccesso o mancanza di acqua può seriamente compromettere il risultato finale. Non è sempre facile determinare i volumi d’adacquamento e il momento d’intervento poiché possono variare in funzione di: a) fase di crescita delle piantine; b) caratteristiche del substrato; c) riduzione progressiva della porosità, determinata dall’accrescimento delle radici (modificazione delle caratteristiche idrologiche del substrato). Il numero d’alveoli per contenitore, invece, influisce in modo meno marcato sulle variabili irrigue in quanto l’aumento dei fori è in parte compensato dalla riduzione del loro volume. In linea generale si può operare suddividendo il ciclo colturale in 4 fasi: durante la fase 1 (dalla semina alla fuoriuscita della radichetta), è buona norma evitare la saturazione in quanto i semi necessitano di una buona aerazione per germinare; nella fase 2 (dalla fuoriuscita della radichetta a completa emergenza dei cotiledoni), l’umidità va ulteriormente ridotta per permettere un normale accrescimento della radice; nella fase 3 (accrescimento), il contenuto d’acqua può essere vicino alla saturazione o a livelli drasticamente più bassi, a seconda che vi sia la necessità di favorire o rallentare l’accrescimento delle piante; nella fase 4 (finissaggio o indurimento), l’umidità va generalmente ridotta, per conferire alle piante una maggior tolleranza agli stress idrici e aumentare la loro possibilità di sopravvivenza durante il trasporto e dopo il trapianto. In condizioni normali, l’irrigazione andrebbe eseguita ogni qualvolta viene consumato il 75-85% di acqua disponibile. Di conseguenza, in considerazione di quanto precedentemente affermato, per ristabilire livelli di saturazione nel substrato saranno necessari, indicativamente, tra 5 e 10 litri d’acqua per m2 di vivaio. Un modo corretto di operare dovrebbe prevedere, durante il ciclo, una pro-
Esigenze nutrizionali delle piantine di pomodoro
• Dalla semina al momento del trapianto
(stadio di terza-quarta foglia vera) 1000 piantine di pomodoro asportano circa 25 g di azoto (N), 10 g di anidride fosforica (P2O5) e 30 g di ossido di potassio (K2O)
Soluzione nutritiva per la fertirrigazione in vivaio (2-3 fertirrigazioni a settimana) pH 5,5-6,2 EC < 2,4 dS/m NO3– 1040 mg/l (16,8 mM) NH4+ 22 mg/l (1,2 mM) H2PO – 145 mg/l (1,5 mM) SO42 – 240 mg/l (2,5 mM) K+ 235 mg/l (6 mM) Ca2+ 200 mg/l (5 mM) Mg2+ 73 mg/l (3 mM) Fe3+ 1,40 mg/l (25 μM) Mn2+ 0,83 mg/l (15 μM) B3+ 0,38 mg/l (35 μM) Zn2+ 0,33 mg/l (5 μM) Cu2+ 0,06 mg/l (1 μM) Mo6+ 0,05 mg/l (0,5 μM) Piantine di pomodoro in vivaio
Foto C. Magnani
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coltivazione gressiva riduzione dei volumi d’adacquamento e irrigazioni via via più frequenti. Per promuovere un equilibrato accrescimento delle radici è comunque importante che il substrato venga uniformemente inumidito lungo tutto il suo profilo. È bene iniziare a irrigare al mattino presto e terminare ben prima del tramonto per evitare che le piante rimangano umide durante la notte con ripercussioni negative sul loro stato fitosanitario.
Qualità dell’acqua di irrigazione per l’allevamento in vivaio pH 5,0-7,0 EC < 1,5 dS/m CaCO3 10-120 mg/l (0,1-1,2 mM) Ca2+ 25-120 mg/l (0,6-3,0 mM) Mg2+ 6-24 mg/l (0,25-1 mM) SO42– < 240 mg/l (2,5 mM) Na+ < 50 mg/l (2,2 mM) Cl– < 140 mg/l (4 mM) B3+ < 0,8 mg/l (0,07 mM) F– < 1,0 mg/l (0,05 mM) Al3+ < 0,5 mg/l (0,02 mM) SAR < 4
Controllo fitosanitario Una fase estremamente delicata è il controllo dei tanti parassiti che possono colpire le piantine in vivaio. Batteriosi e micosi spesso si sviluppano in conseguenza dell’elevata umidità e della condensa che si realizza in serra durante i periodi freddi e umidi che scoraggiano l’apertura degli apprestamenti. Di qui la necessità di disporre di buoni sistemi di ventilazione forzata e di aperture sul colmo o laterali, che, combinati con i trattamenti antiparassitari, consentono un buon controllo delle malattie. Fra gli insetti, gli afidi e i tripidi rappresentano la minaccia più grave per i danni indiretti correlati alla trasmissione dei virus (CMV e TSWV). Ottimi risultati sono stati ottenuti con l’impiego di reti antinsetto che non permettono a questi parassiti di passare all’interno delle serre. Al controllo di questi vettori di virus è collegata la certificazione delle piantine che i vivai forniscono a ulteriore garanzia della qualità del materiale prodotto. Salvo rare eccezioni, per questo servizio i vivaisti si servono di laboratori specializzati per le analisi fitopatologiche accreditati dai Servizi Fitosanitari Regionali. Negli ultimi anni, ai vivai viene anche richiesta con maggior insistenza la fornitura di piantine innestate su piedi resistenti a batteri, funghi e nematodi presenti nel terreno. Altro servizio fornito con
Impianto di irrigazione sovrachioma mobile e automatizzato, impiegato anche per l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari
Foto R. Angelini
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vivaismo maggior frequenza dai vivaisti è la produzione di piantine utilizzando i procedimenti ammessi dai disciplinari per la produzione biologica.
Correzione del pH dell’acqua di irrigazione con acidi forti
Indurimento delle piantine Prima di essere trasferita in campo o in serra per il trapianto, una piantina necessita della fase di indurimento, che consiste essenzialmente nella perdita di una quota di acqua contenuta nei succhi cellulari. Una maggiore idratazione predispone le piantine ai danni sia da freddo sia da eccesso di calore. Nel caso di trapianti in serra il problema è meno sentito, anche se si tratta comunque di un passaggio da un ambiente più riscaldato a uno meno riscaldato. I risultati migliori si ottengono abbassando gradualmente la temperatura dell’ambiente di allevamento delle piantine, sia limitando il riscaldamento basale sia aprendo lateralmente le serre. Anche la maggiore concentrazione della soluzione nutritiva può contribuire all’indurimento delle piantine nella fase finale di allevamento, quando possono essere somministrate soluzioni con EC (conducibilità elettrica) di quasi 4 dS/m. La proposta, sperimentata negli USA, della spazzolatura continua delle piantine durante le ultime fasi di accrescimento non suscita consensi, per i danni indiretti che possono procurare le microlesioni alle foglie provocate dalle spazzole. Non sono autorizzati prodotti chimici regolatori di crescita, i quali, tra l’altro, possono far sentire il loro effetto negativo anche per lunghi periodi dopo il trapianto. È buona norma provvedere a una ridotta irrigazione prima del trasporto per evitare l’eccessiva disidratazione delle piantine. Se il trapianto in campo viene ritardato a causa delle piogge, i contenitori possono essere conservati per 5-7 giorni, in aree riparate, senza eccessivi danni per le piantine. È necessario provvedere a regolari irrigazioni e, nel caso tale periodo si prolunghi (fino a 15 giorni al massimo), alla concimazione delle piantine.
• Per abbassare il pH da 7,5 a 5,5-6,0 si
possono aggiungere 300-450 ml di acido fosforico (H3PO4) al 75% oppure 100 ml di acido nitrico (HNO3) al 65% per metro cubo di acqua. Un abbassamento del pH può essere ottenuto anche aggiungendo alla soluzione nutritiva urea-fosfato
Piantine pronte per il trapianto in pieno campo
Esigenze termiche del pomodoro dalla germinazione alla fine dell’allevamento in vivaio Fase di sviluppo
Condizioni di luce
Germinazione
Temperature consigliate (°C) Notte
Giorno
-
24-26
24-26
Dall’espansione dei cotiledoni (per 10-14 giorni)
Sereno o parzialmente nuvoloso
11-12
12-16 (≤18)
Nuvoloso
11-12
12-14 (≤17)
Dalla fine del trattamento con basse temperature alla fase di indurimento
Sereno o parzialmente nuvoloso
16-18
18-23 (≤25)
Nuvoloso
13-15
15-18 (≤20)
Dall’inizio della fase di indurimento al trapianto (riduzione graduale della temperatura)
Sereno o parzialmente nuvoloso
11-13
13-15
Nuvoloso
11-12
12-13
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il pomodoro
coltivazione Innesto Luigi Morra
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Innesto Introduzione In orticoltura, particolarmente nel settore delle colture protette, l’attuale congiuntura è ancora profondamente segnata dall’uscita di scena (2005) del bromuro di metile, principio attivo leader della fumigazione del terreno per circa quarant’anni. Il conseguente vuoto è stato finora parzialmente colmato impiegando vecchi principi attivi quali 1,3D, Cloropicrina, Metam-sodio, Dazomet, alcuni dei quali sono a loro volta in revisione o prossimi a essere messi fuori commercio. Questa condizione di precarietà ha riaperto in maniera pressante il problema di come gestire, sotto serra, il terreno sottoposto, in questi anni, a condizioni di degrado della fertilità integrale dalle tecniche colturali finora impiegate. La congiuntura attuale rappresenta l’occasione per una svolta nella direzione di un’orticoltura protetta a ridotto impatto ambientale. In questa ottica si devono prendere in considerazione tutti i possibili strumenti utili a definire soluzioni tecniche alternative nella gestione del terreno. Uno di questi strumenti è l’innesto erbaceo. L’innesto è una tecnica collaudata per alcune specie orticole (essenzialmente cucurbitacee e solanacee) e richiede un’attenta valutazione delle condizioni in cui impiegarlo. Si tratta di una tecnica che permette di non ricorrere o integrare i trattamenti chimici di disinfezione del terreno avvalendosi dell’impiego di portinnesti resistenti a uno o più parassiti tellurici. La necessità del ricorso a piante innestate si pone, per il momento, in presenza di terreni dichiaratamente infestati. Dal punto di vista del miglioramento genetico, l’innesto costituisce una strada atta a ridurre i tempi per l’impiego di materiale genetico resistente a patogeni ma ancora privo delle caratteristiche di interesse commerciale richieste alle varie parti della pianta.
Piccoli tunnel su bancali destinati all’attecchimento delle piantine dopo l’innesto
Sala per l’attecchimento attrezzata per la completa climatizzazione dell’ambiente Sala per l’innesto con tavoli di lavoro e nastri trasportatori delle piante
126
innesto L’efficacia dell’innesto non poggia solo sul grado di resistenza espresso da un portinnesto verso un certo patogeno poiché è sempre più evidente che l’ottenimento di protezione nonché di produzioni soddisfacenti dipende anche da un altro fattore. Infatti, parallelamente a quanto accade in frutticoltura con l’uso di portinnesti resistenti alla “stanchezza” del terreno, anche in orticoltura si possono ottenere risultati efficaci quanto più il portinnesto usato appartiene a una specie botanicamente differente ma compatibile con quella coltivata. In tal caso, in genere, il portinnesto possiede un’elevata vigoria ed è capace di favorire risposte vegeto-produttive della varietà innestata superiori a quanto si osserverebbe nella stessa varietà non innestata. Tuttavia, è da sconsigliare il ritorno continuo di un portainnesto sullo stesso terreno poiché aumenterebbe il rischio che venisse superata la resistenza genetica da parte di ceppi patogeni virulenti. Dunque, pensare di perpetuare monosuccessioni colturali o successioni di pochissime specie semplicemente ricorrendo a portinnesti resistenti, per ovviare al problema posto dai parassiti tellurici, è un errore in partenza.
5,4
2
9 39,5 31,5 12,6
Beaufort
He Man
Energy
Integro
Maxifort
Portinnesti di pomodoro più impiegati in Italia nel 2008 (%)
Diffusione dell’innesto e caratteristiche dei portinnesti Il pomodoro rappresenta la specie più innestata in assoluto essendo stati prodotti, nel 2008, 14,7 milioni di pezzi con un incremento quasi triplo di piante prodotte rispetto al 2005. Questo aumento è tutto legato alla produzione in Sicilia dove, tra l’altro, è molto aumentata la domanda di piante innestate da impiegare in cicli di coltivazione lunghi sia in suolo sia fuori suolo. Il pomodoro viene innestato per il 90% su portinnesti ibridi interspecifici di Lycopersicon hirsutum x L. esculentum e per il restante 10% su ibridi di pomodoro. Beaufort e Maxifort sono gli interspecifici più impiegati seguiti da He Man. Soltanto Energy, tra gli ibridi di pomodoro, conserva una piccola quota di mercato pari al 9%. La preferenza per gli ibridi interspecifici è spiegata sia dalla richiesta di piante più vigorose sia dalle resistenze verso i parassiti tellurici. In particolare, rispetto alla radice suberosa causata da Pyrenochaeta
Diffusione dell’innesto in Italia
• Nella tabella a lato sono mostrate
1998
2005
2008
Nord
1320
1049
416
Centro
2728
7940
9617
le quantità totali di piante innestate prodotte in Italia nel 1998, nel 2005 e nel 2008. Il numero totale di piante innestate ha superato i 47 milioni nel 2008 con un incremento dell’89% rispetto a quanto rilevato nel 2005. Questo dato rappresenta in modo chiaro il favore crescente che le piante innestate stanno incontrando presso gli orticoltori proprio da quando il bromuro di metile è andato fuori commercio
Sud
2590
2640
2792
• Il 92% della produzione stimata riguarda
Isole
705
13.231
34.266
Italia
7343
24.860
47.091
Numero totale di piante innestate prodotte in Italia nel 1998, nel 2005 e nel 2008 ripartito per aree geografiche (Valori x .000)
il settore dell’orticoltura professionale
127
coltivazione lycopersici, i portinnesti ibridi interspecifici garantiscono un livello di resistenza nettamente superiore ai portinnesti ibridi di pomodoro. Rispetto a Fusarium oxysporum f.sp. radicis-lycopersici i portinnesti ibridi interspecifici hanno mostrato buona affidabilità così come per la resistenza a Fusarium oxysporum f.sp. lycopersici e a Verticillium dahliae. Rispetto ai nematodi galligeni del genere Meloidogyne spp., nessun portinnesto è completamente resistente. La temperatura del terreno gioca un ruolo importante nel superamento della resistenza. In base a diverse sperimentazioni i portinnesti ibridi di pomodoro appaiono più resistenti degli ibridi interspecifici.
Distribuzione dei vivai (2008)
• La Sicilia sud-orientale (provincia
di Ragusa), con sei vivai che producono il 72,4% delle piante innestate in Italia, è leader del settore. L’altro polo produttivo nazionale si trova nelle Marche, dove un solo vivaio produce oltre il 18% del totale
• Oltre al pomodoro, le specie orticole più
Produzione in vivaio Produrre piante innestate è un’operazione condotta prevalentemente in vivai specializzati data la necessità di programmazione delle semine di portinnesti e nesti (che spesso vanno sfalsate), l’alta richiesta di lavoro e attenzione in tutte le fasi di allevamento e innesto, la necessità di strutture dedicate, il rischio di impresa. La produzione di una pianta innestata di pomodoro in vivaio comprende tre fasi: – allevamento dei portinnesti e dei nesti; – innesto vero e proprio; – attecchimento delle piante innestate e successivo ambientamento. I tempi di semina e di allevamento di portinnesto e marza possono variare a seconda del metodo d’innesto utilizzato, della regolarità di germinazione e del vigore del portinnesto e del nesto. Esistono diversi metodi d’innesto alcuni dei quali vengono di seguito brevemente descritti.
innestate sono l’anguria con 10,6 milioni di piante, il melone con 8,2 milioni, la melanzana con 11,8 milioni, il peperone con 1,2 milioni e il cetriolo con 800.000 piante
2 1 (0,6%) (0,29%) 1 (0,86%)
1 (18,4%) 1 (1,5%)
1 (1,8%)
1 (2,1%) 1 1 (2,1%) (1,7%)
6 (72,4%) Distribuzione dei vivai e contributo produttivo (in parentesi) nel 2008 Strutture vivaistiche destinate all’allevamento di portinnesti, nesti e piante già innestate in Campania
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innesto – I nnesto per approssimazione. I due bionti sono allevati nello stesso contenitore per una quindicina di giorni; poi sono praticati dei tagli complementari sui fusticini che sono approssimati e tenuti serrati mediante carta stagnola o altro. L’attecchimento, come per tutte le piante innestate, è effettuato in un locale con elevata umidità e temperature sui 20-25 °C e richiede 6-7 giorni con progressivo ambientamento delle piantine. – I nnesto a spacco in testa. Il portinnesto viene allevato per circa trenta giorni, poi viene capitozzato e tagliato verticalmente; nello spacco viene inserita la marza foggiata a cuneo. I bionti sono tenuti uniti mediante mollette. – I nnesto per perforazione laterale. Tempi e modalità di allevamento analoghi al metodo precedente. Il portinnesto va capitozzato e, all’ascella degemmata dell’ultima foglia, viene praticato un foro sul fusto nel quale viene inserita la marza di appropriata dimensione. Non v’è necessità di attrezzi per serrare i bionti. – I nnesto alla giapponese. Presenta due varianti: giunzione obliqua e giunzione trasversale. In entrambi i casi, i tempi di allevamento delle piantine sono ridotti a una ventina di giorni, la preparazione di portinnesto e nesto è molto semplificata, sono usate guaine di silicone morbido o mollette per la tenuta in posto dei bionti. Nell’innesto alla giapponese la regolazione delle condizioni microclimatiche in attecchimento richiede molta attenzione poiché si lavora su piantine dai tessuti più teneri e suscettibili alla disidratazione. Le epoche di semina di portinnesti e nesti sono coeve quando si impiegano materiali ibridi dotati di regolarità di germinazione (per esempio pomodoro su ibridi di pomodoro). Quando, invece, il portinnesto è un ibrido interspecifico presenta in genere lentezza e scalarità di germinazione per cui va seminato da 4 a 15 giorni prima del nesto. Questa caratteristica degli interspecifici è stata oggetto di miglioramenti da parte delle ditte sementiere. Il metodo di innesto più diffuso per il pomodoro, come per altre solanacee, è quello a taglio obliquo alla giapponese. In Italia, l’innesto è un’operazione ad alto impiego di manodopera e non sembra destinato a una massiccia meccanizzazione come è accaduto in Giappone e Corea del Sud, Paesi con elevato impiego di piante innestate. Dopo una fase di valutazione condotta specialmente nei vivai più grandi con macchine agevolatrici o automatizzate, l’orientamento preponderante è per cantieri di lavorazione manuali con uso di macchine agevolatrici solo per la movimentazione dei vassoi o vasetti contenenti le piante da innestare o innestate. Uno dei motivi principali della scelta di innestare a mano sta nella necessità di contenere i costi dovuti a piante allevate e scartate perché non adatte all’innesto automatico; l’innesto a mano permette di innestare la maggior parte del materiale allevato mentre l’impiego di macchine determina un alto numero di piante scartate perché
Approssimazione
Spacco in testa
Perforazione laterale
Incrostazione
Giunzione obliqua
Giunzione trasversale
Alla giapponese Differenti tecniche di innesto erbaceo: portinnesto (verde chiaro) e nesto o marza (verde scuro)
129
coltivazione non rispondenti ai canoni richiesti per l’innesto automatizzato. Pertanto, l’innovazione principale che un vivaio mette in atto sta nel dotarsi di strutture adeguate a gestire nel modo più razionale e appropriato le diverse fasi del ciclo di produzione di una pianta innestata in modo da ottimizzare i tempi di produzione e ridurre al massimo i costi. Il costo di una piantina innestata è in media intorno a 0,70 € e rappresenta uno dei punti critici sui quali l’agricoltore decide la convenienza all’impiego di piante innestate. Campi di applicazione e risultati Alle piante di pomodoro innestato si ricorre esclusivamente per colture in serra. La ricchezza del panorama varietale coltivato in Italia richiede, nel momento in cui si vuole considerare il ricorso all’innesto, una preliminare verifica degli equilibri fisiologici delle combinazioni d’innesto. Le esperienze sperimentali che si sono stratificate negli ultimi dodici anni costituiscono una fotografia di quanto suddetto e delle problematiche che si presentano al variare delle combinazioni di innesto. Sono note, per esempio, le
Incidenza delle superfici coltivate con piante orticole innestate sul totale in Estremo Oriente Pieno campo e tunnel
Pomodoro della cultivar Marmande innestato su KNVF e allevato a due branche
Superficie (ha)
Coltura
Innestato (%)
Serre Superficie (ha)
Innestato (%)
Giappone (2003)
Diffusione dell’innesto in Estremo Oriente
• In Giappone e Corea del Sud l’innesto
erbaceo ha cominciato a diffondersi nella pratica colturale sin dagli anni ’60. Attualmente interessa un ben definito gruppo di specie ortive anche se le attività di ricerca si estendono in diverse direzioni. Cocomero, cetriolo, meloni orientali e retati tra le cucurbitacee e pomodoro e melanzana tra le solanacee sono le ortive più innestate. In questi due Paesi, l’innesto rappresenta una tecnica di grande diffusione e affidabilità grazie, evidentemente, a un progressivo accumulo di conoscenze empiriche e sperimentali
Cetriolo
10.160
55
5440
96
Anguria
14.017
92
3683
98
Meloni
6142
0
8258
42
Pomodoro
6459
8
7141
48
Melanzana
11.815
43
1785
94
Peperone
2684
(2)
1468
(2)
(1)
Corea del Sud (2003) Cetriolo
1728
42
5964
95
Anguria
13.200
90
21.299
98
Meloni
1047
83
9365
95
Pomodoro
258
0
4752
5
Melanzana
650
0
413
2
Peperone(3)
75.574
0
5085
5
Principalmente peperoni dolci; (2) dati non disponibili (3) Principalmente peperoni piccanti Fonte: Y.M. Lee, 2003 (1)
130
innesto segnalazioni di collassi improvvisi di piante innestate appena entrate in fase di fruttificazione dopo essersi sviluppate in modo apparentemente normale. In genere queste segnalazioni, provenienti da Sicilia, Liguria, Sardegna, Campania, hanno riguardato piante innestate con varietà tipiche delle tipologie Marmande, Cuore di Bue, Sorrentino, tutte caratterizzate da frutti grossi e costoluti, o varietà a frutti piccoli come Naomi e Camelia. Osservazioni accurate hanno permesso di appurare la scarsa compatibilità di qualche portinnesto (He Man) con varietà come Cuore di Bue o Sorrentino. L’individuazione dei portinnesti più adatti ha permesso di conseguire risultati eccellenti sia sotto il profilo produttivo sia sotto quello della difesa da patogeni tellurici. Nel caso della tipologia di pomodoro San Marzano, invece, l’innesto su portinnesti ibridi interspecifici come KNVF, DRO 100, Beaufort, He Man ha mostrato seri limiti alla sua diffusione in contesti fortemente affetti da verticilliosi o fusariosi. In questi casi, infatti, è stato riscontrato che le piante innestate reagivano a queste tracheomicosi con reazioni di ipersensibilità e morte dell’intera pianta mentre le stesse varietà non innestate sopravvivevano seppur attaccate. Di segno contrario è, invece, il successo registrato in Sardegna innestando la varietà Camone su interspecifici come Beaufort e He Man per contrastare il Fusarium oxysporum f.sp. radicis-lycopersici. Inoltre, prove effettuate in Campania e in Sicilia con altre tipologie varietali (Rita, Daniela, Arletta, gli stessi cherry Naomi e Camelia) hanno messo in evidenza che la protezione comples-
Imbrunimenti vascolari di una pianta non innestata colpita da fusariosi
Pomodoro San Marzano, cultivar 20SMEC, innestato sul portinnesto He Man e attaccato da fusariosi
La scarsa compatibilità tra nesto e portinnesto può causare improvvisi avvizzimenti in piante appena entrate in fruttificazione
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coltivazione
Equilibri fisiologici delle piante innestate
• La teoria delle capacità funzionali
fornisce un quadro interpretativo dei fenomeni di incompatibilità che possono manifestarsi su piante innestate in fase di coltivazione. Secondo questa teoria, il grado di riuscita della simbiosi tra portainnesto e nesto dipende da variazioni quantitative dei flussi nutritivi che dalle radici vanno alla parte aerea e viceversa. Questi flussi sono, ovviamente, influenzati dall’efficienza delle connessioni vascolari del punto di innesto, dalle caratteristiche del terreno, dall’ambiente, dall’epoca di coltivazione
Piante di Pomodoro di Sorrento innestate con sintomi di avvizzimento non parassitario
siva delle piante assicurata dai portinnesti ibridi interspecifici è accettabile pur essendo stata verificata una sensibilità ai danni da nematodi galligeni. Nel complesso le produzioni ottenute con le piante innestate sono state maggiori dei testimoni non innestati in terreni dove sussisteva un’effettiva incidenza di danni parassitari. Infine, un ulteriore campo di applicazione delle piante innestate è rappresentato dal loro impiego per contrastare condizioni di salinità delle acque irrigue. Anche in questo caso la selezione dei portinnesti è premessa indispensabile per raggiungere risultati soddisfacenti.
Filare di Pomodoro di Sorrento non innestato con piante affette da fusariosi
Apparato radicale vigoroso del portinnesto Maxifort innestato con Pomodoro di Sorrento
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innesto Forme di allevamento delle piante innestate Le piante innestate possono essere allevate a monofusto con investimenti di 2,5-3 piante/m2, tuttavia è ormai molto diffuso l’allevamento di un numero inferiore di piante per metro quadrato allo scopo di ridurre i costi di investimento in piante innestate. In tali casi l’investimento può essere ridotto a 1,5 piante/m2, allevando due steli per pianta o a 1 pianta/m2 allevando tre-quattro steli per pianta e mantenendo investimenti unitari di almeno 3 piante. Queste soluzioni sono state una delle concause della maggiore diffusione di portinnesti ibridi interspecifici che essendo più vigorosi sono in grado di sostenere lo sviluppo di più di uno stelo per cicli di coltivazione lunghi. È il caso della coltivazione del pomodoro in serra in Sardegna, in Sicilia, in Campania attuata in ciclo lungo con impianti di agosto-settembre o in doppi cicli con impianti ad agosto e gennaio. In genere, l’allevamento di più fusti è adottato anche per contenere la pezzatura dei frutti di cultivar come Camone o tipo cherry; d’altra parte è stato accertato che allevando su due steli cultivar con frutti di pezzatura media o grande non si sono avute riduzioni di pezzatura. Ovviamente, arrivare a gestire colture con tre-quattro steli per pianta è cosa più complessa e rischiosa se si pensa agli effetti sulla produzione di una qualsiasi avversità a carico dell’apparato radicale o di veloce propagazione come batteriosi e virosi. L’impostazione delle piante a più steli viene data mediante cimatura dello stelo principale effettuata in vivaio o dopo il trapianto. La prima soluzione comporta un incremento del costo della piantina al vivaio e un rischio di batteriosi. Altra linea operativa è quella che non prevede la cimatura dell’asse principale, lasciando sviluppare uno-due germogli ascellari che determinano il rallentamento dello sviluppo della cima principale e il raggiungimento in breve tempo di una pianta di buona uniformità.
Particolare di una pianta con quattro steli: punto di cimatura con emissione di due branche principali
Particolare di una pianta con quattro steli: punto di biforcazione di due steli su una delle due branche Veduta di una serra con pomodoro innestato e allevato a quattro fusti
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il pomodoro
coltivazione Irrigazione Marcello Mastrorilli, Angelo Domenico Palumbo
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coltivazione Irrigazione Introduzione Il pomodoro è una specie di origine tropicale che, trasferita negli ambienti mediterranei, va incontro a un regime termo-radiativo assai favorevole alla crescita, ma anche a condizioni limitanti per le scarse disponibilità idriche. Per questa ragione il pomodoro è inserito nei sistemi colturali in irriguo. L’irrigazione è una tecnica colturale spesso guardata con sospetto perché fa uso di una risorsa limitata, qual è l’acqua. Nella concezione più moderna, la scienza irrigua si è evoluta a tal punto da rassicurare le istanze ambientalistiche e le necessità degli agricoltori delle regioni mediterranee che senz’acqua non possono coltivare il pomodoro. L’irrigazione diventa un’agro-tecnica sostenibile dal punto di vista ambientale se si poggia su basi scientifiche, con particolare riguardo a biologia della specie, clima e idrologia del terreno. Irrigare il pomodoro con la tecnica più appropriata rende sostenibile la coltivazione dal punto di vista sia ambientale sia economico.
Caratteristiche del pomodoro e variabili irrigue
• Le caratteristiche biologiche
del pomodoro da prendere in considerazione per dimensionare le variabili irrigue sono principalmente tre: durata del ciclo vegetativo, radici avventizie e potenziale idrico fogliare Foto C. Magnani
Dalla biologia alla tecnica irrigua Originariamente il pomodoro è una specie indeterminata, ciò vuol dire che la fase di fioritura si prolunga per buona parte del ciclo; infatti fiori e bacche sono presenti contemporaneamente sulla stessa pianta. Essendo la fioritura una fenofase critica, ne consegue che il pomodoro è sensibile allo stress idrico per tutta la durata del ciclo. Inoltre è stato osservato che, contrariamente a quanto avviene per le specie da granella, una carenza di acqua si ripercuote in un allungamento della durata del ciclo colturale. Allo stress idrico il pomodoro reagisce emettendo nuove foglie e
Manichetta per l’irrigazione del pomodoro in pieno campo
Foto R. Angelini
134
irrigazione infiorescenze, a scapito delle bacche in fase di accrescimento e alla qualità del prodotto (marciume apicale, pezzatura). Nel caso dei tipi determinati, invece, il numero di infiorescenze è fissato geneticamente, per cui si può stabilire a priori la durata del ciclo colturale e di conseguenza la durata della stagione irrigua. Nella coltivazione di pomodoro avviata con piantine pre-allevate in vivaio, è frequente l’emissione di radici avventizie nella zona del colletto, in conseguenza della scarsa adesione del terreno al pane di terriccio in fase di attecchimento o di eccessi idrici che comportano il marciume dell’apparato radicale principale (fascicolato e non fittonante, come sarebbe se fosse eseguita la semina diretta). Ciò ha un doppio effetto: l’apparato radicale avventizio sopperisce alla scarsa crescita dell’apparato radicale originario sostituendolo in toto nelle funzioni di assorbimento idrico e minerale. Tuttavia, le stesse radici avventizie, che frequentemente sono le uniche a costituire l’apparato radicale della pianta, sono anche determinanti per gli stress idrici del pomodoro, essendo estremamente superficiali e, pertanto, esposte al rapido disseccamento del terreno. Inoltre, traggono in inganno perché rispondono immediatamente all’acqua in superficie ma sono altrettanto incapaci di assorbire quella che si distribuisce lungo il profilo del fronte umettato, lo stesso che viene considerato nella determinazione dei volumi di adacquamento. Per quanto riguarda lo stato idrico, il pomodoro ha un comportamento di tipo isoidrico. Le specie isoidriche riducono il potenziale idrico fogliare alle prime ore del giorno (quando inizia a diminuire il contenuto dell’acqua nel terreno e ad aumentare il deficit di saturazione dell’aria), dopodiché esso rimane stabile durante le ore diurne e senza differenze tra le piante ben alimentate e quelle stressate. Il comportamento isoidrico è tipico
Foto V. Magnifico
Foto V. Magnifico
Conduttanza stomatica (cm/s)
Relazione tra conduttanza stomatica e potenziale idrico di base in piante di pomodoro
1,1
0,7
0,3 –0,8
–0,6
–0,4
–0,2
0
Potenziale idrico fogliare (MPa)
Irrigazione a goccia nel Crotonese
135
coltivazione delle specie che non tollerano la carenza idrica. Essendo modesta la differenza di potenziale idrico che si instaura tra radice e terreno, il pomodoro può assorbire acqua dal terreno solo se questa si trova a potenziali elevati. Per mantenere stabile lo stato idrico, il pomodoro deve evitare le perdite di acqua chiudendo gli stomi. Con la riduzione della traspirazione, diminuisce l’assimilazione e aumenta la temperatura della vegetazione, esponendo la coltura a fisiopatie che deprezzano la resa (scottature, marciumi). Questa analisi del funzionamento idrico del pomodoro fornisce alcune indicazioni pratiche sulla tecnica agronomica dell’irrigazione: – la durata della stagione irrigua dipende, oltre che dal decorso meteorologico, dalla tipologia di pomodoro, se determinato o indeterminato; – il pomodoro non è una specie resistente alla carenza idrica, in nessuna fase del suo ciclo colturale. Nella letteratura scientifica sono riportate anche per il pomodoro proposte per risparmiare acqua irrigua (partial root deficit e deficit irrigation). Tuttavia, queste strategie irrigue, trasferite in ambiente mediterraneo, non hanno dato risultati soddisfacenti; – il pomodoro non è resistente al ristagno idrico. In caso di eccesso di acqua nel terreno le radici principali marciscono e quelle avventizie, sviluppandosi superficialmente, sono più esposte allo stress idrico; – il metodo irriguo più appropriato deve garantire che il potenziale idrico del terreno nella zona esplorata dall’apparato radicale rimanga elevato per tutta la durata del ciclo colturale.
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Temperatura della vegetazione (°C)
Andamento orario della temperatura superficiale della vegetazione del pomodoro irrigato in modo ottimale (restituzione del 100% dell’evapotraspirazione calcolata, ETc) e stressato (50% di ETc)
Irrigazione localizzata in impianto di pomodoro a file binate
35
30
25
20 4 h 48 min
9 h 36 min
14 h 24 min
19 h 12 min
Ora del giorno Volume irriguo = 100% ETc
136
Volume irriguo = 50% ETc
irrigazione Schematizzazione dell’evoluzione temporale del coefficiente colturale (Kc) in quattro stadi di crescita 1,4 1,2
KCmed
1,0
svi
0,6 0,4 0,2
KC
KC
0,8
KCini
0,0 Iniziale
Sviluppo
Pieno sviluppo
Senescenza
Quanto irrigare? I dati agro-meteorologici giornalieri servono a quantificare i volumi irrigui. Il metodo operativo, internazionalmente accettato, per calcolare i volumi irrigui è quello proposto dalla FAO. Il metodo richiede il calcolo dell’evapotraspirazione delle colture (ETc) che si ottiene moltiplicando l’evapotraspirazione di riferimento (ETo) per il coefficiente colturale (Kc). Questo coefficiente può essere rappresentato da un’unica funzione (single Kc) o diviso in due fattori che descrivono separatamente l’evaporazione dal terreno e la traspirazione dalla coltura (dual Kc). Nel caso del pomodoro si raccomanda il dual Kc che assicura una maggiore accuratezza, perché, essendo coltivato a file o bine, copre parzialmente il terreno nella prima parte del ciclo. Il valore di Kc varia in funzione del grado di Foto V.Magnifico
Strumenti agro-meteorologici che forniscono le misure necessarie al calcolo di ETo. Termo-igrometro (in alto), solarimetro (al centro) e anemometro (in basso) Irrigazione mista a goccia e sovra chioma a Mola di Bari
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coltivazione Costanti idrologiche del terreno Quando e quanto irrigare
• Per valutare quando irrigare ci si avvale
Umidità
di alcune costanti idrologiche: –S aturazione idrica massima: è la quantità massima di acqua che un terreno è in grado di contenere. Tutti i pori del terreno sono saturi d’acqua e questa non è soggetta ad alcuna forza di ritenzione da parte del terreno apacità idrica di campo: solo –C la microporosità è satura, mentre la macroporosità rimane vuota e disponibile per l’aria –P unto di appassimento: rappresenta la quantità di acqua trattenuta dal terreno contro la forza radicale
Acqua gravitazionale
Percolazione
Acqua disponibile
Evapotraspirazione
Acqua non disponibile
Vaporizzazione del suolo
Saturazione idrica massima Capacità di campo (CC) Punto di appassimento (PA)
Tempo
copertura del terreno da parte della coltura, della sua altezza e dall’area fogliare. Dal punto di vista pratico è assai utile suddividere il ciclo colturale in quattro stadi di crescita, dal trapianto al pieno sviluppo della coltura. La durata di ogni stadio dipende dalla varietà, dal clima e dalle agro-tecniche impiegate. Per questo, l’intervallo tra una fenofase e quella successiva non può essere definito a priori, ma occorre osservare direttamente la coltura.
• L’acqua prontamente disponibile
(APD) per la pianta è quella compresa tra la capacità di campo e il punto di appassimento, pertanto l’irrigazione deve essere eseguita prima del raggiungimento del punto di appassimento
Quando irrigare? L’idrologia del terreno permette di stabilire il momento irriguo. Teoricamente il pomodoro assorbe acqua dal suolo nell’intervallo compreso tra la capacità idrica di campo (CIC) e il punto di appassimento (PA). In realtà, il lavoro che compie l’apparato radicale per assorbire l’acqua dal terreno aumenta progressivamente con la diminuzione dell’acqua disponibile. In altre parole più ci si avvicina al PA e meno disponibile diventa l’acqua per la pianta. Per evitare conseguenze sulla produzione, l’irrigazione deve essere eseguita prima del completo esaurimento dell’acqua prontamente disponibile (APD) nello strato di terreno esplorato dalle radici. L’APD si ottiene dalla seguente formula:
• Per determinare la quantità
d’acqua da apportare esistono delle formule che richiedono il calcolo dell’evapotraspirazione della coltura (ETc), la quale si ottiene moltiplicando l’evapotraspirazione di riferimento (ETo) per un coefficiente colturale (Kc) Foto V. Magnifico
APD (mm) = p · AD dove: AD è l’acqua disponibile e corrisponde al contenuto idrico del terreno compreso tra PA e CIC: AD = (ΘCIC + ΘPA) · Zr Θ è il contenuto idrico (m3/m3) Zr è la profondità dell’apparato radicale (mm) p è la frazione di AD che può essere facilmente utilizzata. Generalmente p varia tra 0,3 (nel caso delle colture a modesto sviluppo radicale) e 0,7 (colture con radici profonde). Il valore di p per il pomodoro varia tra 0,3 e 0,45 e dovrebbe essere corretto in base
Irrigazione mista a goccia e sovra chioma a Mola di Bari
138
irrigazione al pedo-clima. Le funzioni di adattamento per “p” sono riportate dal “Paper 56” della FAO.
Foto E. Marmiroli
Una volta conosciuti i valori di APD e di ETc, si può stabilire quando irrigare in base a un bilancio idrico del terreno da eseguire giornalmente: AUi = AUi-1 – Pi + Ri – Ii – RCi + ETci + Di Con questa formula si stima la quantità di acqua utilizzata dalla coltura fino al giorno i (AUi in mm). Questo dato deriva dal volume di acqua utilizzato fino al giorno precedente (AUi-1). Per il giorno i, si devono contabilizzare gli apporti di acqua dovuti a: – piogge utili, P (mm), ovvero le precipitazioni superiori a 0,2 × ETo; – eventuali deflussi superficiali (R); – irrigazione (I); – contributo di acqua dovuto alla risalita capillare (RC); e le perdite per: – evapotraspirazione della coltura (ETc); – percolazione (DP), si stima come la quantità di acqua che supera la capacità idrica di campo a seguito di un evento piovoso o di una irrigazione abbondante. I termini R e RC possono essere stimati con le procedure standard riportate nei manuali di idrologia. L’applicazione in scala giornaliera di tale modello permette di dimensionare il momento e il volume di adacquamento, nonché di stimare il drenaggio.
Particolari dell’impianto di microirrigazione
Impianto per l’irrigazione delle giovani piantine in serra
Foto C. Magnani
139
coltivazione Come irrigare? La scelta del metodo irriguo deve essere tanto più accurata quanto più precaria è la risorsa idrica. Saranno considerati, fondamentalmente, i metodi le cui innovazioni tecnologiche hanno comportato il miglioramento dell’efficienza di funzionamento, l’uniformità di distribuzione dell’acqua e la possibilità di automazione, che è prerogativa indispensabile nel caso della fertirrigazione. Pertanto, di alcuni metodi sarà fatto rapido cenno, nonostante alcuni di essi rappresentino una testimonianza storica delle tecniche agronomiche dell’irrigazione le quali, se ben condotte, non sono secondarie a quelle più innovative, sotto il mero aspetto tecnologico. L’infiltrazione laterale da solchi prevede la sistemazione del terreno in solchi di lunghezza e profondità variabili, in funzione della tessitura del terreno, della pendenza e della portata d’acqua disponibile in testata. Un tempo largamente diffuso nelle aziende orticole a conduzione familiare, il metodo è attualmente in disuso per gli elevati costi di esercizio, per le tare di coltivazione e per la necessità di una sistemazione perfetta del terreno in assenza della quale, inevitabilmente, i tempi di permanenza dell’acqua tra le zone a monte e quelle a valle del solco sono estremamente differenti, da cui la scarsa efficienza di distribuzione dell’acqua. Il metodo per aspersione (ovvero a pioggia) è diffuso in diverse zone di produzione del pomodoro da industria del Centro-Nord Italia, mentre è praticamente assente nel Mezzogiorno. Si adatta bene in diverse situazioni di terreno, relativamente alla tessitura e, soprattutto, alla sistemazione idraulica. In genere l’aspersione non comporta problemi di filtraggio dell’acqua, anche se contiene materiali in sospensione.
Metodi d’irrigazione
• Infiltrazione laterale da solchi • Aspersione • Irrigazione a microportata • Subirrigazione
Irrigazione laterale da solchi
Umidità volumetrica del terreno monitorata a 3 profondità durante la seconda metà del ciclo colturale del pomodoro (Capitanata, 2006) 45%
CIC
35%
35
30%
30
25%
PA
20%
20 15
10%
10
5%
5 16/7 Pioggia
140
25
15%
0% 1/7 Irrigazione per aspersione
40
31/7 15
30
15/8 45
0 30/8
Pioggia (mm)
Umidità del terreno
40%
45
irrigazione Tuttavia esige investimenti iniziali e costi di gestione soprattutto per quanto riguarda le spese di energia. Comporta la compattazione superficiale del terreno e, non in ultimo, innesca malattie fungine e batteriche per l’acqua presente a lungo sulla vegetazione. Infine, è frequente l’errore di disporre gli erogatori a distanze inadeguate, per cui alcune aree sono soggette a sovrapposizione del getto d’acqua, con relativi problemi di ristagno, mentre altre aree si presentano insufficientemente bagnate. Il metodo per aspersione comprende tipologia d’impianti molto diversificata, per le caratteristiche tecniche delle apparecchiature, i tempi e le portate di erogazione. Gli irrigatori rotanti sono tra i più comuni. Possono essere montati su aste di varia altezza, in impianti fissi o mobili. Si distinguono fondamentalmente per la pressione d’esercizio (da 0,2 a 0,6 MPa) e la gittata (da 5 a oltre 50 m). In tempi più recenti, sono stati diffusi gli irrigatori giganti semoventi del tipo rotoloni, piuttosto che pivot e rainger line, anche per i loro costi più contenuti. Tuttavia, le macchine irrigue esigono elevate pressioni (da 0,8 a 1 MPa) e distribuiscono l’acqua in maniera difforme in presenza di vento. Non devono essere trascurate l’elevata intensità di pioggia (talora incompatibile con la velocità di percolazione) e l’azione battente dell’acqua su colture e terreno. L’irrigazione a microportata è un metodo caratterizzato dalla somministrazione localizzata dell’acqua sull’area di terreno sovrastante l’apparato radicale. La tecnica deriva dalle zone aride del Medio Oriente si è diffusa negli ambienti ove le risorse idriche sono limitate ma anche in quelli senza particolari limitazioni perché consente risparmio di manodopera e la costanza dell’alimentazione delle colture sotto
Foto V. Magnifico
Irrigazione a goccia
Irrigatore gigante semovente (rotolone)
Irrigatore mobile
Bobina operante a punto fisso
All’opera di presa
141
coltivazione l’aspetto sia idrico sia nutrizionale. In ogni caso, il metodo consente di assecondare le esigenze idriche del pomodoro, erogando portate ridotte a basse pressioni di esercizio. Le portate di ciascun erogatore vanno da meno di 1 a 4 litri per ora, distribuiti con pressioni di 0,1-0,2 MPa in tubi di piccolo diametro: conseguentemente i tempi di erogazione sono lunghi e i turni brevi (anche inferiori a 2-3 giorni). Tra i principali vantaggi del metodo di distribuzione a micro-portata va sottolineato il risparmio d’acqua conseguente all’efficienza di distribuzione (localizzata, appunto) e alla riduzione delle perdite per evaporazione. La non perfetta sistemazione idraulica della superficie del terreno non altera l’uniformità di distribuzione dell’acqua, soprattutto se si ricorre ai sistemi autocompensanti. Inoltre, non v’è interferenza del vento durante l’adacquamento; la possibilità di applicare la fertirrigazione (anch’essa localizzata) consente il risparmio dei consumi minerali della coltivazione della quale dovrebbe essere considerata non tanto l’estensione areica quanto l’espansione lineare. Non va trascurata, legislazione consentendo, la possibilità di applicare acque di scadente qualità, sia salmastre sia reflue, evitando la bagnatura diretta della vegetazione. Tra i principali limiti del metodo vanno citati: la necessità di filtrare l’acqua e il rischio di salinizzare il terreno che contorna la zona umettata. Il principale metodo di irrigazione a microportata di erogazione è quello comunemente definito a goccia. Poiché l’apparato vegetativo epigeo non è a contatto con l’acqua, il rischio di malattie fungine e batteriche è estremamente ridotto; tuttavia, spesso in coltura protetta per la produzione di pomodoro da mensa, esso può rappresentare il principale veicolo di malattie fungine quali fusariosi e verticilliosi: in tal caso l’agricoltore deve essere consapevole del rischio epidemiologico connesso al metodo irriguo. La subirrigazione è un metodo irriguo che esige terreni di buona permeabilità. A parte la forma tradizionale (subirrigazione freatica, poco diffusa), comincia a essere presa in considerazione la subirrigazione capillare attraverso acqua posta in pressione in
Foto E. Marmiroli
Le recenti trapiantatrici consentono la stesura della manichetta per l’irrigazione contestualmente all’operazione di trapianto
Sistema di irrigazione a pioggia tipo pivot
142
irrigazione ali gocciolanti collocate nel terreno a circa 20-30 cm di profondità, ove si concentra la maggior parte dell’apparato radicale. Il metodo ha il vantaggio di eliminare le perdite d’acqua per evaporazione ma anche di limitare la percolazione profonda, contribuendo a massimizzare l’efficienza d’uso dell’acqua. Tra gli svantaggi del metodo, vanno ricordati l’interferenza con alcune lavorazioni, le possibili occlusioni dei tubi interrati e la necessità di integrare questo con altri metodi nelle fasi iniziali del ciclo vegetativo, quando l’apparato radicale del pomodoro appena trapiantato non è adeguatamente approfondito.
mm/anno
1000
911 (1972)
750 500 250 0 1950
186 (1984) 1975
2000
mm/anno = 544 Precipitazioni annuali in Capitanata (FG). Si riportano i valori medio, massimo e minimo registrati nell’ultimo cinquantennio
Conclusioni Una domanda frequente è: quanta acqua irrigua serve al pomodoro da industria in un’annata? A questa domanda non può corrispondere una risposta univoca. Se si considera l’andamento pluviometrico del cinquantennio scorso emerge l’estrema variabilità del regime pluviometrico. Oltre le precipitazioni, anche la domanda evapotraspirativa dell’atmosfera varia da un anno all’altro. Di conseguenza i volumi irrigui stagionali applicati al pomodoro da industria non possono essere stabiliti a priori. Un esempio è riportato nella figura a lato, che riporta la stima dei fabbisogni irrigui in Capitanata in 50 anni dalla quale emergono l’enorme variabilità stagionale (da 200 a 600 mm) e la tendenza all’aumento nell’ultimo trentennio.
599 mm
600 mm
500 400 300 200 1950
1965
219 mm 1980
1995
Media cinquantennale 415 mm Volumi irrigui pomodoro Evoluzione dei volumi irrigui stimati per il pomodoro nell’ultimo cinquantennio
Sistema di irrigazione a pioggia tipo rainger
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il pomodoro
coltivazione Concimazione Paolo Sambo
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Concimazione Introduzione Il pomodoro è coltivato in un ampio range di condizioni pedoclimatiche sia in pieno campo sia in coltura protetta. A differenza di molte specie orticole (soprattutto da foglia), la cui raccolta avviene durante la fase di massimo accrescimento della pianta, il pomodoro fornisce frutti in diversi stadi di maturazione per le tipologie da mensa e frutti completamente maturi nel caso della coltura per l’industria. In funzione della destinazione del prodotto, anche il processo di fruttificazione ha una durata assai variabile; nel caso del pomodoro da industria, caratterizzato da piante prevalentemente ad accrescimento determinato, tutti i grappoli che contribuiscono alla resa commerciale si differenziano nell’arco di 2-3 settimane; mentre per il pomodoro da mensa, con piante di tipo indeterminato, questo processo può protrarsi anche per circa 30 settimane nel caso dei cicli più prolungati. Di conseguenza la produzione di biomassa e quindi le asportazioni di elementi nutritivi seguono andamenti estremamente diversificati.
Elementi nutritivi
• Mediamente, la sostanza secca delle
piante è formata da carbonio (C) e ossigeno (O) per il 40% ciascuno; seguono l’idrogeno (H) con il 6% e tutti gli altri elementi. Degli oltre cento elementi conosciuti, solo sedici sono considerati indispensabili (C, O, H, N, P, K, Ca, Mg, S, B, Cl, Fe, Cu, Mn, Mo e Zn) e, in funzione dell’importanza nei processi fisiologici e produttivi, vengono definiti macro-, meso- e micro-elementi
• Macro-elementi sono azoto, fosforo e potassio
• Meso-elementi sono calcio, magnesio, zolfo e sodio
• Micro-elementi sono ferro, manganese,
Produzione di biomassa In generale, per il pomodoro, la produzione di massa verde prodotta da un ettaro di coltivazione, di qualsiasi tipo, può tranquillamente superare le 150 t mentre, livelli delle produzioni molto variabili in rapporto all’ambiente, alla tecnica di coltivazione e alla tipologia di prodotto, risultano compresi tra 40-110 t per il pomodoro da industria e per il consumo fresco allevato in pieno campo e da 100 a 200 t per la produzione in serra. In ogni caso, con il miglioramento genetico e con l’introduzione degli
rame, zinco, boro, molibdeno e cloro
• Mentre i macro- e i meso- elementi
partecipano alla composizione del corpo della pianta, i micro-elementi entrano prevalentemente nella composizione degli enzimi che regolano i processi fisiologici
Campo di pomodori prossimo alla raccolta
Foto R. Angelini
144
concimazione Foto V. Magnifico
Assorbimento degli elementi nutritivi e concimazione
• In natura, le piante assorbono gli
elementi minerali dal terreno attraverso le radici e dall’aria mediante le foglie. Nella comune pratica agricola, carbonio, ossigeno e idrogeno non vengono mai dati alle piante perché provengono da aria, acqua e anidride carbonica durante i processi fisiologici della respirazione mentre tutti gli altri devono essere forniti quando sono limitanti il processo produttivo. Nella concimazione, azoto, fosforo e potassio sono, nell’ordine, all’attenzione del produttore; mentre gli altri vengono forniti solo in presenza di carenze nel terreno e condizionano anche l’assimilazione degli altri elementi fondamentali (Legge del minimo o di Liebig)
La diagnosi fogliare è un mezzo per conoscere meglio lo stato nutrizionale delle piante e prevederne il risultato produttivo
ibridi molto più produttivi delle vecchie varietà, il carico di frutti è aumentato notevolmente tanto da avere la sensazione che le piante attualmente in coltivazione presentano più frutti che foglie. Infatti, se nelle vecchie varietà, la porzione di frutti rappresentava meno della metà del peso totale delle piante, con i nuovi ibridi può superare anche l’80%. Alla maggiore efficienza in peso si aggiunge anche la maggiore uniformità dei frutti e, di conseguenza, una minore percentuale di scarto. A ciò si aggiunge, inoltre, una maggiore contemporaneità di maturazione delle bacche sia nei grappoli delle tipologie da mensa ad accrescimento indeterminato che sulle piante delle tipologie da industria ad accrescimento determinato, favorendo, in questo modo, le operazioni di raccolta sia manuali che meccaniche, rispettivamente.
7
Asportazioni (g per pianta)
Asportazioni (g per pianta)
Andamento delle asportazioni istantanee (sinistra) e cumulate (destra) dei macro elementi
6 5 4 3 2 1 0
0
50
100
150
14 12 10 8 6 4 2 0
0
Giorni dal trapianto N
P
50
100
Giorni dal trapianto
K
145
150
coltivazione Asportazioni medie giornaliere di una coltura di pomodoro da mensa durante il ciclo colturale Azoto (N)
• L’azoto, come è ben noto,
Kg/ha
è indispensabile alla vita delle piante entrando nella costituzione di importantissimi composti organici come amminoacidi, proteine, acidi nucleici
• Le piante possono assorbire l’azoto
sia sotto forma nitrica (NO3–) sia ammoniacale (NH4+); mentre gli ioni nitrici possono accumularsi nei tessuti delle piante anche in elevate concentrazioni, gli ioni ammoniacali sono altamente tossici
6,0 5,5 5,0 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0
0-30
31-60
61-90
91-120 121-150 151-180 181-220 Giorni
N
P2O5
K2O
Esigenze nutrizionali Dai dati disponibili, è possibile affermare che una buona coltura di pomodoro da industria, capace di fornire oltre 100 t/ha di bacche, deve poter contare su circa 250 kg/ha di N, 65 kg/ha di P2O5 e 350 kg/ha di K2O disponibili nel terreno. Le velocità di crescita delle piante e dell’assorbimento degli elementi sono alquanto differenziati durante il ciclo colturale. Dal trapianto al 20° giorno, l’assorbimento giornaliero di azoto è trascurabile, tanto da non superare i 100 grammi per ettaro con punte di mezzo chilo negli ultimi giorni del periodo considerato, mentre è di 20 e 50 g per P2O5 e di 100 e 300 g per K2O. Nei venti giorni successivi – periodo caratterizzato dal completamento dell’allegagione dei frutti – l’assorbimento medio giornaliero passa da un chilo di N nei primi dieci giorni a quasi tre chili nei
• Nel terreno, gran parte dell’azoto
si trova sotto forma organica; con la mineralizzazione dovuta ai microrganismi si passa a forme assimilabili o volatili (NO2–, NO, N2O, N2). Nel pomodoro, l’azoto induce un maggior vigore con l’aumento dell’altezza e dell’area fogliare
• La produzione è normalmente
incrementata con moderate concimazioni azotate sia sotto serra sia in pieno campo
• Nel caso di elevata temperatura
Foto V. Magnifico
e luminosità, alte dosi di azoto incrementano la crescita vegetativa, la quale, però, può essere controproducente per la fase riproduttiva in condizioni di scarsa luminosità
• La deficienza di azoto nella pianta,
oltre che dalla stentata crescita, è caratterizzata dal diffuso giallume delle foglie
• I sintomi di tossicità da eccesso
di azoto ammoniacale sono pari a quelli mostrati dalla deficienza di potassio Sintomi da carenza di azoto
146
concimazione Foto V. Magnifico
Fosforo (P)
• Il fosforo è prevalentemente assorbito dalle piante nella forma monovalente H2PO4– e meno in quella bivalente HPO42– la cui presenza è regolata dal pH del terreno. A pH neutro le due forme sono in equilibrio
• Le piante hanno la capacità
di assorbire grandi quantità di fosforo anche da soluzioni circolanti povere di questo elemento e di ridistribuirlo, all’occorrenza, dai tessuti vecchi a quelli giovani. La capacità delle piante di assorbire fosforo varia molto fra le specie e le varietà
Sintomi da carenza di fosforo
restanti giorni e, rispettivamente, da 150 a 200 g/ha per P2O5 e da 2,5 e 3,0 kg/ha per K2O. Dal 40° al 60° giorno le piante esprimono i più alti incrementi di accrescimento e di assorbimento di elementi: in questo stadio, l’assorbimento giornaliero medio è di 7-8 kg/ha per N, 1,5-2,0 kg/ha per P2O5 e 10-12 kg/ha per K2O. Rispetto alle esigenze totali, in questo periodo le piante assorbono il 65% dell’azoto, il 45% del fosforo e il 55% del potassio. Nel periodo che va dal 60° all’80° giorno si completa l’ingrossamento dei frutti e le piante assorbono un ulteriore 15% di azoto e 30% degli altri due elementi, ovviamente quasi esclusivamente a favore dei frutti. Fisiologicamente questo periodo è caratterizzato da un declino dell’accrescimento delle radici che limita la loro efficienza. Questo fenomeno fa si che, con l’inizio dell’accrescimento dei frutti, alla ridotta efficienza radicale supplisce la migrazione degli elementi nutritivi accumulatisi negli steli e
• Nella pianta del pomodoro, il fosforo
nonostante sia impiegato in ridotte quantità rispetto all’azoto e al potassio, gioca un ruolo fondamentale sia nell’accrescimento delle radici delle giovani piante che nella crescita vegetativa dell’intera pianta e nella formazione dei frutti
• La deficienza di fosforo nelle piante
è caratterizzata da una colorazione violacea degli organi più giovani (steli, piccioli e nervature fogliari) e possono essere confusi con i sintomi dei danni da freddo
Foto V. Magnifico
Sintomi da carenza di boro
147
coltivazione Foto V. Magnifico
Potassio (K)
• Le piante assorbono il potassio sotto
forma di ione K+, che risulta essere il catione più presente nei tessuti vegetali e, soprattutto, nei vacuoli delle cellule dove equilibra le cariche negative degli ioni a carica negativa (anioni come nitrati, cloruri). Perciò, a un eccesso di potassio può corrispondere un accumulo di nitrati nei tessuti mentre a una sua deficienza può manifestarsi la tossicità da azoto ammoniacale
Sintomi da carenza di potassio
• Il potassio è richiesto dalle piante
nelle foglie soprattutto. Nel caso della coltura del pomodoro da mensa allevato in serra, capace di fornire 200 t/ha di frutti, le asportazioni risultano più regolari e non raggiungono mai i picchi dei valori osservati per la coltura da industria. Infatti, per l’azoto, sono normali asportazioni medie giornaliere per ettaro di circa un chilo per i primi trenta giorni dopo il trapianto, di 2,5 kg per i successivi cinquanta giorni, per ridiscendere a 1,0-1,5 kg per il restante periodo colturale. Per il fosforo (P2O5), invece, nei primi trenta giorni, l’asportazione giornaliera è di circa 100g; passa a 200 g nei successivi dieci giorni; aumenta a 400 e a 600 g nelle due decadi successive; si stabilizza intorno a 300 g nel successivo periodo di un mese per ridiscendere a 100-200 g per la restante parte del ciclo colturale. Nel caso del potassio (K2O) si hanno le seguenti asportazioni medie giornaliere per ettaro: 2, 9 kg per i primi dieci giorni; 3,5-4,0
in grande quantità per la sua partecipazione a molti processi biologici (regolazione del turgore cellulare, sintesi dei carboidrati e delle proteine, regolazione dell’assorbimento dell’azoto, assimilazione di CO2, chiusura e apertura degli stomi, produzione di ATP ecc.)
• Le piante hanno la capacità
di ridistribuire il potassio accumulato nella fase vegetativa per convogliarlo nei frutti in accrescimento quando le radici perdono la loro efficienza. Questo è un fenomeno tipico della pianta del pomodoro che si manifesta con l’ingiallimento e il seccume delle foglie più vecchie a iniziare da quelle basali
Foto V. Magnifico
• La deficienza del potassio
è riconoscibile dalle macchie e tacche necrotiche sui fusti più giovani della pianta
• Si confonde con la tossicità indotta dall’eccesso di azoto ammoniacale
Sintomi da carenza di rame
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concimazione Foto V. Magnifico
Calcio (Ca)
• Il calcio è richiesto in elevati quantitativi al pari di azoto e potassio ma non viene somministrato perché è molto presente nei terreni
• Il suo eccesso può determinare clorosi
ferrica perché riduce l’assorbimento del ferro (ma anche di altri microelelemti) e la sua traslocazione all’interno della pianta
• Contrariamente all’azoto, al fosforo e al
Sintomi da carenza di calcio
potassio, il calcio è immobile nel floema, cioè non si muove dalle foglie vecchie a quelle giovani; esso è prevalentemente traslocato nello xilema con il trasporto dell’acqua
kg per il mese successivo; 5,5-6,0 kg per i due mesi successivi, per ridiscendere a 1,0-1,5 kg fino alla fine del ciclo colturale e riutilizzare l’eccesso accumulato nella pianta. Nel caso di ripresa vegetativa della pianta, gli assorbimenti medi giornalieri osservati alla fine del ciclo per i tre elementi possono anche triplicarsi nel giro di pochi giorni. Oltre alla conoscenza delle asportazioni dei nutrienti, per una corretta gestione della fertilizzazione di una coltura è indispensabile conoscere quali sono le funzioni principali dei singoli elementi nel metabolismo generale della pianta e nella formazione del prodotto commerciale. Tra i diversi elementi minerali, potassio e calcio sembrano essere molto importanti per la qualità dei prodotti. Il rapporto di assorbimento del potassio cambia comunque in accordo al carico di frutti presenti sulla pianta spostandosi da K:N 1.2:1 a 2.5:1 in corrispondenza di un
• Il suo assorbimento dal terreno può
essere ridotto da bassi livelli termici, da siccità, da elevata concentrazione di sali nella soluzione circolante e dall’alta umidità relativa dell’atmosfera
• Nel caso in cui per un qualsiasi motivo
l’apporto di calcio ai meristemi dei germogli o delle radici sia interrotto, anche per brevi periodi, si verificano locali carenze e marciumi. Nel pomodoro ciò si manifesta con il marciume apicale dei frutti lunghi
Foto V. Magnifico
• La carenza di calcio si manifesta
con il rachitismo delle piante dovuto all’accorciamento degli internodi degli steli
Sintomi di marciume apicale
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coltivazione grande carico di frutti. Un eccesso di azoto nelle prime fasi del ciclo colturale in condizioni di scarsa intensità luminosa comporta una maggiore predisposizione della pianta ad attacchi di patogeni e una riduzione del numero di fiori e della pezzatura delle bacche. La crescita della pianta può essere rallentata aumentando il rapporto K:N nel fertilizzante e aumentando il processo evapotraspirativo tramite turni irrigui più lunghi e con ridotti volumi. Con riferimento al calcio, il contenuto relativo nelle foglie non sempre è indice di un corretto equilibrio minerale. In condizioni di bassa umidità dell’aria, infatti, la maggior parte dell’acqua assorbita giunge nelle foglie, per mantenere un sufficiente livello di traspirazione, di conseguenza solo una piccola quantità di calcio viene veicolata nei frutti, i cui tessuti si necrotizzano in corrispondenza nella parte distale (marciume apicale). In condizioni di ridotte disponibilità di calcio (conseguenti anche a consistenti apporti di concimi ammoniacali, potassici e magnesiaci) e di acqua (stress idrico o salino) tale alterazione può determinare una significativa riduzione della produzione commerciabile.
Magnesio (Mg)
• Il magnesio è un elemento
fondamentale per le piante superiori perché entra nella composizione della clorofilla
• In genere, le piante ne asportano un
decimo rispetto al potassio; ma, nel caso del pomodoro, le asportazioni di magnesio sono molto alte e possono superare i 250 kg/ha
• Essendo un elemento molto mobile,
la carenza di magnesio, pur essendo comune, raramente determina riduzioni di resa
• La carenza di magnesio risulta
prevalentemente legata alla competizione con altri cationi (specialmente K+), al basso pH della soluzione circolante nel terreno oltre che alla scarsa presenza nella zona radicale. Tale fenomeno spesso si manifesta nella fase avanzata dell’ingrossamento dei frutti, momento in cui la pianta non può essere in grado di ridistribuire dalle parti vecchie (foglie in particolar modo) le adeguate quantità di magnesio necessarie a completare il processo produttivo
Concimazione È evidente che a ogni modello di pianta corrisponde una differente strategia di allevamento e, nel nostro caso, di apporti di elementi nutritivi considerato che raramente le esigenze nutrizionali della coltura del pomodoro, nelle sue diverse fasi fenologiche, possano essere soddisfatte dalla fertilità del suolo, intesa come disponibilità di elementi assimilabili da parte delle radici. La conoscenza della dotazione di nutrienti del terreno di coltivazione sulla base dell’analisi del terreno è un valido struFoto V. Magnifico
• La carenza di magnesio
è caratterizzata dall’accentuato giallume delle foglie più vecchie
Sintomi da carenza di magnesio
150
concimazione mento per ridurre l’impiego di fertilizzanti senza indurre carenze nutrizionali. In generale, tale tecnica normalmente è utilizzata solamente per definire gli apporti di fosforo e potassio mentre la somministrazione dell’azoto è normalmente standardizzata assumendo che gran parte viene dilavato dal terreno durante il periodo invernale. Oltre alle tradizionale analisi del terreno, negli ultimi anni sono state sviluppate nuove tecniche in grado di suggerire i momenti più opportuni per l’apporto di nutrienti permettendo di intervenire in modo mirato a seconda le necessità e riducendo gli apporti di elementi nutritivi in pre-trapianto. Tali tecniche fanno riferimento all’analisi del succo linfatico o all’utilizzo di misure di riflettenza fogliare che, in genere, completano le informazioni fornite dalla diagnostica fogliare, cioè le analisi delle foglie nei diversi stadi vegetativi e produttivi per conoscere le concentrazioni dei principali elementi nutritivi nei tessuti e indicare, eventualmente, le correzioni da apportare per superare specifiche carenze nutrizionali. In termini generali, la concimazione deve essere basata sul criterio della restituzione e quindi è necessario apportare non tanto tutti gli elementi nutritivi che vengono assorbiti dalla coltura quanto soltanto quelli che vengono asportati dal campo raccogliendo il prodotto agrario utile. Per ogni 10 tonnellate di prodotto, mediando i dati riportati da diversi autori l’asportazione orientativamente può essere indicata in: 20-30 kg per azoto; (P2O5) 6-7 kg per anidride fosforica; ( K2O) 35-40 kg per l’ossido di potassio; (CaO) 38 kg per l’ossido di calcio e (MgO) 7 kg per l’ossido di magnesio. Nelle bacche però è presente mediamente solo il 25% dell’azoto assorbito dalle piante, il 75% del fosforo e il 60% di potassio. Stimando quindi la produzione potenziale
Foto V. Magnifico
Sintomi da carenza di cloro
Le esigenze nutrizionali della pianta possono differire a seconda che la coltivazione avvenga in serra (a destra) o in pieno campo (a sinistra); per tanto è fondamentale eseguire un’accurata analisi delle asportazioni prima di procedere con la concimazione
Foto M. Curci
151
coltivazione dell’ambiente di coltivazione è possibile quindi valutare gli apporti necessari per la coltura. Quando ci si trova a operare con soli concimi granulari o solidi è necessario creare nel terreno le condizioni ottimali per favorire lo sviluppo della piantina. In teoria sarebbe necessario favorire lo sviluppo dell’apparato radicale della giovane piante prima di distribuire i concimi o quanto meno eseguire una distribuzione localizzata ad almeno 15-20 cm dalla fila. Operando in questa maniera si stimola inizialmente l’allungamento radicale favorendo un accrescimento bilanciato della pianta. Nella pratica, però, per motivi prettamente operativi si procede sempre, anche nel caso in cui sia prevista la fertirrigazione, alla distribuzione su tutto il terreno di una quota dei fertilizzanti. Buoni risultati sono stati ottenuti poi distribuendo al trapianto o nelle prime fasi di sviluppo in campo una concimazione fosfatica, meglio se liquida, per favorire l’attecchimento delle piantine e metterle in condizione di riprendere al più presto lo sviluppo vegetativo interrotto al momento del trapianto. Dal punto di vista pratico delle indicazioni attendibili sulle quantità di nutrienti richiesti dalla coltura del pomodoro possono essere rinvenuta nei Disciplinari di coltivazione integrata emanati dalle diverse Regioni. In tutti i casi considerati viene fortemente consigliato di eseguire l’analisi del terreno prima di pianificare la concimazione al fine di tenere conto della fertilità residua e della presenza di nutrienti disponibili. Normalmente non dovrebbero mai essere superate le soglie massime indicate dalle Norme di buona pratica agricola approvate dalla Comunità Europea. Per quanto riguarda le diverse modalità di distribuzione esistono poi notevoli differenze in funzione del nutriente preso in considerazione. Per quanto riguarda il fosforo e il potassio tut-
Soglie massime di concimazione indicate dalle Norme di buona pratica agricola approvate dalla Comunità Europea
• “In un terreno di media fertilità e per
produzioni intorno a 70-80 t/ha di bacche di 120 kg/ha di azoto, 120 kg/ ha di anidride fosforica e di 100 kg/ ha di ossido di potassio”. In ogni caso gli apporti non dovranno mai essere applicati più di 200 unità di N, 250 di anidride fosforica e 150 di ossido di potassio per il pomodoro da industria (disciplinare della regione Puglia) e mai più di 220, 200 e 300 kg/ha di N P2O5 e K2O per il pomodoro da mensa in coltura protetta (disciplinare della regione Veneto)
Foto R.Angelini
Eccessive concimazioni azotate rendono la pianta più sensibile agli attacchi di alcuni patogeni fungini come l’oidio
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Fruttificazione
Piena fioritura
Settima foglia
Trapianto
Diagramma schematico della “concimazione dinamica”
concimazione ti gli autori sono d’accordo sulla possibilità di applicarlo tutto nella fase di preparazione del letto di semina o di suddividere la distribuzione 50% in pre-trapianto e 50% durante il ciclo colturale. Per quanto riguarda l’azoto invece i migliori risultati si ottengono applicando il 25-30% in pre-trapianto e il rimanente in 2 o 3 interventi a partire dall’allegagione del primo palco. I quantitativi di azoto sono di solito mantenuti relativamente bassi fino alla formazione dei frutti al fine di stimolare la fase riproduttiva, poi sono innalzati. Le dosi appena descritte possono essere ridotte, fino al 25-30%, qualora si faccia ricorso alla fertirrigazione. Esperimenti condotti con questa tecnica hanno però evidenziato anche la sua grande utilità essenzialmente per l’azoto, il nutriente maggiormente lisciviabile, ma non hanno evidenziato grandi differenze quando si consideravano gli altri due macronutrienti (P e K). La decisione quindi di procedere alla distribuzione tramite l’impianto di irrigazione del fosforo e del potassio rimane quindi più una scelta legata all’organizzazione aziendale, all’esperienza dell’agricoltore e al diverso costo dei concimi granulari e solubili. In ultima analisi bisogna sempre tenere presente che fornire fertilizzati a una pianta coltivata – sia su suolo che in fuori suolo – implica soddisfare le asportazioni della coltura il più accuratamente possibile. In altre parole è necessario che gli apporti di fertilizzanti siano tarati il più possibile sulle asportazioni della coltura. Quando queste condizioni sono rispettate sarà possibile non solo soddisfare le esigenze nutrizionali della coltura e ottenere un prodotto di migliore qualità ma anche ridurre i costi di produzione e prevenire sia l’incremento della salinità del suolo che inutili perdite (per percolazioni o gassificazione) di elementi nutritivi.
Foto V. Magnifico
Sintomi da carenza di molibdeno Foto V. Magnifico
Sintomi da carenza di zolfo Foto V. Magnifico
Fruttificazione
Piena fioritura
Settima foglia
Trapianto
Diagramma schematico della “concimazione frazionata”
Sintomi da carenza di ferro
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il pomodoro
coltivazione Parassiti animali Luigi Sannino, Antonio Guario, Marisa Castagnoli, Luigi Santonicola, Sauro Simoni, Bruno Espinosa
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Parassiti animali Introduzione La coltura del pomodoro si presenta alquanto complessa nella gestione fitosanitaria per le numerose e assai variabili avversità parassitarie che la interessano. Avversità che si sono accentuate in questi ultimi anni per il rilevamento di nuove specie come la spodoptera, la tuta, ma anche per l’incremento di altre specie già presenti come la nottua gialla, gli aleurodidi, le cimici, o per la diffusione di virus trasmessi da afidi e tripidi. Molti sono i fattori che hanno contribuito ad appesantire la pressione parassitaria sul pomodoro per i quali, in molti casi, non si hanno idonei mezzi di difesa. Vanno, infatti, considerati sia gli aspetti normativi per la registrazione o la revisione delle sostanze attive, che hanno portato a una riduzione di agrofarmaci, sia le modalità di distribuzione degli stessi, che vanno migliorate ulteriormente al fine di ottenere una maggiore efficacia. Le maggiori preoccupazioni sono però rivolte all’impossibilità di poter controllare alcune avversità distruttive, come i virus, trasmessi da vettori. Il continuo contrasto tra l’azione dell’uomo, nel provocare disturbi all’equilibrio biologico, e la presenza di numerosi organismi utili, che bilanciano la biocenosi della coltura, non consente, in molti casi, di raggiungere livelli di garanzia fitosanitaria e di salubrità del prodotto. Ne deriva la necessità di approfondire gli elementi di biologia e le strategie di difesa integrata, ma anche di trasferire le tecniche di coltivazione e di controllo, attraverso adeguati programmi di assistenza tecnica, utilizzando disciplinari di produzione integrata, ormai ad ampia diffusione sul territorio nazionale.
Contenimento dei parassiti animali del pomodoro
• La complessità nella programmazione
degli interventi fitosanitari sul pomodoro necessita di particolari attenzioni da parte degli operatori tecnici, per garantire un prodotto finale conforme agli standard qualitativi richiesti dal mercato, ma anche nel rispetto delle esigenze dell’ambiente e della salute dell’operatore e del consumatore
• Il continuo monitoraggio della coltura
e delle sue problematiche fitosanitarie, il trasferimento delle informazioni alle aziende in modo tempestivo e puntuale, rappresentano sicuramente punti di forza per ottenere produzioni di qualità Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Foto L. Sannino
Danno da acari tetranichidi su foglie Foto R. Angelini
Larva di Helicoverpa armigera Larva di nottua
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Adulto di Spodoptera littoralis
parassiti animali Lepidotteri Tuta (Tuta absoluta) Un posto di rilievo tra i fitofagi del pomodoro spetta indubbiamente al gelechide sudamericano Tuta absoluta che, giunto in Spagna nel 2006, ha già infestato vaste regioni del Nord Africa, della Francia e dell’Italia, continuando a espandersi verso Oriente. I danni prodotti nei Paesi d’origine e l’entità degli attacchi nelle zone finora raggiunte fanno prevedere un notevole aggravio dei costi della difesa in tutta l’area mediterranea. T. absoluta è un microlepidottero con apertura alare di 9-13 mm; le ali anteriori sono grigiastre con macule nericce irregolarmente disposte e una serie di strie scure a raggiera, nella metà distale. Come in tutti i gelechidi, le ali sono lungamente frangiate, e quelle posteriori sono fornite di una lunga appendice apicale a forma di dito. T. absoluta attacca esclusivamente le solanacee e particolarmente il pomodoro, suo ospite d’elezione. Della patata non attacca i tuberi, bersaglio preferito della tignola della patata (Phthorimaea operculella). La femmine di tuta depongono fino a un massimo di 200-250 uova (bianco-giallastre, subcilindriche con i poli arrotondati) su tutta la parte epigea della pianta, isolatamente o in gruppi disordinati di 2-5 elementi. Le larvette, che sgusciano dopo poco meno di una settimana, allontanatesi alcuni millimetri dal corion, iniziano lo scavo di una mina (generalmente sulle foglie, ma anche su piccioli, steli e frutti). La mina inizialmente è sottile e alquanto lineare ma rapidamente tende a espandersi (fino a 2-3 cm2) e ad assumere aspetto vescicoloso e irregolare. Quando la popolazione è molto numerosa, la larva (che a maturità è lunga 7-8 mm, giallo-verdastra con una colorazione rosata sul dorso e la placca toracica giallastra con il solo bordo posteriore annerito) è spesso costretta ad abbandonare la prima mina e ad andare alla ricerca di organi vegetali ancora integri per cominciare un altro scavo e portare a termine lo sviluppo, com-
Tuta absoluta
• È un microlepidottero di origine sudamericana
• Attacca tutte le solanacee • I danni al pomodoro sono dovuti sia
all’alto numero di mine prodotte dalle larve sulle foglie sia alle perforazioni e alle gallerie prodotte sui frutti. A questi danni vanno a sommarsi quelli provocati dallo sviluppo di muffe e marciumi sugli organi attaccati
• Le uova (fino a 200-250 per femmina)
sono deposte isolatamente o in gruppetti sciolti sulle parti verdi
• In condizioni ottimali un ciclo (uovoadulto) si completa in un solo mese
• A maturità la larva incrisalida sulla
pianta stessa, dentro un bozzoletto sericeo
• Nelle regioni più calde d’Italia sono
prevedibili non meno di 7-8 generazioni l’anno
• La specie non va incontro a diapausa invernale
Bacca attaccata da Tuta absoluta Larva di Tuta absoluta
Mina vescicolosa di Tuta absoluta
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coltivazione pletato il quale la larva si incrisalida sulla pianta stessa, in un bozzolo sericeo rado. Meno spesso la ninfosi ha luogo sul suolo fra i detriti. La crisalide a maturità è castana, fornita all’estremità posteriore di un cornetto, contornato da più serie di setoline rigide uncinate. Le larve possono svilupparsi sia sugli organi vegetativi sia sui frutti, che possono essere attaccati allo stato immaturo e durante la maturazione. Solo una ridotta percentuale di larve svolge tutto il ciclo a spese dei frutti, attaccati per lo più da larve erranti che hanno abbandonato le mine sugli organi vegetativi per mancanza di spazio o sono alla ricerca di un sito opportuno per imbozzolarsi. In quest’ultimo caso vengono prodotte sulle bacche mine brevissime a fondo cieco (fori di assaggio). Le bacche colpite presentano i fori d’ingresso (di 1-1,5 mm di diametro) delle gallerie d’alimentazione soprattutto nella parte circostante il calice. Le mine, inizialmente perpendicolari all’epidermide, hanno un decorso alquanto superficiale e di solito non superano i 10-15 mm di profondità. In conseguenza dell’attacco, foglie e frutti sono facilmente colpiti da muffe e marciumi. Una generazione può svolgersi in poco meno di un mese in condizioni ottimali: in Sud America sono segnalate fino a 10-12 generazioni all’anno e si può prevedere che nel Meridione d’Italia e nelle serre il loro numero si avvicini alla decina.
Uova di Tuta absoluta
Helicoverpa armigera
• È un nottuide diffuso in tutti i continenti
Nottua gialla del pomodoro (Helicoverpa armigera) È specie ampiamente diffusa in Europa, Africa, Asia e Australia; dotata di amplissima polifagia e voracità, è tra gli insetti più dannosi alle colture. Gli adulti del nottuide (con apertura alare di 32-40 mm, ali anteriori giallo-arancione nella femmina e grigioverdastro nel maschio) compaiono in aprile-maggio e possono essere osservati in attività fino a inizio autunno; la loro massima presenza si ha in piena estate. La femmina depone le uova (da diverse centinaia fino a 2000-3000) su tutti gli organi epigei
a esclusione dell’America
• Vive a spese di un grandissimo
numero di piante, soprattutto ortive; sul pomodoro i danni possono essere notevoli
• La larva (di abitudini carpofaghe
ed endofitiche) perfora le bacche producendovi ampie cavità, che sono sempre invase da grandi quantità di escrementi liquescenti
• Date le sue abitudini, il bruco è tra quelli che più spesso possono essere ritrovati nei pomodori lavorati
• A sviluppo completo la larva incrisalida nel suolo
• In piena estate un ciclo si completa in circa un mese
• Nelle regioni dell’Italia meridionale si hanno 3-4 generazioni l’anno
• Sverna da crisalide Adulto di Helicoverpa armigera
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Larva e danno sulla bacca
parassiti animali della pianta, singolarmente o in gruppetti sciolti. Alle temperature estive la schiusa può aversi in soli 3-4 giorni. Le larve attaccano fiori, foglie, steli e frutti. Le larve tendono a disperdersi già dalle primissime età, mostrando subito istinti cannibaleschi, soprattutto in condizioni di affollamento. Il bruco, lungo 35-40 mm a maturità, ha colore assai variabile (verde, giallastro, rosato, castano ecc.) e il dorso percorso da sottili striature longitudinali chiare; tipiche di tutte le eliotidi sono le spinule cuticolari diffuse sul corpo. A sviluppo completo, che in estate viene raggiunto in cinque-sei stadi, in poco più di due settimane, i bruchi si portano nel suolo ove incrisalidano all’interno di un leggero bozzolo sericeo rivestito di particelle terrose. La crisalide è nocciola con due lunghe spine all’estremità posteriore. La ninfosi dura 9-13 giorni nella stagione calda. Nei nostri climi il completamento di un ciclo richiede 27-32 giorni nel periodo estivo e fino a 7 mesi nella stagione sfavorevole. In Campania si sono osservate tre generazioni l’anno, ma in regioni più meridionali è possibile anche una quarta generazione (e nei Paesi tropicali si giunge fino a sei). La specie sverna da crisalide. H. armigera forma ampie cavità nei frutti di pomodoro, accumulandovi escrementi più o meno liquescenti, che facilmente innescano processi di marcescenza. I frutti di pomodoro, che per gli istinti aggressivi delle larve non ne ospitano mai più di una, se attaccati nelle fasi iniziali di crescita invaiano precocemente e tendono a staccarsi dalla pianta. Il foro di entrata nelle bacche può passare anche inosservato, sia perché spesso è prodotto da larve giovani, sia perché a volte è nascosto dal calice; per tale motivo i bruchi di H. armigera, pur essendo di cospicue dimensioni, possono superare le fasi di controllo e cernita di post-raccolta e finire nei prodotti confezionati (pelati, prodotti di IV gamma ecc.). Danni cospicui possono aversi anche a seguito di rosure e perforazioni agli steli.
Helicoverpa armigera: forma delle larve. Forma marrone (in alto), forma rosa (al centro) e forma nera (in basso)
Pomodori danneggiati da Helicoverpa armigera
Larva di Helicoverpa armigera all’interno di una bacca
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coltivazione Spodoptera (Spodoptera littoralis) Il genere Spodoptera comprende nottuidi di rilevante interesse agrario, tra cui S. littoralis e S. exigua sono particolarmente dannose in Italia. S. littoralis è specie presente in gran parte dell’Africa, del Medio Oriente e del bacino mediterraneo. Limitata alla Sicilia e alla Liguria fino agli anni ’80, si è progressivamente diffusa nelle aree costiere dell’Italia centro-meridionale. Eccettuate le graminacee, quasi tutte le colture erbacee possono essere attaccate da spodoptera, e il pomodoro è tra le più soggette. I primi adulti del lepidottero (con apertura alare di 28-43 mm, ali anteriori grigio-brunastre con striature chiare, cinerine e ocracee) si osservano già da aprile-maggio ma è a tarda estate che si ha un aumento esponenziale della sua popolazione, che raggiunge la massima densità tra fine settembre e inizio novembre. Le femmine depongono le uova in ammassi pluristratificati ricoperti da peluria beige o nocciola sulla pagina inferiore delle foglie o, più di rado, su altri organi verdi; ogni ovatura può comprendere da poche decine ad alcune centinaia di elementi. Le larve, che sgusciano dopo pochissimi giorni, permangono inizialmente gregarie per poi disperdersi sulla parte epigea. In particolari condizioni, spinte soprattutto dall’affollamento e/o dalla scarsità di cibo, si spostano in massa da un campo all’altro alla ricerca di fonti alimentari (migrazioni trofiche). Tutti gli organi epigei della pianta possono essere aggrediti. Del pomodoro sono frequentemente attaccate le bacche, sulle quali vengono prodotte ampie perforazioni e cavità che, a differenza di quelle dovute ad H. armigera, sono libere da escrementi e a pareti asciutte. I bruchi di spodoptera (lunghi 35-45 mm a maturità, di colore grigio-brunastro o, più di rado, verde con capo nero e coppie di macchie nere dorsolaterali generalmente più marcate sul I e VIII urite) sono attivi di notte, mentre nelle ore diurne si rinvengono rintanati nelle parti meno esposte o infossati
Spodoptera littoralis
• Nottuide diffuso nelle zone pianeggianti dell’Italia centro-meridionale, oltre che in Liguria
• Altamente polifaga, la specie attacca
quasi tutte le erbacee, eccettuate le graminacee; il pomodoro è tra le piante più colpite
• Tutti gli organi della pianta possono
essere danneggiati, a eccezione di quelli sotterranei
• Sulle bacche di pomodoro produce
perforazioni e gallerie che, a differenza di quelle prodotte da Helicoverpa armigera, hanno le superfici interne asciutte
• Le uova sono deposte in grandi
masse stratificate, ricoperte di peluria lanuginosa beige
• Gli attacchi più imponenti si hanno tra fine estate e inizio autunno
• Le larve possono spostarsi in massa da un campo all’altro, alla ricerca di nuovi ospiti
• In Italia meridionale si hanno almeno
4 generazioni l’anno, e nelle serre fino a 7-8
• Sverna da crisalide, nel suolo
Ovatura di Spodoptera littoralis Adulto di Spodoptera littoralis
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Larva di Spodoptera littoralis
parassiti animali nel suolo. In piena estate le larve completano lo sviluppo in circa due settimane, dopodiché s’incrisalidano nel suolo dando gli adulti dopo 6-7 giorni. La crisalide è castana con due brevi e tozze spine all’estremità posteriore. Con il sopraggiungere dell’inverno le larve vanno incontro a estese epidemie di poliedrosi che ne riducono drasticamente le popolazioni. In Italia meridionale si hanno almeno 4 generazioni e in serra il loro numero giunge fino a 7-8.
Spodoptera exigua
• Specie di abitudini migratorie
ad amplissima diffusione, comune in tutt’Italia
• Assai polifaga, vive su innumerevoli
Spodoptera minore o della barbabietola (Spodoptera exigua) Cosmopolita e con una vastissima gamma di ospiti, questa nottua è una fra le più diffuse nelle regioni calde e temperate. In Italia è piuttosto comune ed è in grado di proliferare in condizioni favorevoli. Gli adulti, con apertura alare di 24-30 mm, sono caratterizzati da ali anteriori grigiastre su cui spicca una macchia ovale centrale ocraarancio. Di costumi notturni, volano da marzo a ottobre con picchi in estate. Le uova sono deposte per lo più sulla pagina inferiore delle foglie in ammassi di alcune centinaia di elementi, tipicamente ricoperti da una rada peluria di squame piliformi color nocciolabiancastro. Il periodo d’incubazione, di soli due giorni in estate (con percentuali di schiusura che superano il 90%), si prolunga fino a una settimana e oltre in primavera e in autunno. Le larve durante le prime età vivono in colonie, spesso all’interno di piccole borse create unendo una o più foglie con fili sericei; in seguito si disperdono e la loro attività diventa prevalentemente notturna. I bruchi, lunghi a maturità 25-30 mm, di colore verde-grigiastro o brunastroporporino, hanno un’evidente banda laterale scura sopra gli stigmi. Lo stadio di larva passa di norma attraverso cinque età e dura da poco meno di due settimane in estate a circa quattro in primavera. L’incrisalidamento avviene nel suolo in un bozzolo terroso, ovaliforme, rinforzato internamente da leggera trama sericea e la ninfosi si completa pressappoco in una settimana. La crisalide, nocciola
piante erbacee, danneggiandone spesso anche gli organi sotterranei
• Del pomodoro può attaccare sia le parti verdi sia i frutti
• Le uova sono deposte in gruppi
stratificati di alcune centinaia di elementi, ricoperti da peluria giallastra
• I bruchi delle prime età vivono spesso
gregari all’interno di sacche formate unendo i lembi di una o più foglie con fili sericei
• L’incrisalidamento avviene nel suolo
in un bozzolo sericeo rivestito di terra
• Ha 4-5 generazioni l’anno • Sverna da crisalide
Ovatura di Spodoptera exigua Adulto di Spodoptera exigua
Pomodoro attaccato da S. exigua
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coltivazione o castana, è fornita di quattro spine brevi e sottili all’estremità posteriore. S. exigua è specie migratrice, capace di compiere fino a 4-5 generazioni annue; in ambiente protetto sverna in prevalenza da crisalide, ma all’esterno la maggioranza degli individui si sposta verso territori più caldi. Negli ultimi anni infestazioni generalizzate di questo lepidottero sono state osservate in particolare in EmiliaRomagna, dove le larve hanno attaccato colture di barbabietola, cipolla, patata, spinacio, fagiolino, sedano e bietola da taglio, mostrando la capacità, in mancanza di sufficiente nutrimento fogliare, di approfondirsi nel terreno per raggiungere anche gli organi sotterranei delle piante. Il pomodoro è tra le colture più colpite: i bruchi si alimentano delle foglie, determinando ampie erosioni, ma non disdegnano i frutti, che vengono rosi superficialmente o perforati, creando condizioni favorevoli alla penetrazione di funghi e batteri.
Plusia
• Nottua del gruppo delle plusie presente in tutt’Italia ma particolarmente frequente nel Meridione
• È specie assai polifaga • Del pomodoro attacca foglie e frutti;
su questi produce rosure ed escavazioni più o meno profonde e ampie ma sempre esposte (ben diverse dalle gallerie e cavità interne prodotte da Helicoverpa armigera, specie endofita)
Plusia (Chrysodeixis chalcites) Nottua della sottofamiglia Plusiinae, distribuita su un’ampia area geografica comprendente tutta l’Europa meridionale, l’Africa e l’Asia. In Italia è presente ovunque, ma è più diffusa al Sud. La larva si alimenta su specie erbacee coltivate e spontanee di diverse famiglie (solanacee, leguminose, cucurbitacee, crucifere ecc.), pur mostrando una certa preferenza per il pomodoro, di cui attacca le foglie e soprattutto i frutti; su questi provoca erosioni superficiali ed escavazioni che possono essere così estese da assumere aspetto crateriforme. I sintomi potrebbero essere confusi con quelli prodotti da H. armigera, che ha però attività prevalentemente endofitica. C. chalcites, come altre specie della stessa famiglia, ha un ciclo evolutivo elastico con lunghezza degli stadi variabile in rapporto alle condizioni ambientali e in particolare alla temperatura. Compie in Italia alcune generazioni l’anno, svernando solitamente da
• Le uova sono deposte singolarmente o a gruppetti di poche unità
• Le larve hanno solo tre coppie
di pseudozampe e si muovono con andatura a compasso (come i geometridi)
• A fine sviluppo le larve filano sulla pianta stessa un grosso bozzolo, irregolare e semitrasparente
• Ha almeno tre generazioni l’anno • Sverna solitamente da larva o da crisalide
Foto A. Pollini
Uova di Chrysodeixis chalcites
Adulto di C. chalcites appena sfarfallato dal bozzolo
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Larva di Chrysodeixis chalcites
parassiti animali crisalide o larva e, mancando di diapausa, può presentare forme adulte anche in inverno. In genere i primi voli si osservano in primavera, ma solo in estate la densità di popolazione raggiunge i livelli più alti. La femmina depone varie centinaia di uova (bianche appena deposte, grigio-verdognole a maturità), fissandole singolarmente o a gruppi di 3-5 unità alla pagina inferiore delle foglie. L’incubazione dura 2-3 giorni in estate. Le larve (a maturità lunghe circa 35 mm, verdastre con sei strie chiare sinuose sul dorso e pseudozampe disposte, come in tutti i plusini, sugli uriti V, VI e X) sono caratterizzate da un’andatura “a compasso” simile a quella dei geometridi; di giorno rimangono immobili, ben mimetizzate tra il fogliame. Completato lo sviluppo, in circa tre settimane, le larve s’incrisalidano sulla pianta stessa, in bozzoli bianchi, sericei, semitrasparenti e irregolari, tipici dei plusini. La ninfosi dura 7-8 giorni in estate e poco più di due settimane in autunno. La crisalide, nera a fine ninfosi, è fornita all’estremità posteriore di otto spine ricurve, di cui le due centrali molto più lunghe e robuste. Nelle condizioni più favorevoli un ciclo si completa in circa un mese. Questa specie è comparabile per l’entità dei danni a Helicoverpa armigera e Spodoptera littoralis. Mentre il danno alle foglie è rilevante solo in presenza di un elevato numero di larve, quello ai frutti è più grave perché porta in ogni caso al declassamento o allo scarto del prodotto (soprattutto se da mensa).
Pomodoro danneggiato da una larva di Chrysodeixis chalcites
Agrotidi
• Nottuidi di abitudini migratorie con
larve viventi nel suolo a spese di organi sotterranei
Agrotidi (Agrotis ipsilon, Agrotis segetum) Le Agrotis sono nottuidi dalle colorazioni assai smorte, grigie, di abitudini spiccatamente migratorie. Le loro larve hanno costumi terricoli, viventi a spese degli organi ipogei di piante erbacee di svariate famiglie. Fra le tante specie del gruppo, due in particolare possono acquisire una certa importanza per il pomodoro, A. ipsilon e A. segetum.
• Sono specie assai polifaghe • A seguito dell’arrivo di masse di adulti migranti possono aversi improvvise pullulazioni larvali
• Le larve sono frequenti nei terreni molto umidi, carenti di drenaggio
• Le uova sono deposte singolarmente
o a gruppetti, di solito sulle foglie basse
• I bruchi delle prime età vivono sulle parti
verdi e solo in seguito scendono nel suolo
• Caratteristiche sono le rosure al colletto delle piante o le gallerie scavate all’interno degli steli
• Le piante giovani spesso sono troncate di netto
• A maturità incrisalidano nel suolo, in celle formate da sola terra
Adulto di Agrotis ipsilon
• Hanno da tre a cinque generazioni l’anno • Svernano nel suolo, da larve o da crisalidi
Solanacea capitozzata da larva di Agrotis ipsilon
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coltivazione Agrotis ipsilon è indubbiamente la più dannosa delle agrotidi. L’adulto (con apertura alare di 42-50 mm) ha ali anteriori grigiastre, caratterizzate da tre macchie nere a punta di freccia presenti nella parte apicale. Diffusa ormai in tutti i continenti, la specie è particolarmente frequente nei terreni molto umidi e carenti di drenaggio. In alcune annate possono aversi forti e improvvise infestazioni larvali, soprattutto a seguito dell’arrivo massiccio di adulti migranti dai paesi del Sud-Est (in primavera) e dal Nord Europa (in autunno). Trovato un sito adatto, le femmine depongono le uova sulle foglie basse poggiate al suolo o, più di rado, sulla pagina inferiore di foglie più alte, singolarmente o in gruppetti sciolti. Queste sono bianchicce alla deposizione ed evidenziano in seguito areole rosate o rugginose; a maturità si presentano grigio-violacee. Nelle prime ovideposizioni dell’anno la schiusura si ha in circa tre settimane, mentre nei mesi estivi le larve sgusciano dopo soli 3-4 giorni. I giovani bruchi di Agrotis ipsilon vivono a spese delle foglie ma a partire dalla terza-quarta età si portano nel suolo, dove iniziano a nutrirsi degli organi sotterranei. Le larve, che a sviluppo completo sono lunghe 45-50 mm, hanno colore di fondo grigio terreo con le parti ventrali più chiare; i tegumenti sono resistenti e di aspetto brillante. Caratteristici e spesso esiziali sono gli attacchi al colletto delle piante giovani che possono essere irrimediabilmente troncate alla base o minate all’interno dello stelo. Le piante di maggiori dimensioni vengono erose in zone più o meno ampie nelle parti ipogee e indebolite spesso in modo irrimediabile. A maturità le larve incrisalidano nel suolo, in una cella fabbricata con sola terra. La crisalide è castana con due robuste spine arcuate all’estremità posteriore. Lo sviluppo larvale passa attraverso sei età, e un ciclo (uovo-adulto) è completato in 2-4 mesi secondo la stagione. In Italia si hanno fino a 4-5 generazioni annue e lo svernamento è sostenuto da larve e crisalidi. La congenere segetum, di abitudini assai simili, mostra una maggiore tolleranza alle basse temperature e uno sviluppo più lento, che la porta ad avere al massimo 3 o 4 generazioni l’anno.
Larva di Agrotis segetum
Uova di Agrotis segetum
Tripidi vettori del Tomato Spotted Wilt Virus (TSWV) Genere
Specie
Frankliniella
bispinosa
Presenza in Italia
fusca intonsa
Presente
occidentalis
Presente
schultzei zucchini Thrips
palmi
Tripidi La famiglia dei Thripidae, sub ordine Terebrantia, ordine Thysanoptera, è la famiglia di tripidi più importante in quanto delle circa 2000 specie che vi appartengono 55 sono fitofaghe. Essa è, inoltre, l’unica famiglia con 11 specie vettrici di tospovirus. Diverse specie infestano il pomodoro e di esse le più importanti risultano essere la Frankliniella occidentalis, tripide occidentale dei fiori, e il Thrips tabaci, tripide degli orti e del tabacco, sia perché sempre presenti sulla coltura del pomodoro sia perché vettrici del TSWV (Tomato Spotted Wild Virus), virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro o virus della bronzatura del pomodoro.
Di temuta introduzione. In quarantena
setosus tabaci Scirtothrips
dorsalis
Ceratothripoides
claratris
Presente
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parassiti animali Queste specie sono cosmopolite, polifaghe (circa 300 ospiti vegetali) e policicliche. Il loro ciclo è composto da uovo – 2 forme neanidali, attere, mobili e voraci – 2 forme ninfali (pupe), immobili e afaghe – adulto. Si nutrono su fiori, foglie e frutti con un meccanismo che prevede l’iniezione di saliva nei tessuti vegetali e il successivo svuotamento per suzione del contenuto cellulare predigerito. I danni diretti sono provocati dalle punture di alimentazione e di ovodeposizione, che avviene sotto l’epidermide vegetale. F. occidentalis ha una durata del ciclo che è condizionata soprattutto dalla temperatura, compiendolo in circa 40, 25, 15, 10 giorni rispettivamente a 15, 20, 25 e 30 °C. In Italia l’adulto supera l’inverno in quiescenza nel terreno o sulle piante; al sud si osservano generazioni continue in coltura protetta (superano facilmente il numero di 16) mentre in pieno campo, quando le temperature si mantengono superiori ai 5-6 °C, sopravvive su piante spontanee. La riproduzione è sia anfigonica, con produzione di femmine, sia partenogenetica arrenotoca, con produzione di maschi. La sex ratio è comunque in pieno campo decisamente spostata a favore delle femmine. La femmina depone fino a 40 uova nel parenchima fogliare e soprattutto nelle parti fiorali più interne. Preferisce colonizzare le parti basali e aduggiate della coltura. Adulti e neanidi mostrano di preferire le strutture fiorali e, poiché rifuggono la luce, si annidano nelle parti più profonde delle infiorescenze dove colpiscono gli ovari provocando aborto, disseccamento e caduta dei fiori. Il suo controllo è reso difficoltoso da questo suo comportamento: annidandosi nelle parti interne degli organi vegetali non è facilmente aggredibile dagli insetticidi. Si alimenta su foglie, fiori e frutti. Produce necrosi tipicamente circondate da alone biancastro, rugginosità reticolare dell’epicarpo, bronzature, distorsione dei germogli fiorali e maculature biancastre sui petali dei fiori. Sulle foglie i danni consistono in zo-
Rapporto tra tripide e virus
• Le uova non sono mai infette (assenza di trasmissione transovarica)
• L’acquisizione del virus è competenza
esclusiva della 1a e 2a forma neanidale, con tempi d’acquisizione di 1 o più giorni cui segue un periodo di latenza, ritenzione di alcuni giorni (4-18) in cui il tripide non è infettivo
• Il virus è trasmesso agli stadi successivi (trasmissione transtadiale)
• L’inoculazione del virus alla pianta resta quasi esclusiva competenza degli adulti che restano infettivi per tutta la vita
Rapporto tra vettore tripide e virus
• Il virus ha un potenziale di diffusione
elevato (circa 300 ospiti vegetali) che diventa nuova infezione solo con il vettore
• Le neanidi, che sgusciano dalle uova,
mai infette, sono sempre non infette. Se nascono su una pianta infetta, si infetteranno, l’adulto sarà infettante e perpetuerà la diffusione del virus, mentre se nascono su una pianta sana non si infettano, l’adulto sarà non infettante e la diffusione del virus si interrompe
• Se l’adulto non infetto si riproduce
su piante sane darà vita a generazioni che non si infetteranno e la diffusione del virus si interrompe, mentre se si riproduce su piante malate le neanidi si infettano e lo stadio adulto che segue infetterà, diffondendo così il virus
Tripide
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coltivazione ne argentee che poi necrotizzano e sui frutti in aloni biancastri contornanti la puntura. Le foglie assumono un aspetto biancastro quando l’attacco è massiccio. La sua pericolosità è dovuta alla sua elevata efficienza nel trasmettere il TSWV. È, infatti, con la sua diffusione che è esploso il problema dell’avvizzimento maculato del pomodoro. Thrips tabaci sverna da neanide ma anche da adulto, nelle rosette delle piante pluriennali. Si conoscono due ecotipi: in uno la riproduzione è costantemente partenogenetica, del tipo telitoca in cui i maschi risultano assenti e un altro in cui la riproduzione è costantemente anfigonica con un sex ratio di 1:1. In Europa risulta presente il primo ecotipo mentre il secondo, presente nell’Asia Centrale, Iran, sembra essere il solo capace di trasmettere il TSWV. La femmina depone da 20 a 120 uova. La ninfosi avviene nel terreno e il numero di generazioni annuali può arrivare fino a 15-16 nel Sud Italia. Si localizza sulle foglie giovani soprattutto alla pagina inferiore dove provoca con le sue punture la comparsa di piccole aree depigmentate e necrotiche. Questo comportamento rende il suo controllo molto facilitato con i normali metodi di lotta. Frankliniella occidentalis e T. tabaci non risultano essere molto importanti come fitofagi del pomodoro. Raramente infatti i danni diretti da essi causati destano preoccupazione. In qualità di vettori del TSWV diventano invece fitofagi primari in quanto il virus trasmesso provoca ingenti danni in diversi areali di coltivazione del pomodoro. Purtroppo sovente si ritiene sufficiente per il contenimento della diffusione della virosi il controllo del tripide e non si tiene nella dovuta considerazione la sorgente di infezione e di diffusione che è la pianta infetta. Osservando il rapporto intercorrente tra tripide e virus e quello tra vettore, pianta e virus risulta evidente che la difesa deve seguire due strade parallele: controllo della pianta infetta, sorgente di infezione e di diffusione, e controllo del tripide vettore.
Controllo dei tripidi
• Impiego di piante sane • Accurato monitoraggio per individuare
i primi esemplari ed effettuare interventi specifici per ridurne la popolazione
• Eliminazione delle piante infette sia
durante la coltivazione sia alla fine del ciclo produttivo allo scopo di limitare la diffusione di virus
• Effettuare rotazioni almeno biennali con colture poco suscettibili
• Incrementare la presenza dell’entomofauna utile
Afidi
• Riescono a interessare rapidamente
vaste superfici coltivate a pomodoro determinando il deperimento vegetativo delle piante
• Gravi danni, fino all’impedimento di
coltivazione del pomodoro, sono causati per la trasmissione di virus come il CMV che risultano particolarmente distruttivi per la coltura
• Interventi nelle fasi post trapianto,
Altri insetti Afidi (Myzus persicae, Macrosiphum euphorbiae, Aphis fabae, Aulacorthum solani, Aphis gossypii) La coltura è interessata da diverse specie di afidi comunemente indicati come “pidocchi delle piante” appartenenti al vasto ordine dei Rincoti, sottordine degli Omotteri, caratterizzati da strutture morfologiche quali i sifoni, presenza di forme alate e attere nella stessa specie e dalla capacità di generare progenie già attive da parte delle sole femmine. I cicli biologici degli afidi sono complessi, in quanto correlati al polimorfismo e alla colonizzazione delle piante ospiti. In relazione al ciclo biologico si distinguono in specie olocicliche (dopo una serie di generazioni partenogenetiche hanno una diapausa invernale allo stato di uova), anolocicliche (si riproducono tutto l’anno
al verificarsi delle prime infestazioni, consentono di proteggere la coltura in modo sufficiente per ottenere buone produzioni
• Si riscontrano facilmente fenomeni
di resistenza legati alla facilità con cui questi fitofagi riescono ad assuefarsi agli insetticidi agevolati, tra l’altro, dalle numerosi generazioni che compiono in un anno
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parassiti animali partenogeneticamente e svernano come adulti), oloanolocicliche (dopo le generazioni partenogenetiche svernano sia come adulti sia come uova). In funzione delle piante ospiti il loro ciclo si distingue in monoico (viene svolto su una sola pianta), dioico (si svolge sulla pianta ospite primaria e su una o più piante secondarie), eteroico (si svolge su più piante ospiti). Gli afidi riescono a colonizzare diverse specie spontanee e coltivate, in quanto le forme alate sono in grado di percorrere grandi distanze. I gradi d’infestazione sono correlati alle condizioni climatiche consentendo continuità di sviluppo delle generazioni in ambienti con inverni miti, o in ambienti protetti. La loro presenza diviene massiccia con l’innalzamento delle temperature (22-28 °C) e in presenza di elevata umidità relativa dell’aria. Le infestazioni sono localizzate specialmente sulle foglie giovani e sugli apici vegetativi, con sottrazione da parte degli adulti e delle neanidi, mediante l’apparato boccale pungente e succhiante, di un’elevata quantità di linfa, causando deformazioni, arricciamenti, colatura dei fiori. L’intera pianta interessata evidenzia segni di deperimento vegetativo e, nei casi più gravi, anche disseccamento delle parti infestate. Il danno va anche associato all’emissione di sostanza zuccherina (melata) sulla quale si sviluppano le fumaggini (funghi saprofiti) che rendono le bacche non idonee alla commercializzazione. Più pericolosi sono i danni indiretti, poiché gli afidi sono vettori di numerosi virus, trasmessi in modo persistente e non, tra cui il CMV (Virus del mosaico del cetriolo) e il PVY (Virus Y della patata). L’afide verde del pesco (Myzus persicae), di colore verde, svolge un olociclo dioico che si completa tra il pesco (ospite primario) e numerose piante erbacee annuali, coltivate e spontanee, appartenenti a diverse specie botaniche, tra le quali la patata e il pomodoro (ospiti secondari). Lo svernamento avviene con uova
Myzus persicae Colonia di Aphis fabae
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coltivazione durevoli deposte in autunno in prossimità delle gemme di pesco. Nelle serre e nelle regioni meridionali dove l’ambiente è più mite, il M. persicae sopravvive con un ridotto numero di femmine attere e alate sugli ospiti erbacei. La schiusa delle uova e la nascita delle prime femmine partenogenetiche, le fondatrici, avviene in marzoaprile alla comparsa delle punte verdi di vegetazione all’apice dei rametti o dei bottoni fiorali. Sul pesco si susseguono alcune generazioni di fondatrigenie attere. Nell’ambito delle colonie compaiono poi forme alate che migrano su svariate piante erbacee (ospiti secondari) tra cui il pomodoro. In autunno compaiono sia maschi alati sia femmine anfigoniche che dopo l’accoppiamento producono uova durevoli invernali sul pesco. È la specie più pericolosa per la trasmissione di virus, ma anche per la rapidità di colonizzare le piante ospiti. L’afidone della patata e del pomodoro (Macrosiphum euphorbiae), di dimensioni più grandi rispetto ad altre specie di colore verde (spesso con striature dorsali più scure) oppure giallastro o rosa o rossastro, svolge un olociclo dioico ma anche, in molti ambienti italiani, un anolociclo. Le uova d’inverno sono deposte su diversi ospiti primari (Rosa, Solanum, Euphorbia, Lycium ecc.) mentre le forme migranti si spostano su piante ospiti secondarie e in particolare sulle solanacee (patata, tabacco, pomodoro, melanzana) e sulle cucurbitacee. L’afide ha uno sviluppo molto rapido, a tal punto da raddoppiare in pochi giorni la popolazione. Anche questo afide è vettore di numerosi virus trasmessi in modo persistente o non persistente.
Esemplari di Aphis fabae
Ciclo di un afide olociclico dioico Femmina di Aphis gossypii partenogenica partoriente
Aphis gossypii
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parassiti animali Le altre specie di afidi indicate vengono riscontrate in minor misura ma possono, in caso di infestazioni consistenti, determinare danni rilevanti. Aleurodidi
Aleurodidi (Bemisia tabaci, Trialeurodes vaporariorum) Piccoli omotteri lunghi circa 1 mm, noti anche come mosche bianche in quanto rivestiti da secrezione polverulente bianca prodotta da ghiandole ceripare. Presentano un’elevata polifagia, interessando piante sia spontanee sia coltivate (orticole e ornamentali), in particolar modo in serra, ma anche in pieno campo. Vivono principalmente sulla pagina inferiore delle foglie e ne perforano i tessuti con il loro apparato boccale per nutrirsi della linfa. Gli adulti, se disturbati, spiccano brevi voli formando tipiche nuvole. La loro elevata attività trofica consente di produrre una grande quantità di melata che ricopre tutte le parti vegetative della pianta, in seguito interessate dalla fumaggine. Sul pomodoro gli aleurodidi sono particolarmente dannosi nei periodi caldi e nelle serre, soprattutto in presenza di colture limitrofe infestate sia spontanee sia coltivate. I primi sintomi riscontrabili a seguito della sottrazione della linfa sono ingiallimenti fogliari, deperimenti e disseccamenti vegetativi, a cui va associato soprattutto il deprezzamento dei frutti destinati al consumo fresco. Tra le specie più dannose riscontrate sul pomodoro vanno menzionate Bemisia tabaci e Trialeurodes vaporariorum che vivono spesso consociate. Allo stato adulto, la loro differenziazione risulta piuttosto difficile a occhio nudo, se non macroscopicamente attraverso l’orientamento delle ali che, nella prima specie, viste dall’alto, presentano uno spazio che le separa e sono più oblique (a tetto), mentre nella seconda sono orientate in orizzontale. Bemisia tabaci è distinguibile, inoltre, per il colore che alla nascita è neutro-trasparente, per poi divenire giallo crema. Il suo ciclo di sviluppo è di 12-14 giorni e predilige temperature ele-
• Presentano una elevata polifagia • Sono particolarmente dannosi in coltura protetta deprezzando i frutti per la presenza di melata e di fumaggine
• Trasmettono virus particolarmente dannosi alla coltura
• Compiono numerose generazioni durante l’anno con elevata difficoltà nel controllo biologico e chimico
• Fondamentali sono le misure preventive
come l’impiego di piante sane, la riduzione della popolazione presente, uso di mezzi repellenti come la pacciamatura, distruzione di residui di colture infette, alternanza di prodotti chimici Foto R. Angelini
Foto R. Angelini Foto R. Angelini
Infestazione mista di mosche bianche Adulti di mosche bianche
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coltivazione vate (oltre 30 °C), caratteristiche delle aree meridionali, in cui è presente mediamente con 9-15 generazioni annuali. Bemisia tabaci risulta, infatti, poco presente al Nord, ma ormai completamente stabile nelle regioni del Centro-Sud. Gli adulti conquistano nuovi territori spostandosi in maniera passiva essendo legati alla presenza di correnti d’aria. La maggiore preoccupazione determinata da Bemisia tabaci è la sua capacità di trasmettere numerosi virus, fra cui il TYLCV, il Virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro, e di causare alterazioni fisiologiche dei tessuti, come necrosi dei germogli, maturazione irregolare delle bacche ecc. È stata inoltre recentemente segnalata la presenza di una nuova specie, Bemisia argentifolii, i cui individui femminili risultano caratterizzati da un più elevato livello di fecondità e longevità. Trialeurodes vaporariorum è presente in Italia da circa 10 anni, sia sulle colture in pieno campo, sia su quelle in serra, ove provoca i danni maggiori, con generazioni che si susseguono ogni 3-4 settimane. Il suo svernamento può avvenire anche da adulto su piante spontanee. In pieno campo può anche completare il ciclo fino a 7-8 settimane e lo svernamento avviene nei pupari. Tale specie non trasmette il virus TYLCV, ma altri virus di minore importanza. Le femmine sono in grado di deporre da 150 a 500 uova sulla pagina inferiore delle foglie. L’elevata polifagia, l’elevato numero di generazioni favorito dalla brevità del ciclo biologico, la contemporanea presenza di tutti gli stadi biologici e la tendenza degli aleurodidi a sviluppare facilmente popolazioni resistenti agli insetticidi, sono alcuni tra i fattori che rendono difficoltosa la lotta nei confronti di questi insetti. È necessario, quindi, integrare diverse strategie di controllo per mantenere bassa la popolazione di tali fitofagi.
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Foto A. Pollini
Sintomi della presenza di aleurodidi su piante di pomodoro
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Foto A. Pollini
parassiti animali Minatori fogliari (Liriomyza trifolii, Liriomyza huidobrensis, Liriomyza bryoniae) Appartengono all’ordine dei ditteri di dimensioni di circa 2 mm e presentano un’elevata polifagia. Risultano, infatti, numerose le piante, sia coltivate sia spontanee, che vengono attaccate da questi insetti. La coltura maggiormente preferita è il sedano, mentre il pomodoro ha un ruolo secondario. I liriomizidi sono di origine americana e la loro introduzione in Europa risale agli anni ’80. Le femmine riescono a vivere 13-18 giorni in quanto si nutrono della linfa che fuoriesce dalle punture effettuate sulle foglie con l’ovopositore, mentre i maschi hanno solo funzione riproduttiva per cui sopravvivono pochi giorni. Le femmine, con il loro apparato ovopositore, determinano numerose punture nel mesofillo fogliare e riescono a depositare fino a 400 uova evitando le foglie immature che non consentono la sopravvivenza delle larve. Le larve che fuoriescono, di colore giallo, scavano gallerie serpentiformi che si evidenziano facilmente grazie alla colorazione chiara che assumono in breve tempo. L’impupamento avviene dopo circa una o due settimane, preferibilmente nel terreno o sulla stessa foglia ma sempre all’esterno della mina (Liriomyza trifolii e Liriomyza huidobrensis). Il ciclo si completa in 20-28 giorni secondo le condizioni climatiche. I ditteri compiono svariate generazioni l’anno (in genere 5-6), che iniziano già sulle giovani piante e si susseguono poi fino all’autunno inoltrato. In coltura protetta i cicli possono anche continuare a svilupparsi se le condizioni sono idonee. Il danno determinato è a carico delle foglie con distruzione del mesofillo fogliare e conseguente disseccamento precoce delle foglie, riduzione della capacità fotosintetica della pianta in caso di elevate infestazioni, rallentamento dello sviluppo vegetativo e insediamento di funghi e batteri occasionali che possono comprometterle. Infestazioni su piccole piantine, specialmente in vivaio o semenzaio, possono determinare un disseccamento precoce delle foglie e, in alcuni casi, dell’intera piantina, mentre su piante più adulte è necessario un grado di attacco elevato per riscontrare una riduzione di produzione.
Minatori fogliari
• Appartengono all’ordine dei ditteri
e stanno sempre più interessando il pomodoro sia in pieno campo sia in coltura protetta
• Elevate infestazioni, comunque, possono determinare danni sulle piantine giovani specialmente se formano le mine sulle giovani foglie
• L’impiego di parassitoidi come
Diglyphus isaea contribuisce a ridurre la popolazione presente e l’impiego di insetticidi che interferiscono meno sull’entomofauna utile contribuisce a incrementare la popolazione d’insetti utili già presenti in natura
Foto R. Angelini
Elateridi (Agriotes spp.) Numerose sono le specie di elateridi presenti in Italia ma quelle più significative che possono determinare maggiori danni sono Agriotes sordidus, A. litigiosus, A. lineatus, A. brevis. Gli adulti, lunghi dai 6 ai 15 mm e larghi dai 2 ai 4,5 mm, possono assumere colorazioni diverse, dal ferrugineo al nero-bruno, a seconda della specie. L’accoppiamento degli adulti avviene in superficie e la femmina ovidepone preferibilmente nei terreni umidi ricchi di sostanza organica. L’ovideposizione si esaurisce entro 10-15 giorni e le femmine depongono in media 90 uova, in
Mine fogliari su pomodoro
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coltivazione gruppetti di 5-6, interrate di qualche centimetro. La larva, di forma subcilindrica, con tegumento coriaceo (da cui anche la denominazione di ferretti) e di colore giallo-rossiccio, si sviluppa compiendo da 8 a 13 stadi prima di trasformarsi in pre-pupa, pupa e successivamente in adulto. Le larve vivono nel terreno provocando danni non solo alla coltura del pomodoro ma anche ad altre colture. L’elevata polifagia consente la sopravvivenza e la continua espansione di tali fitofagi. Il ciclo viene svolto dalle larve nel terreno e dagli adulti in superficie e la durata di una generazione è piuttosto lunga, infatti si compie in 3-4 anni. In questo lungo periodo le larve, per sfuggire alle basse temperature o a periodi di elevata siccità, si spostano verticalmente nel terreno portandosi a profondità di 30-50 cm per poi risalire nei periodi più idonei (primavera e autunno) e in presenza di colture da attaccare, alimentandosi di radici, tuberi, rizomi ecc. Il grado di umidità del terreno costituisce condizione essenziale per la sopravvivenza delle larve e, quindi, le colture che richiedono continui apporti di acqua risultano le più suscettibili agli attacchi di tali insetti terricoli. I danni sono provocati dalle larve nelle diverse età, che erodono radici, colletto delle giovani piantine, tuberi ecc. determinando la morte delle piante o la non commercializzazione del prodotto. In particolare sul pomodoro i danni sono particolarmente rilevanti se l’aggressione delle larve avviene subito dopo il trapianto rendendo inutilizzabile l’intera pianta. In caso di attacchi tardivi la pianta difficilmente viene compromessa totalmente dal momento che sono interessate le radici e non il fusto. Prima dell’impianto di una nuova coltura è importante monitorare la presenza di tali insetti specialmente se sulla coltura precedente sono state rilevate infestazioni consistenti. Notevoli difficoltà sono state riscontrate nella ricognizione delle larve, ma recentemente è stato messo a punto un sistema di monitoraggio delle infestazioni più efficace, basato sull’utilizzo di trappole a feromoni per la cattura degli adulti. Tali studi consentono, inoltre, di poter elaborare mappe per analizzare più in dettaglio la presenza delle popolazioni distinguendo le zone più predisposte alle infestazioni.
Adulto di Agriotes lineatus
Foto R. Angelini
Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata) Questo coleottero della famiglia dei crisomelidi è facilmente distinguibile per il caratteristico colore arancione e per la presenza sulle elitre di dieci bande nere posizionate longitudinalmente. Le uova, di colore giallo canarino che virano all’arancione prima della schiusa, sono deposte in gruppi sulle foglie. Le larve, di colore giallo-arancio con punti neri lungo la parte longitudinale del corpo, presentano un’elevata famelicità, mangiando i lembi fogliari e lasciando solo le nervature, i giovani germogli e gli steli più teneri. La maturità viene raggiunta completando tre mute
Larve di elateridi o “ferretti”
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parassiti animali Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Adulti e uova di dorifora
Larve di dorifora
(in 12-20 giorni), impupandosi nel suolo in una cella terrosa. La vita pupale dura 1-2 settimane, decorse le quali compaiono gli adulti. L’insetto sverna come adulto nel terreno in strati più o meno profondi. Nel corso del ciclo vegetativo della coltura si riscontra una sovrapposizione delle generazioni, con conseguente rilevazione della contemporanea presenza di quasi tutti gli stadi biologici dell’insetto. Tale coleottero è essenzialmente associato alla coltura della patata, ma è facile riscontrarlo anche su altre colture come il pomodoro, la melanzana, il prezzemolo ecc., soprattutto quando la coltura principale non è presente. I danni sono determinati essenzialmente dalle larve ma anche dagli adulti e consistono in ampie erosioni delle foglie fino al raggiungimento della nervatura mediana. Nei casi più gravi la dorifora può distruggere l’intera parte aerea rendendola scheletrica e compromettendo la produttività della coltura.
Foto A. Pollini
Danno su bacche di pomodoro punte da cimice Foto R. Angelini
Cimice verde (Nezara viridula) Appartiene all’ordine Rhinchota, famiglia Pentatomidae, sverna come adulto, spesso in forma gregaria, in ricoveri di diversa natura. L’adulto è di colore verde chiaro lungo 11-14 mm con presenza alla base dello scutello di tre macchie biancastre. Le uova sono riconoscibili per la loro forma subcilindrica e per la aggregazione a placche geometricamente ordinate fino a 100 e più elementi, con colore che va dal bianco al giallo al rosa. La ninfa è di colore verde con caratteristiche macchie marginali rosse e bianche poste sul dorso. È un insetto molto poligafo, non particolarmente legato alla coltura del pomodoro, anche se negli ultimi anni la sua presenza viene sempre più rilevata sul pomodoro in pieno campo specialmente a fine estate.
Adulto di Nezara viridula
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coltivazione Presenta due generazioni all’anno. Gli adulti si rendono attivi in primavera e dalle uova deposte in maggio-giugno si sviluppa la prima generazione che si completa a fine luglio. Tra metà e fine estate ha origine la seconda generazione che termina con l’inizio dei primi freddi dell’autunno. I danni sono determinati dalle punture degli adulti e degli individui giovani che provocano la formazione di tacche necrotiche, con conseguente limitazione della crescita o spaccatura dell’epidermide della bacca e successivo insediamento di muffe e marciumi di varia natura. Inoltre l’inoculazione di sostanze con caratteristico odore sgradevole di cimice rende il frutto non commestibile.
Foto R. Angelini
Acari Gli acari rappresentano la più numerosa sottoclasse degli Aracnida (Artropoda Chelicerata). Originariamente predatori, si sono evoluti, colonizzando i più disparati habitat terrestri e acquatici e differenziando le loro abitudini alimentari. Numerose specie vivono sulle piante, alcune (i fitofagi), nutrendosi direttamente a spese di queste ultime, e causano spesso notevoli danni, altre si nutrono a spese dei vari organismi che vivono sulle piante intrecciando con essi una variegata gamma di relazioni. Il pomodoro è considerato una pianta poco ospitale per i piccoli artropodi che non sono a essa strettamente infeudati a causa dei particolari tricomi (ghiandolari e non) presenti su foglie e fusti che, oltre a ostacolarne i movimenti, possono produrre alcuni essudati come metil-chetoni e zingibereni tossici per molte specie. Ciononostante circa una ventina di specie sono state reperite in Italia sulle sue fronde. Quelle in grado di esser dannose sono soltanto tre e appartengono alle due più importanti famiglie di acari agrari: i Tetranychidae (Tetranychus urticae e T. evansi) e gli Eriophyidae (Aculops lycopersici). A esse si affiancano alcune specie di predatori, i Phytoseiidae e alcuni acari a regime dietetico non specializzato come i Tydeidae.
Ninfa di Nezara viridula
Principali famiglie e specie di acari reperite su pomodoro in Italia
• Fitofagi
Tetranychidae - Tetranychus urticae - Tetranychus evansi Eriophyidae - Aculops lycopersici
• Predatori
Phytoseiidae - Amblyseius messor - Neoseiulus barkeri - Neoseiulus californicus - Phytoseiulus persimilis
• Altri acari
Tydeidae - Homeopronematus anconai - Lorryia sp - Pronematus ubiquitus - Triophtydeus lebruni - Tydeus kochi Fitoseide (Neoseiulus californicus) ed eriofidi (Aculops lycopersici) su foglia
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parassiti animali Ragnetto rosso comune o ragnetto bimaculato (Tetranychus urticae) Il ragnetto bimaculato è specie cosmopolita a elevata polifagia. Attacca oltre 150 specie di piante, molte di un qualche valore economico, prediligendo le erbacee sia in campo sia in serra. Le femmine primaverili estive hanno forma ovale e colore giallo rosato, che assume con l’età e l’alimentazione tonalità verdastre o rossastre, con due macchie laterali brune; quelle svernanti hanno colore arancio uniforme. Misurano circa 0,5 mm; i maschi sono più piccoli (circa 0,3 mm) e hanno forma più allungata e piriforme. Come tutti i tetranichidi, T. urticae è dotato di un caratteristico apparato boccale (gnatosoma) pungente succhiatore con lunghi stiletti (cheliceri) retrattili in grado di raggiungere il parenchima fogliare. Producono sulle foglie abbondanti fili sericei che assumono spesso l’aspetto di una fitta tela su cui gli esemplari si muovono agilmente. Caratteri distintivi della specie sono: a) numero, forma e rapporti delle setole del corpo e degli articoli distali delle zampe, b) forma dei peritremi (sorta di canalicoli connessi con lo sbocco all’esterno delle trachee, posteriori allo gnatosoma) che in T. urticae hanno la porzione distale ripiegata e divisa in 5 concamerazioni, c) forma dell’organo copulatore maschile o edeago che termina con un piccolo bottone a 90°. A occhio nudo, o meglio con l’aiuto di una buona lente, è possibile evidenziare la presenza del tetranichide sulle foglie, ma non esser sicuri della sua identità specifica. A fine estate cominciano a comparire le femmine svernanti di colore rosso aranciato uniforme che passeranno l’inverno in diapausa riparate alla base delle piante o sotto residui di vegetazione secca. A primavera si portano sulle nuove piantine e cominciano a nutrirsi e deporre sulle foglie piccole uova tondeggianti (0,12-0,13 mm). Dalle uova emergono larve esapode rotondeggianti e ialine. Per raggiungere lo stadio adulto occorrerà ancora il passaggio da due stadi ninfali (protoninfa e deutoninfa), caratterizzati come gli adulti
Tetranychus urticae al microscopio ottico
Tetranychus urticae
• Tetranichide cosmopolita e altamente polifago
• Su pomodoro è comune in coltivazioni sia di campo sia in serra
• I suoi tempi di sviluppo e fecondità su questa coltura migliorano con l’adattamento
• Le sue infestazioni sono pericolose, soprattutto se precoci
Foto F. Laffi
T. urticae: maschio (in alto) e forma giovanile (in basso)
Femmina di Neoseiulus californicus mentre preda T. urticae
T. urticae: femmine svernanti
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coltivazione da 4 paia di zampe. Ciascun passaggio di stadio è preceduto da un periodo di quiescenza, durante il quale il tetranichide non si muove e non si nutre e che culmina con la muta, cioè con l’emergenza dello stadio successivo dalla vecchia cuticola o esuvia. Generalmente l’uovo ha una durata circa doppia di quella dei successivi stadi immaturi; questi ultimi sono attivi soltanto per circa la metà del tempo occorrente per il passaggio di stadio. I sessi sono separati, la fecondazione avviene per accoppiamento; le uova fecondate (diploidi, cioè con corredo cromosomico doppio) daranno origine a femmine, mentre quelle non fecondate (aploidi) a maschi. Come in tutti i pecilotermi, la velocità di sviluppo aumenta con l’incremento della temperatura; la diminuizione combinata della temperatura e del periodo di luce regola anche la comparsa delle femmine che andranno in diapausa per superare il periodo invernale. In serra la specie può invece svilupparsi continuamente. Si stima che in campo il numero di generazioni annuali completabili oscilli tra 7 e 10, mentre in serra si possa arrivare a una trentina. Si ritiene che su pomodoro si sia selezionato un particolare ceppo o razza di T. urticae (host race) in grado di svilupparsi con immediato successo su questa solanacea, dove comunque si moltiplica più lentamente rispetto a quanto avviene su altre piante. La soglia di sviluppo è intorno ai 10 °C; a 24-25 °C costanti il ragnetto bimaculato è in grado di raddoppiare le proprie popolazioni in un periodo variabile da 4 a 23 giorni secondo la varietà e il periodo di adattamento al pomodoro. Tra le caratteristiche che rendono una varietà di pomodoro meno resistente agli attacchi del tetranichide, un ruolo determinante è attribuito alla minor presenza di tricomi ghiandolari.
Foto F. Laffi
Femmine e uova di Tetranychus urticae
Ragnetto rosso delle solanacee (Tetranychus evansi) Il tetranichide è stato raccolto su una cinquantina di specie di piante, ma a differenza di T. urticae mostra una netta preferenza per le solanacee di cui attacca una ventina di specie spontanee e coltivate, compresi pomodoro, melanzana, patata, peperone, tabacco. Descritto su pomodoro per le Mauritius piuttosto recentemente (1960), è diffuso in Sud America, negli stati meridionali del Nord America e in Africa australe e orientale. È approdato in Europa a fine anni ’90, dapprima in Spagna, quindi in Portogallo e in Francia. Si è dimostrato subito molto pericoloso tanto che dal 2004 è inserito nella lista di allerta dell’EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization) come specie in rapida espansione nell’area mediterranea e particolarmente temibile per pomodoro e altre solanacee. A fine 2005 T. evansi è stato rinvenuto anche in Italia in coltivazioni di pieno campo di pomodoro in Liguria (provincia di Imperia). A un esame superficiale può esser confuso con T. urticae, di cui ha quasi le stesse dimensioni (0,5 mm per le femmine). Dal ragnetto rosso comune si differenzia per avere un colore più uniforme, tra il rossoarancio intenso e il mattone, e per le zampe più lunghe. Anche tutti gli stadi immaturi e le uova vicine alla schiusura hanno un colore più
Danni da T. urticae
Tela di T. urticae su cui sono evidenti gli esemplari che si spostano
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parassiti animali aranciato. A un attento esame degli esemplari preparati al microscopio, tra le differenze più evidenti si può elencare che i peritremi sono piegati a uncino nella parte terminale e che nei maschi l’edeago ha un sottile peduncolo con una piccola testa caratterizzata da un apice posteriore appuntito e leggermente piegato. In accordo con la sua origine tropicale-subtropicale, il tetranichide sembra riprodursi ininterrottamente senza passare periodi di arresto dell’attività assimilabili a una diapausa. L’intervallo di temperature in cui si stima che T. evansi possa svilupparsi è compreso tra un limite inferiore di poco più di 10 °C e uno superiore di 38 °C. Come T. urticae ha sessi separati, i maschi derivano da uova aploidi non fecondate, lo stadio adulto viene raggiunto con la stessa successione di stadi immaturi e mute. La durata dell’uovo copre circa il 40% della durata dell’intero sviluppo che si completa a 25 °C in circa 13 giorni. Predilige la pagina inferiore delle foglie ed è in grado di produrre una gran quantità di tela che in caso di alte infestazioni può arrivare a inglobare come un cappuccio l’intero apice della pianta. Il potenziale riproduttivo di questa specie sul pomodoro è molto più alto di quello del ragnetto rosso comune sullo stesso ospite: tra 21 e 31 °C il tempo di raddoppio delle sue popolazioni diminuisce da 3,9 a 1,95 giorni con un minimo di 1,7 giorni a 34 °C. A oggi non sono disponibili osservazioni sulla sua biologia nelle aree europee di nuova introduzione. Nei luoghi d’origine giunge a completare 24-30 generazioni l’anno che si accavallano l’una all’altra. Si presuppone che l’incapacità di produrre forme adatte a resistere alle temperature più fredde sia un fattore limitante la sua diffusione. In effetti tutti i reperti europei della specie sono relativi a zone litoranee con inverni miti, senza o con brevissimi periodi di gelo ed estati calde. Anche in Italia si ritiene che in campo il tetranichide possa diffondersi solo nelle regioni più miti, mentre in serra potrebbe instaurarsi ovunque. Alla sua diffusione può contribuire la capacità di colonizzare piante spontanee, per esempio il comunissimo pomodoro selvatico (Solanum nigrum), nei periodi d’assenza della coltura.
Tetranychus evansi
• Tetranichide di origine tropicale-
subtropicale, recentemente segnalato in Italia (Liguria)
• Predilige le solanacee su cui si sviluppa più velocemente di T. urticae
• È inserito nella lista di allerta dell’EPPO in quanto specie a rapida espansione e temibile soprattutto per il pomodoro
Foto F. Ferragut
T. evansi: attacco su melanzana con evidente cordone di esemplari che si spostano da foglia a foglia Foto F. Ferragut
Foto F. Ferragut
Pesante attacco di T. evansi su pomodoro Colonia (a sinistra) ed esemplari (a destra) di T. evansi su foglia
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coltivazione Eriofide rugginoso del pomodoro (Aculops lycopersici) L’eriofide noto come rugginoso del pomodoro in realtà attacca circa una venticinquina di piante, soprattutto solanacee coltivate e spontanee, ed è diffuso ovunque crescano le sue piante ospiti. La sua parziale polifagia lo distingue dalla maggior parte degli altri eriofidi, fitofagi altamente specializzati e generalmente legati a un più esiguo numero di ospiti, se non a una sola specie ospite. Come tutti gli eriofidi A. lycopersici ha un aspetto vermiforme caratterizzato dalla presenza di sole 2 paia di zampe anteriori, da uno gnatosoma trasformato in un rostro contenente corti stiletti chelicerali e da un addome con caratteristici anelli su cui possono esser presenti ornamentazioni (microtubercoli) di varia forma. Le femmine sono lunghe 0,15-0,18-mm, leggermente fusiformi, con anelli addominali distinti dorsalmente in circa 27 larghi tergiti e ventralmente in circa 60 stretti sterniti. La loro presenza sulle foglie può esser evidenziata solo con l’aiuto di una lente d’ingrandimento superiore a 10x. L’eriofide rugginoso del pomodoro vive e si nutre su tutte le superfici verdi della pianta, compiendo numerose generazioni l’anno. Predilige un clima caldo-secco; le migliori condizioni per il suo sviluppo sono una temperatura di circa 27 °C e un’umidità relativa del 30%. Secondo condizioni ambientali più o meno favorevoli, ogni femmina di A. lycopersici può deporre durante la sua vita da 10 a oltre 50 uova. Ha una soglia di sviluppo intorno ai 10,5 °C e tra 21 e 25 °C il tempo occorrente per diventare adulto si accorcia da 6,5 a 5 giorni. A 25 °C le sue popolazioni sono in grado di raddoppiarsi in meno di tre giorni. Le giovani femmine non si accoppiano direttamente, ma sono in grado di accogliere, grazie alla particolare conformazione del proprio apparato genitale, gli spermatofori, particolari strutture che contengono lo sperma. Gli spermatofori sono deposti dai maschi in gran numero, ciascuno su un sottile peduncolo sulle foglie ove
Foto F. Ferragut
Danno da T. evansi su Solanum nigrum
Popolazione di Aculops lycopersici su picciolo fogliare Foto F. Ferragut
A. lycopersici: foglia con decolorazione generalizzata e inizio di disseccamento dei bordi
Esemplari di A. lycopersici su foglia con numerosi tricomi; indicato un tricoma 4-lobato
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Aculops lycopersici al microscopio
parassiti animali alta è la presenza di femmine. Le giovani femmine depongono piccole uova di forma sferica irregolare, ialine, riparate vicino alle nervature o sotto i peli; quelle fecondate daranno origine ad altre femmine, quelle non fecondate a maschi. Due soli stadi immaturi precedono l’adulto ed entrambi hanno solo due paia di zampe.
Aculops lycopersici
• Eriofide cosmopolita con preferenza per pomodoro e altre solanacee
Relazioni acari-pianta e danni Tetranichidi ed eriofidi sono caratterizzati da un apparato boccale pungente succhiatore e si nutrono di contenuti cellulari. Il primo sintomo della presenza di tetranichidi si manifesta sulle foglie con piccole aree clorotiche che, con l’aumentare della popolazione, finiscono per confluire sottraendo sempre più superficie alla sintesi clorofilliana. Tipicamente le infestazioni hanno un andamento a macchia, interessando inizialmente poche piante, spesso a livello delle prime dieci foglie apicali. Per T. urticae è stata provata una stretta relazione tra manifestazione di danno e numero di acari per foglia: i danni provocati dal tetranichide possono esser indicizzati utilizzando una scala da 1 (prima comparsa dei sintomi con piccole e rare punteggiature clorotiche) a 5 (completo disseccamento della foglia). In serra la soglia critica di danno si raggiunge a indice di danno medio pari a 2. Generalmente in tal caso l’infestazione non supera i 30 individui per fogliolina semplice. In pieno campo, campionando 1 foglia della parte medio bassa di circa 100 piante/ ha si è in grado di apprezzare con sufficiente livello di precisione densità vicine alla soglia critica. Per quanto riguarda il T. evansi, dato che le sue popolazioni sono in grado di moltiplicarsi sul pomodoro molto più velocemente di quelle di T. urticae, le infestazioni possono avere esiti più devastanti fino a indurre in breve la morte della pianta. In Sud Africa T. evansi è considerato il più dannoso fitofago del pomodoro durante la stagione arida e in Zimbabwe è stato registrato fino al 90% di perdita del prodotto. In Spagna e Israele i danni maggiori sono stati registrati sulle colture di pieno campo. Data la recente segnalazione della specie in Italia e la possibilità che la sua presenza possa
• Attacca tutte le parti verdi della pianta, compresi i frutti
• Le sue infestazioni possono essere
inizialmente sottovalutate e confuse con attacchi di altri agenti biotici (tripidi, virus)
Foto F. Laffi
Foto F. Laffi
Parametri biologici dei principali acari del pomodoro a 25-26 °C Tetranychus urticae
Tetranychus evansi
Aculops lycopersici
Sviluppo uovo/uovo (giorni)
11-14,4
11,2
6,9
Ovideposizione (uova/fem.)
12-23,4
112,2
51,7
Mortalità giovanile (%)
38-73
25
–
Tasso d’incremento (fem./fem. giorno)
0,06-0,1
0,24
0,25
Raddoppio popolazioni (giorni)
6,9-11,6
2,9
2,7
Danni provocati da Aculops lycopersici su frutticini e piante di pomodoro
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coltivazione esser confusa con quella di T. urticae, non sono ancora disponibili per il nostro Paese dati sulla sua reale diffusione e sulla dannosità. Gli eriofidi, a differenza dei tetranichidi, inducono reazioni più complesse nella pianta ospite. Ogni singolo atto di nutrizione, infatti, non solo comporta la perforazione delle pareti cellulari e la sottrazione di sostanza cellulare, ma anche l’immissione di liquidi salivari da parte degli acari. In un tempo variabile da pochi minuti a un’ora, si manifestano nella pianta rilevanti modificazioni a livello cellulare. Intorno al foro d’ingresso degli stiletti si forma una sorta di cono calloso e si osserva una graduale degenerazione del DNA cellulare, associata all’accumulo di sostanze chitosano-simili sia a livello delle punture di nutrizione sia nel nucleo della cellula la cui parete è stata interessata. Dopo questa prima fase, comune a tutte le specie di eriofidi, si instaurano reazioni diversificate da parte della pianta che possono estendersi alle cellule limitrofe fino ad arrivare alla produzione di tessuti anomali a vere e proprie galle. A differenza dei tetranichidi alcune specie di eriofidi possono essere anche vettori di virus. L’eriofide rugginoso del pomodoro appartiene alla categoria degli eriofidi vaganti, quindi non induce produzione di galle, ma la sofferenza delle cellule interessate dalle sue punture che culmina con la loro morte. A oggi non è stata evidenziata la trasmissione di alcun tipo di virus da parte di questo eriofide. Le alterazioni determinate dalle punture di nutrizione di A. lycopersici generalmente si evidenziano a partire dalla base delle piante del pomodoro e quindi si estendono alla parte superiore interessando foglie, fusti e frutti. Sulle foglie i primi sintomi sono caratterizzati da una leggera argentatura sulla pagina inferiore, che presto volge verso un colore bronzeo-rugginoso quindi marrone chiaro; il lembo fogliare si accartoccia a partire dai bordi che si ripiegano verso il basso. Le foglie diventano fragili e a volte cadono precocemente. I fusti perdono parte della peluria, assumono una colorazione dapprima verde bronzea quindi bruna e spesso si fendono longitudinalmente. I frutticini generalmente
Strategie emergenti per il contenimento delle infestazioni da acari
• Miglioramento genetico della pianta:
varietà con alto contenuto fogliare di metilchetoni e alta presenza di tricomi sono più resistenti alle infestazioni
• Individuazione di nemici naturali:
per un controllo a lungo termine sono più promettenti alcune specie di acari fitoseidi
• Miglioramento della performance
dei fitoseidi: alcune specie hanno migliorato le loro prestazioni in termini di incremento delle loro popolazioni e di predazione dopo l’adattamento al pomodoro prima dell’utilizzo (per esempio Phytoseiulus persimilis e Neoseiulus californicus)
Danni da tetranichidi
Danni da acari eriofidi su piante di pomodoro
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Danno
Evidenza
Area fogliare con danno (%)
1
primo segno di danno
<10
2
estensione delle aree di nutrizione del fitofago
10-25
3
presenza di nuove zone clorotiche
25-50
4
foglie con estese aree di nutrizione ma ancora verdi
50-80
5
foglie completamente o quasi secche
>80
parassiti animali non subiscono alterazioni di colore, ma la superficie suberifica e può screpolarsi. L’eriofide può portare a morte le piante di pomodoro nutrendosi e riproducendosi velocemente sull’ospite. Rilevare in una fase precoce l’infestazione da eriofidi su pomodoro non è facile sia perché la loro distribuzione in campo non è uniforme, sia perché le prime alterazioni possono esser confuse con quelle causate da altri agenti biotici (tarsonemidi, tripidi, virus ecc.). Ne consegue che spesso l’entità delle loro popolazioni è sottovalutata. Generalmente si consiglia di individuare precocemente i focolai di presenza e di valutare ogni 2-3 giorni se si espandono, intervenendo appena ciò si verifica. Strategie di controllo dei fitofagi del pomodoro I numerosi fitofagi che interessano la coltura e le modalità d’impiego che caratterizzano i prodotti fitosanitari in commercio sono fattori che determinano indirizzi di strategia globale che devono tenere conto anche di aspetti economici e socio-ambientali. Più resistenti alle infestazioni sono le varietà con maggior contenuto di metil-chetoni nelle foglie e una maggiore densità di tricomi. Oltre alle strategie specifiche legate alla biologia dei singoli fitofagi è necessario impostare azioni che abbiano un’attività di riduzione delle popolazioni comuni nei diversi ambienti di coltivazione, tra cui ricordiamo: – impiego di piante sane per il trapianto in pieno campo, avvalendosi di vivaisti che aderiscono alla certificazione fitosanitaria e autorizzati dal Servizio Fitosanitario Regionale. Tale uso va rispettato in modo più rigoroso specialmente quando si temono infezioni da virus o da fitofagi non ancora presenti nel proprio areale di coltivazione o che possono compromettere la coltura nelle prime fasi di sviluppo vegetativo; – attento e continuo monitoraggio della coltura al fine di verificare la presenza e l’incremento temporale dei fitofagi, per stabilire soglie d’intervento e strategie di controllo; – controllo delle erbe infestanti negli ambienti circostanti la coltura, quanto queste possano costituire probabile sorgente d’infestazione e diffusione dei fitofagi; – sfruttamento delle attività degli antagonisti naturali (predatori, parassitoidi ecc.) al fine di contribuire a ridurre le popolazioni dei parassiti; – favorire lo sviluppo e l’attività degli organismi antagonisti presenti in natura che può essere preservata e potenziata attraverso diversi accorgimenti come l’allestimento o la conservazione di aree naturali costituite da piante spontanee che consentono la moltiplicazione, l’alimentazione o il rifugio di antagonisti; – accurata selezione degli insetticidi in funzione delle loro caratteristiche eco-tossicologiche, privilegiando l’impiego dei formulati caratterizzati da bassa tossicità ed elevata selettività nei confronti degli organismi utili;
Danni da eriofidi su frutti
Foto R. Angelini
Larva ed erosioni su frutti: i bruchi entrati nelle bacche possono passare inosservati e superare le fasi di controllo e cernita post raccolta
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coltivazione – alternanza delle colture, che consente di abbassare l’entità della popolazione presente, specialmente nei casi in cui vengono riscontrati insetti non polifagi ma strettamente infeudati alla coltura; – asportazione e distruzione ove possibile dei residui colturali, specialmente nei casi di elevato riscontro di infestazione, o interramento profondo per evitare la fuoriuscita degli adulti dalle pupe. Valutando nel dettaglio il controllo dei singoli fitofagi descritti nel testo, si riportano di seguito le strategie da adottare. Per gli acari è importante sfruttare l’attività dei numerosi predatori naturali presenti, tra i quali i fitoseidi hanno un ruolo predominante. Tuttavia anche il comportamento di questi ultimi è influenzato e ostacolato dai tricomi e dagli essudati caratteristici del pomodoro: questi spesso finiscono per rendere l’ospite più resistente alla presenza degli antagonisti dei fitofagi che ai fitofagi stessi. Inoltre i metaboliti tossici secondari, sommandosi quelli della pianta a quelli della preda, possono avere effetti ancora più negativi sui predatori. Il fitoseide Phytoseiulus persimilis, che riesce a contenere l’aumento di popolazione di T. urticae su molte colture, non è altrettanto efficace sul pomodoro. È stato dimostrato che soltanto ceppi adattati a predare il fitofago su questa pianta per più generazioni incrementano la loro efficacia, e oggi è disponibile sul mercato proprio un ceppo di P. persimilis adattato al pomodoro. Analogamente accade per un altro promettente fitoseide Neoseiulus californicus la cui performance, buona sulla prima generazione del T. urticae sul pomodoro, diminuisce sensibilmente dalla seconda generazione per ritornare a buoni livelli solo dopo aver speso almeno una quindicina di generazioni su questa pianta. Per quanto riguarda T. evansi, specie ad alto potenziale riproduttivo su pomodoro, finora non sono stati individuati predatori efficaci. Questi ultimi dovrebbero coniugare un’alta capacità riproduttiva con l’abilità di muoversi all’interno dell’abbondante tela prodotta dalla preda.
Larva di Helicoverpa armigera o nottua gialla del pomodoro
Neanidi e ninfe di Nezara viridula su frutti di pomodoro
Foto R. Angelini
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parassiti animali Anche la ricerca di efficaci predatori per A. lycopersici non ha finora dato risultati concreti. In Italia, il miride Macrolophus caliginosus può contribuire a limitarne le popolazioni. Tra gli acari, alcuni fitoseidi, una specie di tideide (Homeopronematus anconai, trovato su pomodoro anche in Italia) e uno stigmeide, pur in grado di predare l’eriofide, non sono risultati efficaci nel contenerne le popolazioni. Tra le specie di fitoseidi Neoseiulus californicus è l’unica studiata per più di una generazione su questa preda e i risultati ottenuti (raddoppio della popolazione in 7 giorni circa, contro i poco più di 2 ottenibili in analoghe condizioni su T. urticae e altre piante ospiti) potrebbero indurre a ritenere possibili ulteriori margini di miglioramento con tempi più lunghi di adattamento. Il controllo chimico è affidato a numerose formulazioni di acaricidi reperibili sul mercato. Tuttavia il loro uso non è sempre risolutivo, poiché questi acari, dotati di brevi cicli vitali che rendono possibili un alto numero di generazioni annuali, sono in grado di sviluppare velocemente resistenza ai principi attivi utilizzati per combatterli. Per quanto riguarda l’eriofide anche lo zolfo in polvere, usato per combattere l’oidio, ha qualche possibilità di limitarne le infestazioni. Inoltre il fatto che, per quanto abbiano un diverso grado di polifagia, tutte queste specie possono trovare facilmente ospiti alternativi spontanei ne facilita la diffusione e l’eventuale reinfestazione. Nei confronti dei tripidi le strategie di controllo vanno impostate per evitare danni associati alla trasmissione dei virus più che al danno diretto dell’insetto. Pertanto, la difesa deve seguire due strade parallele: controllo della pianta infetta, sorgente d’infezione e di diffusione, e controllo del tripide vettore adottando oltre alle indicazioni generali elencate in precedenza, anche: – anticipare, o posticipare, quando possibile, nella coltivazione in pieno campo, il trapianto, facendolo coincidere con i periodi di bassa densità dei tisanotteri per cui la coltura ha il tempo di svilupparsi e di produrre normalmente. È quello che in pratica succede nelle colture protette. Ciò, però, presuppone un monitoraggio pluriennale delle popolazioni dei tripidi che consenta di stabilire scientificamente tali periodi; – controllare in modo costante e continuo la coltura al fine di evidenziare le piante che mostrano sintomi della virosi, che dovranno essere estirpate, asportate e distrutte senza remora alcuna. È importante seguire criteri ben precisi in mancanza dei quali si contribuisce alla diffusione del vettore e dei virus: la pianta malata deve essere preventivamente trattata con insetticida di sicura efficacia contro il tripide, in quanto i vettori presenti su di essa saranno sicuramente infetti e l’estirpazione tout court li diffonderebbe sulle piante circostanti, quindi va estirpata, asportata dalla coltura e distrutta evitando di abbandonarla nell’ambiente dove può restare sorgente di infezione e di diffusione; – adottare rotazioni almeno biennali con una coltura, come i cereali, che associ in sé tre prerogative fondamentali: non ospi-
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Foglie di pomodoro infestate da acari tetranichidi
Phytoseiululs persimilis, acaro predatore degli acari fitofagi
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coltivazione tare il tripide, non ospitare il TSWV, necessitare di un adeguato controllo delle infestanti. Questa pratica avrebbe il vantaggio di ridurre la popolazione del vettore per mancanza della sorgente d’infezione quale la coltura ospite e le essenze spontanee. La coltivazione del pomodoro che segue beneficia così di un ambiente relativamente più sano; – utilizzare, specialmente in serra, trappole cromotropiche azzurre per individuare le prime presenze degli individui e adottare un tempestivo intervento contro il vettore con metodi biologici o chimici; – massimizzare l’attività degli antagonisti che gli ambienti colturali, seppur antropizzati, riescono sempre a esprimere. Mentre la coltivazione del pomodoro in coltura protetta beneficia della presenza dell’impollinatore Bombus terrestris che costringe a un’accorta strategia antiparassitaria, in pieno campo sarebbe importante verificare, prima di adottare una qualunque strategia di controllo, la presenza di acari fitoseidi (Amblyseius spp.), tripidi predatori (Aeolothrips fasciatus e A. intermedius) e Orius spp., eterotteri antocoridi, specie predatrici sempre presenti in natura e capaci, se non disturbati, di dare un notevole contributo al controllo dei tisanotteri. La loro assenza o scarsa presenza giustifica il controllo chimico. In ogni caso è sempre consigliabile utilizzare insetticidi che siano selettivi nei confronti di questi antagonisti; – impiegare sostanze attive di origine sia chimica sia biologica, ponendo l’attenzione alla continua alternanza degli stessi, in quanto anche per questi fitofagi possono selezionarsi, dopo pochi anni, popolazioni resistenti. Il controllo dei lepidotteri è reso difficile da una serie di fattori biologici e ambientali quali: – la grande prolificità e possibilità di vivere su molte specie vegetali (in particolare per i nottuidi); – la capacità delle larve di annidarsi all’interno degli organi attaccati; – la mobilità degli adulti e le attitudini migratorie di parecchie specie (che rendono possibili infestazioni improvvise); – la diffusione delle colture protette (che consente alle specie senza diapausa di essere attive tutto l’anno); – la scarsa incidenza degli antagonisti naturali; – il possibile sviluppo di resistenze agli insetticidi. Contro le specie ad attività esterna (come i plusini) la difesa è facilitata dall’esposizione delle larve. Per il controllo di quelle endofite (tuta, nottua gialla ecc.) è invece necessario intervenire prima del loro insediamento, monitorando la comparsa degli adulti mediante trappole sessuali e intensificando la ricognizione delle colture alle prime catture, per il rilevamento di uova, larve giovani e mine. Gli insetticidi utilizzabili sono prodotti di sintesi o di origine naturale per i quali non si può escludere un rischio di perdita di efficacia per sviluppo di popolazioni resistenti.
Differenti stadi di sviluppo di Tetranichus urticae
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parassiti animali Misure preventive andrebbero attuate in ambienti con inverni miti e primavere calde (mezzogiorno d’Italia, riviera ligure), che predispongono a un maggiore sviluppo degli insetti. La distruzione dei residui della coltivazione è utile per ridurre il potenziale d’infestazione come pure l’eliminazione delle solanacee spontanee, possibili ospiti alternativi dei fitofagi. Contro la tuta sono utili avvicendamenti con specie non solanacee e le lavorazioni superficiali del terreno, che distruggono le crisalidi svernanti sul suolo tra i detriti. Nelle zone molto infestate, per ottenere un adeguato abbattimento delle popolazioni, occorrerebbe estendere la lotta all’intero comprensorio, anche attraverso l’impiego di trappole per la cattura massale. L’uso di reti antinsetto per le colture protette può risultare vantaggioso anche in termini economici, ma per impedire l’ingresso di lepidotteri nelle ore serali bisogna evitare di illuminare le serre quando sono aperte. Complesso e più difficoltoso è il controllo degli aleurodidi specialmente in coltura protetta. Alcune pratiche agronomiche o l’adozione di mezzi fisici e gli interventi colturali, oltre a quelli già indicati in precedenza, permettono di ridurre il rischio d’infestazione o di ritardare la comparsa degli aleurodidi. Tra questi vanno menzionati: – impiego di reti antinsetto per le serre; – impiego di trappole cromotropiche per la cattura massale; si tratta di un metodo parzialmente efficace in serra, ma non è selettivo nei confronti di alcuni organismi utili; – impiego in pieno campo di pacciamatura riflettente o di plastiche fotoselettive con effetto repellente; infatti, alcuni film plastici di copertura presentano caratteristiche di assorbimento dei raggi ultravioletti che determinano una minore attrazione nei confronti degli aleurodidi; – copertura delle piante di pomodoro con tessuto non tessuto, specialmente nelle prime fasi di sviluppo, per le aree in cui la presenza dei virus è molto alta. I metodi di controllo biologico prevedono l’introduzione di parassitoidi come gli imenotteri afelinidi Encarsia formosa, Eretmocerus mundus (quest’ultimo maggiormente attivo nei confronti di B. tabaci) e del miride predatore Macrolophus caliginosus. Quest’ultimo è preferito ai parassitoidi per la sua capacità di utilizzare fonti di cibo alternative (acari, afidi, larve di agromizidi e uova di lepidotteri), che consente l’effettuazione di lanci molto precoci e, quindi, maggiormente efficaci. Numerosi sono comunque gli antagonisti naturali che possono predare, parassitizzare o infettare gli aleurodidi, contribuendo in modo sostanziale al controllo della mosca bianca. Ricordiamo predatori come emitteri miridi (per esempio Macrolophus caliginosus, Nesidiocoris tenuis, Dicyphus errans), coleotteri coccinellidi (per esempio Delphastus pusillus), neurotteri crisopidi (per esempio Chrysoperla carnea) e ditteri muscidi (per esempio Coenosia attenuata).
Foto A. Pollini
Danno da Helicoverpa armigera su bacche di pomodoro Foto R. Angelini
Rosure della bacca e larva Foto A. Pollini
Larva di Spodoptera exigua
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coltivazione Gli interventi chimici mantengono, comunque, un ruolo principale nel controllo degli aleurodidi, se integrati anche con i metodi su descritti. Particolare attenzione deve essere posta alla distribuzione della miscela insetticida in quanto la maggior marte degli individui è collocata sulla pagina inferiore delle foglie e, specialmente in pieno campo, risulta più difficile raggiungere tale sito. Gli stessi criteri sopra descritti vanno adottati anche per il controllo degli afidi ugualmente controllati da antagonisti naturali quali coccinelle, sirfidi, cecidomidi, crisope, imenotteri parassiti ecc. La difesa contro tali fitofagi va eseguita tempestivamente impiegando aficidi sistemici caratterizzati da una lunga durata d’azione o insetticidi con elevato potere abbattente, specialmente nelle aree a rischio da infezioni di virus, oppure formulati con due sostanze attive in miscela. Infatti, la trasmissione da parte degli afidi, anche in modo non persistente, di virus distruttivi come il CTV, non consente di raggiungere soglie elevate per eseguire gli interventi. L’impiego di insetticidi con azione abbattente molto rapida come i piretroidi già indicati per gli aleurodidi, va programmato nelle fasi immediatamente successive al trapianto. Minore attenzione è posta al controllo dei minatori fogliari, su colture in pieno campo; infatti, in tali casi, le infestazioni, anche se sono in fase di incremento, risultano ancora non particolarmente dannose, per cui non sempre sono oggetto di interventi da parte degli agricoltori. Al fine di contenere la diffusione di tali aleurodidi, vanno poste in essere alcune attenzioni come il controllo dell’assenza di mine
Adulti di mosche bianche su foglia di pomodoro Macrosiphum euphorbiae
Foto R. Angelini
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parassiti animali sulle piantine da trapiantare provenienti dal vivaio, l’eliminazione in serra di piante spontanee che possono fungere da serbatoio, l’attuazione di pratiche di solarizzazione del terreno o di riscaldamento della serra in pre-coltura, l’installazione di trappole cromotropiche. L’impiego di parassitoidi, quali il Diglyphus isaea, in serra o in pieno campo contribuisce alla riduzione della popolazione insieme ad altri presenti in natura come Pnigalio spp., Chrysonotomyia formosa, Cirrospilus vittamus, Hemiptarsenus dropin. Il controllo chimico va attuato in caso di situazioni ormai consolidate d’infestazione intervenendo nelle prime fasi. La presenza di altri fitofagi di minore importanza, come la dorifora e la cimice, viene nella maggior parte dei casi controllata dalle sostanze attive impiegate per gli altri parassiti, in caso contrario, in presenza di infestazioni che possono determinare danni rilevanti, è necessario effettuare interventi specifici. La cimice viene contenuta in natura da ditteri endoparassitoidi come l’Ectophasia crassipennis o imenotteri oofagi come Trissolcus basalis. Differenti sono, invece le strategie di difesa nei confronti di insetti terricoli come gli elateridi, per quali vanno previsti metodi preventivi di lotta, come le lavorazioni del terreno nelle interfile per allontanare le larve dagli strati superficiali, o le rotazioni pluriennali. Gli interventi chimici prevedono l’applicazione di sostanze attive in formulazione granulare da distribuire al momento del trapianto lungo la fila.
Uova di aleurodidi parassitizzate da Encarsia formosa Adulto di Chrysoperla carnea, predatore di afidi
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il pomodoro
coltivazione Nematodi Nicola Vovlas, Martino Basile
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coltivazione Nematodi Introduzione I nematodi sono organismi pluricellulari di dimensioni variabili (da 200 micron fino a 6-8 mm di lunghezza), che spesso vengono indicati come vermi o anguillule per il loro aspetto prevalentemente vermiforme e per il modo di muoversi in acqua. Essi sono molto numerosi e presentano peculiarità tassonomiche ben distinte formando appunto il Phylum Nemata. Sono comunemente presenti in vari ambienti acquatici e terrestri. Molte specie di nematodi sono parassiti dell’uomo, degli animali, dei pesci e degli insetti. Il gruppo che riguarda in modo particolare l’agricoltura è quello dei nematodi fitoparassiti, che comprende specie parassiti di piante coltivate o spontanee di interesse agrario. Molti sono i nematodi fitoparassiti, appartenenti a vari gruppi, e riportati come patogeni sul pomodoro: per esempio, Rotylenchulus reniformis soprattutto in ambienti tropicali, Pratylenchus spp. e Nacobbus in ambienti di serra; Globodera spp. (G. pallida e G. rostochiensis.); Xiphinema spp.; Trichodorus e Partrichodorus spp. in ambienti subtropicali. La loro importanza economica, tuttavia, risulta molto modesta, per cui il loro parassitismo non è stato mai studiato in modo dettagliato. A essi però si deve aggiungere il gruppo di nematodi galligeni, appartenenti al genere Meloidogyne, che sono invece largamente diffusi e con elevata e riconosciuta patogenicità, tanto che si stimano annualmente perdite a loro riconducibili superiori al 20% della produzione mondiale. Il nome di nematodi galligeni, assegnato a questi parassiti, deriva dalla loro caratteristica di indurre, sulle radici delle piante infestate, i caratteristici ingrossamenti o noduli, detti appunto galle, che sono il risultato della reazione della pianta all’insediamento dei nematodi. Foto R. Angelini
Caratteristici aspetti di apparati radicali di pomodoro infestati da nematodi galligeni
Radici di pomodoro danneggiate da nematodi e galle sezionate
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nematodi
Impronte perineali di Meloidogyne javanica e M. incognita
Già a 48 ore dall’invasione dello stadio infettivo (II stadio di sviluppo) del nematode inizia l’espansione della radice al punto di penetrazione del parassita. L’espansione della galla varia da 1 a 8 volte il normale diametro della radice e la localizzazione delle galle può essere sia apicale sia/o lungo l’asse della radice stessa. Identificazione di Meloidogyne a livello di specie Delle oltre 80 specie descritte, quelle di riconosciuta patogenicità per il pomodoro sono solo quattro e di seguito vengono elencate in ordine di importanza per diffusione e per i danni di rilevanza economica procurati: Meloidogyne javanica, Meloidogyne arenaria, Meloidogyne incognita, Meloidogyne hapla. La loro identificazione può avvenire attraverso l’esame microscopico di alcuni caratteri morfologici, in modo particolare della regione anteriore e posteriore del corpo della femmina, che variano a seconda della specie. Il loro rilevamento morfo-biometrico con-
Impronte perineali di Meloidogyne arenaria (in alto) e M. hapla (in basso)
Schematizzazione dell’impronta perineale della femmina
Regione dorsale
Cicatrice della coda Linea laterale Ano
Regione ventrale
Vulva Porzione posteriore del corpo di una femmina di Meloidogyne dove è evidenziata l’impronta perineale
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coltivazione
Stadio giovanile o stadio infettivo (in a) e femmina matura (in b)
ferisce una impronta specifica per ogni specie, mentre il rapporto EP/ST (distanza del poro escretore dall’estremità anteriore diviso la lunghezza dello stiletto) fornisce un valore molto stabile che distingue le varie specie. Nella figura della pagina precedente vengono riportate le caratteristiche rilevanti dell’impronta perineale della femmina utile per un confronto diagnostico per le 4 specie che attaccano il pomodoro. In M. javanica sono caratteristiche le linee trasversali che separano nettamente la regione dorsale e ventrale, mentre in M. incognita tali linee risultano assenti e le pieghe cunicolari della regione dorsale sono continue e più marcate. Meloidogyne arenaria è caratterizzata da un’impronta più o meno rotondeggiante con linee laterali appena marcate, mentre M. hapla si caratterizza per la presenza di una punteggiatura nella parte centrale sovrastata da archi molto ampi. Un esempio invece della differente posizione del poro escretore viene dal confronto di due
Posizione del poro escretore: è un dato molto importante per il riconoscimento della specie (distanza del poro escretore dall’estremità anteriore diviso la lunghezza dello stiletto per il riconoscimento delle specie diventa un rapporto molto stabile. Come esempio vengono riportati i valori di EP/ST per M. incognita = 1,4 e M. arenaria = 2,4)
Foto R. Angelini
Radice che mostra una galla inglobante una femmina adulta, mentre in superficie la matrice gelatinosa contiene numerose uova
Coltivazione in serra di pomodoro fortemente danneggiato da attacchi di nematodi galligeni. Notare l’apparato radicale fortemente deformato dalle numerose galle
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nematodi specie: M. incognita presenta il poro escretore molto anteriore rispetto a quello della M. arenaria. Osservazioni a livello istologico del parassitismo
Ciclo vitale e parassitismo La larva di secondo stadio che emerge dall’uovo è una forma mobile nel terreno, ha come dimensioni 350-600 micron di lunghezza totale e 13-15 μ di diametro del corpo. Questa forma infettiva va alla ricerca delle radici nel terreno e inizia il suo parassitismo penetrando nei tessuti radicali. Fissandosi nei tessuti vascolari, diventa poi femmina adulta e ovi-deponente alla fine del suo sviluppo vitale. La femmina si accresce quindi all’interno della galla, conducendo vita parassitaria totalmente sedentaria e alimentandosi delle cellule nutrici. In condizioni ottimali il ciclo biologico si completa in 28-35 giorni a una temperatura ambientale di circa 30 °C. Ogni femmina può deporre da 100 a 800 uova.
• Appena la larva dello stadio infettivo
si insedia nella radice (a livello delle cellule legnose del cilindro centrale), la pianta reagisce agli stimoli del nematode e forma intorno alla testa del parassita 4-6 cellule nutrici, ipertrofiche e poli-nucleate, dette appunto “cellule giganti”. La presenza del nematode e l’espansione delle cellule giganti spesso causano l’interruzione degli elementi vascolari compromettendo seriamente la funzionalità della radice stessa
Danni I nematodi galligeni possono causare su pomodoro danni sia diretti sia indiretti. La formazione delle cellule giganti e delle galle compromette la funzionalità della radice. In aggiunta gli attacchi dopo il trapianto, in fase di attecchimento delle piantine, possono interrompere l’accrescimento della radice limitando sensibilmente la formazione dell’apparato radicale, alterando così l’assorbimento dell’acqua e degli elementi nutritivi. La manifestazione dei sintomi sulla parte aerea inizia con una crescita stentata e successivamente con ingiallimenti precoci più o meno diffusi, che portano a senescenza prematura l’intera pianta. La produzione quindi subisce riduzioni vistose in qualità e quantità. Foto R. Angelini
Sezione trasversale di una galla su una radice di pomodoro. Si notino la porzione del corpo del nematode (n) e 4 cellule giganti (cg), incuneate tra gli elementi vascolari (x), con diversi nuclei anch’essi ipertrofici (indicati dalle frecce)
Particolare ingrandito, mostrante le caratteristiche (forma e struttura) delle cellule giganti Aspetto di una giovane pianta di pomodoro infestata da nematodi
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coltivazione Foto R. Angelini
l m
f Apparato radicale infestato da nematodi galligeni
Morfologia e razze biologiche I nematodi galligeni appartengono alla famiglia Meloidogynidae. Una caratterista principale di questo gruppo è la presenza di uno spiccato dimorfismo sessuale. Il maschio adulto infatti è vermiforme e mobile, mentre la femmina è a forma di fiasco ed è sedentaria. La larva di secondo stadio, che emerge dall’uovo, è anch’essa mobile e rappresenta l’unico stadio infettivo che dà inizio al parassitismo. Le uova sono di forma sub-cilindrica con dimensioni di 85 × 30 micron, e sono contenute in una matrice gelatinosa, in attesa di schiudersi quando le condizioni ambientali diventano
Stadi di sviluppo di nematodi galligeni. Si noti il marcato dimorfismo sessuale (m = maschio; l = larva di secondo stadio; f = femmina) Accrescimento stentato di piante di pomodoro a causa dell’infestazione di nematodi
Foto R. Angelini
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nematodi Foto R. Angelini
Serra con manichette per la distribuzione del nematocida
favorevoli. Fra le quattro specie parassite del pomodoro è nota anche la presenza di popolazioni che su una serie di ospiti differenziali si comportano in modo diverso. In base alla riproduzione o meno su determinati ospiti appunto tali popolazioni vengono indicate come razze biologiche ben definite.
Esemplare intero di un maschio di Meloidogyne spp.
Comportamento delle quattro specie di nematodi galligeni più comuni e delle loro razze sulla serie standard di piante differenziali Specie di nematode e razza
Specie di piante differenziali e relative cultivar(1) Cotone Deltapine
Tabacco NC 95
Peperone California wonder
Anguria Charleston Gray
Razza 1
+
–
+
+
–
+
Razza 2
–
+
+
+
–
+
Razza 3
+
–
+
+
–
+
Razza 4
+
+
+
+
–
+
Arachide Florunner Pomodoro Rutgers
M. incognita
M. arenaria
+
Razza 1
–
+
+
+
+
+
Razza 2
–
+
–
+
–
+
M. javanica
+
+
–/+
+
–
+
M. hapla
–
+
+
–
+
+
(–) pianta resistente, (+) pianta suscettibile, (–/+) pianta suscettibile ad alcune popolazioni del nematode Fonte: Hartman e Sasser, 1985
(1)
191
coltivazione La conoscenza delle razze diventa un fattore importante qualora si voglia fare ricorso all’impiego di avvicendamenti colturali e/o all’utilizzo e selezione di cultivar resistenti ai nematodi galligeni.
Scala di valutazione del gradi di infestazione da nematodi
Valutazione del grado di infestazione Molto importante, oltre l’identificazione della specie del nematode galligeno ed eventualmente della sua razza fisiologica, è la determinazione della carica del nematode nel terreno, espressa in numero di larve (stadi giovanili) e/o uova per ml di terreno. Un metodo rapido per avere una buona indicazione del grado di infestazione del terreno consiste nell’analizzare l’apparato radicale delle piante a fine ciclo colturale. L’inoculo è al massimo potenziale per la successiva coltura a causa della conclusione del ciclo e della riproduzione del nematode. La valutazione del grado di infestazione consiste nel confrontare l’apparato radicale delle piante divelte e liberate dal terreno, con una scala suddivisa da 0 a 5.
• La scala di valutazione si basa sul
numero di galle per apparato radicale: lasse 0: corrisponde all’assenza totale –C di galle –C lasse 1: presenza di 1-5 galle localizzate alle radici esterne lasse 2: presenza di 20 galle, –C relativamente piccole, distribuite su tutto l’apparato radicale lasse 3: quanto sono presenti più di –C 20 galle di piccole e grandi dimensioni e distribuite su tutto l’apparato radicale
Difesa da nematodi I nematodi fitoparassiti possono causare ingenti danni al pomodoro specialmente quando viene coltivato in maniera intensiva e/o in regime di monocoltura. In molte situazioni la somministrazione di un agrofarmaco ad azione nematocida è una pratica indispensabile per mantenere livelli produttivi accettabili soprattutto dal punto di vista qualitativo. Tali interventi però, oltre a essere costosi, possono risultare inutili o rivelarsi addirittura controproducenti se adottati intempestivamente o in maniera impropria. Gli attuali orientamenti fitoiatrici hanno come obiettivo quello di mantenere l’attività parassitaria del nematode entro una soglia di danno economicamente accettabile. Ciò è conseguibile non solo con mezzi di lotta chimica ma anche con interventi alternativi (agronomici, genetici, fisici e biologici). È possibile infatti contenere le popolazioni del parassita liberando il terreno da radici di piante infestate, utilizzando strumenti di lavoro, terriccio, acqua d’irrigazione e piantine esenti da nematodi. Sono importanti anche il drenaggio e le lavorazioni estive del terreno oltre all’apporto di sostanza organica e alla rotazione colturale, anche se quest’ultima tecnica non risulta essere una valida soluzione possibile in serra dove prevalentemente i mercati condizionano i sistemi colturali. Altri mezzi disponibili sono la coltivazione intercalare di piante nematocide (Brassica spp., Tagetes spp., Ruta spp.) che possiedono azione tossica nei confronti di Meloidogyne spp. La tecnica dell’innesto erbaceo (con portinnesto resistente) risulta ampiamente diffusa nella coltivazione del pomodoro, dove le varietà resistenti ai nematodi (mezzo genetico economico e di
lasse 4: quando l’apparato radicale –C è ridotto e deforme da un certo numero di galle grosse lasse 5: quanto il sistema radicale –C è completamente deformato e alterato dalla presenza di grosse galle
Una scala utilizzata per la valutazione dell’indice di infestazione (Da Di Vito et al., 1979, Rivista di Agronomia)
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nematodi facile impiego) sono disponibili sia per il pomodoro da mensa sia per quello da industria. Un mezzo di difesa a basso costo e a ridottissimo impatto ambientale è la solarizzazione, che consiste nella copertura del terreno con un film plastico trasparente per circa due mesi nel periodo estivo. Un’altra tecnica che sfrutta l’effetto letale del calore è la sterilizzazione con vapore acqueo, ma è condizionata dagli alti costi. Infine è possibile utilizzare la lotta biologica che sfrutta l’esistenza in natura di numerosi microrganismi antagonisti dei nematodi fitoparassiti. Di essi alcuni sembrano molto interessanti e sono tuttora oggetto di studio per poter essere impiegati nella lotta contro i nematodi. Si tratta di microrganismi che con meccanismi diversi uccidono i nematodi. A volte, come nel caso del batterio Pasteria penetrans dal parassitismo molto spiccato, la produzione in massa è ostacolata dal fatto che si tratta di parassiti obbligati, per cui è necessario anzitutto poter riprodurre massivamente il nematode e su di esso, quindi, l’antagonista. L’integrazione o l’alternanza di questi diversi metodi di lotta permette un controllo più conveniente dei nematodi fitoparassiti contenendo anche la presenza di residui tossici, la contaminazione ambientale e gli effetti a lungo termine sia sulla salute dell’uomo sia sull’ambiente.
Confronto di apparati radicali di piantine di pomodoro: non infestato, a sinistra, e fortemente infestato, a destra dell’immagine. L’infestazione è stata ottenuta esponendo le radici per due mesi circa ad alta carica di inoculo (circa 250 uova e J2/ml di terreno) del nematode galligeno Meloidogyne arenaria
Serre coperte per l’esecuzione della solarizzazione
Foto R. Angelini
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il pomodoro
coltivazione Malattie Alessandro Infantino, Stefania Loreti
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Malattie Introduzione La coltivazione del pomodoro in pieno campo e in coltura protetta presenta un’elevata specializzazione territoriale nelle regioni italiane. Le richieste del mercato, dell’industria e del consumatore determinano un’ininterrotta ripetizione di cicli produttivi nei medesimi appezzamenti o ambienti colturali e una bassa variabilità genetica del prodotto. Queste condizioni di monocoltura favoriscono fortemente l’insediamento e l’aumento di virulenza dei patogeni del pomodoro. Oggi, la pomodoricoltura nazionale soffre proprio per l’accentuata incidenza di molte malattie endemiche ma anche per l’avvento di nuove patologie causate da funghi, batteri, virus e fitoplasmi. Relativamente a quest’ultimo aspetto, gli scambi commerciali (semente e piantine da trapianto) e i cambiamenti climatici sono particolarmente responsabili dell’introduzione e acclimatazione di nuovi agenti infettivi o dei loro vettori. È opportuno, infine, sottolineare che l’incremento dell’incidenza delle malattie in colture a larga diffusione come il pomodoro non è da considerarsi di interesse esclusivo di agricoltori o tecnici del settore agricolo, ma rappresenta una problematica ben più vasta, di interesse socio-ambientale. Essa riguarda sia la sicurezza degli alimenti sia la salvaguardia dell’ambiente in relazione alle grandi quantità di sostanze di sintesi impiegate giornalmente in agricoltura.
Malattie del pomodoro nel mondo
• Nel mondo, il pomodoro è colpito da
circa 200 specie patogene responsabili, insieme a nematodi e fitofagi, di perdite produttive pari al 34,4% in normali condizioni di coltivazione. È stato stimato che in assenza delle specifiche pratiche colturali di difesa queste perdite salirebbero al 77,7%
Metodi preventivi di lotta alle malattie
• Uso di seme sano • Rotazioni di almeno 1-3 anni, evitando
Foto R. Angelini
l’uso di altre solanacee
• Asportazione e distruzione dei residui colturali infetti
• Sterilizzazione di attrezzi e indumenti di lavoro, tutori, serre ecc.
• Pacciamatura con film plastici • Limitare eccesso di concimazioni azotate • Evitare irrigazioni eccessive • Lavorazioni del terreno per evitare asfissia radicale
• Controllo delle erbe infestanti (in particolare solanacee)
• Utilizzo di acqua di irrigazione esente da patogeni
Attacco di mal bianco su pomodoro in serra
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malattie Funghi Il pomodoro può essere colpito da più di 40 specie fungine, di cui oltre la metà trasmissibili anche attraverso il seme. Tali specie possono attaccare tutti gli organi della pianta quali foglie, fusti, fiori, frutti e radici. I danni causati variano a seconda dell’organo colpito e si manifestano in svariate maniere: morte delle giovani piantine direttamente in semenzaio, minore (o nulla) efficienza fotosintetica in seguito alla presenza sulle foglie di necrosi o del patogeno stesso (oidi), scarsa allegagione in seguito ad attacchi fiorali, ridotta produzione in seguito a rottura di branche o del fusto principale, minore capacità nel trasferimento dei nutrienti da parte delle radici colpite, sino al deprezzamento qualitativo dei frutti per la presenza di marciumi o necrosi. L’azione dannosa dei funghi è favorita dall’adozione di tecniche colturali ad alto input, quali l’utilizzo di abbondanti concimazioni minerali, frequenti trattamenti fitosanitari, l’adozione di monosuccessioni ripetute per più anni e la riduzione della base genetica del pomodoro, con un limitato numero di varietà coltivate su elevate superfici. Ciò crea le condizioni per la comparsa di epidemie o di fenomeni di stanchezza del terreno legati soprattutto al progressivo accumulo di patogeni tellurici. L’adozione integrata di metodi di lotta preventivi, genetici e un uso razionale degli agrofarmaci sono la base per l’ottenimento di produzioni di pomodoro stabili e di qualità.
Diagnosi e caratterizzazione dei patogeni fungini
• Ottenimento del patogeno in coltura pura
mediante isolamenti su substrati selettivi agarizzati
• Osservazione microscopica delle
strutture propagative e riproduttive
• Riproduzione dei sintomi mediante prove di patogenicità
• Valutazione delle condizioni ottimali di crescita (T°, UR, luce ecc.)
• Prove di resistenza agli agrofarmaci • Diagnosi molecolare con PCR (primer specifici)
• Ibridazione con sonde marcate (macroe microarrays)
Foto R. Angelini
Geni di resistenza del pomodoro nei confronti di patogeni fungini
Sintomi di peronospora su foglie
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Gene
Resistenza a:
ad
Alternaria alternata
Asc
Alternaria alternata f. sp. lycopersici
Cf 1, Cf 2, Cf 3, Cf 4, Cf 6, Cf 7, Cf 9
Cladosporium fulvum (varie razze)
Frl
Fusarium oxysporum f. sp. radicis-lycopersici
I-1, I-2, I-3
Fusarium oxysporum f. sp. lycopersici (varie razze)
Lv
Leveillula taurica
Ol
Oidium neolycopersici
Ph
Phytophthora infestans
pyl
Pyrenochaeta lycopersici
Sm
Stemphylium solani
Ve
Verticillium spp.
coltivazione Moria delle piantine (Pythium, Phytophthora e Rhizoctonia) La disponibilità di piantine sane e vigorose per il trapianto rappresenta il primo passo per garantire la buona riuscita della coltivazione del pomodoro. Durante la crescita in semenzaio le piantine sono molto delicate e possono essere soggette all’attacco di diversi agenti patogeni. Le sintomatologie causate possono essere diverse a seconda del patogeno e vanno dal marciume del seme, con conseguente mancata germinazione, a sintomi di post emergenza, soprattutto a carico della radice e del fusticino, con marciumi, lesioni e strozzature, che portano all’avvizzimento e alla morte della piantina. Tra le condizioni che possono favorire l’infezione si ricordano la presenza di elevati valori di umidità, di ristagni idrici, di un’elevata fittezza di impianto, di un suolo eccessivamente compatto, di una limitata circolazione d’aria. L’adozione di metodi preventivi che evitino il crearsi di tali situazioni, insieme a una profilassi con prodotti chimici specifici per le diverse specie presenti, possono ridurre drasticamente l’incidenza di tali malattie.
Foto R. Angelini
Alternariosi (Alternaria solani) È una malattia diffusa che interessa il pomodoro in tutti gli areali di produzione mondiali. I primi sintomi compaiono sulle foglie più vecchie sotto forma di lesioni angolari scure che con il procedere della malattia si espandono, con la formazione di tipici cerchi concentrici e di un alone clorotico che circonda la lesione. In presenza di condizioni favorevoli alla malattia, le foglie possono andare incontro a prematura senescenza e minore efficienza fotosintetica.
Attacco di Rhizoctonia spp.
Foto R. Angelini
Necrosi fogliare a macchie concentriche causate da Alternaria solani Alternariosi su foglie
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malattie Sui fusti di giovani piantine il fungo può formare necrosi leggermente depresse che, se localizzate nella zona del colletto, possono interessare l’intera circonferenza e portare alla morte della piantina. Sui frutti si possono verificare lesioni necrotiche di aspetto coriaceo all’inserzione del peduncolo. In particolare su queste ultime, il patogeno produce i conidi di colore scuro olivaceo, di forma allungata (150-350 × 15-19 µ) terminanti con una cellula apicale talvolta più lunga del conidio stesso. La malattia è favorita dalla presenza di umidità e da un range di temperature piuttosto ampio (3-35 °C, optimum 24-29 °C). Il fungo può sopravvivere sui residui infetti fino a 1 anno, o su altre solanacee spontanee. La sua diffusione può avvenire attraverso il seme infetto o mediante i conidi trasportati dalla pioggia. Normalmente i fungicidi impiegati contro la peronospora hanno un certo grado di attività anche contro questa malattia. L’adozione di modelli previsionali, associata all’uso di varietà resistenti e di metodi agronomici preventivi, consente un soddisfacente controllo della malattia.
Foto C. Montuschi
Conidio di Alternaria solani
Danno da Alternaria solani su fusto Alternariosi su bacche di pomodoro
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coltivazione Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Attacco tardivo di peronospora sui frutti
Peronospora (Phytophthora infestans) Questa malattia è conosciuta sin dalla metà del 1800 in America e in Europa, nelle quali si pensa sia stata introdotta dal Centro America. La sua fama è legata alla terribile carestia dovuta all’epidemia su patata che colpì l’Irlanda nel 1840 causando la morte di migliaia di persone; secondo alcuni storici, la riduzione di riserve alimentari causate da epidemie di peronospora può avere favorito la fine anticipata della Prima guerra mondiale. Anche se particolarmente grave sulla patata, questo fungo può causare seri danni anche sul pomodoro. Sulle foglie colpite si ha la comparsa di macchie traslucide di forma irregolare che, con il proseguire dell’infezione, si allargano e assumono colore marrone scuro. In condizioni di elevata umidità si osservano sulla pagina inferiore le strutture propagative costituite dai rami sporangiofori che differenziano gli sporangi (21-38 × 12-23 µ) al cui interno
Attacco di peronospora su foglie Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
L’attacco sui frutti interessa generalmente le bacche ancora verdi sulle quali compaiono macchie traslucide, irregolari e depresse che progressivamente si estendono, assumendo differenti colorazioni tra il verde oliva e il bruno. Le bacche colpite non maturano ma cadono al suolo o marciscono
L’infezione sulle foglie ha un decorso differente in relazione alle condizioni ambientali: se sono sfavorevoli, l’alterazione rimane circoscritta a macchie irregolari che disseccano, mentre in condizioni di elevata umidità conservano l’efflorescenza bianco-brunastra
198
malattie Foto R. Angelini
Modello previsionale IPI (Indice Potenziale Infettivo) della Regione Emilia-Romagna per la peronospora del pomodoro
• Parametri considerati: – precipitazione totale giornaliera – umidità media giornaliera (%) – temperatura media, minima e massima giornaliera (°C) – data di emergenza o di trapianto della coltura
vengono prodotte le zoospore le quali, trasportate dal vento e dalla pioggia, causano la rapida trasmissione della malattia sulle piante adiacenti. Sui peduncoli fiorali e fogliari e sui fusti il fungo determina la comparsa di lesioni necrotiche allungate che possono interessarne tutta la circonferenza con conseguente morte dei tessuti soprastanti. L’attacco ai frutti determina la comparsa di grosse macchie scure, ispessite e di aspetto rugoso, che sui frutti maturi possono fessurarsi. Il fungo si conserva sui residui colturali infetti o su solanacee spontanee. Intervalli di temperature tra i 10 e i 23 °C (optimum 12 °C) in presenza di elevati valori di umidità possono determinare uno sviluppo epidemico della malattia con distruzione di interi campi. Sono state descritte due razze, T0 e T1, caratterizzate da un diverso grado di virulenza. Analogamente a quanto avvenuto per la patata, anche per il pomodoro sono stati messi a punto modelli previsionali per lo sviluppo della peronospora che consentono una razionalizzazione nell’uso degli agrofarmaci.
• In seguito a elaborazione matematica dei dati ottenuti, il modello fornisce:
– indice di rischio potenziale giornaliero cumulato – data di superamento della soglia di alto rischio; esecuzione del primo trattamento su pomodoro Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Caratteristica sintomatologia su foglie e piccioli e striature longitudinali sui fusti Attacco di peronospora su pomodoro in pieno campo
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coltivazione Cladosporiosi (Fulvia fulva) Descritto per la prima volta negli Stati Uniti (Carolina del Sud) nel 1883, il fungo è considerato il patogeno fogliare più grave del pomodoro, anche se nelle condizioni europee può causare danni solo alle coltivazioni di serra. I primi sintomi sono a carico delle foglie basali più vecchie, sulla cui pagina superiore si osserva la comparsa di macchie clorotiche, dal margine non ben definito cui corrisponde, nella parte inferiore, la comparsa di una tipica muffa di colore olivaceo, costituita dalle propagazioni agamiche del patogeno (Fulvia fulva = Cladosporium fulvum). Con il procedere della malattia, le macchie si allargano causando ingiallimenti e defogliazione. Anche se con minor frequenza, è possibile osservare sintomi anche su piccioli, fiori, fusti e frutti. Su questi ultimi, il fungo causa marciumi coriacei nerastri nella parte distale, inframmezzati da zone biancastre causate da tasche di aria subepidermiche. La forma agamica del fungo è caratterizzata da conidi con 1-3 setti, di forma da cilindrica a ellittica, dritti o leggermente ricurvi, di colore dal chiaro al marrone scuro, con dimensioni di 16-40 × 4-10 µ, portati da conidiofori non ramificati che emergono in gruppi dalle aperture stomatiche. I conidi e il micelio sono particolarmente resistenti al disseccamento, favorendo la conservazione del fungo sui residui colturali infetti o nelle strutture della serra. L’infezione, favorita dalla presenza di umidità e da temperature ottimali di 22-24 °C, è causata dalla disseminazione dei conidi a opera del vento, della pioggia, dal seme infetto e dall’uomo tramite gli strumenti di lavoro. La malattia può essere controllata agevolmente mediante metodi preventivi (arieggiamento delle serre, uso razionale delle concimazioni) e interventi con fungicidi.
Attacco di cladosporiosi su pomodoro
Foto R. Angelini
Sporulazione di Cladosporium fulvum sulla pagina inferiore Sintomi di cladosporiosi
200
malattie Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Mal bianco (Leveillula taurica e Oidium lycopersici) Il mal bianco è una delle malattie più facilmente diagnosticabili, grazie alla presenza sulle foglie colpite di un tipico feltro di colore biancastro da cui prende il nome la malattia. Tuttavia l’identificazione dell’agente causale può essere assai complessa: sul pomodoro sono state descritte diverse specie capaci di causare tale sintomatologia. La più diffusa nei nostri areali è Leveillula taurica in cui la forma agamica del fungo (Oidiopsis sicula) determina estese aree decolorate di colore dal verde chiaro al giallo brillante sulla superficie dorsale delle foglie colpite. Dopo essere penetrato attraverso gli stomi, il fungo si sviluppa all’interno della foglia, dalla quale fuoriesce producendo sulla pagina inferiore una massa polverulenta biancastra, costituita dai conidi. Essi sono portati singolarmente da corti conidiofori e hanno dimensioni variabili (25-40 × 12-22 µ). Con il progredire della malattia, le lesioni si allargano, portando al disseccamento dell’intera foglia. La forma sessuata è costituita dai cleistoteci di dimensioni
Esiti di mal bianco su foglie
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Sintomi di mal bianco su frutto
201
coltivazione variabili (70-110 × 25-40 µ) ciascuno contenente 20-35 aschi, a loro volta contenenti due ascospore. La germinazione delle spore e l’infezione sono favorite dalle fluttuazioni di temperatura e umidità che si riscontrano tra il giorno e la notte, che creano condizioni di umidità elevate (70-100%). Temperature ottimali per la germinazione dei conidi sono tra 18 e 24 °C. Una volta penetrato nella foglia, temperature >30 °C possono accelerare sia l’infezione sia la morte dei tessuti colpiti. L’altro agente causale di mal bianco su pomodoro è Oidium lycopersici, di cui non è stata individuata la forma perfetta e che si differenzia dalla precedente per l’andamento ectofitico e la prevalente sporulazione sulla pagina dorsale della foglia. In caso di forti attacchi, la foglia viene ricoperta completamente dalle fruttificazioni del patogeno e muore. A differenza della precedente specie, Oidium lycopersici è favorito da temperature più fresche (20 °C), in particolare dopo 1-2 giorni di bagnatura fogliare. Il mal bianco è una malattia che interessa principalmente le coltivazioni di serra, ma sono possibili attacchi anche in pieno campo. Il controllo della malattia si basa essenzialmente sull’uso di fungicidi di contatto a base di zolfo o di prodotti sistemici e sull’adozione di misure preventive.
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini Foto R. Angelini
Sintomi di oidio su foglie di pomodoro
202
malattie
Foto C. Boccongelli
Sintomi di muffa grigia su foglia
Muffa grigia (Botryotinia fuckeliana) Pur essendo considerato come un parassita di debolezza, le infezioni causate dalla forma agamica (Botrytis cinerea) possono determinare in certe condizioni notevoli perdite di produzione, soprattutto per le coltivazioni di serra. La penetrazione del fungo nei tessuti dell’ospite può avvenire direttamente grazie alla formazione di appressori, ma viene soprattutto favorita dalla presenza di ferite causate da agenti naturali o da insetti. Sulle foglie e sui fusti il fungo produce lesioni di diversa dimensione sulle quali si sviluppa rapidamente un feltro grigio scuro costituito da conidiofori e conidi che talvolta possono interessare l’intera circonferenza e causare la morte dei tessuti soprastanti. L’attacco del fungo sui tessuti fiorali determina la formazione di marciumi Foto C. Boccongelli
Efflorescenza grigia su bacche di pomodoro, tipico sintomo di infezione da B. fuckeliana
Grave attacco di muffa grigia (Botryotinia fuckeliana) su pianta
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coltivazione molli dei tessuti del calice del frutto sui quali il fungo sporifica intensamente. Talvolta, su frutti in maturazione è possibile osservare una sintomatologia detta “macchie fantasma”, costituita da anelli gialli o verde chiaro, causati dalla penetrazione diretta dei conidi nei giovani frutti e dal successivo arresto dello sviluppo del micelio. Pur non determinando la comparsa di marciumi, tale sindrome può compromettere la commerciabilità del prodotto. I conidi di B. cinerea sono ialini, unicellulari, di forma ellissoidale (9,7-11 × 7,3-8 µ), portati all’apice di lunghi conidiofori ramificati all’estremità ciascuna terminante con uno sterigma. Gli apoteci e le ascospore di B. fuckeliana sono raramente prodotti dagli sclerozi. Lo sviluppo del patogeno è favorito da climi relativamente freschi (20 °C) e dalla presenza di elevata umidità, condizioni che possono talvolta verificarsi in alcune serre con densità d’impianto troppo elevate. Il patogeno è altamente polifago ed è in grado di persistere nel terreno grazie alla sua notevole attitudine saprofitaria e alla capacità di produrre sclerozi. Al sopraggiungere delle condizioni favorevoli, questi ultimi germinano producendo micelio e conidi che, portati dal vento, possono attaccare tutti gli organi aerei del pomodoro. Il controllo della malattia si basa essenzialmente su misure profilattiche (densità di impianto non elevate, eliminazione dei residui infetti, integrità delle piante ecc.) e chimiche, soprattutto dopo le operazioni di scacchiatura.
Foto R. Angelini
Marciume molle dei tessuti in corrispondenza del punto di penetrazione del patogeno Presenza di muffa grigia su bacca
Foto C. Boccongelli
204
malattie Septoriosi (Septoria lycopersici) La septoriosi è considerata come una delle più devastanti malattie fogliari del pomodoro. Segnalata per la prima volta in Argentina nel 1882, è stata successivamente riscontrata in Europa (1888), Stati Uniti (1896) e Australia (1902). Durante la formazione dei frutti, il fungo può attaccare le foglie basali sulle quali provoca lesioni circolari necrotiche di pochi millimetri, leggermente depresse, dapprima traslucide e in seguito di colore grigio chiaro circondate da un margine scuro, all’interno delle quali è possibile osservare la presenza dei picnidi. Sul fusto e sui piccioli le lesioni sono più allungate e, in caso di forti attacchi, possono causare il disseccamento e la caduta anticipata della foglia, esponendo i frutti a un’eccessiva insolazione. L’infezione è favorita da temperature intorno ai 25 °C e dalla presenza di elevata umidità. In tali condizioni, i conidi attaccano le foglie più vicine al terreno, in particolare durante la formazione dei primi frutti. Successivamente l’infezione si propaga alle piante adiacenti tramite i conidi trasportati dall’acqua e dal vento o da altri vettori (uomo, insetti). I conidi sono filiformi (52-95 × 2 µ), con 2-6 setti, di forma allungata all’apice e tronca alla base, portati da corti conidiofori che tappezzano l’interno dei corpi fruttiferi, i picnidi, di diametro tra 75 e 200 µ. Lo svernamento del patogeno e la diffusione della malattia sono favoriti dalla capacità del patogeno di infettare, oltre il pomodoro, anche altre solanacee spontanee (Solanum nigrum, S. carolinense, Datura stramonium). L’adozione di pratiche agronomiche preventive (trapianto di piantine sane, pacciamatura, rotazioni colturali evitando le solanacee, distruzione o interramento profondo dei residui infetti, controllo delle malerbe spontanee) e l’uso di anticrittogamici consentono di contenere agevolmente tale malattia.
Macchie di septoriosi su foglia, fortemente ingrandite
Stemfiliosi (Stemphylium spp.) Su pomodoro sono conosciute diverse specie di Stemphylium in grado di provocare danni fogliari (S. vesicarium, S. solani, S. lycopersici). Sulle foglie si osserva la comparsa di macchie necrotiche angolari, talvolta accompagnate da un modesto alone clorotico. Con il procedere dell’infezione, le lesioni tendono a seccarsi e a fessurarsi; infezioni di forte intensità possono portare alla completa defogliazione. L’osservazione di caratteri colturali, quali l’aspetto e il colore del micelio, la presenza e il portamento dei conidiofori, la forma, le dimensioni e il colore dei conidi, consente l’identificazione delle diverse specie. La malattia è favorita da temperature elevate e presenza di umidità. Generalmente, la disponibilità di varietà resistenti e i trattamenti fogliari effettuati per la lotta ad altri patogeni fogliari (per esempio Alternaria) sono sufficienti per il controllo della malattia.
Lesioni fogliari di stemfiliosi (Stemphylium spp.) su foglia
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coltivazione Funghi tellurici I funghi trasmessi attraverso il terreno possono essere raggruppati, in base alla sintomatologia causata, in agenti di tracheomicosi, che interessano l’apparato vascolare, e agenti di marciume, che possono interessare radici e fusto e la zona del colletto. Le tracheomicosi sono a loro volta distinte, in base all’agente causale coinvolto, in tracheofusariosi, causate da Fusarium oxysporum f. sp. lycopersici, e tracheoverticilliosi, causate da Verticilium dahliae e V. albo-atrum. La sintomatologia causata dalle due malattie è simile: inizia con ingiallimenti e avvizzimenti delle foglie basali che procedono in senso acropeto, molto spesso interessando un solo lato della pianta, seguite da ripiegamento delle foglie verso il basso. Il sintomo più caratteristico di entrambe le malattie è la presenza di imbrunimenti più o meno estesi dei vasi legnosi, osservabili a occhio nudo praticando con una lama una sezione trasversale del fusto. Con il procedere dell’infezione, la pianta assume un aspetto stentato, soprattutto in presenza di elevate temperature, cui fanno seguito disseccamenti e morte dell’intera pianta. Le perdite produttive sono dovute, oltre al minor numero di piante, anche alla minore allegagione e alla ridotta pezzatura dei frutti prodotti dalle piante infette. Il fungo penetra nella pianta attraverso aperture naturali presenti sulle radici; dopo una prima fase di colonizzazione dei tessuti parenchimatici, il fungo si localizza all’interno dei vasi xilematici attraverso i quali viene trasferito seguendo il flusso dei soluti. Nel tentativo di bloccare il passaggio del fungo, la pianta reagisce mediante l’emissione all’interno dei vasi di tille e gomme che hanno però come conseguenza l’arresto del passaggio dei soluti. Nonostante le similitudini che presentano nella sintomatologia, Fusarium oxysporum e Verticillium si differenziano per una serie di caratteri morfologici e fisiologici. Tra questi, i principali sono: 1) diversa morfologia dei conidi, dei conidiofori e delle strutture di conservazione; 2) diversa gamma di ospiti suscettibili (più di 300 spe-
Radice suberosa (Pyrenochaeta lycopersici)
Strutture di conservazione dei funghi tellurici
• Molti funghi trasmessi attraverso
il terreno hanno sviluppato strutture di conservazione particolarmente efficaci che permettono loro di resistere all’azione di fattori biotici e abiotici e di sopravvivere nel terreno per diversi anni. Tra le forme più comuni si ricordano le oospore prodotte da molti Oomiceti, le clamidospore (o clamidoconidi, comuni a molte specie di Fusarium), microsclerozi (caratteristici in Verticillium e Pyrenochaeta lycopersici). Tali strutture possono trovarsi libere nel terreno o associate ai residui colturali delle piante. Sono importanti per l’inizio dell’infezione, per la disseminazione della malattia e per l’identificazione della specie
Microsclerozi di Verticillium dahliae
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malattie
Variabilità patogenetica
• La variabilità patogenetica di molte
specie fungine era già nota a partire dalla fine del 1800. Nel 1930 il Codice Internazionale per la Nomenclatura Botanica ha introdotto la categoria delle forme speciali per indicare un insieme di isolati all’interno di una specie in grado di attaccare una sola specie vegetale. Esistono poi le razze, cioè gruppi di individui in grado di attaccare solo alcune varietà all’interno della stessa specie. In Fusarium oxysporum sono state descritte più di 70 forme speciali inclusa quella specifica per il pomodoro (f. sp. lycopersici), di cui sono note tre razze. La conoscenza della variabilità patogenetica di una specie fungina è fondamentale per lo sviluppo di varietà resistenti
Ramo conidioforo e conidi di Verticilium dahliae
cie vegetali erbacee o arbustive per V. dahliae, ed esclusivamente il pomodoro per F. oxysporum dahliae); 3) diverse temperature ottimali per l’infezione: intorno ai 28 °C per F. oxysporum dahliae e inferiori per V. dahliae (23-25 °C) e V. albo-atrum (20-25 °C). Rispetto ai patogeni fogliari, il controllo chimico dei patogeni del pomodoro di origine tellurica è meno agevole ed efficace, sia per i costi elevati sia per l’impatto sull’ambiente. I migliori risultati sono stati ottenuti con il miglioramento genetico per la resistenza, con l’introduzione di geni di resistenza a F. oxysporum dahliae e V. dahliae presenti nel germoplasma selvatico di pomodoro, che hanno garantito l’ottenimento di rese elevate e stabili. Grande attenzione viene comunque posta per evitare l’introduzione e diffusione di nuove razze (per esempio la razza 3 di F. oxysporum dahliae presente attualmente in Brasile, Australia e Stati Uniti ma non in Europa o la razza 2 di V. dahliae). Altri metodi di controllo (solarizzazione, vapore, innesto) sono attualmente applicati con esiti variabili.
Foto G. Campanelli
Avvizzimenti causati da Fusarium oxysporum f. sp. lycopersici
Sezione di fusto con imbrunimento dei vasi
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coltivazione Radice suberosa (Pyrenochaeta lycopersici) La malattia deve il suo nome comune alla tipica sintomatologia causata dal fungo sulle radici di pomodoro. Sulle giovani radichette il fungo provoca inizialmente delle piccole lesioni necrotiche di colore marrone scuro, mentre sul fittone e sulle radici secondarie tali lesioni si ispessiscono e suberificano, dando luogo a fessurazioni longitudinali di alcuni centimetri, dall’aspetto simile alla corteccia di un albero. Attraverso tali lesioni vengono favoriti l’ingresso e l’insediamento di altre specie microbiche che possono portare le radici a un completo disfacimento. In presenza di lievi attacchi, i sintomi sulla parte aerea delle piante sono moderati in quanto esse, anche grazie all’emissione di radici avventizie, riescono a sopperire alla minore efficienza radicale. Attacchi più gravi, con l’interessamento di buona parte dell’apparato radicale, fanno andare le piante incontro a stress idrici e nutrizionali e quelle colpite assumono un aspetto molto stentato e irregolare con ingiallimenti diffusi delle foglie basali e con perdite di produzione fino al 70%. Il fungo produce picnidi globosi solitari di colore scuro (diametro 100-400 μ), contenenti conidi unicellulari (4,5-8 × 1,5-2 μ) portati da lunghi rami conidiofori settati (20-100 μ) e microsclerozi (38-112 × 9-45 μ) che ne permettono la sopravvivenza nel terreno fino a diversi anni. Oltre al pomodoro, P. lycopersici è in grado di attaccare, tra le solanacee, il peperone e la melanzana e, tra le cucurbitacee, il melone e il cetriolo. L’infezione è favorita da temperature intorno ai 1520 °C, condizione che ne ha inizialmente favorito la diffusione nelle zone pomodoricole del Nord Europa e nelle serre dell’Italia del Nord. Tuttavia sono note popolazioni del fungo che si sono adattate a temperature più elevate, consentendo la rapida diffu-
Fessurazioni longitudinali dall’aspetto suberoso su radice infetta da Pyrenochaeta lycopersici
Foto R. Angelini
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malattie sione della malattia anche nel Centro e Sud Italia. Tra le cause che hanno favorito la diffusione della suberosi radicale sembra rivestire un ruolo importante l’abbandono di pratiche agricole tradizionali, quali le letamazioni e le rotazioni colturali. Il conseguente impoverimento del contenuto in sostanza organica del suolo, con riflessi negativi sulla micoflora antagonista in grado di contenere il patogeno e la relativa polifagia di P. lycopersici, aggravano il quadro epidemiologico di tale malattia. L’elevata diffusione della malattia è stata favorita anche dal recente divieto d’uso del bromuro di metile, fumigante in grado di contenere ma non di eradicare la suberosi radicale. Tra le molte alternative al suo utilizzo, è stata valutata l’efficacia di pratiche quali la solarizzazione, l’utilizzo di agenti di biocontrollo e di portinnesti resistenti, ma con risultati parziali e spesso insoddisfacenti. La costituzione di materiali genetici resistenti e adatti alle regioni italiane costituisce il mezzo di lotta economicamente più accettabile ed ecocompatibile. Marciume basale (Fusarium oxysporum f. sp. radicis-lycopersici) Segnalata per la prima volta alla fine degli anni ’60, questa forma speciale di F. oxysporum provoca marciumi dell’apparato radicale e dei tessuti parenchimatici nella zona del colletto, associati a una limitata colonizzazione dei tessuti vascolari, che raramente si estendono oltre i 20-25 cm dal livello del terreno. Le piante colpite tendono ad avvizzire, soprattutto in concomitanza di elevate temperature diurne. La presenza di elevate condizioni di umidità può favorire la sporificazione del fungo a livello delle lesioni al colletto. La notevole capacità di ri-colonizzazione di terreni sottoposti a sterilizzazione o di substrati inerti di colture idroponiche, a causa dell’assenza di una flora microbica antagonista, fanno di tale specie una notevole minaccia per la coltura del pomodoro in serra o in coltivazioni fuori suolo. Oltre che per la sintomatologia, Forl si differenzia dalla forma speciale lycopersici anche per la più estesa gamma di ospiti, per le più basse temperature ottimali per l’infezione (15-18 °C) e per l’assenza di specializzazione fisiologica. L’identificazione delle due forme può avvenire in seguito a inoculazione artificiale su linee differenziali di pomodoro o mediante marcatori molecolari.
Marciume basale causato da Fusarium oxysporum f. sp. radicis-lycopersici
Funghi tellurici secondari Su pomodoro esistono diversi patogeni in grado di provocare delle alterazioni a livello della radice e del colletto. Pur essendo meno diffusi e dannosi di quelli descritti in precedenza, la loro incidenza e la loro gravità possono in alcune situazioni portare a gravi perdite di produzione. Tra questi occorre ricordare il mal dello sclerozio, causato da Sclerotium rolfsii, facilmente riconoscibile dalla presenza dei tipici sclerozi marrone chiaro a forma di grani di senape immersi in un micelio biancastro all’interno delle lesioni provocate dal
Marciume basale e imbrunimenti vascolari causati da Fusarium oxysporum f. sp. radicis-lycopersici
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coltivazione
Sclerozi di Sclerotium rolfsii
fungo alla base della pianta. La malattia è favorita dalla presenza di alte temperature (30-35 °C) associate a elevata umidità (irrigazione, pioggia). Anche l’antracnosi, causata da Colletotrichum coccodes, può talvolta determinare gravi infezioni sulle radici di pomodoro, spesso in associazione con altri funghi, come P. lycopersici. Sulle radici infette, il fungo causa lesioni scure sulla cui superficie è possibile osservare la presenza di numerosi microsclerozi, che ne favoriscono la sopravvivenza nel terreno per oltre 8 anni. Tale fungo è in grado di poter causare danni anche su specie di pomodoro utilizzate come portinnesto per il controllo di altre malattie di origine tellurica. Attacchi di Fusarium solani possono causare marciumi radicali sotto forma di lesioni scure, sul fittone o sulle radici secondarie, che sono in grado di estendersi ai tessuti interni e ai vasi conduttori, portando le piante colpite al collasso. Tra le altre specie che possono causare marciumi sul pomodoro in particolari condizioni vanno ricordate le sclerotinie (Sclerotinia sclerotiorum e S. minor), funghi polifagi in grado di attaccare radici, fusto, foglie e frutti del pomodoro, sui quali producono un feltro miceliare biancastro, al di sotto del quale si formano dei marciumi molli dei tessuti, all’interno dei quali vengono prodotti i microsclerozi, la cui forma e dimensione consente di identificare le due specie.
Sintomi sul fusto provocati da Sclerotinia sclerotiorum
Principali agenti fitopatogeni isolati da pomodoro allevato con sistemi fuori suolo FUNGHI NON ZOOSPORICI Colletotrichum coccodes F. oxysporum f. sp. lycopersici F. oxysporum f. sp. radicis-lycopersici
Malattie del pomodoro in coltivazioni fuori suolo La coltivazione idroponica del pomodoro, a ciclo chiuso, consente di ovviare a molti dei problemi fitopatologici presenti nei sistemi di coltivazione convenzionali, soprattutto quelli causati dai funghi del terreno. L’utilizzo di substrati inerti riduce al minimo il rischio di attacchi di organismi patogeni alle radici, mentre il miglior stato vegetativo delle piante rende possibile la riduzione del numero dei trattamenti antiparassitari e l’eliminazione della pratica del diserbo. Accanto a questi vantaggi, tuttavia, esistono rischi legati all’introduzione accidentale di microrganismi il cui insediamento
FUNGHI ZOOSPORICI Phytophtora cryptogea Phytophtora nicotianae Pythium debaryanum Pythium sylvaticum
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malattie è favorito dalla mancanza dell’azione di contenimento della microflora del terreno, dalla presenza di elevata uniformità genetica dell’ospite, dalle condizioni di temperatura, umidità e pH costanti e, soprattutto, dalla possibilità di diffusione rapida attraverso la soluzione circolante. Le profonde modificazioni dell’habitat di crescita delle piante in coltura idroponica determinano differenti quadri fitopatologici, per eziologia ed evoluzione delle malattie, rispetto ai sistemi di coltivazione tradizionali. Se da un lato, infatti, si assiste a una sostanziale riduzione del numero delle specie patogene rispetto alla coltivazione tradizionale in terra, la coltivazione fuori suolo può far aumentare la gamma di ospiti di alcuni patogeni, può selezionare nuovi patogeni o creare le condizioni per le quali alcuni patogeni radicali, di minore o nessuna importanza in condizioni di campo, possano diventare altamente virulenti per le colture allevate in idroponica. Le specie fungine più frequentemente associate alla comparsa di malattie delle piante in sistemi fuori suolo sono ascrivibili agli Oomiceti, in particolare ai generi Pythium, Phytophthora, Plasmopara e Olpidium. Le strategie di lotta, oltre che su metodi preventivi, possono essere basate sull’adozione di metodi fisici, quali la filtrazione lenta a sabbia, la sterilizzazione della soluzione nutritiva con il calore, l’uso di raggi UV e l’ozonizzazione. L’utilizzo di mezzi chimici presenta rischi legati alla maggiore fitotossicità, alla possibilità di accumulo nel sistema di coltivazione e negli organi destinati al consumo fresco e al rischio di comparsa di resistenze ai diversi principi attivi utilizzati. La possibilità di impiegare agenti di controllo biologico in sistemi fuori suolo sembra infine molto promettente.
Foto R. Angelini
La coltivazione fuori suolo permette di minimizzare il rischio di infezioni alle radici e di contenere lo sviluppo delle erbe infestanti
Foto R. Angelini
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coltivazione Batteri Tra le alterazioni parassitarie che colpiscono il pomodoro, i patogeni di natura batterica assumono un ruolo di primaria importanza. I batteri fitopatogeni del pomodoro possono determinare alterazioni in tutti gli organi della pianta, alcuni sono patogeni da quarantena, talora trasmissibili per seme. Negli ultimi anni le malattie batteriche sono risultate sempre più presenti sul territorio nazionale manifestandosi talora in maniera sporadica, risultando tuttavia potenzialmente pericolose, o determinando scoppi epidemici anche rilevanti, con consistenti perdite di produzione. L’aumento della frequenza e della dannosità delle malattie batteriche può essere dovuto a vari fattori, quali la manifestazione di condizioni ambientali favorevoli, una pratica fitosanitaria incentrata sulla difesa di altri parassiti (animali o vegetali) o una scarsa conoscenza dei quadri sintomatici. L’attuale disponibilità di adeguate metodiche (sierologiche o molecolari) per la diagnosi dei batteri è di fondamentale importanza per una pronta individuazione delle problematiche fitosanitarie e l’applicazione di idonee strategie di lotta. Essendo queste ultime basate principalmente su criteri preventivi (in Italia, infatti, è vietato l’utilizzo degli antibiotici), sono di fondamentale importanza l’impiego di seme certificato e di materiale vivaistico sano, la pronta eliminazione di fonti di inoculo, una corretta gestione delle condizioni termo-igrometriche delle serre, l’applicazione di adeguate rotazioni colturali, l’uso di trattamenti preventivi a base di rame o induttori di resistenza.
Foto R. Angelini
Sintomi provocati da Pseudomonas syringae pv. tomato su foglie
5 razze di Ralstonia solanacearum e relativi ospiti
• Razza 1: tabacco, patata, pomodoro,
melanzana, banana diploide, altre solanacee anche spontanee e altre specie di diverse famiglie vegetali (ambienti tropicali, temperature 35-37 °C)
• Razza 2: banana triploide e Heliconia spp. (piante ornamentali) nelle zone tropicali del Sud America e delle Filippine, (temperature 35-37 °C)
• Razza 3: principalmente patata
e pomodoro, geranio, occasionalmente melanzana, peperone, e altre solanacee spontanee (ambiente temperato e subtropicale, temperature 27 °C)
• Razza 4: ginger (Zingiber officinale) • Razza 5: gelso (Morus spp.) Moria delle piante in campo per un’infezione da Ralstonia solanacearum
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malattie Avvizzimento batterico (Ralstonia solanacearum) Ralstonia solanacearum (sinonimo Pseudomonas solanacearum) è uno dei batteri fitopatogeni più pericolosi in tutto il mondo, a causa delle ingenti perdite economiche da esso causate. È un patogeno da quarantena, oggetto di legislazione fitosanitaria, ed è addirittura considerato un agente di bioterrorismo. Presenta un’ampia gamma di ospiti: sono circa 200 le specie coltivate e spontanee colpite da questa batteriosi in zone tropicali, subtropicali e temperate. La razza 3 biovar 2, adattata a temperature con optimum di 27 °C, è responsabile, oltre che dell’avvizzimento batterico delle solanacee (pomodoro, melanzana, peperone) e del geranio, anche del marciume bruno della patata. Il patogeno in Italia è stato dapprima osservato su pomodoro intorno al 1930 e successivamente in coltivazioni di patata in Veneto e in Emilia-Romagna intorno al 1995, probabilmente a seguito dell’introduzione di lotti di patata infetti dall’Olanda. Infatti, qualche anno prima, fra il 1989 e il 1993, scoppi epidemici della malattia erano stati individuati in Belgio, Olanda e Regno Unito. Tra il 1995 e il 1997 sono stati intercettati al porto di Ravenna lotti di patata infetti di provenienza egiziana. Nel 2007 e di recente nel 2009, il batterio è stato nuovamente segnalato sul pomodoro, in due aree dell’agro cagliaritano, in Sardegna. Il sintomo caratteristico di questa avversità è rappresentato dall’avvizzimento della vegetazione, che può comparire a qualsiasi stadio di sviluppo della pianta. Sul pomodoro le piante manifestano epinastia dei piccioli e flaccidezza, talora in maniera asimmetrica, durante le ore più calde della giornata, riprendendo vigore con l’abbassamento serale della temperatura. Con il proseguire dell’infezione l’avvizzimento diventa irreversibile e, in condizioni ambientali favorevoli per l’agente patogeno (temperatura del suolo di circa 25 °C, umidità satura), la pianta giunge velocemente al collasso.
Ralstonia solanacearum: razze e phylotype
• Specie batterica molto eterogenea:
tradizionalmente distinguibile in 5 razze (in base al gruppo di piante ospiti) e 4 biovar (in base ai caratteri biochimici) recentemente è stata proposta la classificazione in 4 phylotype e varie sequevar (sulla base di studi filogenetici di sequenza)
Flora spontanea ospite di Ralstonia solanacearum
• Solanum dulcamara, S. nigrum,
S. cinereum, S. carolinense, Datura stramonium, Portulaca oleracea, Brassica, Tropaeolum majus, Urtica dioica, Chenopodium album, Phyllanthus niruri, Lagasca mollis, Melampodium perfoliatum, Polygonum pensylvanicum, Hydrocotyle ranunculoides, Ageratum conyzoides, Ranunculus sceleratus
Morfologia di colonie di Ralstonia solanacearum su mezzo selettivo
Presenza di essudato e imbrunimento del fusto in pianta di pomodoro infetta da Ralstonia solanacearum (sezione longitudinale)
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coltivazione Le foglie possono presentare un ripiegamento del lembo verso l’alto. In condizioni ambientali meno favorevoli (temperatura del suolo inferiore a 21 °C) la malattia evolve meno velocemente, la pianta mostra un arresto dello sviluppo e sullo stelo possono svilupparsi numerose radici avventizie. Lungo il fusto si evidenziano striature longitudinali brunastre, conseguenza dell’imbrunimento dei tessuti vascolari. Tagliando lo stelo trasversalmente si può osservare l’emissione di un essudato bianco-giallastro. La penetrazione del batterio nella pianta avviene principalmente attraverso ferite radicali provocate da cause diverse, come insetti, nematodi, emissione di radici secondarie e strumenti da lavoro. Il batterio si moltiplica dapprima negli spazi intercellulari della corteccia e del parenchima delle radici e quindi prosegue la colonizzazione dell’ospite attraverso il sistema vascolare. Dalla pianta passerà al suolo, sopravvivendo come saprofita, fino a infettare un nuovo ospite. R. solanacearum è infatti in grado di sopravvivere nell’acqua e nel suolo per lunghi periodi. La sua persistenza nel suolo sembra correlata all’associazione con residui vegetali o alla rizosfera di diversi ospiti selvatici che fungono da serbatoi asintomatici. La sopravvivenza a lungo termine di R. solanacearum sembra inoltre dovuta alla sua capacità di assumere uno stadio simil-dormiente (cosiddetto vitale ma non coltivabile), tipico di molti microbi del suolo. A causa della sua persistenza nelle aree di coltivazione è molto importante stabilire una corretta rotazione colturale, al fine di mantenere basso il rischio di epidemie. Osservazioni in campo hanno evidenziato che l’alternanza di specie suscettibili con riso e mais determina una soppressione della popolazione batterica. Altre specie non ospiti di R. solanacearum e che non albergano il batterio nella rizosfera sono: il radicchio, le insalate, la carota, l’aglio, la cipolla e varie brassicacee.
Disseminazione di Ralstonia solanacearum
• Il principale rischio per la disseminazione del patogeno a lunga distanza è rappresentato dai tuberi-seme di patata
• Il patogeno è stato verosimilmente
introdotto in Europa a seguito della importazione di patate da tavola dall’Egitto, con conseguente contaminazione del sistema di produzione europeo fino all’infezione di colture da seme. Attualmente rappresentano un rischio di introduzione del patogeno le talee infette di geranio, in particolare quelle provenienti da Kenya, Canarie, Israele, Messico, Brasile e USA
• Per la disseminazione a breve distanza assume importanza la contaminazione degli impianti industriali sia per lotti di patata in commercializzazione sia per le acque di lavaggio dei tuberi, poi diffuse nell’ambiente
Lotta obbligatoria contro Ralstonia solanacearum
• Il Decreto 30 ottobre 2007 contiene
le disposizioni per la lotta obbligatoria contro Ralstonia solanacearum. Questo prescrive tutte le misure di lotta tese a: - localizzare la presenza del patogeno - determinarne la distribuzione - prevenirne la comparsa e la disseminazione - attuarne l’eradicazione
Macchiettatura batterica (Pseudomonas syringae pv. tomato) L’agente causale della malattia nota come macchiettatura o picchiettatura batterica del pomodoro è il batterio Pseudomonas syringae pv. tomato. Isolato per la prima volta intorno agli anni ’30 nell’isola di Formosa e negli USA, attualmente è diffuso nella maggior parte delle aree di coltivazione del pomodoro. In Italia il patogeno è stato segnalato la prima volta a Mola, in provincia di Bari, nel 1949. I sintomi della malattia possono manifestarsi su tutti gli organi epigei della pianta. Sulle foglie si osservano dapprima piccole aree idropiche, visibili principalmente sulla pagina inferiore della lamina, che evolvono in macchie necrotiche, circondate da alone clorotico. Più lesioni possono confluire interessando ampie porzioni del lembo fogliare. Anche su stelo, piccioli, peduncoli e pedicelli possono osservarsi tacche necrotiche longitudinali. I sintomi su foglie e fusto possono essere confusi con quelli causati da Xanthomonas vesicatoria (macu-
• L’allegato II del decreto definisce nel
dettaglio i protocolli per la diagnosi, il rilevamento e l’identificazione di R. solanacearum in piante di patata e pomodoro con sintomi e in campioni di tuberi di patata a infezione latente
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malattie Foto M. Scortichini
Pseudomonas syringae pv. tomato soggetto a legislazione fitosanitaria
• Il DM 14 aprile 1997 relativo alle norme
tecniche sulla commercializzazione delle piantine di ortaggi e dei materiali di moltiplicazione cita P. syringae pv. tomato fra gli organismi nocivi specifici pregiudizievoli alla qualità del pomodoro
Macchie nerastre, rilevate, circondate da alone clorotico su frutto di pomodoro infetto da Pseudomonas syringae pv. tomato
Sopravvivenza di Pseudomonas syringae pv. tomato
latura batterica), tuttavia quest’ultimo causa solitamente lesioni di dimensioni maggiori. Sul frutto si formano piccole macchie (1-2 mm) nerastre, lievemente rilevate sulla superficie, circondate da un alone idropico, verdastro nei frutti immaturi e giallastro nei frutti in maturazione. Essendo queste lesioni confinate agli strati più superficiali del frutto – non costituendo, quindi, una via di accesso ad agenti di marciume secondario – causano principalmente il deprezzamento del pomodoro da mensa, incidendo in minore misura sul pomodoro da industria. La malattia può risultare molto dannosa quando la temperatura è compresa fra 13 e 25 °C, frequenti in serra fredda, e l’umidità relativa è superiore all’80%. Si può assistere a infezioni in pieno campo, anche in estate, qualora permangano basse temperature in presenza di piogge. In queste condizioni, il batterio penetra nell’ospite attraverso gli stomi e i tricomi. Fintanto, invece, che le condizioni ambientali sono sfavorevoli a una sua attiva moltiplicazione (alte temperature, bassa umidità) P. syringae pv. tomato è in grado di sopravvivere e moltiplicarsi sul filloplano del pomodoro, mantenendosi in bassa concentrazione. Il batterio può essere veicolato e diffuso nell’ambiente di coltivazione tramite insetti, acari, attrezzi meccanici, vento, pioggia, acqua d’irrigazione e grandine; tuttavia, la fonte principale di disseminazione a grande distanza è il seme contaminato. Anche i residui di vegetazione interrati possono costituire una fonte d’inoculo perché in grado di assicurare la sopravvivenza del batterio da una stagione vegetativa all’altra.
Il batterio sopravvive in:
• residui vegetali infetti • terreno nudo • rizosfera di piante coltivate (Triticum
aestivum, T. durum, Beta vulgaris) e spontanee (Brassica campestris, B. nigra, Matricaria matricarioides, Stellaria media, Lamium amplexicaule)
• filloplano (fase epifita) del pomodoro
e di specie spontanee (Amaranthus retroflexus, Solanum nigrum, Chenopodium album, Portulaca oleracea, Sinapis alba, Brassica campestris, B. nigra, Matricaria matricarioides, Stellaria media, Lamium amplexicaule)
• semi di pomodoro infetto
(contaminazione superficiale per estrazione da bacche infette)
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coltivazione Cancro batterico (Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis) Isolato per la prima volta in America, Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis è attualmente diffuso nelle principali aree di coltivazione del pomodoro, dove può recare danni alle colture sia in pieno campo sia in coltura protetta o idroponica. In Italia la malattia è stata segnalata per la prima volta in provincia di Chieti nel 1914 e successivamente ne è stata riportata la presenza in diverse aree di coltivazione. Le infezioni possono essere localizzate, a seguito della penetrazione del patogeno, tramite stomi e/o ferite, o di natura sistemica, se originate dal seme infetto. L’infezione sistemica del seme può portare a morte le giovani piantine nell’arco di pochi giorni. Sulla pianta adulta si osservano avvizzimento unilaterale e ripiegamento a doccia verso l’alto delle foglie, che poi ingialliscono e disseccano. Sezioni trasversali in corrispondenza del punto di inserzione della foglia sul fusto rivelano un imbrunimento delle tracce fogliari, cosiddetto a ferro di cavallo. Il fusto mostra decolorazioni longitudinali giallastro-marroni, che evolvono in fenditure profonde: i cancri. I frutti manifestano imbrunimento dell’estremità calicina. Nel caso di infezioni localizzate, i frutti presentano pustole scure circondate da un alone biancastro (a occhio di uccello). Temperature tra 26 e 28 °C ed elevata umidità ambientale favoriscono un rapido decorso della malattia. Il batterio sopravvive nei semi, nel terreno e fino a tre anni nei residui infetti del pomodoro o di piante spontanee (Solanum nigrum, S. douglasii e S. trifolium). La sua diffusione in campo e/o in coltura protetta è favorita dall’acqua di irrigazione o dalla formazione di ferite sugli organi vegetali provocate da operazioni colturali (cimatura, legatura), grandine, vento, pioggia e insetti. Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis è un patogeno da quarantena incluso nella lista A2 dell’EPPO, pertanto la sua introduzione e diffusione negli Stati membri della Ue è vietata.
Foto M. Scortichini
Lesioni su frutto causate da Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis Foto V. Catara
Fenditure profonde (cancri) a carico del fusto Foto M. Scortichini
Foto M. Scortichini
Avvizzimento e ripiegamento a doccia verso l’alto delle foglie di pianta di pomodoro infetta da Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis
Sintomi severi di avvizzimento su piante di pomodoro infette da Clavibacter michiganensis subsp. michiganensis
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malattie Maculatura batterica (Xanthomonas vesicatoria sin Xanthomonas campestris pv. vesicatoria) La malattia, segnalata per la prima volta su frutto di pomodoro in Sud Africa (1914), è ormai ubiquitaria per le colture di pomodoro e di peperone, determinando danni piuttosto ingenti. In Italia è presente sul pomodoro a partire dagli anni ’40. La malattia si manifesta sulle foglie con maculature irregolari, idropiche, che successivamente necrotizzano e sono circondate da un alone clorotico. Sul fusto, in condizioni favorevoli per la malattia, possono osservarsi striature necrotiche. I frutti, suscettibili dall’allegagione fino all’invaiatura, presentano macchie idropiche circondate da un alone verde scuro. Queste evolvono in tacche necrotiche depresse, talora con alone clorotico, che tendono a lacerarsi a seguito della tensione dell’epidermide intorno all’area della lesione. Queste aree possono essere sede di marciumi causati dall’insediamento di microrganismi secondari che rendono il prodotto non commerciabile. Il batterio penetra nei tessuti vegetali dell’ospite attraverso stomi e ferite e colonizza i tessuti parenchimatici della pianta in condizioni ambientali favorevoli (temperature fra 22 e 26 °C ed elevata umidità ambientale). Può, inoltre, risiedere come epifita sulla pianta. Dalle sedi di infezione primaria può determinare infezioni secondarie con il manifestarsi di eventi atmosferici come grandine, pioggia e vento e attraverso le operazioni colturali che causano ferite o con l’irrigazione; anche gli insetti (cimici) possono contribuire alla sua disseminazione. La sorgente d’infezione più importante è rappresentata dai semi infetti. Anche questo batterio è un patogeno da quarantena incluso nella lista A2 dell’EPPO, ovvero è vietata la sua introduzione e diffusione negli Stati membri della Ue.
Sopravvivenza di Xanthomonas vesicatoria Il batterio sopravvive in:
• residui vegetali infetti • rizosfera di piante coltivate non ospiti (per esempio frumento e soia) e spontanee
• filloplano del pomodoro e di specie spontanee
• semi di pomodoro infetto
(sopravvivenza fino a 10 anni)
Tassonomia di Xanthomonas vesicatoria
• Xanthomonas vesicatoria (sin.
Xanthomonas campestris pv. vesicatoria), considerato a lungo una entità batterica omogenea, di fatto è costituito da popolazioni distinguibili in due gruppi genetici recentemente proposti come X. axonopodis pv. vesicatoria e X. vesicatoria
Foto R. Angelini
Maculature necrotiche circondate da alone clorotico su foglia di pomodoro conseguenti a infezione di Xanthomonas vesicatoria Sintomi di maculatura batterica su piante e bacche di pomodoro
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coltivazione Necrosi del midollo (Pseudomonas corrugata, P. mediterranea) Malattia ubiquitaria, osservata per la prima volta nel Regno Unito verso la metà degli anni ’70. In Italia è stata segnalata dapprima in Sardegna, risultando particolarmente pericolosa nelle regioni meridionali e insulari. L’agente causale della malattia è stato a lungo considerato il solo Pseudomonas corrugata, batterio non fluorescente ad habitat tellurico, appartenente al genere Pseudomonas. Mediante studi di caratterizzazione fenotipica e genotipica di un’ampia popolazione di ceppi del batterio è stata evidenziata la presenza di due distinti gruppi corrispondenti a due specie diverse: P. corrugata, che costituisce il gruppo predominante e include il ceppo-tipo, e la nuova specie P. mediterranea, attualmente considerati, entrambi, agenti causali della malattia. La malattia si manifesta maggiormente sul pomodoro coltivato in serre non climatizzate, ma può attaccare anche coltivazioni in pieno campo. Inizialmente le piante colpite dalla batteriosi mostrano dei fenomeni di appassimento nelle ore più calde della giornata e clorosi delle foglie più giovani. Sulla superficie del fusto, dei piccioli fogliari e dei peduncoli delle bacche si osservano striature brunonerastre; tagliando longitudinalmente in corrispondenza di queste aree imbrunite si evidenzia l’area del midollo cava e necrotica, sintomo tipico, dal quale prende il nome la malattia. In una fase più avanzata, la necrosi va a interessare anche il tessuto vascolare. In corrispondenza delle aree di midollo necrotiche, si osserva la formazione di radici avventizie sul fusto. La malattia manifesta la sua gravità quando le piante sono prossime alla maturazione dei primi frutti. Il decorso può essere rapido, determinando la morte della pianta nell’arco di 10-15 giorni, oppure lento, quando le piante manifestano una crescita stentata, portando, tuttavia, i frutti a maturazione. L’incidenza può variare dal 70-100%, in serre mal gestite (per esempio scarsa aerazione), all’1-5%, in serre ben
Diagnosi differenziale per Pseudomonas corrugata e P. mediterranea
• Sintomi simili possono essere causati
da batteri opportunisti: Pseudomonas chichorii, P. fluorescens, P. viridiflava, P. chlororaphis, Erwinia chrisanthemi, E. carotovora subsp. carotovora, E. carotovora subsp. atroseptica. In questi casi i tessuti midollari assumono consistenza molle ed è meno frequente l’emissione di radici avventizie Foto V. Catara
Necrosi e imbrunimento del midollo in fusto di pomodoro infetto da Pseudomonas corrugata
Foto V. Catara
Lesioni necrotiche nerastre lungo il fusto
Particolare di midollo del fusto necrotico e cavo in pianta infetta da P. corrugata
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malattie aerate, interessando poche piante localizzate in corrispondenza di zone in cui avviene ristagno idrico e/o la condensa di vapore acqueo (per esempio le pareti della serra). Cause predisponenti la malattia sono: forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, eccessiva concimazione azotata, elevata umidità. Marciume molle del fusto e dei frutti (Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum) Pectobacterium carotovorum subsp. carotovorum (sinonimo Erwinia carotovora subsp. carotovora) è un patogeno polifago e ubiquitario, responsabile di marciumi su molte specie ortive e in particolare su quelle dotate di organi carnosi. Le piante colpite da questa malattia presentano una crescita stentata, il fusto viene interessato da un progressivo rammollimento a partire dal colletto per gran parte della lunghezza della pianta, che avvizzisce. Sul fusto possono osservarsi lesioni longitudinali nerastre cui corrispondono decolorazioni dei tessuti vascolari e delle cavità del midollo. Sul frutto si osservano afflosciamenti della parte interna con successivo raggrinzimento superficiale; a seguito della degradazione dei tessuti, i frutti colpiti emanano cattivo odore. L’alterazione colpisce prevalentemente frutti conservati in magazzino. Cause predisponenti la malattia sono pioggia, umidità e temperature elevate (anche negli ambienti di conservazione), tuttavia la sua attività patogenica può essere esercitata fra i 15 e i 25 °C. Il batterio sopravvive nei residui vegetali, nel terreno e nell’acqua d’irrigazione. È un tipico patogeno da stress: l’infezione è favorita in condizioni di sofferenza della pianta (forti sbalzi termici tra notte e giorno, gelate anche lievi, eccessive concimazioni e irrigazioni).
Pianta di pomodoro avvizzita a seguito di infezione da Erwinia carotovora subsp. carotovora
Midollo cavo e decolorazione dei tessuti vascolari Lesioni su fusto
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il pomodoro
coltivazione Virosi e fitoplasmosi Marina Barba, Giovanni Martelli, Laura Tomassoli, Donato Galllitelli, Francesco Di Serio, Graziella Pasquini
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Virosi e fitoplasmosi Introduzione I virus sono agenti infettivi costituiti da particelle talmente piccole da poter essere visti solo al microscopio elettronico. Sono parassiti obbligati che si insediano e si moltiplicano all’interno delle cellule vegetali utilizzando i sistemi metabolici della pianta stessa. Pertanto, a differenza dei funghi e dei batteri, non è possibile mantenere i virus su substrati artificiali. Le particelle virali si diffondono rapidamente all’interno della pianta (infezione sistemica) provocando alterazioni morfologiche (sintomi) visibili su quasi tutti gli organi vegetativi (compresi quelli utilizzati per la propagazione vegetativa); alcuni virus sono in grado di raggiungere gli organi riproduttivi determinando nella pianta la produzione di seme infetto. Il modo di diffusione dei virus più rappresentato in virologia vegetale è attraverso gli insetti. Questi, durante le fasi di assaggio o alimentazione su una pianta infetta, sono in grado di acquisire le particelle virali e trasmetterle alle adiacenti piante sane. Il controllo delle malattie virali è piuttosto difficile e complesso. Esso si basa essenzialmente sull’adozione di metodi di prevenzione, primi fra tutti l’utilizzo di materiale vegetativo virus-esente per i nuovi impianti colturali e la pulizia degli ambienti di coltivazione. La lotta ai vettori, pur limitando la diffusione della malattia, non annulla il rischio di inizio infezione nella maggior parte delle combinazioni virus-insetto-pianta. I fitoplasmi, invece, sono organismi unicellulari a DNA, non coltivabili in vitro, privi di parete cellulare, che vivono solo nel sistema floematico delle piante, dove le condizioni di osmolarità ne consen-
Trasmissione dei virus per insetto
• Afidi, tripidi e aleurodidi sono i principali
insetti vettori dei virus del pomodoro. Le modalità di trasmissione sono diverse e conoscerle è importante per stabilire le opportune strategie di controllo: – n on persistente: il virus aderisce all’apparato boccale (stiletto) dell’insetto durante semplici punture d’assaggio e prontamente può essere trasmesso su nuove piante – p ersistente: il virus deve essere acquisito dall’insetto nell’apparato digerente e può essere trasmesso a piante sane dopo un periodo di incubazione (da 2 giorni a qualche settimana) – p ersistente transovarica: il virus si replica all’interno del vettore e passa alla progenie
Foto R. Angelini
Diagnosi dei virus in campo
• La rapida identificazione dei virus è in
alcuni casi particolarmente importante (organismi da quarantena) per potere applicare in tempi brevi le procedure di contenimento ed eliminazione della malattia. Per alcune specie virali si è diffusa nell’ultimo decennio una tecnica sierologica rapida (membrana cromatografica inserita in supporti di plastica) che fornisce in pochi minuti la risposta circa la presenza o meno del virus. Inoltre, per quei virus non rilevabili sierologicamente, la tecnologia moderna ha consentito di produrre postazioni portatili per analisi diagnostiche molecolari direttamente in campo Infezione da TYLCV
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virosi e fitoplasmosi tono la sopravvivenza. Sono trasmessi in natura da insetti vettori (Rincoti Auchenorrinchi), provvisti di apparato boccale pungente succhiatore, che si alimentano nel floema delle piante, dalle pratiche di propagazione vegetativa e dal trasporto di piante e vettori infetti. L’impatto economico delle infezioni da fitoplasmi è direttamente correlato alla sintomatologia indotta dalla loro presenza nel floema della pianta che riduce la traslocazione dei fotoassimilati. Tutto ciò provoca profonde alterazioni morfologiche e dello sviluppo vegetativo delle piante colpite con gravi ripercussioni sulla qualità e sulla quantità della produzione. Il controllo delle malattie fitoplasmali è essenzialmente basato su interventi preventivi volti a contenere l’insediamento e la diffusione della malattia. D’altro canto la lotta insetticida ai vettori, purtroppo, non risulta sempre efficace a causa della presenza saltuaria degli insetti sulla coltura. Fra le misure di prevenzione da attuare, soprattutto nelle aree infette, si annoverano: – l’adozione di rotazioni ampie; – la realizzazione di impianti, ove possibile, lontani da incolti; – l’eliminazione delle piante infette per abbassare la pressione di inoculo; – il controllo selettivo della vegetazione spontanea. Riguardo a quest’ultimo punto occorre, tuttavia, sottolineare che l’eliminazione delle piante spontanee, in particolare di quelle di bordo, va effettuata in maniera selettiva e a ben definite cadenze temporali tenendo conto del ciclo biologico dei vettori associati a tale vegetazione, onde evitare il loro trasferimento sulla coltura di interesse.
Classificazione dei fitoplasmi
• L’impossibilità di coltivare in vitro
i fitoplasmi ha impedito di applicare i convenzionali criteri tassonomici basati su caratteristiche fenotipiche e biochimiche e di adottare un sistema di classificazione ordinato per genere e specie
• Le tecniche molecolari hanno però
permesso di costruire un sistema di inquadramento tassonomico basato sulle caratteristiche genetiche, che ha suddiviso i fitoplasmi conosciuti in 15 gruppi
• Per questi patogeni è stata, quindi,
introdotta la terminologia di Candidatus Phytoplasma, il cui significato tassonomico è riferibile al rango di specie del sistema classico Foto R. Angelini
Virus endemici A partire dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo appena trascorso, si è assistito a un progressivo incremento della dannosità di alcuni virus su pomodoro da industria e da mensa. La coltura ha, infatti, risentito di infezioni virali mai riscontrate in precedenza per estensione e dannosità che hanno causato, tra l’altro, lo scadimento della qualità delle produzioni e l’abbandono di aree tradizionalmente vocate, con notevoli ripercussioni sul relativo indotto. In Italia, la necessità di migliorare la redditività del settore si è concretizzata agli inizi degli anni ’80 quando l’adozione di ibridi ha consentito di raddoppiare o triplicare le produzioni. Molti ibridi sono, però, risultati particolarmente vulnerabili alle infezioni virali, forse anche a causa della loro uniformità genetica. In pochi anni la diversità delle vecchie varietà e il relativo equilibrio stabilito con i virus in decenni di co-evoluzione sono stati rapidamente erosi e il ricorso a pratiche colturali innovative (pacciamatura con film plastico, fertirrigazione a goccia, coltura fuori suolo) ha reso le nuove e più rigogliose colture più appetite anche dagli insetti che trasmettono i virus in natura.
Maculature necrotiche causate da PVY su foglia
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coltivazione Virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV, Tomato spotted wilt virus) È la specie virale più dannosa per il pomodoro sul quale induce una malattia nota come avvizzimento maculato o bronzatura per la colorazione assunta dalle fogliole delle piante infette. L’agente responsabile è una specie del genere Tospovirus, famiglia Bunyaviridae, ed è tra i virus di più recente segnalazione in Italia. È un virus ubiquitario e polifago tanto che la gamma di ospiti suscettibili comprende un migliaio di specie in diverse famiglie botaniche e include colture di rilevante importanza economica come peperone, lattuga, melanzana, patata, tabacco, cicoria, endivia e carciofo. TSWV è trasmesso in modo persistente propagativo dal tripide Frankliniella occidentalis che, comunque, non è il suo unico vettore. Il fenotipo della malattia è necrotico e spesso con esito letale. I soggetti infetti mostrano taglia ridotta, con foglie interessate dal progressivo estendersi di minutissime lesioni necrotiche. Se la pianta sopravvive o è stata infettata tardivamente, i frutti possono anche arrivare a maturazione ma appaiono deturpati da anulature concentriche dapprima idropiche e successivamente necrotiche che spaccandosi, mano a mano che la bacca aumenta di dimensioni, espongono superfici interne suberose. Le possibilità di controllo della malattia in campo sono, di fatto, inesistenti. La lotta ai tripidi è difficoltosa, anche per la tendenza di questi insetti a insediarsi nelle parti più protette della pianta per cui sarebbero raggiungibili solo impiegando insetticidi sistemici il cui uso frequente è sconsigliato per la documentata insorgenza di fenomeni di resistenza. Migliori successi nella lotta possono essere conseguiti impiegando pacciamature di tipo riflettente che impediscono agli insetti di raggiungere le piante. Tale tipo di pacciamatura non è utilizzata dagli agricoltori italiani che preferiscono quella con film plastico di colore nero mentre documentate esperienze di agricoltori statunitensi sembrano dimostrare che, con
Trasmissione di TSWV
• Il virus è acquisito solo dalle neanidi
di prima e seconda età del tripide Frankliniella occidentalis, ma non dagli adulti, che possono solo trasmettere quello acquisito in precedenza dalle neanidi e successivamente moltiplicatosi, passando così da uno stadio all’altro (trasmissione transtadiale), mentre non sono riportati casi di trasmissione alle successive generazioni di individui viruliferi. Gli individui adulti possono continuare a trasmettere il virus per tutta la durata della loro vita (circa 40 giorni) il che espone al rischio di infezioni le colture successive
Foto R. Angelini
Sintomi causati da TSWV su bacca di pomodoro in infezione artificiale
Progressione della necrosi indotta da TSWV su foglie di pomodoro
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virosi e fitoplasmosi Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Incurvamento dell’asse fogliare e bronzatura da TSWV osservati su apice di pianta di pomodoro
materiali riflettenti, l’incidenza della malattia può essere ridotta di oltre il 70%. In serra e nei vivai, può essere utile l’impiego di piante spia, come la petunia o la fava Aguadulce, per rivelare la presenza di tripidi viruliferi. Poco utilizzabile appare, invece, il ricorso a predatori naturali dei tripidi che mal si adattano alle condizioni in cui è generalmente allevato il pomodoro da mensa, soprattutto nelle regioni dell’Italia meridionale. Al momento, sono commercializzate varietà di pomodoro resistenti a TSWV ma tale resistenza è superata dai cosiddetti ceppi RB (resistance breaking) del virus, emersi per riarrangiamento del genoma e che oggi rappresentano la maggior parte dei ceppi di TSWV presenti in Italia.
Butterature, alterazioni della forma, del colore e tessuti necrotici depressi su bacche colpite da CMV
RNA satellite di CMV
• Si tratta di una piccola molecola di
Virus del mosaico del cetriolo (CMV, Cucumber mosaic virus) È tra i virus più studiati sia per la complessità delle caratteristiche eco-epidemiologiche sia per l’effetto particolarmente devastante che alcune infezioni hanno sul pomodoro. Il sintomo più classico è il filimorfismo o nematofillia, che consiste nel quasi totale mancato sviluppo del tessuto fogliare di cui restano solo la nervatura centrale e quella delle fogliole. Anche la taglia della pianta è drasticamente ridotta e le perdite di produzione possono variare dal 10 al 30%. Il quadro sintomatologico può essere profondamente modificato se il virus è accompagnato da una piccola molecola, denominata RNA satellite. Esistono diverse varianti naturali dell’RNA satellite che possono favorire la comparsa di estese necrosi o di accentuato nanismo. Altre varianti di RNA satellite attenuano fortemente i sintomi causati dal virus così da essere state proposte come mezzo per contenerne i danni. L’intensa attività di ricerca sviluppata a vari livelli ha portato all’identificazione di nuovi ceppi del virus, definiti Asiatici e dotati di particolari caratteristiche di ag-
RNA che nelle infezioni naturali si trova associata ad alcuni ceppi di CMV da cui è completamente dipendente per le funzioni di replicazione e trasmissione ma a cui non sembra conferire alcun vantaggio. Circa la sua origine, si pensa che sia un parassita molecolare del virus originato da sequenze dell’ospite e utilizzato come sistema di difesa. Esistono, però, alcune varianti della molecola che, pur riducendo la replicazione del virus, ne aggravano i sintomi indotti su alcune specie, tra cui il pomodoro
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coltivazione gressività sul pomodoro. La comparsa di tali ceppi in Europa e in Italia si fa risalire alla metà degli anni ’80 del secolo scorso. CMV è trasmesso da afidi in modo non persistente e la comparsa di epifizie di una certa gravità è sempre concomitante all’elevata mobilità di popolazioni afidiche particolarmente numerose. Pertanto, a lunghi periodi in cui la malattia sembra scomparsa si alternano attacchi improvvisi, come quello di recente registrato in Spagna, che possono ripetersi per tre o quattro anni consecutivi. Per quanto riguarda la lotta va detto che non esistono varietà commerciali di pomodoro resistenti a CMV e che le misure mirate a prevenire attacchi di afidi hanno effetto limitato a causa delle modalità di trasmissione e dell’elevatissimo numero di specie ospiti del virus. CMV non si trasmette attraverso il seme nel caso del pomodoro, mentre la percentuale di trasmissione può raggiungere anche l’80% in alcune specie spontanee come Stellaria media. La ricerca recente sul virus è focalizzata allo studio dei meccanismi attraverso i quali CMV indurrebbe i sintomi. Tali meccanismi sembrano coinvolgere l’alterazione del regolare turnover degli RNA messaggeri cellulari. Non è ancora stato chiarito se tale alterazione sia il risultato di un effetto puramente casuale scaturito dalle fasi del ciclo biologico del virus nella pianta o, piuttosto, se da tale alterazione CMV tragga un qualche beneficio. Questo sarà probabilmente uno degli aspetti da chiarire in cui, nell’immediato futuro, si cimenteranno i laboratori impegnati nello studio di CMV e della sua patogenesi.
Trasmissione di tipo non persistente
• Anche definita per stiletto si realizza
allorché gli afidi effettuano rapide punture di saggio sulle piante, per selezionare quelle ospiti. Le particelle virali sono acquisite e inoculate nell’arco di 10-20 secondi, durante i quali gli insetti perforano la cuticola, la parete e la membrana delle cellule epidermiche e del mesofillo e poi ritirano gli stiletti lasciando la membrana intatta. Durante la fase di ingestione, le particelle virali sono trascinate con il succo cellulare e restano adsorbite alla cuticola degli apparati boccali dalla quale possono altrettanto facilmente distaccarsi durante la fase di salivazione
Foto R. Angelini
CMV + RNA satellite necrogenico: le necrosi interessano completamente le foglie e i piccioli e procedono lungo il fusto con un caratteristico andamento basipeto
Tipico filimorfismo indotto su pomodoro da CMV. La superficie delle foglie è ridotta alla sola nervatura centrale
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virosi e fitoplasmosi Virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro (TYLCV, Tomato yellow leaf curl virus) TYLCV è una specie del genere Begomovirus della famiglia Geminiviridae che sul pomodoro induce una malattia nota come accartocciamento fogliare giallo. Il virus è diffuso in molti Paesi del bacino del Mediterraneo, dell’Asia sud-orientale e dell’Africa occidentale e in tutti rappresenta un fattore limitante per le colture di pomodoro. In Italia il virus è giunto nel 1988 interessando diverse decine di ettari di colture di pomodoro nella Sardegna meridionale e nella Sicilia orientale. In queste due aree è rimasto confinato sino al 1991, anno in cui è stato segnalato anche in Calabria e a cui sono seguite segnalazioni di crescente gravità in Basilicata e in Puglia, probabilmente come conseguenza dell’ormai stabile insediamento del suo vettore: l’aleurodide Bemisia tabaci. A differenza di TSWV e CMV, TYLCV presenta una cerchia d’ospiti naturali limitata al pomodoro e a poche altre solanacee spontanee come Datura stramonium e Solanum nigrum (in quest’ultimo ospite si trasmette anche attraverso il seme). Diversa è la condizione per il vettore che vanta una ben differenziata e vasta gamma di ospiti che utilizza per finalità trofiche e riproduttive. Le piante di pomodoro infettate precocemente presentano taglia ridotta con germogli apicali e ascellari eretti che portano fogliole accartocciate, piccole e coriacee con lembo e aree internervali più o meno marcatamente ingialliti. Gli effetti sulla produzione dipendono dallo sviluppo vegetativo raggiunto dalla pianta al momento dell’infezione. Le infezioni precoci causano mancata fruttificazione mentre le tardive compromettono l’allegagione di nuovi frutti ma quelli già presenti sul primo palco giungono a maturazione anche se con pezzature inferiori alla norma e colorazione pallida. Nelle colture di serra, la perdita di produzione può raggiungere il 70-80%. In Italia sono presenti due specie differenti di TYLCV, una denominata,
Trasmissione di TYLCV mediata da Bemisia tabaci
• Sia le larve sia gli adulti dell’insetto sono
capaci di acquisire il virus dalle piante infette durante la fase di alimentazione. All’acquisizione segue un periodo di latenza durante il quale l’insetto non è in grado di trasmettere il virus ma che serve al virus per invadere il sistema circolatorio dell’insetto e localizzarsi nelle ghiandole salivari. Il vettore è quindi in grado di trasmettere il virus per 25-50 giorni e cioè per l’intera vita da adulto. TYLCV è anche trasmesso alla progenie attraverso le uova (trasmissione transovarica), almeno fino alla quinta generazione
Foto R. Angelini
Foto V. Filì
Esiti di infezione da TYLCV su foglie di pomodoro. Si notino le dimensioni ridotte delle foglie che presentano i margini rivolti verso l’alto e interessati da una vistosa colorazione gialla
Accartocciamento e ingiallimento dei margini delle fogliole su piante di pomodoro infette da TYLCV
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coltivazione appunto, Tomato yellow leaf curl virus e l’altra Tomato yellow leaf curl sardinia virus (TYLCSV). In Italia, oltre al pomodoro, che rappresenta l’ospite primario, TYLCV è stato trovato su Datura stramonium, Solanum nigrum e, in un solo caso, su Euphorbia pulcherrima. Difficile si presenta la difesa contro TYLCV per la polifagia del suo vettore che nel nostro Paese ha raggiunto preoccupanti livelli di diffusione. Inoltre, le popolazioni di B. tabaci acquisiscono agevolmente resistenze agli insetticidi rendendo spesso inefficaci gli interventi chimici. Anche per questa, come per altre virosi delle colture ortive, sono a buon punto ricerche di fonti di resistenza da impiegare in cultivar di pomodoro di interesse commerciale, e tentativi per il conferimento di resistenze transgeniche. Poiché però si tratta di interventi ancora in fase di sperimentazione, la lotta al TYLCV si basa su misure di tipo preventivo tese principalmente a evitare il contatto tra vettore e pianta attraverso la protezione delle aperture delle serre con reti a maglia fitta.
Vegetazione affastellata su piante di pomodoro infette da TYLCV
Virus del mosaico del pomodoro (ToMV, Tomato mosaic virus) ToMV e Tobacco mosaic virus (TMV) sono due specie virali strettamente imparentate del genere Tobamovirus ma sul pomodoro si rinviene quasi esclusivamente ToMV. I sintomi dipendono dall’età della pianta e dal ceppo virale e possono consistere sia in deformazioni e riduzioni del lembo fogliare assai simili al filimorfismo indotto da CMV sia in manifestazioni necrotiche più o meno accentuate che decorrono lungo il fusto in forma di striature. I frutti presentano maturazione a chiazze, maculature necrotiche e fessurazioni di consistenza suberosa. I sintomi sono suggestivamente simili a quelli indotti da TSWV e quindi, in presenza di un elevato numero di soggetti colpiti, sarebbe opportuno procedere con accertamenti diagnostici di laboratorio. La trasmissione avviene attraverso il contatto di parti infette durante le normali operazioni colturali (scacchiatura, cimatura) per cui le infezioni di ToMV sono spesso riscontrate in ambiente protetto e su un numero limitato di soggetti, frequentemente contigui. Tuttavia in mancanza di opportuni accorgimenti l’infezione può rapidamente estendersi a tutta la serra. Per la lotta è consigliabile il ricorso a varietà resistenti, da tempo disponibili in commercio, all’immediata rimozione dei soggetti infetti non appena identificati e a un’attenta igiene delle mani, degli attrezzi e dei materiali durante le fasi di trapianto.
Macule di colore giallo su bacche di pomodoro da industria indotte da ToMV
Virus Y della patata (PVY, Potato virus Y) Sintomi generalizzati di mosaico e lieve malformazione fogliare possono essere causati su pomodoro da PVY (Potato virus Y), un virus a forma filamentosa che infetta circa 60 specie botaniche soprattutto nella famiglia delle Solanaceae. PVY è un virus ubiquitario e responsabile di significative perdite produttive principalmente in patata, tabacco e peperone. Le specie spontanee (per
Anelli necrotici indotti da infezione precoce di ToMV
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virosi e fitoplasmosi esempio Convolvulus spp., Solanum nigrum, S. dulcamara, Physalis floridana) rappresentano un serbatoio per la conservazione temporale e la diffusione del virus. PVY è trasmesso in modo nonpersistente da circa trenta specie di afidi di cui il Myzus persicae è risultato sperimentalmente il più efficiente. L’afide acquisisce il virus dalle piante infette anche solo con semplici punture d’assaggio e può ritrasmetterlo a piante sane in pochi minuti. La sintomatologia su pomodoro è generalmente lieve, consistente in clorosi o ingiallimento dell’apice, maculature giallo-clorotiche sulle foglie intermedie e, in fase di infezione avanzata, si possono osservare ripiegamento verso il basso del margine delle foglie più adulte e ricurvature del rachide. Alcuni ceppi del virus causano invece lesioni bruno-necrotiche a forma di tacche o striature sulla lamina fogliare e spesso riduzione di sviluppo dell’intera pianta. Raramente si osservano sintomi di maculatura sui frutti ascrivibili all’infezione da PVY.
Caratteristiche del PVY
• In natura esistono diversi ceppi del
PVY: il ceppo comune (PVYO), il ceppo della necrosi nervale (PVYN) e il meno diffuso ceppo della striatura (PVYC). Questi ceppi sono stati identificati in base alla sintomatologia che provocano su alcune varietà di patata e tabacco particolarmente suscettibili al virus. Sul pomodoro sono stati identificati soprattutto PVYO e PVYN anche in infezioni miste. La copresenza in uno stesso ospite dei due ceppi del virus determina a volte la formazione di varianti del virus (PVYNTN e PVYW) che sono ora particolarmente diffuse nella patata
Virus del mosaico dell’erba medica (AMV, Alfalfa mosaic virus) AMV è rinvenuto sporadicamente sul pomodoro ma se ne ritiene utile la menzione perché, di recente, sono stati individuati alcuni ceppi capaci di indurre una grave forma di giallume necrotico. Il fenotipo più classico della malattia è rappresentato dalla presenza di aree più o meno estese di colore giallo vivace a carico delle fogliole. Nei ceppi necrotici rinvenuti in Italia meridionale su alcuni ibridi di pomodoro da industria le aree interessate da giallume lasciavano presto il posto a tessuti necrotizzati. Tali ceppi sono risultati geneticamente simili a ceppi di origine francese, anch’essi necrogenici sul pomodoro. AMV si trasmette attraverso afidi con modalità non-persistente, tuttavia la modesta incidenza delle infezione non consiglia specifici interventi di lotta che, pertanto, rientrano tra quelli già indicati per virus trasmessi in maniera simile. Foto R. Angelini
Maculature necrotiche su frutti di pomodoro infetti da AMV Mosaico giallo su pomodoro affetto da AMV
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coltivazione Virus della maculatura zonata del geranio (PZSV, Pelargonium zonate spot virus) Il pomodoro è l’unica pianta ortiva seriamente danneggiata da PZSV anche se l’incidenza della malattia difficilmente supera il 10%. Tuttavia, a seguito della sua identificazione e della disponibilità di diagnostici, PZSV è stato trovato anche in Spagna, Francia e, recentemente, in California. I sintomi indotti da PZSV, soprattutto a carico dei frutti, sono inconfondibili e facilmente identificabili anche dai meno esperti. Le bacche sono spesso piccole, malformate e interessate da caratteristiche maculature concentriche delimitate da linee continue infossate, con aspetto idropico, che, a maturità, sfociano in necrosi. Sulle foglie apicali delle piante colpite si notano maculature anulari necrotiche di colore bruno, mentre su quelle medio-basse le macchie sono di dimensioni più grandi e prevalentemente clorotiche. Nel complesso l’intera pianta presenta un aspetto rachitico e cespuglioso. PZSV è peculiare soprattutto per le modalità di trasmissione che sarebbe mediata da tripidi che veicolano passivamente polline infetto. Per limitare la diffusione di PZSV, appare consigliabile l’attenta eliminazione della fonte primaria d’infezione (Diplotaxis erucoides) prima del trapianto della coltura.
Trasmissione di PZSV
• L’ipotesi più probabile è che PZSV sia
trasmesso al pomodoro da polline infetto o contaminato di cui i tripidi si ricoprono allorquando visitano i fiori di Diplotaxis erucoides. Nella spontanea, che si ritiene essere l’ospite primario di PZSV, il virus si trasmette attraverso il seme. L’infezione su pomodoro avverrebbe per ingresso del virus, rilasciato dal polline, attraverso microferite provocate dagli stessi insetti
Virus della maculatura della parietaria (PMoV, Parietaria mottle virus) Da circa un trentennio questo virus, e la malattia che causa, conosciuta come necrosi apicale del pomodoro, è presente in Italia e viene segnalata saltuariamente nelle aree agricole coltivate a pomodoro senza registrare importanti danni economici alla coltura. L’agente virale responsabile di questa sindrome è considerato un ceppo (PMoV-T) dell’originale PMoV identificato e caratterizzato sulla specie Parietaria officinalis. Questa pianta spontanea è costantemente rinvenuta nelle aree adiacenti le coltivazioni di pomodoro risultate infette da PMoV-T. I sintomi necrotici, in particolare sulle bacche verdi, possono essere facilmente confusi con quelli causati da TWSV e CMV con RNA satellite e solo le analisi di laboratorio (per esempio ELISA) possono stabilire la reale eziologia della malattia. Il processo infettivo è anch’esso piuttosto incostante in quanto piante infette con l’apice vegetativo principale disseccato possono produrre frutti sani dai getti laterali. In altri casi, i sintomi necrotici sulla pianta sono quasi del tutto assenti mentre sui frutti compaiono improvvisamente anulature di tessuto suberoso o rugginoso che deformano completamente le bacche in fase di crescita. Considerata l’attuale scarsa importanza di PMoV-T per la pomodoricoltura, poco è noto sulle caratteristiche epidemiologiche di questo virus. In particolare, non si conoscono vettori tra gli insetti ma si ipotizza il ruolo dei tripidi, frequenti colonizzatori del pomodoro, nel diffondere il polline infetto così come avviene per altre specie virali appartenenti allo stesso gruppo tassonomico di PMoV.
Sintomi causati da PMoV-T sulle bacche verdi di pomodoro e simili a quelli provocati da TSWV
Anche le bacche mature mostrano sintomi necrotici da PMoV-T
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virosi e fitoplasmosi Virus emergenti Virus del mosaico del pepino (PepMV, Pepino mosaic virus) Una nuova malattia virale del pomodoro sta impegnando da ormai un decennio il mondo scientifico e gli organismi amministrativi e legislativi europei in materia fitosanitaria. Essa è causata da Pepino mosaic virus (PepMV), un virus identificato su pepino (Solanum muricatum) in Perù e che dal 1999 è comparso in alcuni paesi del Nord Europa colpendo aziende serricole di pomodoro. Rapidamente, PepMV si è diffuso in molti Paesi d’Europa, nel Nord America ed è stata confermata la sua patogenicità naturale sul pomodoro anche in Perù e in Cile. In Italia il primo caso di infezione di PepMV, prontamente circoscritto ed eradicato, risale al 2001 in Sardegna. Successivamente, nel dicembre 2005, una nuova segnalazione riportava la presenza del virus in Sicilia limitatamente a una serra, su alcune linee di pomodoro in fase di valutazione da parte di una ditta sementiera. Questo focolaio ha probabilmente determinato il dilagare della malattia dal 2006 a oggi e PepMV risulta ora diffuso in tutto il comprensorio pomodoricolo della provincia di Ragusa. Recenti indagini (2009) hanno inoltre accertato la ricomparsa di PepMV anche in Sardegna nell’Agro cagliaritano. La peculiarità epidemiologica di PepMV è la sua trasmissibilità per semplice contatto e la capacità di rimanere infettivo per lungo tempo (3 mesi) e per questo, pur appartenendo a un gruppo tassonomico diverso, viene assimilato ai più noti virus del pomodoro TMV e ToMV. Le operazioni colturali sono il principale mezzo di diffusione del virus all’interno di una serra (da pianta a pianta) e, successivamente, gli attrezzi e gli stessi indumenti dell’operatore agricolo contaminati da succo infetto rappresentano i vettori passivi per il trasporto a distanza (da serra a serra, da azienda ad azienda ma anche da comprensorio a comprensorio). La diffu-
L’apice vegetativo delle piante infette da PepMV mostra un lieve mosaico e bollosità
Nelle piante infette da PepMV si trovano spesso sulle foglie piccole macchie di colore giallo intenso
Il sintomo marbling sui frutti può essere particolarmente forte con comparsa di butteratura
La rottura di colore sui frutti maturi è molto spesso di difficile identificazione
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coltivazione sione di PepMV a lunga distanza viene principalmente attribuita al commercio dei frutti infetti e all’uso di seme non sempre opportunamente sottoposto a trattamenti mirati alla devitalizzazione del virus. È stato dimostrato nell’ambito di un Progetto Europeo (PEPEIRA), rivolto specificatamente a questa problematica virologica, che PepMV si trasmette per seme, anche se in bassa percentuale, a causa della contaminazione dei tegumenti seminali con il succo e la polpa del frutto infetto. La malattia si manifesta nel periodo autunno-invernale fino a inizio primavera in quanto è favorita dalle basse temperature e della bassa intensità luminosa. Le analisi diagnostiche di laboratorio hanno comunque accertato la presenza del virus (forma latente) su materiale asintomatico campionato in inoltrata primavera. Questo comportamento biologico di PepMV rende gli agricoltori e i tecnici agricoli meno attenti nelle norme igieniche e profilattiche per il controllo della malattia favorendo inequivocabilmente la sua diffusione e l’aumento della carica infettiva nelle aree colpite. I sintomi sono variabili nella loro tipologia sia sulle foglie sia sui frutti. Gli apici vegetativi e i ricacci ascellari mostrano i primi sintomi dell’infezione (3-4 settimane dopo il contagio) consistenti in clorosi, lieve bollosità del lembo e smerlettatura del margine (foglia a ortica) associata a un aspetto assurgente. Sulle foglie adulte, invece, si possono manifestare dal tipico mosaico fogliare a maculature di colore giallo intenso più o meno estese, fino a lesioni bruno-necrotiche. La necrosi, nei casi più gravi, si estende in modo circolare al rachide e al fusto e può colpire le infiorescenze causando aborto fiorale. Sui frutti il tipico sintomo, associato fin dalla comparsa di PepMV sul pomodoro, consiste in una incompleta maturazione del frutto responsabile del declassamento qualitativo dei grappoli alla vendita. Successivamente con la comparsa di nuovi ceppi e varianti del virus è risultato più frequente il rilevamento di altre sindromi sulle bacche quali, nelle forme più lievi, un effetto marmorizzato della buccia e, in quelle più gravi, butterature e necrosi. Indipendentemente dalla gravità o meno dei sintomi osservati, con il graduale aumento delle temperature e del fotoperiodo una pianta infetta può riprendere a produrre grappoli asintomatici sui palchi in formazione.
Ospiti secondari di PepMV
• Al momento gli unici ospiti naturali
di PepMV sono pepino e pomodoro e una segnalazione riporta di alcune piantine di basilico prelevate in un orto familiare posto all’interno di una serra di pomodoro infetto. In Spagna sono state identificate alcune specie spontanee quali possibili serbatoi del virus: amaranto (Amaranthus retroflexus), convolvolo (Convolvulus arvensis), erba morella (Solanum nigrum), grespino comune (Sonchus oleraceus). Attraverso prove di infezione artificiale, PepMV ha causato infezione su altre solanacee (melanzana, peperone, tabacco, patata) rappresentando quindi un pericolo per probabili diffusioni naturali anche sulle colture agrarie
Virus dei giallumi del pomodoro (ToCV, Tomato chlorosis virus; TICV, Tomato chlorosis infectious virus) Alla fine del secolo scorso in California, per la prima volta furono individuate due specie virali (Tomato infectious chlorosis virus – TICV e Tomato chlorosis virus – ToCV) responsabili di giallume fogliare su pomodoro. La sintomatologia causata da questi virus, le cui particelle filamentose colonizzano le cellule dei vasi conduttori della pianta, è molto simile a quanto indotto dagli squilibri nutrizionali, soprattutto carenze di magnesio e manganese, da stress fisiologici o da fitotossicità, perciò è pro-
La frequente defogliazione nella parte bassa della pianta non consente di rilevare a vista le infezioni dei due virus agenti del giallume fogliare
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virosi e fitoplasmosi babile che giallumi a eziologia virale fossero presenti già in tempi più remoti. Questi due virus sono stati ormai segnalati ovunque venga coltivata questa solanacea. In Italia le prime segnalazioni di TICV e ToCV risalgono al 2001-02 in Sardegna e Liguria. Successivamente, ogni area tipicamente vocata alla produzione di pomodoro da mensa in serra (Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) ha preso coscienza di questa nuova malattia virale. TICV e ToCV appartengono allo stesso gruppo tassonomico (Crinivirus) e si distinguono solo per alcune porzioni del genoma (sequenze nucleotidiche all’interno dei geni codificanti le proteine funzionali e strutturali) per cui è possibile distinguere i due virus attraverso analisi diagnostiche specifiche (RT-PCR). Esiste invece una diversa specificità con il vettore (farfalline di serra, famiglia Aleyrodidae) responsabile della trasmissione in campo della malattia. In particolare, TICV è trasmesso dalla sola specie Trialeurodes vaporariorum mentre ToCV è trasmesso in modo più efficiente da T. abutilonea (non presente in Europa) e da Bemisia tabaci. Le stesse popolazioni di aleurodidi visitano altre numerose specie botaniche e sono risultate in grado di trasmettere TICV e ToCV su altre colture agrarie (TICV: lattuga, scarola, carciofo; ToCV: peperone) e su diverse piante spontanee (tabacco arboreo, erba morella, farinello e farinaccio, stramonio e spraggine) e ornamentali (petunia, ranuncolo, aster, zinnia). Il controllo di questi due virus si basa essenzialmente sulla lotta ai vettori come illustrato per TYLCV. L’infezione sistemica causata da TICV e ToCV, presenti spesso in infezione miste anche con altri virus del pomodoro (PepMV, TYLCV), si manifesta sempre a partire dalle foglie adulte della parte bassa della pianta, le stesse foglie che vengono eliminate nelle tradizionali tecniche colturali del pomodoro da serra. I sintomi iniziali consistono in aree poligonali e internervali leggermente clorotiche che poi
Il giallume internervale causato da ToCV è spesso accompagnato da macchie bronzo-necrotiche
Trasmissione per vettore
• TICV e ToCV sono trasmessi dagli
aleurodidi di serra in modo semipersistente. L’insetto, dopo aver acquisito le particelle virali alimentandosi per tempi superiori a un minuto su piante infette, è in grado di ritenere il virus e trasmetterlo con efficienza a piante sane solo per pochi giorni. Per TICV, il tempo di permanenza nel suo vettore Trialeurodes vaporariorum è di circa 4 giorni; nel caso di ToCV è stato evidenziato un tempo di ritenzione pari a 5 giorni in T. abutilonea (non presente in Italia), circa 2 giorni in Bemisia tabaci (biotipo B) e di un solo giorno in Bemisia tabaci (biotipo A) e Trialeurodes vaporariorum
Sulle foglie infette da giallume virale spiccano le nervature che rimangono verde intenso
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coltivazione confluiscono tra loro e virano al giallo anche intenso, in alcuni casi compare anche un’evidente colorazione rossa (antocianosi) o un imbrunimento. Caratteristica sintomatologica delle infezioni da crinivirus è invece il colore verde che permane sulle nervature principali della foglia. Le foglie basali e mediane tendono anche ad arrotolarsi lungo la nervatura principale e, altro aspetto tipico per una prima diagnosi visiva della malattia, i tessuti appaiono ispessiti, coriacei ma estremamente croccanti e fragili al tatto. La parte apicale della pianta rimane apparentemente sana e produttiva ma, nel complesso, sono state riscontrate una minore vigoria e senescenza precoce delle piante infette.
Tomato torrado virus in Messico
• La malattia è stata denominata
localmente marchitez (avvizzimento) e induce lo stesso tipo di sintomo necrotico su foglie, steli e frutti e il totale disseccamento dell’apice. La diagnosi molecolare ha però assegnato la responsabilità di questa sindrome messicana sul pomodoro a un virus (Tomato marchitez virus – ToMarV) diverso da ToTV, per quanto molto simile nelle caratteristiche fisiche e molecolari. Di questo aspetto si dovrà tenere conto in caso di accertamento diagnostico della malattia su campioni sospetti per questa nuova minaccia
Tomato torrado virus (ToTV) A decorrere dal 2001, insoliti sintomi necrotici su piante di pomodoro sono stati osservati in Spagna e nelle Isole Canarie. Successivamente questa nuova sindrome è comparsa in altri Paesi geograficamente distanti (Polonia, Ungheria, Panama e Australia). Solo nel 2007, le ricerche hanno individuato il virus responsabile di questa malattia e, trattandosi di una nuova specie, gli è stato assegnato il nome di Torrado mosaic virus (ToTV). Una simile sindrome è comparsa negli stessi anni in Messico; dalle piante infette è stata estratta un’entità virale correlata a ToTV. Questo virus è di tipo isodiametrico, di piccole dimensioni e presenta delle caratteristiche morfologiche e genomiche dissimili da quelle di altri virus vegetali a oggi identificati all’interno dell’ordine Picornavirales, da qui la proposta di creare un nuovo genere tassonomico Torradovirus. La presenza di ToTV nelle coltivazioni di pomodoro in serra e in pieno campo è stata sempre associata alla presenza di massicce popolazioni di mosche bianche di serra (Bemisia tabaci e Trialeurodes vaporariorum). Le prime prove sperimentali di trasmissione di ToTV tramite questi vettori hanno inequivocabilmente dimostrato il loro ruolo nella trasmissione del virus alle piante di pomodoro. Questi vettori sono fitofagi di molte piante spontanee e infestanti e ToTV è stato già naturalmente isolato da diverse specie botaniche (per esempio amaranto, spergularia, farinaccio e altre chenopodiacee, malva, erba morella). La necrosi dei tessuti alla base delle foglioline è il sintomo principale che distingue l’infezione da ToTV. Il lembo lesionato si fessura successivamente con facilità (da qui il termine cribado dato alla malattia dagli spagnoli). La necrosi può estendersi lungo il fusto, nei casi più gravi fino all’apice, mentre sui frutti ancora verdi si formano lesioni necrotiche lineari o a tacche che ne deformano lo sviluppo causando anche frequenti spaccature. A prima vista le piante infette da ToTV hanno un aspetto generale di piante semi-bruciate (torrado in spagnolo). Al momento in Italia non ci sono state segnalazioni di infezioni da ToTV. Quindi, come per tutti i virus non ancora introdotti nei nostri areali pro-
Viroidi del pomodoro
• Nel 1971, T.O. Diener identificò l’agente
infettivo della malattia del tubero fusiforme della patata in un piccolo RNA a singola elica circolare e lo denominò Potato spindle tuber viroid (PSTVd). Oggi si conoscono oltre 30 specie di viroidi che sono state raggruppate in diversi generi e in due famiglie: Pospiviroidae (specie tipo Potato spindle tuber viroid), che include i viroidi che si replicano e si accumulano nel nucleo, e Avsunviroidae (specie tipo Avocado sunblotch viroid), i cui membri si replicano e si accumulano nel cloroplasto. I viroidi si differenziano dai virus non soltanto per le minori dimensioni del proprio genoma (246-401 nt), dieci volte inferiori rispetto a quello del più piccolo dei virus, ma soprattutto per l’incapacità di codificare proteine. Pertanto, i viroidi si replicano e si muovono nella pianta prevalentemente grazie alla capacità del loro RNA genomico di usurpare enzimi e meccanismi molecolari dell’ospite
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virosi e fitoplasmosi duttivi, è di estrema importanza la conoscenza delle caratteristiche sintomatologiche della nuova malattia per consentire una rapida identificazione di eventuali focolai, la loro rapida circoscrizione e l’eradicazione del problema.
Meccanismo di infezione dei viroidi
Viroidi I viroidi, i più piccoli agenti infettivi fino a oggi conosciuti, possono determinare gravi malattie al pomodoro. Potato spindle tuber viroid (PSTVd) è sicuramente una delle principali minacce per questa coltura. Originariamente isolato da piante di patate affette dalla malattia del tubero fusiforme, PSTVd induce nanismo, accartocciamento fogliare e necrosi quando infetta il pomodoro. La gravità dei sintomi generalmente dipende dalla virulenza dell’isolato e si accentua se l’infezione si verifica a carico di piante giovani e in condizioni di temperatura elevata (30-32 °C) che favoriscono fortemente l’accumulo del viroide nei tessuti dell’ospite. Sebbene non si siano mai verificate gravi epidemie di PSTVd sul pomodoro, il potenziale rischio fitosanitario per questa coltura è elevato se si considera la trasmissibilità di questo viroide per seme, per polline e mediante attrezzi da lavoro contaminati. PSTVd è stato rinvenuto solo sporadicamente in Europa occidentale dove, a seguito dello stato di patogeno da quarantena a esso attribuito, si applicano drastiche misure di eradicazione laddove ne venga segnalata la presenza. Il recente rinvenimento, in diversi Paesi europei, di solanacee ornamentali infette in forma latente da PSTVd ha creato un motivato allarme sulla possibile diffusione epidemica di questo viroide. A partire dal 2007, PSTVd è stato segnalato anche in Italia, dapprima su piante ornamentali di Solanum jasminoides e S. rantonnetti che non mostravano sintomi dell’infezione e, successivamente, su piante di pomodoro con sintomi evidenti di nanismo e necrosi fogliare. Quest’ultima segnalazione desta particolare preoccupazione. Infatti, da dati molecolari relativi agli isolati di campo, si evince che PSTVd è stato trasmesso al pomodoro da solanacee ornamentali coltivate nelle vicinanze e infette in forma latente da questo viroide, suggerendo che queste ultime possono costituire una pericolosa sorgente di inoculo. Le modalità mediante le quali PSTVd è trasmesso dalle specie ornamentali al pomodoro rimangono sconosciute e particolare interesse viene attualmente rivolto all’approfondimento di queste tematiche al fine di identificare i punti critici da tenere sotto controllo per salvaguardare le coltivazioni di solanacee ornamentali ed eduli. Il pomodoro è ospite di altri viroidi, quali Tomato apical stunt viroid (TASVd), Tomato chlorotic dwarf viroid (TCDVd), Tomato planta macho viroid (TPMVd) e Citrus exocortis viroid (CEVd), che possono determinare gravi malattie (caratterizzate da sintomi simili a quelli indotti da PSTVd) fortunatamente fino a oggi mai registrate in Italia. La maggior parte di questi viroidi non è riportata in Italia.
• Uno dei principali obiettivi della
ricerca sui viroidi degli ultimi anni è la comprensione dei meccanismi molecolari mediante i quali questi RNA, che non codificano proteine, sono in grado di determinare l’insorgenza dei sintomi nelle piante infette. Due sono le ipotesi più accreditate: – la molecola viroidale matura interagisce con un fattore dell’ospite (RNA o proteina) impedendone la sua funzione fisiologica oppure attivando una serie di eventi concatenati – gli RNA viroidali sono degradati in piccoli frammenti in grado di interferire con l’espressione di un gene dell’ospite mediante un meccanismo noto come silenziamento dell’RNA
Sintomi di nanismo e accartocciamento fogliare indotti su pomodoro cv. Rutgers da un isolato severo di PSTVd. Il pomodoro cv. Rutgers e il PSTVd costituiscono un sistema sperimentale molto utilizzato nello studio della biologia dei viroidi, con particolare riferimento alla patogenesi
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coltivazione Fa eccezione CEVd, diffuso sul territorio nazionale negli agrumi, ma mai rinvenuto in infezioni naturali di pomodoro. Comunque, la recente segnalazione di solanacee ornamentali naturalmente infette da TCDVd e CEVd consiglia di mantenere sempre alto il livello di guardia contro questi pericolosi patogeni. In assenza di possibili interventi terapeutici, la lotta alle malattie viroidali del pomodoro si limita a osservare alcune norme profilattiche basate prevalentemente sull’utilizzo di seme sano, monitoraggi continui in campi coltivati, immediata analisi di piante con sintomi tipici di infezioni viroidali, controlli a campione delle produzioni vivaistiche con metodi diagnostici molecolari, disinfezione frequente degli attrezzi da lavoro con ipoclorito di sodio.
Stolbur o Tomato big bud
• Tomato big bud è il nome inglese della
malattia dello Stolbur del pomodoro e deriva dalla descrizione di uno dei sintomi che si manifestano sulle piante infette: l’ingrossamento dell’ovario fino a formare una sorta di vescica
Fitoplasmi La più grave malattia a eziologia fitoplasmale che interessa il pomodoro e un gran numero di altre specie spontanee e coltivate in tutto il mondo è lo Stolbur. Il pomodoro, insieme ad altre solanacee (patata, peperone, melanzana), è fra le colture maggiormente colpite, ma la malattia provoca gravi danni anche su altre specie di interesse agrario, tra cui la vite, su cui il Legno nero, malattia con uguale origine eziologica, provoca notevoli problemi in tutti gli areali viticoli del mondo. La malattia dello Stolbur del pomodoro è causata dall’omonimo fitoplasma, tassonomicamente incluso nel sottogruppo ribosomico 16Sr XII-A (STOL). In Europa è stata originariamente descritta su solanacee nei Paesi Balcanici ed è ora diventata endemica. In Italia è stata segnalata per la prima volta nel Lazio nel 1949 ed è stata poi ripetutamente individuata sul pomodoro da consumo fresco nell’Italia meridionale. Negli ultimi anni è comparsa anche in areali di coltivazione del pomodoro da industria dell’Italia centro-settentrionale, provocando gravi perdite di produzione. Sul pomodoro i sintomi si evidenziano inizialmente nella zona apicale della pianta per poi estendersi all’apparato fogliare e a quello riproduttivo. Le piante assumono portamento eretto per l’ingrossamento dei fusti e si verificano affastellamenti della vegetazione dovuti all’emissione di germogli con internodi corti dalle gemme ascellari. La parte apicale delle piante può essere completamente defogliata, mentre le foglie delle parti basali sono ridotte nelle dimensioni, presentano laciniature, clorosi, arrossamento delle nervature nella pagina inferiore e arrotolamento verso l’alto dei margini. I grappoli fiorali spesso dicotomizzano. I fiori possono presentare una virescenza dei petali e un ingrossamento del calice fino a formare una vescica (da cui il nome inglese della malattia Tomato big bud). Gli organi riproduttivi possono trasformarsi in parenchima indifferenziato. I sepali e i piccioli non si separano e i fiori assumono una forma anomala.
Ospiti del fitoplasma Stolbur
• Il fitoplasma Stolbur è estremamente
polifago e infetta piante ortive, ornamentali e arboree. È stato individuato infatti in: sedano, melanzana, porro, prezzemolo, peperone, tabacco, pomodoro, barbabietola da zucchero, finocchio, ortensia, gelsomino, lavanda, vinca, violetta, innumerevoli piante spontanee, avocado, pero, nettarina, ciliegio, fico e olivo
Generale disseccamento e deperimento di piante infette da Stolbur
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virosi e fitoplasmosi La pianta produce pochi frutti, piccoli e precocemente maturati con tessuti spugnoso-legnosi e sapore alterato. A volte dalla porzione basale dello stelo si formano radici avventizie. I danni economici che la malattia può indurre sono, quindi, molto elevati, soprattutto quando si verificano improvvise esplosioni, come è avvenuto in alcune annate di produzione. Nella provincia di Verona nel 1999 una intera produzione di pomodoro da industria sotto serra è stata distrutta dalla malattia. In alcuni campi di pomodoro sia da mensa sia da industria, localizzati nella provincia di Latina, è stato colpito dal fitoplasma fino all’82% delle piante in due annate successive. Nel 2005 e nel 2006 la malattia è improvvisamente comparsa in areali di produzione di pomodoro da industria nella provincia di Parma, dove è stato riportato un danno medio sulla produzione del 67%. A causa dei danni economici potenziali che lo Stolbur può indurre, soprattutto su pomodoro e patata, il patogeno è elencato nella lista A2 degli organismi da quarantena dell’EPPO (Organizzazione Europea per la Protezione delle Piante) ed è quindi assoggettato a una serie di normative fitosanitarie. Il più importante vettore del fitoplasma Stolbur, sia su vite sia su solanacee, sembra essere lo Hyalesthes obsoletus, ampiamente distribuito nell’areale mediterraneo e presente su tutto il territorio italiano. L’insetto compie una sola generazione l’anno e solo gli adulti, che compaiono da fine giugno alla fine di luglio, frequentano il pomodoro, ma, essendo piuttosto polifagi, la loro presenza su questa coltura è del tutto occasionale e limitata nel tempo (2-3 giorni). In genere gli adulti vengono ritrovati prevalentemente sulla vegetazione spontanea, soprattutto ortica e convolvolo, che cresce ai bordi e/o nei fossati che delimitano gli appezzamenti e su queste specie l’insetto depone le uova e sverna sulle radici come forma giovanile.
Variabilità molecolare del fitoplasma Stolbur
• Da analisi molecolari effettuate
sul gene fitoplasmale variabile tuf, correlato alla proteina di membrana, sono state individuate due varianti molecolari corrispondenti ad altrettanti isolati del fitoplasma che, sulla vite, hanno mostrato anche di avere cicli epidemiologici ben differenziati. Tali isolati sono stati denominati tuf tipo I e tuf tipo II. Il tuf tipo I presenta un ciclo epidemiologico in cui l’ospite infetto depone le uova e sverna come neanide ed è rappresentato dall’ortica. Il tuf tipo II completa invece il proprio ciclo vitale sul convolvolo. Questi studi sono stati effettuati in Italia anche in campi di pomodoro e solo l’isolato tuf tipo II è stato rinvenuto nei pomodori infetti dal fitoplasma
Distruzione dell’apparato aereo della pianta a seguito di infezioni da Stolbur Distorsioni del fusto e necrosi delle foglie infette da Stolbur
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il pomodoro
coltivazione Fisiopatie Alberto Pardossi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Fisiopatie Introduzione Nonostante sia una specie relativamente rustica, il pomodoro è interessato da numerosi disordini fisiologici (fisiopatie) che, se particolarmente gravi, possono provocare ingenti perdite economiche diminuendo le produzioni e deprezzando i frutti. Le fisiopatie possono interessare le parti verdi (soprattutto, le foglie), gli organi fiorali, i frutti e, in alcuni particolari casi, anche le radici. Per esempio, è nota la sindrome della morte delle radici in idroponica, la cui eziologia è peraltro poco nota. Spesso le fisiopatie sono riconducibili a disordini della nutrizione minerale; altre volte, i fattori responsabili dei disordini fisiologici sono di natura ambientale. Le alterazioni a carico dei vari organi della pianta possono essere determinate da alcune sostanze gassose (per esempio, etilene, ftalati liberati da materiali plastici, ozono ecc.) presenti per esempio nell’atmosfera della serra. Se diagnosticati precocemente, alcuni disordini come le carenze minerali possono essere risolti con opportuni interventi correttivi. In altri casi, soprattutto quando sono colpiti i frutti, non esistono
Diagnosi delle fisiopatie
• La diagnosi dei disordini fisiologici
del pomodoro, come di qualsiasi altra coltura, richiede la conoscenza della fisiologia della pianta e una buona dose di esperienza. Di aiuto sono certamente le numerose pubblicazioni (anche in Internet), che spesso riportano una dettagliata documentazione fotografica di molte fisiopatie e delle chiavi diagnostiche. Non di rado, però, la diagnosi è lunga e difficile, essendo necessario raccogliere informazioni di vario tipo (per esempio sulle condizioni climatiche, sui tipi e sulle dosi di concimi e/o antiparassitari distribuiti ecc.) e, quando c’è il motivato sospetto di un disordine minerale, procedere all’analisi degli organi colpiti. In quest’ultimo caso, è bene analizzare anche dei campioni prelevati da piante sane (per un confronto) ed eventualmente il terreno (o il substrato) e l’acqua irrigua (o le soluzioni nutrive)
Chiave diagnostica per l’identificazione delle carenze minerali delle foglie di pomodoro Sono interessate le foglie vecchie
Cura dei disordini minerali
• Per risolvere i casi di carenza minerale
può essere utile, come misura di emergenza, la somministrazione diretta agli organi interessati, foglie o frutti. Nel caso della tossicità da microelementi, invece, un rimedio efficace, soprattutto nelle colture fuori suolo, può essere l’innalzamento del pH del substrato e/o dell’acqua irrigua, in modo da ridurre l’assorbimento radicale. In generale, però, è attraverso un’oculata gestione della concimazione (e anche dell’irrigazione) che si possono prevenire, prima che curare, i disturbi minerali
Clorosi diffusa
Azoto (N)
Colorazione rossastra della pagina inferiore
Fosforo (P)
Ingiallimento, inizialmente limitato ai margini e quindi generalizzato; segue la formazione di aree necrotiche
Magnesio (Mg)
Ingiallimento generalizzato seguito da macchie necrotiche internervali
Molibdeno (Mo)
Aree clorotiche internervali e disseccamento dei margini
Potassio (K)
Leggera clorosi internervale seguita da aree necrotiche Interessa nei casi gravi anche le foglie più giovani
Solfo (S)
Sono interessate le foglie giovani
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Clorosi e necrosi delle parti basali delle foglie
Calcio (Ca)
Clorosi diffusa
Boro (B)
Clorosi internervale con le nervature che rimangono verdi
Ferro (Fe)
Clorosi internervale (inizia vicino alle nervature) e deformazioni
Manganese (Mn)
Leggera clorosi e deformazione (accartocciamento e piegatura del picciolo in basso)
Rame (Cu)
Clorosi internervale con le nervature che rimangono verdi; segue la formazione di aree necrotiche
Zinco (Zn)
fisiopatie di fatto trattamenti curativi e gli interventi sono esclusivamente di natura preventiva. Di seguito, sono illustrati sinteticamente i disordini più gravi tra quelli che possono colpire le foglie, le strutture fiorali e i frutti.
Accartocciamento delle foglie
• L’accartocciamento fogliare è un
Fisiopatie a carico delle foglie Le foglie possono essere interessate da molte fisiopatie, la maggior parte delle quali è legata a disturbi della nutrizione minerale. I disordini minerali dipendono da un insufficiente o, al contrario, un eccessivo assorbimento radicale di uno o più elementi nutritivi, non necessariamente a causa di un loro contenuto nel mezzo di crescita troppo basso o troppo alto. Soprattutto le carenze, infatti, sono molto spesso indirette, cioè provocate da valori anomali del pH del terreno o della soluzione nutritiva in idroponica, dall’antagonismo minerale esercitato da altri elementi nutritivi e/o da condizioni ambientali sfavorevoli all’assorbimento radicale. Per esempio, la carenza di fosforo, indicata dalla colorazione rossastra della pagina inferiore delle foglie, è spesso indotta dalla bassa temperatura, che riduce l’assorbimento radicale e la traslocazione verso le foglie di questo nutriente. Le carenze indotte sono, in effetti, assai più frequenti di quelle dirette. La tossicità, invece, è quasi sempre il risultato di un’eccessiva concentrazione di un determinato elemento nel terreno o nell’acqua irrigua. I sintomi provocati dalla carenza o dalla tossicità di elementi minerali possono essere facilmente confusi e la diagnosi di queste fisiopatie richiede la conoscenza della mobilità dei vari nutrienti nella pianta. Le carenze degli elementi nutritivi poco mobili colpiscono le foglie più giovani (apicali); è il caso del calcio (Ca) e di microelementi
fenomeno tipico della coltura del pomodoro, sia in serra sia in pien’aria. Interessa soprattutto le foglie basali ed è una tipica risposta della pianta a una drastica potatura o, più frequentemente, a condizioni di elevata traspirazione fogliare e/o di ridotta disponibilità di acqua nel terreno; in questo modo, la pianta tenta di limitare le perdite di acqua. I sintomi possono essere temporanei o persistere per l’intera stagione. In genere, non provoca perdite di produzione particolarmente significative
Sintomi fogliari della carenza di magnesio
Necrosi marginale delle foglie di pomodoro provocata da un’eccessiva concentrazione di boro (5 mg/l) nell’acqua irrigua
Sintomi fogliari della carenza di zinco
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coltivazione come il boro (B), il ferro (Fe), il rame (Cu), il manganese (Mn) e lo zinco (Zn). I sintomi provocati dalla deficienza di elementi facilmente traslocati all’interno della pianta, in genere macroelementi come l’azoto (N), il potassio (K), il magnesio (Mg) e il fosforo (P), interessano le foglie più vecchie (basali). Anche per il molibdeno (Mo), coinvolto nel processo di assimilazione (organicazione) dell’azoto nitrico nei tessuti fogliari, la sintomatologia interessa, almeno inizialmente, le foglie mature. Nel caso della carenza di zolfo (S), i sintomi interessano un po’ tutte le foglie. Le carenze si manifestano in genere sotto forma di clorosi più o meno diffuse, che eventualmente evolvono in necrosi marginali e/o internervali. L’eccessiva disponibilità dei macroelementi e di alcuni microelementi (per esempio Fe) solitamente non dà origine a sintomi specifici, ma si manifesta attraverso la deficienza indotta (per antagonismo) di altri nutrienti (per esempio, un eccesso di P o di Fe provoca una carenza di Zn, mentre quello di K o di Mg può provocare carenze di Ca). La tossicità di altri microelementi, invece, si manifesta con clorosi e necrosi marginali o internervali a carico soprattutto delle foglie mature, dove tendono ad accumularsi proprio perché sono elementi poco mobili. Anche l’eccesso di azoto ammoniacale, oltre a favorire l’insorgenza di Ca-carenze anche a carico dei frutti, può provocare clorosi e disseccamenti delle foglie più giovani. La cura dei disordini minerali, ovviamente, prevede la modifica del piano di concimazione o fertirrigazione. Fisiopatie a carico dei fiori Il pomodoro è una specie autogama, anche se è possibile la fecondazione incrociata, utilizzata per esempio nella produzione dei semi ibridi.
L’accartocciamento fogliare è un fenomeno frequente nelle colture di pomodoro condotte nelle stagioni più calde e secche. È una forma di adattamento della pianta a condizioni di intensa evapotraspirazione Aborto dell’infiorescenza del pomodoro in serra
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fisiopatie La temperatura ottimale per la produzione e la germinazione del polline è di 16-25 °C. Temperature inferiori a 10-12 °C o superiori a 35 °C riducono la produzione di polline e la ricettività dello stigma, ostacolando l’impollinazione e l’allegagione. Si parla di aborto quando i fiori o addirittura le intere infiorescenze non completano lo sviluppo e sulla pianta sono visibili solo degli abbozzi. Questo problema interessa soprattutto le colture di serra nel periodo autunno-invernale e le prime infiorescenze sulla pianta. La causa fisiologica consiste in un’insufficiente disponibilità di carboidrati per l’infiorescenza a causa di una ridotta fotosintesi fogliare e della competizione esercitata da altri organi, in primis le foglie, per gli assimilati fotosintetici. I fattori colturali e ambientali responsabili dell’aborto d’infiorescenza sono generalmente i seguenti: – bassa luminosità, specialmente se associata a una temperatura notturna relativamente elevata; – ridotta concentrazione di anidride carbonica (in serra); – concimazioni azotate e irrigazioni eccessive. I rimedi consistono, evidentemente, nel rimuovere i fattori scatenanti; particolarmente efficace nelle colture di serra è una leggera riduzione della temperatura notturna (rispetto ai valori standard) dopo giornate nuvolose e fredde. Più che l’aborto fiorale, le colture di pomodoro sono spesso interessate da serie difficoltà d’allegagione. L’allegagione consiste nella formazione di un frutto di minime dimensioni da un fiore normalmente sviluppato ed è determinata dall’impollinazione. Una scarsa allegagione può essere provocata dagli stessi fattori responsabili dell’aborto fiorale o da una scarsa impollinazione. A sua volta, l’impollinazione può essere ostacolata dalla longistilia
Tipico esempio di difetti di allegagione nel pomodoro di serra. Nonostante il notevole numero di fiori, soltanto due frutti si sono sviluppati regolarmente
Impiego dei pronubi
• La scarsa allegagione dei fiori è un grave
problema di molte colture di pomodoro sia in serra sia in campo. Una delle cause più importanti di questa fisiopatia è data dalla scarsa impollinazione. Almeno in serra, per risolvere questo problema senza ricorrere all’uso di ormoni alleganti, sono sempre più utilizzati come insetti pronubi i bombi e non le api, le quali non visitano i fiori di pomodoro in quanto privi di nettare. Il fiore impollinato da un bombo è riconoscibile per la presenza di una tipica colorazione scura lasciata dallo stesso insetto; serve a marcare il fiore, evitando così una nuova, inutile visita alla ricerca del polline
I bombi sono molto utilizzati nelle colture di pomodoro in serra per favorire l’impollinazione dei fiori. Da notare la macchia scura lasciata dall’insetto sul cono staminale
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coltivazione (allungamento dello stilo oltre il cono delle antere, con conseguente difficoltà di impollinazione) o, più frequentemente, da una scarsa produzione e/o vitalità del polline a causa di stress termici o da una sua scarsa mobilità. Il secondo fenomeno interessa soprattutto le colture in serra, dove la ridotta ventilazione e l’elevata umidità relativa rendono difficile il distacco dei granuli pollinici dalle antere. Oltre al controllo della temperatura, per favorire l’allegagione si ricorre al trattamento dei fiori in antesi con fitoregolatori a base di auxine o all’impiego di vibratori, soffiatori o, meglio ancora, di insetti pronubi come i bombi (Bombus terrestris). I trattamenti con ormoni alleganti non sono ammessi dai disciplinari di produzione integrata o biologica e dai mercati all’estero; inoltre danno origine a frutti senza o con pochi semi, irregolari nella forma, scatolati (la placenta cresce meno del pericarpo) e con una sorta di umbone nella parte distale.
Marciume apicale dei frutti
• È una grave fisiopatia attribuita
a una carenza localizzata di calcio, che è provocata da un squilibrio tra l’accrescimento ponderale del frutto e il rifornimento di questo elemento nei primi stadi di sviluppo (1-2 settimane dopo l’antesi)
• Nella figura in basso sono riportate
le concentrazioni di K e Ca in diverse porzioni di frutti di pomodoro sani oppure colpiti da marciume apicale. Rispetto al potassio, le concentrazioni di calcio sono molto più basse (di un ordine di grandezza) ed esiste un forte gradiente passando dalla porzione prossimale del frutto a quella distale. Da notare sono anche le differenze, davvero piccole, tra un frutto colpito da marciume e uno sano, nel contenuto di calcio delle zone interessate normalmente dalla fisiopatia. In effetti, non è possibile stabilire una concentrazione minima di calcio che possa evitare l’insorgenza di questa patologia
Fisiopatie a carico dei frutti I disordini più importanti sono il marciume apicale, la spaccatura e i difetti di maturazione. Questo tipo di fisiopatie riduce sempre il valore commerciale dei frutti e in alcuni casi li rende invendibili. Alcuni di questi, in particolare il marciume apicale, sono stati oggetto di moltissimi studi sperimentali e la loro eziologia è ben definita. Per altre fisiopatie, come per esempio la maturazione a chiazze, le basi fisiologiche sono invece meno chiare, anche per la difficoltà a riprodurre sperimentalmente il problema. Il marciume apicale è un disordine legato al calcio (Ca) (di fatto, una carenza) che può colpire anche il peperone, il melone e l’anguria.
Concentrazione di calcio e potassio nelle porzioni prossimali, mediane e distali di frutti di pomodoro sani o colpiti da marciume apicale (% sost. secca)
Marciume apicale del pomodoro
K
Ca
K
Ca
3,61
0,25
3,64
0,23
3,22
0,17
3,09
0,11
3,64
0,14
3,58
0,07
Frutto sano
240
Frutto colpito
fisiopatie Si manifesta con una necrosi della parte distale del frutto. Questo viene colpito nei primi stadi di sviluppo, anche se spesso il danno si nota solo più avanti; in alcuni casi, la necrosi non è visibile esternamente. Curiosamente, i frutti colpiti tendono a maturare prima rispetto ai frutti sani portati sullo stesso grappolo. I frutti sono particolarmente suscettibili alla deficienza di Ca nel periodo che intercorre tra la prima e la seconda settimana dopo l’allegagione. È un disordine frequente nelle serre dell’ambiente mediterraneo, dove spesso si hanno sbalzi nell’umidità del terreno o condizioni di elevata traspirazione fogliare a causa dell’alta temperatura, dell’elevata radiazione e della bassa umidità relativa (UR). Il marciume apicale interessa soprattutto le colture primaveriliestive e le varietà a frutto grosso o allungato. Molto spesso la carenza di Ca non è la conseguenza di uno scarso assorbimento radicale dell’elemento (per una ridotta concentrazione di Ca e/o un pH acido nel mezzo di coltura, o per fenomeni di antagonismo minerale), ma piuttosto di un’inadeguata distribuzione di questo macroelemento all’interno della pianta e/o di un insufficiente sincronismo tra la crescita del frutto e il rifornimento di Ca. Questo spiega perché il frutto è particolarmente suscettibile nei primi stadi di sviluppo, quando appunto il tasso di accrescimento ponderale è molto alto. Il Ca nella pianta si muove quasi esclusivamente per via xilematica, per cui il rifornimento è adeguato, in genere, negli organi che traspirano molto (foglie adulte) e può essere insufficiente in quelli che traspirano poco (frutti, foglie giovani), soprattutto in condizioni di stress idrico o salino. L’elevata salinità dell’acqua irrigua o della soluzione nutritiva è, in effetti, uno dei fattori maggiormente responsabili del marciume apicale dei frutti. Oltre a indurre uno stress osmotico, l’eccessiva salinità riduce la formazione di vasi xilematici all’interno dei frutti, determinando così un ulteriore ostacolo al trasporto dell’acqua e quindi del Ca verso le parti distali delle bacche. Lo stress salino riduce anche la pressione radicale (responsabile anche della guttazione fogliare), che garantisce un certo rifornimento di acqua e di Ca alle bacche durante la notte. Per prevenire l’insorgenza della fisiopatia occorre: – evitare gli squilibri idrici attraverso un corretto pilotaggio dell’irrigazione (si tratta di irrigare le colture frequentemente e con bassi volumi) e/o aumentando l’umidità ambientale (se troppo bassa) durante il giorno; – ridurre il tasso di crescita dei frutti, diminuendo per esempio la temperatura di coltivazione; – favorire lo sviluppo della pressione radicale, per esempio mantenendo un’alta UR e una temperatura del substrato intorno a 20 °C, riducento la temperature a 14-15 °C e irrigando le piante con acqua o soluzioni nutritive a ridotto contenuto di sali; – evitare le concimazioni con N ammoniacale;
Marciume apicale del pomodoro: la fisiopatia insorge nei primi stadi di sviluppo del frutto e i frutti colpiti generalmente maturano prima dei frutti sani portati dallo stesso grappolo
Sia in campo sia in serra, una corretta gestione dell’irrigazione è la premessa fondamentale per evitare il marciume apicale
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coltivazione – non eccedere con la somministratione di K e di Mg, in quanto l’antagonismo minerale con questi cationi può ridurre l’assorbimento radicale del Ca; – ricorrere a trattamenti localizzati sulle infiorescenze subito dopo l’antesi, con nitrato o cloruro di Ca. Questo trattamento è particolarmente efficace, ma presenta non pochi inconvenienti nelle colture su scala commerciale; l’operazione è onerosa e deve essere effettuata con cura per evitare fenomeni di fitotossicità. Talvolta confusa con il marciume apicale, è una fisiopatia, nota come muso di gatto (in inglese, cat-face oppure scar), che si manifesta con una profonda cicatrice nella zona distale del frutto. Le varietà più sensibili sono quelle da mensa con frutti grossi e/o costoluti. La causa principale è la bassa temperatura dell’aria (inferiore a 14-15 °C) per periodi prolungati. L’uso di trattamenti ormonali alleganti e/o l’eccessiva concimazione azotata possono aggravare il problema. La spaccatura (cracking), radiale o concentrica, dei frutti è un problema assai grave che interessa soprattutto le colture estive in pieno campo e i frutti in via di maturazione. La spaccatura colpisce soprattutto i frutti al momento dell’invaiatura, ma può interessare anche i frutti giovani, anche se si rende palese solo più avanti nello sviluppo sotto forma di microfessure della cuticola (in inglese, la spaccatura cuticolare è nota con il termine russetting). Le cause di questa fisiopatia sono riconducibili al rapido ingresso dell’acqua nel frutto associato a una ridotta elasticità della buccia; è l’aumento della pressione idrostatica dei frutti che ne provoca la rottura. Un periodo caldo-siccitoso seguito da abbondanti piogge, oppure una forte escursione termica tra il giorno e la notte sono le condizioni che più favoriscono la spaccatura dei frutti in campo o in serra, soprattutto nelle varietà a frutti grossi. Altre condizioni favorevoli alla spaccatura sono il ridotto carico di frutti per pianta, l’esposizione diretta delle bacche alla luce solare e la defogliazione. I rimedi più efficaci consistono nel: – pilotare attentamente l’irrigazione per evitare gli sbalzi di umidità nel terreno; – limitare la defogliazione della pianta; – (in idroponica) utilizzare soluzioni nutritive più concentrate in modo da ridurre, per effetto dello stress osmotico, il tasso di accrescimento del frutto, che come detto dipende dal flusso idrico. Anche la spaccatura è considerata da alcuni studiosi un disordine legato al Ca e/o al B, in quanto l’irrorazione dei frutti con soluzioni a base di questi elementi sembra ridurre l’incidenza di questa fisiopatia. I frutti di pomodoro sono spesso interessati da un difetto della maturazione. Questa fisiopatia presenta diverse varianti, che spesso sono poco distinguibili e/o si presentano insieme: matura-
La fisiopatia nota come muso di gatto o scar (in inglese, questa parola significa cicatrice) è provocata da condizioni prolungate di bassa temperatura dopo l’allegagione
Spaccatura di pomodori ciliegini, in genere abbastanza resistenti a questa fitopatia
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fisiopatie zione a chiazze (blotchy ripening), imbrunimento interno (internal browning), parete grigia (gray wall), spalla gialla (o verde; yellow shoulder). I sintomi sono spesso simili a quelli provocati dalle virosi (per esempio TMV). In molti casi, la colorazione rossa non si sviluppa in modo uniforme sulla superficie del frutto per un’alterazione della sintesi del pigmento rosso, il licopene; la superficie così rimane verde oppure gialla, quando prevale la presenza del beta-carotene. Le anomalie nella maturazione dei frutti sono più frequenti nelle colture primaverili e la loro comparsa generalmente si associa a: – eccessive concimazioni azotate e/o irrigazioni; – ridotta concentrazione di K nel terreno o nella soluzione nutritiva (colture fuori suolo o fertirrigate); – clima variabile, soprattutto dal punto di vista della radiazione (per esempio, periodi soleggiati alternati a periodi nuvolosi); – alta temperatura, soprattutto se associata a una ridotta luminosità. Proprio perché la sua eziologia non è stata ben chiarita, le misure per ridurre l’incidenza dei difetti di maturazione dei frutti sono aleatorie. Un’adeguata concimazione a base di K sembra l’unica pratica con una certa efficacia. Alcune particolari decolorazioni dei frutti di pomodoro sono quelle localizzate in prossimità del peduncolo; sono provocate da una ritardata perdita dei petali fiorali (scamiciatura) dopo l’impollinazione. Talvolta si ha un ingiallimento dei sepali; è questo un sintomo della senescenza dei tessuti, molto probabilmente stimolato dall’etilene prodotto dai frutti in via di maturazione.
Decolorazione localizzata di un frutto di pomodoro provocata da una ritardata scamiciatura dei fiori
La maturazione irregolare o a chiazze è una grave fisiopatia del pomodoro di difficile controllo, non essendone ancora chiara l’eziologia Ingiallimento dei sepali in frutti di pomodoro coltivati in serra
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il pomodoro
coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Flora spontanea Foto R. Angelini
Introduzione La coltivazione del pomodoro in pieno campo interessa molte regioni italiane, da sud a nord della Penisola, e abbraccia un insieme di ambienti molto diversificati fra loro, per situazione pedologica e per andamento climatico, che influenzano il tipo di flora spontanea che si instaura negli appezzamenti coltivati con la solanacea. L’assortimento floristico è vieppiù complicato dalle modalità e dall’epoca di impianto adottati nelle diverse realtà aziendali, oltre che dall’ordinamento colturale. Anche la frequenza e l’intensità degli interventi diserbanti, con mezzi meccanici o chimici, sulle colture precedenti, concorrono a caratterizzare le associazioni floristiche dei campi di pomodoro. In definitiva la tipologia della flora infestante dipende, in massima parte, dai seguenti fattori: – epoca e modalità dell’impianto; – coltura precedente; – intensità di diserbo adottato negli anni precedenti; – variabilità climatica delle diverse zone; – tipo di terreno. In assenza di diserbo è indubbio che la semina diretta del pomodoro, specialmente se accompagnata da abbondanti precipitazioni o da regimi irrigui particolarmente spinti, favorisce la diffusione di molte specie selvatiche che diventano molto competitive perché naturalmente avvantaggiate nella nascita e nell’accrescimento rispetto alle piantine di pomodoro. Inizialmente si insediano le specie a nascita autunno-invernale, come qualche graminacea e la fumaria, per citarne alcune importanti, e solo in un secondo tempo si instaurano le infestanti a nascita primaverile.
Amaranti in diversi stadi di sviluppo
Pomodoro infestato al lago di Lesina Infestazione mista primaverile-estiva
Foto R. Angelini
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flora spontanea Ormai dappertutto alla semina diretta si preferisce il trapianto in primavera avanzata, per cui la flora spontanea è costituita prevalentemente dalle specie che nascono in questo periodo: prendono il sopravvento sulle altre avventizie gli amaranti, i chenopodi, i poligoni, la porcellana, il vilucchio comune, le graminacee estive e la temibile pomidorella che, fra tutte, è la più ostica da controllare, con i mezzi chimici principalmente, perché appartiene alla stessa famiglia botanica del pomodoro, e anche con mezzi meccanici perché la specie possiede l’innata facoltà di originare piante durante un lungo periodo, tra la primavera e l’estate. L’assortimento specifico della flora infestante dipende moltissimo dalla coltura che precede quella del pomodoro sullo stesso appezzamento; quanto più la coltura precedente è diversa, dal punto di vista delle pratiche colturali e del ciclo vegetativo, tanto più la flora spontanea sarà diversificata. Le flore più semplificate, con un basso numero di specie ma molto competitive, si delineano nelle condizioni di monosuccessione spinta, cioè quando il pomodoro viene coltivato sullo stesso appezzamento per più anni consecutivi. Variando la coltura sullo stesso appezzamento nel corso degli anni la flora infestante sarà più varia e con un elevato numero di specie ma meno competitive rispetto alla situazione di monosuccessione, in particolare quando la coltura che precede il pomodoro ha ciclo vegetativo diverso da quello della solanacea. Negli ambienti meridionali, dove il pomodoro segue solitamente la coltura del frumento, gli appezzamenti sono invasi inizialmente da molte infestanti a nascita autunnale o invernale, come alcune graminacee: avena selvatica e falaridi soprattutto. Nel Settentrione, dove il pomodoro segue una coltura di mais, prevalgono le specie a nascita primaverile come, per esempio, tra le graminacee: giavone, sanguinella comune, pabbio e sorghetta.
Infestanti varie in un campo di pomodori
Foto R. Angelini
Infestazione mista con vilucchio
Pomodoro infestato a Montebello (AL)
Confronto fra terreno diserbato (a sinistra) e testimone non trattato su pomodoro seminato
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coltivazione Composizione della flora infestante nelle diverse aree (apporti % gruppi infestanti principali)
22
23
3
2
5
10
13
6
16
30
19
3
3
5
7
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6
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39
16
4
3
7
6
8
6
11
36
14
4
4
5
5
3
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47
16
1
5
6
6
7
5
7
36
19
2
9
3
6
10
8
7
Altre
Fumaria Porcellana Poligoni
Amaranti
6
8
21
12
2
3
1
18
25
5
12
9
5
2
7
4
7
46
14
24
9
14
12
12
3
12
7
14
10
14
15
14
4
4
4
15
26
7
1
20
3
7
2
7
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Amaranti
Graminacee Vilucchio Pomidorella Chenopodi
Poligoni Porcellana Fumaria
Altre
Chenopodi Pomidorella Vilucchio Graminacee Foto R. Angelini
Vilucchio
Fumaria
Porcellana
Poligono degli uccellini
Chenopodio puzzolente
Amaranto minore
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flora spontanea Diffusione prevalente delle specie citate (e numerate) nelle diverse aree 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Cardo mariano Cencio molle (Abutilon) Cencio molle (Kichxia) Centorchio Cuscuta Eliotropio selvatico Equiseto Graspino Ibisco vescicoso Mercorella comune Nappola italiana Nappola spinosa Orobanca Ravanello selvatico Stramonio comune Stoppione Tornasole Tribolo Zigolo
2, 5, 7, 9, 16 5, 7, 10
3, 4, 6, 7, 10
6, 7, 8, 11, 15
1, 12, 13, 16, 17, 18, 19
6, 7, 14, 15
1, 12, 18, 19
7, 8, 10, 12, 14, 19 1, 12, 13 1, 6, 7, 8, 10
12, 14, 17 Foto R. Angelini
1
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3
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247
18
19
coltivazione Relativamente all’assortimento floristico che si delinea nei diversi areali di coltivazione, si registra la diffusione di diversi gruppi di specie infestanti, più o meno omogenei dal punto di vista della loro distribuzione sul territorio. Un primo gruppo è formato dalle specie che sono da ritenersi più importanti perché si trovano in tutta l’Italia, seguito da gruppi caratteristici formati da specie che frequentano prevalentemente gli areali settentrionali (per esempio cencio molle, sorghetta e ibisco vescicoso), diverse da quelle dell’Italia centrale (per esempio fumaria sui versanti adriatici e stramonio comune su quelli tirrenici) e da quelle del Meridione (per esempio tribolo e nappola spinosa). Tale variabilità dipende quasi esclusivamente dalle condizioni climatiche che caratterizzano le diverse zone geografiche e meno dalla natura del terreno, quantunque, relativamente a quest’ultimo aspetto sono da evidenziare alcune particolarità floristiche che differenziano zone di areali affini, come, per esempio, la presenza di amaranto prostrato nel Ferrarese, raro nelle colture del resto della Pianura Padana, o alcune disaffinità vegetazionali tra gli ambienti pugliesi di Capitanata e quelli delle terre rosse del Tarantino. Secondo indagini fatte da chi scrive, durante l’ultimo decennio, nei maggiori areali di coltivazione del pomodoro in pieno campo (vedi aree colorate di rosso nelle cartine seguenti) si trovano circa 130 specie infestanti e qui di seguito sono descritte solo quelle che si riscontrano con maggiore frequenza; fra queste ultime alcune sono da ritenersi principali perché si trovano in tutti gli areali, altre vengono definite secondarie in quanto meno frequenti delle principali ma, proprio per questo, più caratterizzanti i diversi areali considerati. Le infestanti principali sono: amaranti (diverse specie), chenopodi (diverse specie), poligoni (diverse specie), pomidorella, porcellana comune, vilucchio, fumaria, graminacee che nascono nel periodo autunno-invernale (avena selvatica e scagliola) e graminacee che nascono durante la primavera (giavone, pabbio, sanguinella e sorghetta).
Foto R. Angelini
Amaranto minore Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Amaranto ibrido Amaranto blitoide
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flora spontanea Specie principali Amaranti (Amaranthus spp.). Appartenenti alla famiglia delle Amarantacee, queste piante devono il nome alla persistenza dei frutti sulla pianta anche dopo che questa è avvizzita (dal greco a = non, maraino = avvizzisco) e forse anche al colore degli organi di molte specie. Originarie della fascia tropicale le piante di amaranto, ricche di proteine, acidi grassi, microelementi e vitamina C, sono spesso utilizzate, nelle zone di origine, come insalata. Dai semi si ottiene una farina panificabile e nell’America centrale vengono decorticati e impastati con miele o con altre sostanze per ricavarne dolci, conservando una tradizione antichissima, risalente agli Aztechi. La specie più diffusa ovunque è l’amaranto comune, detto in latino A. retroflexus per via delle estremità delle infiorescenze mature molto pesanti e che perciò tendono a incurvarsi verso il basso (flexus = incurvato). Specie molto simili alla precedente sono amaranto ibrido (A. hybridus), con il quale spesso l’amaranto comune si incrocia in natura, e amaranto di Bouchon (A. bouchonii), il cui nome è dedicato al botanico francese che per primo lo descrisse nel 1925. Oltre alle specie precedenti, tutte con fusto eretto, nei campi di pomodoro si trovano con una certa frequenza anche amaranti con fusti adagiati sul terreno, completamente, come in amaranto livido (A. lividus), amaranto prostrato (A. deflexus), amaranto bianco (A. albus) e amaranto blitoide (A. blitoides), o almeno in parte, come in amaranto minore (A. graecizans).
Amaranto bianco Foto R. Angelini
Fenologia degli amaranti
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago
Set
Ott
Nov
Nascita Fioritura Amaranto comune
Disseminazione
249
coltivazione Chenopodi o farinelli (Chenopodium spp.). La similitudine di forma tra le foglie di queste piante, appartenenti alla famiglia delle Chenopodiacee, e le zampe delle oche conduce al primo nome (dal greco khen = oca e podion = piede) mentre il secondo nome italiano si riferisce allo strato di “farinello” che ricopre le lamine fogliari, specialmente sulla pagina inferiore, ed è riconducibile a miriadi di sferette bianche disidratate che nel complesso assumono sembianze di farina. Piante impiegate come insalate o come verdure da condimento, sin dall’Età del Bronzo, come il Buon Enrico (Chenopodium bonus-enricus), spontaneo nei nostri monti ma anche nelle zone umide delle pianure. Anche il chenopodio bianco (Chenopodium album), che si trova spessissimo spontaneo nelle colture di pomodoro, è stato usato da tempo immemorabile come succedaneo dello spinacio, e ancora attualmente impiegato, a scopo alimentare, nei Paesi tropicali. Nelle coltivazioni dell’Italia meridionale e delle isole maggiori la diffusione di chenopodio bianco è attualmente in regresso a favore del chenopodio rosso (Chenopodium rubrum), il cui nome ricorda il colore dei fusti. Abbastanza diffusi sono anche il polisporo (Chenopodium polyspermum), dai semi lucidi e dalle foglie di colore verde brillante, e il farinello puzzolente (Chenopodium vulvaria), con fusti prostrati sul terreno e dall’insopportabile odore di pesce marcio che sprigiona quando sfregato fra le dita.
Foto R. Angelini
Chenopodio bianco Foto R. Angelini
Poligoni (Polygonum spp.). Il nome di questo genere di piante, ripreso anche da quello della famiglia (Polygonacee), mette in evidenza i fusti intervallati da molti (in greco polys) nodi che fanno piegare come ginocchi (in greco gony) i rametti e che sono avvolti da brattee particolari dette ocree.
Chenopodio polisporo Foto R. Angelini
Fenologia dei chenopodi
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Nascita Fioritura Farinello puzzolente
Disseminazione
250
Set
Ott
Nov
flora spontanea Tale caratteristica si nota particolarmente nel poligono degli uccellini (Polygonum aviculare), detto anche centonodia, che è fra tutti i poligoni quello più diffuso negli appezzamenti di pomodoro di tutt’Italia. Il riferimento agli uccellini riguarda le miriadi di semi che matura, dei quali, pare, siano particolarmente ghiotti gli uccelli. Nodi particolarmente evidenti e grandi ha il poligono nodoso (P. lapathifolium), spesso confuso con la persicaria (P. persicaria), dalle foglie simili a quelle del pesco. Diffuso ovunque, infine, è il poligono convolvolo (Fallopia convolvulus), con fusto che si avviticchia alle piante di pomodoro avvolgendole.
Foto R. Angelini
Fenologia dei poligoni
Poligono convolvolo Foto R. Angelini
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago
Set
Ott
Poligono degli uccellini
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago
Nov
Poligono persicaria Foto R. Angelini
Set
Ott
Nov
Set
Ott
Nov
Poligono convolvolo
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Poligono nodoso Nascita
Fioritura
Disseminazione
Poligono nodoso
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coltivazione Pomidorella o erba morella (Solanum nigrum). Della stessa famiglia botanica del pomodoro (Solanacee) questa è la specie più presente nei campi coltivati con l’orticola. La somiglianza e, allo stesso tempo, la distinzione fra le due specie sono insite nel nome della spontanea, chiamata pomidorella perché produce bacche simili nella forma a quelle del pomodoro (sferiche), ma più piccole; l’aggettivo latino però avverte che le bacche sono di colore nero (nigrum). Il nome del genere, Solanum, indica conforto, per le proprietà medicinali possedute dalle piante che ne fanno parte, ma non da tutti apprezzate, visto che le sostanze in esse contenute se non ben dosate possono addirittura provocare la morte, come avverte Plinio, nella sua Naturalis Historia (21, 180): “Quin est alterum … soporiferum est atque etiam opio velocius ad mortem, ab aliis morion, ab aliis moly appellatum”, cioè: l’erba morella = morion è più veloce dell’oppio nel procurare la morte.
Foto R. Angelini
Plantula di pomidorella
Fenologia della pomidorella
Foto R. Angelini
Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago
Set
Ott
Nov
Nascita Fioritura Disseminazione Pomidorella in fiore Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Bacche di pomidorella Erba morella rossa (Solanum luteum)
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flora spontanea Specie di secondario interesse Foto R. Angelini
Porcellana comune (Portulaca oleracea). Pare che questa pianta (famiglia delle Portulacacee) sia molto appetita dai maiali: è a questo che si riferisce il nome comune italiano; è certo però che i fusti e le foglie carnosette della porcellana sono da sempre utilizzati, e lo sono tuttora, come verdure da consumare in insalata, come sottolinea l’aggettivo latino oleracea (da orto). Portulaca, invece, evoca i piccoli frutti che si aprono con una portula apicale. Pianta conosciuta e utilizzata da tempo immemorabile, ma specialmente durante il Medioevo, adoperata dalle streghe prima del sabba o veniva sfalciata e messa davanti l’uscio per impedire l’entrata del Diavolo.
Porcellana comune Foto R. Angelini
Vilucchio comune (Convolvulus arvensis). “Io veglio e canto come l’usignolo che... teme che il vilucchio gli si avvolga…” (Giovanni Pascoli, Odi e Inni - Il sogno di Rosetta): in questi versi è descritto il significato del nome di questa Convolvulacea, che deriva dal suo fusto avvolgente (dal latino convolvere = avvolgere), mentre per quella sua capacità di intrufolarsi fra la vegetazione delle altre piante, grazie alle sue foglie a forma di lancia che ne agevolano l’intrusione, è ritenuto, dai floristi, il simbolo dell’invadenza. Ma è anche il simbolo della primavera, come ci ricorda lo scrittore ligure Angiolo Silvio Novaro, nella celeberrima: “Primavera vien danzando, vien danzando alla tua porta. Sai tu dirmi che ti porta? Ghirlandette di farfalle, campanelle di vilucchio...”. Vilucchio comune Foto R. Angelini
Fumaria o fumosterno (Fumaria officinalis). Incerto è il significato del nome attribuito a questa Papaveracea dai fiori particolari e dalle foglie frastagliate. Pare che il fumo cui si riferisce il nome sia quello che viene sprigionato dalle radici appena divelte dal terreno... oppure il fumo che sprigiona la pianta bruciata e che fa lacrimare gli occhi… oppure l’aspetto di fumo che l’intera pianta adulta assume se la si vede da lontano. Fatto sta che la pianta è sfruttata per le sue virtù medicinali sin dall’antichità: ciò è messo in rilievo dall’aggettivo specifico latino officinalis (di officina, intesa come farmacia) e giustificato dal contenuto in acido fumarico, particolarmente attivo per lenire i disturbi del fegato, e non solo. Fumaria
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coltivazione Foto R. Angelini
Avena selvatica (Avena sterilis). Il nome avena deriva forse dal sanscrito avasa, con il significato di un’erba molto gradita dagli ovini. L’aggettivo sterile si riferisce, invece, alle glume rimaste vuote sulla pianta, dopo che i semi sono caduti, e che perciò sembrano sterili, come ci dice il Tasso nel suo Rogo amoroso dove il pastore Aminta piange la morte di Corinna: “Corinna è morta… ahi lacrimoso fato… e ne’solchi in cui già fu sparso il grano vi signoreggia l’infelice loglio e la sterile avena…”. Mentre altri poeti ci informano che l’avena ha lo stelo vuoto ed emette un suono se vi si soffia dentro: “… Tutto chiedeva l’esile sirena… prendeva… uno stel d’avena e vi soffiava l’alito suo blando…” (Pascoli, Poemi italici). E il Carducci, in Juvenilia: “… E che? l’avena rustica dal labbro tuo risuona, o figlio de l’Egioco…”. Avena selvatica Foto R. Angelini
Scagliola (Phalaris). La lucentezza della glume ha ispirato il nome latino di queste piante: falerós = lucente. Diffusa quasi esclusivamente nelle colture di pomodoro del Centro-Sud dell’Italia continentale (sia sul versante adriatico, sia su quello tirrenico) e delle isole maggiori, questa graminacea si riconosce per le pannocchie molto contratte, talmente contratte da sembrare delle spighe. Le tre specie più diffuse come infestanti sono le seguenti: la scagliola cangiante (detta in latino Phalaris brachystachys, per avere la spiga tozza, ovale), la scagliola sterile (Phalaris paradoxa), per via di molte spighette dell’infiorescenza sterili e per questo strane (paradoxa), e la scagliola minore (Phalaris minor), cioè con semi più piccoli (minori) di quelli delle altre specie. Scagliola Foto R. Angelini
Giavone comune (Echinochloa crus-galli). Erbe (chlóe) dalle pannocchie irsute come il riccio (Echino), simili nella forma a una zampa (crus) di gallo (galli): tali caratteristiche danno il nome a questa graminacea estiva. Specie che vegeta dalla primavera all’autunno, molto eclettica dal punto di vista ecologico, potendo essa infestare le colture normali e quelle che vivono in sommersione, come il riso, e dunque particolarmente diffusa nelle aree risicole del Nord Italia, dove abbonda da protagonista di una storia antica, “croce e delizia” delle ormai tramontate mondine perché da esse maledetta per la fatica di mondarla e benedetta per l’opportunità di lavoro e di libertà che offriva loro.
Giavone comune
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flora spontanea
Foto R. Angelini
Pabbio (Setaria). Il nome latino di queste graminacee, dalle infiorescenze pressoché cilindriche, si riferisce alla miriade di setole che ricoprono l’infiorescenza e che derivano da fiori abortiti. Le setole sono, a loro volta, ricoperte di minuscoli uncini tramite i quali l’infiorescenza intera o i singoli semi si aggrappano al mantello degli animali e a qualsiasi altro supporto in grado di trasportarli lontano dalla pianta madre. A tutti capita, prima o poi, di ritorno da una gita estiva in campagna di soffrire di un fastidioso prurito alle caviglie provocato da spighette di setaria impigliate nei calzini; ciò accade nelle campagne di tutta l’Italia, ma con maggiore probabilità in quelle meridionali.
Pabbio Foto R. Angelini
Sanguinella comune (Digitaria sanguinalis). Ha fusto adagiato sul terreno, spesso arrossato come il sangue (sanguinella-sanguinalis) e le sue infiorescenze hanno sembianze di mano con le dita (digitus) aperte. La rievocazione del sangue avviene anche in alcuni nomi dialettali, come per esempio in Toscana (sanguinaria), in Piemonte (erba sanguignora) e in Emilia (sanguinela); anche i riferimenti alla forma dell’infiorescenza sono frequenti, come, per esempio, in Piemonte (piota d’gal), in Lombardia (cornajoela), in Friuli (fòrcule). Pure la sua somiglianza con la gramigna comune è sottolineata in qualche nome locale: gramigna agugghialòra in Sicilia e gramegna in Emilia.
Sanguinella comune
Sorghetta o melghetta (Sorghum halepense). Rigogliosa graminacea estiva, simile al sorgo (genere Sorghum) coltivato e, come questo, spesso impiegata (più in passato che attualmente) come foraggio per il bestiame. L’aggettivo specifico halepense fa riferimento alla città siriana di Aleppo, spesso menzionata come luogo di origine o di elezione di diverse specie vegetali. Più frequente al Nord che al Sud, in particolare nei terreni umidi e ben concimati. Se si lascia vegetare indisturbata, la sorghetta forma una spessa rete di rizomi interrati; essa, infatti, si riproduce tramite semi e per mezzo di rizomi i cui abbozzi si evidenziano molto presto nelle piante giovani, sia in quelle nate da seme, sia in quelle nate da rizoma. Sorghetta o melghetta
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coltivazione
Cardo mariano (Silybum marianum). Tipico esponente delle piante medicinali e mangerecce, tra le Composite (dette anche Asteracee) spinose, questo cardo è forse il più caratteristico, per le foglie macchiettate di bianco latte… della Madonna: una leggenda vuole che le spinose foglie si siano macchiate di bianco da quando la Madonna nascose sotto di loro il Bambino Gesù, durante la fuga in Egitto, per celarlo ai soldati di Erode. Per ringraziare il cardo (che da allora divenne “mariano”) gli volle lasciare un segno stillandovi alcune gocce del suo latte. Il nome latino pare derivi dalla parola greca sìlybon, usata anticamente per indicare i cardi in genere.
Cardo mariano
Abutilon o cencio molle (Abutilon theophrasti). Questa cugina sub-siberiana della nostra malva (entrambe appartengono alla famiglia delle Malvacee) da adulta ha grandi dimensioni, potendo superare anche i 2 metri di altezza; il suo fusto è semilegnoso, i fiori hanno cinque petali gialli e le sue foglie sono espanse, cuoriformi, vellutate e apparentemente flosce: quest’ultima caratteristica è sottolineata dall’altro suo nome italiano, cencio molle. Il nome latino deriva dalla parola araba usata per indicare una specie di malva ed è dedicata al filosofo e botanico greco Teofrasto (371-287 a.C.), allievo di Aristotele. La specie era assente dalle nostre parti e fu importata accidentalmente dalla Cina, dove ancora viene coltivata per ricavarne tessuti. Abutilon o cencio molle
Kickxia o cencio molle (Kickxia spuria). Appartiene alla famiglia delle Scrofulariacee, nome derivato dalle piante del genere Scrofularia, così dette perché il loro infuso in passato si usava per curare la scròfola. Il nome italiano della specie analogo a quello dato ad Abutilon theophrasti sottolinea la morbidezza delle foglie mentre quello latino è dedicato al botanico belga Jean Kickx (1775-1831). Questa pianta si riconosce anche per la particolare colorazione e per la forma dei fiori (petali irregolari, gialli e rossi, con un caratteristico sperone bianco ricurvo). Soffre molto la competizione delle altre piante, comprese quelle di pomodoro, per cui la sua presenza preoccupa meno di quella delle altre infestanti.
Kickxia o cencio molle
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flora spontanea
Foto R. Angelini
Centonchio o mordigallina (Anagallis). Pare che gli estratti di questa Primulacea abbiano proprietà esilaranti: da ciò il nome scientifico (dal greco anaghelao = rido) e l’uso contro la malinconia che se ne faceva fino a poco tempo fa, mentre il secondo nome italiano ricorda l’apprezzamento per queste piante da parte di galline e di altri volatili. La pianta è tossica e viene evitata persino dagli animali al pascolo ma è anche buona pianta medicinale per la ricchezza di sostanze terapeutiche (saponine) che però devono essere dosate e impiegate sotto stretto controllo medico. Esistono specie con fiori rossi e altre con fiori azzurri o più o meno rosati.
Centonchio o mordigallina
Cuscuta (Cuscuta). Il nome di questa Convolvulacea parassita deriva dal latino medievale cùscuta, ripreso dall’arabo kashūth. Dal seme caduto sul terreno nasce un fusto filamentoso, che si attorciglia alle piante di pomodoro, succhiando, tramite piccole ventose-tubicini (austori), la loro linfa. Questo modo di vegetare, senza avere foglie proprie né radici, ha sempre affascinato (e intimorito), tanto che nel Medioevo sono nate molte leggende su queste piante, alcune delle quali sono ancora rievocate dai nomi dialettali, come cavelli (de strìa, in Liguria, o d’angel, in Piemonte), rèive (refe) dal dièvel (Emilia), ragna (Abruzzo), filo d’oro (Campania e Calabria).
Cuscuta Foto R. Angelini
Eliotropio selvatico (Heliotropium europaeum). Questa pianta è caratterizzata da infiorescenze che nella forma sono simili alla coda degli scorpioni e che si orientano verso il sole: è a quest’ultima caratteristica che si ispira il suo nome (dal greco hélios = sole e trepomai = mi volgo). Botanicamente è molto vicina alla borragine, con la quale ha in comune la famiglia: Borraginacee; ha fiorellini bianchi formati ognuno da 5 petali saldati in un tubo basale. È riconosciuta pianta medicinale, con proprietà analgesiche e sedative, particolarmente apprezzata durante il Medioevo e anche nei secoli successivi, come si evince da un’ordinazione dell’Orto dei Semplici dell’Università di Padova nel 1712.
Eliotropio selvatico
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coltivazione
Equiseto (Equisetum). Il nome di questa pianta significa letteralmente sete d’equino, con riferimento alla coda di questi animali. Le sete non sono altri che rametti caratteristici, sottili e articolati, disposti in verticilli lungo un fusto cavo, nodoso e fragile originato da un rizoma o da tuberetti sotterranei. Questa è la forma primaverile che si vede tra le piante di pomodoro, ma la pianta nasce prima, verso la fine dell’inverno, sotto altre sembianze: il fusto è senza rametti e termina alla sommità con un organo a forma di clava (strobilo) contenente milioni di spore dalle quali nascono altre piante.
Equiseto Foto R. Angelini
Grespino (Sonchus). Appartiene alla famiglia botanica delle Composite (o Asteracee), così detta perché le piante che ne fanno parte formano infiorescenze a capolino composto ognuno di molti fiori. Il nome latino deriva da quello greco dato a queste piante: sonkos. Pianta dalla linfa lattiginosa, alimentare per eccellenza, conosciuta e utilizzata sin dall’antichità, ma anche in epoche più recenti (fino a qualche anno fa mia madre mi preparava un’ottima pietanza a base di agnello, grespino e altre erbe selvatiche… da leccarmi i baffi, se li avessi avuti). La pianta ha anche un uso medicinale, sotto forma di impiastri, per lenire gli effetti delle scottature e delle punture di insetti.
Grespino Foto R. Angelini
Ibisco vescicoso (Hibiscus trionum). Il nome italiano e quello botanico di questa specie derivano da quello latino che, a sua volta, riprende la parola híbiskos con la quale i Greci indicavano una forma selvatica di malva: l’ibisco, infatti, appartiene alla famiglia delle Malvacee. Anche il termine trionum era usato per definire una pianta simile alla malva. I frutti sono capsule rigonfie: forse è a loro che si riferisce il termine vescicoso. Gli ibischi hanno bellissimi fiori, decantati da scrittori e poeti, come D’Annunzio, nella lirica l’Otre (Alcyone): “… sentiva guizzar da presso il luccio… quando il bel Panisco biondetto sen venia, cinto d’ibisco roseo, con suoi lacci e con sue nasse!”.
Ibisco vescicoso
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flora spontanea
Foto R. Angelini
Mercorella comune (Mercurialis annua). Pare che il dio Mercurio usasse questa Euforbiacea come pianta medicinale. La pianta ha molte virtù curative (diuretica, purgativa; l’acqua di macerazione era usata nella idropsia, nella cachessia, come purgante e contro la sterilità), ma deve essere impiegata opportunamente e sotto controllo medico perché contiene diverse sostanze tossiche (saponine, alcaloidi, ecc.) che si accumulano nell’organismo: ne sono coscienti gli animali al pascolo che evitano di cibarsene. Le piante contengono anche indaco e altri coloranti; maturano fiori di un solo sesso, per cui vi sono piante maschili e piante femminili.
Mercorella comune Foto R. Angelini
Nappola (Xanthium). I capolini di questa Composita sono ovoidali, spinosi, contenenti ognuno due semi; sono tossici perché ricchi di xantostrumarina che, opportunamente estratta e dosata, viene impiegata in fitoterapia per le proprietà antispasmodiche, diuretiche, analgesiche, antireumatiche, antibatteriche e antimicotiche. Infusi di frutti di queste piante erano impiegati dagli antichi romani per ricavare coloranti gialli, per tingere le stoffe o per imbiondire i capelli (il nome deriva dal greco xanthos = biondo). Nei campi di pomodoro si trovano due specie: la nappola italiana (X. italicum), prevalentemente al Centro-Nord, e la nappola spinosa (X. spinosum), quasi esclusivamente al Sud Italia e nelle isole maggiori.
Nappola
Orobanca o succiamele ramosa (Orobanche ramosa). Piante parassite che caratterizzano la famiglia Orobancacee, simili a turioni di asparagi, prive di foglie verdi e con fiori coloratissimi che producono capsule contenenti migliaia di semi. Da ogni seme si sviluppa una radichetta che penetra nella radice della pianta ospite, si ramifica oltremisura infettando in più parti la radice dell’ospite ed emettendo un ciuffo di fusti rappresentanti nuove piante. Le diverse specie si riconoscono anche perché parassitizzano solo certe categorie di piante ospiti; nel passato erano molto diffuse le orobanche delle leguminose, come le fave, per cui queste piante sono state chiamate strozza-legumi (dal greco òrobos = legume e anchein = strozzare). Orobanca o succiamele ramosa
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coltivazione
Ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum). Questa Crucifera, dai fiori bianchi o gialli o violetti, è conosciuta e utilizzata come verdura sin dai tempi antichi; ne parlano Plinio e Democrito e prima ancora era utilizzata da Cinesi ed Egiziani. Le foglie giovani, di primo acchito ruvide e tenaci, si usano lessate per preparare contorni di piatti a base di carne o frittate; la pianta ha anche virtù medicinali (antiemorroidarie, depurative ecc.) ma va impiegata sotto stretto controllo del medico e usata impropriamente può provocare molti disturbi. Si riconosce per le sue silique, simili nella forma a sottilissime e corte salsicce, che si frazionano in tanti articoli a maturità.
Ravanello selvatico Foto R. Angelini
Stoppione o cardo campestre (Cirsium arvense). Fino a non molto tempo fa le stoppie del grano appena raccolto si riempivano rapidamente di questa composita spinosa (cardo): è a questo che allude il primo nome italiano; quello latino, invece, deriva dal greco kirsós = varici e mette in risalto le sue presunte capacità di curare tali alterazioni, così come ancora viene ricordato in uno dei nomi toscani dato alla specie: cardo emorroidale. Gli insetti visitano continuamente i bei capolini rosati e trasportano il polline su altri capolini facilitando così la formazione del seme: spesso però, in Italia, senza successo, tanto che le piante sono generalmente sterili e si riproducono tramite gemme radicali.
Stoppione Foto R. Angelini
Stramonio comune (Datura stramonium). Per descrivere questa Solanacea basta citare alcuni nomi dialettali italiani usati per indicarla: si chiama tòssico in Valtellina, per mettere in risalto la sua tossicità; erba da incantesimi ed erba del diavolo o erba maga in Toscana, ischizza-babbau in Sicilia, per le sue proprietà allucinogene; tromba dal giudezz in Emilia, con riferimento ai suoi fiori imbutiformi letali; noce spinosa in Toscana e pomo spinoso nel Veneto, per indicare le sue capsule ricoperte di spine; erba ratti in Liguria, erba topisèra in Piemonte, caca puzza fetente e fetusa nel Napoletano, per indicare il suo odore sgradevole di topo. Datura, invece, è semplicemente il suo nome arabo, adottato anche in Occidente. Stramonio comune
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flora spontanea
Tornasole (Chrozophora tinctoria). Il nome latino di questa Euforbiacea mette in evidenza la sua capacità (phoros) di colorare (in greco chrozo); dai suoi frutti (capsule trilobe), infatti, durante il Medioevo, si estraeva un colorante usato dai miniatori di manoscritti, oltre che per tingere tessuti e colorare alimenti. Tale colorante (il folium dei latini) ha la particolarità di apparire in una vasta gamma di colorazioni, dal blu all’azzurro, al porpora al rosso, a seconda dell’acidità dell’ambiente in cui è usato; tale comportamento ha ispirato il nome tornasole, attribuito dapprima alla pianta e poi all’omonima cartina, usata come indicatore del grado di acidità, i cui coloranti però vengono estratti da un lichene.
Tornasole Foto R. Angelini
Tribolo terrestre (Tribulus terrestris) “… Il suolo sarà maledetto per causa tua… esso ti produrrà spine e triboli…”, così dice Dio ad Adamo (Genesi, 3, 17-18) scacciandolo dal Paradiso; Matteo nei Vangeli (7,16) ribadisce “… Si colgon forse delle uve dalle spine, o dei fichi dai triboli?...”. I triboli citati nella Bibbia si riferiscono forse a generici cespugli spinosi, come sono spinosi i tre semi (tribulus) riuniti nel frutto del tribolo terrestre, della famiglia delle Zigofillacee: ricordo della mia fanciullezza, quando essi ferivano i miei piedi nudi, proprio come racconta Giovanni Pascoli nella sua rima La piccozza: “… Da me, da solo, solo e famelico, per l’erta mossi rompendo ai triboli i piedi e la mano…”.
Tribolo terrestre Foto R. Angelini
Zigolo (Cyperus). Kýpeiros era detta questa pianta dagli antichi greci. Gli zigoli sono temibili infestanti ma alcune specie sono da sempre usate come erbe mangerecce: gli antichi egizi ne consumavano i bulbi e i rizomi; anche attualmente, nelle zone di origine vengono mangiate le giovani foglie e le radici sbollentate. Gli zigoli frequentano solitamente i terreni umidi e sabbiosi; si riproducono tramite semi, oppure per mezzo di bulbi o di rizomi sotterranei. La specie che si trova più frequentemente nei campi di pomodoro, in particolare in quelli del Sud Italia, è lo zigolo infestante (Cyperus rotundus), che difficilmente matura i semi nelle nostre condizioni climatiche.
Zigolo
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il pomodoro
coltivazione Gestione delle malerbe Pasquale Montemurro, Gabriele Rapparini, Giovanni Campagna
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coltivazione Gestione delle malerbe Introduzione Nelle coltivazioni italiane di pomodoro, destinate nella stragrande maggioranza all’industria agro-alimentare di trasformazione (trascurabili sono le superfici coltivate a pomodoro da orto per il consumo fresco, parte delle quali sono condotte in coltura forzata in serra e sotto tunnel), la flora infestante può risultare costituita da specie di malerbe, sia dicotiledoni sia graminacee, che sono comuni in tutta la penisola, insieme con altre che, invece, si ritrovano quasi esclusivamente in certi areali, in altre parole sono tipiche di certe aree geografiche. Nell’ambito delle malerbe in pratica sempre reperibili in tutti i territori coltivati a pomodoro, vi sono le dicotiledoni erba morella (Solanum nigrum), porcellana comune (Portulaca oleracea), amaranto comune (Amaranthus retroflexus), farinello comune (Chenopodium album), correggiola (Polygonum aviculare), vilucchio comune (Convolvulus arvensis), borsa del pastore (Capsella bursa-pastoris), erba stella (Coronopus squamatus), senape selvatica (Sinapis arvensis) e ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum), nonché le graminacee giavone comune (Echinochloa crus-galli) e diverse specie di pabbio (Setaria spp.) e di scagliola (Phalaris spp.). Per quanto concerne la specificità territoriale, questa è dovuta al fatto che per esempio i comprensori pomodoricoli della Puglia, dell’Emilia-Romagna e della Sicilia, le regioni più importanti per quest’ortaggio, differiscono tra loro per l’andamento climatico, le caratteristiche chimico-fisiche del terreno e per le pratiche agronomiche utilizzate. Nell’ambito di queste ultime, una grande importanza è da assegnare sicuramente al diserbo chimico; infatti, i diserbanti utilizzati negli anni passati, inefficaci nei confronti di certe specie non solo nella coltura del po-
Concetto di malerba
• Il concetto di malerba è relativo al
rapporto con le piante coltivate e non assoluto; infatti, vi sono definizioni diverse a riguardo. Una è quella di “piante adattate ad ambienti antropogeni, dove interferiscono con le attività, la salute e i desideri degli uomini”. Secondo l’European Weed Research Society (Società Europea di Malerbologia), “infestante è qualunque specie di pianta che interferisce con gli obiettivi e le esigenze umane”. Una maniera olistica, invece, di definire le malerbe, non collegata alle colture agrarie, è quella di “piante la cui utilità non è stata ancora scoperta”
Sia sulle colture trapiantate sia su quelle seminate, per ottimizzare il contenimento delle infestanti risultano molto vantaggiose le erpicature superficiali di affinamento del terreno, con duplice finalità di interruzione della germinazione dei semi e dello sviluppo iniziale delle giovani plantule
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gestione delle malerbe modoro, hanno contribuito a selezionare la flora infestante, rispetto a quella originaria, che è di conseguenza mutata sotto il profilo quali-quantitativo, al punto da risultare generalmente costituita in certi casi da poche specie di malerbe, ognuna però grandemente diffusa nei campi. Le variazioni subite nel tempo dalle infestazioni di malerbe, rientranti nel cosiddetto fenomeno di compensazione floristica, hanno in pratica dato origine a una nuova flora denominata flora di sostituzione. La specie che più di tutte ha aumentato la sua presenza in tutti i comprensori pomodoricoli italiani è certamente l’erba morella, a causa delle difficoltà di controllo, anche di tipo chimico, che tale specie ha posto e continua a porre. Le specie che, invece, per diversi motivi si sono accumulate per aree geografiche sono il cencio molle grande (Abutilon theophrasti), la fitolacca (Phytolacca americana), il vilucchio bianco maggiore (Calystegia sepium) e l’ibisco vescicoso (Hibiscus trionum) che si rinvengono prevalentemente nel Nord Italia, la fumaria comune (Fumaria officinalis), l’erba stregona (Stachys annua), la camomilla bastarda (Anthemis arvensis), la visnaga maggiore (Ammi majus) e le specie diverse di veronica (Veronica spp.), di romice (Rumex spp.) e di coda di cavallo (Equisetum spp.) nel Centro, mentre il tribolo comune (Tribulus terrestris), il cocomero asinino (Ecballium elaterium), la nappola italiana (Xanthium italicum) e quella spinosa (Xanthium spinosum), il cardo mariano (Silybum marianum), il poligono convolvolo (Fallopia convolvulus) e le diverse specie di zigolo (Cyperus spp.) sono maggiormente ritrovabili nelle aree del Meridione; inoltre, in queste ultime e in modo particolare nei comprensori pugliesi del Foggiano e del Barese, vi è pure la orobanca ramosa o succiamele ramoso (Orobanche ramosa), una specie parassita che è in via di diffusione.
Uomo e malerbe
• Immemorabile è la necessità di difendere
le coltivazioni dalle malerbe. Nella Bibbia, nel libro della Genesi (3,18), si legge che Dio disse a Adamo “… maledetta sia la terra per causa tua. Spine e cardi ti produrrà”, mentre nella parabola del buon seminatore del Vangelo (Matteo 13,24-25) è scritto che “Il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò”
• Nel mondo latino, nei libri delle
Georgiche, Virgilio riporta che “… inutile domina il loglio (zizzania) e la sterile avena”, come “… alta si sporge la felce nemica dell’aratro”, e ancora come “… ogni anno bisogna per tre-quattro volte sarchiare il terreno”, in altre parole togliere le malerbe nate nella coltura. Columella afferma nel De re rustica “ma a me sembra l’indicazione di un’agricoltura povera il permettere alle erbacce di crescere fra le colture poiché i raccolti diminuiscono fortemente”. Varrone, nel suo De Re Rustica, trattando dell’estrazione dell’olio, ebbe a evidenziare l’utilità come erbicida della morchia, affermando come “Ex olea fructus duplex, oleum, quod omnibus notum, et amurca, … quod circum arborum radices infundi solet, maxime a oleam, et ubicumque in agro herba nòcet ” (1,51,1) (“Due sono i prodotti che si ricavano dalla spremitura delle olive: l’olio, che tutti conosciamo, e la morchia, … poiché si suole spargere intorno alle radici degli alberi, soprattutto agli olivi e dovunque nel campo crescono le erbe nocive”)
Il diserbo chimico delle colture trapiantate si basa principalmente su applicazioni di erbicidi residuali, anticipate di 7-10 giorni dalla messa a dimora delle piante di pomodoro, in grado di prevenire la nascita della maggior parte delle infestanti dicotiledoni e graminacee
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coltivazione In generale, la presenza delle erbe infestanti nelle coltivazioni provoca una competizione per l’acqua, per gli elementi nutritivi e per la luce, fattori fondamentali per la crescita delle piante; tale competizione, in funzione delle specie di malerbe, dell’entità e del periodo dell’inerbimento, determina una dannosità che consiste nel rallentamento della crescita delle piante coltivate che si traduce nel caso specifico in una diminuzione più o meno forte della produzione del pomodoro dal punto di vista sia quantitativo (minore quantità e più basso peso medio delle bacche) sia qualitativo (contenuto inferiore di zuccheri). Riguardo al periodo di inerbimento, ovviamente quanto più lungo sarà il periodo di permanenza delle infestanti nella coltura minore sarà la produttività di quest’ultima. Tra le specie più competitive e dannose vi è l’erba morella che, a causa dell’elevata affinità botanica con il pomodoro, risulta tra le specie di più difficile contenimento ed è tra quelle che sono in grado di deprimere fortemente le produzioni anche a bassa densità di infestazione (una sola pianta per metro lineare di fila di pomodoro trapiantato è in grado di ridurre la produzione fino al 10%). Insieme alle infestanti sopra elencate, alcune specie perenni a foglia larga, quali lo stoppione (Cirsium arvense), e a foglia stretta, come la sorghetta (Sorghum halepense) e la gramigna (Cynodon dactylon), sono in grado di causare ingenti danni, poiché in possesso di un potenziale di competizione molto elevato. La dannosità determinata dalla presenza delle erbe infestanti non si limita a ridurre solo direttamente il potenziale quali-quantitativo della produzione; infatti, molte delle specie di malerbe, che tra l’altro costituiscono anche una fonte alimentare per molti insetti vettori, ritrovabili nei campi di pomodoro e nelle loro prossimità (capezzagne, scoline, muretti a secco ecc.), possono ospitare virus e batteri patogeni della coltura; in particolare, l’erba morella può da sola albergare ben tre virus, quali quelli del mosaico del
Per evitare di causare danni alle piantine di pomodoro trapiantate, con i prodotti più aggressivi applicati in pre-trapianto come il pendimetalin, occorre utilizzare le più moderne e precise trapiantatrici munite di dischi
Per il diserbo del pomodoro seminato è possibile applicare gli erbicidi residuali in localizzazione alla semina, con notevole vantaggio di riduzione dei costi e di impatto ambientale Applicazione di diserbanti residuali in fase di semina
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gestione delle malerbe cetriolo, del mosaico del tabacco e il virus Y della patata e tre batteri patogeni del pomodoro, come quelli del cancro batterico, della maculatura batterica e della macchiettatura batterica. Oltre che deprimere il potenziale quanti-qualitativo delle produzioni di pomodoro, le erbe infestanti possono influire negativamente sul bilancio economico della coltura rendendo più difficoltose le operazioni di raccolta, com’è il caso del vilucchio comune e di quello bianco maggiore.
Perché diserbare
• Il perché diserbare sta essenzialmente
nella necessità di difendere una coltura dalle malerbe; queste ultime, infatti, nella generalità dei casi determinano degli effetti negativi che consistono in una diminuzione sia quantitativa sia qualitativa della produzione
Diserbo La coltura del pomodoro, come tutte le altre, necessita di essere sottoposta al diserbo, in altre parole a operazioni che consentano l’eliminazione o almeno il contenimento delle erbe infestanti. Le problematiche di diserbo richiedono soluzioni che non sono sempre facili, specialmente sotto il profilo economico.
Norme preventive per il controllo delle malerbe
• Preferire il trapianto alla semina • Nel caso si scelga la semina, utilizzare
Metodi di diserbo Per controllare le erbe infestanti che inerbiscono le coltivazioni di pomodoro sono attualmente effettuabili metodologie di diserbo di tipo sia indiretto sia diretto, la cui gestione può avvenire più razionalmente soltanto se i singoli interventi sono scelti e posti in essere secondo i dettami del diserbo integrato. I metodi di diserbo indiretti sono quelli che servono: a) a limitare la diffusione delle malerbe già presenti; b) a impedire l’ingresso di nuovi semi di infestanti e/o di altri organi di riproduzione di tipo vegetativo (bulbi, rizomi, stoloni ecc.); c) a togliere spazio vitale alle malerbe, riducendone la capacità di estrinsecare la competizione verso le piante di pomodoro.
sementi dotate di elevata purezza
• Scegliere l’investimento unitario più alto possibile, per “togliere spazio” alle erbe infestanti
• Attuare un’adeguata rotazione colturale inserendo una coltura nella quale risulti facile ed economico ridurre le infestanti di difficile controllo
• Filtrare le acque irrigue per eliminare i semi in queste contenuti
• Impiegare concimi organici, come per esempio il letame, che siano maturi, in modo che non contengano semi ancora vitali
• Eseguire sarchiature superficiali, per
evitare di riportare in superficie i semi di infestanti dagli strati più profondi
• Adottare la fertirrigazione con sistemi
irrigui localizzati (per esempio a goccia)
• Ripulire gli attrezzi da semi, rizomi o stoloni di infestanti perennanti
• Controllare le erbe infestanti possibili ospiti di patogeni nelle zone limitrofe ai campi coltivati
La moderna coltivazione del pomodoro da industria si basa prevalentemente su coltura da trapianto per la semplificazione della tecnica agronomica per l’uniformità della raccolta e soprattutto per la possibilità di contenere con trattamenti erbicidi di pre-trapianto anche le più difficili infestanti, compreso il Solanum nigrum (erba morella)
• Adottare la tecnica della falsa semina 265
coltivazione I metodi di diserbo diretti sono quelli eseguiti direttamente contro gli inerbimenti in atto, compresi quelli costituiti da semi di malerbe in fase di germinazione; nell’ambito di tali metodi rientrano il diserbo meccanico e chimico e quello attuato attraverso l’impiego della pacciamatura. Pacciamatura. La pacciamatura viene praticata esclusivamente nella coltura da consumo fresco; i più utilizzati sono i film plastici neri, al di sotto dei quali in genere è posto, al centro della fila sia semplice sia binata, l’impianto irriguo costituito dall’ala gocciolante o dalla manichetta forata. La pacciamatura con i film plastici neri è sicuramente utile per evitare gli inerbimenti di orobanca, mentre non è consigliabile nel caso siano presenti infestazioni costituite dalle varie specie di zigolo e di equiseto, poiché sono malerbe in grado di perforare il film plastico stesso. Con tale sistema, la coltura può usufruire anche degli altri vantaggi derivanti dalla pacciamatura, come il risparmio d’acqua irrigua, la precocizzazione della produzione ecc. Diserbo meccanico. Il diserbo meccanico, consistente nella soppressione delle malerbe realizzata utilizzando idonee attrezzature meccaniche, è attuato eseguendo delle lavorazioni superficiali del terreno, quali le fresature, le erpicature e le sarchiature. Le prime due si effettuano nel caso in cui il terreno debba essere liberato dalle infestanti nate prima dell’impianto della coltura. Le sarchiature, invece, servono per diserbare una coltivazione di pomodoro già impiantata e si possono praticare sia manualmente con l’ausilio di opportuni utensili, tra i quali il sarchiatore (dal latino sarculum), sia con attrezzature mosse da motori; queste ultime, in particolare, riescono a effettuare contemporaneamente l’eliminazione delle erbe infestanti e una lavorazione più o me-
In molti casi il preventivo trattamento di pretrapianto dev’essere integrato con uno o più interventi di post-trapianto con principi attivi in grado di controllare anche le infestanti graminacee e le plantule di Solanum nigrum (erba morella) Per ridurre l’impiego degli erbicidi, nella maggior parte dei casi si rivelano utili le ripetute lavorazioni meccaniche effettuate nelle ampie interfile
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gestione delle malerbe no superficiale del terreno. Le sarchiature manuali sono eseguite esclusivamente per controllare le erbe infestanti nate sulle file delle piante di pomodoro, mentre quelle meccaniche sono messe in atto nei confronti dell’inerbimento presente tra le file; riguardo a queste ultime, va ricordato come, specialmente nel pomodoro da industria, l’impianto della coltura venga generalmente eseguito a file binate, disponendo cioè le piante su coppie di file distanti alternativamente tra loro 0,3-0,4 m (tra le file della bina) e 1,3-1,5 m (tra le bine). Se praticate razionalmente e cioè abbastanza superficialmente, le sarchiature meccaniche permettono, tra l’altro, anche di conseguire una più rilevante infiltrazione di acqua nel terreno, sia di pioggia sia irrigua, e di ridurre le perdite di acqua per evaporazione dal suolo, fatto, quest’ultimo, molto importante particolarmente nelle coltivazioni meridionali. Le sarchiature interfilari sono più agevoli specialmente nei primi stadi di crescita della coltura, grazie anche al fatto che i trattori possono operare anche a cavallo delle file, sia semplici sia binate. In seguito, l’avanzare dello sviluppo delle piante di pomodoro, invece, rende più problematica l’esecuzione dell’intervento meccanico, in special modo all’interno delle file binate. Il controllo meccanico delle infestanti è molto efficiente nei confronti delle specie annuali, mentre lo è molto meno verso le malerbe biennali e perenni, specialmente quelle che posseggono degli organi riproduttivi come gli stoloni e i rizomi; questi ultimi organi, infatti, non sono quasi mai devitalizzati completamente, ma al contrario, venendo frammentati, tendono a propagarsi maggiormente nei campi, anche perché si possono arrotolare intorno agli organi rotanti delle sarchiatrici. Le sarchiature sulla e tra le file sono, invece, utili per ridurre sia la competizione sia la propaga-
Danni di un formulato di pendimetalin su una piantina di pomodoro trapiantata su terreno grossolano
Per limitare la diffusione delle infestazioni perenni a foglia larga si rende necessario eseguire, sulle stoppie di frumento o sulle colture in precessione, trattamenti di bonifica con diserbanti ad azione totale e sistemica
In primo piano esiti di un trattamento eseguito in pre-trapianto con la miscela di oxadiazon + aclonifen
Il pomodoro, in particolare se seminato, è una coltura sensibile ai residui di erbicidi che possono rimanere nel terreno dalle colture diserbate in precessione, ma anche a quelli che accidentalmente arrivano a seguito di deriva o da inquinamento delle attrezzature irroranti
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coltivazione zione dell’orobanca, purché gli interventi vengano eseguiti precocemente e comunque prima della formazione dei semi. Diserbo chimico. Le erbe infestanti possono essere eliminate, o almeno limitate nella loro crescita, utilizzando gli erbicidi o diserbanti chimici. Questi ultimi si distinguono in selettivi, se non sono fitotossici e cioè se rispettano una o più colture, e non selettivi nel caso contrario. L’applicazione degli erbicidi viene normalmente effettuata mediante l’utilizzo di particolari attrezzature denominate pompe irroratrici, le quali possono funzionare perché trainate da trattori o in quanto semoventi. Il diserbo chimico costituisce anche una valida alternativa al controllo meccanico delle infestanti, che risulta problematico quando la coltura si è accresciuta, e contemporaneamente può ben integrarsi con la sarchiatura, per esempio per limitare la spesa del personale agricolo da utilizzare per eseguire tale operazione sulle file delle piante. Inoltre, l’utilizzo di diserbanti ad azione totale, come quelli a base diquat, glufosinate ammonio e glifosate, consente nelle zone a rischio virosi e batteriosi di intervenire facilmente sulle malerbe ospiti di tali patogeni presenti sui bordi dei campi coltivati, lungo le scoline ecc.
Diserbanti
• Denominati anche erbicidi, i diserbanti
(rientrano nella categoria degli agrofarmaci, chiamati erroneamente pesticidi) sono composti organici e inorganici, preparati e formulati industrialmente per l’impiego agricolo ed extra-agricolo, quali mezzi di controllo delle piante infestanti e parassite. Ogni erbicida è commercializzato mediante un formulato, preparato in varie forme (liquida, polvere bagnabile, emulsione ecc.), che è composto dalla sostanza attiva, la parte che è in grado di controllare effettivamente la o le malerbe, e da altre parti chiamate co-formulanti, che possono essere inerti o avere un ruolo ben preciso, come per esempio quello di favorire la penetrazione del diserbante all’interno delle foglie
Diffusione del diserbo chimico Allo stato presente, soprattutto a causa del costo eccessivo della manodopera, nonché per la carenza di quest’ultima, il diserbo chimico viene praticato nella stragrande maggioranza delle superfici di pomodoro destinate all’industria, al punto che si stima sia arrivata a essere negli ultimi anni nell’ordine del 90% circa del totale dell’estensione coltivata in Italia. Di molto inferiore è, invece, l’estensione sottoposta a trattamenti diserbanti delle aree di pomodoro da orto per il consumo fresco.
Per attivare i trattamenti residuali eseguiti in pre-trapianto e pre-emergenza, è indispensabile effettuare gli interventi irrigui subito dopo l’applicazione dei diserbanti a prevalente azione antigerminello, che vengono adsorbiti nei primi strati del terreno
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gestione delle malerbe Attualmente, l’agrofarmacopea consentita dalla legislazione europea sugli agrofarmaci comprende in totale quindici sostanze attive ad azione erbicida registrate all’impiego nella coltura del pomodoro, delle quali sette posseggono uno spettro d’azione prevalentemente dicotiledonicida o misto (aclonifen, flufenacet, metribuzin, napropamide, oxadiazon, pendimetalin, rimsulfuron), cinque sono graminicidi (ciclossidim, fenoxaprop-p-etile, fluazifop-p-butile, propaquizafop e quizalofop-p-etile) e tre, invece, hanno un’attività di tipo totale (diquat, glufosinate ammonio e glifosate). Gli interventi di diserbo possono essere eseguiti sia prima sia dopo l’impianto che, come già indicato in precedenza, avviene nella coltura industriale quasi esclusivamente mediante il trapianto, mentre la semina viene ancora utilizzata nella coltura da orto. A seconda delle loro capacità intrinseche, gli erbicidi possono essere distribuiti sia in pre sia in post-emergenza delle malerbe, vale a dire sia prima sia dopo la nascita delle stesse. Gestione del diserbo chimico Per il diserbo del pomodoro sono impiegabili prima della semina e del trapianto i diserbanti a base di napropamide, solo in pretrapianto quelli contenenti aclonifen, flufenacet, pendimetalin, oxadiazon ed S-metolaclor; ancora i formulati con rimsulfuron, ciclossidim, fenoxaprop-p-etile, fluazifop-p-butile, propaquizafop e quizalofop-p-etile (isomero d) sono applicabili dopo l’emergenza della coltura e a trapianto avvenuto, mentre metribuzin è distribui– bile in qualunque fase della coltura sia seminata sia trapiantata. Per quanto concerne i diserbanti applicabili prima della semina o del trapianto, i trattamenti devono essere eseguiti dopo l’ultima
Piante di Amaranthus dominano sopra la coltura del pomodoro
La pratica della pacciamatura, pur essendo valida e diffusa nelle colture orticole, non sempre si presta a essere utilizzata nelle colture industriali meccanizzate, ma rimane una valida possibilità di diserbo integrato per le coltivazioni più intensive
Fallopia convolvulus sviluppato (poligono convolvolo)
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coltivazione lavorazione preparatoria del terreno, su terreno ben sminuzzato e umido, provvedendo poi all’interramento dell’erbicida mediante un’erpicatura superficiale oppure un intervento irriguo in grado di bagnare uno strato di 10-15 cm. Efficacia erbicida Riguardo innanzitutto all’erba morella, per ridurre le sue più che problematiche infestazioni risulta indispensabile il ricorso a formulati a base di pendimetalin e oxadiazon in miscela con metribuzin e flufenacet, tra quelli distribuibili in pre-trapianto; in posttrapianto è utile l’impiego di diserbanti contenenti il rimsulfuron, purché la distribuzione avvenga quando l’infestante si trova nella fase delle foglie dicotiledonari o al massimo allo stadio della prima foglia vera. Per quanto concerne le altre specie di malerbe, sono disponibili diverse sostanze attive tra le quali l’aclonifen i cui formulati, impiegati prima del trapianto, esplicano un’azione unicamente dicotiledonicida per contatto diretto sui semi in via di germinazione. Il loro utilizzo è vantaggioso nel caso che si attendano inerbimenti nei quali prevalgano il cencio molle, la camomilla bastarda, il ravanello selvatico, l’amaranto comune, il farinello comune, la senape selvatica e il poligono convolvolo. Degradandosi il prodotto in poco tempo, i terreni trattati con aclonifen non costituiscono alcun problema per le colture in successione. I diserbanti a base di metribuzin, che agiscono per assorbimento radicale e fogliare, rispettivamente sui germinelli e sulle plantule delle malerbe, sono per questo applicabili sia prima sia dopo la semina o il trapianto. Nello spettro d’azione di tale sostanza attiva rientrano l’amaranto comune, il farinello, lo stramonio, il ravanello selvatico nonché graminacee, quali il sanguinello comune, il giavone comune e le differenti specie di pabbio. Dotato di una bassa
Amaranthus spp. (amaranto)
Per la valutazione agronomica dei possibili rischi da danni da fitotossicità a seguito di residui di erbicidi rimasti dalle colture poste in precessione al pomodoro, vengono effettuate sperimentazioni specifiche previa differenziata preparazione del terreno e semina di differenti specie. Parimenti si possono valutare i rischi di fitotossicità da residui di erbicidi dopo la coltivazione del pomodoro
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gestione delle malerbe solubilità, la sua azione residuale nel terreno è tale da non limitare generalmente la scelta delle colture in successione. Dotati di uno spettro d’azione nei confronti di varie dicotiledoni, tra le quali il farinello comune, la porcellana comune, la senape selvatica e le varie specie di veronica, e graminacee più comuni compresa la sorghetta, gli erbicidi includenti napropamide agiscono per assorbimento da parte dei semi in via di germinazione (germinelli) e dalle radici delle piantine nei primi stadi di sviluppo e sono applicabili prima della semina o del trapianto; a causa della prolungata persistenza della molecola nel terreno, devono intercorrere almeno sei mesi prima di procedere alla semina di cereali, mais, sorgo, insalate e barbabietola da zucchero, di erba medica e di altre leguminose a seme sottile. Oxadiazon, dotato di uno spettro d’azione tra i più ampi, è fitotossico per contatto al momento dell’emergenza delle più comuni infestanti a foglia larga, erba morella compresa, come il vilucchio comune, l’erba stregona, lo stramonio comune, il cencio molle, lo stoppione, il vilucchio comune e le varie specie di nappole e di romice, e a foglia stretta, quali il giavone comune, la sorghetta e le differenti specie di pabbio. I formulati con tale sostanza attiva sono utilizzabili soltanto prima del trapianto e su terreno esente da infestanti. In caso di piogge battenti, l’effetto schizzo può causare leggere ustioni alle foglie basali del pomodoro che, però, non provocano perdite produttive. Rimanendo attivi nel terreno per un periodo compreso fra due e cinque mesi, i residui dell’oxadiazon non pongono particolari limitazioni nella scelta delle colture in successione. L’azione erbicida del pendimetalin si estrinseca sui germinelli di molte malerbe sia dicotiledoni (farinello comune, erba morella, erba stregona, erba porcellana, senape selvatica e le varie specie di veronica) sia graminacee (sanguinello comune, giavone comune e pabbio). Un accorgimento molto importante è quello di non
Infestazione di Cheopodium spp. (farinello)
Xanthium spinosum (nappola spinosa)
Convolvulus arvensis (vilucchio) Coltura in accrescimento trapiantata in bine
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coltivazione eseguire in nessun caso la rincalzatura delle piantine trapiantate prima che siano trascorsi almeno trenta giorni dal trattamento. Considerata la prolungata persistenza di questa sostanza attiva, devono intercorrere almeno sei mesi dal trattamento prima della semina di qualunque specie, mentre per le colture da trapianto non vi sono problemi. S-metolaclor è una sostanza attiva che, agendo da antigerminello e per assorbimento radicale, consente di ottenere un prolungato controllo sia di infestanti graminacee, come la sorghetta, il sanguinello comune e le varie specie di pabbio, sia di alcune dicotiledoni, tra le quali l’amaranto comune, l’erba porcellana, la correggiola e l’erba morella. Non ci sono restrizioni per le colture in rotazione. Dopo l’emergenza del pomodoro o a trapianto avvenuto, sono distribuibili gli erbicidi agenti soltanto per assorbimento fogliare, come quelli a base di rimsulfuron, la cui efficacia si estrinseca su infestazioni miste, composte da erba morella, sensibile soltanto nelle primissime fasi come accennato in precedenza, amaranto comune, nappole, senape selvatica, vilucchio bianco maggiore, cocomero asinino e le più comuni graminacee; ancora sono utilizzabili, sempre dopo l’emergenza o il trapianto del pomodoro, i graminicidi contenenti ciclossidim, fenoxaprop-p-etile, fluazifopp-butile, propaquizafop e quizalofop-p-etile, ogniqualvolta la coltura risulti infestata da una o più specie di malerbe a foglia stretta, come il sanguinello comune, il giavone comune e le differenti specie di pabbio. In particolare, nel caso di graminacee perenni come la sorghetta, le applicazioni di diserbanti a base fluazifop-p-butile sono le più efficaci.
Foto R. Angelini
Ecballium elaterium (cocomero asinino) Foto R. Angelini
Cuscuta Foto R. Angelini
La tecnica della falsa semina può essere vantaggiosamente praticata nei terreni torbosi e più argillosi con l’applicazione, 5-7 giorni prima della semina e dei trapianti, dei più ecologici trattamenti devitalizzanti a base di glifosate e glufosinate ammonio
Giovane pianta di Digitaria sanguinalis (sanguinella comune)
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gestione delle malerbe Diserbo integrato Il diserbo integrato consiste in un vero e proprio sistema in cui avvengono la scelta e la messa in atto di ogni possibile modalità di controllo delle malerbe, in un’ottica di razionale integrazione tra loro e di ottimizzazione con le altre pratiche colturali, sulla base delle conoscenze in materia di biologia ed ecologia delle infestanti, di agronomia, di tecnologia del diserbo, il tutto senza trascurare il profilo ambientale ed economico, nonché la salvaguardia, ovviamente, della salute dei consumatori. Pertanto, tra i principi base per gestire in modo integrato le erbe infestanti, vi sono quelli di adottare innanzitutto una serie di azioni preventive che servano per evitare l’introduzione e la diffusione delle malerbe e quindi di selezionare, tra le pratiche colturali da effettuare, quelle che permettano alla specie coltivata di risentire il meno possibile della competizione. Il sistema integrato di contenimento delle malerbe non deve, perciò, trascurare l’utilizzo di sementi pure e selezionate, nel caso si debba attuare la semina del pomodoro, di acque irrigue ben filtrate dalla presenza di semi di infestanti, di macchine e attrezzature pulite ecc. Oltre a ciò, deve tenere conto che le aree incolte situate in prossimità delle coltivazioni debbono essere debitamente ripulite per evitare il diffondersi di virosi e batteriosi, ma anche per non incrementare eccessivamente la banca dei semi delle specie annuali e degli organi di propagazione vegetativa delle specie perenni. Ancora, si deve porre in gran considerazione la tecnica della falsa semina, che prevedendo la preparazione anticipata del letto di semina o di trapianto, avvalendosi all’occorrenza anche di interventi irrigui per favorire la germinazione preventiva delle malerbe, deve essere attuata ormai in ogni moderno impianto per i notevoli benefici che è in grado di sortire sia a livello agronomico
Foto R. Angelini
Echinochloa crus-galli (giavone) Foto R. Angelini
Portulaca oleracea (portulaca)
Foto M. Curci
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coltivazione sia come ottimizzazione della tecnica di lotta alle malerbe. Inoltre, va opportunamente considerato l’ausilio che può derivare dall’avvicendamento colturale, quindi dalla scelta di oculate colture da porre in rotazione, che consente di ridurre notevolmente le problematiche di malerbe, come l’erba morella e le perenni in genere, di difficile eliminazione nella coltura del pomodoro; il contenimento di tali infestazioni, infatti, avviene in maniera più efficace ed economica in altre colture, come per esempio nel mais, nella barbabietola da zucchero, nella cipolla, nei cavoli ecc. Non va trascurata, oltre tutto, la gestione delle malerbe nei periodi intercolturali durante i quali la tendenza alla riduzione delle lavorazioni nell’intento di ridurre i costi, può comportare un aumento dell’infestazione e quindi della disseminazione e/o della proliferazione degli organi di propagazione vegetativa. Tra le altre scelte agronomiche che permettono alla coltura del pomodoro di risentire il meno possibile della competizione e quindi di ridurre la dannosità delle malerbe, a parte quella già richiamata dell’adozione del trapianto rispetto alla semina, poiché il pomodoro è una pianta a lento sviluppo durante le prime fasi, si possono considerare anche quelle dell’aumento della densità di investimento, dell’esecuzione delle sarchiature non eccessivamente profonde, per non danneggiare l’apparato radicale della coltura e non riportare in superficie semi potenzialmente germinabili, insieme con una leggera rincalzatura, e della fertirrigazione localizzata, per avvalersi dell’effetto diserbante della siccità e della più scarsa fertilità del terreno nello spazio interfilare. Ovviamente, vi possono essere altre scelte colturali che, come quelle già indicate, avvantaggiando lo sviluppo della coltura, comportano benefici di innegabile valore agronomico ai fini di una razionale lotta alle malerbe. Tutto ciò consente, in definitiva,
Solanum nigrum (erba morella)
Per favorire la generalizzata raccolta meccanica del pomodoro, occorre effettuare un ottimale controllo di tutte le infestanti comprese le più temibili presenze di Convolvulus arvensis (vilucchio) e Calystegia sepium (vilucchione), in grado di ostacolare la cernita delle bacche di pomodoro
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gestione delle malerbe di adottare appunto delle strategie integrate, come per esempio quella di unire l’applicazione localizzata dei diserbanti sulle file con l’effettuazione di ripetute sarchiature negli ampi spazi interfilari, soprattutto durante le prime fasi di sviluppo della coltura. Ancora, tali presupposti permettono di ottimizzare gli interventi sulla coltura e di ridurre le dosi di impiego degli erbicidi. Negli ultimi anni, infatti, in particolare nei terreni torbosi, nei quali gli erbicidi residuali vengono inattivati, si è diffusa inizialmente la pratica delle ripetute applicazioni con dosi frazionate e in seguito quella con le dosi molto ridotte (DMR), metodologia già in uso per la soia e per la barbabietola da zucchero, indispensabile anche per limitare lo sviluppo delle malerbe, tra cui in particolare l’erba morella e lo stramonio. Le applicazioni localizzate, specialmente se eseguite con DMR, compendiano certamente, tra l’altro, le necessità di ridurre i costi di produzione.
Foto R. Angelini
Coltura seminata Qualora si ricorra all’impianto della coltura attraverso la semina diretta, l’esecuzione della falsa semina, pur comportando comunemente un certo ritardo dell’operazione della vera semina, appare indispensabile; per l’eliminazione dell’inerbimento formatosi, si può ricorrere a un’erpicatura superficiale, seguita dalla distribuzione di un diserbante contenente napropamide o metribuzin, oppure da un intervento con uno degli erbicidi ad azione totale al quale si può aggiungere uno a base di napropamide o di metribuzin. Quest’ultimo intervento erbicida si rende necessario, anche senza che sia stata utilizzata la falsa semina, qualora non sia stato possibile intervenire tempestivamente
Effetto devitalizzante di un trattamento erbicida
Programmi di diserbo integrato del pomodoro seminato Falsa semina
A
B
Erpicatura superficiale + erbicida residuale
Post-emergenza
Pre-emergenza
Diradamento
Post-diradamento
Sarchiatura tra e sulle file
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
Erbicida totale + residuale
Sarchiatura tra e sulle file
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
Erbicida totale(1)
Sarchiatura tra e sulle file
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
Erbicida totale (1)
Erbicida totale + residuale
Erbicida totale
Erpicatura superficiale o erbicida totale
C (1)
Pre-semina
Erbicida residuale
In presenza di inerbimento
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coltivazione prima dell’emergenza delle infestanti con la sola napropamide o con il metribuzin. Effettuato il diradamento, contemporaneamente al quale per prassi l’infestazione viene eliminata operando una sarchiatura manuale sulla fila e una meccanica tra le file, gli inerbimenti che si insedieranno successivamente potranno essere controllati distribuendo in modo localizzato sulle file prodotti includenti il metribuzin, impiegato da solo o miscelato a rimsulfuron, indispensabile nelle aree nelle quali abbonda l’erba morella, oppure in assenza di quest’ultima a un graminicida qualora risulti necessaria una tale applicazione. Ovviamente, l’infestazione presente negli spazi interfilari sarà controllata con una o più sarchiature. Coltura trapiantata Anche nella coltura trapiantata è consigliabile l’esecuzione della falsa semina che comporta, nelle aree nelle quali l’erba morella è prevalente e in quelle con alto rischio di virosi, l’effettuazione di un trattamento con erbicidi totali miscelati a un diserbante scelto tra quelli impiegabili in pre-trapianto, oppure la distribuzione di uno di questi ultimi subito dopo aver praticato un’erpicatura; successivamente, per gli inerbimenti insediatisi dopo il trapianto, è preferibile ricorrere a un unico trattamento eseguito con uno o più dei diserbanti ammessi in post, miscelando in caso di bisogno al dicotiledonicida un graminicida. Riguardo alla strategia delle dosi ripetute, frazionate o molto ridotte, si può operare con due interventi eseguiti sulle file impiegando metribuzin miscelato a rimsulfuron, indispensabilmente quando l’erba morella è allo stadio dicotiledonare, o a un graminicida se ritenuto necessario,
La semina diretta del pomodoro deve essere effettuata in ottimali condizioni su terreno in tempera e ben preparato
Programmi di diserbo integrato del pomodoro trapiantato Falsa semina
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Post-trapianto
A
Erpicatura superficiale o erbicida totale + residuale
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
B
Erbicida totale + residuale
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
C
Erpicatura superficiale o erbicida totale
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
D
Xanthium italicum (nappola italiana)
Pre-trapianto
Erbicida residuale
Erbicida selettivo sulle file + sarchiatura interfilare
gestione delle malerbe integrati con la sarchiatura delle interfile. Nelle aree in cui l’impiego di prodotti residuali non può essere eseguito per la natura eccessivamente torbosa dei terreni, l’inerbimento costituitosi in conseguenza della pratica della falsa semina può essere controllato ricorrendo all’erpicatura o alla distribuzione di erbicidi di post ad azione totale; per le infestazioni successive al trapianto, la strategia più razionale è quella di eseguire solo trattamenti in post come quelli sopra indicati. In conclusione, le attuali possibilità di controllare le erbe infestanti nella coltura del pomodoro e in particolar modo quelle che si rifanno a un diserbo di tipo integrato sono abbastanza valide per la soluzione della maggior parte delle problematiche, in sintonia con la riduzione dei costi e nel pieno rispetto della produttività e dell’ambiente. Per quanto concerne le infestanti che in alcuni areali risultano in fase di espansione, è bene utilizzare repentinamente le efficaci sostanze attive disponibili combinate in opportune miscele. Relativamente all’erba morella, nell’attesa che l’industria chimica metta a disposizione un erbicida distribuibile in post ed efficace anche quando le piante di tale malerba si trovano a stadi fenologici successivi a quelli iniziali, è indispensabile ridurre l’infestazione potenziale presente nei terreni cercando quando è possibile di combattere questa infestante in altre colture in rotazione.
Foto R. Angelini
Tribulus terrestris (tribolo comune)
Confronto tra parcelle diserbate (a destra) e non (a sinistra)
Foto R. Angelini
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il pomodoro
coltivazione Coltivazione in Nord Italia Mario Di Candilo
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Coltivazione in Nord Italia Introduzione Il Nord Italia rappresenta una delle due principali macroaree nazionali dove la coltura del pomodoro si è maggiormente diffusa e affermata sin dalla nascita dell’industria conserviera nel nostro Paese. In tale macroarea le condizioni ambientali particolari, rappresentate da terreni per lo più argillosi e da maggiore piovosità rispetto al Sud, impongono l’adozione di un modello colturale specifico, in grado di superare le criticità. Di seguito, vengono brevemente illustrati gli aspetti di tecnica colturale alla base del metodo stesso.
In sintesi
• Nel 2008 la superficie investita è stata
di 33.968 ha, pari al 31,4% di quella nazionale, mentre la produzione ha raggiunto 2.122.185 t, corrispondenti al 37,9% di quella complessiva. Le quote preponderanti sia di superficie sia di produzione (rispettivamente 96,1 e 97,2%) hanno interessato il pomodoro da industria, il cui processo produttivo viene realizzato quasi interamente nelle regioni Emilia-Romagna (71,2%), Lombardia (21,9%), Veneto (3,7%) e Piemonte (3,1%)
Avvicendamento Per motivi fitosanitari, oltre che per il contenimento della flora infestante, è vivamente sconsigliata la ripetizione della coltura sullo stesso terreno per più anni consecutivi, così come la rotazione con altre specie della famiglia delle solanacee (melanzana, peperone, patata, tabacco) e delle cucurbitacee (melone, anguria, cetriolo). Si evitano così accumuli di parassiti (funghi, batteri, virus, nematodi) e di composti fitotossici (essudati radicali autointossicanti) nel suolo, nonché un aggravamento del problema riguardante il controllo delle erbe infestanti. A quest’ultimo riguardo va pure sottolineato che una corretta rotazione, rendendo le piante più sane e vigorose, le rende anche più competitive nei confronti delle infestanti. Definire la rotazione significa stabilire la sequenza con la quale le colture si devono susseguire in un appezzamento e il tempo che deve intercorrere tra due ritorni della medesima specie in uno stesso terreno. Di solito, la coltura del pomodoro viene inserita in un avvicendamento triennale o, meglio ancora, quadriennale, in successione a un cereale o a una oleaginosa.
Ristoppio
• In Emilia-Romagna il Disciplinare
di Produzione Integrata (DPI) del pomodoro da industria ammette il ristoppio solamente a condizione che l’appezzamento interessato, dopo i due cicli di pomodoro, venga destinato a colture diverse, non solanacee, per almeno tre anni
Foto R. Angelini
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coltivazione in Nord Italia Esigenze pedoclimatiche Nel Nord Italia il pomodoro fornisce i migliori risultati produttivi nei terreni di medio impasto, profondi e freschi, con pH compreso fra 6 e 7,5. Tuttavia, la coltura si adatta anche in terreni sciolti o argillosi a condizione che ne vengano attenuati i difetti con opportune operazioni colturali. I terreni sabbiosi in genere sono poco fertili, inoltre hanno scarsa ritenzione idrica, pertanto richiedono concimazioni appropriate e interventi irrigui con volumi più contenuti e più frequenti. D’altra parte, tali terreni sono più prontamente praticabili dopo le piogge, anche se il prodotto spesso lascia a desiderare sotto il profilo qualitativo (principalmente per inadeguata pigmentazione). I terreni argillosi rispetto ai precedenti sono indubbiamente più fertili e trattengono maggiormente l’acqua, tuttavia richiedono un’accurata sistemazione superficiale o in alternativa il drenaggio. Tali interventi vengono realizzati per facilitare lo sgrondo delle acque in eccesso, evitando così che le bacche basali vengano a trovarsi in ambiente eccessivamente umido (con insorgenza di patologie), ma anche per consentire il movimento e il lavoro delle raccoglitrici anche nei giorni immediatamente successivi a quelli di eventuali precipitazioni estive. Dal punto di vista climatico è necessario tenere presente che la temperatura minima di germinazione è di 12 °C, con optimum di 20-26 °C. La minima letale è di 0-2 °C, mentre la minima biologica è di 10 °C (zero di vegetazione). I valori termici ottimali per la crescita della pianta sono di 25 °C durante il giorno e almeno 13-14 °C di notte. Per la fioritura e in particolare per l’allegagione sono richiesti almeno 12 °C. Per la maturazione, infine, la temperatura ottimale diurna è di 26 °C, mentre quella notturna è di 18 °C circa. Livelli termici superiori a 32-35 °C influiscono
Esigenze pedoclimatiche del pomodoro
• L’origine tropicale del pomodoro
determina la sua predilezione per climi caldo-temperati, pertanto risulta particolarmente sensibile al freddo. La pianta vegeta male nei suoli decisamente alcalini (pH>8), tollera invece livelli di acidità anche abbastanza pronunciati (fino a pH 5,5). Altro aspetto pedologico di grande importanza per lo sviluppo e la produttività della coltura è il drenaggio: il ristagno idrico provoca disfunzioni assimilative e, in condizioni estreme, porta alla morte della pianta
Pomodoro da industria nel basso Ferrarese con le “piste” dovute al passaggio dell’irrigatore di tipo ranger
Foto R. Angelini
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coltivazione negativamente sulla formazione del licopene e sulla colorazione delle bacche. Livellamento e sistemazione superficiale Generalmente negli ambienti settentrionali il livellamento superficiale del terreno rappresenta un fattore di grande importanza ai fini della meccanizzazione delle operazioni colturali e della produttività della coltura. Infatti, un terreno ben livellato assicura una buona uniformità nell’interramento del seme, inoltre nei terreni argillosi agevola lo sgrondo delle acque in eccesso, evitando i ristagni negli strati superficiali che, oltre a menomare le caratteristiche fisico-chimiche del terreno, non consentono di realizzare con tempestività le operazioni meccaniche e rallentano il ritmo di sviluppo delle piante. Sempre a questo riguardo di solito viene realizzata una rete di scoline e capifossi, le cui distanze vengono stabilite in relazione al contenuto di argilla del terreno e al fatto che incrementando la lunghezza degli appezzamenti si possono conseguire notevoli aumenti di produttività del lavoro delle macchine, grazie alla riduzione dei tempi morti necessari per le svolte.
Livellatrice laser in fase di sistemazione della superficie del terreno prima dell’impianto della coltura. Si tratta di un’operazione raccomandabile soprattutto nei suoli argillosi per evitare i ristagni idrici
Lavorazioni del terreno Il pomodoro, così come altre colture da rinnovo, richiede una lavorazione profonda del terreno per favorire l’approfondimento radicale e l’immagazzinamento dell’acqua. Tuttavia, in Pianura Padana si ricorre sempre meno all’aratura profonda poiché, oltre a essere un’operazione energivora e perciò costosa, influisce negativamente sulla fertilità del terreno, per ossidazione della sostanza organica e distruzione della microflora. Sempre più frequentemente, invece, viene eseguita la lavorazione a due strati, ovvero una ripuntatura a 50-60 cm, seguita da un’aratura superficiale (25-30 cm). Tale tipo di lavorazione offre diversi vantaggi, quali: – frantumazione degli strati compatti del sottosuolo e della suola di lavorazione, favorendo così la penetrazione dell’acqua e dell’aria a profondità superiori a quella dell’aratura; – interramento meno profondo dei residui organici, tale da favorirne l’umificazione; – formazione di una minore zollosità, in modo da facilitare le successive lavorazioni per la preparazione del letto di semina; – maggiore sostenibilità economica e ambientale della lavorazione. Con riferimento alla disponibilità idrica, in particolare, la lavorazione a due strati facilita il deflusso in profondità dell’acqua in eccesso, riducendo, quindi, i fenomeni di ristagno e i problemi fitopatologici che ne conseguono, mentre in condizioni di carenza idrica favorisce la risalita capillare dell’acqua dagli strati profondi.
L’aratura profonda è stata ormai soppiantata dalla lavorazione a due strati. Oggi l’aratura viene sempre più spesso realizzata mediante erpice a dischi munito di ripuntatore
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coltivazione in Nord Italia La lavorazione a due strati può avvenire in due tempi (prima con un passaggio per la sola frantumazione profonda e poi con un secondo passaggio per l’aratura superficiale), oppure in un unico intervento tramite aratro ripuntatore. Per avere i migliori effetti dalla ripuntatura è importante intervenire con terreno sufficientemente asciutto, in modo da provocare il dirompimento del terreno nelle zone laterali agli scarificatori. La preparazione del letto di semina comprende le lavorazioni superficiali, successive all’aratura, aventi lo scopo di pareggiare e affinare il terreno e di eliminare le infestanti, in modo da consentire il corretto impianto della coltura, attraverso semina di precisione o trapianto di piantine. Lo sminuzzamento delle zolle può essere eseguito già nel tardo autunno tramite erpici a dischi o a denti; a fine inverno poi la preparazione del terreno può essere completata con un’erpicatura leggera, diretta all’interramento del concime e dell’eventuale diserbante distribuito in presemina. Il criterio generale seguito in quest’ultima fase è quello di ridurre al minimo il numero dei passaggi delle macchine agricole sul terreno e la profondità di lavorazione, sia per evitare di calpestare eccessivamente lo strato superficiale del suolo, sia per impedire la dispersione di umidità.
Ultima lavorazione meccanica con erpice rotante per la rifinitura del letto di semina. Operazione che consente anche l’interramento del concime azotato e dell’eventuale erbicida distribuito in pre-semina
Concimazione Il Disciplinare di produzione integrata della Regione Emilia-Romagna prevede che le dosi di fertilizzanti da somministrare alle singole colture di pomodoro da industria siano definite sulla base delle asportazioni delle piante, in relazione alla produzione attesa, e tenendo conto della disponibilità di elementi minerali nel suolo (da accertare tramite apposite analisi); le epoche e le modalità di distribuzione, invece, devono essere definite tenendo conto delle caratteristiche dei fertilizzanti e della cinetica di assorbimento degli elementi nutritivi da parte delle piante. In sostanza chi aderisce al Disciplinare deve approntare un piano di concimazione con il quale, in pratica, si giustifica la concimazione nelle dosi, nelle epoche di applicazione e secondo le modalità riportate nelle norme tecniche del Disciplinare stesso, nonché nel rispetto della
Foto R. Angelini
Asportazioni di elementi nutritivi della coltura in relazione alla produzione Produzione bacche (t/ha t.q.)
Elementi nutritivi
40
50
60
70
80
90
N
100
125
150
175
200
225
P2O5
40
50
60
70
80
90
K2O
160
200
240
280
320
360
Coltura di pomodoro nel Piacentino
Fonte: DPI della Regione Emilia-Romagna
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coltivazione legislazione vigente in materia di salvaguardia delle acque dall’inquinamento (D. Lgs. 152/99 e D. Lgs. 99/92 e loro modificazioni). Tale metodo di calcolo degli apporti di fertilizzanti (bilancio) viene indicato come “metodo ordinario”, in alternativa il Disciplinare prevede l’adozione del metodo “dose standard”. Quest’ultimo prevede l’individuazione di una dose massima “standard” di fertilizzante, che per l’azoto, in condizioni normali e per una produzione attesa di 70 t/ha, è pari a 100 kg/ha, per semine e/o trapianti effettuati dopo il 5 maggio, e di 130 kg/ha per impianti effettuati prima del 5 maggio. Dosi che possono essere diminuite o aumentate di 30 kg/ha in relazione alle condizioni specifiche di ciascuna coltivazione (produzione attesa, dotazione di sostanza organica, vigoria della varietà impiegata). In ogni caso, per ridurre al minimo le perdite di azoto per lisciviazione non è ammesso in pre-semina un apporto superiore ai 60 kg/ha del nutriente. Per dosaggi superiori è obbligatorio frazionare almeno in due interventi (per esempio 50% all’impianto e la parte rimanente in copertura). Per il fosforo e il potassio, in terreno scarsamente dotato, il Disciplinare consiglia un arricchimento della quota di mantenimento calcolata per la dotazione normale; nel caso di terreno a dotazione normale sono ammessi apporti pari alle asportazioni della coltura per P2O5 e al 70% delle asportazioni per K2O. Nei terreni a elevata dotazione sono consentiti apporti non superiori a 80 kg/ha per P2O5 e 100 kg/ha per K2O. Anche per questi due elementi, in alternativa al metodo ordinario può essere adottato il metodo dose standard. Quest’ultimo, per una produzione di 70 t/ha, prevede dosi di P2O5 pari a 120, 60 e 180 kg/ha, rispettivamente in terreno mediamente dotato, altamente dotato e scarsamente dotato. Tali dosi possono essere diminuite o incrementate di 30 kg/ha, a seconda delle condizioni specifiche di ciascuna coltivazione (produzione attesa, con-
Accrescimento indeterminato e determinato
• La pianta di tipo tradizionale, dato
il suo accrescimento indeterminato, imponeva forti impieghi di manodopera per la messa in opera dei sostegni, per la raccolta manuale del prodotto, che richiedeva numerosi interventi a causa della scalarità di maturazione, e per il trasporto in cassette da 20-25 kg, a causa della scarsissima consistenza delle bacche
• Le moderne varietà di pomodoro
da industria, caratterizzate da piante ad accrescimento determinato e da maturazione concentrata, hanno permesso di passare alla coltivazione a terra e alla raccolta meccanica in soluzione unica, con forte riduzione dei costi di produzione
Confronto fra una coltivazione di pomodoro sufficientemente concimata con azoto (a sinistra) e una con evidenti sintomi di carenza di azoto (a destra): le piante della prima sono più sviluppate e di colore verde scuro
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coltivazione in Nord Italia tenuto di sostanza organica nel terreno, epoca d’impianto). Per il potassio la dose “standard” di K2O è di 300 kg/ha in terreno scarsamente dotato, 200 kg/ha in terreno mediamente dotato e 100 kg/ha in terreno altamente dotato, con possibilità di riduzione (–60 kg/ha) o aumento (+40 kg/ha) in funzione delle diverse condizioni colturali. Sia i fertilizzanti fosfatici sia quelli potassici vengono interrati alla preparazione del letto di semina, salvo una piccola quota di fosforo normalmente localizzata sulla fila alla semina o al trapianto.
Lista delle varietà per la Regione Emilia-Romagna (DPI 2009) Varietà Concentrato e altre
Evoluzione delle varietà coltivate Fino agli anni ’60 nelle regioni del Nord Italia sono state impiegate varietà le cui piante erano di tipo tradizionale, ovvero caratterizzate da: accrescimento indeterminato, chioma espansa con branche a portamento strisciante, scalarità di maturazione dei frutti e scarsissima consistenza di questi ultimi. Tale tipologia di pianta imponeva forti impieghi di manodopera per la messa in opera dei sostegni (tutori) e per la raccolta manuale del prodotto, che richiedeva numerosi interventi. Negli anni ’70, poi, grazie alla costituzione di varietà con piante a sviluppo determinato, nelle quali l’accrescimento del fusto viene interrotto dalla differenziazione di una infiorescenza apicale, è stato possibile il passaggio alla coltivazione a terra. Successivamente il miglioramento genetico ha reso possibile ridurre sensibilmente il numero delle raccolte, mettendo a disposizione varietà a maturazione più concentrata dei frutti. Più recentemente, poi (fine anni ’80), grazie all’acquisizione di varietà caratterizzate da piante di dimensioni contenute, a portamento raccolto delle branche, con fioritura abbondante ed esaurentesi in breve tempo e con frutti consistenti e resistenti alla sovrammaturazione, è stato possibile passare alla raccolta meccanica in unica soluzione e al trasporto alla rinfusa del prodotto. Con riferimento alla concentrazione della fase di maturazione delle bacche va considerato che l’espressione di questo carattere, oltre che dal genotipo, può essere sensibilmente influenzata dall’andamento climatico, nel corso della maturazione, e dalle tecniche colturali. Le piogge frequenti e le temperature relativamente basse possono, infatti, causare un peggioramento del carattere per rivegetazione delle piante e per rallentamento della maturazione, oltre che per aumento dei frutti marcescenti. Al contrario, andamenti climatici troppo caldi possono anticipare la maturazione, con peggioramento qualitativo del prodotto. Sotto il profilo agronomico, è noto che il trapianto, rispetto alla semina diretta, aumenta la concentrazione di maturazione. Inoltre, per una buona espressione di questo carattere è molto importante evitare gli eccessi di azoto nel terreno e gli apporti tardivi di tale nutriente. Di norma, alla raccolta la percentuale di bacche commerciali (mature e sane) varia dall’80 al 90% e, nel-
Asterix
Marros
Barone Rosso
Montericco
Caliendo
Najal
Early magnum
Nerman
Fortix
Pavia Hy
Guadalete
Perfect peel
H7204
Power
Heinz 1900
Precocix
Heinz 3402
Progress
Heinz 9144
Reflex
Heinz 9478
Ruphus Hy
Heinz 9996
Spunta
Heinz 9997
Stay green
Isola Hy
Terranova
Jeirex
Trajan Hy
Jet
UG 3200
Jointles 812
UGX 8168
Lampo
Uno Rosso
Leader
Walley Red Pelato
Coimbra
Raggio
Ercole
Regent
Gladis
UGX 822
Oxford
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coltivazione le annate particolarmente favorevoli, caratterizzate da decorso stagionale asciutto e relativamente caldo, può risultare anche più elevata. La gamma varietale attualmente adottata nel Nord Italia è rappresentata interamente da ibridi.
Caratteristiche di qualità del seme
• Purezza: percentuale in peso di semi
Impianto della coltura Per la buona riuscita della coltivazione uno dei presupposti fondamentali è quello di impiegare seme di buona qualità. Al riguardo, le caratteristiche più importanti da considerare sono la purezza, la germinabilità e il vigore germinativo. Tanto più la germinazione è pronta, tanto migliori saranno i risultati della coltura, in quanto le piante risulteranno più robuste e uniformi nello sviluppo: conseguentemente anche la maturazione del futuro prodotto risulterà più precoce e più contemporanea, rendendolo più idoneo per la raccolta meccanica. La coltura può essere impiantata per semina diretta o per trapianto di piantine allevate precedentemente in vivaio. Nel Nord Italia i due metodi d’impianto vengono adottati in combinazione fra loro, ai fini della differenziazione delle epoche di maturazione delle coltivazioni, per poter pianificare meglio le raccolte.
di pomodoro rispetto alla massa totale di semente
• Semi puri: s’intendono tutti quelli
appartenenti al pomodoro, mentre le impurità inerti sono costituite da frammenti molto piccoli di seme di pomodoro, nonché da terra, sabbia, detriti ecc. Il limite di purezza del seme per la commercializzazione, fissato per legge, è del 99%
• Germinabilità: la capacità del seme,
quando posto in idonee condizioni ambientali, di dare vita a una pianta di normale costituzione. Viene espressa come percentuale di semi risultati germinabili in apposite prove. Tale carattere è influenzato dalla costituzione anatomica e genetica del seme, dal grado di maturazione delle bacche dalle quali viene estratto, dalle condizioni di conservazione e dall’età del seme
Semina diretta Tale sistema d’impianto richiede un accurato letto di semina, indispensabile per un’uniforme emergenza delle plantule. La profondità di semina varia da 1,5-2 cm, per i terreni argillosi, a 2,5-3 cm, per quelli sciolti. I quantitativi di seme impiegati variano da 0,3 a 0,6 kg/ha, a seconda del tipo di terreno. L’epoca di semina
• Vigore vegetativo: rappresenta la rapidità
Foto R. Angelini
con cui il seme germina
Foto C. Magnani
Coltura di pomodoro nella fase iniziale di accrescimento
Pomodoro seminato. Si noti la densità di piantine sulla fila che renderà necessaria l’operazione di diradamento
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coltivazione in Nord Italia consigliata nel nord della Penisola è compresa fra la terza decade di marzo e la seconda di aprile. La disposizione di semi singoli a distanziamento definitivo comporta un certo rischio soprattutto nei terreni che tendono a formare crosta superficiale. Il seme può essere disposto sia su file singole sia su file binate. Le distanze normalmente adottate nel caso della fila singola sono di 13-16 cm sulla fila e di 130-150 cm tra le file, corrispondenti a densità d’investimento di 40.000-60.000 piante/ha, mentre nel caso della fila binata le distanze sono di 17-20 cm sulla fila, di 30-40 cm tra le due file della bina e di 150 cm fra le bine, per investimenti pari a 60.000-80.000 piante/ha.
Foto E. Marmiroli
Trapianto Il trapianto presenta vari vantaggi rispetto alla semina diretta. In particolare, tale metodo d’impianto consente: – l’ottenimento di investimenti più regolari e uniformi; – la semplificazione del diserbo, con relativa riduzione del costo, grazie al ciclo più breve della coltura; – un anticipo della maturazione; – la possibilità di migliorare la concentrazione di maturazione e di ottenere una pianificazione più elastica della coltura. L’epoca consigliata per la realizzazione del trapianto va dalla metà di aprile a fine maggio. In questo caso, le distanze d’impianto consigliate per la fila singola sono di 20-26 cm sulla fila e 130-150 cm tra le file, per investimenti pari a 25.000-30.000 piante/ha; per la fila binata invece vengono suggerite distanze di 26-38 cm sulla fila, 30-40 cm fra le due file della bina e 150 cm fra le bine, per investimenti di 35.000-50.000 piante/ha.
Le coltivazioni del pomodoro da industria nel Nord Italia vengono impiantate soprattutto per trapianto
Foto E. Marmiroli
Le piante derivate da trapianto (filare di destra) presentano una maturazione sensibilmente anticipata rispetto alle piante ottenute da semina diretta (filare di sinistra) Foto C. Magnani
Trapiantatrice semiautomatica Trapiantatrice automatica per il pomodoro
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coltivazione Irrigazione Nel Nord Italia la coltura del pomodoro da industria si avvantaggia sensibilmente dell’irrigazione. Le fasi in cui la pianta è maggiormente sensibile ai deficit idrici sono la fioritura, l’allegagione e l’ingrossamento delle bacche. In generale, la scarsa disponibilità di acqua è causa di riduzione di resa. D’altro canto, anche gli eccessi idrici sono assolutamente da evitare, poiché possono provocare situazioni patologiche, eccessi di lussureggiamento vegetativo, a scapito della fioritura, dell’allegagione e dell’accrescimento dei frutti, nonché della qualità del prodotto. La frequenza degli interventi irrigui e il volume stagionale da erogare variano notevolmente in funzione di vari fattori, quali: epoca d’impianto, andamento termopluviometrico, riserva idrica iniziale del terreno, modalità di somministrazione dell’acqua, profondità della falda ecc. In Emilia-Romagna il Disciplinare di produzione integrata ammette una restituzione idrica come di seguito indicato: – per colture a semina precoce (15/3) è ammessa l’irrigazione nel periodo compreso fra la formazione dei frutti del secondo palco (30/5) e la comparsa del 25% di frutti rossi (5/8), considerando una restituzione idrica giornaliera di: 4,2 mm dal 30/5 al 9/7; 3,8 mm dal 10/7 al 24/7; 2,3 mm dal 25/7 al 5/8; – per colture a semina tardiva (30/4) è possibile irrigare dalla comparsa dei primi frutti (30/5) alla comparsa del 25% di frutti rossi (15/8), con restituzioni giornaliere di: 3,3 mm per il periodo 30/5-14/6; 4,4 mm per il periodo 15/6-19/7; 3,7 mm per il periodo 20/7-4/8; 2,1 mm per il periodo 5/8-15/8;
Foto E. Marmiroli
Foto E. Marmiroli
Foto E. Marmiroli
Foto E. Marmiroli
Particolari delle fasi di trapianto automatico del pomodoro
Le moderne trapiantatrici consentono di stendere sul terreno il tubo per l’irrigazione a goccia contemporaneamente alla messa a dimora della piantina di pomodoro
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coltivazione in Nord Italia – per colture trapiantate precocemente (20/4) si può irrigare dal 10/5 all’1/8, calcolando una restituzione giornaliera di: 1,5 mm per il periodo 20/4-9/5; 2,4 mm per il periodo 10/5-24/5; 4,3 mm dal 25/5 al 4/7; 3,8 mm dal 5/7 al 19/7; 2,3 mm dal 20/7 all’1/8; – per colture trapiantate in epoca consueta (10/5) è ammessa la restituzione idrica dal 10/5 al 10/8, calcolando una restituzione giornaliera di 1,8 mm per il periodo 10/5-29/5; 3,3 mm per il periodo 30/5-9/6; 4,4 mm per il periodo 10/6-14/7; 3,8 mm per il periodo 15/7-30/7; 2,1 mm per il periodo 1/8-10/8; – per trapianti tardivi (30/5) il calcolo della restituzione idrica è ammessa per il periodo 30/5-20/8, considerando fabbisogni giornalieri di: 2,5 mm dal 30/5 al 9/6; 3,3 mm dal 10/6 al 19/6; 4,5 mm dal 20/6 al 24/7; 3,8 mm dal 25/7 al 9/8; 2,1 mm dal 10/8 al 20/8. I volumi irrigui ammessi per ciascun intervento possono variare da un minimo di 23 mm nei terreni argillosi (70% di argilla) fino a un massimo di 65 mm nei terreni molto sciolti (70% di sabbia).
Foto E. Marmiroli
Controllo integrato delle infestanti Le infestanti tipiche del pomodoro da industria nel Nord Italia sono le dicotiledoni Solanum nigrum (erba morella), Amaranthus retroflexus (amaranto comune), Chenopodium album (farinello comune), Polygonum persicaria (poligono persicaria) e Portulaca oleracea (porcellana comune); fra le monocotiledoni invece vanno ricordate Sorghum halepense (sorghetta), Echinochloa crus-galli (giavone) e Digitaria sanguinalis (sanguinella).
Manichetta per l’irrigazione localizzata Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Comparsa di flora infestante subito dopo il trapianto
Le esigenze idriche del pomodoro da industria sono piuttosto elevate, tanto che in Italia la coltura si avvantaggia notevolmente dell’irrigazione quasi ovunque
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coltivazione I mezzi adottati per contenere la flora infestante sono: – l’avvicendamento colturale; – la tecnica della preparazione anticipata del letto di semina (falsa semina), in modo da facilitare l’emergenza e la distruzione della maggior parte delle infestanti prima dell’impianto; – la filtrazione delle acque di irrigazione per evitare la diffusione di semi e/o altri organi di propagazione della flora infestante; – le lavorazioni meccaniche; – il diserbo chimico. Per il controllo chimico delle malerbe, i trattamenti sia di pre- sia di post-emergenza vengono normalmente localizzati sulla fila per ridurre la superficie trattata e le quantità dei prodotti impiegati. Nelle interfile invece le malerbe vengono eliminate con le lavorazioni meccaniche.
La lavorazione del terreno nelle interfile nei primi stadi di crescita delle piante è molto importante poiché migliora l’abitabilità del terreno da parte delle piante stesse e consente di eliminare meccanicamente le erbe infestanti
Principali avversità e difesa In Pianura Padana le principali avversità del pomodoro sono rappresentate da malattie fungine (peronospora, alternariosi, septoriosi e oidio), malattie batteriche (maculatura batterica, macchiettatura batterica e cancro batterico), insetti (elateridi, afidi), acari (ragnetto rosso) e nematodi galligeni. La difesa dalla peronospora (Phytophthora infestans) viene condotta sulla base delle informazioni fornite dai Bollettini Provinciali settimanali. Tali Bollettini sono realizzati tenendo conto del modello previsionale IPI (Indice Potenziale Infettivo), dei rilevamenti aerobiologici e dei campi spia. Nelle fasi iniziali del ciclo colturale vengono preferibilmente impiegati prodotti rameici che oltre
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Confronto fra parcelle di pomodoro diserbate e non (testimone in primo piano) Foto R. Angelini
Effetto del diserbo in post trapianto Effetto del diserbo su Solanum nigrum (erba morella)
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coltivazione in Nord Italia a combattere la peronospora hanno azione anche contro alternariosi, antracnosi, septoriosi e batteriosi. In condizioni di elevata umidità si ricorre a prodotti sistemici, mentre in prossimità della raccolta si ricorre normalmente a prodotti a breve intervallo di carenza. Contro gli elateridi (Agriotes spp.) vengono eseguiti trattamenti localizzati ove sia stata accertata la presenza di larve. L’intervento chimico contro il ragnetto rosso (Tetranychus urticae) normalmente viene praticato solo in presenza di focolai precoci di infestazioni con evidenti aree decolorate delle foglie. Nei confronti dei nematodi galligeni (Meloidogyne spp.), presenti nei terreni prevalentemente sabbiosi, per la difesa si ricorre a varietà geneticamente resistenti. Trattamenti maturanti Il Disciplinare di produzione integrata della Regione Emilia-Romagna prevede l’impiego di prodotti ad azione maturante (Ethephon) solo sulle colture a maturazione precoce, le cui raccolte sono previste entro il 15 agosto. L’Ethephon libera etilene che, com’è noto, rallenta notevolmente l’attività vegetativa delle piante di pomodoro, le quali vanno rapidamente in senescenza, incrementando la precocità e la concentrazione di maturazione dei frutti. Ciò consente di agevolare la pianificazione e le operazioni di raccolta. La dose d’impiego di prodotto commerciale (1,5-4 l/ha) varia in relazione allo sviluppo delle piante, allo stato sanitario della coltura, alle temperature e all’umidità medie giornaliere. La dose da applicare viene distribuita in una o due soluzioni, allorché la quota di bacche mature raggiunge il 30% circa.
Primi tentativi di meccanizzazione della raccolta del pomodoro da industria nel Nord Italia, con la raccoglitrice californiana Blackwelder
Raccoglitrice trainata con cernita manuale del prodotto a bordo della macchina
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coltivazione Raccolta Da oltre un decennio ormai nel Nord Italia il pomodoro da industria viene raccolto interamente a macchina. Per tale operazione vengono impiegate raccoglitrici di tipo trainato o semovente. Entrambe le tipologie presentano un pick-up che provvede al taglio delle piante a livello del terreno; tramite un elevatore le piante tagliate con i frutti ancora attaccati vengono convogliate a un battitore a raggi vibranti che provoca il distacco delle bacche. La massa verde, priva di frutti, viene quindi convogliata sulla parte posteriore della macchina e scaricata a terra. Le bacche, invece, vengono inviate, a mezzo di nastro elevatore, al piano di cernita, dove gli operatori addetti (6-8 nel caso delle raccoglitrici trainate) provvedono alla selezione del prodotto eliminando lo scarto (frutti verdi, marci, zollette di terra, parti di stelo). Le macchine trainate hanno una capacità operativa piuttosto contenuta (circa 80 t di pomodoro al giorno). Le raccoglitrici semoventi spesso sono dotate di avanzamento idrostatico, che consente la massima graduazione della velocità, e sono generalmente fornite di 4 ruote motrici sterzanti. In queste macchine la selezione del prodotto è affidata sempre più a sistemi elettronici automatici, i quali dopo aver individuato il colore delle bacche provvedono alla separazione dei frutti rossi da quelli verdi, con possibilità di regolare l’indirizzo delle bacche gialle verso l’una o l’altra categoria. Tali raccoglitrici, tecnologicamente molto avanzate, hanno una capacità operativa di 20-40 t/h e consentono di ridurre notevolmente la presenza dello scarto nel prodotto raccolto (<5%).
Raccoglitrice semovente, in fase di raccolta, affiancata da trattori con rimorchi per il carico e il trasporto del prodotto alla rinfusa
Raccolta meccanica nel basso Ferrarese
Foto R. Angelini
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coltivazione in Nord Italia Trasporto e stoccaggio del pomodoro in fabbrica La profonda evoluzione della pomodoricoltura da industria nel Nord Italia, nell’ultimo trentennio, ha interessato anche il sistema di trasporto del prodotto in fabbrica. Infatti, si è passati dall’impiego delle tradizionali cassette di legno (con capienza di 20-25 kg) ai cassoni da 4-5 q e infine al trasporto alla rinfusa su rimorchi o autocarri predisposti per lo scarico idraulico. Ambedue questi ultimi sistemi di trasporto consentono il grosso vantaggio di un risparmio di manodopera. D’altro canto, però, tali metodi di trasporto comportano pure degli svantaggi, prima di tutto con riguardo all’integrità dei frutti, che vengono sottoposti a una maggiore pressione di stivaggio. Per il contenimento dei danni provocati dal trasporto è necessario, innanzitutto, scegliere varietà a bacche sufficientemente consistenti, inoltre bisogna evitare che la raccolta intervenga in uno stadio troppo avanzato della maturazione dei frutti, infine acquista notevole rilievo il contenimento dello spessore dello strato dei frutti sui camion. Lo stoccaggio del prodotto in attesa della lavorazione, presso l’industria, può avvenire in due modi, entro gli stessi cassoni utilizzati per il trasporto (nel caso del trasporto in cassoni) o in apposite vasche d’acqua (piscine). Ovviamente, il trasporto alla rinfusa ha come conseguenza obbligata quella dello stoccaggio in piscina; è questa la soluzione attualmente adottata nella quasi totalità degli stabilimenti nel Nord Italia.
Nel Nord Italia si è pienamente affermato il trasporto alla rinfusa del pomodoro da industria, con scarico idraulico in fabbrica Foto ARP
Il sistema di scarico idraulico impone che l’attesa del pomodoro, prima della lavorazione, avvenga in acqua, in apposite piscine
Fino agli anni ’70 il pomodoro era raccolto in casse di piccole dimensioni, mentre oggi si impiegano specifici cassoni
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il pomodoro
coltivazione Coltivazione in Sud Italia Antonio Elia
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Coltivazione in Sud Italia Foto R. Angelini
Introduzione In Italia, nel periodo 2004-08, la superficie media annua coltivata a pomodoro da industria è stata di 99.000 ettari con una produzione media di 5,5 milioni di tonnellate di prodotto avviato alla trasformazione. Nel periodo, tuttavia, è stata registrata una contrazione di poco superiore al 20% sia della superficie sia della produzione. La perdita di superficie è stata pari a circa 25 mila ettari, distribuiti in parti uguali tra le aree settentrionali e meridionali. Le produzioni nel quinquennio in esame sono localizzate prevalentemente in Puglia (37% della produzione nazionale, ottenuta su 29.200 ha) ed Emilia-Romagna (30% su 25.700 ha), seguite a distanza da Lombardia (8% su 6800 ha), Campania (6% su 5600 ha), Sicilia (4,1% su 11.500 ha), Basilicata (4,1% su 4000 ha) e Calabria (2,5% su 4200 ha). Pertanto, ancora oggi le regioni meridionali sommano una superficie pari a quasi il 60% del totale nazionale. In Puglia, la provincia di Foggia (Capitanata) detiene il
Pomodoro lungo per la produzione di pelati
Superficie e produzione di pomodoro da industria nelle diverse province pugliesi nel periodo 2004-08 e relativa incidenza sui dati medi regionali e nazionali Area
Anni 2004
2005
2006
2007
2008
Media 2004-08
Incidenza media rispetto a Puglia
Superficie (ha)
Italia (%)
Foggia
26.000
28.000
20.000
23.600
19.000
23.320
79,8
23,5
Brindisi
3992
4000
3500
3200
3800
3698
12,7
3,7
Bari
0
0
1000
850
850
540
1,8
0,5
Taranto
1400
1250
610
750
1100
1022
3,5
1,0
Lecce
750
650
650
550
600
640
2,2
0,6
Puglia
32.142
33.900
25.760
28.950
25.350
29.220
100,0
29,3
Italia
114.006
107.163
90.660
94.346
89.376
99.110
100,0
Produzione (.000 t) Foggia
1655
1890
1500
1599
1330
1595
86,4
29,0
Brindisi
147
185
160
110
171
155
8,4
2,8
Bari
0
0
35
30
30
19
1,0
0,3
Taranto
39
46
27
28
44
37
2,0
0,7
Lecce
46
37
37
38
42
40
2,2
0,7
Puglia
1887
2158
1759
1805
1617
1846
100,0
33,5
Italia
6375
5875
5052
5261
4917
5496
Fonte: Istat
292
100,0
coltivazione in Sud Italia Ripartizione percentuale della produzione italiana di pomodoro da industria tra le diverse regioni Pomodoro in Capitanata 7,7%
• La produzione di pomodoro da industria
1,6% 1,2%
in Capitanata interessa il territorio della Piana del Tavoliere, una vasta area (oltre il 50% dell’intera superficie provinciale) che si estende dal fiume Ofanto al lago di Lesina. In particolare, la coltivazione del pomodoro da industria si concentra nella zona del Basso Tavoliere con morfologia pianeggiante-subpianeggiante (massimo 400 m s.l.m.), dove l’Appennino Dauno e il promontorio del Gargano influenzano spiccatamente il clima. Questo, tipicamente mediterraneo lungo la fascia della costa adriatica, tende a divenire più continentale nelle zone interne. In queste aree pertanto gli inverni sono freddi e piovosi seguiti da estati aride e siccitose. Le precipitazioni piovose, concentrate nel periodo da ottobre ad aprile, non sono molto abbondanti e si attestano sui 500 mm di pioggia/anno. La scarsa piovosità estiva determina un forte deficit idrico in questa stagione, legato anche all’elevata evapotraspirazione potenziale
29,7% 0,5%
3,0% 1,0%
0,9% 0,8% 33,6%
2,8% 0,4%
5,7%
4,1% 2,5%
4,1%
Fonte: elaborazione su dati Istat (medie quinquennio 2004-08)
primato con una superficie media annua di oltre 23.000 ha e una produzione di 1,6 milioni di tonnellate. Oltre che per il primato produttivo, quest’area rappresenta il modello produttivo al quale si richiamano tutte le coltivazioni del Centro-Sud italiane, realizzate in Sicilia, nel Crotonese, nel Brindisino, nella Valle dell’Ofanto, in Campania, nell’Agro Pontino ecc. Pertanto, in questa nota si farà riferimento quasi esclusivamente a tale modello di produzione del pomodoro da industria come espressione della coltivazione di tutto il meridione.
• Il Basso Tavoliere è caratterizzato
Produzione pugliese e foggiana nel contesto nazionale e mondiale Nel quinquennio 2004-08 la Puglia ha fornito il 37% della produzione nazionale di pomodoro da industria, interessando annualmente circa 29.000 ha. La provincia di Foggia (Capitanata) rappresenta il maggiore bacino di produzione nazionale con una superficie media annua di oltre 23.000 ha e una produzione di 1,6 milioni di tonnellate. Nello stesso periodo, in questa provincia si sono concentrati in media, rispettivamente, l’86% e il 29% della produzione di pomodoro da industria pugliese e nazionale; in termini di superficie coltivata essa corrisponde all’80% della superficie pugliese e al 24% di quella nazionale. Anche la provincia di Brindisi concorre in maniera significativa alla produzione pugliese con circa 3700 ha e 155 mila tonnellate di prodotto.
da terreni profondi o molto profondi, di tessitura fina o moderatamente fina, buon contenuto di sostanza organica e ben drenanti. Sono classificabili da calcarei a molto calcarei (in alcuni casi, estremamente calcarei), con reazione decisamente alcalina
293
coltivazione In Puglia il forte aumento delle superfici coltivate a pomodoro da industria si è verificato agli inizi degli anni ’80 a seguito delle distruttive infezioni da virus CMV che hanno colpito le coltivazioni campane. In quegli anni, le industrie di trasformazione campane hanno favorito la coltivazione del pomodoro in Capitanata, dove la coltura ha trovato migliori condizioni edafiche e ambientali, oltre a mantenere condizioni fitosanitarie ottimali. Da allora l’incremento di superficie destinata a pomodoro da industria è stato continuo fino a raggiungere il massimo di 33.000 ha nel 1999. La coltivazione del pomodoro da industria in Capitanata ha avuto avvio a partire dagli anni ’60, con l’aumento della disponibilità idrica per l’irrigazione. Già in quel periodo è stata evidente la spiccata vocazione produttiva del territorio verso le tipologie allungate. Questa specializzazione nel tempo ha portato alla concentrazione della coltivazione da pelato in quest’areale. Si ritiene infatti che il 90% della superficie italiana coltivata con cultivar a bacche allungate sia concentrata in Capitanata, dove interessa circa il 60% dei 23.000 ettari coltivati in media negli ultimi anni con pomodoro da industria. In particolare la provincia di Foggia detiene il primo posto a livello mondiale per produzioni e qualità del pelato all’italiana, rappresentando l’unico bacino di produzione capace di approvvigionare le industrie di trasformazione meridionali con il Pomodoro Lungo di Capitanata. In tutti i Paesi mediterranei e trans-continentali che trasformano pomodoro, la tecnologia prevalente è quella della trasformazione in concentrati, o comunque che implica la triturazione più o meno raffinata del prodotto e la sua successiva concentrazione che
Pomodoro e olivi a Carovigno, Brindisi
Pomodoro sulla costa molese (BA)
294
coltivazione in Sud Italia porta all’eliminazione della componente acquosa. Attualmente, gli stabilimenti nazionali attivi sono poco più di 200, presenti su quasi tutto il territorio nazionale, con due concentrazioni maggiori nelle regioni Emilia-Romagna e Campania, rispettivamente con 25 e 130 unità produttive. Il nuovo impianto del gruppo AR a Foggia contribuirà a ridurre la lacuna dovuta alla mancanza di industrie di trasformazione in provincia di Foggia e a eliminare un fattore limitante per il pomodoro in Capitanata, che determina, tra l’altro, un trasferimento puro di ricchezza al di fuori dell’area provinciale di circa 100-120 milioni di euro.
Foto R. Angelini
Tecnica colturale Di seguito si prendono in esame le tecniche più importanti che qualificano la produzione dell’areale pugliese. Foto R. Angelini
Impianto La tecnica d’impianto della coltura in Puglia fa esclusivamente ricorso al trapianto, eseguito a mano o per mezzo di trapiantatrici semiautomatiche o automatiche. In Capitanata questo è possibile a partire dalla metà di aprile fino a fine maggio, utilizzando piantine con 3-5 foglie, alte 10-15 cm, robuste e soprattutto sane. A tale proposito, il Disciplinare di Produzione Integrata (DPI) consiglia l’impiego di piantine provviste di certificazione sanitaria per almeno 7 tipi di virus. In ogni caso, il materiale di propagazione deve essere accompagnato da Documento di Commercializzazione (secondo i DM del 14/04/1997) e Passaporto delle piante (DL 214 del 19/08/2005). Ciò ha promosso un’intensa attività vivaistica sul territorio con la presenza di nu-
Raccolta meccanica del pomodoro da industria
Foto R. Angelini
Pomodoro nell’area vesuviana (NA)
295
coltivazione merose strutture altamente specializzate, per soddisfare una domanda media annua di 800-900 milioni di piantine di pomodoro certificate. La coltura ottenuta da trapianto presenta maggiore uniformità, contemporaneità di maturazione e precocità con anticipo della raccolta di circa una settimana. A questo contribuisce anche l’impiego di cultivar ibride, reso possibile dalla produzione vivaistica delle piantine; per la semina in campo questi ibridi sarebbero economicamente non utilizzabili. La disposizione delle piante in campo può essere a fila semplice o a fila binata. In quest’ultimo caso, le distanze d’impianto sono pari a 0,3-0,5 m sulla fila e tra le file della bina e 1,6-1,8 m tra gli assi delle bine. Per la fila singola invece 0,3-0,4 m sulla fila e 1-1,3 m tra le file. Per le tipologie a frutto allungato la densità di impianto è pari a 2,7-3 piante/m2 (per le varietà con vegetazione contenuta anche 3,5-3,8 piante/m2); per quelle a frutto tondo le densità d’impianto sono in genere di 3-3,5 piante/m2, mentre per i tipi cherry salgono fino a 4,5 piante/m2. La fila binata, rispetto a quella singola, consente una serie di vantaggi di ordine tecnicopratico quali: l’impiego di una sola linea di irrigazione o fertirrigazione localizzata al centro della bina; il migliore sfruttamento della larghezza degli organi di raccolta; la migliore agibilità per le macchine operatrici. Importanti sono anche le implicazioni su produzione e qualità del prodotto: la maggiore competizione tra le piante riduce la tendenza alla ramificazione contribuendo sensibilmente all’aumento della contemporaneità di maturazione; inoltre, la migliore copertura delle bacche al centro della bina riduce l’incidenza della scottatura, una fisiopatia a cui i frutti in questo ambiente sono particolarmente suscettibili.
Foto C. Magnani
L’attività vivaistica in Capitanata deve soddisfare una domanda media annua di 800-900 milioni di piantine di pomodoro certificate
Pomodoro in fila binata nel Foggiano con fertirrigazione localizzata al centro della bina
Foto R. Angelini
296
coltivazione in Sud Italia Irrigazione Il pomodoro da industria in Capitanata si caratterizza per l’elevato fabbisogno idrico considerando la domanda evapotraspirativa dell’areale di coltivazione; inoltre, a causa della bassissima frequenza di piogge estive, altra peculiarità climatica del Tavoliere, il fabbisogno idrico deve essere soddisfatto quasi esclusivamente con l’irrigazione. I volumi irrigui stagionali possono variare tra 5000 e 7000 m3 a ettaro. L’irrigazione è stata la tecnica che ha decretato il successo della coltura del pomodoro da industria in questa zona. La distribuzione di acqua irrigua da parte del Consorzio di Bonifica di Capitanata a partire dagli anni ’60 ha dato avvio al miglioramento complessivo delle pratiche tecnico-agronomiche. Negli ultimi vent’anni, con la sostituzione di sistemi irrigui poco efficienti (infiltrazione laterale da solchi, a pioggia) con quelli a goccia (microportata di erogazione) si è assistito all’incremento delle produzioni e al miglioramento della qualità del prodotto di Capitanata, soprattutto per il pomodoro da pelato. Il marciume apicale è il sintomo della carenza di calcio localizzata nella parte distale dei frutti; è una fisiopatia, connessa a squilibri idrici (anche se temporanei) nel terreno e/o a fenomeni di alterazione nella asportazione dei cationi, che può essere meglio controllata mediante l’irrigazione a goccia. Altri aspetti tecnici che hanno favorito la diffusione di questi sistemi irrigui sono il funzionamento anche in condizioni di forte ventosità (tipiche del territorio della Capitanata), la possibilità di impiego di macchine operatrici contemporaneamente all’irrigazione, la notevole limitazione della crescita delle infestanti. Hanno di contro l’esigenza di ricorrere all’uso di sistemi di filtraggio e di
Pomodoro a Crotone
Tubi per l’irrigazione a goccia in Capitanata
Foto R. Angelini
297
coltivazione un’accurata progettazione dell’impianto per garantire l’uniformità di distribuzione e presentano ridottissimi effetti climatizzanti sulla coltura. Nel caso di distribuzione turnata dell’acqua, tipica dei Consorzi di Bonifica, e in considerazione dell’elevata frequenza di intervento richiesta, è necessario prevedere adeguate vasche aziendali di accumulo dell’acqua. Il miglioramento dell’efficienza d’uso dell’acqua si concretizza con l’aumento del livello produttivo e con il risparmio della risorsa idrica; anche in condizioni di limitata disponibilità idrica, come sempre più spesso avviene in Capitanata, è possibile mantenere ottime prestazioni produttive.
Foto P. Viggiani
Concimazione e fertirrigazione La concimazione è fondamentale per garantire elevati livelli produttivi e qualitativi. La corretta definizione delle dosi e delle epoche di somministrazione dei fertilizzanti si dovrebbe basare sulla conoscenza delle esigenze della coltura e della dotazione del terreno. Il DPI, in osservanza alle Norme di buona pratica agricola approvate dalla Regione Puglia, riporta l’impiego, per produzioni maggiori di 70/80 t/ha, di quantitativi massimi di N, P2O5 e K2O di 200, 250 e 150 unità rispettivamente, per un terreno di media fertilità; esso obbliga all’esecuzione delle analisi del terreno ogni 3 anni e consiglia l’apporto di sostanza organica. La concimazione fosfatica supera sensibilmente le reali asportazioni della coltura, poiché a causa dei valori elevati di pH dei terreni della zona considerata, il P precipita sotto forma di sali insolubili, non facilmente disponibili per la pianta. Nell’ambito di ricerche svolte in Capitanata per il miglioramento dell’efficienza d’uso delle risorse minerali e idriche del suolo, interessanti e incoraggianti risultati sono stati ottenuti con l’applicazione di funghi simbionti micorrizici rispetto al fosforo; piante controllo o poco
Stesura dei tubi di irrigazione
Campo di pomodoro danneggiato da una grandinata
298
coltivazione in Sud Italia Esempio di un piano di fertirrigazione (previsione) ottenuto con il software GesCoN per una coltura di pomodoro da industria con una produzione attesa di 100 t/ha
20
Piano di fertirrigazione (previsione)
8 7 6
16
Intervento (n.)
Giorni dal trapianto
Applicato
Mineralizzato (1)
Asportato
1
–7
30,0
0,0
0,0
2
36
10,0
10,5
33,6
3
43
20,0
16,1
62,1
4
47
20,0
19,6
84,9
5
52
20,0
24,4
113,0
6
56
10,0
28,5
134,1
7
59
10,0
31,8
146,1
8
63
8,4
33,2
156,5
Fine ciclo
105
128,4
35,8
171,5
N (kg/ha)
N (kg/ha)
5
12 4 8
3 2
4 1 0
0
20
40 60 80 Tempo (giorni)
100
N disponibile nel terreno N asportato Asportazione cumulata di azoto da parte della coltura del pomodoro da industria raffrontata con gli intervalli di fertirrigazione secondo il modello GesCoN
(1) nel volume di terreno maggiormente interessato dalle radici
Gestione dell’azoto in fertirrigazione
concimate con P, ma allevate su terreno inoculato con funghi micorrizici esogeni, hanno prodotto più bacche di piante concimate con P ma non micorrizate. Il concime fosfatico, generalmente perfosfato triplo (titolo 48%), si applica con la lavorazione principale, mentre all’impianto è consigliata l’applicazione di una quota starter per favorire lo sviluppo dell’apparato radicale, la crescita iniziale della coltura e un’abbondante fioritura. Con la fertirrigazione è possibile apportare fosforo disponibile per le piante anche durante la fase di coltivazione; in genere si applica sotto forma di acido fosforico utile anche per la pulitura dell’impianto fertirriguo. Il fabbisogno di potassio è elevato specie durante l’allegagione e l’ingrossamento delle bacche. La concimazione è generalmente di fondo con solfato di potassio (titolo 50%). In caso di fertirrigazione è utile l’applicazione di nitrato di potassio (titolo 13% di N e 44% di K2O), o di concimi completi a vario titolo, specie durante la fase di ingrossamento dei frutti. L’azoto, quando non somministrato in fertirrigazione con concimi idrosolubili, è consigliabile frazionarlo 1/3 all’impianto e 2/3 in copertura, applicando quantità non superiori a 40 kg/ha per ogni intervento. L’impiego di concimi a rilascio controllato consente di anticipare una quota maggiore all’impianto (pari alla metà della dose complessivamente somministrata). La fertirrigazione è comunque largamente utilizzata; essa consente la distribuzione più efficiente dell’azoto che
• Studi condotti in Capitanata hanno
consentito di mettere a punto dei modelli matematici che stimano l’accumulo di sostanza secca durante il ciclo colturale in funzione dei gradi giorno. Alcuni autori hanno individuato la concentrazione minima di N nella sostanza secca durante il ciclo colturale in grado di ottimizzare l’accumulo di sostanza secca [Nupt = 45,3 · SS 0,673]. L’insieme di queste informazioni ha portato alla realizzazione di un software (GesCoN), che consente di stimare le asportazioni giornaliere di N nel pomodoro da industria, inserendo i dati di temperatura minima e massima. Il software è in grado di fare un bilancio tra l’N mineralizzato nel terreno, quello somministrato e l’asportazione della coltura, fornendo utili indicazioni sul quantitativo e sui tempi di distribuzione del fertilizzante
299
coltivazione può essere localizzato in prossimità dell’apparato radicale durante tutto il ciclo colturale e soddisfare le esigenze della coltura in funzione della fase fenologica. La tecnica riesce a determinare incrementi produttivi dell’ordine del 20-30% senza influire negativamente sui parametri qualitativi (residuo ottico, acidità, colore e viscosità). Tuttavia, alcune indagini in loco riportano dell’applicazione di quantitativi di azoto (350-400 kg/ha) molto superiori alle effettive asportazioni della coltura, mettendo in evidenza la gestione piuttosto empirica della concimazione azotata. Dal punto di vista ambientale questo rappresenta un aspetto critico della tecnica colturale considerando anche che il 90% dei quasi 100.000 ha di superficie vulnerabile da nitrati di origine agricola, designata dalla Regione Puglia, ricade in provincia di Foggia. A questo proposito, frutto di attività di ricerca sul territorio, finalizzata a migliorare la sostenibilità ambientale ed economica della coltura, è stato realizzato un software (GesCoN) per la razionalizzazione della nutrizione azotata mediante fertirrigazione. Il software è in fase di calibrazione e di validazione con il coinvolgimento del servizio di sviluppo agricolo provinciale. Pomodoro Lungo di Capitanata Le cultivar appartenenti alla tipologia tondo o da concentrato hanno capacità di adattamento a diverse condizioni pedoclimatiche sul territorio nazionale – dalla Sicilia alla Lombardia – ma anche nell’ambito del Paesi del bacino del Mediterraneo. La maggiore rusticità di queste cultivar consente di raggiungere livelli produttivi e qualitativi (bacche consistenti e resistenti alla sovramaturazione) soddisfacenti in areali anche abbastanza diversificati. Per le cultivar della tipologia a frutto allungato o da pelato il range di condizioni climatiche ottimali è più ristretto ed è più vincolan-
Vasta superficie coltivata a pomodoro nel Crotonese
Raccolta del pomodoro in Capitanata: il pomodoro lungo è pronto per il trasferimento allo stabilimento
Foto R. Angelini
300
coltivazione in Sud Italia te per i parametri qualitativi del prodotto. Le bacche, per la loro morfologia allungata, sono più suscettibili alla comparsa del marciume apicale che tipicamente si verifica in condizioni di elevata domanda evapotraspirativa dell’ambiente (bassa umidità relativa dell’aria, elevata temperatura e ventosità), mentre per raggiungere il grado di maturazione ottimale ed evitare la sovramaturazione, esse necessitano di condizioni di umidità relativa bassa e temperature non troppo elevate; inoltre, livelli elevati di umidità del terreno e dell’aria aumentano il rischio di marciume dei frutti. La qualità delle bacche allungate è dunque molto influenzata dall’ambiente e i parametri qualitativi che devono essere rispettati per la destinazione a pelato (art. 38 DM del 04/7/1985) sono molto più restrittivi rispetto a quelli per l’altra produzione (concentrati, polpe, succhi e triturati), in particolare per quanto attiene a forma, uniformità di maturazione, assenza di marciumi, lesioni e scatolatura. In provincia di Foggia la qualità del pomodoro è ottenuta grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche del territorio; ma per le tipologie a frutto allungato l’insieme di queste condizioni conferisce caratteristiche di unicità all’areale tanto che è stata avanzata la richiesta di IGP per questa tipologia di prodotto con il nome di Pomodoro Lungo di Capitanata. Le caratteristiche qualitative di eccellenza che contraddistinguono questo pomodoro da pelato riguardano il colore rosso intenso e brillante, l’elevato residuo ottico, l’elevata consistenza della polpa e l’ottimo sapore. Si elencano di seguito alcune relazioni tra caratteristiche pedoclimatiche del territorio di Capitanata e gli aspetti qualitativi del prodotto: – le temperature minime consentono l’impianto della coltura già agli inizi di aprile. Ciò permette di raggiungere la maturazione
Pomodori da pelati in diverso stadio di maturazione
Pomodori in Capitanata
Foto P. Viggiani
301
coltivazione a partire dalla fine di luglio, in concomitanza con il periodo di maggiore deficit idrico. A latitudini superiori le temperature minime più basse, e i frequenti ritorni di freddo, spostano l’impianto a partire dalla seconda metà di maggio, con raccolta da agosto inoltrato in poi, quando le piogge di fine estate sono più frequenti. La maturazione avviene in condizioni di elevata disponibilità idrica ed elevata umidità relativa, a discapito della qualità e della sanità delle piante; – le escursioni termiche durante la fase di maturazione rientrano normalmente tra i 18 e i 33 °C. Questa condizione consente la maturazione ottimale delle bacche che mostrano elevato residuo ottico (buon accumulo di sostanza secca) e intensa colorazione rossa, associata allo svolgimento regolare del processo di sintesi del licopene. Tali risultati sono difficilmente realizzabili a latitudini inferiori (ad esempio, in areali siciliani) dove i picchi di temperatura massima influenzano negativamente l’allegagione (con abbondanti cascole fiorali) e la sintesi di licopene con conseguente colorazione aranciata delle bacche. Gli effetti negativi degli eccessi termici su fioritura e allegagione spiegano anche le basse produzioni unitarie, meno di un terzo di quelle degli areali più vocati, che si ottengono in Sicilia; – l’umidità relativa dell’aria durante il ciclo colturale, in particolare durante la fase di maturazione, assume valori bassi, grazie anche alla presenza di una buona ventosità, limitando lo sviluppo e la diffusione di avversità fitopatologiche. Nelle regioni più settentrionali piogge abbondanti e insistenti possono causare stress per asfissia radicale durante il ciclo colturale e la matura-
Aspetto di un campo di pomodori dopo il trapianto
40
80
35
70
30
60
25
50
20
40
15
30
10
20
5
10
0
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Mesi
Pomodori a Giardinetto, Foggia
T min
302
T max
T media
Pioggia
0
Pioggia (mm)
Temperatura (°C)
Andamento delle temperature minime, medie e massime e della piovosità a Foggia (medie 1958-2008)
coltivazione in Sud Italia zione, predisponendo, inoltre, le condizioni per la proliferazione di crittogame e batteriosi a carico della vegetazione e dei frutti; – la scarsa piovosità estiva e l’assenza di falde superficiali costringono a soddisfare le esigenze idriche della coltura attraverso l’irrigazione ma, allo stesso tempo, consentono di regolare l’apporto di acqua per gestire la fase di maturazione e di ottimizzare le caratteristiche merceologiche (anche organolettiche e nutrizionali) delle bacche. A latitudini più elevate tali condizioni sono difficilmente realizzabili per i maggiori apporti pluviometrici dei mesi estivi e per la presenza di falde superficiali. I mercati nazionali e internazionali legittimano la reputazione che il pelato proveniente dalla Capitanata ha acquisito in Italia, in Europa e in tutto il mondo. A questa conserva, essendo mantenuta l’integrità della bacca, è associata la maggiore naturalità del prodotto (scarsa manipolazione e aggiunta di conservanti); ed è ancora oggi considerato il condimento della cucina tipica italiana più richiesto dai buongustai di tutto il mondo e che ha alimentato uno dei più fiorenti flussi esportativi agricoli nazionali.
Caratteristiche climatiche medie di tre località a diversa latitudine durante il periodo di coltivazione (1) Lat.
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Coltivazione di pomodoro in prossimità della costa
Temperatura minima (°C)
Piacenza
44.92 N
6
10
13
16
16
Foggia (*)
41.53 N
7
11
15
18
18
Catania
37.47 N
8
12
16
19
19
Temperatura massima (°C) Piacenza
44.92 N
17
22
26
29
27
Foggia (*)
41.53 N
19
24
28
32
31
Catania
37.47 N
20
24
28
32
32
Pioggia (mm) Piacenza
44.92 N
78
71
63
38
67
Foggia (*)
41.53 N
36
37
36
26
27
Catania
37.47 N
35
19
6
5
9
Umidità relativa (%) Piacenza
44.92 N
78
76
75
73
75
Foggia (*)
41.53 N
71
69
65
61
64
Catania
37.47 N
70
68
65
64
67
Pomodori a Mesagne, Brindisi
(1) Medie mensili riferite al trentennio 1961-90, dati Eurometeo (*) Stazione di Foggia Amendola
303
il pomodoro
coltivazione Coltivazione in serra Giuseppe La Malfa, Sergio Argento
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coltivazione Coltivazione in serra Introduzione Il pomodoro in serra rappresenta ormai un’espressione consolidata e importante del profilo colturale e produttivo di questa solanacea. Il suo connotato fondamentale è rappresentato dalla forzatura delle piante in continuo e per l’intera durata del ciclo mediante l’impiego di un apprestamento di ampiezza e cubatura sufficienti a consentire agli operatori l’accesso all’interno per la esecuzione delle operazioni colturali. La coltivazione in serra presenta significative differenze rispetto a quella di pien’aria sia da mensa sia per l’industria. Le differenze riguardano molteplici aspetti inerenti alle condizioni ambientali e pedologiche delle aree di diffusione, il profilo biologico e agronomico, le caratteristiche del prodotto. Con riferimento al profilo biologico assume rilievo l’aspetto relativo alle tipologie varietali e, nell’ambito di queste, alle cultivar; in relazione ai fattori agronomici le differenze più significative riguardano le tecniche e i mezzi di produzione; quanto alle condizioni ambientali, a motivo della extrastagionalità dei cicli, il pomodoro in serra valorizza meglio le zone che godono di un clima tipicamente mediterraneo. L’attuale fisionomia del pomodoro in serra deriva da una storia che data ormai alcuni secoli. La coltura è presente in serra in Europa e negli USA a partire dal XIX secolo. I frutti dovevano essere così apprezzati da rendere sostenibile la produzione in un apprestamento di protezione di notevole complessità per caratteristiche costruttive, con strutture in metallo e copertura esclusivamente in vetro. L’interesse per il pomodoro è rimasto notevole nel tempo, sostenuto dai caratteri intrinseci oltre che dal variegato aspetto esteriore. La coltura è sicuramente presente nelle serre
Principali aspetti differenziali della coltivazione del pomodoro da mensa in serra rispetto alla pien’aria
• Controllo più accurato delle condizioni
chimiche, fisiche e biologiche del suolo
• Cicli di coltivazione temporalmente più articolati
• Impianto con giovani piante da vivaio • Impiego prevalente di cultivar ibride • Possibile impiego di piante innestate, precocemente cimate, sottoposte ad hardening
• Prevalente impiego di cultivar a crescita indeterminato
• Modalità di allevamento in verticale • Apporti di acqua e di concimi più frequenti
• Controllo dell’allegagione • Irrigazione localizzata associata alla concimazione (fertirrigazione)
• Controllo di agenti biotici avversi con metodi integrativi la difesa chimica
• Articolazione delle modalità e delle
Foto M. Curci
epoche di raccolta, della preparazione del prodotto per il mercato
• Raccolta prevalentemente manuale in stadi di maturazione diversi
• Adozione più frequente di metodi “speciali” di coltivazione
Serre a Leverano, Lecce
304
coltivazione in serra olandesi che nel 1912 coprivano nel complesso alcune centinaia di ettari. Prima della coltivazione in serra la domanda di pomodoro fuori stagione veniva soddisfatta con le coltivazioni difese e semiforzate per produzioni precoci che venivano realizzate in diverse località dei Paesi mediterranei con clima a inverno mite in grado di assicurare la maturazione delle bacche con alcuni giorni di anticipo rispetto alla pien’aria. Sui mercati europei erano note alla fine del 1800 le possibilità assicurate al riguardo dalle zone litoranee della Sicilia, e in particolare dalla zona costiera del Ragusano, divenuta successivamente elettiva dell’insediamento della serricoltura sotto plastica, dal litorale tirrenico della provincia di Messina, dalla Riviera ligure, dal litorale veneto. Sono numerosi i riferimenti circa la produzione di pomodoro da tavola nella Piana di Milazzo; nei primi decenni del 1900 diversi autori descrivevano il quadro varietale ricco di circa 15 varietà, compreso il patataro ancora oggi coltivato. Molte di queste varietà erano già presenti in Sicilia nei primi decenni del XVIII secolo. Il panorama colturale del pomodoro per produzione extrastagionale resta immodificato fino alla metà del secolo XX quando si registra sul mercato la disponibilità di manufatti di materiale plastico di spessore e caratteristiche tali da risultare trasparente alla maggior parte delle radiazioni luminose e così leggero e flessibile da adattarsi a strutture piuttosto precarie. Si apre così un nuovo capitolo della coltivazione del pomodoro per produzione fuori stagione che grazie all’impiego della serra fa registrare notevoli successi in tema di ottimizzazione del processo produttivo, di miglioramento della qualità, di ampliamento del periodo di raccolta e di articolazione delle aree di produzione. Tra l’altro la diffusione del pomodoro procede in parallelo con quella delle serre. Le dinamiche evolutive della superficie a pomodoro risul-
Parete di piante in fioritura coltivate su terreno pacciamato
Tunnel di media altezza occasionalmente utilizzati per la coltivazione del pomodoro
305
coltivazione Superficie e produzione delle principali colture in serra in Italia
Foto V. Magnifico
Superficie
Colture
Pomodoro cherry pronto per la raccolta
Produzione
ha
%
(t)
%
Pomodoro
7280,8
24,2
516.260
38,6
Lattuga
3729,8
12,4
135.503,4
10,1
Melone
3333,5
11,1
124.804,1
9,3
Fragola
2754,8
9,2
93.933,5
7,0
Zucchino
2646
8,8
19.963,2
1,5
Peperone
1356,0
4,5
98.517,7
7,4
Cocomero
1285,7
4,3
74.995,7
5,6
Melanzana
938,4
3,1
7294,8
0,5
Fagiolino
790,3
2,6
18.826,4
1,4
Cetriolo da mensa
538,4
1,8
45.616,5
3,4
Altre
5449,2
18,0
202.574,6
15,2
Totale
30.102,9
100,0
1.338.289,9
100,0
Fonte: Istat anno 2008
tano assai intense con un ritmo di sviluppo che raramente trova riscontro nel settore agricolo. Così nel corso dei primi venti anni, tra il 1965 e il 1985 il pomodoro in serra supera i 5000 ettari e continua a diffondersi sia pure in misura piu contenuta fino agli attuali 7300 ettari. La produzione supera significativamente i 5 milioni di quintali per una disponibilità in valore relativo di
Superficie (ha) e produzione (.000 t) di pomodoro in serra in Italia e in Sicilia Anni
Italia
Sicilia
Sicilia/Italia (%)
Superficie
Produzione
Superficie
Produzione
Superficie
Produzione
1975
2956
195,2
1373
91,1
46
47
1985
5046
364,4
3021
211
60
58
1990
5870
410,1
3142
204
54
50
1995
6357
440,9
3481
231
55
52
2000
7667
546,5
3973
276,9
52
51
2005
7950
561,2
3574
235,8
45
42
2008
7281
517,0
3706
243,7
51
47
Fonte: Istat
306
coltivazione in serra Regioni e province italiane maggiormente interessate alla coltivazione del pomodoro in serra negli ultimi venti anni Dinamica della produzione di pomodoro in Italia (.000 t) in pien’aria e in serra negli ultimi venti anni
Anni
Regioni
Province
ha
(%)*
.000 t
(%)*
1990
Sicilia
Ragusa
1600
27,3
96
23,4
Siracusa
469
8,0
43
10,4
Caltanissetta
460
7,8
32
7,9
Anni
1990
2000
2008
Trapani
390
6,6
14
3,3
Serra
410,1
546,5
517,0
Lazio
Latina
500
8,5
30
7,3
Pien’aria
5820,9
7206,2 *
5502,4 *
Sardegna
Cagliari
420
7,2
50
12,3
Totale
6231,0
7752,7
6019,4
Campania
Salerno
400
6,8
28
6,8
7,0
7,6
9,4
Totale
4239
72,2
293
71,4
Serra/ pien’aria
Altre
1631
27,8
117
28,6
In complesso
5870
100,0
410
100,0
Ragusa
2000
26,1
160
29,3
Siracusa
750
9,8
64
11,7
Caltanissetta
700
9,1
28
5,1
Trapani
310
4,0
11
2,0
Campania
Salerno
700
9,1
41
7,5
Lazio
Latina
680
8,9
56
10,2
Sardegna
Cagliari
435
5,7
48
8,8
Totale
5575
72,7
408
74,6
Altre
2092
27,3
139
25,4
In complesso
7667
100,0
547
100,0
Ragusa
2000
27,4
164
31,7
Caltanissetta
1100
15,1
36
7,0
Siracusa
350
4,8
28
5,4
Campania
Salerno
740
10,2
41
8,0
Lazio
Latina
590
8,1
55
10,6
Sardegna
Cagliari
255
3,5
28
5,3
Totale
5037
69,1
352
68,0
Altre
2252
30,9
165
32,0
In complesso
7281
100,0
517
100,0
2000
Sicilia
2008
Sicilia
* di cui 6220 e 4950 di pomodoro da industria Fonte: Istat
Foto M. Curci
Interno di una serra di pomodori in fase di fioritura
*Valori percentuali sul totale nazionale Fonte: Istat
307
coltivazione poco inferiore al 10% rispetto alla produzione complessiva di pien’aria. La coltura si afferma in misura più rilevante nelle regioni meridionali; in Sicilia essa rappresenta il 50-60% della superficie coperta. Un dato da rilevare è la preminente diffusione in quattro regioni (Sicilia, Lazio, Sardegna e Campania) e in sette province che ospitano oltre i 2/3 della superficie alla quale contribuiscono però in misura notevolmente diversa. La provincia di Ragusa detiene il primato con una superficie superiore sempre al 25% di quella complessiva. Nell’Isola il pomodoro domina nettamente la scena e nel 2008 è coltivato su oltre il 50% della superficie complessivamente destinata alle colture in serra. Sistema di produzione Il sistema di produzione del pomodoro in serra esprime una configurazione riconducibile a quella di un agroecosistema che ha le sue principali componenti nell’apprestamento di protezione, nel terreno, nella pianta e negli organismi utili o dannosi che ne regolano le prestazioni biologiche e produttive. Apprestamento di protezione Assume connotati più o meno diversi sotto il profilo delle caratteristiche costruttive e quindi delle strutture di sostegno, della copertura, della forma generale, della dotazione o meno di impianti di condizionamento per il controllo attivo dei fattori del clima. In relazione alla coltivazione del pomodoro lo scenario agli inizi ha fatto riferimento a tre tipologie fondamentali: serra tradizionale con strutture portanti in ferro e copertura con lastre di vetro, raramente con materiale plastico in film o in lastre; serra con struttura in legno o mista (cemento più legno) coperta con film plastico; tunnel o serra-tunnel con struttura metallica e copertura con film plastico. La prima tipologia corrisponde alla tradizionale serra riscaldata provvista di norma di impianti di condizionamento; la seconda prevale nettamente in termini di superficie coperta per cui la serra in legno con le sue molteplici versioni costituisce il riferimento in assoluto più rappresentativo ai fini della coltivazione del pomodoro nelle regioni meridionali e soprattutto in Sicilia. Per la copertura, è la plastica a dominare la scena. I materiali più diffusi sono il polietilene a bassa densità (PE) e l’etilenvinilacetato (EVA). Molti altri materiali e manufatti, per quanto dotati, talora, di caratteristiche interessanti (film fotoselettivi, policarbonato, film biodegradabili), non hanno trovato larga diffusione. Le questioni di maggiore rilievo che riguardano la serra in funzione della coltivazione del pomodoro attengono alla localizzazione e diffusione degli impianti, ai cicli colturali, al controllo dei fattori ambientali. Per quanto concerne il primo aspetto è ben noto come l’insediamento della serricoltura con copertura in plastica
Tipologie di bacche di piccole dimensioni sul mercato al dettaglio
Foto R. Angelini
308
coltivazione in serra fin dagli inizi abbia riguardato elettivamente le zone costiere a clima più spiccatamente mediterraneo, a inverno mite, ricadenti in prevalenza nella fascia latitudinale compresa tra 35 e 40° N. In questa fascia e nelle aree più prossime al mare ricadono i 2/3 degli impianti serricoli a pomodoro realizzati negli ultimi 50 anni. Queste aree possono beneficiare infatti anche nei mesi invernali (gennaio) di valori della radiazione incidente tali da assicurare la temperatura media superiore a 10 °C e spesso prossima ai 15 °C; la temperatura minima ricade di norma nell’intervallo compreso tra i 5 e i 10 °C. Condizioni così favorevoli rendono possibile un prolungamento della fase produttiva e una rilevante articolazione temporale dei cicli di coltivazione. La quantità di frutti raccolti nei diversi periodi dell’anno per ragioni di ordine climatico fa registrare differenze notevoli soprattutto in serra fredda. Questi e altri effetti esercitati dalla serra sono il risultato delle variazioni delle condizioni ambientali che nel complesso si esprimono con valori più favorevoli rispetto alla pien’aria. Ciò non sempre accade e anche nelle serre fredde possono essere raggiunti valori termici estremi pregiudizievoli per le colture. Anche il pomodoro malgrado la sua adattabilità registra nel risultato biologico e produttivo effetti delle condizioni di extrastagionalità più o meno significativi. Tali effetti sono più manifesti su alcuni processi fondamentali ai fini del risultato produttivo quali l’allegagione. Nella serra fredda il problema fondamentale resta pertanto quello di gestire l’apprestamento in maniera tale da evitare condizioni di stress della coltura per quanto riguarda il regime termofotoudometrico e la disponibilità di CO2. In breve si tratta di mettere a profitto in primo luogo le possibilità legate alle caratteristiche costruttive della serra (per esempio cubatura, finestratura, altezza) e agli eventuali dispositivi che possono contribuire in maniera passiva a evitare condizioni non compatibili con i processi biologici della coltura (per esempio destratificatori, frangivento, doppia copertura).
Coltura in fase di fioritura in una serra predisposta per la movimentazione di materiali e prodotti su binari
Coltura e altri agenti biotici Il pomodoro esprime grande adattabilità alle condizioni ambientali, confermata dalla coltivazione in contesti agroclimatici e sotto apprestamenti molto diversi. Tale adattabilità è in primo luogo da attribuire alla qualificazione dei materiali di propagazione, nonché alla grande disponibilità di cultivar e più in generale di varianti intraspecifiche che possono assumere rilievo sia ai fini colturali e produttivi sia per le esigenze del miglioramento genetico. Il pomodoro rappresenta la coltura, a parità di ogni altra condizione, più ricca di cultivar quasi tutte ibride; il loro impiego assicura tra l’altro una varietà di risultati interessanti per tipologie generali del frutto, dimensioni dello stesso, forma e colorazione. Si passa per esempio dai frutti del peso di alcuni grammi fino a quelli di peso ben più rilevante come nel caso del beef tomato.
Particolare di grappoli in fase di fruttificazione
309
coltivazione Non meno articolate sono le varianti relative alla forma del frutto, da rotonda a piriforme, più o meno cilindrica o prismatica. Un carattere specifico legato alle cultivar di pomodoro è il tipo di accrescimento (definito o indefinito) il quale ha riflessi sul comportamento colturale e agronomico per cui i tipi a crescita determinata non assumono interesse per la coltivazione in serra. Il quadro evolutivo delle cultivar è da collegare alla storia del miglioramento genetico della specie largamente utilizzata come pianta modello; sul pomodoro sono stati studiati molto per tempo gli effetti della eterosi determinata da incroci tra linee pure. I primi esperimenti in tal senso risalgono agli anni ‘30 del secolo scorso quando furono seguite in Francia le discendenze ottenute da incrocio di linee pure. In precedenza le varietà coltivate erano frutto di selezioni operate in campo nell’ambito di popolazioni che permettevano di isolare tipi pregevoli per caratteristiche diverse. Tra questi va ricordato il Marmande, che ha fatto la storia della pomodoricoltura precoce europea di pien’aria e per qualche tempo di quella in serra. La cultivar in parola, per le sue caratteristiche, ha ancora oggi un proprio ruolo in coltura. La configurazione varietale del pomodoro, nel caso delle coltivazioni in serra, è stata sempre basata sui tipi rotondi e con frutti di medie dimensioni; più recentemente hanno trovato diffusione tipi a frutto allungato. Attualmente il mercato rivela tendenze che a seconda dei luoghi e delle modalità di utilizzazione si esprimono con il consumo di tipi fortemente differenziati (cherry vs. beef tomato). Il quadro delle cultivar si arricchisce di continuo di nuove costituzioni migliorate per uno o più dei seguenti caratteri: crescita indeterminata della pianta con un lungo periodo di raccolta; vegetazione non eccessivamente folta per favorire la circolazione dell’aria; attitudine a produrre in condizioni di bassa luminosità; sviluppo vegetativo e fiorale in condizioni di bassa temperatura; allegagione del frutto in condizioni non ottimali di
Tipologia di pomodoro a frutti grossi
Sezione trasversale di frutti pluricarpellari
Principali tipologie di pomodoro da mensa
Confezione di pomodoro a frutti piccoli a maturazione completa
310
Diametro frutto
Costolatura
Accrescimento pianta
Tipi di riferimento
Elevato: ≥67 mm
Lieve o marcata
Indeterminato o determinato
Marmande
Intermedio: tra 57 e 67 mm
Lieve
Indeterminato o determinato
Vemone e Frances
Piccolo: tra 47 e 57 mm
Lieve
Indeterminato
Money maker
Piccolo: ≤47 mm
Lieve
Indeterminato
Cocktail, rotondo o a pera
Molto piccolo: ≈30 mm
Lieve
Indeterminato
Ciliegia (cherry) commerciabili o ornamentali
coltivazione in serra temperatura e luce; qualità soddisfacente dei frutti in condizioni fototermiche subottimali; resistenza o tolleranza alle avversità biotiche. Si tratta di obiettivi oggi perseguiti che possono essere inquadrati nei principali ambiti del miglioramento genetico del pomodoro da mensa. Accanto e insieme alla coltura la serra ospita altre piante riconducibili al gruppo delle malerbe. La loro diffusione e il loro controllo di norma non costituiscono problema rilevante a motivo degli ostacoli al loro sviluppo assicurati dalla pacciamatura. Decisamente più complesso e articolato il problema degli agenti biotici avversi alla coltura, differenti per categorie sistematiche (insetti, acari, nematodi tra gli organismi animali, funghi, virus e batteri tra quelli vegetali), per numero di specie, per tipologia di danno. Si stima che soltanto per gli organismi animali le specie avverse al pomodoro in serra siano oltre un centinaio. L’ambiente confinato della serra offre nell’insieme condizioni favorevoli alla presenza e alla attività degli organismi dannosi. I danni sono di diversa natura. Nel caso degli insetti è frequente la distruzione di organi della pianta; altri danni sono arrecati dalla presenza come tale dell’insetto e/o dai relativi secreti ed escreti; assai dannosa la compromissione della integrità dei frutti; assai grave la possibilità di trasmissione dei virus. Con riferimento ai singoli organismi nell’areale mediterraneo emergono per gravità degli attacchi alcuni acari primo tra tutti il ragno rosso estremamente polifago e assai attivo nei periodi più caldi. Questa e altre specie hanno alcuni nemici naturali (Phytoseiulus persimilis e Orius cardinalis nell’ordine). Tra gli insetti particolarmente dannosi figurano due specie di tripidi (mosche bianche), Bemisia tabaci e Trialeurodes vaporariorum. Quest’ultima, originaria del Centro America, è estremamente fertile potendo ciascuna femmina produrre alcune centinaia di uova se la temperatura si mantiene su valori di circa 17 °C. La pianta intristisce, e accusa problemi di natura fisiologica dovuti alla copertura pressoché totale della superficie fogliare. È specie polifaga (è stata osservata su oltre 300 piante) e risulta ancora piu dannosa in quanto costituisce assieme alla Bemisia veicolo di diffusione di virus assai pericolosi per il pomodoro. Anche gli afidi sono rappresentati da diverse specie tra le quali emergono nettamente per diffusione e rilevanza dei danni Aphis fabae e A. gossypii. Rilevante è il problema dei nematodi soprattutto nei terreni sabbiosi. Gravi risultano poi le malattie dovute ad attacchi di funghi e batteri, in particolare quelle vascolari. Il controllo degli agenti dannosi è difficoltoso anche per la necessità di un rigoroso rispetto degli standard di qualità igienico sanitaria dei frutti, prescritti dalla normativa in vigore. Un aspetto da considerare in relazione al controllo degli agenti biotici è la generalizzata disponibilità di cultivar con caratteristiche di resistenza o di tolleranza agli agenti di malattie soprattutto quelli
Foto R. Angelini
Fisiopatia su bacca Foto R. Angelini
Attacco larvale su bacca
Condizioni che possono favorire la diffusione degli agenti biotici avversi del pomodoro in serra
• Colture ripetute (monocoltura) • Elevato impiego di mezzi chimici • Lunga durata del ciclo colturale • Manipolazione delle piante in vivaio • Basse temperature a livello della rizosfera
• Ferite procurate dalla potatura verde • Elevati livelli termici dell’aria • Elevati valori dell’escursione termica e igrometrica
311
coltivazione vegetali. Queste cultivar, se non risolvono il problema, ne attenuano la gravità. Il ricorso alla lotta biologica attraverso l’impiego di nemici naturali non sempre assicura risultati significativi. Interesse preminente assume ormai la lotta integrata basata su tutti i possibili mezzi di cui si può disporre nelle condizioni della serra. Il metodo, accanto alle esigenze di assicurare un soddisfacente stato sanitario della coltura, ha come obiettivo la salvaguardia della qualità del prodotto senza danni o compromissioni gravi per l’ambiente interno ed esterno alla serra. Terreno Indipendentemente da eventuali operazioni sistematorie di carattere preliminare, gli interventi che precedono l’impianto della coltura nella serra riguardano la sistemazione superficiale, in piano o a solchi, secondo le esigenze legate al metodo di irrigazione, l’apporto di sostanza organica e ove necessario la concimazione di fondo. Altri interventi possono riguardare la posa in opera degli impianti per la fertirrigazione e la pacciamatura con film plastico opaco o con film trasparente nel caso della solarizzazione per trarre vantaggio dalle alte temperature al fine di condizionare lo sviluppo degli agenti biotici avversi presenti nel terreno. Gli interventi indicati si riferiscono a condizioni di normalità dei fattori della produzione. Nel caso in cui questi esprimano condizioni di marginalità o nel caso in cui si vogliano conseguire obiettivi particolari, si può fare ricorso a metodi di produzione non convenzionali e basati su configurazioni strutturali e operative degli impianti più o meno innovative. In tale ottica sono da considerare i metodi fuori suolo con le loro differenti tipologie; essi escludono il terreno naturale che viene sostituito da un substrato inerte bagnato da una soluzione cui attinge l’apparato radicale delle piante. La soluzione nutritiva viene distribuita per mezzo di impianti a goccia con erogatori posti in prossimità delle radici. In assenza del substrato di coltivazione le piante attingono direttamente da canalette nelle quali circola la soluzione nutritiva che viene a contatto con le radici. Una ulteriore tecnica fuori suolo è quella aeroponica che prevede la bagnatura delle radici mediante spruzzi di soluzione nutritiva a intermittenza. Altri metodi non convenzionali sono quelli relativi al controllo biologico o integrato degli organismi avversi alla coltura.
Copertura del terreno sottoposto a fumigazione
Nemici naturali di organismi dannosi sul pomodoro in serra Organismi dannosi
Nemici naturali
Ragno rosso
Phytoseiulus persimilis Amblyseius spp. Orius spp. Chrysopa spp. Chrysoperla spp.
Trialeurodes vaporariorum
Orius spp. Chrysopa spp. Chrysoperla spp.
Bemisia tabaci
Encarsia formosa Eretmocerus mundus Verticillium lecanii
Afidi
Aphidoletes aphidimyza Aphidius colemani;
Liriomyza trifolii
Diglyphus isaea
Heliotis armigera
Trichogramma spp.
Thrips tabaci
Amblyseius spp.
Thrips haemorrhoidalis
Orius spp.
Processo di coltivazione Il processo di coltivazione comprende tutte le operazioni che vanno dalla fase di impianto della coltura a quella di raccolta del prodotto. Nelle condizioni di serra accanto al controllo dei fattori ambientali quelle di più generalizzato interesse riguardano l’impianto della coltura, il controllo dell’accrescimento e dello sviluppo, il controllo dell’allegagione, l’irrigazione, la concimazione, la raccolta. Altri interventi come quelli relativi al controllo degli 312
coltivazione in serra agenti biotici avversi per la loro specificità e rilevanza richiedono una trattazione di carattere specialistico. Impianto della coltura L’impianto della coltura in serra si realizza attraverso l’impiego ormai generalizzato di piantine da vivaio in qualche caso innestate. In passato si ricorreva a segmenti del fusto (talee), alla semina diretta, all’impiego di piante da semenzaio a radice nuda o con pane di terra. L’uso della piantina da vivaio ha come principale vantaggio la eliminazione o la attenuazione della crisi di trapianto e si riflette positivamente sulla uniformità della coltura. Vi sono altri importanti vantaggi diretti e indiretti quali il controllo della germinazione, il risparmio del seme sempre piu costoso, la potatura precoce delle piantine per promuovere la ramificazione, la produzione di piante innestate, l’applicazione di tecniche di hardening per ottenere piante più robuste e più adattabili all’ambiente. Interesse particolare assume l’eliminazione precoce dell’apice vegetativo allo scopo di ottenere fin dalle prime fasi piante provviste di due ramificazioni omologhe le quali possono essere collocate a dimora a maggiore distanza rispetto alle piante monostelo determinando così un risparmio nel consumo di seme. Pomodoro a ciliegia ovale
Controllo dell’accrescimento Il controllo della crescita della pianta è necessario per poterne migliorare le prestazioni fisiologiche nell’ambiente confinato della serra. È stato già detto in relazione alla esigenza della pianta come il rapido superamento della crisi di trapianto sia una condizione necessaria per non alterare e indirizzare correttamente i delicati equilibri tra attività vegetativa e riproduttiva; le due fasi coesistono infatti per l’intera durata della vita della pianta eccezion fatta per un periodo molto breve durante il quale l’attività
Serra per attività vivaistica
313
coltivazione dei meristemi conduce alla formazione di soli organi vegetativi. La induzione a fiore si osserva infatti già in corrispondenza del dispiegamento della terza foglia ma il primo grappolo fiorale si differenzia nel tratto di fusto compreso tra la quinta e la undicesima foglia; il processo si reitera di norma a distanza di due foglie nei tipi determinati e di tre in quelli indeterminati. Questa alternanza tra foglie e grappoli è governata da fattori genetici ma la distanza tra due infiorescenze successive è largamente influenzata dalle condizioni ambientali. In relazione al processo di formazione e disposizione dei grappoli il pomodoro, con il passare del tempo, modifica i rapporti tra gli organi vegetativi e quelli riproduttivi e la pianta per il peso dei frutti non si regge in verticale e deve essere sostenuta. La pianta in coltura assume così un portamento e un habitus diverso da quello in natura e da perennante diventa annuale. Vi sono ragioni di ordine pratico che rendono necessario il controllo dell’accrescimento della pianta mediante interventi meccanici. Con le cultivar impiegate sono necessarie la cimatura e la asportazione dei germogli laterali nonché di una parte delle foglie. La necessità di intervenire con la potatura deve essere considerata in serra soprattutto in relazione alla riduzione della superficie fogliare fotosintetizzante sicuramente negativa ma alla quale corrispondono vantaggi agronomici di notevole interesse tra i quali è da considerare il controllo delle condizioni di reciproco ombreggiamento per le piante; gli interventi sono da valutare in relazione alle necessità di prolungare i cicli di coltivazione e quindi di raccolta consentendo alla pianta di differenziare un numero elevato di grappoli la cui presenza impegna un tratto assai lungo del simpodio sicuramente di lunghezza superiore all’altezza della serra e di conseguenza la necessità di modificare
Principali ambiti del miglioramento genetico del pomodoro per la coltivazione in serra
• Articolazione delle tipologie di prodotto • Qualità intrinseca e caratteristiche esteriori dei frutti
• Tolleranza agli stress abiotici e biotici • Caratteristiche della pianta e dello sviluppo
“Spaghi” predisposti per l’ancoraggio in verticale delle piante coltivate su terreno dunale
314
coltivazione in serra e di controllare nel corso del ciclo l’assetto organografico della vegetazione attraverso le modalità operative di gestione della “liana” per rendere più facile l’accesso alla parte del fusto in fruttificazione. L’allevamento in verticale è pressoché necessario e comporta l’applicazione di idonei sostegni per ancorare la pianta e garantire una disposizione della vegetazione favorevole sia per la pianta stessa sia per le condizioni di lavoro cui sono soggetti gli addetti alle operazioni colturali.
Foto R. Angelini
Controllo dell’allegagione Il processo che conduce alla formazione del frutto si svolge con regolarità quando le strutture fiorali sono funzionali per cui possono esercitare uno stimolo sulla crescita dell’ovario. Condizioni necessarie per l’allegagione sono la produzione, la maturazione e il trasporto del polline, la germinazione dello stesso sullo stimma. Queste condizioni sono sotto il controllo diretto della temperatura. La mancata allegagione è ritenuta la causa più frequente di insuccesso delle colture extrastagionali. Altri problemi possono prendere origine dal mancato trasferimento del polline e dalla anomala deiscenza delle antere. In coltura protetta sotto plastica i problemi insorgono con maggiore frequenza e possono essere superati con l’irrorazione dei fiori con fitoregolatori alleganti. La pratica è generalizzata ma accanto agli effetti positivi può determinare conseguenze non favorevoli. Queste riguardano l’umbonatura del frutto per il prolungamento dell’apice stilare, una rapida crescita del frutticino che si manifesta anche con una prolungata permanenza dei petali attorno alla bacca in via di crescita. I fitoregolatori più largamente utilizzati sono di natura auxinica e piuttosto debole per evitare effetti collaterali a carico della parte vegetativa della pianta (per esempio laciniatura delle foglie, crescita abnorme dei grappoli, fasciazione dei frutti). Le irrorazioni ai fiori vengono ripetute sullo stesso grappolo e su quelli successivi secondo il decorso della fioritura. Interventi alternativi alla irrorazione dei fiori con sostanze auxiniche sono quelli basati sullo scuotimento dei grappoli in fioritura per favorire la fuoriuscita del polline dalle antere, e la fecondazione nel caso che il granulo pollinico sia germinabile e che le difficoltà derivino soltanto da una compromessa mobilità del polline stesso. Un intervento che ha trovato diffusione negli ultimi tempi è la immissione all’interno della serra di colonie di bombi (Bombus terrestris e altri), questi insetti si muovono alla ricerca di nettare (assente nei fiori del pomodoro) esercitando pressione sui fiori e determinando così la fuoriuscita di polline dalle antere.
Arnia di bombi Foto R. Angelini
Fiori bottinati dai bombi Foto R. Angelini
Concimazione Il riscontro puntale alle esigenze nutritive del pomodoro è piuttosto difficile poiché in serra intervengono meccanismi più numerosi e complessi che in pien’aria. A parte le interazioni con la
Fiore non bottinato
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coltivazione irrigazione deve essere richiamata l’attenzione sulle più elevate asportazioni di elementi nutritivi sia in valore assoluto sia relativo, sulle frequenti condizioni che ostacolano l’assorbimento (si pensi al fosforo in condizioni di bassa temperatura del terreno), sul maggiore sviluppo della parte aerea rispetto a quella radicale. In breve sono diversi e rilevanti i fattori che debbono essere utilizzati per una corretta valutazione delle asportazioni operate dalla coltura e quindi degli apporti necessari sia all’impianto sia in copertura. La soluzione comporta la conoscenza delle produzioni attese e della dotazione del terreno nonché per la concimazione in copertura, della concentrazione degli elementi minerali nei tessuti fogliari e nella linfa. L’approccio è naturalmente diverso per la concimazione pre-impianto e per quella in copertura. Entrambi gli interventi non sono eludibili a motivo della rilevante durata del ciclo colturale in funzione del quale non è possibile una sola somministrazione anche quando si faccia ricorso ai concimi a lento rilascio. Ulteriori elementi da considerare sono quelli relativi alla qualità dell’acqua, al suo livello di salinità, all’eventuale contenuto di inquinanti. Il calcolo dei valori relativi alle esigenze della coltura deve tener conto che per una tonnellata di frutti (in serra si stimano rese di circa 120 t/ha) le asportazioni superano mediamente 2,2 kg per l’azoto, 0,8 kg per il fosforo, tra 3 e 4 kg per K2O con riferimento a una coltura il cui ciclo si protrae per circa 8 mesi (utilizzazione di 7-8 grappoli per una produzione attesa di circa 120 t/ha). In condizioni di normalità pedologica si stimano come necessari, prima dell’impianto, apporti fino a 100 kg/ha di azoto, 150 kg/ha di fosforo e 200 kg/ha di potassio. In copertura si interviene con apporti frazionati di 400, 200, 800 kg/ha di N, P2O5 e K2O nell’ordine durante il ciclo. Determinazioni di carattere sperimentale hanno messo in evidenza che nel complesso tra ante-semina e copertura una coltura di
Elementi di carattere specifico da considerare per la gestione dell’irrigazione e della concimazione del pomodoro in serra
• Mancato apporto delle acque
di precipitazione per l’impermeabilità della copertura del tetto
• Maggiori livelli di salinità del suolo per le più elevate dosi di sostanze solubili apportate con i concimi minerali
• Processi di lisciviazione più contenuti • Condizioni meno favorevoli ai fini della domanda evapotraspirativa
• Prevalente distribuzione dell’acqua
con metodi di irrigazione localizzata
• Asportazioni di elementi nutritivi più elevate in valore assoluto e relativo
• Frequenti difficoltà nell’assorbimento
e nella metabolizzazione degli elementi minerali
• Maggiore sviluppo della parte aerea in
rapporto a quella dell’apparato radicale
Coltivazioni in serre tunnel in Israele
Foto R. Angelini
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coltivazione in serra pomodoro nella serra mediterranea asporta circa 700 kg di N, 380 kg di P2O5, ed 850 kg di K2O tra ante-semina e copertura. Dosi così cospicue richiedono un’elevata efficienza dei processi di assorbimento, ciò ha sospinto la pratica della concimazione e della irrigazione verso la fertirrigazione cioè la somministrazione congiunta di elementi minerali e di acqua. La fertirrigazione consente un migliore soddisfacimento delle esigenze in corrispondenza delle successive fasi del ciclo; la scelta è pressoché obbligatoria in serra e soprattutto per i metodi di coltivazione fuori suolo. Naturalmente la fertirrigazione richiede la disponibilità di appositi impianti più o meno articolati. I concimi impiegati devono essere altamente solubili per eliminare depositi di materiali incrostanti in corrispondenza degli ugelli. Un intervento che può trovare utile applicazione in serra è la concimazione carbonica. Nell’ambiente confinato infatti le concentrazioni di CO2 sono di norma inferiori sia a quelle dell’ambiente esterno, a motivo dei limitati movimenti dell’aria sia a quelle ritenute ottimali ai fini del processo fotosintetico quando le condizioni di temperatura e di luce sono idonee. Va comunque considerato che nelle serre non riscaldate difficilmente si determina coincidenza temporale tra i livelli ottimali dei tre fattori (luce, temperatura e CO2) che intervengono nel processo di fotosintesi. Non vi è dubbio però che ove sussistono le condizioni la concimazione carbonica risulta generalmente efficace anche per il pomodoro. Su questa coltura l’aumento della concentrazione di CO2 fino a 1000 ppm si è rivelata in grado di dare riscontri positivi sul numero di frutti per pianta e sulla precocità. L’arricchimento dell’aria in CO2 può essere realizzato con l’erogazione del gas in bombole (carbonicazione fredda) o attraverso la combustione di idrocarburi. Quest’ultima soluzione è la più economica – da 1 kg di idrocarburo si originano 3 kg di CO2 pari a circa 1,5 m3 – ma i costi degli impianti restano sempre elevati; occorre inoltre prestare particolare attenzione alle conseguenze derivanti dalla liberazione all’interno della serra di composti a base di zolfo dannosi alle piante e alle strutture.
Foto R. Angelini
Utilizzo di tradizionali canne per il sostegno delle piante
Irrigazione Come per altre colture la irrigazione del pomodoro in serra assume significativi elementi di specificità che attengono alla natura del substrato, generalmente più sciolto che in pien’aria quando addirittura non costituito da un substrato incoerente e inerte utilizzato per le colture fuori suolo, alla minore capacità idrica del terreno, alla più contenuta evapotraspirazione e ai più ridotti movimenti di aria nell’ambiente confinato della serra e infine al mancato apporto al terreno di acqua meteorica a motivo della copertura e della impermeabilità della superficie coprente. Tutti gli elementi di cui sopra interagiscono con i parametri relativi al bilancio idrologico del terreno, al calcolo dei fabbisogni idrici e irrigui, alle modalità di intervento per apportare i necessari volumi di acqua.
Giovani piante di pomodoro irrigate con manichetta
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coltivazione Un dato fondamentale per definire i parametri relativi all’irrigazione è rappresentato dal valore dell’evapotraspirazione massima della coltura calcolato moltiplicando il valore dell’evapotraspirazione potenziale (ETP) per il coefficiente colturale. Quest’ultimo assume un valore inferiore a uno nelle prime e nelle ultime fasi del ciclo mentre raggiunge il valore massimo in corrispondenza della fase centrale del ciclo stesso. Evidentemente il coefficiente colturale è funzione dello sviluppo dell’area fogliare e quindi del grado di copertura del suolo generalmente più elevato in serra. Un elemento che interagisce nel rapporto clima-pianta è rappresentato dalle caratteristiche genetiche della cultivar e in particolare dal tipo di accrescimento determinato o indeterminato. Nella condizione della serricoltura mediterranea per il calcolo dell’evapotraspirazione e in derivata dei parametri irrigui si può fare riferimento a una procedura semplificata messa a punto e validata da ricercatori francesi. Secondo questa procedura il valore dell’ETP può essere calcolato risolvendo la seguente espressione: ETP = 0,67 Rg / 60 – 0,2 dove l’ETP è espressa in mm/d, Rg è la radiazione globale espressa in calorie per cm2, 60 corrisponde al calore latente di evaporazione dell’acqua. Nella serra mediterranea si assume mediamente un valore di Rg in serra pari a circa 2/3 di quello esterno. In pratica con riferimento al clima del nostro Paese il valore dell’ETP oscilla tra i 2 mm/giorno in inverno e i 6 mm/ giorno in estate. Il valore calcolato è alla base delle determinazioni relative ai volumi, ai metodi e alla frequenza degli adacquamenti. Circa i metodi è ormai acclarata la rispondenza del metodo a microportata di irrigazione. I vantaggi di questo metodo sono intuitivi in quanto assicurano rifornimenti continui di acqua alla pianta e nel caso della fertirrigazione anche di elementi nutritivi. I problemi del metodo a microportata riguardano l’ostruzione dei gocciola-
Foto R. Angelini
Le condizioni di temperatura e umidità elevate che spesso si riscontrano in serra sono predisponenti le infestazioni di mosche bianche
Abbondante fioritura in serra di cultivar a piccoli frutti
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coltivazione in serra toi, l’aumento della salinità in corrispondenza di questi ultimi. Con riferimento alla coltura assume rilievo la stessa scelta delle cultivar sia per le loro caratteristiche genetiche sia in relazione agli aspetti temporali del ciclo di coltivazione. Ai fini del bilancio idrologico della coltura ulteriori varianti derivano dal substrato di coltivazione riconducibile al terreno, ai substrati inerti, o alle coltivazioni in idroponica. Infine vi sono gli aspetti legati alla qualità dell’acqua, soprattutto al contenuto delle sostanze disciolte. I fabbisogni idrici stagionali sono variabili naturalmente in funzione dell’epoca di impianto della coltura e della durata del ciclo; in ogni caso anche con le colture a ciclo più breve i fabbisogni raramente scendono al di sotto dei 5000 m3 per ettaro.
Foto R. Angelini
Raccolta La maturazione dei frutti in termini biologici coincide con lo stadio fenologico identificabile con la colorazione definitiva della bacca, rossa o gialla. Il frutto può essere consumato in tutti gli stadi di maturazione compresi tra il viraggio del colore dell’apice stilare e la completa colorazione. Durante il processo di maturazione il frutto subisce modificazioni oltre che della colorazione, della composizione, dell’aroma, della consistenza. Queste modificazioni metaboliche sono sotto il controllo ormonale oltre che dei fattori ambientali. I processi biochimici più importanti riguardano la decomposizione dell’amido e la formazione di glucosio e fruttosio, la demolizione della clorofilla, la sintesi di betacarotene e licopene, l’aumento delle pectine solubili, la produzione di composti aromatici, la demolizione degli alcaloidi tossici (α-tomatina). La composizione delle bacche risulta costituita mediamente da zuccheri fino a oltre il 45% del totale (circa il 22% di glucosio e il 25% di fruttosio), dall’1% di saccarosio, dallo 0,8% di proteine, dal 7% di sostanze pectiche e dall’8% di minerali. Il contenuto in vitamine supera in genere le 15.000 U.I.; la concentrazione di sostanza secca nel frutto maturo è compresa tra il 5 e il 7%. Circa venti giorni prima della completa maturazione fisiologica si osserva una rapida caduta del valore relativo al contenuto in amido e clorofilla, un aumento del licopene e dell’enzima poligalatturonasi mentre CO2 ed etilene prima aumentano e quindi diminuiscono durante la maturazione. Questo processo può esprimere differenze in rapporto ad alcuni geni quali rin, nor e Nr. La raccolta del prodotto in serra può avvenire in stadi diversi e in passato era modulata soprattutto sulla base dei tempi necessari per il trasferimento delle bacche dalle aree di produzione a quelle di consumo. Questo parametro si è modificato ampiamente nel senso che i tempi si sono abbreviati; d’altro canto è aumentato il consumo di frutti a piena maturità e sono emerse nuove esigenze come quelle legate alla richiesta di bacche di piccole dimensioni e una prolungata shelf life.
Foto R. Angelini
Pomodori coltivati fuori suolo in serra
Foto R. Angelini
Raccolta del pomodoro allevato fuori suolo
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coltivazione In relazione a questi fattori il trend negli ultimi decenni è stato in direzione di una raccolta unica o articolata su un numero limitato di interventi attraverso il prelievo di grappoli interi a completa maturazione. La nuova modalità di raccolta non integra tutta la casistica in quanto il mercato esprime ancora una domanda per frutti raccolti a incipiente maturazione (colorazione rossa dell’apice stilare) per potere giungere sul mercato in tempi utili per il consumo. È il caso dei pomodori della tipologia insalataro. Alla maggiore flessibilità e ai più contenuti costi operativi della raccolta unica o concentrata si associa la esigenza di una manipolazione accurata dei grappoli che debbono mantenere la loro integrità fino al momento del consumo. Il distacco di un solo frutto compromette il valore commerciale dell’intero grappolo. D’altra parte nel caso della raccolta a frutti singoli occorre altrettanta attenzione per lasciare attaccato alla base del frutto l’intero peduncolo, spiccandolo al suo primo nodo sul rachide. I casi ricordati sono esemplificativi dell’interesse puntuale del mercato per le caratteristiche esteriori della bacca.
Alterazioni più frequenti del profilo di qualità del pomodoro da mensa coltivato in serra Alterazioni
Fattori e meccanismi
Apirenia, scatolatura, Trattamenti ormonali umbonatura, ai fiori aperti, divisione alterazioni della forma, e distensione cellulari costolature Marciume apicale, maturazione a chiazze, decolorazione ritardata nella zona peripedicellare, spaccature
Fattori ambientali e nutrizionali
Consistenza, contenuto in sostanza secca, acidità, zuccheri
Fattori ambientali e nutrizionali
Qualità Le caratteristiche di qualità che rivestono maggiore significato per il pomodoro di serra fanno riferimento all’aspetto esteriore (presentazione, forma e dimensione dei frutti, alterazioni fisiologiche), alla consistenza e alla struttura, al contenuto di sostanza secca, ai composti organolettici che sostengono le proprietà sensoriali, ai composti che influenzano le proprietà salutistiche. Tutte queste caratteristiche sono più o meno sotto il dominio dei fattori genetici (attraverso le cultivar) e sono fortemente influenzate dai fattori ambientali e tecnici. Con riferimento alle caratteristiche esteriori assumono rilievo il colore, la dimensione dei frutti, il marciume apicale, lo spacco dei frutti, la scatolatura e la umbonatura. Un tema fondamentale della qualità è quello relativo all’influenza dei fattori ambientali e delle pratiche colturali su attributi della qualità stessa. Più determinante a questo fine si rivelano l’intensità luminosa, la temperatura, i deficit della pressione di vapore, la concentrazione di CO2. Tra le pratiche colturali maggiore significato assumono i substrati, l’irrigazione e la concimazione. Rilevante infine l’azione delle condizioni post raccolta. Accanto alle caratteristiche sopra richiamate nel caso del prodotto di serra occorre considerare altri aspetti importanti ai fini della scelta del consumatore. In particolare è opportuno richiamare la crescente diffidenza che il consumatore esprime per gli ortaggi di serra cui spesso associa l’immagine di prodotti sottoposti a forzatura, privi di genuinità, ottenuti con sistemi di coltivazione o in condizioni “non naturali” che pregiudicherebbero le caratteristiche del prodotto; altre determinanti di qualità per il pomodoro di serra sono l’extrastagionalità e la freschezza del prodotto.
Pomodoro della varietà Birikino
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coltivazione in serra In riferimento all’influenza dei fattori ambientali in serra le più significative relazioni di causa ed effetto sembrano quelle riguardanti: – il migliore profilo organolettico in corrispondenza dei piu elevati valori di zuccheri e acidi determinati a loro volta da una maggiore intensità luminosa e da maggiore disponibilità di potassio; – una attenuazione del colore e della consistenza della bacca in funzione di livelli termici bassi o elevati, di ridotta ventilazione; – la comparsa di alterazioni morfologiche dei frutti (disordini fisiologici). Anche sotto il profilo delle determinanti di qualità il quadro ha una configurazione più complessa che in pien’aria anche per il più elevato numero di fattori che trovano impiego nel processo di coltivazione. In aggiunta alle condizioni fototermoudometriche nell’ambiente confinato vanno ricordate alcune pratiche colturali che trovano solo occasionali riscontri in pien’aria. È il caso della concimazione carbonica, della sterilizzazione del terreno, della pacciamatura, della coltivazione su substrati inerti, della fertirrigazione, della conducibilità elettrica dell’acqua, fattori tutti che hanno un ruolo rilevante sulla qualità per altro non ancora conosciuto in tutti i suoi aspetti.
Foto M. Curci
Prospettive Il pomodoro in serra, la cui diffusione non ha conosciuto pause negli ultimi 50 anni, si esprime ormai con significative articolazioni relativamente agli apprestamenti di protezione utilizzati, ai metodi di coltivazione, alle tecniche di produzione, alle tipologie varietali, alle cultivar, alle tipologie di prodotto e infine agli stessi consumi. Il dinamismo della coltura, in relazione a questi aspetti, è stato e continua a essere più intenso nelle regioni meridionali del Paese dove la prevalente configurazione degli apprestamenti fa riferiPacciamatura a file
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coltivazione mento alla serra fredda priva cioè di impianti di condizionamento dei fattori climatici. I metodi e le tecniche continuano a essere adeguati in maniera sempre più puntuale alle esigenze collegate ai livelli delle rese, alla qualità del prodotto e alle implicazioni ambientali del processo produttivo. I consumi di pomodoro di serra sono notevolmente cresciuti, sostenuti da un incremento costante nella disponibilità di prodotto che in atto supera i 10 kg pro capite per anno. Il mercato ha manifestato nuove esigenze in termini di tipologie di prodotto che hanno trovato sollecito riscontro sul piano produttivo. Il trend registrato per tutti questi aspetti depone per un assetto della coltura in equilibrio con il contesto ambientale oltre che economico e sociale. Le stagnazioni periodicamente registrate non hanno assunto un carattere strutturale ed hanno attivato nuove esperienze produttive e commerciali come quelle legate alla introduzione e diffusione del pomodoro a piccoli frutti nonché una imprenditorialità basata sulle generazioni più giovani. Questo scenario, malgrado alcune difficoltà, esprime connotati tali da fare escludere ogni ipotesi di regresso o di inversioni di tendenze dell’attuale quadro produttivo. La previsione è sostenuta anche da valutazioni legate alla rilevanza degli investimenti profusi per costituire un parco serricolo di rilevanti dimensioni, al pari di quanto si registra per molti altri Paesi mediterranei. Gli impianti progressivamente adeguati e migliorati potranno assicurare al pomodoro condizioni favorevoli ai fini produttivi sia pure con gli inevitabili e ineliminabili rischi di un’attività basata per storia, vocazione e opportunità più su favorevoli condizioni climatiche che su costosi impianti di condizionamento. Modificazioni sostanziali della configurazione degli apprestamenti serricoli e in direzione di un controllo diretto e ottimale dell’ambiente non sono ipotizzabili nelle condizioni attuali.
Foto M. Curci
Foto R. Angelini
Tradizionale sistema di coltivazione del pomodoro a terra (in alto) e moderno impianto fuori suolo (in basso) Sacchi predisposti per ospitare una coltura fuori suolo in una serra fredda
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coltivazione in serra Le prospettive sembrano favorevoli anche alla luce dei progressi della ricerca in tema di prestazioni funzionali degli apprestamenti, di disponibilità di nuove cultivar, di vivaismo, di metodi di produzione con particolare riferimento al fuori suolo, al controllo delle cause biotiche avverse, alla disponibilità di nuovi mezzi di produzione, alla valorizzazione di tecniche orientate anche al miglioramento della qualità ivi compresi i tratti del prodotto piu interessanti sotto il profilo salutistico. Questi progressi non potranno eliminare del tutto i rischi della serra fredda dovuti a condizioni ambientali avverse talora imprevedibili i cui effetti dovranno essere considerati dal serricoltore per operare scelte gestionali più adeguate. Sotto il profilo delle prospettive di mercato va tenuto presente che i consumi hanno continuato a crescere in valori assoluti e relativi con riferimento alle tipologie del prodotto e al periodo di utilizzazione. Il consolidamento dello scenario sarà per il pomodoro con ogni probabilità più significativo in rapporto a quello di altre colture sulla base dell’interesse che il mercato dimostra ancora nei confronti di questo prodotto il cui consumo appare agevolato da un’offerta articolata per tipologia delle bacche così come avvenuto con l’esperienza del pomodoro cherry nell’ultimo ventennio. Queste prospettive troveranno possibilità di realizzazione in tempi più o meno brevi, sulla base del progresso in tema di nuove tecnologie, supporti, mezzi di produzione e tecniche elaborate con riferimento ad ambiti strategici della coltivazione quali la disponibilità di nuove cultivar, l’attività vivaistica, il controllo del quadro biotico avverso alla coltura, il miglioramento qualitativo dei frutti anche in relazione al profilo salutistico, l’applicazione di metodi dotati di maggiore sostenibilità sotto il profilo agronomico, economico e ambientale.
Pomodoro tondo liscio ancora immaturo
Grappoli di pomodoro cherry confezionato in cassette
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il pomodoro
coltivazione Strutture serricole Corrado Cicciarella
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Strutture serricole Introduzione Il concetto di serra per l’allevamento, durante la stagione fredda, di piante bisognose di alte temperature, è alquanto antico. Si trattava, quasi sempre, di alte strutture murarie (o metalliche in epoche più recenti) con pareti in vetro in modo da catturare, durante il giorno, il calore del sole e trattenerlo di notte (effetto serra). Queste serre servivano quasi esclusivamente alla conservazione di preziose piante negli Orti Botanici e nei giardini e alla produzione di piante ornamentali e ortaggi per il ricco padrone. L’utilizzazione delle strutture per la protezione delle colture, com’è attualmente intesa, incomincerà nel XIX secolo e saranno dapprima le specie ornamentali e poi quelle orticole a beneficiarne man mano che i materiali necessari alla loro costruzione diverranno sempre più economicamente accessibili ai produttori. Tra le specie orticole, è sempre stato il pomodoro a occupare le maggiori superfici coperte nel mondo rappresentando, non solo oltre la metà di quella utilizzata dall’insieme degli ortaggi, ma la coltura protetta per eccellenza in considerazione della crescente domanda di prodotto fuori stagione o del tutto destagionalizzato nei Paesi progrediti e non. Pertanto, parallelamente all’evoluzione della coltivazione del pomodoro in coltura forzata, anticipata o ritardata rispetto alla tradizionale epoca di coltivazione, sono andate evolvendosi le strutture che permettevano la difesa delle piante soprattutto dalle basse temperature, essendo questa specie una tipica macroterma, che a temperature inferiori a 10 °C accusa danni da freddo che possono risultare irreversibili o per l’intera pianta o per i soli frutti.
Tipologie di serra (%) nelle principali zone serricole siciliane Vittoria
Pachino
Paletti in cemento e tavolame di abete e polietilene
70-80
8
Paletti in legno e tavolame di abete e polietilene
10-12
30
1-2
-
Ferro e plastica
-
60
Cemento e ferro
-
2
Ferro e vetro
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strutture serricole Prime protezioni Appena un secolo fa, gli orticoltori, anche nelle aree temperate siciliane e pugliesi vicine al mare, per difendere le giovani piante di pomodoro dalle possibili gelate primaverili e dal vento che può spirare forte da tutti i quadranti, adottavano sistemi di protezione molto primordiali come il trapianto sul fondo di solchi profondi esposti a Sud in direzione Est-Ovest in modo da ridurre l’impatto dei venti freddi del Nord e utilizzare al massimo l’esposizione al sole, o la protezione delle piantine con cladodi di fico d’india o tegole di argilla. Soprattutto in Sicilia, per confinare l’ambiente di coltivazione, l’appezzamento veniva anche suddiviso in campetti rettangolari di 10 × 20 m delimitati da cannizzate alte circa 1,5 m formate da stuoie ottenute intrecciando, con spago o fil di ferro, canne e stoppie o altro materiale vegetativo. Ovviamente, la coltivazione di ortaggi, seppur precoci e venduti a prezzi remunerativi, all’inizio non poteva permettersi neanche la classica serra legnovetro, detta Tipo Albenga, che già caratterizzava le coltivazioni delle specie ornamentali in Liguria e in altre parti della Nazione. All’epoca, gli stessi semenzai erano ancora ottenuti in bancali in muratura coperti da lastre di vetro. Serre in legno Fu l’introduzione della plastica a rivoluzionare l’impostazione delle colture anticipate e, quindi, a permettere l’evoluzione degli apprestamenti in funzione delle condizioni ambientali (temperatura, umidità, ventosità) e delle esigenze delle specie da coltivare. Ci si orientò subito verso l’adozione di serre ottenute artigianalmente con strutture in legno e copertura di plastica, che rappresenta, ancora oggi, il modello in assoluto più rappresentativo delle coltivazioni protette nelle regioni meridionali e soprattutto in Sicilia, ovviamente con tutte le modifiche strutturali subite che fanno riferimento prevalentemente all’altezza, alla larghezza, alla lunghezza
Tipologie di serre in legno Serra in legno
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coltivazione e alle aperture per il ricambio dell’aria. In queste serre, fino agli anni ’70 del secolo scorso, nelle aree più fredde della Piana del Sele e dell’Agro Pontino, comparvero le stufe (prevalentemente a gasolio) per proteggere le piante dalle basse temperature notturne, mentre di giorno erano sufficienti gli apprestamenti a intrappolare il calore del sole, che spesso, anche d’inverno, bisognava smaltire mediante le aperture laterali, dapprima con vere e proprie finestrelle e in seguito con sistemi avvolgenti il film plastico laterale. Sicché fu subito evidente che serre con cubature e dimensioni differenti erano diversamente idonee alla coltivazione forzata o semiforzata di alcune specie orticole. Per il pomodoro, fu evidente che l’altezza delle serre inferiore a 2 metri non permetteva l’agevole coltivazione di cultivar ad accrescimento indeterminato mentre risultava più adatta alla semiforzatura di specie a portamento basso come peperone, melanzana, melone e zucchina. Alla serra singola seguirono strutture di tipo modulare fatte con paletti di castagno e tavole di abete e film di polietilene fissato con fascette di legno e chiodi. Già qui si comincia a configurare la vera e propria serra – come è intesa attualmente dagli orticoltori – che verrà migliorata dalla metà degli anni ’70 ricorrendo a piedritti in cemento vibrocompresso che consentono di aumentare la cubatura unitaria fino a 2-2,5 m3/m2. Questa tipologia di struttura, fatta di unità di piccole dimensioni (800-1200 m2) con copertura in film plastico, domina tuttora il paesaggio di Vittoria, che è l’area italiana di maggior produzione protetta di ortaggi in Italia. Ovviamente nel tempo le serre hanno subito variazioni che ne hanno aumentato ulteriormente la cubatura portandola a circa 2,8-3 m3/m2; le falde degli spioventi hanno assunto profilo curvilineo o per un’appropriata disposizione del tavolame di abete o per l’uso di profilati metallici mentre l’applicazione del film plastico con fascette è stata sostituita dai rulli avvolgitori.
Serra in legno con copertura in plastica
Serra in cemento e legno
Serra tradizionale con falde inclinate Serra tradizionale con falde piane
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strutture serricole Serre metallo-plastica A partire dalla metà degli anni ’90, le strutture dei nuovi impianti sono frequentemente in profilato metallico zincato generalmente con cubatura unitaria da 2,7 a 4-5 m3/m2 e dimensioni variabili da 680 a 3400 m2 anche se la cubatura unitaria può raggiungere anche 4-5 m3/m2 mentre le unità costruttive assumono dimensioni che raggiungono anche i 5000-8000 m2. Per la copertura, il film plastico è fissato mediante rulli avvolgitori dotati di manovelle per il controllo delle aperture laterali, mentre restano rare le aperture al colmo che sono più diffuse dove la ventosità è minore. Questa tipologia di struttura non va confusa con il tunnel, il tunnellino e il tunnellone, realizzati semplicemente conficcando nel terreno archi di ferro di diversa lunghezza per realizzare protezioni in genere lunghe 50 m, larghe da 2 a 6 m e alte al colmo da 1,5 a 2,2 m. Climatizzazione La climatizzazione degli apprestamenti serricoli, cioè la gestione dei valori minimi e massimi di temperatura e umidità, ha avuto sempre carattere artigianale con la prevalenza dei sistemi passivi (aperture laterali e/o al colmo, accumulatori passivi di calore) su quelli attivi (ventilatori, stufe). In questo modo, l’arieggiamento, che originariamente era affidato a finestrature sugli spioventi, è ora realizzato mediante le finestrature laterali, mentre il riscaldamento di soccorso fatto da stufe a gas o gasolio è stato sostituito dapprima dall’intercapedine del film interno (doppio strato con la connessa funzione antigoccia ottenuta con l’aggiunta al polimero di base di tensioattivi che ne abbassano la tensione superficiale) e, più recentemente, aggiungendo irrigatori collocati sul colmo degli spioventi realizzando il cosiddetto idro-tunnel. Pertanto, il contenimento degli eccessi termici viene ottenuto sempre più raramente con la foratura del film degli spioventi, che a sua volta è stata sostituita nel tempo con l’imbiancatura delle falde con latte di calce (o prodotti con la
Moderna serra in ferro e plastica
Esterno e interno di un tunnel
Serra con rete ombreggiante per contenere l’eccessivo aumento della temperatura
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coltivazione
Stufa per la climatizzazione delle serre
stessa funzione) spesso combinata con l’irrigazione nebulizzante specialmente durante le coltivazioni a ciclo estivo-autunnale. Un più efficiente ricambio dell’aria è, comunque, realizzabile limitando la lunghezza delle serre a non oltre i 25 m. A ciò si aggiungono i vantaggi di una riduzione dei danni in casi di accidentale rottura del film plastico e di una più rapida riparazione o sostituzione.
Impianto di ventilazione per il controllo degli eccessi termici
Plastica per le serre I film plastici impiegati per la protezione hanno subito una notevole evoluzione: dal polietilene a bassa densità (PEBD) dello spessore di 0,2 mm e di durata limitata a 5-6 mesi (degli anni ’70) si passa a quelli cosiddetti additivati con prodotti che li stabilizzano alle radiazioni UV (Ultra-Violetto) aumentandone la durata pur riducendone lo spessore (0,12-0,15 mm). Una successiva evoluzione dei film plastici è avvenuta con l’introduzione dei cosiddetti film termici, caratterizzati dall’aggiunta, in percentuali variabili dal 6 al 18% di EVA (Etilene Vinil Acetato), che assicurano un proporzionale maggiore effetto serra. L’ultima generazione di film, che tuttavia non ha trovato ancora larga diffusione, è quella fotoselettiva. Questo tipo di film viene utilizzato per la difesa contro il virus del Tomato Yellow Leaf Curl ricorrendo alla tecnica del disorientamento del vettore Bemisia tabaci mediante l’aggiunta alla plastica di sostanze che assorbono le radiazioni dello spettro comprese fra i 200 e i 380 nanometri che l’insetto utilizza per orientarsi durante il volo. Questi film, per l’originale meccanismo di azione, purtroppo hanno effetti negativi sull’attività degli insetti impollinatori (Bombus terrestris) largamente impiegati in sostituzione dell’ormonatura fiorale. In base alla durata i film plastici attualmente utilizzati, secondo la normativa europea, vengono classificati in: – stagionali (durata 8-9 mesi) o Classe A; – annuali o Classe B; – intermedi (durata 18 mesi) o Classe C; – poliennali (2-3 o più anni) (lunga vita) o Classe D ed E.
Foratura del film degli spioventi e delle pareti della serra al fine di contenere gli eccessi termici
328
strutture serricole Lo spessore dei film di durata stagionale o annuale è di 0,12-0,15 mm, mentre per quelli “lunga vita” è di 0,18-0,20 mm. I materiali di copertura diversi dal polietilene e dalle sue varianti, quali vetro, polimetacrilato e policarbonato, hanno una presenza molto limitata, che difficilmente subirà incrementi soprattutto per il continuo deterioramento e la difficoltà di sostituzione che richiede interventi specializzati, mentre il produttore preferisce un approccio più artigianale nella gestione delle riparazioni per non dover sottostare ai tempi delle ditte specializzate spesso non coincidenti con quelli imposti dalla programmazione colturale. D’altronde, il mantenimento delle superate strutture in legno-plastica, anche se più costose, è spesso dovuto all’esigenza di ambito gestionale della manutenzione delle serre. Conclusioni A differenza del distretto serricolo di Vittoria, nelle altre zone orticole italiane, sia di antica sia di nuova tradizione (Piana del Sele, Agro Pontino, Cavallino-Treporti, Salento ecc.), negli ultimi anni, la struttura per la coltivazione protetta del pomodoro si è orientata soprattutto verso il modello metallo-plastica, che risulta non solo più facilmente gestibile e adattabile ad altre specie in casi di riconversione colturale, ma anche meglio predisposto verso l’automatizzazione della climatizzazione e delle altre tecniche colturali (fertirrigazione, trattamenti antiparassitari, raccolta ecc.) nonché l’adozione di altri accessori come le ormai indispensabili reti antinsetto. Considerata, quindi, l’evoluzione che le strutture serricole hanno subito non solo in Italia ma in tutta l’area mediterranea, per il futuro non è prevedibile l’abbandono dei modelli fin qui utilizzati anche se prevedibilmente si realizzerà un ulteriore miglioramento del modello della serra fredda metallo-plastica in funzione dell’evoluzione dei materiali di base e delle nuove esigenze colturali della specie.
Reti antinsetto
329
il pomodoro
coltivazione Modello Pachino Salvatore Dell’Arte, Corrado Borgia, Michele Battaglia
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Modello Pachino L’inizio A Pachino, Provincia di Siracusa, le prime coltivazioni di pomodoro da mensa risalgono al 1925. Erano localizzate esclusivamente lungo la fascia costiera e nelle aziende con presenza di falde acquifere molto superficiali raggiunte da pozzi scavati a mano per captare l’acqua indispensabile all’irrigazione. Queste prime esperienze rivelarono subito la validità di questa coltivazione nell’areale di Pachino, poiché, rispetto ad altri territori siciliani si realizzava un anticipo della raccolta di 15-20 giorni con un prodotto di alta qualità che spuntava prezzi altamente remunerativi. Tuttavia, l’affermarsi della viticoltura da vino – per la produzione soprattutto del famoso vitigno Nero d’Avola – limitava l’interesse per l’orticoltura, che veniva relegata in poche e piccole aziende distribuite a macchia di leopardo nella striscia di terra ubicata lungo la fascia costiera non adatta alla coltivazione della vite. Agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso, alcuni imprenditori provenienti dal Siracusano e dal Catanese iniziarono a coltivare il pomodoro su superfici più estese, dando così un notevole impulso alla sua affermazione, tanto che alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso la superficie investita aveva raggiunto circa 100 ha. Va tenuto presente che in questo periodo, la coltivazione del pomodoro si effettuava in pieno campo adottando tutta una serie di accorgimenti per difendere la pianta dagli agenti atmosferici e dal vento freddo in particolar modo. La tipologia di pomodoro coltivata era quasi esclusivamente il Marmande con bacche costolute di grossa pezzatura, 180-200 grammi. I trapianti avvenivano a marzo mentre la raccolta iniziava a fine maggio-inizio giugno con rese totali esigue di circa 300 q/ha. La tecnica di coltivazione era molto primordiale: si utilizzava seme prodotto in azienda, in semenzai aziendali a terra da trapiantare,
In sintesi
• La coltivazione del pomodoro in
ambiente protetto nella Sicilia sudorientale intercetta circa 1000 ha con una resa di 70 t/ha, una produzione annua di circa 100.000 t e una PLV di circa 130 milioni di euro
• Le aziende interessate alla coltivazione
sono circa 1500, con una superficie media di 0,7 ha; solo una ventina detiene superfici che oscillano dai 5 ai 20 ha. Nel comparto sono occupati circa 3000 addetti che arrivano a 5000 se si considera anche l’indotto. Un grande punto di forza del territorio è la propensione all’associazionismo; l’80% delle aziende dedite a questa coltura aderisce a strutture associative; nel territorio ne sono presenti quindici
• Il prodotto è destinato principalmente
al consumo nazionale e in parte a quello estero (Francia, Germania, Inghilterra, Canada ecc.). I canali di commercializzazione utilizzati sono la GDO per il 50%, i mercati all’ingrosso per il 40% e vari canali privilegiati per il restante 10%
Panoramica della zona di produzione del pomodoro di Pachino
330
modello Pachino per ottenere piantine a strappo; l’irrigazione era a scorrimento; la concimazione era solo quella di fondo con stallatico; la difesa dai parassiti si faceva con trattamenti a calendario utilizzando solo rame e zolfo. Il prodotto veniva commercializzato prevalentemente nei mercati locali di Pachino, Siracusa e Catania e sporadicamente anche in quelli di Messina. Il prodotto era confezionato in casse di legno di circa 15-20 kg senza nessuna etichetta e indicazione di sorta.
Ambiente
• Pachino è un comune di circa 20.000
abitanti in provincia di Siracusa divenuto il simbolo della coltivazione del pomodoro da mensa in Italia per l’altissima qualità del prodotto
Evoluzione Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, con l’avvento della plastica si assistette alla nascita della prime coperture, difficilmente denominabili serre in quanto si trattava di apprestamenti di protezione ancora allo stato primordiale, costituite da capanne di canna di 50-100 m2 ricoperte con film di polietilene. I risultati ottenuti evidenziarono subito la possibilità di anticipare la raccolta di ulteriori 30-40 giorni, ovvero alla fine di aprile con trapianto a fine gennaio con un incremento delle rese del 20% circa rispetto alle tradizionali coltivazioni di pieno campo. Negli anni successivi, le serre furono realizzate con strutture sempre più consistenti; le capanne di canna vennero sostituite con capannoni di legno, a tetto spiovente, di circa 500-1000 m2. Queste nuove strutture di protezione negli anni Sessanta del secolo scorso si affermarono soprattutto nelle zone a ovest di Pachino e nella vicina Vittoria (Provincia di Ragusa), segnando una profonda trasformazione dell’agricoltura di quell’area, che da allora viene riconosciuta con il termine di fascia trasformata. Nella zona di Pachino, invece, fecero sì la prima comparsa, ma non si diffusero molto facilmente non riuscendo a sottrarre superfici alla viticoltura che allora era attestata intorno ai 4000 ettari.
• Il clima della zona è tipicamente
mediterraneo con temperature minime che raramente scendono al di sotto di +5 °C e con valore medio/anno delle precipitazioni attestato intorno a 450 mm concentrati nel periodo autunno-inverno. I venti provenienti da tutti i quadranti battono intensamente la zona creando sì notevoli problemi alla stabilità delle strutture protette ma favorendo un’elevata salubrità dell’aria. La radiazione globale al suolo, stimata di 6043 MJ/m2 elaborando le immagini del satellite Meteosat, rende Pachino il comune più assolato d’Italia
• Nel territorio l’unica risorsa idrica
per fini irrigui è rappresentata dalle acque di falde sotterranee; queste, grazie alla permeabilità dei terreni, sono rimpinguate ogni anno dalle acque piovane. La qualità dell’acqua è generalmente buona per quanto attiene i parametri igienico-sanitari e chimicofisici, a eccezione della salinità che passa da oltre 10.000 a circa 1000 µS/cm man mano che ci si sposta dalla costa verso l’entroterra. Lungo la fascia costiera prevalgono i terreni sabbiosi con giacitura pianeggiante. È in quest’area che, grazie alla particolare esposizione, alle condizioni climatiche, alla qualità delle acque e dei suoli e alla sapienza degli orticoltori, nasce il famoso Pomodoro di Pachino
Prime serre realizzate in legno
331
coltivazione Agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, la zona fu colpita da una profonda crisi della viticoltura che portò a una rapida riconversione di molte aree vitate alla orticoltura protetta, che, in pochi anni, si attesta intorno a 400 ha. All’epoca si praticava soltanto la monocoltura di pomodoro in un unico ciclo autunnovernino con trapianto a ottobre e inizio delle raccolte a gennaio. In tale decennio, tolta l’introduzione della serra, non si registrarono notevoli cambiamenti di prodotto e di processo. L’unica tipologia di pomodoro rimaneva la Marmande nella versione migliorata denominata Raf (che sta per resistente a Fusarium), mentre restano immutati le tecniche colturali, il confezionamento e i canali di commercializzazione. Alla fine degli anni Settanta e agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, invece fu tutto un pullulare di iniziative, voglia d’emergere e di farsi conoscere sul mercato e di migliorarsi in una sana competizione per la conquista di una vera e propria leadership nella produzione del pomodoro da mensa. Molti agricoltori avvertirono l’esigenza di collocare direttamente il pomodoro nei principali mercati all’ingrosso nazionali, sganciandosi quanto più possibile dai mercati locali, e si costituirono in cooperative. La prima cooperativa a nascere fu l’Aurora, seguita da Sicilserra, Pachino Agricola, Faro, Porto Ulisse, Marinamarza, Agricoop, e Punta delle formiche. Con la nascita delle cooperative inizia una nuova fase commerciale e promozionale: le cassette di legno generiche vengono sostituite da quelle in cartone di piccola dimensione sulle quali la zona di origine del prodotto Pachino spicca a caratteri cubitali e con grafiche moderne; si instaurano contatti diretti con i grandi mercati ortofrutticoli (Milano, Torino, Bologna, Verona, Roma, Genova, Padova, Fondi, Bari ecc.) e nascono così delle importanti
La cooperativa Aurora fu la prima a istituirsi
Dagli anni ’80 si investe nella comunicazione e nel marketing per diffondere i valori del pomodoro di Pachino
332
modello Pachino sinergie fra i produttori, i commercianti e i consumatori che, intanto, sancirono il maggior valore del pomodoro proveniente da Pachino il cui territorio, in quel periodo, diventa un laboratorio da un punto di vista sia commerciale sia tecnico tanto che le più importanti ditte sementiere nazionali ed estere provano in loco le nuove costituzioni varietali. Nel frattempo, le cooperative di produttori vengono affiancate da singole aziende private di grandi dimensioni, che danno un ulteriore contributo alla notorietà del pomodoro di Pachino. Il panorama colturale del pomodoro inizia ad allargarsi. Al costoluto Marmande sel. Raf si affiancano l’ibrido costoluto Marinda F1 e la varietà tondo-liscia Camone F1. Il prodotto leader nel territorio è ancora il costoluto Raf che detiene l’80% della superficie destinata a pomodoro. Questa varietà viene coltivata sempre in un unico ciclo colturale autunno-primaverile, in quanto, non essendo un ibrido, mal si adatta a trapianti anticipati e alle raccolte tardive di giugno-luglio. In questa decade vengono introdotte anche importanti innovazioni alla tecnica colturale, sicché le piantine non vengono più prodotte in azienda ma da vivai specializzati che nel frattempo sono nati nella zona; si passa dall’irrigazione a scorrimento alla microirrigazione, dalla concimazione organica di fondo a quella in copertura, utilizzando in fertirrigazione i nuovi concimi minerali idrosolubili e tutta una serie di fitostimolanti allo scopo di anticipare ulteriormente il periodo di raccola. Grazie alle nuove molecole la difesa dai parassiti non è più a calendario ma si passa alla lotta guidata con grande attenzione al rispetto dei tempi di carenza. È anche il periodo della massima diffusione dell’impiego del bromuro di metile come geodisinfestante che preserva la coltura da attacchi da parte di patogeni tellurici. Nonostante la salinità delle acque d’irrigazione, le rese aumentano sensibilmente attestandosi intorno a 500 q/ha.
Nei moderni impianti l’irrigazione per scorrimento (nella foto) è sostituita dalla microirrigazione
Pomodoro datterino Pomodoro Cuore di Bue
333
coltivazione I costi di produzione sono alquanto contenuti e gli utili aziendali abbastanza soddisfacenti. Nonostante tutto questo dinamismo, la superficie investita a serre aumenta solo del 50%, risultando, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, di circa 600 ha, che sono destinati quasi sempre esclusivamente alla coltivazione del pomodoro nell’unico ciclo autunno- primaverile. Il 1989 segna l’inizio del vero successo di Pachino come entità territoriale di produzione. È l’anno in cui si coltiva per la prima volta una nuova tipologia di pomodoro: si tratta di un pomodoro a grappolo con frutti piccoli di colore rosso intenso denominato Naomi F1, un ibrido della tipologia cherry che produce frutti piccoli di 20-25 g, molto dolci e con una shelf life che, in relazione ai periodi di coltivazione, può arrivare fino a 20 giorni. Questa nuova tipologia di pomodoro, dopo un breve periodo di scetticismo da parte degli agricoltori ma non dei consumatori, si diffonde rapidamente evidenziando anche aspetti agronomici di grande vantaggio per gli agricoltori. Infatti, Naomi è un ibrido F1 e, come tale, ha caratteristiche genetiche costanti: è a crescita indeterminata che permette di allungare il ciclo di coltivazione; si adatta bene a essere coltivato in qualsiasi periodo dell’anno offrendo la possibilità di effettuare un secondo e anche un terzo ciclo di coltivazione, di fatto si presta a destagionalizzare la produzione; offre una buona resistenza alla salinità dell’acqua e ciò permette un miglioramento della qualità anche se si riduce la produzione. Le superfici destinate alla coltivazione di pomodoro ciliegino crescono anno dopo anno tanto che alla fine degli anni Novanta del secolo scorso risultano di circa 800 ha che si aggiungono a quelli impegnati con le varietà di pomodoro (Raf e Camone) tradizionalmente coltivate. La serricoltura di Pachino ormai occupa circa
Naomi
Pomodoro ciliegino Pomodoro costoluto
334
modello Pachino 1400 ha di superficie di cui 400 sono coltivazioni in secondo e terzo ciclo realizzate facendo seguire il ciliegino a se stesso e a Raf e Camone. Negli anni Novanta del secolo scorso, parallelamente alla diffusione del ciliegino, si registra anche l’introduzione e la diffusione del tunnel quale nuovo ambiente di coltivazione protetta. Il tunnel, però, per la ridotta altezza al colmo (1,80 m) non è adatto alla coltivazione di specie a crescita verticale come il pomodoro, però è un ottimo ambiente per la coltivazione di melone, zucchino e anguria che, in questo modo, possono finalmente essere coltivati nell’area di Pachino, in ambiente protetto e senza entrare in competizione con il pomodoro coltivato in serra. Il tunnel ha quindi allargato il panorama colturale del territorio e ha fatto sì che il melone, altro prodotto leader di Pachino, abbia potuto espandersi appieno e guadagnare la notorietà che merita e che il mercato subito gli riconosce. Anche nel tunnel è possibile effettuare in un anno due cicli di coltivazione con zucchino in ciclo estivo-autunnale seguito da melone o anguria in ciclo inverno-primaverile. Il diffondersi di questo nuovo ambiente di coltivazione porta, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, ad avere una superficie coperta di 2750 ha, di cui 1000 ha di serre destinate quasi esclusivamente alla coltivazione del pomodoro e 1750 ha di tunnel destinati alla coltivazione delle altre specie. Però, in considerazione del doppio e terzo ciclo di coltivazione, le superfici investite nell’anno sono di circa 1400 ha per il pomodoro, 500 ha per lo zucchino, 1500 ha per il melone e 250 ha per l’anguria; per un totale di superfici protette investite nell’anno di circa 3650 ha contro i 600 ha di appena dieci anni prima. Gli anni 2000 sono, invece, caratterizzati da una notevole evoluzione di prodotto. Le principali ditte sementiere produttrici di innovazione varietale iniziano un’intensa attività di ricerca e immettono sul mercato anno dopo anno nuove tipologie e varietà di pomodoro. Il panorama varietale si allarga a dismisura creando sì delle valide opportunità ma nel contempo una grande confusione, inducendo il produttore a scelte non sempre oculate, dovute soprattutto al fatto che, mentre sta ancora adattando la tecnica colturale alla nuova varietà, deve già valutare se sostituirla con un’altra ritenuta migliore. Intanto, dalle tre tipologie e dalle tre principali varietà presenti alla fine degli anni Novanta del secolo scorso (Marmande sel. Raf, Camone e Naomi) si passa, nel volgere di pochi anni, alla presenza sul territorio di ben otto tipologie e 31 varietà. Nonostante tutto questo fermento, le tipologie leader restano sempre il ciliegino che intercetta il 50% della superficie coperta a pomodoro, il costoluto con il 30%, le nuove tipologie riferite alla denominazione ciliegia ovale (Datterino, Piccadilly ecc.) e il grappolo rosso con il 5% per ognuna. Quest’ultima tipologia trova, invece, larga diffusione nelle altre zone serricole siciliane detenendo quasi il 40% delle superfici investite. A Pachino, se l’introduzione di nuove tipologie, alla fine,
Datterino
Grappolo rosso
335
coltivazione Caratteristiche e diffusione (stimata) delle tipologie e delle principali cultivar di pomodoro coltivati nell’area di Pachino Costoluto (30%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Res. / Toll. dichiarate
Diffusione attuale(1)
Trapianto rappresentativo
Delizia F1
Clause
2000
F1, TMV
Leader
Autunnale
Marinda F1
Nunhems
Anni ’80
TMV, F0,1,V,
Buona
Autunnale
Raf
Clause
Anni ’60
F1
Discreta
Autunnale
Marmara F1
Asgrow
Fine ’90
Tm,V, F1
Discreta
Autunnale
Ciliegino o cherry (50%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Shiren F1
Cois94
2002
F1,2,N, TMV
Leader
Diversi periodi
Naomi F1
Cois94
1990
V,F1
Scarsa
Diversi periodi
Tyty F1
S&G
2002
V,F1,2,N,Cf1-5, TMV,TYLC
Discreta
Estivo
Rubino-Top F1
Esasem
2001
V,F1,2,N,Cf1-5,TMV
Scarsa
Diversi periodi
Panarea F1
Petoseed
2002
V,F1,2,N,Cf1-5,TMV FORL
Buona
Diversi periodi
Camelia F1
Cois94
Fine ’90
V,F1,TMV
Scarsa
Diversi periodi
Corbus F1
Rijk Zwaan
Fine ’90
Scarsa
Inverno
Genio
Clause
2007
V,F1,2,3, N, TMV,TYLC
Discreta
Diversi periodi
Belize
Westenseed
2007
TYLC
Discreta
Diversi periodi
Ciliegia-ovale (5%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Dasher F1
De Ruiter
2005
TMV,V,N
Buona
Estivo-autunnale
Datterino F1
Peotec
1995
TMV,V, F
Discreta
Estivo-autunnale
Motekino F1
De Ruiter
2005
TMV,V, F0,1,N
Scarsa
Estivo-autunnale
Piccadilly F1
S&G
1998
TMV,V,F0,1,FORL, Cf1-5
Buona
Estivo-autunnale
Lucinda F1
Cois94
2005
TMV,F1
Buona
Estivo-autunnale
Grappolo rosso (5%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Risoca F1
De Ruiter
2001
TMV,V,F0,1,FORL,Cf 1-5,N
Scarsa
Estivo-autunnale
Rovente F1
De Ruiter
2003
TMV,TSWS,V, F0,1,FORL,N
Scarsa
Autunno-invernale
Ikram F1
S&G
1999
TMV,F0,1
Leader
Estivo-autunnale
Laetitia F1
Clause
Fine ’90
TMV ,V,F0-1,Cf1-5,N,
Discreta
Estivo-autunnale
336
modello Pachino Cuore di Bue (2%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Sel.Albenga
Varie
2002
F1
Leader
Estivo-autunnale
Arawak F1
S&G
2005
V ,TMV
Discreta
Estivo-autunnale
Balente
De Ruiter
2006
Tmv
Scarsa
Estivo-autunnale
Tondo-liscio collettato a frutto piccolo (5%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Camone F1 e Kamonium F1
S&G
1980 2000
TMV,V,F 0, Cf4
Scarsa
Autunnale
Naxos F1
Nunhems
1995
TMV,V,F 0,1
Leader
Autunnale
Tondo-liscio collettato a frutto grosso (2%) Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Caramba F1
De Ruiter
2000
V,F1,N,Cf1-5,TMVl
Leader
Fine estate
Carson F1
Enza Zaden
2000
V,F1,2,N,Cf1-5, TMV FORL
Leader
Fine estate
Ovale collettato e altre tipologie (3%)
(1)
Varietà
Ditta produttrice
Anno d’introduzione
Resistenze dichiarate
Diffusione attuale
Trapianto rappresentativo
Nerina F1
De Ruiter
2002
Tmv, V, F 0,1, N
Leader
Estivo-autunnale
Diffusione delle cultivar: Leader > 40 %; Buona 20-25%; Discreta 15-10%; Scarsa < 5%
non modifica di molto il preesistente panorama colturale, lo stesso non si verifica per le seguenti varietà: Raf, varietà leader del costoluto, è sostituita dagli ibridi Delizia e Marinda; l’ibrido Naomi, cultivar simbolo del ciliegino, è sorpassato da Shiren; Camone, varietà leader del tondo-liscio, è scomparso quasi totalmente lasciando il posto a Naxos, mentre Ikram, varietà leader della nuova tipologia a grappolo rosso, mantiene la sua posizione iniziale. Fra le nuove tipologie introdotte, sicuramente le selezioni migliorative dell’antica varietà, il Cuore di Bue meriterebbe più attenzione; purtroppo, essendo allevabile solo in ciclo autunno–primaverile entra in competizione – con scarse possibilità di successo – con il costoluto, oggi coltivato quasi esclusivamente a Pachino. Negli anni 2000 non si registrano notevoli innovazioni nella tecnica colturale. Sono, però, gli anni della limitazione e del divieto d’uso del bromuro di metile che viene sostituito con altri geodisinfestanti fra i quali i più diffusi sono: la miscela di Cloropicrina con l’1-3 dicloropropene, il Metam sodio, il Metam potassio ed l’1-3 dicloropropene da solo. Per la posizione geografica di Pachino, una valida tecnica alternativa al bromuro di metile potrebbe essere la solarizzazione, la quale, però, non trova facile diffusione per i
Marchio del Pomodoro di Pachino IGP
337
coltivazione
Pomodoro di Pachino IGP
• Tipologia dei frutti: tondo-liscio, costoluto, cherry (o ciliegino)
• Zona di produzione: territorio comunale
Costoluto
Grappolo
di Pachino e di Portopalo di Capo Passero, parte del territorio comunale di Noto (SR) e parte del territorio di Ispica (RG)
• Modalità di coltivazione: in ambiente
protetto (serre e/o tunnel); trapianto da agosto a febbraio, tranne che per la tipologia cherry che si può effettuare tutto l’anno; densità di impianto 2-6 piante per m2 allevate in verticale a una o più branche e fornite da vivai specializzati e autorizzati dall’Osservatorio Regionale per le Malattie delle Piante; è consentito l’uso di piante innestate; non è ammessa la coltivazione fuori suolo. La produzione massima consentita non deve superare 100 t/ha per il tondo-liscio, 75 t/ha per il costoluto e 50 t/ha per il ciliegino. Le operazioni di confezionamento e imballaggio devono essere effettuate presso strutture ubicate nei territori dei comuni anche parzialmente compresi nella zona di produzione
Ciliegino (cherry )
Tondo-liscio
Tipologie del Pomodoro di Pachino IGP
lunghi tempi che richiede (50-60 giorni in piena estate), che mal si conciliano con l’esigenza di dover effettuare due o tre cicli di coltivazione. L’utilizzo di piante innestate, altra tecnica alternativa al bromuro di metile, non trova vasto riscontro sul territorio a causa sia dell’elevato costo delle piante innestate aggravato dall’alto investimento unitario (1,6-3 piante/m2) sia per la scarsa resistenza genetica dei portinnesti nei confronti di alcuni dei patogeni tellurici tipici della zona oltre alla difficoltà di gestire le piante al fine di ottenere un prodotto di alta qualità pari a quello realizzabile con piante non innestate. In questo periodo in altri territori si diffonde la coltivazione fuorisuolo del pomodoro ma non a Pachino
• Caratteristiche al consumo: i frutti
devono appartenere alle categorie merceologiche di Extra e Prima e devono essere interi, freschi, sani, puliti e privi di odori e sapori estranei
• Designazione e presentazione:
il pomodoro deve essere confezionato in contenitori sigillati di peso non superiore a 10 kg. Sulla confezione devono essere riportati il marchio e il nome dell’imballatore e/o speditore, le caratteristiche commerciali (tipologia, categoria, peso del collo) e la dicitura Pomodoro prodotto in coltura protetta Coltivazione in serra di pomodoro ciliegino
338
modello Pachino dove non riscontra alcun interesse anche perché questo sistema di coltivazione è stato bandito dal disciplinare di produzione del Pomodoro di Pachino IGP avendo accettata la giusta convinzione dei produttori di non poter rinunciare al terreno agrario, che è considerato uno dei più importanti fattori responsabili della qualità dei prodotti ottenibili a Pachino.
Noto
Pantano Grande Riserva Pantano di Vendicari Ispica Roveto S. Lorenzo Pantano Gariffi Marzamemi Pantano Pachino Pantano Isola Portopalo di Capo Passero Rosolini
Tecniche colturali particolari Per la coltivazione del pomodoro da mensa, gli anni Novanta del secolo scorso non sono stati solo quelli del boom che fa raggiungere il massimo delle superfici investite e della notorietà del prodotto ma anche dell’introduzione di validissime innovazioni nella tecnica colturale ancora oggi adottate, ovviamente con i dovuti miglioramenti suggeriti dalla ricerca e dall’esperienza dei produttori. La fecondazione chimica è stata interamente sostituita da quella entomofila con l’utilizzo d’insetti pronubi come api e Bombus terrestris, che impone anche una maggiore accortezza nell’uso di agrofarmaci utilizzati su indicazione del sempre più attento monitoraggio dei parassiti e dell’uso di trappole fitotropiche per gli insetti. La maggiore sensibilità del consumatore ha portato alla totale adozione di disciplinari di produzione con i quali i produttori garantiscono la qualità del prodotto. Ciò è possibile anche con l’ausilio di tecnici specializzati a disposizione delle organizzazioni dei produttori e delle singole aziende agricole. Se per le piante indeterminate di pomodoro delle tipologie costoluto e a grappolo la tecnica di allevamento è simile a quella generalmente adottata in altre aree, per la tipologia ciliegino sono necessari particolari accorgimenti perché essa richiede una maggiore manipolazione necessaria all’aumento della resa, che come
Zona di produzione del Pomodoro di Pachino
Adempimenti per la produzione del Pomodoro di Pachino IGP
• I produttori che intendono utilizzare
il marchio devono iscriversi in un apposito elenco, attivato, tenuto e aggiornato dall’organismo di controllo con l’indicazione della superficie complessiva aziendale e di quella adibita alla produzione della denominazione. Annualmente i produttori sono tenuti a presentare una denuncia di produzione entro il mese di settembre. Le strutture di condizionamento devono essere iscritte in apposito elenco con le modalità e le prescrizioni sopra indicate compresa la denuncia annuale delle quantità di prodotto lavorato
Pomodoro allevato in verticale
339
coltivazione è stato detto, a Pachino è ridotta per l’uso di acqua salmastra. Infatti, la pianta di ciliegino può essere allevata a due o tre branche e fatta crescere in altezza fino al tetto della serra. Ciò permette un notevole incremento delle rese. Nei mesi caldi, la pianta ha la tendenza a crescere rapidamente in altezza con palchi fiorali molto distanti uno dall’altro e quindi con pochi grappoli di frutti; da qui l’esigenza di brachizzarla con prodotti specifici o con sapiente utilizzo di potassio, magnesio, rame ecc. senza che ne risenta la produzione dei frutti. Nei cicli lunghi è necessario che la pianta produca non meno di 15 grappoli per branca; il che, nonostante la pianta sia stata brachizzata, non è possibile a causa della ridotta altezza della serra. Il problema è stato risolto utilizzando come tutore lo spago in polipropilene, che viene fissato da un’estremità alla base della pianta e dall’altra al filo di ferro zincato sistemato su tutta la superficie della serra in modo tale da formare una griglia orizzontale ad altezza di gronda. Con questo accorgimento, ogni singola pianta si avvolge al tutore, il quale, durante il ciclo vegetativo, essendo flessibile può essere slegato dal filo zincato e allungato in modo da abbassarsi con tutta la pianta avvolta; i primi grappoli di frutti vanno ad adagiarsi sul terreno opportunamente pacciamato per evitare il contatto con la terra. Altro sistema è quello di allevare la pianta non in verticale ma in senso obliquo; durante il ciclo vegetativo il tutore resta fisso mentre la pianta man mano che cresce si aggancia con appositi fermagli (tomato clips) a quello successivo. All’inizio della campagna agraria del 1990 ha fatto la sua comparsa il virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro o TYLC (tomato yellow leaf curl) trasmesso dall’aleurodide Bemisia tabaci (mosca o moschetta bianca), che ha distrutto più del 90% delle produzioni. Il problema è stato arginato applicando alle aperture laterali della serra la rete antinsetto a maglia stretta che impedisce l’ingresso
Serre recintate da reti antinsetto
Foto R. Angelini
Particolare dello spago che sorregge le piante a crescita indeterminata Pomodoro allevato in obliquo
340
modello Pachino della moschetta bianca all’interno della serra. Questa rete, oltre a non fare entrare il piccolissimo aleurodide, non permette l’ingresso di insetti più grandi (afidi, nottue, Lyriomiza ecc.) favorendo la riduzione di trattamenti insetticidi e quindi l’ottenimento di un prodotto di maggiore qualità igienico-sanitaria.
Consorzio di tutela del marchio Pomodoro di Pachino IGP
• Il Consorzio di tutela per il Pomodoro
Aspetti commerciali Il pomodoro ciliegino negli anni Novanta del secolo scorso ha portato Pachino a essere conosciuto in tutti i mercati italiani ed esteri senza che ci sia stata alcuna attività promo-pubblicitaria; l’unica comunicazione restava, come sempre, quella delle cooperative agricole e delle altre strutture di commercializzazione che utilizzavano cassette di cartone con la scritta Pachino in buona evidenza. Tutti i mass-media incominciavano, spontaneamente, a interessarsi di questo fenomeno produttivo esaltandone le caratteristiche. Purtroppo, il termine Pachino è stato recepito dal consumatore e dal commerciante, non come il nome di una ben determinata zona di produzione bensì come quello di una tipologia di pomodoro, tanto che la definizione pomodoro di Pachino veniva estesa tout court alla tipologia ciliegino dovunque e comunque coltivato. Tutto ciò procurava una perdita d’immagine al vero pomodoro di Pachino, il quale, comunque, era espressione di ben quattro tipologie. Per tutti gli anni Novanta del secolo scorso il territorio di Pachino ha dovuto convivere con questo equivoco sino al 08/11/2000 data del riconoscimento provvisorio del marchio europeo Pomodoro di Pachino IGP. In questo periodo nel territorio tutti gli addetti alla filiera si rendono conto che i tempi stanno cambiando che hanno un prodotto da difendere e valorizzare e che quindi occorrono profonde innovazioni di processo e di marketing. Il 06/09/1997 nasce l’Associazione per la Tutela dei Prodotti Tipici di Pachino con la sigla A.T.P.T.P., alla quale aderirono tutte le forme associative operanti nel territorio, alcune grandi aziende private nonché i comuni di Pachino e di Portopalo di Capo Passero. Questa associazione è nata per
di Pachino IGP è stato costituito a Pachino il 31/08/2002. Il suo compito è la tutela da uso improprio del marchio e di promozione del prodotto. Il Consorzio non può espletare compiti di commercializzazione
• Il totale del pomodoro commercializzato a marchio IGP nella campagna agraria 2007-2008 è stato di 2471 tonnellate delle quali il ciliegino ha rappresentato il 96%
Marchio del Consorzio di Tutela Pomodoro di Pachino Differenti tipologie di confezionamento del pomodoro coltivato a Pachino
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coltivazione promuovere e coordinare azioni proprie o di altri organismi atte alla valorizzazione e alla tutela dei prodotti tipici coltivati in questo territorio, nonché per diffondere le tecnologie specifiche da utilizzare per l’ottenimento di queste produzioni. L’associazione non appena costituita ha presentato agli organismi competenti l’istanza per ottenere il riconoscimento del marchio IGP per il pomodoro e il melone, seguendone successivamente tutto l’iter fino al raggiungimento degli obbiettivi. Nel tempo, molteplici sono state le azioni promozionali intraprese dall’associazione, quali partecipazione a fiere campionarie a livello nazionale ed europeo, organizzazioni a Pachino di convegni di rilevanza nazionale su tematiche tecniche e commerciali riguardanti i prodotti orticoli, stampa e diffusione di materiale promo-publicitario ecc. A metà degli anni Novanta del secolo scorso tutte le aziende che ancora non avevano aderito alle strutture di commercializzazione già esistenti nel territorio hanno avvertito l’esigenza di aggregarsi. Purtroppo, anziché rafforzare le strutture presenti, si è preferito costituirne delle nuove anche di piccole dimensioni non contribuendo a una razionale concentrazione dell’offerta. Un primo tentativo di aggregazione di prodotto fu la costituzione del CO.NA.GRI, un consorzio a cui hanno aderito le tre maggiori cooperative della zona (Aurora, Faro e Sicilserra) che avevano le stesse esigenze, prima fra tutte quella di affrontare nuove forme di commercializzazione visto che i tradizionali mercati ortofrutticoli, fino allora i principali canali commerciali utilizzati, cedevano spazio all’avanzare costante della GDO. Fra le attività svolte dal CO.NA.GRI. sicuramente la più valida è stata la partecipazione alle più importanti manifestazioni fieristiche europee dove si mettevano a confronto tutte le realtà agricole mondiali. Purtrop-
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modello Pachino po, i gruppi dirigenti delle singole cooperative che aderivano al CO.NA.GRI. se da un lato avvertivano forte la necessità di concentrare l’offerta, dall’altro avevano il timore di perdere i canali di commercializzazione singolarmente conquistati. Ciò ha portato all’indebolimento dell’azione del Consorzio e al suo inevitabile scioglimento. Conclusioni La grande reputazione del Pomodoro di Pachino, la notevole capacità dei produttori nell’assorbire l’innovazione e la particolare vocazione del territorio anche verso produzioni di pregio e destagionalizzate di altri ortaggi (melone, zucchina, melanzana, peperone ecc.) sono certamente punti di forza sui quali può contare l’economia dell’intero territorio. Purtroppo, malgrado la propensione all’associazionismo di buona parte dei produttori pachinesi, la debolezza maggiore deriva dall’ancora eccessiva frammentazione dell’offerta di pomodori, soprattutto nei confronti della Grande Distribuzione Organizzata sia nazionale sia estera. Il mantenimento degli alti standard qualitativi passa inesorabilmente attraverso l’acquisizione di sempre maggiore innovazione soprattutto sui fronti della diversificazione varietale per meglio rispondere alle richieste dei sempre più esigenti consumatori e delle tecniche colturali per garantire la salubrità del prodotto e la salvaguardia dell’ambiente. Tutte queste azioni vanno, però, veicolate attraverso continue azioni di marketing e promo-pubblicitarie anche allo scopo di non permettere la fraudolenta confusione dell’originale offerta di Pachino con quella simile ma di diversa provenienza. Insomma, ricordare sempre al consumatore che il Pomodoro di Pachino si produce solo a Pachino!
Differenti tipologie di confezionamento del Pomodoro di Pachino IGP Datterino appena lavorato
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il pomodoro
coltivazione Modello Vittoria Guglielmo Donzella, Michele Assenza
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Modello Vittoria Introduzione La coltura del pomodoro da mensa nel Vittoriese (RG), comprendente i territori dei comuni limitrofi di Comiso e Acate, presenta caratteri di elevata specificità agronomica, identità commerciale e complessità socio-economica. Se la coltivazione in serra fredda definisce la prima, l’ampia diversificazione tipologica e varietale ne determina la seconda, mentre l’interconnessione, tramite il vivaismo orticolo e il contoterzismo, stabilisce lo scambio con il più vasto ambiente socio-economico e culturale. Il pomodoro in coltura protetta nella fascia costiera ragusana a partire dagli anni ’60 del secolo scorso va incontro al progressivo aumento della superficie passando dai 1650 ettari dell’inizio degli anni ’70 ai circa 2600 di fine secolo (dati Istat). Con tale superficie il pomodoro intercetta circa i 2/3 della superficie totale destinata alle colture protette. Le altre specie seguono a grande distanza con peperone al 15%, zucchino al 9%, melanzana al 7% e cetriolo al 3%. Non è, in altri termini, una marginale appendice economica bensì il connettivo socio-economico del territorio. Come accennato, la coltura del pomodoro avviene esclusivamente in serra in cicli che nel corso del tempo sono divenuti continui nel senso che dall’originario trapianto autunnale si è passati a trapianti estivi, autunnali e invernali.
In sintesi
• Al pomodoro sono destinati circa 33003600 ettari dei complessivi 5000-5500 occupati dalle colture protette nella provincia di Ragusa
• La produzione annuale si aggira intorno a 260.000-350.000 tonnellate con prevalente destinazione sui mercati nazionali
• La gamma produttiva si articola in ben 8 tipologie: ciliegino, grappolo rosso, vesuviano, datterino, verde, lungo, ovetto, Cuore di Bue
Tipico paesaggio del Vittoriese
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modello Vittoria
%
Trapianti di pomodoro nel biennio 2007-08 35 30 25 20 15 10 5 0
Ambiente
• Dal punto di vista morfologico il territorio
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set
è costituito da una pianura costiera che degrada lievemente da NE a SO ed è qualificato come Regione agraria di pianura, l’altitudine media si colloca intorno ai 200 m/s.l.m. La serricoltura però si distribuisce prevalentemente in un’area che non supera i 100 m/s.l.m. Il territorio è caratterizzato da piovosità intorno a 500-600 mm annui a prevalente distribuzione autunno-invernale, da temperature medie annue intorno a 17-18 °C, con temperature minime che raramente raggiungono valori di qualche grado sotto lo zero e solo nei mesi di gennaio o febbraio. La zona è ventosa, con venti prevalenti da NO che spirano con particolare violenza nella fascia prospiciente il mare. Particolarmente elevata è la luminosità con oltre 300 giorni di soleggiamento annuo. I suoli su cui si svolge la coltura vanno dalle sabbie dunali lungo la linea di costa alle più interne sabbie rosse mediterranee e a limitate aree di suoli sabbioso-limosi nelle vallate dei fiumi. Le acque irrigue, nella generalità dei casi, provengono da emungimento della falda che, nell’area costiera, specie in occasione di mareggiate, subisce intrusioni di acqua marina. L’acqua irrigua raramente si trova in falde con salinità ridotta, quasi sempre, invece, la CE supera i 2000 mS/cm. Per tale ragione si va sempre più diffondendo la pratica di realizzare invasi artificiali destinati alla raccolta delle acque piovane
Ott Nov Dic
Mesi 2007
2008
Strutture di protezione Le strutture di protezione a partire dalla prima introduzione della serricoltura a ora hanno fatto registrare una forte evoluzione: si è passati da strutture con pali di sostegno e falde in legno, e cubatura di 1,8-2,0 m3/m2 degli anni ’70 a quelle con piedritti di cemento e falde in legno la cui cubatura unitaria arriva a 2,5 m3/m2, con falde dapprima piane e poi curve, fino alla tendenza attuale in cui le sostituzioni dei vecchi impianti o i nuovi impianti avvengono con strutture in profilato metallico e falde curve con cubatura unitaria di 5,0-5,5 m3/m2. Nell’80-90% della superficie coperta le strutture, tuttavia, restano di tipo tradizionale con copertura in film di polietilene, fatte di unità di piccole dimensioni (800-1200 m2) e stradelle di servizio esterne. Le strutture in profilato metallico e copertura in film di polietilene sono, invece, costituite da unità di grandi dimensioni (5000-10.000 m2) munite di impianti di nebulizzazione e stradelle di servizio interne. Entrambe le tipologie di strutture sono sempre dotate dell’intercapedine di polietilene (antigocciolamento) e delle reti escludi insetti. L’aerazione nella stragrande maggioranza dei casi è limitata alle finestrature laterali, solo raramente si riscontrano aperture al colmo.
Insediamento agricolo su terreni dunali
345
coltivazione
Incidenza % delle tipologie di pomodoro nel Vittoriese (2008) Tipologia
%
Ciliegino
40,0
Grappolo rosso
35,6
Vesuviano
11,9
Verde
4,5
Lungo
2,4
Datterino
2,1
Ovetto
2,1
Cuore di Bue
1,4
Totale
100
Serre prospicienti la linea di costa
Tipologie di prodotto Il pomodoro nel corso dell’ultimo quarto del secolo scorso ha subito un’evoluzione tipologica che nei primi anni ’60, alle origini della sua diffusione in serra, non era neanche lontanamente immaginabile. Dall’originaria, e unica, tipologia costituita dal Marmande costoluto si è progressivamente incrementato il numero di tipologie per arrivare alle attuali otto; e il processo sembra destinato a continuare. Quello della progressiva estensione delle tipologie coltivate costituisce il fenomeno chiave per interpretare la serricoltura del Vittoriese (e più in generale quella ragusana). Infatti, negli anni ’70 del secolo scorso e per tutto l’arco degli anni ’80, il pomodoro, quando l’unica tipologia presente è il Marmande costoluto, entra in una fase di pesante crisi, tanto che comincia a cedere superficie al peperone fino ad avere una percentuale di investimento assai vicina a quella di questa specie (30%). Da quel momento in poi, a seguito delle prime introduzioni delle varietà a maturazione rossa
Tipologia a grappolo rosso (Ikram) Tipologia ciliegino
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Pomodoro della tipologia Vesuviano
modello Vittoria Foto R. Angelini
Stima (%) delle superfici destinate alle diverse specie orticole in serra (2008)
Tipologia datterino
Pomodoro
64,0
Peperone
14,9
Melanzana
8,0
Cetriolo
3,0
Zucchina
10,0
Altre
0,1
Totale
100,0
(Vemone, GH31) effettuate nelle serre coltivate a peperone (trapiantando le piante in corrispondenza dei pali di sostegno della serra), comincia la riconquista delle superfici cedute al peperone fino a intercettare circa i 2/3 della superficie investita a serre, stimata in base al rapporto delle piantine consegnate da alcuni vivai della zona. Si afferma, nell’ambito delle tipologie a maturazione rossa, dapprima il grappolo rosso, seguito alla fine degli anni ’80, dal ciliegino, quindi dal vesuviano e, infine, dal datterino. Parallelamente si ampliava anche il numero delle tipologie a maturazione verde che iniziava dalla diffusione di varietà semi-costolute che andavano a sostituire il tradizionale Marmande e proseguiva con la coltivazione della tipologia a frutti lunghi (tipo San Marzano) con gli ibridi Grinta, Italdor per continuare con la tipologia Cuore di Bue con varietà standard di provenienza ligure e per concludersi nella tipologia, di recente introduzione, ovetto caratterizzata da conformazione a uovo di gallina. Il processo non sembra destina-
Foto R. Angelini
Cuore di Bue Parsifal, tipica varietà della tipologia a frutti lunghi
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coltivazione Varietà di pomodoro più diffuse per ciascuna tipologia (2008) Ciliegino
Grappolo rosso
Vesuviano
Datterino
Verde semicost.
Verde lungo
Ovetto
Cuore di Bue
Shiren
Laetitia
Piccadilly
Dasher
Marimba
Parsifal
Sharek
Cuore di Bue (standard)
Tyty
Rovente
Pixel
Ipparino
Presidente
Oskar
Flortyl
Arawak
Panarea
Ikram
Motekino
Santa
Caramba
Lancelot
Murano
Profitto
Tropical
Shannon
Montalbano
Arletta
Eliseo
Eliseo
Magno
Belize
Desiderio
Marinda
Italdor
Naram
Genio
Cibellia
Yoga
Faryn
Durinta Eldiez Faraon Zelig Voltage
to a fermarsi ed è probabile che nell’arco del prossimo quadriennio si possa assistere all’affermazione di una ulteriore tipologia. Il fenomeno, alle origini, ha preso avvio da un lato per l’azione svolta dalla aziende sementiere, soprattutto per le tipologie a maturazione rossa, dall’altro, per quelle a maturazione verde, è stato soprattutto portato avanti dal settore commerciale e dai produttori che hanno sostanzialmente voluto prolungare la presenza sul mercato di alcune tipologie (Cuore di Bue ecc.) a consumo regionale a cui è seguito l’interesse delle aziende sementiere con il miglioramento genetico e l’ulteriore spinta alla affermazione della tipologia. Il fenomeno è di particolare significato strategico perché ha vicariato quello che, negli anni ’70 del secolo scorso, veniva ritenuto il principale punto debole della serricoltura vittoriese (e ragusana): l’insufficiente diversificazione delle specie coltivate (allora il pomodoro intercettava circa i ¾ della superficie destinata alla serricoltura). L’ampliamento delle tipologie coltivate ha permesso al pomodoro di tenere all’incirca la stessa posizione delle origini e confermare la vocazionalità dell’area per la coltura di qualunque tipologia di pomodoro. Le varietà coltivate ricadenti nelle diverse tipologie sono assai numerose, in particolare nell’ambito delle tipologie ciliegino e grappolo rosso, dove raggiungono la trentina per ciascuna. Naturalmente quelle più diffuse si riducono a un numero assai più modesto. Questo elevato numero di varietà, che spesso viene visto come un dato negativo, per la difficoltà di standardizzare la commercializzazione, in special modo nel contesto di una maglia aziendale fatta di unità produttive di piccole dimensioni, è, invece, un dato anche positivo. Infatti, l’estrema differenziazione varietale
Foto R. Angelini
Cuore di Bue in fase di ingrossamento
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modello Vittoria viene incontro, da un lato, alle variegate esigenze agronomiche legate ai cicli e, dall’altro, a quelle pedologiche. Per altro verso la standardizzazione trova il denominatore comune a livello della tipologia ma offre anche quelle minime sfumature in grado di venire incontro alle esigenze del consumo. Il significato più intrinseco della numerosità varietale indica, altresì, la vivacità del rinnovamento delle stesse: la vita di una varietà raramente supera i 4-5 anni. E questo dimostra la vitalità della coltura. Il calendario classico di produzione per le tipologie a maturazione rossa copre l’arco dei mesi che va dall’autunno (fine ottobre) fino all’inizio dell’estate (metà giugno) con picchi produttivi ad aprile e maggio; le tipologie a maturazione verde, invece, hanno un calendario di produzione più breve concentrato nel periodo invernoprimaverile.
Foto V. Magnifico
Vivaismo Il materiale di propagazione vegetale viene acquisito, nella generalità dei casi, facendo ricorso ai vivai orticoli dell’area, a cui la fase di preparazione delle piantine è stata completamente delegata sin dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso. In relazione ai problemi parassitari di seguito accennati, si va diffondendo il ricorso all’innesto, sebbene in maniera ancora incerta per la difficoltà di valutare le affinità d’innesto tra i portinnesti e, come si vedrà, le numerose varietà coltivate. Negli anni recenti l’attività dei vivai orticoli, mentre prima si limitava alla semina e allevamento della piantina, va sempre più ampliandosi, essendo in corso di diffusione altri interventi sulle piantine: oltre che dall’innesto viene richiesta anche la cimatura sia di piante franche sia innestate. Le ragioni del diffondersi di tale ultima pratica sono sia di ordine economico sia agronomico. Alla scelta si perviene, da un lato, per l’elevato costo delle piantine, dall’altro, per il vigore di alcuni
Aspetto di piante di pomodoro sottoposte a cimatura
Allevamento a due branche in senso trasversale
349
coltivazione ibridi F1 e/o di quello conferito da alcuni portinnesti. In entrambi i casi la scelta consente di ridurre alla metà l’investimento unitario e il relativo costo (da circa 3 piante/m2 a 1,5 piante/m2). Nel caso di varietà ibride della tipologia ciliegino particolarmente vigorose (Tyty), si fa ricorso alla cimatura e all’allevamento a più branche per limitare l’eccessivo ingrossamento dei frutti. La pratica non sempre viene delegata al vivaio, spesso viene eseguita in azienda prima del trapianto. Tecnica colturale Per quanto attiene alla concimazione di fondo occorre rilevare il modesto ricorso alla letamazione, mentre è più diffuso l’impiego di sostanza organica commerciale insaccata, integrata da concimi minerali complessi nell’ordine di 1 q per ogni 1000 m2, generalmente distribuiti all’intera superficie e, più raramente, in forma localizzata. Le operazioni di trapianto si svolgono in serre con le finestrature laterali protette da reti escludi insetto. Tale esigenza è scaturita, in primo tempo, sin dalla fine degli anni ’80, per prevenire i virulenti attacchi dal Virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro (TYLCV) trasmessa dall’aleurodide Bemisia tabaci, e attualmente è divenuta ancora più stringente per prevenire i recenti massicci attacchi a germogli, foglie e frutti della tignola Tuta absoluta. Il limitato arieggiamento comporta nei trapianti estivo-autunnali, che, come visto, sono quelli largamente prevalenti, l’innalzamento della temperatura all’interno delle serre; questo evento, è bene ricordarlo, non disponendo di climatizzazione, comporta condizioni di grave stress per le giovani piantine. Per contenerne gli effetti negativi si fa ricorso a mezzi artigianali come
Pacciamatura a strisce
Film di copertura ombreggianti
350
modello Vittoria l’imbiancatura del film o, dove possibile, l’irrigazione nebulizzante soprattutto nei primi 10-15 giorni dal trapianto. Il trapianto avviene generalmente in file binate distanziate di circa 80 cm e a 120 cm tra le bine (passaggi di servizio). Sulle file la distanza è di 30-35 cm nel caso di piante a stelo unico, oppure di 60-70 cm se a doppia branca (nel caso di piantina su cui è stata eseguita la cimatura). In taluni casi si fa ricorso al trapianto su filare unico con piantine cimate collocate a 30-35 cm e branche disposte in senso trasversale al filare. Le ali gocciolanti sono comunque sempre due per ciascuna bina. Il trapianto è sempre preceduto dall’applicazione della pacciamatura con film di polietilene opaco (bianco/nero) talvolta esteso all’intera superficie ma assai più spesso limitatamente alla striscia della bina. Circa 15-20 giorni dopo il trapianto viene eseguita la prima sfogliatura delle 2-3 foglie basali e la legatura ai sostegni. Le operazioni colturali successive al trapianto prevedono la eliminazione dei germogli ascellari, l’attorcigliamento della parte terminale dello stelo lungo il filo di sostegno e l’impollinazione fiorale. Questa operazione viene eseguita con diverse modalità. La pratica più diffusa, a seguito del generale uso delle reti escludi insetto, fa ricorso all’impiego delle arnie di bombi (Bombus terrestris). Tale pratica, tuttavia, nel periodo estivo, in particolare per il 1° e 2° grappolo, così come in primavera avanzata o nei periodi di elevata nuvolosità, viene integrata dal ricorso all’ormonatura chimica. Raramente si fa ricorso all’impollinazione mediante vibratori o mediante soffiatori. L’allevamento delle piante viene effettuato con modalità diverse, in particolare sulle varietà di tipo ciliegino, a seconda del tipo di struttura disponibile. Così, nelle strutture tradizionali, data la ridotta altezza, l’allevamento viene effettuato
Foto R. Angelini
Interno di una serra in cui è visibile l’attività impollinante dei bombi
Serre modulari
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coltivazione a spalliera: lo stelo, sin dalla seconda legatura oppure quando la pianta ha differenziato il 4°-5° grappolo fiorale, anziché essere legato al sostegno in senso verticale, viene dapprima abbassato fino a fare poggiare il 1°-2° grappolo sulla pacciamatura e poi legato al sostegno della pianta vicina, inclinandolo di circa 60°-65° e così si procede per le legature successive. La prima di queste operazioni quasi sempre avviene in prossimità della raccolta del 1°-2° grappolo ed è preceduta da un’energica sfogliatura finalizzata ad assicurare un’adeguata aerazione dei filari e soprattutto dell’interno della bina. Nel caso, invece, di serre di maggiore altezza, l’allevamento della pianta avviene verticalmente; talvolta, mediante il ricorso a un filo di sostegno assicurato a un aspo, la pianta, dopo la raccolta di alcuni grappoli e appropriata sfogliatura, con lo srotolamento del filo viene abbassata mentre la parte apicale resta disposta verticalmente. Questo sistema di allevamento ha un’altra variante: anziché fare ricorso all’aspo, si limita a invertire la geotropia facendo scendere lo stelo verso il suolo anziché farlo salire. Più di frequente le piante restano disposte verticalmente e, superata l’altezza d’uomo, per le operazioni colturali si interviene mediante appositi carrelli elevatori. Queste modalità di allevamento, tanto in serre tradizionali quanto in quelle in profilato metallico e di maggiore cubatura, consentono di realizzare quel ciclo lungo (settembre-giugno) con il quale si può arrivare a produrre 18-20 grappoli di ciliegino per ciascuna branca. L’irrigazione, quasi sempre fertirrigazione, viene somministrata con un numero di erogazioni quotidiane variabili a seconda della stagione, dello stadio vegetativo e dell’andamento meteorologico. Nel periodo invernale si fa ricorso a una sola somministra-
Allevamento a spalliera con gancetti
Allevamento del pomodoro a spalliera
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modello Vittoria zione giornaliera; con l’avanzare verso la primavera le somministrazioni aumentano progressivamente fino a 4-5 di cui una sola, eccezionalmente due, prevede la fertirrigazione. I quantitativi di acqua somministrata si aggirano intorno a 1000-1500 litri per ogni somministrazione per 1000 m2: i quantitativi maggiori sono usati soprattutto sui terreni dunali. Le sostanze nutritive fanno riferimento a soluzioni allo 0,3-0,5‰ a seconda che la concimazione di fondo sia stata effettuata o meno. Il rapporto N-P-K tra gli elementi nutritivi è di 1-0,5-1,5 nella prima fase per spostarsi verso 1-0,4-1,8(2) in quella successiva alla raccolta dei primi grappoli. Spesso la fertirrigazione viene integrata da microelementi, in particolare ferro, manganese, zinco e boro. Attorno a queste pratiche esistono numerose varianti che prevedono anche il ricorso a stimolanti ormonali. Controllo dei parassiti La difesa, come visto, è affidata in primo luogo a quelle reti escludi insetto che, nate per prevenire il Virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro, hanno effetti molto vasti su tutti i parassiti animali poiché, se correttamente applicate e gestite, creano una sorta di ambiente efficacemente isolato dall’esterno che consente di ridurre al minimo, contrariamente al luogo comune che vuole che nelle serre i trattamenti siano particolarmente numerosi, gli interventi contro i parassiti animali. A tal proposito va ricordato che il vasto impiego dei bombi per l’impollinazione fa sì che i trattamenti con prodotti fitosanitari debbano essere effettuati, per evitare la perdita dell’arnia di bombi, con prodotti innocui per questi insetti e, dunque, anche per l’uomo. Gli interventi sono concentrati soprattutto nella fase immediatamente dopo il trapianto per debellare eventuali anche minime infestazioni di Bemisia tabaci vettore del TYLCV. Successivamente i trattamenti insetticidi si riducono fino ad annullarsi. Le maggiori minacce invece vengono dai parassiti fungini, peronospora, cladosporiosi e Botrytis che tuttavia vengono trattati sempre con prodotti solo nei periodi particolarmente piovosi. Per inciso, è il caso di fare un breve cenno alla salubrità dei prodotti. L’impiego delle reti e dei bombi, come detto, ha ridotto enormemente il ricorso a trattamenti fitosanitari. Peraltro, le dosi unitarie della maggior parte di detti prodotti, rispetto ai decenni precedenti, hanno subito il dimezzamento quando non la riduzione ad 1/3. Tale circostanza fa sì che le cosiddette produzioni convenzionali, dal punto di vista dei residui di fitofarmaci offrano garanzie più elevate di quanto non si creda comunemente. Nell’ambito di questo tema è il caso di ricordare che esiste una limitata produzione che fa riferimento al metodo di produzione biologico. Non sarà inutile ricordare che tale produzione, seppure in perfetta regola con la legislazione vigente, avviene in netto contrasto con alcuni principi guida del metodo biologico: il ciclo
Abbassamento degli steli con l’ausilio di carrelli elevatori
Sintomi di cladosporiosi su foglia
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coltivazione produttivo si svolge fuori stagione e sotto protezione del polietilene che, come noto, deriva dal petrolio. In tema di apporti di energia non rinnovabile non giova a questo metodo la circostanza che i prodotti biologici siano destinati, prevalentemente, al consumatore tedesco per raggiungere il quale occorre, con il trasporto su gomma, caricare il prodotto di quote non indifferenti di energia da petrolio. Le maggiori minacce attuali sono costituite dal Virus del Pepino (PepMV) e dalla tignola Tuta absoluta. Il primo, che ha dato luogo, fortunatamente, per ora solo a limitate infezioni, costituisce un pericolo sempre in agguato per le modalità di trasmissione (per contatto) e per la lunga conservazione del virus sia sugli attrezzi di lavoro sia nel terreno e nei residui colturali; la seconda, di recentissima diffusione, ha manifestato un’elevatissima capacità di infestazione, alle foglie, agli apici vegetativi e ai frutti, in grado di compromettere rapidamente qualunque coltura nonostante trattamenti e trappole al feromone e trappole per la cattura massale; la difesa più efficace è legata alle reti escludiinsetto che, evitando l’ingresso in serra dell’adulto, impediscono la diffusione dell’infestazione. La difesa dai parassiti ipogei, già dopo il protocollo di Montreal e il Regolamento CE 2037/2000, e ancora più dopo l’entrata in vigore del divieto d’impiego del bromuro di metile, è stata posta all’ordine del giorno con priorità assoluta. Le soluzioni suggerite sono andate dalla riproposizione di alcuni geodisinfestanti chimici al metodo di coltivazione fuori suolo, nelle sue diverse varianti, alla solarizzazione, all’innesto erbaceo e ai mezzi biologici. Ciascuna di queste scelte mantiene una sua presenza nel territorio. Tuttavia pare ipotizzabile che, nel medio termine, la tecnica che prenderà maggiore diffusione, in attesa delle varietà resistenti, sarà la solarizzazione, verso la quale gli imprenditori mostrano maggiore propensione a motivo sia dell’efficacia sia dei limitati costi. Per le altre tecniche di controllo dei parassiti tellurici, la strada appare in salita. Il fuori suolo, dopo gli iniziali entusiasmi, si limita a poche decine di ettari: l’inadeguatezza delle strutture, la salinità delle acque nonché la necessità di assistenza continua rendono il fuori suolo poco praticabile. L’innesto erbaceo, che suscita interesse (le selezioni di Cuore di Bue standard sono quasi sempre innestate sull’ibrido Beaufort o He-man) e ha una certa diffusione (il 9-10% del pomodoro è innestato), appare in fase di relativa ulteriore crescita perché, come sopra accennato, le numerose varietà presenti, nonché la loro rapida sostituzione, rendono aleatoria la valutazione delle affinità d’innesto con i rischi conseguenti. Infine, i mezzi biologici (funghi contro nematodi, brassicacee ecc.) appaiono solo in grado di contenere infestazioni di modesta entità. Qualche considerazione a parte meritano le alterazioni fisiologiche, per il rilievo che possono assumere, cui può andare incontro la coltura del pomodoro in serra, soprattutto, nel periodo inverna-
Sintomi a carico di piante colpite da Virus del Pepino
Sintomi su bacche infestate da Tuta absoluta
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modello Vittoria le. Dalla filatura al blotchy ripening, in occasione di lunghi periodi nuvolosi, allo stress idrico per eccesso di calore durante i trapianti estivi, all’aborto fiorale per le stesse cause; all’ispessimento dei tessuti fogliari in occasione dell’ormonatura fiorale, fino allo svuotamento dello stelo in occasione di cimature energiche, e al marciume apicale limitatamente alle varietà della tipologia a frutti lunghi ecc. L’alterazione che tuttavia causa notevoli perdite di produzione è costituita dalla spaccatura dei frutti del 1°-2° grappolo nelle varietà ciliegino durante i mesi invernali.
Foto R. Angelini
Aspetti commerciali Le prospettive di sviluppo ed evoluzione del comparto sono strettamente legate all’evoluzione della commercializzazione. Tuttavia, la questione, se guardata secondo i più triti luoghi comuni, che si affannano in inutili esortazioni all’associazionismo, non pare che adotti un approccio lungimirante, sgombro da pregiudizi. Sembra infatti che la soluzione, come testimoniato da altre tematiche similari, non venga dall’associazionismo. Quando si osserva l’evoluzione della commercializzazione dalle origini della serricoltura all’attualità, si rileva che il ruolo svolto dall’associazionismo non è andato mai oltre il 3-5% dell’intera produzione dell’area. Questa frazione minoritaria ha sì svolto una funzione importante, ma dagli anni ’90 in poi il suo ruolo si è andato sempre più affievolendo (alcune Cooperative hanno ridotto l’attività, altre l’hanno cessata), a testimonianza di una difficoltà intrinseca a stare nel settore commerciale; mentre una qualche migliore fortuna ha avuto l’associazionismo legato ai mezzi tecnici di produzione (dall’acquisto dei mezzi tecnici alle piantine). In altre aree di significativa presenza della serricoltura (Pachino, Marsala) e in particolare della coltura del pomodoro, quanto affermato, apparentemente, verrebbe smentito, poiché la serricoltura è cresciuta intorno alla cooperazione. Ma anche a una
Forte attacco di nematodi galligeni sulle radici
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Spaccatura di pomodoro ciliegino Pomodoro in coltura fuori suolo
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coltivazione osservazione epidermica si nota subito che nei due territori richiamati non è mai esistito un mercato alla produzione e che le numerose cooperative operanti risultavano avere livelli di concentrazione dell’offerta molto limitati (20.000-30.000 q). Nella sostanza, in queste aree l’associazionismo appare essere, più che una scelta, una necessità legata al bisogno di commercializzare la produzione in assenza di alternative praticabili. Sembrerebbe scontato che in un territorio in cui domina la piccola impresa e, inevitabilmente, l’offerta risulta frammentata e il potere contrattuale modesto, l’associazionismo risulti la risposta adeguata al superamento di questi vincoli. Ci si dimentica, però, che i costi della concentrazione dell’offerta non scompaiono, né si riducono, quando si sceglie la via dell’associazionismo; ci si dimentica che la lentezza del processo decisionale dell’associazionismo certo non agevola l’esigenza, intrinseca al settore commerciale, della rapidità e flessibilità delle decisioni. La commercializzazione pare muoversi su diverse direttrici di marcia che trovano espressione attraverso i canali commerciali. In questo ambito resta centrale il ruolo del Mercato Comunale alla produzione (ben tre in provincia di Ragusa) che con l’incidenza di circa 1/3 dell’intera produzione costituisce lo sfondo su cui trovano articolazione gli altri. Il canale commerciale attualmente predominante è costituito dai cosiddetti magazzini. Si tratta di imprese che acquisiscono, nelle forme più varie, il prodotto sia direttamente dalle aziende agricole sia dai mercati comunali alla produzione, lo selezionano e confezionano secondo le specifiche della GDO e di altri committenti; questo canale attualmente si stima incida per circa il 50-60%. Vi è poi il canale delle aziende agricole di grande dimensione che tratta la commercializzazione direttamente e che intercetta
Foto R. Angelini
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modello Vittoria probabilmente il 5-8%. Questo canale è assimilabile a quello dell’associazionismo che, nelle sue più svariate forme, tuttavia non lo supera. Infine, va segnalato il canale commerciale delle medie aziende (20-30 mila metri quadri di superficie destinata alla coltura) che, disponendo di sufficiente mano d’opera familiare, commercializzano in proprio, monetizzando il lavoro familiare. Questa ampia articolazione dei canali commerciali conferisce al distretto del pomodoro in serra una notevole flessibilità e capacità evolutiva in grado, in prospettiva, di rispondere alla evoluzione del mercato.
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Conclusioni L’excursus intorno alla coltura del pomodoro in serra nel Vittoriese mette in evidenza una sua elevata caratterizzazione fondata in primo luogo su specifiche risorse climatiche e pedologiche. Su queste si è innestata un’elevata capacità evolutiva della coltura che ha fatto delle crisi una opportunità di mutamento, mentre, dall’evoluzione dei consumi, ha tratto spunto per riaffermare la propria capacità di adeguarsi ai mutamenti socio-economici. L’adeguamento delle strutture e dei metodi colturali, associati a un’articolazione tipologica e varietale, che non ha riscontro in altri territori, testimoniano di una lunga e attiva storia della coltura, che in prospettiva appare garanzia di futuro. Futuro che appare estendersi, più che in altri territori, all’intero contesto socio-economico locale. In definitiva, nel Vittoriese, le superfici destinate alla coltura del pomodoro in serra appaiono in leggera crescita a scapito delle altre specie e, certamente, non è difficile prevedere l’ulteriore affinamento dei metodi colturali e l’ampliamento delle tipologie di prodotto.
Allegagione
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il pomodoro
coltivazione Modello Agropontino Giuseppe Tarantino
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Modello Agropontino Introduzione È stata sicuramente la coltura del pomodoro da mensa ad aver dato un input significativo alla realizzazione delle prime serre in provincia di Latina. Le prime coltivazioni in ambiente protetto di questa solanacea iniziarono a specializzarsi a metà degli anni ’50 del secolo scorso, in un’area compresa tra i comuni di Sabaudia-San Felice Circeo e di Fondi-Sperlonga, fino al comune di Gaeta. In questo territorio, con particolare riferimento all’areale Fondi-Sperlonga dove la coltivazione di pomodoro da mensa in pieno campo era già una tradizione, la coltura trovò condizioni di sviluppo estremamente favorevoli: terreni sabbiosi, abbondanza d’acqua, clima mitigato dalla vicinanza al mare e dalla presenza di laghi, i monti Lepini e Ausoni, a formare una barriera naturale per il contenimento delle ondate di freddo provenienti dal Nord Europa durante i mesi invernali e infine una riserva della biosfera, quale il Parco Nazionale del Circeo. Nella piana di Fondi, negli anni precedenti, già si ottenevano produzioni di pomodoro in coltura semi-forzata, avvalendosi di protezioni mobili costituite da lastre di vetro o stuoie realizzate con cannucce, per proteggere ogni singola piantina fino al raggiungimento di un’altezza massima di trenta-quaranta centimetri, che erano rimosse con il migliorare delle condizioni climatiche.
In sintesi
• Nel Lazio, la coltivazione del pomodoro
da mensa iniziò nell’area GaetaSperlonga in pieno campo per poi svilupparsi in coltura protetta, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, sui terreni bonificati dell’Agropontino e prevalentemente nelle aree di Sabaudia, San Felice Circeo e Fondi-Sperlonga
• La coltivazione è prevalentemente a
ciclo primaverile-autunnale, in serre non riscaldate; accorgimenti come l’uso di nuovo materiale plastico, del doppio telo interno e dell’irrigazione climatizzante esterna consentono di evitare i danni da freddo
• La tipologia a frutto grosso Marmande ha ceduto lentamente il posto ai nuovi ibridi di insalataro e alle tipologie a pezzatura piccola e di diversa forma, a grappolo e a frutto tutto rosso come ciliegino, datterino e mini San Marzano
Prime varietà Marmande fu la prima varietà di pomodoro coltivata in serra negli anni ’50 del secolo scorso. Per circa trent’anni questa varietà ha rappresentato il riferimento quasi unico per la produzione di pomodoro da mensa costituendo per antonomasia il pomodoro tipo insalataro, molto precoce, a portamento semi-determinato,
• Il pomodoro prodotto nell’Agropontino
è assorbito dal grande mercato di Roma ma raggiunge tutti i mercati nazionali ed esteri più importanti grazie alla presenza in zona del Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF), uno dei più grandi d’Europa
Viterbo
Rieti
Roma Frosinone Latina
Zona di produzione del pomodoro da mensa in serra
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modello Agropontino leggermente appiattito, con le caratteristiche costolature molto evidenti, i cui frutti venivano raccolti e venduti a inizio invaiatura allo stadio detto di bandiera. La pezzatura media di ogni bacca era compresa tra i 200 e i 300 grammi e ogni singola pianta portava a produzione circa tre-quattro chili di pomodoro, per una resa commerciabile di circa 500 quintali a ettaro. I primi semi di Marmande erano venduti sfusi, in piccole buste da 50 grammi confezionate direttamente dai rivenditori di zona, che acquistavano il seme dalla società produttrice. Il signor Luca De Luca, rappresentante di terza generazione della ditta De Luca (tra le prime, se non proprio la prima, rivendita di fertilizzanti in Agro di Fondi già dall’immediato dopo guerra) testimonia che da piccolo aveva dal suo papà il compito di aprire le confezioni originali di seme e con un bilancino di precisione, provvedere a confezionare ed etichettare bustine da 50 grammi, che sarebbero state poi vendute agli agricoltori. Il pomodoro Marmande ebbe un gran successo tra i produttori, anche perché poteva essere venduto a completa maturazione sul vicino e altamente recettivo mercato di Roma, come pomodoro da riso. Inoltre, quando in provincia di Latina erano ancora presenti importanti industrie di trasformazione, gli ultimi pomodori di serra, la cui produzione iniziava ad accavallarsi con quella dei pomodori da mensa in pieno campo, erano conferiti alla fabbrica, che apriva così la stagione di trasformazione in attesa che iniziassero i primi conferimenti dei classici pomodori da industria.
Un po’ di storia
• Agropontino, interamente compreso nella
provincia di Latina, è la denominazione del territorio un tempo coperto dalle Paludi Pontine, bonificato definitivamente negli anni Trenta su impulso del governo fascista. I primi abitanti della città di Latina furono immigrati italiani originari del nord-est dell’Italia, principalmente coloni dell’Opera Nazionale Combattenti (ONC) e artigiani, che diedero vita alla comunità veneto-pontina, che oggi sopravvive solo nei borghi. Accanto a essi la città di Latina vide presenti contributi dal Lazio, dalle Marche e dall’Umbria. Grazie alla grandiosa opera di bonifica, nel Lazio è stato possibile introdurre nuove colture. Tra queste le orticole in coltura protetta, oltre a incidere sull’economia del luogo, hanno fortemente caratterizzato l’agricoltura e fornito nuovi modelli produttivi che in seguito saranno imitati con altrettanto successo in altre aree italiane, soprattutto nella parte meridionale (Campania e Sicilia principalmente)
Nuove tipologie La varietà Marmande fu coltivata fino a metà degli anni ’80 del secolo scorso (1986-’87), per essere poi gradualmente sostituita dagli ibridi a iniziare dall’ibrido Early Pack, un pomodoro meno costoluto del suo predecessore, con pezzatura che poteva raggiungere i 350 e perfino i 500 grammi. Altre furono le cultivar che
La raccolta e la lavorazione del pomodoro erano un motivo di vero festeggiamento!
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coltivazione le ditte sementiere proposero in quegli anni; tra esse ricordiamo il pomodoro 715, il 330 (Candela) e, ultimo in ordine di tempo, il pomodoro Arletta che chiuse l’epoca dei cosidetti insalatari alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. I primi anni ’90 videro comparire cultivar di pomodori di tipologia diversa dall’insalataro. Infatti, in fasi successive, la produzione tipica del pomodoro insalataro lasciava gradualmente il posto ad altre tipologie con caratteristiche completamente diverse. I produttori hanno iniziato a coltivare pomodori per raccolta a grappolo, pomodori ciliegini, datterini, pomodori a bacca allungata (Italdor) o semi-allungata (Colonna e Nerina). Ai nostri giorni, i campi di produzione si differenziano tra le due aree tradizionali: in quella di Sabaudia e San Felice Circeo oggi sono affermate principalmente le tipologie a grappolo e insalataro, mentre negli areali di Fondi e Sperlonga alle tipologie a grappolo sono state affiancate le tipologie datterino, ciliegino e allungato.
Ambiente
• L’Agro Pontino è una pianura in gran
parte alluvionale delimitata a ovest e a sud dal mar Tirreno, a est dai primi rilievi appenninici dei monti Lepini e Ausoni, a nord dal medio corso del fiume Astura e dai primi rilievi dei Colli Albani. La Pianura Pontina si può dividere in tre zone: – I l litorale (da Torre Astura a Terracina) è caratterizzato da dune con un’altezza massima di 20 metri – L’interno, costituito da sabbie di colore rossastro, è caratterizzato da altezze comprese fra i 20 e i 40 m/s.l.m. Le valli sono morbide; la vegetazione caratteristica è di tipo mediterraneo, mentre i boschi (pioppi, lecci ecc.) rientrano nell’areale del Parco Nazionale del Circeo
Strutture serricole Nell’Agro Pontino, le prime serre erano delle vere e proprie capanne, realizzate in legno d’abete importato dalla Russia; erano alte al massimo due metri e venti al colmo e un metro e sessanta ai lati. Le finestre, singole e disposte a circa due metri di distanza tra loro, erano posizionate a metà tra un palo laterale di sostegno e l’altro. Era necessario aprirle e chiuderle manualmente una a una, operazione questa che poteva ripetersi anche più volte al giorno in relazione al mutare delle condizioni atmosferiche (vento, pioggia, freddo, caldo). Alla fine degli anni ’70 il sistema d’arieggiamento si trasformò: le finestre singole furono sostituite da un’unica finestra che interessava l’intero laterale della serra, sistema que-
– L ’ex palude fino ai piedi dei Lepini è costituita da cordoni di dune. Prima della bonifica la zona rappresentava una risorsa idrica per la regione Serre in legno a Latina negli anni ’80
Foto V. Magnifico
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modello Agropontino Foto V. Magnifico
Piana di Fondi
• La Piana di Fondi è compresa tra le
pendici dei monti Ausoni a nord – nordovest e quelle degli Aurunci a est – sud-est. Tra il lago di Fondi e il mare c’è l’isola di Fondi, zona formata da terreni sabbiosi. Prima della bonifica avvenuta negli anni ’60 del secolo scorso, la zona era caratterizzata da acquitrini. Nella Piana sono presenti altri due laghi: il lago Lungi e il lago San Puoto (profondo 32 m). La Piana ora bonificata ospita colture arboree ed erbacee
Antiche tipologie di serre nell’Agropontino
sto ancora ampiamente utilizzato nelle nuove tipologie di serra. Negli ultimi quindici-venti anni le strutture in legno sono state sostituite quasi totalmente da strutture in ferro zincato. Le aperture laterali sono state integrate da più efficienti aperture situate sui tetti delle serre, lungo il colmo o alla gronda delle stesse, tutte o in parte meccanizzate con sistemi che consentono l’apertura e la chiusura sia manuale sia elettrica che può essere facilmente computerizzata grazie a sensori termici. Condizionamento ambientale I primi sistemi antigelo erano costituiti da stufe alimentate con bombole a gas, successivamente sostituite da stufe a cherosene. Naturalmente tutte le operazioni d’accensione e di spegnimento, di sostituzione delle bombole esaurite e di riempimento delle stufe con il cherosene avvenivano sempre e solo manualmente. L’esperienza acquisita dai contadini permetteva loro di capire se
Pomodoro insalataro in fase di accrescimento Moderne serre in ferro zincato
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coltivazione
Foto V. Magnifico
durante la notte si sarebbero potute raggiungere temperature prossime allo zero tali da obbligarli a rimanere vigili per l’intera nottata e correre eventualmente nelle serre ad avviare questi primi sistemi antibrina. In seguito fecero la loro apparizione i primi sistemi tecnologici rappresentati da semplici sonde ubicate all’interno delle serre e collegate con un allarme – a volte posizionato sul comodino della camera da letto di quei serricoltori che avevano la propria abitazione all’interno dell’area aziendale. L’allarme entrava in funzione non appena le temperature raggiungevano valori critici allarmando il serricoltore che, in tutta fretta, raggiungeva le serre e avviava le stufe… il rischio del sonno profondo era, però, sempre in agguato! E quando succedeva le migliori produzioni andavano perdute! Una successiva e significativa evoluzione dei sistemi antigelo fu rappresentata dai convettori d’aria calda. Erano macchine che, comandate da un termostato, entravano in funzione distribuendo aria calda all’interno della serra quando le temperature raggiungevano la soglia minima predisposta, in genere intorno a 4 °C. Il grande vantaggio offerto da queste macchine era quello di distribuire il calore in tempi molto brevi all’interno delle strutture e in maniera uniforme rispetto a come potevano fare le stufe a irraggiamento. Si evitavano così immancabili ustioni o infreddature delle piante più vicine o più lontane dalla fonte di calore. Anche a questi impianti furono apportate migliorie al fine di ottimizzare il riscaldamento delle coltivazioni. Anziché avere un solo grande manicone che distribuisse aria calda all’interno della serra, si pensò di convogliare il calore con manicotti di polietilene morbido, di diametro più piccolo rispetto all’originale, che venivano fatti scorrere tra una fila e l’altra della coltivazione e posati al suolo; dai fori laterali l’aria calda veniva convogliata in prossimità delle piante e, soprattutto, a diretto contatto con il terreno. Ciò permetteva di mantenere elevata non solo la temperatura dell’aria ma anche quella del terreno. I convettori d’aria non ebbero però un lungo periodo d’esercizio. Penalizzati dalla grande crisi energetica degli anni ’70
Tipiche serre in legno, le prime ad essere impiegate per la coltivazione del pomodoro nella zona dell’Agropontino
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modello Agropontino del secolo scorso e, quindi, dai costi sempre più elevati dei carburanti, questi efficaci sistemi di riscaldamento furono sostituiti da sistemi antigelo. Sul colmo delle serre, al loro esterno, ancora oggi è possibile notare la presenza di tubi e ugelli che hanno il compito di spruzzare acqua sulla copertura delle serre durante i momenti di freddo intenso, consentendo così di mantenere le temperature interne di qualche grado (4-5 °C) al di sopra della temperatura esterna, con l’unico scopo di non far gelare la coltivazione. Quest’ultimo sistema, se da un lato ha permesso una riduzione dei costi relativi all’approvvigionamento di carburante, dall’altro è una delle cause dell’abbassamento della falda freatica, soprattutto durante inverni particolarmente rigidi, quando gli impianti antibrina sono in funzione per molte notti. Inoltre, in simili condizioni, gli elevati volumi d’acqua distribuiti, provocano eccessi di umidità del suolo anche all’interno delle serre causando lo sviluppo di pericolosi fitoparassiti.
Copertura delle serre
• Le operazioni di copertura, come gran
parte delle altre operazioni colturali che si svolgevano nelle aziende agricole, erano caratterizzate da una forma di cooperazione e aggregazione alla quale partecipavano parenti e vicini. Erano scambi di favori intensamente vissuti e che prevedevano, come premio al termine del periodo di coltivazione, lo stare insieme in una festa comune per gustare ricche grigliate e buon vino
Sistemi di copertura Il primo materiale plastico adoperato era un polietilene stagionale neutro, con spessore non sempre uniforme, variabile tra 0,18 e 0,20 mm. Era venduto in grosse bobine, la cui larghezza non superava i due metri e cinquanta. Pertanto la copertura delle serre, che avveniva ogni anno, era effettuata in senso trasversale sovrapponendo i fogli che venivano fissati tra loro per mezzo di stecche di legno (cantinelle) inchiodati ai montanti superiori delle serre. Questa pratica era demandata ai componenti più giovani e più leggeri della famiglia. Successivamente il polietilene fu prodotto in bobine più larghe, fino ad arrivare a misure di otto, dieci o dodici metri, permettendo così la copertura delle serre in senso longitudinale con un unico foglio.
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coltivazione Tecnica colturale Fino a tutti gli anni ’80 del secolo scorso, la coltivazione del pomodoro in serra è stata una continua ricerca e messa a punto delle tecniche produttive da parte sia dei produttori sia dei tecnici agrari i quali visitavano costantemente le aziende agricole vivendo intensamente tutti gli aspetti agronomici che interessavano la coltivazione. Per i tecnici più giovani, calpestare la terra era il metodo migliore per imparare, ma anche il principale sistema per trasmettere ai produttori agricoli preziose esperienze apprese con l’aggiornamento presso le loro aziende e, soprattutto, attraverso il vissuto quotidiano. Erano tempi di vero pionierismo…! Nei primi decenni e fino ai primi degli anni ’90 del secolo scorso, le piantine erano prodotte direttamente in azienda. Le tecniche di produzione si differenziarono sostanzialmente tra le due principali aree di coltivazione. Tra Sabaudia e San Felice Circeo le piantine erano generalmente prodotte in cubetti di torba. La tecnica era molto semplice: l’agricoltore raccoglieva la torba presso pantani locali, con una molazza provvedeva al suo affinamento e rimescolamento, quindi la stendeva sul terreno per un’altezza di 5 centimetri e successivamente, con stampi artigianali e con un disco rotante collegato a un’asta in ferro, ricavava tanti cubetti da cinque centimetri per lato. Si procedeva quindi alla semina manuale ricoprendo il seme con un ulteriore sottile strato di torba. Le irrigazioni erano eseguite a mano con un semplice tubo in gomma, alla cui estremità era collegato un diffusore (cipolla). Nella piana di Fondi e di Sperlonga la tecnica di produzione delle piantine era basata sulla creazione del tradizionale vivaio a letto caldo. Esso era costituito da uno strato di letame alto 20-25 centimetri; su questo si poggiava un secondo strato di terra, anch’esso alto 2025 centimetri, sul quale si effettuava la semina a spaglio. I semi venivano coperti con un leggero strato di terra setacciata sottile. Le aiole di semina erano contenute da assi di legno; le irrigazioni si effettuavano a mano. Le piantine, una volta giunte allo sviluppo adeguato, venivano strappate dal semenzaio e poste a dimora dove emettevano radici avventizie per superare la crisi di trapianto. In entrambe le aree di produzione, il periodo di trapianto era analogo ed era compreso tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre. Le concimazioni in pre-trapianto consistevano in abbondanti somministrazioni di letame maturo e perfosfato minerale. Le irrigazioni si eseguivano a scorrimento, con l’ausilio perlopiù di paratelle che l’agricoltore realizzava rialzando di alcuni centimetri il terreno proprio durante il defluire dell’acqua. Mentre l’acqua veniva assorbita dal terreno, l’agricoltore passava velocemente tra le file, magari con i piedi a cavallo sui colmi, e distribuiva quei pochi concimi che avevano un certo grado di solubilità (nitrati, solfati e fosfato biammonico). Ai primi anni ’80 del secolo scorso iniziarono a comparire sul mercato i primi fertilizzanti complessi idrosolubili.
Foto R. Angelini
Giovani piantine di pomodoro trapiantate in fila singola su telo pacciamante
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modello Agropontino La tecnica d’irrigazione per scorrimento rimase valida sino alla fine degli anni ’70 e ai primi anni ’80 del secolo scorso quando fecero la loro comparsa i manicotti forati in PVC morbido del diametro di 7-10 cm e muniti di coppie di fori laterali per la fuoriuscita dell’acqua. Era un sistema d’irrigazione che impiegava alti volumi d’acqua, la cui distribuzione era poco omogenea. I primi anni ’90 videro un’importante evoluzione nei sistemi d’irrigazione: iniziarono ad affermarsi le manichette e le ali gocciolanti che distribuivano acqua a goccia e con le quali divenne caratteristico anche il modo di fertilizzare le piante, grazie alla tecnica della fertirrigazione. Le prime manichette erano viste con molta diffidenza da parte dei produttori, che ritenevano insufficiente la quantità di acqua somministrabile alle colture. Anche questa fu una sfida che i tecnici lanciarono e che, nonostante le tante remore da parte dei coltivatori, riuscirono a vincere grazie ai soliti pochi produttori animati da grande spirito innovativo. I sesti d’impianto dei primi anni erano caratterizzati da file singole con un investimento di 30 mila piante a ettaro, che raggiungevano anche le 40-45 mila piante nel comprensorio di Fondi. Da alcuni anni è molto frequente il sesto d’impianto a file binate per l’area di Sabaudia-San Felice, mentre resta ancora valido il sesto di impianto a fila singola nel comprensorio di Fondi. I primi tutori delle piante erano costituiti da canne prelevate presso i canneti prossimi alle zone di produzione. In seguito saranno sostituite dallo spago in polipropilene (spago sisal) e, ultimamente, da spago in materiale biodegradabile. I principali parassiti del pomodoro inizialmente erano costituiti da patogeni fungini; botrite e peronospora potevano rappresentare due parassiti in grado di vanificare l’intera stagione produttiva. Le serre poco arieggiate, i sistemi di irrigazione con alti volumi d’acqua, il limitato numero di fungicidi disponibili, le tecniche col-
Irrigazione per scorrimento, sistema ormai superato dai moderni impianti di irrigazione localizzata
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coltivazione turali ancora poco affinate, costituivano certamente condizioni favorevoli allo sviluppo di questi patogeni. Gli agrofarmaci di cui si disponeva erano esclusivamente prodotti agenti per contatto con scarsa azione curativa. Attorno ai primi anni ’80 del secolo scorso, iniziò una seria e preoccupante diffusione della mosca bianca (Trialeurodes vaporariorum). La lotta chimica contro questo parassita era pressoché inefficace e l’insistenza nel somministrare insetticidi, spesse volte causava più danni da fitotossicità che risultati positivi. In quegli anni iniziarono i primi accenni di difesa integrata, mirati proprio al contenimento della mosca bianca. A causa della inesperienza, i primi serricoltori che cominciarono a utilizzare insetti utili videro spesso vanificati i loro grandi sforzi, tanto che tra loro era frequente sentire l’affermazione: “la moschetta bianca s’è mangiata l’encarsia”… entrata nell’aneddotica della storia della colture protette nell’Agropontino! In seguito, la migliore conoscenza degli insetti utili e dei tempi e modi di somministrazione (lanci) farà progredire questo sistema di lotta inserito a pieno titolo nei disciplinari di produzione biologica e integrata. In seguito altri parassiti fungini e animali si sono succeduti: cladosporiosi, oidio, larve di nottue, liriomiza, tripidi e ultimamente Tuta absoluta, un microlepidottero che, sebbene di recente introduzione nell’areale pontino, è già perfettamente conosciuto dai produttori di pomodoro per i danni che sta arrecando. È utile, comunque, notare che di fronte alle tante avversità che i produttori hanno dovuto affrontare, e che alle volte sono apparse insormontabili, si sono creati nuovi equilibri biologici con l’aiuto determinante sia della natura sia dell’uomo con l’adeguamento delle tecniche di coltivazione sapientemente realizzate.
La botrite, forse il patogeno di maggiore pericolo, era controllata quanto più possibile con interventi a base di ditiocarbammati e zolfo somministrati sotto forma di polvere secca, con risultati alquanto scarsi, soprattutto nelle annate particolarmente favorevoli allo sviluppo del patogeno Foto R. Angelini
Commercializzazione Come per alcuni aspetti della coltivazione, anche la commercializzazione del prodotto finito è sempre stata sostanzialmente diversificata tra le due principali aree di produzione del pomodoro da mensa nell’Agro Pontino. I produttori dell’areale Sabaudia-San Felice Circeo, infatti, conferivano i loro prodotti principalmente al mercato di Roma (il mercato del Trionfale); un brillante bacino di utenza per una popolazione in forte crescita demografica (erano gli anni delle ondate migratorie anche all’interno del nostro Paese e del boom economico che consentiva un consumo di generi alimentari sempre crescente e sempre più esteso a diverse classi sociali comprendenti anche quelle che fino ad allora erano state escluse dal benessere). La vicinanza a Roma delle aree di coltivazione permetteva anche l’approvvigionamento di merce sempre fresca e di grande qualità. Con il trascorrere degli anni, e a seguito dell’aumento delle quantità di produzione, iniziarono a costituirsi le prime cooperative di produzione e commercializzazione, mentre alcuni agricoltori con più sviluppate capacità imprenditoriali, costituirono i primi magazzini di raccolta. In questo modo, i prodotti
Oidio su foglie di pomodoro
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modello Agropontino agricoli non facevano più tappa esclusiva al Trionfale ma erano commercializzati direttamente dalle cooperative e dai magazzini agricoli anche sui mercati del Nord Italia. L’areale di Fondi, al contrario, sviluppò la commercializzazione dei prodotti agroalimentari all’interno della stessa cittadina. Agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso i coltivatori si recavano con i loro prodotti sulla strada Ponte Gagliardo. Qui esponevano lungo i marciapiedi le casse con i loro prodotti in attesa dei clienti. Agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso iniziarono ad aprirsi i primi magazzini che si disposero sempre lungo la via Ponte Gagliardo. I commercianti, oltre che da Roma, provenivano da più parti d’Italia – Campania, Abruzzo, Umbria, Toscana – proprio a dimostrare l’importanza che questa zona ha avuto da sempre nella produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli e dell’ortofrutta in particolare. Tra il 1959 e il 1960 il mercato si trasferì al Campo Boario, sempre all’interno della cittadina di Fondi, andando a occupare una strada più ampia e meno trafficata della precedente. L’esposizione della merce però rimase invariata, in quanto avveniva sempre sulla strada e in qualche raro magazzino. Intanto a partire dai primi anni ’70 del secolo scorso fecero la loro comparsa le prime cooperative agricole. Solo a metà degli anni ’70 (1975-1976) la commercializzazione assunse una connotazione più professionale e più organizzata con la nascita del Mercato Ortoflorofrutticolo di Fondi (MOF). Il MOF diede un grande impulso alla commercializzazione dei prodotti agricoli a seguito del rapido e considerevole aumento dei commercianti provenienti dal Nord e dal Sud Italia, che resero la diffusione dei prodotti agricoli sempre più capillare, favorendo, altresì, una conoscenza sempre maggiore delle produzioni agricole dell’Agropontino, sia a livello nazionale sia europeo.
Valore dell’agricoltura nella storia dell’Agropontino
• È questa una breve storia della
coltivazione del pomodoro da mensa nell’Agropontino; molte cose si sarebbero potute aggiungere. Certamente si è trattato di un periodo di vera agricoltura, che ha saputo produrre prodotti di sempre migliore qualità al passo con le esigenze del mercato, del consumatore e del delicato ambiente. Malgrado la sempre maggiore tecnocrazia, le tante certificazioni e le regole burocratiche spesso rigide e difficilmente applicabili, non è stato svilito il compito del “contadino” in omaggio all’antico e fondamentale concetto secondo il quale “la base fondamentale della comunità è l’agricoltura, la lavorazione del suolo”. E ciò resterà vero a lungo per l’Agropontino e le sue colture protette e di pieno campo
Danno e larva di nottua su bacca in accrescimento
Foto R. Angelini
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il pomodoro
coltivazione Modello Piana del Sele Carlo Schettini
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coltivazione Modello Piana del Sele Introduzione La coltivazione del pomodoro da mensa in coltura protetta iniziò a svilupparsi nella Piana del Sele (Salerno) intorno ai primi anni ’80 del secolo scorso. Le prime conoscenze si acquisirono in seguito al trasferimento di informazioni e lavoratori dal vicino Agro Nocerino-Sarnese area, quest’ultima, da sempre coltivata eminentemente a ortaggi e patria del famoso pomodoro lungo San Marzano. Negli anni ’80 del secolo scorso, quando la coltivazione in serra non era così altamente specializzata, si usava ospitare le coltivazioni in strutture alte al massimo 2 metri e lunghe fino a 60 metri, al fine di recuperare quanto più possibile terreno e lasciare meno tare improduttive. Progressivamente, registrandosi nel tempo un aumento delle temperature medie (soprattutto quelle invernali), le aziende della Piana hanno cominciato ad adottare diverse tipologie di serra. Il cambiamento è stato realizzato anche in vista della necessità di ottenere qualità superiori dei prodotti orticoli e dell’esigenza di ridurre gli input chimici. Venivano, quindi, installa-
In sintesi
• La Piana del Sele è una pianura campana dall’estensione di circa 500 km2 (con una SAU totale di circa 20.000 Ha) ubicata nella provincia di Salerno. Il territorio si sviluppa lungo il percorso del fiume Sele delimitato, a nord dai monti Picentini, a sud dai rilievi del Cilento e a est dai monti Alburni
• Un tempo la zona era caratterizzata
in misura notevole da aree palustri. A partire dal 1882 e fino agli anni ’50 del Novecento, sono state effettuate consistenti opere di bonifica. Nel 1981 fu istituita l’Oasi di Persano attorno a un lago artificiale venutosi a formare a causa dello sbarramento del fiume Sele con una diga. In seguito alla bonifica e alla costruzione della diga, furono eseguiti ulteriori miglioramenti con la realizzazione di molteplici canali per l’irrigazione dei campi. Queste opere hanno contribuito a un graduale aumento di fertilità dei terreni facilitando, negli anni, lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, rendendo così possibile il rilancio economico dell’intero territorio
Foto R. Angelini
Foto V. Magnifico
Strutture serricole titpiche della Piana del Sele Pomodoro lungo insalataro
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modello Piana del Sele te serre più alte al colmo e di minore lunghezza onde facilitare la ventilazione e quindi ridurre l’umidità. In questo modo si riducevano anche i rischi di insorgenza di diverse patologie. Attualmente le serre installate nella zona, prevedono un’altezza in gronda di 2,2 metri e sono lunghe non più di 40 metri. Dispongono di aperture in testata e nei laterali e non presentano sistemi di riscaldamento. Le strutture sono realizzate con telaio in ferro zincato e copertura in plastica e vengono disposte in multi tunnel con ogni singolo elemento largo 7,20 metri e avente una superficie media di 0,5 ettari.
Ambiente
• La Piana del Sele è nata come zona
a indirizzo prevalentemente cerealicolozootecnico per poi, col tempo, fare spazio alla frutticoltura e negli ultimi venti anni specializzarsi nell’orticoltura
• I suoli dell’areale sono prevalentemente
Scelta del materiale di coltivazione Come per tutti i prodotti orticoli, la scelta del materiale di coltivazione è naturalmente ben ponderata e fatta essenzialmente in funzione della richiesta del mercato. Considerata dunque la buona domanda di pomodoro lungo insalataro da parte di tutti i mercati nazionali, gli orticoltori della Piana del Sele hanno raggiunto un elevato grado di specializzazione nelle pratiche colturali e gestionali. Con l’evoluzione delle tecniche e delle esigenze commerciali e di coltivazione, dalle varietà lunghe tipologia San Marzano si è passati a tipologie tonde insalataro verde e alla limitata presenza di tipologie a grappolo e ciliegino con frutto completamente maturo. Nella Piana del Sele si cerca di evitare lo scontro con gli orticoltori siciliani specialisti nella produzione di cherry e grappolo essendo essi favoriti sia dalle caratteristiche pedoclimatiche sia da una grande esperienza e tradizione. Non dimentichiamo che la coltivazione del pomodoro ciliegino o cherry in coltura protetta nel Sud-Est della Sicilia insiste su una superficie di circa 1500 ha! Da qui nasce la continua ricerca, da parte degli orti-
di natura argilloso-limosa e limoargillosa e di origine vulcanica. Le precipitazioni medie annuali sono pari a 904 mm, mentre l’evapotraspirazione di riferimento (calcolata con la formula di Blaney-Criddle) è di 1115 mm
• Principalmente vengono coltivati
mais, foraggere, patate, ortaggi (carciofo, cavolfiore, insalate, fragola, melone, peperone e pomodoro), pesco, actinidia, albicocco e pero. Un altro importantissimo comparto è quello degli allevamenti bufalini per la produzione della pregiata mozzarella aderente al marchio Mozzarella di Bufala Campana DOP Foto R. Angelini
Foto V. Magnifico
Lancelot Vista interna di una serra in Campania
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coltivazione coltori campani, di prodotti alternativi, la cui coltivazione sia favorita anche da terreni e acque con bassi valori di conducibilità elettrica. Il pomodoro lungo, raccolto a verde come insalataro, rappresenta invece la tipologia più commercializzata nella Piana del Sele dove viene coltivato oltre il 70% del pomodoro da mensa in Campania. Nell’ambito della tipologia a frutto lungo, una sola varietà (Lancelot) rappresenta circa il 70% del totale coltivato nella Piana del Sele e il 50% della produzione campana. Questa varietà risulta essere anche la più utilizzata nel primo ciclo di coltivazione, dato che risulta essere una cultivar precoce e con eccellenti caratteristiche del frutto come colore e pezzatura (in media 120 grammi), lento viraggio, ottima tenuta a maturazione, regolarità e uniformità di produzione.
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Tecnica colturale Le prime operazioni colturali iniziano di solito a gennaio con la preparazione del terreno mediante un’aratura a media profondità seguita da un’erpicatura e una fresatura. Dopo questi interventi, viene disposto il telo pacciamante costituito, generalmente, da un film plastico nero che consente di contenere lo sviluppo di erbe infestanti e mantenere umido il terreno. Il trapianto si pratica verso gennaio-febbraio e, fino ad aprilemaggio periodo in cui si svolge la raccolta, si effettuano tutte le operazioni colturali di legatura, scacchiatura, sfogliatura e cimatura. La densità d’impianto solitamente attuata è di 2,5-3 piante/ m2 circa, mentre il sesto di impianto varia a seconda del tipo di serra utilizzata. Con serre larghe 7,20 metri si distribuiscono 6 file distanziate 120 cm l’una dall’altra e le piante sono disposte, sulla fila, a circa 30 cm di distanza.
Foto V. Magnifico
Foto V. Magnifico
Legatura delle piante di pomodoro con lo spago
Serre a Paestum
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modello Piana del Sele Per le aziende che scelgono di coltivare in fila binata, si posizionano le piante a una distanza di 80 cm sulla bina, con uno spazio di circa 150 cm tra una bina e l’altra. Le piante risultano distanziate sulla fila di 30-35 cm. Per le varietà a sviluppo indeterminato, si usa sostenere le piante con fili di spago assicurati alla gabbia preparata all’interno della serra. La gabbia è costituita da un reticolo di ancoraggio formato da fili di ferro disposti nella parte superiore della serra. Questa operazione si svolge 10-15 giorni dopo il trapianto. Nei casi di varietà a sviluppo determinato, le piante si legano ai classici tutori di bambù. Si interviene con la classica scacchiatura per eliminare i getti laterali e con la cimatura quando le piante sviluppano il 6°-7° palco e hanno raggiunto un’altezza di 2-2,20 metri. Poco prima della raccolta, per limitare le infezioni da muffa grigia, si effettua la pulizia delle foglie basali, operazione questa, che migliora l’arieggiamento. La raccolta inizia a fine aprile e prosegue fino verso la fine di maggio-inizio di giugno quando si realizza la piena raccolta. Le tecniche di coltivazione sono comunque variate negli anni in funzione delle diverse esigenze commerciali, economiche e ambientali. Oltre alla continua attenzione verso le richieste della Grande Distribuzione Organizzata, si mira alla riduzione degli input chimici per la difesa delle piante e nel sempre crescente rispetto dell’entomofauna utile, mentre la diffusione della fertirrigazione dinamica deriva dal crescente interesse, da parte degli operatori, a ridurre l’impatto ambientale nonché le spese richieste per la concimazione. L’utilizzo delle ormonature è praticamente
Coltivazione di pomodori della varietà Cencara
Coltivazione tradizionale che precede il sostegno delle piante mediante canne incrociate a “triangolo” o a “castelletto”
Foto R. Angelini
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coltivazione scomparso lasciando spazio all’istallazione di arnie di insetti pronubi (per esempio Bombus terrestris) usati per l’impollinazione dei fiori nelle serre.
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Difesa integrata Gli orticoltori tendono a rispettare standard qualitativi sempre più elevati spinti da una richiesta sempre più esigente in termini di sicurezza alimentare e qualità dei prodotti. Per tale motivo, al fine di mettere a punto una corretta e razionale strategia di difesa, si pone particolare attenzione ai vincoli posti dai disciplinari di produzione per la scelta degli agrofarmaci. Il controllo dei patogeni fungini della parte aerea si effettua con un attento monitoraggio allo scopo di razionalizzare le applicazioni di agrofarmaci e ottimizzare i costi della difesa. Tra le patologie più diffuse e più impegnative ricordiamo l’oidio (Leveillula taurica e Oidium lycopersicum), la peronospora (Phytophthora infestans) e la cladosporiosi (Cladosporium fulvum). Anche nella Piana del Sele nella coltivazione del pomodoro da mensa assume particolare rilievo la lotta al tripide (Frankliniella occidentalis), agente di danno diretto sui frutti e vettore del Tomato Spotted Wilt Virus. Data l’estrema pericolosità dell’insetto, l’intervento, all’occorrenza, è integrato da trattamenti chimici. Tuttavia nella coltivazione del pomodoro si vanno sempre più diffondendo, nella piana del Sele, cultivar tolleranti al TSWV. Grande rilevanza per il pomodoro riveste la lotta agli Aleurodidi come Trialeurodes vaporariorum vettore del Tomato Infectious Chlorosis Virus, il cui
Peronospora (nella foto sintomi a carico delle bacche), oidio e cladosporiosi sono le patologie più temibili nelle serre della Piana del Sele
Panoramica della Piana del Sele
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modello Piana del Sele controllo è affidato prevalentemente ai neonicotinoidi da soli o in miscela mentre nelle aziende di agricoltura biologica si utilizza il miride predatore Macrolophus caliginosus. Il controllo delle larve di lepidotteri (per esempio Spodoptera spp., Mamestra spp., Heliothis spp.) viene operato con formulati a base di Bacillus thuringiensis assolutamente selettivi e agrofarmaci dotati di totale selettività verso Orius e Bombus. Tra gli acari il più diffuso è il ragnetto rosso (Tetranychus urticae) che, dopo attento monitoraggio, si contrasta con trattamenti localizzati di infezione solitamente con prodotti a base di zolfo e cercando di mantenere un clima in serra non troppo secco. Il nuovo pericolo è rappresentato dal lepidottero gelichide minatore fogliare Tuta absoluta, che se non controllato bene porta alla morte della pianta nell’arco di pochi giorni.
Foto R. Angelini
Commercializzazione I pomodori da mensa prodotti nella Piana del Sele, anche grazie a numerose e importanti associazioni di produttori, trovano collocazione soprattutto sui mercati nazionali o inviati alla GDO italiana mentre l’esportazione trova seri concorrenti nelle produzioni spagnole e siciliane. Purtroppo, il futuro del pomodoro nella Piana non è roseo. L’enorme diffusione delle colture di IV gamma ha soppiantato la coltura del pomodoro da mensa che è relegato ormai ad aziende di medio-grande estensione provviste di macchinari per la lavorazione, la calibrazione e la conservazione del prodotto. Foto R. Angelini
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il pomodoro
coltivazione Coltivazione fuori suolo Angelo Parente, Salvino Leoni
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
coltivazione Coltivazione fuori suolo Introduzione I sistemi di coltivazioni senza suolo o “idroponici” rappresentano un’alternativa alla coltivazione delle piante nel terreno. Con queste tecniche, che possono o meno prevedere l’utilizzazione di un substrato (tra i più comuni: perlite, lana di roccia, pomice, torba, fibra di cocco, da soli o in miscuglio), i nutrienti necessari alla crescita dei vegetali vengono veicolati con l’acqua (soluzione nutritiva). Salvo casi particolari, si tratta di coltivazioni realizzate in ambiente protetto, con tecnologia e investimenti di capitali elevati. Consentono però produzioni più alte rispetto a quelle che si ottengono su terreno, utilizzano con maggiore efficienza acqua, elementi nutritivi e spazio e, opportunamente gestite, possono presentare un impatto ambientale molto più basso. Ai sistemi senza suolo vengono ascritti numerosi vantaggi riconducibili alle migliori condizioni climatiche in cui le piante sono allevate, al loro migliore stato fitosanitario e all’apporto ottimale, rispetto alle esigenze, di acqua ed elementi nutritivi. Limitando l’elenco solo ai principali, i sistemi senza suolo consentono: – di coltivare anche in presenza di suoli marginali o non idonei alla normale coltivazione (infetti, contaminati, con caratteristiche fisico-chimiche scadenti); – di ottimizzare l’utilizzazione dello spazio in serra; – di aumentare l’efficienza d’uso di acqua e fertilizzanti, connessa con la possibilità di calibrare con precisione il momento dell’intervento irriguo, la quantità di soluzione nutritiva da distribuire, la concentrazione e i rapporti tra i diversi elementi nutritivi in funzione dello stadio fenologico della pianta.
Le foglie abbandonate sul pavimento della serra dopo la sfogliatura, possono diventare pericolosi focolai di diffusione di patogeni
Coltivazione di pomodoro in fuori suolo
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coltivazione fuori suolo L’insieme di questi fattori porta a una maggiore uniformità e precocità di produzione, oltre che all’incremento della produzione stessa. Ovviamente, i sistemi idroponici presentano anche alcune criticità che vanno attentamente valutate per evitare di commettere errori grossolani che porterebbero al fallimento della coltivazione. Oltre agli elevati costi iniziali di investimento, infatti, richiedono personale specializzato e sono più esposti alla diffusione di patogeni per cui necessitano del rispetto di elementari norme igieniche all’interno dell’apprestamento. Sistemi di coltivazione senza suolo Uno dei criteri di classificazione dei sistemi senza suolo si basa sulla possibilità di riutilizzare o meno la soluzione nutritiva. Da questo punto di vista si distinguono: sistemi a ciclo aperto e sistemi a ciclo chiuso. – Sistemi a ciclo aperto. Sono tra i più diffusi perché più semplici da gestire in quanto la soluzione nutritiva non viene recuperata dopo la somministrazione alla coltura. Prevedono la coltivazione delle piante su un opportuno substrato, contenuto in vasi o in sacchi di polietilene, e la distribuzione della soluzione nutritiva tramite gocciolatori. La preparazione della soluzione nutritiva e la sua erogazione possono essere automatizzate. In questi ultimi anni la sostenibilità ambientale dei sistemi a ciclo aperto è però stata messa in discussione, perché per evitare l’accumulo di sali nel substrato, che potrebbero interferire negativamente con l’accrescimento della pianta, si ricorre a frazioni elevate di drenato (rapporto percentuale tra la quantità di soluzione che fuoriesce dalla unità di coltivazione e quella erogata nell’unità di tempo) che, a seconda della specie e dello stadio fenologico, possono
Piante di pomodoro coltivate in vaso a ciclo aperto
Coltivazione di pomodoro a ciclo aperto su lastre di lana di roccia
Fertirrigatore per la preparazione e distribuzione della soluzione nutritiva
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coltivazione Bilancio idrico e minerale di una coltura di pomodoro
Distribuzione: - Acqua 11.500 m3/anno - Nutrienti 23 t/anno (1,8 t di N)
Asportazioni: - Acqua 8400 m3/anno - Nutrienti 15 t (1 t di N)
Produzione: 45 kg/m ∙ anno Efficienza d’uso dell’acqua: 0,04 kg/l 2
In un sistema a ciclo aperto la soluzione che drena finisce nel terreno contribuendo all’inquinamento ambientale
Perdite per drenaggio: - Acqua 3000 m3/anno - Nutrienti 8 t/anno (di cui 0,8 t di N)
variare tra il 20 e il 50%. Frazioni di drenaggio così elevate comportano perdite di acqua ed elementi nutritivi anche molto alte nelle condizioni tipiche del Bacino del Mediterraneo. Nei Paesi dove la coltivazione senza suolo è più diffusa, come per es. l’Olanda, si è assistito a una progressiva limitazione di questa modalità di gestione delle coltivazioni senza suolo a favore dei sistemi a “ciclo chiuso”, che riutilizzando la soluzione nutritiva, rilasciano nell’ambiente soltanto minime quantità di reflui.
Principali aspetti positivi e negativi dei sistemi senza suolo a ciclo aperto e a ciclo chiuso Consumo ed efficienza d’uso dell’acqua (WUE – water use efficiency) del pomodoro ciliegino coltivato a ciclo aperto (drip) e chiuso (subirrigazione) Sistema Drip Subirrigazione Significatività (1)
(1)
Consumo di acqua
WUE
(l/pianta)
(g/l)
89
27
84
24
*
**
Soluzione nutritiva
Pompa
Moduli di coltivazione
Ciclo chiuso = Recupero Drenato Ecosostenibile Risparmio di acqua Risparmio di nutrienti
*, **, significativo per P≤0,05 o 0,01 rispettivamente
Fonte: Santamaria et al., 2003
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Costo maggiore Gestione complessa Ciclo aperto = Ambiente Rischi fitopatologici elevati Gestione semplice Impatto ambientale Costi minori Spreco di nutrienti Rischi fitopatologici minori Spreco di acqua
coltivazione fuori suolo – Sistemi a ciclo chiuso. In questo caso la soluzione nutritiva distribuita in eccesso viene recuperata e riutilizzata nelle fertirrigazioni successive. Possono essere ulteriormente distinti in “sistemi continui”, quando la soluzione nutritiva viene riutilizzata per tutta la durata del ciclo colturale, e “discontinui”, quando, invece, la soluzione viene periodicamente sostituita con soluzione di nuova preparazione. Il principale vantaggio dei sistemi a ciclo chiuso è rappresentato dalla maggiore efficienza d’uso di acqua e fertilizzanti, che si traduce in consumi minori e, quindi, nel minore impatto ambientale, legato anche all’assenza di rilascio nell’ambiente di sostanze potenzialmente inquinanti (sali fertilizzanti, in particolare). Il risparmio di risorsa idrica, inoltre, assume particolare importanza nei paesi del Mediterraneo caratterizzati da limitate disponibilità di acqua di buona qualità per uso irriguo. L’adozione del ciclo chiuso, però, rende più complessa la gestione del sistema, perché l’assorbimento selettivo degli elementi nutritivi da parte delle piante comporta la riduzione della quantità di ioni utili nella soluzione (quali l’azoto) e l’accumulo di ioni poco assorbiti dalla pianta (soprattutto sodio, cloro e zolfo). In generale, l’acqua di partenza condiziona la riutilizzazione della soluzione nutritiva: acque di buona qualità non comportano grossi vincoli, mentre il ricircolo è problematico quando la conducibilità elettrica dell’acqua di partenza supera 1 dS/m. Altre criticità dei sistemi a ciclo chiuso sono rappresentate dall’accumulo di essudati radicali a livello delle radici e dalla maggiore esposizione delle piante alla proliferazione di patogeni dell’apparato radicale, ragion per cui è buona norma prevedere sistemi di disinfezione della soluzione nutritiva. Tra i principali sistemi a ciclo chiuso utilizzati nella coltivazione del pomodoro si ricordano l’NFT (Nutrient Film Technique) e la subirrigazione.
Nutrient Film Technique (NFT)
• Le piante sono coltivate dentro
a canalette in pendenza all’interno delle quali scorre la soluzione nutritiva alternando pause di 5-10 minuti ogni 30 di erogazione. Con questo sistema, è importante che la lunghezza delle canalette non superi 20-30 m per evitare fenomeni di anossia nelle piante poste nel tratto finale ed è bene prevedere punti di ossigenazione della soluzione nutritiva mediante un salto della soluzione
Particolare del sistema NFT
Piante di pomodoro allevate in NFT
Punto di ossigenazione: compiendo un “salto” la soluzione nutritiva si arricchisce di ossigeno
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coltivazione Subirrigazione in canaletta Subirrigazione in canaletta
• Le piante sono allevate in vasi riempiti
di substrato e alloggiati in canalette inclinate. La soluzione nutritiva scorre all’interno di tali canalette, bagna la parte basale del vaso e viene assorbita dal substrato. All’interno del vaso si crea un flusso di acqua ed elementi minerali che dal basso si muovono verso l’alto. La soluzione non assorbita dai vasi torna al serbatoio di raccolta e viene riutilizzata nelle fertirrigazioni successive. Tra gli aspetti positivi c’è la maggiore efficienza d’uso degli apporti idrici con risparmi di acqua anche fino al 17% rispetto all’NFT
Canaletta (pendenza 0,5-1%)
Linea di raccolta soluzione nutritiva Serbatoio soluzione nutritiva Pompa
Soluzione nutritiva Per la crescita e la produzione, le piante richiedono 16 elementi minerali: carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), forniti dall’aria o dall’acqua, azoto (N), fosforo (P), potassio (K), calcio (Ca), zolfo (S), ferro (Fe), magnesio (Mg), boro (B), manganese (Mn), rame (Cu), zinco (Zn), molibdeno (Mo) e cloro (Cl) che devono essere forniti con i fertilizzanti. Altri elementi non essenziali, quali silicio (Si), sodio (Na) e selenio (Se), possono essere aggiunti alla soluzione nutritiva per particolari scopi. In letteratura si possono reperire numerose “ricette” nutritive anche riferite a una stessa specie.
Piante di pomodoro coltivate con la tecnica della subirrigazione in canaletta all’inizio della fase produttiva
Pomodoro coltivato in subirrigazione. Si notino l’elevata uniformità delle piante e, sulla sinistra, il telo bianco/nero alzato per limitare le perdite di acqua dalla canaletta per evaporazione
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coltivazione fuori suolo Concentrazione (mg/l) dei macro elementi nella soluzione nutritiva utilizzati per la coltivazione senza suolo in vaso del pomodoro ciliegino Stadio fenologico
N
K
P
Mg
Ca
S
Trapianto – formazione 1° palco
150
200
50
54
150
18
Formazione 1° palco – inizio maturazione 2° palco
150
300
50
54
150
50
Inizo maturazione 2° palco – fine ciclo
120
280
40
54
180
97
Un po’ di storia
• I primi esempi di coltivazione
idroponica si ritrovano nei giardini pensili Babilonesi (600 a.C.) e nelle chinampas degli Aztechi, veri e propri orti galleggianti. I primi studi scientifici si attribuiscono a Woodward (1699) e Sachs e Knop (1860) i quali coltivarono le piante in una soluzione nutritiva a composizione chimica controllata, mentre l’utilizzazione dei sistemi senza suolo su scala commerciale è di Gericke (1929), in California, che coniò i termini di acquacoltura e idroponica. In seguito, Hoagland e Arnon (1938) studiarono la nutrizione delle piante coltivate in idroponica e ne pubblicarono le linee guida con l’obiettivo di divulgare la tecnica. È sul finire degli anni ’60 che l’interesse per le tecniche di coltivazione senza suolo si rinnova grazie all’economicità dei manufatti di plastica. Nel corso degli anni settanta alcuni ricercatori inglesi misero a punto la tecnica NFT
Fonte: Santamaria et al., 2003
La capacità delle piante di assorbire gli ioni minerali secondo rapporti funzionali alle proprie esigenze consentirebbe di definire una soluzione nutritiva “universale” con un rapporto pari a 60:5:35 tra NO3–, H2PO4– e SO42–, rispettivamente, e 35:45:20 tra K+, Ca2+ e Mg2+ (espressi in milliequivalenti). Il rapporto di ciascun ione, comunque, può variare anche sensibilmente all’interno di un intervallo abbastanza ampio. In realtà, numerose sono le variabili coinvolte nella formulazione della soluzione nutritiva tanto che non esiste una formula generale. Le principali sono: ultivar e forma di allevamento. Per esempio, le cultivar di –c pomodoro ciliegino, caratterizzate da notevole vigoria, richiedono quantità minori di N, soprattutto nelle prime fasi vegetative, così come l’allevamento a più branche comporta l’adozione di una soluzione nutritiva diversa rispetto alla forma di allevamento monostelo; –s tadio di crescita della coltura. La soluzione nutritiva dovrebbe avere rapporti tra i nutrienti pari a quelli con cui sono assorbiti dalla pianta. Tali rapporti possono modificarsi soprattutto quando la durata del ciclo colturale è piuttosto lunga. Nel pomodoro, quando il primo palco è in fiore il rap-
• In Italia, malgrado l’intensa attività
scientifica e il know how accumulato, soprattutto in Sardegna, le coltivazioni senza suolo, destinate prevalentemente alla coltivazione del pomodoro, interessano meno del 3% dell’intera superficie orticola
Alcune soluzioni nutritive proposte per la coltivazione del pomodoro senza suolo Riferimento
Elementi (mg/l) N
P
K
Ca
Mg
S
Fe
Mn
Cu
Zn
B
Mo
Hoagland e Arnon
210
31
234
160
48
64
0,6
0,5
0,02
0,05
0,5
0,01
Resh
175
65
400
197
44
197
2
0,5
0,03
0,05
0,5
0,02
Verwer
173
39
280
170
25
103
1,7
1,1
0,017
0,25
0,35
0,058
Graves
175
50
400
225
50
-
3
1,0
0,1
0,1
0,4
0,05
Fonte: Schwarz, 1995
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coltivazione porto tra K+ e N deve essere di 1,2:1. Quando però la fioritura raggiunge il nono palco fiorale, il rapporto aumenta e può raggiungere anche 2,5:1. Questo perché la richiesta di K+ aumenta in proporzione alla carica di frutti: circa il 70% del K+ assorbito, infatti, si trova nei frutti. La corretta nutrizione minerale consente di aumentare la produzione, migliorando spesso le caratteristiche qualitative. Sempre per il pomodoro, con l’aumentare della concentrazione di K+ nella soluzione nutritiva la produzione aumenta fino a raggiungere il massimo in corrispondenza di 150 mg/l e poi, per dosi crescenti, diminuisce ma la colorazione delle bacche migliora nettamente. Nella pratica, la formulazione dei nutrienti viene modificata in funzione dello stadio fenologico della pianta. Nel caso del pomodoro di solito si utilizzano almeno tre ricette; – ciclo colturale. Per migliorare la nutrizione delle piante sulla base delle condizioni ambientali si può aumentare la conducibilità elettrica della soluzione nutritiva durante condizioni di radiazione solare bassa. Anche il rapporto K+/N è importante: durante il periodo primaverile-estivo, con elevata radiazione e molte ore di sole, la pianta ha bisogno di più N e meno K+ rispetto all’inverno, con giornate corte e buie. È comune quindi aumentare il rapporto K+/N durante l’inverno; – sistema senza suolo utilizzato. La tipologia di sistema utilizzato condiziona la formulazione della soluzione nutritiva. A parità di specie, la concentrazione degli elementi nutritivi è più alta quando la soluzione viene distribuita dall’alto (per esempio nei sistemi con gocciolatori) rispetto a quando è distribuita dal basso (subirrigazione), poiché in quest’ultimo caso non c’è l’effetto dilavante e i sali si concentrano nel substrato per risalita capillare. Con l’NFT le piante tollerano livelli di nutrienti molto più bassi rispetto ad altri sistemi in quanto gli ioni asportati dalle radici sono ripristinati in continuo. Le soluzioni nutritive per i sistemi di allevamento a ciclo chiuso hanno quindi una concentrazione ionica inferiore in confronto alle soluzioni nutritive utilizzate nei sistemi a ciclo aperto.
Datterino in coltura fuori suolo
Contenuto in macroelementi nella soluzione nutritiva per pomodoro Elemento
Ciclo chiuso
Ciclo aperto
mmol/l
NO3
10,7
16,0
K
6,5
9,5
Ca
2,7
5,4
NH4
1,0
1,2
Mg
1,0
2,4
SO4
1,5
4,4
H2PO4
1,2
1,5
Substrati di coltivazione Nelle coltivazioni senza suolo una delle scelte fondamentali che operatori e tecnici devono compiere riguarda l’individuazione del substrato di coltivazione. Un qualsiasi materiale per essere utilizzato a tale scopo deve essere in grado di sostenere la pianta, fornire aria, acqua e nutrienti alle radici ed essere esente da patogeni o sostanze fitotossiche. Non esiste un substrato universale, valido in tutte le situazioni di coltivazione, ma è opportuno esaminare le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, dei singoli materiali in modo da effettuare la scelta corretta.
Fonte: Voogt e Sonneveld, 1997
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coltivazione fuori suolo Caratteristiche fisiche Le principali sono: – Porosità: è determinata dal volume complessivo dei pori presenti nella massa del substrato che possono essere riempiti da acqua o aria. Un buon mezzo di coltura deve essere in grado di garantire un’aerazione sufficiente per le radici. In un substrato ideale la porosità totale dovrebbe raggiungere almeno l’85% del volume. In generale, i substrati minerali granulari (perlite per es.) presentano un’elevata capacità per l’aria e drenano con facilità, trattenendo poca acqua; i substrati fibrosi (come torba, lana di roccia, fibra di cocco) tendono a presentare una porosità libera relativamente ridotta ed elevata capacità di ritenzione idrica. – Densità apparente: esprime il peso del substrato secco riferito all’unità di volume apparente. I valori ottimali oscillano tra 400
Principali substrati utilizzati nelle coltivazioni senza suolo
• Torba: può essere distinta in base al
colore in: bionda, bruna e nera. La torba bionda è tendenzialmente acida e ha salinità molto bassa (50-150 µS/m). La torba scura, più decomposta, ha pH neutro e conducibilità elettrica più elevata (400-2.500 µS/m). Le torbe hanno un costo relativamente elevato e rappresentano un materiale esauribile
• Fibra di cocco: è un materiale
rinnovabile, con ottima capacità di ritenzione idrica. Prima dell’impiego va reidratata. Può presentare salinità e rapporto C/N elevati, a seconda della zona di origine
Principali substrati di coltivazione
• Posidonia: i residui spiaggiati possono rappresentare un substrato colturale meglio se compostati. Il compost ha ridotta densità apparente, elevata porosità, elevata aerazione
Torba scura
• Perlite: inerte, sterile, molto leggera. Non
Fibra di cocco
determina fenomeni di asfissia radicale, anche quando si erogano quantità elevate di soluzione nutritiva
• Lana di roccia: è leggera, sterile e stabile
Compost ottenuto dai residui di posidonia
nel tempo. Presenta elevata capacità di ritenzione idrica ma ha porosità libera molto ridotta, per cui può dare problemi di asfissia. Accanto al costo di acquisto piuttosto elevato presenta anche un costo di smaltimento, poiché in Italia è considerato rifiuto speciale
Perlite
• Pomice: è un substrato sterile di
origine vulcanica, stabile, utilizzato per rendere più permeabili all’aria substrati tendenzialmente asfittici . Ha buona porosità e bassa capacità di ritenzione idrica
Lana di roccia
Pomice
381
coltivazione e 500 g/l. Vi è una correlazione diretta tra densità e porosità espressa con la formula: P = 98 – 36,2 d (dove P e d rappresentano, rispettivamente, porosità e densità). La densità apparente influenza le caratteristiche idriche del substrato, l’aerazione, la porosità, l’ancoraggio dell’apparato radicale, la stabilità del contenitore, la facilità di trasporto. – Capacità di ritenzione idrica: cioè la quantità di acqua che permane nel substrato, in precedenza saturato, dopo lo sgocciolamento. – Curva di ritenzione idrica: è specifica per ciascun materiale, e rappresenta la relazione che lega la “forza” con cui l’acqua è trattenuta dal materiale (tensione) al suo contenuto in acqua. La curva di ritenzione dipende dalla presenza di macro e micropori al suo interno. Convenzionalmente, sulla curva si identificano tre punti caratteristici: – acqua facilmente disponibile: è la percentuale del volume di acqua che il substrato rilascia nell’intervallo di tensione da 1 a 5 kPa e rappresenta la quantità di acqua che la pianta può assumere con il minimo dispendio di energia; – acqua di riserva: è il volume di acqua che il substrato rilascia nell’intervallo da 5 a 10 kPa. Rappresenta la quantità di acqua che la pianta può assumere (quindi ancora “disponibile”) ma con un impegno energetico maggiore. La somma dei due valori precedenti determina il volume di acqua utilizzabile, cioè la quantità di acqua che le piante hanno a disposizione per le proprie esigenze idriche. Oltre 10 kPa il volume di acqua presente è acqua non utilizzabile;
a
b
Curva di ritenzione idrica
Substrati alternativi a basso costo. Paglia di cereali (a), vinacce esauste di distilleria (b), lapillo vulcanico (c), paglia marina (Posidonia oceanica) (d)
Tensione applicata
382
10 kPa
Volume apparente
d
Capacità per l’aria 100 90 80 70 Volume fase gassosa 60 50 Volume fase liquida 40 Acqua facilmente 30 disponibile Acqua di riserva 20 10 Volume fase solida 0 0 1 5
Porosità
Volume %
c
coltivazione fuori suolo – capacità per l’aria: è la percentuale del volume occupato dall’aria alla tensione 1 kPa. Un adeguato contenuto di ossigeno nel mezzo di coltivazione è indispensabile per l’attività metabolica delle radici. La capacità di ritenzione idrica di un substrato varia non solo in funzione delle caratteristiche intrinseche ma anche con l’altezza del contenitore in cui è contenuto. In generale, a parità di substrato, minore è l’altezza del contenitore, maggiore è la frazione di porosità occupata dall’acqua e minore quella occupata dall’aria. Caratteristiche chimiche Tra le principali caratteristiche chimiche dei substrati rivestono una particolare importanza il pH e la conducibilità elettrica, anche perché sono caratteristiche facilmente misurabili in azienda. Il pH influenza la disponibilità degli elementi nutritivi per le piante. La maggior parte degli elementi nutritivi presenta la massima disponibilità in corrispondenza di valori compresi tra 5,5 e 6,0. È buona norma, quindi, controllare spesso durante la coltivazione questo parametro nel substrato in quanto tende a salire a causa dell’uso di acque di irrigazione ricche di carbonati e bicarbonati di calcio e magnesio. La conducibilità elettrica misura la quantità totale di sali presenti nel substrato e rappresenta l’altro parametro da monitorare sia all’inizio, per valutare l’utilizzazione di alcuni lotti di substrati organici che possono presentare elevate quantità iniziali di sali solubili (in particolare compost, fibra di cocco, posidonia), sia durante il ciclo colturale. Può capitare, infatti, di
Principali proprietà fisiche e chimiche di alcuni dei substrati più utilizzati nelle colture senza suolo Materiale
Densità
Porosità
(g/l)
Organici
Inorganici
Capacità per l’aria
Acqua facilmente disponibile
pH
EC (dS/m)
C/N
(%) del volume
Torba bionda
70
95
38
20,8
3,5-4,0
100-200
50
Torba scura
360
83
12
19,0
5,0-7,0
1000-2000
50
Fibra di cocco
25-89
94-98
24-89
0,7-36
5,0-6,0
0,4-6,0
75-186
Posidonia
78
96
79
2,0
8,0
12-19
34-85
Cortecce
170
89
55
8,5
4,5-5,0
Perlite
97
96
62
7,8
7,4
-
Lana di roccia
0,09
97
15
77,5
7,0-7,5
-
Pomice
527
66
46
5,1
6,8
-
< 300
> 88
20-30
20-30
5,5-6,5
0,5-2,0
Substrato ideale
383
200-300
-
coltivazione trovare in commercio compost con livelli di conducibilità elettrica così elevati da risultare incompatibili con la coltivazione di molti vegetali. Un altro parametro che va valutato, per i substrati organici, è il rapporto C/N, che fornisce indicazioni circa la stabilità e maturità della sostanza organica. La fibra di cocco, per es., può presentare un elevato C/N responsabile di processi che portano nel corso del ciclo colturale alla sottrazione di azoto nei confronti delle piante. Caratteristiche biologiche Riguardano soprattutto le condizioni di sterilità del materiale e di stabilità della sostanza organica. Mentre per i materiali derivati da processi industriali (perlite, lana di roccia, vermiculite) vi sono garanzie di sanità in virtù dei trattamenti termici subiti durante il ciclo di lavorazione, per molti substrati di origine naturale (terricci di foglie, compost, torba ecc.) la possibile presenza di patogeni e/o sostanze fitotossiche rappresenta un problema reale e può limitarne l’utilizzazione per cui è bene accertarne preventivamente l’assenza, eseguendo dei semplici saggi biologici. Questi consistono nel porre il substrato in vaso e nel coltivare una specie idonea (per esempio crescione) oppure, più rapidamente, nell’imbibire con l’estratto acquoso, puro o diluito, ottenuto dal substrato la carta assorbente posta nelle piastre Petri su cui vengono fatti germinare semi di crescione.
Misuratore di drenato. Connesso al computer del fertirrigatore consente di adeguare la durata delle fertirrigazioni in funzione della quantità di drenato in modo completamente automatizzato
Come programmare la fertirrigazione Riuscire a ottimizzare la fertirrigazione significa massimizzare la crescita e la produzione delle piante ma anche ottenere prodotti di qualità elevata. Per riuscirci bisogna definire in modo preciso due parametri: la frequenza degli interventi fertirrigui e la quantità di acqua da distribuire per ciascuno di essi. La programmazione con temporizzatori, anche se molto semplice, avviene su base empirica ed è svincolata dalle reali richieste evapotraspirative dell’ambiente di coltivazione per cui è necessaria la continua presenza dell’operatore per adeguarne di volta in volta i settaggi. Un altro modo, spesso abbinato al precedente, di gestire la fertirrigazione consiste nella misura del drenato. Molto semplicemente, a ogni irrigazione si distribuisce una quantità di soluzione superiore rispetto alle esigenze della pianta in modo da avere almeno il 15-20% della stessa che fuoriesce dal modulo di coltivazione alla fine dell’intervento irriguo. Il rilievo del surplus di soluzione può avvenire manualmente o automaticamente. Quando la quantità di drenato si discosta dal valore impostato, si interviene sul numero di interventi giornaliero e/o sulla durata. Oltre alla semplicità, questa procedura evita che all’interno del vaso si accumuli un eccesso di sali che potrebbe interferire con la nutrizione della pianta. Come già detto, presenta lo svantaggio dell’eccessivo spreco di acqua e fertilizzanti e della scarsa eco-
Misurazione manuale del volume di drenato
384
coltivazione fuori suolo sostenibilità determinata dall’immissione nell’ambiente di reflui ricchi di sali minerali inquinanti (soprattutto azoto e fosforo) se utilizzata con sistemi a ciclo aperto. In alternativa, si può fare ricorso a sistemi che consentono di individuare con precisione il momento migliore per eseguire l’irrigazione in funzione delle esigenze della pianta e delle condizioni ambientali, basati sulla misura dell’umidità nel substrato o, anche, sul calcolo della evapotraspirazione. Nei sistemi basati sulla misura dell’umidità del substrato, la variabile misurata è il potenziale idrico o il contenuto volumetrico. Nel primo caso lo strumento è rappresentato dal tensiometro che fornisce misure accurate entro l’intervallo compreso tra 0 e 80 kPa, più che sufficiente per i substrati di coltivazione che, come detto, rilasciano l’acqua disponibile nell’intervallo tra 0 e 10 kPa. Abbinando lo strumento con opportuni sensori di pressione elettronici si può avviare l’irrigazione in modo automatico al raggiungimento della tensione impostata. Valori di tensione ottimali cui avviare l’irrigazione, nel caso del pomodoro, sono compresi tra 4 e 5 kPa. Per il pomodoro ciliegino allevato con la subirrigazione in canaletta in vasi con il miscuglio torba:pomice (v:v 1:3), è invece necessario spingersi parecchio oltre 10 kPa per ottenere bacche piccole e sapide, più apprezzate dal mercato. L’uso dei tensiometri è ostacolato dalla difficoltà di individuare un luogo della serra abbastanza rappresentativo, dalle imperfezioni costruttive che li contraddistinguono e dalla incoerenza di alcuni materiali. Occorre ricordare che affinché il tensiometro funzioni bene è necessario garantire l’adesione del substrato alla capsula porosa. Inoltre, in presenza di substrato molto asciutto l’aria entra all’interno della capsula alterando il funzionamento dello strumento.
Sonda per la misura volumetrica dell’acqua nel substrato
Tensiometro e tensioswitch
385
coltivazione La misura del volume di acqua nel substrato si basa sull’uso di sensori che determinano indirettamente la quantità di acqua attraverso la misura della permettività dielettrica del mezzo. Si tratta di sensori che, come per i tensiometri, possono essere inseriti e lasciati all’interno dei vasi. Connessi a programmatori consentono di gestire in automatico l’irrigazione e di monitorare in continuo l’umidità del substrato. In alternativa si può fare ricorso a sonde mobili che danno la misura istantanea dell’umidità e, per alcuni tipi, anche della conducibilità elettrica e della temperatura. A differenza del tensiometro, questi sensori hanno bisogno di calibrazione prima di poter essere utilizzati. Un accorgimento da seguire, comune sia ai tensiometri sia alle sonde volumetriche riguarda il corretto posizionamento all’interno del vaso (rispetto al gocciolatore e al bordo), la profondità di inserimento nel contenitore (non troppo superficiale o troppo profonda) e la scelta della pianta da monitorare che deve essere collocata in una posizione rappresentativa della serra. Meglio sarebbe effettuare misure in più punti della serra e mediarne i dati, in modo da ottenere informazioni il più possibile rappresentative dell’intera area di coltivazione. Il calcolo dell’evapotraspirazione (ET) prevede la misura di alcuni parametri atmosferici: il deficit di pressione del vapore (VPD; rappresenta l’abilità dell’aria di trattenere acqua) e la radiazione solare. Per via del ridotto volume di substrato contenuto nel vaso, l’ET va stimata a intervalli molto brevi (un’ora). Attraverso il calcolo dell’ET, mediante opportuni coefficienti colturali o, eventualmente, la determinazione del LAI (Leaf Area Index) si determina l’ETE. Nell’ipotesi che tutta l’energia solare sia utilizzata per l’evaporazione dell’acqua, e considerando che la radiazione solare può variare da 1 a 30 MJ/m2, che all’interno di una serra passa circa il 70-80% dell’energia e che per evaporare 1 mm di acqua (pari a 1 l/m2) sono necessari 2,5 MJ/m2, l’ETE in serra, può variare da 0,3 a 8 mm. Per esempio, nel caso del pomodoro vengono
Sonda mobile per la misura dell’umidità, della temperatura e della conducibilità elettrica nel substrato
Schema del posizionamento dei sensori di umidità nel vaso
Tensiometro o sonda
90° 1/3 2/3
386
Gocciolatore
Pianta
Tensiometro o sonda
coltivazione fuori suolo
Recente impianto di pomodoro realizzato impiegando tecnologie d’avanguardia
Coltura aeroponica
• L’aeroponica è una tecnica
indicate quantità di acqua pari a 120-130 ml per 1 MJ/m per pianta. Ovviamente i sistemi più avanzati di programmazione irrigua fanno ricorso ad approcci integrati che prevedono, per es., la determinazione contemporanea della tensione dell’acqua nel substrato con un tensiometro, della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria, con uno psicrometro, e della radiazione solare, con un piranometro e, eventualmente, anche del drenato. Sulla base di questi dati un computer programma frequenza e durata degli interventi irrigui e, in funzione della fase fenologica della coltura e delle condizioni ambientali, l’impiego di soluzioni nutritive a conducibilità elettrica diversa, maggiore durante le condizioni di radiazione solare bassa, minore quando la temperatura è molto alta. 2
di coltivazione molto avanzata per produrre colture fuori suolo nel settore delle colture orticole e floricole in ambiente protetto. Generalmente chi viene a contatto con la tecnica aeroponica per la prima volta rimane stupito nel vedere le radici delle piante non immerse in alcun tipo di substrato naturale o artificiale. In aeroponica, infatti, le funzioni di sostegno e approvvigionamento di acqua ed elementi nutritivi, normalmente svolte dal terreno, sono assolte da “elementi porta-pianta” di materiale plastico e da soluzioni nutritive di sali minerali. Il sistema aeroponico applicato razionalmente consente di ottenere incrementi quantitativi e qualitativi della produzione, sensibili riduzioni nell’impiego di manodopera e fertilizzanti e una drastica riduzione dei consumi di acqua
Colture senza suolo in Sardegna Gli impianti in coltura senza suolo sono stati adattati, in Sardegna, alle diverse situazioni di coltivazione esistenti. In particolare, nelle aree con inverno più rigido e nelle colture in serra fredda, vengono utilizzati in doppio ciclo di coltivazione. Il primo con trapianto in agosto e fine produzione in gennaio, il secondo con trapianto a dicembre, inserendo la nuova piantina a lato della pianta adulta, e fine raccolta a luglio. I due cicli, se condotti con un minimo di capacità e conoscenza tecnica, consentono di superare agevolmente un totale di 30-35 kg/mq di prodotto commercializzabile, di elevata qualità. Le aziende che garantiscono minime termiche intorno ai 10 °C utilizzano più di frequente la coltura in ciclo unico, 387
coltivazione con impianto a fine settembre e fine raccolta a luglio. Le produzioni ordinarie, in questo caso, si attestano intorno ai 25-30 kg/ mq. Le tipologie di prodotto ottenute in coltura senza suolo sono in prevalenza quelle con frutto medio – grosso, quali cuore di bue, ramato, insalataro. Queste tipologie varietali risultano più facili da gestire, anche dai meno esperti, rispetto alle tipologie ciliegino, san marzano e datterino. Queste ultime sono infatti, in generale, molto più sensibili agli squilibri idrici e agli stress colturali provocati da eventuali errori nella gestione degli impianti, cui fa seguito la perdita di importati quote di prodotto per la comparsa di spaccature sui frutti e/o necrosi apicale. Rapporto con il mercato Le produzioni in coltura senza suolo, accolte anni addietro con diffidenza soprattutto da alcune grandi catene di distribuzione, sono riuscite finalmente a dimostrare il loro elevato livello di qualità e di sanità globale. Attualmente, non soltanto vengono accettate senza problemi sui banchi vendita anche della grande distribuzione ma sono spesso espressamente richieste. I controlli qualitativi e sanitari effettuati hanno giocato un ruolo determinante a favore di queste produzioni. L’elevato livello qualitativo medio dei frutti e la sanità dei prodotti, sono stati sempre confermati dalle dettagliate e numerose analisi fisico-chimiche effettuate ormai di routine dalle maggiori catene di distribuzione.
Coltura aeroponica ad alta densità in fase di raccolta
Prospettive future La recrudescenza delle patologie spesso citate, e la diffusione su ampie superfici di cultivar attinte dal patrimonio genetico locale,
Coltura di pomodoro in fase giovanile allevato in aeroponica ad alta densità (HDAS)
388
coltivazione fuori suolo quali cuore di bue e altre simili, spesso prive di resistenze genetiche efficaci, ha determinato un nuovo e crescente interesse verso l’adozione delle tecniche di coltivazione senza suolo. Nelle ultime stagioni si sono rilevati in Sardegna importanti incrementi di superfici su paglia marina e, più di recente, su fibra di cocco. Nell’ultimo triennio si è rilevato, non soltanto un costante incremento delle superfici investite, che attualmente vengono valutate intorno ai 100 Ha, ma una notevole evoluzione delle tecnologie impiegate. Si è registrata infatti una sensibile espansione delle superfici realizzate con impianti dotati di tecnologie sofistiche ed elevati livelli di automazione. L’esperienza condotta da molti imprenditori su impianti semplici ed economici, ha consentito loro di acquisire le conoscenze tecniche necessarie a effettuare il “salto di qualità” rischiando capitali importanti in nuovi e più sofisticati impianti. Inoltre, la pressante necessità di incrementare in modo importante le rese medie unitarie della coltura, attualmente estremamente basse se condotta con sistemi tradizionali, avrà inoltre un ruolo di primo piano sulla futura diffusione delle colture senza suolo ciò permetterà anche di contrastare in modo adeguato la concorrenza sempre più agguerrita delle produzioni provenienti da Olanda e Spagna, oltre che da Paesi extra comunitari emergenti quali Turchia, Marocco e Senegal. Conclusioni I sistemi di coltivazione senza suolo rappresentano uno dei modi più avanzati e versatili di coltivazione dei vegetali. Trovano applicazione soprattutto quando la coltivazione nel terreno è impraticabile a causa di problemi fitosanitari o, anche, per valorizzare risorse altrimenti non utilizzabili (o addirittura potenzialmente dannose se usate nel terreno) come nel caso delle acque salmastre. Con il senza suolo queste acque, opportunamente gestite, migliorano la qualità, perché, per es., inducono l’aumento della sostanza secca, dei solidi solubili, degli zuccheri riduttori, dell’acidità titolabile, dei caroteni e della vitamina C nelle bacche di pomodoro. I sistemi senza suolo trovano reali possibilità di applicazione anche per la produzione di cibo in situazioni estreme, quali le missioni spaziali, nelle postazioni in Antartide, in presenza di terreni contaminati (Chernobyl). Inoltre, alcuni di questi sistemi si dimostrano utili per la depurazione delle acque reflue. Per estrinsecare al meglio le potenzialità, però, non è sufficiente adottare un determinato sistema piuttosto che un altro ma è indispensabile rispettare i precetti alla base della coltivazione senza suolo, realizzare questi sistemi in strutture di protezione sufficientemente evolute da assicurare il regolare condizionamento ambientale sia durante i periodi freddi sia durante la stagione estiva e rispettare rigorosamente le norme igienico-sanitarie al fine di evitare clamorosi insuccessi.
Particolare della struttura di sostegno dei pannelli in polistirolo per la coltivazione del pomodoro in aeroponica ad alta densità (HDAS)
Sviluppo degli apparati radicali sospesi al di sotto dei pannelli in una coltivazione aeroponica ad alta densità
389