Il riso botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato
il riso
coltivazione Evoluzione varietale Romano Gironi, Laetitia Borgo
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Evoluzione varietale All’interno del nostro Paese viene consumata metà della produzione nazionale con l’utilizzo di varietà adatte alla preparazione di piatti tipici e risotti. Le varietà più impiegate per questo scopo sono Arborio, Volano, Carnaroli, S. Andrea, Baldo, Roma e Vialone Nano; quest’ultima varietà è l’unica ad aver ottenuto il marchio IGP (Identificazione Geografica Protetta). Queste varietà, nel loro insieme, sono attualmente seminate su circa 56.000 ha. La destinazione degli altri gruppi merceologici è orientata essenzialmente verso i mercati esteri e in particolare quelli del Nord Europa. Il gruppo merceologico dei risi tondi, utilizzato prevalentemente per la produzione di riso soffiato e minestre, è rappresentato per la quasi totalità da 4 varietà: Balilla, Centauro, Selenio e Brio, che coprono una superficie che varia da 45.000 a 50.000 ha. Negli ultimi anni, il gruppo merceologico lungo A a granello cristallino, utilizzato principalmente per la parboilizzazione, ha visto la superficie coltivata stabilizzarsi intorno a 40.000 ha. Alla fine degli anni ’80, per sopperire alle esigenze del mercato dell’Europa del Nord che consuma prevalentemente riso a granello lungo e cristallino, si è avuta un’accelerazione della ricerca al fine di costituire varietà di tipo indica adatte alla coltivazione alle nostre latitudini. La varietà di questo gruppo che maggiormente si è diffusa all’inizio degli anni ’90 è stata Thaibonnet. Successivamente, altre varietà di nuova costituzione si sono largamente diffuse, e fra queste figurano le varietà Gladio e Libero; quest’ultima è la prima varietà registrata in Italia ottenuta con tecnologia Clearfield®, in grado di tollerare gli erbicidi imidazolinonici. Oggi le varietà di tipo indica investono una superficie di circa 70.000 ha, rappresentando il
Diffusione della coltivazione del riso in Italia
• La superficie coltivata a riso in Italia è
passata, dagli anni ’80 a oggi, da circa 180.000 a oltre 220.000 ettari. Questo aumento non ha interessato le varietà storiche, prevalentemente destinate al mercato nazionale, ma è legato alla costituzione di nuove varietà di tipo lungo A con granello cristallino e di varietà di tipo indica a granello lungo e stretto
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evoluzione varietale gruppo merceologico più coltivato nel nostro Paese. Il gruppo dei risi medi, che alla fine degli anni ’80 con la varietà Lido copriva una superficie di circa 70.000 ha, ha visto diminuire progressivamente il suo ettarato a favore dei risi lunghi A e lunghi B, arrivando a occupare oggi circa 7000 ha. La restante superficie è impiegata per la coltivazione di varietà quali quelle aromatiche o con pericarpo colorato, al fine di soddisfare mercati con richieste particolari. In futuro, la ricerca varietale sarà sempre più orientata a fornire un valido contributo all’individuazione delle richieste della filiera, mettendo a disposizione nuove varietà con caratteristiche agronomiche e qualitative più vantaggiose.
Superfici delle varietà più importanti negli ultimi 10 anni 1998
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Varietà tondo Balilla
24.403
Centauro Selenio
19.462
22.594
18.246
17.156
13.729
11.622
7963
155
1393
6379
13.495
16.821
15.442
24.394
15.660
17.076
17.485
16.693
16.747
185
880
2903
4968
Brio Varietà medio Lido
3363
825
529
1131
764
742
166
Vialone Nano
4831
3950
4408
4583
5109
4947
4771
5146
5381
4415
3360
1295
4436
12.651
8827
Varietà lungo A Augusto
4640
Creso Loto
39.800
19.276
19.113
14.770
14.209
12.547
10.606
Nembo
520
13.896
16.156
13.236
11.374
9721
7212
S. Andrea
5529
10.310
9734
9459
9299
9317
7902
Roma
5591
6788
8619
6529
5792
5989
4744
Baldo
9198
9792
12.533
11.703
13.347
10.207
8351
Arborio
7396
3001
3461
3141
3202
3325
1650
Volano
10.249
13.948
15.601
14.354
16.728
19.314
15.640
Carnaroli
2679
5291
7508
9421
8349
8969
6236
Varietà lungo B Thaibonnet
27.199
11.744
9822
7479
6060
3860
4585
Gladio
787
38.247
48.726
52.499
46.455
32.834
38.122
522
3974
16.234
22.382
Libero
273
coltivazione Arborio Specie: Oryza sativa Introduzione: 1967 Paese di origine: Italia Genealogia: Vialone × Lady Wright Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi
Arborio
274
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Pigmentato Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
98,0 Pigmentato Pigmentato Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
22,0 Compatta Molto eserta Pendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta
Presente Mutica Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,73 4,11 4,52
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,37 3,61 2,04 Semiaffusolato 2,0-2,45 3,63 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 17,3 0,69 3,03
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
100 150
evoluzione varietale Baldo Specie: Oryza sativa Introduzione: 1977 Paese di origine: Italia Genealogia: Arborio × St. 136 Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Riflessa
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
92,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
20,0 Intermedia Molto eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,76 3,74 4,07
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,35 3,27 2,25 Semiaffusolato 2,0-2,45 3,39 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 16,76 0,67 3,56
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
95 150 Baldo
275
coltivazione Balilla Specie: Oryza sativa Introduzione: 1967 Paese di origine: Italia Genealogia: Sel. da Chinese Originario Responsabile della conservazione in purezza: Sa.Pi.Se
Balilla
276
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
88,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Eretta
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
16,0 Compatta Molto eserta Semieretta Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
7,46 3,54 2,81
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
5,27 3,11 1,69 Arrotondato < 1,75 2,37 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 18,53 0,65 3,83
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
100 160
evoluzione varietale Brio Specie: Oryza sativa Introduzione: 2005 Paese di origine: Italia Genealogia: – Responsabile della conservazione in purezza: Bertone Sementi S.p.A. Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
76,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
14,0 Compatta Eserta Eretta Semiaristata Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Corta Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
7,15 3,32 2,67
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
5,46 3,00 1,82 Arrotondato < 1,75 2,35 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 15,1 0,6 4,1
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
90 145 Brio
277
coltivazione Carnaroli Specie: Oryza sativa Introduzione: 1983 Paese di origine: Italia Genealogia: Vialone × Lencino Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi
Carnaroli
278
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
114,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
26,0 Aperta Molto eserta Pendula Aristata Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Lunga Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,57 3,93 4,13
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,25 3,37 2,15 Semiaffusolato 2,0-2,45 3,45 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 22,10 0,91 1,00
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
103 160
evoluzione varietale Centauro Specie: Oryza sativa Introduzione: 2003 Paese di origine: Italia Genealogia: – Responsabile della conservazione in purezza: Almo S.r.l. Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
70,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
20,0 Intermedia Eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
7,70 3,81 2,97
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Colorazione pericarpo
5,37 3,27 1,64 Arrotondato < 1,75 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 16,25 0,64 3,70
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
90 135
Centauro
279
coltivazione Creso Specie: Oryza sativa Introduzione: 2004 Paese di origine: Italia Genealogia: – Responsabile della conservazione in purezza: Lugano Leonardo S.r.l.
Creso
280
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
70,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
24,0 Aperta Eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,33 3,33 3,38
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
6,75 2,87 2,35 Semiaffusolato 2,0-2,45 2,70 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 15,90 0,62 4,90
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
94 145
evoluzione varietale Gladio Specie: Oryza sativa Introduzione: 1998 Paese di origine: Italia Genealogia: – Responsabile della conservazione in purezza: Almo S.r.l. Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
72,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Eretta
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
21,0 Compatta Eserta Pendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Assente Mutica Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,76 2,65 2,76
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,74 2,29 3,38 Lungo B > 3,00 2,15 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 26,37 0,96 0,71
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
85 135 Gladio
281
coltivazione Libero Specie: Oryza sativa Introduzione: 2005 Paese di origine: USA Genealogia: CL 161 Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi
Libero
282
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
93,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
17,0 Intermedia Eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Assente Mutica Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
7,20 2,18 2,15
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
6,83 2,12 3,22 Lungo B > 3,00 1,85 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 22,8 0,96 0,75
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
90 135
evoluzione varietale Loto Specie: Oryza sativa Introduzione: 1988 Paese di origine: Italia Genealogia: Lido × SIS L. 546 (Lido × Molo) Responsabile della conservazione in purezza: S.I.S. S.p.A. Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
76,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
16,0 Compatta Eserta Semieretta Semimutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Corta Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
8,99 3,41 3,20
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
6,43 2,96 2,17 Semiaffusolato 2,0-2,45 2,8 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 19,6 0,74 2,80
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
80 132 Loto
283
coltivazione Roma Specie: Oryza sativa Introduzione: 1967 Paese di origine: Italia Genealogia: Balilla × R 77 Responsabile della conservazione in purezza: Ist. Sp. Cerealicoltura (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – CRA)
Roma
284
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
89,7 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
21,0 Aperta Molto eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,45 3,68 4,00
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,18 3,22 2,23 Semiaffusolato 2,0-2,45 3,20 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 17,70 0,61 3,20
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
98 155
evoluzione varietale S. Andrea Specie: Oryza sativa Introduzione: 1974 Paese di origine: Italia Genealogia: Sel. Rizzotto Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
100,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
20,0 Intermedia Molto eserta Semipendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Corta Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,60 3,98 3,84
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
6,64 3,18 2,09 Semiaffusolato 2,0-2,45 3,30 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 18,30 0,60 3,00
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
98 155 S. Andrea
285
coltivazione Selenio Specie: Oryza sativa Introduzione: 1987 Paese di origine: Italia Genealogia: Balilla × Glutinoso P 28 Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi
Selenio
286
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
70,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
17,0 Compatta Eserta Eretta Semiaristata Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Corta Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
7,15 3,32 2,60
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
5,01 2,98 1,68 Arrotondato < 1,75 2,07 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 18,01 0,68 3,31
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
95 145
evoluzione varietale Thaibonnet Specie: Oryza sativa Introduzione: 1992 Paese di origine: USA Genealogia: L202 Responsabile della conservazione in purezza: Ente Nazionale Risi, SA.PI.SE, Bertone S.p.A., S.I.S S.p.A., Lugano S.r.l., C.A.P. VC Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Eretta
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
70,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Intermedia
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
25,0 Intermedia Molto eserta Semipendula Mutica Violetto
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Assente Mutica Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,81 2,63 2,62
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,61 225 3,38 Lungo B > 3,00 2,15 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Assenza Non aromatico Non glutinoso 26,47 0,91 0,85
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
105 160 Thaibonnet
287
coltivazione Vialone Nano Specie: Oryza sativa Introduzione: 1967 Paese di origine: Italia Genealogia: Nano × Vialone Responsabile della conservazione in purezza: Ist. Sp. Cerealicoltura (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – CRA)
Vialone Nano
288
Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Pigmentato Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
110,0 Pigmentato Pigmentato Pigmentato Pigmentato Pigmentato
Foglia paniculare
Portamento
Riflessa
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
21,0 Aperta Molto eserta Semipendula Mutica Violetto
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta
Presente Mutica Pigmentato Pigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
8,40 4,02 3,69
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
6,01 3,62 1,66 Arrotondato < 1,75 3,00 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 22,80 0,96 0,70
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
97 155
evoluzione varietale Volano Specie: Oryza sativa Introduzione: 1972 Paese di origine: Italia Genealogia: St. 401 × Rizzotto Responsabile della conservazione in purezza: S.I.S. S.p.A. Carattere
Rilievo
Foglia
Colore Portamento
Verde Intermedia
Culmo
Taglia (cm) Colore nodi Colore internodi Colore guaina Colore giuntura Colore auricole
110,0 Verde Verde Verde Verde Verde
Foglia paniculare
Portamento
Orizzontale
Pannocchia
Lunghezza (cm) Tipo Eserzione Portamento Aristatura Colore stigmi
22,0 Aperta Molto eserta Pendula Mutica Ialino
Glumella
Villosità Aristatura Colore apice Colore carena e calotta Colore glume
Presente Mutica Apigmentato Apigmentato Apigmentato
Spighetta
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Peso 100 semi (g)
9,89 4,23 4,64
Cariosside
Lunghezza (mm) Larghezza (mm) Rapporto L/l Profilo Peso 100 semi (g) Colorazione pericarpo
7,27 3,65 1,99 Semiarrotondato 1,76-1,99 3,80 Bianco
Caratteri merceologici
Cariosside: perlatura Aroma Endosperma: tipo Contenuto in amilosio (% ss) Consistenza (kg/cm2) Collosità (g × cm)
Presenza Non aromatico Non glutinoso 17,40 0,76 2,61
Cicli vegetativi
Semina-spigatura (gg) Semina-maturazione (gg)
100 155 Volano
289
il riso
coltivazione Suolo e pianta in risaia Carlo Grignani, Dario Sacco
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Suolo e pianta in risaia
A
0
Profondità (cm)
10
Il riso occupa un quinto della superficie mondiale delle cosiddette wetland, ovvero dei suoli più o meno continuativamente sommersi. Il successo di questo cereale, fin dalle sue origini, è proprio legato alla sua capacità di sopportare e avvantaggiarsi delle condizioni di sommersione. Il suolo sommerso di una risaia è un ambiente particolare con caratteristiche fortemente modificate dalle condizioni di anaerobiosi, legate alla tipologia di irrigazione, che lo differenziano dalla maggior parte degli altri suoli agrari. Le condizioni di anaerobiosi mostrano variabilità nel tempo e nello spazio. Nel tempo perché la sommersione normalmente viene mantenuta solo durante il periodo della coltura con alcune interruzioni dette comunemente “asciutte”. Nello spazio perché il riso è un conduttore biologico di aria all’interno del suolo, grazie ai parenchimi aeriferi che attraversano longitudinalmente il culmo. La presenza della coltura mantiene microspazi occupati da aria e fortemente differenziati rispetto alle circostanti condizioni anaerobiche.
B C
D
20
200
E
Stratigrafia del suolo in risaia Normalmente il suolo di risaia presenta la seguente stratificazione. – Strato dell’acqua di sommersione: si estende su 5-15 cm, fino a coprire solitamente il solo colletto delle piante di riso. È popolato da micro e macro-fauna e flora. In una risaia è uno spazio ricco in ossigeno disciolto nell’acqua. L’acqua è lentamente fluente, mossa dal vento e dalla fauna presente e può ospitare organismi fotosinteticamente attivi. – Interfaccia aerobica acqua-suolo: si estende su 5-15 mm, in relazione allo stato di aerazione dell’acqua irrigua, alle condizioni riducenti del suolo e alla presenza di fauna che favorisce il rimescolamento dell’orizzonte. È anch’essa una zona ossigenata, e i composti ossidati (per esempio i nitrati, i solfati o il Fe3+) sono stabili. – Suolo sommerso: si estende per una profondità di 20-40 cm. Le condizioni di anaerobiosi si instaurano in poche settimane dalla sommersione e prevalgono nettamente le condizioni riducenti con trasformazioni a carico dei diversi composti ossidati, evidenti per le modifiche di colore assunte dal suolo e soprattutto dovute alle diverse forme di Fe e Mn. All’interno di questo strato (e spesso al suo limite inferiore) è presente la cosiddetta “suola di aratura”, strato più compatto, profondo 5-10 cm, provocato non solo dai lavori preparatori principali, ma anche dal costipamento e dal traffico veicolare. – Rizosfera del riso: è la porzione di suolo sommerso, ma in intimo contatto con le radici del riso, fino ad alcuni decimi di mm da queste. Qui il suolo riacquista condizioni aerobiche per il descritto trasporto di ossigeno attraverso i parenchimi aeriferi della coltura, dall’atmosfera soprastante sino alle radici del riso,
300 Profilo schematico del sistema suolo-pianta del riso e sue principali porzioni diversificate per caratteristiche di ossidoriduzione e attività biologica
Stratigrafica del suolo in risaia Il suolo di risaia presenta i seguenti “strati”:
• A = strato dell’acqua di sommersione, per 5-15 cm di profondità
• B = interfaccia aerobica acqua-suolo, per i primi 5-15 mm dello strato in sommersione
• C = suolo sommerso, fino a una profondità di 20-40 cm
• D = rizosfera del riso ossia porzione di
suolo sommerso a stretto contatto con le radici
• E = sottosuolo, fino a 1-3 m di profondità
290
suolo e pianta in risaia e da qui, per diffusione, in una piccola pellicola del suolo sommerso circostante. Questa zona è particolarmente attiva perché ricca di carbonio organico derivante dagli essudati radicali. – Sottosuolo: si estende per una profondità molto variabile, per esempio sino a 1 o 3 m sotto il profilo di campagna. È sempre in condizioni di anaerobiosi nella sua porzione superficiale, mentre in quella profonda può esserlo o meno in funzione della sua permeabilità e del regime di fluttuazione di falda. Si noti che non dovunque e non per tutta la stagione esiste una continuità di sommersione tra la parte di suolo sommerso e il sottosuolo più profondo.
Intasamento della risaia
• Il cosiddetto “intasamento”della
risaia è una pratica volta a portare in sospensione le particelle più fini di suolo in modo che ridepositandosi riducano l’infiltrazione. La riduzione di percolazione realizzata mediante tale operazione mira a ridurre la quantità di acqua necessaria per mantenere il suolo in sommersione consentendo di risparmiare acqua irrigua. Tuttavia essa rende più problematiche le asciutte poiché l’acqua che non lascia la camera per drenaggio superficiale, deve necessariamente allontanarsi per evaporazione, potendo infiltrarsi solo in minima parte nel suolo. Inoltre il sistema suolo-pianta viene esposto a un’eccessiva anaerobiosi, poiché si riduce la quantità di ossigeno che viene apportata al sistema per flusso di massa dell’acqua che si infiltra con l’irrigazione
Effetti della sommersione Gli effetti della sommersione sono in parte generalizzabili e in parte legati alle specifiche caratteristiche del suolo e alle modalità di gestione agronomica. L’acqua modifica innanzitutto le caratteristiche fisiche del suolo provocando la sostanziale distruzione della struttura. Si rompono infatti gli aggregati di maggiori dimensioni, perché aumenta la pressione dei gas nei pori, si dissolve parte della sostanza organica e si solubilizzano altri agenti leganti. Ne consegue una riduzione di percolazione, che risulta poi ulteriormente limitata dal ridepositarsi delle argille e delle particelle di sostanza organica. Tali effetti sono più pronunciati se il contenuto iniziale di sostanza organica è modesto e se avvengono numerose lavorazioni sul suolo già saturo d’acqua. Dopo la sommersione, il suolo diventa velocemente anaerobico perché l’ossigeno presente viene velocemente consumato dai normali processi di respirazione e ossidazione. I nuovi apporti di ossigeno, inoltre, sono fortemente rallentati poiché esso si diffonFoto R. Angelini
291
coltivazione de nell’acqua con una velocità che è quattro ordini di grandezza minore della sua diffusione nell’aria (2,05 × 10–3 rispetto a 2,26 × 10–7 dm2/s). Si ha così una conseguente riduzione del potenziale ossido riduttivo (fattore Eh). Subito dopo la sommersione gli organismi presenti nel suolo devono utilizzare composti diversi dall’ossigeno come agenti ossidanti ai fini del proprio metabolismo: nella respirazione anaerobica utilizzano composti inorganici, mentre nella fermentazione la sostanza organica stessa. Le modificazioni nella natura chimica dei composti presenti nel suolo avvengono tipicamente nel seguente ordine: azoto nitrico (NO3–) ad azoto elementare (N2), manganese e poi ferro a elevato stato di ossidazione (Mn4+, Mn3+, Fe3+) alle rispettive forme ridotte (Mn2+, Fe2+), solfati (SO42–) a solfiti (S2–). Successivamente è la sostanza organica a essere decomposta dai metanobatteri a CO2 e metano (CH4). L’insieme di questi fenomeni, e in particolare la riduzione
Modificazioni prodotte dalla sommersione
• Le modificazioni prodotte dalla
sommersione risultano tanto più pronunciate quanto più in profondità si considera il suolo e quanto più duratura è la sommersione. In genere una stabilizzazione delle condizioni si raggiunge al di sotto dei primi 10 cm di suolo e dopo 3-4 settimane dalla sommersione
Evoluzione del potenziale ossido riduttivo (Eh) e del pH del suolo in funzione del tempo trascorso dalla sommersione in diversi suoli 300 200
Iloilo
EH suolo (mV)
100
Nueva Ecija
0
Tarlac
–100 –200 –300
pH suolo
7
Asciutta di radicamento. Il susseguirsi, nella stagione colturale, di periodi di sommersione e di asciutte determina sostanziali e repentine modificazioni delle caratteristiche del suolo per il riossigenarsi del primo orizzonte di suolo
Maahas
Maahas
6 Nueva Ecija 5 Iloilo 4
292
Tarlac
suolo e pianta in risaia del ferro che tende ad aumentare il pH dei suoli acidi e l’accumulo di CO2 che riduce il pH di quelli alcalini, produce in risaia una stabilizzazione della reazione del suolo a valori prossimi a 6,5-7 dopo un periodo di poche settimane dalla sommersione. Le condizioni di ossidoriduzione sono però dinamiche, perché nella stagione colturale l’agricoltore attua alcune asciutte che determinano il riossigenarsi del primo orizzonte di suolo, con sostanziali e repentine modificazioni delle caratteristiche del suolo. Analogamente nel corso dell’intercoltura autunno-invernale prevalgono le condizioni di aerobiosi e nel suolo si ristabiliscono gli equilibri chimici precedenti la sommersione. Ciclo degli elementi nutritivi nel suolo di risaia Nel suolo di risaia le diverse condizioni di ossidoriduzione rispetto ai suoli agrari alterano il ciclo dei principali componenti interessanti dal punto di vista nutrizionale. Sostanza organica Il ciclo del carbonio in risaia è rallentato rispetto a quello di un analogo suolo in condizioni di aerobiosi, ma estremamente accelerato rispetto a quello misurabile in una wetland naturale. Molto spesso il contenuto di sostanza organica dei suoli di risaia è intermedio tra quello dei tradizionali seminativi e quello dei prati e pascoli. L’aumento del contenuto di sostanza organica del suolo sommerso rispetto a quello drenato avviene perché la decomposizione della sostanza organica, pur attiva anche in anaerobiosi, produce molta meno energia rispetto alle condizioni di aerobiosi. Conseguentemente la flora microbica di un suolo sommerso cresce meno velocemente rispetto a quella di un suolo normalmente drenato. Ciò indica che gli equilibri nel fissare o mettere a disposizione elementi nutritivi a carico della sostanza organica sono più lenti in risaia e si raggiungono su tempi più lunghi. In una fase iniziale della degradazione della sostanza organica si formano acidi organici (acetico, propionico e butirrico) e fenoli, che possono avere un effetto tossico sulla coltura. Tali sintomi di tossicità, sebbene siano rari e poco persistenti, possono essere osservati dopo l’apporto di un ammendante fermentescibile (quale il letame fresco o un abbondante sovescio) su di un suolo acido prima che l’equilibrio del pH sia stato raggiunto. Successivamente gli acidi organici sono mineralizzati nei prodotti gassosi finali. Inizialmente prevale la produzione di idrogeno (H2) e CO2. Poi, con il crescere del pH e l’instaurarsi di piene condizioni di anaerobiosi, viene a mancare una sufficiente quantità di ossidanti inorganici, cessa la produzione di H2 e inizia la metanogenesi, un processo di ossidoriduzione a carico della sostanza organica stessa con produzione finale di metano (CH4) e CO2. Questa è tanto più pronunciata quanto più caldo è il suolo. Quando la concentrazione di un gas volatile come il metano supera una determinata soglia
Profilo pedologico di un suolo di risaia con presenza di riduzione lungo il profilo (area di colore grigio)
Concentrazione O2 NO3–
NH4+
Profondità
Mn2+ Fe2+
CH4
Profili di concentrazione di diversi composti chimici in funzione della profondità. Il fattore profondità può anche essere letto come fattore anaerobiosi
293
coltivazione di solubilità (supersaturazione), esce dalla soluzione e forma delle bolle che si innalzano dall’acqua che permea il suolo. I metanobatteri formano una quantità equivalente di metano e CO2, ma nelle bolle che si liberano dal suolo prevale il metano, che è circa 20 volte più volatile della CO2. La produzione di metano dalle risaie è un processo naturale, ma negativo, perché tale gas ha un forte effetto serra (21 volte superiore a quello della CO2). Azoto In assenza di ossigeno nel suolo la mineralizzazione dell’azoto organico procede solo sino allo ione ammonio (NH4+), senza ulteriore nitrificazione (trasformazione in NO3–). Lo ione ammonio si accumula adsorbito dal complesso di scambio cationico del suolo e nella soluzione circolante. L’aumento di azoto ammoniacale è favorito dal basso fabbisogno di azoto della biomassa microbica, che cresce più lentamente in condizioni di anaerobiosi, e, conseguentemente, dai più lenti processi di immobilizzazione temporanea anche in presenza di residui pagliosi a largo rapporto C/N che si degradano quindi più lentamente che in un suolo aerobico. Perciò, mentre in condizioni ossidanti l’azoto disponibile per le piante è soprattutto in forma nitrica (NO3–), in una risaia sommersa lo è in forma ammoniacale (NH4+) e, di conseguenza, questa è la principale forma azotata assorbita dal riso. Il riso è comunque capace di assorbire efficientemente l’azoto nitrico se disponibile. Per l’accumulo di azoto ammoniacale nel suolo, le risaie possono essere importanti sorgenti di volatilizzazione di ammoniaca, soprattutto nelle prime fasi colturali, su suoli ancora basici e quando l’acqua di sommersione non ricopre completamente il suolo.
Accumulo di sostanza organica sul suolo in inverno
Trasformazioni dell’azoto nell’ambiente di risaia Diffusione ossigeno Acqua di sommersione Strato aerobico
Nitrificazione NH+4–N NO– –N K = 3,18 µg/cm3/giorno 3 Diffusione D = 0,216 cm2/giorno
Strato anaerobico
NH+4–N N-organico
Anche in fase di asciutta la presenza della falda vicino alla superficie può mantenere il suolo in parziale stato di saturazione
Diffusione D = 1,33 cm2/giorno NO–3–N
Denitrificazione K = 15,0 µg/cm3/giorno N2O
Fonte: Patrik e Reddy, 1977
294
N2
suolo e pianta in risaia L’ammoniaca persa è causa di acidificazione dei suoli agrari e forestali e di eutrofizzazione. La nitrificazione rimane possibile quando l’ammonio si diffonde nel primissimo orizzonte, quello di interfaccia aerobica suolo-pianta, nella rizosfera o a seguito delle asciutte. Il riso e la flora algale sono in grado di assorbire l’azoto nitrico, come si è detto, ma in condizioni di sommersione la nitrificazione è normalmente sfavorevole al bilancio dell’azoto della coltura, perché i nitrati, molto solubili, diffondono a loro volta nelle zone anaerobiche del suolo, esponendo il sistema al rischio di forti perdite per denitrificazione. La denitrificazione è il processo microbico dissimilatorio che produce azoto elementare (N2) quando in anaerobiosi sono presenti carbonio organico e nitrati. La denitrificazione è negativa perché costituisce una perdita di azoto per la coltura. Tali perdite sono più consistenti quanto più frequenti sono i periodi di asciutta. La denitrificazione in risaia, però, è relativamente meno grave rispetto ad altri sistemi colturali. In condizioni di anaerobiosi, infatti, il processo tende a completarsi portando alla produzione di N2, senza fermarsi alla forma intermedia protossido di azoto (N2O). Quest’ultimo è un gas serra 310 volte più attivo della CO2 e capace di danneggiare lo strato di ozono stratosferico. Inoltre la denitrificazione protegge il sistema riso dal rischio di perdite dei nitrati, composti molto solubili e inquinanti le acque di ruscellamento e quelle di falda. Le condizioni di forte anaerobiosi della risaia rendono possibile anche l’azotofissazione, a opera di organismi fotosintetizzanti come i cianobatteri, soprattutto quelli insediati su Azolla sp., e altri batteri eterotrofi. L’importanza dell’azotofissazione è notevole
Foto R. Angelini
Alghe in risaia
Foto R. Angelini Foto R. Angelini
L’eccessiva produzione di ammoniaca nei suoli sommersi, se non adeguatamente assorbita dalla pianta di riso, può essere causa di acidificazione dei suoli e di eutrofizzazione
295
coltivazione in condizioni tropicali (10-50 kg N/ha) e dovrebbe essere meglio studiata negli ambienti italiani. Il 25-65% dell’azoto fissato è poi disponibile per la coltura, la rimanente quota si perde nel successivo ciclo di degradazione dell’azoto organico, soprattutto per volatilizzazione dell’ammoniaca.
4,0
P (ppm)
3,0
olfo Z Anche lo zolfo è presente in vari stati di ossidazione nella risaia e il suo ciclo è controllato dai processi microbiologici. Prevale il processo microbiologico di riduzione dei solfati (SO42–) a forme ridotte quali HS– e poi S2–, che viene in gran parte precipitato per la presenza di metalli, soprattutto ferro ridotto, Fe2+. Per questo l’ambiente sommerso agisce prevalentemente come sink (accumulo) di zolfo, fatto positivo quando le deposizioni atmosferiche sono elevate. In pochi casi ci sono emissioni significative di H2S a opera della sostanza organica, proprio perché la presenza di Fe2+ è sufficiente a limitare tali emissioni. È anche interessante notare che l’azione dei batteri che agiscono sulla riduzione dello zolfo può parzialmente inibire la metanogenesi, per cui si è tentato di utilizzare la concimazione con zolfo per limitare le emissioni di metano. Lo zolfo è raramente limitante la produzione agraria.
1
1,0 3
1,0 0
0
Terreno n. 1 2 3 4 5
2
4 6 8 10 12 14 Settimane di sommersione
Tessitura Sabbia organ. Argilla Sabbia organ. Argilla organ. Argilla
pH 7,6 4,6 4,8 7,6 6,6
S.O.% 2,3 2,8 4,4 1,5 2,0
4 5 2
Fe% 0,18 2,13 0,18 0,30 1,60
Fosforo Normalmente dopo la sommersione del suolo le forme di fosforo disponibili per la coltura (solubili in acqua o in acido debole) aumentano, per raggiungere un massimo tra la quarta e l’ottava settimana dalla sommersione, per poi diminuire nuovamente. I meccanismi di tale maggiore disponibilità di fosforo sono da ricercare: – nella riduzione del ferro (Fe3+) che trattiene sulla propria superficie il fosforo;
Disponibilità delle forme di fosforo per la coltura (solubili in acqua o in acido debole) in funzione del tempo misurato dalla sommersione nei diversi suoli descritti con numerazione da 1 a 5
Foto R. Angelini
296
suolo e pianta in risaia –n ella parziale dissoluzione dei fosfati di Ca per riduzione del pH; – nello spostamento del fosforo adsorbito sul complesso di scambio anionico; – nella mineralizzazione del fosforo organico. Deboli apporti di fosforo sono normalmente sufficienti per la corretta fertilizzazione della coltura. Siccome la concentrazione di fosforo disponibile tende a decrescere se permangono spinte condizioni di anaerobiosi, un buon drenaggio invernale è favorevole per predisporre la successiva coltura di riso ad avvantaggiarsi nuovamente del ciclo del fosforo descritto. Qualora, invece, il riso sia seguito da altra coltura normalmente drenata, per questa sarà più accentuata l’eventuale povertà del suolo in fosforo disponibile. Effetto positivo della risaia è legato alla sua capacità di fermare il fosforo particolato trasportato con l’acqua irrigua, grazie prevalentemente a un’azione di deposito del sedimento. Ferro e manganese Il ferro è più abbondante del manganese nei suoli agrari. Entrambi modificano in modo analogo le proprie caratteristiche e conseguentemente quelle dei suoli a seguito della sommersione. Non è chiaro ancora quanto i processi che riguardano i due metalli siano da attribuirsi a soli equilibri chimici o siano influenzati anche da processi microbiologici. L’effetto più evidente della sommersione è il cambiamento del colore del suolo che passa dal colore rossastro del ferro ferrico (Fe3+) a quello blu-grigiastro del ferro ferroso (Fe2+). In tale stato di ossidazione il ferro è più solubile e, pertanto, mobile. Il ferro riacquista lo stato ossidato nella rizosfera, nell’orizzonte di interfaccia suoloacqua irrigua durante la sommersione o a seguito delle manovre di acque che determinano le asciutte. È anche possibile notare un riaccumulo di ferro ossidato nell’orizzonte di passaggio dalla zona sommersa al sottosuolo più aerato, se presente. Come per gli acidi organici anche eccessive concentrazioni di ferro ridotto possono essere sfavorevoli alla crescita del riso, ma l’aerazione della zona intorno alla rizosfera precipita i composti ferrosi nella forma amorfa di Fe(OH)3. Esistono comunque situazioni di suoli “ferro-tossici” nei quali un’eccessiva acidità della rizosfera determina un eccessivo assorbimento di Fe2+, con scarso assorbimento di fosforo, potassio, calcio e magnesio, con danni ai tessuti del riso e maggiore suscettibilità della coltura ad alcune malattie fungine. Un aumento nella fertilizzazione con i macronutrienti citati è normalmente sufficiente a superare il problema. Anche il manganese è presente nel suolo in condizioni ossidate o ridotte. Il passaggio dalle forme ridotte a quelle ossidate crea le note screziature nere, ben visibili nei suoli soggetti a repentine modificazioni nel regime idrico.
Misure d’infiltrazione in camera coltivata a riso. L’infiltrazione dell’acqua nel suolo di risaia è una delle componenti principali del bilancio idrico
Suolo sommerso a inizio coltura
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il riso
coltivazione Tecnica colturale Marco Romani
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coltivazione Tecnica colturale Sistemazioni e lavorazioni del terreno
Sistemazione della risaia
• L’unità produttiva dell’azienda risicola
Sistemazione della risaia Gli appezzamenti destinati alla coltivazione del riso, definiti “camere” per la caratteristica delimitazione da argini deputati al contenimento dell’acqua di sommersione, hanno subito nell’ultimo ventennio sostanziali modificazioni nell’aspetto. Innanzitutto, la necessità di disporre di adeguate superfici per l’impiego di macchine operatrici sempre più potenti e l’ampliamento della dimensione delle aziende risicole hanno determinato un aumento dell’estensione delle singole camere, raggiungendo valori medi di 3-4 ha. Un ulteriore allargamento sarebbe sconsigliabile in quanto arrecherebbe difficoltà nella gestione dell’acqua, incrementando i tempi per la sommersione e l’asciutta degli appezzamenti. La rapidità con cui tali pratiche vengono eseguite risulta determinante nell’ottenere la massimizzazione dell’efficacia degli erbicidi e dei fertilizzanti azotati. Dal punto di vista operativo, ciò è stato reso possibile dall’introduzione della tecnica di livellamento dei terreni con lama a controllo laser. La pratica, attuata di routine, in successione all’aratura, consente l’ottenimento di superfici assolutamente piane e, quindi, l’instaurarsi di livelli dell’acqua di sommersione uniformi su ampie aree. Ogni camera, o gruppo di camere, è collegata alla rete irri-
è denominata camera. Può disporre di una gestione autonoma dell’acqua di irrigazione o essere collegata ad altre con apposite bocchette dislocate sugli argini perimetrali. Le sistemazioni avvenute nel recente passato hanno portato alla costituzione di camere di forma regolare (per lo più rettangolare) e di dimensione adeguata all’utilizzo razionale delle moderne attrezzature impiegate per compiere le operazioni colturali
L’ampliamento della dimensione delle aziende risicole ha determinato, nel tempo, un aumento dell’estensione delle singole camere, raggiungendo valori medi di 3-4 ha
Foto R. Angelini
298
tecnica colturale Sistemazione della risaia tipica piemontese
a
A
AB
e
B a
b d c
Collegamento irriguo tra due camere contigue
Sez. AA
Sez. BB
Foto B. Villa
a-c = scoline b = collettore d = solchi e = piana (zona coltivata compresa tra due solchi)
gua di adduzione ed è solitamente servita anche da canali esterni di scolo, posti a quota altimetrica inferiore. L’ottenimento di superfici prive di irregolarità e pendenza ha permesso, inoltre, la riduzione del numero di scoline interne alle camere, necessarie per lo sgrondo delle acque di sommersione durante il ciclo colturale. Tali strutture, che rappresentano delle tare produttive, si rendono ancora indispensabili nei terreni più compatti e poco bibuli, diffusi maggiormente nel territorio risicolo vercellese. Occorre, tuttavia, sottolineare la funzione delle scoline anche nella fase di immissione dell’acqua nelle risaie, al fine di permettere una graduale e contemporanea sommersione dell’intera camera. La tecnica utilizzata per la loro formazione si differenzia a seconda delle zone di coltivazione. Nei terreni meno drenanti del Vercellese è ancora diffusa la modalità di aratura a colmare e scolmare, che consente di per sé la creazione di scoline longitudinali. Invece, in Lomellina e nel Novarese è più comune l’aratura alla pari, rimandando l’eventuale costruzione delle scoline successivamente al livellamento e impiegando appositi scavafossi rotativi. Un’altra opzione per la costruzione delle scoline è costituita dall’assolcatore denominato “siluro”, che opera su terreno fangoso, in genere, con coltura in atto. Le scoline longitudinali delimitano zone di terreno chiamate “piane” di larghezza variabile in relazione alla permeabilità del terreno e non arrivano mai a interessare la ca-
Scavafossi rotativo
Scavatore per la realizzazione degli argini
299
coltivazione pezzagna. Una o più scoline trasversali fungono da collegamento per assicurare il passaggio dell’acqua alla rete esterna di scolo. Nel caso dei terreni più bibuli è diffusa la costruzione di un’unica scolina, posta in diagonale al lato lungo dell’appezzamento. La manutenzione e la costruzione degli argini perimetrali delle camere e della rete di scoline, così come la pulizia dei fossi adacquatori e colatori, richiedono un notevole impegno da parte dei risicoltori. Si tratta di lavorazioni effettuate nei mesi autunnali o di inizio primavera. Tra le macchine operatrici utilizzate si annoverano i diffusissimi scavafossi rotativi, gli aratri monovomere, i rulli costipatori per argini e i caricatori/scavatori.
Foto B. Villa
Lavorazioni del terreno Oltre alle funzioni comuni a tutte le colture, come il controllo delle infestanti, l’incorporazione dei fertilizzanti e dei residui colturali, l’incremento della porosità e dell’aerazione, l’ottenimento di un’opportuna profondità per la crescita dell’apparato radicale, le lavorazioni della risaia, prevalentemente condotta in monosuccessione, devono porre particolare attenzione a un’adeguata gestione dell’acqua.
Rullo costipatore per argini
Aratura
• Viene praticata in autunno,
successivamente alle operazioni di raccolta, o in primavera. La scelta dell’epoca di intervento è dettata maggiormente da esigenze di pianificazione dei lavori aziendali e alle condizioni climatiche del periodo post-raccolta. Tendenzialmente, l’aratura autunnale è preferibile nei terreni più pesanti o dove la degradazione delle paglie risulta molto lenta
Aratura. Nonostante le alternative, vantaggiose dal punto di vista energetico e dei tempi di lavoro, l’aratura rappresenta ancora oggi la lavorazione principale della risaia. L’evoluzione dell’aratro e della trattrice e l’introduzione della livella a controllo laser hanno in parte eliminato gli svantaggi che l’operazione presentava. Il raggiungimento di superfici orarie sempre maggiori, le ridotte necessità di non provocare irregolarità nel piano del campo per il successivo livellamento e le modifiche agli apparati deputati all’interramento dei residui colturali o degli eventuali erbai da sovescio (avanvomere e versoio) sono gli elementi che hanno consentito la modernizzazione della pratica. Riguardo alla gestione dei residui colturali, che ha visto la graduale sostituzione della loro bruciatura con l’interramento, solitamente preceduto da una trinciatura (con trinciapaglia abbinato alla mietitrebbiatrice), occorre richiamare alcuni cenni sulla trasformazione della sostanza organica in ambiente prevalentemente asfittico. Ricercatori americani hanno dimostrato come la somministrazione di residui ligneo-cellulosici in risaia coltivata in monosuccessione conduca, da un lato, a un aumento dei contenuti di carbonio organico nel terreno ma, d’altro canto, intervenga un sostanziale decadimento della qualità delle materie umiche prodotte, responsabili delle proprietà agronomiche della sostanza organica. Oltre a ciò, è stato evidenziato come il metabolismo anaerobico della risaia porti a un’immobilizzazione dell’azoto in composti organici recalcitranti, riducendo di fatto l’efficienza della concimazione azotata.
Stoppie nel terreno arato: la loro presenza in terreno sommerso aumenta l’immobilizzazione dell’azoto, a scapito della concimazione azotata
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tecnica colturale Infine, è noto il processo di fermentazione dei composti organici freschi in presenza dell’acqua di sommersione. Il fenomeno può arrecare un danno diretto alla coltura, per gli effetti fitotossici degli acidi grassi volatili ai germinelli, o indiretto, per il consumo della già ridotta quantità di ossigeno presente a livello della rizosfera. Nelle fasi conclusive del ciclo colturale tale condizione, insieme alla formazione di composti ridotti dello zolfo, origina la malattia fisiologica denominata akiochi o declino autunnale della coltura. Nella situazione agronomica delineata, l’aratura può svolgere un ruolo importantissimo nel consentire una rapida trasformazione del residuo carbonioso nei pochi mesi in cui la risaia permane in regime di asciutta. A questo proposito l’incorporazione delle paglie già nel periodo autunnale permetterebbe l’avvio dei processi di decomposizione fisico-meccanica e biologica. La distribuzione della biomassa su tutto il profilo interessato dall’operazione è, altresì, norma importante al fine di instaurare una buona attività microbica. Infine, intervenire in presenza di terreno “in tempera”, o, perlomeno, in assenza di un eccesso di acqua, favorirebbe un’ottimale ossigenazione dello strato arato. Se, da un lato, l’epoca autunnale di lavorazione risulta vantaggiosa per l’incremento della fertilità del terreno, oltre che propizia per l’azione disgregante del gelo e disgelo, l’esecuzione prima dell’inverno è, d’altro canto, fortemente penalizzante per la presenza delle infestanti nella stagione successiva. Dal punto di vista malerbologico, l’aratura è imputata di accrescere la banca semi delle principali infestanti della coltura e, in particolare, del riso crodo. Il posizionamento dei semi a profondità variabile determina un’emergenza scalare e il mantenimento
Foto N. Marangon
Foto N. Marangon
Foto N. Marangon
Particolare della suola di lavorazione (in alto) e del rivoltamento del terreno (al centro e in basso) provocati dall’aratura Aratro quadrivomere reversibile
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coltivazione del potenziale infestante per diversi anni, considerate le capacità della graminacea di permanere vitale nello stato di dormienza. Un altro fattore determinante per la scelta dell’epoca di aratura riguarda la velocità di asciugatura dei terreni dopo gli eventi piovosi. In condizioni di estrema lentezza nel raggiungimento di un giusto grado di umidità, si propende per un’aratura primaverile, che faciliti la perdita di acqua rispetto a un terreno che è stato esposto tutto il periodo invernale all’azione degli agenti atmosferici. Le modalità operative prevedono, in generale, l’attuazione di un’aratura alla pari, con l’ausilio di aratri reversibili quadri o pentavomere. Come ricordato, solo nel Vercellese è possibile ancora osservare la tipica aratura a colmare e scolmare, per le esigenze di sgrondo delle acque. Relativamente alla profondità di esecuzione, la tendenza è quella di eseguire operazioni sempre più superficiali (15-25 cm), che stimolano la germinazione precoce delle infestanti, favorendone la loro distruzione successiva. L’innovazione delle caratteristiche del versoio verso forme elicoidali ha permesso la realizzazione di aratura anche a 12 cm di profondità, senza compromettere il buon interramento dei residui vegetali.
Livellamento
• L’utilizzo della lama a controllo laser ha
rivoluzionato la tecnica di preparazione del terreno in risaia. Si sono notevolmente ridotte le operazioni da eseguire su terreno fangoso attraverso l’uso dell’asse spianone, a favore del livellamento condotto in post-aratura, normalmente nei mesi di febbraio e marzo, effettuato con l’ausilio di potenti trattrici
Livellamento. Il livellamento del terreno è un’operazione essenziale per mantenere la perfetta orizzontalità del piano di coltivazione. Tale pratica è oggi molto facilitata dall’impiego delle livellatrici a controllo laser. Un raggio laser scandisce il piano orizzontale di riferimento e fornisce le giuste indicazioni a un meccanismo di controllo automatico che fa alzare o abbassare la lama dell’attrezLivellatrice a controllo laser
Foto Ente Nazionale Risi
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tecnica colturale zatura. Lo strumento presenta una costante strumentale di errore di 0,5 cm di quota alla distanza di 300 m. Attualmente l’intervento viene ripetuto ogni anno, in primavera, su terreno arato e assume principalmente il compito di eliminare le irregolarità lasciate dall’aratura. Diversamente, quando i dislivelli da colmare superano i 10-15 cm (interventi straordinari), si preferisce l’utilizzo di ruspe trainate (scrapers) che, lavorando su strisce alterne nelle parti di prelievo degli appezzamenti, evitano l’asportazione totale dello strato superficiale più fertile del terreno. Le livellatrici a controllo laser sono, quindi, entrate stabilmente nel parco macchine delle aziende risicole. Sono trainate da potenti trattrici e assumono una larghezza di lavoro variabile dai 4 ai 6 m. Dal loro utilizzo sono derivate notevoli variazioni nella tecnica di preparazione del letto di semina. Innanzitutto, è stato completamente sostituito il livellamento in acqua con l’ausilio dell’asse spianone. Il costipamento provocato dai numerosi passaggi della livella ha, inoltre, ridotto la capacità di infiltrazione delle camere, rendendo meno necessarie le operazioni di intasamento, tradizionalmente eseguite con differenti tipologie di erpice o con rulli costipatori. La disponibilità di terreni completamenti piani e meno bibuli ha permesso l’attuazione della coltivazione con semina interrata a file e sommersione allo stadio di 3a-4a foglia. Nonostante gli innumerevoli aspetti positivi che la tecnica annovera, alcune problematiche sono state evidenziate da esperti del settore.
Vantaggi del livellamento
• Uniformità dei livelli di sommersione • Maggiore velocità nei movimenti di carico e scarico delle camere
• Risparmio dei consumi irrigui • Riduzione delle tare produttive (per es. solchi)
• Affrancamento uniforme delle plantule di riso, che si traduce in un regolare investimento
• Maggiore efficacia dell’utilizzo degli
erbicidi, che molto spesso prevede un’applicazione su terreno sgrondato e infestanti completamente scoperte dall’acqua di sommersione
Ruspa trainata o scraper, impiegata con dislivelli superiori ai 10-15 cm
Foto B. Villa
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coltivazione L’Istituto di Meccanizzazione Agricola del CNR sezione di Vercelli ha dimostrato come i ripetuti passaggi con la livella a controllo laser sul terreno, che è stato preventivamente arato, determina un sensibile compattamento dello strato superficiale (0-15 cm) e l’entità del compattamento è direttamente correlata alle caratteristiche fisiche e all’umidità del suolo. In genere, la resistenza alla penetrazione passa da valori medi intorno ai 4-5 kg/cm2 a 10-15 kg/cm2. Il compattamento, dopo la sommersione, tende a ridursi spontaneamente. È sufficiente un periodo di due mesi, affinché si annulli totalmente nei terreni limosi e argillosi, mentre, nel caso di tessitura più grossolana, tende a esistere sino alla raccolta. In tali condizioni, una lavorazione energica successiva al livellamento, che interessi tutto lo strato costipato, risulta indispensabile. Esperienze condotte nei terreni più sciolti della Lomellina hanno riportato un effetto di costipamento molto negativo, che spesso si traduce in problemi di sviluppo della coltura e di declino autunnale precoce, quando l’operazione viene eseguita su terreni troppo umidi. Di maggiore entità, invece, sono gli effetti negativi arrecati alla fertilità del terreno qualora gli spianamenti coinvolgano volumi di terreno elevati e siano condotti interessando solo lo strato superficiale del terreno. Uno studio condotto nelle risaie dell’Arkansas ha illustrato come il livellamento di un appezzamento, che presentava zone poste a 15 cm di dislivello, creava apprezzabili riduzioni del contenuto di sostanza organica, azoto totale e di alcune proprietà biologiche dei primi 10 cm del terreno. Anche la variabilità spaziale delle principali caratteristiche chimiche e biologiche veniva profondamente alterata. Preparazione del letto di semina. Successivamente al livellamento del terreno, la risaia viene preparata per la semina attraverso l’erpicatura. Prima dell’avvento della livella a controllo laser, tale lavorazione assumeva prevalentemente il compito di frantumazione delle zolle lasciate dall’aratro e di pareggiamento della superficie. Attualmente, la principale funzione dell’erpicatura è quella di ripristinare la sofficità dello strato superficiale in modo da permettere la crescita degli apparati radicali. Particolare attenzione deve essere riposta nel grado di zollosità lasciata al termine dell’operazione. L’eccessiva polverizzazione, frequente nei terreni sciolti, risulta estremamente negativa in quanto porta a un rapido compattamento degli strati superiori del terreno e non permette la creazione di quelle piccole irregolarità nella superficie che evitano lo spostamento del seme per effetto del moto ondoso dell’acqua. Occorre specificare come la dotazione di particolari accorgimenti dell’erpice (rulli a spirale), o il passaggio del rullo cambridge, favorisca la creazione di solchetti o alveoli nei quali il seme va a ricadere, rendendo ancora
Variabilità spaziale di alcune caratteristiche del terreno prima e dopo il livellamento
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tecnica colturale meno probabile un loro movimento anche in condizioni ventose. Nei terreni più sciolti la formazione di questi canalicoli prima della sommersione tende a essere vanificata da una loro repentina chiusura al momento dell’immissione dell’acqua. Risulta così necessario procrastinare l’operazione di “rigatura” successivamente alla sommersione, in condizioni di terreno fangoso e con dispositivi appositi collocati sull’asse spianone. Nei letti di semina preparati troppo energicamente, inoltre, si corre il rischio di un ricoprimento del seme da parte di materiale terroso portato in sospensione dall’acqua. Ne deriva una possibile riduzione della germinazione dei semi o di un incremento della fitotossicità di erbicidi applicati in pre-semina. Nella semina interrata a file la presenza di aggregati troppo fini può portare alla formazione di temibili croste, negative per una buona e regolare emergenza delle plantule. La presenza di aggregati di grosse dimensioni, invece, non consente un regolare investimento della coltura e riduce l’efficacia degli erbicidi residuali applicati in pre-semina, nel caso della semina in acqua, o di preemergenza, nella semina in asciutta. Si considera una zollosità ideale quando la dimensione degli aggregati tende a 2-5 cm. Un’altra funzione fondamentale dell’erpicatura riguarda l’interramento dei fertilizzanti. Quasi la totalità dei concimi applicati in pre-semina viene distribuita su terreno livellato o dopo una prima erpicatura. Diversamente l’incorporazione con l’aratro, oltre a un eccessivo posizionamento in profondità degli elementi nutritivi per l’azione dell’avanvomere, condizionerebbe l’uniformità di distribuzione per l’azione successiva di spostamento del terreno con il livellamento. È noto come l’efficienza della concimazione azotata sia decisamente migliorata da un buon interramento nel terreno, in conseguenza alla diminuzione del fenomeno di volatilizzazione dell’ammoniaca. Anche il fosforo va opportunamente distribuito all’interno del profilo del terreno, per la sua ridotta mobilità, ma, soprattutto, allo scopo di non stimolare la proliferazione delle alghe, responsabili dell’eutrofizzazione delle acque superficiali. Considerando l’epoca di intervento, occorrerebbe operare più a ridosso possibile alla sommersione e alla semina e immediatamente dopo la distribuzione dei concimi minerali azotati. Spesso tali esigenze di ottimizzazione della pratica si rivelano problematiche per l’organizzazione del lavoro aziendale. Risulta importante operare in condizioni di umidità del terreno favorevoli alla creazione di un letto di semina soffice, avendo cura di evitare il fenomeno di impastamento. Le soluzioni operative sono molteplici e si differenziano in maniera sostanziale nelle specificità delle proprie funzioni. L’erpice rotante, molto diffuso in risaia, offre il vantaggio principale di realizzare un adeguato affinamento, in considerazione della presenza, in gran parte della area risicola italiana, di terreni a
Erpicatura
• L’esigenza di una tempestività
dell’operazione e le mutate condizioni esecutive, con la presenza di terreno livellato, hanno favorito la diffusione di erpici combinati i cui organi principali sono costituiti da ancore rigide o elastiche. Si tratta di macchine non azionate dalla presa di potenza, ma che necessitano di trattrici di grossa potenza e che preparano in un unico passaggio il letto di semina Foto B. Villa
“Rigatura” del terreno
Erpice rotante
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coltivazione tessitura di medio impasto tendente allo sciolto. La lavorazione interessa i primi 10 cm di suolo e non crea effetto suola. L’attrezzo presenta una limitata capacità di interramento dei fertilizzanti e una media efficacia nella distruzione delle infestanti. Le fresatrici-zappatrici svolgono un affinamento eccessivo nella maggior parte delle condizioni operative. Rispetto all’erpice rotante, riescono a operare sino a 20 cm di profondità e consentono un buon interramento dei fertilizzanti e la distruzione delle infestanti (a eccezione delle rizomatose di cui favoriscono la propagazione). Sono ancora adatte per terreni argillosilimosi, non livellati, dove risulta difficoltosa la disgregazione della zollosità lasciata dall’aratro. Nei terreni arati e livellati trovano impiego gli erpici combinati provvisti di ancore rigide e/o elastiche, di dischi dentati e/o lisci, di barre livellatrici, di rulli (packer, a spuntoni, a gabbia, a spirale ecc.). Gli interventi vengono realizzati a velocità abbastanza elevata (8-10 km/h) e appaiono quindi tempestivi e legati a un’elevata capacità operativa. Si realizza un considerevole contenimento dei tempi di lavoro, del consumo di carburante e del calpestamento del terreno. Operano un buon arieggiamento, estremamente necessario in successione al livellamento, e, a seconda dell’equipaggiamento dei diversi dispositivi, sono decisamente efficaci nell’incorporazione dei fertilizzanti nel terreno e nel controllo delle infestanti. Con tali attrezzature, è opportuna una regola-
Ruolo dell’erpicatura nel controllo delle infestanti
• La logistica aziendale impone,
a volte, un lasso di tempo molto ampio tra l’aratura, il livellamento e la preparazione del letto di semina, che favorisce lo sviluppo di alcune temibili infestanti, tra cui il giavone. È importantissimo eliminare il più possibile tali infestanti, in quanto la loro presenza in avanzato stato di sviluppo al momento dell’applicazione degli erbicidi, ridurrebbe drasticamente la loro efficacia. Per quanto riguarda il riso crodo, invece, le piante sfuggite al controllo in pre-semina dimostrerebbero un’elevata pericolosità in termini competitivi e non sarebbero più gestibili
Risaia infestata da riso crodo
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tecnica colturale Foto N. Marangon
Foto B. Villa
Particolare di erpice combinato Foto B. Villa
Erpice combinato
zione in modo da non incorrere nell’inconveniente di portare in superficie residui colturali. Per quanto riguarda gli erpici a dischi, il loro utilizzo nella preparazione del terreno è pressoché posizionato in successione all’aratura, quando la zollosità è eccessiva per un uso razionale della livella a controllo laser. Le maggiori esigenze di arieggiamento, rispetto al rimescolamento, del terreno livellato hanno ridotto la loro diffusione a favore dei coltivatori. Operazioni di intasamento. La natura del suolo e del sottosuolo di molti terreni coltivati a riso li rende eccessivamente bibuli. Nei casi in cui anche con il compattamento derivante dalle operazioni di livellamento non si raggiunga una limitata permeabilità, si interviene con le operazioni di intasamento, eseguite successivamente alla sommersione delle camere. Si tratta di una serie di lavorazioni, condotte con trattrici munite di ruote in ferro dentate o a gabbia, atte a eliminare più del 90% della macroporosità esistente attraverso la rottura degli aggregati e la formazione di particelle in sospensione, che, depositandosi, rendono il terreno impermeabile. Solo terreni che contengono almeno un minimo di argilla sono idonei a subire tale processo. Oltre alla riduzione delle perdite di acqua per percolazione, la diminuzione della conduttività idraulica permette un aumento dell’efficienza della concimazione azotata e potassica. Gli aspetti negativi della pratica, invece, annoverano nell’aumento delle condizioni anaerobiche della risaia la possibilità dell’insorgenza di malattie fisiologiche causate da composti ridotti dello zolfo o del ferro.
Operazioni di intasamento del terreno prima della semina
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coltivazione Le condizioni ottimali di permeabilità, infatti, prevedono un grado di infiltrazione stimato in circa 1 cm al giorno, raggiungendo un compromesso tra le esigenze di risparmio idrico e riduzione delle perdite di nutrienti e la necessità di dilavamento di sostanze tossiche. Le macchine utilizzate per l’intasamento sono rappresentate dai classici erpici a dischi o stellari, da speciali rulli costipatori o dal tradizionale erpice a lame rigide, detto anche erpice zappatore. Nei terreni più sciolti del Pavese è stato ideato un particolare rullo sottocostipatore. Un altro metodo per ridurre la permeabilità della risaia, anch’esso utilizzato nel Pavese e in alcune aree della Lomellina, riguarda il calpestamento del terreno con pesanti trattrici da effettuarsi prima dell’erpicatura finale. Rullo sottocostipatore
Minima lavorazione Questa tecnica, più diffusa all’estero che in Italia, ha nel risparmio dei costi e nella tutela dell’agroecosistema i principali obiettivi. Rispetto alla maggior parte delle colture in cui la minima lavorazione si è diffusa, per il riso coltivato in semina in acqua risulta particolarmente importante il buon interramento dei residui colturali, spesso abbondanti e di difficile degradazione. Altra condizione problematica riguarda la presenza delle sconnessioni del terreno provocate dal passaggio dei mezzi meccanici durante le operazioni di raccolta, che frequentemente avvengono su terreno reso fangoso dalle piogge autunnali.
Lavorazioni ridotte
• Le tecniche di minima lavorazione e di
semina su sodo sono state introdotte in risicoltura per consentire un risparmio dei costi ma, soprattutto, per rendere più efficaci le misure di lotta al riso crodo
Foto M. Tabacchi
Macchina combinata per la minima lavorazione Erpici combinati per la minima lavorazione
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tecnica colturale L’eventuale presenza di malerbe che si riproducono da rizoma richiede la distribuzione di un erbicida ad azione totale e assorbimento fogliare prima della semina. Considerando le attrezzature a disposizione, troviamo gli erpici a dischi, a denti elastici, a lame rigide o, tra le macchine operatrici azionate dalla presa di potenza, le fresatrici. Ovviamente, le attrezzature elencate possono essere combinate in vario modo e completate con utensili accessori. Si tratta in genere di una minima lavorazione superficiale, con profondità compresa tra i 10 e i 15 cm, svolgendo, in media, due passaggi. A volte il primo intervento viene effettuato prima dell’inverno, in modo da favorire la degradazione delle paglie, mentre il secondo in prossimità della semina. Una sperimentazione specifica di confronto tra la tecnica convenzionale (aratura ed erpicatura) con varie alternative di minima lavorazione, condotta dal Centro Ricerche sul Riso a inizio anni ’90, ha dimostrato la validità della tecnica con lavorazione ridotta, riportando prestazioni produttive del tutto simili all’aratura. È stata verificata una maggiore difficoltà di radicamento e di penetrazione delle radici nel terreno, da cui consegue uno sviluppo vegetativo inferiore alla lavorazione convenzionale. Con tale pratica colturale è consigliato un aumento della quantità di seme. Un’alternativa alle modalità di minima lavorazione descritte, specifica per la lotta al riso crodo, è rappresentata dalle rotolame. Agiscono su terreno parzialmente sommerso, disgregando i residui colturali e attuando anche il loro interramento. La preparazione del letto di semina si realizza con due o tre passaggi e interessa solo pochi centimetri di profondità. Tale tecnica è stata presto abbandonata per la limitazione delle capacità produttive della coltura, legate a una cattiva degradazione dei residui colturali e quindi a effetti fitotossici delle sostanze di derivazione.
Minima lavorazione e infestanti
• Nel caso del riso, il non utilizzo
dell’aratro si inserisce anche nelle misure di lotta al riso crodo. Infatti, il riso crodo nasce in maggiore quantità, più rapidamente e più contemporaneamente se non lo si interra, favorendo gli interventi chimici o meccanici successivi. Dall’associazione della minima lavorazione con la falsa semina conseguono percentuali di controllo della malerba molto elevate. Inoltre, l’interramento a profondità superiori ai 10 cm consente la permanenza nello stato di dormienza del potenziale infestante della malerba per diversi anni
Semina su sodo. Sempre nell’ottica del contenimento dei costi di produzione un certo interesse è stato dimostrato per la semina su sodo, su terreno asciutto. Si utilizzano seminatrici specifiche a righe, in grado di gestire il residuo colturale attraverso azioni di taglio, spostamento e sollevamento. Queste azioni possono essere svolte da utensili specifici o da utensili chiamati a realizzare anche altre funzioni. Sono sempre presenti, invece, organi assolcatori (in genere a dischi), per l’apertura del solco e la deposizione del seme, e dispositivi per chiudere il solco e far aderire il terreno al seme. A livello sperimentale, è stata rilevata un’ottima performance della coltura seminata su terreno indisturbato, ottenendo risultati produttivi di poco inferiori al convenzionale. L’appropriata regolazione della profondità di semina è risultato l’elemento decisivo nel conseguire un adeguato investimento e il successo della coltivazione.
Seminatrice da sodo
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coltivazione Sistemi di coltivazione del riso e pratiche irrigue I sistemi di coltivazione del riso differiscono in relazione all’utilizzo dell’acqua di irrigazione. Le differenti tipologie di gestione dell’acqua di irrigazione sono rese possibili dalle peculiarità di adattamento della pianta di riso sia ad ambienti edafici asciutti sia sommersi. In Italia, il sistema di coltivazione tradizionale prevede la semina in acqua e la sommersione continua per gran parte del ciclo colturale. A partire dagli anni ’90 si è diffusa, soprattutto in Lombardia, la tecnica di semina a file interrate e sommersione a inizio accestimento. Nel 2007 la superficie destinata alla semina in asciutta ha superato i 50.000 ha, più del 20% del totale. Una variante di tale metodo prevede la non sommersione, gestendo la coltura con irrigazioni turnate da cui consegue un notevole risparmio idrico. Le tecniche a disposizione presentano vantaggi e svantaggi tali da offrire al risicoltore l’alternativa più idonea alla propria situazione colturale.
Riso: pianta acquatica o terrestre?
• Lo sviluppo della coltura in condizione
di terreno asfittico è consentito dalla capacità di differenziazione di parenchimi aeriferi nell’apparato epigeo, che svolgono la funzione di apportare l’ossigeno necessario al funzionamento dell’apparato radicale. Viceversa, il riso è in grado di crescere anche se coltivato in asciutta, ma la produttività potrebbe essere condizionata dalle maggiori escursioni di temperatura in assenza del volano termico dell’acqua
Semina in acqua e sommersione permanente La coltivazione del riso in Italia si colloca, per la maggior parte, in prossimità del 45° parallelo Nord, cioè quasi in prossimità del limite di coltivazione, situato al 47° parallelo. Le esigenze termiche del cereale hanno favorito la diffusione del sistema di coltivazione in sommersione continua, beneficiando dell’effetto di volano termico svolto dalla coltre di acqua. Tale ruolo risulta molto importante nelle prime fasi del ciclo colturale, quando le differenze termiche tra il giorno e la notte sono considerevoli e la sensibilità della coltura è maggiore. Dalla sommersione dei terreni deriva uno stato di riduzione dovuto a carenza di ossigeno. Nel giro di pochi giorni dall’immissione dell’acqua l’ossigeno presente viene rapidamente consumato e il suolo resta praticamente privo di ossigeno molecolare, mentre quello che proviene dalle acque risulta appena sufficiente a mantenere aerobico un sottile orizzonte superficiale. La diffusione dell’ossigeno dalle radici del riso rende, però, il sistema risaia complesso, con un’alternanza di zone a prevalente metabolismo anaerobico e altre dove è possibile ritrovare processi ossidativi. La sommersione ha effetti nutrizionali favorevoli, che esulano dagli adattamenti fisiologici del riso. L’assimilabilità del fosforo e del potassio aumenta notevolmente. Sono maggiormente disponibili silicio, ferro e manganese. Talvolta, questi due ultimi elementi possono addirittura causare problemi di tossicità per l’elevata concentrazione. Il prevalente grado di anossia aiuta, inoltre, ad aumentare l’efficienza della concimazione azotata per la riduzione dei processi di nitrificazione a carico dell’azoto ammoniacale. Dal punto di vista malerbologico la semina in acqua svolge un’azione di contenimento della germinazione dei semi di riso crodo interrati in profondità e una sostanziale riduzione della pres-
Alternative di coltivazione del riso in Italia
• I sistemi di coltivazione del riso
hanno visto un progressivo aumento della superficie seminata in asciutta. Le ragioni sono legate a condizioni agronomiche mutate, a una riduzione della disponibilità della risorsa idrica e, soprattutto, al cambiamento delle circostanze socioeconomiche dei risicoltori. L’aumento dei salari e la forte riduzione della manodopera hanno indotto a scelte colturali semplificate e gestibili direttamente dall’imprenditore risicolo
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tecnica colturale sione delle infestanti graminacee riproducibili mediante seme. Fanno eccezione i biotipi di giavone “bianchi”, particolarmente adatti all’ambiente sommerso. Per contro, sono presenti le tipiche specie acquatiche appartenenti alle famiglie delle Pontederiacee, Ciperacee, Alismatacee e Butomacee. Considerando gli aspetti ambientali, le condizioni riducenti della risaia in sommersione limitano fortemente il rischio di inquinamento da nitrati delle falde e delle acque superficiali, mentre sarebbero penalizzanti per i processi di formazione del metano e di altri gas a “effetto serra”, che devono però essere quantificati anche in relazione ad altri elementi dell’agrotecnica, in particolare alla gestione dei residui colturali. Rispetto alle colture “in asciutta”, risultano maggiori i rischi di contaminazione delle acque da erbicidi. Tuttavia, la legislazione vigente in Italia, i provvedimenti regionali e la disponibilità di nuovi principi attivi, dotati di profili ambientali eccellenti, permettono il pieno controllo del problema. Infine, per quanto riguarda la salubrità delle produzioni di riso, la presenza nel terreno di un potenziale elettrochimico negativo per gran parte del ciclo colturale consente l’ottenimento nella granella di contenuti decisamente bassi del metallo pesante cadmio, considerato uno dei principali elementi di alterazione delle proprietà nutrizionali del riso.
Acqua come volano termico
• Una sperimentazione condotta
dall’Università di Torino ha evidenziato come l’acqua di sommersione mantiene le temperature minime notturne del terreno sommerso a valori sensibilmente più elevati di quelli relativi al terreno non sommerso. Nel mese di maggio e nella prima e seconda decade di giugno, quando è ancora limitato l’effetto di ombreggiamento provocato dalla coltura, anche la temperatura media giornaliera del terreno sommerso è risultata maggiore di 2-3 °C rispetto a quella del terreno asciutto
Le esigenze termiche del riso hanno favorito la diffusione del sistema di coltivazione in sommersione continua, beneficiando dell’effetto di volano termico svolto dall’acqua
Foto N. Marangon
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coltivazione Modalità operative. L’immissione dell’acqua nelle camere avviene da qualche giorno a circa un mese (nel caso della lotta al riso crodo con erbicidi antigerminello) prima della semina. Ormai sostituite le operazioni di slottatura e di livellamento con asse spianone dall’utilizzo delle livelle a controllo laser, un intervallo di 4-7 giorni tra la sommersione e la semina si rende comunque necessario per favorire la selettività dell’applicazione dell’erbicida a base di oxadiazon. Tale pratica è indispensabile per il controllo dell’infestante Heteranthera reniformis, presente su quasi tutto il territorio risicolo. Nel caso, sempre più frequente, di applicazione del prodotto in asciutta e sommersione successiva, la pratica più diffusa prevede, invece, la distribuzione su terreno allagato. In tal caso, il periodo di tempo può essere ridotto a 1-2 giorni, venendo a mancare l’esigenza dell’attesa che la molecola si depositi sul terreno dopo essere stata in sospensione nell’acqua di sommersione. La semina avviene a spaglio con riso precedentemente ammollato, mantenendo un livello dell’acqua di sommersione di circa 5 cm. Un’alternativa è rappresentata dalla semina su terreno asciutto con seme trattato con bagnante, indispensabile per evitare il galleggiamento all’atto della sommersione, operazione eseguita immediatamente terminata la distribuzione del seme. Il sistema offre il vantaggio di non utilizzare trattrici munite di ruote metalliche, ma risulta di fondamentale importanza procedere con una sommersione repentina, pena la predazione dei semi da parte dei numerosi uccelli granivori, sempre più numerosi.
Riduzione del contenuto di cadmio nella granella
• Una sperimentazione specifica,
effettuata dal Centro Ricerche dell’Ente Nazionale Risi, confrontando la tecnica della sommersione continua, caratterizzata da un livello costante di anossia durante tutto il ciclo colturale, con la semina interrata e irrigazione turnata, in cui viene instaurata un’alternanza di condizioni aerobiche e anaerobiche, ha dimostrato un abbassamento del 55% della concentrazione di cadmio nel riso prodotto nelle parcelle gestite in sommersione continua
Risaia allagata in prossimità della semina
Foto N. Marangon
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tecnica colturale In generale, la riduzione dell’intervallo sommersione-semina permette di limitare al minimo il problema delle alghe, la competizione delle malerbe acquatiche e gli effetti di intorbidamento dell’acqua provocati da vermi e crostacei. Inoltre, è vantaggioso limitare al minimo il periodo di tempo tra le operazioni di preparazione del letto di semina e la sommersione, al fine di impedire la germinazione precoce delle infestanti. Quando il riso seminato ha sviluppato una piumetta di circa 1,5-2 cm si procede all’asciutta di radicamento. Lo stadio viene raggiunto in circa 8-10 giorni per le semine di aprile, mentre occorrono 5-7 giorni nelle semine di maggio. L’intervallo è dipendente, oltre che dall’andamento termico, anche dal vigore precoce della varietà considerata. Genotipi a profilo japonica, in particolare quelli appartenenti al gruppo merceologico dei risi utilizzati per la preparazione del risotto, detengono una maggiore velocità di crescita iniziale. L’asciutta di radicamento, oltre a consentire l’affrancamento delle plantule, risulta spesso indispensabile per il controllo della proliferazione delle alghe, per eliminare eventuali fermentazioni o fenomeni di fitotossicità da erbicidi applicati in pre-semina. Durante l’asciutta di radicamento, la coltura, non beneficiando dell’effetto di termoregolazione dell’acqua di sommersione, è particolarmente sensibile agli abbassamenti termici. Nella fase colturale successiva il livello dell’acqua di sommersione segue progressivamente la crescita della coltura sino all’asciutta, programmata per l’esecuzione dei trattamenti erbicidi a cui se-
Foto V. Mancini
Sacchi di riso in ammollo Foto V. Mancini
Foto N. Marangon
Riempimento della tramoggia della seminatrice Foto V. Mancini
Semina a spaglio Risaia in asciutta di radicamento
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coltivazione gue, solitamente, la prima concimazione azotata in copertura. La durata di tale asciutta è strettamente legata alla strategia di diserbo utilizzata. Varia da pochi giorni, nel caso di un unico intervento con prodotti ALS inibitori (azimsulfuron, penoxulam, bispyribacsodium) o graminicidi (profoxydim, cyhalofop-butile) addizionati con erbicidi che completino lo spettro d’azione sulle “foglie larghe”, a circa 15 giorni nel caso si preveda il doppio passaggio con propanile. Tutta una serie di altre opzioni di diserbo richiede gestioni intermedie ai due casi citati. La prima concimazione azotata in copertura viene eseguita al termine delle operazioni di diserbo, su terreno asciutto, prima di risommergere la risaia. Ciò permette di ridurre al minimo le perdite di volatilizzazione dell’ammoniaca, sfruttando la penetrazione dell’acqua per portare negli strati sottosuperficiali l’azoto applicato, in genere, ureico. In alternativa, specialmente quando si utilizzano erbicidi non dotati di perfetta selettività nei confronti dell’apparato radicale del riso, è preferibile posticipare la somministrazione del concime azotato di circa una settimana rispetto all’intervento fitoiatrico, rendendo più contemporanea la disponibilità del nutriente e la capacità di assorbirlo. Nella fase di accestimento il livello dell’acqua di sommersione viene mantenuto intorno ai 5-10 cm. Livelli bassi consentono un
Durata dell’asciutta di radicamento
• La durata è legata a tutta una serie di
condizioni della coltura e della risaia: ancoramento raggiunto, morte delle alghe, detossificazione da sostanze tossiche al riso. In genere, si protrae per circa una settimana. Al fine di non favorire la germinazione dei giavoni e del riso crodo e non creare condizioni di indurimento del terreno, con conseguenze sullo sviluppo dell’apparato radicale, è buona norma non ritardare eccessivamente la risommersione
Asciutta di radicamento
Foto N. Marangon
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tecnica colturale maggiore accestimento delle piante madri e un irrobustimento dei culmi, indispensabile per evitare problemi di allettamento nelle varietà a taglia alta. Con il sopraggiungere delle alte temperature risulta utile aumentare il ricircolo dell’acqua all’interno delle camere, stante una buona disponibilità della risorsa idrica. All’inizio della fase di levata, in molte situazioni colturali è vantaggioso ricorrere a un ulteriore periodo di asciutta. Lo scopo dell’operazione è prevalentemente legato alla funzione di eliminazione di composti ridotti (acido solfidrico, ferro e manganese ridotti, acidi grassi volatili ecc.). Inoltre, lo stress provocato alla coltura impedisce la formazione di accestimenti tardivi (negativi ai fini produttivi) e migliora la resistenza all’allettamento, favorendo una ripresa della crescita degli apparati radicali e la lignificazione dei culmi. Per ottemperare agli obiettivi sopra esposti è di fondamentale importanza che l’asciutta si protragga per un periodo sufficiente a raggiungere condizioni aerobiche nel terreno. In media tale stato si ottiene in 10-15 giorni, essendo legato al tipo di terreno, alla sistemazione della risaia e all’andamento climatico. La copertura del terreno da parte della coltura è ormai in grado di scongiurare eventuali nascite di infestanti graminacee. In fase riproduttiva, in particolare durante la fase di microsporogenesi, la pianta di riso è molto suscettibile agli abbassamenti termici sotto i 15 °C, che causano il fenomeno della sterilità della pannocchia. In altri ambienti temperati di coltivazione del riso (Australia), dove, però, gli abbassamenti termici notturni sono seguiti da temperature medie giornaliere anche di 40 °C, viene attuata la tecnica di innalzamento dell’acqua, in modo da mantenere la pannocchia in formazione completamente sommersa. Il livello dell’acqua può raggiungere anche i 25 cm. Nel nostro ambiente la pratica andrebbe, prima, valutata sperimentalmente, sia per verificarne l’efficacia sia per escludere possibili effetti negativi riconducibili a una riduzione della quantità di ossigeno alla rizosfera. Infatti, come precedentemente affermato, la gestione dell’acqua raccomandata per il periodo in questione prevede bassi livelli e un buon ricircolo. La gestione dell’acqua si conclude con la decisione del momento più opportuno per intervenire con l’asciutta di pre-raccolta. Lo scopo è quello di permettere l’esecuzione delle operazioni di raccolta in modo veloce, di massimizzare la produzione e la qualità della granella e di evitare la formazione di ampie e profonde carreggiate in conseguenza del passaggio dei potenti mezzi impiegati per la raccolta. La situazione ottimale prevede il mantenimento della sommersione sino al termine della fase di maturazione cerosa. Tuttavia, alla decisione concorrono tutta una serie di condizioni pedologiche, colturali e climatiche, che devono essere valutate congiuntamente.
Movimentare l’acqua delle camere con le alte temperature
• Con il sopraggiungere delle alte
temperature risulta utile aumentare il ricircolo dell’acqua all’interno delle camere. L’effetto del movimento dell’acqua si traduce in un maggior apporto di ossigeno, carente in condizioni di alta temperatura, e di allontanamento di composti tossici provenienti dal metabolismo anaerobico della risaia. Se i volumi in gioco fossero troppo elevati, però, si incorrerebbe nel rischio di provocare un ritardo di maturazione nelle zone in prossimità della bocchetta di entrata dell’acqua negli appezzamenti
Colatura apicale causata da abbassamenti termici durante la differenziazione della pannocchia
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coltivazione Varietà a ciclo lungo, semine tardive o colture lautamente fertilizzate completano il ciclo con andamenti termici più freschi, posticipando così la fase di asciutta. Le capacità drenanti del terreno e la predisposizione della rete di scoline interna alle camere sono da considerare in quanto modificano la velocità di asciugatura. Se l’asciutta avvenisse troppo anticipatamente, oltre ad avere un calo produttivo, si incorrerebbe in un abbassamento della resa alla lavorazione e in un aumento dei granelli gessati. Viceversa, con asciutte ritardate rispetto all’epoca ottimale, l’umidità della granella alla raccolta potrebbe risultare troppo bassa con rischi di microfessurazioni in caso di eventi piovosi. In alcune condizioni colturali, il mantenimento prolungato dell’acqua di sommersione accelera la senescenza della pianta, che chiude anticipatamente il ciclo. Asciutte precoci si rendono necessarie nel caso della presenza di riso allettato.
Gestione dell’acqua
• La tecnica di gestione dell’acqua
di sommersione riveste un ruolo importantissimo ai fini produttivi. Solo con l’esperienza diretta dell’influenza dei movimenti dell’acqua (periodi di asciutta, quantità di ricircolo, livelli di sommersione) sulla pianta è possibile intraprendere le scelte più opportune. Particolari attenzioni devono essere rivolte alle interazioni della gestione dell’acqua con la tecnica del diserbo, con le modalità di concimazione azotata e con il controllo delle malattie e dei disordini nutrizionali
Semina interrata a file e sommersione in 3a-4a foglia Il vantaggio principale offerto dalla semina interrata riguarda l’ottenimento di investimenti adeguati e uniformi in condizioni di terreno sciolto, in cui si hanno le maggiori difficoltà di radicamento, quando si adotta la semina in acqua, o dove sono frequenti avversità come le fermentazioni, la proliferazione delle alghe e i danni da parassiti acquatici. Il maggior sviluppo dell’apparato radicale e una taglia leggermente più ridotta rispetto alla semina in acqua, rendono meno problematico il fenomeno dell’allettamento, molto frequente nelle varietà a taglia alta tipiche per la produzione del risotto.
Risaia preparata per la semina in acqua
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tecnica colturale Dal punto di vista ambientale, la tecnica offre la possibilità di una minore contaminazione delle acque superficiali da parte degli erbicidi. Per contro, le perdite di azoto in forma nitrica nelle falde assumono maggiori entità, specialmente nei casi di laute concimazioni in pre-semina. Le operazioni colturali relative alla preparazione del letto di semina e la semina risultano, con il metodo della semina in asciutta, fortemente condizionate dall’andamento pluviometrico. Oltre alle difficoltà di trovare un terreno in condizioni di umidità idonee all’ottenimento di un giusto grado di zollosità attraverso l’erpicatura finale, indispensabile a consentire la germinazione dei semi, evitando la formazione di crosta in caso di pioggia, occorre prevedere quale sarà l’andamento delle precipitazioni in modo da definire correttamente la profondità di semina. In caso di precipitazioni successive alla semina, la profondità va limitata al minimo. Diversamente, nei casi delle semine di maggio, con minori rischi di precipitazioni e temperature più elevate, si deve arrivare a posizionare il seme nella zona umida, pena la necessità di un’irrigazione successiva. La rullatura successiva alla semina aiuta a preservare maggiormente l’umidità del terreno. Con il metodo della semina interrata a file, il ciclo colturale viene allungato di qualche giorno, specialmente per le semine precoci. Tuttavia, sono sconsigliate semine troppo anticipate, che espongono il seme a condizioni meteorologiche avverse a una pronta germinazione, favorendo, invece, una rapida e competitiva infestazione malerbologica. Sono così da ritenersi più adatte varietà a ciclo medio o medio-precoce, che godono di una maggiore flessibilità dell’epoca di semina. Il contenimento del riso crodo, rappresenta, infatti, una delle principali limitazioni all’impiego della coltivazione con semina in asciutta. In tali condizioni l’emergenza dell’infestante raggiunge percentuali elevatissime, essendo interessati anche i semi interrati in profondità. La varietà Clearfield, resistente agli erbicidi appartenenti alla famiglia degli imidazolinoni, efficaci su riso crodo, è risultata particolarmente adatta alla coltivazione in semina interrata, pur manifestando qualche problema per la lunghezza del ciclo colturale. L’esigenza di anticipare le semine a inizio aprile ha esposto le semine interrate ai rischi legati agli eccessi di precipitazioni e agli abbassamenti termici, tipici del periodo. Considerando i consumi idrici, con la semina interrata si ha un ritardo di circa un mese della sommersione. A fronte di un logico risparmio dei quantitativi di acqua utilizzati, anche se le perdite per percolazione sono in genere superiori rispetto alla tecnica in sommersione, si presentano, però, maggiori difficoltà per il forte fabbisogno idrico in stagione già avanzata, quando la disponibilità è più ridotta e si aggiungono le esigenze irrigue del mais.
Semina interrata a file e sommersione alla 3a-4a foglia
• La sua diffusione è la soluzione
ad alcune problematiche colturali, offrendo al contempo un risparmio di manodopera per le minori esigenze deputate al governo dell’acqua. Inoltre, eseguendo la maggior parte delle operazioni colturali su terreno asciutto, viene reso possibile un limitatissimo impiego delle trattrici munite di ruote di ferro. In conseguenza si ottiene una estrema velocizzazione del lavoro e, più in generale, un risparmio dei costi di produzione. Le aziende che adottano piani di rotazione con altre colture ne beneficiano maggiormente, in quanto ottimizzano la polivalenza delle trattrici
• Anche il prolungamento del periodo
in cui la risaia permane in condizioni di asciutta favorisce le colture in successione al riso, venendo a ridursi le condizioni di asfissia tipiche della risaia
Riso allettato in pre raccolta
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coltivazione Spesso, per la sommersione dei campi, sono necessarie portate elevatissime in modo da favorire la distribuzione dell’acqua, riducendo l’infiltrazione in profondità. Occorre ricordare che la sommersione delle risaie in epoca tradizionale (metà di aprile) permette altresì l’innalzamento delle falde, che limita la capacità drenante dei terreni, e alimenta una rete di acqua di colatura, di cui si avvantaggiano le zone più estreme dei consorzi di irrigazione. In definitiva, a fronte di un risparmio idrico a livello di singolo appezzamento, la gestione dell’acqua a livello comprensoriale viene resa più problematica. Dal punto di vista parassitario, è stato ampiamente osservato che nella semina interrata, rispetto a quella in acqua, si hanno maggiori rischi di infestazione dal nematode Aphelenchoides bessey. Ciò avviene in conseguenza della stretta associazione, nel caso della semina interrata, dello sviluppo del parassita con quello della pianta. Al contrario, quando il seme viene distribuito in acqua, la carica iniziale di nematodi viene decisamente ridotta per un effetto di dispersione nell’acqua di sommersione. Per quanto concerne le varietà, quasi tutti i genotipi sono adattabili alla tecnica di semina in asciutta e sommersione in 3a-4a foglia. Le maggiori difficoltà si presentano per varietà a limitato vigore iniziale (per es. Thaibonnet) e per quelle che manifestano una certa lentezza al cambiamento fisiologico da coltura “in asciutta” a coltura “sommersa”. Particolarmente adatte si sono dimostrate le varietà molto vigorose appartenenti al gruppo merceologico dei risi utilizzati per la preparazione del risotto.
Esecuzione della semina interrata a file e sommersione alla 3a-4a foglia
• È di fondamentale importanza mantenere la risaia, nel periodo precedente alla sommersione, in condizioni aerobiche, evitando eccessivi ristagni. Il riso cresciuto su terreni imbevuti di acqua non è in grado di predisporsi, dal punto di vista fisiologico, a un comportamento ben definito: da coltura sommersa, con la presenza dei tipici aerenchimi, o da coltura asciutta. Le piante crescono stentatamente e ingialliscono, con danni produttivi ingenti. Adeguati livellamenti, una rete di scoline più fitta, rispetto alla tecnica in sommersione, e, soprattutto, una gestione comprensoriale del territorio destinato alla tecnica in asciutta permettono di superare il problema
Riso in fase di maturazione
Foto N. Marangon
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tecnica colturale Modalità operative. Il livellamento degli appezzamenti risulta estremamente necessario, sia per evitare zone di accumulo di acqua durante il periodo in asciutta sia per consentire un livello uniforme dell’acqua nelle prime fasi dopo la sommersione. Infatti, il mantenimento della coltre di acqua a un’altezza adeguata rispetto allo sviluppo della pianta (il riso deve rimanere sommerso per circa un terzo della sua altezza) risulta indispensabile per superare velocemente la fase critica di transizione da coltura asciutta a sommersa. Il livellamento eseguito con livella a controllo laser crea, altresì, un certo costipamento che, se non eccessivo, risulta utile al fine di limitare il drenaggio dopo la sommersione. Tuttavia, quando il livellamento viene eseguito su terreno non bene asciutto, il grado di compattamento diviene negativo e spesso si presentano problemi di declino autunnale della coltura, nella seconda parte della stagione. Dopo le operazioni di preparazione del letto di semina, si procede con la semina. Si adottano normali seminatrici da frumento, in genere ad azionamento meccanico. Per quanto riguarda la concimazione azotata, la diversa gestione dell’acqua di sommersione necessita di alcune variazioni nelle dosi e nel frazionamento, rispetto alla tecnica tradizionale. La concimazione in pre-semina va limitata a soddisfare le esigenze di una buona partenza della coltura. In condizioni aerobiche i processi di nitrificazione assumono intensità ragguardevoli, per cui gran parte del fertilizzante andrebbe perso al momento della sommersione, con un duplice danno economico e ambientale. Fanno eccezione gli inibitori della nitrificazione e dalla calciocianamide, caratterizzati da una migliore performance in condizioni di asciutta. L’applicazione a inizio accestimento, programmata in pre-sommersione, risulta di fondamentale importanza per il superamento della fase di cambiamento fisiologico della pianta. Viene utilizzato, in genere, azoto ureico, dotato di notevole solubilità, in modo da favorire una certa penetrazione dell’elemento nel terreno, preservandolo dalle perdite per volatilizzazione dell’ammoniaca. Occorre non ritardare oltre i 2-3 giorni dalla concimazione la sommersione delle camere, altrimenti gran parte del concime andrebbe perso in atmosfera. In questa fase si può distribuire sino al 50% del fabbisogno totale di azoto, prestando particolare attenzione alle varietà suscettibili all’allettamento e al brusone. Infine, una quota che varia dal 30 al 40 % viene distribuita nella fase di differenziazione della pannocchia. Considerando le dosi totali di azoto, la tecnica della semina interrata e sommersione in 3a foglia richiede circa il 20% in più rispetto alla semina in acqua e sommersione continua.
Introduzione della semina interrata a file e sommersione in 3a-4a foglia
• La messa a punto della tecnica da
parte del Centro Ricerche sul Riso dell’Ente Nazionale Risi, agli inizi degli anni ’90, ha offerto una valida alternativa di coltivazione del riso. Nei terreni più sciolti ha permesso un incremento delle produzioni per il superamento delle difficoltà iniziali legate all’ottenimento di un adeguato investimento
Foto G. Chersi
Nemotode Aphelenchoides bessey
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coltivazione Semina interrata a file e irrigazione turnata Si tratta di una variante alla semina interrata e sommersione in 3a foglia, adottata nelle zone confinanti con i centri abitati e in situazioni di carenza idrica. È maggiormente diffusa in Lombardia, a est del fiume Ticino, nel consorzio d’irrigazione e bonifica Villoresi. Offre potenziali produttivi ridotti rispetto alle altre due tecniche, in quanto la coltura è sottoposta a maggiori stress ambientali. L’esperienza maturata ha evidenziato una maggiore sensibilità agli sbalzi termici, con conseguente aumento della percentuale di sterilità delle spighette e un incremento della suscettibilità al mal del collo e al brusone fogliare causati dal fungo Pyricularia grisea. Il miglioramento genetico specifico al problema, sviluppato dal Centro Ricerche sul Riso dell’Ente Nazionale Risi, ha selezionato agli inizi degli anni ’80 la varietà Prometeo. Dalle prove agronomiche condotte, ha dimostrato una buona produttività in condizioni di irrigazione turnata. La riduzione dei consumi idrici, prospettata dalla tecnica, ha suscitato negli ultimi anni un notevole interesse da parte degli organismi responsabili della pianificazione dell’attività agricola. La sperimentazione condotta dall’Ente Nazionale Risi intorno alla metà degli anni ’80 ha permesso di quantificare i fabbisogni irrigui, indicando i consumi e i turni irrigui. Operando con irrigazioni per scorrimento, i turni irrigui in condizioni di terreno sciolto sono stati di 10-12 giorni, mentre si allungavano a 14-16 nei suoli compatti. I volumi irrigui necessari risultavano approssimativamente di 1500 m3/ha e 1000 m3/ha nelle due condizioni pedologiche. Infine, il numero degli interventi variava da 3 a 6, a seconda delle precipitazioni e del tipo di terreno. Considerando, invece, il metodo per aspersione, su terreno sabbioso il turno ottimale è stato identificato in 8 giorni, adottando volumi di adacquamento di 300 m3/ha. Mediamente, sono stati necessari 8-10 interventi per stagione colturale. A fronte di un considerevole risparmio idrico, la tecnica risulta estremamente rischiosa per il problema di accumulo di cadmio nella granella. Anche con contenuti limitatissimi del metallo nel terreno (0,3-0,4 mg/kg), in condizioni di aerobiosi continua è possibile superare il limite ammesso per il contenuto nella granella di riso (0,2 mg/kg). Le maggiori perdite azotate e la mancanza dell’effetto della sommersione sull’emergenza e la crescita di alcune temibili malerbe richiedono un incremento dei mezzi di produzione. Inoltre, la maggiore suscettibilità della coltura alla piriculariosi favorisce un uso più intenso dei trattamenti fungicidi. Per contro, la coltura risulta maggiormente resistente agli attacchi del fitofago Lissorhoptrus oryzophilus, di recente introduzione in Italia. Il temibile coleottero curculionide, infatti, necessità delle condizioni di risaia sommersa per la deposizione delle uova e la crescita delle larve, che rappresentano lo stadio più pericoloso per i danni inferti all’apparato radicale.
Macchie di brusone su foglia
Irrigazione turnata
• Consente un notevole risparmio idrico.
Occorre, tuttavia, un’attenta valutazione sperimentale e comprensoriale dei risvolti ambientali, di gestione della risorsa idrica e di salubrità del prodotto che un allargamento delle superfici coltivate con tale tecnica implicherebbe
Foto G. Chersi
Grave attacco di Lissorhoptrus oryzophilus
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tecnica colturale Semina del riso Semina in acqua La semina in acqua viene effettuata su risaie sommerse con circa 5 cm di acqua. Sono di norma utilizzati spandiconcimi centrifughi a singolo o doppio piatto, portati o trainati da trattrici munite di ruote in ferro. La larghezza di lavoro va dai 12 ai 24 m. La dotazione alla trattrice del controllo satellitare di posizione permette, oggi, di evitare sovrapposizioni o fallanze di seme tra una passaggio e l’altro. Anche la disponibilità di camere di ampie e regolari dimensioni ha reso l’operazione sempre più precisa e veloce. Il seme deve essere precedentemente ammollato in acqua, onde impedire il galleggiamento una volta distribuito. Infatti, il risone da seme viene confezionato in sacchi di nylon (da 50 kg o, più diffusamente, da 400 kg), che permettono il passaggio dell’acqua una volta posti in vasche o corsi irrigui, senza deteriorarsi. Per quanto riguarda l’epoca di semina, deve considerare la lunghezza del ciclo delle varietà. L’obiettivo è quello di raggiungere la fase di maturazione con andamenti climatici ottimali a un regolare riempimento delle cariossidi. Livelli termici troppo elevati, specialmente notturni, favorirebbero una senescenza precoce e un irregolare accumulo dell’amido, con conseguenze negative sulla produzione e sulla qualità merceologica del risone. Diversamente, se l’epoca di maturazione avvenisse a stagione inoltrata, in presenza di frequenti precipitazioni, oltre alla difficoltà operativa nella raccolta, aumenterebbero notevolmente i rischi di microfessurazioni del granello. A eccezione della tecnica, che prevede l’utilizzo di erbicidi ad azione antigerminello, più è prolungato il periodo della falsa semina maggiore è il controllo della temibile infestante. In genere, con la
Durata dell’ammollamento del seme
• La fase di ammollamento dura da 12
a 72 ore. Bisogna prestare attenzione affinché il processo di germinazione non proceda oltre le primissime fasi, altrimenti si correrebbero rischi di danneggiamento del coleoptile con gli organi meccanici deputati alla distribuzione del seme. Se l’operazione avvenisse in acqua stagnante, il riso potrebbe arrestare il processo di sviluppo a causa dello sprigionamento, dal seme stesso, di sostanze a effetto antigerminativo. Occorre, in tale situazione, non prolungare la durata dell’ammollamento per più di 24 ore, oppure provvedere al cambio dell’acqua
Risaia nelle prime fasi del ciclo colturale
Foto B. Villa
321
coltivazione semina in acqua, si può intervenire dalla metà di aprile sino alla fine di maggio. Le semine dopo il 10 di maggio riguardano le risaie in cui si è proceduto a una falsa semina per la lotta al riso crodo. Considerando la dose di seme, tutta una serie di condizioni concorrono alla decisione finale. Innanzitutto, la quantità di semente impiegata è dipendente all’investimento iniziale desiderato. A seconda della varietà, risultano adeguati investimenti di 200-400 plantule/m2. Occorre precisare come la capacità di accestimento sia legata alle caratteristiche genetiche della varietà, ma sia altresì dipendente dall’investimento iniziale. L’ottenimento di un’adeguata densità di pannocchie per unità di superficie può avvenire, perciò, attraverso un alto numero di piante madri e una bassa percentuale di culmi secondari, oppure con una prevalenza di accestimenti. La prima opzione è preferibile con varietà a bassa capacità di accestimento, con epoche di semina ritardate (si riduce la lunghezza della fase di accestimento) e in condizioni colturali difficili nel periodo iniziale (per es., la presenza di una forte competizione di malerbe). Densità di semina troppo elevate aumentano il rischio di allettamento della coltura, incrementano la suscettibilità agli attacchi di malattie fungine e riducono il numero di spighette per pannocchia. Sono, quindi, sconsigliate nelle varietà a taglia alta e sensibili al mal del collo. La percentuale di affrancamento dei semi è dipendente dalle caratteristiche genetiche della varietà (vigore iniziale), dalla qualità della semente (percentuale di germinabilità ed energia germinativa) e dalle condizioni agroambientali e climatiche. La quantità di ossigeno disciolto nell’acqua risulta importantissima al fine di una rapida germinazione dei semi. A tal proposito, livelli troppo elevati dell’acqua di sommersione, un limitato ricircolo dell’acqua e temperature sopra i 30 °C riducono la presenza dell’ossigeno nell’acqua.
Semina in acqua
• La semina in acqua del riso consente
un anticipo di circa 7 giorni del ciclo colturale, rispetto alla semina interrata, ed è abbastanza svincolata dall’andamento pluviometrico del periodo iniziale
Dose di seme per la semina in acqua
• La dose di seme viene stabilita
a partire dal presunto investimento iniziale desiderato, considerando il peso di 1000 semi della varietà, la germinabilità della semente e la percentuale ipotizzata di affrancamento (mediamente del 50%). I quantitativi utilizzati vanno da 150 kg/ha, per semine precoci e varietà a elevate capacità di accestimento, a 250 kg/ha, per le semine di fine maggio
Vigore iniziale della varietà Thaibonnet (primo piano), a confronto con la varietà Carnaroli (secondo piano)
322
tecnica colturale La presenza di materiale fangoso in sospensione, così come l’attività di intorbidamento dell’acqua da parte di vermi e crostacei, sono altri fattori di riduzione della percentuale di affrancamento delle plantule. L’eventuale fitotossicità da erbicidi di pre-semina e il rischio di proliferazione di alghe vanno attentamente controllati per evitare ingenti perdite di germinelli. In alcune aree ove è diffusa la rotazione colturale, con aziende non estremamente specializzate alla coltivazione del riso, risulta comodo procedere alla distribuzione del seme, trattato con tensioattivi, sul terreno asciutto e sommergere immediatamente. Il vantaggio è rappresentato dalla possibilità dell’utilizzo di trattrici gommate, molto più versatili per altri impieghi. Infine, è da ricordare il sistema di semina su terreno fangoso con la seminatrice tipo “Cabrini e Mocchi”. La tecnica, praticata solo su pochi ettari, consente investimenti regolari e una riduzione della perdita di germinelli. La seminatrice a tramoggia dotata di slitte dispone il seme sulla sommità di un “cavallotto” largo circa 4 cm. Il riso risulta così seminato a file distanziate di circa 18-30 cm. L’estrema lentezza dell’operazione è stato il motivo della mancata diffusione della pratica.
Semina interrata a file
• La preparazione del terreno,
la profondità di semina e l’andamento climatico rivestono un ruolo determinante nell’ottenimento di un regolare investimento
• La dose di seme non deve essere
variata da quella considerata per la semina in acqua. In condizioni di un’ottima preparazione del letto di semina e, in generale, nei terreni sciolti è buona norma ridurre il quantitativo di un 15-20%
• Da una sperimentazione effettuata
presso il Centro Ricerche sul Riso non sono emerse differenze significative, tra la semina con interfila a 12 cm e quella a 24 cm. Tuttavia, le misure minori offrono la possibilità di una copertura del terreno più rapida e, quindi, una maggiore competitività nei confronti delle malerbe. Viceversa, alle distanze maggiori si ha una maggiore aerazione della coltura, con riduzione della suscettibilità al mal del collo
Semina interrata a file La semina interrata a file prevede l’impiego delle stesse seminatrici utilizzate per il frumento. Il letto di semina deve essere preparato adeguatamente in modo da creare le condizioni per un regolare approfondimento del seme, senza favorire la formazione di crosta superficiale (particolarmente temibile nei terreni limosi). La profondità di semina si aggira sui 2-3 cm, ma può essere leggermente aumentata per le semine tardive o in caso di previsioni meteorologiche di assenza di pioggia. Occorre, infatti, scongiurare di dover irrigare per garantire l’umidità necessaria al processo di germinazione. L’irrigazione post-semina presenta l’inconveniente di indurire il terreno una volta asciugato, rendendo difficoltosa la crescita dell’apparato radicale. In molte situazioni pedologiche si ha poi, come conseguenza della prima irrigazione, la necessità di frequenti interventi irrigui per limitare gli effetti negativi del compattamento. Inoltre, è di fondamentale importanza che l’acqua non permanga nelle camere per più di 1-2 giorni, altrimenti si incorrerebbe nel fenomeno della moria dei germinelli per carenza di ossigeno. Nel caso, invece, di semine troppo profonde e andamenti climatici piovosi e freddi è frequente una riduzione della percentuale di emergenza, soprattutto nei terreni poco sciolti. Solo in condizioni di terreno molto asciutto e mancanza di piogge imminenti può essere utile una rullatura postsemina. L’operazione presenta il grosso inconveniente di indurire il letto di semina, di favorire la formazione di crosta superficiale nei terreni limosi, ma facilita l’emergenza in caso di limitata umidità del terreno e favorisce una maggiore efficacia degli erbicidi residuali applicati in pre-emergenza. I difetti citati si riducono di entità con l’utilizzo del rullo cambridge, rispetto al classico rullo liscio.
Foto B. Villa
Accoppiamento della seminatrice a file con l’erpice rotante
323
il riso
coltivazione Fertilizzazione Stefano Bocchi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Fertilizzazione Con la sommersione, vengono modificati gli equilibri biochimici e i cicli degli elementi nutritivi. La pianta di riso si adatta alle condizioni di sommersione attraverso diversi meccanismi fra cui: – l’attivazione dell’aerenchima in grado di trasferire ossigeno dall’apparato epigeo all’apparato radicale; – la formazione di un sistema di radici laterali, fibrose, molto diffuse e localizzate nello strato di interfaccia suolo/acqua di 1-2 mm di terreno, che si mantiene in condizioni di ossidazione, grazie all’ossigeno presente nell’acqua di sommersione; – la permanenza di uno strato di acqua modifica quindi l’habitat e il sistema colturale influendo sul grado di disponibilità di elementi nutritivi essenziali, sull’efficienza d’uso, sulle tecniche di concimazione. Gli interventi di fertilizzazione, concimazione, ammendamento e correzione effettuati sul sistema colturale del riso devono mirare a stabilire e mantenere un equilibrio nutrizionale interno al sistema aziendale e colturale tale da: – rispondere alle esigenze della coltura nel corso dei processi di crescita e produzione in modo da elevare le caratteristiche quali-quantitative della produzione assicurando al prodotto finale (risone) buona struttura e adeguata composizione neces-
Esigenze nutrizionali del riso
• Gli asporti della coltura del riso risultano essere, per ogni 100 kg di granella prodotta, pari a: – 1,8-2,1 kg di N – 0,6-0,8 kg di P2O5 – 2,3-2,8 kg di K2O – 0,5 kg di CaO – 0,6 kg di MgO – 5-6 kg di SiO Tali asporti tracciano dinamiche diverse nel tempo come dimostrabile con le analisi fogliari effettuate nel corso del ciclo produttivo
• Le concentrazioni dei macronutrienti nei tessuti della pianta seguono il seguente ordine, dalla più alta alla più bassa, N = K > Ca > P > Mg > S
140 120 100 80 60 40 20 0
3 2 1 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 Età della pianta (giorni)
0
40 20 15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 Età della pianta (giorni)
Contenuto in CaO (mg)
Percentuale di K2O
324
Percentuale di P205
60
0
1 0,8 0,6 0,4 0,2 0
P205 (%)
P205 (mg)
4
Contenuto in K2O (mg)
15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 Età della pianta (giorni)
Contenuto in P205 (mg)
Percentuale di N
CaO (mg)
K2O (mg)
Contenuto in N (mg)
120 100 80 60 40 20 0
Percentuale di CaO
1 0,8 0,6 0,4 0,2 0
CaO (%)
15 30 45 60 75 90 105 120 135 150 165 Età della pianta (giorni)
5 4 3 2 1 0
N (%)
140 120 100 80 60 40 20 0
K2O (%)
N (mg)
Dinamiche relative alla concentrazione degli elementi (%) e degli asporti (mg)
fertilizzazione sari per raggiungere standard merceologici o svolgere funzioni nutritive e nutraceutiche; – mantenere il terreno in stato di salute e di elevata fertilità; – ridurre o annullare rilasci dal sistema in modo da migliorare l’efficienza d’uso di fertilizzanti/concimi, eliminare inquinamenti, impatti, sprechi a vantaggio dell’ambiente e del bilancio aziendale. La strategia di fertilizzazione è quindi ampia e complessa, definita nell’ambito della rotazione agraria adottata dall’azienda, dalle tecniche di ciclizzazione della materia, definita sulle conoscenze e sul monitoraggio delle principali caratteristiche del terreno, delle acque, del microclima e delle varietà adottate. Tale strategia quindi deve avvalersi di strumenti di conoscenza quali le analisi del terreno, delle acque, dei tessuti fogliari (diagnostica fogliare) nel corso del ciclo produttivo, per stabilire il migliore uso dei materiali fertilizzanti prodotti in azienda o acquisibili dal mercato. Il terreno, per assicurare equilibri edafici adeguati e buona efficienza delle concimazioni, dovrebbe presentare una tessitura tendenzialmente franca o franco-argillosa, capacità di scambio cationica superiore a 15 meq/100 g, contenuto di sostanza organica compreso tra 1,8 e 3%, concentrazioni di fosforo assimilabile intorno a 15-20 mg/kg, di potassio scambiabile tra 80 e 150 mg/kg. Con il cosiddetto piano di concimazione/fertilizzazione si intende l’insieme delle scelte relative agli strumenti (fertilizzanti, concimi, ammendanti e correttivi), alla tempistica e alle modalità di distribuzione e incorporazione nel terreno di dette sostanze. Si dovrebbe dunque impostare un piano di fertilizzazione, ossia un bilancio ove calcolare i possibili apporti esterni (acque di irrigazione contenenti elementi nutritivi, piogge e altro), e le probabili perdite (in particolare per l’azoto possono essere significative le perdite per volatilizzazione dell’ammonio, per lisciviazione, per denitrificazione). Tale bilancio difficilmente assume una forma di equazione matematica: è frutto di un’analisi agroecosistemica, basata su conoscenze e osservazioni sito-specifiche e di un monitoraggio continuo delle colture in rotazione. È opportuno distinguere la condizione di sommersione continua della risaia, stabilita ancor prima della semina, da quella di risaia mantenuta in irrigazione turnata. La maggior parte dell’azoto, sia nelle condizioni di terreno drenato sia in condizioni di terreno sommerso, è presente in forma organica. La decomposizione della sostanza organica, in condizioni di carenza o assenza di ossigeno, avviene a ritmi più lenti e fornisce prodotti finali di diversa natura a causa dell’incompleta decomposizione dei carboidrati che determina accumuli di CH4 e acidi organici; bassa energia di fermentazione; minore richiesta di azoto nel metabolismo anaerobico risultante in un più rapido rilascio di NH4+ di quanto si possa prevedere sulla base dei rapporti C/N
Piano di fertilizzazione Il piano di fertilizzazione deve raggiungere due obiettivi:
• portare e mantenere il terreno nelle
condizioni di fertilità considerate ottimali, vale a dire prevedere eventuali apporti di arricchimento nei casi di carenze o prevedere di sospendere nei casi di eccesso
• reintegrare gli asporti della coltura con
materiali preferibilmente di provenienza aziendale o, in caso di indisponibilità, con materiali extra-aziendali
Stoppie di riso nel periodo invernale
325
coltivazione della sostanza organica e dalla bassa velocità di decomposizione dei residui vegetali. Circa 2/3 dell’azoto che la coltura assorbe provengono dal cosiddetto azoto nativo del terreno, anche in presenza di abbondanti apporti di concime minerale. Questi ultimi possono quindi coprire il ruolo di effetto innesco sull’attacco della sostanza organica, di acceleratore, di integratore nelle fasi durante le quali la coltura aumenta le proprie esigenze (per esempio dall’inizio della levata ad alcuni giorni prima dello stadio di botticella). Con l’interramento delle paglie, che dovrebbe essere effettuato almeno 15-30 giorni prima della sommersione, si restituiscono al terreno elevate quote di potassio e di silicio. Con l’interramento delle paglie si dovrebbe tendere a restituire al suolo in modo più completo possibile quanto questo ha ceduto, per far accrescere e produrre, tanto da assicurare un’equilibrata circolazione degli elementi della fertilità e da mantenere percentuali di sostanza organica del terreno (circa 2-2,5%) tali da consentire la stabilità strutturale, di grande importanza per le colture in rotazione con il riso. La concentrazione di azoto delle paglie di riso risulta variabile fra 5 e 8 g N/kg con un rapporto C/N variabile tra 50:1 e 70:1. Il rapporto C/N dell’apparato radicale risulta superiore con valore intorno a 98:1. Con le paglie si possono quindi restituire circa 60-80 kg/ha di azoto. Per arricchire il terreno di sostanza organica a rapida mineralizzazione, si può fare ricorso a colture da sovescio, che possono fungere anche da colture di copertura (durante la stagione invernale),
Efficienza d’uso dell’azoto
• Viene spesso utilizzato il concetto
di efficienza d’uso per esprimere una valutazione sulle pratiche agronomiche di gestione del fertilizzante/concime con le quali ottenere elevate e stabili produzioni con minime applicazioni di elementi, minime perdite e rischi di inquinamento
L’interramento delle paglie consente di recuperare elevate quote di potassio e di silicio
Foto R. Angelini
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fertilizzazione di cattura (gli apparati radicali possono formare un feltro capace di ridurre i fenomeni di lisciviazione possibili nel corso dei periodi di piogge più intense), di controllo delle infestanti (sono stati riconosciuti processi allelopatici svolti da colture come senape o segale nei confronti di specie infestanti). Allagando la risaia, vengono indotti processi che portano a un accumulo di azoto ammoniacale, instabilità della forma nitrica, minore richiesta di azoto per la decomposizione della sostanza organica e, in genere, una minore efficienza d’uso dell’azoto minerale apportato. Per effettuare un bilancio dell’azoto in risaia è opportuno ricordare che le fonti principali dell’elemento sono costituite da: sostanza organica del terreno, paglie restituite, sovesci, fertilizzanti o concimi apportati, piogge (5-15 kg/ha), acque di irrigazione, fissazione biologica dell’azoto atmosferico che avviene nella rizosfera. Le perdite o le sottrazioni temporanee dell’elemento invece possono essere attribuite a processi di denitrificazione, diffusione dell’azoto ammoniacale, volatilizzazione dell’ammoniaca, immobilizzazione chimica o biologica, percolazione, deflusso superficiale. La coltura di riso, da una soluzione circolante contenente sia azoto ammoniacale NH4+ sia nitrico NO3–, assorbe preferenzialmente e con maggiore velocità la forma ammoniacale, con maggiore evidenza in fase vegetativa. La maggior parte delle piante è in grado di utilizzare entrambe le forme, tuttavia la forma di assorbimento prevalente è spesso influenzata dall’abbondanza e dall’accessibilità nel terreno. Come noto, nei terreni ben
Efficienza d’uso dell’azoto e ambiente di coltivazione
• L’efficienza d’uso dell’azoto risulta
piuttosto variabile tra le varietà coltivate, collegata alla capacità di assorbimento, di riduzione, di rimobilitazione, traslocazione, assimilazione e immagazzinamento all’interno della pianta. Le scelte gestionali agronomiche e gli interventi di fertilizzazione devono tuttavia essere basati sull’analisi dell’interazione genotipo × ambiente, per mirare a massimizzare l’efficienza dell’intero sistema colturale. Ciò risulta di maggiore importanza laddove i terreni non abbiano le migliori caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche o dove le condizioni microclimatiche non siano ottimali
Foto R. Angelini
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coltivazione drenati prevale la presenza di NO3–, al contrario in condizioni tendenzialmente anaerobiche e con basse temperature prevale NH4+. L’assimilazione dei nitrati richiede alla pianta un maggiore consumo di energia, in quanto devono essere ridotti prima dell’assimilazione. Un basso stato energetico della coltura risulta influire maggiormente sull’assorbimento dei nitrati rispetto a quello dell’azoto ammoniacale. L’azoto viene normalmente assorbito lentamente nelle prime fasi vegetative mentre dall’inizio della levata in poi il ritmo di assorbimento è accelerato fino a raggiungere 6-7 kg/ha/giorno, mantenuto fino alla spigatura. I processi di rilascio di azoto da parte della sostanza organica del terreno e gli eventuali apporti di azoto in copertura devono quindi seguire tale cinetica. Il concime può essere apportato in presemina possibilmente collocandolo nello strato ridotto per limitare le perdite e in copertura. La ripartizione tra i due apporti è in funzione del tipo di terreno. Nei terreni con maggiore contenuto di argilla e con maggiore CSC, si può apportare gran parte in presemina, mentre con terreni sciolti è consigliabile apportare maggiormente il concime azotato in copertura, in corrispondenza dello stadio di inizio della differenziazione della pannocchia, vale a dire all’inizio della levata. La concimazione azotata viene omessa nei casi di terreno torboso o con elevati tenori di sostanza organica (per esempio nel Delta Padano). Tra i concimi organici (C > 7,5%) utilizzati in risaia maggiormente diffusi risultano pollina, letame, liquame, cuoio torrefatto, cornunghia. L’ interramento delle paglie trinciate può essere considerata la pratica più idonea per mantenere un adeguato tenore di sostanza organica (SO) nel terreno, come del resto, in alcuni
Metodiche per la valutazione dell’efficienza d’uso dell’azoto Tra le varie metodiche di valutazione sono state proposte:
• l’efficienza agronomica EA incremento produttivo (∆kg granella) EA = -––––––––––––––––––––––––––––––– incremento di fertilizzante distribuito (∆kg/kg)
• l’efficienza fisiologica EF ∆kg granella EF = –––––––––––––––––– (∆kg azoto assorbito)
• l’efficienza agro-fisiologica EAF ∆kg granella EAF = ––––––––––––––––––––––– ∆kg nutrienti totali assorbiti
• l’efficienza economica EE ∆kg granella × € kg–1 EE = –––––––––––––––––– ∆kg concime × € kg–1 EA varia in condizioni di sommersione tra 15 e 25 kg granella kg–1 di concime apportato. EF (110-180 kg di biomassa secca kg–1 N) risulta superiore a EAF (45-75 kg di granella kg–1 N assorbito) in quanto viene calcolato sulla base di tutta la biomassa prodotta rispetto alla sola granella
Risaia in sommersione in presemina
328
fertilizzazione casi, è possibile reintrodurre la pratica del sovescio effettuato con colture di copertura quali possono essere considerate trifoglio incarnato, veccia villosa, loglio italico, crucifere. Con i concimi organo-minerali è possibile ottenere buoni risultati, grazie all’apporto di sostanza organica e al rilascio di azoto minerale non immediato. Del fosforo presente nel terreno (0,2-0,4% di P2O5) si possono distinguere la forma organica, che rappresenta più della metà del totale, e le forme inorganiche. Con la sommersione la disponibilità di fosforo aumenta grazie a reazioni di riduzione del fosfato ferrico al più solubile fosfato ferroso, a idrolisi di fosfati di ferro e alluminio (il pH aumenta con la sommersione) a parziale dissoluzione di apatite. Le forme inorganiche di fosforo possono coesistere nei terreni di risaia, anche se in genere si possono distinguere situazioni di dominanza di una forma sulle altre almeno in quattro differenti condizioni: – terreni a elevata acidità dove prevalgono i fosfati di ferro; – terreni a reazione neutra o subacida dove prevalgono i fosfati di ferro e calcio; – terreni a reazione neutra o alcalina dove prevalgono i fosfati di calcio; – terreni derivati da tufi dove possono prevalere i fosfati di alluminio (e ferro). Nella maggioranza delle condizioni la coltura di riso sommersa assorbe più facilmente il fosfato di ferro, forma caratterizzata da maggiori disponibilità chimica e dispersione fisica. L’efficienza parziale produttiva dell’elemento risulta più elevata con assorbimenti avvenuti nel corso della fase vegetativa quando la pianta ha superiori fabbisogni di fosforo per i processi di accestimento e di crescita dell’apparato radicale. La pianta di riso, del resto, è in grado di ridistribuire al suo interno, nelle fasi successive, il fosforo assorbito nelle prime fasi del ciclo. Prima di impostare un piano di concimazione è opportuno conoscere la presenza di fosforo nel terreno nella forma disponibile per la pianta. Con il metodo Olsen si considera scarso il contenuto di P assimilabile quando si riscontrano valori pari a 10 mg/kg, medio con valori di 10-15 mg/kg, elevato con valori di 15-20 mg/kg, molto elevato con valori oltre i 20 mg/kg. In presenza di tali valori è necessario sospendere qualsiasi apporto di fosforo in quanto elevato è il rischio di eutrofizzazione, inquinamenti e diffusa presenza di alghe. Il potassio è presente nel terreno in quattro forme in equilibrio tra loro: solubile (0,1-0,2%), scambiabile (1-2%), non scambiabile (1-10%), minerale (90-98%). Gli equilibri tra le forme, con particolare riferimento a quelle solubili e scambiabili, sono influenzati da numerosi fattori quali la natura dei colloidi del terreno, l’alternanza di asciutte e sommersioni, l’alternanza di gelo e disgelo, la presenza di calcio e di altri elementi. Il potassio non è un costituente dei tessuti
Concimi azotati
• I concimi utilizzati in risaia posso essere semplici come urea e calciocianammide (in minore misura si utilizzano solfato ammonico e ammoniaca anidra), complessi e a lento rilascio o a rilascio controllato. Il concime più utilizzato è l’urea grazie al prezzo relativamente basso, all’alto contenuto dell’azoto sul totale del peso (46%), alla facilità di conservazione e distribuzione, alle dinamiche di rilascio dell’azoto
Concimi fosfatici
• I concimi fosfatici utilizzabili sono
fosfati naturali, tripli, scorie Thomas, fosfato bi-ammonico, da distribuire prima della semina, interrati nello strato perlustrato dalle radici
Concimi potassici e a base di calcio
• Tra i concimi potassici, cloruro
potassico e solfato potassico, viene maggiormente utilizzato il primo perché meno costoso
• I più importanti correttivi, in grado
di correggere il pH del terreno, sono l’ossido di calcio (CaO), l’idrossido di calcio Ca(OH)2 e il carbonato di calcio CaCO3
329
coltivazione della pianta ma svolge importanti funzioni come cofattore per più di 60 enzimi. Aumenta la taglia, favorisce l’accestimento, interagisce con altri importanti elementi nutritivi, controlla l’apertura stomatica e lo scambio con l’atmosfera, aumenta la resistenza alle malattie e all’allettamento. Le quantità di potassio assorbite dalla coltura sono superiori a quelle di azoto e fosforo ma, a differenza di questi due elementi, il potassio viene traslocato in piccola quota tra una parte e l’altra della pianta di riso. Elevate concimazioni di K possono influire negativamente sull’assorbimento di Na+, Mg+ e Ca+. L’efficienza d’uso del potassio distribuito è piuttosto bassa (50%), con ulteriori decrementi quando è tutto distribuito in presemina rispetto a distribuzioni ripartite in copertura. Anche i valori di efficienza agronomica (EA) rispetto a quelli riscontrabili per azoto e fosforo sono relativamente più bassi, variando tra 0 e 60 kg granella/kg. Anche per il potassio è opportuno stabilire il piano di concimazione a partire dalle analisi del terreno. Si dovrebbe intervenire con apporti di potassio quando nel terreno i valori di K scambiabile risultano inferiori a 60-110 mg/kg, in funzione della tessitura o della soluzione di estrazione. La tempistica di distribuzione dovrebbe considerare, oltre ai fattori economici, quelli agro-ecologici e dovrebbe tendere a migliorare l’efficienza d’uso del concime. Nella maggioranza delle condizioni di risaia risultano convenienti piani di concimazione che prevedano distribuzioni di potassio appena prima della semina e distribuzioni in copertura in corrispondenza all’inizio della differenziazione della pannocchia, abbinate a quelle dei concimi azotati. La coltura di riso ha generalmente concentrazioni più basse di calcio (Ca) e magnesio (Mg) rispetto alle altre colture, in particolare modo se dicotiledoni. Le concentrazioni di questi due elementi tendono a decrescere nel corso della fase vegetativa e quindi stabilizzarsi intorno allo stadio di inizializzazione della pannocchia fino alla fine del ciclo. Le concentrazioni di Ca nel culmo sono più alte rispetto a quelle di Mg. Intervalli di concentrazione adeguati risultano essere pari a 2,5-4,0 g Ca/kg e di 1,7-3,0 Mg/kg rispettivamente nel culmo di riso allo stadio di prespigatura. Valori critici nelle paglie di riso alla maturazione possono essere considerati pari a 1,5 g Ca/kg e 1,0 g Mg/kg. I micronutrienti, chiamati anche elementi minori sono presenti nella pianta di riso in quantità molto piccole. I microelementi essenziali sono Zn, Cu, B, Fe, Mn, Mo e Cl. L’accumulo nella pianta in genere segue l’ordine di Cl > Mn > Fe > Zn > B > Cu > Mo. Nel mondo, pur essendo registrate microcarenze relative a B, Cu, Fe, Mn e Zn, si sono segnalate più diffusamente quelle di zinco e di ferro. La carenza di Zn non solo può limitare la produzione in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Un forte consumo alimentare di cereali prodotti su terreni Zn-carenti può essere la causa di squilibri nutrizionali dovuti a bassa biodisponibilità di questo microelemento rispetto ai fabbisogni dell’uomo. Per il sistema colturale
Presemina e inizio differenziazione pannocchia sono le epoche più indicate per la concimazione potassica
Carenza di micronutrienti Deficienze di micronutrienti nella coltura di riso sono in aumento per diverse ragioni:
• adozione di varietà più produttive
rispetto al passato e con fabbisogni più alti
• continuo uso di concimi minerali contenenti solo macroelementi
• diminuzione di letami o compost e diminuzione della restituzione al terreno di elementi nutritivi
• adozione di sistemi colturali che limitano la disponibilità di microelementi
330
fertilizzazione lo Zn risulta importante in veste di cofattore per diversi enzimi, alcuni attivati e particolarmente importanti nelle condizioni di sommersione. Come altri elementi lo Zn non è molto mobile all’interno della pianta e quindi carenze di Zn sono visibili nelle foglie più giovani, che diventano clorotiche, specialmente alla base della foglia stessa, con successiva decolorazione della nervatura mediana. Le carenze di zinco tendono a diventare ancor più severe in presenza di forti concimazioni con N e P. La pianta Zn-carente non risponde alle concimazioni azotate. La concentrazione nella pianta dovrebbe ricadere all’interno dell’intervallo di valori di 30-100 mg Zn/kg. Forme di Zn-carenza sono probabili quando la concentrazione nella giovane pianta di riso cade sotto i 15 mg Zn/kg. La pianta di riso Zn-carente tende ad accumulare altri cationi bivalenti dimostrando quindi alte concentrazioni di Ca, Cu, Fe, Mg, mentre risultano più basse le concentrazioni di K e N. Prima di effettuare apporti di Zn è opportuno analizzare il terreno. La soglia critica di concentrazione di Zn nel terreno ricade tra 0,5 e 0,8 mg Zn/kg per DTPA. La coltura del riso è considerata sensibile rispetto alla Fe-carenza quando gestita in regime di irrigazione turnata, considerato il fatto che in sommersione la forma di ferro ferroso, vale a dire quella assorbita prevalentemente dalla pianta, è presente in elevate concentrazioni. La ferro-carenza può essere manifestata anche nel periodo intercorrente tra semina e sommersione quando quest’ultima è ritardata ed effettuata alla comparsa della 4a-5a foglia e ciò dimostra la bassa capacità della radice della pianta di riso, rispetto ad altre colture, di produrre fitosiderofori ferro-chelanti.
La concimazione fosfatica va eseguita in pre semina interrando leggermente il concime
Foto R. Angelini
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il riso
coltivazione Parassiti animali Luciano Süss, Daniela Lupi, Sara Savoldelli
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Parassiti animali Introduzione Il riso è colpito da diverse specie di parassiti animali che possono attaccare la coltura sia in campo sia in magazzino. Tra gli insetti del riso fino a qualche anno fa si citavano in particolare: gli afidi Sypha glyceriae e Rhopalosiphum padi, il secondo dei quali è in grado di trasmettere il virus del giallume al riso; i chironomidi, le cui larve attaccano i semi germinati e le plantule; il dittero Hydrellia griseola e il coleottero Donacia dentata, che saltuariamente attaccano il riso in quanto normalmente infeudati ad altre piante spontanee. Diversa invece la situazione attuale, dopo la recente segnalazione di artropodi dannosi al riso nuovi per le risaie italiane. In particolare si ricorda il rinvenimento del punteruolo acquatico del riso Lissorhoptrus oryzophilus, coleottero chiave della coltura in America e in Asia, dell’emittero Trigo notylus caelestialium, che in Giappone è uno dei più importanti agenti della macchia della cariosside, dei lepidotteri Ostrinia nu bilalis e Mythimna unipuncta, del decapode Procambarus clarkii e del roditore Myocastor coypus. Da non dimenticare neppure il nematode Aphelenchoides bes seyi, organismo da quarantena (portato dal seme) che mette a rischio le produzioni direttamente in campo. Occorre sottolineare che la macchia della cariosside, dovuta all’introduzione di funghi e batteri durante l’attività trofica di numerose specie di emitteri, è un danno qualitativo in aumento a livello mondiale e che, in alcune zone, gli insetti agenti della macchia sono diventati il maggior problema entomologico del riso.
Parassiti animali in risaia
• La risaia costituisce una nicchia
ecologica che riproduce aspetti caratteristici di Paesi tropicali e subtropicali, dove le escursioni termiche sono contenute dalla presenza dell’acqua che funge da volano termico. Sebbene il panorama delle specie che possono attaccare il riso in campo non sia così ampio come nei Paesi tropicali si determina un microclima favorevole a numerosi organismi animali e vegetali
Glossario
• Attero: insetto privo di ali • Ermafrodita: specie caratterizzata dal
possedere contemporaneamente organi sessuali maschili e femminili
• Neanide: stadio giovanile di insetto caratterizzato da metamorfosi progressiva
Principali parassiti del riso immagazzinato
• Monoico: specie che vive su unico ospite
• Partenogenesi: particolare modalità
di riproduzione per cui un insetto è in grado di dar luogo a una discendenza in assenza di individui maschili
• Stigmi: aperture presenti, in genere, sui lati del corpo degli insetti che consentono la respirazione
• Sifoni: strutture proprie degli afidi, presenti sugli ultimi segmenti addominali, in grado di espellere sferule di cera
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Su risone
Su riso sbramato
Su riso raffinato o in detriti
Infestanti primari Sitophilus oryzae Sitophilus zea mays Sitophilus granarius Rhyzopertha dominica Sitotroga cerealella Infestanti micetofagi (o terziari) Typhaea stercorea Ahasverus advena Alphitobius diaperinus Psocotteri Acari
Sitophilus oryzae Sitophilus zea mays Sitophilus granarius Rhyzopertha dominica Plodia interpunctella Corcyra cephalonica
Sitophilus oryzae Sitophilus zea mays Sitophilus granarius Rhyzopertha dominica Plodia interpunctella Tribolium confusum Tribolium castaneum Latheticus oryzae Oryzaephilus surinamensis Oryzaephylus mercator Cryptolestes spp. Lasioderma serricorne Stegobium paniceum Carpophilus spp.
parassiti animali
Afide verde scuro
• La presenza di pochi individui
di R. padi può risultare temibile per la trasmissione del virus del giallume
• Il monitoraggio viene efficacemente realizzato tramite trappole di Taylor (o Rothamstead)
• Le popolazioni afidiche sono
normalmente controllate dalle coccinelle
Attacco di afidi su spighetta
Parassiti animali di campo Afide verde scuro (Rhopalosiphum padi) (Homoptera: Aphidi dae) È considerato l’afide più dannoso per il riso, non tanto per i danni diretti ma in quanto è il principale vettore del virus del giallume del riso (YDV, yellow dwarf virus). La forma attera presenta una lunghezza di 1,2-2,5 mm. È di colore verde più o meno scuro con una sfumatura rossastra in prossimità dei sifoni. Si tratta di specie cosmopolita. Presenta come ospite primario Prunus padus e come ospiti secondari numerose poacee e ciperacee. In mancanza dell’ospite primario, nelle zone risicole del Nord Italia la specie può svernare come neanide sulle radici di ospiti secondari quali per esempio Poa annua. Verso la fine di marzo, raggiunto lo stadio adulto, si trasferisce dapprima sulla parte aerea di numerose piante spontanee di ripa e in seguito su riso, dove la maggior densità di popolazione si riscontra verso la seconda metà di giugno. Successivamente abbandona progressivamente la risaia.
Femmina attera e naenidi di R. padi
Afide italiano del riso o afide verde del riso (Sipha glyceriae) (Homoptera: Chaitophoridae) È frequentementente associato al riso. È specie comune in gran parte dell’Europa e diffusa ovunque nel nostro Paese. Si tratta di una specie di colore verdastro, a ciclo monoico, che vive sulla parte aerea di numerose piante (poacee e ciperacee) spontanee associate a corsi d’acqua, paludi, canali e in risaia, in quanto predilige i luoghi umidi. In Italia tra gli ospiti si annoverano anche frumento e mais. L’insetto sverna come uovo durevole, deposto a novembre sulla pagina superiore delle foglie in corrispondenza delle nervature di piante spontanee presenti sulle rive dei canali. Dalla metà di marzo alla metà di aprile le uova schiudono. Si sus-
Colonia di afide verde del riso
333
coltivazione seguono alcune generazioni partenogenetiche attere. Quando il riso emerge dall’acqua iniziano a nascere le prime forme alate che lo colonizzano. A partire da maggio sul riso si osservano delle coloniole di afidi atteri nella porzione apicale delle foglie. Analogamente a R. padi le colonie afidiche raggiungono il massimo sviluppo verso la seconda metà di giugno e abbandonano la risaia per trasferirsi nuovamente sulla vegetazione spontanea alla fine dell’estate. Il danno su riso è di carattere economico solo quando l’afide è presente in numero molto elevato: le sue punture di alimentazione causano tipiche striature necrotiche trasversali alle lamine fogliari, che possono portare al disseccamento dell’apice delle foglie. Miride del riso (Trigonotylus caelestialium) (Hemiptera: Miridae) Si tratta di un Emittero Miride recentemente individuato anche in Italia come uno tra i maggiori responsabili della macchia nera della cariosside. Specie diffusa in tutta l’Asia, l’Europa e l’America settentrionale, presenta come ospiti numerose poacee, tra cui, oltre al riso, Poa annua, P. pratensis, Agrostis spp. e Digitaria spp. L’adulto è lungo 5-6 mm, di colore verde chiaro, con antenne rossastre. L’insetto, che può compiere più generazioni l’anno (in Giappone 3), sverna allo stadio di uovo sulle erbe spontanee. Dopo la schiusura, a primavera, rimane sulle erbe spontanee fino a giugno, quando si trasferisce sul riso, e vi rimane fino a settembre. Su riso si nutre dapprima delle giovani foglie sulle quali effettua punture di suzione. Quando le foglie si distendono evidenziano piccole aree trasparenti disposte perpendicolarmente alle nervature fogliari. Successivamente, dalla fioritura in poi, T. celestialium
Striature determinate dalle punture di alimentazione dell’afide verde
Controllo dell’afide verde del riso
• Le popolazioni dell’afide vengono
normalmente controllate da due coccinellidi (Hippodamia tredecimpunctata e Anisosticta novedecimpunctata), ma può trarre vantaggio da improvvise diminuzioni dei predatori
Miride del riso su cariosside
Miride del riso su spighetta
334
Fori determinati dall’attività trofica del miride
parassiti animali attratto dalla pannocchia vi si trasferisce e sugge le cariossidi in formazione. In particolare si alimenta dall’apertura lasciata dalla saldatura imperfetta di lemma e palea o dalla fessura all’apice delle spighette. Con le punture di alimentazione, favorisce l’ingresso di funghi e batteri che alterano il colore e danno avvio alla formazione della macchia della cariosside con perdite qualitative.
Chironomidi
• Le larve dei Ditteri Chironomidi sono
presenti nei campi di riso di tutto il mondo e sono comunemente note come leccariso o vermi rossi, per la colorazione rossastra determinata dalla presenza di pigmenti respiratori, che consentono all’insetto di sopravvivere in acque ferme
Leccariso o vermi rossi (Diptera: Chironomidae) Le specie considerate dannose al riso specialmente nelle zone temperate appartengono per lo più ai generi Chironomus e Cri cotopus. Sono insetti legati all’ambiente acquatico (laghi, fossati con acque ferme, acquitrini, pozzanghere e risaie) che generalmente si nutrono, durante la vita larvale, di sostanza organica. Gli adulti, il cui aspetto generale ricorda molto le zanzare, non si nutrono. Le larve possono raggiungere i 2 mm in funzione della specie. I danni su riso sono generalmente determinati dall’attività delle larve sui semi in germinazione in quanto, nutrendosi dell’embrione, uccidono la pianta. Possono inoltre cibarsi dei germinelli e delle foglie delle plantule sommerse provocando a volte danni notevoli. Infine si possono nutrire delle foglie sul pelo dell’acqua. In questo caso si notano piccoli fori sulla superficie fogliare che talvolta possono interessare l’intera lamina. I danni risultano raramente di carattere economico. Svernano come larva matura nei tessuti marcescenti di piante acquatiche o nella fanghiglia. A febbraio sfarfallano i primi adulti. Seguono numerose generazioni, fino a dicembre. Colonizzano la risaia già durante le fasi di preparazione. Pullulazioni di questi insetti sono associate a risaie che utilizzano acque ricche in sostanza organica.
Hydrellia griseola
• La specie è cosmopolita e in Europa
Hydrellia griseola (Diptera: Ephydridae) La specie è associata al riso nello stadio larvale. Gli adulti, di 2-3 mm di lunghezza, sono grigiastri con una macchia verde bluastra e riflessi metallici sull’addome. Il danno su riso è arrecato appunto dalla larva, che scava sulle foglie piccole mine irregolari che spesso abbandona durante il suo sviluppo per costituire una nuova mina. Le foglie attaccate assumono un aspetto punteggiato e possono andare incontro a marcescenza. La pianta risponde all’infestazione riemettendo foglie basali. Sverna come pupa o come adulto. Sul riso sembra possa compiere 2 generazioni l’anno, mentre su altre poacee spontanee può compiere un numero imprecisato di generazioni. H. griseola viene normalmente controllata da numerosi limitatori naturali ma può avvantaggiarsi dal verificarsi delle seguenti condizioni: monocoltura, presenza di piante spontanee di ripa, acque alte dove il riso cresce filato, uso indiscriminato di prodotti chimici.
presenta un ampio areale, dalla Finlandia all’Italia
• Polifaga, si può alimentare, oltre che
di riso, di numerose monocotiledoni sia acquatiche sia terrestri appartenenti alle famiglie delle poacee e ciperacee oltre che di dicotiledoni erbacee (generi: Agrostis; Alopecurus; Apera; Arrhenatherum; Avena; Brachypodium; Briza; Bromus; Calamagrostis; Digitaria; Elymus; Festuca; Glyceria; Helictotrichon; Holcus, Hordeum; Lolium; Phalaris; Phleum; Phragmites; Poa; Setaria; Triticum; Allium; Bellis; Carex; Papaver)
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coltivazione
Scarificazioni determinate dall’attività trofica di L. oryzophilus
Larva di L. oryzophilus
Punteruolo acquatico del riso (Lissorhoptrus oryzophilus) (Co leoptera: Erirhinidae) Originario del Nord America, è attualmente presente in gran parte del Sud-Est asiatico e in Italia. Nel nostro Paese è oggi presente in molti degli areali risicoli di Lombardia e Piemonte con popolazioni di sole femmine partenogenetiche. La lunghezza dell’adulto è compresa tra i 3,3 e i 3,7 mm. Di colore bruno rossastro, ma con tegumento ricoperto da squame bruno chiare sui lati di pronoto ed elitre, che diventano più scure nella parte dorsale, dove formano una chiazza di estensione variabile. La larva, di 8 mm a maturità, è di colore bianco latte con capo bruno chiaro; presenta sul dorso 6 coppie di uncini, collegati al sistema respiratorio, che inserisce nel parenchima aerifero delle piante ospiti. Le prime indagini effettuate in Italia hanno dimo-
Adulti del punteruolo acquatico del riso
Punteruolo acquatico del riso
• Lissorhoptrus oryzophilus è un
coleottero appartenente alla famiglia Erirhinidae ed è considerato uno degli insetti più dannosi per il riso nel mondo. In Italia è stato individuato per la prima volta nel 2004 ed è attualmente diffuso in gran parte delle zone risicole di Lombardia e Piemonte Pupa di L. oryzophilus estratta dalla celletta pupale
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Cellette pupali di L. oryzophilus tra le radici del riso
parassiti animali strato che nei nostri areali L. oryzophilus compie una generazione l’anno. Sverna come adulto alla base di piante arboree, tra la vegetazione spontanea, cespi di poacee e ciperacee, stoppie di riso, nella lettiera e in zone boscose in prossimità della risaia. A primavera l’insetto esce dai ricoveri e si sposta sulle erbe spontanee adiacenti per nutrirsi per poi trasferirsi sulle piantine di riso. Ogni femmina depone in media 75-78 uova. Condizione indispensabile affinché avvenga l’ovideposizione è che le piantine siano sommerse. Le femmine scendono infatti sotto la superficie dell’acqua e depongono le uova singolarmente nell’epidermide delle guaine delle foglie sommerse. La larva sguscia; nutrendosi dapprima della guaina della foglia basale e, successivamente, delle radici, dove continua ad alimentarsi fino all’impupamento. Il danno è causato principalmente dalle larve che con la loro attività trofica compromettono la funzionalità dell’apparato radicale, con conseguente crescita stentata delle piante e decremento quali-quantitativo delle produzioni. In casi estremi, se l’attacco avviene molto precocemente e l’apparato radicale è notevolmente danneggiato, il vento può causare lo sradicamento delle piante con conseguente morte delle stesse.
Punteruolo acquatico
• L’alimentazione sulle erbe spontanee a primavera permette all’insetto di riattivare i muscoli alari, diventati atrofici nel periodo invernale, e gli organi riproduttori, non ancora sviluppati
Donacia dentata
• Specie a diffusione eurosiberica
in Italia è presente in tutto il Nord e il Centro, preferibilmente nelle zone di pianura
Donacia dentata (Coleoptera: Chrysomelidae) Coleottero crisomelide le cui larve possono arrecare danni all’apparato radicale del riso. L’adulto, di 6-8 mm di lunghezza e di colore verde ramato, possiede sul ventre dei peli idrofughi che consentono all’insetto di accumulare aria e di utilizzarla quando è immerso sott’acqua. Le larve oligopode, di colore bianco, sono adattate a vivere sott’acqua in quanto posseggono sull’ottavo segmento addominale due processi spinosi che inseriscono nei canali aeriferi delle piante acquatiche e che sono collegati al sistema respiratorio dell’insetto. Pare abbia una sola generazione per anno, anche se alcuni autori riportano che le larve possono sopravvivere 2 anni. La deposizione avviene sulle porzioni sommerse delle piante acquatiche. La larva si fissa al parenchima aerifero e si ciba della radice. La presenza di 1-6 larve sulle radici del riso a fine maggio può portare alla totale distruzione dell’apparato radicale e di conseguenza alla morte delle piante. Una volta raggiunta la maturità, la larva costruisce, con del fango, una celletta pupale entro cui si impupa.
• Piante ospiti sono numerose
monocotiledoni acquatiche, tra cui anche il riso. L’adulto mostra una spiccata predilezione per le piante di Alisma plantago-aquatica
Specie minori Piralide del mais (Ostrinia nubilalis) (Lepidoptera: Crambidae) La piralide del mais è un insetto estremamente polifago, che annovera fra le piante ospiti numerose monocotiledoni e dicotiledoni, spontanee e coltivate. L’adulto ha un’apertura alare di 3 cm;
Adulto di piralide del mais
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coltivazione
Femmina di idrocampa
Maschio di idrocampa
presenta colorazione bruno chiara con tipiche striature più scure nella femmina; bruno scura con striature più chiare nel maschio. Su riso le larve, che si nutrono dapprima delle foglie e forano successivamente il fusticino, divorano i tessuti dall’interno. Se la pianta è attaccata dopo la fioritura, la pannocchia appare biancastra, secca, con spighette vuote, e, se sfilata delicatamente dalla guaina della foglia paniculare, esce facilmente, mostrando il culmo forato o roso, di colore brunastro e marcescente. Se l’attacco è massiccio, tale attività trofica può risultare estremamente dannosa.
Larve di piralide del mais
Idrocampa
• Lepidottero crambide che solo
sporadicamente provoca danni in risaia
• Tra gli ospiti sono annoverate anche
piante erbacee acquatiche ornamentali (ninfee, Potamogeton ecc.) spontanee
• I danni sono causati dalla larva che,
Idrocampa (Elophila nymphaeata sub. Nymphula) (Lepidoptera: Crambidae) L’adulto ha un’apertura alare di 22-26 mm e presenta colorazione biancastra con bande serpentiformi brunastre. La larva è polipoda e raggiunge i 20-25 mm di lunghezza. Racchiusa in un riparo, costituito da foglie di riso tagliate, si sposta e si alimenta delle foglie e si diffonde nella risaia. La larva rinnova periodicamente l’astuccio ogni qualvolta questo ingiallisce e marcisce. Infatti, se le pareti sono verdi, l’acqua in prossimità della larva viene arricchita di ossigeno e l’insetto ne trae giovamento. Presenta 4-5 generazioni per anno e solo le prime due su riso.
dopo una prima età in cui vive da minatrice della pianta ospite, dalla seconda età taglia le foglie, ricavando una sorta di astuccio tenuto insieme da fili di seta per proteggersi
Pentatomidi
• Le cimici dei campi pungono
tutte le porzioni aeree della pianta. I danni possono essere qualitativi per l’insediamento di funghi che provocano una macchia della cariosside, oppure quantitativi, a seguito dell’aborto dei fiori e della riduzione di peso delle cariossidi
Pentatomidi o cimici dei campi (Carpocoris pudicus, Nezara viri dula, Aelia rostrata, Eurigaster spp.) (Heteroptera: Pentatomidae) I Pentatomidi sono insetti estremamente polifagi che annoverano tra le specie ospiti anche il riso. Il danno è arrecato da tutti gli stadi di sviluppo che si nutrono con il loro apparato boccale pungente succhiante della linfa della pianta perforando tutti gli organi verdi, comprese le cariossidi in fase di sviluppo. Proprio l’attività trofica su queste ultime è la responsabile dell’insediamento di funghi che causano la macchia nera della cariosside. 338
parassiti animali
Adulto di Nezara viridula
Ovatura di pentatomide
Tipule (Tipula maxima, T. oleracea) (Diptera: Tipulidae) Sono ditteri di dimensioni piuttosto grandi (Tipula maxima raggiunge i 4 cm di apertura alare), con zampe molto lunghe che si staccano con grande facilità. Le femmine lasciano cadere le uova sul terreno, prediligendo luoghi con acque ferme e abbondante sostanza organica. Le larve, generalmente con apparato boccale masticatore, si nutrono in prevalenza di sostanze vegetali in decomposizione e possono attaccare l’apparato radicale di alcune piante acquatiche, compreso il riso. Quanto più le piante sono giovani e l’apparato radicale è ridotto tanto maggiore sarà il danno. Talvolta le piante ingialliscono o, se l’attacco è grave, possono essere sradicate dall’acqua. Sverna come larva nel terreno. L’adulto si trova in estate in folti gruppi sia lungo gli argini sia nei pressi degli acquitrini.
Ninfa di Nezara viridula
Adulto di tipula
Larve di tipula
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coltivazione
Adulto di Mythimna unipuncta Adulto di Spodoptera littoralis
Nottue (Spodoptera littoralis e Mythimna unipuncta [= Pseudale tia] unipuncta) (Lepidoptera: Noctuidae) Questi lepidotteri nottuidi sono segnalati solo sporadicamente come dannosi per il riso, anche se le loro pullulazioni possono risultare significative per i danni provocati dalle larve. Gli adulti di S. littoralis hanno un’apertura alare di 35-40 mm con ali anteriori di colore grigio-bruno con caratteristici disegni a linee e ali posteriori biancastre con riflessi violacei e parte marginale scura. Le larve, brune a maturità, mostrano strisce dorso laterali gialle. M. unipuncta presenta adulti con un’apertura alare di 40-50 mm, ali anteriori giallastre o rossastre, con un netto puntino bianco nella porzione distale e ali posteriori grigie. La larva, che a maturità raggiunge i 4 cm di lunghezza, presenta fasce longitudinali grigio chiare e grigio scure spesso interrotte e una linea gialla che decorre nella zona al di sotto degli stigmi. Presenta un’ampia diffusione nei vari continenti, Europa compresa, dove fu segnalata per la prima volta negli anni ’50. Entrambe le specie sono estremamente polifaghe. Il danno su riso è causato dalle larve che si alimentano delle foglie, divorandone i margini; talvolta l’attacco può avvenire direttamente sulla pannocchia, che viene recisa alla base. Compiono più generazioni l’anno e svernano come larva nel terreno.
Larve di S. littoralis
Gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) (Malaco straca: Decapoda: Cambaridae) Vive in tutte le acque dolci, ma preferisce quelle stagnanti o debolmente correnti (paludi, risaie, canali ecc.), anche soggette a completo o parziale prosciugamento durante i mesi meno piovosi. Può sopravvivere per diversi mesi fuori dall’acqua, purché vi sia un elevato tasso di umidità.
Ovatura di Spodoptera exigua ricoperta da peli (a destra); uova estratte (a sinistra)
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parassiti animali L’adulto raggiunge una lunghezza massima di 15 cm e assume una colorazione bruno rossiccia che lo rende facilmente riconoscibile. Le forme giovanili presentano una colorazione brunogrigiastra. Può diventare dannoso in risaia per i danni diretti su semi germinanti e plantule di riso ma soprattutto per l’abitudine di scavare delle gallerie più o meno complesse nei campi e negli argini, che causano instabilità degli argini stessi e perdite d’acqua. I freddi mesi invernali sono trascorsi in quiescenza, per lo più in tane, anfratti naturali e nicchie ben riparate. Nei nostri ambienti il periodo riproduttivo è piuttosto ampio, tra la primavera e l’autunno; la specie è in attività da marzo a novembre, con il massimo nella stagione tardo-primaverile ed estiva (maggio-settembre). La femmina è in grado di deporre 200-700 uova per volta.
Gambero rosso della Louisiana
• Il gambero rosso della Luisiana è un Decapode Cambaride che provoca danni su riso sia diretti sia indiretti
• Originario del Centro-Sud degli Stati
Uniti e del Nord-Est del Messico è presente in numerosi Paesi in cui è stato introdotto accidentalmente. Sfuggito da alcuni allevamenti, attualmente è diffuso e acclimatato anche in Pianura Padana. Si è rapidamente diffuso nel territorio grazie alla sua elevata capacità di adattamento ad ambienti estremamente differenti
Coppetta (Triops cancriformis) (Branchiopoda: Notostraca: Triopside) Crostaceo Brachipode di 4-5 cm reperibile nelle risaie. T. cancri formis presenta un notevole adattamento alla siccità, in quanto le uova sono in grado di conservarsi per decenni in assenza di acqua e schiudono non appena si trovano in condizioni di elevato rifornimento idrico. T. cancriformis è specie termofila, presente anche nel Sud-Est asiatico, in Giappone, Africa ed Europa. Si alimenta di alghe, plancton e prede più grandi come anellidi, larve di zanzare o persino girini, che trova scavando nel terriccio fangoso. Proprio questa attività di ricerca, che provoca sollevamento di terra dal fondo e intorbidisce l’acqua, può risultare dannosa al riso nelle fasi di germinazione e può determinare fallanze.
Adulto di gambero rosso della Louisiana
Coppetta
• È considerato un “fossile vivente”,
in quanto sopravvive immutato da milioni di anni. Nel nostro Paese è presente con popolazioni ermafrodite, mentre in altri ambienti può essere sia partenogenetico sia a sessi separati. È associato ad ambienti acquatici a carattere stagionale o temporale e di conseguenza anche alle risaie
Adulto di coppetta
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coltivazione Topolino delle risaie (Micromys minutus) (Mammalia: Rodentia: Muridae) Vive tra le erbe degli incolti marginali, in particolare quelle che ricoprono le sponde dei fossi e dei canali. Da questi passa facilmente nelle colture cerealicole prossime a maturazione, divorando una gran quantità di cariossidi, arrampicandosi lungo il culmo ed estraendole, una dopo l’altra, dalle spighe. L’attività è sia diurna sia notturna. Il nido di riproduzione è costruito a 30-80 cm dal suolo, tra gli steli delle erbe alte, intrecciando foglie e altre erbe sottili in modo da formare una struttura subsferica (8-10 cm di diametro) con un foro di accesso laterale. Ogni nido serve per l’allevamento di una sola figliata a causa del rapido accrescimento delle erbe alle quali è appeso. Il periodo riproduttivo va da maggio a settembre e una femmina, che ha una gestazione di 18 giorni, porta a termine ogni anno fino a 3 figliate, ciascuna con mediamente 4 piccoli.
Topolino delle risaie
• Il topolino delle risaie è il più piccolo
roditore italiano, presente in tutta la Pianura Padana e negli ampi fondovalle a essa adiacenti. Il peso dell’adulto si aggira intorno ai 6 grammi; la coda, lunga almeno quanto il corpo, è leggermente prensile. Si distingue da un topo domestico per il colore rosso arancio delle parti dorsali, per l’estremità del muso arrotondata e per i piccoli padiglioni auricolari
• L’importanza economica della specie
è trascurabile anche se sono riportati casi di ingenti danni in corrispondenza di periodi di sovrabbondanza di questo roditore, in condizioni ambientali favorevoli
Nutria (Myocastor coypus) (Mammalia: Rodentia: Myocastoridae) È un roditore di grande taglia, di origine sud-americana, allevata in alcune parti del mondo come animale da pelliccia che in seguito a fughe accidentali è oggi presente allo stato selvatico, oltre che in Italia, in diversi Paesi europei. Il peso dell’adulto varia tra 7 e 10 kg e il corpo misura complessivamente 60 cm circa. Il mantello è marrone-rossastro con peli ruvidi che proteggono un sottopelo soffice e vellutato di colore ardesia scuro. Le femmine hanno la particolarità di avere i capezzoli localizzati nella parte alta dei fianchi, così da consentire ai piccoli di nutrirsi mentre la madre, nuotando, li trasporta sul dorso. Foto V. Bellettato
Nutria
• La nutria è un animale semi-
acquatico, ottimo nuotatore, che vive esclusivamente in stretta prossimità dei corsi d’acqua a decorso lento, laghi o paludi. Per allevare la prole scava orizzontalmente, nelle sponde degli invasi o dei corsi d’acqua, gallerie poco profonde, con una camera terminale. La femmina può fare 2 parti in un anno di 2-4 piccoli per volta; la gestazione si aggira intorno ai 4 mesi
Nutria
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parassiti animali La presenza delle nutrie in prossimità dei canali di irrigazione e degli invasi artificiali rappresenta un problema per la creazione di pericolosi punti di infiltrazione e frattura.
Foto C. Chersi
Difesa dai parassiti animali in campo Relativamente alla lotta agli insetti di campo, bisogna sottolineare che attualmente sono pochi i prodotti autorizzati per l’impiego in risaia. Si ricordano per esempio un prodotto a base di triclor fon autorizzato per l’uso su coppette, chironomidi e idrocampe e un prodotto aficida a base di alfacipermetrina. Tale situazione è dovuta al fatto che, fino all’introduzione di specie esotiche più dannose per le produzioni, le pullulazioni determinate da parassiti animali erano sporadiche. Soprattutto gli insetti, venivano normalmente tenuti a freno da numerosi limitatori naturali o erano risolvibili con pratiche agronomiche. Basti ricordare che per molte specie si può operare indirettamente, controllando gli ospiti alternativi. Per i chironomidi una lotta indiretta può essere effettuata prosciugando gli acquitrini, sgrondando le risaie, eventualmente anche con l’effettuazione di arature autunnali ed evitando la presenza di residui vegetali in risaia; nel caso di Hydrellia griseola bisogna controllare il livello dell’acqua. Anche per il crostaceo Triops cancriformis (coppetta) i danni possono essere limitati praticando un’asciutta. Uno dei maggiori problemi entomologici attualmente presente in Italia è rappresentato dal punteruolo acquatico del riso nei riguardi del quale non vi sono ancora formulati disponibili ma sono in atto procedure di registrazione che fanno supporre una disponibilità futura di alcuni prodotti. Anche per il contenimento di questo insetto possono essere di aiuto tecniche agronomiche, quali la pratica di asciutte programmate, la scelta di varietà meno suscettibili all’attacco o l’effettuazione di diserbi, finalizzati all’eliminazione degli ospiti alternativi.
Danni da punteruolo acquatico del riso. Le strategie di lotta contro questo insetto sono attualmente allo studio
Attacchi parassitari sulle derrate
• Numerose specie di insetti e acari
sono attive nei magazzini di cereali in genere, nonché nelle riserie. Dopo la trebbiatura, il risone viene conservato nei magazzini, ancora rivestito e protetto da glume e glumelle, il che può rendere più difficile un attacco parassitario. Successivamente, sottoposto a lavorazione e “svestito” (riso sbramato o semigreggio), perde questa sua naturale difesa, divenendo più suscettibile a infestazioni da insetti. Le successive lavorazioni in riseria privano le cariossidi degli strati più esterni (riso raffinato); ciò determina una ulteriore possibilità di infestazione
Parassiti da magazzino La conservazione di tutti i cereali è pratica difficile, tanto è vero che spesso si devono lamentare perdite dovute ad attacchi parassitari. È un gravissimo errore considerare i cereali come un materiale inerte: le cariossidi infatti sono organismi vivi, seppure in stato di quiescenza. Per una corretta conservazione è necessario conoscere innanzitutto le caratteristiche della materia prima, nonché il magazzino ove le cariossidi stazionano per tempi più o meno lunghi. Anche le condizioni ambientali esercitano un ruolo molto importante, divenendo elemento più o meno favorevole alla moltiplicazione di insetti e acari; per quanto si riferisce al riso, ciò vale in modo rilevante: si pensi che gran parte della coltivazione avviene in Paesi tropicali e subtropicali, in cui diverse specie di insetti infestanti questo cereale nei depositi possono svilupparsi
Commercio del riso e contaminazione delle derrate
• Le infestazioni sono favorite dagli
scambi commerciali. Partite di riso provenienti da Paesi tropicali e subtropicali sono spesso già infestate all’origine; gli Artropodi, nel corso del viaggio, si moltiplicano e vengono così trasferiti nei magazzini di stoccaggio
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coltivazione pure in pieno campo. I magazzini, poi, spesso non sono affatto adeguati, consentendo una rapida moltiplicazione dei parassiti infestanti. L’importazione di riso grezzo di tali Paesi deve essere considerata come una fonte di rischio di possibile introduzione di organismi dannosi anche in Italia. Infine, se sottoposto in riseria a trattamenti termici (riso parboiled), viene sicuramente disinfestato con tale pratica e, successivamente, solo in rari casi è suscettibile di ulteriori attacchi parassitari. Il risone a volte può essere immagazzinato con elevata umidità, il che lo rende ancora più soggetto a infestazioni di insetti micetofagi e di acari. Infatti, se viene insilato riso ancora umido, in presenza di temperature elevate, è possibile che si sviluppino ammuffimenti, e nel contempo si verifica un aumento di anidride carbonica nella massa, con incremento di umidità e di temperatura, il che provoca un più rapido sviluppo degli insetti infestanti “primari”, che a loro volta aprono la via agli organismi “secondari”, detriticoli, e ai micetofagi, definiti anche come insetti e acari “terziari”.
Punteruoli o Sitophilus spp.
• Sono specie simili tra loro che
causano danni ai cereali conservati (riso compreso) oltre che ai prodotti derivati, come le paste alimentari. Sono caratterizzati da un capo con clipeo molto allungato, all’estremità del quale si trova l’apparato boccale masticatore (da questo aspetto prendono il nome comune di “punteruoli”). Le antenne sono genicolate, con gli ultimi antennomeri clavati. Le larve sono apode
Punteruoli o Sitophilus spp. Si tratta di coleotteri appartenenti alla superfamiglia Curcu lionoidea, trasferiti dalla famiglia dei Curculionidi a quella dei Dryophthoridae. Calandra o punteruolo del riso (Sitophilus oryzae) Diffuso in tutto il mondo, causa ingenti perdite di riso durante la conservazione. I danni sono provocati sia dalle larve sia dagli adulti che si nutrono delle cariossidi, svuotandole completamente o riducendole in polvere. L’infestazione può avere inizio anche in pieno campo perché S. oryzae è in grado di volare e
Adulti di S. oryzae su risone
S. oryzae su riso bianco Larva di Sitophilus oryzae
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parassiti animali raggiungere le risaie, deponendo le uova nelle cariossidi ancora sulla pannocchia. Oltre al riso è in grado di attaccare anche altri cereali nonché le paste alimentari e le leguminose da granella. Gli adulti, lunghi 2-3 mm, sono di color bruno scuro, con 2 macchie rosso mattone su ciascuna elitra. Il capo è prolungato in un rostro alla cui estremità si trovano le appendici boccali, idonee a rodere e forare le cariossidi. Le femmine depongono le uova individualmente in fori scavati nelle cariossidi per un totale di 300400 uova in 40-50 giorni. La larva, apoda e biancastra, si alimenta dell’endosperma fino a maturità, impupandosi pure all’interno della cariosside. In un anno si possono avere 3-4 generazioni e lo svernamento avviene di solito allo stadio adulto, negli strati più interni della massa dei cereali. Calandra o punteruolo del grano (Sitophilus granarius) È cosmopolita, ma molto più abbondante nei climi temperati. L’adulto, di colore bruno, è lungo 3-5 mm. I danni, come nel caso di S. oryzae, sono sulle cariossidi intere dei cereali o sulle paste alimentari. Morfologicamente è simile a S. oryzae, da cui si differenzia per l’assenza delle macchie rosso mattone sulle elitre e per le ali atrofizzate, che lo rendono incapace di volare, anche se risulta un ottimo camminatore. Ogni femmina è in grado di deporre 50-250 uova in un periodo di 3-5 mesi. Nei nostri ambienti si possono avere 2-3 generazioni l’anno. Sverna come adulto negli strati più profondi della massa del cereale o nelle fessure delle pareti; in altri casi sverna la larva all’interno della cariosside.
Danni da Sitophilus granarius su frumento Foto L. Riccioni
Calandra o punteruolo del mais (Sitophilus zeamais) Inizialmente descritto come una varietà di S. oryzae, risultò poi specie a sé stante. È meno comune di S. oryzae e, poiché resiste poco al freddo, è più attivo nelle regioni tropicali dove può infestare il riso anche in pieno campo. Sembra che S. zeamais sia in grado di svilupparsi sul riso più velocemente di S. oryzae. A 30 °C e con il 70-80% di UR il ciclo di sviluppo si completa in 25-27 giorni. L’adulto, di color bruno-nerastro, normalmente misura 3-4 mm. Le elitre sono generalmente più lucenti che in S. oryzae e presentano 4 macchie rosso mattone ben evidenti e delimitate, quasi a configurare una croce di S. Andrea.
Adulto di Sitophilus zeamais
Cappuccino dei cereali (Rhyzopertha dominica) È un coleottero appartenente alla famiglia dei Bostrichidi, comunemente conosciuto come cappuccino dei cereali a causa del capo che è interamente nascosto nel protorace, che lo ricopre come un cappuccio. Cosmopolita, è di origine tropicale. L’adulto è di colore bruno-rossastro, lungo 2,5-3 mm. I danni sono causati dalle larve e dagli adulti che attaccano le cariossidi
Adulto di Rhyzopertha dominica
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coltivazione intere o spezzate ma anche la farina e le paste alimentari. La femmina può deporre dalle 200 alle 500 uova isolatamente o in piccoli gruppi sulla superficie dei cereali o in gallerie precedentemente scavate. Le larve, per addentrarsi nelle cariossidi, sfruttano fratture o aperture già esistenti, nutrendosi della farina derivante dall’alimentazione degli adulti. Il ciclo di sviluppo varia in funzione delle condizioni ambientali e può durare solo 30 giorni in condizioni ottimali (34 °C), mentre nella stagione fredda si prolunga fino a 6 mesi; gli adulti sono molto longevi e superano in nocività le larve, in quanto sono i maggiori responsabili delle gallerie scavate nei prodotti attaccati. In un anno si possono registrare 4-5 generazioni. Tignola fasciata (Plodia interpunctella) È un piccolo lepidottero cosmopolita, appartenente alla famiglia dei Piralidi. È comunemente nota con il nome di tignola fasciata in quanto le ali anteriori sono per metà biancastre e per metà di colore rosso rame lucente, rigate da fasce nere. L’apertura alare è di 15-16 mm. Specie polifaga per eccellenza, infesta una grandissima quantità di sostanze alimentari, tra cui i cereali. I danni sono causati dalle larve che si nutrono delle cariossidi in cui entrano più o meno parzialmente. Secernono abbondanti fili sericei coi quali legano insieme i chicchi, creando una nicchia di annidamento che progressivamente ampliano. Vivono nello strato superficiale delle cariossidi immagazzinate e quando raggiungono la maturità escono dal groviglio di fili e semi e cercano un posto riparato per incrisalidarsi. Di solito si trasferiscono sulle pareti dei magazzini, entro crepe e fessure. L’insetto compie in genere 3-4 generazioni l’anno, a seconda delle caratteristiche ambientali, ma in caso di forti infestazioni le generazioni si accavallano e si possono trovare adulti tutto l’anno. La tignola fasciata sverna di solito come larva e in estate si può trovare anche all’aperto.
Attacco di R. dominica su risone
Foto L. Riccioni
Adulto di Plodia Interpunctella Confezione di riso infestata da Plodia interpunctella
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parassiti animali Vera tignola dei cereali (Sitotroga cerealella) Insetto cosmopolita tra i maggiori infestanti del riso, considerato, come importanza, secondo solo a Sitophilus spp. L’adulto è una piccola farfalla, appartenente alla famiglia dei Gelechidi, dall’apertura alare di 13-17 mm. Le ali sono fortemente frangiate: quelle anteriori di color paglierino luccicante, quelle posteriori plumbeo chiaro. Le uova (in media 200-250 per femmina) possono essere deposte direttamente in campo, sulle spighe. Le larve neonate riescono a penetrare facilmente nella cariosside, mentre in magazzino ciò è più difficile a causa della maggior secchezza e durezza dei granelli. La larva attacca e divora l’endosperma e quando si avvicina la maturità rode in prossimità della superficie della cariosside una porzione circolare per agevolare lo sfarfallamento dell’adulto. Sul chicco si può notare un dischetto di pericarpo sottilissimo che sarà rotto con il capo dall’adulto pronto a uscire dalla cariosside. In campo l’insetto può compiere 1-2 generazioni, mentre all’interno dei magazzini arriva a 3-4 generazioni. Sverna come larva dentro le cariossidi.
Tignola fasciata
• Questa specie, presente in tutto
il mondo, è ritenuta responsabile del 97-98% delle infestazioni di derrate provocate da Lepidotteri
• La tignola fasciata depone sempre
le uova negli strati superficiali delle cariossidi immagazzinate
Tignola del riso (Corcyra cephalonica) Lepidottero di origine subtropicale, probabilmente asiatica, può divenire un importante infestante in magazzini mal tenuti. L’adulto ha apertura alare di 14-24 mm, con ali anteriori bruno-grigiastro o giallastro e ali posteriori color crema. La femmina depone sino a 400 uova in screpolature di muri impolverati, o direttamente nelle cariossidi. Il ciclo di sviluppo è completato di solito in 3-4 mesi. Le larve producono una discreta quantità di seta, con cui inglobano detriti alimentari e cariossidi; formano così un astuccio sericeo in cui si annidano per incrisalidare.
Danno da Sitotroga cerealella
Adulto di Corcyra cephalonica Larva di Corcyra cephalonica
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coltivazione Detritivori Psocotteri Numerose sono le specie che possono risultare infestanti: tra le più comuni si ricordano Liposcelis bostrychophila e L. divina torius. Questi insetti sono caratterizzati da minutissime dimensioni (0,8-2 mm), colore generalmente grigio pallido, presenza o assenza di ali, a seconda della specie. Si nutrono di detriti, sia di origine animale sia vegetale, oppure di micelio fungino. Ubiquitari, depongono decine di uova e lo sviluppo sino ad adulto si completa in 20-40 giorni, in relazione alla specie e alle condizioni ambientali. A volte si osservano imponenti infestazioni nei silos di cereali, con colonie di migliaia e migliaia di individui.
Psocotteri
• A questo ordine appartengono specie
di piccole dimensioni attere o alate, con capo fornito di occhi composti e, nelle forme alate, di 3 ocelli. Possiedono antenne filiformi e apparato boccale masticatore
• Questi insetti frequentano solitamente luoghi umidi e bui
Triboli delle farine (Tribolium confusum e T. castaneum) Sono coleotteri appartenenti alla famiglia dei Tenebrionidi che si alimentano per lo più di cariossidi spezzate e di detriti. Si trovano di frequente anche nella crusca di riso. Gli adulti delle due specie, di color bruno scuro, lunghi 3-4 mm, si differenziano per la conformazione delle antenne che in T. confu sum si ispessiscono progressivamente dalla base all’apice, mentre in T. castaneum gli ultimi 3 antennomeri formano una clava ben distinta. Ogni femmina è in grado di deporre dalle 200 alle 500 uova, isolatamente per un periodo di 150-200 giorni. A 30 °C e con il 70-90% di UR il ciclo più breve è di 40 giorni per T. castaneum e di 25 giorni per T. confusum. Le sostanze attaccate tendono ad assumere un odore sgradevole, causato dalla secrezione ghiandolare di diversi chinoni, che le altera irreparabilmente.
Foto A. Pollini
Psocottero liposcelide
Foto L. Riccioni
Triboli delle farine
• Gli adulti di Tribolium spp. sono in grado di vivere fino a circa 2 anni
• T. castaneum è un buon volatore
mentre T. confusum si sposta preferibilmente sulle proprie zampe
• Circa la metà di una cariosside
può venire consumata da un unico individuo di tribolio nel corso dello sviluppo postembrionale Adulto di Tribolium castaneum
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parassiti animali Silvano (Oryzaephilus surinamensis) È un minuto coleottero della famiglia dei Silvanidi. Cosmopolita, causa seri danni ai cereali, soprattutto al riso. L’adulto, molto agile, è di color bruno più o meno scuro e raggiunge i 2,5-3 mm di lunghezza. I silvani sono caratteristici per avere il pronoto con 6 dentelli su ogni lato, di cui il primo particolarmente lungo e appuntito, mentre la superficie dorsale presenta tre creste longitudinali. Sia le larve sia gli adulti si alimentano delle cariossidi conservate, divenendo un grosso problema, soprattutto se il riso è umido o è già attaccato da altri insetti. Le uova (200-300 per femmina) sono deposte direttamente sulle cariossidi. Il ciclo di sviluppo dipende sensibilmente dalla temperatura e dall’umidità: a 27 °C e con il 7090% di UR si completa in 24-27 giorni. Di solito nei nostri ambienti presenta da 2 a 4 generazioni all’anno, ma quando le infestazioni avvengono in ambienti caldo-umidi possono anche essere 8.
I silvani
• Gli adulti sono rapidi camminatori ma raramente volano
• Si sviluppano velocemente in derrate
con un contenuto di umidità superiore o pari al 20%
• Per il loro sviluppo sono essenziali i carboidrati mentre il fabbisogno di vitamina B è molto basso
Foto A. Capizzi
Adulti di silvano
Larva di Oryzaephilus surinamensis
Oryzaephilus mercator Molto simile alla specie precedente, con la quale è spesso confuso. Predilige semi oleaginosi e loro derivati, nonché frutta secca. È molto meno importante come infestante del riso rispetto a O. surinamensis. Si distingue da quest’ultimo per il capo più allungato e per la conformazione del bordo dietro agli occhi, che in O. mercator è sporgente con un dente traverso e lungo la metà del diametro dell’occhio, mentre in O. surinamensis il dente è lungo quanto il diametro dell’occhio. Criptoleste (Cryptolestes spp.) Sono piccolissimi coleotteri appartenenti alla famiglia dei Cucuidi, caratterizzati da corpo appiattito e sottile e lunghe antenne filiformi. Le specie che infestano le derrate sono per lo più detriticole e si trovano come infestanti secondari dei cereali immagazzinati. Le specie più comuni sono C. ferrugineus e C. pusillus.
Adulti di Cryptolestes spp.
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coltivazione Gli adulti, di colore bruno-rossastro, sono lunghi 1,5-1,8 mm con antenne lunghe circa la metà del corpo. Sono cosmopoliti e nei nostri climi possono compiere fino a 3 generazioni all’anno. Il ciclo a 25 °C e con il 75% di UR si completa in 5-6 settimane. Sono in grado di creare grossi problemi quando trovano condizioni di umidità e temperatura favorevoli (i cosiddetti “punti caldi” nella massa di cereali immagazzinati) che consentono lo sviluppo di popolazioni con numerosissimi individui.
Criptoleste
• I Cryptolestes prediligono attaccare
il germe piuttosto che l’endosperma delle cariossidi
Latheticus oryzae Frequente nei Paesi tropicali, può rinvenirsi in partite di riso importate. Si tratta di specie detriticola, ragion per cui è più frequente su riso spezzato o sul germe. L’adulto, dal corpo appiattito e di colore bruno-giallastro, è lungo 2,5-3 mm. Essendo di origine tropicale predilige temperature e umidità elevate. Con tali condizioni, a 25 °C e con il 75% di umidità relativa, completa un ciclo in circa 2 mesi.
Foto M. Mazzotti
Anobio del tabacco (Lasioderma serricorne) Questo minuto coleottero della famiglia degli Anobidi (mm 2,53), affine morfologicamente e per costumi alimentari a Stego bium paniceum, è specie cosmopolita, polifaga per eccellenza. Nelle riserie si insedia, così come S. paniceum, in ambienti con abbondanti detriti, di cui si nutre. La femmina depone sino a 100 uova; il ciclo di sviluppo si completa in circa 4 mesi. Le due specie sono monitorabili con trappole a feromone. Per l’aspetto complessivo, gli adulti possono essere confusi con T. stercorea, ma quest’ultima specie presenta il corpo rivestito di fitta peluria, mentre i due Anobidi summenzionati hanno elitre glabre.
Adulto di Lasioderma serricorne
Micetofagi Tifea (Typhaea stercorea) Si tratta di un tipico infestante di cereali ammuffiti, apparentemente della famiglia dei Micetofagidi. L’adulto, lungo 2,5-3 mm, di colore bruno-rossastro, è caratterizzato da una densa e finissima pubescenza. Si riscontra in magazzini con elevata umidità; il ciclo di sviluppo, a 22 °C e con l’80% di UR, si completa in circa 1 mese. Ahasverus advena Coleottero Silvanide, cosmopolita, di color bruno-rossastro chiaro, lungo 1,5-2 mm. L’importanza di questo infestante è relativamente scarsa in quanto si alimenta delle muffe che crescono sul riso umido e non delle cariossidi in quanto tali. Per questo motivo A. advena non può svilupparsi sul riso brillato o sul riso a basso contenuto di umidità.
Adulto di Typhaea stercorea
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parassiti animali
Micetofagi
• Diversi coleotteri prediligono
substrati ammuffiti e possono essere responsabili della diffusione, sulle derrate, delle spore fungine di cui si imbrattano nutrendosi
Adulti di Typhaea stercorea
Alfitobio (Alphitobius diaperinus) Questo tenebrionide coleottero colonizza sostanze organiche in putrefazione e può rinvenirsi in magazzini ove è conservato risone molto umido; pertanto la sua presenza deve essere considerata come indicatrice di cattive condizioni di stoccaggio. L’adulto, lungo 5-6 mm, è di colore nero brillante, mentre la larva, dapprima bianco crema, approssimandosi alla maturità assume colore giallo-brunastro. L’insetto completa una generazione in 6-7 settimane a 30 °C. Adulto di Ahasversus advena
Acari Numerose specie di acari possono infestare i cereali immagazzinati, quando l’umidità della massa è elevata. Caratterizzati da dimensioni minute (0,5-0,6 mm), possono completare una generazione in 2-3 settimane. La femmina depone di solito 20 o più uova. Diverse specie sono in grado di sopravvivere in uno stadio quiescente, detto ipopiale, qualora le condizioni ambientali non siano favorevoli allo sviluppo. Vengono trasferiti nei magazzini a opera di uccelli o roditori, che li ospitano su piume e pelo, o addirittura vengono trasportati dal vento. Gli attacchi determinano un odore acre nella massa, con rapida alterazione delle caratteristiche organolettiche di quanto infestato. La loro presenza può provocare anche fenomeni allergici alle persone che ne vengono in contatto. Difesa dai parassiti da magazzino Le possibilità di proteggere dagli attacchi parassitari il riso nei magazzini vanno considerate sotto diversi aspetti. Inizialmente si può procedere a immagazzinare il risone, che può essere trattato, attualmente, con piretroidi di sintesi, ad azione
Adulti e larve di Alphitobius diaperinus
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coltivazione contatticida, durante la fase di stivaggio o, nel caso di già accertata infestazione, con idrogeno fosforato (fosfina). Nell’utilizzo di tale gas tossico bisogna avere l’avvertenza che il magazzino sia a buona tenuta e che il risone non sia eccessivamente umido, per evitare pericoli di incendio della massa. Sulla superficie del risone così stivato può essere effettuato un trattamento di copertura, con impiego di deltametrina formulata come polvere secca. Come alternativa all’utilizzo della fosfina o degli insetticidi di contatto si può prevedere l’impiego di mezzi fisici, in particolare della CO2 (con una concentrazione del 60-65%) o attuando la frigoconservazione. Mentre per la CO2 è richiesto il mantenimento dell’atmosfera controllata per almeno 10 giorni, ed è necessario avere sili a perfetta tenuta stagna, la frigoconservazione, a 10 °C, determina solo l’arresto dello sviluppo degli insetti, ma non la loro morte: questa tecnica quindi deve essere considerata come un metodo di mantenimento, ma non eradicante. Inoltre è possibile effettuare la frigoconservazione in impianti con buona ventilazione, per evitare fenomeni di condensa, cui inevitabilmente seguono ammuffimenti. Ciò consente lo sviluppo di insetti e acari micofagi (infestanti terziari). Nella conservazione in magazzino è opportuno monitorare assiduamente l’eventuale presenza di ospiti indesiderati, mediante trappole a feromone sessuale (per i lepidotteri Plodia inter
Prevenzione degli attacchi parassitari sulle derrate
• Prima dello stoccaggio sili e magazzini piani devono essere ripuliti da polveri, granella vecchia e, a volte, ammuffita, cui seguirà un trattamento di disinfestazione
Silos e magazzini per la conservazione dei cereali
Foto D. Cauzzi
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parassiti animali punctella e Sitotroga cerealella) e a feromone di aggregazione per diversi coleotteri (Sitophilus spp., Rhyzopertha dominica, Tribolium spp.). È pure possibile utilizzare trappole “a caduta” (pitfall trap): sono in commercio infatti alcuni modelli di tali trappole, costituiti da piccole sonde, provviste di numerosi fori sui lati, da posizionare immediatamente sotto la superficie del risone; gli insetti vi si annidano, ma non riescono più a uscirne. Se si ha a che fare con riso grezzo o brillato, le possibilità di disinfestazione sono più limitate, venendo a mancare la protezione offerta da glume e glumelle, ragion per cui il rischio di contaminazione con residui di antiparassitari utilizzati diviene più elevato. D’altra parte, quando il riso è ormai lavorato, risulta più suscettibile all’attacco di insetti primari o secondari (detriticoli), mentre di solito scompare la possibilità di disinfestazione da acari o da insetti micetofagi. Il riso lavorato, inoltre, viene conservato in sili o in sacconi: questi ultimi, nelle pieghe di cucitura, possono raccogliere polvere e consentire l’annidamento di insetti. Le pratiche di prevenzione (pulizia accurata e disinfestazione dei magazzini o dei reparti produttivi vuoti) sono analoghe a quelle previste per il risone. Anche il monitoraggio deve essere effettuato nello stesso modo; è evidente però che, se il riso è conservato in sacconi, ci si limita a un monitoraggio esterno a questi involucri.
Conservazione
• La lotta antiparassitaria prescinde,
sul riso brillato, da mezzi chimici, che possono essere utilizzati solo negli ambienti di conservazione, mentre sul riso lavorato devono essere impiegati la frigoconservazione o la CO2
• Dopo il confezionamento, il riso
può subire attacchi parassitari sino nell’abitazione del consumatore. Per tale motivo è preferibile il confezionamento del riso sottovuoto
Frigoconservazione
• Se il riso viene commercializzato
in sacchetti o scatole di cartoncino, è opportuno che l’acquirente tenga il prodotto in ambiente fresco, meglio se nel frigorifero
Foto R. Angelini
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il riso
coltivazione Malattie Maria Luisa Giudici, Anna Maria Picco, Marinella Rodolfi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Malattie Introduzione La patologia della pianta del riso costituisce uno dei capitoli più importanti e studiati riguardo questo cereale, che può essere soggetto a malattie in grado di ridurre la qualità e la quantità del raccolto in ogni sua fase di sviluppo. È stato stimato che i soli fattori biotici possono causare una perdita media di produzione pari al 50%, nonostante una protezione chimica della risaia; secondo stime FAO le perdite mondiali causate da soli funghi e virus sono superiori al 25% della produzione. Possiamo, per semplicità, suddividere le malattie della pianta del riso in due fondamentali gruppi.
Triangolo della malattia
• L’entità e la gravità della malattia
dipendono dalla presenza di un patogeno virulento, da un ambiente favorevole allo sviluppo dell’infezione dalla suscettibilità della cultivar (ospite), dalla permanenza delle condizioni ottimali (tempo), dall’influenza dell’uomo. Tali componenti possono essere visualizzate geometricamente con il “triangolo” e/o la “piramide” della malattia. La modificazione, rimozione, riduzione o eliminazione di una sola di queste componenti può portare alla scomparsa o al contenimento della patologia in questione
1) Malattie di tipo biotico (o infettive) causate da: batteri, virus, nematodi, cromisti, funghi. 2) Malattie abiotiche (o non infettive): – fenomeni atmosferici come grandine, che distrugge le giovani piantine o causa perdite produttive se colpisce le pannocchie mature di varietà che sgranano facilmente; brinate primaverili, che nuocciono alla germinazione; vento, che disturba la fase di fecondazione; basse temperature, durante la fase in cui si forma il polline, che rendono sterile la pannocchia;
Rappresentazione schematica delle interazioni tra i componenti del complesso della malattia
Uomo
Ospite
Patogeno
Ospite
Patogeno Tempo
Ambiente
Ambiente
Tempo Ospite
Patogeno Ambiente
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malattie – alterazioni dovute a squilibri nutrizionali per carenze di elementi nutritivi; tossicità per eccessi di elementi nutritivi; inquinamento; danni da diserbo. Un’altra avversità, che non rientra nelle suddette categorie in quanto biotica e non infettiva, è costituita dalle alghe, sia unicellulari sia pluricellulari, che vivono nell’acqua della risaia ed entrano in competizione con le piantine per l’assorbimento di luce e ossigeno.
Danni causati dalle alghe in risaia
• Le alghe azzurre formano, sul terreno
sommerso, un feltro che ostacola l’accrescimento del germinello o provoca, sollevandosi dal fondo della risaia, lo sradicamento delle plantule di riso
• Le alghe verdi formano un feltro
flottante sulla superficie dell’acqua, il quale sottrae luce alle giovani piante di riso che muoiono dopo aver esaurito le sostanze di riserva e impedisce la fuoriuscita dall’acqua delle plantule o ne causa il soffocamento dopo che sono emerse
• La proliferazione algale è favorita dall’eutrofizzazione e dall’alta temperatura dell’acqua
Feltro algale in risaia
Batteri I batteri sono gli organismi più piccoli visibili al microscopio ottico. Sono unicellulari e possono aggregarsi a formare colonie. I batteri sono gli esseri viventi più diffusi sulla terra, grazie alle loro minuscole dimensioni e alla loro capacità di adattamento a varie condizioni ambientali. Alcuni batteri sono molto utili, come quelli che, in simbiosi con le radici delle leguminose, fissano l’azoto atmosferico in composti azotati utilizzabili dalle piante o quelli che decompongono i resti vegetali e animali; altri, invece, sono dannosi perché causano malattie. Nel mondo i batteri patogeni per il riso sono un numero molto limitato e possono colpire vari organi della pianta: le malattie batteriche dei germinelli e delle guaine fogliari sono imputabili quasi esclusivamente al genere Pseudomonas, quelle fogliari sono causate da batteri del genere Xanthomonas, mentre un batterio del genere Erwinia colpisce il culmo e le radici. Quest’ultimo è l’unico batterio patogeno per il riso segnalato da tempo in Italia, ma sono in corso studi per identificare la flora batterica eventualmente coinvolta in varie sintomatologie.
Curiosità sui batteri
• Un batterio che potrebbe avere tra i
100 mila e gli 8 milioni di anni è stato rinvenuto in un campione di ghiaccio non molto profondo nella Dry Valley antartica, tra i ghiacci più antichi del pianeta
• Più di 200 tipi diversi di batteri vivono
sulla pelle del corpo umano: si stima che su 1 cm2 di pelle vivano 10 milioni di singoli batteri. I ricercatori ritengono che la loro funzione sia essenzialmente quella di difendere la pelle
• In un millimetro cubo di saliva si
ritrovano circa 750 milioni di batteri
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coltivazione Virus I virus non possono essere considerati organismi viventi in quanto non sono capaci di riprodursi in maniera autonoma, ma sono parassiti intracellulari obbligati perché dipendono dall’organismo ospite per la sopravvivenza e la riproduzione. Sono costituiti da un involucro proteico e da un acido nucleico (DNA o RNA), perciò contengono l’informazione genica per deviare il metabolismo della cellula ospite a produrre, a proprie spese, molecole virali. I virus si misurano in nanometri, cioè in milionesimi di millimetro, e sono osservabili con il microscopio elettronico. I virus patogeni per le piante sono trasmessi per la maggior parte da insetti che, grazie al loro apparato boccale pungente-succhiante, sono in grado di nutrirsi della linfa delle piante stesse. Il controllo delle malattie virali non è affatto semplice, in quanto implica l’individuazione di momenti precisi sia per effettuare trattamenti insetticidi, cercando di evitare di colpire anche gli insetti utili e di indurre l’insorgere di resistenza ai principi attivi impiegati, sia per attuare pratiche agronomiche che limitino la durata del periodo di maggior rischio d’infezione per la pianta e contrastino l’incremento della popolazione dei vettori. Un altro fattore che complica la lotta alle virosi è, in alcuni casi, l’esistenza di un ospite intermedio del virus, consistente spesso in una pianta spontanea, nel quale, per esempio, il patogeno trascorre l’inverno. In generale quanto più precocemente avviene l’infezione virale della pianta del riso, tanto maggiori sono la gravità dei sintomi e il danno conseguente. La diagnosi delle malattie virali è difficoltosa perché molti virus producono sintomi simili (clorosi e striature delle foglie, nanismo della pianta, sterilità ecc.); si ricorre perciò ad analisi sierologi-
Malattie virali del riso
• Le malattie virali del riso possono
causare gravi perdite produttive e negli ultimi 50 anni sono andate via via aumentando in seguito all’adozione di varietà suscettibili e di tecniche di coltivazione che maggiormente favoriscono la trasmissione da parte degli insetti. L’incidenza delle virosi, infatti, è generalmente correlata alla popolazione degli insetti vettori
Risaia con sintomi di giallume
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malattie che (test ELISA) e molecolari per la corretta identificazione del patogeno responsabile. Nel mondo si conoscono una ventina di virus patogeni per il riso, trasmessi per la maggior parte da cicaline, e in Italia ne è stato segnalato sinora soltanto uno, trasmesso da afidi.
Test ELISA
• ELISA è l’acronimo dell’espressione
inglese Enzyme-Linked Immunosorbent Assay. Il test ELISA rileva la presenza di un dato antigene caratteristico di un organismo patogeno in un campione che ne è probabilmente affetto
Nematodi I nematodi, chiamati anche vermi cilindrici, sono gli organismi pluricellulari più numerosi sulla terra. Presentano un corpo sottile, fusiforme e non segmentato. Si trovano in tutti gli ambienti acquatici e nel terreno, ma possono anche parassitizzare animali e piante. La maggior parte dei nematodi parassiti dei vegetali ha una lunghezza compresa tra 0,2 e 5 mm, sono trasparenti e attaccano i tessuti ipogei della pianta, in prevalenza le radici. Alcuni parassitizzano i tessuti meristematici, cioè in fase di crescita attiva, attaccando steli, foglie, fiori e semi. Si nutrono, per mezzo di un stiletto boccale, si riproducono nelle piante e possono migrare nella rizosfera, sulla parte aerea o all’interno delle piante. Sebbene i danni aumentino all’aumentare del numero di nematodi, quando questi organismi sono vettori di virus patogeni, ne basta un numero molto limitato per causare gravi perdite produttive. I nematodi possono essere diffusi dal vento, dall’acqua d’irrigazione, dagli attrezzi e dalle macchine agricole, dagli animali e dalla propagazione di parti di vegetali infestati. Sebbene si conoscano più di 150 specie di nematodi legati al riso o al terreno di risaia, soltanto poche specie rivestono un’importanza economica. Si stima che le perdite produttive annuali attribuibili ai nematodi nel mondo oscillino tra il 10 e il 25%. Questa valutazione potrebbe essere inferiore alla realtà perché i sintomi causati dai nematodi potrebbero essere facilmente confusi con quelli dovuti a carenze nutrizionali o ad altri organismi patogeni. In Italia è stata finora individuata una sola specie di nematodi dannosa per il riso.
• Il test ELISA consente lo screening di
un numero elevato di campioni in breve tempo (comunemente 24-48 h) e con parziale o totale automazione della procedura
• In questo test, eseguito su piastra
di polistirene ad alta capacità di assorbimento per le proteine, gli anticorpi vengono coniugati covalentemente con enzimi, formando complessi in grado di trasformare specifici substrati. Questi ultimi, modificando le loro proprietà colorimetriche, permettono la visualizzazione e misurazione della reazione positiva
Curiosità sui nematodi
• I nematodi abbondano nei centimetri
superiori del suolo: mediamente se ne trovano 2 milioni di individui per metro quadrato di terreno fertile
• Se si mettessero su uno stesso piano tutti i nematodi del nostro pianeta, la Terra sarebbe completamente ricoperta da una pellicola costituita da questi organismi
• Il nematode di maggiori dimensioni
conosciuto, Placentonema gigantisma, misura 8 m di lunghezza e 1,5 cm di diametro ed è stato rinvenuto nella placenta del capodoglio, un cetaceo che può raggiungere i 18 metri di lunghezza
Uova e larva di nematode
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coltivazione Funghi I funghi, più di qualsiasi altro organismo patogeno, possono giocare un fondamentale ruolo di agenti causali di malattie del riso. Infettano germinelli e plantule (si riportano come esempio le manifestazioni di muffa d’acqua e di moria dei germinelli), foglie (brusone, elmintosporiosi, peronospora), guaine fogliari e culmi (mal del piede, marciume dello stelo) e semi (falso carbone, carbone della pannocchia, alterazione cromatica dei grani). Possono inoltre essere responsabili di anomalie di sviluppo (bakanae) causate da un complesso di specie del genere Fusarium, anche coinvolto in altre sintomatologie. Vi sono infine molte altre malattie fungine della pianta o del seme definibili “oscure”, che comportano sia quantitative sia qualitative perdite in produttività; in questi casi, spesso i funghi coinvolti sono patogeni estremamente deboli o saprotrofi, capaci di divenire pericolosi al verificarsi di avverse condizioni ambientali. I funghi rappresentano un gruppo unico, la cui complessità a livello di struttura vegetativa e di cicli riproduttivi, unita all’enorme numero di specie esistenti al mondo, fa sì che si possa parlare di un vero e proprio “Regno dei Funghi”. Sono estremamente diffusi in natura, si trovano nel suolo, nell’aria, nell’acqua e sugli esseri viventi, siano essi animali o vegetali. I funghi sono eccezionalmente ubiquitari: è sufficiente che un ospite o un substrato idoneo siano raggiungibili da poche spore fungine perché possa avere inizio una rapida e invasiva colonizzazione. Caratteristica dei funghi è l’abbondante produzione di spore, siano esse sessuali o asessuali. Grazie alle spore i funghi sopravvivono, si moltiplicano e si diffondono; in condizioni favorevoli, esse germinano sviluppando ife e micelio. Funzioni primarie delle spore sono dunque la dispersione e la sopravvivenza delle spe-
Aeromicologia
• Gli studi di aeromicologia si
concretizzano nella determinazione della popolazione fungina aerodiffusa in ambienti esterni e confinati; possono, quindi, anche permettere il monitoraggio dei parassiti fungini pericolosi per la coltura del riso
• Diverse sono le tecniche di
monitoraggio aeromicologico, che prevedono l’effettuazione di indagini mediante sedimentazione gravitazionale in piastra o l’utilizzo di campionatori attivi a impatto ortogonale
• Ai fini della protezione del riso, diviene
particolarmente utile il captaspore che, attraverso l’aspirazione di un volume d’aria noto, cattura per impatto le spore fungine aerodisperse nella risaia Foto R. Angelini
Captaspore Fusariosi dello stelo
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malattie cie fungine. L’atmosfera rappresenta per i funghi un mezzo di dispersione; essa è quindi ricca di aerospore fungine appartenenti a specie prevalentemente saprotrofe o fitopatogene e, in numero limitato, patogene per l’uomo e per gli animali. Gli studi di aeromicologia, aventi come oggetto la conoscenza della flora fungina dell’aria, sono parte fondamentale della moderna aerobiologia. Infatti, la conoscenza della carica fungina dell’aria e delle sue variazioni è indispensabile per l’interpretazione di problemi in campo fitopatologico: l’individuazione di aerospore appartenenti a specie fitopatogene può essere significativamente correlata ad aspetti epidemiologici di malattie dei vegetali.
Giallume
• L’abbandono della coltivazione delle
varietà più suscettibili nelle zone in cui il giallume ricorreva costantemente e causava i danni più ingenti, unitamente alla pressoché totale eliminazione della Leersia oryzoides (ospite in cui sverna il virus) dalle risaie hanno reso molto sporadica questa malattia per circa 25 anni. Recentemente, però, è ricomparsa in seguito all’assenza di prodotti erbicidi in grado di controllare la suddetta infestante, la quale ha nuovamente invaso fossi e risaie di tutto l’areale risicolo italiano
Malattie causate da virus Giallume Il giallume è una malattia del riso riscontrata in Italia (ma sindromi simili sono segnalate in Spagna, Portogallo e Ungheria) e molto dannosa negli anni 1970‑1980, quando determinava perdite produttive anche del 100%. È causato dal virus isodiametrico RGV (Rice Giallume Virus), un ceppo del virus del nanismo giallo dell’orzo BYDV, il quale è trasmesso prevalentemente da un afide, il Rhopalosiphum padi. L’afide acquisisce e trasmette il virus mentre si nutre. Gli afidi alati lo propagano per primi e più diffusamente, mentre le forme attere da essi generate si spostano da una pianta all’altra, grazie al contatto tra foglie di individui diversi, provocando la formazione delle tipiche chiazze giallastre sparse nella risaia. L’osservazione delle singole piante infette rivela la caratteristica colorazione gialloaranciata delle foglie con screziature brunastre. Le piante infette presentano, inoltre, taglia ridotta e un minor numero di culmi di
Notizie utili
• Afidi vettori: Rhopalosiphum padi, Sitobion avenae, Metopolophium dirhodum
• Ospiti secondari: Leersia oryzoides,
Avena sativa, Echinochloa crus-galli, Holcus lanatus, Lolium perenne, Panicum dichotomiflorum
• Nemici naturali: Imenotteri Aphidiidae • Fattori favorevoli: elevate concimazioni azotate
Pianta infettata dal virus del giallume
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coltivazione accestimento; nei casi più gravi sono sterili o muoiono. Un ruolo importante nel ciclo della malattia è giocato da una graminacea spontanea perenne, la Leersia oryzoides, in cui il virus si conserva durante l’inverno e sulla quale l’afide giunge non appena essa emerge dall’acqua, spesso prima delle plantule di riso. Le popolazioni di Rhopalosiphum padi frequentemente sono contenute da piccoli imenotteri che ovidepongono nell’afide, a spese del quale, perciò, si sviluppa la larva: l’afide parassitizzato è riconoscibile per la colorazione dorata e la forma sferica. La manifestazione dei sintomi generati da questo virus nelle nuove varietà di riso è attualmente oggetto di studio. Per contrastare il diffondersi del giallume occorre ridurre la popolazione sia della Leersia oryzoides sia degli afidi vettori, dando nel contempo la preferenza alla coltivazione di varietà resistenti a questa malattia.
Leersia oryzoides, infestante del riso in cui sverna il virus del giallume
Rhopalosiphum padi parassitizzato Rhopalosiphum padi, afide vettore del virus del giallume
Malattie causate da batteri
Modalità d’infezione del marciume batterico del piede
Marciume batterico del piede Nel 1989 è stata segnalata per la prima volta in Italia la presenza su riso di Erwinia chrysanthemi, il batterio responsabile del marciume batterico del piede, ora classificato come Dickeya chrysan themi. Questo patogeno è stato individuato per la prima volta in Giappone, ma si trova anche in India, Bangladesh, Korea e nelle Filippine. All’inizio dell’accestimento questo batterio riesce a infettare la pianta se l’acqua che lo trasporta raggiunge la ligula, sito in cui avviene l’infezione primaria. Alla fine dell’accestimento compaiono i sintomi tipici della malattia: le lamine fogliari ingialliscono e si seccano mentre le guaine imbruniscono; il culmo assume una colorazione nerastra, i nodi basali e la corona radicale mar-
• Trasportato dall’acqua d’irrigazione,
Dickeya chrysanthemi penetra attraverso la ligula del riso dando luogo all’infezione primaria
• Infezioni secondarie si verificano,
invece, attraverso ferite dell’apparato radicale, per esempio in seguito al passaggio delle ruotine di ferro del trattore o alle rosure di insetti
360
malattie
Piante del genere Iris fungono da fonte di inoculo del marciume batterico del piede
ciscono; il culmo marcescente presenta all’interno gli essudati batterici ed emana un odore molto sgradevole; le piante muoiono prima di emettere la pannocchia. Lo sviluppo della malattia è favorito dalle alte temperature, dalla presenza di piante del genere Iris che fungono da fonte di inoculo e dalle lesioni dell’apparato radicale che aprono una via alla penetrazione dei batteri. Dickeya chrysanthemi può vivere saprofiticamente sui residui colturali e nel terreno. Le conoscenze su questa malattia sono piuttosto scarse a livello mondiale e le uniche forme di lotta possibili sono la bruciatura delle stoppie, il mantenimento di un basso livello dell’acqua e l’eliminazione delle piante ospiti spontanee. Il marciume batterico del piede è una malattia minore del riso, ma negli ultimi anni il numero di casi segnalati nelle risaie italiane, con maggiore frequenza in Baraggia, è andato aumentando probabilmente a causa di un generale rialzo delle temperature estive.
Sintomi tipici di marciume batterico del piede
Apice bianco della foglia
• Questa malattia è stata segnalata per la
prima volta in Italia nel 1997, divenendo subito un problema non tanto per i danni produttivi e qualitativi a essa connessi, ma soprattutto per il fatto che Aphelenchoides besseyi è un organismo da quarantena per molti Paesi, compresa l’Unione europea. Ciò comporta che tutta la semente prodotta venga analizzata per ottenere la certificazione, che ne consenta la commercializzazione solo se trovata esente dal nematode
Malattie causate da nematodi Apice bianco della foglia L’apice bianco della foglia (in inglese White tip) è il sintomo tipico che dà il nome a una malattia del riso diffusa nelle più importanti aree risicole del mondo e causata dal nematode Aphelenchoides besseyi. La principale via di diffusione di Aphelenchoides besseyi è il seme, nel quale il patogeno rimane quiescente dopo l’essiccazione, per poi riattivarsi con la reidratazione. Si registrano perdite produttive comprese in media tra il 10 e il 30%, secondo 361
coltivazione
Quarantena
• Il termine deriva da quaranta giorni: era il periodo di isolamento obbligatorio per le navi provenienti da zone colpite dalla peste
• La quarantena vegetale ha lo
scopo di assicurare una comune ed efficace azione di prevenzione contro l’introduzione e la diffusione di parassiti dei vegetali e dei prodotti vegetali e di promuovere appropriate misure per il controllo degli stessi
• Per un determinato Stato, è definito
organismo nocivo da quarantena un organismo che non è presente in tale Paese o, se presente, è di importanza potenziale per il Paese minacciato. Deve, inoltre, avere una distribuzione limitata ed essere oggetto di misure ufficiali di lotta
Lamine fogliari con il tipico sbiancamento apicale
la suscettibilità varietale e il grado di infestazione della semente. Dopo la semina, Aphelenchoides besseyi si nutre e si moltiplica copiosamente sui tessuti più giovani della pianta, raggiungendo il picco nella fase di botticella, prima della fioritura. In seguito all’attività del nematode la pianta mostra vari sintomi oltre allo sbiancamento dei 3‑5 cm apicali della lamina fogliare, prevalentemente delle foglie superiori: la foglia a bandiera è spesso la più colpita e può essere così avvoltolata da impedire l’eserzione della pannocchia. In generale tutta la pianta ha uno sviluppo stentato e tutte le sue parti presentano dimensioni ridotte: ciò è più tangibile sulla pannocchia in quanto la produzione di spighette vuote o più piccole della norma porta a un danno non solo quantitativo ma anche qualitativo per il mancato raggiungimento dei parametri merceologici caratteristici della varietà. L’espressione dei sintomi varia nell’ambito delle diverse varietà e piante infestate possono non presentare alcun sintomo, eccetto una riduzione produttiva. Aphelenchoides besseyi è attivo se l’umidità atmosferica supera il 70% e il suo movimento sulla pianta è favorito dal film d’acqua che ricopre la vegetazione; lo spostamento da una pianta all’altra, invece, è agevolato dal flusso dell’acqua nella risaia. La gravità della malattia è accentuata da abbondanti concimazioni, soprattutto azotate, e dalla coltivazione con semina interrata. Dal momento che Aphelenchoides besseyi è un organismo portato dal seme, il metodo di controllo più efficace, attuabile, però, su piccole quantità di riso, è il trattamento termico della semente con acqua calda, a 55‑61 °C per 10‑15′.
Il nematode Aphelenchoides besseyi è l’agente causale dell’apice bianco della foglia
362
malattie Malattie causate da cromisti Muffa d’acqua Descritta per la prima volta nel 1912 a Taiwan e successivamente segnalata in Giappone e California, la muffa d’acqua è una malattia ampiamente diffusa nelle risaie di aree tropicali e soprattutto temperate. Può causare notevoli danni alla coltura e, nei casi di elevata infezione, il riso può portare a termine la sua crescita con perdite contenute solo al verificarsi di condizioni ambientali estremamente favorevoli. L’unico fattore indispensabile per la comparsa della muffa d’acqua è, per l’appunto, che i semi siano posti in acqua. Solitamente l’infezione avviene subito dopo la semina, impedendo la germinazione del seme. Qualora l’infezione si verificasse a germinazione avvenuta, le plantule risulterebbero sofferenti, mal cresciute, di colore verde chiaro-giallo, e manifesterebbero fenomeni di marcescenza. In una risaia allagata, la malattia può essere facilmente individuata a occhio nudo, poiché i semi infetti sono avvolti da una ben evidente muffa bianca cotonosa. Non è insolito, inoltre, osservare intorno ai semi colpiti delle aree circolari di circa mezzo centimetro di diametro, di colore marrone o verde scuro, dovute a proliferazioni di batteri e alghe verdi che, favoriti dalla presenza della muffa, invadono rapidamente l’area circostante al seme infetto. La muffa d’acqua si può manifestare anche nei germinatoi non allagati, il cui terreno è mantenuto in condizione di elevata umidità. In questo caso, la superficie dei semi infetti mostra lo stesso sintomo visibile in campo ma il destino delle giovani piante di riso
“Cromisti”
• Sulla base della sistematica
filogenetica, gli organismi viventi vengono suddivisi in “regni”; solamente quelli che provengono da un unico progenitore ancestrale possono appartenere a uno stesso regno
• Nel 1969, i funghi sono stati
riconosciuti un vero e proprio regno (il “Quinto Regno”), ben diverso da quello delle piante. Recentemente, microrganismi in passato ritenuti funghi sono stati distinti nel regno dei “cromisti”
• Come risultato della loro storia
evolutiva, i cromisti possiedono caratteristiche strutturali, biochimiche e molecolari differenti da quelle di qualsiasi altro microrganismo
Muffa d’acqua
• La muffa d’acqua è una delle poche malattie del riso avente un sintomo tipico e chiaramente individuabile a occhio nudo
• L’unica condizione indispensabile per la sua comparsa è che i semi siano posti in acqua, siano essi in campo o nei germinatoi
• I semi infetti sono avvolti da una
evidente muffa bianca cotonosa, attorno alla quale si possono manifestare piccole aree circolari marroni o verde scuro
• La germinazione del seme viene
impedita oppure origina plantule sofferenti, giallastre, marcescenti
Seme infetto da muffa d’acqua
363
coltivazione
Sviluppo della muffa d’acqua
• La muffa d’acqua è particolarmente
favorita dal verificarsi, in fase di germinazione del seme, di temperature dell’acqua di sommersione della risaia sia inferiori ai 13 °C (che ritardano la germinazione e la crescita della pianta) sia superiori ai 27 °C (fortemente favorevoli allo sviluppo degli organismi responsabili della patologia). La severità dell’infezione può essere accentuata dalla presenza di alcuni insetti fitofagi. Infine, poiché i semi di bassa qualità, rotti e danneggiati sono particolarmente soggetti alla muffa, risulta di grande importanza l’utilizzo di semente di accertato valore qualitativo
Muffa d’acqua (Saprolegniaceae): zoosporangio, oosfera con oospore
è pressoché totalmente dipendente dalla qualità della semente e dal vigore dei germinelli stessi. Gli agenti causali della malattia appartengono a microrganismi diversi, il cui riscontro è geograficamente variabile. Per esempio, diverse specie di Saprolegnia e Phytophthora sono state segnalate come responsabili della malattia soprattutto in Giappone. Nelle aree mediterranee e in Italia, i principali organismi responsabili appartengono ai generi Achyla (principalmente con le specie A. cospicua e A. klebsiana) e Phythium (principalmente con le specie P. dissotocum e P. spinosum), le cui spore infettive sono flagellate e in grado di diffondersi attraverso le acque di irrigazione. I patogeni Achyla, Phythium, Phytophthora e Saprolegnia sono stati per anni considerati come appartenenti al Regno dei Funghi; tuttavia, recenti studi hanno evidenziato una loro diversa origine filogenetica e hanno permesso di definirli non più funghi ma “cromisti”. Malattie causate da funghi Moria dei germinelli Comparsa per la prima volta nel 1918 nelle Filippine e successivamente più volte segnalata negli Stati Uniti e in Malesia, la moria dei germinelli è oggi una malattia a distribuzione mondiale. In grado di causare danni sia in pieno campo sia nei germinatoi, non va trascurata soprattutto a causa della sua complessità: non solo molti sono i microrganismi in grado di originarla, ma anche differenti e variabili sono i sintomi riscontrabili. In pre-emergenza, il quadro sintomatologico principale è il marciume dei semi, la cui area embrionale appare imbrunita o marcescente, con conseguente totale impedimento della germinazione. A volte, attorno al seme infetto compare una lieve muffa bianca-
Sintomi tipici causati dalla muffa d’acqua in risaia
364
malattie stra. A germinazione avvenuta, la moria si manifesta inizialmente con la presenza di lesioni scure, cui segue il disseccamento dei germinelli e delle giovani piante di riso. In post-emergenza, la base del giovane fusto e le radici diventano nerastre e possono apparire come brinate a causa della fuoriuscita dal tessuto vegetale di un sottile strato di muffa bianca. Le giovani piante infette hanno crescita rallentata e sulle foglie primarie e secondarie possono apparire o lesioni nero-rossastre o ingiallimenti e aree decolorate tendenti al bianco. Nei casi in cui tra i patogeni responsabili della moria sia coinvolto anche il genere fungino Sclerotium, alla base del fusto o sulle radici compaiono piccole masse nere, lucide e tondeggianti, visibili a occhio nudo: gli “sclerozi” del fungo, anche detti “spore di resistenza”. In tutti i casi di infezione in postemergenza, la malattia può evolvere portando alla morte le giovani piante, spesso allo stadio della terza foglia. Molti sono gli organismi agenti causali della moria dei germinelli. Tra i più frequenti nelle risaie italiane vi sono alcuni cromisti anche causa di muffa d’acqua (Pythium dissotocum, P. spinosum), e i taxa fungini Alternaria padwickii, Bipolaris oryzae, Curvularia lunata, Fu sarium verticillioides, Fusarium spp., Pyricularia grisea, Rhizoctonia solani, Sarocladium oryzae, Sclerotium rolfsii e Rhizopus spp. L’inoculo infettivo per la comparsa della malattia risiede nel suolo, nel seme e nelle paglie infette. Tutte le azioni finalizzate a corretti trattamenti e concimazioni del suolo, adeguata protezione della risaia da malattie fungine e ottimizzazione della produzione di riso da seme, possono evitare l’insorgenza della moria. Tuttavia, particolari condizioni meteorologiche possono comunque favorire l’infezione. Le situazioni più pericolose sono i periodi freddi o la mancanza di acqua, soprattutto nei terreni poco fertili, in fase di germinazione o nei primi stadi di crescita del riso.
Giovani piante colpite da Fusarium verticillioides
Moria dei germinelli
• La moria dei germinelli è una malattia particolarmente complessa, causata da una moltitudine di microrganismi e caratterizzata da quadri sintomatologici variabili
• I semi infetti marciscono senza
germinare; i germinelli disseccano; le giovani piante hanno fusto e radici nerastre, foglie primarie e secondarie lesionate
• Anche funghi responsabili di altre malattie del riso (Pyricularia e Bipolaris) possono essere agenti causali della moria
• I danni maggiori si hanno al verificarsi di basse temperature o carenza di acqua nei primi stadi di crescita della coltura
Moria dei germinelli
365
coltivazione Brusone Il brusone è senza dubbio da includere tra le patologie più temute e diffuse per la coltura del riso (perdite comprese tra il 10 e il 30%). Il problema ha notevoli risvolti in ambito sociale, come si è riscontrato in occasione della recente epidemia in Buthan nel 1995. In questa occasione furono colpiti più di 700 ettari di risaia, con perdite per 1900 tonnellate di riso. Il brusone può interessare tutti gli organi della pianta (foglie, culmo e collo), con lesioni di tipo necrotico sulle foglie, sui nodi e su diverse parti della pannocchia e del chicco. Le lesioni sulla foglia sono ellittiche, con estremità più o meno appuntite (brusone fogliare). Il centro della necrosi si presenta generalmente grigio o biancastro e il margine risulta di colore marrone o marrone-porpora; sia la forma sia il colore delle lesioni sono variabili in relazione alle condizioni ambientali, all’età della lesione e al grado di suscettibilità della cultivar di riso infettata. Inizialmente le lesioni si presentano piccole, con aspetto macerato, biancastre o grigie. Si ingrandiscono rapidamente quando l’umidità è elevata e la cultivar particolarmente sensibile (fino a 1‑2 cm in lunghezza e 0,3‑0,5 cm in larghezza). Si osserva spesso la presenza di un alone giallo intorno alla macchia quando le piante vengono tenute al buio o ricevono poca luce. Quando le piante di riso sono ormai cresciute le lesioni possono propagarsi al culmo, ai nodi, al collo e sui chicchi. Queste sintomatologie vengono indicate rispettivamente come brusone nodale, mal del collo e della pannocchia. L’attacco sui nodi provoca disseccamento della pannocchia e distacco della stessa. Il mal del collo è causa di ostruzione dei vasi con conseguente blocco del trasporto idrico e di nutrienti alla pannocchia, inibendo il completo sviluppo dei chicchi e causando quindi il danno peggiore, sia qualitativo sia quantitativo. L’agente causale della malattia è Pyricularia grisea (precedentemente detto Pyricularia oryzae), anamorfo di Magnaporthe grisea, un ascomicete filamentoso, eterotallico, patogeno di notevole importanza economica nei confronti di più di 50 specie di graminacee oltre al riso (Echinocloa spp., Panicum spp., Setaria spp., Eleusine spp., Eleusine coracana) e dotato di elevata variabilità genetica. In Brasile si sono osservati, recentemente, casi di brusone sul frumento; in Italia è stato segnalato anche su Stenota phrum secundatum, di uso comune nella costituzione dei tappeti erbosi. Questa patologia è da includere nel gruppo delle malattie tossiche o necrotossiche, in cui le cellule dei tessuti invasi sono rapidamente uccise dal patogeno, in grado di utilizzare il materiale cellulare per le proprie necessità alimentari. Il fungo penetra preferenzialmente attraverso le pareti non silicizzate delle cellule di guardia degli stomi ed è in grado di produrre sostanze tossiche contro l’ospite. Molti sono i fattori, sia fisici sia chimici, che risultano favorire la comparsa del patogeno. Fra le cause fisiche principali vi sono l’elevata umidità relativa dell’aria, che deve essere
Scoperta del brusone
• Era il 1637 quando Soong Ying-Shin,
nel trattato Utilizzazione delle risorse naturali, descrisse alcune piante di riso che lo colpirono per il loro aspetto bruciato (“febbre del riso” nella bibliografia cinese). La malattia venne successivamente segnalata in Giappone da Miayanaga nel 1788, da Cojima nel 1793 e da Konishi nel 1808. In Italia, “la febbre del riso” prende il nome di “brusone” nel 1828 (Astolfi). Nel 1903 il brusone venne descritto durante il secondo Convegno Internazionale di Risicoltura di Mortara, Pavia. In inglese viene usata la parola blast, letteralmente “esplosione”, introdotta da Metcalf nel 1907. L’organismo causa del brusone, Pyricularia grisea, fu scoperto in Italia da Cavara nel 1891 e, successivamente, in Giappone da Shirai
Stadio avanzato di brusone fogliare
366
malattie
Brusone
• È la patologia più temibile del riso e diffusa a livello mondiale
• Il brusone del riso può interessare tutti gli organi epigei della pianta (foglie, culmo e collo)
• Il patogeno è responsabile di tre
caratteristiche forme di attacco, il “brusone fogliare”, il “mal del culmo” e il “mal del collo”, ed è in grado di agire tramite la produzione di tossine nocive all’ospite
• Il patogeno si diffonde per mezzo
di conidi aerodispersi e si perpetua tramite seme, suolo, stoppie e graminacee spontanee
Mal del collo
superiore all’85-89%, e gli elevati valori medi di temperatura (tra 24 e 30 °C). Fra le cause chimiche vi sono i principali elementi nutritivi presenti nel terreno o aggiunti durante le pratiche agricole. Elevati apporti di azoto inducono alta incidenza di malattia; l’effetto dell’azotatura varia con le condizioni climatiche, con quelle del suolo e con la modalità di distribuzione del concime. L’influenza è notevole quando si distribuisce azoto a pronta azione come il solfato d’ammonio e, in particolare, quando viene somministrato in eccesso e in una sola volta. Anche somministrazioni troppo tardive o con temperature dell’aria troppo basse durante i primi stadi di crescita producono effetti deleteri. Risultati negativi si sono pure ottenuti in suoli sabbiosi o limosi e quindi con poca capacità di trattenere la concimazione; i suoli argillosi sono in generale meno pericolosi. Ugualmente negativi sono risultati gli effetti di abbondanti somministrazioni di letame fresco. L’effetto dell’azotatura sulla malattia non è ancora ben chiaro; la maggiore permeabilità cellulare dovuta all’accumulo cuticolare di azoto e la scarsa silicizzazione delle cellule epidermiche riducono la resistenza della pianta alla malattia. L’azoto ridurrebbe, inoltre, l’emicellulosa e la lignina nelle cellule predisponendo le stesse all’attacco del patogeno e riducendo i fattori di resistenza. L’influenza del fosforo è poco significativa e, solo nei casi in cui ci fosse azoto in eccesso, un aumento del fosforo produrrebbe un incremento della malattia. L’eccesso di potassio condurrebbe invece a una migliore resistenza della pianta, non constatata però sulle piante eccessivamente azotate. È stato ripetutamente sottolineato che piante di riso con un elevato contenuto di silice e aventi un grande numero di cellule epidermiche silicizzate risultano meno danneggiate dal fungo e che, di conseguenza, somministrando silice alla coltu-
Lesioni
• Latterell, Tullis e Collier (1960)
proposero il seguente schema di valutazione dell’infezione da brusone fogliare: – le varietà resistenti non mostrano sintomi (tipo 0) o presentano macchie molto piccole (tipo 1) o macchie marroni di circa 1 mm (tipo 2) – le varietà con resistenza intermedia presentano lesioni di circa 2‑3 mm di diametro con centro grigio e bordi marroni (tipo 3) – le varietà sensibili presentano macchie grandi ed ellittiche, fino a 15 mm di lunghezza, in presenza di rugiada (tipo 4); nel caso di elevata suscettibilità le macchie (tipo 5), simili al tipo 4, si ingrandiscono più rapidamente sviluppando effetti tossici sulla pianta e causandone la morte
367
coltivazione
Alta variabilità genetica
• La bassa resistenza al patogeno in campo è causa dell’insorgenza di nuove razze, o lineages, del fungo
• La storia della coltivazione del riso influenza il numero dei lineages
• In India o nelle Filippine, dove la storia della coltivazione del riso è più antica e la superficie destinata alla coltura è molto ampia, si sono ritrovati oltre 30 lineages
• In USA sono segnalati 8 lineages, in
Conidiofori di Pyricularia grisea su culmo infetto
Europa il numero varia a seconda dello Stato considerato: 5 lineages del patogeno, di cui 1 nuovo per l’Europa, sono stati riscontrati in Spagna; 7 lineages sono stati riscontrati in Italia, di cui 2 nuovi per l’Europa
ra viene aumentata la sua resistenza alla malattia. La funzione fisiologica della silice è stata studiata da numerosi ricercatori e, secondo alcuni, questa resistenza sarebbe dovuta al fatto che, in presenza di abbondante silice nelle cellule epidermiche, verrebbe incrementata la barriera alla penetrazione; secondo altri, in linea di massima, l’aumento della resistenza sarebbe sempre e comunque da correlare a una diminuzione del contenuto in azoto poiché l’eccesso di concimazione azotata ostacolerebbe la silicizzazione delle pareti cellulari e favorirebbe, di conseguenza, l’epidemia. I conidi trasportati dall’aria sono la forma di diffusione più importante di P. grisea: nelle regioni temperate l’aerodispersione ha generalmente inizio in luglio con picco di diffusione delle spore nei mesi di agosto e settembre. Il fungo può essere disseminato anche tramite stoppie, sementi o acqua d’irrigazione infetta e alcune erbe infestanti, serbatoio naturale di Pyricularia.
Elmintosporiosi
• L’elmintosporiosi può essere
considerata come un vero e proprio indice di squilibrio nutrizionale a livello di suolo della risaia
Elmintosporiosi Segnalata per la prima volta in Bengala nel 1942 e causa, in passato, di perdite di raccolto pari al 40‑90%, l’elmintosporiosi continua a essere una malattia a diffusione mondiale. È da lungo tempo noto come la comparsa di elmintosporiosi possa essere un vero e proprio indice di squilibrio nutrizionale a livello di suolo della risaia. Dati sperimentali dimostrano come la malattia possa raramente divenire un grave problema per piante che crescono in suoli “equilibrati”. Laddove, invece, vi siano particolari anomalie (accumulo di sostanze tossiche, acidi organici in eccesso, basso scambio ionico) o semplici disequilibri di elementi nutritivi (carenze di potassio, silicio, manganese, magnesio, ferro e calcio; forte eccesso di azoto o forte mancanza di fosforo; assenza di acqua), si possono registrare pesanti danni, soprattutto se il riso è destinato a seme.
• Gli organi colpiti sono soprattutto le
foglie; anche radici, nodi, porzioni di pannocchia, glume e chicchi possono essere infettati
• Il tipico sintomo a livello fogliare può
essere facilmente confuso con quello del brusone
• Semi infetti e conidi del patogeno, facilmente dispersi nell’aria della risaia, rappresentano le principali forme di inoculo della malattia
368
malattie Fra i più gravi episodi della storia, la letteratura riporta quanto avvenuto nell’anno 1953 in Centro America: a una produzione di semi al 100% infetti da elmintosporiosi seguì una totale moria dei germinelli nella stagione risicola successiva. Il tipico sintomo dell’elmintosporiosi si manifesta a livello fogliare, con la presenza di macchie necrotiche scure, circolari o leggermente ovoidali, di colore marrone-grigio al centro e con alone marrone-rossastro, della lunghezza variabile da 1‑4 mm (in varietà mediamente suscettibili) a 5‑15 mm (in varietà altamente suscettibili). La sola osservazione visiva di tale manifestazione può portare a confondere questa malattia con quella del brusone che, soprattutto nelle prime fasi di comparsa, produce effetti simili sulla foglia della pianta di riso. Tuttavia, le macchie fogliari da elmintosporiosi sono più piccole di quelle da brusone; inizialmente, assomigliano per forma e dimensione a un seme di sesamo, e sono di un unico colore marrone scuro (molto raramente marrone-rossastro o marrone-violaceo). Col tempo, si distribuiscono abbastanza uniformemente sull’intera foglia, acquisiscono nella parte centrale sfumature marrone chiaro-grigio e, nelle varietà più suscettibili, si allargano e raggiungono la lunghezza di 1 o più centimetri. Col procedere dell’infezione, piccole necrosi ovali marroni o nere possono comparire anche sui nodi e, al verificarsi di repentini abbassamenti termici in fioritura, su porzioni di pannocchia, glume e chicco; nelle infezioni più gravi, persino le radici possono manifestare imbrunimenti e, in tal caso, le piante risulteranno mal cresciute o moriranno. In generale, la pianta colpita dalla malattia risulta indebolita, ha una crescita ridotta e una minore superficie fotosintetizzante; ha radici più deboli e produrrà un minor numero di grani per pannocchia o grani più leggeri. Sebbene, nelle regioni temperate, la sorgente di inoculo indicata come primaria siano i semi infetti (che, una volta in terra, non germinano o originano plantule am-
Conidi aerodispersi di Bipolaris oryzae
Sintomi di elmintosporiosi Tipiche lesioni da elmintosporiosi
369
coltivazione
Agente causale dell’elmintosporiosi
• L’agente causale dell’elmintosporiosi
è Bipolaris oryzae. Questo fungo è morfologicamente caratterizzato dalla produzione di conidi di colore marrone chiaro, fusoidali, subclavati o cilindrici, leggermente curvi, plurisettati (da 6 a 14 setti), e della misura di 60‑150 × 14‑22 μ. Il teleomorfo di B. oryzae è Cochliobolus miyabeanus, ascomicete in grado di produrre aschi clavati (della dimensione di 140‑230 × 21‑26 μ) e ascospore filiformi, plurisettate (da 8 a 12 setti), di colore da ialino a marrone chiaro. Il fungo produce una tossina non specifica per l’ospite denominata ofiobolina
Sintomi di elmintosporiosi su spiga
malate e di vita breve), i conidi del patogeno si disperdono assai facilmente attraverso l’aria, penetrando le foglie in qualsiasi stadio si trovino, purché in presenza di un’elevata temperatura (la temperatura ottimale è di 25‑30 °C, ma si osservano infezioni anche con valori compresi tra i 20 e i 36 °C). Bipolaris oryzae si dimostra anche in grado di superare la stagione avversa nei residui vegetali infetti. Marciume del colletto (mal del piede) La malattia, segnalata a diffusione mondiale, in letteratura viene riportata come a volte sovrastimata, poiché confusa con sintomi simili riscontrabili nel marciume dello stelo. È solitamente considerata come secondaria, dal momento che solo in caso di crescita di varietà di riso suscettibili al patogeno si riportano seri danni al raccolto. I primi sintomi del mal del piede compaiono durante la fase di allungamento internodale della pianta, momento in cui sulle guaine fogliari si manifestano alterazioni di colore nelle tonalità del nero-marrone o lesioni che si allungano fino al colletto. A questo stadio dell’infezione le foglie muoiono e la pannocchia, se prodotta, risulta incompleta o immatura. Gauemannomyces graminis var. graminis è l’ascomicete responsabile della malattia, morfologicamente caratterizzato dalla produzione di periteci neri, immersi, da globosi a ovali, della misura di 200‑400 μ, in diametro (200‑400 × 150‑300 μ se ovali). Essi hanno un collo erompente, solitamente di 100‑500 × 7‑100 μ, e contengono aschi unitunicati, allungati, a loro volta portanti 8 ascospore filiformi, leggermente ricurve e ialine, plurisettate (da 5 a 7 setti),
Marciume del colletto
• Solo le varietà di riso suscettibili
riportano seri danni se colpite dal marciume del colletto
• Al crescere della pianta, alterazioni di
colore nero o marrone si allungano dagli internodi alle guaine fogliari fino al colletto
• Le strutture riproduttive del fungo
patogeno, abbondanti nei tessuti infetti, liberano ascospore consentendo in tal modo il diffondersi della malattia
• Il patogeno è in grado di superare il
periodo invernale nelle paglie di riso infette o su ospiti alternativi
370
malattie
Marciume del colletto
della misura di 80‑100 × 2,5‑3 μ. L’infezione da parte del patogeno ha inizio dalle foglie basali della pianta di riso, per penetrazione diretta del micelio o attraverso la formazione di strutture fungine aventi una tipica forma a uncino. A malattia manifesta, sulla pagina inferiore delle guaine fogliari e sul colletto infetti divengono evidenti delle masse miceliari scure, in corrispondenza delle quali possono emergere i lunghi colli dei periteci del fungo. Essi sono responsabili della liberazione di ascospore infettive, che permettono la diffusione e l’intensificazione della malattia anche all’interno dello stesso campo. Gauemannomyces graminis è in grado di rimanere vitale nelle paglie di riso infette e di superare il periodo invernale utilizzando ospiti alternativi (Typha latifolia, Pennisetum, Triticum, Axonopus, Chloris, Cynodon). Le ascospore patogene sono disperse dal vento e dalla pioggia.
Periteci di Gauemannomyces graminis sviluppati lungo le radici
Ascospore di Gauemannomyces graminis
Il mal del piede compromette sia la resistenza meccanica sia il sistema conduttore della pianta, con gravi ripercussioni sulla produzione
371
coltivazione Marciume dello stelo La prima segnalazione del marciume dello stelo, patologia a diffusione mondiale, venne effettuata nel 1876 in Italia da Cattaneo. Ancora oggi la malattia è riconosciuta come una delle più pericolose per la coltura del riso, causa di perdite produttive variabili dal 10 al 75%. I primi sintomi del marciume si manifestano verso la metà della stagione vegetativa, sotto forma di lesioni scure irregolari sulla guaina, generalmente a livello della superficie dell’acqua. Con l’avanzare dell’infezione, il fungo patogeno penetra negli strati inferiori della guaina, causando un marciume parziale o totale e dando origine a numerosissimi sclerozi. Qualora l’infezione non venisse controllata in questa fase, il fungo continuerebbe a invadere il culmo e la pannocchia risulterebbe incompleta o sterile. In tali situazioni, il marciume può compromettere buona parte del raccolto. L’agente causale della malattia è l’ascomicete Nakatea sigmoi dea (teleomorfo Magnaporthe salvinii, generalmente isolabile dai tessuti infetti di riso nella sua forma scleroziale appartenente alla specie Sclerotium oryzae. Nakatea sigmoidea produce conidi fusiformi, trisettati e curvi, della dimensione di 29‑49 × 10‑14 μ. La forma perfetta M. salvinii produce periteci scuri, globosi, visibili a basso ingrandimento sulla foglia colpita; sebbene le dimensioni dei periteci siano variabili (250‑650 μ in diametro), essi sono ugualmente caratterizzati da un collo della lunghezza di 30‑70 μ. Gli aschi, unitunicati e cilindrici, sono deliquescenti a maturità e rilasciano ascospore fusiformi, a volte curve, trisettati e della dimensione di 35‑65 × 7‑8 μ. Infine, la forma scleroziale S. oryzae si distingue per la produzione di scle-
Marciume dello stelo
• La prima segnalazione del marciume dello stelo, patologia a diffusione mondiale, venne effettuata in Italia nel 1876
• Il patogeno si presenta sotto tre
differenti forme: Nakatea sigmoidea, Magnaporthe salvinii e la forma scleroziale, più facilmente riscontrabile su riso infetto, Sclerotium oryzae
• Gli sclerozi del patogeno si
caratterizzano per un’eccezionale capacità di sopravvivenza in terreno, acque, paglie e sementi
• Sono da evitare abbondanti
concimazioni azotate, che favoriscono l’infezione del patogeno soprattutto verso la metà della stagione vegetativa
Controllo del marciume dello stelo
• L’unico mezzo attuabile di lotta al
marciume è, in aggiunta alla semina di varietà di riso poco sensibili al fungo, la combinazione di adeguate azioni di concimazione e gestione del terreno. Infatti, abbondanti concimazioni azotate favoriscono l’infezione e l’attacco del patogeno in particolari momenti di crescita della pianta (soprattutto durante la fase di allungamento internodale) Conidiofori di Nakatea sigmoidea
372
Sclerozio di Sclerotium oryzae in fusto infetto
malattie rozi neri e globosi, lisci, aventi diametro di 180‑280 μ. Proprio tali sclerozi, presenti soprattutto nel culmo, rappresentano la forma primaria di inoculo della malattia. Le piante infette possono anche rilasciare sia ascospore sia conidi infettivi, aumentando in tal modo la potenzialità dell’inoculo patogenico. S. oryzae è in grado di sopravvivere da una stagione vegetativa all’altra nel terreno, nelle acque di irrigazione, nelle paglie e nelle sementi. Alcuni isolati della specie si differenziano per un diverso grado di virulenza. Si conoscono, inoltre, varietà di riso meno suscettibili all’infezione, ma nessuna totalmente resistente. Alterazione cromatica dei grani (Grain discoloration) Il fenomeno noto come grain discoloration, traducibile come alterazione cromatica dei grani, rappresenta una complessa problematica le cui cause sono da ricercare non solamente nell’ambito di organismi patogeni in grado di infettare le glume o il seme, ma anche di fattori agronomici, quali la coltivazione del riso su terreni particolarmente acidi o ricchi in ferro, le eccessive concimazioni azotate, le semine ad alta densità. Fra i molti microrganismi agenti di alterazione cromatica vi sono specie di virus e di batteri, questi ultimi principalmente appartenenti al genere Pseudomonas. Tuttavia, fra i principali responsabili del fenomeno si segnalano alcuni generi fungini, sia capaci di colpire la pianta in campo sia in grado di svilupparsi pericolosamente durante lo stoccaggio dei grani medesimi. Un elevato potere infettivo in campo è stato dimostrato da parte dei seguenti taxa fungini: Bipolaris oryzae e Phoma sorghina (particolarmente pericolosi nei climi, o nelle stagioni, umidi); Fusarium verticillioides, F. graminearum, Epicoccum nigrum, Nigrospora
Seme di riso colonizzato da Aspergillus flavus
Alterazione cromatica dei grani
• L’alterazione cromatica dei grani è
un fenomeno complesso, causato sia da organismi patogeni (virus, batteri, funghi) sia da fattori agronomici
• Fra i principali responsabili del
fenomeno vi sono due gruppi di generi fungini: quelli capaci di colpire la pianta in pieno campo e quelli in grado di svilupparsi durante lo stoccaggio dei grani
• La sintomatologia si manifesta sul
seme e/o sulle glume, con macchie di colore variabile: verde-blu-giallo, rosa, viola-marrone, grigio-nero
• Mietere in condizioni meteorologiche
ottimali, essiccare tempestivamente e conservare i grani ad adeguati valori di temperatura e umidità possono permettere di contenere il danno
Grani di riso con manifesta alterazione cromatica
Seme di riso colonizzato da Alternaria alternata
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coltivazione oryzae e Curvularia spp. (infettivi anche nelle aree, o stagioni, più temperate); Pyricularia grisea e Sarocladium oryzae (il cui riscontro è da ritenersi occasionale). La sintomatologia originata dai suddetti funghi è principalmente riferibile a macchie, sul seme e/o sulle glume, tipicamente di colore grigio più o meno intenso. I generi Aspergillus, Chaetomium, Chrysonilia, Fusarium, Mucor, Penicillium e Rhizopus sono, invece, maggiormente responsabili di contaminazioni dei grani in fase di stoccaggio. In questo caso, il seme e/o le glume infette mostrano macchie colorate, variabili dal verde-blu-giallo (a carico di Penicillium e Aspergillus), al rosa (Fusarium), sino al viola-marrone (Bipolaris oryzae). I semi con colorazioni anomale hanno una minore vitalità, sono deprezzati e vengono considerati di bassa qualità, siano essi destinati alla semina o alla consumazione. In fase di stoccaggio, la manifestazione di alcune specie di Aspergillus e Fusarium può implicare un potenziale rischio tossigenico, conseguente all’attività fungina di produzione e diffusione di micotossine. La prima regola fondamentale per evitare il danno è ottenere, in campo, un grano sano e integro; le azioni di protezione del riso in ogni fase della sua crescita, di mietitura in condizioni meteorologiche ottimali e di essiccazione tempestiva divengono quindi di fondamentale importanza. Una volta fatto lo stoccaggio, è indispensabile effettuare un costante controllo dei principali parametri ambientali (umidità e temperatura) al fine di mantenere il contenuto di umidità del riso immagazzinato a livelli compresi tra il 13,5 e il 14%, e comunque sempre inferiori al 15%.
Alterazione cromatica della pannocchia
Particolare di pannocchia infetta da Nigrospora oryzae
Fusariosi, bakanae, scabbia e deperimento del seme Da un punto di vista fitopatologico, il genere Fusarium riveste grande importanza: esso è sia in grado di danneggiare differenti parti della pianta di riso sia di produrre alterazioni e sintomatologie complesse. In generale, danni notevoli sono conseguenti a fenomeni di ostruzione di vasi conduttori (tracheofusariosi) e di marciumi, principalmente evidenti a livello di radice e fusto. Lo sviluppo di tali alterazioni è spesso favorito da particolari condizioni pedologiche (quali terreni acidi) e può essere concomitante alla presenza di lesioni sul vegetale, che permettono una più facile infezione da parte del patogeno. Tuttavia, non solo dette sintomatologie possono trovarsi tra loro associate e variamente combinate, ma tendono a passare in secondo piano se paragonate ad altre due infezioni da Fusarium particolarmente dannose per il riso: il bakanae e il deperimento del seme. Differentemente da quanto si verifica nella maggior parte delle malattie fungine del riso, spesso caratterizzate da quadri sintomatologici complessi e non distinguibili senza il supporto della diagnosi biologica, la pianta affetta da bakanae è chiaramente individuabile. Sin dalle prime fasi della sua crescita, essa si evidenzia per un anomalo e smodato allungamento dello stelo.
Fusariosi, bakanae, scabbia e deperimento del seme
• Alcune specie appartenenti
al genere Fusarium sono in grado di danneggiare differenti parti della pianta di riso, producendo alterazioni e sintomatologie complesse
• La pianta affetta da bakanae
è caratterizzata da un anomalo e smodato allungamento dello stelo e da foglie di colore verde molto chiaro
• A causa della scabbia, i semi infetti
mostrano alterazioni di colore, sono più leggeri, fragili e raggrinziti, spesso privi di capacità germinativa
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malattie All’avanzare delle fasi vegetative, il fusto continua ad allungarsi assottigliandosi e schiarendosi sempre più. Nei casi di infezione particolarmente forte, il germinello muore rapidamente. Le giovani piante allungate sopravvissute, invece, possono rimanere in vita più a lungo: esse generalmente mostrano foglie di colore verde molto chiaro tendente al giallo e marciumi a livello di radice e alla base del fusto. A uno stadio più avanzato dell’infezione, la pianta può produrre radici avventizie a livello dei nodi più bassi del culmo, porzione che può anche ricoprirsi di un sottile strato di muffa biancastra; inoltre, le foglie tendono ad avvizzire. Infine, le piante malate giunte sino allo stadio adulto sono sterili, oppure producono grani interamente o parzialmente vuoti. A causa della comparsa dei corpi fruttiferi del fungo patogeno, le guaine fogliari possono assumere una colorazione scura, tendente ai colori blunero. In casi di severa infezione, persino le pannocchie di piante sane, cresciute vicino a piante con bakanae, tendono a colorarsi di rosa-rosso chiaro. Il fenomeno è conseguente alla diffusione del fungo e alla sua sporulazione sulle glume dei semi sani. Il manifestarsi di queste fasi successive della malattia è proporzionale all’inoculo del patogeno nel seme e nella risaia. Il fungo responsabile del danno, appartenente al genere Fusa rium, venne isolato nel lontano 1917 a Formosa. Tuttavia, a causa sia di un aspetto microscopico difficilmente discriminante sia della mancanza di appropriate tecniche diagnostiche, solamente da pochi anni, grazie a una revisione scientifica effettuata sull’intero genere fungino, è stato dichiarato come la sola specie in grado di causare il tipico sintomo del bakanae sia Fusarium fujikuroi. L’anomalo allungamento dello stelo è, infatti, conseguente all’azione di acido gibberellico, metabolita secondario prodotto dalla sola specie F. fujikuroi. Tale patogeno manifesta una tipica trasmissione via seme, anche se la diffusione della malattia può essere anche favorita da fattori ambientali, quali le alte temperature (30-35 °C) e la presenza di
Particolare di pianta di riso affetta da bakanae
Origine del bakanae
• Il bakanae fu una delle prime patologie individuate nell’ambito della patologia del riso. Riconosciuta nel 1828 in Giappone e ufficialmente descritta nel 1898, la malattia fu ed è ancora oggi ampiamente diffusa in Asia, terra in cui per anni è stata responsabile di perdite anche pari al 50% della produzione. La parola stessa bakanae (la cui pronuncia originaria viene riportata nei testi come “ba-ka-ni”) è un termine giapponese che sta a significare “piantina sciocca, ridicola”, in riferimento all’anomala crescita osservabile nelle giovani piante infette
• In Italia, diverse segnalazioni di
bakanae vennero effettuate già verso la metà dello scorso secolo ma il problema è divenuto prioritario solamente da pochi anni, tanto da dover oggi dichiarare il bakanae come una patologia emergente delle risaie italiane
Porzione basale della pianta di riso infetta da Fusarium spp.
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coltivazione
Fusariosi dello stelo
pioggia e vento, che facilitano il contagio da una pianta all’altra trasportando le spore infettive. La sintomatologia nota come scabbia (ear scab), pur essendo a diffusione mondiale, diviene particolarmente pericolosa nelle aree tropicali o al manifestarsi di stagioni con condizioni climatiche particolari. I semi infettati assumono colorazioni biancastre, gialle o arancioni, con macchie (su una parte o sull’intero seme) da cui possono erompere le fruttificazioni del patogeno ed evidenziarsi discromie. Tali semi sono più leggeri di quelli sani, fragili e raggrinziti, spesso privi di capacità germinativa, e per questo motivo si può far riferimento a un deperimento del seme. La pianta di riso eventualmente generata porterebbe a sua volta alla produzione di semi infetti. L’unica specie responsabile della malattia è Fusarium graminea rum (teleomorfo Gibberella zeae, morfologicamente caratterizzata dalla produzione di un solo tipo di spore (i macroconidi), di forma falcata, fortemente pedicellate, con 3-7 setti e della misura di 25‑50 × 2,5‑3,5 μ. In vitro la specie può produrre clamidospore globose, intercalari, di colore marrone chiaro. I periteci di G. zeae sono ovoidali, 140‑250 μ in diametro, contenenti aschi clavati di 60‑85 × 8‑11 μ, a loro volta portanti 8 (4‑6) ascospore trisettate, chiare e fusiformi. Fusarium graminearum è un tipico patogeno a trasmissione via seme; tuttavia, è stata dimostrata la sua capacità di infezione diretta che avviene, in particolare, a livello di nodi della giovane pianta.
Sintomi di bakanae
Scabbia
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malattie Falso carbone Il falso carbone, malattia ad ampia diffusione mondiale (Asia tropicale, Australia, Stati Uniti, Costa Rica, Panama, Messico, Sud America), è stato segnalato nelle aree risicole italiane solamente nei primi anni del decennio 1980‑90. Solitamente incluso fra le patologie minori, è causa di pericolose epidemie soprattutto in regioni caratterizzate da clima particolarmente umido (India, Perù, Filippine). I sintomi del falso carbone divengono visibili al momento della maturazione della pianta di riso e l’infezione si manifesta, tipicamente, solo su pochi semi di una singola pannocchia. Tali semi infetti sono trasformati in masse di spore di aspetto vellutato, del diametro di 1 cm circa, dapprima verdastre sulla loro superficie esterna e giallo-arancioni all’interno, poi quasi nere. All’interno della massa sporale, ben visibile a occhio nudo, si sviluppano uno o più sclerozi duri e scuri, del diametro di 5‑13 mm. Solitamente all’interno dei semi infetti l’ovario viene distrutto, mentre stilo, stigma e antere rimangono intatti e incorporano la massa sporale. Anche i semi adiacenti a quelli colpiti divengono spesso sterili. L’agente causale del falso carbone è l’ascomicete Ustilaginoi dea virens (teleomorfo Claviceps oryzae-sativae). In vitro, Ustila ginoidea virens produce clamidospore di color oliva, da sferiche a ellittiche, della dimensione di 3‑5 × 4‑6 μ; queste germinano in coltura e producono conidi. Le ascospore della forma perfetta sono ialine, filiformi e unicellulari, della dimensione di 120‑180 × 0,5‑1 μ. Sia i conidi sia le ascospore del patogeno possono dare inizio all’infezione, invadendo l’ovario in fase di fioritura o, successivamente, i grani già maturi. Sotto forma di sclerozi o di masse
Falso carbone
Falso carbone
• Solo in regioni caratterizzate da clima particolarmente umido il riso può riportare seri danni da falso carbone
• Una massa sporale di aspetto vellutato
dapprima verde scura poi nera, ben visibile a occhio nudo, compare solo su pochi semi della pannocchia matura
• Il patogeno è in grado di superare il
periodo invernale nel terreno o su ospiti alternativi, fra cui specie infestanti di Oryza
• Ustilaginoidea significa simile a
Ustilago. I carboni sono malattie causate da miceti del genere Ustilago che appartiene alla classe dei Basidiomiceti; Ustilaginoidea virens, invece, appartiene alla classe degli Ascomiceti: per questo motivo la malattia da esso causata è denominata falso carbone
Falso carbone del riso
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coltivazione sporali di resistenza, U. virens può sopravvivere nel terreno per lunghi periodi, anche fino a 4 mesi. Non solo Panicum trypheron e Digitaria adscendens ma anche specie infestanti di Oryza possono rappresentare un’importante forma di inoculo del fungo tra una stagione vegetativa e l’altra, soprattutto nelle aree caratterizzate da clima umido. Alcuni isolati del fungo si distinguono per caratteri sia macroscopici (differenti colorazioni del micelio, grado di patogenicità in vivo) sia microscopici (sporulazione, morfologia delle spore); tali osservazioni potrebbero permettere l’individuazione di gruppi sub-specifici del patogeno. Si conoscono varietà di riso resistenti al fungo. Patologie di minor riscontro in Italia Sebbene siano causa di ingenti danni soprattutto in risaie di aree tropicali, le patologie note come maculatura aggregata delle guaine, peronospora e carbone della pannocchia hanno raggiunto, negli ultimi decenni, una diffusione mondiale. Al verificarsi di particolari condizioni meteoclimatiche o in presenza di varietà e situazioni pedologiche favorevoli, esse possono manifestarsi con una discreta intensità anche in Italia. Rhizoctonia oryzae-sativa è l’agente causale della maculatura aggregata delle guaine, i cui sintomi compaiono inizialmente nelle guaine più basse, a livello dell’acqua. Le lesioni di colore grigiastro paglierino con un distinto margine bruno e di forma circolare o ellittica, lunghe fino a 4 cm, confluiscono fino a interessare tutta la guaina, con successivo disseccamento della lamina fogliare. All’interno o all’esterno delle guaine marcescenti si formano poi degli sclerozi che, permanendo nei residui colturali e nel terreno, sono deputati a trasmettere la malattia alla coltivazione successiva, quando, galleggiando sull’acqua, arrivano a infettare le piante di riso. Nei casi più gravi, nei quali il fungo invade anche il culmo, si possono verificare allettamenti e riduzioni sia quantitative sia qualitative della produzione, ma per ora in Italia si registrano attacchi rari e circoscritti a zone limitate delle risaia.
Peronospora
Maculatura aggregata delle guaine
Carbone della cariosside Tilletia barclayana su pannocchia (particolare)
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malattie La peronospora del riso è causata dall’oomicete Sclerophtho ra macrospora, in grado di infettare diverse graminacee e di sopravvivere come oospore nelle paglie infette e nel suolo. Si manifesta con macchie fogliari di colore giallo o bianco, foglia bandiera ondulata, arricciata o piegata, spiga contorta e verde che non emerge completamente e resta sterile. Le oospore o gli sporangi del microrganismo rappresentano l’inoculo primario per i germinelli di riso; in presenza di acqua, le zoospore rilasciate dagli sporangi infettano le prime foglie delle plantule dando inizio alla crescita sistemica del patogeno all’interno della pianta. La malattia è particolarmente favorita da temperature di 18‑23 °C e alti valori di umidità dell’aria. Si riscontra raramente e soprattutto in occasione di esondazioni che portano in risaia il fungo proveniente dagli acquitrini dove vive su specie spontanee. Il carbone della pannocchia è causato da Tilletia barclayana e, pur essendo una patologia di minor gravità, è di difficile controllo. L’infezione è visibile solo quando la pianta è prossima alla maturità e colpisce, generalmente, solo pochi semi della pannocchia, distribuiti in modo casuale. L’endosperma dei semi infetti è sostituito da masse scure di spore che producono piccole escrescenze nere erompenti dalle glume. Tali semi sono completamente o parzialmente sterili e, se utilizzati come semente, possono originare plantule infette.
Maculatura aggregata delle guaine, peronospora e carbone
• Sebbene causa di ingenti danni,
soprattutto in aree tropicali, queste malattie possono manifestarsi con una discreta intensità anche in Italia
• Le guaine colpite da maculatura
aggregata si caratterizzano per le lesioni di colore grigiastro paglierino, con un distinto margine bruno, che vanno a confluire fra loro
• In caso di peronospora le macchie
fogliari sono gialle o bianche, la foglia bandiera è arricciata o piegata, la spiga è contorta, verde e sterile
• I semi infetti da carbone sono
completamente o parzialmente sterili e mostrano masse nere erompenti dalle glume
Le malattie fungine del riso nelle diverse fasi di crescita della coltura Fase riproduttiva
Maturazione
Fase vegetativa
Muffa d’acqua Moria dei germinelli
Brusone fogliare Fase d’infezione per le patologie Elmintosporiosi che si manifestano in post-fioritura Marciume del colletto e dello stelo o nelle successive Fusariosi e bakanae fasi di maturazione del riso Peronospora Maculatura aggregata delle guaine
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Scabbia e deperimento del seme Mal del collo Carbone Falso carbone Alterazione cromatica dei grani
il riso
coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani, Maurizio Tabacchi
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coltivazione Flora spontanea La risaia Un mondo dai mille colori e di altrettante forme di vita. Vegetali estremamente semplici, come le alghe, che convivono con organismi animali e altri vegetali dalla forma complicata. Piante palustri che vivono abitualmente nell’acqua, che radicano in essa o in essa nuotano lasciandosi trasportare dalla corrente. Accanto a esse altre piante che solo all’occorrenza diventano anfibie, come il giavòne, che è l’infestante principale delle risaie. Il tutto osservato, ma non troppo da lontano, dalle cosiddette piante di ripa, cioè da quelle piante che vivono sulla terra ferma ma non molto distanti dal mondo dell’acqua e che osservano con finto distacco le vicissitudini dell’ambiente acquatico e aspettano con pazienza il momento di farne parte, anche se per un tempo limitato. I giavoni e le eterantere, gli zigoli e le ammanie, le lische e le lenticchie d’acqua, la limnofila e la vandellia, fino alla rotala e alla sagittaria e tante altre popolano questo mondo e con il riso competono per la luce e per gli elementi nutritivi, danneggiandolo, a volte fin quasi a soffocarlo completamente. Sono le stesse piante che hanno accompagnato l’uomo sin dalla preistoria, che gli hanno fornito rifugio e nutrimento, consentendogli di costruire pagliai in cui sfuggire alle belve e alle intemperie e di raccogliere semi, rizomi e tuberi come alimenti o canne per farne armi o attrezzi quotidiani. Moltissime vengono appositamente coltivate nei parchi lacustri e fluviali per la loro capacità ornamentale, come la ninfea bianca e quella gialla; altre erano impiegate per la preparazione di legacci (lische e zigoli) o di altri manufatti.
La risaia
• La risaia: un coacervo di piante
variopinte, spesso dai colori vivaci e dalle forme bizzarre, le stesse che attraggono visitatori nei parchi lacustri naturali e che danno rifugio a una altrettanto variopinta fauna che nel loro intreccio trova riparo, si nutre, si riproduce e muore
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flora spontanea Breve storia della flora spontanea La flora avventizia è una presenza imprescindibile dalla coltivazione del riso, adesso come in passato. Tuttavia nel corso degli anni la flora infestante ha subito progressivi cambiamenti, sia dal punto di vista qualitativo, sia da quello dell’incessante crescita delle popolazioni e delle singole specie dopo lunghi periodi di adattamento. Alcune infestanti, che un tempo erano ritenute dannose e difficili da combattere, oggi sono scomparse o ridotte a limitate presenze; altre, che costituivano semplici curiosità botaniche, perché confinate in areali contenuti o provenienti da regioni geografiche molto lontane, a clima subtropicale, sono considerate oggi veri e propri flagelli per la forte competizione nei riguardi del riso coltivato. In generale, si può osservare come la flora infestante della risaia sia via via aumentata con il passare degli anni, come presenza e come numero di specie, andando ad accrescere le problematiche di lotta per i risicoltori. Da resoconti tecnici risulta che, verso la fine dell’800, erano presenti nelle risaie italiane solo una trentina di specie infestanti mentre negli anni venti del ’900 le specie ritrovate erano già più di un centinaio e agli inizi degli anni ’60 dello scorso secolo, verso la fine dell’epoca delle mondine, Pirola, eminente studioso della flora delle risaie italiane, contava addirittura 400 specie, tra quelle che vivevano nelle camere e quelle che vivevano nei fossi e lungo gli argini degli appezzamenti. Questa forte differenza è forse dovuta non solo all’aumento del numero di piante effettivamente presenti ma anche alla maggiore sensibilità legata alle problematiche relative alle piante infestanti da parte degli agronomi delle diverse epoche. Con l’avvento del diserbo chimico l’assortimento floristico è andato man mano riducendosi, fino al punto che attualmente solo un centinaio di specie fanno parte di questo universo, alcune in modo assiduo, altre solo occasionalmente. Ma l’ambiente delle risaie è in continuo mutamento sotto il punto di vista floristico; alcune specie spariscono o diventano rare mentre altre, in virtù degli intensi scambi commerciali di prodotto e di semi tra l’Italia e gli altri comprensori risicoli mondiali, giungono, principalmente dalle zone tropicali, nelle nostre zone e trovano in questo ambiente condizioni ideali di vita. La popolazione di piante spontanee è sempre stata, perciò, periodicamente rinfoltita dalla diffusione di specie esotiche, come il giavone e gli zigoli, o, ultime in ordine di tempo, le eterantere e le leptocloe, che seguono una vasta rappresentanza di altre piante, come le ammanie e la limnofila, la vandellia e l’erba coltella, la rotala e l’erba saetta, e altre. Come se non bastassero queste piante aliene, anche nell’ambito del riso coltivato alcune forme, che vanno sotto il nome generico di varietà sylvatica, in prossimità della maturazione “crodano”,
Foto A. Gelpi
Piante lacustri scolpite alla base della Fontana di Trevi, a Roma
Comunità di piante selvatiche della risaia
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coltivazione cioè lasciano cadere la granella, sottraendo così quella parte di produzione che al loro posto le piante di riso normali (che non crodano) avrebbero reso. Queste forme sono comunemente intese come “riso crodo” e, quantunque producano granella ottima dal punto di vista culinario, sono considerate, per tale caretteristica, vere e proprie erbe infestanti della risaia. È poi da considerare la flora che si instaura nella rete di canali che circondano le camere coltivate a riso, che, se non controllata, costituisce un grave ostacolo al deflusso delle acque (per es. alga candelabro e altre alghe, brasche, gramignone delle risaie), veicola i semi infestanti, dà rifugio a parassiti e animali dannosi e costituisce un serbatoio di specie potenzialmente in grado di invadere gli appezzamenti. Con la diffusione della coltivazione del riso mediante semina interrata e sommersione della coltura allo stadio di 3a-4a foglia (che ha ormai raggiunto oltre il 25% della superficie totale coltivata), si è andato ad allungare ulteriormente l’elenco delle infestanti di risaia. Questa tecnica di coltivazione, oltre a permettere lo sviluppo di infestanti tipiche della risaia sommersa, come le piante delle famiglie Alismatacee, Butomacee e Ciperacee, le eterantere e molte altre, soprattutto se condotta in rotazione con colture diverse dal riso, consente anche lo sviluppo di infestanti tipicamente da ambiente asciutto come: panico delle risaie, sanguinella comune, pabbio, erba morella, poligono a foglie di lapazio, poligono persicaria e sorghetta, tra le più importanti. Di tutte queste specie, di seguito, sono descritte solo quelle che si trovano più frequentemente nelle risaie allagate.
Foto R. Angelini
Riso crodo
Riso crodo
• Nel 2001 interessava i tre quarti
della superficie risicola italiana, ma è presente nel nostro Paese sin dal 1800, e, con l’abbandono della tecnica del trapianto e della monda manuale, negli anni ’50-’60 del secolo scorso ha fatto registrare un importante aumento della sua diffusione, favorito anche dall’importazione di sementi non certificate, dall’utilizzo di poco competitive cultivar indica a taglia bassa e dalla limitata presenza di mezzi di lotta efficaci, diventando, dagli anni ’80, un vero problema per la risicoltura italiana Infestazione di riso crodo
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flora spontanea Adattamenti delle piante nel mezzo liquido Rispetto alle piante che vivono sulla terra non allagata, quelle che vivono nell’acqua devono adottare una serie di accorgimenti per adattarsi a questo ambiente particolare. Per poter apprezzare meglio tali adattamenti è necessario conoscere, almeno in modo essenziale, alcuni aspetti riguardanti gli organi principali e loro funzioni delle piante “terricole”: – le radici servono per ancorare le piante al terreno, allo scopo di sorreggere le parti aeree della pianta e di assorbire le sostanze nutritive dalla soluzione circolante nel terreno stesso; – il fusto sostiene gli altri organi aerei della pianta e li mette in comunicazione fra di loro e con le radici, ciò implica la presenza di tessuti molto resistenti, sicché il fusto assume una certa consistenza e robustezza; – le funzioni principali delle foglie sono: fotosintesi clorofilliana, respirazione e traspirazione. Per la fotosintesi clorofilliana la pianta utilizza acqua e anidride carbonica dell’aria e fabbrica sostanze nutritive, liberando ossigeno nell’aria. Parte dell’ossigeno emesso viene riassorbito, attraverso gli stomi, posti sulla pagina inferiore della lamina fogliare, per il processo della respirazione, allo scopo di ricavare energia. Con la traspirazione si ha l’emissione, attraverso gli stomi o la cuticola, di vapore acqueo dalla pianta all’atmosfera, quando quest’ultima ha un grado di umidità inferiore a quella dell’interno dei tessuti della pianta stessa; – ogni specie mette in atto particolari meccanismi per la dispersione nell’ambiente dei semi, al fine di assicurarsi la sopravvivenza.
Raggruppamenti delle piante da un punto di vista botanico Alghe
Tallofite (senza radici, né fusti né foglie), si riproducono per spore
Pteridofite (Felci acquatiche)
Cormofite (con radici, fusto e foglie ben distinti) piante senza fiori, si riproducono mediante spore
Spermatofite (Angiosperme)
Piante con fiori, si riproducono mediante semi
Dicotiledoni
Spermatofite con due foglie cotiledonari nel seme
Monocotiledoni
Spermatofite con una sola foglia cotiledonare nel seme
Tipi di piante spontanee diffusi nelle risaie italiane
Di ripa
Anfibie (palustri)
Acquatiche radicanti
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Acquatiche natanti
coltivazione Gli adattamenti delle piante acquatiche, rispetto agli organi e alle funzioni elencate, riguardano perciò tutti gli organi della pianta e si riferiscono, essenzialmente, ai seguenti aspetti: – capacità di resistenza alle correnti che tendono a sradicarle e a rompere i tessuti; – approvvigionamento di sostanze nutritive e di ossigeno (per la respirazione); – possibilità di diffusione dei semi nell’ambiente. Qui di seguito sono descritti gli organi principali della pianta e i loro adattamenti nel mezzo liquido.
Foto R. Angelini
Radice. Le sostanze nutritive disciolte nell’acqua, e l’acqua stessa, vengono assorbite direttamente dal fusto e dalle foglie di molte piante che vivono sommerse; queste piante perciò hanno radici primordiali o ne sono sprovviste. In qualche caso (per es. nell’erba pesce-Salvinia natans) ci sono addirittura foglie che si trasformano in radichette primordiali, per un fenomeno chiamato anisofillia. In alcune specie (per es. mangrovie) le radici assumono, invece, una funzione respiratoria, dirigendosi verso l’alto e sporgendo dal pelo dell’acqua per assorbire ossigeno atmosferico, attraverso microscopiche aperture.
Erba pesce (Salvinia natans)
Raggruppamenti delle piante da un punto di vista ecologico
• Piante acquatiche o idrofite: – Natanti Vivono fluttuando nel mezzo liquido, senza vere e proprie radici o con radici pendule nell’acqua
Fusto. Nelle piante sommerse la funzione di sostegno del fusto viene a mancare, perché esse sono sostenute dal mezzo liquido. Per questo motivo i fusti delle piante acquatiche sono spesso molli e flaccidi, anche per assecondare i movimenti dell’acqua, in modo da opporre la minore resistenza possibile ai moti del liquido che altrimenti tenderebbe a romperli. Al posto dei tessuti di sostegno vi sono tessuti con ampi spazi intercellulari che confluiscono nei cosiddetti canali aeriferi, direttamente in comunicazione con le lacune fogliari piene di ossigeno atmosferico; attraverso i canali aeriferi l’ossigeno viene distribuito a tutti gli organi della pianta. In alcuni casi il fusto è vuoto internamente e funziona anche come organo di galleggiamento.
– Radicanti al suolo Sono radicate al suolo
• Piante anfibie. Vivono nell’acqua solo
con le radici e la parte inferiore del fusto. Sono comprese anche alcune, come per esempio il giavone comune, con alta capacità di adattamenti biologici, che normalmente vivono in ambiente asciutto, ma che non disdegnano di invadere anche ambienti sommersi, divenendo così, a tutti gli effetti, piante anfibie vere e proprie
Foglia. Nel complesso delle piante acquatiche si possono trovare tre tipologie di foglie: – sommerse completamente nell’acqua; – galleggianti sul pelo dell’acqua; – emerse dall’acqua. In molte piante acquatiche o anfibie si può apprezzare il fenomeno dell’eterofillia, cioè della produzione di foglie con forme diverse, sia sommerse sia galleggianti, e alcune specie hanno anche foglie emerse, come il fior di loto (Nelumbo nucifera) diffuso in tutti i Paesi tropicali, che evitiamo di includere tra le piante infestanti. Gli adattamenti delle foglie sommerse sono volti principalmente all’assorbimento delle sostanze nutritive, dell’anidride carbonica
• Piante di ripa. Sono qui comprese
quelle specie che vegetano abitualmente sulla terra non sommersa o che solo eccezionalmente sono in grado di sopravvivere, con la sola radice, per qualche tempo in mezzo liquido
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flora spontanea
Sezione del fusto cavo di veronica acquatica, che funziona da organo di galleggiamento
Erba saetta produce foglie di diverse forme
e del poco ossigeno disciolti nell’acqua e servono anche a evitare di essere danneggiate dalla corrente. L’assunzione dell’ossigeno e delle sostanze nutritive viene facilitata da un’epidermide molto sottile e da una delicata cuticola (lo strato ceroso tipico delle foglie delle piante terricole, che impedisce loro di perdere acqua). In queste condizioni gli stomi sono superflui, anzi la loro presenza consentirebbe l’ingresso, nei tessuti, di acqua che pregiudicherebbe la respirazione; anche la loro funzione traspiratoria viene meno, essendo la pianta in ambiente completamente saturo di umidità. La sottigliezza dell’epidermide e della cuticola rende le foglie sommerse molto delicate, sottili e flosce. Per resistere ai movimenti dell’acqua senza subire rotture le foglie diventano lunghe e sottili, lineari o a forma di nastro o
Picciolo fogliare di ninfea comune
Fiori di loto in Cambogia
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coltivazione con la lamina particolarmente divisa e frastagliata. Questa forma consente loro anche di aumentare la superficie di assorbimento, agevolando così l’assimilazione di ossigeno e di sostanze nutritive disciolte nell’acqua. Alcune specie hanno foglie galleggianti (dette anche natanti) sul pelo dell’acqua, come, per esempio, le bellissime ninfea comune (Nymphaea alba) e gialla (Nuphar luteum), oltre al limnantemo (Nymphoides peltata), specie che non ci sentiamo di definire “infestanti” e perciò non descriveremo minuziosamente di seguito. Le foglie di queste piante hanno picciolo molto lungo, che permette di assecondare le variazioni di livello dell’acqua; la loro lamina è molto espansa per poter assorbire grandi quantità di luce, necessaria per la fotosintesi, e di assorbire l’ossigeno per la respirazione. Esse hanno stomi solo sulla pagina superiore esposta all’aria, ne sono prive sulla pagina inferiore che tocca la superficie dell’acqua, onde evitare che questa entri all’interno della pianta; per questo motivo hanno uno spesso strato di cuticola che rende la superficie idrorepellente. Per agevolare il galleggiamento le foglie di alcune specie hanno il picciolo tubuloso (per es. nelle mestolacce) o additittura rigonfio come una camera d’aria, come nella castagna d’acqua (Trapa natans) e nell’aicornia (Eichornia crassipes). Come nel fusto, anche nelle foglie sommerse e in quelle natanti vi sono ampi spazi intercellulari che formano grandi lacune dove si accumula l’ossigeno
Ninfea comune
Ninfea gialla
Aicornia Limnantemo
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flora spontanea che poi viene distribuito, attraverso i canali aeriferi, agli organi sommersi. I semi Molte piante acquatiche producono semi piccolissimi e leggerissimi, facilmente trasportabili dal mezzo liquido: è il caso dei semi delle eterantere, di ammania, di limnofila, di vandellia e di veronica, tutti con un diametro inferiore a 1 mm. Diverse piante acquatiche producono semi o frutti-semi molto più grandi ma, in questi casi, i propaguli sono molto leggeri, come quelli del coltellaccio maggiore. Anche la forma può contribuire alla dispersione del seme nel mezzo liquido. Così, per esempio, alcune piante hanno semi lenticolari, circondati a volte da organi di galleggiamento, come nelle già citate mestolaccia e limnantemo. Altre volte la forma è adatta a fendere l’acqua, come nei semi delle Ciperacee che a maturità si depositano velocemente sul fondo, grazie anche alla forma “a dardo”.
Semi di mestolaccia lanceolata
Semi di lisca marittima
Descrizione delle specie Di seguito sono descritte le specie infestanti che vivono nelle risaie sommerse, seguendo l’ordine riassunto nello schema a pagina seguente, che prende in considerazione la forma delle foglie. Oltre a queste specie, tipiche delle risaie coltivate in sommersione, alla fine del capitolo sono inserite anche le illustrazioni delle specie che vivono nelle risaie dove si pratica la semina interrata e che sono state descritte in altre monografie della collana “Coltura & Cultura”.
Semi di limnantemo Risaia del Ferrarese particolarmente infestata da giavone e da leptocloa
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coltivazione Raggruppamenti delle piante infestanti in sommersione in funzione della forma delle foglie FOGLIE NASTRIFORMI fusti non nodosi, fusti e foglie trigoni, cioè a sezione triangolare (Ciperacee)
fusti nodosi (Graminacee=Poacee)
Zigolo dolce (M) Zigolo delle risaie (M) Zigolo nero (M) Zigolo glabro (M) Zigolo ferrugineo (M) Zigolo comune (M) Zigolo americano (M) Zigolo tardivo (M) Lisca marittima (M) Lisca mucronata (M)
Giavone comune (M) Giavone pendulo (M) Giavone meridionale (M) Giavone peloso (M) Giavone eretto (M) Giavone maggiore (M) Leptocloa fasciculata (M) Leptocloa uninervia (M) Coda di volpe ginocchiata (M) Asperella o riso selvatico (M) Riso crodo (M) Panìco acquatico (M) Gramignone delle risaie (M)
fusti cilindrici Mazzasorda (Tifacee-M) Giunco fiorito (Butomacee-M) Coltellaccio maggiore (Sparganiacee-M) FOGLIE LARGHE INTERE
lanceolate strette
lanceolate-ovoidali, tondeggianti o reniformi
Ammania a fiori peduncolati (Litracee-D) Ammania arrossata (Litracee-D) Rotala americana (Litracee-D) Erba miseria delle risaie (Commelinacee-M) Erba miseria asiatica (Commelinacee-M) Forbicina intera (Composite=Asteracee-D) Forbicina comune (Composite=Asteracee-D) Forbicina peduncolata (Composite=Asteracee-D) Forbicina pelosa (Composite=Asteracee-D) Eclipta (Composite=Asteracee-D)
Poligono anfibio (Poligonacee-D) Mestolaccia comune (Alismatacee-M) Mestolaccia lanceolata (Alismatacee-M) Vandellia delle risaie (Scrofulariacee-D) Vandellia palustre (Scrofulariacee-D) Erba coltella delle risaie (Idrocaritacee-M) Brasca comune (Potamogetonacee-M) Brasca nodosa (Potamogetonacee-M) Brasca arrotondata (Potamogetonacee-M) Brasca increspata (Potamogetonacee-M) Brasca delle lagune (Potamogetonacee-M) Eterantera azzurra (Pontederiacee-M) Eterantera a foglie reniformi (Pontederiacee-M)
sagittate (con due lobi all’inserzione del picciolo) Erba saetta (Alismatacee-M) Sagittaria americana (Alismatacee-M)
FOGLIE LARGHE COMPOSTE Trifoglio acquatico comune (Marsiliacee-P) Trifoglio fibrino (Meniantacee-D) FOGLIE FILIFORMI COMPOSTE Millefoglie d’acqua (Aloragacee-D) Millefoglie d’acqua ascellare (Aloragacee-D) Limnofila (Scrofulariacee-D) SENZA FORME APPARENTI (ALGHE) Alga reticolata (Idrodictiacee) Alga verde filamentosa (Sferopleacee)
Alga spiralata (Zignematacee) Alga candelabro (Caracee)
Tra parentesi il nome della famiglia e/o il gruppo botanico di riferimento: D = Dicotiledoni, M = Monocotiledoni, P = Pteridofite
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flora spontanea Sezioni di fusto (a sinistra) e foglia trigoni (a destra) di ciperacea (zigolo tardivo)
Foglia lanceolata-stretta di ammania (a sinistra) e di forbicina intera (a destra)
Foglie larghe-composte di trifoglio fibrino (a sinistra) e di trifoglio acquatico (a destra)
Foglie sagittate
Particolare di fusti nodosi di graminacea (giavone)
Sezione di fusto cilindrico di coltellaccio maggiore
Foglie lanceolateovoidali di mestolaccia comune
Foglie reniformi di eterantera
Foglie filiformicomposte di millefoglie d’acqua
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Piante senza forme apparenti (alghe)
coltivazione Graminacee Le piante appartenenti alla famiglia delle Graminacee hanno radice fascicolata, a volte associata a rizomi o altri organi riproduttivi (tuberi, bulbi ecc.). Il fusto è cavo (culmo) e nodoso: da ogni nodo del fusto nasce una foglia che ha una parte basale detta guaina (perché inguaina il fusto) e una parte distale libera (lamina) a forma di nastro. Nella zona di congiunzione tra la guaina e la lamina fogliare vi è una membrana detta ligula e, a volte, due piccole escrescenze dette orecchiette: ligula e orecchiette sono presenti e molto evidenti nelle piante di riso ma assenti in quelle di giavone. Il fiore delle Graminacee è formato da un ovario, sormontato da uno stimma bifido e piumoso, circondato da tre (sei, nel riso) stami, il tutto sotteso da due scagliette chiamate lodicole e racchiuse da due membrane erbacee chiamate palea e lemma (quest’ultimo spesso munito di una resta). Sovente i fiorellini sono riuniti in piccoli gruppetti a formare le cosiddette spighette che sono racchiuse tra due glume generalmente molto evidenti (ma ridotte a due piccole scagliette nelle spighette del riso). Le spighette delle piante descritte in seguito, a loro volta, sono riunite in infiorescenze a pannocchie di vari tipi.
Foto R. Angelini
Ligula e orecchiette pelose di riso crodo Foto R. Angelini
Caratteri principali delle piante graminacee
Le foglie di giavone non hanno né ligula né orecchiette Foto R. Angelini
Il giavone può soffocare completamente il riso
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flora spontanea Giavòni (Echinochloa). Sono le piante infestanti più comuni delle risaie; si riproducono solo mediante semi, sono sprovvisti perciò di organi perennanti. La presenza di ligula e di orecchiette nelle piante di riso e la loro assenza in quelle di giavone consente di distinguere le due specie. Un’altra caratteristica che permette di differenziare le piante giovani di riso da quelle del giavone è la colorazione rossastra presente quasi sempre alla base del fusto di queste ultime. Tale colorazione, però, non sempre è apprezzabile a occhio nudo, ciò nonostante si suole distinguere le piante di giavone in due grandi gruppi: giavoni rossi (con presenza di arrossamenti basali) e giavoni bianchi (senza arrossamenti basali). Occorre precisare che la colorazione non è sufficiente per distinguere fra loro le specie di giavone, in quanto nel genere di cui fanno parte (Echinochloa) esiste molta variabilità di natura genetica o dovuta ad adattamenti a diversi ambienti e condizioni climatiche, anche nell’ambito della stessa specie, senza contare che le specie si incrociano fra loro con una certa frequenza e perciò danno origine a forme con caratteristiche (anche cromatiche) intermedie ai genitori da cui derivano. Con l’avanzare del ciclo, inoltre, la colorazione rossastra tende a sbiadire mentre anche i cosiddetti giavoni bianchi possono colorarsi in presenza di stress ambientali. Più facile è la distinzione delle piante adulte, perché viene fatta su caratteristiche ben definite che risiedono nelle strutture riproduttive. I fiori del giavone sono molto piccoli, appaiati in ogni spighetta, e ognuno è racchiuso da due brattee (lemma e palea); entrambi i fiori sono compresi tra due glume (vedi a fianco, al centro). Dei due fiori uno è fertile e dà origine al frutto (cariosside), l’altro è sterile; in ogni spighetta perciò vi è una sola cariosside, avvolta da lemma e palea (fertili), e un fiore abortito (compreso tra lemma e palea sterili). La cariosside evidenzia due facce, una quasi piatta e una convessa. Alla base della faccia convessa si nota (con una normale lente di ingrandimento) l’asse embrionale che forma un arco di consistenza farinosa biancastra, distinta dal resto della cariosside che assume, invece, consistenza vitrea e colore giallastro o bruno (vedi a fianco, in basso). L’altezza di questo arco, rispetto a quella dell’intera cariosside, nonché le dimensioni di quest’ultima, consente di distinguere le diverse specie. Le spighette della stessa pianta sono riunite in un’unica pannocchia digitata, cioè con rami che simulano le dita di una zampa di uccello. I lemmi sterili sono generalmente muniti di una resta, sicché la pannocchia assume aspetto ispido: è a quest’ultima caratteristica che si ispira il nome latino Echinochloa, dal greco echinos = riccio e chlòe = erba: la presenza della resta però è un carattere molto instabile, visto che spesso può anche mancare (non è raro il caso che sulla stessa pianta vengano emesse infiorescenze aristate e altre mutiche).
Giavoni bianchi (a sinistra) e rossi (a destra)
Componenti delle spighette di giavone
Spighette e cariossidi (sotto) di giavone
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coltivazione Giavone comune (Echinochloa crus-galli). È il più diffuso dei giavoni, caratterizzato dalla pannocchia simile nella forma alla zampa di un gallo, come si arguisce dall’aggettivo specifico (dal latino crus = la gamba). Questa specie, però, è molto variabile nell’aspetto della pannocchia, che può portare lunghe reste o esserne addirittura priva; questa variabilità può essere notata spesso sulla stessa pianta. La specie è eclettica anche dal punto di vista ecologico, infatti si trova come infestante delle risaie ma anche delle colture terricole (in Italia è anche la più diffusa infestante di molte colture estive, come il mais, la soia ecc.). Il fusto è robusto, ginocchiato alla base. Le foglie hanno guaina compressa, bitagliente e lamina pendente, larga 5-15 mm, scabra sui bordi, glabra o, a volte, con 2 peli alla base. La pannocchia è piramidale, spesso sfumata di rosso, con rami eretto-patenti. Le spighette sono ovate, lunghe 2,8-3,4 mm. Anche le cariossidi sono ovate, lunghe 1,4-1,9 mm, bruno-rossastre; embrione 0,6-0,7 volte la cariosside. Il lemma sterile è mutico o aristato. Simile è il giavone pendulo (E. crus-pavonis), così detto per avere la pannocchia generalmente incurvata verso il basso. Giavone meridionale (E. colonum). Si riconosce per le pannocchie compatte, rade e con rami corti e reste cortissime. Il g. peloso (E. phyllopogon) è identificato dalla presenza di peli lungo i bordi delle guaine fogliari. Il g. eretto (E. erecta) è così detto per il portamento eretto del fusto e delle foglie. Il g. maggiore (E. oryzoides) è così chiamato per via delle dimensioni delle infiorescenze, molto più grandi di quelle delle altre specie, tanto grandi da farle caratteristicamente curvare ad arco sotto il loro stesso peso, facendole assomigliare alle pannocchie di alcune varietà di riso (= oryzoides).
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Pannocchie di giavone: a) = maggiore; b) e d) = peloso; c) = meridionale; e) = eretto; f) comune
Foto R. Angelini
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flora spontanea Leptocloe (Leptochloa). Il nome indica una pianta con foglie sottili (dal greco leptos = sottile e dal latino chloe = erba). Nelle risaie italiane sono spesso presenti le due specie seguenti. Leptocloa fasciculata (L. fascicularis). Ha tipiche pannocchie a forma piramidale, con rametti lunghi e flessuosi. Il lemma ha un mucrone apicale fra due denti triangolari. Molto simile è la leptocloa uninervia (L. uninervia) che ha però infiorescenza aperta, con rametti rigidi e lemma con mucrone inserito tra due dentini arrotondati.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Coda di volpe ginocchiata (Alopecurus geniculatus). Deve il nome alla forma della pannocchia, simile alla coda di una volpe (dal greco àlopex = volpe e urà = coda) e ai fusti ginocchiati alla base e poi eretti. È detta anche erba bianca, a causa delle guaine fogliari di un colore verde chiaro-biancastro, che contrastano con i culmi rossastri. Oltre che per i fusti ginocchiati e la forma della pannocchia questa specie è caratteristica anche per avere la cariosside racchiusa da due glume saldate fra loro alla base e la ligula fogliare ben evidente.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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coltivazione Asperella o riso selvatico (Leersia oryzoides). Il nome latinizzato è dedicato al farmacista tedesco I.D. Leers, vissuto nel XVIII secolo. Il primo nome italiano si riferisce all’accentuata scabrosità delle foglie mentre il secondo fa riferimento alla somiglianza delle piante con quelle del riso coltivato. La specie è dotata di un tenace e sottile rizoma immerso nel fango. Le spighette sono raggruppate su una infiorescenza a pannocchia piramidale chiara e maturano ognuna una cariosside. Si riproduce prevalentemente mediante rizoma ma anche da seme.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Riso crodo (Oryza sativa var. sylvatica). È simile al riso coltivato, se ne differenzia per alcuni caratteri, quali la tendenza delle cariossidi a staccarsi dalla pannocchia (crodatura) e la colorazione più o meno rossastra della cariosside stessa. Rispetto al riso comune presenta generalmente una maggiore taglia e una più elevata capacità di accestimento, manifestando però un’ampia variabilità morfo-fisiologica, soprattutto per i seguenti caratteri: presenza di ariste, lunghezza delle stesse, colorazione del culmo e della zona d’inserzione tra guaina e lamina fogliare.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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flora spontanea Panìco acquatico (Paspalum paspaloides). È una pianta bassa con rizoma sottile e con stoloni che si allungano sul terreno ed emettono radici dai nodi costituendo una fitta rete che si diffonde dai bordi delle camere all’interno della risaia. Il nome deriva dalla somiglianza con il miglio (in greco pàspalos). Le foglie hanno guaine molto pelose, la ligula è molto piccola. Le spighette sono composte ognuna da un solo fiore e sono riunite su due racemi lineari appaiati alla sommità del fusto: per questa caratteristica la specie è nota anche con il nome di panìco distico (P. distichum).
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Gramignone delle risaie (Glyceria maxima). Il nome di questa graminacea sottolinea la somiglianza con la gramigna comune, ma è più grande nella taglia (come è sottolineato anche dall’aggettivo specifico latino). Il primo nome scientifico deriva, invece, dalla (presunta) dolcezza delle cariossidi: dal greco glykeròs = dolce. Pianta con un lungo rizoma radicale strisciante nel fango, dal quale nascono nuove piantine, a loro volta munite di rizomi. Presente per lo più nei fossi di scolo, questa specie ha fusto robusto; le guaine delle foglie in controluce mostrano caratteristici setti trasversali, proprio come le guaine fogliari delle piante di riso.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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coltivazione Ciperacee Simili alle graminacee sono le piante appartenenti alla famiglia delle Ciperacee, ma esse hanno fusto pieno, generalmente a sezione triangolare, senza nodi, spesso compressibile e spugnoso. I fiori sono unisessuali, riuniti su un tipo di pannocchia particolare, detta antéla (con i rami basali più corti di quelli distali). Il frutto ha solitamente la forma di un piccolissimo dardo con tre facce e contiene un solo seme. Nelle risaie italiane si trovano più frequentemente dieci specie appartenenti a questa famiglia: otto specie di zigoli (caratteristici per le spighette distiche, cioè formate da un asse ai lati del quale sono inserite due file parallele di fiori) e due specie di lische (caratterizzate da spighette coniche formate da un asse attorno al quale sono disposti i fiori). Tutte le specie sono descritte nelle due pagine seguenti.
Caratteri principali delle piante ciperacee
Infiorescenze (antele) di Ciperacee: zigolo ferrugineo (in alto) e zigolo comune (in basso)
Anche il papiro appartiene alla famiglia delle Ciperacee
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flora spontanea Zigolo dolce (Cyperus esculentus). Fra gli zigoli (Cyperus) è quello più diffuso, caratterizzato da un rizoma affondato nel fango, ricco di tuberetti ovoidali impiegati in passato come alimento (rappresentato spesso su affreschi di templi egiziani); ancora oggi si coltiva per questo scopo e per altri (in Spagna si coltiva, con il nome di Chufa, per ottenere una bevanda tipo la nostra orzata, l’Horchata). L’uso come alimento è ricordato anche nell’aggettivo latino esculentus (mangereccio). Il primo nome latino, invece, deriva da kypeiros, nome con il quale nel mondo greco antico erano indicate queste piante. Questa specie ha una tipica infiorescenza dorata, facilmente individuabile per questa caratteristica. Il frutto ha la forma di un piccolo dardo (2 mm). Frutticino a dardo producono anche le seguenti specie: zigolo delle risaie (C. difformis), senza rizoma, con frutto giallastro lungo meno di 1 mm, z. nero (C. fuscus), senza rizoma, con frutto chiaro e infiorescenza violacea, z. glabro (C. glaber), senza rizoma, con frutticino clavato e infiorescenza contratta, z. ferrugineo (C. glomeratus), senza rizoma, con infiorescenza ferruginosa e spighe appressate fra loro a formare dei glomeruli, z. comune (C. longus), con grossi rizomi scuri e pannocchie molto rade e, quindi, z. americano (C. strigosus), senza rizomi, con frutti lunghi fino a 2 mm e con rametti dell’infiorescenza che si disarticolano dopo la maturazione. Particolare per la forma del frutto è, infine, lo z. tardivo (C. serotinus), munito di rizoma, con antéla arrossata e frutticino biconvesso lungo circa 2 mm.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Zigolo dolce Infestazione di zigolo delle risaie
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coltivazione Lisca marittima (Bolboschoenus maritimus). Le piante sono simili a quelle degli zigoli, tranne che per la forma delle spighette e per avere frutticini non trigoni ma a forma di fuso (con due facce scanalate). Il fusto che porta l’infiorescenza ha alla sommità due o più brattee fogliacee. La specie è perenne, munita di tenaci rizomi lunghi e a tratti ingrossati, tuberiformi, simili a piccoli bulbi e con fusti lucidi e trigoni, usati per fare legacci; è a queste due caratteristiche che si riferisce il nome latinizzato della specie: dalle parole greche bolbos = bulbo e skoinòs=legaccio.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Lisca mucronata (Schoenoplectus mucronatus). Differisce dalla specie precedente principalmente per l’assenza di brattee erbacee alla sommità dei fusti che portano l’infiorescenza. Anche i fusti di questa specie si usavano per farne legacci e cesti (dal greco skoinòs = legaccio e plektos = intrecciato); l’aggettivo mucronatus si riferisce, invece, al piccolo mucrone presente alla sommità di ogni gluma. Questa specie si sviluppa da rizomi immersi nel fango. I fusti sono flaccidi, a sezione triangolare. Il frutticino è a forma di clava, di colore nero e con la superficie zigrinata.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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flora spontanea Specie di altre famiglie Mazzasorda o lisca maggiore (Typha latifolia). Il fusto è eretto, cilindrico, coriaceo, lucido, alto fino a tre metri e porta all’apice un’infiorescenza cilindrica e soda, formata dai soli fiori femminili, che con il tempo si sfalda in un morbido batuffolo cotonoso, usato in passato anche per imbottire i materassi. All’estremità superiore, su un prolungamento sottile, si trovano i fiori maschili. Nei luoghi umidi si trovano anche altre specie simili alla precedente; in particolare la l. minore (T. angustifolia), con foglie strette e corte.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Giunco fiorito (Butomus umbellatus). I suoi stupendi fiori rosa, che appaiono da maggio a settembre, sono riuniti in infiorescenze a ombrella (umbellatus) portate all’apice di fusti lucidi, cilindrici e senza foglie. Il primo nome latino deriva dalla forma delle foglie che “tagliano la lingua del bue” (dal greco bus = bue e temnos = taglio... la lingua). Le foglie partono direttamente dalla base della pianta, hanno sezione triangolare, sono ricche di canali aeriferi. Questa specie raramente si riproduce per semi, ma affida la sua riproduzione quasi esclusivamente a bulbi-rizomi.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
399
coltivazione Coltellaccio maggiore (Sparganium erectum). È così chiamato per la forma delle foglie, simili a lunghe lamine di coltello; anche il nome latino mette in risalto la forma particolare delle foglie (dal greco spàrganon = nastro). Pianta perenne con rizoma strisciante, generalmente immerso nel fango. I fiori sono unisessuali, piccolissimi e riuniti, sulla stessa pianta, in capolini sferici disposti su pannocchie ramificate a zig-zag. I capolini maschili sono molto più piccoli di quelli femminili e sono posti all’apice dell’infiorescenza.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Ammania (Ammania). Si tratta di piante annuali, che si riproducono solo mediante semi. Hanno fusto quadrangolare sul quale si inseriscono, alternate e incrociate, coppie opposte di foglie orizzontali senza picciolo. I fiori, di colore rosa più o meno intenso, sono inseriti in gruppetti, nel punto di inserzione delle foglie sul fusto. Ogni fiore matura una capsula globosa contenente miriadi di semi. Nelle risaie italiane si incontrano con una certa frequenza due specie: l’ammania a fiori peduncolati (A. auricolata) e l’a. arrossata (A. coccinea), rappresentata sotto. Foto R. Angelini
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
400
flora spontanea Rotala americana (Rotala ramosior). È molto simile alle specie precedenti, quando si trova allo stadio giovanile. Il nome deriva dal latino e si riferisce alle foglie che sembrano “rotate” rispetto al fusto. In fase di fioritura e di fruttificazione però la specie si distingue dalle ammanie perché, al posto dei gruppetti di fiorellini, nascono fiori singoli oppure rametti con molti fiori (rosati). È una specie poco competitiva, tipicamente acquatica, di taglia limitata (massimo 30-35 cm), che germina a partire dal mese di maggio in sommersione; la piena fioritura avviene in luglio-agosto.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Erba miseria delle risaie (Murdannia keisak). Potrebbe essere confusa con la specie precedente, in particolare allo stadio giovanile, ma un esame attento consente di rilevare che essa ha foglie non appaiate ma alternate lungo il fusto. Quest’ultimo è gracile, ramificato, cilindrico, prostrato sul terreno e radicante ai nodi. I fiori, riuniti in piccoli gruppi all’ascella delle foglie, sono costituiti da tre petali bianco-rosei e maturano una capsula clavata, con tre loculi interni, contenente moltissimi semi minuscoli. È una specie perenne che però in Italia si riproduce solo tramite semi.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
401
coltivazione Erba miseria asiatica (Commelina communis). Appartiene alla stessa famiglia della specie precedente, dalla quale si differenzia essenzialmente per avere fiori con due soli petali azzurro-violacei evidenti (il terzo petalo è molto piccolo) e minuscole infiorescenze avvolte da una brattea. Il fusto è molle, zigzagante, prostrato sul terreno e radicante ai nodi. Il frutto è una capsula con due loculi contenenti semi reniformi, rugosi e marroni. Questa specie, come la precedente, ha avuto origine da piante ornamentali che sono sfuggite alla coltivazione e si sono diffuse come infestanti.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Forbicine (Bidens). Devono il nome scientifico alla forma del frutto (achenio) sormontato da due (Bi) denti (dens), simile nella forma all’insetto Forficula auricolaria, detto comunemente forbicina. La forbicina intera (Bidens cernua) è così detta perché ha foglie intere. Le altre tre specie descritte hanno, invece, foglie composte per lo più da tre segmenti. La f. comune (B. tripartita) ha foglie con segmenti non peduncolati. La f. peduncolata (B. frondosa è così detta perché ha il segmento terminale di ogni foglia con un evidente peduncolo, proprio come la f. pelosa (B. pilosa).
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
402
flora spontanea Eclipta (Eclipta prostrata). Il suo nome deriva dal greco e indica l’assenza di pappo sui frutti. È una specie che si riproduce solo per seme. Ha fusto eretto scabro. Le foglie sono lanceolate strette, leggermente denticolate sul bordo. I capolini hanno un diametro di circa 1 cm e sono costituiti da fiori bianchi, ligulati e sterili quelli periferici, senza ligule e fertili quelli interni. Ogni fiore fertile matura un frutto cuneiforme, chiaro, con superficie tubercolata. Da adulta la pianta raggiunge una notevole taglia e generalmente supera in altezza le piante di riso.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Poligono anfibio (Polygonum amphybium). Il nome è ispirato al fusto nodoso (poly = molti e gony = nodi-ginocchi); l’aggettivo specifico si riferisce al modo di vegetare delle piante: in parte sulla terra ferma e in parte nell’acqua. Possiede fusti lunghissimi e cavi, oltre a foglie galleggianti con lunghi piccioli. La forma terrestre sviluppa fusti quasi eretti, non più alti di 60-80 cm, con foglie più piccole di quelle della forma acquatica. Da ogni fiore si sviluppa un frutticino a forma di dardo, lucido, bruno. La specie si riproduce, oltre che per semi, anche tramite un rizoma rossastro e nodoso. Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
403
coltivazione Mestolaccia comune (Alisma plantago-aquatica). Il primo nome latino era già usato dagli antichi greci per indicare alcune piante acquatiche mentre i due aggettivi specifici derivano dalla somiglianza della forma delle foglie con quelle della piantaggine di terra. Le prime foglie emesse sono nastriformi e rimangono sommerse mentre le foglie più recenti hanno un lungo picciolo cavo e una lamina ovale acuta alla sommità. La specie si riproduce soprattutto per seme ma può moltiplicarsi anche per via vegetativa, per mezzo di un rizoma tuberoso immerso nel fango. La mestolaccia lanceolata (Alisma lanceolatum) ha lamina fogliare lanceolata. Le popolazioni che vivono in risaia o nei canali sono soprattutto piante perenni.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Vandellia delle risaie (Lindernia dubia). Specie annuale, che si riproduce solo mediante semi, con taglia ridotta (10-25 cm di altezza), con fusti più o meno eretti, angolosi. Le foglie sono ovate, dentellate sul bordo. I fiori hanno quattro stami (due dei quali sono sterili e senza antere) e corolla irregolare, saldata alla base, di colore bianco-rosea. v. palustre (L. procumbens) differisce dall’altra per le foglie non dentate sul bordo e per avere i quattro stami di ogni fiore muniti di antere e fertili.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
404
flora spontanea Erba coltella delle risaie (Ottelia alismoides). Il nome italiano mette in risalto la forma delle foglie, simile a quella di un coltello; questa forma però si riferisce alle prime foglie emesse dalla pianta, ma le foglie nate successivamente hanno la lamina espansa, che si allarga sempre di più nelle foglie più recenti. Si tratta di una pianta con fusto cortissimo e perciò con foglie disposte in una rosetta appressata al terreno. I fiori, bianco-azzurrognoli, sporgono dalla superficie dell’acqua mentre le foglie rimangono generalmente sommerse.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Brasca comune o lingua d’acqua (Potamogeton natans). Deve il nome italiano alla forma delle foglie. Il nome scientifico (pòtamos = fiume e gheiton = vicino) e mette in luce le zone di elezione delle piante. Le foglie galleggianti sono lucide, hanno lungo picciolo e lamina ellittica. I fiori sono molto piccoli, privi di petali, riuniti in infiorescenze cilindriche. Da ogni fiore origina un frutto a forma di goccia che contiene moltissimi semi. Molto simile alla precedente è la brasca nodosa (Potamogeton nodosus) che ha foglie prettamente lanceolate. Altre specie che si possono trovare (raramente) sono: b. arrotondata (P. perfoliatus), b. increspata (P. crispus) e b. delle lagune (P. pectinatus).
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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coltivazione Eterantera azzurra (Heteranthera rotundifolia). Si tratta di piante con fusto strisciante e immerso nel fango, avvolto da evidenti brattee. Ogni fiore è formato da tre tepali di colore azzurro intenso, due dei quali di forma irregolare e biancastri alla base. L’apparato maschile è formato da tre stami; uno è più lungo degli altri, ciò ha ispirato il nome di queste piante: dal greco hèteros = diverso e antera. La specie più diffusa però è l’eterantera a foglie reniformi (H. reniformis) che ha tepali bianchi e, come si arguisce dal nome, foglie reniformi.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Erba saetta (Sagittaria sagittifolia). Deve il nome alla forma delle foglie (dal latino sagitta = freccia). La forma di freccia si riferisce alle foglie che sporgono dall’acqua, ma la pianta forma anche foglie immerse, strettamente lanceolate. Il fusto è corto, suberificato, immerso nell’acqua. I fiori sono unisessuali e raccolti in infiorescenze a grappolo. Molto simile alla precedente è la sagittaria americana (Sagittaria latifolia), che differisce dall’Erba saetta principalmente per la forma arrotondata dei lobi basali delle foglie. Questa specie (vedi sotto) vegeta generalmente ai bordi delle camere.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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flora spontanea Trifoglio acquatico comune (Marsilea quadrifolia). A dispetto del suo nome italiano, ha foglie formate da quattro segmenti incrociati, come è sottolineato dall’aggettivo specifico latino. Le foglie hanno lamina espansa cosparsa di una sostanza cerosa idrofuga e un lungo picciolo che permette alla lamina di galleggiare sul pelo dell’acqua. Il picciolo parte direttamente da un rizoma immerso nel fango sul quale sono visibili, a maturità, sporocarpi peduncolati (vedi sotto a destra), nei quali maturano le spore: questa specie, infatti, è una Pteridofita e perciò non forma né fiori né semi.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata). Il nome latino si riferisce alla presunta facoltà dell’infuso di questa pianta di regolare il flusso mestruale (dal greco men = mese e anthos = fiore). Nel Medioevo l’infuso era consigliato contro lo scorbuto mentre attualmente è ritenuto un ottimo rimedio contro l’atonia digestiva; in Irlanda lo si usava per eliminare le vesciche callose e per purificare il sangue, gli inglesi usavano le foglie secche per insaporire la birra o per migliorare l’aroma delle sigarette, in Lapponia dal suo rizoma si estrae una fecola adatta per la panificazione.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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coltivazione Millefoglie d’acqua (Myriophyllum spicatum). Il nome latino e quello italiano si riferiscono all’aspetto delle foglie, composte da molti elementi (lacinie) filiformi (dal greco myrios = innumerevole e fyllon = foglie). Il fusto ha consistenza molle per assecondare il flusso dell’acqua. Tutta la pianta è immersa nell’acqua, tranne le infiorescenze; queste ultime portano fiori femminili rosa, disposti alla base, e fiori maschili (con soli stami) alla sommità. Una specie simile alla precedente è il millefoglie d’acqua ascellare (M. verticillatum) che ha spighe fogliose.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Limnofila (Limnophila indica x L. sessiliflora). Questo ibrido ha foglie di due tipi: quelle sommerse sono verticillate nella parte inferiore del fusto e sono formate da lacinie capillari ramificate; anche le foglie emerse, che si trovano all’estremità superiore dei fusti, hanno lamina finemente suddivisa ma in lacinie un po’ più larghe. I fiori hanno corolla bilabiata di colore rosato-giallastro, sono riuniti in verticilli all’ascella delle foglie apicali e maturano ognuno una piccola capsula ovoidale contenente molti semi. La specie si moltiplica anche per via vegetativa. Foto R. Angelini
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
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Foto R. Angelini
flora spontanea Alghe Le alghe non sono da considerare vere e proprie piante infestanti ma ostacolano seriamente la coltivazione del riso, specialmente durante le prime fasi di sviluppo delle piantine, durante la germinazione e la nascita del cereale. Possono vivere dappertutto, anche se solitamente abitano i luoghi acquosi. Il loro corpo è molto semplice, formato da una sola cellula o da singole cellule che si uniscono insieme per formare colonie. Per questa loro semplicità sono anche dette piante inferiori, per distinguerle dalle piante “superiori” organizzate in tessuti specializzati. Il corpo delle alghe è detto tallo perché manca di radici, di fusto e di foglie, presenti, invece nelle piante superiori il cui corpo è detto cormo. Si dividono, in base alla colorazione, in: Cianofite (di colore verdeazzurro), Clorofite (verdi), Rodofite (rosse), Feofite (brune) ecc. Queste colorazioni sono date dalla presenza nelle cellule di diversi pigmenti, spesso variamente associati fra loro, con la prevalenza dell’uno o dell’altro (per esempio nelle Clorofite prevalgono quelli verdi delle varie clorofille; nelle Alghe azzurre prevale la ficocianina; in quelle rosse c’è una cospicua presenza di ficoeritrina e di carotina; nelle Alghe brune abbonda la ficoxantina ecc.). Alga reticolata (Idrodictyon reticulatum) è verde-giallognola, della famiglia Idrodictiacee, costituente del plancton. Le colonie di cellule formano agglomerati tipo sacco, lunghe anche qualche metro, con pareti reticolate. Quest’alga compare subito dopo la semina del riso e raggiunge il massimo sviluppo verso la fine della primavera. L’alga verde filamentosa (Sphaeroplea annulina) appartiene alla famiglia Sferopleacee. Forma masse filamentose (filamenti non ramificati), dapprima di colore verde, che diventano marrone-rossastre col passare del tempo.
assente o sporadica discreta presenza elevata presenza
Alga reticolata Alga verde filamentosa
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coltivazione
Alghe
• Le alghe rappresentano un universo
ancora non completamente esplorato dagli uomini. Si è appurato che l’eccessiva proliferazione di alcune microalghe marine provoca gravi alterazioni ambientali, con danni all’ecosistema di vasti tratti di coste, con la produzione di tossine e altre sostanze che si accumulano in prodotti ittici utilizzati dall’uomo o che determinano gravi affezioni alla pelle e scompensi respiratori
Alga spiralata
L’alga spiralata (Spirogyra) forma ammassi filamentosi natanti o a volte fissati al substrato; ha aspetto di ovatta viscida verde brillante. Appartiene alla famiglia delle Zignematacee ed è formata da cellule aggregate in colonie, tenute insieme da una sostanza gelificata derivante dalla parete cellulare. Il colore verde è dato dalla clorofilla contenuta in corpuscoli (cloroplasti) nastriformi o spiralati (da cui il nome). Alga candelabro (Chara foetida). Ha corpo puzzolente, apparentemente formato da fusto e foglie filamentose riunite in una struttura a candelabro (da cui il nome). Si fissa nel fango tramite rizoidi filamentosi, formando estese praterie sommerse. Appartiene alla famiglia delle Caracee e si incrosta facilmente del calcare disciolto nell’acqua (le incrostazioni si possono apprezzare anche al tatto); per questo motivo esse rappresentano un costituente importante del tufo calcareo.
• Lo sfruttamento di alcune specie è allo
studio per produrre biodiesel naturale o per la produzione di idrogeno “verde” da utilizzare come alternativa ai combustibili fossili. Esiste inoltre un’intensa coltivazione di alcune alghe verdi che sono impiegate con successo nell’algoterapia (rilassamento muscolare, eliminazione di tossine e rimineralizzazione della pelle avvolta da alghe) o in cosmesi o come solventi in prodotti utilizzati frequentemente (dentifrici, crema da barba ecc.)
Coltivazione delle alghe in serra Alga candelabro: il particolare mette in risalto le incrostazioni calcaree
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flora spontanea Specie delle risaie in asciutta Nella coltivazione in asciutta si semina il riso come si fa per il grano e si allaga la risaia circa un mese dopo, quando le piantine hanno emesso tre o quattro foglie, dopodiché la risaia rimane allagata come nella coltivazione tradizionale. Un altro sistema di coltivazione prevede l’allagamento solo temporaneo della risaia e solo con turni prestabiliti da disposizioni provinciali. In questi casi, ed in particolare nel secondo, la risaia si affolla di specie infestanti che competono con il cereale, principalmente durante le prime fasi di crescita nel caso della semina interrata e per tutto il ciclo di coltivazione in asciutta.
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Panico delle risaie Foto R. Angelini
Pabbio
Sanguinella
Si tratta di infestanti che nascono tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, che solitamente si trovano nelle colture estive coltivate in asciutta, come il mais, la soia ecc., e sono più dannose nei casi in cui il riso segue nella rotazione una di queste colture. Le specie più comuni, oltre al giavone comune e alle varie specie di zigoli, sono quelle rappresentate di seguito. Tra le Graminacee spiccano: pabbio (Setaria spp.), panico delle risaie (Panicum dichotomiflorum), sanguinella comune (Digitaria sanguinalis) e sorghetta (Sorghum halepense); tra le dicotiledoni prevalgono le poligonacee (Poligono a foglie di lapazio = Polygonum lapathifolium e P. persicaria) e la pomidorella (Solanum nigrum, famiglia delle Solanacee).
Poligono a foglie di lapazio Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Foto R. Angelini
Pomidorella Poligono persicaria
Sorghetta
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il riso
coltivazione Gestione delle malerbe Aldo Ferrero, Francesco Vidotto
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Gestione delle malerbe Introduzione Le importanti innovazioni tecnologiche introdotte a partire dagli anni ’60, principalmente legate alla meccanizzazione e all’impiego dei prodotti chimici di sintesi per la difesa e la fertilizzazione, hanno determinato profonde modificazioni nelle tecniche gestionali della coltura del riso. Questa condizione, che è stata favorita anche da una costante riduzione della mano d’opera disponibile in agricoltura, ha dato luogo a una sempre maggiore semplificazione delle pratiche colturali e ad una spinta diffusione della monosuccessione colturale. Nel volgere di pochi anni si è assistito, per esempio, all’adozione della semina diretta in luogo del trapianto, del diserbo chimico in sostituzione della monda manuale e ad un crescente impiego di sementi importate da altri Paesi. Questa profonda revisione intervenuta nelle pratiche colturali ha avuto una forte influenza sull’evoluzione del quadro malerbologico delle risaie. In un breve arco di tempo, infestanti giudicate relativamente poco pericolose, come il riso crodo o altre malerbe sconosciute nei nostri ambienti risicoli, come Heteranthera spp., Echinochloa phyllopogon, Rotala spp., Cyperus difformis, Ammania verticillata, Murdannia spp. e Leptochloa spp., hanno raggiunto gradi di diffusione così elevati da richiedere, per alcune di esse, specifici programmi di lotta.
Malerbe in risaia
• Il quadro malerbologico riportato
oggi per il riso è la risultante di una dinamica evolutiva registratasi già a partire dagli inizi del secolo scorso, con l’importazione di semente da altri Paesi e, nel tempo, con la continua introduzione di nuove tecnologie nella coltivazione del cereale (meccanizzazione delle tecniche colturali, semina diretta, diserbo chimico, varietà a taglia ridotta e a ciclo breve ecc.) Foto R. Angelini
Gestione della vegetazione infestante Nel riso, ancor più che nelle altre colture agrarie, il successo nella gestione della vegetazione infestante è fortemente dipendente dalle tecniche agronomiche adottate durante la coltivazione. In particolare, sono da considerarsi favorevoli le
Echinochloa phyllopogon
Foto R. Angelini Foto R. Angelini
Cyperus difformis Infestazione di Heteranthera reniformis
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gestione delle malerbe pratiche che consentono alla coltura di esercitare, in anticipo rispetto alle infestanti, una forte competizione per l’utilizzo delle risorse (luce e nutrienti). È infatti dimostrato che le perdite produttive più consistenti si verificano a seguito della presenza di infestanti in attiva crescita, durante le prime fasi di sviluppo della coltura, mediamente corrispondenti ai primi trenta giorni dopo l’emergenza del riso. Un rapido e uniforme insediamento della coltura favorisce la sua capacità competitiva nei confronti delle malerbe, creando, nel contempo, le condizioni più favorevoli per gli interventi di diserbo chimico. La gestione sostenibile delle malerbe in risaia si fonda, in genere, su una corretta combinazione di mezzi chimici e agronomici, non essendo gli stessi comunemente in grado di fornire un soddisfacente e duraturo contenimento delle infestazioni, se impiegati singolarmente.
Foto R. Angelini
Lavorazioni e sistemazione del terreno Alcune pratiche, come la sistemazione e la preparazione del terreno, la gestione dell’acqua, la modalità di semina e di coltivazione, la rotazione e la scelta varietale possono avere un’importante influenza sull’evoluzione delle popolazioni di piante infestanti e sull’efficienza degli strumenti di lotta impiegati. Le diverse operazioni di preparazione del terreno, quali per esempio l’aratura, il livellamento e l’erpicatura, possono condizionare, in maniera spesso sostanziale, i risultati dei diversi programmi di gestione delle infestanti, per gli importanti effetti che possono avere sia sull’insediamento della coltura, sia sulle dinamiche di sviluppo delle infestanti. In relazione a quest’ultimo aspetto, in particolare, le lavorazioni sono in grado di devitalizzare le piante già emerse e di limitare i flussi germinativi, a seguito dell’induzione della dormienza, nei semi delle malerbe. Anche il grado di amminutamento del terreno può svolgere un ruolo nello sviluppo delle infestazioni. Zolle con dimensioni di 4-7 cm favoriscono l’insediamento della coltura in quanto proteggono i semi dall’azione del moto ondoso causato dal vento, riducendo il rischio di sradicamento delle plantule. Con zolle di maggiori dimensioni aumenta il rischio che una parte del terreno rimanga solo parzialmente coperta dall’acqua di sommersione, creando condizioni favorevoli all’emergenza di infestanti, soprattutto graminacee. L’uniformità delle pendenze all’interno delle camere della risaia, ottenuta mediante dispositivi a controllo laser, consente di regolare il livello delle acque, di contenere lo sviluppo delle malerbe e di assicurare un’emergenza uniforme delle stesse, favorendo l’azione dei diserbanti. La maggiore superficie delle camere, ottenibile grazie a un miglior livellamento del terreno, determina, inoltre, la presenza di un minor numero di argini e di solchi colatori dai quali possono diffondersi molte malerbe.
Ammania verticillata
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Leptochloa fascicularis
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coltivazione Gestione dell’acqua Nel corso degli anni il governo dell’acqua di sommersione ha subito profonde modificazioni, in relazione alle diverse caratteristiche di sviluppo delle nuove varietà, che gradualmente sono state introdotte (differente vigore vegetativo nei primi stadi di sviluppo, taglia alta o bassa delle piante, differente capacità di accestimento ecc.) e alle specifiche esigenze legate alle tecniche di lotta impiegate. I sistemi attualmente più seguiti prevedono il mantenimento di un livello dell’acqua di circa 5-7 cm dalla semina, sino allo stadio di pieno accestimento del riso e di 12-15 cm da questa fase fino a qualche settimana prima della raccolta. L’elevato spessore dello strato d’acqua è in grado di limitare sensibilmente la crescita di alcune infestanti, come per esempio il giavone (Echinochloa crus-galli), mentre ha scarso effetto su altre infestanti, quali per esempio le eterantere (Heteranthera spp.), maggiormente adattate agli ambienti acquatici. Gli effetti sono ovviamente di tipo opposto nel caso dell’asciutta, ovvero della rimozione temporanea dell’acqua di sommersione che viene attuata mediamente 2-3 volte per brevi periodi (alcuni giorni) durante la stagione colturale. Questa tecnica, comunemente adottata per stimolare il radicamento del riso poco dopo la sua emergenza, per favorire l’azione degli erbicidi ad assorbimento fogliare, oltre che per consentire la distribuzione di concimi in copertura e la lotta alle alghe, ha una forte azione di stimolo sulla germinazione dei semi di giavone e di inibizione dello sviluppo delle eterantere. Talvolta, soprattutto nei terreni leggeri, il riso viene seminato interrando il seme su terreno asciutto e sommerso solo a partire da circa 20-30 giorni dopo la semina, al raggiungimento dello stadio di 3-4 foglie. In questo caso, le condizioni di asciutta della prima parte del ciclo determinano
Gestione sostenibile delle malerbe in risaia
• Nel riso, ancor più che nelle altre colture
agrarie, il successo nella gestione sostenibile delle piante infestanti è legato all’applicazione di strategie operative, che permettano di integrare pratiche agronomiche in grado di contenere la pressione delle malerbe e metodi di lotta basati sulla precocità e tempestività di intervento, nonché sulla scelta di diserbanti compatibili con l’ambiente e più idonei alle specifiche condizioni di infestazione
Infestazione di giavone, in secondo piano, a confronto con riso diserbato, in primo piano
Foto R. Angelini
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gestione delle malerbe una minore o ritardata presenza di alcune specie tipicamente acquatiche, ma comportano lo sviluppo di infestanti caratteristiche delle colture non sommerse, quali per esempio Panicum dichotomiflorum, Digitaria sanguinalis, Polygonum spp. In presenza di autunni particolarmente miti, la sommersione delle camere successiva alla raccolta del riso può stimolare la germinazione di parte dei semi delle infestanti prodotti durante la stagione colturale appena conclusa, contribuendo alla riduzione della banca semi. Le plantule emerse in questo periodo verranno, in seguito, devitalizzate a causa dell’esposizione alle basse temperature dei mesi invernali. Alcune esperienze condotte nelle risaie vercellesi hanno fatto rilevare una forte riduzione del numero di semi di riso crodo presenti in superficie, a seguito della sommersione praticata subito dopo la raccolta e mantenuta in modo continuo sino alla primavera successiva. Tale risultato è, verosimilmente, da porre in relazione a uno stimolo di flussi di emergenze in autunno e ad un aumento della predazione durante il periodo invernale, soprattutto a opera degli uccelli acquatici, per i quali le camere sommerse rappresentano un ambiente particolarmente favorevole per lo svernamento. Sebbene non siano noti studi dettagliati sulla reale consistenza della predazione, si ritiene che questo fenomeno possa, comunque, svolgere un ruolo molto importante sull’evoluzione della banca semi delle infestanti del riso. Va, però, osservato che al riguardo è stata dimostrata l’esistenza di una relazione tra la composizione e la numerosità delle popolazioni di uccelli presenti nell’ambiente di risaia e la gestione dell’acqua (sia durante la stagione colturale sia durante l’inverno), la gestione delle paglie e il numero di anni in cui è stata mantenuta la coltivazione del riso nella stessa camera.
Foto R. Angelini
Panicum dichotomiflorum Foto R. Angelini
Scelta varietale In questi ultimi anni si è assistito in Italia a un aumento della coltivazione di varietà di tipo indica e a ciclo breve. Il crescente interesse verso queste ultime varietà è principalmente dovuto alla necessità di evitare di esporre la coltura agli effetti negativi delle basse temperature dei mesi primaverili (aprile) e di fine estate (agosto), ovvero nei momenti in cui la coltura si trova nelle delicate fasi di emergenza e fioritura. Questa esigenza ha favorito la selezione di varietà caratterizzate da buona capacità produttiva, che, seminate nel mese di maggio, raggiungono la fase di fioritura entro il mese di luglio. La disponibilità di varietà a ciclo breve ha reso più facilmente applicabile anche la lotta al riso crodo, effettuata per lo più prima della semina della coltura, utilizzando la tecnica della falsa semina.
Digitaria sanguinalis Foto R. Angelini
Uso delle attrezzature La maggiore larghezza delle macchine operatrici ha consentito di ridurre il numero di passaggi per unità di superficie, riducendo la presenza di infestazioni tardive, in particolare di riso crodo e giavo-
Polygonum lapathifolium
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coltivazione ni, che possono svilupparsi lungo le carreggiate prodotte dal transito, nelle camere di risaia, di trattrici e macchine trainate, dotate di ruote metalliche dentate. Inoltre, la diffusione di attrezzature per la distribuzione dei diserbanti, sempre più tecnologicamente perfezionate, ha permesso di ridurre i volumi e le pressioni di applicazione di molti erbicidi, migliorando l’efficienza dei trattamenti e riducendo gli errori operativi o il rischio di inquinamento ambientale.
Foto R. Angelini
Difesa erbicida Le modalità di gestione delle malerbe in risaia con mezzi chimici sono fortemente condizionate dal tipo di semina e di gestione della coltura, nonché dalle specie infestanti presenti. In particolare, risulta determinante il grado di infestazione del riso crodo. In funzione del tipo di semina e delle specie infestanti presenti, i programmi operativi sono essenzialmente riconducibili a tre tipologie operative: – semina in acqua, in assenza di riso crodo; – semina in acqua, in presenza di riso crodo; – semina in asciutta e sommersione alla 3a-4a foglia della coltura. Semina in acqua in assenza di riso crodo In queste condizioni sono comunemente presenti infestazioni formate da giavoni, ciperacee, alismatacee, butomacee ed Heteranthera spp. Di norma, si rendono necessari due o tre interventi di diserbo. Nel caso di infestazioni ridotte (soprattutto di eterantere e giavoni), presenti, normalmente, solo con l’inserimento del riso in una rotazione, è possibile il ricorso a un unico trattamento, in post-emergenza precoce. Nella maggior parte dei casi, il primo intervento di controllo chimico viene effettuato, principalmente, contro le eterantere, una
Riso crodo
Trattamento diserbante con attrezzatura a manica d’aria per la riduzione dell’effetto deriva
Foto N. Marangon
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gestione delle malerbe parte dei giavoni e altre infestanti da seme. Questa strategia operativa prevede l’impiego di oxadiazon, da solo o in miscela con un giavonicida residuale a una dose leggermente ridotta (per es. tiobencarb) per devitalizzare i giavoni in germinazione o al massimo con una foglia; quest’ultima condizione si potrebbe presentare a seguito di un’erpicatura per la preparazione del letto di semina troppo anticipata rispetto alla sommersione, o di una erpicatura non eseguita correttamente. Con questo programma operativo, si rende indispensabile intervenire in post-emergenza, con un unico trattamento erbicida o con due interventi, a distanza di qualche giorno l’uno dall’altro, in relazione al tipo di diserbante utilizzato. Se il trattamento contro le eterantere è risultato efficace, gli interventi di post-emergenza hanno come principale bersaglio giavoni, ciperacee, alismatacee e B. umbellatus. Questi prevedono, generalmente, l’utilizzo di una miscela di due o più erbicidi, che dovranno essere scelti in base alle specie infestanti prevalenti e applicati secondo le esigenze specifiche dei principi attivi utilizzati. Nel caso si intenda effettuare un unico intervento precoce e non vi siano par-
Foto R. Angelini
Butomus umbellatus
Alismatacee
Sagittaria sagittifolia
Sagittaria sagittifolia
Alisma lanceolatum
Alisma plantago-aquatica
Sagittaria latifolia
Sagittaria latifolia
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coltivazione ticolari problemi nel mantenere il terreno sommerso per alcuni giorni dopo l’esecuzione del trattamento, è possibile ricorrere a una miscela di molinate o tiobencarb + ALS-inibitori, a prevalente azione contro ciperacee, butomacee e alismatacee alla dose piena raccomandata, 20‑30 giorni dopo la semina. Una soluzione in grado di garantire buoni risultati nei confronti dei giavoni e della maggior parte delle altre infestanti del riso è rappresentata dall’applicazione di profoxydim in abbinamento con ALS-inibitori, a prevalente azione contro ciperacee, alismatacee e butomacee. Di particolare interesse sono, in queste condizioni operative, anche gli interventi con i polivalenti erbicidi azimsulfuron, orthosulfamuron, bispyribac-sodium e penoxsulam (questi ultimi due molto efficaci anche contro i giavoni “bianchi”). Le strategie di diserbo che prevedono trattamenti ripetuti sono, comunemente, più impegnative di quelle basate sull’intervento unico. In numerosi casi, tuttavia, forniscono una maggiore flessibilità operativa, in relazione all’epoca di intervento e alle modalità di applicazione. Interventi di diserbo eseguiti con una doppia applicazione, da effettuarsi a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, possono essere eseguiti anche utilizzando propanile o cyalofop-butyl in miscela con ALS-inibitori a prevalente azione contro ciperacee, alismatacee e butomacee. Queste possibili soluzioni differiscono tra loro per le condizioni in cui si deve trovare il terreno al momento dell’intevento: per propanile e cyalofop-butyl è necessaria l’asciutta della risaia, mentre per gli ALS-inibitori è preferibile la presenza di terreno bagnato. Cyalofop-butyl è da preferirsi al propanile nel caso in cui si debba intervenire in anticipo con il
Cyperacee
Schoenoplectus mucronatus
Cyperus serotinus
Cyperus esculentus
Bolboschoenus maritimus
Gestione delle infestanti nella risaia a semina in acqua con assenza di riso crodo Epoca e infestanti
Diserbanti (pp.aa.)
Heteranthera spp., Echinochloa spp., ciperacee, alismatacee, butomacee Pre-emergenza (contro Heteranthera spp. ed Echinochloa spp.)
Oxadiazon + tiobencarb o molinate o bensulfuron-metile
Post-emergenza (10-30 gg) (contro Echinochloa spp., ciperacee, alismatacee, butomacee) con 1-2 trattamenti
Tiobencarb o molinate + ALS-inib.1 azimsulfuron; bispyribac-sodium; profoxydim o penoxsulam o cyalofop-butyl o propanile + ALS-inib.1; propanile + triclopir (con Heteranthera spp.)
Come sopra, ma con poca Heteranthera Post-emergenza (8-25 gg) (contro Echinochloa spp., ciperacee, alismatacee, butomacee) con 1-2 trattamenti
Tiobencarb o molinate + ALS-inib.1 azimsulfuron; bispyribac-sodium; profoxydim o penoxsulam o cyalofop-butyl o propanile + ALS-inib.1; propanile + triclopir (con Heteranthera spp.)
ALS-inibitori a prevalente azione contro ciperacee, butomacee e alismatacee (bensulfuron-metile, halosulfuron-metile, imazosulfuron, metosulam, orthosulfamuron, ethoxysulfuron).
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gestione delle malerbe primo trattamento. Va segnalato, inoltre, che le formulazioni di propanile in granuli idrodispersibili consentono, rispetto a quelle liquide, un leggero anticipo del momento di distribuzione, per la loro migliore selettività verso la coltura. Con elevate infestazioni di H. reniformis è possibile aggiungere triclopir nel primo intervento, mantenendo il livello dell’acqua molto basso per ridurre gli effetti fitotossici del prodotto.
Controllo delle malerbe
• In risicoltura vengono adottate diverse
strategie di gestione delle malerbe, a seconda della modalità di semina della coltura (a spaglio su terreno sommerso o interrata a file su terreno asciutto) e del grado di presenza del riso crodo
Semina in acqua con presenza di riso crodo La presenza di riso crodo condiziona profondamente i piani di gestione delle infestanti e impone l’applicazione integrata di tecniche colturali combinate con mezzi di lotta chimici. Le tecniche colturali trovano, essenzialmente, applicazione attraverso l’impiego di seme certificato esente da riso crodo e l’inserimento del riso in rotazione con altre colture. L’applicazione dei mezzi chimici prevede il ricorso a interventi da realizzarsi prima della semina del riso, in pre- o postemergenza del riso crodo, oppure dopo la semina della coltura. Interventi in pre-semina. La lotta al riso crodo effettuata in presemina della coltura presenta, in generale, una buona efficacia nei confronti della malerba, prima che la stessa possa esercitare la sua azione competitiva nei riguardi della coltura. Questo tipo di lotta può essere realizzato in pre-emergenza o post-emergenza dell’infestante. La lotta al riso crodo in pre-emergenza dell’infestante può essere effettuata ricorrendo all’impiego di flufenacet, distribuito su risaia sommersa, circa 30 giorni prima della semina, per favorire il controllo dell’infestante in un più ampio periodo di tempo e garantire una maggiore selettività. Questo intervento
Gestione delle infestanti nella risaia a semina in acqua con assenza di riso crodo
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coltivazione determina anche una significativa riduzione delle emergenze di giavoni e altre malerbe a germinazione anticipata. Alcuni giorni (5-6) prima della semina è possibile intervenire con oxadiazon per la lotta contro Heteranthera spp.; in tal caso è consigliabile far precedere il trattamento da un ricambio di acqua. Un’altra possibilità di lotta al riso crodo è rappresentata dagli interventi effettuati dopo la nascita dell’infestante, in combinazione con la tecnica della falsa semina. L’applicazione di questa tecnica prevede la preparazione anticipata del letto di semina seguita da una sommersione temporanea della camera e da una successiva distruzione delle plantule emerse. Questa operazione può essere realizzata con un intervento meccanico (erpicatura), oppure con diserbanti a base di cicloxidim
Foto R. Angelini
Gestione delle infestanti nella risaia a semina in acqua con presenza di riso crodo
Heteranthera rotundifolia
Epoca e infestanti
Foto R. Angelini
Diserbanti (pp.aa.) Senza falsa semina
Pre-semina (25-30 gg) (contro riso crodo)
Flufenacet
Pre-semina (2-3 gg) (contro Heteranthera spp.)
Oxadiazon
Post-emergenza (25-40 gg) (contro le altre infestanti)
Azimsulfuron; bispyribac-sodium; profoxydim o penoxsulam o cyalofopbutyl o propanile + ALS-inib.1; propanile + triclopir (con Heteranthera spp.)
Post-emergenza (fioritura) (di soccorso, per evitare aumento banca semi)
Glifosate (barra umettante)
Con falsa semina
Contemporanea presenza di Heteranthera rotundiformis ed Heteranthera reniformis
Controllo delle eterantere
• Per il controllo delle infestazioni precoci di Heteranthera spp. è possibile impiegare oxadiazon a 2/3 della dose normale, 15-20 giorni prima del trattamento contro il riso crodo, applicando la dose restante del prodotto unitamente al diserbante impiegato per la lotta contro quest’ultima malerba 1
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Pre-semina (15-20 gg) (contro Heteranthera spp.)
Oxadiazon
Pre-semina (2-3 gg, post-em. del riso crodo) (contro riso crodo)
Cicloxidim, glifosate
Post-emergenza (25-40 gg) (contro le altre infestanti)
Azimsulfuron; bispyribac-sodium; profoxydim o penoxsulam o cyalofopbutyl o propanile + ALS-inib.1; propanile + triclopir (con Heteranthera spp.)
Post-emergenza (fioritura) (di soccorso, per evitare aumento banca semi)
Glifosate (barra umettante)
ALS-inibitori a prevalente azione contro ciperacee, butomacee e alismatacee (bensulfuron-metile, halosulfuron-metile, imazosulfuron, metosulam, orthosulfamuron, ethoxysulfuron)
gestione malerbe o glifosate. I migliori risultati nel controllo di questa malerba si ottengono solo quando la maggior parte dei suoi semi germinabili nel corso della stagione sono in grado di dare origine a plantule con 2-3 foglie ed essere, quindi, sensibili agli interventi di devitalizzazione applicati. La germinazione e il successivo sviluppo della malerba sono fortemente influenzati dalla gestione dell’acqua durante la falsa semina e dal metodo di lavorazione adottato per la preparazione del letto di semina. Il mantenimento del terreno in condizioni di saturazione idrica, senza sommersione, permette di ottenere uno sviluppo uniforme e contemporaneo delle plantule dell’infestante, creando le condizioni più favorevoli all’intervento di lotta successivo. La minima lavorazione del terreno è, comunemente, in grado di assicurare un numero di emergenze pari ad almeno 3 volte quelle registrate con l’aratura tradizionale. L’applicazione della lotta in post-emergenza della malerba consente difficilmente di procedere alla semina della coltura prima del 10-15 maggio, costringendo, quindi, alla semina di varietà a ciclo breve, caratterizzate, però, ancora da buona produttività, quali per esempio Gladio, Selenio, Loto. Con questa tecnica è possibile intervenire anche contro i giavoni e altre infestanti sviluppatesi prima dell’intervento di lotta con mezzi meccanici o chimici.
Riso crodo
• Diffusa in gran parte delle risaie,
questa malerba è caratterizzata dalla capacità di lasciar cadere il seme sul terreno, prima della raccolta, e dalla frequente presenza di cariossidi di colore rosso. Ha iniziato a creare seri problemi al riso, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60, principalmente a seguito dell’abbandono della pratica del trapianto e della monda manuale, all’introduzione di varietà a taglia ridotta e scarsamente competitive, alla limitata disponibilità di efficaci mezzi di lotta, nonché all’impiego di semente commerciale di riso inquinata con i suoi semi
Gestione delle infestanti nella risaia a semina in acqua con presenza di riso crodo
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coltivazione Interventi in post-semina. La lotta al riso crodo in presenza della coltura può essere realizzata intervenendo sulle tradizionali varietà con strumenti non selettivi, applicati con opportuni accorgimenti. L’utilizzo di diserbanti totali (per es. glifosate) è possibile solo in presenza di varietà a taglia ridotta e ricorrendo ad attrezzature dotate di barre lambenti o umettanti, in grado di interessare unicamente la parte apicale (pannocchia) della malerba. Nelle stesse condizioni colturali, è possibile fare ricorso anche allo sfalcio delle pannocchie della malerba con apposite attrezzature montate sulla parte anteriore di una trattrice e accoppiate a un dispositivo frantumatore a rulli; tale tecnica è oggi adottata solo occasionalmente. Ambedue gli interventi vengono eseguiti quando la competizione nei confronti della coltura ha già avuto luogo e pertanto non sono finalizzati al contenimento delle perdite produttive. Essi vanno considerati come interventi preventivi per le successive campagne colturali, in quanto hanno esclusivamente lo scopo di ridurre l’apporto di semi vitali dell’infestante al terreno. Nella lotta al riso crodo è disponibile, a partire dalla campagna agraria 2006, anche una tecnica basata sull’impiego di una varietà di riso (Libero) ottenuta con metodi di selezione convenzionale, in grado di tollerare gli erbicidi imidazolinonici. Per questo specifico impiego è possibile ricorrere all’utilizzo in post-emergenza del diserbante imazamox, dotato di un’elevata efficacia nei confronti del riso crodo e di numerose altre malerbe del riso. Si tratta di una soluzione certamente innovativa, che richiede, però, un'attenta utilizzazione per evitare il rischio di trasmissione della tolleranza al diserbante anche alle piante di riso crodo.
Foto D. Gangemi
Prova parcellare di contenimento del riso crodo con flufenacet in pre-emergenza dell’infestante
Semina in asciutta e sommersione alla 3a-4a foglia della coltura I programmi di lotta applicabili in queste condizioni operative sono strettamente legati alle diverse tipologie di infestanti che si possono sviluppare nelle due principali fasi di gestione del riso: la prima su terreno asciutto e la seconda su terreno sommerso (a partire dallo stadio di 3-4 foglie della coltura). Con questo tipo di gestione della coltura è generalmente necessario ricorrere a un intervento di pre-emergenza con pendimetalin, diserbante attivo nei confronti delle graminacee da seme. Questo trattamento è finalizzato soprattutto al contenimento di P. dichotomiflorum, infestante di difficile contenimento in post-emergenza nel riso. A pendimetalin è normalmente consigliabile aggiungere oxadiazon, se si prevedono emergenze successive di Heteranthera spp., o tiobencarb, nel caso in cui si tema una forte infestazione di giavoni e altre graminacee. Il trattamento con pendimetalin deve essere effettuato non oltre 3-4 giorni dopo la semina, per evitare effetti fitotossici sul riso in germinazione. In condizioni di terreno asciutto e in assenza di precipitazioni nei giorni successivi al trattamento è opportuno ricorrere a una leggera irri-
Infestazione di Leptochloa fascicularis
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gestione delle malerbe Gestione delle infestanti nella risaia a semina in asciutta Epoca e infestanti
Diserbanti (pp.aa.)
Pre-emergenza (contro Echinochloa spp., Panicum dichotomiflorum, Heteranthera spp.) (contro Echinochloa spp., Panicum dichotomiflorum, Heteranthera spp., poligonacee)
Pendimetalin; clomazone; pendimetalin + oxadiazon; pendimetalin + tiobencarb; pendimetalin + clomazone
Post-emergenza (10-30 gg, pre-sommersione) (contro Echinochloa spp., ciperacee, butomacee)
Propanile + ALS-inib.1; propanile + MCPA (1° intervento) + propanile (2° intervento)
Post-sommersione (eventuale) (contro Echinochloa spp., ciperacee, butomacee, alismatacee)
Azimsulfuron; bispyribac-sodium; profoxydim o penoxsulam o cyalofop-butyl o propanile + ALS-inib.1; propanile + triclopir (con Heteranthera spp.)
1
ALS-inibitori a prevalente azione contro ciperacee, butomacee e alismatacee (bensulfuron-metile, halosulfuron-metile, imazosulfuron, metosulam, orthosulfamuron, ethoxysulfuron)
Commelina communis
Gestione delle infestanti nella risaia a semina in asciutta
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coltivazione gazione della risaia, seguita da un rapido deflusso dell’acqua e da uno sgrondo completo del terreno, per favorire l’azione del diserbante e stimolare la germinazione del riso. Va però osservato che la selettività del prodotto è di tipo stratigrafico e che in presenza di piogge intense o abbondanti irrigazioni possono verificarsi temporanei fenomeni di fitotossicità a carico delle giovani piante di riso. La lotta contro malerbe graminacee e non graminacee del riso seminato in asciutta può essere realizzata anche intervenendo in pre-emergenza della coltura con clomazone. Questo diserbante si adatta, inoltre, alla miscela con pendimetalin, al fine di potenziarne l’azione nei confronti di Polygonum lapathifolium e P. persicaria. Per un efficace contenimento delle infestanti, ai trattamenti di pre-emergenza è comunemente necessario far seguire uno o più interventi di post-emergenza. La strategia più adottata prevede, ancora su risaia asciutta, due interventi con propanile distanziati di 6-7 giorni. Per un migliore controllo delle infestanti non graminacee, a propanile può essere aggiunto MCPA o un diserbante ALS-inibitore. In presenza di elevate infestazioni di ciperacee (soprattutto Bolboschoenus maritimus) o di butomacee è comunemente opportuno prevedere un’applicazione di diserbanti ALS-inibitori nel periodo successivo alla sommersione. In questo periodo è possibile, peraltro, utilizzare tutti i programmi di lotta in post-emergenza previsti per la coltura seminata in acqua.
Foto R. Angelini
Alisma plantago-aquatica Foto R. Angelini
Problematiche nella gestione delle malerbe Il successo delle diverse strategie di gestione della vegetazione infestante del riso, come si è osservato in precedenza, è influenzato dall’applicazione di adeguate pratiche colturali, ma è, soprattutto, dipendente dall’utilizzo di idonee molecole erbicide. Questo quadro gestionale, già di per sé complesso, è destinato a complicarsi ulteriormente, a causa dell’uscita dal mercato di alcune valide molecole erbicide di vecchia introduzione, per ragioni legate alle procedure di ri-registrazione, previste a livello comunitario e in conseguenza dell’introduzione di normative sempre più severe sulla protezione delle acque. A seguito dell’applicazione di disposizioni legislative comunitarie (in particolare della direttiva 91/414/CEE), che prevedono una rivalutazione delle caratteristiche tossicologiche, fitoiatriche e ambientali alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche, alcuni prodotti largamente impiegati nel riso non sono stati inclusi nell’elenco delle sostanze utilizzabili (Allegato 1). Tra le molecole attualmente escluse figurano prodotti quali tiocarbazil, pretilaclor, quinclorac, cinosulfuron, diclorprop e dalapon. A questo elenco potrebbe aggiungersi anche il propanile, prodotto che non ha, al momento, superato il processo di revisione.
Schoenoplectus mucronatus
Resistenza delle infestanti ai diserbanti
• Le normative comunitarie sulla
ri-registrazione degli agrofarmaci e quelle sulla protezione dei corpi idrici hanno portato a una significativa riduzione nel numero di diserbanti caratterizzati da un diverso meccanismo di azione. In queste condizioni viene sensibilmente limitata la possibilità di impiegare, in rotazione o in miscela tra di loro, prodotti con diverse caratteristiche chimiche, con lo scopo di prevenire la comparsa della resistenza delle malerbe
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gestione delle malerbe La mancanza di questi diserbanti ha imposto alcuni significativi cambiamenti nei programmi di gestione delle infestanti, come è accaduto, per esempio, a seguito dell’esclusione di pretilaclor (utilizzato come pre-emergenza in pre-semina) e dalapon (usato al termine della falsa semina, prima della semina del riso), entrambi utilizzati per il contenimento del riso crodo. Con la revisione delle autorizzazioni all’impiego si è inoltre ridotto il numero di famiglie chimiche di diserbanti impiegabili, limitando sensibilmente la possibilità di porre in rotazione principi attivi con diverso meccanismo di azione allo scopo di evitare la selezione e la diffusione di popolazioni di infestanti resistenti agli erbicidi. Va inoltre osservato che, per la coltura del riso, la maggior parte delle molecole attualmente disponibili sono caratterizzate da un medesimo meccanismo di azione, basato sull’inibizione dell’attività dell’enzima ALS (aceto-lattato sintetasi). L’impiego ripetuto nel tempo dei diserbanti con tale meccanismo d’azione ha favorito la selezione di popolazioni di Alisma plantago-aquatica, Schoenoplectus mucronatus e Cyperus difformis resistenti a questi prodotti. Secondo uno studio del GIRE (Gruppo Italiano di lavoro sulla Resistenza agli Erbicidi), S. mucronatus è attualmente la specie che ha fatto registrare la maggiore espansione nell’areale risicolo. In questi ultimi tempi è stata altresì segnalata una popolazione di E. crus-galli tollerante al propanile. Si stima che la superficie interessata dalla resistenza interessi, per le diverse specie considerate nell’insieme, oltre 20.000 ha. In aggiunta a questi casi documentati di resistenza, sono sempre più frequenti segnalazioni di scarsa efficacia dei trattamenti erbicidi nei confronti di specie come Ammania coccinea e Butomus umbellatus, tradizionalmente considerate di secondaria importanza, poiché normalmente controllate dai trattamenti effettuati per contrastare altre specie infestanti di maggiore rilevanza. Le principali strategie utilizzate per gestire il fenomeno della resistenza si basano, soprattutto, sul ricorso a interventi di tipo preventivo, come la rotazione di erbicidi a diversa modalità di azione, o il loro impiego in miscela e l’individuazione e la rimozione delle piante sfuggite agli interventi di lotta, prima della loro disseminazione. A queste devono aggiungersi tutte le pratiche colturali in grado di migliorare la capacità competitiva della coltura e anche, dove possibile, la rotazione colturale, considerata, in generale, come la migliore strategia di contenimento della vegetazione infestante. Un ulteriore elemento di complicazione nella gestione delle malerbe è rappresentato dall’introduzione di normative comunitarie in materia di acque (Water Framework Directive, 2000/60/CE). In relazione a questo aspetto, sono prevedibili ulteriori restrizioni sull’impiego degli agrofarmaci (in particolare degli erbicidi), oltre a una possibile riduzione della quantità di acqua destinata alla coltivazione del riso.
Foto R. Angelini
Echinochloa crus-galli Foto R. Angelini
Ammania coccinea Foto R. Angelini
Cyperus strigosus
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il riso
coltivazione Macchine per la risaia Antonio Finassi, Giuseppe Sarasso
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Macchine per la risaia Buoi, cavalli, bufali Le macchine hanno sempre avuto con la risaia un rapporto problematico e difficile. Le motivazioni economiche hanno favorito l’introduzione della macchina mentre la risaia si è opposta con tutti i suoi artifici. Da una parte tecnologia, inventiva e pervicacia, dall’altra acqua, fango, trabocchetti nascosti e subdoli. La sfida ha visto alternarsi vittorie e sconfitte e ancora continua. Oggi il lavoro manuale mantiene un ruolo principale soltanto nelle risicolture dedicate all’autoconsumo e in quelle che adottano la tecnica del trapianto. Pratica presente in gran parte della fascia tropicale e che consente di ottenere un doppio raccolto. Nel Sud-Est asiatico è il bufalo d’acqua, vero trattore vivente, che assicura la preparazione del suolo e i trasporti. In Africa, invece, il contributo animale rimane modesto, per la presenza di malattie trasmesse dalla mosca tsè tsè, che consente solo l’allevamento di bovini di piccola taglia di razza N’damà, resistenti alle tripanosmiasi ma capaci di fornire modesti sforzi di trazione. Nelle risaie italiane, il bue è stato sostituito dal cavallo da tiro pesante rapido. Monumenti viventi, cavalli del peso di oltre 800 kg, ma agili e scattanti, anche nel fango della risaia, erano impiegati in tutte le operazioni colturali, nei trasporti aziendali,
Nascita della meccanizzazione
• Nella storia della risicoltura
mediterranea l’attrezzo prima e la macchina poi si sono integrati con il lavoro umano, con progressive sostituzioni, raffigurabili in quattro fasi. L’età del pane, alimento del lavoro umano, del fieno per i buoi e i cavalli, dell’acqua per l’azionamento delle prime macchine per pilare (sbiancare il risone) e trebbiare, infine del petrolio e dell’elettricità
Nel Sud-Est asiatico la preparazione del terreno e il trasporto del raccolto e dei mezzi tecnici sono affidati al bufalo d’acqua
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macchine per la risaia nello spostamento dei covoni mietuti verso la trebbiatrice e nel trasferimento del risone alle riserie; il loro apporto era costante e decisivo in tutte le stagioni. Alimentati con il fieno e farina di granaglie prodotte in azienda, essi fornivano energia a basso costo in totale autonomia. Con il completarsi della meccanizzazione, dopo il 1960, l’apporto degli animali è diventato pressoché nullo.
Produzione di alimenti e meccanizzazione
• Dall’inchiesta Jacini (1882) si apprende che in un’azienda di 230 ha, per metà coltivata a riso, erano necessarie almeno 10 coppie di buoi e 3 cavalli. Per alimentarli occorrevano venti ettari a prato e avena, pari a circa l’8% della S.A.U. La sostituzione del bestiame da lavoro con le macchine, alimentate con energia fossile, e la riduzione del numero di addetti permise di riconvertire grandi superfici alla produzione di alimenti per l’uomo
Introduzione delle macchine L’introduzione della macchina nella risicoltura italiana ha sempre mirato a sostituire il lavoro umano e animale nelle operazioni più impegnative; dapprima la trebbiatura, poi l’aratura e l’essiccazione, poi la monda per terminare con la raccolta e il diserbo. Questa evoluzione si compendia nel termine “meccanizzazione”, un processo dapprima lento, poi accelerato e infine travolgente, dalla convivenza allo stupro. Il lavoro umano si è ridotto dalle 1200 ore per ettaro del 1924 alle attuali 20 ore. Grazie alla meccanizzazione e alla chimica, oggi un solo operaio può coltivare oltre 70 ettari di superficie e produrre più di 500 tonnellate di risone da cui si ricavano 300 tonnellate di riso alimentare. All’inizio del ’900, per addetto, si producevano poco più di 6 tonnellate di risone da cui si ricavavano circa 2,5 tonnellate di riso.
Nei Paesi industrializzati, l’introduzione della meccanizzazione ha permesso di sostituire totalmente il lavoro animale e di facilitare quello umano
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coltivazione Le difficoltà dei terreni umidi Il fattore che condiziona l’impiego delle macchine in risaia è la portanza del terreno, vale a dire la capacità di consentire il movimento e di esercitare una forza di traino. Per l’aratura dapprima le trattrici furono equipaggiate con ruote di ferro con spuntoni, poi con pneumatici con battistrada fornito di alte costolature integrate da ramponi di ferro ribaltabili, attualmente si impiegano trattrici a quattro ruote motrici, talvolta equipaggiate di cingoli di gomma o pneumatici di dimensioni tali da esercitare una pressione specifica sul suolo intorno a 400 g/cm2. Per i lavori in acqua, sono montate ruote strette, in ferro e con spuntoni, che affondano nel suolo fino a raggiungere lo strato compatto (la suola) coincidente con i 20-25 cm della profondità di aratura. Le strette carreggiate originate dal loro passaggio non disturbano lo sviluppo del riso e la sistemazione del terreno.
Primi tentativi di meccanizzazione dell’aratura: il motoaratro funicolare Patuzzo
Trattrice: primi tentativi di introduzione Per molti anni, l’aratura delle risaie è stata affidata ai buoi. La sostituzione dei buoi con i cavalli è avvenuta in tempi relativamente recenti, grazie alla maggior velocità di questi ultimi, e al fatto che si potevano evitare le lunghe pause a metà giornata dovute alla necessità dei buoi di ruminare il pasto. Il regno del
Trasformatore mobile Brown Boveri Carro argano per aratura elettrica
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macchine per la risaia cavallo per il lavoro in risaia, affermatosi tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, fu presto minacciato dalle macchine, che proprio nei primi decenni del XX secolo fecero la loro timida comparsa in Italia, dopo essersi imposte nell’agricoltura statunitense. Risalgono al 1910 i primi esperimenti di aratura meccanica in risaia, promossi dalla Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli. Furono anche sperimentati sistemi di aratura funicolare ad alimentazione elettrica e una trattrice a triciclo con motore a benzina di 20 HP di costruzione inglese. I ricercatori di allora misero a punto un dinamografo, per registrare gli sforzi di trazione, e un registratore della larghezza e profondità dei solchi. La misurazione dei dati in modo preciso era preziosa a causa delle basse potenze disponibili; dopo un lungo periodo di energia abbondante e a basso costo, nella nuova situazione di mercato dei combustibili sarebbe utile valutare questo tipo di rilevazioni anche per gli aratri moderni. Sulla scorta di quelle prime esperienze, nel 1914 fu indetto un concorso di motoaratura in risaia, tenutosi a Sali Vercellese. Tra tutte le soluzioni presentate, le motoaratrici e i primi prototipi di trattrice con motore a combustione interna si guadagnarono i favori della giuria. Il sopraggiungere della guerra incoraggiò la sperimentazione: occorreva sostituire il gran numero di operai agricoli inviati al fronte, garantendo la produzione agricola. Le società idroelettriche disponevano di un esubero di produzione durante le ore diurne, dato che il principale impiego dell’energia elettrica era allora quello dell’illuminazione. La Società Anonima Elettricità Alta Italia, con l’aiuto della Stazione Sperimentale di Risicoltura, allo scopo di diffondere l’aratura funicolare elettrica, bandì nel 1915 un concorso, tenutosi a Castelmerlino di Trino (VC), per individuare i migliori modelli di linee mobili per l’alta tensione, di trasformatori, di argani motorizzati, di carri-ancora e di aratri a bilanciere. Le perdite dovute alla resistenza degli argani e al trascinamento delle funi sul suolo causavano un rendimento assai basso, pari al 37% dell’energia fornita al trasformatore posto in prossimità del carro argano. L’aratura funicolare ebbe successo solo nelle aree paludose del delta padano, mentre nelle risaie piemontesi e lombarde non ebbe seguito. In Italia si affermarono i motori a combustione interna alimentati a petrolio. Tra le numerose proposte spicca il Pavesi P4M, una macchina eccezionalmente innovativa connotata dal telaio a snodo centrale e da quattro ruote motrici dello stesso diametro. In risaia l’aratura meccanica si affermò a partire dal 1930, in corrispondenza con l’adozione, su larga scala, del trapianto. La maggior velocità di avanzamento, consentita dal mezzo meccanico, facilitò anche le operazioni di affinamento, perché la zolla veniva frantumata, e rese più celere la preparazione del terreno alla semina o al trapianto.
Aratura funicolare elettrica
• Nel 1915 si tenne nella grangia di
Castelmerlino (Trino, VC) il concorso di aratura elettrica. Parteciparono sistemi di aratura funicolare, azionati da motori elettrici. La corrente elettrica era trasportata in alta tensione dal centro aziendale, mediante linee volanti, fino al trasformatore posto vicino al carroargano. I bivomeri a bilanciere utilizzati erano in grado di arare 2300 m2/h
Attrezzatura per l’aratura funicolare elettrica (trasformatore, carro argano, carro ancora) partecipante alle prove del 1915
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coltivazione Trattrice moderna Nel secondo dopoguerra iniziò la rapida diffusione dei motori diesel veloci, che oggi equipaggiano la totalità delle macchine agricole. Le trattrici furono dotate di presa di potenza, di sollevatore idraulico, e di prese di olio in pressione, diventando così centrali di potenza, adatte a svariati utilizzi. A partire dagli anni ’80 le trattrici impiegate dispongono di trazione integrale, indispensabile per trasferire al suolo le potenze crescenti. Le trattrici “da risaia”, impiegate per le operazioni in acqua quali la semina, la distribuzione di fertilizzanti, erbicidi e fungicidi, e il ripristino delle reti scolanti, sono equipaggiate con ruote metalliche dentate, di larghezza tra 6 e 8 cm e con diametro compreso tra 1,6 e 1,8 m. Di solito esse hanno potenza intorno ai 75 kW, e una massa minore di 4 tonnellate. Per l’aratura vengono preferiti modelli di almeno 100 kW, idonei al sollevamento e traino di aratri pentavomeri reversibili. Diviene sempre più frequente l’impiego di trattrici da 150 kW e oltre, per il traino delle livellatrici a controllo laser e degli scraper. Queste grandi macchine sono anche utilizzate per l’aratura e per l’erpicatura, in questo caso accoppiate a erpici rotativi larghi 5-6 m. I ramponi metallici, un tempo indispensabili in risaia, sono stati abbandonati a seguito dell’introduzione delle grandi trattrici moderne. Queste possono fornire le loro prestazioni grazie agli pneumatici radiali a bassa pressione, che consentono un migliore galleggiamento nei terreni cedevoli. Attualmente vengono omologate per la circolazione stradale trattrici equipaggiate di pneumatici larghi fino a 900 mm; per l’aratura vengono preferiti pneuma-
Trattrice equipaggiata con pneumatici a bassa pressione larghi 900 mm, per il galleggiamento su terreni cedevoli
Trattrice equipaggiata con ruote dentate per le lavorazioni in acqua
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macchine per la risaia tici da 650-710 mm, a spalla alta, caratteristiche che consentono un’accentuata deformazione e quindi il distacco della terra che si incastra tra le costolature.
Guida “satellitare”
Elettronica e guida satellitare L’elettronica si sta affermando in misura sempre crescente nelle nuove trattrici. La gestione elettronica del motore, generalmente con iniezione common rail per poter ottemperare alle normative sulle emissioni, si associa a quella del cambio, sia di tipo a variazione dei rapporti sotto carico (semipowershift e full powershift) sia a variazione continua (stepless); spesso le due gestioni sono interfacciate, in modo da adeguare automaticamente il rapporto di trasmissione e il regime motore più economici in funzione della velocità scelta dall’operatore. Sono inoltre diffusi i sistemi di guida assistita o automatica pilotati da ricevitori GPS, molto efficienti quando si lavora in acqua e non esiste possibilità di riferimenti visibili. Questi dispositivi sono assai utili per la semina, la distribuzione dei fitofarmaci e dei fertilizzanti, operazioni eseguite con attrezzi che hanno una larghezza di lavoro superiore a 12-18 metri.
• Per evitare le sovrapposizioni
o le fallanze nella semina, nella distribuzione dei fertilizzanti e degli erbicidi è di grande utilità l’adozione di sistemi di guida satellitare, che si sono affermati dapprima nei tipi a guida assistita, e attualmente si stanno diffondendo nei modelli a guida automatica. A seconda dei tipi, la precisione può variare dal metro fino ai due centimetri
Impianto della risaia: spianamento e livellamento Il riso è una pianta dalla fisiologia molto duttile e si adatta a svariate tecniche colturali, unicamente condizionate dalle esigenze termiche, ma i migliori risultati produttivi sono conseguiti con la coltura in sommersione in regime di irrigazione controllata. È questo il caso della risicoltura mediterranea e di quell’italiana in particolare. L’impianto della risaia è favorito dalla giacitura pianeggiante del terreno e da un’adeguata disponibilità idrica ben regimata. Queste esigenze impongono un notevole intervento sul territorio, perché si tratta di ricavare delle aree perfettamente piane e di creare una rete idrica capillare ed efficiente. Questo risultato, nei tempi passati, si otteneva tracciando delle arginature che seguivano le curve di livello allo scopo di ridurre al minimo lo spostamento di terra. Questa tecnica però può essere adottata solo dove prevale la coltivazione manuale o in presenza di aree naturalmente piatte. In ogni caso da sempre il risicoltore ha cercato di estendere le camere di coltivazione, di rettificarne i confini, di renderle più gestibili e redditizie riducendo le aree improduttive delle arginature. Lo sviluppo della meccanizzazione ha accelerato questo processo mirando alla creazione di risaie di grandi dimensioni con campi dai contorni regolari. Quest’obiettivo ha comportato lo spianamento, operazione che, in alcuni casi, impone ingenti movimenti di terra e lo sconvolgimento della naturale stratificazione. Tale operazione è stata resa possibile dalla disponibilità di potenti trattrici cingolate, munite di lama frontale, integrate dagli scraper, attrezzi trainati, utilizzati per gli spostamenti di terre-
Nel passato, per ottenere camere perfettamente piane senza ricorrere a difficoltosi spostamenti di terreno, le arginature venivano realizzate secondo le curve di livello dell’appezzamento
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coltivazione no su lunghe distanze. Per mantenere una sufficiente uniformità della fertilità, si procede alla rimozione e all’accumulo dello strato attivo più fertile (scorticatura) e al suo ricollocamento dopo aver spostato lo strato sterile. Nel caso in cui lo strato interessato sia di pochi centimetri si procede con la tecnica a “caselle” asportando, alternativamente, strisce di suolo di spessore doppio di quello necessario e successivamente procedendo al riempimento con la lavorazione. L’adozione del controllo con raggio laser ha facilitato di molto le procedure operative, che comportavano un puntuale rilevamento e definizione dei livelli nelle aree di asportazione e in quelle di riporto. Le macchine impiegate, in quest’operazione di impianto, hanno una potenza di alcune centinaia di kW e sono noleggiate poiché eseguono operazioni non ripetute. Il livellamento, invece, ha lo scopo di mantenere un livello molto accurato all’interno della “camera o bacino” e viene ripetuto, periodicamente, per ovviare agli assestamenti conseguenti lo spianamento o a errate esecuzioni delle lavorazioni. Vengono impiegate lame livellatrici, a controllo laser, della larghezza di 4-7 m trainate da trattrici a quattro ruote motrici della potenza di 120-150 kW. Prima dell’intervento si procede all’aratura e quindi si esegue il livellamento con passaggi ripetuti e incrociati. A operazione completata la variazione di livello all’interno della camera oscilla intorno ai 3 cm, condizione ideale per la coltivazione.
Livellatrice a controllo laser: in primo piano il trasmettitore, sopra la lama il ricevitore
Livellatrice laser
• Per ottenere un’altezza uniforme
dell’acqua di sommersione, il terreno di risaia deve essere perfettamente livellato. Lo strumento attualmente più utilizzato allo scopo è la livellatrice a controllo laser, introdotta in Italia intorno all’inizio degli anni ’80. Si tratta di una lama livellatrice, la cui quota è mantenuta costante da un sistema automatico controllato tramite raggio laser. L’operatore con passate successive, a quote decrescenti, compensa i riporti con gli scavi, fino a ridurre a 3-5 cm i dislivelli all’interno della camera o bacino, che può avere una superficie anche superiore a 10 ettari
Scraper trainato, a controllo laser, in azione di scarico
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macchine per la risaia Arginatura Il compito dell’arginatura è di delimitare aree piane in un terreno declive. La massima espressione di questo compito è rappresentata dalla spettacolare visione di alcune aree della risicoltura orientale, connotate dai ritagli nastriformi che intagliano le montagne e le colline del Sud-Est asiatico. Una situazione meno spettacolare ma rappresentativa era rilevabile nei terreni della baraggia vercellese, ai piedi delle colline biellesi, in cui la pendenza è molto accentuata. In queste condizioni l’arginatura era costituita da due tipologie: gli argini semipermanenti che avevano la direzione parallela al senso di aratura (lunghi) e quelli annuali (corde), posti di traverso, che venivano abbattuti prima dell’aratura. La costruzione degli argini era un’impegnativa e faticosa operazione nel passato, quando le arginature seguivano l’andamento delle curve di livello, erano numerose con andamento sinuoso e dovevano essere costruite dopo l’aratura. Anticamente erano prima segnate da un doppio passaggio, a colmare, di aratro e rifinite manualmente con il badile. Negli anni ’60, con la disponibilità di trattrici potenti, venne adottata una nuova, efficace tecnica: un grande aratro, con un lungo e alto versoio, costruiva con 4 o 6 passaggi l’argine che poi era compattato con un rullo sagomato. A partire dagli anni ’70 l’avvento dei grandi bulldozer ha consentito di revisionare i livelli, ingrandendo le camere delle risaie, eliminando le corde, spostando i lunghi, portando la superficie unitaria delle camere a diversi ettari. In tal modo non solo si sono ridotte le aree improduttive e fonti di diffusione delle infestanti ma si sono anche molto facilitati l’impiego delle macchine e il controllo dell’irrigazione. In ef-
Attrezzo per lo scavo delle scoline
Sfalcio delle erbe in un canale mediante barca attrezzata Rullo utilizzato per compattare gli arginelli di risaia
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coltivazione fetti tali risultati sono stati ottenuti anche grazie all’impiego delle livellatrici a controllo laser che consentono di ottenere precisioni di livello altrimenti impensabili. Oggi l’arginatura, per i risicoltori italiani, è divenuta un’operazione marginale, totalmente meccanizzata, che viene eseguita prima della aratura.
Lavori di preparazione del terreno
• L’aumento del costo dei combustibili
Lavori di preparazione del terreno Nelle aree temperate, ove in genere si effettua la semina diretta in acqua, la preparazione del terreno consiste nell’aratura e nella successiva sminuzzatura delle zolle mediante l’erpicatura. Sebbene sia auspicabile ridurre al minimo l’intervallo tra la lavorazione e la semina, per contenere la competizione delle infestanti, è ormai divenuta pratica comune compiere l’aratura in autunno, dopo la raccolta, ed effettuare l’affinamento in primavera. Questa tecnica consente di eseguire la revisione del livellamento, approfittando del clima secco e ventoso di marzo. Il livellamento è l’elemento che contraddistingue la risaia e tutte le operazioni mirano a ottenere e conservare il livello per avere la stessa altezza dello strato di acqua su tutti i punti del campo. L’affinamento del terreno arato è eseguito con diversi tipi di erpice la cui scelta è condizionata dall’umidità e dalla struttura del suolo. Nei suoli umidi si impiegano attrezzi trainati, nei terreni asciutti sono utilizzati attrezzi rotativi azionati dalla presa di forza. Per tali motivi, in ogni azienda sono disponibili diversi tipi di erpice che, secondo la potenza disponibile, possono raggiungere la lar-
fossili, la ridotta disponibilità di operatori qualificati, la grande capacità operativa dei mezzi meccanici, hanno profondamente inciso sulla tecnica di lavorazione del terreno da risaia. Per il riso lo stato del terreno è ininfluente perché, con la sommersione, si modifica totalmente la struttura fisica del suolo, di conseguenza le lavorazioni non sono condizionate dallo stato di “tempera” o umidità ottimale del suolo. Per tali motivi passano in secondo ordine i precetti agronomici che sovrintendono alla coltivazione delle altre colture
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macchine per la risaia ghezza di quattro e più metri. Nel passato prevalevano gli erpici trainati, attualmente sono sovente impiegati quelli azionati dalla presa di potenza della trattrice. In alcuni casi pesanti erpici a dischi possono sostituire l’aratura. In ogni caso lo scopo finale è di ottenere una superficie livellata ma con una zollosità fine che faciliti il radicamento delle plantule. Un affinamento troppo spinto rende difficile la penetrazione della radichetta del germoglio, la plantula galleggia e viene spostata dall’acqua increspata dal vento che spesso soffia in primavera. La rifinitura finale del livellamento viene eseguita con lo spianone subito prima della semina in acqua. Nelle aree tropicali, in cui si pratica il trapianto, l’aratura è sostituita dal puddling (spoltigliamento) eseguito, mediante ripetuti passaggi, in presenza di acqua, con attrezzi trainati da bufali o zappatrici rotative, con lame a sciabola, montate su motocoltivatori; in tal modo si ottiene uno strato molto morbido, adatto alla posa delle piantine. In Italia una pratica analoga è ancora effettuata nei terreni permeabili, con scarsa presenza di argilla o limo, ove si procede alla pesta, operazione che ha lo scopo di ridurre l’infiltrazione e il consumo dell’acqua irrigua. Anticamente, la pesta era effettuata con ripetuti passaggi di mandrie di bovini nella risaia sommersa, ora si impiegano trattrici munite di ruote a gabbia, trainanti attrezzi rotanti. L’ intasamento non deriva dal calpestamento ma dalla sedimentazione della torbida sollevata che ricopre la superficie del suolo riducendo l’infiltrazione; in questi terreni occorre evitare asciutte prolungate perché le crepacciature che si formano riattivano l’infiltrazione.
Spianoni
• Dal semplice asse di legno lungo 4 m
trainato da un cavallo, guidato con le redini dal cavallante che si manteneva in equilibrio sull’asse con l’aiuto di una piccola corda, si è passati agli attuali spianoni metallici lunghi sei e più metri, collegati alla trattrice, con controllo idraulico, in grado di affinare le zolle e di tracciare una serie di solchetti entro i quali si deposita la semente, facilitando il radicamento delle plantule
Foto B. Scarparo
Rifinitura del livellamento mediante spianone trainato da cavallo
Affinamento delle zolle
• Nella prima decade del ’900, prima che fossero introdotti gli erpici meccanici, le zolle venivano affinate a mano con la zappa, operazione eseguita dalle donne. Ora i grandi erpici meccanici sono in grado di preparare un ettaro in poco più di 20 minuti
Risaia sommersa in attesa della rifinitura del livellamento mediante spianone
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coltivazione Lavorazioni alternative Le lavorazioni autunnali sono determinate da esigenze economiche e non agronomiche; esse sono effettuate nel periodo post raccolta per utilizzare i tempi morti del personale e per alleggerire le punte di lavoro primaverili. Notevole importanza ha assunto la lotta al riso crodo mediante la falsa semina. Questa tecnica, ritardando per oltre un mese la semina dopo la sommersione, rende inopportuna la concimazione azotata di fondo in quanto troppo grandi sono le perdite di azoto per dilavamento. La concimazione viene effettuata con almeno due successivi interventi durante la vegetazione. Di conseguenza si sovrappongono diverse operazioni durante il ciclo colturale, per le quali il tempo disponibile è molto ridotto, e solo la grande capacità di lavoro delle macchine e opportuni adattamenti tecnici consentono di eseguirle nel momento ottimale. In prospettiva si tende a semplificare e rendere più spediti i lavori di preparazione del letto di semina differendo la concimazione e impiegando attrezzi combinati che sostituiscono l’aratro e l’erpice. In alcuni casi l’erpicatura è sostituita da un unico passaggio di spianone, in presenza di un sottile velo di acqua.
Nei terreni più compatti, la ripulitura delle scoline prima della levata del riso è utile al successivo prosciugamento della risaia per il raccolto
Scoline Allo scopo di velocizzare i movimenti dell’acqua, è in uso scavare all’interno delle camere alcuni solchi adacquatori di profondità compresa tra 0,20 e 0,30 m. La loro presenza è utile per allontanare rapidamente le acque meteoriche nei periodi
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macchine per la risaia durante i quali il terreno deve essere asciutto per poter essere agevolmente lavorato, o essere transitabile per effettuare la raccolta. Un terreno ben drenato durante l’inverno si ossida e favorisce una corretta decomposizione della sostanza organica. Le scoline sono utili anche in fase di immissione dell’acqua di sommersione: la loro funzione è quella di facilitare il trasferimento dell’acqua fino alle porzioni di terreno più distanti dal punto di presa, evitando di far scorrere l’acqua a livelli e velocità eccessive sopra le piante di riso, facili a essere sradicate nelle prime fasi di sviluppo. Per tracciarle, sono disponibili diversi tipi di attrezzi rotativi, tutti composti da ruote dentate che lanciano a distanza la terra di scavo, distribuendola su larga superficie onde evitare di compromettere in modo significativo il livellamento delle camere. Nel corso della stagione sono necessari passaggi ripetuti: al termine delle lavorazioni del terreno, dopo il passaggio della mietitrebbiatrice, e nei terreni più compatti anche prima della levata del riso, per sgombrare le scoline dalle piante di riso attecchite al loro interno e dalle masse algali che inevitabilmente si formano durante la stagione. Con questa operazione viene ripristinata la funzionalità di sgrondo, per permettere il consolidamento del terreno in vista delle operazioni di raccolta.
Caratteristiche delle scoline
• La frequenza e la disposizione delle
scoline dipendono dalla permeabilità del terreno, dalla posizione dei canali di sgrondo e dalle modalità operative. Il metodo tradizionale di aratura, a colmare e scolmare, prevede che l’aratro lasci, in fase di rifinitura, un solco aperto per ogni prosa. In passato le prose erano larghe circa 8 metri, e la funzione del solco era anche quella di deposito delle infestanti sradicate mediante la monda manuale. Le mondine avanzavano allineate e si passavano le infestanti di mano in mano, fino alle colleghe operanti all’esterno delle prose le quali le depositavano sul fondo dei solchi, in acqua più profonda, in modo da impedirne il ricaccio. La scomparsa delle mondine, l’introduzione delle livellatrici a controllo laser e degli aratri reversibili che non prevedono più l’aratura a prose hanno modificato radicalmente la disposizione e la frequenza delle scoline, che si sono distanziate di molto tra loro, con una distanza minima di 40 metri. Nei terreni più permeabili si sono ridotte a una sola per camera
Spargimento dei fertilizzanti I fertilizzanti chimici e la semente sono generalmente distribuiti mediante spandiconcime centrifughi. L’uniformità di semina è Foto R. Angelini
Risaia sommersa. Il riso non emerge dalle scoline che rappresentano una tara produttiva ma sono indispensabili per la gestione idraulica
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coltivazione un parametro importante per la buona riuscita della coltivazione. Analogamente, specie per i fertilizzanti azotati, eventuali sovrapposizioni del dosaggio possono causare allettamenti o condizioni favorevoli allo sviluppo del brusone (Pyricularia oryzae). Data la rilevanza delle operazioni compiute è necessario quindi disporre di attrezzature efficienti e ben regolate. Attualmente vengono preferiti i modelli a doppio piatto, che consentono una migliore regolarità trasversale della distribuzione. La maggior parte degli interventi (semina, concimazioni di copertura) avviene in terreno sommerso o comunque saturo d’acqua, pertanto si impiegano trattrici leggere (< 4 t) equipaggiate con ruote strette in ferro. Poiché spesso le sementi e i fertilizzanti sono contenuti in confezioni da 0,4-0,6 t, la tramoggia dello spandiconcime deve avere una capienza di almeno 1 t e pertanto, se portata, caricherebbe eccessivamente il retrotreno della trattrice. Per tale motivo è consigliabile adottare spandiconcime trainati, in modo da ripartire il peso su sei ruote, e mantenere inalterata la ripartizione delle masse gravanti sui due assali della trattrice, a tutto vantaggio della capacità di trazione e del disimpegno nei suoli cedevoli. Per eseguire con precisione i successivi passaggi alla distanza prestabilita, occorre disporre di punti di riferimento ben visibili: le tradizionali due persone, dotate di bandierine di segnalazione, sono sempre più di frequente sostituite dai tracciafile satellitari a causa della scarsa disponibilità di personale e delle sempre più grandi dimensioni delle camere, la cui lunghezza spesso supera diverse centinaia di metri.
Spandiconcime a controllo elettronico
• Le aziende meglio attrezzate utilizzano
lo spandiconcime a controllo elettronico, in grado di misurare in continuo la velocità di avanzamento e la massa di fertilizzante presente in tramoggia mediante celle di carico. In base a questi dati, il sistema elettronico modifica, in tempo reale, la luce delle feritoie di regolazione tramite appositi attuatori elettrici, mantenendo costante la dose indipendentemente dalle variazioni di scorrevolezza e granulometria del prodotto distribuito. Poiché si opera in ambiente con grandi escursioni di umidità relativa e con prodotti fortemente igroscopici come i fertilizzanti, il sistema automatico permette di adattare di continuo la regolazione alla variabilità delle condizioni e ottenere agevolmente, e con precisione, lo spargimento uniforme della dose prestabilita
Distribuzione del fertilizzante in copertura
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macchine per la risaia Trapianto e semina Il trapianto ha connotato la risicoltura italiana dal 1924 al 1964, poco più di quattro decenni, e rappresenta il più clamoroso fallimento di meccanizzazione. Numerosi furono i tentativi sostenuti e promossi da concorsi a premi ma non si giunse mai a un risultato significativo anche se si è pervenuti, negli anni ’60, alla costruzione di piccole serie di trapiantatrici automatiche. Il trapianto aveva una forte connotazione economica perché consentiva di ottenere il doppio raccolto: fieno per i cavalli e le vacche, riso per il mercato e riduceva la monda a un solo intervento. Il grosso difetto risiedeva nella fortissima richiesta di mano d’opera concentrata in un periodo di sei settimane in cui si sommavano i lavori di monda, fienagione e raccolta del frumento. Lo sviluppo della meccanizzazione e i mutamenti sociali che a cavallo del 1960 hanno reso indisponibile la mano d’opera stagionale e l’abbandono della zootecnia da latte e della trazione animale hanno reso inutile la produzione del fieno. In questo periodo è stata introdotta la semina diretta a spaglio mediante spandiconcime centrifughi adattati, in grado di seminare quattro ettari in un’ora con due soli addetti. Successivamente il diserbo chimico selettivo ha ulteriormente aumentato la convenienza della semina diretta a spaglio e ha posto fine all’impiego delle seminatrici a righe Cabrini e Mocchi, che operavano nel fango, il cui impiego era principalmente motivato dalla riduzione dei tempi di monda. La semina a righe, distanziate di 30 cm, consentiva anche l’impiego di sarchiatrici e di attrezzi manuali. In effetti però la sarchiatura meccanica non si diffuse perché le infestanti facilmente si radicavano di nuovo. Foto G. Scarparo Foto Ente Nazionale Risi
Fertilizzazione prima dell’aratura eseguita con spandiconcime centrifugo (in alto) semina in acqua (al centro) e semina interrata a file (in basso) Fino al 1960, la semina veniva eseguita a mano
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coltivazione Trasporti su strada e in campo Il presente In risaia i trasporti sono stati sempre difficoltosi a causa delle condizioni particolari del terreno. Nel corso della coltivazione vi sono due distinti periodi in cui i trasporti assumono un ruolo importante: il primo riguarda il trasferimento dei fertilizzanti in coincidenza con la preparazione del letto di semina. Particolarmente gravosi sono il trasporto e la distribuzione del letame, perché comportano la movimentazione di masse dell’ordine di decine di tonnellate per ettaro. In presenza di monocoltura, con il ricorso ai soli fertilizzanti chimici o organici, si riducono di molto i tempi operativi, per il sostegno offerto dalla meccanizzazione. Seguono il trasporto della semente e la distribuzione degli erbicidi. Il secondo periodo si verifica alla raccolta per il trasporto del risone dal campo alla azienda. Il progressivo evolversi della meccanizzazione ha influenzato grandemente i mezzi di trasporto. In particolare l’abbandono delle confezioni in sacchi e il passaggio ai contenitori da mezza tonnellata ha reso totalmente meccanizzabile la movimentazione dei prodotti. In azienda sono così comparsi i muletti (caricatori meccanici) a motore e i trasporti in campo sono eseguiti con carri a due assali trainati dalla trattrice. La diffusione di questi sistemi di trasporto è stata resa possibile dall’adeguamento della rete viaria poderale. Sono state create delle strade di servizio, che hanno sostituito i lunghi trasporti in capezzagna, rendendo possibile l’accesso ai campi durante
Meccanizzazione del trasporto in campo dei sacchi contenenti il seme
Mietitrebbiatura passata
• Negli anni ’60, l’abbandono del
trapianto, sostituito dalla semina diretta, e la mietitrebbiatrice hanno relegato a marcire sulle aie tutti gli antichi attrezzi, testimoni di una raffinata tecnica artigianale che aveva valorizzato il legno dei grandi alberi che crescevano nell’azienda, sostituendoli con il ferro, la lamiera e la gomma fornita dall’industria Sostituiti i lenti buoi, per tutta la prima metà del XX secolo i trasporti sono stati eseguiti dai cavalli. Nella foto: bara da 3 tonnellate di prodotto in sacchi
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macchine per la risaia l’intera stagione di coltivazione. La rete viaria aziendale, eliminando l’entrata nel campo dei mezzi di trasporto, ha ridotto grandemente i tempi operativi, sia attraverso la maggior velocità sia con l’impiego di rimorchi di grande capacità, indispensabili per far fronte all’aumentata capienza dei serbatoi della granella delle mietitrebbiatrici. Il trasporto del risone dal campo all’essiccatoio aziendale avviene con rimorchi monoasse, a ribaltamento idraulico con capacità di trasporto di 6-12 tonnellate.
Foto R. Angelini
Il passato I trasporti con traino animale hanno caratterizzato l’antica azienda risicola-zootecnica fino al termine degli anni ’50. Tutti i trasporti avvenivano con carri di legno, a due ruote, trainati da cavalli. I carri avevano caratteristiche specifiche per ciascuna operazione: per i trasporti extra aziendali su lunga distanza si impiegavano le robuste bare, trainate da una coppia di cavalli e in grado di trasportare fino a tre tonnellate di prodotto in sacchi. Per i trasporti aziendali venivano usate le carretelle, carri a struttura più leggera e con un cerchione largo 12 cm, che saliva a 18 cm nei carri usati per il trasporto dell’erba dalle marcite; per il terreno e la ghiaia si impiegavano carri ribaltabili a telaio snodato e ribaltamento meccanico con rinculo. Il trasporto dei mazzi di riso, nelle operazioni di trapianto, era eseguito con piccoli carri, ribaltabili, se il vivaio era distante, o con le slitte, composte di un pianale montato su due scivoli ferrati, se il vivaio era adiacente al campo.
Raccolta manuale del riso in Cina
Raccolta: uomo, animale, macchina La meccanizzazione della raccolta del riso è stata attuata dopo quella del frumento, trattandosi di un problema tecnicamente più difficile da risolvere. Il frumento al momento della raccolta ha granella e paglia secca, mentre il riso è umido e la paglia contiene oltre il 60% di acqua. Di conseguenza la massa trattata è molto più pesante e richiede molta più energia. La maggior parte del riso coltivato nel mondo, per motivi socio-economici, ancora oggi è raccolto a mano. L’estensione delle risicolture a meccanizzazione integrale è relativamente limitata, e il loro destino è quello di modificare macchinari progettati per altre colture, senza stravolgerne la struttura di base, in modo da poter usufruire delle economie di scala ottenibili dall’utilizzo di progetti destinati a un ampio mercato. Nella risicoltura italiana il primo passo della meccanizzazione interessò la trebbiatura, che sostituì il calpestamento con animali, trainanti in qualche caso attrezzi di varia foggia atti a favorire il distacco delle cariossidi. Tutti procedimenti che richiedevano molto tempo, determinavano elevate perdite di prodotto e danneggiavano la qualità.
Introduzione delle trebbiatrici
• Le prime trebbiatrici furono introdotte
dall’ing. Rocco Colli di Novara nel 1836, che successivamente (1844) ne costruì anche per Camillo Benso conte di Cavour, che possedeva alcune grandi tenute nel Vercellese. Quei primi modelli erano di tipo scozzese, con rulli alimentatori davanti al battitore. Le paglie venivano separate con cacciapaglia rotativi. L’introduzione delle trebbiatrici venne favorita dalla possibilità di sfruttare l’energia idraulica dei canali di irrigazione mediante ruote idrauliche e turbine
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coltivazione Trebbiatrice e mietitrice A metà del XIX secolo furono introdotte le trebbiatrici, identiche a quelle da frumento salvo che per il battitore e controbattitore a denti. Queste macchine vennero perfezionate fino a ottenere prestazioni ragguardevoli. Lo sviluppo originò due tipi di trebbiatrice: quella mobile, tipicamente impiegata per operare sull’aia sia sul frumento sia sul riso, e quella fissa, tipica delle grandi aziende specializzate nella coltivazione del riso. Con il progredire della tecnologia e l’aumento della disponibilità di forza motrice, ottenuta dai salti d’acqua e sfruttata con turbine idrauliche, le trebbiatrici a punto fisso assunsero dimensioni e capacità di lavoro notevoli, dell’ordine di 6-7 tonnellate/ora di risone trebbiato. L’adozione di alimentatori automatici e di efficienti apparati di pulizia ridussero l’impiego di mano d’opera a 6-7 addetti ed eliminarono il lavoro notturno. Queste grosse macchine erano sistemate in appositi edifici che ospitavano anche l’essiccatoio ed erano collegati, con trasporti meccanici, ai magazzini. Essi formavano un complesso facilmente riconoscibile nella struttura della grande azienda risicola e sopravvissero fino al decennio 1950-1960, durante il quale la mietitrebbiatrice semovente sostituì in breve tempo il sistema tradizionale di mietitura e legatura manuali, con il trasporto dei covoni in azienda e trebbiatura a punto fisso. Nei primi anni del ’900 la Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli cercò di introdurre la mietitrice, e vi furono anche dei tentativi di adattare i modelli americani alle nostre esigenze (cav. Alfonso Balbo Bertone, 1908). Successivamente furono sperimentate le mietilegatrici e nel 1932 anche le mietitrebbiatrici che per le esigenze aziendali di allora “avevano il grosso difetto di lasciare la paglia nel campo”.
Foto V. Mancini
Particolare dell’aspo della mietitrebbia Foto V. Mancini
Mietitrebbiatrice con trinciapaglia al lavoro in risaia
Mietitrebbiatrice Le condizioni tecniche e socio-economiche per la meccanizzazione integrale della raccolta maturarono in Italia nel secondo dopoguerra. Le mietitrebbiatrici introdotte beneficiavano già di oltre un secolo di sviluppi tecnici introdotti, negli Stati Uniti, dapprima per il grano e poi, a partire dal 1929, anche per il riso. L’invenzione nel 1932 dell’aspo Hume-Love a denti verticali, in grado di raccogliere i risi allettati, e molte altre innovazioni hanno consentito lo sviluppo tecnico delle mietitrebbiatrici. Le mietitrebbiatrici da riso sono equipaggiate con battitore e controbattitore a denti e di semicingolature per poter operare nelle risaie. Per poter galleggiare sul suolo bagnato la pressione specifica deve essere contenuta entro i 300-400 g/cm2 e sulle ruote direttrici il carico deve essere contenuto entro le 2-3 t. Per quanto riguarda la potenza installata, in genere sono scelti gli allestimenti con la potenza maggiore, richiesta dall’elevata umidità (60%) e poca scorrevolezza della paglia di riso. La maggior parte delle mietitrebbiatrici operanti è dotata di batterie di 5-6
Foto V. Mancini
Coclea della mietitrebbia che versa il risone nel cassone
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macchine per la risaia scuotipaglia alternativi. Nei nuovi modelli di grandi prestazioni il gruppo trebbiante tradizionale è spesso seguito da due separatori assiali paralleli. Una soluzione radicale e rivoluzionaria è l’adozione delle testate stripper, che sgranano le pannocchie senza tagliare il culmo, permettendo di aumentare fino a 30 tonnellate/ora la capacità di raccolta delle mietitrebbiatrici. L’impiego dell’elettronica è in piena espansione: dal monitoraggio dei regimi delle varie componenti alle regolazioni degli apparati, alla misurazione delle perdite, tutto è controllato dal computer di bordo che segnala al conducente qualsiasi anomalia. L’altezza della barra di taglio, oppure la sua pressione al suolo in caso di raccolti allettati, possono essere regolate automaticamente secondo i parametri impostati dall’operatore. Esiste anche la possibilità di adeguare automaticamente la velocità di avanzamento a un limite predeterminato delle perdite di granella, oppure del carico motore; inoltre mediante i sistemi satellitari è possibile impostare la guida automatica, che permette di seguire percorsi tali da sfruttare totalmente la larghezza di taglio. Ultimamente sono state compiute alcune promettenti sperimentazioni di mappatura satellitare della produzione, che consentono l’adozione della Precision Farming (agricoltura di precisione).
Microfessurazione della cariosside
• La microfessurazione dell’endosperma
della cariosside è un fenomeno che si verifica a seguito di escursioni termoigrometriche in campo (suncracking) o durante l’essiccazione. Questo fenomeno causa la rottura del granello durante la sbiancatura, con conseguente deprezzamento commerciale. La percentuale del danneggiamento si incrementa col progredire della maturazione in campo, quando durante il giorno l’umidità scende, specie nelle cariossidi apicali più mature, al di sotto del 16%, a cui corrisponde una umidità media della massa intorno al 20%
Foto R. Angelini
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coltivazione Essiccatoi Gli impianti attualmente più diffusi sono quelli a riciclo, nei quali il risone scende lentamente all’interno di una struttura metallica in cui sono inseriti dei canali attraverso i quali fluisce l’aria essiccante, riscaldata intorno a 40 °C, prodotta da gruppi termici a gasolio e aspirata da ventilatori. Il risone segue un percorso a zig zag al termine del quale viene riportato alla sommità del contenitore, in una zona non aerata ove avviene il rinvenimento, durante il quale la pausa del processo consente la migrazione dell’umidità dalla zona interna del granello verso l’esterno, ed elimina le tensioni che causano la fessurazione. L’essiccazione procede con successivi, ripetuti passaggi; il processo dura da 8 a 12 ore a seconda dell’umidità di ingresso del prodotto. Gli essiccatoi sono totalmente meccanizzati e i modelli più recenti sono dotati di rilevatori automatici dell’umidità del risone che arrestano l’impianto quando viene raggiunta l’umidità fissata. I nuovi impianti sono dotati di carenature, rivestimenti e separatori a ciclone atti a limitare l’emissione di polveri e rumore.
Essiccazione del risone
• In genere il risone viene raccolto con
un’umidità media compresa tra il 20 e il 22%. In queste condizioni la conservabilità si riduce a meno di 24 ore. Occorre quindi essiccare il risone, e portarne il contenuto di acqua al di sotto del 14,5%. L’essiccazione deve essere graduale, in modo da non creare tensioni fisiche all’interno del granello evitando le micro fessurazioni; l’operazione viene eseguita in azienda, con impianti di essiccazione corredati da uno o più pulitori
Pulizia del risone Il presente Per ottenere riso commestibile il risone (riso greggio) deve essere sottoposto a una serie di operazioni in impianti industriali (riserie). Pertanto il prodotto deve essere conservato in strutture adatte ed essere sottoposto a pulizia ed essiccazione. Il risone, proveniente dalla mietitrebbiatrice, è umido e deve essere reso conservabile, per lungo tempo, con l’essiccazione e la pulitura, operazione, quest’ultima, consistente nell’eliminazione di ogni corpo estraneo: paglia, semi di infestanti, polveri e corpi inerti. La pulitura viene effettuata in due tempi: prima e dopo l’essiccazione. Al momento della raccolta, il risone mietitrebbiato contiene ancora molte impurità, non essendo conveniente spingere molto la pulitura durante la raccolta. Il prodotto viene quindi sottoposto a ulteriore cernita e pulizia, in azienda, prima di essere immesso nell’essiccatoio: in tal modo si riducono la durata e il costo energetico della essiccazione. Al termine dell’essiccazione viene effettuata una seconda pulitura per eliminare tutte le parti leggere, i semi incompleti e quelli rotti. Lo scopo di questa seconda operazione è di migliorare la conservazione del risone e aumentarne il valore commerciale, incrementando la resa in grani interi alla sbiancatura, caratteristica primaria che determina il prezzo di vendita. Queste operazioni vengono eseguite con impianti di selezione e pulitura molto efficienti in grado di separare le impurità, secondo il peso specifico, con sistemi di aspirazione o soffiatura, integrati da crivelli oscillanti con fori tondi, che separano i semi minuti delle infestanti. I sistemi soffianti trovano applicazione nelle trebbiatri-
Impianto di essiccazione e stoccaggio
Silos di conservazione del risone
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macchine per la risaia ci e nelle mietitrebbiatrici, mentre negli impianti accoppiati agli essiccatoi si impiegano pulitori ad aspirazione. I pulitori moderni non necessitano di assistenza, in quanto gli scarti sono allontanati da appositi trasportatori, e dispositivi particolari (spazzole, sfere rimbalzanti) mantengono i crivelli liberi dai frammenti di spighette che potrebbero intasarli. Negli ultimi modelli una totale carenatura evita la dispersione delle polveri nell’ambiente.
Foto R. Angelini
Il passato Anticamente la pulizia del risone era un’operazione lunga, faticosa, e anche penosa. Prima dell’introduzione della trebbiatura meccanica la pulizia comprendeva diversi interventi manuali che avvenivano sull’aia. La prima operazione era eseguita durante lo stendimento, in strato sottile, del risone sull’aia per l’essiccazione. Le donne, disposte in fila scalare, con rastrelli di legno sollevavano leggermente il risone da terra portando in superficie i frammenti di paglia, che venivano separati (parà) mediante una leggera scopatura eseguita con le scope da aia composte da ramaglie fini. L’operazione veniva ripetuta più volte durante l’essiccazione del risone sull’aia, procedimento che richiedeva almeno due giorni. Al termine dell’essiccazione venivano separati la granella vuota e i semi delle infestanti mediante il ventilabro, operazione che avveniva di mattino per utilizzare la brezza del sorgere del sole. L’operatore impugnava una speciale pala monolitica in legno, ricavata da un tronco di salice, e lanciava il risone contro vento con un ampio movimento semicircolare. In tal modo le diverse parti si separavano, secondo il loro peso specifico: nella zona più distante si depositava il prodotto più pesante e maturo, all’interno le parti più leggere che potevano essere separate. La polvere finiva in faccia all’operatore, che si proteggeva con un fazzoletto a coprire naso e bocca. La trebbiatura meccanica, accoppiata alla ventilazione, e poi l’introduzione di pulitori mobili azionati manualmente prima e da motori elettrici poi hanno posto fine all’uso del ventilabro. Il pulitore mobile da aia era una versione semplificata della tarara. Montato su due ruote e di piccole dimensioni poteva essere agevolmente spostato da un solo operaio. Il risone era posto in un piccolo contenitore da cui defluiva passando attraverso due tipi di crivelli; le parti più leggere erano separate per ventilazione soffiante, generata da un ventilatore a pala diritta, la separazione delle parti fini avveniva tramite un crivello oscillante azionato da un eccentrico.
Foto P. Viggiani
Foto P. Viggiani
Conservazione In Italia, a differenza di altre realtà, il risone essiccato è conservato in azienda allo stato sfuso in magazzini o sili. In passato i sacchi di iuta sono stati usati solo per i trasporti (dall’aia al magazzino, dalla mietitrebbiatrice all’essiccatoio, dalla cascina alla riseria) e mai per lo stoccaggio. Attualmente l’uso dei sacchi
Nei Paesi orientali trebbiatura, essiccazione e pulizia del risone vengono ancora eseguiti prevalentemente a mano
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coltivazione è scomparso; anche per i fertilizzanti e la semente si adottano i sacconi (Big Bags) da 400-600 kg. Gradualmente le aziende adottano sistemi di stoccaggio del risone con carico e scarico completamente automatizzati, con conservazione in sili che, frequentemente, sono dotati di condotti per la ventilazione, in cui viene insufflata aria raffreddata e deumidificata per migliorare la conservazione. Sistemi di sonde controllano la temperatura del risone stoccato, in modo da poter intervenire tempestivamente in caso di problemi. Le temperature di conservazione ottimali sono inferiori ai 18 °C, valore di soglia al quale inizia a verificarsi la possibilità di infestazione da insetti (punteruolo, cappuccino, silvano) che deprezzano il valore del prodotto, e danno ai compratori il diritto di rifiutare il risone. Refrigerazione Per evitare l’impiego di disinfestanti chimici durante il periodo di conservazione, il metodo migliore e più ecologico è raffreddare la massa al di sotto dei 15 °C, temperatura che si può ottenere eseguendo un ciclo di raffreddamento con aria ambiente all’interno dell’essiccatoio. Le condizioni climatiche, nel periodo della raccolta, raramente consentono di raggiungere le temperature desiderate tramite la semplice ventilazione. Per tale motivo vengono impiegati gruppi di raffreddamento a pompa di calore, in grado di insufflare aria con temperatura e umidità costanti in condotti di ventilazione, inseriti nei pavimenti dei silos. I risultati più economici si ottengono raffreddando l’aria intorno agli 11-12 °C e deumidificandola al 75% di U.R. (umidità relativa), in equilibrio igroscopico con il risone al 14,5%. Con questa procedura, all’interno del silos, la temperatura del risone viene portata tra i 13 e i 15 °C.
Scarico automatico del risone dai sili di conservazione
Refrigerazione
• La portata e la velocità dell’aria
refrigerante devono essere accuratamente calcolate, in modo che tutto il processo si compia uniformemente e senza interruzioni, interessando l’intera massa. Poiché il risone ha elevate proprietà coibentanti, nei grandi sili gli scambi di calore con l’ambiente esterno sono modesti e la temperatura si mantiene a livelli di sicurezza anche fino a luglio. Apposite sonde controllano eventuali rialzi della temperatura, che segnalano l’instaurarsi di fermentazioni o infestazioni, in modo da poter intervenire tempestivamente
Manutenzione della rete irrigua L’enorme estensione, dell’ordine di decine di migliaia di chilometri, dei canali al servizio delle risaie richiede una continua manutenzione per assicurare il regolare flusso delle acque irrigue e di sgrondo. Il progresso tecnologico ha consentito di meccanizzare l’eliminazione della vegetazione di sponda e di alveo, operazione compiuta tramite il decespugliatore montato su un braccio idraulico applicato alla trattrice. Il braccio porta alla sua estremità una trincia a flagelli per lo sfalcio sulle sponde, oppure una fresa, adatta a eliminare le erbe flottanti, radicate sul fondo dei fontanili o dei canali, che si sviluppano durante l’estate. Queste vengono sradicate e trasportate dal flusso della corrente; in punti fissi vengono posizionate delle griglie che intercettano la massa galleggiante la quale viene successivamente asportata e tolta dall’alveo con un caricatore a forche. 446
macchine per la risaia L’eliminazione della vegetazione si rende necessaria almeno due volte nella stagione estiva e una in inverno. Durante il periodo di coltivazione, la disponibilità di strade alzaie a fianco dei canali è indispensabile per eseguire la manutenzione meccanizzata; in assenza, si utilizzano barche appositamente attrezzate, oppure si ricorre all’antico metodo manuale della falce. La rimozione dei sedimenti e del materiale franato dalle sponde si esegue invece durante l’inverno. L’operazione viene svolta nei canali di maggiori dimensioni grazie a escavatori cingolati dotati di benna “da scarpata”, larga fino a due metri. Nei canali più piccoli si opera generalmente applicando al braccio del decespugliatore l’apposita “ruota” da spurgo. Questa è costituita da un disco metallico dotato di denti e palette, posto in rotazione da un motore idraulico, che viene fatto avanzare con l’asse parallelo alla direzione del fosso, e lancia i depositi sulle sponde rettificando il fondo dell’alveo, portandolo a una forma semicircolare. L’attrezzo lavora a bassa velocità, inferiore a 1 km/h.
Pulizia dei canali
• La norma classica per l’esecuzione
a regola d’arte dello spurgo dei fossi suggerisce di riportare la sezione del canale “a fondo vecchio e ripa nuova”, ovvero di eliminare tutti i depositi che hanno innalzato il fondo e ristretto la larghezza delle sponde
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il riso
coltivazione Irroratrici per la risaia Paolo Balsari, Gianfranco Airoldi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
coltivazione Irroratrici per la risaia Storia Le prime applicazioni meccanizzate degli agrofarmaci in risicoltura risalgono agli anni ’30 con lo sviluppo di attrezzature che venivano appoggiate sul pianale di carretti trainati da cavalli. Un operatore azionava la pompa a stantuffo che pescava la miscela da irrorare da un serbatoio in legno e la mandava verso una barra di distribuzione posizionata nella parte posteriore del carro. Si trattava di macchine estremamente semplici impiegate estemporaneamente in un’epoca in cui era largamente diffusa la scerbatura manuale a opera delle “mondine”. Solo a partire dalla fine degli anni ’50 anche in seguito alla carenza di manodopera specializzata e della disponibilità dei primi erbicidi di sintesi (2,4 D, 2,4,5 TP, MCPA, propanile, bentazone) hanno cominciato a diffondersi le prime vere e proprie irroratrici a barra montate su trattori e dotate di serbatoio, pompa, regolatore di pressione e barra di distribuzione. Sono le macchine che ancora oggi operano la distribuzione degli agrofarmaci in risaia e sulle quali è stata effettuata, a partire dagli anni ’80, una serie di migliorie per incrementare la produttività del lavoro (serbatoio di maggiore capacità, barre di elevate dimensioni), la sicurezza dell’operatore (dispositivi di premiscelazione) e quella ambientale (serbatoi di lavaggio – ugelli antideriva).
Distribuzione degli agrofarmaci in risaia
• Le prime applicazioni meccanizzate degli agrofarmaci in risicoltura risalgono agli anni ’30 con lo sviluppo di attrezzature che venivano appoggiate sul pianale di carretti trainati da cavalli
• Da allora la ricerca e l’innovazione hanno permesso di mettere a punto irroratrici a barra montate su trattori e dotate di sistemi di distribuzione e regolazione della distribuzione completamente automatizzati
• Le moderne attrezzature possiedono
dispositivi che garantiscono maggiore sicurezza per l’operatore (serbatoio lavamani, sistemi di protezione, trattrici con cabine chiuse ecc.) e per l’ambiente (ugelli antideriva)
Distribuzione degli agrofarmaci in risaia In risaia, gli agrofarmaci vengono oggi, generalmente, distribuiti in forma liquida per mezzo di irroratrici a barra. Si tratta di macchine che si sono diffuse a partire dalla fine degli anni ’50 e che sono schematicamente costituite da un telaio sul quale sono montati una pompa, un serbatoio, un regolatore di portata-
Le prime applicazioni del controllo chimico delle malerbe risalgono alla prima metà del secolo scorso
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irroratrici per la risaia pressione e una barra dotata di una serie di ugelli. La pompa, generalmente a pistoni e membrana, aspira la miscela fitoiatrica dal serbatoio principale e la invia al regolatore di pressione che ha la funzione di modulare la portata-pressione del liquido che arriva agli ugelli. Questi ultimi, che possono essere a turbolenza, a fessura o a specchio, suddividono il liquido in gocce il cui diametro mediano volumetrico (VMD) è strettamente legato alla dimensione dell’orifizio dell’ugello (minore è la sua superficie minore è il VMD) e alla pressione di esercizio (a un incremento della pressione fa seguito una riduzione del VMD). A causa della ridotta portanza del terreno si preferiscono attrezzature di tipo trainato con barre di distribuzione caratterizzate da una larghezza massima di 15-25 m e serbatoi di 1500-2000 litri di capacità.
Variazione delle dimensioni delle gocce (VMD) al variare della pressione di esercizio per alcune tipologie di ugello 650 600 550 500 VMD (μm)
Irroratrice a barra
TT: ugello antideriva a getto piatto DG: ugello antideriva con preorifizio XR: ugello tradizionle
450 400
TT11005 TT11004 TT11003
350 300 250 200
1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5 5 5,5 6 Pressione (bar)
DG11005 DG11004 XR11005 DG11003 XR11004 XR11003
Le macchine vengono equipaggiate con ruote metalliche tamburate per i trattamenti su terreno saturo o sommerso per garantire la necessaria portanza e con pneumatici a larga sezione o gemellati, con pressione di esercizio di 0,5-0,3 bar, per i trattamenti su terreno asciutto dove vi è anche la necessità di non danneggiare la coltura. Per mantenere una corretta distanza fra i successivi passaggi della macchina e, quindi, garantire un’adeguata uniformità di distribuzione, si impiegano barre dotate di tracciafile a schiumogeno e, nel caso in cui si operi su terreno allagato, dei riferimenti in capezzagna o in alternativa, dei sistemi elettronici di asservimento alla guida del trattore o dei sistemi di guida di tipo completamente automatico. Schema di funzionamento di un’irroratrice a barra
Irrorazione sul terreno asciutto. Viene effettuata nei trattamenti in pre-emergenza o in post-emergenza precoce della coltura 449
coltivazione (semina del riso su terreno asciutto con seminatrice a file universale). In questo caso, ai fini dell’efficacia del trattamento, assumono grande importanza la preparazione del letto di semina e l’andamento meteorologico nel periodo dei 10-15 giorni successivi all’esecuzione del trattamento stesso. La presenza di zolle non sufficientemente sminuzzate determina un aumento della superficie del bersaglio e può creare zone d’ombra non interessate dall’irrorazione che possono ridurre sensibilmente l’efficacia del trattamento. Quest’ultima può essere ridotta anche dalla deriva delle gocce di ridotte dimensioni (< 100 μm), che si manifesta nel caso di un’eccessiva polverizzazione del liquido ( impiego di pressioni di esercizio superiori a 10 bar).
Tipologie di trattamenti
• Trattamenti su terreno asciutto:
per irrorazioni in pre-emergenza o post-emergenza precoce
• Trattamenti su terreno saturo o allagato: per la distribuzione di erbicidi ad assorbimento radicale
• Trattamenti in vegetazione:
per irrorazioni in post-emergenza con insetticidi, fungicidi o diserbanti
Irrorazione su terreno saturo o allagato. Viene effettuata nella distribuzione degli erbicidi ad assorbimento radicale. In questo caso, grazie alla naturale diffusione della miscela all’interno dell’acqua che copre il terreno è possibile ridurre considerevolmente la pressione di esercizio (< 3 bar) e utilizzare ugelli a specchio che consentono di contenere la polverizzazione del liquido riducendo conseguentemente i rischi di deriva. Irrorazione sulla vegetazione. È caratteristica dei trattamenti in post-emergenza della coltura o delle infestanti nei quali il bersaglio è rappresentato dalla parte epigea delle piante. In questa tipologia di distribuzione, oltre alla copertura del bersaglio, assume grande importanza la capacità di penetrazione delle gocce all’interno della coltre vegetale, indispensabile per permettere una sufficiente irrorazione della massa vegetale. Per garantire l’efficacia del trattamento occorre, pertanto, polveriz-
Nei trattamenti su terreno asciutto vengono impiegati pneumatici a larga sezione o gemellati per evitare la formazione di carreggiate che possono interferire con la successiva gestione delle acque
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irroratrici per la risaia zare il liquido in modo da avere gocce sufficientemente piccole (150-300 μm) da permettere una buona adesione alla superficie della vegetazione, che può essere ulteriormente migliorata con l’uso di bagnanti, ma, al contrario, abbastanza grandi (maggiori di 100 μm) da limitare i fenomeni di deriva. I volumi di distribuzione sono normalmente compresi fra i 100 e i 300 litri per ettaro e le barre vengono dotate di ugelli a turbolenza o a fessura che vengono montati a una distanza reciproca di 50 cm e richiedono pressioni di esercizio di 2-3 bar.
Schema di funzionamento di un sistema di distribuzione con dose proporzionale all’avanzamento (DPA) Centralina di comando di un sistema DPA installata nella cabina del trattore
Le macchine sono, generalmente, dotate di pompe a pistonemembrana per la gestione del sistema di distribuzione e, in alcuni casi, di pompe centrifughe ausiliarie per ottimizzare la fase di riempimento del serbatoio. I sistemi di regolazione della dose, al fine di garantire una uniforme distribuzione longitudinale, possono prevedere la distribuzione proporzionale all’avanzamento (DPA) con sistemi elettronici in grado di determinare la velocità della macchina e di regolare la portata di distribuzione in funzione del volume di distribuzione richiesto e della larghezza di lavoro che si sta utilizzando. Tali sistemi elettronici permettono anche di controllare i principali parametri dell’irrorazione (pressione di esercizio, numero di sezioni di barre attive, volume erogato ecc.) direttamente dal posto di guida. Al fine di ottemperare alle disposizioni vigenti in materia di protezione dell’ambiente e di sicurezza dell’operatore, le attrezzature più moderne sono dotate di serbatoi di premiscelazione
I sistemi di premiscelazione permettono di immettere gli agrofarmaci all’interno della macchina in condizioni di sicurezza
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coltivazione Schema di funzionamento per l’iniezione diretta dell’agrofarmaco nel circuito idraulico della macchina irroratrice
Attrezzatura dotata di serbatoio ausiliario di acqua pulita
facilmente accessibili dall’operatore e di serbatoi ausiliari di acqua pulita che consentono di effettuare le operazioni di lavaggio dell’attrezzatura a fine trattamento, direttamente in campo, evitando così possibili forme di inquinamento puntiforme delle acque superficiali e sotterranee. Le attrezzature più innovative prevedono la iniezione della formulazione commerciale in un miscelatore posizionato subito prima del sistema di distribuzione. Tale soluzione costruttiva consente, in ambito risicolo, l’applicazione del diserbo a tratti e la distribuzione mirata di differenti principi attivi in funzione dei dati contenuti in carte tematiche dell’infestazione ottenute grazie a rilievi effettuati in epoche precedenti l’esecuzione del trattamento. Si tratta di una delle applicazioni dell’agricoltura di precisione più interessanti sia dal punto di vista ambientale sia da quello economico. Barre umettanti Si tratta di attrezzature schematicamente costituite da una barra sulla quale è applicata una serie di elementi (corde) imbevuti di formulato chimico che viene depositato sull’infestante al momento del suo impatto con questa ultima. Vengono utilizzate per la distribuzione degli erbicidi sistemici non selettivi; la selettività viene ottenuta grazie alla differenza di altezza tra l’infestante e la coltura. L’uso delle barre umettanti è limitato alla lotta al riso crodo in post-emergenza tardiva e ha lo scopo di contenere la disseminazione delle varietà caratterizzate da un’altezza superiore a quella del riso coltivato. Vengono generalmente utilizzate attrezzature di tipo portato caratterizzate da larghezze di lavoro non superiori a
Schema di funzionamento del lavaggio del serbatoio
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irroratrici per la risaia
Foto G. Sarasso
Barra umettante in trattamento di post-emergenza su risaia in vegetazione
Perdite (%)
Le barre umettanti vengono impiegate per la distribuzione di erbicidi sistemici non selettivi, operando selettivamente nel caso della lotta al riso crodo grazie alla differenza di altezza fra l’infestante e la coltura
12 m che, al fine di rendere più efficace l’intervento, possono prevedere la presenza di sistemi meccanici o elettronici di controllo dell’assetto e dell’altezza della barra rispetto alla coltura.
30 25 20 15 10 5
Altezza = 0,8 m Altezza = 0,6 m 0
Irroratrici e ambiente L’utilizzo di prodotti di sintesi per il controllo delle malerbe se da un lato permette di contenere i costi di produzione, dall’altro viene ritenuto responsabile di potenziali rischi ambientali che possono derivare, oltre che dalle caratteristiche intrinseche del prodotto, da modalità di applicazione non adeguate, connesse con un’impropria gestione dell’irroratrice a barra. I maggiori rischi per l’ambiente sono essenzialmente dovuti alla deriva della miscela fitoiatrica e a una non corretta gestione dei prodotti residui del trattamento e delle acque impiegate per il lavaggio dell’attrezzatura.
1 2 Velocità del vento (m/s)
3
Le perdite di prodotto per deriva dipendono, oltre che dal livello di polverizzazione, dalla altezza di lavoro della barra e dalla velocità del vento
Deriva. Uno dei maggiori rischi per l’ambiente è legato al trasporto del liquido polverizzato a opera dell’aria in movimento. L’entità di tale trasporto dipende dal livello di polverizzazione del liquido – le gocce più fini impiegano più tempo per cadere sul bersaglio, dalla distanza della barra di distribuzione rispetto al bersaglio (più la barra è prossima al terreno minore è il rischio di deriva) e dalla velocità dell’aria al momento del trattamento. La riduzione di tale rischio può essere ottenuta con l’impiego di ugelli certificati, nei quali è nota la relazione fra pressione di esercizio e livello di polverizzazione, che devono, tuttavia, essere scelti e utilizzati in modo da raggiungere il livello di copertura del bersaglio strettamente necessario al tipo di irrorazione da ef-
Gli ugelli antideriva permettono di ridurre il livello di polverizzazione e aumentano l’omogeneità dimensionale delle gocce prodotte
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coltivazione fettuare (maggiore per i prodotti ad azione per contatto, minore per quelli ad azione sistemica o antigerminello). Di recente diffusione sono gli ugelli anti-deriva a iniezione d’aria che, rispetto a quelli tradizionali, oltre a produrre gocce più grandi a parità di portata, sono in grado anche di formare una popolazione di gocce più omogenea e quindi di limitare la produzione delle gocce di minori dimensioni che sono quelle più facilmente trasportabili dall’aria in movimento.
Foto Landwirtschaftskammer Nordrhein-Westfalen
Gestione dei prodotti residui del trattamento e delle acque di lavaggio dell’irroratrice. La distribuzione degli agrofarmaci comporta, alla fine del trattamento, la necessità di gestire una serie di prodotti residui quali i contenitori vuoti dell’agrofarmaco, la miscela residua del trattamento non pescata dalla pompa e le acque ottenute dal lavaggio interno ed esterno dell’irroratrice. Si tratta di quantitativi che possono risultare anche di notevole entità (> 50 litri) e che, se non correttamente gestiti, possono generare forme di inquinamento puntiforme da agrofarmaco delle acque superficiali e sotterranee. In particolare le macchine più moderne sono oggi dotate di serbatoi di acqua pulita che consentono il lavaggio del serbatoio e del circuito di distribuzione in campo alla fine del trattamento stesso. In questo modo le acque che ne derivano possono essere distribuite direttamente sull’appezzamento trattato, mentre la presenza di lance rende possibile il lavaggio della barra di distribuzione e delle parti della macchina a essa adiacenti, in modo da allontanare ogni residuo di principio attivo dalla macchina in campo.
Il lavaggio esterno dell’attrezzatura direttamente in campo, alla fine del trattamento, permette di ridurre sensibilmente i rischi di contaminazione puntiforme delle acque da agrofarmaci
Sicurezza dell’operatore La necessità di manipolare agrofarmaci nelle diverse fasi della filiera operativa della loro distribuzione espone l’addetto al rischio di contatto diretto con il prodotto. Tale rischio può essere contenuto grazie all’impiego di attrezzature la cui qualità funzionale e sicurezza per l’operatore sono certificate da un ente terzo (per esempio ENAMA). In particolare, in tal caso la macchina irroratrice per poter essere certificata deve rispondere a tutti i requisiti previsti dalle più recenti norme nazionali (UNI), europee (EN) e internazionali (ISO) quali, per esempio quelle che prevedono di garantire all’operatore le più idonee condizioni di lavoro sia nella fase di preparazione della miscela fitoiatrica (tramogge di premiscelazione, sistemi di lavaggio dei contenitori, apertura del serbatoio facilmente raggiungibile, filtri pulibili con serbatoio pieno) sia in quella di distribuzione (sistemi di comando e controllo della distribuzione ubicabili all’interno della cabina del trattore, serbatoio di acqua pulita, particolarmente utile nel caso di interventi di manutenzione straordinaria in campo). L’impiego di macchine certificate dovrebbe essere accompagnato da quello di dispositivi di protezione individuali (guanti resistenti
Le protezioni individuali dell’operatore e le attrezzature in dotazione alla macchina possono incrementare sostanzialmente la sicurezza dell’addetto
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irroratrici per la risaia Schema dell’irroratrice con GPS Precision Farming
• La Precision Farming, meglio definita
in italiano come gestione agronomica georeferenziata, si propone di ridurre la disformità della produzione applicando i fattori di produzione in modo differenziato all’interno del campo
Foto R. Angelini
agli agenti chimici, stivali, tute impermeabili, maschere con filtri a carboni attivi, occhiali) che permettono un’ulteriore tutela della salute dell’operatore in tutte le fasi operative della distribuzione degli agrofarmaci. Risicoltura di precisione Dopo il grande clamore suscitato alla fine degli anni ’90, le applicazioni dell’agricoltura di precisione in risicoltura si limitano essenzialmente alla guida assistita e al diserbo a tratti. Mantenere la giusta distanza fra un passaggio e quello successivo nella semina e negli interventi di diserbo è sempre stato un grosso problema, soprattutto negli interventi su terreno sommerso. La disponibilità di sistemi di posizionamento basati sul GPS ha permesso di sviluppare sistemi di asservimento alla guida che consentono di mantenere la corretta direzione di avanzamento senza ricorrere ad alcun riferimento sulle capezzagne. La tecnica del diserbo a tratti è legata all’impiego del sistema di iniezione diretta dell’agrofarmaco nella tubazione di distribuzione e si basa sulla possibilità di distribuire differenti quantità e tipi di principi attivi in funzione dell’entità di infestazione e delle differenti specie da combattere. Tale tecnica di distribuzione può prevedere il ricorso a una precedente mappatura delle infestanti o essere gestita direttamente dall’operatore che sceglie il prodotto da utilizzare in funzione del tipo di infestazione che rivela direttamente dal posto di guida. Si tratta di una soluzione che permette di ridurre sensibilmente i quantitativi di fitofarmaco distribuito e i costi dell’intervento e evita di lasciare residui dei prodotti utilizzati nel serbatoio dell’attrezzatura che, in questo caso, contiene solo acqua pulita. 455