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il riso
utilizzazione Caratteristiche del granello Sergio Feccia, Stefano Bocchi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Caratteristiche del granello Parametri fisico-chimici e qualità del granello Nel mondo sono coltivate due specie di riso: Oryza sativa e Oryza glaberrima. La prima è diffusa in tutti i Paesi, la seconda solamente in Africa. In base ai diversi ambienti di coltivazione (terreni di pianura, terreni di altura, terreni asciutti, terreni paludosi e terreni sommersi da un considerevole livello di acqua) la specie Oryza sativa si è differenziata in due subspecie: la subspecie indica e la subspecie japonica. Quest’ultima è stata ulteriormente suddivisa in due subspecie: tropical japonica e temperate japonica. In alcune pubblicazioni scientifiche le varietà di riso caratterizzate da una cariosside affusolata sono state associate alla subspecie indica, mentre quelle con un granello medio o corto sono state classificate come appartenenti alla subspecie japonica. Queste conclusioni possono per alcuni aspetti fuorviare il lettore, il quale potrebbe pensare che le varietà classificate nella subspecie indica posseggano tutte un granello affusolato, mentre quelle della subspecie japonica siano caratterizzate da un granello più tondeggiante. Per dissipare qualsiasi equivoco in merito a tale argomento riportiamo quanto esposto in forma chiara da R. Piacco in una sua ricerca dal titolo Nuova cultivar di tipo indica: Italpatna: “Il termine indica qui usato, come spesso si fa, per dare un’indicazione valida semplicemente dal punto di vista merceologico è sinonimo di riso stretto, o molto slanciato che dir si voglia. Non si intende, cioè,
Importanza del riso
• Il riso è tra i principali cereali coltivati
nel mondo; annualmente si producono circa 651 milioni di tonnellate di risone su 156 milioni di ettari a risaia; il 90% delle superfici coltivate è localizzata nei Paesi asiatici. Dal punto di vista nutrizionale è considerato il principale alimento per oltre il 50% della popolazione mondiale; è l’elemento base della dieta per almeno 3 miliardi di persone
Riso rosso, bianco e nero
Foto E. Marmiroli
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caratteristiche del granello attribuire al termine il suo significato tassonomico, che nel caso presente sarebbe errato, in quanto la sottospecie indica non è definita soltanto dal rapporto di forma ≥ 3, ma da ben altri caratteri morfologici, genetici e serologici (Kato, Gustchin, Portères ecc.). D’altra parte, anche il valore del rapporto di forma non va preso in senso stretto; ma, come ben rileva Portères, semplicemente come pratico valore critico approssimativo. Con questa limitazione, la cv Italpatna può essere classificata tipo di riso stretto”. Negli USA per classificare le varietà di riso nella subspecie di appartenenza (indica o japonica) si effettuano i seguenti test: reazione al fenolo, resistenza al KClO3, lunghezza dei peli presenti sulla lolla. Le varietà di riso appartenenti alla subspecie indica mostrano una reazione positiva al fenolo, una bassa resistenza verso KClO3 ed una lolla ricoperta da peli corti. Viceversa, le varietà classificate nella subspecie japonica evidenziano una reazione negativa al fenolo, un’elevata resistenza al KClO3 e una lolla ricoperta da peli lunghi. A differenza degli altri cereali, il riso viene consumato quasi esclusivamente sotto forma di cariosside intera. Quindi, l’interesse dei consumatori è rivolto sia all’aspetto della cariosside sia alle caratteristiche percepite durante la masticazione del granello cotto.
Dall’alto al basso: granello di risone (cariosside avvolta dalla lolla costituita da lemma e palea), granello sbramato (ottenuto dopo l’eliminazione della lolla) e granello di riso lavorato (cariosside prodotta dal processo di sbiancatura con una resatrice ad abrasione o a frizione, che elimina l’embrione, il pericarpo e le cellule aleuroniche che avvolgono il riso sbramato)
Aspetto della cariosside. La cariosside di riso lavorato si ottiene dal processo di sbramatura e di sbiancatura. Le varietà commercializzate nei diversi mercati possono essere caratterizzate da differente dimensione (lunghezza, larghezza e spessore), forma (affusolata o arrotondata) e aspetto (cristallino o perlato). Oltre che dalla forma e dalla dimensione, l’aspetto del granello di riso lavorato è influenzato anche dalla presenza o assenza di una zona opaca (perlatura – chalkiness per gli aglosassoni) all’interno dell’endosperma. Le varietà di riso coltivate in Italia e negli altri Paesi del mondo possono essere suddivise in cultivar con il granello perlato e con l’endosperma cristallino. Già dai primi decenni del XX secolo la perlatura è stata attentamente valutata dai ricercatori che operavano presso la Stazione di risicoltura di Vercelli e da altri studiosi. Giovanni Sampietro evidenziava che l’opacità amidacea della cariosside di riso veniva comunemente definita con i termini volgari gessatura o pancia bianca. Egli ha avuto il merito di spiegare in modo chiaro il fenomeno della opacità del granello, e tali conclusioni sono state poi confermate dagli studi effettuati dai ricercatori americani e australiani agli inizi degli anni ’80. Domenico Pinolini nel libro Il riso e la sua coltivazione pubblicato nel 1929 così descrive la cristallinità dei risi italiani: “Il grado di trasparenza del riso bianco costituisce pure un carattere molto importante. La maggior parte dei vecchi risi d’Italia erano appunto pregiati per questo carattere molto spiccato, talvolta diffuso a tutto il chicco. Invece ai risi giapponesi
Dimensione della cariosside Per la legislazione vigente nella Comunità Europea “Regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio”, la dimensione della cariosside di riso lavorato è così definita: • granello tondo = lunghezza pari o inferiore a 5,2 mm, con un rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 2 • granello medio = lunghezza superiore a 5,2 mm e pari o inferiore a 6,0 mm, con un rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 3 • granello lungo A = lunghezza superiore a 6,0 mm e con un rapporto lunghezza/ larghezza superiore a 2 e inferiore a 3 • granello lungo B = lunghezza superiore a 6,0 mm e con un rapporto lunghezza/ larghezza pari o superiore a 3
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utilizzazione in genere si rimproverava una estesa zona centrale opaca. Ora per analogia con ciò che si verifica pei frutti d’altri cereali, mancando finora osservazioni dirette, si potrebbe ammettere che alla trasparenza corrispondesse una maggiore densità dei costituenti della cariosside e soprattutto una maggiore ricchezza in sostanze azotate, la quale conferirebbe al riso, non soltanto un potere nutriente più elevato, ma anche una maggiore resistenza alla cottura, requisito tanto ricercato dalle massaie”. Oltre l’aspetto, la perlatura è in grado di influenzare anche le caratteristiche alla cottura e alla masticazione del granello di riso. Si ipotizza che gli spazi di aria presenti nelle cariossidi perlate consentano un maggiore rigonfiamento dei granuli di amido durante la cottura; tale caratteristica renderebbe la cariosside di riso cotto più morbida rispetto ai granelli cristallini. Inoltre, la presenza di granelli perlati nel campione di riso può influenzare anche la resa in riso lavorato a granello intero. Infatti la debole struttura evidenziata dai granelli perlati li rende particolarmente vulnerabili verso le forze impiegate durante il processo di lavorazione e, di conseguenza, si registra un incremento della percentuale di granelli rotti al termine della fase di sbiancatura della cariosside. La perlatura è governata sia da caratteristiche genetiche tipiche delle singole varietà di riso, sia da fattori ambientali che si verificano durante la coltivazione. Le elevate temperature dell’aria, in particolare nelle ore notturne, durante lo stadio di riempimento della cariosside tendono a incrementare la presenza della perlatura nel granello di riso. Le ricerche effettuate con l’ausilio del microscopio elettronico hanno evidenziato che la perlatura è dovuta essenzialmente a tre fattori: una non uniforme deposizione dell’amido, una struttura meno ordinata tra le cellule degli amiloplasti e i granuli di ami-
Varietà di riso lavorato, suddivise in base alla dimensione del granello, coltivate in Italia. Dalla prima colonna di sinistra verso destra: cultivar a granello tondo, medio, lungo A e lungo B
Varietà di riso coltivate in Italia a cariosside perlata (colonna di sinistra) e cristallina (colonna di destra)
Foto R. Angelini
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caratteristiche del granello do e la presenza di sacche d’aria all’interno dell’endosperma. A. Tinarelli e A. Ravasi nel loro studio pubblicato nell’anno 1963 Il Riso – contributo alla sistematica e al riconoscimento delle varietà di riso italiane, caratteristiche e difetti – Quaderno N. 10 Ente Nazionale Risi, ufficio studi hanno bene mostrato come, a seconda della forma e della dimensione all’interno della cariosside di riso, la perlatura possa essere classificata nelle seguenti categorie (vedi immagine a lato): – perla assente; – perla poco estesa in posizione centrale; – perla estesa in posizione centrale; – perla poco estesa in posizione centro-laterale; – perla estesa in posizione centro-laterale. In alcune varietà di riso si osserva la presenza di una zona opaca nella parte ventrale del granello, denominata striscia. A seconda della dimensione essa può essere classificata in: striscia assente, striscia allungata e striscia breve. Gli anglosassoni usano il termine white-core per definire la perlatura centrale, mentre con il termine white-belly identificano la perlatura ventrale. I granelli di riso lavorato, appartenenti alle varietà non-waxy, caratterizzati da una cariosside completamente opaca sono definiti con il termine milky-white (gessati).
Classificazione della perlatura in funzione della forma e della dimensione
Granello senza la perlatura o cristallino
Granello di riso lavorato con una perlatura poco estesa
Granello di riso lavorato con una perlatura centrale molto estesa
Caratteristiche fisico-chimiche del granello e qualità alla cottura. Le qualità del granello di riso cotto non possono essere universalmente predefinite, perché dipendono dalle preferenze dei consumatori che vivono nei diversi Paesi del mondo. Un esempio può facilmente spiegare come il concetto di qualità possa essere radicalmente differente in due Paesi asiatici: Giappone e India. In Giappone sono gradite varietà di riso che, dopo la cottura, mantengono un granello appiccicoso, mentre in India si preferisce consumare le varietà con una struttura del riso cotto consistente, poco collosa e con i granelli ben separati. Entrambe le caratteristiche
Granello di riso lavorato con una perlatura centro-laterale poco estesa
Granello di riso lavorato con una perlatura centro-laterale molto estesa
Principali determinazioni fisico-chimiche effettuate sulla cariosside di riso Test fisici
Test chimici
Acqua assorbita dal granello durante la cottura
Contenuto di amilosio
Allungamento del granello dopo la cottura
Contenuto proteico
Consistenza del granello dopo la cottura
Alkali spreading value
Collosità del granello dopo la cottura
Contenuto dei lipidi superficiali
Tempo di gelatinizzazione
Rapporto Mg/K
Analisi amilografica
Contenuto di acidi grassi liberi
Granello di riso lavorato senza la presenza della striscia
Granello di riso lavorato con una striscia allungata
Granello di riso lavorato con una striscia breve
Resa alla lavorazione
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utilizzazione qualitative sono correlate con le modalità di consumo del riso nelle due nazioni. Nel Paese del Sol Levante da millenni il riso è consumato con l’ausilio delle bacchette di legno, quindi, è necessario che il granello di riso cotto sia appiccicoso e facilmente agglomerabile. In India invece, è consumato utilizzando le mani al posto delle posate, pertanto è evidente che i granelli dopo la cottura non devono appiccicarsi alle dita ma essere facilmente sgranabili. Possiamo ribadire che non esiste un unico concetto di qualità e che i diversi parametri qualitativi devono essere attentamente valutati in relazione al mercato a cui è destinato il riso. I test utilizzati per valutare le qualità del granello di riso sono di due tipi: fisici e chimici.
Classificazione del riso in base al contenuto di amilosio apparente
• Risi waxy = 0-2% • Risi a molto basso contenuto di amilosio apparente o equivalente = 2-10%
• Risi a basso contenuto di amilosio
apparente o equivalente = 10-20% • Risi a intermedio contenuto di amilosio apparente o equivalente = 20-25% • Risi ad alto contenuto di amilosio apparente o equivalente = >25%
CH2OH O OH OH
OH
CH2OH O OH O
O
OH
CH2OH O OH
O OH n Amilosio
CH2OH O OH
CH2OH O OH O n
Contenuto di amilosio apparente. Il principale costituente del granello di riso è rappresentato dall’amido, circa l’80% del peso del riso sbramato. I granuli di amido delle piante contengono due principali polisaccaridi: l’amilosio e l’amilopectina. Entrambe le macromolecole sono caratterizzate dalla presenza dei legami alfa 1-4 che uniscono le molecole di glucosio ma, diversamente da quanto osservato per l’amilosio che possiede una struttura lineare e poco ramificata, l’amilopectina mostra una struttura molecolare a catena più corta e con una maggiore frequenza dei legami ramificati alfa 1-6. Il contenuto di amilosio apparente è considerato il principale componente dell’amido in grado di influenzare il comportamento alla cottura e alla masticazione del granello di riso. La determinazione dell’amilosio viene eseguita mediante analisi colorimetrica del complesso formato tra l’amilosio e una soluzione iodo/iodurata a un pH di reazione pari a 4,5-4,8, misurando l’assorbanza a 620 nm e calcolando la concentrazione rispetto a una retta di lavoro costruita con amilosio di patata (capacità minima di legare lo iodio pari al 19%) e amilopectina ottenuta da una varietà waxy (Metodologia ISO 6647). Le varietà di riso caratterizzate da un basso contenuto di amilosio apparente (10-20%) mostrano, dopo la cottura, un granello cotto colloso e poco consistente. Viceversa, le cultivar di riso con un intermedio (20-25%) e alto contenuto di amilosio apparente (>25%) presentano un granello poco appiccicoso e con una buona consistenza.
OH
OH
O CH2 OH
O
O
OH
O
Amilopectina Struttura di amilosio e amilopectina
Alkali spreading value. Quando si sottopone a riscaldamento una sospensione formata da acqua e farina di riso, i granuli di amido assorbono acqua e si rigonfiano. La temperatura di gelatinizzazione evidenzia le prime fasi dei cambiamenti irreversibili subiti dalla struttura dell’amido. Generalmente la temperatura di gelatinizzazione si misura con un microscopio a luce polarizzata mediante la registrazione del punto di birifrangenza. La temperatura alla quale si osserva la perdita della birifrangenza indica che il 90% dei granuli di amido è gelatinizzato o rigonfiato in modo irreversibile. L’analisi può anche essere effettuata in modo indiretto, mediante la macerazione di 6 granelli di riso lavorato (quattro ripetizioni da
Temperatura di gelatinizzazione La temperatura di gelatinizzazione dell’amido di riso è stata classificata nelle seguenti categorie: • 55-69,5 °C = bassa • 70-74 °C = intermedia • 74,5-79 °C = alta
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caratteristiche del granello sei cariossidi ognuna) in 10 ml di una soluzione di KOH 1,7% per 23 ore alla temperatura di 30 °C. Rapporto Mg/K nel riso sbramato. I ricercatori giapponesi hanno dimostrato che la concentrazione del magnesio e del potassio, e in particolare il rapporto Mg/K nel granello di riso sbramato, è correlata con la collosità (stickiness) del riso cotto. Le varietà con una struttura soffice del granello dopo la cottura, parametro considerato dai consumatori giapponesi di elevata qualità, sono caratterizzate da un’alta concentrazione di magnesio nel granello. Le varietà di riso a elevata qualità Koshihikari e Hinohikari contengono un elevato rapporto Mg/K nel granello di riso sbramato. Questa caratteristica è considerata particolarmente importante, al punto che i programmi di miglioramento genetico adottati in Giappone per selezionare le varietà di riso a elevata qualità, prevedono l’analisi del rapporto Mg/K sulle linee in selezione. Alkali Test: esempio della degradazione subita dal granello di riso lavorato a contatto con una soluzione di idrossido di potassio (KOH). I quattro contenitori della prima e della terza fila orizzontale evidenziano granelli resistenti al KOH. I quattro contenitori della seconda e della quarta fila mostrano dei granelli facilmente degradati dal KOH
Grassi superficiali e acidi grassi liberi. I lipidi sono concentrati principalmente negli strati delle cellule aleuroniche e nell’embrione del granello di riso sbramato. La concentrazione dei grassi nella cariosside del riso sbramato è compresa tra il 2 ed il 4%, mentre il range della concentrazione nel granello di riso lavorato è pari allo 0,3-0,6%, a seconda del grado di asportazione degli strati esterni subito durante il processo di sbiancatura del granello di riso sbramato. I lipidi contenuti sulla superficie del granello lavorato possono essere idrolizzati dagli enzimi lipasi in acidi grassi liberi e glicerolo. Gli acidi grassi insaturi, come l’acido linoleico e linolenico, possono essere sottoposti al processo di ossidazione controllato dall’attività dell’enzima lipossigenasi che li trasforma in sostanze volatili caratterizzate da un cattivo odore. Queste sostanze impartiscono un odore sgradevole al riso lavorato, identificabile con il termine di riso invecchiato.
Classificazione del granello in base alla degradazione causata dalla soluzione KOH In base alla degradazione subita dal granello è possibile classificare le varietà di riso con le seguenti attribuzioni: • Punteggio medio 1 = granello non intaccato (alta temperatura di gelatinizzazione) • Punteggio medio 3 = granello rigonfiato con la presenza di un collare stretto e incompleto (alta/intermedia temperatura di gelatinizzazione) • Punteggio medio 5 = granello rigonfiato con la presenza di un collare completo e largo (intermedia temperatura di gelatinizzazione) • Punteggio medio 7 = granello completamente degradato (bassa temperatura di gelatinizzazione)
Analisi amilografica. L’analsi amilografica misura i cambiamenti subiti dalla viscosità della sospensione acqua-farina di riso durante il riscaldamento e il successivo raffreddamento. La registrazione della viscosità dell’impasto consente di ottenere una curva amilografica dalla quale è possibile calcolare il valore di alcuni parametri qualitativi importanti. La determinazione si effettua mediante l’impiego di due principali strumenti: il Rapid Visco Analyzer (RVA, Newport Scientific, Warriewood, Australia) e il Micro Visco-Amylograph (Brabender, Duisberg, Germany). Dalla curva amilografica è possibile misurare i seguenti parametri: – temperatura di inizio gelatinizzazione (temperatura alla quale si osserva il primo incremento di viscosità dell’impasto); – picco di massima viscosità (maximum viscosity); – viscosità al termine del ciclo con temperatura costante a 95 o 93 °C (minimum viscosity); 527
utilizzazione Profilo della viscosità dell’impasto acqua-farina di riso lavorato, ottenuto dall’analisi con Rapid Visco Analyzer – RVA
Analisi amilografica
• È utilizzata per individuare le
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caratteristiche qualitative alla cottura delle diverse varietà di riso poste in commercio. In particolare è impiegata per controllare il comportamento alla cottura delle farine da utilizzare nelle industrie alimentari per la produzione dei nuovi alimenti a base di riso
93 °C
Viscosità (unità RVU)
Temperatura
Viscosità massima
400
300 Breakdown
50 °C 200
50°C
Viscosità finale
Consistenza
100 Viscosità minima 0
1
5
12
16
19
Tempo (min)
– viscosità al termine del raffreddamento a 50 °C (final viscosity); – breakdown = viscosità massima – viscosità minima; – consistenza o setback = viscosità al termine del rffreddamento a 50 °C (viscosità finale) – viscosità al termine del ciclo con °t costante a 95° o 93° (viscosità minima); – retrodegradazione = viscosità al termine del raffreddamento a 50 °C (viscosità finale) – viscosità massima.
Proteine del riso In base alla loro solubilità, le proteine del riso sono classificate in: • albumine – solubili in acqua (rappresentano circa il 10% delle proteine totali) • globuline – insolubili in acqua, ma solubili in una soluzione salina (rappresentano circa il 5% delle proteine totali) • gluteline – insolubili in acqua, ma solubili in una soluzione basica o acida (rappresentano circa il 60-65% delle proteine totali) • prolamine – insolubili in acqua, ma solubili in una soluzione alcolica (rappresentano il 20-25% delle proteine totali)
Contenuto proteico del granello di riso. Le proteine sono in grado di influenzare la qualità del granello di riso perché incidono sul valore nutrizionale, sulla resa alla lavorazione e sulle caratteristiche alla cottura. Si pensa che le proteine del granello di riso possano limitare la quantità di sostanze perdute dalla cariosside durante la cottura, incrementando la consistenza e riducendo la collosità del riso cotto. Tale comportamento conferma la scelta, da parte della popolazione giapponese, di consumare varietà di riso con un contenuto proteico pari o inferiore al 6%. Il riso prodotto nella prefettura di Niigata in Giappone è considerato di elevata qualità per il mercato. Per raggiungere questo obiettivo si è adottato un nuovo sistema di concimazione azotata in risaia, che consente una distribuzione mirata del fertilizzante azotato Site-Specific Management System. Tale tecnica favorisce una crescita uniforme della pianta, associata a una buona qualità del granello. Poiché i giapponesi preferiscono consumare un riso colloso dopo la cottura, risulta evidente che il contenuto proteico, assieme alla concentrazione di amilosio apparente, svolga un ruolo importante nel controllo della 528
caratteristiche del granello collosità (stickiness) e della consistenza (hardness). Dopo l’amido, le proteine rappresentano il secondo componente del granello di riso, con una concentrazione media nel lavorato pari a circa il 7%. Le condizioni di coltivazione e la concimazione possono influenzare in modo significativo il contenuto proteico del granello di riso. Le principali frazioni proteiche contenute nell’endosperma del granello lavorato sono rappresentate dalla prolamina e dalla glutelina, che rispettivamente si trovano depositate nei corpi proteici PB-I e PB-II. Le proteine del granello sono considerate a elevato valore nutrizionale e ipoallergeniche. Queste caratteristiche le rendono particolarmente adatte alla preparazione degli alimenti per l’infanzia e dei cibi senza glutine. Tempo di gelatinizzazione. La metodologia utilizzata per determinare il tempo di gelatinizzazione del granello di riso durante la cottura in acqua è stata descritta per la prima volta da Francesco Ranghino in uno studio dal titolo Valutazione della resistenza del riso alla cottura, in base al tempo di gelatinizzazione dei granelli. La nuova tecnica di analisi, concepita e sviluppata in Italia, è stata adottata nella maggior parte dei laboratori del mondo. L’importanza di tale determinazione è bene evidenziata dalla sua longevità; è stata recensita nel 2007 da Véronique Vidal e altri in Journal of Agricultural and Food Chemistry, una delle più prestigiose riviste scientifiche del settore. Nel 1998, la metodica ideata da Ranghino è stata adottata quale norma ISO/ICD method 14864. La tecnica di analisi si basa sulla registrazione del numero di granelli gelatinizzati durante la cottura del riso in eccesso d’acqua. Dopo 10 minuti di cottura, ad intervalli regolari di sessanta secondi, si prelevano 10 cariossidi e si comprimono tra due lastre di vetro a forma quadrata (7 x 7 cm e spesse 3 mm) per registrare il numero di granelli gelatinizzati, ovvero ca-
Analisi del tempo di gelatinizzazione. Compressione dei 10 granelli, cotti per 10 minuti. Tutte le cariossidi presentano una zona opaca: nessun granello gelatinizzato
Tempo di gelatinizzazione. Compressione di 10 granelli, cotti per 14 minuti. Si osserva una riduzione della zona opaca, che però è ancora presente in tutti i granelli: nessuna cariosside gelatinizzata
Tempo di gelatinizzazione. Compressione di 10 granelli cotti per 19 minuti. Tutte le 10 cariossidi sono state gelatinizzate
Analisi del tempo di gelatinizzazione. Prelievo del riso a intervalli regolari, mediante l’ausilio di un colino
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utilizzazione riossidi di riso lavorato che non presentano la zona opaca tipica dell’amido non gelatinizzato. Attraverso una formula matematica e la disposizione sul grafico dei valori relativi al tempo di analisi (ascisse) e alla percentuale dei granelli gelatinizzati (ordinate), si calcola il tempo di cottura necessario per gelatinizzare il 90% dei granelli di riso (tempo di gelatinizzazione). Tale parametro varia in relazione alle caratteristiche fisico-chimiche delle diverse varietà di riso. Generalmente per le varietà di riso coltivate in Italia è stato osservato il seguente range: 14-24 minuti. Acqua assorbita dal granello di riso durante la cottura. Quando la cariosside del riso lavorato è sottoposta al processo di cottura in acqua, l’amido dell’endosperma si gelatinizza e aumenta di volume. Per gelatinizzare il granello in modo uniforme, la cariosside deve assorbire l’acqua in maniera omogenea sino al centro dell’endosperma. L’assorbimento contribuisce a incrementare il peso e il volume del granello di riso durante la cottura. Inoltre, la quantità di acqua assorbita dalla cariosside di riso lavorato è in grado di influenzare in modo significativo la struttura del granello al termine del processo di cottura. La consistenza del granello cotto dipende dalla distribuzione dell’acqua al suo interno e al grado di gelatinizzazione subito dall’amido.
Allungamento del granello dopo la cottura della varietà Basmati
Allungamento del granello di riso dopo la cottura. La capacità del granello di riso di subire un forte allungamento dopo la cottura è considerata un parametro qualitativo molto importante, in particolare per le varietà di riso profumate Basmati coltivate in India e Pakistan. La metodologia utilizzata per questa determinazione prevede la macerazione del campione di riso lavorato in acqua per 30 minuti e la successiva cottura in acqua bollente per 10 minuti. Il rapporto di allungamento subito dalla cariosside di riso durante la cottura si calcola dividendo la lunghezza media del granello di riso cotto per la media della lunghezza del granello prima della cottura.
Griglia della cella Ottawa da 50 cm2, la cui dimensione è stata ridotta a 7,5 cm2
Analisi della consistenza (hardness) del riso cotto. L’analisi si basa sulla forza di estrusione, attraverso una griglia forata, del campione di riso lavorato e cotto a vapore (17 g) mediante l’apparecchiatura Instron. La cottura del campione si effettua con un quantitativo fisso di acqua (20 g di riso lavorato + 38 ml di acqua distillata) e successivo trattamento con vapore per 20 minuti, più 10 minuti senza fornire energia. Dopo un tempo di raffreddamento di circa 2 ore si effettua la determinazione. La consistenza del granello cotto (hardness) è indicata dalla forza massima impiegata dal pistone di 7,5 cm2, azionato a una velocità di 10 cm/minuto, per estrudere il campione di riso cotto attraverso la griglia della cella Ottawa. Con questa determinazione si cerca di simulare la percezione registrata dai consu-
Apparecchiatura Instron-Model 1000 utilizzata per estrudere il campione di riso cotto
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caratteristiche del granello matori quando comprimono il granello di riso cotto tra i denti molari durante la masticazione. La consistenza ha evidenziato una correlazione positiva con la concentrazione del contenuto di amilosio apparente della cariosside. I campioni di riso con un contenuto di amilosio apparente intermedio-alto (20-25% e >25%) dopo la cottura richiedono un’elevata forza per estrudere il campione attraverso la griglia. Viceversa, i campioni con un contenuto di amilosio apparente basso (<20%) necessitano di una minore forza perché posseggono un granello di riso cotto meno consistente. Analisi della collosità (stickiness) del riso cotto. La collosità si determina comprimendo 2 g di riso cotto con un pistone a forma cilindrica (ø da 7 cm) azionato a una velocità pari a 0,5 cm/min, sino a raggiungere una pressione di 640 g. L’indice di collosità è espresso dal lavoro (forza per spostamento) impiegato per distaccare il riso dalle due superfici mediante una sonda che agisce alla velocità di 0,5 cm/minuto. La cottura del campione avviene con un quantitativo fisso di acqua (8 g di riso + 12 ml di acqua distillata) e successivo trattamento a vapore per 20 minuti più 10 minuti senza fornire energia. La determinazione si esegue con l’apparecchiatura Texture analyzer – TA.XT Plus. Diversamente da quanto registrato per la consistenza, la collosità ha evidenziato un correlazione negativa con il contenuto di amilosio apparente. Le varietà di riso caratterizzate da un contenuto di amilosio apparente intermedio (20-25%) e alto (>25%) mostrano una bassa collosità del riso cotto, mentre quelle a basso contenuto di amilosio apparente (<20%) presentano un granello cotto con un’elevata collosità.
Apparecchiatura Texture analyzer – TA.XT. Plus
Particolare della cella di misura utilizzata per determinare la collosità del riso cotto Texture analyzer – TA.XT. Plus
Resa alla lavorazione. Con questa determinazione si valuta la quantità di riso lavorato a granello intero che si può ottenere da un campione di risone. Tale determinazione è importante dal punto di vista commerciale perché, in base alla resa in riso lavorato a granello intero, si calcola il prezzo di vendita del risone. L’analisi si esegue in doppio su 100 g di risone. Dopo la sbramatura (eliminazione di lemma e palea-lolla), il riso è sottoposto alla fase di sbiancatura (eliminazione dell’embrione e delle pellicole che avvolgono il granello di sbramato; principalmente il pericarpo e le cellule aleuroniche) con una resatrice a frizione ( asportazione dei tegumenti esterni del granello attraverso lo sfregamento tra i granelli di riso) o ad abrasione (asportazione dei tegumenti esterni del granello mediante sfregamento delle cariossidi su una mola di pietra abrasiva rotante). La separazione delle rotture mediante l’impiego di appositi setacci, consente di determinare il quantitativo di riso lavorato a granello intero prodotto da 100 grammi di risone. La resa si esprime in % rispetto al peso del campione di partenza e varia
Crusca 10-13%
Risone
Riso bianco 70-71%
Lolla 17-20%
Struttura del granello di risone
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utilizzazione in funzione della varietà, delle condizioni di coltivazione e di conservazione. Fessurazioni nel granello Durante la maturazione del granello in pieno campo, la cariosside di risone perde progressivamente umidità sino a raggiungere un valore ottimale di raccolta pari a circa il 22-24%. Il granello di riso, come quello degli altri cereali, è igroscopico. A seconda dell’ambiente con cui viene a contatto può cedere o acquistare umidità. Se le condizioni ambientali sono propizie, il granello perde una maggiore quantità di umidità durante il giorno, ma ne può riassorbire una quota minore durante le ore notturne. Con il progredire dell’essiccazione in pieno campo, quando il tenore di umidità del granello si porta a valori inferiori al 18%, considerati critici, la cariosside di risone, in seguito al processo di desorbimento e assorbimento di umidità, può subire degli stress che portano alla formazione delle fessurazioni note, in termini anglosassoni, anche come sun-cracking o suncheks. Queste ultime possono essere attribuite al processo di riassorbimento e alle tensioni tra gli strati superficiali e quelli centrali della cariosside. I cambiamenti giornalieri dell’umidità relativa, la temperatura ambiente registrata durante la fase di maturazione del granello di riso e la suscettibilità varietale verso la formazione delle fessurazioni sono i principali fattori che influenzano la resa in riso lavorato intero.
Granello di riso sbramato fessurato
Correlazione fra resa in riso lavorato a granello intero e umidità del risone al momento della raccolta (%)
Resa del riso lavorato e umidità del risone alla raccolta
80 Percentuale di riso lavorato
• La figura a lato evidenzia la correlazione fra la resa in riso lavorato a granello intero (head rice) e l’umidità del risone al momento della raccolta (grain moisture at harvest [%]). La pressione esercitata dal processo di sbramatura (eliminazione della lolla, cioè della lemma e della palea) e di sbiancatura (eliminazione dell’embrione e degli strati di pula che avvolgono il granello di riso sbramato) provocano la rottura dei granelli fessurati e la conseguente riduzione della resa in riso lavorato intero
70 60 50 40 30 20
14 15
16 17 18 19 20 21 22 23 24 Umidità del granello di risone alla raccolta (%)
Resa in riso lavorato a granello intero
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Resa globale (granello intero + rotture di riso lavorato)
25
26
caratteristiche del granello Oltre alla produzione unitaria (quantità di risone prodotto per unità di superficie) riveste un ruolo predominante la quantità di riso lavorato a granello intero (rendimento alla lavorazione) che si riesce a ottenere dal processo di lavorazione a cui è sottoposto il risone in riseria. Il prezzo di vendita del risone nelle transazioni commerciali si basa sulla percentuale di riso lavorato a granello intero che si riesce a ottenere dal campione sottoposto a valutazione. Di conseguenza, sia il risicoltore sia l’industriale risiero hanno tutto l’interesse affinché si produca e si acquisti un campione di risone caratterizzato da una bassa percentuale di fessurazioni. Il fenomeno delle rotture nel riso lavorato aveva già richiamato l’attenzione, fin dall’inizio del secolo scorso, di valenti studiosi italiani come Novello Novelli (Direttore della Stazione Sperimentale di risicoltura di Vercelli dal 1912 al 1947, è considerato il padre della moderna risicoltura italiana: per primo ha studiato e preteso dai suoi ricercatori che la coltivazione del riso venisse esaminata in base al metodo scientifico), Polo Poli, Riccardo Chiappelli, Giovanni Sampietro, ma le cause furono chiarite negli anni ’20 grazie agli studi di Giovanni Sampietro e successivamente di Kondo e Okamura e di Andrea Malinverni. Nel suo articolo del 1923 dal titolo Dell’essiccazione artificiale Sampietro scriveva: “Ed allora il seme si trova a costiparsi velocemente nella parte esterna e lentamente in quella interiore, con una contrazione di strati che porta il granello a screpolarsi, poiché il restringimento esterno supera l’elasticità del chicco”. Le fessure possono essere causate da processi che avvengono sia prima della raccolta sia dopo, nel corso dell’essiccazione, della conservazione e della lavorazione del granello in riseria. Drastiche condizioni di essiccazione (elevate temperature dell’aria), sino a portare il contenuto di umidità della cariosside a circa il 13% e successiva esposizione del risone in ambiente con elevata umidità relativa dell’aria, possono incrementare la formazione dei granelli fessurati. Recentemente in Arkansas è stata proposta una teoria che, mutuando alcuni concetti dalla chimica dei polimeri, riuscirebbe a spiegare questo tipo di fessurazioni. Essa si basa sullo studio dei cambiamenti subiti dal parametro transition temperature dell’amido del granello di riso durante l’essiccazione. Il granello è visto come una matrice costituita da differenti biopolimeri quali l’amido (una miscela di amilosio e amilopectina) e le proteine, con l’acqua che funge da plasticizzante. Quando il tenore di umidità del granello di riso alla raccolta è pari al 20-22%, la transition temperature è compresa nel range 35-38 °C e la struttura della cariosside può essere definita con il termine glassy. Quando l’essiccazione avviene con una temperatura dell’aria compresa in questo range (35-38 °C), si limitano le possibilità di sviluppare le fessurazioni, ma con il progredire dell’essiccazione, aumenta la temperatura del granello, si riduce il contenuto di umidità e, in misura direttamente proporzionale, si osserva un incremento della
Foto R. Angelini
Una corretta essiccazione del riso in campo è fondamentale per massimizzare la produzione e la resa in riso lavorato a granello intero
Rotture e granello intero di riso lavorato
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utilizzazione transition temperature. L’amido di riso può quindi trasformarsi da una struttura di tipo glassy ad una rubbery. Al termine del processo di essiccazione, il granello di riso subisce un raffreddamento e può nuovamente modificare la struttura dell’amido da rubbery a glassy. Il granello di riso al termine del processo di essiccazione e durante la fase di raffreddamento potrebbe manifestare delle zone caratterizzate da un gradiente di umidità elevato e, di conseguenza, da una diversa transition temperature (Tg). In base alla temperatura della cariosside, l’amido di riso potrebbe evidenziare una struttura completamente rubbery, completamente glassy, parzialmente glassy o parzialmente rubbery. Con elevato gradiente di umidità all’interno della cariosside, si creano tensioni tra la zona superficiale ed il centro che possono causare le fessurazioni. Per monitorare la percentuale di granelli fessurati nel risone, oltre alla determinazione del contenuto di umidità, si consiglia anche di effettuare la determinazione dei granelli fessurati. La quantificazione dei granelli incrinati è di semplice esecuzione e non richiede l’impiego di strumenti costosi o di personale specializzato. Per ridurre la percentuale di granelli rotti e quindi aumentare il valore della produzione, è necessario affrontare la problematica su entrambi gli aspetti sopra descritti di pre e post-raccolta. In termini generali, è consigliabile raccogliere quando l’umidità del risone è compresa tra il 22 e il 24%. L’epoca di asciutta della risaia riveste un ruolo importante in merito alla capacità di riempimento del granello di riso e della succes-
Determinazione dei granelli fessurati
• La determinazione si basa sulla
visualizzazione delle incrinature evidenziate da un fascio di luce che attraversa la cariosside di riso e prevede le seguenti operazioni: – sbramatura manuale di due ripetizioni da 100 semi di risone – posizionamento dei 50 semi di riso sbramato sulla griglia di misura – registrazione, attraverso una apparecchiatura dotata di una lente di ingrandimento, del numero di granelli fessurati messi in evidenza dalla luce incidente posta sotto alla cariosside – espressione del risultato attraverso l’indicazione % di granelli fessurati (media di 4 determinazioni da 50 semi ognuna)
Diagramma di stato del riso e ipotetico processo di essiccazione del granello di riso sbramato 70
Temperatura, °C
60 50
Essiccazione
Tg
40
Essiccazione a caldo
Raffreddamento
30 20 10 0
Cella di misura per l’analisi delle fessurazioni in 50 cariossidi di riso sbramato
Regione elastica dell’endosperma (rubbery region)
Regione vetrosa dell’endosperma (glassy region) 5
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20
Contenuto in umidità (%) Tg = temperatura di transizione
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caratteristiche del granello siva resa alla lavorazione. Un’asciutta troppo anticipata provoca una forte accelerazione del riempimento della cariosside, mentre l’asciutta ritardata consente una costante maturazione del granello. Per ridurre la formazione delle fessurazioni, il risone, dopo il processo di essiccazione, deve essere posto in un ambiente con una bassa umidità relativa dell’aria in modo che l’umidità possa defluire dal centro verso la periferia della cariosside in modo costante. Può essere utile anche sottoporre il risone, dopo il processo di essiccazione e prima della conservazione, a una ventilazione con aria a basso contenuto di umidità per alcune ore. Attraverso una scrupolosa pianificazione delle operazioni di raccolta e post-raccolta descritte in questa breve nota, si potrà migliorare la qualità del riso prodotto. L’introduzione del concetto di qualità nelle operazioni sopra esposte consentirà di raggiungere un duplice obiettivo: incrementare la qualità e il valore commerciale del riso prodotto e accrescere la quota di riso lavorato a granello intero commercializzato dall’industria risiera nazionale. Tali risultati potranno essere realizzati attraverso una stretta collaborazione tra il mondo scientifico (Università, Centri di ricerca pubblici e privati) e i componenti della filiera risicola (agricoltori e industriali).
Grainscope per la determinazione delle fessure nel granello di riso
Riso bianco e parboiled pronto per la commercializzazione
Foto E. Marmiroli
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il riso
utilizzazione Lavorazione e sottoprodotti Adriano Canever
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Lavorazione e sottoprodotti Lavorazione del riso A differenza degli altri cereali, quali grano e mais, dove la lavorazione ha lo scopo di ridurli in semola o farina, per il riso l’obiettivo è quello di mantenere il più possibile i chicchi interi. È un lavoro di selezione e calibratura con solo due operazioni meccaniche, e poiché il riso è molto fragile, l’abilità di tutto il processo consiste nell’operare con cautela, in modo da rompere il meno possibile i chicchi. Le prime “pilerie” o “piste da riso” sorsero in Italia agli inizi del ’500, in concomitanza con l’inizio della coltivazione. Operavano solo a uso dei proprietari, nelle “corti” che coltivavano riso ed erano di norma collocate in un solo locale a piano terreno, dove venivano effettuate tutte le operazioni, movimentate dalla ruota ad acqua. Solo a metà dell’800 sono nati i primi veri e propri impianti industriali, che si installarono nelle aree portuali di Genova, Venezia e Trieste e facevano soprattutto operazioni di import-export. Gli imprenditori risieri introdussero delle innovazioni tecniche provenienti dal Nord Europa e fecero rapidi progressi. L’utilizzo degli elevatori, delle coclee e dei ventilatori consentirono l’aumento della capacità produttiva e la riduzione dei costi e, dall’unico locale a pian terreno, le costruzioni giunsero anche a cinque piani. Con l’aumento della produzione risicola e la conseguente maggior disponibilità di materia prima, questi impianti si spostarono nel cuore della coltivazione, localizzata nel triangolo Novara-Vercelli-Pavia, dove alcuni di questi impianti sono tuttora operativi. Al giorno d’oggi, salvo rare eccezioni, la coltivazione e la lavorazione del riso sono due realtà separate. Gli agricoltori coltivano il riso, lo raccolgono, lo essiccano e lo stoccano nei loro magazzini, mentre
Lavorazione del riso
• Il processo industriale non modifica
in nessun modo i chicchi che arrivano dal campo, ma si limita semplicemente a pulirli e a rimuoverne gli strati superficiali esterni mediante abrasione meccanica, per renderli commestibili, senza l’aggiunta di alcuna sostanza o l’utilizzo di qualsiasi additivo. Possiamo dire che il riso arriva sulla tavola così come natura lo ha fatto
Foto E. Marmiroli
Il riso appena raccolto è detto risone e si presenta avvolto dai rivestimenti esterni
Risone appena conferito in riseria
Foto E. Marmiroli
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lavorazione e sottoprodotti gli industriali si dedicano alla lavorazione e alla commercializzazione. La materia prima che arriva in riseria è chiamata “risone” e con tale termine si identificano le “cariossidi”, cioè i chicchi attaccati alla pannocchia, che sono raccolti nel campo. Nel linguaggio internazionale è chiamato paddy. La cariosside è composta dal chicco di riso, “grano”, e dalle “glumelle” che formano il guscio esterno che lo protegge, chiamate “lolla”. La lavorazione parte dal risone, e il processo si può dividere in due parti: “sbramatura” e “sbiancatura”.
Risone
• È un prodotto che arriva direttamente
dal campo e può contenere paglia, terra, carta, pezzi di metallo, pietre ecc. Prima di essere sgusciato, viene sottoposto a un’idonea pulizia, eseguita utilizzando macchine sofisticate
Prima parte della lavorazione Nella prima parte avvengono la pulitura e la sgusciatura del risone sino ad arrivare al riso sbramato, comunemente conosciuto come “riso integrale”. Per prima cosa si provvede a pulire il risone utilizzando diversi tipi di macchine con le quali vengono eliminati i corpi estranei. Pulitore. La prima macchina che il risone trova nel suo percorso è un pulitore, chiamato “tarara”. È una macchina dotata di un movi-
Schema di lavoro della tarara Entrata del prodotto
Uscita laterale delle impurità più grosse (chicchi grossi, corde, paglia ecc.) Setaccio grosso
Setaccio fine Motore
Uscita laterale delle impurità fini (chicchi leggeri e rotti, sabbia ecc.)
Uscita del prodotto pulito
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utilizzazione mento vibratorio, ed equipaggiata con due telai forati sovrapposti, un po’ inclinati in avanti per favorire l’avanzamento del prodotto. Il primo telaio ha i fori più grandi dei chicchi, per consentirne il passaggio e la caduta nel telaio sottostante, mentre tutti i corpi estranei più grandi (paglia, piume, carta ecc.) rimangono sopra e vengono quindi separati. I fori del telaio sottostante, invece, sono più piccoli dei chicchi e non ne consentono il passaggio. Il riso rimane sopra il telaio e prosegue il percorso, mentre dai fori scendono tutti i corpi estranei più piccoli (terra, sassolini, piccoli metalli, ecc.), che vengono così separati. Tutto il sistema è attraversato dall’aria in controcorrente, che provvede ad aspirare le parti più leggere come la polvere, frammenti di lolla e i chicchi di risone vuoti. Calamita. Dopo essere stato sottoposto al controllo del pulitore, il risone attraversa una calamita che trattiene le parti ferrose che sono riuscite a proseguire la corsa assieme ai chicchi.
Mola per sbramino con attrezzi di rettifica
Spietratore. Questa macchina, che provvede alla separazione delle pietre, è stata introdotta pochi decenni or sono. Per effettuare la separazione di questi corpi estranei, sfrutta la differenza di peso specifico tra il risone e le pietre. Il risone scende in un piano di lamiera forata, leggermente inclinato in avanti, dotato di un movimento sussultorio. Una forte aspirazione d’aria attraversando i fori della lamiera, riesce a tenere in sospensione il risone e a farlo fluttuare verso il basso, mentre le pietre più pesanti restano a contatto con la lamiera e, grazie al suo movimento sussultorio, vengono sospinte verso l’alto e quindi separate. Sbramino. La “decorticazione” è la prima operazione meccanica che subisce il riso e consiste nello staccare la lolla dal chicco; sin dai tempi antichi, avveniva nel mortaio, sotto l’azione del pestello utilizzato per la sbiancatura del riso. Verso la fine dell’800, per fare questa operazione venne introdotta una macchina specifica chiamata “sbramino”. Questa macchina era costituita da una mola di granito o di arenaria, posta su una base fissa, in posizione orizzontale, e sopra di essa se ne affacciava una seconda girevole. Dall’alto, in posizione centrale, veniva immesso il risone che entrava tra le due superfici mantenute a opportuna distanza, e il movimento rotatorio indotto dalla mola girante superiore provocava lo sfregamento sui chicchi, grazie al quale la lolla si staccava. Questa macchina, che nel tempo ha subito molti miglioramenti tecnici, viene ancora oggi utilizzata nelle riserie. Al posto del granito si utilizza un impasto di smeriglio applicato su una base di metallo in modo da ricreare la mola. Naturalmente essendo questo impasto meno resistente del granito, durante la lavorazione perde la sua ruvidità, motivo
Sbramino a rulli cilindrici (in alto) e particolare della sbramatura (in basso)
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lavorazione e sottoprodotti per cui occorre continuamente ravvivarlo nella sua forza abrasiva con appositi attrezzi in modo artigianale e, una volta consumato, lo smeriglio viene ricostituito. Questa macchina richiede una accurata manutenzione altrimenti, se non è in perfetta efficienza, provoca molta rottura. Negli anni ’50 del secolo scorso, è stata introdotta una nuova macchina composta da una coppia di rulli cilindrici di metallo, appaiati, rivestiti da uno spesso strato di gomma, in posizione parallela al loro asse di rotazione e mantenuti a una distanza regolabile prossima alla dimensione del risone da sbramare. I chicchi di risone passano attraverso i due rulli, uno dei quali gira più velocemente, ed essendo il senso rotatorio convergente, si crea una condizione d’attrito o strappo che riesce a staccare la lolla. Anche i rulli di gomma si consumano, ma una volta esauriti vengono sostituiti con un paio nuovo. Si ha quindi un minimo impegno di manutenzione e lavorando con la gomma si provoca meno rottura. Separatori di lolla. La miscela di riso e lolla che esce dagli sbramini passa nella macchina successiva dove la lolla , essendo molto leggera, viene separata con un flusso d’aria e inviata ai silos tramite un trasporto pneumatico.
Schema di funzionamento del separatore di lolla
Risone, lolla, riso sbramato e riso lavorato (dall’alto al basso)
Miscela di riso e lolla
Foto E. Marmiroli
Riso
Le recenti attrezzature prevedono l’accorpamento dello sbramino e del separatore di lolla in un’unica macchina
Lolla
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utilizzazione Separatore paddy. Durante la sbramatura la pressione dei rulli non deve essere troppo forte, per non rompere i chicchi, ma, operando in questo modo, non tutti i chicchi vengono sgusciati, e ne rimane circa il 5% ancora da sgusciare. La separazione di questi chicchi non sgusciati avviene con una macchina chiamata “separatore paddy”. Questa volta si sfrutta la differenza di peso specifico tra il riso sgusciato e il risone. I chicchi scendono su un piano di lamiera inclinato verso il basso, dotato di un movimento di oscillazione laterale. L’oscillazione della macchina fa sbattere i chicchi sulle pareti laterali che, provviste di speciali zig-zag, spingono verso l’alto i chicchi di risone più leggeri, mentre il riso sgusciato, più pesante, scende verso il basso e avviene così la separazione. Il risone non sgusciato ritorna allo sbramino a rulli per farsi sgusciare. Separatori di grana verde. Nella massa di riso sgusciato, “sbramato” ci sono anche i chicchi che non hanno raggiunto la maturazione sulla pianta. Sono più piccoli, più sottili, con il pericarpo ancora verde. Questi chicchi immaturi vengono chiamati “grana verde”. Una volta lavorati, questi chicchi hanno un aspetto opaco e farinoso, “gessato”, e durante la cottura si spappolano, per questo motivo bisogna separarli dal riso. Questo avviene con i “separatori di grana verde” che lavorano sfruttando il diverso spessore dei chicchi. Sono dei cilindri di lamiera che ruotano attorno al proprio asse, leggermente inclinati in avanti, con tagli di diversa larghezza sulla lamiera stessa. Mentre il cilindro gira, i chicchi di riso avanzano al suo interno. I chicchi normali non passano attraverso le feritoie e proseguono la corsa fino all’uscita, mentre quelli immaturi, più sottili, passano attraverso le feritoie e vengono così separati. Poiché lo spessore dei chicchi è diverso per ogni varietà, occorrono cilindri con feritoie appropriate per ogni tipo di riso.
Particolare del separatore paddy
Schema della separazione all’interno del paddy Foto E. Marmiroli
Grana verde Separatori paddy
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lavorazione e sottoprodotti Con il “riso sbramato”, o “integrale”, internazionalmente chiamato “cargo”, termina la prima parte della lavorazione. Questo riso, idoneo per il consumo umano, mantiene ancora il pericarpo, che, nella parte più esterna, si presenta sotto forma di una pellicola di cellulosa quasi impermeabile. A causa di questa pellicola, l’acqua fa molta fatica a penetrare nel chicco, motivo per cui occorrono circa 40 minuti per cuocerlo. Una volta cotto, si presenta molto gommoso alla masticazione, con un gusto un po’ particolare. Seconda parte della lavorazione Nella seconda parte della lavorazione avviene la “sbiancatura” del riso e la separazione dei chicchi rotti e macchiati. Particolare del cilindro separatore di grana verde
Sbiancatura. La sbiancatura è la fase più importante nella lavorazione del riso, ed è la seconda operazione meccanica che subisce; si tratta di una raffinazione che ha lo scopo di asportare i tegumenti esterni dei chicchi, cioè il “pericarpo”. Fin dai tempi più antichi la lavorazione del riso avveniva nel classico mortaio. Affondando il pestello nel centro del mortaio, si obbligano i chicchi a spostarsi e a creare un riflusso verso l’alto. Questo movimento induce i chicchi a sfregarsi tra di loro, creando un’azione abrasiva che lentamente elimina la parte esterna.
Sbiancatura
• La sbiancatura è l’operazione principale
della lavorazione del riso. Si tratta di un’azione abrasiva che asporta la parte esterna del chicco fino a quando diventa bianco. La tecnica si è evoluta nel tempo, e dall’antico mortaio, con passi successivi, dopo le famose “pile”, si è giunti ai moderni impianti automatici. Una volta la sbiancatura del riso si chiamava “pilatura”, e proprio dal nome della “pila” ancora oggi gli addetti alla raffinazione sono chiamati “pilatori”
La vecchia pila. Questo modo di lavorare si è protratto fino alla fine dell’800. In un blocco di pietra denominato “pila”, venivano scavate una o più buche a forma di mortaio. Normalmente i massi erano di granito, ma i più belli erano di marmo rosa di Verona o di granito rosa di Baveno. Un pestello di legno, con la punta corazzata di metallo, chiamato “pillo”, veniva alzato e lasciato cadere ritmicamente sulla buca piena di riso. Il movimento alternato del pillo era creato da un sistema di alberi e ingranaggi comandati da una grande ruota, messa in rotazione da un corso d’acqua, che fiancheggiava sempre le riserie. Il riempimento e lo svuotamento delle pile era manuale, e il riso che se ne ricavava dopo la setacciatura era poco omogeneo e non perfettamente bianco. Anche se il “pillo” o “pestello” veniva fermato a una certa distanza dal fondo, per evitare di pestare i chicchi che si trovavano nel fondo stesso, la quantità di rottura che si formava per il continuo pestare era molto alta. Normalmente la pila contava dai 6 agli 8 pestelli, ma è certo che nel 1870 una riseria di Milano ne contava 126. Esistono ancora delle vecchie riserie con la “pila” che sono diventate dei veri e propri musei. Un primo passo importante per aumentare la capacità produttiva, migliorare la qualità del prodotto e ridurre l’impiego della mano d’opera fu fatto nel 1884. Il bolognese Poggioli, all’esposizione internazionale di Milano, espose una macchina chiamata “elica”. In sostanza era ancora una pila, cioè una buca scavata in un blocco
Sbiancatura con mortaio da Il costume antico e moderno, di Giulio Ferrario
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utilizzazione di granito con la parete scabrosa, però al centro del vaso, al posto del pillo che cadeva dall’alto, veniva sospesa una vite senza fine, un’“elica” che arrivava quasi in fondo al vaso. Il riso, una volta introdotto nel vaso, veniva trascinato a forza in profondità dalla rotazione dell’elica e costretto a risalire dal fondo, lungo la parete scabrosa, per poi ridiscendere al centro. Grazie all’attrito provocato tra chicco e chicco, e ai ripetuti sfregamenti sulla parete scabrosa, venivano erosi i tessuti cellulari periferici. Lo svuotamento avveniva in modo automatico, a mezzo di un’apertura sul fondo dell’elica, che veniva azionata alla fine della raffinazione. Con questa innovazione la qualità del prodotto era molto migliorata, e si era di molto ridotta la quantità di rottura prodotta.
A Moto
B
C
Il grande salto. Il grande salto nella tecnologia della sbiancatura avvenne alla fine dell’800 a opera della ditta tedesca Nagel e Kaemp, di Amburgo, che ideò una macchina sbiancatrice che rimarrà nota come tipo “Amburgo”, dal nome della città dove veniva costruita. Essi rivoluzionarono il modo di “grattare” il riso; anziché far girare il riso contro la parete abrasiva, essi fecero girare la pietra abrasiva contro il riso. Questi Signori inventarono una speciale miscela di materiali abrasivi, a base di silicio, magnesio e carborundum che veniva impastata a freddo, e con questo impasto rivestirono un tronco di cono metallico. Era nata una vera e propria “mola a smeriglio”. Queste mole erano montate su un albero centrale che le metteva in rotazione e potevano avere diametri diversi; a partire dalla più piccola di 80 cm sino ad arrivare a 2 metri. Questo tronco di cono, con la base superiore rivolta verso l’alto, è circondato a 2-3 cm di distanza da un cestello di lamiera forata costituito da
D
A = Pestello B = Palmola o denti per alzare il pistone C = Musone in ferro o in ghisa D = Vaso di granito contenente il risone
Primitiva pila con movimento ritmico
Foto Associazione Irrigazione Est Sesia
Antica macchina per la raffinazione del riso. Da Le machine del Sig. Giovanni Branca Cittadino Romano, Ingegniero et Architetto della S.ta Casa di Loreto Ruota mossa dall’acqua per l’azionamento della riseria
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lavorazione e sottoprodotti diversi spicchi affiancati detti “telai”. Mentre il cono gira, il riso entra nello spazio esistente tra il cono e il cestello forato e tende a cadere verso il basso, ma la rotazione del cono, con la sua forza centrifuga, riesce a trascinarlo fino a fargli fare parecchi giri prima di lasciarlo cadere in fondo. In questo modo la superficie di smeriglio del cono “gratta” i chicchi e ne asporta la parte esterna. Per evitare che l’abrasione del cono agisca sempre sugli stessi chicchi, cioè quelli che si presentano vicini alla sua superficie, tra un telaio e l’altro di lamiera forata viene inserita una striscia sporgente di gomma che obbliga i chicchi a passare forzatamente contro il cono e a rimescolarsi, ottenendo così una lavorazione omogenea, uguale per tutti i chicchi. Questa operazione di sfregamento mette sotto stress la resistenza dei chicchi e tende a romperli, motivo per cui deve essere eseguita molto delicatamente, con più passaggi leggeri. Normalmente si usano quattro passaggi. Nel primo passaggio vengono asportate la parte più esterna del pericarpo, costituito da una pellicola di cellulosa, e la prima parte dell’aleurone. Nel secondo passaggio viene asportata gran parte dell’aleurone. La sostanza asportata da queste prime due macchine si presenta sotto forma di una farina di color nocciola-mielato chiamata “pula” e viene risucchiata attraverso i telaini forati, da un impianto di aspirazione il quale, oltre che trasportare la pula nel silos di stoccaggio, ha anche la funzione di ridurre il calore che si sviluppa nei chicchi a causa del forte attrito. Questa farina è ricca di fibra grezza e ha un buon contenuto di grassi e proteine.
Schema di funzionamento dell’elica Vecchie pile
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utilizzazione Con questi due passaggi viene staccato anche l’embrione, comunemente chiamato “germe” o “gemma”, che finisce assieme alla pula. Nel terzo e quarto passaggio si asportano le altre cellule aleuroniche e una parte dell’endosperma. Questa parte più interna del chicco si presenta di colore crema chiaro e viene chiamata “farinaccio”; contiene poca fibra grezza e ha un contenuto di protidi e di lipidi leggermente più basso della pula. Mano a mano che si procede con l’asportazione delle parti esterne il riso diventa sempre più fragile e quindi la granulometria dell’abrasivo dovrà essere sempre più fine in modo da ridurne l’aggressività e rendere più delicata la lavorazione. Continuando a lavorare, la superficie dell’abrasivo dei coni tende a diventare liscia e perde la sua incisività e occorre quindi ravvivarla e renderla di nuovo graffiante operando con una manutenzione manuale. Questa manutenzione, eseguita con una frequenza settimanale, consuma e riduce lo spessore esterno dello smeriglio che, giunto a un certo limite, deve essere ricostituito. Con queste nuove macchine che lavorano “accarezzando” il riso, la quantità di rottura si è ridotta drasticamente. Già nel 1899 alcune di queste macchine, di grande diametro, furono installate nella riseria di Genova-Sampierdarena dalla Società Frugone e Preve, ora denominata Riso Gallo, che dopo pochi anni le ha trasferite nello stabilimento tuttora operativo di Robbio, in provincia di Pavia. Macchine simili furono installate anche nell’antica riseria Bianchi a Vercelli, che operava preferibilmente per l’esportazione. Quasi tutte le riserie esistenti sono tuttora equipaggiate con questo tipo di macchina. Macchine sbiancatrici di ultima generazione. L’ultima evoluzione delle macchine sbiancatrici è arrivata pochi decenni or sono dal Giappone. Il principio è sempre quello della mola a smeriglio in rotazione, ma la mola non è più conica e verticale, bensì cilindrica e orizzontale. L’abrasivo non è un impasto a freddo, relativamente “tenero”, ma
Cono metallico delle moderne sbiancatrici
Cono rivestito di smeriglio
Pula (a sinistra), gemma (al centro) e farinaccio (a destra)
Foto E. Marmiroli
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lavorazione e sottoprodotti uno smeriglio cotto ad alta temperatura, molto duro, che mantiene la sua efficacia per molto tempo, tanto che la rettifica della sua superficie abrasiva viene effettuta una o due volte all’anno. Anche questo cilindro di smeriglio è circondato, a 2-3 cm di distanza, da una lamiera forata che porta al suo interno alcuni freni che assolvono al compito di rimescolare i chicchi per ottenere una lavorazione omogenea. Il riso sbramato entra dall’alto, in testa alla macchina, e viene spinto da un rullo a vite nell’intercapedine esistente tra l’abrasivo rotante e l’involucro di lamiera forata. La superficie abrasiva del cilindro mette in rotazione i chicchi e li gratta, mentre la vite di alimentazione li spinge verso l’uscita. Il grado e l’intensità di raffinazione sono determinati dal tempo di permanenza del riso all’interno della macchina, quest’ultimo regolato tramite un contrappeso che modula il flusso di scarico. Queste macchine sono molto più piccole e compatte rispetto alle tradizionali Amburgo, sono facili da condurre, richiedono pochissima manutenzione e hanno una buona capacità produttiva perché gli smerigli girano molto veloci, di contro però riscaldano molto il riso per il forte attrito che si genera, ragione per cui l’aspirazione della farina deve essere molto forte, tale da attraversare la massa dei chicchi e sottrarre tutto il calore prodotto. I risultati di raffinazione che si raggiungono non sono superiori a quelli ottenuti con le Amburgo; queste macchine sono molto indicate per lavorare i risi tondi e i risi parboiled, mentre per i risi japonica a chicco grosso, che sono molto delicati, quali Arborio, Carnaroli, Roma e simili, le tradizionali Amburgo rimangono insuperate. Nelle vecchie riserie, alcune di queste nuove macchine sono state installate in affiancamento a quelle tradizionali per aumentare la capacità produttiva. Nelle riserie di recente costruzione le macchine sbiancatrici installate sono tutte di questo ultimo tipo. Alla fine dei vari passaggi di sbiancatura, si ottiene il riso lavorato, di colore bianco perlaceo, miscelato con tutta la quantità di chicchi che si sono rotti durante tutto il percorso a causa della loro fragilità. La fragilità del riso è un problema che coinvolge tutta la filiera e inizia addirittura nel campo di coltivazione. Il momento del raccolto arriva quando il grano di riso è completamente formato, la fase lattea è diventata una massa compatta e cristallina e l’umidità dei chicchi è scesa intorno al 22%. In questo momento, alcune varietà più che altre subiscono gli effetti negativi dell’alternanza termica che si determina tra il giorno e la notte. Durante le ore notturne le cariossidi assumono acqua dalla rugiada e durante il giorno, a causa del forte calore solare, l’acqua contenuta all’interno del chicco tende a evaporare con rapidità. L’acqua esce con forza dalla massa compatta del grano, lo fende e provoca delle incrinature nei tessuti cellulari note come cracking, delle vere e proprie “fratture”. Fratture simili sono provocate anche dal processo di essiccazione se condotto in modo non corretto.
Foto E. Marmiroli
Sbiancatrice “Amburgo” di grande dimensione
Foto E. Marmiroli
Particolare del farinaccio in uscita dalla sbiancatrice
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utilizzazione L’aria calda usata per essiccare il riso fa uscire per prima l’umidità superficiale del chicco e di conseguenza la sua parte esterna diventa più secca e compatta. Continuando a essiccare, anche l’acqua contenuta nel centro del chicco tende a uscire, ma trova la parte esterna molto dura. Se si continua con il riscaldamento o se si usano temperature troppo alte, l’acqua acquista la forza necessaria per uscire ma provoca delle incrinature uguali a quelle che si formano nel campo e in quantità ben più elevata. Occorre quindi usare temperature relativamente basse e interrompere la fase di riscaldamento per certi periodi di tempo in modo da far riposare il riso e consentire che l’umidità del chicco si omogeneizzi. L’acqua del centro si trasferisce naturalmente verso la superficie, e avviene quello che in gergo si chiama “rinvenimento” e in termine tecnico tempering. Dopo un periodo di rinvenimento si continua con una nuova fase di essiccazione e così di seguito, sino a raggiungere l’umidità finale massima del 14%. È evidente che i chicchi che arrivano in riseria già “incrinati” diventano facilmente rottura che si sommerà a quella generata dai chicchi sani che si possono rompere sia a causa delle movimentazioni che subiscono durante la trebbiatura, l’essiccazione, l’insilaggio e il trasporto alla riseria, sia durante il
Sbiancatrici di ultima generazione
Schema di funzionamento di una moderna sbiancatrice Riso sbramato Cilindro di acciaio perforato
Regolatore di flusso
Rullo abrasivo
Tramoggia di carico
Vite senza fine
Farina
Farina
Riso bianco
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Aria
lavorazione e sottoprodotti processo di lavorazione e in particolare nelle due operazioni di sbramatura e di raffinazione.
Foto E. Marmiroli
Separazione della rottura. Con il termine di “rottura” si identificano tutti i pezzi di riso più corti dei ¾ della lunghezza del chicco intero La separazione della rottura avviene attraverso due specifiche macchine: plansichter e separatori alveolari. lansichter. La miscela di riso e rottura che esce dalle sbian–P catrici passa attraverso un plansichter, cioè una macchina attrezzata con due piani di lamiera forata, leggermente inclinati in avanti, dotata di un moto circolatorio. Questa macchina lavora con lo stesso concetto della tarara. Il moto circolatorio, aiutato dalla pendenza in avanti, fa avanzare i chicchi nella prima lamiera forata con fori tali da lasciar passare solo il riso che quindi cade nel secondo telaio, mentre fa scivolare sulla superficie i corpi estranei grossi ed eventuali grumi di farina che vengono così separati. Il secondo telaio, che è dotato invece di fori piccoli, trattiene il riso e i pezzi rotti grandi che proseguono verso il successivo separatore di rottura, mentre lascia passare il germe e i pezzi rotti più piccoli chiamati “puntine” o “frammenti”. Particolare del riso in uscita dalla sbiancatrice
–S eparatori alveolari. La separazione dei pezzi rotti più grandi avviene per mezzo di una macchina composta da un cilindro che ruota intorno al suo asse, chiamato “separatore alveolare”. Il mantello di metallo di cui è costituito questo cilindro è stato punzonato nella parte interna, in modo da ricavare degli avvallamenti sferici, delle tasche chiamate “alveoli”, di una grandezza tale da contenere un pezzo di riso rotto. La miscela di riso e rottura, proveniente dal plansichter, viene introdotta nel cilindro in rotazione e la rottura trova alloggiamento nelle tasche. Grazie Foto E. Marmiroli
Riso in entrata nel plansichter Plansichter
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utilizzazione alla rotazione, la rottura viene portata in alto fino al punto in cui scivola dalla tasca per ricadere verso il basso e viene raccolta in un canale interno al cilindro e così separata. Il riso, essendo di misura più grande della rottura, non entra negli alveoli e rimanendo sul fondo del cilindro, grazie all’inclinazione in avanti, procede verso l’uscita.
Foto E. Marmiroli
Controllo finale Sino a pochi anni fa, con l’eliminazione della rottura finiva il processo di lavorazione del riso. Con l’evoluzione della tecnologia, nelle moderne riserie, si sono aggiunti due passaggi con i quali è possibile garantire la totale assenza di corpi estranei nel prodotto. In pratica si riesce a fare con le macchine quel controllo che le nostre nonne facevano a mano, mettendo il riso in un piatto bianco, scartando i chicchi “macchiati” e tutte le eventuali impurità. I chicchi macchiati o “danneggiati”, sono quei chicchi che presentano delle macchie di colore marrone scuro o nero, più o meno estese e profonde sulla superficie, dovute all’attacco in campo da parte di muffe o parassiti
Separatori alveolari
Metal detector. Dopo la prima calamita incontrata nella sezione della pulitura del risone, il riso attraversa molte altre calamite che però non riescono a trattenere i corpi metallici che non si magnetizzano, quali il rame, l’alluminio, il bronzo ecc. Ora grazie a una macchina chiamata “metal detector”, dotata di speciali sensori, vengono individuati e scartati, anche se piccolissimi, tutti i metalli non ferrosi. Selezionatrice ottica. Questa macchina chiamata “selezionatrice ottica” guarda i chicchi uno per uno, ed elimina tutti quelli che non sono perfettamente bianchi. Il riso viene fatto cadere, chicco
Particolare degli alveoli che separano il riso intero dallo spezzato
Foto E. Marmiroli
Schema del funzionamento del metal detector Particolare dei rulli separatori alveolari
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lavorazione e sottoprodotti a chicco, in uno scivolo di lamiera. Alla fine dello scivolo alcune telecamere guardano i chicchi mentre cadono in veloce sequenza, e quando individuano qualche cosa che non sia perfettamente bianco fanno scattare un potente e brevissimo soffio d’aria che espelle il corpo indesiderato. In questo modo vengono eliminati i chicchi macchiati, quelli striati di rosso, eventuali semi estranei, pezzi di lolla e altri corpi estranei che hanno superato tutte le barriere predisposte per la loro cattura durante il processo di lavorazione e sono arrivati in fondo assieme al riso. A questo punto il riso è finalmente pronto per essere consumato. Tutto il processo è comandato da un unico quadro di controllo che gestisce in automatico tutte le macchine. A seconda della capacità produttiva e quindi delle dimensioni dell’impianto, la conduzione è gestita da uno o due operatori, il cui compito è quello di controllare il buon funzionamento delle macchine e di regolare il grado di lavorazione, cioè regolare la quantità di farina che viene asportata da ogni sbiancatrice. Naturalmente la raffinazione può essere più o meno spinta, e più il riso è lavorato, più diventa bianco. Più si toglie la parte esterna protettiva, più rapidamente cuoce il riso e maggiore è la quantità di acqua e di condimento che esso assorbe, ma per contro diventa più colloso e meno consistente. Altro compito del “pilatore” è quello di regolare i separatori di grana verde e i separatori di rottura in modo che la quantità di grana verde e di rottura che rimangono nel riso rientrino nei parametri previsti dalla legge.
Foto E. Marmiroli
Selezionatrice ottica
Bilancio della lavorazione: la resa Col termine “resa” si indica la quantità percentuale di chicchi interi che si ottengono alla fine della lavorazione. È chiaro che più alta è la quantità di chicchi interi che si ottengono da una partita di risone, più alto sarà il ricavo del trasformatore.
Il riso in uscita dalla selezionatrice ottica è pronto per essere confezionato Quadro di controllo automatico di tutte le macchine della riseria
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utilizzazione Poiché la quantità di lolla presente nel risone e la quantità di farine che vengono tolte dal riso sono praticamente uguali in tutto il mondo, si potrebbe pensare che anche la “resa” debba essere uguale in tutto il mondo, ma non è così, perché dipende dalla quantità di grana verde e di rottura che si deve eliminare.
Risone
Tarara
Resa media di un riso coltivato in Italia
Paglia-terra-semi ecc.
Calamita Spieratrice
Corpi ferrosi Pietre
Paddy
Sbramino Separatore lolla
Riso
62%
Lolla
20%
Rottura
6%
Grana verde
4%
Farine
7%
Chicchi macchiati
1% -----------
Lolla
Totale
100%
Separatore paddy Separatore grana verde
Minore è la quantità di grana verde e di rottura che si dovrà separare dal riso, più alta sarà la resa. Per avere poca grana verde nel risone occorre che tutti i chicchi della spiga siano ben maturi, e questo dipende dalla varietà del riso, dal luogo di coltivazione, dal tipo di terreno, dalle condizioni climatiche e dalle tecniche di coltivazione. La quantità di chicchi che si rompono durante la lavorazione dipende dalla buona efficienza e dalla buona conduzione degli impianti, ma soprattutto dal processo di essiccazione del risone da parte degli agricoltori. Nel riso italiano viene separato circa il 6% di chicchi rotti, ma in certi Paesi, dove l’essiccazione avviene ancora al sole, la quantità di rottura può superare il 25%, e la resa in chicchi interi non arriva al 40%. Anche la quantità di chicchi macchiati da eliminare può incidere sulla resa finale.
Grana verde
Sbramato “integrale”
1ª e 2ª sbiancatrice
Pula e gemma
3ª e 4ª sbiancatrice
Farinaccio
Plansichter
Risina-frammenti
Separatori alveolari
Rottura
Metal detector
Corpi metallici
Selezione ottica
Chicchi macchiati
Confezionamento Sono ormai lontani i tempi in cui il riso veniva venduto sfuso nelle drogherie e nei negozi alimentari, prelevandolo da grossi cassetti di legno o direttamente dai sacchi di juta provenienti dalle riserie. Allora era ancora consuetudine presentarsi nel negozio muniti di un sacchetto di tela, che veniva riempito di riso per mezzo di una sessola di legno. Ora, come quasi tutti i prodotti alimentari, il riso viene venduto confezionato in imballaggi che contengono il prodotto in grammature standard. Questi imballaggi hanno la funzione di proteggere e conservare il riso e inoltre consentono di dare al consumatore molte informazioni sull’identificazione del prodotto, la sua provenienza, le caratteristiche nutrizionali, le indicazioni di preparazione ecc. Sono utilizzati, per questi scopi, diversi materiali di imballaggio.
Riso raffinato
Schema del processo di lavorazione del riso
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lavorazione e sottoprodotti I più comuni sono le scatole in cartoncino e i sacchetti in materiale plastico, fra cui i cosiddetti “accoppiati”, cioè film molto resistenti formati da due strati di diversa composizione, incollati fra loro. Tutti i materiali devono avere i requisiti di alimentarità previsti dalla legge. Accanto a queste funzioni tecniche, gli imballaggi assolvono altre esigenze dettate dalle regole del marketing per l’affermazione del prodotto sul mercato. In tal senso gli imballaggi del riso hanno subito nell’ultimo decennio una grossa evoluzione, trasformandosi da semplici contenitori in un veicolo per la commercializzazione del prodotto, con l’utilizzazione di forme, dimensioni, grafica e colori opportuni. Le macchine confezionatrici utilizzate per il riso sono del tutto simili a quelle impiegate per molti altri prodotti granulari e consistono in dosatori automatici, normalmente volumetrici, che versano il riso nella confezione preformata (scatola o sacchetto) che viene poi chiusa, sempre automaticamente, per incollaggio o per termosaldatura. Le confezioni vengono poi, a loro volta, imballate da speciali macchine in scatole di cartone o in fardelli avvolti con materiale termoretraibile e infine stoccate in pallet, pronte per la spedizione. Naturalmente anche in questo settore l’evoluzione tecnologica ha fatto passi da gigante, e i moderni impianti di confezionamento sono altamente automatizzati, con un massiccio utilizzo dell’elettronica. Ultimamente, a seguito dell’accresciuta introduzione sul mercato di risi integrali, la cui conservazione presenta problemi a causa dei processi di ossidazione e di irrancidimento provocati dall’ossigeno atmosferico sui grassi contenuti negli strati esterni dei granelli, sono state poste in commercio confezioni sottovuoto. Per fare questo si sono dovuti impiegare materiali di imballaggio più spessi, più resistenti e assolutamente impermeabili all’aria. Agendo in questo modo, ci si è resi conto che questo tipo di materiale, oltre che garantire un’ottima conservazione del prodotto, opponeva anche
Foto E. Marmiroli
Confezionamento
Moderno impianto di confezionamento
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utilizzazione un’eccezionale barriera all’attacco dei parassiti (farfalline e punteruoli), tanto che, nonostante i maggiori costi di produzione dovuti al maggior costo del materiale e alla ridotta capacità produttiva di queste macchine confezionatrici, tutte le aziende sono passate alla confezione sottovuoto della maggior parte dei loro prodotti. Evoluzione del prodotto riso Con il crescente benessere e con i cambiamenti degli stili di vita, e grazie alle continue scoperte scientifiche e alle innovazioni tecnologiche, c’è stata in tutti i settori una proliferazione di nuovi prodotti. Con la nascita dei primi impianti per la produzione di riso parboiled, pochi anni prima della Seconda guerra mondiale, dopo molti secoli nei quali la lavorazione del riso è rimasta sempre la stessa e si è prodotto solo riso bianco, anche per il riso inizia una nuova era Da quel momento si specializza e acquista nuovi contenuti, non sarà più una commodity, ma diventa una convenience, non più un prodotto di base, ma un prodotto di servizio. Riso parboiled Origini. I Babilonesi e gli Ittiti già più di quattromila anni fa preparavano e consumavano un alimento chiamato nei testi biblici arisah, che altro non era se non il moderno bulgar, ovvero frumento tenero sottoposto a processo idrotermico. Anche la lavorazione idrotermica del riso risale a tempi immemorabili, come dimostrano alcuni ritrovamenti archeologici e i sistemi primitivi ancora in uso in Oriente. Il riso greggio veniva fatto macerare in acqua e quindi veniva messo a essiccare al sole che, con il suo calore, provocava una pseudo gelatinizzazione dell’amido. Grazie a questo trattamento il riso si conservava più a lungo e resisteva di più all’attacco dei parassiti. Sin dagli inizi, la lavorazione idrotermica avveniva in questo modo, e solo poco prima della Seconda guerra mondiale sono nati i primi impianti industriali, con l’introduzione della cottura a vapore e si arriva al vero riso parboiled. Questi impianti sono a batch, cioè intermittenti: dopo la macerazione in acqua, effettuata in appositi serbatoi, il riso viene immesso in un’autoclave a tenuta di pressione dove viene cotto a vapore e poi essiccato e scaricato. L’autoclave viene tenuta in rotazione sul proprio asse in modo da garantire una buona distribuzione del vapore e ottenere una cottura più omogenea possibile. Questo tipo di impianto, con l’autoclave in movimento sotto pressione, è soggetto a molta usura e molta manutenzione, ed è ormai superato dagli impianti di ultima generazione dove il processo è continuo e completamente automatico. In questi nuovi impianti il riso entra ed esce in continuo, con un sistema di valvole a tenuta, in un cuocitore verticale sotto pressione di vapore, e vi rimane il tempo necessario per una completa gelatinizzazione.
Riso parboiled sotto vuoto
Autoclave per la cottura del riso parboiled
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lavorazione e sottoprodotti Questo sistema non è in movimento, e oltre che essere molto più semplice e non richiedere alcuna manutenzione, garantisce una perfetta costanza di trattamento del prodotto, facendo in modo che tutti i chicchi abbiano le stesse caratteristiche di colore e consistenza. Dopo la cottura, il risone parboiled viene essiccato e lavorato nel modo tradizionale. Tutto il processo è completamente automatizzato ed è gestito da un solo operatore che ne sorveglia il buon funzionamento.
Composizione del riso (% sul tal quale) Nutriente
Riso bianco
Riso parboiled
Proteine
6,7
7,4
Grassi
0,4
0,3
Carboidrati
80,4
81,3
Zuccheri
1,2
0,3
Fibra alimentare
1,0
0,5
Potassio
92
150
Ferro
0,8
2,9
Calcio
24
60
Fosforo
94
200
Tiamina
0,11
0,34
Cuocitore continuo in moderno processo parboiled
Foto E. Marmiroli
Foto E. Marmiroli
Risone avviato alla cottura Prima della cottura il risone viene ammorbidito in acqua
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utilizzazione Gelatinizzazione dell’amido. Il riso è costituito principalmente di amido, che si presenta sotto forma di piccoli cristalli. Durante la normale cottura, l’acqua entra progressivamente all’interno del chicco, e i granuli di amido tendono a gonfiarsi sempre di più, aumentando di massa e di volume. Questo continua fino a quando si arriva al tempo ottimale di cottura. Se si prosegue nella cottura, i granuli della parte esterna continuano ad aumentare fino al disfacimento, il chicco perde la sua consistenza, comincia a spappolarsi e diventa appiccicoso; siamo in presenza del cosiddetto “riso scotto”. Se questi granuli di amido vengono portati a una certa umidità e vengono poi cotti a vapore sotto pressione, si gelatinizzano e assumono una forma amorfa, compatta, quasi vetrosa. Grazie a questa trasformazione, il riso mantiene la sua consistenza durante la cottura e “non scuoce”. L’acqua non trova più i granuli di amido che si gonfiano, ma una massa compatta, che assorbe meno acqua pur facendola entrare nel cuore del chicco.
Foto E. Marmiroli
Vantaggio nutrizionale. Durante la macerazione in acqua, le sostanze solubili contenute nel pericarpo (vitamine e sali minerali) migrano assieme all’acqua all’interno del chicco. Durante la cottura, queste sostanze rimangono all’interno del chicco, aumentando in questo modo le proprietà nutrizionali del riso parboiled rispetto al riso bianco: in particolare il primo contiene una maggior quantità di fosforo, ferro, potassio e di vitamine del gruppo B e inoltre, essendo l’amido già gelatinizzato, risulta più facilmente digeribile rispetto al riso normale.
Il parboiled si differenzia dal riso normale per la colorazione gialla. Per evitare contaminazioni durante il processo di lavorazione, la linea del parboiled è completamente indipendente
Parboiled e mercato
Riso a rapida cottura Per cuocere il riso occorrono in media 15 minuti, e questo è diventato un problema per la massaia, che ha sempre meno tempo da dedicare alla cucina, per cui è nata l’esigenza di avere un riso veloce da cuocere. L’industria ha recepito questo bisogno e ha messo a punto un riso a “rapida cottura”, che cuoce in 5 minuti. Il processo è molto semplice e del tutto naturale. Il riso viene cotto con acqua bollente come si fa in casa, e una volta cotto (quando l’acqua ha raggiunto il cuore del chicco) viene essiccato con aria calda. L’acqua contenuta nel chicco esce veloce e lascia il canalino della sua uscita. Si ottiene così un chicco poroso nel quale l’acqua di cottura impiega solo 5 minuti per entrare.
• Grazie alla tenuta in cottura,
il parboiled ha trovato largo impiego nelle comunità (scuole, ospedali ecc.), in quanto in questi luoghi la cottura avviene in grandi quantità, molto tempo prima del reale consumo. La facilità di cottura, data dal fatto che non occorre una continua attenzione da parte del cuoco (tanto “non scuoce mai”), ha fatto sì che il consumo del riso parboiled sia gradualmente aumentato anche nelle famiglie, sino a superare, in Italia, il 30% dei consumi • In certi Paesi dell’Europa e negli Stati Uniti, il riso parboiled ha superato il 50% del consumo totale
Risotti pronti Dopo il riso che non scuoce, e il riso a rapida cottura, occorreva togliere alla massaia anche il compito di procurarsi tutti gli ingredienti e l’impegno di stare vicino ai fornelli per preparare il soffritto e seguire piano piano la cottura del riso. In sostanza occorreva un risotto “pronto da cuocere”. Ancora una volta l’industria non ha mancato l’appuntamento e ha lanciato sul mercato i “risotti pron554
lavorazione e sottoprodotti ti”. Nella sua forma più tradizionale, il risotto pronto si presenta in una busta di materiale plastico, dentro la quale oltre al riso ci sono tutti gli ingredienti occorrenti, sotto forma di polvere o di piccoli pezzi. Basta cuocere il contenuto della busta con una determinata quantità di acqua per 15 minuti e il risotto è pronto. Una diecina di anni fa la Riso Gallo ha innovato questo prodotto, migliorandone il gusto e l’aspetto. In sostanza il riso viene cotto con tutti gli ingredienti, come fa la massaia in casa, e quando ha assorbito tutti i condimenti viene essiccato con aria calda. Assorbendo i condimenti il riso assume il colore dell’ingrediente caratterizzante, e si hanno dei chicchi gialli nel caso del risotto allo zafferano, dei chicchi rossi nel caso del risotto al pomodoro, dei chicchi verdi nel risotto agli asparagi e così via. Basta versare il riso in una pentola con una determinata quantità d’acqua e far cuocere per 12 minuti per avere un ottimo “risotto pronto”. Oggi il mercato propone numerosi tipi di risotti pronti da cuocere
Risotti già cotti Nei supermercati si trovano oggi risotti già cotti, preparati con diverse tecnologie. Surgelati I primi a essere lanciati sul mercato sono stati i “risotti surgelati”. Questi prodotti sono di buona qualità ma, come sappiamo, richiedono almeno 8 minuti di cottura e inoltre hanno un prezzo elevato a causa degli alti costi della catena del freddo, per questi motivi il consumo non è mai veramente decollato. Risotti cotti in busta Una grande novità è costituita dai risotti già cotti in busta: pouch. Sono nati da pochi anni e la parola pouch significa busta flessibile: è una busta di materiale plastico che resiste ad alte temperature, cosa che le permette di sopportare un processo di sterilizzazione. Nella busta vengono introdotti il riso e tutti gli ingredienti e, dopo la sigillatura, la busta viene cotta e sterilizzata in autoclave con vapore. La sterilizzazione garantisce una conservazione a temperatura ambiente superiore a un anno e si evitano così i costi e le complicazioni della catena del freddo. Per consumarlo, basta riscaldarlo in una padella con un goccio d’acqua o metterlo nel forno a microonde per 2 minuti. Riso in barattolo Un altro prodotto a base di riso, già pronto per essere consumato, è il milk-reis ovvero “riso e latte”. Soprattutto in Austria, Germania e Regno Unito è un prodotto di grande tradizione, molto consumato come dessert. È un riso cotto nel latte con lo zucchero, e aromatizzato con vaniglia, con cacao o con altri aromi. Oggi si trova sugli scaffali in barattoli di latta stagnata, che sono stati sottoposti a un processo di sterilizzazione per consentirne la durata.
Risotti già cotti
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utilizzazione Fiocchi di riso I fiocchi di riso fanno parte della gamma di cereali consumati nella prima colazione. Il riso lavorato viene cotto a vapore e poi schiacciato tra due rulli, in modo da ottenere una sottile “particola”. Questi fiocchi risultano un po’ ruvidi e farinosi in bocca, e non hanno trovato un grande gradimento presso i consumatori.
Foto E. Marmiroli
Riso soffiato Ben più grande diffusione ha trovato il riso soffiato, conosciuto in tutto il mondo con il nome di rice-krispies. Nato negli Stati Uniti dalla rinomata Kellogg’s, il riso soffiato ha trovato un largo spazio tra i breakfast-cereals, dove primeggia assieme ai cornflakes (fiocchi di mais). La produzione del riso soffiato è abbastanza complessa, e richiede una tecnologia sofisticata. Il riso viene messo in un’autoclave, e dopo l’aggiunta di uno sciroppo a base di malto, zucchero e aromi viene cotto a vapore sotto pressione. Il riso assorbe tutto lo sciroppo e gelatinizza, raggiunge una umidità di circa il 30-35% rimanendo molto consistente ed elastico. Viene quindi scaricato dall’autoclave ed essiccato con aria calda fino ad arrivare a un’umidità del 18-20%, dopodiché i chicchi vengono schiacciati tra due rulli che li appiattiscono, “come una sogliola”. Come ultima fase, questi chicchi appiattiti vengono investiti da un flusso d’aria molto calda, a una temperatura di circa 250 °C, che fa evaporare in modo molto rapido l’acqua contenuta nei chicchi, e la sua uscita verso l’esterno riesce a espandere il chicco, creando una struttura simile a una spugna, ma croccante e con una certa consistenza.
Fiocchi di riso, prevalentemente usati per la prima colazione
Riso espanso Non bisogna confonderlo con il riso soffiato poiché il riso espanso non subisce un processo di precottura e non ha alcun ingrediente o aromatizzante, e inoltre risulta molto spugnoso, senza consistenza, come il pop-corn. Per produrre questo tipo di riso si usa un vero e proprio “cannone”. Una certa quantità di riso viene introdotta in un cilindro di ferro e chiusa ermeticamente con un tappo, dopodiché il cilindro viene riscaldato ad alta temperatura e l’acqua contenuta nei chicchi tende a evaporare, ma questo non succede poiché, essendo il cilindro tappato, aumenta la pressione interna che non consente l’evaporazione. Quando la pressione arriva a circa 12 atmosfere, il tappo di chiusura viene aperto di colpo, e la pressione spara i chicchi verso l’esterno. Non essendo più bloccata, l’acqua esce violentemente dal chicco provocando un’espansione dello stesso che diventa molto più grande mantenendo la propria forma. Questo prodotto viene utilizzato nella produzione delle barrette di cioccolato e in molti altri snack, e trova un largo consumo anche nell’alimentazione animale.
Foto G. Riva
Riso espanso
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lavorazione e sottoprodotti Gallette di riso Le gallette di riso che si trovano oggi in commercio sono dei dischi di circa 10 cm di diametro e 10-12 mm di spessore e sono costituiti da riso espanso. Il meccanismo dell’espansione è uguale a quello illustrato per la produzione del riso espanso, per cui il prodotto che ne esce è senza consistenza e molto spugnoso in bocca. La produzione è molto semplice e si usa una sola macchina automatica che normalmente contiene 4 stampi. Circa 10-12 g di riso vengono introdotti in uno stampo molto caldo avente la forma del disco finale che si vuole ottenere. L’umidità contenuta nei chicchi evapora quasi istantaneamente per l’alta temperatura, e fa espandere i chicchi che vanno a occupare tutto lo spazio disponibile nello stampo. Il tutto in tempi molto veloci e precisi e lo stampo viene aperto prima che i chicchi comincino a brunire. Normalmente vengono prodotte utilizzando riso bianco, ma per ridurre i costi viene usata anche la rottura di riso, mentre chi vuole ottenere un prodotto con miglior contenuto nutrizionale e un gusto più saporito usa il riso integrale. Le gallette di riso sono facilmente assimilabili, e possono costituire una buona alternativa al pane per chi ha problemi di celiachia. Pasta di riso La pasta di riso ha origini molto antiche in Estremo Oriente. La farina di riso miscelata con l’acqua viene fatta fermentare sino a ottenere un impasto denso che viene poi trafilato nei vari formati. Questa pasta però è collosa, poco consistente e ha un colore bianco quasi trasparente, molto diverso dal colore classico della pasta di grano. Sono stati fatti molti tentativi di produrre
Gallette di riso
Foto E. Marmiroli
Pasta di riso
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utilizzazione la pasta di riso con la tecnologia utilizzata per la pasta di grano, ma senza successo. Con questi impianti, dopo l’impasto della farina con acqua si passa all’estrusione, e se con la farina di grano esce un prodotto elastico e gelatinizzato, con la farina di riso esce un prodotto farinoso e fragile: farinoso perché l’amido non riesce a gelatinizzare e fragile in quanto tra le proteine del riso non abbiamo la presenza del glutine. Solo da qualche anno è nato in Italia uno stabilimento che riesce a produrre la pasta con una tecnologia innovativa. Questo impianto è dotato di una speciale attrezzatura che precuoce l’amido prima di spingerlo verso l’estrusore. I tempi e le temperature sono molto precisi in modo da ottenere il giusto grado di gelatinizzazione e il prodotto che esce è paragonabile alla pasta normale, di buona consistenza, di giusta scivolosità in bocca, ma leggermente meno elastica. Questa pasta è adatta per tutte le persone che hanno problemi di celiachia e che devono attenersi a una dieta priva di glutine.
Proteine del riso e glutine
• Le proteine del riso hanno un valore
nutrizionale superiore a quello degli altri cereali, in quanto contengono tutti i 18 amminoacidi necessari al metabolismo umano, ma non contengono quelle frazioni gluteiniche e gliadiniche, tipiche del grano, che consentono la formazione del glutine. Il glutine è una proteina molto elastica e quando si forma l’impasto di farina crea un reticolo, una struttura che ingabbia l’amido e rende la pasta elastica, consistente e non appiccicosa
Latte di riso Quello che comunemente viene chiamato “latte di riso” in realtà è una “bevanda di riso”. Non può essere chiamato latte in quanto non ha le proteine del latte. Si ottiene macerando in acqua circa il 16% di farina di riso e facendo reagire la massa con particolari enzimi; dopo l’aggiunta di olio vegetale, sale e aromi, viene sottoposta alle opportune filtrazioni. Si ottiene una bevanda costituita prevalentemente da carboidrati, a basso contenuto di grassi, senza lattosio né colesterolo, spesso arricchita con calcio e vitamina D. Questa bevanda è molto adatta per i soggetti che presentano un’intolleranza al lattosio.
Foto E. Marmiroli
Bevande alcoliche di riso L’inizio della produzione di bevande alcoliche si perde nella storia. In tutto il mondo, tutti i prodotti contenenti amido o zuccheri (frutti e cereali), sono stati sottoposti prima o poi a un processo di fermentazione per ottenere bevande alcoliche. L’esempio principe è l’uva, dalla quale si ricavano il vino e i successivi distillati grappa e cognac, ma possiamo ricordare la birra e il whisky dall’orzo, la vodka dal grano e dalla segale, la tequila dall’agave, il sidro e il calvados dalle mele, lo slivoviz dalle prugne e così via. Anche dal riso si ricavano bevande alcoliche. Gli antichi popoli della Cina e del Giappone erano esperti nella fermentazione del riso e i processi di saccarificazione dell’amido erano guidati mediante l’impiego di speciali inoculi; degli attivatori enzimatici. In Cina le bevande derivate dal riso, denominate genericamente huang jiu, raggiungono un tenore alcolico medio del 16%. La fermentazione del riso avveniva in vecchie vasche di cemento ora sostituite da moderni contenitori in acciaio, dove al riso
La pasta di riso originale, così come fatta in Estremo Oriente, è collosa, poco consistente e ha un colore bianco quasi trasparente, molto diverso dal colore classico della pasta di grano
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lavorazione e sottoprodotti imbevuto d’acqua si aggiunge l’inoculo che costituisce la sorgente degli enzimi necessari per la degradazione dei carboidrati a zuccheri e le proteine in altri composti. In Giappone viene prodotto il sake “acqua di vita”, che un tempo era opaco e giallo, mentre ora, con i moderni processi, si presenta di colore chiaro con un contenuto alcolico che varia tra il 15 e il 20%, con un procedimento leggermente diverso da quello utilizzato per la produzione della bevanda cinese.
Foto E. Marmiroli
Olio di riso L’“olio di riso” si estrae dalla pula e dalla gemma di riso, fresche di produzione, prima che inizino i processi di irrancidimento dovuti alla degradazione degli acidi grassi. La quantità di olio che si riesce a estrarne è molto bassa, e occorrono quindi grandi quantità di pula per poter giustificare un impianto di produzione, e per questo motivo questi impianti esistono soprattutto in Cina, India e Thailandia. L’olio viene estratto con l’esano e poi raffinato e molte aziende europee lo importano da quei Paesi e lo commercializzano. Questo olio ha delle caratteristiche organolettiche molto particolari, perché contiene circa l’80% di acidi grassi mono e poliinsaturi e solo il 18% di grassi saturi, ma in particolare è ricco di tocoferoli e di uno dei più importanti fitosteroli: il gamma-orizanolo. Da alcuni studi eseguiti su animali sembra che il gamma-orizanolo possieda effetti benefici sul profilo lipemico dell’uomo, cioè sulla concentrazione dei grassi nel sangue. Per evitare eventuali contaminazioni con l’esano, sono stati fatti molti tentativi di estrazione dell’olio per pressione, come si fa per le olive ma, anche utilizzando altissime pressioni, si riesce a estrarre pochissimo olio, con costi molto elevati e con molte difficoltà, motivo per cui questo processo non è praticabile.
Farina di riso Foto E. Marmiroli
Farina di riso Con il termine generico di “farina di riso” si comprende una vasta gamma di tipi di farina, ognuna delle quali ha precise caratteristiche ed è destinata a utilizzi specifici. Normalmente viene prodotta macinando la rottura di riso, ma in molti casi si son dovute fare laboriose ricerche per individuare il prodotto più adatto a ogni specifica esigenza, valutando la granulometria, il contenuto di amilosio e l’eventuale necessità di speciali precotture; in molti casi la farina viene prodotta macinando direttamente il riso intero con le caratteristiche volute. Facendo un elenco esemplificativo e non esaustivo, possiamo dire che le farine di riso vengono utilizzate come ingrediente per la produzione di gelati, budini, dessert, biscotti, torte, cracker, pane, grissini, semolino, cosmetici, aceto, amidi, colle e altro.
Differenti farine di riso
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utilizzazione Sottoprodotti della lavorazione del riso Lolla. Quantitativamente la lolla è il primo sottoprodotto della lavorazione del riso, rappresenta infatti il 20% del peso della materia prima. La lolla è una corteccia legnosa e silicea che avvolge e protegge il chicco di riso. È un prodotto che spesso viene considerato un rifiuto da smaltire, ma che fino a oggi ha sempre trovato una qualche forma di utilizzo e quindi di valorizzazione. All’inizio, le piccole pilerie ammassavano la lolla dietro la riseria, vicino alla roggia, dove inevitabilmente finiva “aiutata dal vento”. Naturalmente questo tipo di “smaltimento”, col passare del tempo, fu vietato e sono stati trovati altri sbocchi. Con l’arrivo dell’elettricità e di moderne macine, gran parte della lolla veniva macinata e miscelata con altre farine, per ottenere mangimi per animali. Questo è durato fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando si è scoperto che a causa del suo alto contenuto di silice provocava danni allo stomaco degli animali, e per questo motivo ne è stato vietato l’uso. Una parte di questa lolla macinata veniva utilizzata anche nei cementifici, per alleggerire il peso del cemento, ma l’esperienza ha poi dimostrato che lo rendeva fragile, e anche questo impiego è stato abbandonato. La lolla contiene una sostanza chiamata “furfurolo”, che è un derivato dei pentosani. Il furfurolo è utilizzato quale solvente nella raffinazione degli oli minerali e nella sintesi del nailon. Il processo di estrazione è molto complesso e occorrono grandi volumi di lolla e quindi grandi impianti per avere economia di scala e abbattere i costi, motivo per cui questi impianti sono nati nei Paesi grandi produttori di riso quali Cina, India e Thailandia. In Italia esisteva un impianto per l’estrazione del furfurolo, che consumava un buon quantitativo di lolla, ma era relativamente piccolo e non ha retto il confronto con questi Paesi e ha cessato l’attività, come hanno dovuto fare altri stabilimenti che lo estraevano dalla sansa delle olive o dalla buccia delle nocciole. Attualmente la quantità di furfurolo che ancora si consuma in Italia viene importata da questi Paesi dell’Estremo Oriente. La lolla veniva usata anche come lettiera per gli animali, nelle stalle e nei pollai, cosa che continua ancora al giorno d’oggi, ma il consumo si è molto ridotto a causa della progressiva chiusura delle stalle. Una piccola parte, meglio se proveniente dal risone parboiled, viene destinata alla floricoltura, dove viene miscelata alla torba per rendere più soffice il terreno e migliorarne il drenaggio.
Principale destinazione della lolla
• Attualmente la lolla viene quasi
totalmente utilizzata in impianti di combustione per produrre energia elettrica, grazie al suo discreto potere calorifico (3200 Kcal/kg). Dalla combustione si ottiene un residuo di cenere pari a circa il 16%, molto ricco di carbonio e di silice e utilizzato nella produzione di mattoni refrattari e nelle acciaierie, quale isolante termico e antiossidante nelle colate
Foto E. Marmiroli
Lolla Foto E. Marmiroli
Grana verde e chicchi macchiati. La grana verde e i chicchi macchiati trovano impiego esclusivamente nell’alimentazione animale. Pula. La pula viene utilizzata principalmente nella preparazione dei mangimi animali. Esistevano alcune industrie che estraevano
Chicchi macchiati
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lavorazione e sottoprodotti dalla pula un esafosfato di calcio e magnesio, “inositolo” che viene usato nell’industria farmaceutica, in quanto è un epatoprotettore. Anche questo settore ha subito identico destino a quello del furfurolo. La piccola quantità di inositolo che si riesce a estrarre richiede molta materia prima e grandi impianti, e ancora una volta i Paesi grandi produttori di riso dell’Estremo Oriente hanno invaso il mercato con prezzi molto più bassi, e hanno messo in crisi le aziende italiane.
Classificazione delle rotture
• Mezza grana: lunghezza < ¼
della lunghezza del chicco intero
• Corpetto: lunghezza > ¼ e inferiore alla metà della lunghezza del chicco intero • Corpettone: quando il pezzo è più lungo della metà e inferiore ai ¾ della lunghezza del chicco intero Quando il pezzo supera i ¾ della lunghezza viene considerato chicco intero. I diversi tipi di rottura hanno un prezzo di mercato diverso, che privilegia i pezzi più grandi
Gemma. Sono poche ormai le riserie che tengono separati la pula, il farinaccio e la gemma e nella maggior parte dei casi tutte le farine vengono messe in un solo silos e vendute per l’alimentazione animale. Anche nei casi in cui viene tenuta separata, la gemma viene comunque destinata all’alimentazione animale, ma ha una quotazione di mercato più alta rispetto alla pula, in quanto ha un contenuto di grassi, proteine e vitamine più alto e un contenuto di ceneri più basso. Ha un contenuto di grassi leggermente superiore a quello della pula e quindi è utilizzabile per l’estrazione dell’olio. Normalmente, quando si estrae l’olio, la gemma è miscelata alla pula, ma in piccole quantità l’olio viene estratto anche dalla sola gemma e viene utilizzato per arricchire alcuni prodotti particolari di nicchia.
Foto E. Marmiroli
Farinaccio. Il farinaccio viene destinato esclusivamente all’alimentazione animale. Rottura. La dimensione del pezzo rotto varia molto in funzione della varietà di riso da cui proviene. Si avranno rotture relativamente piccole con i risi tondi (corti) e rotture decisamente più grandi con i risi lunghi tipo Roma, Arborio, Carnaroli o simili, ma in ogni caso la grandezza del pezzo è molto variabile in quanto i chicchi di riso possono rompersi in qualsiasi punto o addirittura in più punti. In tutte le riserie ci sono molti separatori alveolari con tasche di diversa misura, specifica per ogni categoria di pezzo rotto. La rottura viene in gran parte macinata per ottenere la farina di riso, ma viene utilizzata anche tal quale per esempio nella produzione della birra, dei prodotti espansi e nell’alimentazione animale, e una gran parte viene aggiunta al riso destinato ai Paesi più poveri, dove arriva anche al 50% del prodotto.
Rottura
Composizione delle farine di riso (% sul tal quale) Grassi
Proteine
Fibra grezza
Ceneri gregge
Ceneri insolubili
Pula
17,00
13,00
10,00
10,00
0,50
Farinaccio
14,00
13,00
5,00
7,00
0,20
Gemma
19,00
17,00
6,00
6,00
0,25
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il riso
utilizzazione Prodotti fermentati Aldo Ferrero, Antonio Tinarelli
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Prodotti fermentati Introduzione Come risulta dalla storia delle antiche civiltà asiatiche il riso è stato il primo tra i vari cereali coltivati a venire utilizzato per la produzione di prodotti fermentati. I preparati fermentati ottenuti per azione di lieviti, fermenti e batteri sui componenti amilacei e zuccherini del cereale possono essere suddivisi in 3 gruppi in relazione alla forma del preparato stesso: solida, pastosa, liquida.
Fermentati del riso I prodotti della fermentazione del riso possono essere suddivisi, in base alla formulazione del preparato, in: • solidi • pastosi • liquidi
Fermentati in forma solida I prodotti fermentati ottenuti in forma solida comprendono soprattutto preparati costituiti da una matrice amilacea sulla quale funghi e batteri sono indotti a svilupparsi così da produrre enzimi in grado di demolire i composti proteici, a convertire l’amido in zuccheri fermentescibili, permettendone la successiva trasformazione in alcol etilico. Sono prodotti utilizzabili tal quale o, più comunemente, come inoculi da impiegarsi per l’attivazione di successivi processi fermentativi nel riso o in altri substrati amilacei o zuccherini per la produzione di bevande alcoliche, salse e condimenti, coloranti alimentari, alimenti simili al pane e prodotti medicinali. Questi inoculi contengono prevalentemente composti di natura enzimatica quali: – amilasi, attive nella degradazione dell’amido a destrina; – amiloglucosidasi, per la saccarificazione della destrina a glucosio, maltosio e altri zuccheri fermentescibili; – proteasi e lipasi, in grado di attaccare e scomporre le proteine e i grassi contenuti nei cereali e negli altri composti sottoposti a fermentazione;
Risone
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prodotti fermentati – zimasi, che agiscono nella trasformazione degli zuccheri in etanolo; –e nzimi in grado di dar luogo alla formazione di sostanze coloranti, aromatiche e profumi. Tra i principali inoculi solidi figurano prodotti quali per es. jiuqu e angkak in Cina, koji e beni-koji in Giappone, riso giallo in Ecuador, ragi in Indonesia.
Jiuqu
• I preparati denominati jiuqu o qu
nell’alfabeto fonetico cinese e koji in quello giapponese vengono realizzati lasciando fermentare naturalmente la farina umida del cereale. In passato erano prodotti a livello artigianale adottando metodi già impiegati durante la dinastia Song (1279-960 a.C.), mentre oggi vengono preparati secondo sistemi industriali. I diversi microrganismi presenti nell’ambiente trasformano l’amido dei cereali in zuccheri semplici, esponendoli alla successiva fermentazione alcolica a opera dei lieviti
Jiuqu. Si tratta di un inoculo microbico, paragonabile alla miscela di malto e lievito impiegata nella fabbricazione della birra, che, in termini e con procedimenti differenti, viene utilizzato in numerosi processi di fermentazione, tra loro molto diversi, per la produzione di bevande alcoliche, di salse e di aceto. A seconda dell’utilizzazione cui sono destinati e delle tradizioni locali, gli jiuqu possono essere prodotti utilizzando riso, sorgo, orzo, miglio, frumento, o riso e frumento, ponendo eventualmente in miscela al riso anche piselli, fagioli e piante aromatiche. In relazione a tali caratteristiche questi preparati assumono diverse denominazioni. Tra gli jiuqu a base di riso figurano prodotti prevalentemente destinati alle industrie delle bevande alcoliche, quali: – x iao qu: di colore giallo-bruno o verdastro, commercializzato sotto forma di piccoli dadi o di palline solide; – y ao qu: simile al precedente, ma di colore bianco; ai qu: di colore nero, per azione dell’Aspergillus niger. –h Gli jiuqu a base di frumento comprendono principalmente: – s eng mai qu: prodotto dal frumento non cotto; –m ai qu o jiuqu del frumento: di colore paglierino, utilizzato principalmente nell’industria delle bevande fermentate; – s hu mai qu: prodotto da frumento torrefatto o cotto al vapore, in gran parte destinato alla produzione di distillati; –d ou qu: ottenuto con una miscela di farina di frumento mescolata con quella di pisello o di fagiolo; può essere destinata alla fabbricazione di vini o di distillati; – f u qu: realizzato a partire dalla crusca di frumento e, come i precedenti, destinato all’industria delle bevande alcoliche. Un tipico jiuqu, tramandato sin dalla dinastia Song, è quello prodotto aggiungendo acqua fresca a una miscela di frumento torrefatto, frumento crudo e frumento germinato e ponendo questo impasto in un apposito locale di incubazione. Vi si spruzza quindi sopra del jiuqu di una precedente produzione, distribuendolo su tutta la massa, che viene poi sottoposta a continui rivoltamenti. Il preparato viene in fase successiva posto entro una giara o in un tino immediatamente sigillato e in seguito essiccato al sole. Il jiuqu, opportunamente sfarinato dopo l’essiccazione, è così pronto per essere utilizzato per la successiva operazione di fermentazione alcolica del riso precedentemente cotto fino a completa gelatinizzazione per la produzione della bevanda.
Funghi dello xiao qu
• I microrganismi che si formano
nello xiao qu, uno dei più comuni inoculi impiegati per le successive fermentazioni di prodotti a base di riso, sono principalmente Rhizopus oryzae, Rhizopus chinensis, Aspergillus spp. e lieviti. Di recente sono stati isolati 828 ceppi fungini di cui 643 del genere Rhizopus. Questo fungo ha l’attitudine a produrre non solo amilasi e amiloglucosidasi ma anche zimasi, attive anche nella produzione dell’etanolo
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utilizzazione Koji. La fabbricazione del koji inizia con la totale raffinazione del riso, per ridurre il contenuto di grassi, delle proteine e dei composti inorganici in gran parte presenti nei rivestimenti dei chicchi. Tali sostanze potrebbero alterare le caratteristiche organolettiche tipiche dei fermentati a cui il koji è destinato. In termini assai sintetici e approssimativi, il procedimento inizia con un prolungato lavaggio del riso, sottoposto in seguito a macerazione in acqua per alcune ore. Al termine dell’operazione di macerazione viene cotto a vapore in autoclave per la gelatinizzazione dell’amido; successivamente è posto a raffreddare su di un letto di paglia ricoperto con un telo. Si procede quindi all’inseminazione con le spore dell’Aspergillus e dopo alcuni giorni tutta la massa del riso si presenta invasa dal fungo, assumendo una colorazione bruna.
Koji
• È un composto analogo al jiuqu,
prevalentemente utilizzato come inoculo madre per la fabbricazione di bevande, sake, miso, amazake e salse di soia. In Giappone il koji viene prodotto facendo sviluppare sul riso cotto a vapore le spore di Aspergillus oryzae. L’azione del fungo si manifesta con la diffusione nella massa del riso di enzimi in grado di trasformare l’amido in zuccheri semplici successivamente fermentati a produrre alcol etilico da parte dei lieviti
Angkak e beni-koji. Noti anche come risi rossi o lieviti rossi, sono dei prodotti di color rosso porpora, ottenuti dalla fermentazione della farina di riso con diversi ceppi di Monascus purpureus. Questi prodotti sono ottenuti facendo sviluppare il fungo su riso bianco. Il riso è dapprima immerso in acqua fino a completa saturazione dei granelli, quindi viene inoculato con il fungo, talvolta previa cottura e sterilizzazione degli stessi con vapore o mediante torrefazione. L’inoculazione avviene mescolando le spore di Monascus purpureus o parti di riso rosso, precedentemente preparato, al riso da sottoporre a fermentazione. La miscela viene quindi incubata per 3-6 giorni a temperatura ambiente, durante i quali il riso assume la tipica colorazione rossa in tutta la massa del granello. Il prodotto fermentato viene commercializzato sia come granello essiccato, sia come pasta umida cotta e pastorizzata o come polvere fine ottenuta dalla macinazione del riso fermentato ed essiccato. La Cina è il principale produttore mondiale. Il riso rosso in grano non raffinato può essere preparato e consumato allo stesso modo del riso bianco oppure aggiunto ad altri alimenti. Il prodotto sfarinato è comunemente utilizzato come colorante alimentare per numerosi prodotti tipici asiatici, come l’aceto rosso, per i sottaceti, per la preparazione di piatti di carne (anatra cinese) e per la pasticceria cinese oltre che per diversi tipi di vini o bevande alcoliche, conferendo nel contempo un tipico sapore agli alimenti. A Taiwan, dove la tecnica di produzione del riso rosso si è diffusa circa un secolo fa, si produce un inoculo noto come chu chong tsaw, ottenuto abbinando a Monascus purpureus anche il lievito Saccaromyces formosensis, fatti poi sviluppare su riso glutinoso cotto al vapore in miscela con vino di riso. Nella tradizione cinese questi prodotti sono utilizzati da oltre un millennio anche come ricostituenti e digestivi. Il lievito rosso e i suoi derivati trovano altresì impiego oggi nella medicina moderna per le loro proprietà anticolesteroliche grazie alla presenza della mevinolina, una statina naturale originata durante i processi fermentativi del fungo.
Foto I. Ponti
Conidioforo (in alto) e conidi (in basso) di Aspergillus spp. Questo fungo è largamente impiegato per le fermentazioni del riso
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prodotti fermentati Riso giallo. Questo prodotto è di interesse soprattutto nelle regioni montane della Sierra in Sud America, dove viene utilizzato per la preparazione dell’alimento di base noto come riso secco. Il riso secco si prepara facendo cuocere i chicchi finché questi si separano singolarmente. I microrganismi presenti modificano alcuni nutrienti, determinando una sorta di pre-digestione. A seguito di ciò il riso richiede un minor tempo di cottura, aspetto di notevole importanza nelle aree andine dove per l’altitudine i combustibili sono poco disponibili e l’acqua può bollire al di sotto dei 90 ° C. Gli studi realizzati su questi prodotti hanno permesso di individuare gruppi di funghi e tossine batteriche, ma non hanno consentito di isolare gli organismi responsabili dei processi fermentativi. I principali batteri sono risultati Bacillus subtilis, Bacillus pumilis e Bacillus cereus, mentre i funghi più comuni sono Aspergillus flavus, var. columnaris, Aspergillus candidus, Aspergillus fumigates, Rhizopus rhizopodiformis, Absidia corymbifer. Il riso giallo ha dimostrato di possedere un contenuto di riboflavina 3-4 volte superiore a quello presente nel riso non fermentato e di non contenere aflatossine.
Riso giallo
• Conosciuto anche come arroz
fermando, amarillo, requemado o semplicemente riso della Sierra, è preparato a partire dal risone nelle condizioni in cui si trova al momento della raccolta; il processo fermentativo si attiva spontaneamente grazie alla flora microbica presente sulle cariossidi. Durante il processo il granello acquista una colorazione giallo-bruna che rimane stabile nel tempo, anche dopo il successivo essiccamento e sbiancamento
Schema del processo produttivo del riso rosso (angkak) Riso sbiancato
Monascus purpureus
Acqua
Lavaggio Incubazione a 33° per 10 giorni Cottura a vapore
Raffreddamento
Inoculazione
Riso giallo
Prodotto per inoculo
Foto I. Ponti
Miscelazione
Aggiunta di acqua
Maturazione Sporangio di Rhizopus spp., fungo impiegato per l’ottenimento di ragi, loogpang, bubod e palle di lievito
Ragi, loogpang, bubod, palle di lievito cinese. Sono dei preparati usati come inoculi lievitanti ottenuti in Oriente dalla fermentazione del riso e della cassava. Gli inoculi sono preparati in condi565
utilizzazione zioni anaerobiche per azione di alcune specie di funghi del genere Mucor, Rhizopus e Amilomyces; comunemente non si osservano altri funghi nonostante questi prodotti vengano spesso realizzati in condizioni igieniche non ottimali. Questi inoculi sono di impiego comune in Indonesia, Filippine, Nepal, Cina, Taiwan, Thailandia.
Alcuni tipi di bevande alcoliche ottenute dalla fermentazione del riso in Estremo Oriente Prodotto
Paese
Amazake
Giappone
Ang Jiu
Cina, Malesia
Brem
Bali
Champuz
Colombia, Perù
Cheongju
Corea
Choujiu
Cina
Gamju
Corea
Handia
India
Hansan Sogokchu
Corea
Kyoding Popchu
Corea
Insamju
Corea
Lao-Lao
Laos
Lihing
Malesia, Borneo
Makgeolli
Corea
Mijiu o Lao-zao
Cina
Paegilchu
Corea
Raksi
Nepal, Tibet
Sake (Nihonshu)
Giappone
Samsu
Cina
Sato
Thailandia
Shaoxing
Cina
Sonti
India
Tapai
Malesia, Borneo
Tapuy
Filippine
Tongdongju
Corea
Tuak
Malesia, Borneo
Idli, dosci. Sono delle focacce a lievito acido, preparate soprattutto nel Sud dell’India; sono derivate dalla fermentazione che si attiva a opera di batteri eterolattici sul riso, tal quale o addizionato di legumi. Si tratta di prodotti simili al pane di impasto acido del mondo occidentale, che, a differenza di questo, derivano dalla lievitazione ottenuta mediante l’azione di batteri anziché di lieviti. L’acidità dell’impasto impedisce lo sviluppo di microrganismi patogeni. Fermentati in forma pastosa I preparati in forma di pasta comprendono un’ampia varietà di alimenti alcolici, dolci o acidi, caratterizzati da consistenza, aspetto e sapore variabili a seconda delle condizioni in cui avviene la fermentazione. Alcuni di questi prodotti danno luogo, durante la loro produzione, a una frazione liquida che viene raccolta e consumata come bevanda. Tra questi assumono particolare importanza nella cultura alimentare orientale prodotti quali tape, miso e chiang. Tape, principalmente diffuso in Indonesia, è ottenuto aggiungendo l’inoculo ragi al riso ceroso cotto a vapore. Questa miscela viene avvolta in foglie di banana e mantenuta a temperatura ambiente. In due o tre giorni il riso diventa soffice, umido, dolce e alcolico. Miso è un prodotto tradizionalmente utilizzato come condimento in Giappone. Ha un sapore molto deciso e salato, che può variare a seconda della salatura e stagionatura. Viene usato per insaporire zuppe, verdure, pesce e carne. I prodotti base per la fermentazione sono il riso insieme a un particolare inoculo di fermentazione, soia e sale. La quantità di sale impiegata permette di selezionare il tipo di microflora che si stabilisce durante la fermentazione. Per la preparazione del miso il riso viene lavato, saturato d’acqua, cotto a vapore, inoculato con Aspergillus oryzae (tane-koji) e posto su sottili vassoi di legno. Si sviluppa un processo fermentativo durante il quale agiscono enzimi amilolitici, lipolitici e proteolitici. Chiang è un fermentato di riso impiegato in Cina come condimento dalle caratteristiche molto simili a quelle del miso. Fermentati in forma liquida In Oriente il riso è il cereale maggiormente impiegato per la produzione di un’ampia gamma di fermentati, quali vini, sake e aceto di riso, prodotti secondo ricette tramandate attraverso numerose generazioni. Vini di riso. Contrariamente alla cultura occidentale nella quale il termine “vino” viene attribuito soltanto al prodotto ottenuto dalla 566
prodotti fermentati fermentazione del succo d’uva, nel mondo orientale e nell’Europa dell’Est questa denominazione viene comunemente estesa anche a tutte le bevande derivanti dalla fermentazione di frutti e cereali. Vi sono diversi sistemi per classificare i vini di riso, alcuni si basano sui metodi di fabbricazione, altri si definiscono in rapporto al residuo in zucchero, altri ancora in relazione agli agenti usati per la saccarificazione e la fermentazione. In relazione al metodo di produzione, le bevande alcoliche cinesi si possono raggruppare in quattro gruppi: – l in fan jiu. In breve sintesi, la procedura di produzione di questo vino si basa sul raffreddamento del riso cotto a vapore, immergendolo in acqua fredda, quindi sull’aggiunta dell’inoculo xiao qu, che consente l’avvio del processo di saccarificazione. Il prodotto così ottenuto può essere impiegato, a sua volta, come inoculo per far fermentare altro riso oppure consumato direttamente, dopo alcuni giorni di fermentazione; – t ang fan jiu. La caratteristica della produzione di questo vino è quella di far raffreddare all’aria il riso cotto a vapore, disponendolo su un griglia di bambù, prima di miscelarlo con l’inoculo jiuqu o qu e con del liquido di infusione del riso cotto; –w ei fan jiu. Si tratta di un vino prodotto con un metodo che prevede l’aggiunta del riso cotto a vapore in tre differenti momenti del processo di fabbricazione; – vini fortificati e ad elevata gradazione. Questi vini sono prodotti aggiungendo vino invecchiato o distillati di vino alla massa del riso prima che sia completato il processo fermentativo. A causa dell’elevata gradazione alcolica normalmente raggiunta (superiore al 20%) l’attività microbica viene inibita, impedendo in tal modo la completa trasformazione in alcol degli zuccheri presenti.
Foto E. Marmiroli
Vino di riso
Bevande alcoliche cinesi
• Nella lingua cinese la bevanda alcolica
è genericamente indicata con il termine jiu; vocabolo combinato con altri termini per indicare specifiche bevande: huang jiu (huang = colore giallo) per il vino ottenuto dalla fermentazione del riso, putao jiu per il vino d’uva, pi jiu per la birra, bai jiu per i distillati dei fermentati dei cereali. Il vino invecchiato è poi denominato lao jiu e quello diluito shui jiu o chou jiu, a seconda della località
Foto E. Marmiroli
• Talvolta si usa il termine huang jiu
per indicare una generica bevanda fermentata cinese; più comunemente i diversi prodotti sono individuati con specifiche denominazioni, per esempio chou jiu per i vini ottenuti dal riso glutinoso e quingk jiu per quelli prodotti a partire dall’orzo degli altipiani del Tibet
Confezioni di bevande alcoliche cinesi
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utilizzazione Tenendo principalmente conto del metodo di fabbricazione e dello zucchero residuo nel prodotto ottenuto si possono individuare 5 principali tipi di vini di riso: – secco, con meno di 1,0 g di zuccheri per 100 ml; – semi-secco, con 1,0-3,0 g di zuccheri per 100 ml; – semi-dolce, con 3,0-10 g di zuccheri per 100 ml; – dolce, con 10,0-20 g di zuccheri per 100 ml; – molto dolce, con oltre 20 g di zuccheri per 100 ml. La classificazione basata sul tipo di agenti di saccarificazione e fermentazione prende in considerazione le diverse tipologie di jiuqu utilizzate. Talvolta nella denominazione dei vini viene citato il tipo di qu impiegato per la fabbricazione. I principali ingredienti usati per la produzione dei vini di riso sono la granella del cereale, l’acqua e l’inoculo starter, ai quali possono essere aggiunte sostanze coloranti e aromatizzanti.
Origine del vino di riso
• La produzione e il consumo di bevande
alcoliche derivate dal riso ha avuto una grande tradizione soprattutto in Cina, Corea e Giappone. Le prime attestazioni documentali (sulla produzione e sul consumo di bevande alcoliche derivate dal riso) risalgono al periodo della dinastia cinese Shang (1200-1046 a.C.), tuttavia le analisi al Carbonio-14 su frammenti di vasi ritrovati nella provincia di Henan hanno fatto rilevare la presenza di tracce di bevande ottenute dal riso databili dal 7000 al 6600 a.C.
Cereale. Nel Sud della Cina il cereale utilizzato è prevalentemente rappresentato dal riso glutinoso, mentre, nella parte settentrionale del Paese, il riso viene spesso mescolato a frumento, orzo, miglio e sorgo o sostituito da essi. La granella usata nel processo di fabbricazione è privata dei suoi rivestimenti (glumette e pericarpo) e dell’embrione. Il riso raffinato viene quindi ammollato in acqua fino a saturazione e acidificato, aggiungendo lattobacilli o acido lattico al liquido di ammollamento. L’acidificazione impedisce lo sviluppo di microrganismi che potrebbero alterare le caratteristiche del liquido di fermentazione, dando luogo alla formazione di sapori sgradevoli o di sostanze tossiche.
Foto E. Marmiroli
Acqua. È un importante componente nella produzione delle bevande ottenute dai cereali, poiché rappresenta circa l’80% del prodotto finale. L’acqua idrata i granelli del cereale e permette lo svolgimento dei processi fermentativi. Le caratteristiche qualitative dell’acqua costituiscono un elemento determinante nella qualità del vino. Particolarmente importanti sono il grado di durezza, che deve essere possibilmente compreso tra 2 e 6 gradi francesi, e il pH, che dovrebbe attestarsi intorno alla neutralità. Deve essere incolore, senza odori particolari, con un basso contenuto in ferro e sodio e con una percentuale elevata in magnesio e calcio. A tal scopo viene posta particolare cura nella utilizzazione di acque derivate da sorgenti o corsi d’acqua, caratterizzate da elevata purezza. Alcune regioni di produzione di bevande di riso tipiche sono famose non solo per le caratteristiche dei loro vini ma anche per la qualità delle acque utilizzate nella loro fabbricazione.
Tazza cinese
Mitologia del vino di riso
• In un testo cinese del II secolo d.C.
si narra che la figlia dell’imperatore Yu dell’antica Dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) indulgeva talmente alle bevande alcoliche ricavate dal riso che si inebriava; perse così il potere imperiale per ordine del suo sposo imperatore che interdisse anche all’inventore del procedimento, il servitore Yi Di, di continuarne la produzione
Inoculo starter. È un prodotto in forma solida o in pasta contenente un complesso di lieviti, muffe e batteri, utilizzato per inoculare il cereale. Come già esaminato precedentemente, sono disponibili diversi inoculi starter (yiuqu, beni-koji, angkak) con caratteristiche 568
prodotti fermentati differenti a seconda del prodotto fermentato di partenza (riso, frumento o miscele di riso e frumento con fagioli e piselli) e delle modalità di produzione. Ogni centro di produzione utilizza in genere un proprio inoculo, conservato per generazioni recuperando a ogni ciclo di fabbricazione una parte della massa in fermentazione. Solo i grossi impianti di produzione impiegano, comunemente, colture pure dei vari organismi utilizzati nel processo produttivo.
Riso parzialmente lavorato Ammollo
Aromatizzanti. Alcuni vini di riso vengono aromatizzati con piante aromatiche e medicinali, spezie e frutti, allo scopo sia di conferire particolari sapori e aromi, sia per far loro assumere specifiche colorazioni (rosse, brune, o verdi).
Cottura a vapore
Metodo di fabbricazione Il tipico processo di fabbricazione di un vino cinese si articola nelle seguenti fasi principali: preparazione della coltura madre, preparazione dell’impasto principale, fermentazione, interventi di chiarificazione e pastorizzazione, stagionatura e maturazione. Preparazione della madre del vino di riso. Nota anche come jiu mu (cioè coltura madre o seed mash, nella terminologia inglese), la madre del vino corrisponde all’inoculo di lievitazione dell’industria della birra. Viene realizzata facendo fermentare del riso e/o del frumento secondo un processo simile a quello seguito per la fermentazione principale dell’impasto di riso. Secondo la ricetta tradizionale per un lotto industriale le diverse materie prime vengono impiegate ai seguenti dosaggi: 125,0 kg – riso ceroso – jiuqu (frumento) 19,5 kg – xiao qu (riso) 0,2 kg – acqua 230,0 kg (compresa quella assorbita du rante l’ammollo e la cottura)
Aggiunta di xiao qu
Raffreddamento
Saccarificazione Aggiunta di jiuqu Fermentazione Rimescolamento Seconda fermentazione Madre del vino Schema di preparazione della madre del vino di riso
Foto R. Angelini
569
utilizzazione
Acqua
Riso parzialmente raffinato
Jiuqu
Il riso ceroso (waxi o glutinoso) di tipo japonica, dopo ammollamento in acqua dolce per 1-2 giorni e acidificazione, viene cotto a vapore per alcuni minuti entro contenitori particolari il cui fondo è formato da telai e graticci. Questa operazione determina la gelatinizzazione dell’amido, favorendo l’azione dei microrganismi dell’inoculo starter. La massa del riso viene poi raffreddata mediante aggiunta di acqua fredda fino a raggiungere la temperatura di 23-28 °C, considerata ottimale per la fermentazione iniziale. Il riso completamente gelatinizzato viene quindi trasferito in tini di ceramica, nei quali viene aggiunto progressivamente l’inoculo xiao qu. In 36-48 ore gli enzimi rilasciati da Rhizopus e lieviti idrolizzano l’amido, avviano la fermentazione alcolica, dando luogo anche alla formazione di acido lattico e fumarico. Questi acidi impediscono lo sviluppo di altri microrganismi responsabili di alterazioni del fermentato. Viene quindi aggiunta acqua fresca, unitamente all’inoculo di frumento jiuqu che accelera la fermentazione alcolica. In queste condizioni i granelli di riso tendono gradualmente a spappolarsi, dando luogo alla formazione di una massa poltigliosa. Da questo momento la massa deve essere periodicamente rimescolata per circa un mese allo scopo di evitare la formazione di uno strato asciutto in superficie, mantenere uniforme la temperatura all’interno del tino e, soprattutto, assicurare un corretto rapporto tra ossigeno e anidride carbonica nell’impasto. Al termine di questo periodo il pH della massa scende a 3,5-4,0 e la concentrazione di alcol raggiunge il 15% circa.
Madre del vino
Lavaggio e ammollo Cottura a vapore Raffreddamento Impasto principale Saccarificazione Fermentazione primaria
Preparazione dell’impasto principale. Prima di essere sottoposto alla fermentazione, il riso utilizzato per la produzione del vino necessita di opportuni interventi preparatori quali la raffinazione, il lavaggio, la macerazione, la cottura e il raffreddamento.
Fermentazione secondaria Pressatura e chiarificazione
Raffinazione del riso. A differenza di quanto avviene per la birra, la produzione dei vini di riso richiede una raffinazione della granella di riso parziale o completa a seconda delle differenti metodologie impiegate e dei risultati attesi. Il principale scopo di questa operazione è quello di allontanare, completamente o in parte, le proteine, i lipidi e i minerali presenti nell’embrione e nei rivestimenti esterni dei granelli del cereale. Viene comunemente allontanato il 10% del peso del riso decorticato, nel caso dei vini comuni, il 20% per quelli di qualità e fino al 30-40% per la produzione del sake.
Pastorizzazione Invecchiamento Schema tradizionale di preparazione di un vino di riso (huang hong)
Lavaggio e ammollo. Il riso raffinato è lavato ripetutamente fino a quando le acque di drenaggio rimangono chiare. Lo scopo principale di questo intervento è quello di allontanare la pula e le polveri dalla superficie dei granelli. Durante il lavaggio il riso assorbe una quantità di acqua pari al 10-17% del proprio peso. 570
prodotti fermentati Terminata questa operazione, il riso viene posto in vasche contenenti acqua fresca e mantenuto in ammollo per circa 20 giorni, allo scopo di aumentare l’idratazione dei granelli e permettere l’acidificazione dell’acqua per la naturale fermentazione a opera dei lattobacilli. L’acidificazione del mezzo acquoso è particolarmente vantaggiosa in quanto: – inibisce lo sviluppo di microrganismi responsabili di fermentazioni anomale; – aumenta la disponibilità di aminoacidi e di vitamine, favorendo lo sviluppo dei lieviti; – migliora le caratteristiche organolettiche del vino. Per stabilizzare l’acidificazione, si ricorre sempre più frequentemente all’aggiunta di acido lattico. Durante la fase di macerazione il riso assorbe acqua fino al 30% del proprio peso. Il riso ceroso di tipo japonica assorbe acqua più rapidamente e in quantità maggiore di quello di tipo indica. Cottura del riso. Dopo aver allontanato l’acqua di ammollo, la massa del riso viene sottoposta a cottura a vapore, allo scopo di determinare la completa gelatinizzazione dell’amido e permetterne la successiva idrolizzazione a zuccheri fermentescibili. A questo scopo il riso viene posto, con stratificazioni successive, su un graticcio di bambù posizionato al di sopra di un bollitore, dove viene mantenuto per circa venti minuti. Durante questa operazione si provvede a versare sul riso una certa quantità dell’acqua acida di ammollamento, preventivamente raccolta, per aumentarne la sofficità, determinare un ambiente di fermentazione sterilizzante, favorire l’incremento della produzione di aminoacidi e di vitamine, migliorare l’aroma della bevanda.
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utilizzazione Raffreddamento del riso cotto. La successiva operazione di raffreddamento del riso cotto può essere effettuata mediante esposizione del riso all’aria, oppure facendo scorrere dell’acqua fredda attraverso la massa del riso. Con il primo metodo si stende il riso cotto su un graticcio di bambù posto in un locale fresco e si provvede alla frantumazione di eventuali ammassi di riso gelatinizzato che possono essersi formati. Seguendo invece il secondo metodo, il riso viene posto entro un recipiente di bambù o di legno con il fondo a griglia e viene sottoposto a raffreddamento, versando dell’acqua fredda entro la massa del cereale. L’acqua di drenaggio, non più fredda, viene raccolta e riversata sul riso. Con tale operazione si cerca di ridurre la temperatura, portandola a valori uniformi in tutta la massa del riso.
Fermentazione principale del vino di riso
• Indipendentemente dalla tecnica
seguita, si deve fare in modo che il processo di fermentazione alcolica si svolga lentamente, impiegando fino a 3 mesi per completarsi. È necessario, a questo scopo, controllare la temperatura, mantenendola al di sotto di 30 °C, mediante ripetuti rimescolamenti della massa in fermentazione. Particolarmente importante è l’epoca in cui viene effettuato il primo di questi interventi: se viene realizzato con temperatura dell’impasto prossima a 35 °C, si determina una rapida conversione degli zuccheri in etanolo, con una successiva inibizione dell’attività dei lieviti
Fermentazione principale. Come è già stato evidenziato in precedenza, il processo fermentativo si compone di due fasi principali, la saccarificazione e la fermentazione alcolica che, a seconda dei sistemi produttivi, possono avvenire in modo congiunto o separatamente. Nella produzione tradizionale dei vini cinesi le due fasi avvengono congiuntamente, all’interno dello stesso tino in terracotta vetrificata (fino a 2 metri di diametro e altezza), nel quale vengono introdotti il riso cotto a vapore (con apporti successivi), la madre del vino, l’inoculo starter aggiuntivo e dell’acqua fresca. La miscela è ammassata sui bordi del tino ed è lasciata fermentare. I processi enzimatici sostenuti dalla madre del vino e dall’inoculo aggiuntivo attivano la saccarificazione e la fermentazione alcolica trasformando in poltiglia i granelli cotti di riso. Nel caso della saccarificazione e della fermentazione separate, al riso cotto a vapore viene aggiunta l’acqua e l’inoculo costituito da una massa di riso, previamente sottoposta all’azione di funghi quali Aspergillus oryzae o del genere Rhizopus e lattobacilli. In breve tempo avviene la trasformazione dell’amido in zuccheri fermentescibili e la produzione di acido lattico. Il liquido dolce e acidulo (mosto) poi viene spillato e riportato entro il recipiente. Dopo questa operazione, alla massa del riso viene aggiunta altra acqua fresca, ripetendo il processo precedente, fino a esaurimento degli zuccheri in essa presenti. La fermentazione principale termina dopo circa una settimana, quando la concentrazione alcolica raggiunge il 12-13% e le parti solide dell’impasto si depositano sul fondo del tino.
Foto E. Marmiroli
Fermentazione secondaria. Al termine della fermentazione principale il liquido (mosto-vino), ancora assai denso, viene sottoposto a pressione in torchi o presse a filtro per separare il liquido dalle parti solide. Dai residui solidi si ricavano panelli compressi utilizzati per la distillazione dell’alcol, per la produzione di aceto o destinati all’alimentazione animale. Il liquido è trasferito entro delle giare a collo stretto per la successiva ulteriore fermentazio-
Scatola contenente preparati a base di riso fermentato
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prodotti fermentati ne. Ogni giara viene accuratamente sigillata per evitare il contatto del mosto-vino con l’aria e conservata in un ambiente fresco. In queste condizioni, dopo circa due mesi, gli zuccheri ancora presenti dopo il primo processo fermentativo vengono più o meno completamente fermentati, determinando un incremento del tenore alcolico di circa il 3-4%. Durante questa fase il vino affina gradualmente le proprie caratteristiche organolettiche, assumendo gli aromi e i sapori caratteristici.
Invecchiamento del vino
• Durante l’invecchiamento il vino
matura gradualmente: si perfeziona il colore e si riduce il sapore aspro. Prima dell’imbottigliamento il prodotto è frequentemente miscelato con quello ottenuto dalle precedenti produzioni, quindi viene filtrato • I diversi vini prodotti in tutta la Cina sono consumati soprattutto come bevande alcoliche; sono anche utilizzati per la marinatura di alimenti a base di carne e come medicamento
Chiarificazione. Dopo la seconda fermentazione il liquido si presenta ancora torbido; viene pertanto trasferito nei recipienti di chiarificazione. Si impiega, a tal scopo, il caramello, che, unito al liquido per 2-3 giorni, consente la chiarificazione del vino che diviene fine e dolce. Il colore finale del vino dipende anche dal caramello. Pastorizzazione. Il vino fresco è pastorizzato a 85-90 °C per 5-10 minuti. Le cellule vegetative dei microrganismi ancora presenti nel liquido sono, pertanto, distrutte, così come sono disattivati gli enzimi e le proteine coagulate. Il trattamento di pastorizzazione esplica anche la funzione di facilitare la maturazione del vino. Invecchiamento. Il vino pastorizzato è infine conservato in giare di ceramica sigillate e impilate l’una sull’altra. L’esperienza insegna che il ritmo alternante della temperatura dell’ambiente esterno sul vino entro le giare, nell’arco delle quattro stagioni dell’anno, favorisce una modesta ripresa della fermentazione durante i mesi freddi, mentre altre imprecisate modifiche intervengono durante quelli caldi. È pertanto preferibile consumare il vino l’anno successivo a quello della sua produzione.
Foto E. Marmiroli
Sake. È una tipica bevanda giapponese conosciuta in occidente come un vino di riso, ottenuta secondo un processo non dissimile da quello seguito nella fabbricazione dei vini prodotti in Cina. Gli ingredienti di base per la fabbricazione del sake sono il riso, l’acqua, il koji e l’inoculo di fermentazione. Il processo di fabbricazione è nel complesso simile a quello già descritto per la produzione dei vini cinesi. Prevede infatti la raffinazione del riso, il lavaggio e l’ammollamento, la sua cottura per la produzione della coltura madre e di quella dell’impasto principale, la pressatura, la filtrazione e l’invecchiamento. Raffinazione, lavaggio, ammollamento e cottura. Nella preparazione del sake il riso viene raffinato rimuovendo gran parte dei rivestimenti esterni della granella con una riduzione del suo peso originario di circa il 30-45%, mentre nella fabbricazione dei vini cinesi la raffinazione interessa non più del 15% del peso iniziale. Si considera che quanto più elevato è lo scarto e tanto maggiore
Vino di riso in bottiglia
573
utilizzazione è la qualità della bevanda ottenuta. Un’altra importante differenza tra i due tipi di vino riguarda la coltura madre, realizzata per il koji (per la produzione del sake) con le spore di Aspergillus mentre per il jiuqu (per la produzione del vino cinese) con quelle di diverse specie di Rhizopus. Gli aspetti considerati più critici per la fabbricazione del sake sono la produzione dell’inoculo di saccarificazione e di fermentazione (moto) e la preparazione dell’impasto principale (moromi). Come per i vini cinesi, il riso, dopo la raffinazione, viene immerso in vasche per il lavaggio e l’ammollamento. Viene quindi sottoposto a cottura a vapore (joumai), per un tempo compreso tra una ventina di minuti e un’ora, avendo cura di stratificarlo all’interno del bollitore (koshiki), in modo che tutta la sua massa venga cotta uniformemente, con una buona gelatinizzazione dell’amido.
Sake
• In Giappone questa bevanda è nota
come nihonshu. Il vocabolo sake ha semplicemente il significato di bevanda alcolica che, nelle diverse regioni del Paese, può riferirsi a prodotti diversi. Nel Kyushu meridionale, si riferisce solitamente a una bevanda distillata (shochu), ottenuta da un fermentato di patate, mentre a Okinawa riguarda un’altra bevanda distillata (awamori). I sake di migliore qualità si producono a partire da varietà di riso particolarmente idonee a questa utilizzazione e indicate con il termine generico sakamai. Molto famosa in Giappone è la varietà Yamadanishiki
Preparazione degli inoculi di saccarificazione e fermentazione e dell’impasto principale. La maggior parte del riso cotto (circa il 90%) è destinata alla produzione dell’impasto principale, mentre la restante parte è utilizzata per la produzione della madre del sake a base di koji e dell’inoculo della fermentazione alcolica. La madre del sake viene realizzata trasferendo il riso cotto in un ambiente mantenuto alla temperatura di 26-27 °C e mescolando nella sua massa le spore del koji, acquisito dal mercato in forma polverulenta o preparato in un precedente processo di vinificazione. Dopo una ventina di ore l’impasto è posto a riposare in cassette di legno, dove nel corso di due giorni circa si ricopre di una patina di muffa e assume un caratteristico odore di castagne. L’insieme di queste operazioni prende il nome di seigiku. Si procede, poi, alla produzione dell’inoculo starter della fermentazione (denominato moto o shubo), realizzato aggiungendo alla madre del sake acqua, una piccola porzione di riso cotto, acido lattico e un inoculo puro di lieviti. L’impasto principale è ottenuto mescolando la maggior parte del riso cotto, precedentemente raffreddata, con della madre del sake, moto e acqua.
Foto E. Marmiroli
Fermentazione, pressatura, invecchiamento. Con l’aggiunta del moto al moromi si determina l’avvio della “fermentazione multipla parallela”, in cui i processi di saccarificazione e fermentazione avvengono contemporaneamente. Il mosto viene, quindi, lasciato fermentare per un periodo variabile da due settimane a un mese, dopo di che viene pressato, filtrato e pastorizzato. Il sake viene, poi, sottoposto a un periodo di invecchiamento variabile da pochi mesi ad alcuni anni. Si considerano cinque principali tipi di sake, caratterizzati ciascuno da un diverso procedimento di fabbricazione e da un differente grado di raffinazione: – junmai-shu: è un vino di riso puro, senza aggiunta di distillati, ottenuto da riso in cui è stato allontanato il 30% dei rivestimenti;
Bottiglie di sake
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prodotti fermentati Foto E. Marmiroli
Origine del sake
• Secondo una prima ipotesi il sake
avrebbe avuto origine in Cina lungo il fiume Yangtze attorno al V millennio a.C. e sarebbe stato successivamente esportato in Giappone • Secondo un’altra ipotesi sarebbe stato messo a punto in Giappone verso il III sec. d.C., con la diffusione del riso coltivato in sommersione. Le prime bevande, (kuchikami no sake o “sake masticato in bocca”) erano prodotte facendo fermentare riso, miglio, castagne, ghiande, previamente masticati, preferibilmente da giovani ragazze vergini. Da testi risalenti al XIV secolo a.C. si è accertato che in Cina preparati simili ottenuti dal miglio (xiao mi jiu) venivano offerti agli dei durante cerimonie religiose. Nello stesso Paese vi sono testimonianze sul consumo, sei secoli più tardi, di una bevanda (mi jiu) molto simile al sake nella sua forma attuale. Secoli più tardi, con la scoperta del Koji, un inoculo fungino a base di Aspergillus oryzae, venne superata l’esigenza della masticazione per saccarificare l’amido
Tazzine per il sake
– hojozo-shu: viene addizionato con una piccola porzione di distillato ed è ottenuto da riso in cui è stato allontanato il 30% dei rivestimenti; –g injo-shu: può venire corretto o meno con una piccola porzione di distillato ed è ottenuto da riso in cui è stato allontanato il 40% dei rivestimenti; –d jginjo-shu: può venire corretto o meno con una piccola porzione di distillato ed è ottenuto da riso in cui è stato allontanato il 50% dei rivestimenti; –n amazake: comprende tutti i precedenti e si riferisce ai sake non sottoposti a pastorizzazione. Il sake principalmente commercializzato oggi è una bevanda di colore chiaro, talora leggermente ambrato, con un tenore alcolico compreso tra il 14 e il 17%. Nella cultura del Giappone il sake viene comunemente consumato seguendo una precisa ritualità. È servito tiepido o freddo a circa 10 °C, da un recipiente in ceramica chiamata tokkuri in coppe piatte (choko).
Consumo di sake
Mirin. È un fermentato chiaro e dolce, contenente il 14-15% di etanolo e il 43-48% di zuccheri. È ottenuto dalla saccarificazione e fermentazione del riso ceroso, cotto a vapore in presenza dell’inoculo madre koji e con l’aggiunta di un distillato di sake (shochu). La preparazione vera e propria del mirin inizia con la pulitura del riso ceroso e la sua cottura a vapore. Il riso è poi mescolato al koji e allo shochu e lasciato fermentare per 2-3 mesi, durante i quali viene rimescolato con regolarità. I fermenti del koji inducono la gelatinizzazione dell’amido nel riso glutinoso, producendo una miscela dolce e alcolica. Questa è pressata per estrarne il liquido. I resti solidi sono usati per preparare particolari salatini, mentre il liquido è posto a fermentare per altri sei mesi, finché è completamente maturato; a questo punto può essere filtrato e imbottigliato. La produzione del mirin ebbe inizio circa 500 anni fa,
• Nella tradizione giapponese il consumo di
sake è spesso associato alla celebrazione di eventi importanti in famiglia, nel lavoro e nello sport o a rituali previsti da cerimonie religiose come la purificazione Shinto. Durante la Seconda guerra mondiale ai piloti kamikaze veniva servita questa bevanda prima della loro missione. Sorseggiare in compagnia una coppa di sake è considerato un segno di amicizia o rispetto
575
utilizzazione quando era soprattutto destinato al consumo come bevanda. Nei secoli successivi venne gradualmente sempre più utilizzato come condimento, per rinforzare i sapori di piatti delicati a base di carne e pesce, per preparare salse e marinare cibi.
Aceto di riso
• La produzione di aceto è antica quanto
Tapuy. È una bevanda alcolica diffusa soprattutto nelle Filippine con un titolo in etanolo del 14-18% e un contenuto in zucchero del 2-5%. Per la sua produzione viene tradizionalmente impiegata una varietà di riso ceroso a pericarpo rosso detta gintumani, molto apprezzata per il particolare aroma che è in grado di liberare durante il processo fermentativo. Il riso è sottoposto alla tradizionale cottura a vapore o torrefatto. Viene quindi raffreddato e steso su dei ripiani, dove viene inoculato con i microrganismi della saccarificazione e della fermentazione alcolica. È, poi, rimescolato ripetutamente prima di essere trasferito in un tino smaltato. Dopo circa ventiquattro ore si ottiene un liquido dolce che riempie circa la metà del tino. Trascorsi altri due o tre giorni si attiva il processo di fermentazione alcolica che prosegue per circa un mese, dopodiché il vino viene spillato, filtrato e posto a stagionare. L’impasto solido ricco in zuccheri residui viene spesso consumato tal quale, servito all’interno di foglie di banana arrotolate.
quella delle bevande alcoliche. L’aceto ottenuto dalla fermentazione del riso è particolarmente diffuso nelle regioni centro-settentrionali dell’Asia orientale (Cina, Corea, Giappone); nelle altre regioni è prevalentemente consumato l’aceto prodotto da cocco, canna da zucchero e ananas
Foto E. Marmiroli
Aceto. L’aceto di riso presenta proprietà e caratteristiche organolettiche simili a quelle dell’aceto balsamico ottenuto dal vino d’uva ma con un sapore leggermente meno dolce. L’aceto di riso può essere ottenuto dal vino di riso e dai panelli di pressatura dei vini di riso. La fabbricazione tradizionale dell’aceto di riso si basa su un processo di fermentazione acetica naturale provocata dallo sviluppo di batteri del genere Acetobacter su substrati alcolici, in condizioni aerobiche. Per questa produzione a livello domestico vengono utilizzati soprattutto i vini di bassa gradazione alcolica. Per la produzione di aceti di qualità vengono, oggi, seguiti processi produttivi specifici, sia per gli aceti di vino sia per quelli di panello. Industrialmente l’aceto di vino viene prodotto a partire da un fermentato alcolico opportunamente preparato per la successiva acetificazione. Questo fermentato è ottenuto utilizzando riso raffinato o grezzo oppure rotture di riso, impiegando una quantità di madre di vino (qu, koji, nuruk) leggermente superiore a quella comunemente necessaria per la produzione del vino da consumarsi tal quale. L’acetificazione avviene aggiungendo dell’aceto fresco al fermentato alcolico e mantenendo la temperatura a 30-35 °C per un periodo di 1-3 mesi. L’aceto così ottenuto viene posto a invecchiare per altri 2-3 mesi, per ottenere prodotti di qualità. L’aceto commerciale viene comunemente preparato dai panelli di pressatura, previo un loro stoccaggio per 1-2 anni. I panelli contengono proteine e carboidrati non fermentati, che vengo-
Aceto rosso di riso
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prodotti fermentati no idrolizzati da parte dei microrganismi durante il periodo di conservazione e convertiti in alcol e composti aromatici. Il panello viene spappolato in acqua e filtrato. Il liquido ottenuto viene inoculato con Acetobacter per avviare la fermentazione alcolica. In Cina sono principalmente diffuse tre tipologie di aceto: nero, rosso e bianco. L’aceto nero è prodotto a partire dal riso ceroso e talvolta anche dal miglio o dal sorgo con aggiunta durante il processo produttivo di caramello e sale. Viene tipicamente utilizzato con gli stufati di carne in alternativa all’aceto balsamico. L’aceto rosso presenta una colorazione meno intensa di quella del riso nero. Il colore rossastro è dovuto all’azione dell’inoculo angkak contenente le spore del fungo Monascus purpureus. È particolarmente adatto a condire pasta, carne e pesce. L’aceto bianco è simile a quello di vino della tradizione occidentale, ma comunemente meno acido e più aromatico di questo. Viene usualmente consumato come condimento di piatti agrodolci o per accompagnare fritti. In Giappone l’aceto di riso è tradizionalmente poco acido, delicato e morbido, incolore o leggermente paglierino. Viene prodotto anche un aceto, noto come awasezu, ottenuto aggiungendo sake, sale e zucchero all’aceto tradizionale stagionato. Entrambi questi aceti sono comunemente impiegati come condimenti di insalate e sushi.
Foto E. Marmiroli
Aceto bianco di riso
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il riso
utilizzazione Alimentazione animale Giovanni Savoini, Valentino Bontempo, Vittorio Dell’Orto
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Alimentazione animale Introduzione Il riso rappresenta un’ottima fonte di amido e zuccheri e pertanto come il mais, l’orzo, il frumento, l’avena e il sorgo, può trovare una possibilità d’impiego nell’alimentazione energetica degli animali. Tuttavia, a differenza del mais e dell’orzo che vengono quasi esclusivamente impiegati per l’alimentazione zootecnica (86% del mais prodotto in Italia), il riso viene utilizzato per l’alimentazione degli animali da reddito in misura ridottissima a causa del prezzo elevato rispetto agli altri cereali, mentre più consistente è il suo impiego nell’alimentazione degli animali da compagnia, cane e gatto in particolare. In altri Paesi del mondo, in funzione della convenienza economica, il riso è utilizzato anche per l’alimentazione degli animali da reddito grazie alle caratteristiche chimiche che ne fanno una valida alternativa ad altri cereali. Per contro, dalla lavorazione del riso si ottengono alcuni sottoprodotti che possono essere inclusi nelle razioni per gli animali da reddito o essere utilizzati come lettiera. La lolla, data la presenza di un elevato contenuto di fibra (40%) poco digeribile anche dai ruminanti e di ceneri molto ricche di silice, è priva di valore nutrizionale e pertanto, come la paglia, non viene utilizzata per l’alimentazione animale. Può essere invece impiegata come lettiera grazie anche a un maggiore potere assorbente rispetto alla paglia che presenta generalmente una struttura molto grossolana. Per contro la lolla si presenta polverosa e può quindi determinare ripercussioni negative a carico dell’apparato respiratorio degli animali specialmente appena sparpagliata.
Composizione nutrizionale di riso, mais e orzo (% tal quale) Riso
Mais
Orzo
Acqua
12,00
12,00
12,00
PG
7,60
9,10
11,30
LG
1,85
3,70
1,80
Ceneri
1,45
1,30
2,20
NDF
2,82
8,90
19,20
ADF
1,58
3,20
7,50
NFC
74,28
65,00
53,50
PG = proteina grezza LG = lipidi grezzi NDF = fibra neutro detersa ADF = fibra acido detersa NFC = carboidrati non fibrosi
Foto R. Angelini
578
alimentazione animale Riso, puntina, mezzagrana o riso spezzato e residuo della selezione ottica Benefici nutrizionali. Il riso, insieme ai sottoprodotti a basso tenore in fibra che non vengono destinati alla vendita come riso per le dimensioni variabili o perché consistono di semi rotti quali puntina, mezzagrana o riso spezzato e il residuo della selezione ottica, sono caratterizzati da un elevato valore energetico determinato dall’alto tenore in amido (65-70%) e dal basso tenore in fibra. Un vantaggio derivante dall’impiego del riso rispetto ad altri cereali nell’alimentazione dei monogastrici, e specialmente dei soggetti giovani, è rappresentato dalla pressoché totale assenza di carboidrati non amilacei (0,4% NSP) che sono presenti invece in tutti i cereali e in particolar modo nell’orzo (14,8%) e nel frumento (9,8%). Gli NSP non solo non vengono adeguatamente digeriti dai soggetti molto giovani, ma determinano anche la formazione, nei primi tratti dell’intestino, di sostanze viscose, gelificanti che rallentano i normali processi digestivi e interferiscono negativamente con l’assorbimento delle sostanze e dei principi nutritivi. L’amido del riso è altamente degradabile nel rumine in modo leggermente superiore all’orzo, anche se questa caratteristica è influenzata dal rapporto amilosio/amilopectina delle diverse varietà di riso; infatti più elevato è il rapporto, minore è la degradabilità ruminale dell’amido. Lo stesso ragionamento vale anche per il suino dove la digeribilità è negativamente correlata al rapporto amilosio/amilopectina. Più in particolare il rapporto tra i due polimeri che compongono l’amido del riso influenza la velocità di digestione dell’amido. Ciò è particolarmente vero nel cane e nel gatto per i quali il riso è considerato erroneamente la fonte di amido più digeribile. Il cane
Riso grezzo Lolla Puntina
Pula Farinaccio
Selezione ottica
Spezzato Riso commerciale Sottoprodotti della lavorazione del riso
Alimento ipoallergenico per gli animali da compagnia
• Per anni il riso è stato considerato dai
veterinari che si occupano della salute e cura degli animali d’affezione un alimento ipoallergenico e, pertanto, utilizzato nelle cosiddette diete a eliminazione per i soggetti allergici come fonte di carboidrati facilmente digeribili. In realtà non è mai stata dimostrata alcuna proprietà allergenica del riso rispetto ad altri alimenti e la proteina in esso contenuta può provocare, al pari delle altre fonti, una analoga risposta allergica in funzione del grado di esposizione e della sensibilità del soggetto
Il riso si presta a completare l’apporto energetico di pasti prevalentemente proteici
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utilizzazione
Lisina, g/kg
0,28
e, soprattutto, il gatto sono animali carnivori e come tali non posseggono, nel corredo enzimatico, un’attività amilasica particolarmente efficace come gli onnivori. Ciononostante le diete degli animali d’affezione possono contenere dal 20 al 50% di cereali: condizione perché l’amido presente possa essere facilmente digerito è che i cereali siano sottoposti a un adeguato trattamento termico, in genere superiore a quello necessario per renderlo assimilabile nell’uomo. A parità di cottura, l’amido contenuto nel riso non risulta più digeribile, ma è più velocemente assimilato rispetto a quello contenuto in altri cereali. Il tenore proteico è basso come in tutti i cereali anche se il valore biologico della frazione proteica è superiore rispetto al mais per un maggiore contenuto di lisina e un più elevato rapporto aminoacidi essenziali/non essenziali. Per tale motivo la proteina del riso, isolata dagli altri componenti durante i processi di lavorazione, trova una possibilità di impiego nell’alimentazione del suinetto (in parziale sostituzione della proteina della patata) e nella formulazione degli alimenti secchi per cani e gatti. L’olio contenuto nel riso presenta un’elevata concentrazione di acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e polinsaturi (acido linoleico) e contiene una particolare sostanza ad attività antiossidante, γ-orizanolo, che conferisce un’elevata stabilità. Il rapporto calcio/fosforo è squilibrato, nettamente elevato è il contenuto in fosforo, mentre quello in calcio è molto basso.
Metionina, g/kg
0,18
Appetibilità. Il riso è molto appetibile per tutte le specie animali.
Acido oleico, % acidi grassi
40,20
Acido linoleico, % acidi grassi
35,90
Vitamina E, mg/kg
2,00
UFL, n/kg
1,07
UFC, n/kg
1,08
EM suini, kcal/kg
3460
EM polli, kcal/kg
3340
Trattamenti. Il riso e gli altri sottoprodotti a basso tenore in fibra vengono macinati per ottenere farina al fine di aumentarne la digeribilità e consentire la miscelazione con altri ingredienti. Allo scopo di aumentare la superficie d’attacco da parte dei batteri e dei succhi dell’apparato gastroenterico, il riso può anche essere laminato o spezzato grossolanamente. Oltre che ai semplici processi meccanici sopra ricordati, il riso può essere sottoposto anche a processi termici o termico-meccanici per aumentarne il valore nutritivo. I principali processi termico-meccanici sono la fioccatura, l’estrusione e l’espansione. Un aspetto interessante che riguarda ancora l’impiego del riso nell’alimentazione degli animali d’affezione è la maggiore capacità di espansione dell’amido di riso rispetto ad altri cereali durante la fase dell’estrusione per mezzo della quale è prodotto più del 90% degli alimenti secchi per il cane e il gatto.
Composizione chimica e valore nutrizionale delle rotture di riso (% tal quale) Acqua, %
12,60
PG, %
7,70
FG, %
1,10
LG, %
1,20
Ceneri, %
0,90
NDF, %
5,20
ADF, %
1,30
NFC, %
72,90
Ca, g/kg
0,05
P, g/kg
2,10
Mg, g/kg
1,50
K, g/kg
3,10
Na, g/kg
0,04
PG = proteina grezza FG = fibra grezza LG = lipidi grezzi NDF = fibra neutro detersa ADF = fibra acido detersa NFC = carboidrati non fibrosi UFL = unità foraggera latte UFC = unità foraggera carne EM = energia metabolizzabile
Modalità e limiti di utilizzo. Non esistono limitazioni all’impiego del riso in alimentazione animale perchè non contiene fattori antinutrizionali in misura consistente. Nel caso dei ruminanti, pur ipotizzando un suo utilizzo in quanto l’elevato prezzo ne rende praticamente impossibile l’uso, si deve fare attenzione a non sostituire 580
alimentazione animale quantità eccessive di mais con riso a causa dell’elevata velocità di degradazione ruminale dell’amido che potrebbe favorire fenomeni di acidosi. Il riso è un ottimo alimento per i suini, specialmente per i suinetti ai quali è preferibile somministrarlo previo trattamento termico per aumentarne la digeribilità. La scarsa presenza di NSP lo rende più digeribile rispetto all’orzo che, al contrario, ne è particolarmente ricco. Il riso può sostituire altri cereali anche nelle diete per polli da carne, broiler, e galline ovaiole; in queste ultime, in caso di totale sostituzione del mais, il tuorlo sarebbe più chiaro e meno giallo per l’assenza nel riso di pigmenti carotenoidi che dovrebbero eventualmente essere aggiunti. Per quanto riguarda gli animali d’affezione, data la particolare velocità di assimilazione dell’amido, il riso può avere applicazioni importanti nei cani con performance elevate (cani da caccia o da lavoro) così come nei soggetti particolarmente debilitati (diete di recupero); può viceversa risultare controindicato nei soggetti diabetici (cane e gatto) per i quali si rende invece necessario un controllo della risposta glicemica postprandiale.
5,2% 7,7% 1,2% 0,9% 12,1%
72,9%
NFC
Grassi
NDF
Acqua
Ceneri
Proteina
Analisi tipo delle rotture di riso (% tal quale)
Pula e farinaccio Benefici nutrizionali. La pula è costituita dai residui delle prime lavorazioni di brillatura del riso: i cascami dei primi tre passaggi alla macchina sbiancatrice, mescolati insieme, danno la pula vergine. Secondo la consuetudine commerciale per titolo di pula si deve intendere la somma delle percentuali di proteine e grasso come risultano dall’analisi chimica. Sul mercato si possono trovare la pula vergine e la pula commerciale che differiscono per il “titolo di pula”, ossia per la somma delle percentuali di grasso e proteina, più elevato per la pula vergine (24-30%) rispetto alla pula commerciale (20-24%). Ambedue si presentano come una farina untuosa di colore beige più o meno chiara. La pula ha inoltre un contenuto in proteina grezza medio-basso (14%) e in NDF del 20%. Contiene un’elevata quantità di olio, variabile dal 18 al 25%, valore paragonabile al contenuto in olio dei semi integrali di cotone. Il farinaccio proviene dalle ultime lavorazioni di brillatura ed è caratterizzato da un tenore in fibra inferiore a quello della pula; conseguentemente il tenore in amido risulta superiore mentre il tenore lipidico è paragonabile a quello della pula. Tali differenze sono tuttavia molto schematiche, bisogna infatti tener presente che i sottoprodotti della lavorazione del riso possono essere diversi, come analisi chimica, in funzione del processo di brillatura e della possibilità di separare le varie frazioni: a seconda che provenga prevalentemente dagli strati periferici o dagli ultimi stadi di raffinatura della mandorla farinosa, il farinaccio avrà composizione più o meno prossima a quella della pula. Da qui nasce la difficoltà di identificare in modo chiaro i prodotti ottenuti
Il riso espanso viene prevalentemente utilizzato per l’alimentazione di cane e gatto (nella foto riso espanso allo stereomicroscopio)
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utilizzazione nel corso della lavorazione del risone a meno di eseguire, prima dell’utilizzo, un’analisi chimica del prodotto. Entrambi i prodotti si presentano come farine untuose, di colore beige e molto fini, la granulometria media è infatti intorno ai 300 µm, valore molto basso se comparato ai 600-700 µm di un mais macinato abbastanza finemente. Il farinaccio ha un odore caratteristico, gradevole se fresco, mentre risente dell’alterazione rancida dei grassi qualora sia stato mal conservato. Il valore biologico della proteina è paragonabile a quello del cereale di partenza, quindi relativamente basso. Essendo derivati del riso sia la pula sia il farinaccio sono caratterizzati da un’elevata concentrazione di fosforo, mentre il tenore in
Composizione chimica e valore nutrizionale della pula e del farinaccio di riso (% tal quale) Pula vergine
Pula commerciale
Farinaccio
Acqua
12,00
11,00
12,00
SS, %
88,00
89,00
88,00
PG, %
13,40
14,10
12,70
RUP
55% PG
55% PG
55% PG
FG, %
7,80
9,30
5,80
LG, %
15,50
3,10
16.80
Ceneri, %
8,20
11,50
10,1
NDF, %
17,80
24,10
14,70
ADF, %
8,90
11,30
7,30
NFC, %
33,10
32,50
33,70
Ca, g/kg
0,80
1,20
0,50
P, g/kg
16,10
17,70
13,50
Mg, g/kg
6,60
8,10
6,00
K, g/kg
13,50
11,10
9,30
Na, g/kg
0,40
0,20
0,30
Lisina, g/kg
6,10
6,50
5,50
Metionina, g/kg
3,00
3,10
0,19
Acido oleico, % acidi grassi
40,20
40,20
40,20
Acido linoleico, % acidi grassi
35,90
35,90
35,90
Vitamina E, mg/kg
35
60
25
UFL, n/kg
0,92
0,69
0,95
UFC, n/kg
0,86
0,62
0,92
EM suini, kcal/kg
2890
2102
2940
EM polli, kcal/kg
2750
2030
2800
582
alimentazione animale calcio è relativamente basso. Analogamente al riso, il grasso di entrambi i sottoprodotti è caratterizzato da un elevato contenuto di acidi grassi insaturi, prevalentemente oleico e linoleico. Nei ruminanti l’utilizzo di questo prodotto è condizionato dall’elevato contenuto in grassi insaturi che possono alterare le fermentazioni ruminali, nonché da una limitata degradabilità ruminale dell’NDF (9,6 + 0,7%) se paragonata a quella delle polpe di barbabietola (39,1 + 4,9%). Nei suini la pula può rappresentare un’alternativa ad altri sottoprodotti fibrosi come la crusca, anche se l’aumento del contenuto intestinale e della massa fecale osservabile a seguito dell’aumento della frazione fibrosa è inferiore nelle diete a base di pula rispetto a quelle che contengono crusca di frumento.
15,5%
8,2% 17,8%
12%
13,4%
33,10%
NFC Acqua
Trattamenti. La pula e il farinaccio non vengono sottoposti a particolari trattamenti e vengono utilizzati tal quali nei mangimi.
Grassi Ceneri
14,7%
Modalità e limiti di utilizzo. L’elevato tenore lipidico, la presenza di enzimi lipolitici e, in misura minore, la ridotta granulometria limitano notevolmente la conservabilità della pula e del farinaccio che tendono a irrancidire rapidamente e a compattarsi nei silos creando difficoltà al momento dello scarico. Durante il periodo estivo andrebbero evitate le lunghe esposizioni al calore o l’immagazzinamento in silos esposti al sole. Tenendo presente questi problemi, legati principalmente alla conservabilità, la pula e il farinaccio sono comunque alimenti che possono trovare possibilità d’impiego nell’alimentazione dei ruminanti, dei suini, delle galline e dei polli da carne in sostituzione di una quota di cereali, di sottoprodotti fibrosi come le polpe di barbabietola e di lipidi. Nel caso dei ruminanti bisogna fare attenzione a non usarne quantità eccessive, superiori al 20%, a causa dell’elevato contenuto lipidico che potrebbe deprimere le fermentazioni ruminali. Il loro utilizzo è inoltre vietato nell’alimentazione delle bovine che producono latte destinato a produrre Parmigiano Reggiano. Per quanto riguarda i suini, nelle zone di produzione del riso, pula e farinaccio di riso risultano materie prime di sicuro interesse economico e di buon valore nutritivo per le categorie di suini non ristrette dai Regolamenti di produzione dei salumi tipici, purché i prodotti siano utilizzati sempre freschi e ben conservati. In tal senso è utile valutare il tenore lipidico e di acido linoleico della dieta avendo cura di controllare anche il tenore in vitamina E e degli antiossidanti. Nei suini allevati per la produzione del prosciutto di Parma e S. Daniele, il farinaccio e la pula possono essere utilizzati solo nelle scrofe, mentre il loro impiego è vietato nelle diete dei suini in fase di ingrasso perché potrebbe alterare la qualità del grasso.
10,1% 16,8%
12,7% 33,7%
NFC Acqua
NDF Proteina
Grassi Ceneri
12,0%
NDF Proteina
Analisi tipo (% tal quale) di pula (sopra) e di farinaccio (sotto)
Foto R. Angelini
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il riso
utilizzazione Usi cosmetici Agnese Pellegrini
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Usi cosmetici Bellezza nella storia Da sempre le donne hanno attribuito al proprio aspetto fisico un’importanza fondamentale, considerandolo una marcia in più attraverso la quale veicolare la propria identità e parlare di sé stesse. Apparire (prima di essere un diktat imposto dalla cultura dell’immagine nella quale, purtroppo, oggi siamo immersi) ha sempre significato, essenzialmente, il proprio modo di essere e di esprimersi. Per questo, cercare di valorizzare il proprio aspetto, correggendo o eliminando le piccole imperfezioni, ha sempre rappresentato un’attività alla quale le donne, indipendentemente dalla loro condizione sociale e dall’età, si sono sempre dedicate, con notevole impiego di energie, di tempo e di mezzi. Parallelamente, anche gli uomini, seppur nel riserbo imposto loro da una distorta concezione del vigore e della mascolinità, hanno apprezzato e fatto uso dei vari preparati della cosmetica che, nel corso del tempo, sono stati compagni e alleati del fascino umano. Ovviamente, nei secoli storici, tecniche e preparati erano alquanto rudimentali e, per lo più, si basavano su quanto la Natura donava. E non c’è da stupirsi: quelle società antiche che erano abituate a servirsi di quanto spontaneamente la terra offriva hanno saputo far tesoro e mettere a profitto ogni piccola cosa. Come l’esperienza insegna, non sempre semplicità e naturalezza sono sinonimi di scarsa validità. E così, quei preparati che le sagge donne dei secoli antichi realizzavano con quanto di più genuino reperivano nella loro quotidianità oggi sono stati rivalutati come rimedi efficaci e oltremodo salutari. Anche il riso, che
Tradizione e bellezza
• Valorizzare il proprio aspetto è sempre
stato, per le donne di tutti i tempi, un’attività alla quale si dedicavano tempo ed energie. Nel passato, per farsi belle, dame e matrone utilizzavano i prodotti della terra, come il riso, che oggi vengono sempre di più rivalutati dalle aziende di bellezza. La bio-cosmetica, nel Terzo Millennio, rappresenta una sfida da vincere
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usi cosmetici nell’antichità era spesso sinonimo di bellezza, ai nostri giorni sta recuperando tutto il suo valore cosmetico. E, mettendo in pratica il noto proverbio antico secondo il quale si è belli fuori soltanto se altrettanta bellezza la possediamo dentro di noi, è facile affermare che, oltre a farci stare bene perché un’alimentazione a base di riso ci rende sani e quindi belli, il chicco bianco contribuisce anche a ridare splendore al nostro aspetto, oggi sempre più appesantito dagli ineliminabili problemi di stress e inquinamento. Così, a far belle le donne, ci pensa il riso. Tra trucco e trucchi di bellezza, è possibile utilizzare il riso per essere belle… quasi da mangiare! Oggi, la bio-cosmetica rappresenta il nuovo indirizzo, e l’ultima sfida, delle aziende che si occupano di bellezza. L’obiettivo è quello di realizzare prodotti che sfruttano le proprietà di piante e vegetali. Ovviamente, il nocciolo duro delle case cosmetiche rimane costituito dai ritrovati chimici e dalle ultime acquisizioni della ricerca scientifica e tecnologica, che però vengono considerati “elementi estranei” rispetto alla naturale conformazione del nostro corpo. Invece, la cosiddetta “cosmesi verde” – che appunto sfrutta le proprietà e i principi delle piante per realizzare creme, oli o lozioni – sta facendo registrare, negli ultimi anni, un fatturato altamente positivo, destinato ad aumentare nel prossimo futuro. Fin dall’antichità, del resto, le donne hanno sempre utilizzato le piante come principale rimedio per “farsi belle”, per conservare, curare e mantenere la bellezza del corpo. Valorizzare e risaltare il proprio aspetto estetico, coprendo inestetismi e asimmetrie, è sempre stata un’incombenza alla quale dame e matrone, ma anche semplici ragazze del popolo, hanno rivolto attenta e scrupolosa attenzione. E se oggi torna di moda parlare di cosmesi verde, è opportuno ricordare che le fondamenta di questa scienza affondano davvero nella notte dei tempi (preparazioni cosmetiche sono attestate già nel 4000 a.C.), tra i segreti dei ginecei greci e delle stanze da letto delle matrone latine. Che, tra i loro segreti di bellezza, avevano appunto il riso. Nell’antico Stato coreano dell’Ublu, per esempio, sono state scoperte “pomate” che, tra gli ingredienti, annoveravano grasso di maiale. Erano costituite da un bistro di riso tostato, un colore scuro che si otteneva con il nero-fumo del legno di faggio mescolato al riso tostato. Successivamente, la polvere ottenuta veniva impastata con il grasso del suino e le donne coreane se ne servivano come cosmetico, per ombreggiare gli occhi e proteggere la pelle del viso dai rigori del freddo. In tutto il mondo, il riso non è mai stato soltanto un alimento: è società, cultura, politica, ma anche economia e bellezza. Esso è, insomma, vita. Il riso è prima di tutto cibo, naturalmente, ma anche un protagonista principale nei riti nuziali e nelle festività religiose. Un rapido excursus: “Nel riso è sostanza e letizia”, affermano i Veda, sacri testi indiani risalenti al II-I millennio a.C., e Budda, addi-
Cosmesi
• Il termine cosmetica deriva dal greco kosmeo che vuol dire “mettere in ordine, rendere presentabile”
• La cosmesi, considerata parte della
medicina e dell’estetica, è stata definita verso la fine del Settecento dagli enciclopedisti francesi
• Gli ingredienti dei cosmetici sono
catalogati dall’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients) e sono più di 6000
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utilizzazione rittura, disse che “Chi offre il riso dà la vita”, intendendo che esso è un alimento fondamentale per la sopravvivenza. È facile capire, allora, che tutti i popoli, secondo le proprie esigenze, hanno utilizzato il cereale bianco in maniera diversa, oltre naturalmente a servirsene per uso alimentare. È risaputo che in India, quando nasce un bambino, gli si introduce in bocca un pizzico di riso in polvere, mentre l’estremo omaggio ai defunti è un mucchietto di bianchi granelli. Ma c’è di più: la sposa, secondo molte tradizioni, il giorno del matrimonio deve compiere tre giri intorno all’altare e, ogni volta, le si pone sul palmo della mano un pugnetto di riso. Poi lo si versa sul capo degli sposi, come augurio di fecondità e di gioia. In altri riti matrimoniali, durante l’ultimo giorno delle cerimonie nuziali gli sposi celebrano il sacrificio del soma (pianta asclepiadacea dell’India dal succo inebriante), gettando nel fuoco riso unto di burro. Addirittura, per le donne sterili o afflitte da malattie all’apparato riproduttivo, si offre agli dei del riso allo zafferano, al fine di avere un figlio o per guarire. E quando nasce una bambina in India, il padre, fatte uscire le donne, le pone sulla testa del riso tinto di rosso, valido antidoto al malocchio. Allo stesso modo, quando si attribuisce il nome a un bambino appena nato, lo si depone su un lenzuolo coperto di riso, che viene scosso a lungo per far impregnare il bambino dell’energia spirituale dei chicchi, al fine di una vita migliore. Continuando il nostro viaggio tra le righe della Storia, possiamo anche ritrovare esempi molto significativi di come il riso venisse impiegato per la bellezza femminile. Pioniera della cosmesi artigianale fu l’affascinante imperatrice Poppea (30/32-65 d.C., seconda moglie dell’imperatore Nerone) – già nota per i suoi bagni nel latte di asina – che inventò la ricetta della prima maschera di bellezza, realizzata con riso macinato. Cereale che, successivamente, continuò a essere utilizzato nei secoli a seguire, ma che aveva largo impiego anche nei primi secoli dell’Impero Romano. Ce lo ricorda Publio Ovidio Nasone (Sulmona 42 a.C. – Tomi 17 d.C.), poeta abruzzese più famoso per i suoi racconti d’amore che per le ricette di cosmesi. Dalla sua penna proviene uno dei primi, e forse più importanti, riferimenti al riso, già considerato come componente fondamentale dei prodotti di bellezza. Probabilmente, alle donne di oggi, impegnate nella travolgente quotidianità, la ricetta non sembrerà molto semplice da realizzare. Tuttavia, a detta degli antichi, il risultato che se ne otteneva era davvero eccellente. Tanto che, molti secoli dopo, la polvere di riso veniva ancora impiegata, soprattutto per rendere candide le parrucche dei nobili che, nel ’700, erano il simbolo della moda francese. Del resto la cipria, il più diffuso e antico belletto del mondo, un tempo non era altro che polvere di riso. Addirittura, negli anni dell’Illuminismo, il pallore del volto era considerato segno irrinunciabile di distinzione, anche tra gli uomini.
Cosmesi nella storia
• La prima evidenza archeologica
dell’uso dei cosmetici è stata individuata nell’antico Egitto attorno al 4000 a.C. Anche gli antichi Greci e i Romani facevano uso di cosmetici. In particolare, Romani ed Egiziani utilizzavano cosmetici contenenti un elemento tossico, il mercurio. Invece, nell’antico Stato coreano dell’Ublu, il riso tostato veniva mescolato a grasso di maiale, per ombreggiare gli occhi
Riso e cosmesi
• In tutti i secoli, il riso è sempre stato
oggetto di particolare interesse. Oltre al suo impiego alimentare, molte popolazioni lo utilizzavano come propiziatore, soprattutto per favorire le gravidanze, o nei riti matrimoniali. Come cosmetico, fu impiegato dall’imperatrice Poppea e addirittura il poeta Ovidio ci trasmette la ricetta per una maschera di bellezza
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usi cosmetici Da allora, la cosmesi sfrutterà sempre più intensamente, ma anche industrialmente, i principi attivi del chicco bianco e, soprattutto, del suo amido, proponendo su larga scala creme, unguenti e saponi da bagno dalle proprietà emollienti e nutritive, in grado di contribuire a mantenere l’elasticità della pelle.
Maschera di bellezza ante litteram
• “Per rendere la pelle più liscia di uno
Costituenti “belle” del riso I benefici cosmetici del riso derivano dalla costituzione stessa del chicco bianco che, nella sua essenza, contiene già una significativa presenza di proteine, fibra grezza, vitamine e sali minerali, oligoelementi e acidi grassi essenziali, enzimi e biostimoline. Le diverse composizioni, alla base dei numerosi prodotti di bellezza, non fanno altro che isolare e sviluppare tali principi, essenziali per il mantenimento della salute. Sfogliando un chicco di riso dal suo strato più esterno, appaiono in nuce tutte le proprietà. Infatti, già il pericarpo è ricco di proteine, sali minerali, vitamine, fibra, biostimoline e oligoelementi. Anche gli strati successivi – ovvero lo spermoderma e l’endosperma (o albume) – sono ricchi di sali minerali, vitamine, proteine. A sua volta, l’albume è suddivisibile in due sottostrati, denominati il primo aleurone, che contiene il germe, e il secondo tessuto, ricco di amido. Entrambi questi elementi hanno un impiego molto vasto nei vari prodotti cosmetici. Alcune di queste componenti vengono utilizzate in maniera maggiore. L’olio di crusca di riso, o più correttamente olio di pula di riso, viene aggiunto in particolare a numerosi prodotti cosmetici, perché ne accresce le proprietà schermanti. Inoltre, assicura anche
specchio. Al riso, togli via paglia e pula; una misura uguale di lenticchie sia fatta macerare in 10 uova (che il riso mondato ammonti a due libbre): quando il tutto si sarà asciugato al soffio del vento, fallo macinare con ruvida mola da un’asina lenta. Trita anche le corna che cadranno per prime a un cervo longevo (ce ne vada una sesta parte di libbra) e poi, quando si saranno mescolate a questa polvere farinosa, setaccia subito il tutto nei fitti fori di un vaglio. Aggiungi 12 bulbi di narciso sbucciati, da pestare con mano instancabile, in un mortaio ben pulito; la gomma insieme a sementi d’Etruria pesi un sestante; a questo si aggiunga 9 volte tanto di miele” (Publio Ovidio Nasone, I a.C.)
Com’è formato un chicco di riso Foto R. Angelini
Arista Glumella Cariosside Strato aleuronico Strati della glumella
Embrione Attaccatura stelo Coltivazione di riso nel delta del fiume Mekong, Vietnam
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utilizzazione un’azione emolliente e rinfrescante, garantita dalla presenza di aleurone. L’olio di crusca si ottiene per spremitura della crusca di riso fresca, al contrario del più utilizzato e pregiato olio di germe di riso, che si ricava invece dalla spremitura della gemma germinata del riso. L’impiego in cosmesi dell’olio di crusca di riso trova origine in Giappone. Oggi sappiamo che, se sottoposto a idrogenazione, fornisce la cosiddetta cera di riso, per questo spesso viene considerato un prodotto intermedio per ottenere cere e saponi ed è, quindi, impiegato come componente cerosa in stick labiali e unguenti. L’amido di riso è altrettanto importante per le industrie cosmetiche. Si ottiene dai chicchi rotti e ha una grande efficacia curativa, oltre a possedere proprietà emollienti, rinfrescanti, nutritive e rimineralizzanti. Si tratta di una sostanza in forma di polveri più o meno fini, contenuta nel riso per il 75%, che si estrae attraverso un procedimento chimico abbastanza complesso e laborioso. Tecnicamente, è un composto polimerico cristallino ottenuto dai grani, che viene impiegato soprattutto per ottenere il glicerolato d’amido, una sostanza utilizzata come ammorbidente e addolcente in preparati per le mani. L’amido era conosciuto già nell’antica Grecia, dove veniva preparato nell’isola di Chio. Ne fa menzione, tra i primi, Dioscoride – medico del primo secolo d.C., autore di un importante trattato di medicina – che lo chiama àmulon, perché si può ottenere senza l’uso della macina (alfa privativa – mule). L’amido, in particolare, è molto utile per evitare fenomeni di macerazione nelle pieghe inguinali, perché mantiene la pelle asciutta e in questo modo previene gli arrossamenti. In generale, possiede un potente potere antinfiammatorio e viene anche impiegato per trasmettere un senso di freschezza, per assorbire l’eventuale
Benefici del riso
• I benefici cosmetici del riso derivano
dalla costituzione stessa del chicco bianco che, nella sua essenza, contiene già tutti gli elementi che lo contraddistinguono. Le diverse composizioni, alla base dei numerosi prodotti di bellezza, non fanno altro che isolare e sviluppare tali principi, essenziali per il mantenimento della salute
Panoramica sui campi di riso in fase di mietitura nel Guangxi, Cina
Foto R. Angelini
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usi cosmetici eccesso di sebo (soprattutto nei casi di pelli grasse), ma anche per idratare le pelli troppo secche, attività che svolge grazie al suo contenuto di saccaridi, amidi e amilopectine. Tra le altre caratteristiche, possiede un notevole corredo vitaminico e contiene in buona concentrazione la vitamina E, da tutti riconosciuta indispensabile all’organismo per il suo alto valore antiossidante e la particolare funzione di lotta all’invecchiamento, grazie alla capacità di prevenire i danni causati dai radicali liberi. Secondo alcuni studi l’amido di riso stimola la produzione di acido ialuronico, cioè una sostanza che pelle e tessuto connettivo producono per mantenersi idratati, sodi e lisci. Oggi, l’industria cosmetica lo utilizza nella realizzazione di numerose creme, unguenti e saponi da bagno. Il gamma oryzanolo è una delle componenti del riso diventata familiare alla maggioranza dei consumatori, perché tanto magnificata dalla pubblicistica e dal marketing della salute. Indica una miscela di sostanze presenti nell’olio di crusca di riso, tra cui steroli e acido ferulico. È contenuto naturalmente nell’olio di crusca ed è in grado di bloccare le radiazioni solari UVB e UVA, svolgendo un’efficace azione antiossidante e prevenendo, in questo modo, i più dannosi effetti del fotoinvecchiamento cutaneo. È indicato specificatamente per pelli a grana fine, tendenzialmente secche. La polvere o farina di riso è sempre stata, nel corso dei secoli, impiegata per la sua azione assorbente, protettiva e detergente. Oggi, le donne la utilizzano specialmente in caso di couperose, ma è anche particolarmente utile per ritoccare il trucco, soprattutto se si ha la pelle lucida. Disponibile in erboristeria, è facile anche da stendere, infatti basta semplicemente tamponare il viso con un batuffolo precedentemente impregnato di questa polvere. Nel linguaggio scientifico, la farina di riso è una polvere libera, espressione propria di scienziati e ricercatori per specificare la caratteristica di non stratificare, come invece accade per la cipria compatta, e quindi di non creare l’effetto “polveroso”. È un’ottima base per gli ombretti e, in particolare, se viene stesa sotto gli occhi contribuisce a stabilizzare il correttore. A volte, questa polvere è utilizzata anche per fissare il rossetto. Come è facile immaginare, la farina di riso ha un colore molto chiaro e, anche per questo motivo, non viene utilizzata tanto per coprire, quanto piuttosto per levigare e compattare. Inoltre, può anche essere impiegata insieme ad altri “ingredienti”, per realizzare prodotti più specifici. Infatti, impastata con l’acqua, è un ingrediente indispensabile per medicamenti dall’effetto ammorbidente o antinfiammatorio, grazie al contenuto di sali minerali e vitamine. Per questa caratteristica, è spesso utilizzata nella preparazione di maschere nutritive per pelli secche e arrossate. Dalla storia, sappiamo che le prime donne a servirsene in cosmetica furono le orientali, che la impiegavano per rendere la propria pelle chiara come la porcellana. Gli uomini, invece, la adoperavano come cicatrizzante e dopobarba.
Principi attivi del riso
• Il riso contiene numerosi principi
attivi, utili nella realizzazione dei prodotti cosmetici. Tra questi, il gamma oryzanolo e l’amido che stimola la produzione di acido ialuronico, una sostanza che pelle e tessuto connettivo producono per mantenersi idratati, sodi e lisci
Gamma oryzanolo
• Il riso contiene una quantità elevata
di gamma oryzanolo che, a livello cosmetico, presenta numerose qualità. In particolare, questa sostanza è in grado di filtrare la parte nociva dei raggi solari che agiscono ogni giorno sulla pelle e che sono la causa principale del fotoinvecchiamento cutaneo
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utilizzazione La cera di riso è una cera vegetale che si ricava dalla lavorazione del riso. Per la presenza di acidi grassi polinsaturi e grazie al fatto che è per lo più insaponificabile, possiede anche ottime proprietà emollienti, tonificanti, rinfrescanti e protettive. Per questo, le industrie cosmetiche la utilizzano soprattutto per la realizzazione di lipstick, rossetti ed emulsioni per labbra. È particolarmente ricca di tocoferoli e tocotrienoli, per questo non si ossida e, quindi, il suo impiego conferisce stabilità ai preparati. L’olio di germe di riso, infine, si ottiene attraverso una complessa operazione di germinazione del germe contenuto nel seme. Si tratta di un olio limpido e leggero, particolarmente ricco in tocoferoli e lecitina, come del resto lo sono anche gli altri olii di semi germinati (come quelli di grano o di mais). Ha proprietà emollienti, restitutive e vitaminizzanti, per questo viene impiegato nella realizzazione di oli e creme specifiche per pelli con rughe e screpolature. Contiene acido miristico, linoleico, oleico, palmitico, arachico e stearico e possiede anche un elevato contenuto in tocoferoli e tocotrienoli. Grazie a questi principi, l’olio di germe di riso è dotato di ottime proprietà emollienti e seborestitutive, rinfrescanti, nutrienti, antisettiche e astringenti. Oggi, le industrie cosmetiche e farmaceutiche lo utilizzano per la sua eccellente dermocompatibilità e per la stabilità che il suo impiego conferisce a creme, emulsioni, pomate e unguenti. Tra le altre caratteristiche, contribuisce a mantenere l’elasticità della pelle e viene impiegato spesso nei solari, dal momento che l’acido ferulico e il gamma oryzanolo gli donano proprietà antiossidanti e protettive nei confronti dei raggi UVA. In base a tali qualità, questo olio risulta in grado di filtrare la parte nociva dei raggi solari che agiscono sulla pelle ogni giorno, e non soltanto quando ci si espone al sole per l’abbronzatura. Tra le altre sostanze contenute, è importante la presenza di proteine, amidi, amilopectine, acidi grassi essenziali, minerali, vitamine, inositolo.
Alimento ipoallergenico per gli animali da compagnia
• Per anni il riso è stato considerato dai
veterinari che si occupano della salute e cura degli animali d’affezione un alimento ipoallergenico e, pertanto, utilizzato, nelle cosiddette diete a eliminazione per i soggetti allergici, come fonte di carboidrati facilmente digeribili. In realtà, non è mai stata dimostrata alcuna proprietà antigenica del riso rispetto ad altri alimenti e la proteina in esso contenuta può provocare, al pari delle altre fonti, una analoga risposta allergica in funzione del grado di esposizione e della sensibilità del soggetto
Dalla teoria alla pratica: il maquillage di riso oggi Le proposte delle case cosmetiche sono, oggi, sempre più varie e diversificate. Basta, infatti, un rapido esame dei tanti cataloghi in circolazione per rendersi facilmente conto di come i più moderni “produttori di bellezza” inseriscano continuamente, tra le loro offerte, composti specifici che sfruttano le proprietà e le componenti del riso, ma anche di altre sostanze vegetali. Tentare un censimento del mercato attuale sarebbe, pertanto, pressoché impossibile, oltre che inutile, dal momento che, appunto, queste proposte aumentano ogni giorno. Possiamo però, a grandi linee, generalizzare i prodotti e individuarli sulla base delle peculiarità del cereale che vengono sfruttate. – Crema all’amido di riso. Sono diverse le aziende cosmetiche che propongono creme per il viso che si avvalgono dei
Cosmesi oggi
• Ai giorni nostri, pare che sia scoppiata nel mondo della bellezza una vera e propria food-mania, così che creme e cosmetici, più che da spalmare, sembrano fatti apposta per essere mangiati, assaporati e, perché no, anche annusati
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usi cosmetici
Ricetta in casa
• Con il riso, è possibile preparare
–
–
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facilmente in casa una maschera emolliente, ideale per pelli secche e arrossate. Occorre far bollire 2-3 cucchiai di farina di riso in poca acqua. Il composto ottenuto va lasciato sul fuoco, fino a quando non si trasforma in una pastella abbastanza densa. Si lascia raffreddare mezz’ora e poi si applica sul viso, tenendo in posa per circa mezz’ora. Trascorso questo tempo, basta semplicemente risciacquare con acqua tiepida
salutari effetti dell’amido del riso. Si tratta di prodotti ideali per pelli secche, creati per ammorbidire l’epidermide, che sfruttano l’effetto-seta proprio dell’amido. Questa sostanza, infatti, poiché ha una specifica azione disarrossante, risulta ideale da impiegare nella realizzazione di preparati per pelli sottili. Crema al gamma oryzanolo. Come la crema all’amido di riso, anche quella realizzata con gamma oryzanolo svolge un’efficace prevenzione dell’arrossamento cutaneo e un’adeguata protezione della pelle dai danni provocati dall’esposizione ai raggi solari. Crema alla crusca di riso. La crusca di riso difende la pelle dall’invecchiamento, sia quello che deriva dal trascorrere del tempo, sia quello causato da smog e stress. Per questo, viene impiegata in prodotti specifici per prevenire la formazione delle rughe, oppure per attenuare quelle già presenti, conferendo al contempo anche notevole idratazione e luminosità all’epidermide. Bagnodoccia all’olio di riso. La presenza dell’olio di riso assicura proprietà lenitive ai prodotti. Per questo, viene utilizzato per realizzare bagnodoccia a elevato potere addolcente e nutriente. Creme all’amido di riso profumato. L’amido di riso, proposto spesso in versione profumata, ha proprietà assorbenti e vellutanti; per questo, tamponato sulla pelle, conferisce un piacevole effetto rinfrescante ed emolliente. Inoltre, mantiene la pelle asciutta, prevenendo gli arrossamenti. Per questa sua caratteristica, spesso è indispensabile per preparare creme per le pieghe inguinali, specie quelle dei neonati. Shampoo all’amido di riso. Gli shampoo, soprattutto quelli secchi che vengono utilizzati in mancanza di acqua, sono essen591
utilizzazione zialmente a base di riso. Sono, infatti, composti da una miscela di polveri – tra le quali predomina, appunto, l’amido – destinate ad assorbire il sebo e a venire, dopo l’impiego, facilmente eliminate, mediante un’energica spazzolatura. In Thailandia, è stato addirittura realizzato uno shampoo anti-caduta che sfrutta i principi del riso rosso e che possiede anche la proprietà di scurire i capelli. È stato ottenuto in seguito a un puntuale lavoro di ricerca, coordinato da uno scienziato del luogo e i cui risultati sono stati confermati dal National Centre for Genetic Engineering and Biotechnology’s Dna Laboratory. Secondo il direttore dell’istituto, Khun Somwongse Trakoonrung, il potere “rigeneratore” dello shampoo è dato proprio dal riso aromatico Khao Hom Nil. Tale varietà, originaria appunto del Sud-Est asiatico, contiene un’elevata quantità di pigmenti antocianini, che sono i diretti responsabili del colore delle piante e che hanno addirittura la capacità di rendere scuri i capelli bianchi. Inoltre, insieme agli antocianini, il riso rosso contiene anche concentrazioni più elevate di ferro, proteine e vitamina B, una miscela che ottiene risultati notevolmente positivi per la salute della cute. – Balsamo di riso. Le proteine del riso, in particolare, vengono utilizzate nella preparazione di balsami nutrienti per capelli lunghi o trattati oppure, semplicemente, per la cura di quelli sfibrati. Riso e cosmesi, le esperienze “nostrane” Al giorno d’oggi, trovare una casa cosmetica che, oltre a vendere prodotti a base di riso, sappia anche, nello specifico, identificare e raccontare i diversi passaggi di lavorazione della spiga, è quasi impossibile. E questo perché, nell’epoca della settorializzazione e della frammentazione, solitamente quasi tutte le aziende acquistano già pronte e parzialmente lavorate le varie componenti del riso, direttamente da centri e istituti di ricerca che sono specificatamente addetti a separare dal chicco proteine, olio e amido, per rivenderli poi singolarmente. Sempre più spesso, queste componenti, già divise, arrivano da oltremare, dove del resto fioriscono anche gli studi sugli ultimi ritrovati in materia. Per questo, a intervistare i responsabili delle aziende specializzate in bellezza per capire i meccanismi di realizzazione di un prodotto finito partendo dalle sue componenti, si fa quasi sempre un buco nell’acqua. I marchi cosmetici nostrani, soprattutto quelli grandi e di grande richiamo pubblicitario, si limitano spesso semplicemente ad assemblare e miscelare i tanti estratti del chicco di riso, se non addirittura a rivendere prodotti già finiti e confezionati altrove. Al contrario, è possibile riscontrare maggiore “naturalezza” in gruppi e aziende relativamente più piccoli e artigianali, che non di rado si occupano di tutti i processi di esecuzione di un cosme-
Cosmesi e ricerca
• Realizzare un cosmetico, partendo dalla pannocchia di riso, è un’operazione che richiede conoscenze specifiche, tecnologie altamente all’avanguardia e, soprattutto, una buona dose di tempo e di pazienza. Così, se le nostre nonne cercavano da sole, come potevano, di preparare in casa piccoli trucchi di bellezza sfruttando le proprietà del chicco bianco, oggi le donne moderne preferiscono affidarsi alla maestria e all’esperienza di aziende più o meno note
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usi cosmetici tico. In Italia, una bella testimonianza in questo senso è quella offerta da una ditta cosmetica locale, che da anni ha intrapreso un percorso tecnologico integrato al territorio. In base a tale progetto, recentemente l’azienda ha immesso sul mercato una linea cosmetica contenente “estratto di riso biologico” proveniente esclusivamente da coltivazioni del Delta del Po. Questo progetto è stato intrapreso proprio nel 2004, proclamato dalla FAO come anno internazionale del riso, e il programma ha come slogan “il Riso è Vita”. Le linee guida, che hanno ispirato l’iniziativa di questa nostrana casa cosmetica, le traccia Filippo Montesion, cosmetologo: “L’alimentazione più sana e tecniche terapeutiche più efficaci hanno consentito di prolungare la vita media dell’individuo. Da quando questo progresso vitale è in corso, è stata intrapresa una straordinaria sfida in campo cosmetico, alla ricerca di integratori e di sistemi atti a rallentare i sintomi e le manifestazioni dell’invecchiamento, anche a livello estetico. L’investigazione di molecole biogenetiche, supertecnologiche e frutto delle più sofisticate sintesi chimiche, ha messo in ombra quella che, secondo noi, è la priorità assoluta, ovvero ottenere una ricerca tecnologica senz’altro avanzata, e quindi attenta a tutte le scoperte più recenti, ma anche in armonia con la Natura e con il suo habitat più integrale”. È grazie a questo approccio “sensibile” e alla collocazione territoriale oltremodo privilegiata dell’azienda, che è stato intrapreso un percorso di studio, analisi e trasformazione delle diverse componenti del riso. “Ci siamo accorti – spiega ancora il ricercatore – che intorno ai nostri laboratori avevamo quella pianta che, più di ogni altra, ci avrebbe fornito molti degli elementi di cui avevamo bisogno per costruire un progetto di bellezza alternativo”. In questo modo, dopo decennali studi sul grano, che hanno rappresentato la base di molte scoperte in campo cosmetico, l’azienda ha deciso di spostare l’attenzione concentrandosi sul riso che, grazie a una maggiore complessità del suo patrimonio genetico, “ci ha impegnati per molti mesi, durante i quali lo abbiamo sviscerato in tutte le sue componenti e, grazie ad accurate associazioni, abbiamo ottenuto formulazioni capaci di somigliare, nella struttura, al modello idrolipidico della cute e che, a motivo di questa affinità biochimica, rappresentano il meglio che si possa oggi immaginare nel trattamento della pelle”. In base a queste ricerche, tutti i derivati del riso come proteine, oli, vitamine, sali minerali e gamma oryzanolo sono stati estratti, stabilizzati e concentrati, ricavando una serie di trattamenti contro le manifestazioni del tempo. Nasce così la linea “Progetto riso-bellezza” che, come rimarca Solange Enza Canato, direttore tecnico, è stata testata presso la Scuola di Cosmetologia dell’Università di Ferrara ed è risultata indicata per la pelle secca, stanca e segnata da rughe, grazie appunto ai suoi componenti che risultano efficaci per donare alla
Produzione di cosmetici
• Oggi, quasi tutte le aziende cosmetiche non seguono, fin dall’inizio, l’intera catena di produzione di un cosmetico. Spesso, infatti, si limitano ad assemblare e miscelare i tanti estratti del chicco di riso, se non addirittura a rivendere prodotti già finiti, mentre le singole componenti vengono separate in laboratori e istituti di ricerca specializzati, non di rado stranieri
Progetto riso-bellezza
• La linea cosmetica “Progetto riso-
bellezza” è stata specificatamente testata presso la Scuola di Cosmetologia dell’Università di Ferrara ed è risultata indicata per la pelle secca, stanca e segnata da rughe, grazie, appunto, ai suoi componenti che risultano efficaci per donare alla pelle un aspetto levigato e luminoso
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utilizzazione pelle un aspetto levigato e luminoso. In particolare, tra le produzioni esclusive, spicca l’estratto biologico secco di riso, realizzato con l’utilizzo di riso integrale non perlato, proveniente da coltivazioni biologiche. Altra esperienza nostrana che si distingue nel panorama della cosmetica per la capacità di realizzare, in tutti i suoi processi, prodotti finiti, è quella che arriva da Novara, dove vengono prodotti derivati dal riso per il settore igienico/cosmetico, utilizzando l’olio di crusca di riso e l’amido nei saponi solidi tradizionali, nei detergenti liquidi e nelle creme per il viso e per le mani. “Naturalmente, per ottenere risultati validi dal punto di vista qualitativo – spiega Giuseppe Bignoli, direttore tecnico e contitolare dell’azienda piemontese – è necessario utilizzare materie prime particolarmente pure, quindi di grado cosmetico/farmaceutico”. Più nel dettaglio, Bignoli specifica che “l’olio di crusca di riso deve presentare caratteristiche fisico-chimiche paragonabili al prodotto alimentare (acidità massima dello 0,06%, insaponificabile max 0,8%, gamma oryzanolo minimo 0,8%, valore di perossidi max 0,6%), tali da poterlo impiegare con la garanzia che le sue proprietà benefiche siano presenti nel cosmetico finale. Analogamente, per ciò che riguarda l’amido, si ricorre a un prodotto la cui purezza è espressamente indicata dalla Farmacopea Ufficiale”. L’azienda realizza, nello specifico, tre tipologie di prodotti partendo dal chicco di riso. – Saponi tradizionali solidi. In questi prodotti, l’olio di crusca di riso e l’amido vengono addizionati (in percentuali fino al 2%) ad altri ingredienti, quali vitamina E e acido citrico che, oltre a migliorare le qualità del cosmetico finale, contribuiscono a evitare l’ossidazione dell’olio e la perdita di alcune sue proprie-
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usi cosmetici tà. In particolare, si adotta un tipo di lavorazione tale per cui l’olio di crusca di riso, l’amido e gli altri ingredienti vengono aggiunti al sapone di base mediante una lavorazione esclusivamente meccanica di mescolazione e omogeneizzazione, senza apporto di calore, perché l’elevata temperatura potrebbe pregiudicare le qualità del prodotto finale, andando soprattutto a danneggiare i delicati derivati del riso. – Detergenti liquidi (bagno-doccia, shampoo). In questi prodotti, i tecnici introducono l’olio di crusca di riso in fase di lavorazione/ mescolazione (sempre a freddo), unitamente alle altre materie prime. Ovviamente, le percentuali presenti non possono eccedere, per non incorrere in problemi di separazione e disomogeneità del cosmetico. – Creme viso-mani. Questa categoria di cosmetici esalta particolarmente le note proprietà dell’olio di crusca di riso (bassa untuosità, ottimo tatto, presenza di antiossidanti, elevate capacità UV assorbenti) che, associato ad altri ingredienti quali vitamina E, liposomi e bisabololo, consente di ottenere creme dalle ottime caratteristiche emollienti e vellutanti, senza provocare quelle fastidiose sensazioni di unto e appiccicoso.
Farina di riso (100 g) Eliminare i grassi con exano (400 ml) Aria secca (in ambiente chiuso per 24 h) Estratto con acqua (400 ml, 20 °C, agitare per 4 h) Supernatante (albumina)
Residuo
Estratto con sale (400 ml, 5% NaCl, 20 °C, agitare per 4 h)
Studi scientifici sulla cosmesi a base di riso Secondo un’analisi condotta nel 2001, c’è stato un notevole incremento dell’utilizzo del riso per realizzare gel, creme, unguenti e formulazioni per bambini, proprio perché questo cereale ha notevoli proprietà ipoallergeniche, alle quali si aggiunge l’assenza totale di coloranti. Lo studio evidenzia il valore delle due componenti più importanti del riso, cioè presenti in maggiore concentrazione, e che sono le proteine e l’amido con, rispettivamente, l’8% e l’80% di presenza. Dato l’alto potere nutritivo, questi elementi vengono estratti e impiegati soprattutto nell’industria cosmetica, non soltanto per creme e unguenti, e anche in ambito farmaceutico. In maniera molto analitica, lo studio prende quindi in esame tutte le metodologie di separazione del corredo proteico del chicco, che consiste di quattro componenti con differenti caratteristiche: albumina (water-soluble), globulina (salt-soluble), glutelina (alkali-soluble) e prolamina (alcohol-soluble). In particolare, la globulina (che rappresenta circa il 12%) e la glutelina (circa l’80%) sono le proteine con maggiore concentrazione, mentre l’albumina (circa 5%) e la prolamina (intorno al 3%) sono le meno presenti. Attraverso complessi procedimenti chimici, che si basano principalmente sulle proprietà termiche e fisiche delle diverse componenti, le proteine possono, partendo dalle loro caratteristiche e differenze di solubilità, essere estratte. “Semplicemente”, esse vengono fatte reagire, a seconda dei casi, con i rispettivi solventi, ovvero acqua, sale, soluzioni alcaline o alcoliche. In questo modo,
Supernatante (globulina)
Residuo
Estratto con alcoli (400 ml, 0,02 M NaOH, pH 11,0, 20 °C, agitare per 30 min) Supernatante (glutelina)
Residuo Estratto con alcol (300 ml, 70% di alcol, 20 °C, agitare per 4 h)
Supernatante (prolamina)
Residuo (amido crudo)
Diagramma del processo di estrazione delle proteine del riso
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utilizzazione i vari principi possono poi essere utilizzati e amalgamati con gli altri ingredienti che compongono i diversi cosmetici, secondo una proporzione stabilita per ogni miscuglio. Nella preparazione dei cosmetici, sono particolarmente importanti i cosiddetti policosanoli, sostanze composte da otto alcoli alifatici, i cui tre principali sono octacosanolo, triacontanolo ed esacosanolo. I chimici li definiscono, tecnicamente, alcoli primari a catena aperta, e sono di origine esclusivamente vegetale. Vengono estratti, infatti, principalmente dalla canna da zucchero, ma anche da alcuni sottoprodotti ricavati dalla lavorazione dei cereali (germi di grano, cera di riso). Secondo alcuni studi, i policosanoli del riso hanno una rilevante funzione antiossidante, per questo sono utilizzati principalmente come integratori, energetici e tonificanti. Si ricavano dalla cera di riso, attraverso un processo di estrazione mediante ultrasuoni. Altre ricerche scientifiche, invece, riguardano la composizione, l’estrazione e l’uso dell’amido di riso, la cui domanda è cresciuta in termini esponenziali, soprattutto in seguito al suo impiego in cosmesi. Per questo, sono stati di pari passo incoraggiati anche gli studi in materia e, contemporaneamente, si cercano ogni giorno metodi più efficaci per isolare l’amido dal chicco. Una nuova proposta è giunta dall’America Latina, dove un gruppo di scienziati ha recentemente pubblicato un’indagine approfondita per evidenziare le ultime tecniche di estrazione dell’amido. Si tratta di procedimenti oltremodo complessi e specialistici, che richiedono peraltro notevoli investimenti economici, ma che dimostrano chiaramente quale importanza rivesta la separazione delle singole componenti del riso, in seguito utilizzate per un mercato dal business sempre più florido. Anche sulla crusca di riso, impiegata con efficacia per il trattamento di dermatiti, fioriscono gli studi scientifici. Su questo argomento, pionieri della ricerca sono stati i coreani, autori di una dettagliata analisi che spiega in maniera minuziosa come viene realizzato un prodotto cosmetico idoneo per le pelli affette da dermatiti o da allergie, proprio partendo da crusca di riso amalgamata, in parti rigorosamente stabilite, con polvere di granturco e di frumento, così da realizzare una miscela efficace che è alla base del prodotto finito. Le ricerche, se si sono intensificate negli ultimi anni, impegnano comunque già da decenni gli scienziati che si occupano di cosmesi. Nel 1994, uno studio giapponese aveva ben delineato gli effetti positivi degli acidi grassi della crusca di riso, indispensabili per proteggere e idratare pelle e capelli. Un’altra analisi più recente, pubblicata nel 2006 da un gruppo di ricercatori americani, prende invece in esame tutti i componenti del chicco, dall’olio alle proteine, dalla crusca all’olio di germe, offrendo in questo modo un’ampia analisi delle loro proprietà cosmetiche, analizzate alla luce di sofisticati test allergologici.
Estrazione dei componenti cosmetici
• Negli ultimi anni, sono stati numerosi
gli studi realizzati per analizzare i diversi procedimenti di estrazione delle varie componenti del riso. Queste ricerche, ad altissimo contenuto tecnologico e di notevole complessità, danno l’idea di quanta importanza rivesta, oggi, la separazione delle diverse parti costitutive del chicco bianco, a fronte di un’industria cosmetica dai bilanci in continuo aumento
Ricerca nel campo della cosmesi naturale
• La bibliografia scientifica disponibile
su “riso e cosmesi” è ampia e particolareggiata, a testimonianza dell’indubbio rilievo assunto dal riso, e dalle sue componenti, nel mercato internazionale. Studi, analisi e ricerche approfondite offrono, attraverso dimostrazioni ed esperimenti, tutte le informazioni e le indicazioni sui metodi estrattivi, sul rapporto tra le diverse parti costitutive e sulla lavorazione pratica dei miscugli ottenuti
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usi cosmetici Sulle virtù idratanti ed elasticizzanti del riso, si segnala una riflessione coreana del 2006, mentre dalla Virginia arriva uno studio per spiegare le ultime metodologie impiegate nella realizzazione di soluzioni specifiche per la cura della pelle. A proporlo – nel 2007 – è Matthew Galumbeck, che analizza le composizioni realizzate con ingredienti in grado di inibire i processi di infiammazione e di invecchiamento della pelle, attuando barriere protettive grazie alle loro componenti e ai principi attivi contenuti. Per esempio, una crema per il contorno occhi rigenerante contiene, tra gli altri elementi, anche proteine idrolizzate del riso, miscelate per ricavare, appunto, un composto rivitalizzante. Infine, tra le tante ricerche scientifiche proposte, appare degna di nota anche un’analisi condotta dalla romena Imola G. Zigoneanu, che prende in esame le metodologie di estrazione della vitamina E dalla crusca di riso e le sue proprietà a uso cosmetico, soprattutto in relazione alla prevenzione di alcune malattie della pelle e al suo valore antiossidante di contrasto ai radicali liberi, da tutti riconosciuti causa dei processi di invecchiamento. L’olio di crusca di riso contiene circa lo 0,1-0,14% di vitamina E, insieme a una componente di oryzanolo, la cui quantità varia tra lo 0,9 e il 2,9%, una concentrazione elevata e per questo di grande valore. L’articolo riporta informazioni molto accurate, ma anche molto specialistiche che, se sono interessanti più per gli addetti del mestiere che per i singoli fruitori dei prodotti, forniscono però, anche al lettore meno competente, un ricco bagaglio di informazioni e la consapevolezza di come, dietro a una crema o a uno shampoo a base di riso, ci sia tutta una letteratura ad hoc che prova con evidenza inconfutabile ogni singola proprietà e caratteristica.
Indirizzi della ricerca
• Numerosi studi sono volti a fare
il punto degli aspetti tecnici, relativi alla composizione di creme, unguenti e saponi, per i quali si è in grado di indicare con precisione i vari ingredienti utilizzati e, soprattutto, il loro dosaggio
• Un’ulteriore branca della ricerca
prende in esame le varie metodologie estrattive, tematica molto importante perché spesso è determinante per il risultato finale del prodotto, la cui qualità è influenzata da molteplici e diversi fattori, quali la varietà di riso impiegata, la sua coltivazione e, perfino, la sua conservazione
• Risultato comune di tutte queste
ricerche rimane, comunque, l’accordo sull’eccezionale valore del chicco bianco che, oltre a fare bene, è anche in grado di rendere belli e giovani, nel rispetto dell’antico proverbio mens sana in corpore sano
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il riso
utilizzazione Usi energetici Giovanni Riva, Ester Foppa Pedretti
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche. Crediti: le foto alle pagine 1 (Lorelyn Medina) e 596 (Gennady Kravestky) sono dell’agenzia Dreamstime.com. Le foto alle pagine 104 e 105 sono di Renato Guttuso © Renato Guttuso by SIAE 2008.
utilizzazione Usi energetici Introduzione Le principali problematiche legate all’utilizzazione delle risorse fossili per la produzione di energia – essenzialmente le crescenti limitazioni all’approvvigionamento dei combustibili e il peggioramento del bilancio dei gas climalteranti presenti in atmosfera – sono ormai diventate oggetto di dibattito non solo da parte di élite scientifiche ed economiche ma anche della generalità dell’opinione pubblica. Infatti è ormai chiaro che, per quanto riguarda la disponibilità di risorse fossili, i giacimenti più importanti hanno degli orizzonti temporali di sfruttamento dell’ordine di pochi decenni e le riserve più ricche si concentrano in aree del pianeta particolarmente delicate per aspetti di stabilità politica e sociale, con pesanti ripercussioni sulle strategie economiche dei Paesi importatori. Nello stesso tempo, l’utilizzo di risorse fossili e l’incremento di gas serra sono fortemente correlati – stechiometricamente correlati, come già fu indicato da Arrhenius alla fine del XIX secolo – e, conseguentemente, l’andamento dell’accumulo di anidride carbonica negli strati atmosferici è caratterizzato da una curva in costante crescita, in parallelo con l’andamento storico di tali consumi. Quindi, anche in prospettiva, gli effetti dei fenomeni citati si prevedono di difficile contenimento, soprattutto con il conclamarsi del modello di sviluppo occidentale in società emergenti, in particolare nei blocchi asiatici di Cina e India. Infatti, i due Paesi – dotati di potenzialità di sviluppo enormi accompagnate da commisurate necessità energetiche – hanno contribuito, e stanno contribuendo, in modo determinante a definire il quadro dei bilanci energetici e ambientali globali.
Situazione energetica mondiale
• A livello mondiale il tema energetico
è un aspetto chiave per la crescita, l’occupazione e la sostenibilità dell’intero sistema economico • Risulta pertanto prioritario diminuire i consumi energetici, diversificare le fonti di approvvigionamento e incrementare il contributo delle fonti rinnovabili. Per queste ultime, in particolare, viene ritenuto importante il ruolo delle biomasse di origine agricola e forestale
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usi energetici Numeri dell’energia Le serie storiche di consumo energetico da fonti fossili mettono in evidenza le dinamiche in atto sullo scenario mondiale dove, soprattutto considerando l’ultimo decennio, si evidenziano nei consumi gli andamenti costanti di Unione europea e Giappone, la crescita di USA, India e Africa, l’impressionante accelerazione della Cina. In particolare, i rilievi dell’ultimo anno registrano il superamento dei consumi cinesi nei confronti degli europei: tra 2006 e 2007 in Europa i consumi energetici sono diminuiti del 2,2% mentre in Cina sono aumentati del 7,7%. Sulla base di queste informazioni è lecito ipotizzare che la tendenza dei consumi complessivi, con crescita pari al 2,4% nel 2007, sarà in positivo anche per il futuro. La previsione è rafforzata anche da un ulteriore indice, dato dal consumo pro capite di energia, che nei Paesi emergenti è ancora lontano dal valore medio mondiale e, soprattutto, da quello dei Paesi più evoluti. Per esempio, un abitante degli USA consuma ancora 7 volte di più di un abitante della Cina; ne consegue che riduzioni, anche minime, di questa differenza porteranno a importanti incrementi nella domanda globale di energia. Si evince quindi l’opportunità di esplorare vie in grado di ottenere energia da risorse differenti dalle fossili, orientandosi soprattutto allo sfruttamento di sole, vento, biomassa. Tale percorso, iniziato ormai da decenni, ha portato nel 2006 a ottenere energia prodotta da fonti rinnovabili in percentuale del 18% sul consumo energetico complessivo. La Comunità Europea, che dipende verso l’estero per oltre il 50% dei propri consumi energetici, ha puntato molto sulle energie rinnovabili e, nello specifico, sulle energie da biomassa che compongono per oltre la metà la sua produzione di energia rinnovabile.
Fonti energetiche alternative
• Tra le differenti fonti, il maggiore
contributo è dato dalle biomasse (13%), a cui seguono l’idroelettrico (3%), il geotermico (1,3%) e l’eolico (0,8%). Le energie rinnovabili integrano le fossili nella produzione di energia elettrica, energia termica e combustibili per i trasporti. In particolare, per quanto attiene la produzione di energia elettrica, le rinnovabili contribuiscono nel complesso a produrre il 18,4% dell’energia (il 15% è dato dall’idroelettrico, la restante quota da solare, eolico, biomasse), il 67% è a carico dei combustibili fossili e il 14% del nucleare
Milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mteq)
Consumi energetici di alcuni importanti blocchi geo-politici Vantaggi delle biomasse
2500
• Tra le diverse forme di energie
rinnovabili, le biomasse hanno numerosi vantaggi, tra cui la possibilità di essere stoccate e ubiquitarie. Inoltre, la provenienza di queste dal settore agro-forestale le porta spesso a definire filiere energetiche virtuose, in grado di chiudere interi cicli di produzione (utilizzazione dei residui) oppure di valorizzare aree marginali (aree declive, abbandonate), rendendo possibile il presidio del territorio
2000 1500 1000 500 0 1965 India
1972 Africa
1979 Cina
1986
1993
2000
Giappone
Europa
USA
2007
Fonte: Database BP Statistical Review of World Energy, 2008
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utilizzazione Caratteristiche energetiche della biomassa Nel contesto italiano, le principali biomasse utilizzabili a fini energetici provengono soprattutto dai settori agricolo, forestale e della trasformazione agro-industriale e alimentare; possono essere prodotti residuali dei cicli produttivi o di trasformazione (residui colturali, deiezioni zootecniche, scarti di lavorazione e trasformazione) oppure costituire il prodotto principale di coltivazioni dedicate (materiale ligno-cellulosico, semi oleaginosi, prodotti amilacei). L’ampiezza della gamma di prodotti individuati origina una grande variabilità di caratteristiche nella composizione del materiale. Da ciò la necessità di determinare le caratteristiche fisico-chimiche dei differenti bio-combustibili per verificarne la rispondenza alle differenti tipologie di utilizzazione energetica. In un campione di biomassa, generalmente, si identificano due differenti frazioni di prodotto: la frazione idrocarburica (C, H), associata a ossigeno e altri atomi (N, S, Cl) quantitativamente meno rilevanti, e la frazione data da umidità e ceneri. La caratterizzazione dei materiali prevede delle analisi strumentali chimico-fisiche, condotte con metodologia definita in normative specifiche con cui determinare i principali parametri caratterizzanti le due frazioni. Di seguito, si elencano le grandezze principali e alcuni indici calcolati, utilizzati per valutare le caratteristiche energetiche di una biomassa.
Biomassa
• La recente normativa, comunitaria e
nazionale, ha definito con precisione il termine biomassa, intendendo raggruppare sotto questa definizione “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui, provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani ”
Potere calorifico. Indica la quantità di energia liberata dalla completa combustione di una unità di massa di combustibile. Il parametro può essere espresso come potere calorifico superiore (PCS), cioè la quantità di energia termica prodotta dal materiale secco e che include anche l’energia necessaria per evaporare l’acqua prodotta durante la combustione (derivante dall’ossidazione dell’idrogeno contenuto nella biomassa). Il PCS viene misurato attraverso il calorimetro. Togliendo il calore di evaporazione dell’acqua di combustione, si ottiene il potere calorifico inferiore (PCI), che viene quindi calcolato a partire dal PCS sulla base del contenuto di idrogeno del campione. Umidità. Rappresenta il contenuto di acqua della biomassa “tal quale” e che, nel caso del processo di combustione, evapora a spese dell’energia liberata dal processo. Il PCI calcolato per il materiale secco viene quindi corretto in PCI del “tal quale” (talvolta si parla di potere calorifico netto, PCN) per tenere conto di questo importante fattore, che ne modifica il contenuto energetico seguendo la relazione: PCN = (1 – U/100) × PCI – 2,5 × U/100 dove U è l’umidità della biomassa espressa in termini percentuali. Con umidità del 50% calcolata relativamente alla biomassa umida, il PCI del “tal quale” è circa la metà del PCI del materiale secco. 600
usi energetici Analisi elementare. Definisce le quantità di elementi chimici (C, H, O, N, S) costituenti la parte organica della biomassa. Sulla base di queste analisi si definiscono i rapporti che si stabiliscono tra i componenti dei materiali e, in definitiva, le migliori tecnologie per la loro trasformazione (combustione, fermentazione, utilizzo in motori).
Riso e produzione di energia
• La paglia, la lolla e la pula sono
i sottoprodotti del riso generalmente utilizzati per produrre energia
Ceneri. Determinano le caratteristiche della frazione non idrocarburica. Fondamentale è conoscere la quantità, che influenza direttamente il contenuto energetico dei materiali, e la composizione, che determina il comportamento delle ceneri in caldaia, qualora la trasformazione in energia avvenga per combustione, e comunque gli aspetti tecnico-normativi legati alla destinazione dei sottoprodotti della trasformazione (per esempio: destino delle ceneri nel caso della combustione e del digestato nel caso della fermentazione anaerobica).
Foto E. Marmiroli
Rapporto C/N. Definisce il grado di lignificazione della biomassa. Associato con il tenore in umidità, serve per orientarsi circa l’utilizzo dei materiali: valori del rapporto superiori a 30 e umidità inferiori al 30% indirizzano la biomassa alla combustione; valori del rapporto inferiori a 30 e umidità superiori al 30% la indirizzano a processi di trasformazione biochimici. Sottoprodotti del riso e produzione di energia I sottoprodotti risicoli utilizzabili per la produzione di energia provengono sia dalla coltivazione del riso (paglia) sia dalla sua lavorazione (lolla e pula). La paglia di riso viene prodotta in rapporto di circa 1:1 rispetto alla produzione di risone e, tradizionalmente, ha un utilizzo zootecnico. L’utilizzazione energetica più diffusa della paglia prevede il suo impiego in impianti per la produzione di energia termica e/o elettrica ottenuta mediante combustione. Tra i sottoprodotti della lavorazione del riso interessanti ai fini energetici si considerano invece la lolla e la pula. La lolla, di cui si sono da tempo valorizzate le ceneri, ricche di silicio, ha trovato un vantaggioso utilizzo in ambito energetico come biomassa per processi di combustione, in virtù anche delle sue caratteristiche stabili in termini di umidità (circa il 14%, dalla fine della fase di essiccazione e per tutto il periodo di conservazione), necessarie, in primo luogo, per la conservazione del riso stesso. Molto interessante è anche la lolla ottenuta dal processo tecnologico di lavorazione del riso parboiled: più ricco in umidità (in percentuale di circa il 28%), il residuo presenta, nel contempo, una minore presenza di elementi chimici problematici per le caratteristiche conferite alle ceneri, quali Cl e S, che vengono dilavati dal vapore durante il trattamento. La pula ha una conveniente collocazione sul mercato ed è valorizzata come prodotto per l’alimentazione del bestiame; tuttavia, qualora si creassero le condizioni, potrebbe anche trovare un opportuno utilizzo in campo energetico.
Lolla
Foto E. Marmiroli
Pula
601
utilizzazione La ciclicità di produzione dei sottoprodotti ha importanza agli effetti della gestione degli stessi. In particolare, la paglia, prodotta e confezionata in un periodo concentrato dell’anno, comporta la necessità di un’attenta organizzazione dello stoccaggio (modalità utilizzate e volumetrie impegnate). Modifiche chimico-fisiche rispetto al materiale di partenza e determinate dalle condizioni in cui avviene lo stoccaggio (umidità, composizione chimica per dilavamento dovuto, per esempio, all’esposizione ad acque meteoriche, degradazione della sostanza organica per fermentazioni), potrebbero aprire nuove problematiche nella gestione dell’utilizzo energetico della biomassa durante l’anno. Tali considerazioni non sono necessarie nel caso dei sottoprodotti di lavorazione del riso, sempre costanti in quantità e qualità. La volumetria per il loro stoccaggio è generalmente assai limitata, soprattutto quando la necessità giornaliera di biomassa della centrale termica corrisponde alla quantità di residui prodotti dalla riseria. Caratterizzazione dei sottoprodotti I sottoprodotti del riso hanno caratteristiche fisico-chimiche interessanti ai fini del loro utilizzo energetico. Prendendo il PCI del “tal
Caratterizzazione fisico-chimica dei materiali ottenuti dalla coltivazione e lavorazione del riso (medie di campioni ottenuti da varietà differenti della coltura. Se non indicato diversamente le grandezze sono riferite alla sostanza secca) Grandezza misurata
Unità di misura
Lolla
Pula
Paglia
PCI
(MJ/kg di s.s.)
15,5
20,0
16,0
*Umidità
(%)
9,2
10,4
18,4
PCI del tal quale
(MJ/kg)
13,8
17,7
12,6
Ceneri
%
16,4
8,5
17,3
C
(%)
44,92
52,38
40,43
H
(%)
4,95
6,79
5,76
O
(%)
33,10
29,06
35,69
N
(%)
0,63
3,2
0,71
Cl
(%)
0,16
0,10
0,41
S
(%)
0,04
0,14
0,11
Cu
mg/kg
2,44
9,65
2,03
Pb
mg/kg
4,62
5,47
2,75
**SiO2
%
90,3
3,5
61,8
**K2O
%
4,6
27,2
12,29
**Na2O
%
0,1
0,1
0,18
Legenda: * la grandezza è stata misurata sul tal quale ** la grandezza è stata misurata sulle ceneri
602
usi energetici quale” come parametro di valutazione, si evidenzia come la pula sia sicuramente un materiale interessante, con valore molto vicino a quello dei sottoprodotti dell’agroindustria (per esempio, i panelli di girasole), mentre lolla e paglia possano essere assimilate a biomassa ligno-cellulosica normalmente utilizzata nei processi di combustione. Considerando il rapporto C/N dei tre materiali, risulta evidente la netta predisposizione alla combustione di paglia e lolla (il rapporto è rispettivamente pari a 60 e 71), mentre la pula (C/N pari a 16) potrebbe essere convenientemente indirizzata anche come matrice per trasformazioni biochimiche. Notevole è l’elevato contenuto di ceneri che caratterizza tali materiali, superiore anche di 30 volte alle ceneri contenute nella legna di pregio. Nella loro composizione assumono peso soprattutto gli ossidi di silice, presenti per oltre il 90% nella lolla e per il 60% nella paglia. La presenza dell’elemento costituisce un aspetto particolarmente delicato nella gestione delle ceneri in caldaia, soprattutto perché si trova in associazione con il potassio; ciò, in presenza di elevata temperatura, genera la formazione di composti eutettici, caratterizzati da un comportamento termico difficilmente prevedibile (vetrificazioni, sinterizzazioni) e indipendente dalla composizione percentuale degli stessi. Per contro, la presenza di silice nelle ceneri può essere vista anche come un elemento positivo nella gestione complessiva dell’impianto, chiudendo senza residui inutilizzati la filiera risicola. Infatti, in alcune installazioni italiane che utilizzano quasi esclusivamente lolla, la cenere, ricchissima in silice e ad elevato contenuto in carbonio (in questo caso residuo voluto di una combustione in-
Residuo delle ceneri di biomasse
Confronto tra il contenuto energetico e ceneri di biomasse diverse (medie da più campioni) Biomasse
PCI del tal quale (MJ/kg)
Umidità (%)
Ceneri (%)
Pioppo
8,94
47,2
1,5
Abete
14,94
16,2
0,5
Faggio
11,63
31,7
0,7
Mix di legni diversi
12,32
28,9
2,3
Cippato generico
10,01
38,0
5,5
Paglia di orzo
13,87
15,0
9,5
Paglia di frumento
13,95
15,0
11,5
Stocchi di mais
7,43
55,0
11,5
Panello di girasole
17,23
12,0
4,8
Sansa vergine
7,76
58,5
6,6
Vinacce
7,76
58,3
6,9
603
utilizzazione completa), viene completamente recuperata e ceduta all’industria siderurgica per essere utilizzata nei cicli produttivi. Relativamente al comportamento delle ceneri in caldaia, verificato analiticamente mediante la definizione delle temperature caratteristiche di fusibilità, si osserva come le ceneri di lolla e di paglia siano rispettivamente alto fondenti e basso-medio fondenti. In un trattamento termico, la situazione più a rischio è sicuramente data dalla combustione della paglia e ciò determina la necessità di predisporre soluzioni impiantistiche idonee a mantenere la pulizia, e quindi la funzionalità, delle griglie stesse e di trovare opportune miscele che elevino i punti di fusione delle ceneri della biomassa in ingresso alla caldaia. Infine, considerando i risultati relativi alle ceneri di pula, la biomassa ha un comportamento molto simile a materiali amilacei, quali la granella di mais, fondendo a temperature molto basse. In purezza, rappresenterebbe sicuramente un problema per l’utilizzo in caldaia; al contrario, in giusta quantità e in virtù dell’elevato contenuto energetico posseduto, potrebbe essere utilizzata per migliorare le prestazioni energetiche di miscele di biomasse da avviare alla combustione. Tuttavia, allo stato attuale, anche e soprattutto considerandone la vantaggiosa e sicura collocazione di mercato, la pula non è generalmente considerata materiale da utilizzare per la produzione di energia.
Attrezzature per il monitoraggio dell’etanolo prodotto
Utilizzazione energetica La trasformazione energetica dei residui dell’attività risicola si effettua con processi sia termochimici sia biochimici. Nella prima tipologia si raggruppano la combustione diretta, la gassificazione e la pirolisi; tali processi si basano su un trattamento termico dei materiali in presenza di differenti concentrazioni di ossigeno. Sviluppo tecnologico e diffusione attualmente raggiunti sono molto diversi: per quanto riguarda la combustione delle biomasse, la tecnologia per le differenti taglie impiantistiche è ormai consolidata e si hanno realizzazioni su larga scala; al contrario, i processi di gassificazione e pirolisi, pur avendo grande interesse per le possibilità anche in termini di generazione di molecole per la sintesi di bio-prodotti, sono processi con tecnologia in evoluzione, oggetto delle attività di ricerca e sviluppo in molti Paesi.
Caratteristiche di fusibilità delle ceneri Tipologia di biomassa
Temperature caratteristiche (°C) per le differenti fasi di deformazione dei campioni di ceneri
Valutazione complessiva
Contrazione
Deformazione
Emisfera
Fusione
Paglia
807
1003
1233
1290
Basso-medio fondente
Lolla
907
1419
> 1500
> 1500
Alto fondente
Pula
683
685
753
771
Basso fondente
604
usi energetici Tra i processi biochimici sono di particolare interesse la digestione anaerobica e la fermentazione alcolica, preceduta da una fase preparatoria (idrolisi) della matrice. Nel primo caso, la biomassa viene posta in condizioni di anaerobiosi e degradata da batteri con la produzione di una miscela gassosa, prevalentemente costituta da anidride carbonica e metano. Nel secondo caso, la fermentazione alcolica, effettuata da lieviti che portano alla formazione di etanolo, segue una fase di preparazione del substrato ligno-cellulosico mediante un’idrolisi enzimatica o chimica. Come nel caso precedente, le tecnologie dei due processi sono a stadi differenti: molto ben conosciuta e diffusa la digestione anaerobica; ancora in fase di impianti pilota la seconda, relativamente alla tecnologia di idrolisi della biomassa di partenza.
Caldaie per la combustione diretta
• Si differenziano caldaie a griglia fissa, a
griglia mobile, in sospensione, a tamburo rotante, a doppio stadio, a letto fluido. Il primo tipo viene istallato soprattutto in sistemi di piccola potenza e richiede caratteristiche in pezzatura e umidità della biomassa costanti. Le griglie mobili sono idonee anche alla combustione di biomasse con caratteristiche disomogenee. Le caldaie in sospensione sono adatte a materiale polverulento o leggero, come la lolla, la segatura, la paglia triturata. Le caldaie a tamburo rotante sono adatte per l’utilizzo di materiale povero, anche contenente elevati carichi di inquinante. Nelle caldaie a doppio stadio, in una prima camera si sviluppano le fasi preparatorie di gassificazione e pirolisi. Successivamente, in una seconda camera, segue la completa combustione. Le caldaie a letto fluido sono adatte alla combustione di materiali difficili, molto umidi (fanghi, torbe, RU) e il processo avviene su materiale inerte (per esempio, sabbia) reso fluido dall’aria di combustione primaria
Combustione diretta. La biomassa viene posta in condizioni ossidanti e la reazione produce energia termica, CO2 e acqua. Facendo riferimento alla molecola generica della cellulosa, (C6H10O5)n, la reazione può essere così definita: (C6H10O5)n + (6O2)n = 6nCO2 + 5nH2O + 17,6 MJ/kg L’energia termica ottenuta è utilizzata per riscaldare un vettore energetico (aria, vapore acqueo) ed essere utilizzata come tale oppure entrare in ulteriori processi per la produzione di energia elettrica, sfruttando cicli termodinamici del vapore o degli oli diatermici. Le caratteristiche della caldaia in cui avviene la combustione della biomassa e il sistema di generazione dell’energia elettrica identificano le tipologie di impianto. In generale e per quanto riguarda la trasformazione dei sottoprodotti del riso, gli impianti più diffusi, di media-grande potenza, hanno caldaia con griglia fissa o mobile e l’energia elettrica viene generata mediante turbine a vapore. Gassificazione. Consiste nell’ossidazione incompleta del combustibile a elevata temperatura (900-1000 °C) e porta alla formazione di un prodotto intermedio di natura gassosa, composto da ossido di carbonio, idrogeno, metano e altri idrocarburi volatili, in grado di fornire energia in misura di circa 4000-6000 kJ/m3. Il gas combustibile può essere utilizzato in motori a combustione interna o in caldaie per la produzione di energia elettrica o termica oppure può essere sottoposto a un trattamento ulteriore per la sintesi di biocombustibili. Il vantaggio rispetto alla combustione diretta è dato dalla possibilità di formare un prodotto energetico, il gas, di più facile trasporto e distribuzione, migliore rendimento di combustione con minore tasso di emissioni inquinanti rispetto alla biomassa di partenza. Per contro, la tecnologia, soprattutto se riferita agli impianti di piccola-media taglia quali quelli per l’utilizzo delle
Combustione in Italia
• Le centrali funzionanti con
sottoprodotti dell’attività risicola si concentrano nelle province di Pavia e Vercelli, e il materiale utilizzato è in prevalenza lolla, in purezza o miscelata ad altra biomassa. Meno diffusi sono gli impianti funzionanti con paglia di riso: il primo per il nostro Paese è previsto in provincia di Pavia e utilizzerà biomassa proveniente dalle risaie della Lomellina
605
utilizzazione biomasse, presenta alcune limitazioni, tra cui la necessità di disporre di materiali combustibili con caratteristiche chimicofisiche omogenee e difficoltà legate alla purificazione dei prodotti ottenuti. Pirolisi. Il materiale viene trattato a elevata temperatura (tra 400 e 800 °C) in completa assenza di ossigeno e genera prodotti liquidi, solidi e gassosi, in proporzione differente in funzione delle condizioni di temperatura e di tempo di permanenza nell’impianto in cui avviene la reazione (pirolisi lenta, estremamente veloce, convenzionale). Come per la gassificazione anche la tecnologia utilizzata per la pirolisi, per quanto riguarda l’utilizzo con biomasse, è ancora in fase di perfezionamento. Digestione anaerobica. La matrice organica viene utilizzata da gruppi di batteri che, in condizioni di assenza di ossigeno e a temperature costanti (le temperature sono generalmente comprese tra 30 e 60 °C), la degradano producendo una miscela di gas (biogas), tra cui prevalgono metano e anidride carbonica. I tempi di evoluzione del processo sono compresi tra 15 e 60 giorni e dipendono dalla matrice trattata: i tempi più brevi si riferiscono a reflui zootecnici; i più lunghi a prodotti vegetali. Partendo dalla generica molecola di emicellulosa, il processo può essere così indicato:
Caricamento della biomassa all’interno del digestore per la produzione di biogas
(C6H10O5)n + (H2O)n = 3nCH4 + 3nCO2 Su scala reale, in genere, si ottiene una produzione di biogas pari al 30-60% dei solidi immessi; la restante biomassa, ormai genericamente definita digestato, è il co-prodotto del processo ed è costituita da fibre non digerite e sostanze solubili in acqua. Il metano prodotto viene generalmente utilizzato per la produzione di energia elettrica e termica mediante motori endotermici. Il digestato, quando consentito dal punto di vista normativo, trova la sua piena valorizzazione in ambito agronomico, con la restituzione al terreno delle sostanze in esso disciolte. Anche in virtù di ciò, la tecnologia ha avuto molto successo in ambito rurale, dove ben si adatta alla valorizzazione dei reflui zootecnici e di provenienza agro-industriale. La quantità di biogas svolta da
Composizione nei principali macrocomponenti dei sottoprodotti del riso Biomasse
Proteine % s.s.
Grassi % s.s.
Cellulosa % s.s.
Emicellulosa % s.s.
CH4 l/kg di SV
Paglia*
7,5
3,4
37,0
22,7
342
Lolla*
5,5
2,4
31,3
24,3
270
Pula**
14,8
18,9
11,9
nd
620
Fonti: Tsai, 2004*; Villavecchia, 1975**
606
usi energetici un generico substrato dipende dalla composizione dello stesso; in particolare, proteine e grassi vengono prontamente attaccati e degradati in molecole gassose, mentre le fibre, più resistenti, vengono solo parzialmente interessate dai processi di fermentazione. In termini generali, una prima valutazione per stimare la quantità di biogas producibile da una determinata biomassa può essere condotta utilizzando la seguente relazione:
Composizione dell’impianto per la digestione anaerobica È generalmente costituito da tre parti: • Strutture e attrezzature per l’alimentazione dell’impianto (sili e piazzali di stoccaggio; tramogge di carico) • Digestori per la fermentazione della biomassa e la raccolta del biogas prodotto • Motori per la produzione di energia elettrica e la sua immissione in rete. Gli impianti si identificano in base alla potenza elettrica prodotta. Generalmente, in ambito agricolo le taglie sono comprese tra poche centinaia di kWe sino a qualche MWe
CH4 = 19,05XP + 27,73KL + 1,8 Cell + 1,7 Hem dove il metano prodotto è espresso in litri per chilo di prodotto immesso nel processo (l/kg) e le sigle indicate corrispondono rispettivamente ai contenuti di proteine grezze, lipidi, cellulose ed emicellulose valutate sulla sostanza secca. Applicando la relazione ai residui del riso, si evidenzia l’opportunità di impiego di tali materiali anche nella fermentazione anaerobica e ciò in particolare per la pula, ricca di sostanze fermentescibili, mentre lolla e paglia, dove prevalgono emicellulosa e cellulosa, svolgono, potenzialmente, quantità di metano più modeste. Ipotizzando di utilizzare paglia e lolla in una miscela da avviare alla fermentazione (i prodotti potrebbero essere utilizzati con reflui zootecnici, al fine di ottenere una miscela avente il grado di umidità adatto per il processo), per ogni ettaro di riso coltivato si potrebbero avere fino a 3000 kWh di energia elettrica prodotta. Fermentazione alcolica a partire da materiale ligno-cellulosico. La fermentazione alcolica avviene a carico di lieviti che utilizzano il substrato zuccherino producendo molecole di etanolo e anidride carbonica. Partendo dalla generica molecola di glucosio la relazione che ne regola lo svolgimento è data da: (C6H12O6)n = 2nC2H5OH + 2nCO2 Prodotto di interesse è l’etanolo, utilizzato – dopo disidratazione, raffinazione e trasformazione – come biocombustibile, in sostituzione della benzina. La biomassa da trasformare è costituita, potenzialmente, da tutti i prodotti ricchi in zucchero (barbabietola), amido (granella di mais) o composti ligno-cellulosici (paglia o lolla di riso). Poiché i lieviti utilizzano zuccheri semplici, per i substrati ricchi in zuccheri complessi (amidi, cellulose e lignine) deve essere fatta precedere una fase preparatoria di idrolisi che, a oggi, è commercialmente diffusa soltanto per la conversione degli amidi, mentre la tecnologia di idrolisi acida per la preparazione dei substrati ligno-cellulosici è ancora allo stadio di impianto pilota in campo energetico. L’interesse per questa fase di trasformazione è molto sentito, perché aprirebbe la possibilità di produrre biocombustibili anche a partire da materiali di scarto, economici e presenti in larga quantità, quali paglie, stocchi, sottoprodotti di lavorazione dell’agroindustria.
Produzione di bioetanolo
• Nel caso della paglia di riso,
particolarmente ricca di cellulosa, grazie all’idrolisi enzimatica e secondo alcuni studi effettuati, potrebbero essere ottenuti fino a 200 ml di etanolo a partire da 1 kg di paglia. Da ciò, considerando una produzione mondiale di circa 730 milioni di paglia di riso, potrebbero essere prodotti circa 150 Mm3 di etanolo (75 Mtep)
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