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la vite e il vino
paesaggio Vino e paesaggio Diego Tomasi
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Vino e paesaggio Introduzione Quali sono gli elementi che accomunano due identità apparentemente così distinte? Quali sono le reciproche interazioni che stanno promuovendo un crescente interesse per il connubio vinopaesaggio? Senza dubbio l’agire secolare del viticoltore ha costruito i paesaggi viticoli di cui oggi disponiamo, ed è altrettanto vero che la contemplazione di un vigneto inserito in un bel contesto paesaggistico genera emozioni che si trasmettono in modo inconscio fino alla qualità percepita del vino. Questo stretto legame prende corpo se pensiamo che la valutazione di merito assegnata a un vino ha inevitabilmente una quota di soggettività che nel nostro caso emerge e si quantifica nel momento in cui la mente recupera stati d’animo e sensazioni legate a quel vino. A un ricordo positivo, legato alla visione di un bel paesaggio, corrisponderà quindi un giudizio organolettico condizionato favorevolmente dalle emozioni e dalle sensazioni acquisite in un dato momento. L’immagine obiettiva della fisicità del paesaggio, arricchita dalla scenografia del momento (colori, luminosità, volumi ecc.), porta a una percezione visiva che viene elaborata, immediatamente memorizzata e facilmente recuperata al momento dell’assaggio. La vista non è più soltanto un organo di percezione, ma diventa un elemento di giudizio in stretto collegamento con il gusto e con l’olfatto, il tutto trae però origine dal soggetto visivo, in questo caso il vigneto e il suo contorno.
Anime del vino
• Un vino anonimo senza associazioni
ha sempre maggior difficoltà a essere totalmente compreso rispetto a un vino, pur di pari qualità, del quale si conoscono l’origine e gli elementi che costruiscono il suo insieme
• Claude Lévi-Strauss (Bruxelles 1908) amava dire: “a buon pensare, buon mangiare”, e questo chiarisce e fa emergere la quota di preferenza che viene assegnata a un vino quando la sua origine è riconducibile a un bel paesaggio
Vigneti a Montepulciano (SI)
Foto R. Angelini
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vino e paesaggio Premesso quanto sopra, e sperando che il ricordo e l’esperienza del consumatore confermino quanto detto, cominciamo a comprendere la solida relazione tra vino e paesaggio e, anche se spesso questa è inconsapevole, diventa comunque di forte potere suggestivo e di sicuro vantaggio per il mondo vitivinicolo. Se la potenzialità espressiva di un bel paesaggio è elevata e in grado di guidare positivamente il degustatore, allora ciò si tramuta anche in un valore aggiunto conferito al vino e il suo surplus sarà pari alle emozioni che riesce a trasmettere. A questo punto la domanda diventa: come si predispone all’assaggio il consumatore quando la sua mente rievoca il paesaggio da cui trae origine il vino che ha nel bicchiere? Nella gerarchia dei fattori che a livello inconscio apportano una valutazione soggettiva alla qualità dei vini (marchio, fama, territorio, eleganza delle confezioni, messaggi promozionali ecc.), qual è la posizione occupata dal paesaggio? Sulla base di quanto detto, ribadiamo che dobbiamo essere consci che la bellezza e l’unicità del paesaggio è all’origine di una grossa quota di componente soggettiva che inevitabilmente è presente nella valutazione organolettica del vino. Quando un vino è arricchito dall’accoglienza e dal fascino del suo luogo d’origine, il consumatore si appresterà a esprimere un giudizio ponendosi da un lato su un livello di attesa più alto, ma dall’altro con una predisposizione inconscia a esaltare gli elementi organolettici positivi. La giacitura, la morfologia (per esempio pendenza, altitudine ecc.), il clima, i caratteri dinamici del suolo sono i principali elementi naturali che direttamente concorrono all’espressione quali-
Paesaggio come risorsa
• In un momento in cui tutto è molto
più rapido nel suo divenire, tutto è molto più incisivo e spesso irreversibile, diventa importante tutelare e salvaguardare una risorsa non ricreabile e destinata, se non attentamente protetta, a perdere originalità e prestigio
Entrambe le immagini ritraggono paesaggi collinari in Sardegna (area del Cannonau di Jerzu, Nuoro)
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paesaggio tativa di un vino. La componente scenica ed emotiva del paesaggio ha invece un ruolo indiretto, ma comunque di grande effetto sul giudizio organolettico. La conoscenza e la valorizzazione di questa duplice componente dell’habitat produttivo diventano allora prioritarie per una qualità complessiva dei nostri vini e saranno del tutto giustificati gli sforzi volti a una attenta salvaguardia delle nostre aree produttive. Effetti diretti e indiretti del territorio, affinché non solo il risultato annuale della fisiologia viticola sia responsabile della qualità di un vino, ma a essa si aggiunga anche una quota emotiva e non razionale dovuta al paesaggio. Il recupero della storicità e dei valori culturali dei nostri paesaggi, e una particolare attenzione a non semplificare, omologare e impoverire la loro scenicità, sono obiettivi da perseguire con metodo e con sicuri vantaggi futuri. Proprio in un momento in cui i nostri vini iniziano a confrontarsi con produzioni di alta qualità di origine extraeuropea, diventa sempre più urgente trasferire al consumatore l’insieme dei fattori che compongono le nostre produzioni enologiche: non solo tecnica viticola e di cantina, ma anche storia, tradizione e cultura che si esprimono attraverso la bellezza dei nostri paesaggi viticoli. Questo valore e questa forza comunicativa saranno elementi aggiuntivi per premiare e difendere i nostri vini in un confronto sempre più aggressivo e non più rinviabile. Il vino soddisfa sempre meno un bisogno alimentare, ma sta diventando un elemento culturale da cui deve trasparire la nostra identità e autenticità. Inoltre, siamo sicuri che di fronte a un bel paesaggio il consumatore sa riconoscere anche lo sforzo che il viticoltore pone nella ricerca complessiva di equilibrio tra attività imprenditoriale e tutela del patrimonio naturale. La qualità e l’ambiente, l’unicità e il paesaggio, saranno allora le leve su cui agire per differenziare e caratterizzare ancora di più i nostri prodotti; è necessario proporre non solo il vino, ma anche il territorio da cui esso nasce, consapevoli dell’alto valore degli elementi naturali di cui disponiamo e che fortunatamente non possono essere riprodotti altrove. Se vi sarà una corretta tutela e valorizzazione dei nostri patrimoni viticoli, si potrà disporre di un’arma di sicura efficacia nei confronti di altre viticolture non dotate di questa potenzialità. Altre considerazioni legate al valore economico del paesaggio ci porterebbero lontano e su valutazioni di non facile comprensione. Per esempio, si inizia a discutere di quanto costi mantenere il paesaggio, di quale sia il valore economico effettivamente prodotto dal paesaggio, se il valore artigianale di un vino (prodotto in una piccola realtà familiare) sia anche direttamente legato al paesaggio. Questi e altri quesiti fanno parte di un crescente interesse al quale si stanno avvicinando diverse discipline, a testimoniare l’importanza e l’attualità dell’argomento.
Percezione del paesaggio
• Un territorio può essere rappresentato
attraverso rilievi fotografici, topografici e idrogeologici, si può valutare la fauna, la flora, la morfologia, i complessi architettonici, ma ogni singola tecnica, o tutte assieme, non riusciranno mai a rilevare la percezione che un certo ambiente produce nella complessa psiche umana
Paesaggio Toscano
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vino e paesaggio L’uomo e il paesaggio Il paesaggio è un’entità molto complessa che si compone non solo di elementi concreti, ma anche di cultura, storia, tradizione e uomini, tutti elementi che si fondono in un’azione e in un risultato finale molto composito. Il paesaggio non è allora solo panorama o unicamente un insieme di forme concrete, ma piuttosto una grande e complessa unità, frutto dell’interazione tra l’agire dell’uomo e la natura. Il paesaggio ci racconta il vivere, il sentire e la storia della sua gente, mentre le forme e le linee sono opera dell’uomo che ha agito e reso produttivo il suo ambiente. Così le tecniche colturali, gli interventi di sistemazione dei campi, i rapporti e i contratti tra proprietà e forza lavoro con le relative unità colturali, nonchè l’obbligatorietà di alcune colture agrarie, sono gli elementi che nel corso dei secoli hanno modificato i paesaggi agrari regionali fino a conferire loro i caratteri attuali. Anche gli archeologi del paesaggio affermano che “il territorio è un palinsesto sul quale tutte le attività umane hanno lasciato qualche traccia”. Certamente non dobbiamo scordare che nel corso delle diverse epoche il paesaggio ha spesso cambiato fisionomia e non sempre ha presentato caratteri attraenti e scenici, basti pensare alla tristezza delle nostre campagne nei periodi di maggior disagio conseguenti a carestie, catastrofi naturali o incursioni di eserciti. L’ambiente rurale è stato infatti spesso caratterizzato da una stentata autosufficienza dai contorni poco seducenti. L’opera dell’uomo però è sempre il primo elemento responsabile del paesaggio che diventa specchio del suo agire e, come ebbe a dire il Leopardi: “una grandissima parte di quello che noi chiamiamo naturale, non è; anzi è piuttosto artificiale: come a dire, i campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indi-
Uomo e paesaggio
• La definizione di paesaggio data da
E. Sereni, “quella forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (da Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, 1961), va allora intesa in un senso più ampio e deve comprendere non solo gli elementi naturali, ma anche l’opera dell’uomo ricca di sapere e di cultura
Vigneti a Castello Banfi (SI)
Foto R. Angelini
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paesaggio rizzati a certo corso, e cose simili, non hanno quello stato né quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura.” Anche Michelangelo a questo proposito ricorda che: “l’artista, con la sua arte, deve dare quella grazia e quella perfezione che sono fuori dall’ordine della natura, la quale fa ordinariamente delle cose che non sono belle”, e in modo ancora più esplicito si riconosce quindi il ruolo dell’uomo nel costruire i suoi luoghi, in questo caso significativamente positivo. Quanto detto ci guida allora verso una miglior comprensione dell’unicità dei paesaggi e della loro non trasferibilità, legata oltre che a una morfologia anche a una storia e a un passato culturale ricco di tradizioni. Paesaggi quindi che fondono insieme elementi naturali e umani, variamente in rapporto tra di loro, ma sempre in una mutua reciprocità. La piena e moderna valorizzazione delle nostre produzioni enologiche deve passare d’ora in poi anche attraverso la proposizione dei nostri paesaggi ai quali il vigneto, con la sua storia, la sua forma e geometria, conferisce una scenicità difficilmente sostituibile e quasi mai imitabile.
Visibile e invisibile
• M. Merleau-Ponty ebbe a dire che
“Il visibile è tutto intessuto di non visibile che lo sostiene e lo alimenta” (da Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano 1969), con chiaro riferimento quindi non solo alle forme percepibili, ma anche ai valori culturali che arricchiscono il paesaggio
Paesaggio viticolo attuale I fattori che hanno condizionano l’aspetto più immediato del paesaggio viticolo attuale sono:
Il paesaggio viticolo Il clima, l’orografia e il suolo impongono le tecniche colturali che di volta in volta sono calibrate e programmate per specifiche realtà ambientali. L’uomo, di conseguenza, applicando metodi e mezzi colturali, ha creato il paesaggio rendendolo produttivo e nel contempo più bello ed esteticamente attraente. L’uomo, in questo caso coltivatore della vite, con il suo impegno e dedizione, è quindi l’attore principale del paesaggio, al quale ha dato forma e armonia come risultato dell’interazione tra gli elementi naturali e il suo agire.
• La morfologia del suolo • La tradizione viticola • I materiali a disposizione
Paesaggio vitato attorno alla rocca di Soave (VR)
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vino e paesaggio
Diversi esempi di sistemazione (da una tavola del Dizionario di Agricoltura del Gera)
Morfologia del suolo Nel corso dei secoli l’uomo ha dovuto adoperarsi per utilizzare ai suoi fini il territorio di cui disponeva. Vi sono quindi ambienti di pianura dove la coltura della vite non ha incontrato ostacoli e si è sviluppata su ampie superfici senza la necessità di intervenire in modo pesante sulla morfologia dei luoghi. Anche in questi casi però la sistemazione dei campi prevedeva comunque l’adozione di un disegno necessario a garantire lo smaltimento dell’acqua piovana (sistemazioni superficiali assieme a scoline e fossi principali) e il transito dei carri (capezzagne). Si sono così studiati e applicati alcuni interventi necessari agli scopi appena ricordati e che si sono poi grandemente diffusi; tra questi le sistemazioni a proda, alla bolognese, alla ferrarese, alla padovana, furono le più usate e tutte accumunate da baulature più o meno accentuate della superficie degli appezzamenti. Vi sono però anche le realtà produttive collinari, nelle quali il viticoltore ha dovuto modificare maggiormente le forme dell’ambiente trovato per renderlo confacente ai suoi scopi. Infiniti sono gli esempi di come l’attività viticola abbia conferito ai rilievi nuove linee e forme, rendendo così possibile l’attività viticola. Sistemi a girapoggio, a cavalcapoggio, a rittochino, con gradoni, terrazze o ciglioni, con ripiani raccordati o con fosse livellari, sono tutti esempi di un impegno secolare volto a “domare” l’ambiente, conferendogli nel contempo un nuovo aspetto più ordinato, armonico e piacevole. Solo operando in questo modo si sono portate a coltura ampie superfici altrimenti destinate a rimanere marginali. Dobbiamo quindi riconoscere alla vite il merito di aver permesso non solo il sostentamento di molte generazioni, ma anche di avere contribuito a caratterizzare il paesaggio nazionale con maggio-
Vigneti sul mare all’Isola d’Elba
Vigneti sul mare alle Cinque Terre
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paesaggio re incidenza nei luoghi in cui l’attività agricola era più difficile. A questo proposito si vogliono ricordare le viticolture estreme delle Cinque Terre, della Val d’Aosta, della Valtellina o delle Isole Minori, nelle quali l’attività viticola è stata resa possibile solo perché l’opera dell’uomo si è imposta sulla morfologia dei siti. La vite quindi come tramite, ma anche come elemento principale nel modellare e abbellire i territori nazionali. Tradizione La viticoltura italiana prende origine da due diverse impostazioni viticole: quella greca e quella etrusca. La prima si caratterizza per una tecnica di allevamento nella quale la vite è coltivata bassa, adatta ad ambienti meridionali siccitosi, nei quali il principale antagonista è la carenza d’acqua. È il modello viticolo del sud Italia con la vite allevata ad alberello molto fitto con o senza sostegno. Le produzioni sono contenute e di alta qualità per l’ottenimento di vini dolci e liquorosi. Il modello etrusco si caratterizza invece per la presenza di un sostegno vivo (allora il pioppo), per le maggiori dimensioni delle viti e per la loro maggiore altezza. È la tecnica prevalente del centro-nord Italia, con la Campania che funge da linea di separazione tra le due tipologie, rimaste incontaminate fino ai nostri giorni senza integrarsi o ibridarsi. A una diversità così netta nell’allevamento della pianta, corrispondono di conseguenza due paesaggi viticoli dai connotati e dagli effetti visivi ben riconoscibili, entrambi espressione di una identità colturale dalle lontane origini. La vite appoggiata al sostegno vivo con il passare del tempo si fa più ordinata e geometrica, con file di piante a cui sono maritate le viti collegate tra di loro a formare dei festoni. La presenza di filari di viti aggrappate a un sostegno vivo (acero, gelso, olmo, frassino, salice) è l’elemento che ha caratterizzato
Vigneti di verdicchio a Jesi
Foto A. Scienza
Fino al primo dopoguerra, il paesaggio agrario del nord Italia, si caratterizzava per la presenza di linee regolari dovute alla coltura della vite maritata al sostegno vivo (da Kriegskarte Von Zach 1798-1805, Grafiche V. Bernardi, Pievi di Soligo,TV) Alberata romagnola
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vino e paesaggio grandemente il nostro paesaggio viticolo e agrario in generale e che per secoli ha segnato i contorni degli appezzamenti e dominato la scena rurale. Sono le piantate presenti nelle campagne fin dopo la prima guerra mondiale. Se al sud e nelle isole il vigneto veniva a trovare una sua precisa collocazione accanto al seminativo nudo (prendendo già i connotati di coltura specializzata), nell’Italia centro-settentrionale il paesaggio era dominato dai seminativi alberati che si componevano di ordinate file di tutori vivi a delimitare le proprietà e le diverse colture all’interno dei confini. È il paesaggio tipico e quasi unico che si estende dal Piemonte alla Lombardia, dal Veneto all’Emilia, fino alle Marche, all’Umbria e alla Toscana. I tutori prevalenti sono diventati con il tempo l’acero, il gelso, l’olmo e la vite matura i suoi frutti accanto al mais e al frumento, colture indispensabili per il sostentamento della gente. La necessaria specializzazione colturale a cui la viticoltura si avviava lentamente intorno agli anni ’30 del secolo scorso, le mutate condizioni dell’economia domestica e dei rapporti con la proprietà, l’introduzione dei mezzi meccanici e lo sviluppo industriale degli anni ’50-’60 hanno indotto una graduale sostituzione del paesaggio della piantata con un paesaggio nel quale il vigneto ha una sua fisionomia più precisa e dove il tutore vivo viene sostituita con il palo secco. Questa trasformazione è stata più rapida per l’ambiente collinare (per esempio colline Piemontesi), dove il vigneto specializzato occupa spazi sempre più ampi dando connotati sempre più precisi a uno sguardo attento. L’evoluzione viticola degli ultimi decenni ha interessato spesso il modo di allevare la vite e quindi le sue forme, ma resta comunque fisso il maggiore sviluppo vegetativo della tradizione etrusca. Anche i nuovi sistemi di preparazione del suolo, che privilegiano la trattorabilità (vedi rittochino), conferiscono al paesaggio un nuovo aspetto formato da linee più regolari e simmetriche.
Viticoltura nel sud Italia
• Nell’Italia centro-meridionale, dopo
l’Unità d’Italia, la nuova proprietà borghese sostituisce lentamente la grande proprietà feudale e nobiliare, ma senza nessuna rivoluzione agronomica come avvenuto nel centro-nord dalla seconda metà del ’700
• Sul finire dell’800, se le regioni del
nord avevano visto un certo interesse e fermento per l’attività agricola con un consistente impegno nelle sistemazioni fondiarie e nel governo dei vigneti, il paesaggio viticolo meridionale conservava ancora i caratteri storici tipici. Vi è sicuramente una estensione della coltura a vite che, contrariamente alla realtà del nord occupa anche vaste superfici di pianura, ma la fisionomia rimane quella del vigneto isolato e della consociazione con l’ulivo, dei muretti a secco a delimitare le proprietà dei nuclei aziendali. Un paesaggio che spesso assume i caratteri di un giardino, soprattutto in certi periodi dell’anno
La disposizione dei filari secondo le linee di massima pendenza (rittochino), permette una più agevole gestione delle operazioni colturali, ma imprime un nuovo aspetto al paesaggio
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paesaggio È una evoluzione che porta nuove fisionomie, frutto di un naturale sviluppo dell’attività agricola e del suo operare. La vite nell’ambiente del sud Italia conserva un permeare di storica tradizione che si estrinseca in un antico sapere e in un perfetto inserirsi nei caratteri culturali e naturali. In questi ultimi anni anche il centro-sud ha conosciuto un giusto e atteso sviluppo viticolo, ma ha conservato la sapienza che deriva da una terra avara solcata da generazioni di viticoltori. Due origini diverse per ambienti diversi, con una storia evolutiva caratterizzata da realtà sociali distinte per un paesaggio attuale dalle fisionomie identificabili e sempre attraenti. Si deve però ancora ricordare che in epoca romana venne introdotto dall’Egitto un nuovo modo di allevare la vite che prevedeva la realizzazione di un tetto orizzontale più o meno inclinato: è la pergola che si diffonderà nei secoli a seguire nel Veneto (pergola veronese), nel Trentino (pergola trentina), in Val d’Aosta e in Emilia Romagna (pergola romagnola). Nelle sue varie espressioni, la pergola contribuisce a caratterizzare la viticoltura di molte aree e le sue forme ben modellano le gobbe collinari o i piani. Il tendone ha una stretta affinità e analogia con la pergola e anch’esso imprime un tipico aspetto al paesaggio che i francesi definiscono “paesaggio di mare” per l’omogeneità orizzontale del fogliame e per la continuità dello sguardo. Materiali Il paesaggio si caratterizza anche per le forme e i colori dei materiali impiegati nell’attività viticola e che solitamente sono facilmen-
I materiali impiegati nella struttura del vigneto e nelle sistemazioni caratterizzano e conferiscono individualità al paesaggio (sostegni in pietra in Val d’Aosta, pali in legno pronti per l’uso) Muretti a secco a Soave (VR)
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vino e paesaggio te disponibili e reperibili in loco. Lo scenario può quindi essere significativamente tipico e locale sulla base di strutture e architetture risultanti dall’uso di materiali semplici e spesso molto poveri. La delimitazione delle proprietà, i sostegni per le viti, i materiali impiegati per costruire le abitazioni rurali, per il consolidamento delle terrazze, dei ciglioni e delle vie di comunicazione, sono tutti esempi di una impronta che il paesaggio assume e che lo legherà alla materia di cui è più ricco.
Evoluzione del paesaggio
• Il paesaggio nel tempo deve seguire
l’evoluzione e il cammino di chi abita il territorio ed è altrettanto chiaro che debba essere a uso e necessità di chi lo occupa, ma è anche certo che esso è materia esauribile e difficilmente recuperabile. Il primo punto sta allora nella conoscenza dei caratteri tipici e nella consapevolezza della valenza culturale che l’agire deve acquisire: a parità di risultato, una stessa finalità può essere perseguita e raggiunta con modalità diverse
Fragilità del paesaggio È fuori dubbio che una moderna pratica viticola debba rifarsi a modelli di gestione compatibili con una viticoltura di qualità ed economicamente vantaggiosa, ma deve anche rispettare le esigenze di conservazione della fisionomia del paesaggio. Si devono quindi mettere in atto sistemi che garantiscano l’efficienza dell’impianto e la compatibilità economica della sua realizzazione e conduzione, ma deve essere nel contempo salvaguardata la conservazione del patrimonio suolo e del contesto paesaggistico. Una eccessiva alterazione della morfologia originaria delle superfici si accompagna a frequenti dissesti ambientali (erosione, smottamenti, perdita di biodiversità, riduzione della fertilità agronomica ecc.), riconducibili sempre alla degradazione del suolo. Il substrato litologico diventa allora il primo elemento fisico del paesaggio e su di esso poggia la struttura paesistica soprastante. Consci che il territorio, di cui il paesaggio ne è una componente, debba evolvere con l’uomo e con le sue attività, riteniamo però che debba essere sempre presente l’irreversibilità di alcune nostre azioni, la cui incisività può ferire e mortificare in modo permanente la bellezza del paesaggio. Se questi si compone di cultura, storia, natura e di attività umana, diventa chiara l’attenzione che deve essere prestata a non compromettere un insieme di tessere così instabili e fragili, che si compenetrano a vicenda per dare vita a tante realtà uniche. A questo proposito si vuole anche ricordare che l’impegno di tutela e salvaguardia delle nostre unità paesistiche, non deve essere prestata solo a poche realtà eccezionali da imbalsamare e vincolare da ogni punto di vista, ma si deve trovare il giusto modo di tutelare tutti i paesaggi dei nostri territori, garantendone una evoluzione guidata e coerente con un moderno sentire e agire. Questo deve essere inteso anche nell’ampio senso di relazione tra paesaggio e qualità della vita quotidiana, che deve potersi avvalere di punti di riferimento e valori storici e culturali non discutibili. In un concreto operare, e per l’argomento qui trattato, si potrà allora commentare che il vigneto specializzato si deve inserire in questo insieme di elementi naturali e umani integrandosi in modo equilibrato con i vari aspetti del paesaggio e con le moderne necessità dell’attività viticola, senza diventare un ele-
La conservazione e il rispetto di quanto già presente abbellisce il vigneto, preservandolo da una piatta monotonia. Vigneto in fase di realizzazione nel quale alcune vecchie palme spontanee sono state mantenute nonostante possano essere di ostacolo per le operazioni colturali
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paesaggio mento dominante che si impone e crea dissonanze. Una prima valutazione va quindi portata sulle dimensioni degli impianti che devono rispettare la tradizione storica locale. Soprattutto nel settentrione del nostro Paese, dove il nucleo abitativo si rifaceva a una economia di sussistenza con superfici di ridotte dimensioni predisposte per l’autosufficienza famigliare, l’impianto di vigneti di dimensioni esagerate non sposa una continuità storicoculturale necessaria a garantire una identità paesaggistica. Le ampie superfici sono inoltre sinonimo di eccessiva omogeneità e monotonia dello sguardo, con una banalizzazione dei confini e delusione delle aspettative dello spettatore. Si ritiene che una viticoltura evoluta quale quella italiana, possa permettersi di prestare attenzione anche a questi aspetti indispensabili per creare movimento e scenografia (si pensi ai corridoi arborei e arbustivi, alle piante secolari ecc.). Il consumatore saprà apprezzare e premiare questi sforzi con un sentimento di fiducia e di fedeltà che manifesterà con una maggiore presenza e propensione al consumo. Un’altra conseguenza prodotta dagli impianti non rispettosi dei rapporti con il paesaggio, è la riduzione della biodiversità vegetale così importante per gli equilibri complessivi del territorio. Tanto più il paesaggio sarà privato dei suoi elementi tipici (specie arboree, arbustive e di conseguenza animali) e tanto più l’appiattimento e “l’artificialità” prevarrà su una visuale più attraente, ritmica e originale. Una composizione arborea e animale più complessa e diversificata, la salvaguardia delle linee e delle forme costruite nel passato accresceranno il potere di attrazione del paesaggio con riflessi positivi sulla valutazione dell’intero territorio e degli stati emozionali che esso trasmette. Ricchezza in contrapposizione a povertà di immagini, è un nuovo percorso che deve essere affrontato attraverso un programma comune per un progetto collettivo di salvaguardia del paesaggio. Una sensibilità che poggi il suo credere sulla cultura e sulla tradizione, combinando nuove esigenze produttive con il rispetto della naturalità dei luoghi, potrà sperare in un risultato ricco di un valore in più da spendere nei rapporti con i fruitori del territorio. L’attività viticola dovrà essere portata a prestare attenzione anche ai piccoli particolari che a vario titolo disturbano e nuociono al patrimonio paesisitico. Già si è fatto cenno ai materiali che dovrebbero garantire un armonico inserimento del vigneto nel contesto territoriale, si fa poi riferimento anche alla comune pratica di gestione del vigneto che a volte è causa (fortunatamente solo temporanea) di scarsa sensibilità per la bellezza del paesaggio. La vocazionalità dei luoghi è un altro elemento che va rispettato, l’attività viticola non deve usurpare spazi da sempre dedicati ad altre specie e dove l’interazione tra la vite e l’ambiente pedo-climatico non è completamente espressa.
Il diserbo è una pratica colturale utile ma se applicata in modo eccessivo, può creare un impatto visivo poco attraente
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vino e paesaggio Sulla base di queste considerazioni possiamo allora affermare che il paesaggio deve evolvere e non può essere ingessato e avulso dalle necessità colturali, ma deve sempre mantenere un legame con la storia, con il contesto culturale in cui si inserisce per una piena soddisfazione delle aspettative di un vivere moderno, colto e sempre più educato al bello. Accanto alla salvaguardia dei paesaggi esistenti, non va poi proibita la realizzazione di nuovi paesaggi viticoli di qualità, che siano comunque espressione di una cultura viticola ancorata al valore del paesaggio. Il territorio si comporrà allora di una ricchezza tecnica (i viticoltori, gli esperti enologici, gli agronomi), ecologica (i vitigni, la biodiversità vegetale, l’originalità dei siti), ambientale (il suolo, il clima, l’orografia, la qualità dell’aria e dell’acqua) e paesaggistica (l’unicità e la cura per i luoghi, la conservazione dei segni lasciati dal passaggio dell’uomo), che ne contraddistinguerà i caratteri e ne evidenzierà l’assoluta unicità.
Tradizione e innovazione
• Il paesaggio vitico lo si è andato
costruendo anche sulla base di un bagaglio tecnico che ha fatto da guida alla sua evoluzione e che fortunatamente non ha prestato attenzione solo ai traguardi economici. L’innovazione è permessa, ma il nuovo non deve dominare, bensì cercare un giusto compromesso, che esiste affinché i vini basino la propria originalità sulla stretta e collaudata relazione clima-suolo-varietà
Paesaggi nascosti È stato più volte ripetuto che il paesaggio viticolo si compone di scenografie, di vedute, di colori, ma è altrettanto vero che piccoli particolari del vigneto possono far rivivere paesaggi lontani, perpetui o nascosti. È il caso degli esempi sotto riportati che richiamano lo spettatore attento al passare delle ere e delle stagioni, alla intima vitalità della vite, ma soprattutto lo riportano a un paesaggio silenzioso che pochi sanno scoprire. Il paesaggio va quindi vissuto e toccato con mano, non apprezzato solo attraverso il filtro della comunicazione che non lo può cogliere appieno. Si pensi per esempio ai profumi e agli aromi che caratterizzano i nostri dintorni a volte in modo unico e irripetibile. Paesaggio viticolo nelle stagioni Se il paesaggio è sinonimo di cultura, storia, natura, è anche vero che il suo potere di attrazione è dato dalla fisicità delle forme e dal variare dei colori così mutevoli con il passare dei mesi. Diversità dei paesaggi viticoli legata non solo al variare dei siti (variabilità spaziale), ma anche al passare delle stagioni (variabilità temporale). Per questo il paesaggio non delude mai il suo spettatore e diventa un bene economico non relegato a pochi periodi dell’anno, ma a un continuo trasformarsi di forme e di colori. Il turista, l’esteta, l’appassionato e il passante occasionale troveranno sempre un paesaggio in movimento e in divenire con il ciclo annuale della vite. Il paesaggio va inteso allora anche come una concreta risorsa economica e se correttamente gestito può contribuire alla creazione di reddito. L’attività viticola si viene così ad arricchire di un contributo in più, che compensa i maggiori oneri che a volte la cura e la tutela del paesaggio impongono.
Una pietra con l’impronta lasciata dagli agenti che hanno agito sull’evoluzione pedologica e i disegni impressi dagli anni in un palo di sostegno in legno di ginepro, sono tutti esempi di ricchezza paesaggistica
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paesaggio Tutela del paesaggio Vino in indissolubile collegamento con il territorio e vino che racchiude le emozioni trasmesse dalle forme, dai colori e dell’accoglienza del paesaggio. Verificare questo stretto legame sarà di forte ausilio per futuri programmi di valorizzazione dei nostri patrimoni viticoli, che devono quindi comprendere anche l’analisi degli interventi che generano degrado, allo scopo di attenuarli o di evitarli. Le finalità mirano a stimolare, promuovere e indurre una diversa concezione di paesaggio, che recuperi in toto il suo valore e la sua potenzialità nel proporre gli ambienti e il settore viticolo nazionale. Se nel XX secolo, attraverso l’urbanizzazione, la semplificazione dei sistemi di produzione agricola, lo sviluppo delle infrastrutture e delle vie di comunicazione, abbiamo assistito a una rapida e, in alcuni casi, brutale modificazione del paesaggio, sta ora invece emergendo una nuova attenzione per tutto ciò che raccoglie i segni della storia e della natura. Diverse iniziative contribuiscono a diffondere questa nuova necessità di salvaguardia e desiderio di conoscenza e tra tutte la Convenzione Europea del Paesaggio, elaborata dal Consiglio d’Europa (Firenze 20/10/2000), firmata da 33 Paesi e ratificata da 24 (in Italia la convenzione è operativa dal primo settembre 2006) ne è una seducente e concreta testimonianza. In detto ambito è stata elaborata una nuova definizione di paesaggio che così attesta: “Paesaggio designa una determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”; inoltre: “La presente convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati”; infine: “La presente convenzione si prefigge lo scopo di promuovere la salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei paesaggi e di organizzare la cooperazione europea in questo campo”. Risulta quindi evidente che non ci si può più sottrarre al rispetto per questa grande opera dell’agire dell’uomo, che è intervenuto su una base naturale plasmabile, ma non più ricostruibile. È urgente creare una coscienza collettiva che prenda atto di questi argomenti, attraverso la sensibilizzazione degli abitanti, degli agricoltori, dei più giovani e la valorizzazione di iniziative private e pubbliche, che abbiano lo scopo di qualificare e far comprendere i pregi del paesaggio e contrastare la tendenza alla sua omologazione. Un altro aspetto che assume sempre maggiore rilevanza è la conservazione del paesaggio attuata contrastando l’abbandono degli insediamenti rurali e favorendo invece la sostenibilità delle attività agricole marginali. Soprattutto per gli ambienti collinari, dove l’attività viticola diventa più onerosa nella sua gestione e più avara in termini di risultati quantitativi, molto spesso assistiamo a una
L’inverno mette in evidenza l’architettura del vigneto e l’operosità del viticoltore
La primavera è sviluppo di forme e volumi
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vino e paesaggio
L’autunno è percezione estetica, armonia di colori e serenità
disaffezione nella sua conduzione in seguito a una riduzione dei margini di guadagno. Se l’uomo non vive nel suo paesaggio e la sua attività non permette la conservazione delle sue radici storiche e paesaggistiche, vi sarà una perdita di identità culturale e ambientale. Ancora una volta quindi lo sforzo va indirizzato per creare nuove opportunità e servizi (Strade del vino e dei sapori, percorsi didattici ecc.), che possano garantire la permanenza dell’uomo nel suo ambiente e con esso la custodia di ciò che è stato creato nel corso dei secoli. L’insediamento abitativo ha contribuito a creare e conservare il paesaggio, la mancanza della presenza umana, lascia invece libero agire alla natura che si riappropria del suo spazio.
L’estate è ricchezza di calore e violenza di luce
L’immagine ben evidenzia l’avanzare del bosco dove un tempo l’attività agricola aveva posto dei limiti e dei confini
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la vite e il vino
paesaggio Vini e regioni Attilio Scienza
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Vini e regioni Pinot nero DOC Sudtirolo-Alto Adige
Aust r ia
Geografia La zona di produzione della DOC Pinot nero Alto Adige comprende molti comuni in provincia di Bolzano, soprattutto in quelli dell’oltradige, della bassa atesina e del meranese, a quote superiori ai 400-500 m s.l.m.
Bolzano T REN TINO ALTO A DIG E
Caratteri generali del clima L’area rientra nella zona macroclimatica viticola di tipo montano. Le temperature medie estive sono di 18,5-23,5 °C e le medie invernali di –1-4 °C; le precipitazioni medie annue sono intorno a 700-850 mm, con minimo invernale (gennaio-febbraio) e massimo estivo (giugno-agosto). Si tratta di un regime precipitativo tipico dell’area centro-europea. L’entità relativamente ridotta delle precipitazioni rientra fra gli effetti endo-alpini tipici della parte centrale del massiccio delle Alpi, che si qualificano per ridotta umidità relativa, limpidezza del cielo, scarsa nuvolosità. Il cambiamento climatico in atto sta spostando progressivamente la coltivazione del Pinot nero verso quote sempre maggiori, poiché la qualità del vino è fortemente condizionata da estati fresche e abbastanza piovose.
V ENETO
Foto Vivai Rauscedo
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli A causa della sua notevole dispersione sul territorio viticolo provinciale, non si può parlare di un suolo di elezione per questo vitigno. È infatti coltivato con ottimi risultati sia nei suoli morenici e detritico-dolomitici dell’oltradige, sia nei suoli porfirici di EgnaMazzon e in quelli scistoso-metamorfici del meranese. Vitigni L’origine del Pinot nero può essere fatta risalire al III-IV secolo d.C. nella zona della Borgona. Da recenti studi di genetica molecolare il Pinot nero è nato dalla incrocio spontaneo tra il Traminer e un Pinot ancestrale a foglie tomentose. Il Pinot nero a sua volta, venuto a contatto con altri vitigni di origine orientale, ha generato lo Chardonnay e altri vitigni della Borgogna. Nel 1800, gli studi ampelografici hanno messo in evidenza la grande variabilità intravarietale di questo vitigno, rappresentata da più di cinquanta tipologie di Pinot, differenti per colore della bacca, succo, produttività e precocità. Attualmente si distinguono due gruppi varietali: i Pinot nero qualitativi a bassa produttività, utilizzati in Borgogna e in Italia per produrre vini rossi da invecchiamento, e quelli produttivi utilizzati in Champagne.
Pinot nero
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vini e regioni Aspetti enologici Con questo vitigno si possono produrre differenti tipologie di vino: fermo o spumante, bianco o rosso. Nel caso del vino Pinot nero dell’Alto Adige, la vinificazione prevede, dopo una pigiadiraspatura soffice, una fermentazione-macerazione abbastanza prolungata (15-20 giorni) con un diagramma delle temperature abbastanza complesso e con frequenti follature del cappello. Nel Pinot nero è essenziale, a causa della sua particolare composizione antocianica, favorire i processi di polimerizzazione tra tannini e antociani, a garanzia della stabilità del colore. Di norma, la malolattica viene fatta fare in barrique, durante l’invecchiamento le fecce che si depositano sul fondo vengono frequentemente messe in sospensione affinché possano cedere aromi e sostanze capaci di dare una particolare grassezza al vino.
Abbinamento vino-cibo
• Non sono molti i vitigni che danno
origine a vini come il Pinot nero capaci di affrontare con la stessa sicurezza i grandi piatti della cucina internazionale e quelli delle cucine locali
• Inoltre, per la sua eleganza e l’equilibrio dei tannini, è forse uno dei pochi vini rossi che possono accompagnare piatti di pesce. Insostituibile vino da carni bianche, anche in preparazioni elaborate (pollo, faraona, tacchino), e da selvaggina da piuma (fagiano, pernice, beccaccia), è ottimo complemento di formaggi fermentati molto saporiti, anche giovani
Analisi sensoriale Il vino di Pinot nero dell’Alto Adige si presenta di colore rosso rubino scarico con bordi aranciati. Il profumo richiama la ciliegia selvatica e i frutti di bosco, con accenni di sottobosco e humus. In bocca si presenta ricco di sensazioni aromatiche, fruttate, floreali, di tabacco, accompagnate da un tannino sempre presente, anche se mai spigoloso, e da armonia ed eleganza che raramente si trova in altre varietà. Il Pinot nero, che ha un periodo di invecchiamento di almeno due anni a partire dal primo gennaio dell’anno successivo alla vendemmia, ha colore rubino con sfumature arancioni se invecchiato; odore etereo, gradevole, caratteristico; il sapore è asciutto, morbido o pieno, con retrogusto amarognolo e armonico; la gradazione minima è di 11,5 gradi.
Foto Südtiroler Beratungsring
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paesaggio Marzemino Geografia Il Marzemino DOC Trentino è prodotto in provincia di Trento, in Vallagarina, la parte meridionale della viticoltura provinciale, e in particolare attorno al comune di Isera, considerato la patria storica di questo vitigno e ai comuni di Ala e Avio.
Aust r ia
T REN TINO ALTO AD IGE
Caratteri generali del clima Il clima è sub-mediterraneo-temperato, in quanto subisce l’influenza del vicino lago di Garda. Determinante è la ventilazione, asciutta e costante dell’Ora, tipico vento del Garda, che permette l’ottima maturazione delle uve. Le temperature oscillano tra una media massima di 23 °C in luglio e una media minima di 0,8 °C in gennaio. Le precipitazioni sono costanti nel periodo vegetativo, con valori medi di 90 mm di pioggia, ma con un valore massimo nel mese di maggio con 106 mm di pioggia.
Trento Isera Avio
Ala
VENETO
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La coltivazione del Marzemino è prevalentemente concentrata nel fondovalle della Val Lagarina e nelle fasce pedecolinari ai due lati della vallata, fino a una quota che non supera i 300 m s.l.m. La fascia di fondovalle, pianeggiante, è caratterizzata da depositi alluvionali recenti di notevole spessore e presenta suoli profondi, poco evoluti. Sono terreni privi di scheletro, sciolti a tessitura franco-sabbiosa con netta prevalenza di sabbia fine e poca argilla. A quote più elevate vi sono terrazze fluviali e glaciali più antiche. Sono terreni di medio impasto da disfacimento di calcari dolomitici, con presenza di scheletro e argilla intorno al 20%. Significativa per la qualità dei vini è la presenza di suoli di origine basaltica attorno a Isera. Vitigni Il Marzemino sembra essere originario del Veneto, da dove si è successivamente diffuso in Trentino, Friuli, Lombardia ed Emilia a seguito dell’espansionismo della Repubblica di Venezia. Nel XVI secolo il Lando (1553) nomina il Marzemino tra i vitigni raccomandati nel Veneto e, successivamente, anche il Gallo (1550) parla di un vitigno con questo nome, ma con caratteristiche diverse, presente nel bresciano. Molti autori, tra cui l’Acerbi e il Gallesio nel 1800, il Molon e il Dalmasso nel 1900, descrivono ampiamente i Marzemino a dimostrare la diffusione e la variabilità fenotipica di questo vitigno. Il Marzemino maggiormente diffuso è quello gentile o d’Isera, coltivato nella zona di Rovereto. Il vitigno presenta un’ampia variabilità fenotipica, ma attualmente i biotipi esistenti possono essere raccolti in due grandi gruppi: il Marzemino gentile o comune e la Marzemina o Marzemina padovana, di minore qualità.
Marzemino
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vini e regioni Aspetti enologici Il Marzemino trentino DOC è un vino rosso che presenta una buona ricchezza di antociani associati a un contenuto non particolarmente elevato di tannini. È un vino che di norma si consuma giovane, ma talvolta in annate e zone favorevoli, con tecniche enologiche appropriate, possono essere sottoposti a invecchiamento. La vinificazione del Marzemino viene effettuata tramite macerazione del mosto a contatto con la vinaccia per alcuni giorni. Al termine della macerazione avviene la svinatura e il vino fiore viene di norma affinato in vasca di acciaio e solo per partite di vino particolari si destina all’invecchiamento in legno, sebbene per periodi non molto prolungati. Da qualche anno è invalsa la tecnica dell’appassimento di una parte delle uve e il vino che si ottiene viene poi unito a quello ottenuto dalla vinificazione delle uve fresche. Il vino, oltre ad avere una migliore predisposizione all’invecchiamento, si presenta più strutturato e armonico.
Abbinamento vino-cibo
• Il vino di Marzemino è considerato
ideale per accompagnare i piatti di selvaggina in salmì, capriolo in particolare, nonché i formaggi stagionati come l’Asiago e il Vezzena. Nelle espressioni più giovani e meno strutturate si associa molto bene ai piatti con funghi e polenta e con carni affumicate di maiale e crauti
Analisi sensoriale Il vino di Marzemino si presenta di colore rosso rubino intenso, con sfumature violacee, dal profumo floreale-fruttato fine (violetta), mediamente strutturato, abbastanza alcolico, sapido, poco tannico e armonico, con un leggero gusto amarognolo.
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paesaggio Sauvignon del Collio Geografia La DOC Collio Goriziano o Collio comprende una zona collinare a forma di anfiteatro che si estende a oriente del fiume Judrio fino al confine di Stato, in provincia di Gorizia, a ridosso del confine con la Repubblica di Slovenia.
Aust r ia
Gorizia
S l ov enia
FRIULIVENEZIA GI ULIA
Caratteri generali del clima L’area appartiene alla regione padano-alpina localizzata alle medie latitudini, in particolare la DOC Collio può vantare un clima temperato sub-litoraneo. Le temperature medie mensili sono comprese tra i 3,4 °C di gennaio e i 22,5 °C di luglio mentre la temperatura media minima raggiunge i –0,6 °C in gennaio e quella massima i 28 °C in luglio. Le precipitazioni annuali sono state in media di 1600 mm concentrate principalmente nel periodo primaverile e autunnale, con il valore massimo medio concentrato nei mesi di giugno e quello minimo in febbraio.
VEN E TO
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La zona del Collio è un area collinare che raggiunge circa i 270 m s.l.m. e che si estende nella zona pedemontana delle prealpi Giulie, a ovest di Gorizia. È protetta a nord da questa catena montuosa, mentre è aperta a sud ai benefici effetti del clima marino. I terreni del Collio sono costituiti da marne e arenarie stratificate di origine eocenica, dette localmente “ponche”, di origine marina, come testimonia il ritrovamento di fossili marini, portati in superficie in epoca remota dal sollevamento dei fondali dell’Adriatico. I terreni più idonei al Sauvignon sono quelli collinari, asciutti, ricchi di scheletro. Il vitigno preferisce potatura non troppo ricca e forme di allevamento poco espanse con sesti di impianto relativamente fitti. Predilige ambienti con climi temperato-freschi che favoriscono la formazione degli aromi varietali di sambuco e di agrume. Vitigni Il Sauvignon, è un vitigno di origine francese, dalle regioni della Loira, diffuso in molti Paesi soprattutto a clima temperato. In Collio è coltivato su più di 250 ha con una produzione complessiva di poco superiore ai 22.000 q. È un vitigno vigoroso, a germogliamento medio-precoce, dalla vegetazione dal portamento eretto, mediamente produttivo, molto sensibile agli attacchi di botrite a causa della compattezza del grappolo. Aspetti enologici La metodologia utilizzata per la produzione del Sauvignon prevede una fermentazione in bianco, anche se ultimamente si stanno imponendo tecniche di macerazione pellicolare a freddo, allo
Sauvignon
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vini e regioni scopo di fare passare nel mosto le sostanze aromatiche varietali contenute nella buccia. Nella vinificazione in bianco del Sauvignon, inoltre, assume una grande rilevanza il controllo della temperatura in fermentazione, il mantenimento di un buon livello di riduzione del vino e l’impiego di lieviti selezionati capaci di far sviluppare gli aromi tipici della varietà. Di norma, il vino viene fatto maturare solo in acciaio e l’imbottigliamento è abbastanza precoce.
Abbinamento vino-cibo
• Oltre a essere un perfetto vino
da aperitivo, il Sauvignon del Collio trova in alcuni piatti un’associazione di elezione. Tra questi vanno ricordati gli antipasti di pesce, crostacei in particolare, le preparazioni con gli asparagi, quelli bianchi soprattutto, e alcuni pesci tra i quali il salmone
Analisi sensoriale Vino di colore giallo paglierino, dagli intensi profumi floreali, morbido e vellutato, dall’aroma che ricorda i fiori di sambuco e la buccia del pompelmo, molto caratteristico. Può sopportare un leggero invecchiamento. L’uva in ambienti adatti può essere sottoposta a sovramaturazione, per azione della muffa nobile, per ottenere dei vini che ricordano i Sauternes bordolesi.
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paesaggio Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene DOC
Valdobbiadene
Geografia La zona principale di produzione si estende nella fascia collinare della provincia di Treviso compresa tra le cittadine di Conegliano e Valdobbiadene.
FR IULIVENEZIA G IULIA
Caratteri generali del clima La zona usufruisce di un microclima relativamente temperato (19,1 °C medi annui), con un’escursione termica media compresa tra 10,5 °C e 12,6 °C durante il periodo vegetativo, con andamento pluviometrico prevalentemente concentrato nei mesi primaverili e autunnali e con precipitazioni annue che si aggirano attorno ai 1000 mm di pioggia.
Conegliano Treviso
VE N ET O
EMILIA ROMAGNA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La vite è coltivata solo nella parte più soleggiata dei colli, a un’altitudine compresa tra i 50 e i 500 m s.l.m., mentre il versante nord è spesso ricoperto di boschi. Predilige terreni collinari, non troppo asciutti, zone senza ritorni di freddo in primavera a causa della precoce epoca di germogliamento. La forma di allevamento è a controspalliera. Attualmente, all’Albo DOC sono iscritti più di 4300 ha di vigneto. I suoli sono derivati da formazioni litologiche del Miocene e dell’Era glaciale che presentano caratteristiche molto varie. Sono infatti marne, conglomerati, ghiaie e sabbie che nei fenomeni di pedogenesi, hanno costituito dei depositi di versante abbastanza argillosi, e dei depositi alluvionali di fondo valle più sabbiosi e ghiaiosi. Vitigni L’origine di questo vitigno è incerta. Tuttavia il Dalmasso (1937) lo fa risalire al mitico vino Pucino lodato dall’imperatrice Livia. La zona di origine del Prosecco dovrebbe essere quella di Prosecco, un comune in provincia di Trieste e da qui con la denominazione di Glera si è spinto fino ai Colli Euganei, dove sarebbe diventato Serpina. Si conoscono diversi biotipi tra cui i più diffusi sono il Prosecco tondo e il Prosecco lungo che differiscono per la forma dell’acino, il Prosecco Balbi per l’intensità dell’acinellatura e il Prosecco dal pecol rosso. In Dalmazia era presente anche un Prosecco rosa. Aspetti enologici L’uva vendemmiata esclusivamente a mano viene vinificata in bianco. Il disciplinare prevede che da 100 kg di uva si possano ottenere al massimo 70 l di vino.
Prosecco
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vini e regioni Dopo la pressatura, il mosto torbido viene lasciato riposare a freddo (5-10° C) in vasche di acciaio. Trascorse circa 10-12 ore, la parte limpida del mosto viene separata dal deposito e avviata alla fermentazione. La vinificazione si compie in vasche di acciaio a una temperatura costante di 18-20° C e si protrae a circa 15-20 giorni. Per la spumantizzazione, le diverse partite di vino-base presenti in cantina vengono assemblate: i vini che fino a questo momento sono stati tenuti distinti per provenienza, epoca di vendemmia e caratteristiche organolettiche, vengono riuniti in proporzioni precise, tali da raggiungere un perfetto equilibrio fra tutte le componenti. Solo qualche partita, che già in vigneto era ben caratterizzata, viene spumantizzata in purezza. La rifermentazione viene realizzata in autoclave e dura dai 30 ai 60 giorni. Dopo di che si imbottiglia in isobarica.
Abbinamento vino-cibo
• Ormai universalmente riconosciuto
come il vino ideale per l’aperitivo, accompagna bene sia primi di pasta e riso con crostacei sia secondi di pesce di acqua dolce e di mare, in preparazioni delicate e accompagnate da asparagi o altre verdure fresche. Nelle versioni amabili può accompagnare anche la piccola pasticceria secca
Analisi sensoriale Si ottengono due tipologie di vino: uno fermo e secco, e uno frizzante e leggermente amabile. Quest’ultima è la tipologia maggiormente prodotta con la quale si ottiene un vino dal colore giallo dorato chiaro o paglierino, dal profumo fruttato di fiori bianchi con note di crosta di pane, non molto alcolico e talvolta amabile. Foto V. Bellettato
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paesaggio Franciacorta DOCG Geografia La Franciacorta occupa la parte pedemontana occidentale della provincia di Brescia; è toccata a ovest dal fiume Oglio, mentre a est si estende fino a comprendere il comune di Brescia. Comprende 16 comuni che gravitano attorno al paese di Rovato. Ha ottenuto il riconoscimento della DOCG Franciacorta nel 1995, con modifica nel 1996.
TRENTINOA LTO A DIG E
L OM BARD IA Brescia
EM ILIA
Caratteri generali del clima La Franciacorta si estende tra l’alta pianura e il margine prealpino, e interessa l’estremità meridionale del lago di Iseo. La porzione più prossima al lago appartiene alla zona climatica dei laghi prealpini, peculiare in ambito padano per il clima sub-litoraneo padano, mentre a una certa distanza dal lago diventano più significativi i caratteri climatici della Pianura Padana e della fascia prealpina (temperati subcontinentali). La zona lacustre, con temperature superiori ai 3 °C di gennaio, è una zona maggiormente mite contrapposta alla continentalità della Pianura Padana, con temperature in gennaio prossime allo zero. Questa variazione è maggiormente riscontrabile nei mesi invernali rispetto a quelli estivi data l’attenuazione degli estremi termici. La piovosità media annua è compresa tra gli 885 e i 980 mm all’anno, con livelli massimi di precipitazione in primavera e autunno, e un minimo pluviometrico in gennaio.
VENETO
R O MA G NA
Foto Vivai Rauscedo
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’areale della Franciacorta è costituita, nell’area settentrionale, da un substrato roccioso prevalentemente di natura calcarea e calcareo-marnosa sul quale si sono accumulati, nel corso delle ultime due glaciazioni, imponenti depositi morenici, variamente alterati dall’azione erosiva dei corsi d’acqua che uscivano dal fronte del ghiacciaio. Vitigni Si ottiene da uve Pinot bianco e/o Pinot nero e/o Chardonnay, e si produce nelle versioni bianco, rosé e satèn o crémant. Lo Chardonnay è coltivato ormai da alcuni decenni in Franciacorta. Nel 1978, lo Chardonnay viene iscritto nel catalogo nazionale delle varietà e nel 1980 è diventato un vitigno autorizzato e raccomandato per la provincia di Brescia. Attualmente, in Franciacorta, lo Chardonnay rappresenta oltre 1200 ha iscritti all’Albo a Denominazione di Origine. Franciacorta ed è utilizzato per il Franciacorta DOCG e per il Terre di Franciacorta DOC bianco. Il Pinot bianco è il secondo vitigno bianco del Franciacorta e del Terre di Franciacorta bianco; viene usato in blend con altri vitigni previsti dalla denominazione di origine perché molto delicato e profumato. Non è un vitigno autoctono, ma è un vitigno di derivazione francese della
Pinot bianco
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vini e regioni grande famiglia dei Pinot. Il Pinot nero è il terzo vitigno che entra nella cuvée delle varietà di uva dedicate al Franciacorta DOCG. Abbinamenti vino-cibo
Aspetti enologici Il Franciacorta DOCG può essere ottenuto con le varietà di uva Chardonnay e/o Pinot bianco e/o Pinot nero in proporzione libera ma preferibilmente con una maggiore presenza di Chardonnay, pari almeno al 60%. Per la produzione del rosé la quota di Pinot nero non deve essere inferiore al 15% del totale. Per la produzione del Satèn è vietato l’utilizzo del Pinot nero. Il metodo di produzione del Franciacorta prevede che le uve intere vengano sottoposte direttamente a pressatura soffice, che deve essere effettuata entro 12 ore dalla raccolta. Il vino viene fatto fermentare a temperature non superiori a 20 °C e si produce un vino base di 10,5 gradi alcolici. Il vino base può essere ottenuto dall’unione di mosti e/o vini di annate diverse. Il vino viene fatto rifermentare in bottiglie, poste su piani inclinati (pupitres), tramite l’aggiunta di lieviti e di sciroppo di tiraggio solo a partire dal 1° febbraio dell’anno successivo alla vendemmia. Il vino deve rimanere sui lieviti 18 mesi per il Franciacorta e 30 mesi per il millesimato. Dopo la sboccatura il vino affina in bottiglia per due mesi e comunque non può essere immesso al consumo non prima di 25 mesi dalla vendemmia.
• Vino perfetto per aperitivo e per
accompagnare antipasti di pesce di mare, in particolare crostacei. Può essere usato come vino da tutto pasto non solamente per piatti di pesce (arrosto, alla griglia), ma anche di carne, come preparazioni estive con carni di vitello, quali il tonnato, o arrosti farciti come la cima alla genovese Foto Vivai Rauscedo
Analisi sensoriale All’esame visivo, il Franciacorta si presenta di colore rosa tenue, cristallino. Il perlage è finissimo e persistente, quasi cremoso; l’odore è intenso, persistente, fine, con sentori di crosta di pane, lieviti e ribes, accompagnato da delicate note di frutta secca (mandorla, nocciola, fichi secchi) e speziato (chiodi di garofano); all’esame gustativo si presenta secco, caldo, abbastanza morbido, di corpo, fresco, equilibrato. La gradazione minima deve essere di 11,5 gradi.
Chardonnay
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paesaggio Amarone della Valpolicella DOC Geografia L’areale di produzione dell’Amarone è situato in provincia di Verona nella DOC Valpolicella. La Valpolicella si estende a nord di Verona da occidente, dal fiume Adige a oriente, fino ai confini con la provincia di Vicenza. All’interno della denominazione è presente un’areale più antico denominato Valpolicella classica che comprende i comuni di Negrar, Marano, Fumane, S. Ambrogio, S. Pietro in Cariano.
F R IULIVENEZIA G IULIA VE N ETO Vicenza Verona
Caratteri generali del clima Il clima nell’areale si può collocare nella tipologia sub-litoraneo padano, con due massimi di pioggia in primavera e autunno e due minimi in estate e inverno.
EMILIA ROMAGNA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’ambiente di coltivazione dell’Amarone spazia all’interno di tre zone distinte: la Valpolicella classica, la Valpantena e l’est veronese. Dal punto di vista geologico si individuano, a seconda delle zone, terreni compatti rossi su calcari eocenici (San Giorgio, parte settentrionale di Sant’Ambrogio, Pedemonte, San Floriano e Valgatara), terreni rossi e bruni su detriti (Sant’Ambrogio, parte di San Floriano e Negrar), marne di epoca cretacea (Castelrotto e la parte settentrionale della Valpolicella) e terreni compatti rossi su basalti (parte di Marano e Negrar). Vitigni Corvina veronese e Rondinella sono i due vitigni che danno origine all’Amarone. La prima descrizione di una Corvina veronese è quella di Pollini. Egli parla di una Corvina “coltivata in tutta la Val Pulicella”, premettendo che “forse è la Corbina o Corbina nera de’ toscani”. Si tratta di una varietà coltivata quasi esclusivamente nel veronese e che è stata oggetto di numerose dispute tra gli ampelografi ottocenteschi, relativamente alla sua distinzione o meno dalle altre Corvine e dalle Corbine venete. La Corvina veronese presenta quindi diversi biotipi (Corvina piccola, gentile, media e grossa), che si diversificano per le dimensioni di bacca e grappolo. Le origini della Rondinella sono sconosciute. È stata descritta nella Monografia agricola della provincia di Verona del 1882, ma non viene più menzionata in nessuna delle numerose ampelografie successive. Presumibilmente è arrivata nel veronese solo nel secolo scorso e ciò è confermato dal fatto che non vi sono testimonianze di sinonimie. Il nome deriva probabilmente dal colore della bacca che richiama la livrea nera del piumaggio della rondine.
Corvina veronese
Rondinella
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vini e regioni Aspetti enologici L’Amarone viene realizzato soprattutto con le uve di Corvina e Rondinella appassite; la selezione della uve destinate all’appassimento inizia solitamente nelle prime settimane di ottobre, con la cernita dei grappoli migliori e posizionati in appositi fruttai. L’appassimento termina dopo circa 100-120 giorni dalla messa in fruttaio; in questo stadio le uve subiscono un calo del 30-40% e gli zuccheri si concentrano. La vinificazione non può iniziare prima del 15 dicembre dell’anno in corso e, fino a gennaio-febbraio, consiste in una macerazione prolungata (il contatto delle bucce con il liquido) per consentire un’estrazione dei tannini e delle sostanze coloranti. Successivamente, inizia una lenta fermentazione che dura fino a 90 giorni, dato che la temperatura del mosto è abbastanza bassa, inoltre i lieviti devono affrontare 16-17 gradi potenziali di alcol. La fermentazione del mosto-vino destinato a dare Amarone viene portata a termine raggiungendo così una gradazione alcolica elevata e senza un residuo zuccherino considerevole. Le uve, dopo l’appassimento, devono assicurare un titolo alcolimetrico volumico naturale minimo di 14% in volume. Il vino Amarone, prima dell’immissione al consumo, deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento in fusti di rovere o in barrique di almeno due anni, con decorrenza dal 1° dicembre dell’annata di produzione delle uve. L’origine dell’Amarone è più recente del Recioto, vino prodotto fin dal basso Medioevo e di cui rappresenta una versione secca (Recioto scapà).
Abbinamento vino-cibo
• Oltre a essere un vino da gustare
fuori pasto data la sua grande complessità aromatica, è con alcuni piatti che esprime tutta la sua concentrazione di tannini e di polifenoli. Un modo ideale per apprezzarlo è quello di accompagnarlo ai formaggi stagionati quali il Grana padano, il Parmigiano reggiano, il Monte veronese stravecchio. Nelle versioni più moderne ed eleganti si accosta bene a carni di manzo in umido, filetto con salsa al vino, selvaggina di pelo in salmì
Analisi sensoriale L’Amarone ha colore rosso rubino carico, tendente eventualmente al granato con l’invecchiamento. Al naso si caratterizza per un profumo speziato, intenso, talvolta di violetta e prugna matura. In bocca è pieno, alcolico, vellutato etereo con sentori di cioccolato e cuoio.
Fruttaio di Amarone
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paesaggio Asti spumante DOCG Geografia La zona di produzione del vino Asti o Asti spumante è compresa nei territori di 52 Comuni delle province di Asti, Cuneo e Alessandria. L’Asti spumante è una DOCG riconosciuta nel 1993 e successivamente stata modificata nel 1995.
Fr anc ia
VALLE D’AOSTA
LOMBARDIA
Caratteri generali del clima L’areale di coltivazione è localizzato nella fascia laterale ovest della Pianura Padana, con un clima di tipo sub-litoraneo padano con due massimi di pioggia, in primavera e in autunno, e due minimi in estate e in inverno. Le temperature oscillano tra un valore massimo medio di 24 °C in luglio e un valore minimo medio di 2 °C in gennaio. Le precipitazioni medie annuali sono di circa 683 mm di pioggia, il mese più piovoso è novembre con 79 mm di pioggia.
PIEM ONTE Asti Cuneo
Alessandria LIG UR IA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli I vigneti sono ubicati su pendii e dossi collinari soleggiati con pendenza minima del 20% e, tenuto conto delle elevate esigenze termiche del vitigno Moscato bianco, sono da considerasi idonei esclusivamente i vigneti esposti sui versanti collinari da est a ovest. I terreni derivano dai depositi del Bacino terziario piemontese, formatisi nel Pliocene dalla colmatura (con depositi marini) e successiva emersione della depressione padana che si era originata dalla nascita delle Alpi. Sono suoli che derivano della degradazione delle alternanze di arenarie, marne e argille del Miocene che presentano colore bianco e sono tendenzialmente calcareo-arenacei (Serravalliano).
Foto Vivai Rauscedo
Vitigni Il vitigno che dà origine all’Asti spumante è esclusivamente il Moscato bianco. In Piemonte è il vitigno a frutto bianco più coltivato e uno dei principali nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Il nome sembra derivi da muscum, muschio, per il forte aroma caratteristico di questa uva. Probabilmente, tale vitigno corrisponde alle uve che i Greci chiamavano Anathelicon moschaton e i Romani Uva apiana. La sua coltivazione si è sviluppata soprattutto a partire dal Medioevo a imitazione dei vini importati dal Mediterraneo orientale, alcolici, dolci, medicamentosi. Aspetti enologici L’uva, parzialmente pigiata o intera, viene pigiata utilizzando presse a polmone e il mosto così ottenuto viene refrigerato e mantenuto a 0 °C, per evitare l’inizio di fermentazioni indesiderate, fino all’utilizzo per la presa di spuma finale.
Moscato bianco
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vini e regioni In questo periodo, che può durare anche 12-15 mesi, il mosto non deve fermentare e quindi va controllato attraverso basse temperature. Infine, il mosto viene fatto fermentare aumentando la temperatura fino a 18-20 °C, in un contenitore apposito detto autoclave in grado di sopportare una pressione interna di 9 bar. Quando il mosto in presa si spuma, si avvicina ai 5° di alcol, e vengono chiuse le valvole di scarico dell’anidride carbonica e bloccata la fermentazione attraverso la refrigerazione e la filtrazione. Il prodotto, arrivando ai 7° di alcol svolto previsti dal disciplinare, avrà così una pressione di 6-7 bar e un elevato contenuto di zuccheri non fermentati che gli conferisce l’inconfondibile aroma dell’uva. Il vino messo poi in bottiglia mantiene i 3 bar richiesti per i vini spumanti.
Abbinamenti vino-cibo
• L’Asti spumante è il classico vino da
fine pasto, che concide con il taglio della torta nuziale o per accompagnare i dolci con le creme e la pasticceria secca. È comunque perfetto in estate per interrompere un pomeriggio caldo, come bevanda rinfrescante e poco alcolica
Analisi sensoriale Il vino dell’Asti spumante presenta un colore paglierino dorato scarico, con riflessi verdolini, brillante e una abbondante schiuma, cremosa e insistente. Al naso, il profumo varietale, di muschio, dell’uva matura, con sentori di frutta candita, pesca bianca e agrumi. In bocca, il sapore dolce e aromatico è ben equilibrato dall’acidità e dallo sviluppo della schiuma che evita le sensazioni stucchevoli del residuo zuccherino. Ha gradazione zuccherina compresa tra i 7 e i 9,5 gradi alcole.
Foto A. Morando
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paesaggio Lambrusco di Sorbara DOC Geografia La zona di produzione comprende l’intero territorio dei comuni di Bastiglia, Bomporto, Nonantola, Ravarino, San Prospero e parte di Campogalliano, Camposanto, Carpi, Castelfranco Emilia, Modena, San Cesario sul Panaro e Soliera, tutti in provincia di Modena.
VENETO
Modena EM I LIA ROM AG NA
Caratteri generali del clima Il clima è di tipo sub-litoraneo adriatico, con un massimo di precipitazione principale alla fine di autunno e un minimo principale estivo; un secondo minimo, poco accentuato, si verifica alla fine dell’inverno, e un massimo secondario in primavera. Le precipitazioni medie annue si aggirano su valori di 755 mm di pioggia, con ottobre il mese più piovoso e una precipitazione media di 92 mm. Le temperature medie annue sono di circa 14 °C, con un valore medio massimo di 30 °C in luglio e un valore medio minimo di 1 °C in gennaio.
TOSCA NA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La coltivazione dei Lambruschi in Emilia è tipicamente localizzata in pianura o sui primi contrafforti dell’Appennino. I terreni, normalmente molto fertili e profondi, consentono l’adozione di forme di allevamento molto espanse e produttive, che negli ultimi anni si sono trasformate da alberate a cortine pendenti per poter meglio meccanizzare le operazioni colturali. I suoli della pianura sono in profondità costituiti da depositi marini abbastanza recenti (Pliocene, Miocene) che formano delle successioni marnoso-arenacee, sulle quali si sono sovrapposti gli effetti delle ultime glaciazioni e degli imponenti detriti trasportati dal Po. La viticoltura, inoltre, è spesso localizzata sui depositi sabbiosi lasciati dai fiumi (per esempio Secchia, Tanaro ecc.) che scendono dall’Appennino verso il Po. Vitigni Il nome deriva dal latino labrusca, che identifica numerosi vitigni che compongono la popolazione dei Lambruschi accomunati dall’origine genetica (dalla domesticazione della vite selvatica) e dal territorio della prodomesticazione, appartenente alla cultura paleoligure. La classificazione attuale dei Lambruschi viene fatta in base all’origine geografica o di coltivazione originaria (Alessandria, Sorbara, Sassuolo, Viadana), in base alla caratteristiche morfologiche del grappolo (salamino, grasparossa), della bacca (prugnolo, oliva), della foglia (a foglia frastagliata, a foglia rossa, verde), oppure in base al selezionatore o per la località di isolamento (Dott. Ruberti, Conte Corbelli, Tre Case, Maestri). I principali Lambruschi coltivati nell’Emilia Romagna sono:
Lambrusco Grasparossa
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vini e regioni – Lambrusco di Sorbara: ad acino sferico e foglia rossa, ad acino subsferico e foglia rossa, ad acino sferico e foglia verde, ad acino oliva e foglia verde; – Lambrusco salamino: a foglia rossa, a foglia verde, tenero; – Lambrusco grasparossa o Refosca: tipo Lambrusche di colle di Spezzano.
Abbinamento vino-cibo
• Il Lambrusco è il vino per i cibi semplici
e talvolta un po’ grassi. Complemento necessario per salumi come la mortadella, il prosciutto, la pancetta, si sposa bene con i primi sia in brodo (per il sorbit di tortellini) sia asciutti con ragù di carne. Ideale per i gran bolliti (manzo, lingua, gallina, cotechino) e gli arrosti misti. Cosa c’è di meglio in un pomeriggio estivo di una bottiglia di Lambrusco fresco di cantina sotto una pergola con gli amici?
Aspetti enologici Il vino si ottiene da uve dei vitigni Lambrusco di Sorbara (per almeno il 60%) e Lambrusco salamino (per un massimo del 40%). Nella produzione del Lambrusco di Sorbara si utilizza il vino base che viene sottoposto a rifermentazione in autoclave, al fine di ottenere la formazione della spuma. Si utilizzano a questo scopo mosti di uva o mosti concentrati. Al termine della rifermentazione, il vino viene refrigerato, per fare aumentare la solubilità dell’anidride carbonica, filtrato e, sempre a bassa temperatura, imbottigliato. Analisi sensoriale Il colore del vino dopo qualche istante che è nel bicchiere e che ha dissolto l’anidride carbonica che conteneva, si presenta rubino carico, violaceo, brillante. Il profumo, esaltato dalla schiuma che ne accelera il trasferimento nelle papille nasali, è di viola, vinoso e fragrante. In bocca si allarga senza asperità, ben sostenuto dall’acidità, con i tannini smussati da un leggero residuo zuccherino, che ne attenua il carattere amaro e austero.
Foto R. Angelini
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paesaggio Barolo DOCG
Fr anc ia
VALLE D’AOSTA
Geografia La zona di produzione si estende all’interno dei territori dei comuni, ricadenti nella provincia di Cuneo, di Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e in parte il territorio dei comuni di Monforte d’Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi. Il Barolo è un vino a DOCG dal 1981.
LOMBARDIA
PIEM ONTE
Cuneo
Caratteri generali del clima L’areale di coltivazione è localizzato nella fascia laterale ovest della Pianura Padana con un clima di tipo sub-litoraneo padano, con due massimi di pioggia, in primavera e in autunno, e due minimi in estate e in inverno. Le temperature oscillano tra un valore massimo medio di 24 °C in luglio e un valore minimo medio di 2 °C in gennaio. Le precipitazioni medie annuali sono di circa 683 mm di pioggia, con il mese più piovoso in novembre con 79 mm di pioggia.
LIG UR IA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli I suoli dove è coltivato il Nebbiolo da destinarsi alla produzione del Barolo appartengono al cosiddetto Bacino terziario del Piemonte, originatosi dalla colmatura della vasta depressione conseguente alla formazione delle Alpi, avvenuta circa 35 milioni di anni fa, per sedimentazioni terrigene (marne conglomerati, arenarie, argille) e marine. In particolare, sono terreni del Miocene superiore (Tortoniano ed Elveziano), costituiti da marne intercalate da sabbie. Vitigni Il Nebbiolo è un vitigno coltivato da molto tempo in Piemonte, nel cui pedigree entrano numerosi vitigni provenienti dalla Valtellina e dal novarese. Deve il suo nome probabilmente all’abbondante presenza di pruina sulla buccia degli acini maturi, al punto da farli sembrare coperti da nebbia. Altra attribuzione dell’origine del nome potrebbe essere dovuta alla tardiva maturazione dell’uva con successiva raccolta in periodo di nebbia autunnale. Notizie certe di tale vitigno si hanno a partire dall’inizio del ’300 e successivamente in numerose documentazioni (De Crescenzi, 1495) che attestano l’eccellenza di questo vitigno nelle zone di coltivazione, dalle Langhe alla provincia di Aosta, da Vercelli alla Valtellina, e in epoca recente nell’oltrepò pavese (Acerbi, 1825 e Di Rovasenda, 1872). Nelle Langhe, per la produzione del Barolo, si utilizzano soprattutto i biotipi Lampia e Michet.
Nebbiolo
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vini e regioni Aspetti enologici Il vitigno Nebbiolo è adatto a produrre vini di corpo, strutturati e complessi attraverso una vinificazione che eviti nel vino un eccesso di tannini provenienti dai semi e nel contempo fornisca un vino dal colore stabile e abbastanza intenso. Il metodo di produzione del Barolo avviene quindi attraverso una vinificazione in rosso delle uve Nebbiolo, che in questi ultimi anni ha adottato le tecniche della termomacerazione e l’invecchiamento in barrique. Il periodo di invecchiamento deve durare tre anni e per almeno due il vino deve essere conservato in botti di rovere o di castagno. Se il periodo di invecchiamento supera i 5 anni, il Barolo DOCG può portare come specificazione aggiuntiva la dizione “Riserva”.
Abbinamento vino-cibo
• È un vino destinato alla migliore cucina
piemontese, ricca di carni e selvaggina nonché di formaggi stagionati. Perfetto per il Brasato al Barolo, per i salmì di cervo e cinghiale, nonché per le tome e i formaggi delle Alpi piemontesi
Analisi sensoriale Si presenta di colore rosso granato intenso. Il profumo è molto intenso e persistente, con concentrazione di profumi fruttati e floreali; è speziato, etereo e ampio. Ha un sapore secco caldo, abbastanza morbido, tannico. È un vino pieno, molto persistente e abbastanza equilibrato, robusto di corpo. La gradazione alcolica minima è di 13 gradi. Foto A. Morando
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paesaggio Chianti DOCG Geografia La zona del Chianti comprende un ampio areale delle Toscana all’interno delle province di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia e Siena, mentre il Chianti Classico è una piccola porzione di territorio situato all’interno di tale zona tra Firenze (a nord) e Siena (a sud), tra le vallate della Greve, della Pesa e dell’Elsa (a ovest), e i monti del Chianti (a est). La denominazione Chianti è integrata con le seguenti specifiche: Classico, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Rufina, Montesportoli. La zona di produzione Chianti Classico è tutto il territorio dei comuni di Greve in Chianti (FI), Castellina in Chianti (FI), Gaiole in Chianti (SI), Radda in Chianti (SI); parte del territorio dei comuni di Barberino Val d’Elsa (FI), San Casciano in Val di Pesa (FI), Tavarnelle Val di Pesa (FI), Castelnuovo Berardenga (SI) e Poggibonsi (SI). La DOCG Chianti è stata riconosciuta nel 1984.
E M ILIA ROM A G NA
Firenze T OSCA NA Siena UMBRIA
LA ZIO
Caratteri generali del clima Il clima della Toscana dove si produce il Chianti è estremamente variabile; oscilla da una tipologia prettamente continentale nella zona del Chianti, a una tipologia sub-litoranea nella zona verso la costa. Il clima continentale presenta temperature anche molto basse in inverno, al di sotto dei 4-5 °C ed estati siccitose con temperature anche al di sopra dei 35 °C. L’andamento meteorologico, le precipitazioni annue si attestano attorno ai 700-800 mm di pioggia, con una certa prevalenza nel tardo autunno e in primavera. Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’ambiente del Chianti Classico può essere definito morfologicamente come un altopiano, trattandosi di un complesso collinare con quota base intorno ai 280 m s.l.m. e una elevazione media non superiore, in generale, ai 450. Pedologicamente, il territorio è costituito da scisti argillosi, galestro e alberese che si alternano a qualche plaga pliocenica di sabbia e a ridottissime oasi di argilla. Vitigni Il Chianti è ottenuto da uve Sangiovese in percentuale minima del 75% a cui si aggiungono Canaiolo nero, Mammolo e altre uve a bacca rossa. Il Sangiovese è legato a un’area segnata dalla cultura etrusca, ma le prime testimonianze sulla sua origine territoriale sono della fine del 1500, a Firenze nel Trattato sulla Coltivazione delle viti del Soderini. Aspetti enologici Il processo di vinificazione dei vitigni che compongono la miscela del Chianti è il tradizionale metodo di fermentazione in rosso con una macerazione abbastanza prolungata (superiore ai 15 giorni)
Sangiovese
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vini e regioni alla quale è affidata una buona estrazione di composti polifenolici, la loro polimerizzazione per stabilizzarne il colore e la fermentazione malolattica. Dopo la svinatura e vari travasi, in vino viene affinato e invecchiato in legno. Anche per il Chianti, in questi ultimi anni ci sono state delle importanti modifiche nei disciplinari di produzione, quali l’eliminazione dei vitigni bianchi, la possibilità di utilizzo di vitigni cosiddetti internazionali (per esempio Cabernet, Merlot ecc.) e l’uso della barrique per l’invecchiamento. È stato invece abbandonato il cosiddetto “governo alla toscana” che prevedeva la rifermentazione del vino giovane attraverso l’aggiunta di uva posta ad appassire in soffitta. Per la versione Riserva, l’affinamento obbligatorio è di due anni (a decorrere dal 1° gennaio successivo all’anno della vendemmia), di cui almeno tre mesi in bottiglia.
Abbinamento vino-cibo
• A seconda della sua struttura, del
grado di invecchiamento e della sua provenienza geografica, il vino Chianti presenta una versatilità nell’accompagnare il cibo come pochi vini in Italia. Da vino quotidiano nelle versioni più semplici e beverine, fino a diventare al pari di altri vini rossi italiani, il complemento ideale per cibi saporiti e speziati della cucina toscana, quali gli antipasti di prosciutto e salumi, i primi a base di cinghiale, le fiorentine, l’arista di maiale, i formaggi pecorini stagionati
Analisi sensoriale Il Chianti presenta, all’esame visivo, un colore rubino vivace tendente al granato con l’invecchiamento. Ha un odore intensamente vinoso, talvolta con profumo di mammola e con un più pronunciato carattere di finezza nella fase di invecchiamento. All’esame gustativo risulta armonico, asciutto, sapido, leggermente tannico, che si affina col tempo, divenendo più morbido e vellutato, mantenendo nel contempo vivezza e freschezza.
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paesaggio Brunello di Montalcino DOCG Geografia Montalcino è localizzato nel cuore della Toscana meridionale a 40 km in direzione sud da Siena. Il paese, ubicato a 567 m di altitudine, è arroccato su un colle dominante le vicine valli create dai fiumi Asso a est, Orcia a sud e Ombrone a nord-ovest. Il territorio assume una forma quasi circolare con un diametro di 16 km e con una superficie di 24.000 ha. La DOCG Brunello di Montalcino è stata riconosciuta nel1980 e modificata nel 1991,1996 e 1998.
EMILIA ROMA G NA
T OSCA NA Siena Montalcino
Caratteri generali del clima Il clima del territorio della denominazione è tipicamente mediterraneo sui versanti che danno sul Tirreno, e temperato continentale nella parte che guarda la Valdichiana. Anche le precipitazioni hanno andamenti corrispondenti ai climi a cui si riferiscono, da un punto di vista quantitativo anche gli andamenti sono molto simili. Sono di norma concentrate nei mesi primaverili e tardo-autunnali (media annuale di 700 mm), ma con valori abbastanza costanti nell’arco dell’anno; il mese maggiormente piovoso è novembre con un valore medio di 102 mm di pioggia. Le temperature oscillano tra un valore medio massimo di 30 °C in luglio e un valore medio minimo di 2 °C in gennaio. La temperatura media annua si aggira su un valore di 14 °C. In inverno, al di sopra dei 400 m, non sono rare le nevicate. La vicinanza del monte Amiata (altezza 1740 m) in zona sud-est, crea una protezione naturale contro il verificarsi di eventi climatici di particolare intensità.
UMBRIA
LA ZIO
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La collina di Montalcino, essendosi formata in ere geologiche diverse, presenta caratteristiche del suolo estremamente mutevoli per costituzione e struttura, per cui è difficile fare generalizzazioni di una certa ampiezza. Le zone più basse sono costituite da terreni originatisi nel Quaternario, per trasporto di detriti con strato attivo profondo, abbastanza sciolti. Salendo, il terreno si arricchisce di scheletro, mentre lo strato attivo si riduce, essendo suoli formatisi dalla decomposizione di rocce originarie, in particolare galestro e alberese. I terreni sono mediamente argillosi, ricchi di calcare, frammisti ad ampie zone tufacee, tendenzialmente magri. La fascia di media collina dove è concentrata la maggior parte delle aziende vitivinicole, non è interessata da nebbie, gelate o brinate tardive che si possono verificare nelle zone vallive, mentre la frequente presenza di vento garantisce le condizioni migliori per lo stato sanitario delle piante. Vitigni Il Brunello di Montalcino è ottenuto soltanto da uve del vitigno Sangiovese, localmente denominato Brunello.
Sangiovese
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vini e regioni Aspetti enologici Il processo di vinificazione prevede che la fermentazione del mosto avvenga a contatto con le bucce, per un tempo abbastanza prolungato, in modo da favorire la cessione degli antociani e di tannini da parte delle bucce La fermentazione-macerazione ha una durata generalmente superiore ai 15-20 giorni. Seguono la fase della svinatura, che permette la separazione delle bucce e dei vinaccioli dal mosto-vino, quindi i travasi e l’affinamento, che deve avvenire per almeno due anni in botti di rovere o in barrique. L’invecchiamento in bottiglia deve essere di almeno 4 mesi e, per la versione Riserva, di almeno 6 mesi. L’immissione al consumo deve avvenire dopo 5 anni dall’anno della vendemmia (6 anni per il tipo Riserva). Per le sue caratteristiche, il Brunello di Montalcino è il vino che al mondo viene commercializzato con il più lungo invecchiamento, migliorando nel tempo.
Abbinamento vino-cibo
• È un classico vino da arrosti,
da selvaggina e da carni importanti alla griglia, come le bistecche alla fiorentina. Adatto anche a formaggi pecorini stagionati
Analisi sensoriale Il Brunello di Montalcino è un vino di colore granato carico, vivace. Ha profumo intenso, persistente, ampio ed etereo. Si riconoscono sentori di sottobosco, legno aromatico, piccoli frutti, leggera vaniglia e confettura composita. Al gusto il vino ha corpo elegante e armonico, nerbo e razza, è asciutto con lunga persistenza aromatica e tannini evidenti anche se ben complessati.
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paesaggio Montepulciano d’Abruzzo Geografia La zona di produzione del Montepulciano d’Abruzzo è situata in Abruzzo all’interno dei territori nelle province di Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo. La DOC Montepulciano d’Abruzzo è stata riconosciuta nel 1992; nel 1995 è stata riconosciuta la sottodenominazione Colline Teramane che nel 2003 è diventata DOCG.
Pescara L’Aquila
Chieti
Caratteri generali del clima Il clima è mediterraneo con due grandi aree: marittimo o subappenninico a est e montano continentale a ovest. Le temperature medie oscillano tra i 6-8 °C di gennaio ai 24,6 °C di luglio e agosto. Le precipitazioni sono abbastanza bene distribuite nel corso dell’anno, raggiungendo mediamente i 700 mm/anno, di cui 300400 mm nel periodo tra aprile e ottobre.
A B R U Z ZO
L AZ IO
MO LIS E
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La zona di produzione comprende i territori collinari o di altopiano, la cui altitudine non sia superiore ai 500 metri s.l.m. ed eccezionalmente ai 600 metri per quelli esposti a mezzogiorno, nonché quelli degradanti verso il mare, con esclusione dei fondovalle umidi. I suoli sono di origine marina e tettonica, calcarei nell’Appennino orientale, argillosi pliocenici e arenarie nelle zone centrali, sedimentari più o meno grossolani nei fondovalle. Il Montepulciano predilige terreni di medio impasto, profondi e ben esposti con clima tendenzialmente caldo e asciutto. Le forme di allevamento sono di media espansione con potatura medio-corta. Variano quindi dal tendone nelle vallate e altipiani, all’alberello nelle zone più antiche e alle spalliere negli impianti moderni. Vitigni Vitigno caratteristico della viticoltura abruzzese e di altre regioni del centro-sud Italia. Le sue origini sono sconosciute, anche se il nome lascerebbe presumere una sua provenienza dal territorio di Montepulciano in provincia di Siena. Da sempre il Montepulciano è stato considerato erroneamente sinonimo di Sangiovese (Prugnolo, Vino Nobile di Montepulciano), pur avendo caratteristiche e attitudini ben distinte da quest’ultimo. Anche il Molon (1906) lo colloca, anche se incerto, tra i Sangioveti. Le ampelografie ottocentesche distinguono un Montepulciano primaticcio da un Montepulciano cordisco o tardivo (il vero Montepulciano).
Montepulciano
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vini e regioni Aspetti enologici La produzione del vino Montepulciano prevede una tradizionale vinificazione con macerazione abbastanza prolungata e successivo invecchiamento in botti di legno di grandi dimensioni e barrique. Può essere prodotto in varie tipologie: rosso di pronto consumo, chiaro detto cerasuolo e anche una tipologia idonea all’invecchiamento. Spesso viene vinificato con altre varietà quali il Sangiovese e il Ciliegiolo (10-15%).
Abbinamento vino-cibo
• Vino adatto a una cucina popolare
e rustica dove la sua acidità e leggera tannicità riesce ad ammorbire le sensazioni piccanti del peperoncino. Si adatta bene sia ai salumi sapidi e speziati, sia ai primi di pasta con carne e pomodoro e ai secondi di carne arrostita o al forno, spesso ovina. Nelle versioni giovani e meno tanniche si può tentare un ardito accostamento con il brodetto di pesce alla pescarese
Analisi sensoriale Il vino ottenuto è di colore rosso rubino intenso, con lievi sfumature violacee, con tendenza all’arancione se invecchiato, dal profumo caratteristico, vinoso di sapore asciutto, fruttato, mediamente tannico, giustamente alcolico, di buon corpo, adatto all’invecchiamento.
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paesaggio Frascati DOC Geografia Il Frascati DOC è localizzato nell’area ubicata a sud-est di Roma, a partire dall’intero comune di Frascati e parte di Colonna, Montecomparti, Monte Porzio Catone e della stessa Roma.
MARCHE UM BR IA
LAZ IO Roma
Caratteri generali del clima Il clima è temperato anche se vi sono differenze importanti all’interno di un territorio collinare con zone di altitudini molto diverse, che determinano forti escursioni termiche durante il periodo della maturazione. Le precipitazioni sono di buona intensità e ben distribuite nel periodo vegeto-produttivo della vite (900-1000 mm annui).
A B R U Z ZO
Latina
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli È una viticoltura tipicamente collinare, che si sviluppa su versanti a diversa pendenza (sebbene quasi sempre dolce) ed esposizione. La forma di allevamento è il tendone che però, nei nuovi impianti, viene sostituito dalle spalliere allevate a cordone speronato. Le zone interessate alla produzione del Frascati, tra le quali i Monti Albani, sono costituite da terreni vulcanici (tufi, ceneri e pozzolane) ricchi di potassio, di fosforo, di microelementi, ma poveri di azoto e di calcio, sciolti, permeabili e profondi. Si sono formati per successive eruzioni vulcaniche testimoniate oggi dalle tracce indelebili di alcuni piccoli laghi, quali quello di Nemi e di Albano che hanno preso il posto dei coni vulcanici. Vitigni Il Frascati DOC viene ottenuto da uve Malvasia bianca di Candia e/o Trebbiano toscano in misura non inferiore al 70% con eventuali aggiunte di Greco e Malvasia del Lazio per un massimo del 30% e altri vitigni locali quali il Bellone e il Bombino. Il nome Malvasia deriva da una piccola città greca del Peloponneso, chiamata Monembasia, parola che significa “porto con una sola entrata”. Il nome originario degenerò in Malvasia e fu quindi italianizzato in Malvasia; nella lingua spagnola è diventato Malvagia e in quella francese Malvoise. A opera dei veneziani questo vitigno fu poi introdotto a Creta (Candia), dove ebbe un notevole successo nella produzione di un vino dolce e aromatico. Si distingue nettamente dall’altra Malvasia (Malvasia aromatica di Candia) per l’assenza di aromaticità nella bacca. Nel 1868, il Mendola e altri autori la identificarono con il nome di Malvasia rossa, non per il colore del frutto, che è bianco, ma per il colore caratteristico che assume il giovane germoglio. È coltivata in particolar modo nella zona dei Castelli romani, ma è presente su tutto il territorio nazionale. L’importanza va con il tempo riducendosi per la modesta
Trebbiano toscano
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vini e regioni qualità dei vini che origina, spesso amari e con una forte tendenza all’ossidazione e il suo posto viene occupato dalla Malvasia del Lazio o puntinata, così chiamata per la presenza di punteggiature più scure sugli acini.
Abbinamento vino-cibo
• È il vino della tradizione gastronomica
Aspetti enologici La tecnica di vinificazione è quella classica, detta in bianco, che prevede la fermentazione del mosto dopo la separazione delle bucce attraverso pressatura dolce delle uve. La fermentazione avviene a temperatura controllata, con l’impiego di lieviti selezionati in contenitori di acciaio. Il vino giovane subisce alcuni travasi e dopo la stabilizzazione tartarica viene imbottigliato nei primi mesi successivi alla vendemmia. È un vino che va bevuto giovane e non migliora molto con l’invecchiamento in bottiglia.
romana, nella quale i vini rossi sono quasi assenti e dove anche i piatti di carne sono accompagnati da vini bianchi. Trova nella speziata e saporita porchetta alla romana un accompagnamento perfetto, così con le carni di agnello cotte a scottadito e con i primi piatti della cucina povera popolana (la pajata) e della cultura ebraica (verdure e baccalà fritti). Nella versione dolce (Cannellino) può anche accompagnare dolci secchi
Analisi sensoriale Il Frascati DOC ha colore giallo paglierino più o meno intenso; profumo vinoso, caratteristico della Malvasia; sapore sapido, morbido, anche se di corpo, fine e vellutato, con retrogusto amarognolo. La gradazione alcolica minima è di 11 gradi. Con una gradazione alcolica minima di 11,5 gradi, può portare la qualifica “superiore”. Può essere prodotto nella versione “secco o asciutto”, con un contenuto massimo di zuccheri residui dell’1%; “amabile”, dall’1 al 3%; “dolce o cannellino” con contenuto massimo in zuccheri residui dal 3 al 6%.
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paesaggio Castel del Monte DOC Geografia Il Castel del Monte DOC viene prodotto in molti comuni che gravitano attorno al territorio collinare della Murgia, in provincia di Bari. Caratteri generali del clima Il clima è di tipo sub-litoraneo adriatico con un massimo principale a fine autunno e un minimo principale estivo. Le precipitazioni medie annue oscillano tra i 500-600 mm di pioggia, con novembre e dicembre i mesi più piovosi (73 mm). Le temperature medie massime annue sono di 24-25 °C in luglioagosto, mentre quelle medie minime sono di 8-10 °C in gennaiofebbraio. Il clima è temperato caldo, asciutto con presenza di brezze marine.
Foggia CAMPANIA
Bari P UG LIA BASILICATA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’ambiente di coltivazione si estende su dolci pendii che vanno verso il mare, a un’altitudine tra i 200 e 300 m; i vigneti sorgono in una zona calcarea e spesso sono ricavati dalla frantumazione meccanica del “cappellaccio” che ne riduce il franco di coltivazione. Sono i terreni tufaceo-marnosi, calcareo-argillosi o calcareo-silicei anche profondi, ma piuttosto asciutti, originatisi dal disfacimento carsico di calcareniti marine il cui colore grigio-biancastro contrasta con il rosso delle argille lateritiche decalcificate. Vitigni Il Castel del Monte DOC rosso si ottiene dalla vinificazione soprattutto dell’Uva di Troia, con l’integrazione di Aglianico e Montepulciano. L’Uva di Troia o il Nero di Troia, come talvolta è denominato, è un vitigno dalle origini sconosciute. Il nome può indicare la località di Troia, città della attuale costa turca, o una deformazione di Cruia, città reale albanese. Probabilmente è di origine dalmata o illira e il suo arrivo in Puglia può essere fatto risalire al periodo della costruzione del castello fedriciano di Casteldelmonte, alla quale hanno partecipato molte maestranze di quelle regioni. Aspetti enologici La vinificazione del Castel del Monte rosso è una classica fermentazione in rosso, con un tempo di fermentazione-macerazione di circa una settimana, durante la quale, oltre al controllo termico delle vasche, si praticano rimontaggi quotidiani per migliorare l’estrazione della materia colorante.
Uva di Troia
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vini e regioni Il disciplinare di produzione prevede inoltre un periodo di affinamento in recipienti di legno e, per le tipologie Riserva, è previsto un periodo minimo di invecchiamento di due anni.
Abbinamento vino-cibo
Analisi sensoriale Il Castel del Monte rosso Riserva ha un colore rosso rubino intenso tendente al granata; l’odore è intenso, persistente, vagamente etereo, fruttato con sentori di piccoli frutti rossi e confettura di ciliegie. All’esame gustativo si presenta secco, caldo, abbastanza morbido e giustamente tannico, di buon corpo ed equilibrato.
• La ricca cucina di terra pugliese
trova in questo vino un perfetto complemento. Dagli antipasti di salumi e verdure conservate, ai primi di pasta con ragù di ovini e pomodoro con le versioni più giovani, agli arrosti e grigliate di castrato e agnello, per terminare con i formaggi stagionati con le versioni Riserva
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paesaggio Taurasi DOCG Geografia La zona di produzione è localizzata nell’intero territorio di numerosi comuni della provincia di Avellino situati attorno al paese di Taurasi. La DOCG Taurasi è stata riconosciuta nel 1993.
M OL ISE P UG LIA
Caratteri generali del clima Il clima della Campania varia da zona a zona, sia per l’influenza esercitata dalle alture sulle piogge, sulle temperature e sugli elementi del clima, sia per la direzione dei rilievi, sia per la distanza dal mare. La zona litoranea ha temperature medie annuali intorno a 16 °C, le regioni appenniniche hanno medie molto più basse che vanno da 8 °C a Montevergine (Avellino 1270 m s.l.m.) a 14 °C a Benevento (135 m s.l.m.). Le piogge più abbondanti si verificano nelle zone più alte (2000 mm/anno), mentre le minime (800-1000 mm/anno) compaiono nelle zone costiere. I massimi di piovosità si hanno nei mesi autunnali e invernali e minimi in estate. Nella zona avellinese, le temperature sono alquanto deficitarie per l’Aglianico che riesce a raggiungere un eccellente grado di maturazione grazie alla vendemmia molto tardiva.
Avellino
BASILICATA CAM PA NIA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’Aglianico mostra un buon adattamento ai diversi ambienti della collina irpina, prediligendo suoli argillosi di bassa fertilità purché non soggetti a carenze idriche e ben esposti. Sono però terreni freddi che ritardano la maturazione dando così luogo alla produzione di vini con acidità tendenzialmente elevate. Intorno a Taurasi, la zona di maggior elezione è la Valle del Calore e Mondragone, con colline medio alte, tra i 400 e i 600 m. La varietà presenta infatti una scarsa capacità di adattamento fisiologico a cicli successivi di siccità e di umidità che, in fase di maturazione, provocano la spaccatura degli acini e la conseguente infezione di Botrytis. Vitigni L’Aglianico viene citato fino dal 1596 dal Bacci e dalla tradizione neogeorgica era considerato espressione della cultura magnogreca, al tempo della fondazione delle loro colonie nel VI-VII secolo a.C. Forse è il vitigno con il quale i romani producevano il Falerno. Vi è anche un’ipotesi che il nome derivi dal greco aglianos, chiaro, e agliaia, splendente. Inoltre, la denominazione aglianico potrebbe risalire allo spagnolo llano = piano/pianura da cui “uve del piano”, quindi originato dalla domesticazione di vite selvatiche. L’Aglianico rappresenta una delle varietà campane di più ampia diffusione regionale, essendosi adattato agli ambienti geoclimatici più diversi, sia di pianura sia di collina, purché caratterizzati da somme termiche elevate. È questo il motivo della sua odierna diffusione verso l’Italia meridionale e della sua limitata presenza
Aglianico
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vini e regioni oltre i confini settentrionali della Campania. La coltivazione secolare della varietà ha selezionato diversi biotipi di Aglianico, che caratterizzano differenti aree di coltivazione: l’Aglianico amaro o del Taburno nelle province di Benevento e Caserta, l’Aglianico di Taurasi nella provincia di Avellino, l’Aglianicone (o Ciliegiolo) nella provincia di Salerno, l’Aglianichello nelle province di Napoli e Salerno, l’Aglianico del Vulture in Basilicata.
Abbinamento vino-cibo
• La cucina di terra della Campania
si basa soprattutto sull’utilizzo della carne di maiale. L’Aglianico nelle sue espressioni di maggiore o minore invecchiamento, così nelle tipologie a diversa macerazione con le vinacce, accompagna i diversi piatti dell’entroterra campano dall’antipasto di salumi, ai primi con ragù di carne fino agli arrosti e ai caciocavalli prodotti con latte di vacca modicana
Aspetti enologici Il vino viene ottenuto da una classica trafila di vinificazione in rosso. A causa dell’elevato contenuto in tannini dei semi e della buccia, le macerazioni devono evitare la produzione di vini eccessivamente astringenti, così, a causa della forte acidità, deve essere sempre favorita la fermentazione malolattica. La maturazione in legno avviene sia in botti grandi sia in barrique. Il vitigno Aglianico deve essere presente in quantità non inferiore a 85% e il vino deve avere un titolo alcolimetrico minimo di 12% (12,5% per la riserva). Possono concorrere alla produzione del vino altri vitigni complementari quali il Piedirosso e la Siriaca. L’affinamento deve essere minimo di 37 mesi dei quali almeno 12 in botte; per la riserva l’affinamento deve essere di 49 mesi dei quali 18 in botte. Analisi sensoriale All’esame visivo, il Taurasi si presenta di colore rosso rubino intenso con riflessi granata e ha un profumo intenso, persistente, di frutta rossa. Ha un sapore secco, caldo, abbastanza morbido, giustamente tannico, robusto di corpo con sentore di liquirizia e di amarena sotto spirito.
Foto G. Cortese
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paesaggio Cannonau di Sardegna
Sassari Alghero
Geografia Comprende l’intero territorio della Sardegna. La sottodenominazione tradizionale “Oliena o Nepente di Oliena” è riservata al Cannonau di Sardegna proveniente da uve prodotte e vinificate nell’intero territorio comunale di Oliena e in parte di quello di Orgosolo, in provincia di Nuoro.
Olbia
Nuoro
Caratteri generali del clima Il clima che investe la piana di Orosei, sulla costa orientale e tutta la fascia litoranea meridionale è di tipo sub-tropicale. Le precipitazioni medie annue si aggirano su valori di 400 mm e comunque non superiori a 700 mm, con i mesi più piovosi in novembre-dicembre. La temperatura media annua è superiore a 17 °C, quella del mese più freddo non scende mai al di sotto di 10 °C e vi sono almeno 4 mesi con temperatura media superiore a 20 °C.
Oristano SARDEG NA Cagliari
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’isola presenta una grande varietà di suoli: dalle rocce metamorfiche e granitiche della Gallura a quelle sedimentarie marine e continentali del terziario del Campidano. Ne deriva una grande varietà di vini dalle caratteristiche sensoriali molto diverse, soprattutto per l’intensità del colore, per la struttura e per l’attitudine all’invecchiamento.
Foto Vivai Rauscedo
Vitigni Il Cannonau si ritiene sia stato importato durante la dominazione spagnola dal XV al XVIII secolo dall’Aragona. Si sono riscontrate, a conferma di questa ipotesi, affinità dal punto di vista ampelografico con varietà iberiche come la Cannonanza e la Granaxa. Recentemente è stato confermato attraverso indagini ampelografico-molecolari, che il Tocai rosso, l’Alicante, il Gamay perugino, e il Cannonau sono un unico vitigno, che nel mondo è conosciuto e diffuso col nome di Grenache. Originario dell’Aragona, si è diffuso dapprima in Roja e Navarra e quindi nel Roussillon, dominato dal regno di Aragona fino dal 1659. Nel XIV secolo è citato in documenti mercantili della Sardegna, un vino chiamato Vermyle che è forse il Cannonau di origine catalana proveniente da vigneti allevati “a sa catalano”, cioè ad alberello. La prima citazione di un vino con una denominazione simile a Cannonau è del 1612, relativa a un vino sardo inviato al re Filippo I. Il nome potrebbe derivare dal greco kanonizo = valore di riferimento, usato quindi come valore di scambio. Aspetti enologici Il Cannonau viene vinificato con una tradizionale vinificazione in rosso, oppure può essere vinificano in rosato, e infine può esse-
Cannonau
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vini e regioni re sottoposto a sovramaturazione in pianta, dando origine a vini liquorosi e alcolici. Abbinamento vino-cibo
Analisi sensoriale All’esame visivo, il Cannonau di Sardegna rosso si presenta di colore rosso rubino più o meno intenso, tendente all’arancione con l’invecchiamento. Ha odore gradevole, leggermente sapore secco, sapido e amarognolo. La gradazione minima deve essere di 12,5 gradi. Il Cannonau di Sardegna rosato ha colore rosa brillante, odore gradevole e caratteristico, sapore secco, sapido e caratteristico. La gradazione minima deve essere di 12,5 gradi.
• È il vino che accompagna
le carni soprattutto suine e ovine dell’isola, cotte alla brace. Viene anche usato per accompagnare i famosi formaggi pecorini di buona stagionatura e i succulenti arrosti e salmì di cinghiale
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paesaggio Cirò DOC BASILICATA
Geografia La denominazione di origine Cirò ricade all’estremo nord della provincia di Crotone, nella parte ionica della Calabria. È esteso su circa 20.000 ha, compreso entro i confini comunali di Crucoli, Cirò, Cirò Marina e Melissa.
PUG LIA
Cirò
Caratteri generali del clima L’area viticola di Cirò è caratterizzata da un clima mediterraneo, la cui caratteristica saliente è il regime pluviometrico a massimo precipitativo autunno-vernino-primaverile e minimo estivo molto pronunciato. L’andamento delle precipitazioni è opposto rispetto a quello delle temperature e della radiazione (i cui massimi sono ovviamente raggiunti nel periodo estivo) e di conseguenza dell’evapotraspirazione. In tale tipo di clima, la limitazione fondamentale è dunque quella idrica con il conseguente ricorso all’irrigazione, mentre molto abbondanti sono le risorse termiche e radiative.
Crotone CALAB R IA
S IC I LIA
Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli L’areale di coltivazione è costituito da formazioni argilloso-calcaree, da formazioni sabbiose o conglomerati di origine continentale formatisi abbastanza recentemente (dal Miocene), per fenomeni di subsidenza e di sedimentazione marina. Dalla Sila inoltre, per l’azione dei fiumi, sono giunti materiali di origine intrusiva e metamorfica. Il comprensorio presenta quindi una grande variabilità pedo-ambientale: si passa da tipologie caratterizzate da tessitura fine e ricche di carbonato di calcio a tipologie grossolane calcio-carenti e acide; da suoli poco profondi e limitati a suoli profondi e freschi. La grande parte della viticoltura attorno a Cirò Marina e prospiciente il mare è installata su suoli costituiti da sabbie e conglomerati bruno-rossastri di Età pleistocenica. Vitigni Il Gaglioppo è il vitigno quasi esclusivo utilizzato per il vino Cirò. La sua origine è probabilmente greca, come testimoniano il ruolo avuto dalla città di Crotone nello sviluppo della Magna Grecia e per le citazioni di epoca classica, relative all’omaggio che veniva fatto con questo vino ai vincitori delle gare olimpiche. Diffuso con i suoi sinonimi in una vasta zona della costa adriatica meridionale, dalle Marche fino alla Calabria. È coltivato anche in Umbria e in Campania e marginalmente anche in Sicilia, quasi esclusivamente nella zona di Messina. Si avvicina dal punto di vista genetico al vitigno Frappato e come questo dà origine a vini alcolici, aromatici, ma poveri di colore.
Gaglioppo
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vini e regioni Aspetti enologici Il Cirò nelle tipologie rosso e rosato è prodotto con uve Gaglioppo per almeno il 95%, con l’eventuale aggiunta di uve di altri vitigni calabresi sia bianchi (Greco bianco, Montonico) sia rossi (Magliocco, Arvino, Greco nero). La vinificazione in rosso viene condotta in recipienti con il controllo della temperatura, evitando macerazioni troppo prolungate per evitare di far cedere al vino troppi tannini che darebbero un tono amaro e astringente. L’invecchiamento non è di norma molto prolungato e si realizza in parte in acciaio e in parte in legno.
Abbinamento vino-cibo
• Si accompagna molto bene ai piatti
saporiti e piccanti della cucina calabrese di terra, dagli antipasti di salumi al peperoncino, ai primi di pasta con sughi di carne e pomodoro, ai secondi di carne soprattutto ovina, arrosto e alla griglia e agli straordinari formaggi di pecora stagionati, il canestrato crotonese, in primis
Analisi sensoriale Il Cirò rosso a base di Gaglioppo dà un vino rosso rubino, più o meno carico, con unghia gialla se invecchiato, intensamente vinoso, speziato, alcolico, fresco, di corpo, talvolta leggermente tannico, suscettibile di miglioramento con un leggero invecchiamento.
Foto R. Pastore
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paesaggio Etna rosso DOC
SIC ILIA
Geografia L’area di produzione interessa parte del territorio dei comuni di Aci, Sant’Antonio, Acireale, Belpasso, Biancavilla, Castiglione di Sicilia, Giarre, Linguaglossa, Mascali, Milo, Nicolosi, Paternò, Pedare, Piedimonte Etneo, Randazzo, Sant’Alfio, Santa Maria di Licodia, Santa Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana Etnea, sulle pendici dell’Etna, in provincia di Catania. Catania
Caratteri generali del clima L’area rientra nella zona macroclimatica viticola di tipo anticiclonico. Le temperature medie estive sono di 22,5-26,5 °C e le medie invernali di 8-12,5 °C; le precipitazioni medie annue sono intorno a 1200-1300 mm. La piovosità annua è buona, per effetto degli effetti orografici indotti dall’Etna; il regime pluviometrico annuale presenta il minimo estivo (giugno-agosto) e massimo autunno-vernino (ottobre-marzo), tipici degli areali mediterranei. La percentuale delle precipitazioni nel periodo invernale (ottobremarzo) consente di classificare il clima come pienamente mediterraneo. Ambiente di coltivazione e caratteristiche dei suoli La viticoltura etnea rappresenta un raro esempio di viticoltura arcaica, sopravvissuta anche alle distruzioni della fillossera. Ne sono testimonianza i terrazzamenti spesso imponenti, gli alberelli molti dei quali ancora franchi di piede, i palmenti in pietra lavica, inseriti spesso in cantine dalle soluzioni tecniche geniali. La natura del terreno è strettamente legata alla matrice vulcanica. Esso si è formato soprattutto dall’accumulo e dalla successiva alterazione di diversi materiali eruttivi quali ceneri, sabbie, lapilli e pomice.Sono suoli generalmente sciolti, a reazione sub-acida, ricchi di microelementi e poveri di azoto e calcio. Vitigni Il vitigno da cui origina il vino è il Nerello mascalese, il cui luogo di origine si presume sia la Piana di Mascali, alle falde dell’Etna, dove questa varietà è coltivata da oltre quattro secoli con il nome di Niureddu. Presenta un’elevata variabilità intravarietale, con molti biotipi che presentano acini che hanno difficoltà a maturare. È un vitigno a maturazione tardiva, non molto ricco di antociani, che si adatta bene alla potatura a sperone dell’alberello. Aspetti enologici Il Nerello mascalese viene utilizzato per la vinificazione, raramente da solo, ma assieme ad altre uve, anche bianche quali il Carri-
Nerello mascalese
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vini e regioni cante e la Minnella. Può essere vinificato in assenza di vinacce, dando la famosa “pesta in botte”, della zona dell’Etna, oppure a contatto delle vinacce per l’ottenimento di vini rossi tradizionali. Il rosso e il rosato sono ottenuti con almeno l’80% di uve di Nerello mascalese e di Nerello mantellato in percentuale non superiore al 20%, con l’eventuale aggiunta di altri vitigni a bacca bianca delle zona non aromatici, per un massimo del 15%.
Abbinamento vino-cibo
• Per la sua eleganza e morbidezza
i vini di Nerello mascalese, soprattutto se invecchiati non si prestano solo ad abbinamenti consueti quali le carni di agnello o di castrato e i formaggi vaccini e di pecora stagionati, ma anche a piatti di pesce in preparazioni saporite e piccanti e a torte di verdure etnee, nelle quali giocano un ruolo importante non solo i prodotti degli orti vulcanici, ma i formaggi a diversa stagionatura, le acciughe salate, le olive
Analisi sensoriale Il vino è di colore rosso rubino abbastanza carico, tendente all’aranciato nei vini invecchiati, dal profumo caratteristico di viola, mediamente acido, tannico, abbastanza armonico e gradevole. Con l’invecchiamento i profumi aumentano di intensità e gradevolezza e compare una nota minerale, molto originale.
Foto R. Angelini
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la vite e il vino
paesaggio Paesaggio e cultura Riccardo Pastore
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
paesaggio Paesaggio e cultura Territori del vino: pluralità di significati e valori Il concetto di “territorio”, coniugato con quello di “vino”, costituisce un potenziale culturale, valoriale e simbolico di straordinaria ricchezza e di grande complessità. Si pensi, in primo luogo, al vino. Sui principali dizionari o enciclopedie, il termine “vino” è più o meno descritto nel modo seguente: bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione del mosto d’uva (vinificazione) con conseguente conferimento al prodotto di specifiche caratteristiche organolettiche. Ma naturalmente un prodotto che può vantare diverse migliaia di anni di storia, per il quale si sono aperti itinerari terrestri e marini di migliaia di chilometri, si sono combattuti conflitti militari europei e conflitti commerciali planetari, che attraversa in modi talora contraddittori le grandi religioni monoteiste, è qualcosa di più di un prodotto chimico con particolari caratteri organolettici. Se ogni “cosa”, anche la più semplice, è comunque sempre anche un “simbolo”, è difficile pensare a una “cosa” che sia più ricca di significati simbolici del vino. Il vino è prodotto della scienza e della tecnica, ma è anche mito e cultura; è strumento di piacere e salute ma anche di possibile danno. È simbolo di desiderio, di status (dai sacerdoti dell’antico Egitto alle quasi inaccessibili “boutique del vino” della Fifth Avenue di Manhattan), ma anche di liberazione, di trasgressione, di conoscenza reale che sta sotto le apparenze (Nell’ebbrezza dionisiaca vince la strategia della verità, Platone, Il Simposio). Il vino ha dato all’uomo forse la prima lezione di ecologia (spingendo l’uomo del Mediterraneo a coltivazioni che alcuni millenni dopo si sarebbero chiamate “viticoltura eroica”) e di biochimica (spingendolo a interrogarsi sul perché dei processi di
Significati del vino
• Se ogni cosa, anche la più semplice,
è comunque sempre anche un simbolo, è difficile pensare a una cosa che sia più ricca di significati simbolici, culturali e valoriali del vino
Il Mercante di Venezia
• ... sol fortunata in questo,
di non essere ancora tanto vecchia da non essere più in grado d’imparare; ... più fortunata ancora per non essere cresciuta tanto stupida da non essere capace d’imparare
(dal dialogo fra Porzia e Bassanio, W. Shakespeare)
Vigneti in Calabria
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paesaggio e cultura trasformazione di una materia di partenza in uno splendido “altro da sé” in soli pochi mesi). Ha spinto in avanti l’uomo sulla strada del sapere, ma talora lo ha frenato con l’abbruttimento dell’alcolismo. Oggetto del canto del poeta greco Alceo, ma anche della vergogna di Noè, delle benevole prescrizioni dei medici salernitani (“La Regola Sanitaria salernitana”), ma anche delle asperrime e secolari contese fra inglesi e francesi, il vino è intrinsecamente difficile da definire e identificare con alcuni concetti comuni e condivisi se non, paradossalmente, proprio richiamando la sua natura ambivalente, contraddittoria. È difficile pensare a qualcosa che sia stato così a lungo e in così tante culture vicino e anzi intimamente intrecciato alla vita dell’uomo, alla sua storia e alla sua cultura (quella “materiale” e quotidiana non meno di quella “alta”, se la distinzione ha un senso) e, nel contempo, così inafferrabile e indefinibile. Se poi passiamo al “territorio”, e lo decliniamo in particolare con il suo prodotto più bello e misterioso – il vino – le difficoltà concettuali e semantiche aumentano esponenzialmente. Si pensi al differente significato che vi potrebbe essere attribuito da un produttore vitivinicolo, un produttore di mezzi tecnici per l’agricoltura, un commerciante, un agronomo, un economista, un ecologista, un urbanista ecc. Se dovessimo tentare di definire a grandi linee che cosa è un territorio ci troveremmo dunque di fronte a una vasta pluralità di significati. Una loro tassonomia trascende gli obiettivi di questo lavoro, ma alcune riflessioni sintetiche possono essere utili. In primo luogo un territorio può essere identificabile quando è la sede di alcune “omogeneità”. Se ne sottolineano almeno tre: omogeneità “fisiche”, omogeneità di presenza antropica, omogeneità “storicoculturali”. Ne derivano tre diversi modi di leggere il territorio:
Significati del territorio I territori del vino hanno una pluralità di significati:
• dai più tradizionali – territorio “spazio fisico” – territorio “spazio antropico” – territorio “valori, storia, cultura”
• ai meno consueti: – territorio-produttore – territorio-filiera – territorio-istituzione
Locorotondo (BA) Valle di Cembra (TN)
201
paesaggio –
territorio come spazio fisico, cioè delimitazioni geografiche, orografiche, paesaggio fisico (che, per quanto storicamente e culturalmente interpretate, possono rappresentare una base relativamente oggettiva di riferimento per la delineazione e definizione di “spazi” e “aree” relativamente omogenee); – territorio come spazio antropico, cioè luogo caratterizzato dalla continuità nel tempo di una certa presenza dell’uomo, del suo modo specifico di insediarsi in una certa area o località; – territorio come insieme di valori, storia, cultura, come conseguenza della dinamica e stratificazione nel tempo della presenza antropica in un determinato spazio fisico. Quest’ultimo aspetto include anche il concetto di “cultura tecnologico-produttiva” stratificatasi in un certo territorio come espressione di una particolare forma di economia: agricola, agroindustriale, artigiana ecc. (si pensi a certe aree storicamente vitate da secoli e alla generazione, in loco, di una specifica cultura vitivinicola e allo sviluppo delle relative tecniche). Ma oltre a questi significati relativamente comuni, nel caso dei territori del vino altre declinazioni del concetto (simboliche, virtuali) possono utilmente integrare quelle più tradizionali. Per esempio: – il territorio-produttore: per un’azienda viticola il “territorio” è soprattutto il luogo di provenienza delle uve, cioè della interazione produttore-ambiente. In particolare per una cooperativa (Cantina Sociale) esso è il luogo (fisico e culturale) della presenza della base sociale e della stratificazione della cultura produttiva dei suoi soci. In modo emblematico si può dire che per una Cantina Sociale il territorio è il socio e, specularmente, il socio è il territorio; – il territorio-filiera: il territorio di una realtà vitata è anche il modo in cui essa è valorizzata dalla filiera a valle (cioè la distribuzione, specializzata e non, enoteche, ristorazione ecc.); sono
Rapporto vino-territorio
• L’angolo di visuale di questo rapporto
è quello di coniugare il “vino” nelle sue dimensioni produttive, commerciali e culturali con il “territorio” in alcuni dei suoi significati e valori più sintonici con il vino, leggendone le implicazioni sia interne al settore sia insieme con altri settori, in particolare quello turistico
Paesaggio agrario italiano
• “Il paesaggio agrario non è un
paesaggio naturale, ma è quella forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” (Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, 1961, Laterza)
Gambellara (VI)
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paesaggio e cultura loro che comunicano l’immagine dei vini di quel territorio (per esempio dei vini derivanti dalla “zonazione”). Quindi la qualità percepita di un territorio vitato è data anche dalla trasparenza ed efficacia della filiera nel trasmetterla a valle (clienti intermedi e finali, opinion leader ecc.); – il territorio-istituzione: il territorio è anche l’immagine complessiva generata dalle “politiche territoriali” perseguite dalle Istituzioni locali (Enti Locali nelle varie articolazioni, Agenzie di Promozione Turistica, Camere di Commercio ecc.) e dalla maggiore o minore incisività delle loro iniziative promozionali. In questi ultimi anni in particolare gli Enti Locali hanno svolto un ruolo di crescente intervento nella valorizzazione dei territori del vino: a volte più lungimirante ed efficace, a volte meno, con conseguenti ricadute sull’immagine dei rispettivi territori. L’angolo di visuale di questo specifico contributo al tema generale trattato in questa pubblicazione sarà dunque quello di coniugare il “vino” (nelle sue dimensioni produttive, commerciali e culturali) con il “territorio” (in alcuni dei suoi significati più sintonici col vino) declinando le implicazioni di tale straordinario binomio e leggendole dal punto di vista della valorizzazione e della promozione sia all’interno del settore stesso, sia in relazione alle potenzialità di sviluppo in rapporto con altri settori, in particolare il settore turistico. Dunque una valorizzazione più “interna” ai territori del vino, che riguardi il ruolo svolto dalla cultura tecnico-scientifica, dalle aziende e dalle Istituzioni locali per innalzare le potenzialità qualitative intrinseche dei territori. E una valorizzazione più “esterna”, cioè più diretta a portare fuori e far percepire “il bello e il buono” dei territori del vino e dunque più giocata sugli strumenti promozionali e comunicazionali. Questo esercizio è ben lungi dall’essere un puro esercizio intellettualistico di interesse solo per pochi cultori del
Jerzu (NU)
Torre Salsa, Sciacca (AG)
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paesaggio prodotto in questione o fruitori del suo territorio. In realtà siamo di fronte a importanti tendenze economiche e culturali che influenzano significativi segmenti di mercato, aree produttive sempre più grandi, forme di turismo sempre più varie. Promozione del vino e marketing territoriale stanno diventando sempre più due facce della stessa medaglia, due aree produttive e di mercato che presentano sempre maggiori contiguità e interazioni. Infatti, la valorizzazione dei territori caratterizzati da una rilevante presenza di produzioni vitivinicole e, per converso, la promozione di vini provenienti da territori caratterizzati da particolari qualità paesaggistiche o ricchi di valenze storico-culturali presentano, da qualche tempo, un livello crescente di integrazione. La promozione del vino allora diventa un approccio culturale razionale per generare “differenziazione” di offerta rispetto alla banalizzazione delle produzioni standardizzate delle economie di scala industriali e per proporre un prodotto/servizio/sistema articolato costituito da una attenta interazione di elementi “materiali e misurabili” con elementi “immateriali e simbolici” che ruotano attorno alla cultura del vino e alla “qualità” dei territori a esso vocati. Analogamente, la valorizzazione delle realtà ambientali di particolare attrattività (il cosiddetto marketing territoriale) sta facendo un passo in avanti rispetto a tanta promozione turistica standardizzata, ormai insufficiente a descrivere la storia e le potenzialità di importanti territori, soprattutto verso le nicchie di fruitori del cosiddetto “turismo sostenibile”. È dunque necessario integrare sempre più le immagini da “gradevole cartolina” con elementi della cultura materiale come per esempio il mulino, il frantoio, il museo a cielo aperto e soprattutto la vigna e la cantina. Allora la promozione del territorio è anche recupero e diffusione della storia e della cultura di un ambiente e della sua gens e la cultura è anche “cultura produttiva”. E qui il cerchio si chiude: marketing vitivinicolo e promozione territoriale trovano crescenti interazioni e ampie “fertilizzazioni reciproche”. È il tema delle pagine che seguiranno.
Ecocompatibilità
• Le “categorie” in cui si può declinare il
concetto di ecocompatibilità sono assai differenziate e vanno dalla applicazione intransigente e restrittiva di pratiche agronomiche non legate ad alcun input di natura sintetica, a pratiche più elastiche sotto questo aspetto, ma molto più diffuse e realisticamente accessibili a livello di massa, sia dal lato della produzione (offerta) che da parte del consumo (domanda), come le varie forme di lotta guidata, integrata, biologica ecc.
Valorizzazione dei territori del vino: metodologie, strumenti, esperienze
Monte S. Pietro (BO)
Valorizzazione interna: il ruolo della cultura tecnico-scientifica e delle istituzioni Questa parte viene sviluppata toccando tre temi convergenti nella “valorizzazione interna” dei territori del vino e cioè: – la necessità di una gestione sempre più rispettosa dei territori del vino (la cultura delle compatibilità ambientali); – l’impiego di uno strumento tecnico a fini di innalzamento della “qualità ambientale” (la zonazione vitivinicola); – il ruolo che possono svolgere gli Enti Locali innovativi per un equilibrato sviluppo territoriale (i Piani regolatori e i Piani strutturali delle Città del Vino).
Valori dell’ecocompatibilità
• L’ecocompatiblità, da valore ambientale
e culturale, sta sempre più assumendo anche un valore produttivo e di mercato
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paesaggio e cultura Necessità di una gestione rispettosa dei territori del vino Il termine “ecocompatibilità” si è affacciato piuttosto di recente nella cultura di massa (non più di 12-15 anni nel nostro Paese, un po’ di più in altri Paesi sviluppati) uscendo dal ristretto linguaggio degli “addetti ai lavori” e diffondendosi anche nel linguaggio comune. Esso esprime un valore ambientale e culturale che sta diventando sempre più anche “valore produttivo” e di mercato. O questa, per lo meno, è l’aspirazione congiunta sia dei produttori più innovativi e attenti alle innovazioni culturali e di mercato nel medio termine, sia dei consumatori e fruitori attenti a selezionare prodotti più vicini alle loro sensibilità ed esigenze culturali non meno che di consumo diretto. E nel caso del vino, soprattutto se di qualità, questi due livelli sono largamente sovrapposti. Lo stesso settore viticolo, che per varie ragioni è stato fino a poco tempo fa relativamente ai margini di tale tendenza, ne è stato progressivamente investito negli ultimi tempi e ha presentato importanti esperienze di “viticoltura sostenibile”. Certo non siamo ancora vicini a una diffusa cultura della produzione eco-compatibile e del relativo “consapevole consumo”, ma sforzi seri in questo senso si stanno compiendo ovunque. Un rapporto più sinergico e meno conflittuale di quanto non sia stato finora quello tra agricoltura e ambiente, tra produzione agricola e produzione di paesaggio e sua conservazione, può essere determinato sia dalle pratiche di un impiego selettivo, decrescente
Esigenze di una agricoltura ecocompatibile
• Una agricoltura realmente eco-
compatibile richiede “più scienza” e non “meno scienza”, “più organizzazione” e non “meno organizzazione” dell’agricoltura convenzionale. Essa comporta un approccio scientifico complesso e capace di una “lettura sistemica” dell’azienda agricola nei suoi rapporti con il suo contesto economico ed ecologico-ambientale di riferimento
Valle di Cembra (TN)
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paesaggio e mirato di mezzi tecnici (fertilizzanti, agrofarmaci ecc. di origine sintetica) ma, soprattutto, da un diverso e più avanzato modo di intendere il rapporto uomo-natura-tecnologia (e quindi cultura). Non è quindi certo escluso, nel concetto e nella pratica “eco-compatibile” in senso lato, un uso attento e selettivo di input energetici e chimici esterni, purché nell’ambito di un razionale sistema di governo di tutti i flussi produttivi e con una dinamica volta decisamente a una specifica finalizzazione e tendenziale ridimensionamento. Non dunque una repentina e pretenziosa “autarchia energetica” (praticabile – forse – in comunità agricole estremamente piccole o in modelli sperimentali), ma modelli di comportamento eco-compatibile per “gestire la transizione” (una lunga transizione!), che è il tema cruciale di ogni economia agricola (e anche vitivinicola) in questo periodo. Anche nel settore vitivinicolo, che presenta differenze rilevanti nel tipo di coltivazione e trasformazione rispetto ad altri settori (per esempio molti comparti del settore ortofrutticolo), si sono avuti interessanti passi in avanti. In alcune regioni non è mancato, come stimolo per i produttori – soprattutto i meno sensibili all’innovazione – un supporto di tipo normativo (Disciplinari di produzione, Protocolli di intesa ecc.). Se gli elementi di differenziazione fra le varie categorie della produzione agricola (e vitivinicola) “eco-compatibile” sono numerosi come sopra accennato, vale però la pena di individuare invece alcune caratteristiche generali che accomunano, sia sotto il profilo teorico che pratico, i vari processi della produzione, trasformazione e marketing di prodotti che sia pur genericamente possono collocarsi nell’area dell’ecocompatibilità. Eccole in sintesi: – Una crescente consapevolezza della limitazione delle risorse naturali essenziali: siano esse interpretabili in senso strettamente fisico ed economico come “fattori produttivi” (terra, acqua, ele-
Valle del Belice (TP)
Langhe (CN)
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paesaggio e cultura menti agronomici fondamentali ecc.) sia, in una più vasta accezione, come fattori di “benessere sociale” (qualità dell’ambiente, gradevolezza del paesaggio ecc.), aspetti di particolare rilevanza e valore nel nostro Paese anche per la loro evidente sinergia con i modelli e le opportunità di fruizione turistica “sostenibile” (soprattutto per le aree vitate). – Una attenzione nuova alla variabile “tempo” cioè una visione che progressivamente si amplia sui tempi medio-lunghi e non è solo concentrata sulle esigenze di produttività ed economicità a breve (pur ovviamente importanti): è questo un aspetto di particolare rilievo perché comporta l’assunzione di modelli culturali in cui prevale “la strategia” sulla “tattica”, la programmazione dello sviluppo sullo sfruttamento a breve delle sole opportunità contingenti. – Il progressivo affermarsi di una visione sistemica. L’agricoltura intensiva tradizionale o “convenzionale”, come si usa dire, che peraltro ha conseguito risultati inimmaginabili in altre epoche in termini di produttività e disponibilità di prodotti agricoli (e certamente anche vitivinicoli), si muove secondo un solo parametro essenziale di riferimento (è la sua forza e nel contempo il suo limite): la massimizzazione di uno o pochi fattori produttivi (al centro c’è l’incremento di produttività del fattore terra ) sulla base di una ferrea “logica della quantità”. In questo senso essa è abbastanza “semplice” nei suoi paradigmi tecnici ed economici. L’agricoltura eco-compatibile nella accezione che, sia pur molto schematicamente si è sopra ricordata, si pone per sua natura sempre più all’incrocio tra scienze, discipline, pratiche diverse, appare cioè un po’ più “complessa”. In essa vi prevale (per lo meno nelle sue concezioni più elevate) non la massimizzazione di un fattore ma la ottimizzazione, nel tempo, di un sistema assai articolato in cui l’attenzione è sempre più portata sulle interazioni fra i fattori e i fenomeni nel breve, nel medio e nel lungo termine. Essa pertanto richiede, contrariamente a una visione un po’ rozza che talora ancora prevale, più scienza e non meno scienza. Essa comporta cioè un approccio scientifico complesso e capace di una lettura per l’appunto “sistemica” dell’azienda agricola nei suoi rapporti con il suo contesto economico ed ecologico-ambientale di riferimento (e, per un numero crescente di aziende, in particolare vitivinicole, anche turistico). – La necessità dello sviluppo di modelli co-operativi, cioè di ampia “messa in comune” e sinergizzazione di risorse, competenze, know-how tra i vari soggetti coinvolgibili in progetti di sviluppo: ciò, in qualche misura, è un corollario derivante dalla riconosciuta e tendenziale “scarsità” dei fattori critici esplicitata al primo punto. Questo è un aspetto molto importante per quanto riguarda la gestione delle attività legate al rapporto agricoltura/viticoltura-ambiente, in quanto riguarda le necessarie sinergie – da costruire e mantenere – fra i vari operatori economici, scientifici, istituzionali coinvolgibili (che spesso partono da interessi e posizioni lontane e conflittuali).
Cinque Terre (SP)
Vigneti a St. Magdalener, Alto Adige
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paesaggio Tutto ciò premesso si possono fare due affermazioni finali, di particolare interesse per le nostre riflessioni sulle tendenze di fondo collocate “all’incrocio” tra produzioni agricole, in particolare vitivinicole, ecosistema e sua valorizzazione, anche turistica. – Gli approcci scientifico-culturali e le applicazioni concrete della “agricoltura eco-compatibile” non possono più in alcun modo essere considerati come l’esercitazione intellettuale di qualche gruppo di ricercatori o l’iniziativa “sperimentale” di qualche operatore innovativo. Al contrario essi, sia pur nella diversità delle metodologie, approcci e tecniche di processo utilizzate, rappresentano un nuovo paradigma produttivo e delineano un realistico nuovo modello di agricoltura dei prossimi anni/decenni. In essa il “territorio” non è più visto come un fattore da “sfruttare” (come è stato per molto tempo), quanto come una essenziale “risorsa” da valorizzare. Il settore del vino, che da alcuni anni sta facendo tesoro di questa scoperta e di questo approccio – almeno in alcune aree del Paese e per alcune tipologie di produttori – è esempio brillante di una tendenza che riguarda un numero crescente di altri comparti produttivi – Inoltre, se ragioniamo anche dal punto di vista del mercato e del consumatore, la “ecocompatibilità” assume sempre di più la caratteristica di un “valore di mercato”: infatti la domanda di prodotti che assommino alla “sanità intrinseca” dei processi anche la “salvaguardia degli ecosistemi” da cui provengono è crescente. Nell’immaginario individuale e collettivo questa valenza è sempre più evidente e comincia a essere anche remunerata. Infatti un numero sempre più elevato di clienti/consumatori si sente più gratificato se viene soddisfatto con un prodotto/servizio/sistema complesso e cioè: uno o
Foto AgriLinea
Romagna
Alcamo (TP)
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paesaggio e cultura più prodotti agricoli di qualità (o loro trasformazioni agroalimentari (come per esempio un vino) + un gradevole ambiente di riferimento (un “ecosistema” ragionevolmente integro) + un insieme di significati culturali e valori storico-simbolici a esso connessi. Tale domanda, come di seguito verrà meglio esplicitato, è crescente: non siamo di fronte a una moda passeggera (come dimostrato ormai da numerose ricerche), ma a un “trend socio-culturale” e alle sue non ancora amplissime ma già “tenaci” implicazioni produttive e di mercato.
Fasi dell’attività di zonazione
• Analisi delle caratteristiche
ambientali del vigneto (o dell’area considerata) e del suo terroir sotto il profilo pedologico, chimico-fisico, climatologico ecc.
• Diagnosi di opportune ed efficaci
Zonazione vitivinicola: strumento utile ai fini di innalzamento della “qualità ambientale” Le attività della cosiddetta “zonazione vitivinicola” sono divenute ormai uno strumento essenziale per un approccio razionale e scientifico alla piena esplicazione delle potenzialità sia produttive sia ambientali di un territorio. Esse consistono in una serie di operazioni dirette alla ottimizzazione del rapporto tra uno specifico vitigno, il suo terroir di riferimento, il quadro pedologico, climatologico e ambientale in cui esso si trova. L’obiettivo è il conseguimento, attraverso tale studiata “interazione” di diverse componenti (naturali, professionali, tecnologiche), del miglior livello di “qualità” ragionevolmente ottenibile da un certo ambiente. Al termine “vitigno”, tipico delle produzioni vitivinicole, si potrebbe sostituire “cultivar” in genere, ed ecco che la zonazione costituisce uno strumento efficacissimo per ottimizzare i risultati qualitativi di un territorio a prevalente coltivazione olivicola o frutticola ecc., in cui esplicitarne e ottimizzarne il potenziale qualitativo nel rispetto delle compatibilità ambientali e anzi valorizzandone l’apporto anche in chiave di tipicità produttiva. A fronte degli apprezzabilissimi risultati ottenuti dalla “zonazione” sotto il profilo del rigore scientifico e della efficacia della sperimentazione in campo per la valorizzazione produttiva delle realtà vitate e l'ottimizzazione dei relativi parametri qualitativi, non appaiono però pienamente esplorate le ampie potenzialità di tale strumento da altri punti di vista. In particolare, per fornire opportune informazioni e indicazioni utili per la programmazione dello sviluppo territoriale; oppure per fornire orientamenti idonei alla valorizzazione integrale di una determinata realtà ambientale, favorendone la conoscenza e la promozione verso i più diversi destinatari e target. In altre parole, lo strumento della zonazione, nato essenzialmente come efficacissimo strumento “tecnico” (e che ha ormai dimostrato tutte le sue potenzialità sotto questo punto di vista, dal Trentino alla Sicilia per rimanere al solo territorio nazionale), può prestarsi a diverse altre utilizzazioni e può soddisfare esigenze conoscitive, progettuali, promozionali e di valorizzazione ambientale di altri soggetti che non siano solo “i tecnici” del settore e alcuni operatori agricoli “leader” (anche se ovviamente questi sono i soggetti-chiave dell’innovazione vitivinicola). Ma per favorire queste nuove utilizzazioni delle metodologie di zonazione è necessario fare un grande
“combinazioni” vitigni/terroir in funzione della ottimizzazione dei livelli qualitativi (individuando zone di eccellenza qualitativa, per esempio i cosiddetti “cru”) o comunque di specificità qualitativa su cui impostare nuovi progetti omogenei di sviluppo
• Proposta e gestione di un piano
razionale di espianti-reimpianti di vitigni, di pratiche agronomiche innovative, di interventi enologici mirati e anche di valorizzazione territoriale
Agricoltura (sostenibile e multifunzionale) come risorsa per l’ambiente
Ambiente come risorsa per l’agricoltura
– Agricoltura e ambiente come risorsa per il turismo sostenibile – Turismo sostenibile come condizione di valorizzazione e sviluppo dell’agricoltura e dell’ambiente locale
Circuiti “virtuosi” da sviluppare e per molto tempo rimasti “viziosi” (Fonte Agriprojects)
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paesaggio lavoro di divulgazione dei risultati e delle metodologie della zonazione, cioè attivare metodi e modelli di “diffusione della innovazione” verso soggetti destinatari e target diversi da quelli tradizionali (tecnici di campo, di cantina, singoli produttori). In effetti il problema del trasferimento della conoscenza, o, con qualche anglicismo, del know-how transfer e dell’extension, è oggi assolutamente centrale per il settore vitivinicolo. Infatti alle rilevanti innovazioni che sono ormai messe a punto e in teoria disponibili lungo tutta la filiera (agronomico-tecnologica ma anche commerciale-distributiva) non fa sempre adeguato riscontro una loro rapida ed efficace applicazione. Agli sforzi di ricerca e sperimentazione, ai risultati di importanti e potenzialmente assai utili innovazioni non corrisponde una adeguata adozione a livello di massa: e ciò non solo per i piccoli produttori singoli – che sono, comprensibilmente, anche i più isolati – ma talora anche per gli operatori di dimensioni più elevate o per i produttori associati in importanti cooperative (Cantine Sociali). Un’area di lavoro successiva a quella della zonazione tecnica “in senso stretto”, ma a essa metodologicamente collegata, deve quindi avere per obiettivo la messa a punto di metodologie, modelli e strumenti di comunicazione per diffondere l’utilizzo della zonazione a gruppi di destinatari sempre più ampi e per aumentarne l’impatto operativo e l’efficacia. Le esperienze di zonazione più complete portate avanti in Italia (in particolare quelle coordinate dal Dipartimento di Produzioni Vegetali dell’Università di Milano) ci sembra siano quelle che hanno presentato le caratteristiche sopra dette: da un lato un grande, rigoroso e approfondito lavoro di analisi scientifica, di primario livello non solo secondo standard italiani, ma anche europei e, dall’altro, uno sforzo di messa a punto di strumenti di divulgazione dei suoi risultati verso diverse tipologie di destinatari, tentando
Comunicazione della zonazione
• Verso “il basso”, all’interno della filiera produttiva vitivinicola, cioè verso gli operatori agricoli meno innovativi o meno acculturati, affinché anch’essi si possano progressivamente convincere e quindi “appropriare” dello strumento “zonazione”, per migliorare se stessi e quindi, indirettamente, anche per migliorare la “qualità complessiva” del territorio in cui operano
• Verso “altri destinatari”, cioè altri
soggetti non inseriti strettamente nella filiera produttiva vitivinicola (Istituzioni pubbliche, come i Comuni, oppure Istituzioni o Organizzazioni che si occupano di sviluppo territoriale, di promozione ambientale ecc.), ma che possono utilizzare “parti” o “prodotti derivati” dei risultati della zonazione (per esempio le “carte dei suoli”, le “mappe vocazionali” dei territori del vino ecc.), per gestire meglio le loro specifiche attività di informazione, programmazione e comunicazione
Bolgheri (LI)
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paesaggio e cultura di raggiungere anche quelli più lontani e apparentemente meno coinvolti anche attraverso approcci metodologici e operativi diffusi nella cultura anglosassone, ma da noi finora meno comuni (varie forme della comunicazione diretta, forte e continuo coinvolgimento delle organizzazioni potenzialmente più interessate alla divulgazione, a cominciare dai Consorzi vitivinicoli, organizzazione di Nuclei di Leader Divulgatori, oltre a pubblicazioni specifiche, dalle più semplici alla più complesse ecc.). Tuttavia tali diverse e articolate utilizzazioni delle attività di zonazione (di una durata almeno non inferiore al triennio) non possono essere compiutamente svolte senza la realizzazione, a fine processo, del Manuale d’uso del Territorio. Esso è un grande strumento che sintetizza tutto il percorso di “analisi” e “diagnosi” sopra esposto, ma che fornisce soprattutto indicazioni operative e strumenti accurati di gestione dei processi innovativi indotti dalla zonazione (a livello non solo agronomico, tecnico, di gestione del vigneto ecc., ma anche di gestione e valorizzazione delle risorse naturali dei territori su cui il lavoro è stato svolto). In definitiva, le esperienze più avanzate della zonazione, centrate non solo “sul prodotto vino” ma anche “sul sistema territorio”, consentono di passare dal più consueto Atlante della zonazione (pubblicazione scientifica conclusiva di ogni zonazione ma spesso poco utilizzabile a vari livelli, soprattutto operativi) al Manuale d’uso del territorio, vero e proprio strumento programmatorio e gestionale per l’ottimizzazione delle pratiche agricole in relazione allo specifico territorio-ambiente di riferimento.
Menfi (AG)
Ruolo degli Enti Locali innovativi per un equilibrato sviluppo territoriale Nella valorizzazione interna del territori del vino un ruolo importante può essere svolto dagli Enti Locali come i Comuni o altre organizzazioni a carattere pubblico che si occupano elettivamente di gestione e valorizzazione del territorio. Un esempio interessante a questo riguardo sono i Piani regolatori delle Città del Vino. Il “motore” di queste esperienze e dei metodi che vi sottostanno è la Associazione Nazionale delle Città del Vino (ora estesa all’olio e ad altri prodotti tipici). Tale Associazione, dopo anni di lavoro e verifica con diversi soggetti portatori di interessi e competenze diverse ha messo a punto le Linee-guida metodologiche per la valorizzazione dei comprensori vitivinicoli di qualità la cui applicazione consente la definizione di alcuni strumenti di programmazione territoriale, in particolare nelle aree rurali ad alta vocazione ambientale e paesaggistica, oltre che ovviamente vitivinicola. Il tema è stato messo a fuoco da un decennio circa, portando a una ampia riflessione dei rapporti tra territorio e vino e relativi approcci di pianificazione territoriale. Tale fase del lavoro, prendendo spunto dalla zonazione ma diversamente da essa, che è messa a punto essenzialmente da “tecnici”, si è valsa anche di competenze istituzionali (Comuni) e di programmazione territoriale e urbanistica (architetti, urbanisti,
Manuale d’uso del territorio
• Una “zonazione compiuta” si conclude
con il Manuale d’uso del territorio, vero e proprio strumento programmatorio e gestionale per l’ottimizzazione delle pratiche agricole interne al territorio-ambiente di riferimento e la sua valorizzazione e promozione esterna
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paesaggio operatori ambientali ecc.). Le linee-guida fornite per l’impostazione di tali strumenti hanno potuto consentire (dove applicate) una valorizzazione attenta e selettiva delle caratteristiche dei territori vitati, una idonea tutela dei suoli, una efficace tutela degli ecosistemi e, in definitiva, una adeguata tutela del paesaggio. Esse possono consentire dunque di orientare la pianificazione territoriale, e in particolare gli strumenti urbanistici quali i piani regolatori, nel senso della valorizzazione dei territori vitati, contribuendo quindi, indirettamente, anche alla loro promozione per attività di turismo sostenibile (enoturismo, agriturismo, turismo culturale ecc.). Il progressivo passaggio (ancora in atto) da una concezione topologica a una concezione ecologica del piano ha spinto più avanti la riflessione sulla pianificazione dello sviluppo. I risultati di questa fase di approfondimento svolto negli ultimissimi anni sono stati presentati e discussi all’ultima BITEG (Borsa Internazionale del Turismo Enogastronomico, maggio 2006) e si sono incentrati sul passaggio, dal concetto di “piano regolatore” al concetto di “piano strutturale”. Il primo disciplina le funzioni d’uso del territorio e ne stabilisce le destinazioni primarie puntando a valorizzare i rapporti “virtuosi” fra produzione vitivinicola, territorio, ambiente nel senso sopra descritto, ma solo là dove l’orientamento politico-culturale e la capacità negoziale del Comune o altro Ente Locale lo può consentire. Molto più difficile invece è pervenire a tale obiettivo quando un territorio ad antica vocazione vitivinicola è costretto a entrare in una aspra competizione per l’aggressiva presenza di destinazioni d’uso artigianali-industriali o di terziario più o meno avanzato (per esempio il proliferare degli outlet) che restringe spazi di presenza anche in zone molto vocate per la viticoltura (e gli esempi non mancano, dal nord al sud Italia). Il carattere strutturale del nuovo piano generale comunale su cui
Associazione Nazionale delle Città del Vino
• Città del Vino è un’Associazione
nazionale di 550 Comuni a vocazione vinicola. Nasce nel 1987 da paesi e città che danno nome a un vino, che producono nel proprio territorio vini a denominazione di origine o che comunque sono legati al vino per storia, tradizione e cultura. I Comuni delle Città del Vino si distinguono per il loro impegno a favore di uno sviluppo economico e sociale rispettoso dell’ambiente e delle identità locali
• L’Associazione opera per la promozione e la valorizzazione delle risorse ambientali, paesaggistiche, artistiche, storiche e turistiche dei territori del vino (www.cittadelvino.it)
Melissa (KR)
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paesaggio e cultura l’Associazione delle Città del Vino ha riflettuto negli ultimi anni e di cui sta disponendo metodologie e strumenti con il concorso di esperti (architetti, ubanisti ecc.) si basa sulla preliminare individuazione dei caratteri del territorio che esprimono valori non negoziabili e, più in generale, sulla formulazione di scelte di lungo periodo funzionali a uno sviluppo sostenibile (naturalmente una sostenibilità che sia non solo ecologica, ma anche economica e sociale). In altre parole: non più un piano solo regolatore (che peraltro in molte realtà è già un grande passo in avanti), ma un piano strutturale che assume – dopo approfondita analisi – prima i valori e le vocazioni del territorio come valori fondanti del processo, poi definisce le compatibilità fra i vari sistemi produttivi, ambientali, di servizi (e relativi “valori”) che insistono sul territorio, per pervenire quindi alla definizione degli obiettivi strategici dello sviluppo. Naturalmente, tale approccio richiede anche un processo partecipativo molto maggiore del precedente e quindi un livello di condivisione più elevato. In particolare, tale processo di pianificazione, che è al tempo stesso “strutturale” e “strategico” nel senso detto, prevede un coinvolgimento più forte del mondo produttivo che, in realtà vocate per la viticoltura, significa il sistema imprenditoriale locale (grandi imprese integrate, medie imprese specializzate, piccole aziende aggregate in cantine Sociali, strutture Consortili ecc.). Tale approccio quindi può “aprire” al protagonismo e alla capacità negoziale degli operatori vitivinicoli locali in misura superiore a precedenti approcci di pianificazione urbanistica. Sono dunque proprio le zone di significativa presenza vitivinicola che si possono destinare a sperimentare, in modo consapevole e nell’ambito delle politiche pubbliche, un processo di valorizzazione interna e di sviluppo territoriale, quale quello sopra rapidamente descritto. Questo approccio è allo stesso tempo di contenuti (gli obiettivi e le
Città del Vino in numeri
• Oltre ai soci ordinari, all’Associazione
aderiscono anche tre Comuni del Canton Ticino (Lugano, Bellinzona, Mendrisio), uno dell’Istria (Verteneglio) e la Repubblica di San Marino. Aderiscono inoltre, in qualità di soci straordinari, le Provincie di Siena e di Avellino, le Comunità montane di Terminio, Cervialto e Alento Montestella, i Parchi nazionali del Vesuvio e quello delle Cinque Terre, il Parco dell’Etna. Una massa critica in grado di mettere in campo sul territorio nazionale oltre 4000 alberghi (per circa 142.000 posti letto complessivi), 1500 Aziende agrituristiche (18.000 posti letto), 189 campeggi, centinaia di ristoranti, enoteche e cantine di qualità
• Sono 200.000 gli ettari di vigneti iscritti
alle DOC e alle DOCG nei Comuni Città del Vino, pari ai 4/5 dei vigneti italiani a denominazione d’origine
Colli bolognesi
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paesaggio priorità della valorizzazione territoriale) e di metodo (pianificazione strategica, programmazione operativa, processo di condivisione ecc.) e rappresenta quindi un avanzato modello di “governance” del territorio. Naturalmente presenta difficoltà rilevanti, in particolare per il confronto dei corposi interessi che va a toccare: basti ricordare la “competizione territoriale” fra agricoltura/viticoltura e altri settori economici, soprattutto nelle aree più difficili (valli strette, zone collinari, zone di forte contiguità fra attività diverse). Ma esso comporta, a livello di operatori economici vitivinicoli e attività connesse, alcune significative ripercussioni. Se ne cita soltanto una per quanto riguarda la scelta delle tecnologie: le tecnologie da privilegiare, lungi dall’imporsi in modo deciso e invasivo sul territorio (come molto spesso è avvenuto), devono trovare una più armonica combinazione con esso; oppure, spingendo più avanti il ragionamento, dovrebbero esse stesse adattarsi sempre più fortemente alle caratteristiche del territori e degli ambienti su cui intervengono. Insomma, semplificando molto, nella secolare querelle relativa ai processi produttivi agricoli “se viene prima il territorio o prima la tecnologia” e quindi “chi deve adattarsi a chi” le riflessioni fin qui fatte ci portano a dire che se per mezzo secolo (dal secondo dopoguerra) la dominanza della tecnologia sul territorio (e quindi sulle sue forme anche estetiche) è stata nettamente prevalente (producendo peraltro enormi vantaggi in termini di produttività e di competitività), oggi il più intensificato rapporto fra agricoltura/viticoltura, territorio produttivo, paesaggio/ambiente e relative fruizioni (dal turismo alla multifunzionalità) spingono verso una modifica di tale schematica gerarchizzazione. Ciò non solo per ragioni estetiche di conservazione ambientale, ma anche per ragioni che hanno direttamente a che vedere con la capacità competitiva di alcuni territori, e in particolare dei “territori del vino”, che hanno tutto da guadagnare se si presentano in maniera meno “banale” (come c’è una banalità dei prodotti c’è anche una banalità dei paesaggi) e con una pluralità di valenze, di fruizioni, di attrattività per segmenti di mercato sempre più differenziati. In sintesi: la cultura produttiva degli ultimi decenni che ha considerato il territorio come una sorta di “variabile dipendente” della tecnologia (oltre che della politica agricola) viene ampiamente rimessa in discussione alla luce delle nuove tendenze culturali che, lungi dal costituire solo un vincolo, possono costituire nuove e corpose opportunità.
Impegno della filiera vitivinicola
• La domanda sempre più generalizzata di “comportamenti responsabili” diretta a tutti i soggetti della filiera vitivinicola (produttori, distributori ma anche mondo della informazione e comunicazione) non è una vaga aspirazione etica, ma esprime una tendenza culturale crescente alla trasparenza e serietà dei comportamenti del mercato. Un forte legame tra un vino e il suo territorio è una risposta “solida” e credibile a tale esigenza
Valorizzazione esterna: territorio, comunicazione, mercato La valorizzazione “esterna” di un territorio e dei suoi vini riguarda essenzialmente i rapporti col mercato, la sua disponibilità e interesse alla sperimentazione del nuovo o la attestazione sui tradizionali modelli, forme e tipologie di consumo. Qui si accenna solo molto sinteticamente ad alcune fra le tendenze di fondo della domanda, in particolare a quei trend culturali (che si possono poi tradurre in bisogni e comportamenti di consumo) le cui caratteri-
Vigneti in prossimità dell’Etna
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paesaggio e cultura stiche costituiscono la premessa e la motivazione delle parti che seguono sul turismo del vino e le strade del vino. Eccone di seguito le principali: – domanda crescente di vini con caratteri fortemente differenzianti rispetto alla standardizzazione prevalente. La crescente disaffezione nei confronti della omologazione culturale e della “banalità” di molti vini, soprattutto provenienti da pochi vitigni internazionali – se prodotti con processi standardizzati a livello di massa – genera una diffusa curiosità, una ricerca di volontà di uscire dalla prevedibilità del consumo; – nello stesso tempo, vi è anche una crescente attenzione da parte di questi segmenti di mercato sempre più “curiosi” a non uscire dalla banalità cadendo nella trappola dei vini elitari, esclusivi, apparentemente per pochi (e spesso sedicenti) esperti, talora caratterizzati da rapporti prezzo/qualità squilibrati, sostenuti da un “effetto moda” e da uno stile di consumo solo esibitivo (trend fortunatamente in parziale attenuazione dopo gli eccessi degli ultimi anni); – ricerca di “novità ma con un’anima”. Il che significa crescente attenzione a vini caratterizzati da forte identità territoriale e ampia riconoscibilità storico-culturale; – emerge anche una forte domanda di “territorio eco-compatibile” che si traduce in una richiesta crescente di prodotti ad alta valenza ambientale (non è un caso che molti dei vini più interessanti e richiesti si trovino in aree fra le meglio conservate anche dal punto di vista ambientale oltre che da quello estetico e paesaggistico); – più in particolare, vi è una curiosità crescente per i vini provenienti da vitigni “antichi” o addirittura autoctoni (cioè di cui sia dimostrabile il radicamento secolare in una determinata
Nuove tendenze
• La stanchezza crescente nei confronti
dei prodotti banali e ripetitivi spinge alla ricerca di novità, ma “con un’anima”: ciò si traduce in una crescente attenzione a vini caratterizzati da forte radicamento territoriale, da ampia riconoscibilità storica e identità culturale. Essi sono il punto di forza, non imitabile dalle “nuove viticolture” emergenti a livello mondiale, di molti “territori del vino” del nostro Paese
Bello e buono
• Far percepire “il bello e il buono”
dei territori del vino: una esigenza economica e culturale
Offida (AP)
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paesaggio
Foto M. Galli
–
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Vigneti in Trentino
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Vigneti in Romagna
area). Ciò sia per la domanda di “legame col territorio” di crescenti segmenti del mercato (il che si collega a quanto sopra accennato), sia per motivazioni di carattere scientifico legate alla disponibilità di materiale genetico (difesa e valorizzazione della biodiversità anche a fini di produzione e di mercato); domanda fortemente crescente di prodotti che siano a “elevato livello di garanzia” in senso lato, che possano dare elementi di “rassicurazione” a vaste aree della clientela (ciò evoca il tema della riconoscibilità e, indirettamente, della provenienza, dell’origine e della trasparenza del percorso per arrivare sul mercato); aspettativa crescente, e con prevedibile tendenza di lungo termine, verso prodotti ma soprattutto aziende e organizzazioni produttive e distributive caratterizzati da “comportamenti etici” o comunque “responsabili” (è evidente che quest’ultimo trend culturale raccoglie e sintetizza buona parte di quelli appena sopra esposti); per alcune nicchie di mercato (soprattutto al nord Europa): domanda crescente di legare il prodotto vino al “mito” dell’Italia e soprattutto del Mediterraneo, mito che, lungi dall’essere dimenticato, è in pieno rilancio; emergere e diffondersi di una seria pubblicistica scientifica (ma ormai anche di massa) incline a cogliere e valorizzare fortemente anche gli aspetti salutistici positivi del vino in genere (oltre a quelli legati al piacere); crescita di una maggiore cultura del vino ed elevazione della capacità di valutazione e apprezzamento del prodotto anche per la diffusione di una certa “educazione al consumo” (ruolo svolto negli ultimi anni da importanti organizzazioni, fra cui, in Italia, l’Associazione Nazionale delle Città del Vino, il MoviFoto P. Bacchiocchi
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paesaggio e cultura –
mento del Turismo del Vino, Slow Food); in definitiva: emergere in generale di nuove e corpose opportunità di mercato a livello globale pur in presenza di una situazione di consumo altalenante a livello nazionale. Tali opportunità riguardano almeno quattro aspetti: nuovi segmenti o nicchie economiche, tipologiche e socio-culturali (giovani, donne ecc.); nuove aree geografiche a livello planetario (dove emergono nuove grandi aree di consumo con rilevanti tassi di crescita); nuove occasioni di consumo anche nelle realtà già tradizionalmente consumatrici (aperitivo, drink, dopo pasto al posto di alcolici, per esempio con l’esplosione dei vini passiti, da meditazione ecc.); nuova percezione positiva della immagine del vino e sua ampia diffusione sociale in nuovi contesti.
Naturalmente, a fronte di queste tendenze positive che possono costituire significative opportunità, soprattutto per i territori e le loro aziende più innovative, vi sono numerosi rischi e minacce oggettive che caratterizzano il mondo del vino (asperità della concorrenza internazionale con vecchi e soprattutto nuovi competitori, normative internazionali che spesso non difendono le produzioni più qualificate, guerre commerciali spesso centrate sulla sola leva del prezzo ecc.). Si ricorda tuttavia che non esistono opportunità o minacce in assoluto, ma solo “fenomeni” potenzialmente positivi o potenzialmente negativi che possono essere letti e interpretati in maniera più o meno anticipatoria o efficace dal mondo imprenditoriale e quindi gestiti con strategie più o meno appropriate per cogliere le positività o ridurre le negatività in essi insite. Questo ci porta ai soggetti e ai luoghi della produzione vitivinicola: le imprese e i loro territori. Lo sviluppo e la crescita qualitativa e quantitativa del mondo del vino, soprattutto in un
Vigneti a Pantelleria (TP)
Offida (AP)
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paesaggio sistema economico, scientifico e culturale, sempre più globale, passa attraverso la valorizzazione dei territori del vino, come abbiamo visto, e attraverso il protagonismo dei suoi soggetti e attori: i produttori agricoli, gli imprenditori (privati o associati in cooperative e consorzi), ma anche altri soggetti che non svolgono un ruolo direttamente produttivo ma di stimolo, sviluppo, controllo, valorizzazione, promozione e comunicazione delle attività legate al vino e ai suoi ambienti. È il “sistema vitivinicolo allargato”. In esso sono evidenti le interazioni fra i vari soggetti (economici, scientifici, istituzionali, promozionali) che producono non solo “il prodotto vino” dal punto di vista strettamente materiale, chimicofisico e organolettico, ma anche dal punto di vista organizzativo, di servizio, culturale, simbolico e, più in generale, che ne evidenziano ed esaltano il legame con un territorio specifico: vero fattore di differenziazione e di successo, passato e soprattutto futuro, dei vini delle infinite regioni, aree e nicchie vitivinicole italiane e degli altri Paesi di antica tradizione.
Mercato globale
• Nel mercato globale la competizione
avviene anche per confronto e scontro dei diversi “sistemi territoriali” e per i diversi livelli di Qualità e Valore che essi riescono a generare, comunicare e far apprezzare ai vari clienti e fruitori
Forme di recupero del territorio
• Recupero “volgare”: chiusura a
riccio dentro il proprio “particulare”. Si punta all’esaltazione di ciò che è semplicisticamente differenziante dagli altri. In questo caso il territorio appare come una sorta di “spazio chiuso” da preservare dalla “diversità”
Valori del territorio: recupero e rilancio I territori del vino sono molto differenti fra loro. Oltre a quanto già accennato circa la sfaccettatura e plasticità del concetto di territorio in generale, vi è anche da aggiungere una differenziazione specifica determinata dal livello quantitativo e qualitativo della presenza in un dato territorio del suo sistema produttivo e organizzativo. In altre parole in territori più o meno grandi o più o meno vocati possiamo avere per esempio: – semplici “aggregazioni” di attività produttive relativamente simili (per esempio presenze produttive sparse, “a macchia di leopardo” di attività vitivinicole: alcune piccole imprese, qualche grande impresa, qualche cooperativa, limitate strutture di servizio); – a un livello più articolato si possono avere parti o “pezzi” significativi di intere filiere con presenza rilevante e diffusa di produttori (che magari non insistono tutte sullo stesso territorio, ma sul quale ve ne sono “spezzoni” importanti ed economicamente significativi); – a un livello più complesso e completo: veri e propri “sistemi eno-agro-alimentari” che raccolgono interi sistemi produttivi, ma anche importanti attività di servizio a essi connesse e che, più vastamente, si collocano in un rapporto di osmosi e di interdipendenza con l’intero sistema socio-economico locale. Ovviamente, la realtà ci propone non tre, ma mille diverse articolazioni dei “territori del vino”. Tuttavia, una schematica riflessione su di esse ci porta a considerare almeno tre differenti “qualità” che vi si generano e che ne caratterizzano i territori, come evidenziato nella figura a pagina seguente. In sintesi, la valorizzazione esterna verso il mercato (quindi la
• Recupero di “pezzi” o “parti” di
territorio per ragioni promozionali importanti ma talora in maniera acritica (si pensi al recupero per fruizione turistica di massa di litorali marini o aree lacustri, di splendide zone collinari interne). Il territorio viene visto sì come un luogo da “aprire”, ma essenzialmente per uno sfruttamento intensivo (cioè “non sostenibile”), di talune sue caratteristiche esteticopaesaggistiche
• Recupero “integrale e aperto”: cioè,
riprendendo lo schema iniziale, spazio fisico + spazio antropico + valori, storia, cultura, specifiche e certamente particolari di un certo territorio ma che si confrontano apertamente con “l’altro”, con ciò che è “fuori”. È una tendenza minoritaria ma crescente (Turismo del vino, Strade del vino)
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paesaggio e cultura competitività complessiva) di un sistema eno-agroalimentare non si misura solo dalla “qualità” di alcuni prodotti/servizi di alcuni produttori eccellenti operanti in una determinata realtà locale, ma anche dalla “qualità” complessiva del suo sistema organizzativo, culturale e promozionale. Infatti la competizione avviene sempre più “per sistemi territoriali”. Essi sono caratterizzati oltre che da “economie interne” alle aziende che ne fanno parte, anche da “economie esterne” assicurate da intese di sistema e da interventi coordinati di supporto in cui è spesso essenziale il ruolo di istituzioni e organizzazioni. Tale approccio, per il settore vitivinicolo, è simile a quello dei wine cluster della cultura anglosassone in cui, oltre agli aspetti della contiguità “materiale” fra i singoli produttori, è decisiva la contiguità “culturale e strategica” fra di essi, gli altri soggetti della filiera produttiva-commerciale, ma anche i soggetti istituzionali e le organizzazioni locali che possono svolgere un ruolo di potenziamento della qualità complessiva del territorio e della sua organizzazione interna. Ciò premesso sui sistemi territoriali vitivinicoli e i loro valori, va ricordato che si è consolidata da tempo una chiara tendenza al recupero del territorio e delle relative “valenze territoriali locali” anche ai fini dello sviluppo turistico, puntando su una integrazione sistematica e opportunamente organizzata fra sistema enoagroalimentare, sistema turistico e sistema ambientale. Ma le modalità con cui questa tendenza si manifesta sono diverse e spesso distanti o addirittura in contraddizione tra loro. È infatti facendo leva su questo trend di fondo che si può costrui-
Qualità e valore
• A livello più semplice la “qualità”
critica e il “valore” prodotto sono aspetti del livello microeconomico (cioè della singola azienda)
• In realtà più strutturate, dove i produttori sono molti e le funzioni di supporto (per esempio logistica, distribuzione, commercializzazione ecc.) parzialmente comuni, la “qualità” essenziale e il “valore” sono dati dall’efficacia degli scambi e dalla efficienza delle interazioni fra i soggetti della filiera
• A livello di sistema, la “qualità” è data
dall’interazione fra strutture produttive e imprenditoriali e quelle organizzative e istituzionali (Camere di Commercio, Consorzi, Enti Locali, Associazioni e Organizzazioni varie). Il “valore” prodotto è tanto più alto quanto più è condivisa la strategia dello sviluppo territoriale
Competizione a livello del “sistema territoriale”
Qualità di prodotto e di azienda
A livello microeconomico il valore è dato dal profilo imprenditoriale della singola realtà – innovazione agronomica – innovazione tecnologica – specializzazione-differenziazione – professionalizzazione complessiva dell’azienda
Qualità di filiera
A livello di filiera il valore è dato dalla qualità dell’interazione/scambio fra i soggetti economici – creazione di valore aggiunto di filiera – comunicazione/scambio “orizzontale e verticale” tra i soggetti della filiera stessa
Qualità di sistema
A livello di sistema il valore è dato dal livello di condivisione degli orientamenti strategici e dei concetti da comunicare – creazione di valore aggiunto territoriale – “patti di sviluppo tra i principali soggetti” – unicità di orientamento strategico e comunicazionale
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Fonte: Agriprojects
paesaggio re una idea forte di promozione territoriale, spostando in avanti i termini con cui il problema viene generalmente visto dalla promozione turistica più tradizionale. Negli ultimi anni, per esempio, “pezzi di territorio” in tante realtà del nostro Paese sono stati visti come una specie di “fondale” nel quale collocare le pratiche del tempo libero proprie del turismo di massa (e dunque come una risorsa essenzialmente da “sfruttare”); oppure come il luogo della sopravvivenza di culture arcaiche, da poter sottoporre alla fredda analisi della (presunta) razionalità cittadina e alla sua condiscendente fruizione (e dunque quasi da imbalsamare, con una logica da “riserva indiana”). Molto difficilmente il territorio, e in particolare il territorio delle zone a più alta e tradizionale vocazione vitivinicola, è stato visto in maniera più integrale e integrata. Per esempio: – come “luogo omogeneo” in cui possono coesistere forme produttive tradizionali con tecnologie e processi innovativi purché “appropriati” e assolutamente “mirati” (mild technologies, tecnologie “dolci”; si veda nel riquadro a fianco un cenno a un esempio di fitodepurazione fra i filari di vite); – come area di produzione di prodotti tipici, talvolta perfino “poveri” (per esempio certi formaggi, certi vini derivanti da vitigni autoctoni riscoperti e sottratti al secolare oblio del tempo), ma di elevato livello qualitativo e di ampio significato storico-simbolico; – come luogo di prevalente presenza di forme sociali e di organizzazione di vita molto consolidate e forse tradizionali ma che svolgono la modernissima funzione di salvaguardia dell’ecosistema e di difesa/ricostruzione del paesaggio banalizzato dalla pervasività dei modelli di sviluppo prevalenti. Si pensi alla cosiddetta “viticoltura eroica” di certe aree difficili (certi terrazzamenti a perpendicolo della Valtellina o della Liguria, del Trentino o dell’Abruzzo) o alle viticolture “estreme” di Pantelleria o di isole minori o della Val d’Aosta. Qui non si producono solo vini eccellenti da contrapporre alla “standardizzazione senza territorio” di certi vitigni internazionali, ma anche paesaggio, sistemi socio-culturali, persistenza attiva dell’uomo sul proprio territorio, occasioni di sviluppo di forme di turismo sostenibile combinando turismo rurale, enoturismo e altre forme di accoglienza e organizzazione territoriale contemporaneamente economiche ed ecologiche. È dunque la promozione di questa visione più completa e fondata sul concetto di reciproca compatibilità fra viticoltura, ambiente e turismo che è la più opportuna oggi e che deve costituire oggetto di una attività promozionale all’altezza dei tempi, anche da parte degli organismi a ciò deputati. Alcuni movimenti e organizzazioni (per esempio Turismo del Vino, Città del Vino, Slow Food) si stanno notoriamente movendo in
Sistema viticolo e ambiente
• In un unico sistema produttivo
viticolo è possibile combinare fattori pedoclimatici, innovazione tecnologica e competenze professionali. Per esempio in Toscana è stato realizzato un impianto di depurazione integrato nel vigneto. L’ambiente, creato per la depurazione delle acque reflue, riproduce le caratteristiche di un ecosistema naturale
• Questo sistema di depurazione è
ottenuto mediante la riproduzione di ambienti acquatici naturali, come le paludi, contenenti piante acquatiche sia galleggianti sia radicate a terra e microsistemi con batteri aerobi e anaerobi in grado di rimuovere le sostanze inquinanti e di raggiungere gli obiettivi depurativi prefissati. Gli ambienti riprodotti, sono anche un perfetto habitat per varie specie di uccelli
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paesaggio e cultura questo senso. Turismo del vino: coniugare la “qualità del prodotto” con la “qualità della vita” (città, territorio) Innanzitutto è necessario un preliminare riferimento al Movimento del Turismo del Vino, anche se molto sintetico data la notorietà che ormai lo caratterizza. Lo straordinario successo conseguito, in solo pochi anni dalla sua costituzione, da tale Movimento può essere misurato da pochi dati tratti dall’ultimo Rapporto presentato congiuntamente da Censis Servizi e Associazione Nazionale delle Città del Vino (14/7/2006). Esso fra l’altro riporta che: – si consolida in dimensione, capacità di spesa e competenza specifica l’area dei turisti del vino, nel complesso ormai stimabile intorno ai 4,5 milioni di frequentatori all’anno in Italia; – il fatturato diretto del comparto è stimato in oltre 2 miliardi di euro (stime di altre fonti sono anche più alte); – la spesa media giornaliera del turista del vino (149 e nel 2003, 167 e nel 2006) cresce più dell’inflazione e ha un importante effetto moltiplicatore: 1 e per acquisti di vino in cantina genera 5 e di spesa sul territorio per altri acquisti turistici; è quindi evidente l’importante ruolo di “volano” costituito dal turismo del vino rispetto a settori contigui dell’economia territoriale (ospitalità, artigianato, ristorazione ecc.); – tra gli enoturisti stranieri è sempre alta la presenza di tedeschi, crescono gli altri europei, tornano ad affacciarsi i nord americani, dopo le note difficoltà dovute alla situazione internazionale; – Cantine aperte e Calici di Stelle, che sono le due principali
Movimento del Turismo del Vino
• Nasce nel 1993 e in pochi anni
trasforma l’Italia nel Paese delle Cantine aperte. L’associazione opera senza fini di lucro, con lo scopo di promuovere le visite nei luoghi di produzione del vino, al fine di accrescerne il prestigio e creare prospettive di sviluppo economico. Vuol farsi garante della salvaguardia dell’ambiente e dell’agricoltura di qualità e si pone quale promotore di uno stile di vita il più possibile naturale, che metta l’ospite al centro dell’attenzione. L’associazione annovera attualmente circa 900 fra le più prestigiose Cantine d’Italia, selezionate sulla base di specifici requisiti, primo quello della qualità dell’accoglienza enoturistica Sito: www.movimentoturismovino.it
Circuito “virtuoso” per potenziare l’attrattività di un territorio
Offerta viticola e agroalimentare locale: il punto di partenza è la produzione di vino di buona o elevata qualità accompagnato da altri prodotti tipici locali
Divulgazione della presenza di strutture per l’ospitalità: agriturismi, trattorie, terme, ecc.
Presentazione dell’ambiente (ecosistema) con le sue valenze paesaggistiche
Divulgazione dei processi produttivi di ieri e di oggi: possibili visite a musei della cultura materiale, cantine e altri luoghi della attuale produzione
Presentazione delle valenze storico-culturali del territorio (cosa si può vedere d’altro): castelli, chiese, e anche località di interesse “minore”, ecc. Fonte: Agriprojects
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paesaggio iniziative annuali di livello nazionale del Movimento, la prima a fine maggio, la seconda in agosto (che si aggiungono alla miriade di iniziative portate avanti dalle singole sezioni locali in occasioni varie, come la vendemmia, l’apparire del primo vino novello ecc.), raccolgono ancora pubblici popolari crescenti (anche se viene rilevata dai ricercatori la necessità di innovare l’offerta, più nella fascia dei prodotti complementari e dei servizi che in quella del vino in sé).
Slow Food
• Slow Food è un’associazione
internazionale non profit nata in Italia nel 1986: oggi coinvolge 40.000 persone in Italia e più di 80.000 nel mondo, in 130 Paesi dei cinque continenti
Un’ultima considerazione può riguardare la tipologia degli enoturisti. Naturalmente in questi anni sono state fatte diverse analisi socioculturali sul tema. Può essere utile riportare molto schematicamente la “piramide” proposta dal Censis Servizi (struttura di ricerca sui mutamenti socioeconomici e culturali anche nel mondo del vino) e Città del Vino qualche tempo fa, che classifica le varie tipologie in relazione alla intensità del rapporto che essi hanno col mondo del vino e le connesse attività di ricerca e sperimentazione sul territorio. Si va così, a livello nazionale, dagli eno-sperimentatori (stimati in 300.000) agli eno-professionisti (500.000), agli eno-tifosi (700.000), agli eno-esploratori (1 milione) al più generico mondo degli enocuriosi (1,5 milioni). Va da sé che questa macro-segmentazione puramente quantitativa è del tutto indicativa e varia nel tempo. Essa però suggerisce indirettamente – e al di là dei numeri – il lungo percorso informativo e formativo da fare per passare dalla iniziale “curiosità” (molla fondamentale di ogni agire) al livello dell’educazione del gusto, della competenza e conseguente capacità selettiva. A tale criterio “quantitativo” (uno dei tanti possibili) nella segmentazione della domanda enoturistica si possono affiancare criteri di tipo più “qualitativo”, centrati su aspettative, modelli culturali
• Slow Food promuove il diritto
al piacere, a tavola e non solo. Nata come risposta al dilagare del fast food e alla frenesia della fast life, Slow Food studia, difende e divulga le tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni angolo del mondo, per consegnare il piacere di oggi alle generazioni future. Rieduca i sensi assopiti, insegna a gustare e a degustare. Allenare il palato a riconoscere le differenze rende l’amore per il cibo un’esperienza universale, e permette a consumatori “educati” di indirizzare verso la qualità gastronomica, ambientale e sociale, le scelte produttive Sito: www.slowfood.it
Vigneti in prossimità delle saline di Trapani
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paesaggio e cultura e comportamentali. Si conclude questa parte proponendo quindi questa altra “galleria” di personaggi che, se messi insieme e parzialmente sovrapposti, possono delineare un profilo abbastanza specifico e caratterizzato di “turista tipo” verso il quale impostare specifiche politiche di promozione e accoglienza a seconda degli aspetti che si vogliono privilegiare: ecco dunque alcuni profili valoriali e comportamentali che sono in parziale ascesa (anche se non a livello di massa) e di cui tenere conto: – forte sensibilità ai “valori globali” e a una visione complessiva del territorio in genere (valori paesaggistici ed ecologici + valori artistico-culturali + valori storici ecc.); – un certo grado di curiosità, volontà di scoperta di territori che magari non sono fra i più noti al grande pubblico e che quindi richiedono un maggiore sforzo conoscitivo, lo stimolo a una certa sperimentazione del nuovo (certe località “si vendono” da sole: “basta la parola”, come recitava un vecchio slogan; altre realtà più piccole, prevalentemente meno note, tradizionalmente di passaggio, possono invece essere scoperte come gradevolmente e insperatamente attrattive); – una riscoperta sensibilità ai valori rurali, una certa volontà di conoscere (da parte dei giovani) o di riscoprire (per i meno giovani) una cultura tradizionale locale sia da un punto di vista tecnico-produttivo, sia socio-culturale (molto importanti a questo riguardo sono i musei della cultura materiale, i musei a cielo aperto e analoghe iniziative; a livello europeo nel 2005 ne sono stati censiti circa 250); – una elevata sensibilità ai valori di ambienti ed ecosistemi ancora relativamente integri o, comunque, ai margini sia delle aree più urbanizzate sia delle località turistiche più sfruttate: dunque il nostro enoturista-tipo è anche caratterizzato da una
Movimento del Turismo del vino: fattori di successo
• Forte domanda di “qualità alimentare”
(ed enologica) con segni riconoscibili di tale qualità
• Forte domanda di “territorio eco-
compatibile”: non è un caso che il Movimento si sia sviluppato a partire dalle aree vitate meglio conservate e paesaggisticamente fra le più interessanti del Paese, come certe zone della Toscana, del Piemonte e del Trentino
• Forte legame fra “produzione viticola”,
storia, tradizione e cultura locale, che gli aderenti al Movimento hanno saputo far percepire ai visitatori (che da consumatori di vino tendono a trasformarsi in viaggiatori attraverso un paesaggio, quello modellato dalla viticoltura)
• Forte domanda di rapporto diretto con
il produttore a cui i soci più avanzati e consapevoli hanno risposto con un elevato spirito di accoglienza in cantina: è l’elemento centrale!
Jerzu (NU)
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paesaggio
– La luna e i falò
• “Invece traversai Belbo, sulla
passerella, e mentre andavo rimuginavo che non c’è niente di più bello di una vigna ben zappata, ben legata, con le foglie giuste e quell’odore della terra cotta dal sole d’agosto. Una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo che vive, che ha il suo respiro e il suo sudore. E di nuovo, guardandomi intorno, pensavo a quei ciuffi di piante e di canne, quei boschetti, quelle rive – tutti quei nomi di paesi e di siti là intorno – che sono inutili e che non danno raccolto, eppure hanno anche quelli il loro bello – in ogni vigna la sua macchia – e fa piacere posarci l’occhio e saperci i nidi.” (Cesare Pavese)
–
–
–
Monferrato (AL)
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“presa di distanza” (più o meno parziale) verso il “turismo di massa” e i suoi modelli culturali; un moderato orientamento al piacere dell’alimentazione e in particolare di una alimentazione non tradizionale, che richiede un certo grado di sperimentazione e di curiosità (dunque una certa distanza rispetto alla banalizzazione delle consuetudini alimentari ed enologiche); e ovviamente anche una specifica curiosità verso il vino e prodotti connessi sia sotto il profilo organolettico, gustativo, del piacere in sé, sia sotto quello dei suoi significati storici e simbolici legati al territorio locale; un evidente interesse per gli eventi, le località, le occasioni di arricchimento culturale (storico, architettonico, culturale in genere). Ciò non solo con riferimento a quelli più conosciuti e in un certo senso scontati (castelli, chiese, musei, monumenti vari ecc.) ma anche quelli più riposti, discreti, magari legati alla riscoperta della cultura materiale (la chiesa rupestre di…, le rovine della rocca di…, il piccolo museo della civiltà contadina di…); una certa disponibilità a un certo esercizio fisico (non si pensa certo a clienti-atleti, ma taluni segmenti di clientela possono essere particolarmente sensibili alle numerose offerte esistenti nelle realtà agricole e in specifico vitivinicole, in particolare in alcuni siti che possono favorire escursioni e attività all’aria aperta di vario tipo (piedi, bicicletta, cavallo, pesca ecc.); una certa motivazione a passare periodi di tranquillità e relax coltivando il benessere del corpo con pratiche ed esperienze non consuete nella vita cittadina (dalle cure termali in località meno note, ai bagni di fieno in montagna, alle terapie floreali ecc.)
paesaggio e cultura Come si vede si sono considerati, a puro titolo di esempio, solo criteri comportamentali e di valori collegati alla qualità della vita desiderata e non criteri tradizionali e più scontati di segmentazione (per esempio segmentazione geografica o di provenienza, segmentazione in base a livelli di reddito, età, attività lavorativa ecc.). Ognuno di questi criteri individua un segmento che può essere molto particolare (quindi piccolo dal punto di vista del mercato potenziale), ma in genere questi diversi aspetti di qualità della vita presentano forti connessioni, interazioni e spesso sovrapposizioni; essi complessivamente individuano quindi non piccole nicchie, ma segmenti di mercato significativi e, ciò che più conta, in crescita a livello nazionale e soprattutto europeo. Non si spiegherebbe, in caso contrario, la rilevante dimensione attuale del fenomeno enoturistico appena ricordata (4,5 milioni/anno di enoturisti in Italia) e, soprattutto, la sua aspettativa di quasi raddoppio nell’arco di un quinquennio (secondo Censis-servizi, ovviamente se si verificheranno realmente le condizioni prima ricordate).
Storia delle “strade del vino”
• Le “strade del vino” sono sempre
esistite. Le lunghe rotte, i complessi itinerari, gli aspri sentieri su cui la storia del vino si è snodata – sia materialmente sia simbolicamente – per secoli e millenni ne sono una inequivoca testimonianza. A volte tale testimonianza è corroborata da una ampia documentazione storiografica; altre volte l’elemento mitico vi prevale; ancora più spesso la fusione fra questi due aspetti – storia e mito (altrettanto fondamentali per la cultura del vino) – ne è l’elemento caratteristico e forse più fascinoso e attrattivo. Infatti entrambe queste “letture” soddisfano congiuntamente altrettanti fondamentali bisogni apparentemente opposti dell’uomo: da un lato l’insopprimibile esigenza di conoscere i “dati di realtà”, facendo prevalere la ragione (illuministica e positivistica) ma, dall’altro, la necessità altrettanto insopprimibile di liberare l’immaginario e di interpretarne i segni con gli strumenti dell’arte e le suggestioni del mito. Gli infiniti esempi di ciò sono ampiamente documentati, tra l’altro, dalle pubblicazioni dei più noti storici del vino e, più in generale, dagli storici della cultura materiale, in particolare in questi ultimi decenni
Strade del vino e dei sapori: uno strumento utile… molto migliorabile Le Strade del Vino sono ormai state giustamente ribattezzate Strade del Vino e dei Sapori o denominazioni analoghe per mettere in luce che l’elemento centrale attorno al quale esse ruotano non è necessariamente il vino, ma il prodotto principale del territorio di riferimento. Sono così nate, per esempio, la Strada delle Mele della Val di Non in Trentino, la Strada del Riso nel mantovano, la Gardesana dell’Olio nel Veronese, la Strada Città Castelli e Ciliegi delle Colline fra Bologna e Modena, la piccolissima Via dei Pani delle Alpi Apuane, la Strada Sapori e fragranze delle Terre Sicane nell’agrigentino e diverse altre con creative denominazioni di itinerari volti a far conoscere le potenzialità produttive e le valenze ambientali e culturali sia di territori noti, sia di realtà che da poco e timidamente si affacciano alla soglia di quello che, in maniera spesso semplificata, viene denominato Marketing territoriale. Ma resta ovviamente il vino il centro di ogni riferimento e di ogni pregressa esperienza: da lì è iniziato il percorso di apprendimento e sperimentazione di questa nuova forma di turismo sostenibile (nuova per l’Italia, dato che in Francia per esempio è in auge da molto tempo), da lì si sono realizzate iniziative via via più complesse, con risultati talora molto soddisfacenti, talora più problematici. Quanto segue vuole essere la descrizione delle componenti più significative di una “Strada” nel senso di cui si è detto, dei suoi punti di forza e criticità, di alcune condizioni di successo per migliorare la visibilità di questa straordinaria combinazione di prodotto-territorio le cui potenzialità di crescita sono ancora parzialmente inesplorate, soprattutto per quanto riguarda le 225
paesaggio caratteristiche organizzative e culturali e le esigenze di formazione delle competenze necessarie. Tali percorsi sono stati costruiti più per attivare e accompagnare i vari processi produttivi e distributivi del vino che per favorirne la conoscenza e avviare nuovi percorsi turistici, come è invece nella accezione odierna delle strade del vino (anche se va ricordato che le vie del vino e quelle dei pellegrinaggi – il “turismo” prevalente per lunghi secoli – erano spesso le stesse). Oggi la motivazione di fondo alla identificazione, attivazione, valorizzazione delle Strade del Vino non nasce certo dall’esigenza di trasportare e diffondere vitigni da terre lontane, di trasportare o stoccare anfore lungo il percorso, di far pervenire il più rapidamente possibile un prodotto assai deperibile ai porti di imbarco, di ottimizzarne, con le tecniche allora a disposizione, la logistica e la distribuzione ecc. cioè tutte le attività che hanno in vario modo delineato e strutturato le antiche strade del vino. Oggi l’ottica con cui si guarda alle Strade del Vino non è tanto quella della produzione ma è soprattutto quella della fruizione: del prodotto in sé, della sua storia e del suo territorio di riferimento e di vocazionalità. L’ottica con cui si pensa oggi alle strade del vino è dunque quella della restituizione, a un fruitore, della storia (e possibilmente del mito) di un prodotto, del suo ambiente, dell’insieme dei valori (economici e sociali, storici e simbolici) a esso connaturati. Attendendosi peraltro, da tale fruitore, un ritorno in termini di apprezzamento di una offerta così complessa e alta e, quindi, una idonea remunerazione per la gratificazione così generata. Posto che l’ottica della fruizione è quella con cui guardare oggi tali percorsi, si espongono di seguito in maniera molto schematica i principali elementi costitutivi di una Strada.
Testimonianze delle “strade del vino”
• La pubblicazione 2500 anni
di cultura della vite nell’ambito alpino e cisalpino, di Gaetano Forni e Attilio Scienza, è una dettagliatissima analisi degli infiniti percorsi (e dunque, “vie”, “itinerari”) precedenti l’insediamento di diversi vitigni nelle zone alpine. Particolarmente interessante è la Strada del Marzemino (vino che ha avuto l’invidiabile fortuna di essere ricordato nel Don Giovanni di Mozart), descritta facendo riferimento non solo agli strumenti classici della archeologia, della storia, della letteratura e della economia, ma anche alle più recenti acquisizioni scientifiche
• Lo storico e archeologo americano
Hubert Allen della Princeton University fu il primo a parlare e a documentare l’esistenza di una antichissima strada del vino in Sicilia e, in particolare, nell’area che, partendo dalla costa di Gela-Kamarina, percorreva le colline del Vittoriese e del Niscemese per giungere a Caltagirone, proseguendo poi fino a Lentini e Catania. Si stima che tale strada dati almeno 3000 anni. Secondo Hubert Allen “ci troviamo di fronte alla strada del vino più antica che la storia abbia potuto identificare”. Un itinerario che fra l’altro ha come cornice l’area dell’attuale Cerasuolo di Vittoria (una bella “referenza” storica per tale vino!)
Prodotto. È il più scontato e vi si farà solo un cenno. Ma anche nella accezione più elementare esso è comunque una pluralità di cose: è certo “quel” vino, o forse “quei” vini, o forse “quel” vitigno, o forse “quei” vitigni o, meglio ancora, una combinazione di tutti questi aspetti. Ma non basta: è il “cru”, la “sottozona”, la DOC, la DOCG ecc. e via costruendo “piramidi della qualità”, secondo le normative vigenti, più o meno adattabili ai singoli contesti. Ma non basta: è anche l’olio della stessa area, è l’intero paniere enogastronomico caratteristico di quella determinata realtà. Come si vede, pur limitandoci al solo concetto apparentemente semplice di prodotto, ci troviamo di fronte a un sistema di “scatole cinesi” che ne ampliano progressivamente i contenuti e i significati. Dal singolare si passa al plurale, da una categoria merceologica si passa a diverse e, soprattutto, da una offerta solo materiale si passa a una offerta che declina gli aspetti materiali con quelli immateriali, di cui le componenti di servizio e accoglienza sono centrali.
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paesaggio e cultura Territorio. Riprendendo molto rapidamente quanto esposto sopra ricordiamo alcuni dei significati di “territorio”: territorio come spazio fisico, come spazio antropico, come insieme di valori, storia, cultura. Quest’ultimo aspetto, lo ricordiamo, include anche il concetto di cultura tecnologico-produttiva (per esempio cultura agricolo-vitivinicola). Ciò premesso, il territorio delle strade del vino dovrebbe essere caratterizzato da una visione sinergica di tutti questi aspetti, tendendo a un recupero del concetto di specificità territoriale che però non sconfini in un gretto localismo. Dunque un recupero integrale e aperto: un territorio orgoglioso della sua identità e che proprio per questo si confronta apertamente con altri territori e quindi strade del vino, tutte legittime e tutte miranti, in fondo, allo stesso obiettivo: costruire nuove opportunità e diffondere nuove forme di fruizione sostenibile della complessiva offerta eno-agro-ambientale e culturale di intere zone.
•
Ecosistema e paesaggio. Il sistema ambientale non può essere concettualmente scisso dall’idea di territorio antropizzato: esso è infatti il frutto di una interazione secolare, sistematica, continua tra l’uomo e il suo territorio di insediamento o, ampliando il discorso, fra cultura e natura. Tale interazione può portare a risultati molto diversi: dalla tutela e dalla valorizzazione di importanti ecosistemi al loro degrado e distruzione, a seconda del livello e del tipo di pressione esercitato dall’intervento antropico sull’ambiente. Nella vitivinicoltura in genere, ma in particolare in quella relativa al vino di particolare pregio in zone vocate, il rapporto dell’uomo con l’ecosistema di riferimento è stato tendenzialmente conservativo e non distruttivo, prevalentemente di attenta valorizzazione e non di rapinoso sfruttamen-
Vigneti a Trevi (PG)
Componenti delle strade del vino e dei sapori
Prodotto: vino, vitigno, altri prodotti tipici locali
Territorio: spazio fisico e antropico, valori, storia e cultura
Ecosistema: – costruzione, difesa e valorizzazione del paesaggio – qualità dell’ambiente è qualità del prodotto
La strada dei vini e dei sapori rappresenta una sintesi di diverse componenti per un “patto di sviluppo” del territorio Essa è costituita da una rete di culture, interessi e volontà
Soggetti: produttori, trasformatori, distributori, artigiani, operatori turistici, Associazioni e Istituzioni
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Fonte: Agriprojects
paesaggio to (come invece avvenuto per altre colture) e, in sostanza, si è tradotto spesso nella pratica delle “compatibilità ambientali” ben prima che tale neologismo venisse in uso. Certo non ci si riferisce indiscriminatamente a tutte le realtà di produzione vitivinicola. Infatti la ricerca affannosa di spazi per la viticoltura di pianura, magari in aspra competizione con altre attività economiche (come altrove ricordato), la rincorsa di tecnologie di raccolta sempre più meccanizzate e spesso invasive (peraltro con il comprensibile obiettivo dell’abbattimento dei costi e dell’incremento della produttività), l’utilizzo non sempre selettivo e attento di agrochimici nelle produzioni più industriali e di massa, non vanno nel senso della valorizzazione degli ecosistemi vitivinicoli. Ma si tratta di realtà diverse da quelle di cui stiamo parlando, nelle quali la realizzazione delle Strade del Vino – nella accezione qui proposta – sono più improbabili. Gli ecosistemi di cui stiamo parlando sono invece quelli in cui la paziente e intelligente opera dell’uomo nella costruzione del paesaggio vitivinicolo – e nell’uso degli input necessari – si è accompagnata alla sistematica crescita della qualità del vino prodotto, all’intuizione di fondo, tramandata nelle generazioni che qualità del prodotto e qualità dell’ambiente sono due facce della stessa medaglia, che a sua volta ha un unico nome che, è sempre lo stesso: qualità dell’imprenditore agricolo. Se ora concludiamo il nostro ragionamento dal punto di vista del mercato va confermato pienamente, riprendendo quanto accennato all’inizio: l’ecocompatibilità (questa ecocompatibilità così descritta, sia pur rapidamente) assume sempre più anche la caratteristica di un valore di mercato, oltre che di un valore culturale ed estetico-paesaggistico.
Selva di Montebello (VI) Vigneti nella zona di Segesta (TP)
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paesaggio e cultura Soggetti (e loro necessarie alleanze). Se il territorio della produzione vitivinicola è anche il luogo della necessaria presenza antropica, tale presenza si articola in una pluralità di soggetti, portatori di punti di vista (culture, interessi) fra loro diversi. In estrema sintesi, almeno i seguenti: – i produttori (in primo luogo): singoli privati (dai grandi operatori ai piccoli coltivatori) o associati in cooperative; – i trasformatori (a volte coincidenti con i produttori, a volte no in quanto operatori indipendenti); – gli operatori economici legati alle varie forme di distribuzione e commercializzazione; – altri operatori economici non direttamente legati al mondo del vino, ma comunque potenzialmente interessati (per esempio gli artigiani); – gli operatori del sistema turistico, del turismo rurale e dell’ospitalità in genere nelle sue varie forme, soprattutto quelle del turismo sostenibile; – i rappresentanti della comunità locale e delle istituzioni della società civile (in vario modo interessati alla promozione delle valenze locali: Comuni ecc.); – a essi si aggiungono spesso Associazioni e Organizzazioni facenti parte dell'ormai vasto arcipelago del volontariato (un esempio fra i tanti: l’organizzazione delle migliaia di Feste del Vino o della vendemmia, che si fanno ogni anno nei più noti come nei più sperduti Comuni dell’Italia vitivinicola, non sarebbe nemmeno lontanamente pensabile senza l’apporto assolutamente determinante dato dai singoli abitanti, oltre che dai produttori, Pubblica Amministrazione ecc.: è la società civile di un territorio che – con atto gratuito – dà il suo contributo lavorativo determinante alla riuscita di microiniziative di marketing territoriale). Ebbene, nelle strade del vino che hanno finora mostrato maggiore successo tutti questi soggetti, pur nel rispetto dei reciproci ruoli e interessi, tendono a operare in sintonia, con reale spirito cooperativo, costruendo le necessarie – anche se faticose – alleanze. È sempre più evidente infatti la necessità dell’attivazione di “tavoli per la progettazione congiunta” di iniziative, interventi, processi vari per far si che la strada del vino non sia un semplice itinerario, “una mappa” sui luoghi della produzione vitivinicola – come talora è stata e continua a essere – ma si trasformi in una progressiva scoperta di un ambiente, di una cultura, cioè nella scoperta di quello in definitiva è un piccolo pezzo di civiltà. Quindi, concludendo con un apparente paradosso: i soggetti sopra descritti e le loro interazioni e sinergie non rappresentano soltanto aspetti o componenti della strada del vino ma sono la strada del vino. È infatti la rete invisibile delle diverse culture, interessi, volontà, protagonismi costruttivi che entrano in rapporto fra loro a costituire la strada, non il nastro d’asfalto (o magari di
Piani strategici d’impresa
• I progetti di valorizzazione e
promozione territoriale devono essere gestiti come veri e propri “piani strategici”
Vigneto in Piemonte
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paesaggio terra battuta e tenuta bene) descritto in qualche dépliant più o meno fascinoso. Organizzazione e formazione per valorizzare e promuovere i “territori del bello e del buono”
Dallo sguardo singolo a quello collettivo
“Sguardo interno”: riconoscere e rispettare i punti di forza dei propri territori Il bello e il buono dell’Italia sono negli occhi e nel gusto, ma soprattutto nel cuore e nella memoria dei milioni di turisti che ogni anno visitano il nostro Paese. Dai viaggi di Goethe di due secoli fa al turismo di massa degli ultimi decenni a quello più selettivo, rispettoso, talora colto, dei fruitori delle varie forme di turismo sostenibile (turismo culturale, enoturismo, agriturismo, turismo rurale, sportivo ecc.) il flusso di amanti del nostro Paese non ha fatto che aumentare. Qualche recente battuta d’arresto segnala solo la fortissima accelerazione della competitività internazionale da un lato e l’assoluta necessità di sapervi rispondere con efficaci politiche promozionali e organizzative dall’altro; non segnala certo il venir meno del fascino talora violento, talora sottile esercitato dalle infinite e variegate bellezze e bontà del nostro Paese. Ma se i turisti stranieri continuano a cercarle, apprezzarle e amarle, sia pur esprimendo bisogni e domandando servizi di livello sempre più elevato (cui si deve dare risposte sempre più professionali e non distratte o rituali), non sempre noi, abitatori e fruitori del Bel Paese, abbiamo piena e diffusa percezione delle infinite ricchezze di cui la natura ci ha dotato e che la storia di venti secoli ci ha lasciato in eredità, producendo non solo “lacrime e sangue”, ma anche cultura e splendore incomparabili. Dobbiamo quindi appuntare meglio il nostro sguardo all’interno dei “territori del bello
I più importanti tratti comuni delle declinazioni di “bello e buono” che il nostro Paese può offrire sono:
• l’importanza dello “Sguardo interno”
come riconoscimento, da parte della società, delle qualità di un determinato luogo o ambiente, da proporre fuori
• la cooperazione fra i soggetti diversi
nel riscoprire e valorizzare il poco (e spesso il tanto) che i vari territori hanno, per intercettare con continuità, dal fuori, flussi di turismo sostenibile
Vigneti in Romagna
Foto P. Bacchiocchi
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paesaggio e cultura
Vantaggi delle alleanze nel marketing territoriale
• Sistematica integrazione di offerta:
organici accordi di collaborazione sono utili per superare limiti strutturali e di offerta di prodotti e servizi dei singoli imprenditori
• Sviluppo della identità territoriale:
l’attivazione di forme non episodiche di collaborazione tra imprenditori e la stessa Pubblica Amministrazione è utile per la costruzione di uno sviluppo turistico che favorisca anche la crescita di una maggiore identità socio-culturale
Torre Salsa, Sciacca (AG)
e del buono” di cui è costellata l’Italia, con un occhio di riguardo, ovviamente ai territori del vino. Spesso il bello e il buono sono nascosti in un borgo siculo o sardo abbarbicato sui monti, in qualche valle piemontese o irpina, nello splendore silenzioso e assolato dei terrazzamenti vitati incombenti sul mare delle Cinque Terre; o nel gioiello di un teatro sociale di 150 posti per cui una amministrazione locale particolarmente attenta ha promosso un brillante restauro conservativo; oppure nella semplicità delle linee del chiostro di un piccolo convento intelligentemente ritrasformato anche in punto di conoscenza e promozione della cultura enologica e delle produzioni artigianali del luogo. Oppure ancora nella imprevista scoperta, nel cuore della campagna calabrese, di un museo a cielo aperto di 150 vitigni autoctoni locali, sottratti all’oblio del tempo da un paziente lavoro di ricerca, scoperta e messa a dimora di genotipi restituiti alla vita e, in qualche misura, al mercato. In questo caso il bello è il paesaggio modulato da vigneti che si snodano a spirale, con singolare impatto estetico; mentre il buono è in realtà il diverso, cioè la possibilità di inserire nel sistema produttivo (locale e non) prodotti della biodiversità in grado di rendere più complessi gli aromi e i profumi, più intriganti i sapori, arricchendo le sensazioni olfattive e gustative dei vini. Per conseguire nei fatti tali obiettivi, cioè per tradurre la qualità reale del tantissimo bello e buono d’Italia (in particolare il bello dei panorami della viticoltura e del suo retroterra storico-culturale e il buono dei suoi diversificati prodotti) in qualità effettivamente percepita e poi fruita da cittadini e visitatori attraverso le necessarie politiche promozionali, bisogna fare un ulteriore passo, un grande salto di qualità nella cultura organizzativa. Tale salto di qualità organizzativo deve riguardare sia la società locale (nelle sue varie articolazioni: economica, civile e politico-amministrativa), sia l’uso degli stessi strumenti diretti alla valorizzazione e promozione (Strade dei Vini e dei Sapori, distretti rurali, agroalimentari, artigianali, sistemi
• Potenziamento della capacità negoziale: l’alleanza orizzontale tra operatori si può tradurre in un maggiore potere contrattuale e quindi anche in un maggior ascolto/attenzione da parte delle istituzioni, locali e non
• Aumento della visibilità complessiva
(aziendale e territoriale): la creazione di un sistema di offerta ampio e con adeguato supporto promozionale, accresce sia la visibilità dei singoli, sinergizzandosi con le loro iniziative promozionali individuali, sia quella dell’intero territorio locale
• Intensificazione dei livelli qualitativi:
una rete, un network con un solido sistema di alleanze (che è indirettamente anche di controllo reciproco) stimola i singoli operatori a dare il meglio di sé e innalzare i livelli delle prestazioni. In sintesi: l’alleanza verso il mercato esterno, se strutturata con alcune regole del gioco condivise e rispettate, stimola l’imprenditorialità dei singoli
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paesaggio turistici locali ecc. e relative metodologie e strumenti gestionali). Questo comporta un grande sforzo formativo, organizzativo, manageriale dei soggetti e delle istituzioni locali che gestiscono tali strumenti e che, in definitiva sono essi stessi l’accoglienza. Dunque la veicolazione del bello e buono d’Italia – in particolare dei territori del vino che ne sono un efficace paradigma come abbiamo cercato di dimostrare – passa attraverso la capacità delle società dei vari “territori del bello e del buono” di riconoscerlo esse stesse per prime (e la zonazione vitivinicola ne è lo strumento principe, come abbiamo evidenziato sopra), poi capirlo a fondo e difenderlo, poi comunicarlo e valorizzarlo con modi e metodologie idonee e infine essere aperte (nei fatti, nei comportamenti) verso chi viene da fuori e vuole sperimentarlo per qualche giorno (poi, possibilmente per qualche anno, ricordando un principio fondamentale del marketing: il riacquisto di un prodotto/servizio da parte del cliente/fruitore è in genere più difficile della prima vendita/erogazione). Tutto ciò ha molto a che vedere con la cultura del marketing sociale, oltre che economico, con la cultura dell’accoglienza (da far crescere con idonee politiche formative e misurare con accurati strumenti di customer satisfaction e lasciare sempre meno a vaghe sensazioni), con la cultura dell’organizzazione condivisa del territorio (non a caso abbiamo accennato al passaggio dai Piani regolatori delle Città del Vino ai Piani strutturali che richiedono un più elevato livello di organizzazione e di coinvolgimento), con la politica delle alleanze (reali, non solo dichiarate) fra i soggetti locali e con i mille altri aspetti di management e di cultura dell’innovazione e dell’organizzazione che trasformano una mera opportunità (per esempio l’enoturismo o il turismo culturale in generica crescita) in una occasione duratura di sviluppo generalizzato. Ma questo percorso non si può fare se non vi è la consapevolezza che i progetti di valorizzazione e promozione territoriale devono essere gestiti come veri e propri piani strategici di impresa. D’altro canto una rete, un network – cioè lo strumento organizzativo e di metodo con cui si portano avanti tali progetti e che abbiamo cercato di proporre – non è che una “impresa diffusa”, un sorta di “meta-azienda” e di questa deve assumere approccio culturale e strategico e rigorosa metodologia di sviluppo.
Giano bifronte
• Ogni processo innovativo è come
“Giano bifronte”. Le esperienze di valorizzazione e promozione dei territori del vino sono un fatto relativamente nuovo, per lo meno dal punto di vista degli strumenti impiegati. Esse comportano l’avvio e il consolidamento di un processo innovativo, talora anche complesso, sia per la strumentazione e la metodologia richiesta, sia per l’articolazione e diversità delle varie competenze
• Ogni prospettiva che apre verso
il mercato (“fuori”) comporta la necessità di una forte crescita interna (“dentro”) e, viceversa, la crescita endogena di un territorio, della sua società e del suo sistema produttivo si deve poi misurare concretamente col mercato, le sue potenzialità e i suoi vincoli
L’azienda e il suo territorio Al centro del sistema territoriale, della sua valorizzazione e promozione c’è naturalmente l’azienda vitivinicola nelle sue pressoché infinite declinazioni imprenditoriali, dimensionali, qualitative, organizzative ecc. Essa può essere costituita da assetti, strutture, organizzazioni estremamente diverse. Può essere per esempio un piccolissimo sistema produttivo gestito in modo famigliare o addirittura part-time, oppure una grande multinazionale diversificata e con un vastissimo spettro di interventi: per esempio dall’integrazione a monte nella ri-
Vigneti a Vinci (FI)
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paesaggio e cultura cerca genetica fino all’integrazione a valle nella sponsorizzazione di eventi culturali o in operazioni di raffinato marketing sociale. Può essere un’azienda cooperativa (Cantina Sociale) fortemente innovativa e gestita con criteri manageriali avanzati che insieme alla qualità del prodotto in sé produce anche benessere e valore aggiunto per la sua base sociale (centinaia e talora migliaia di soci e quindi di famiglie) svolgendo pertanto un ruolo di difesa/sviluppo anche per un vasto sistema socio-economico; oppure, se il gruppo dirigente della cooperativa è culturalmente arretrato e scarsamente dinamico, può mettere in pericolo ben più che la commercializzazione di un prodotto: la sopravvivenza stessa di una intero territorio. L’azienda vitivinicola può anche produrre, come al tempo dei romani, vini di incerto sapore, necessariamente deperibili e contenenti singolari “ospiti” (resine, piombo ecc.); oppure, come in tanti siti produttivi della ricca Francia del ’600-’700, conventuali e non, vin de piquette, cioè residui di ultima spremitura dei torchi da dare, benignamente, ai lavoranti alla fine di una massacrante giornata di lavoro, abbondantemente allungati con acqua. Oppure può produrre vini di qualità eccelsa, unici e non imitabili da alcun produttore della nouvelle vague vitivinicola, ottenuti dalla combinazione di sapienza antica e stile ineguagliabile di qualche antico Château francese o Tenuta italiana. Oppure vini di qualità medio-alta di aziende che si affacciano ora al mercato, gestite da giovani che, con solide basi culturali e tecniche e con mirabile dinamismo imprenditoriale, hanno scelto la nobile professione del vignaiolo, non più attratti dalle ormai sfiatate sirene del posto di lavoro in banca o nella Pubblica Amministrazione. O ancora può produrre vini di qualità dignitosa e di prezzo equo, in milioni di bottiglie, facilmente accessibili nelle enoteche di medio-alto livello o magari nelle scansie del supermercato, soprattutto se specializzato (80% dei vini francesi a Denominazione di Origine Controllata è venduto in super e ipermercati, ovviamente caratterizzati da elevato livello di specializzazione e da adeguato servizio di informazione e assistenza al cliente). L’azienda vitivinicola è il soggetto economico ma anche culturale intorno al quale ruota (e ha senso) l’intero sistema vitivinicolo, è il soggetto che, piccolo o grande che sia, produce “valore aggiunto” attraverso una combinazione di attività, interventi, passaggi, modificazioni della materia in senso lato (terra, cloni, impianti, uva, mosto, prodotti enoici, vino ecc.) ma anche attraverso modificazioni di carattere “immateriale” ma decisive quali quelle organizzative, professionali e gestionali. Il “prodotto vino” di un’azienda è, in conclusione, il distillato delle strategie di sviluppo dell’imprenditore vitivinicolo così come le caratteristiche di un “territorio del vino” sono in gran parte il distillato delle strategie di sviluppo collettivo dei suoi imprenditori e della loro capacità di far prevalere, nell’incessante e inevitabile gioco della competizione, i giochi a “somma positiva” rispetto a quelli “a somma 0” o negativa che distruggono risorse imprenditoriali, territoriali e sociali.
Azienda vitivinicola
• È il soggetto economico ma anche
culturale intorno al quale ruota l’intero sistema vitivinicolo. Piccola o grande che sia, produce “valore aggiunto” attraverso una combinazione di attività, interventi, passaggi, modificazioni della “materia” (terra, cloni, impianti, uva, mosto, prodotti enoici, vino ecc.), ma anche attraverso modificazioni di carattere “immateriale” ma decisive quali quelle organizzative, professionali e gestionali
Foto P. Bacchiocchi
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