La vite & il vino botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato
la vite e il vino
ricerca Miglioramento genetico Maria Stella Grando
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Miglioramento genetico Introduzione L’attività di miglioramento delle varietà di vite è stata inizialmente forzata dalla necessità di salvare la viticoltura europea gravemente minacciata dalle malattie introdotte a metà dell’800. Un’importante soluzione è stata trovata con l’adozione e il successivo sviluppo dei portinnesti. Le varietà prodotte da incrocio con l’obiettivo di combinare la resistenza ai patogeni con una discreta qualità dell’uva non hanno avuto invece il successo sperato. Dopo più di un secolo, una nuova enfasi è rivolta alle potenzialità del breeding, sia per far fronte a vecchi problemi sia per inventare prodotti competitivi. Le conoscenze emergenti sulla base genetica dei caratteri complessi che determinano la qualità delle produzioni, insieme alla possibilità di identificare le migliori varianti alleliche all’interno del genere Vitis, rappresentano importanti innovazioni per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche.
Viti americane in Europa
• L’introduzione della vite europea in
America è coincisa con la fondazione delle prime missioni cattoliche spagnole in Messico, mentre l’arrivo delle specie americane in Europa è avvenuto molto più tardi e, se si escludono le limitate esperienze fatte da qualche botanico curioso, l’impiego massiccio di vitigni di origine americana avvenne solo dopo il 1872, quando i tentativi di lotta alla fillossera, fatti con solfuro di carbonio, soprattutto nel sud della Francia, si dimostrarono incapaci di controllare l’afide
Cenni storici sull’attività di miglioramento genetico La vite in natura è dioica e quindi allogama obbligata. Le varietà domestiche hanno fiori ermafroditi e sono altamente eterozigoti, con un importante carico di alleli recessivi sfavorevoli. La depressione da inbreeding osservata è piuttosto severa, dato che alla seconda o terza generazione normalmente compare sterilità. Il miglior metodo di breeding è dunque quello di mantenere l’eterozigosi, incrociando i migliori individui di linee non imparentate e ricorrendo occasionalmente a reincroci per concentrare le combinazioni di caratteri desiderabili. Le viti, ottenute per propagazione vegetativa sin dall’antichità, sono rimaste relativamente libere da malattie fino a un secolo e mezzo fa. Nel 1860, in Francia iniziarono a morire parecchie piante nei vigneti a causa di un afide, poco dopo identificato come fillossera, che danneggiava l’apparato radicale. Questo insetto, introdotto dagli USA dove viveva come simbionte naturale sulle specie di vite native, nell’arco di alcuni anni provocò gravissimi danni e mise in seria difficoltà tutta la viticoltura europea. L’osservazione che ibridi americani come Isabella, Concord, Herbemont e altri mostravano una certa tolleranza alla fillossera condusse alla ricerca di fonti di resistenza naturale alla malattia tra le specie americane. Selezioni appartenenti in particolare a V. riparia, V. rupestris e V. berlandieri si rivelarono molto utili e furono estensivamente propagate per essere usate come portinnesti. Per migliorare altre caratteristiche dei portinnesti, alcune selezioni furono incrociate con V. vinifera e questo rappresentò il primo importante programma di miglioramento genetico per la viticoltura. Tutto ciò non riguardava la parte aerea della pianta che rimaneva ancora una vinifera intatta.
Tavola a colori di Adolfo Targioni Tozzetti relative al ciclo della fillossera, pubblicata negli annali del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio (fascicolo numero 11 del 1879)
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miglioramento genetico L’innesto tuttavia era costoso e quindi furono avviati numerosi tentativi di produrre viti che combinassero la resistenza alla fillossera con la produzione di uve per vino di buona qualità, i cosiddetti produttori diretti. Dopo più di un secolo, questo ideale è rimasto ancora irrealizzato, nel senso che nessun ibrido è riuscito a competere con la qualità delle varietà di V. vinifera, anche se alcune selezioni da incroci interspecifici hanno dimostrato di essere valide per altri aspetti, come la resistenza a patogeni fungini o la tolleranza alla siccità. Numerosi vivaisti e ricercatori come Baco, Couderc, Seibel, Seyve, Villard, Millardet, de Grasset, Richter, Paulsen, Teleki e Kober intrapresero iniziative di breeding e vengono giustamente ricordati come salvatori della viticoltura europea. A essi va inoltre riconosciuto il merito di avere contribuito con il miglioramento genetico dei portinnesti al superamento di altre problematiche derivanti dall’interazione della pianta con il suolo, come le infezioni da nematodi, che sono anche vettori di virus, e alcuni stress abiotici (per esempio salinità, calcare). Sul fronte delle varietà di vite, importanti sforzi per migliorare la resistenza ai patogeni fungini vanno riconosciuti a programmi condotti in Germania, Ungheria e USA nell’ultimo secolo con risultati apprezzabili anche per la qualità dei vini. Tuttavia, l’introduzione di queste cultivar nel mercato non ha avuto il successo sperato e rimane difficile. Il processo di incrocio genera infatti varietà completamente nuove che quindi non si incanalano automaticamente nel mercato, ma vanno promosse con dedicate azioni di marketing.
Ibridi Produttori Diretti
• Othello = Clinton (V. labrusca x
V. riparia) x Black Hamburg, ottenuto in Canada, Jaquez (di origini genetiche oscure, proveniente dall’Ohio) e Noah (un semenzale di Taylor con chiare ascendenze di V. labrusca e V. riparia), chiamati genericamente Ibridi Produttori Diretti (IPD), furono impiegati nelle prime ricostruzioni dei vigneti fillosserati senza portinnesto (e per questo furono denominati diretti)
• I problemi di adattamento ai suoli
europei (sensibili al calcare), di insufficiente tolleranza all’afide, ma soprattutto i risultati mediocri dei vini prodotti insinuarono il dubbio, prima nei grandi proprietari bordolesi e poi nei viticoltori del Midi, che questi vitigni non avrebbero potuto sostituire le vecchie varietà europee
Innesto come soluzione al problema fillossera
• Dopo le prime esperienze non
soddisfacenti di coltivazione di vitigni resistenti di origine americana, la soluzione ai danni della fillossera fu l’innesto su piede americano e finalmente, dopo molte resistenze, nel 1885 nel Beaujolais venne vendemmiata la prima uva ottenuta da viti innestate
Attacco di fillossera su Vitis vinifera
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ricerca Attualità del breeding Da quando negli ultimi duecento anni la viticoltura si è diffusa in tutto il mondo, il miglioramento della produzione è derivato soprattutto dal perfezionamento delle pratiche agronomiche e gestionali, ma si è realizzato con un forte ricorso alla difesa chimica verso le numerose malattie della pianta. Tale soluzione non solo risulta costosa in termini economici, ma diventa sempre meno sostenibile di fronte alla crescente attenzione della società moderna per la salute umana e la qualità dell’ambiente. L’ingegneria genetica ha la potenzialità di modificare efficacemente uno o pochi tratti delle cultivar, evitando di alterare la complessa costituzione del genotipo affermato. Molte delle varietà internazionali e dei portinnesti esistenti si sono già rivelate adatte alla trasformazione genetica mediata dall’Agrobacterium o dalla biolistica, ma anche questo metodo di breeding si scontra con l’atteggiamento conservatore del consumatore, principalmente europeo, e con la tradizionale recalcitranza al cambiamento del mondo del vino. Rimane il fatto che allo stato attuale diventa sempre più difficile apportare innovazioni qualitative e produttive in viticoltura attraverso interventi ambientali e regimi gestionali. Invece, le risorse genetiche del genere Vitis sono vaste e rappresentano un grosso potenziale a disposizione del miglioramento genetico per specifiche caratteristiche, sia dei portinnesti sia dei vitigni. I diversi approcci al miglioramento genetico, classici o biotech, necessitano comunque di maggiori conoscenze sulla genetica e la biologia della vite, considerato che per questa specie gli studi fondamentali sono stati ostacolati fortemente in passato dai lunghi tempi di generazione (3-5 anni) e dall’elevata eterozigosi. È ormai convinzione condivisa che un forte avanzamento della viticoltura possa derivare solo dalla comprensione delle complesse interazioni fra genotipo, ambiente di coltivazione e gestione della pianta.
Impegno dei vivaisti nella costituzione di nuove varietà
• La pressione di oidio e peronospora,
associata alle scarse disponibilità economiche dei piccoli viticoltori soprattutto delle regioni meridionali francesi, alimentò una costante richiesta di varietà resistenti che vennero prodotte non dai centri di ricerca, ma dai vivaisti. Questi indirizzarono le loro creazioni verso obiettivi precisi come per esempio nell’Armagnac, il Baco bianco, ibrido tra Folle blanc, vitigno locale, e il Noah, per ottenere elevate produzioni e uve molto zuccherine. Il fenomeno fu solo francese, e in molte regioni diversi vivaisti quali Couderc, Richter, Seibel, Castel ecc. diedero il loro nome ai nuovi ibridi inondando la viticoltura d’oltralpe con centinaia e centinaia di varietà che si diffusero soprattutto in zone di viticoltura marginale, nelle periferie delle grandi città, nelle espressioni di agricoltura promiscua dove si producevano vini per l’autoconsumo o per un mercato locale, spesso ricchi di colore e tannici, a garanzia della loro conservabilità
Foto R. Angelini
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miglioramento genetico Progressi recenti Lo sviluppo di tecnologie che rendono rapidamente accessibili informazioni sulla costituzione e il funzionamento dei genomi ha aperto negli ultimi anni, anche per una specie difficile come la vite, la strada verso l’identificazione e la valutazione delle varianti geniche che determinano caratteri di interesse e per disegnare strategie di miglioramento delle varietà tradizionali basate sulle migliori varianti alleliche dello stesso genere Vitis. Per le sue caratteristiche biologiche (è diploide, può essere facilmente incrociata o autofecondata, ha un genoma relativamente piccolo, circa 500 milioni di basi), la vite può addirittura rappresentare un sistema modello per ricavare conoscenze genomiche sulle peculiarità delle piante legnose che producono frutti polposi e non climaterici, oltretutto ricchi di metaboliti secondari responsabili di colore, sapore e aromi. Inoltre, la famiglia delle Vitaceae presenta un sistema di architetture del fiore, del frutto e del fusto molto interessante per studi comparativi fondamentali. Per molti aspetti, compresa l’analisi funzionale dei geni e la caratterizzazione dettagliata del genoma, la ricerca sulla vite come quella su altri organismi sta comunque beneficiando delle informazioni accumulate in questi ultimi anni dallo studio di piante modello come Arabidopsis. Per garantire sicuri avanzamenti senza inutili sovrapposizioni di sforzi, i ricercatori dei principali Paesi viticoli hanno ritenuto essenziale nel 2002 promuovere l’International Grape Genome Program (IGGP) con l’obiettivo di favorire lo scambio di informazioni e il coordinamento di iniziative scientifiche. La finalità principale della ricerca genomica viticola prevista dall’IGGP è “la comprensione delle basi genetiche e molecolari di tutti i processi che sono rilevanti per la specie coltivata, sfruttando le risorse biologiche del genere Vitis nell’ottica di sviluppare nuove varietà con migliore qualità e ridotti costi economici e ambientali, oltre che innovativi strumenti diagnostici”.
Risultati del miglioramento delle varietà tradizionali europee
• Alcune precoci iniziative
di miglioramento genetico furono intraprese in modo spontaneistico da parte di alcuni ricercatori e vivaisti, che si possono definire “seminatori” per l’empirismo con il quale affrontarono i loro progetti di incrocio, i quali sull’onda delle ricerche di Mendel e dei principi di Darwin, utilizzando solo la variabilità intraspecifica nell’ambito della vite europea, ottennero, dagli inizi dell’800, nuovi vitigni
• Nel 1824 Luis Bouschet diffonde
il Petit Bouschet ottenuto dall’incrocio dell’Aramon con il Tinturier, dalle doti di precocità, elevata produzione e forte intensità cromatica del vino
• Nel 1882 lo svizzero Müller Thurgau,
direttore dell’Istituto di Geisenheim, crea il vitigno omonimo ritenendo di aver incrociato Riesling con Sylvaner, ma incrociando in realtà, come è stato di recente verificato, Riesling con Madeleine Royale
Foto P. Bacchiocchi
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ricerca I tratti considerati di fondamentale interesse sono la resistenza agli stress biotici e abiotici, aspetti qualitativi della bacca e caratteristiche legate alla riproduzione. Specifici obiettivi sono stati perseguiti negli ultimi anni dalla comunità scientifica internazionale per generare informazioni e organizzarle in adeguati strumenti. Prima di affrontare l’analisi completa del genoma di vite sono state sviluppate strategie complementari che avevano come scopo la piena integrazione della sequenza del genoma con le mappe genetiche. Per lo studio della base genetica di caratteri di interesse, sono state generate mappe molecolari con vari tipi di marcatori del DNA da opportune progenie segreganti. Alcune mappe sono state usate come riferimento e in seguito tutti gli esperimenti hanno adottato la stessa nomenclatura per i gruppi di linkage in modo da stabilire delle coordinate virtuali sui cromosomi di vite. Una mappa più informativa, in quanto integra la posizione dei marcatori generati da cinque diverse sperimentazioni, è diventata disponibile recentemente. Sono inoltre in fase avanzata nuovi strumenti pensati per ancorare le mappe genetiche alle mappe fisiche di vite, attraverso il posizionamento di numerosi marcatori derivati spesso da sequenze funzionali del genoma. In questo modo, l’informazione genetica corrispondente alle regioni del genoma individuate per associazione con i marcatori diventerà fisicamente accessibile. Alcune librerie di grandi inserti del genoma (BAC) per varietà di V. vinifera e altre specie di Vitis sono state già prodotte in diversi laboratori allo scopo di ottenere mappe fisiche dall’ordinamento di cloni BAC che faciliteranno il processo di identificazione e isolamento di geni. A questo proposito, l’analisi statistica dei dati fenotipici e genotipici di alcune popolazioni segreganti ha portato a localizzare recentemente nelle mappe genetiche i primi QTL (Quan-
Esperienze di miglioramento genetico in Germania
• In Germania le prime esperienze
di miglioramento genetico della vite vennero intraprese in Alsazia, a Colmar, alla fine dell’800, ereditando il lavoro fatto dai francesi, ma solo a partire dagli anni ’30 venne sviluppato un grande progetto per ottenere viti resistenti presso un centro appositamente costituito presso Berlino. Utilizzando la tecnica dell’autofecondazione su varietà di Vitis vinifera, riuscirono a ottenere senza l’ibridazione alcune piante di Riesling resistenti alla peronospora, ma un bombardamento americano nel 1944 distrusse le serre dove queste piante erano coltivate
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Distribuzione del carattere “durata della fioritura” in una collezione di germoplasma di Vitis vinifera
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miglioramento genetico titative Trait Loci) di vite, ovvero loci responsabili del controllo genetico di caratteri quantitativi, come le dimensioni del frutto nell’uva da tavola, la resistenza a patogeni fungini e la tolleranza alla malattia di Pierce. Un ulteriore progresso nella direzione del clonaggio per posizione è rappresentato dalla caratterizzazione di alcuni QTL con geni candidati, come nel caso della determinazione aromatica della bacca. In alternativa, i QTL possono essere risolti identificando all’interno di un gruppo di genotipi, come per esempio accessioni di germoplasma e varietà coltivate, un’associazione statistica tra le varianti alleliche a loci marcatori o candidati e la media del tratto analizzato. Questi traguardi rappresentano possibili applicazioni a programmi di Marker Assisted Breeding per favorire un rapido avanzamento nella creazione di nuove varietà. Un altro obiettivo enfatizzato negli ultimi anni è stata l’adozione di metodi per definire la funzione dei geni a livello molecolare e di organismo. L’identificazione di geni specifici coinvolti in processi biologici significativi della pianta è un prerequisito per l’interpretazione delle informazioni molecolari nella struttura e nell’organizzazione del genoma di Vitis. Strumenti importanti sono considerate le collezioni di mutanti e di varianti naturali, come pure lo sviluppo di metodi di trasformazione efficienti in modelli transienti e stabili, e sistemi di knockout o inattivazione di geni (per esempio RNAi e silenziamento indotto da virus). Lo sviluppo e l’uso dei microarrays di EST è uno dei più importanti successi per la correlazione dell’espressione genica a specifici processi biologici. Un passo ulteriore sarà costituito dalla complementazione di questi studi con l’analisi sistematica del proteoma e la definizione dei profili metabolici su larga scala.
Miglioramento varietale in Italia
• In Italia, la creazione di nuove varietà
da vino e da tavola coincise con la necessità di trovare una soluzione genetica al problema delle malattie americane in analogia alla Francia, ma i risultati furono a questo riguardo molto modesti, essendo mancato il ruolo essenziale dei vivaisti
• Più significativo è stato invece
il lavoro di A. Pirovano, un ragioniere che proveniva da una famiglia di vivaisti bergamaschi, che sarebbe in seguito divenuto direttore dell’Istituto di Elettrogenetica di Roma, il quale a partire dalla fine dell’800 si impegnò nella creazione di varietà da tavola e ottenne il vitigno Italia (Bicane x Moscato d’Amburgo), attualmente l’uva da tavola più coltivata al mondo. Il suo esempio è stato imitato, nel campo delle uve da vino, da L. Manzoni, del quale si ricorda il 6-0-13 (o Manzoni bianco) da Riesling x Pinot bianco; da G. Dalmasso, del quale l’incrocio più famoso è l’Albarossa (Chatus x Barbera); e dal trentino R. Rigotti, con il Rebo (Merlot x Teroldego). Tutti incroci realizzati con l’intento di migliorare la produzione e la qualità dell’uva di vitigni coltivati
Prospettive Le nuove tecnologie hanno aperto scenari impensabili per la ricerca viticola fino a pochi anni fa. La vite da specie difficile per la genetica è diventata ideale per la genomica e finalmente si stanno accumulando informazioni dalle quali generare conoscenze utili per il miglioramento delle varietà. In viticoltura, l’interazione tra genotipo, ambiente e pratiche colturali è cruciale per la qualità delle produzioni e quindi, oltre all’enfasi sulla funzione delle sequenze genomiche, la sfida emergente è quella di stabilire correlazioni precise tra i caratteri molecolari (geni, proteine e metaboliti) e tratti agronomici. In tale senso sarà sempre più importante valutare e capire il fenotipo della vite, e quindi identificare gli alleli favorevoli che esistono nelle risorse genetiche del genere Vitis per arrivare a combinarli in varietà più avanzate e assicurare una progressiva comprensione degli effetti ambientali sul comportamento della pianta. 479
la vite e il vino
ricerca Selezione clonale Lucio Brancadoro
www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.
ricerca Selezione clonale Introduzione Per la vite, come per buona parte delle piante arboree, è possibile affermare che l’attività di miglioramento genetico è connaturata con la sua stessa coltivazione. Questa condizione è legata essenzialmente al modo con cui, di norma, viene propagata la vite. Fin dai tempi più antichi, i viticoltori hanno dato origine alle nuove piante (barbatelle), necessarie alla realizzazione di nuovi vigneti, utilizzando parti di sarmenti prelevandoli da una o più viti (propagazione per via vegetativa o agamica) in funzione del numero di piante richieste dalla realizzazione del nuovo impianto. Questo modo di propagare, o per meglio dire moltiplicare, implica che il viticoltore, al momento della raccolta del materiale necessario, operi una scelta tra le diverse viti a sua disposizione. È implicito che il viticoltore avveduto, farà ricadere la scelta su quelle piante che mostrano caratteristiche produttive o qualitative maggiormente rispondenti ai suoi bisogni, realizzando così un miglioramento delle sue produzioni nel senso desiderato attraverso un progresso genetico.
Miglioramento varietale
• La scelta, da parte del viticoltore, dei
sarmenti migliori per la propagazione vegetativa della vite, permette di realizzare un lento ma continuo miglioramento genetico all’interno del vitigno moltiplicato, trasmettendo inalterate alla discendenza le caratteristiche genetiche positive e/o negative della pianta da cui è stato prelevato il materiale di moltiplicazione Foto A. Scienza
Origine della variabilità intravarietale La possibilità di realizzare una selezione di piante su caratteristiche fenotipiche indica come all’interno dei vitigni coltivati esista una certa variabilità delle diverse espressioni, morfologiche e fisiologiche, con le quali è possibile descriverne le caratteristiche come aspetto, produttività, capacità di accumulare zuccheri o sostanze aromatiche. Queste differenze morfologiche e/o fisiologiche esistenti tra le diverse piante, di un dato vitigno, possono avere diversa origine; in particolare una tra le maggiori fonti di diversità è imputabile all’insorgere di eventi mutageni a carico del patrimonio genetico delle cellule meristematiche della gemma. Queste avvengono spontaneamente con una frequenza stimata di circa 1 gemma mutata ogni milione di gemme. Le gemme mutate, se utilizzate per la propagazione, daranno origine a piante con differenze morfologiche o fisiologiche più o meno marcate in funzione dell’evento mutageno avvenuto. In genere queste difformità, che vengono a determinarsi rispetto al genotipo originale, sono tali da non permettere una netta e chiara distinzione della pianta mutata da quella madre e pertanto vengono ricondotte alla cultivar di origine fornendo così la fonte della variabilità presente in ciascun vitigno. Esistono d’altra parte casi in cui la mutazione gemmaria ha modificato in modo stabile e sostanziale le caratteristiche morfologiche del vitigno di origine dando vita così a una nuova cultivar. Esempi di questo tipo sono le mutazioni a carico del colore della buccia come il caso delle mutazione del Pinot nero che ha dato
La Malvasia rosa (in alto) si è originata dalla Malvasia di Candia (in basso) per mutazione gemmaria
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selezione clonale origine al Pinot grigio, il quale per ulteriore mutazione ha prodotto il Pinot bianco, o ancora la Malvasia rosa che ha preso origine dalla Malvasia di Candia aromatica, uva a bacca bianca. Nel caso Chasselas laciniato la mutazione è avvenuta a carico della morfologia fogliare, in quanto le foglie del genotipo mutato risultano profondamente incise rispetto al vitigno di origine: lo Chasselas. Si hanno anche casi di mutazione a carico della formazione dei vinaccioli (Concord apirena mutazione senza semi della Concord) o della precocità di maturazione di Early Cardinal (mutazione precoce della cultivar da tavola Cardinal). Le mutazioni gemmarie spontanee possono avere diversa origine come trasferimento di DNA da Agraobacterium tumefaciens o da virus e shock di vario tipo come: radiazioni ionizzanti, sbalzi termici o, più semplicemente, traumi meccanici. A questo si deve anche aggiungere come mutazioni gemmarie possono essere ottenute anche artificialmente attraverso trattamenti fisici come i raggi X o γ e chimici attraverso l’uso della colchicina o di altre sostanze mutagene. Va altresì detto che questi mezzi, nel settore del miglioramento genetico della vite, sono stati nel passato poco utilizzati e oggi giorno sono generalmente abbandonati a causa dei ridotti risultati che forniscono. Le mutazioni gemmarie possono interessare la struttura di un unico gene (monogeniche), come nel caso del gene che codifica il colore della buccia, o di più geni (poligeniche); di norma i caratteri poligenici sono legati a caratteristiche quantitative come capacità di accumulare zuccheri o di sintetizzare in modo più o meno elevato metaboliti secondari come aromi o antociani o proprio alla capacità produttiva della pianta; oltre alle mutazioni geniche è possibile avere anche mutazioni cromosomiche, se la mutazione è a carico della struttura del cromosoma o genomiche, e in questo caso la mutazione interessa il numero complessivo di cromosomi presenti nella cellula che di norma viene raddoppiato, portando così alla formazione di piante tetraploidi. Esempi di questo tipo di mutazioni sono il Muscat Cannon Hall e Leopold III, mutazioni tetraploidi rispettivamente del Moscato di Alessandria (Zibibbo) e del vitigno per la produzione di uva da tavola Alphonse Lavallée. Un’altra importante fonte della variabilità intravarietale è legata alla possibile presenza di più genotipi in un dato vitigno. Questa condizione, per molti anni ritenuta solo un’ipotesi, è stata recentemente dimostrata con indagini di biologia molecolare su alcuni tra i più importanti vitigni italiani (Sangiovese, Fortana, Inzolia). Questi studi hanno evidenziato come nella popolazione di piante che costituiscono un certo vitigno è possibile individuare viti con un corredo genetico differente da quello maggiormente frequente e ritenuto pertanto tipico della varietà. Questi differenti genotipi sono il risultato di propagazioni per seme sia di autofecondazioni sia di incroci del vitigno capostipite
Foto A. Scienza
La mutazione gemmaria a carico della buccia di Pinot nero (in alto) ha originato il Pinot grigio (al centro) e, da questo, il Pinot bianco (in basso)
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ricerca (genotipo a maggiore frequenza) con altri vitigni. Questi processi di riproduzione gamica seguiti, con molta probabilità, da selezioni convergenti verso il fenotipo originario hanno fatto sì che genotipi con tratti morfologici simili a quelli del vitigno capostipite, tali da non renderli facilmente distinguibili attraverso metodi di ampelografia classica, venissero inglobati in questo. Questi genotipi d’altra parte, pur presentando caratteristiche morfologiche simili, possiedono specificità produttive e soprattutto qualitative delle uve. Infine tra le cause di variabilità intravarietale si devono annoverare anche le differenze epigenetiche. Queste sono modificazioni di una qualunque attività di regolazione dei geni tramite processi chimici che non comportino cambiamenti nel codice del DNA, ma possono modificare il fenotipo dell’individuo e/o della progenie.
Mutazioni gemmarie
• Avvengono a carico dei tessuti
dell’apice meristematico della gemma. Esso è composto da tre diversi strati cellulari: dermatogeno (L1) periblema (L2) e pleorema (L3), ciascuno dei quali origina differenti tessuti
• I tessuti meristematici della gemma
possono mutare totalmente (mutazione totale) o parzialmente; in quest’ultimo caso l’apice della gemma risulta costituito contemporaneamente da cellule normali (non mutate) e mutate
Foto A. Scienza
• Nel caso delle mutazioni “parziali”,
esse vengono classificate in: periclinali (quando le cellule mutate appartengono a un solo strato dell’apice meristematico), mericlinali (quando solo una parte di detto strato risulta mutato) e settoriali (quando la mutazione coinvolge una parte dell’apice in tutti gli strati) Foto A. Scienza
Mutazione del colore dell’acino in Pinot grigio
Fattori che influenzano la consistenza della variabilità intravarietale Una volta esposte le fonti di variabilità intravarietale è necessario evidenziare come questa non risulti essere presente ai medesimi livelli nei diversi vitigni coltivati. La consistenza della variabilità intravarietale risulta essere condizionata sostanzialmente da due fattori: la diffusione e l’arco di tempo con i quali un dato vitigno è coltivato. Al fine di meglio esplicitare questo concetto è possibile esporre alcuni casi pratici di quanto esposto. Il Sangiovese rappresenta molto bene il concetto di vitigno popolazione, dove la variabilità intravarietale risulta essere a livelli molto elevati. Per questo vitigno, che è sicuramente tra i più rappresentativi della viticoltura italiana, le prime notizie certe della sua coltivazione sono del 1590, quando Soderini nel trattato La coltivazione delle viti cita il Sangiogheto o Sangioveto, definendolo come vitigno rimarchevole per la sua produt-
Sangiovese
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selezione clonale tività regolare. Questo mostra come il Sangiovese è presente come tale, nelle vigne italiane, da oltre 400 anni e può pertanto essere considerato un vitigno di antica coltivazione. A questa sua anzianità bisogna aggiungere che, pur rimanendo la sua area di elezione l’Italia centrale, è coltivato in modo estremamente diffuso in tutta la penisola italiana e in alcuni casi anche al di fuori della nostra nazione. Questi attributi, elevata diffusione e antica origine sono le condizioni che hanno fatto sì che, in questo vitigno, si accumulasse una elevata variabilità dovuta ai fattori prima indicati. Questa condizione di elevata variabilità intravarietale, anche se in modo empirico, è generalmente riconosciuta e codificata dagli stessi viticoltori. Testimonianza di questo riconoscimento è l’elevato numero di nomi aggettivati esistenti per questo vitigno. Questa condizione di elevata eterogeneità è stata valutata da numerose indagini che hanno dimostrato che questa variabilità non è frutto solo di un accumulo di mutazioni gemmarie avvenute nel corso del tempo, ma è anche di tipo genetico, come prima riportato, con l’inserimento in questo vitigno di differenti genotipi con caratteristiche morfologiche simili tra loro. All’opposto della condizione mostrata dal Sangiovese troviamo tutti quei vitigni che sono stati ottenuti nel recente passato da programmi di miglioramento genetico della vite attraverso incrocio. Esempi di questo tipo sono i già ricordati Müller Thurgau, ottenuto nel 1891 attraverso l’incrocio Riesling renano x Silvaner, il Manzoni bianco (1935) incrociando Riesling renano x Pinot bianco, l’Albarossa (1938) da Nebbiolo x Barbera e molti altri ancora. Questi vitigni, come emerge dalle date di ottenimento, possono vantare nei migliori dei casi poco più di un centinaio di anni di coltivazione e anche la loro diffusione è quantificabile, al massimo, a qualche centinaio di ettari. Queste condizioni di ridotta diffusione, sia spaziale che temporale, fanno sì che non vi siano i presupposti per un accumulo sufficiente di mutazioni tale da ampliare la base genetica del vitigno. Per questa tipologia di vitigni, in cui la variabilità intravarietale è estremamente ridotta o nulla, è possibile utilizzare il termine di vitigni monoclonali poiché il fenotipo rintracciabile in natura è sostanzialmente unico. Tra questi due esempi estremi ricade la maggior parte dei vitigni coltivati; questi, di norma, presentano una buona variabilità intravarietale, dovuta nella maggior parte dei casi più alla loro antica origine che a una loro larga diffusione, che permette la realizzazione di proficue attività di miglioramento genetico attraverso metodi di selezione per via vegetativa. Questo settore del miglioramento genetico della vite, che si basa come detto sulla possibilità di trasmettere invariate alla discendenza i caratteri della pianta madre, prevede sostanzialmente due modalità di operare: la selezione massale e la selezione clonale.
Foto A. Scienza
Mutazione genetica foglia liscia-foglia bollosa Foto A. Scienza
Mutazione per la tomentosità della pagina inferiore
Foto A. Scienza
Mutazione clorofilliana delle foglie
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ricerca Selezione massale I metodi con cui viene condotta la selezione massale sono di due tipi: negativo o positivo. Nel primo caso, all’interno di un vigneto che si intende utilizzare per raccogliere i sarmenti necessari alla propagazione, verranno individuate le piante che presentano caratteristiche ritenute negative, come per esempio scarsa produzione o particolare ritardo nella maturazione delle uve; queste saranno scartate al momento della raccolta dei sarmenti, in tal modo si evita il perpetrarsi delle caratteristiche di ridotto pregio anche nei nuovi vigneti. Nel caso della selezione massale positiva, a essere individuate sono, al contrario, le piante con caratteristiche di pregio, che al momento della raccolta dei sarmenti saranno le uniche a fornire materiale di propagazione. In questo modo, i vigneti che prenderanno origine da questa selezione saranno composti solo da materiale con caratteristiche, ritenute dal selezionatore, di pregio. Infine bisogna considerare che i due diversi modi di operare realizzano un progresso genetico del vitigno posto in selezione di diversa intensità. Nel caso della selezione massale negativa, il progresso genetico che si otterrà sarà di minore intensità, poiché il selezionatore tende a eliminare solo i ceppi con caratteristiche negative evidenti; al contrario, nel caso di selezione massale positiva, il progresso genetico sarà tanto maggiore tanto più rigidi saranno i canoni con la quale questa è effettuata; deve essere altresì evidenziato che una selezione effettuata con elevata rigidità porta a un forte depauperamento della variabilità intravarietale, circostanza anche questa da annoverare nel più generale fenomeno di riduzione di biodiversità, con conseguente perdita di caratteristiche oggi ritenute negative, ma che in un altro momento, con il mutare delle condizioni potranno essere considerate positive.
Selezione massale
• Con questo termine si identificano quei
processi di selezione che, condotti generalmente in modo empirico, portano all’identificazione delle viti da cui saranno prelevati i sarmenti utilizzati per la costituzione di nuove piante
• Si conoscono due tipi di selezione
massale: negativa, se dalla raccolta dei sarmenti vengono scartate le piante che presentano caratteri indesiderati, oppure positiva se, al contrario, si selezionano solo le piante, per la raccolta delle gemme, con caratteristiche di pregio
Clone
• Il vocabolo clone definisce un
organismo ottenuto da riproduzione agamica e quindi geneticamente identico al genitore da cui deriva. L’etimologia di questa parola è dal greco klön, ramoscello, che riporta immediatamente alla modalità di moltiplicazione della vite attraverso l’utilizzo dei sarmenti
Selezione clonale Il miglioramento genetico della vite attraverso selezione clonale identifica un iter atto all’individuazione di ceppi di vite, le cui caratteristiche agronomiche e/o enologiche e sanitarie risultino migliorative rispetto all’espressione media del vitigno di appartenenza, senza che questi miglioramenti risultino tali da modificare i principali aspetti morfologici e tecnologici del vitigno posto in selezione. Al termine del processo di selezione clonale, i candidati cloni che risultino possedere le qualità specifiche necessarie potranno essere omologati come cloni, previa approvazione del Comitato Nazionale Varietà di Vite a uve da vino. Con l’omologazione del clone si giunge pertanto al termine del processo di miglioramento genetico mediante selezione clonale e, al contempo, è possibile dare inizio alla filiera vivaistica che porta alla realizzazione di materiale di propagazione di tipo certificato. La certificazione con cui
• Sulla base di questa definizione, tutte le viti, poiché propagate per via agamica, dovrebbero essere considerate cloni delle piante da cui derivano. D’altra parte, in viticoltura al termine clone è associato un concetto più restrittivo. Più precisamente con clone si intende l’ottenimento di un processo di miglioramento genetico attraverso selezione clonale
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selezione clonale si contraddistingue questo materiale è relativa alle caratteristiche genetiche e sanitarie possedute dal clone e che ne hanno permesso l’omologazione, distinguendolo così dal materiale standard, che non fornisce nessuna garanzia né sanitaria né genetica, che è, di norma, frutto della selezione massale precedentemente descritta.
Protocollo del processo di selezione clonale
• Prevede la costituzione di un vigneto
in un sito vocato alla viticoltura nella zona di diffusione del vitigno in selezione, con un minimo di 25 ceppi per ogni candidato clone in osservazione, a confronto con un clone omologato o, in sua assenza, con materiale standard
Protocollo di selezione clonale Al fine di tutelare il viticoltore che acquista materiale di tipo certificato, l’iter per realizzare questi programmi di miglioramento genetico deve seguire, per molti aspetti, una normativa ben definita sia per quanto riguarda lo stato sanitario dei presunti cloni (questi vengono così definiti fino al momento in cui non avviene la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto di omologazione), sia per quel che riguarda i parametri (e le modalità con cui questi devono essere raccolti) necessari a definirne le caratteristiche agronomiche ed enologiche migliorative rispetto alla varietà di appartenenza. In breve, per quel che riguarda lo stato sanitario, i candidati cloni devono essere esenti dalle seguenti malattie virali: degenerazione infettiva (GFLV), mosaico dell’arabis (ArMV), accartocciamento fogliare (GLRaV-1, GLRaV-2 e GLRaV-3), complesso del legno riccio (GVA e GVB).
• I candidati cloni dovranno essere
descritti nei principali caratteri morfologici, con un relativo corredo fotografico
• Per almeno tre annate, per ogni
candidato clone e per il clone di confronto, si devono rilevare i più importanti parametri vegetoproduttivi (peso del legno di potatura invernale, numero medio di grappoli per germoglio, produzione di uva per ceppo, peso medio del grappolo) e qualitativi (zuccheri, acidità titolabile e pH del mosto). Inoltre, per almeno due anni, si dovranno eseguire microvinificazioni seguite dalle analisi chimiche e sensoriali sui vini stabilizzati e imbottigliati
Strategie di selezione clonale e salvaguardia della variabilità dei vitigni In Italia, la selezione clonale della vite ha mosso i suoi primi passi alla fine degli anni ’60, in seguito alla direttiva CEE 68/193 del 9 aprile 1968 sulla classificazione del materiale di propagazione.
• L’analisi sensoriale deve essere
condotta da un panel addestrato e con test idonei alle valutazioni di confronto (preferenza ecc.)
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ricerca In quei primi anni, sotto l’effetto di un mercato del vino in forte espansione, la ricerca era orientata prioritariamente all’individuazione di ceppi virus esenti con elevate potenzialità produttive, mentre le caratteristiche qualitative delle uve erano sovente lasciate in secondo piano. Questo modo di agire ha condizionato pesantemente e in modo negativo la qualità delle uve provenienti dai vigneti realizzati con i cloni selezionati in quegli anni, e oggi quei vigneti rappresentano sovente un ostacolo alle crescenti esigenze di qualità della nostra viticoltura. In anni più recenti sia i dati qualitativi delle uve sia le informazioni ottenibili dalle microvinificazioni dei presunti cloni hanno assunto nelle procedure di selezione clonale il giusto rilievo. Questo miglioramento delle tecniche non ha comunque modificato le strategie della selezione clonale che prevedono l’individuazione di un ristretto numero di genotipi con il maggior numero di caratteri positivi. Numerose ricerche di questi ultimi anni mostrano come i cloni ottenuti mediante questo tipo di strategia definita “Pressione selettiva forte” rappresentano solo una minima parte della variabilità indagata e possiedono una ridotta adattabilità alle diverse condizioni pedoclimatiche di coltivazione. Inoltre è presente il rischio di una semplificazione dei vini, che tendono ad appiattirsi sulle caratteristiche del ristretto gruppo di cloni omologati per quel vitigno. Questa situazione ha indotto in diverse zone viticole d’Europa, più sensibili ai problemi della qualità, a un atteggiamento di rifiuto nei confronti della selezione clonale che ha riportato i viticoltori all’utilizzo di materiale proveniente da selezioni massali. Questa strategia, che è senz’altro da respingere, se non altro per le implicazioni di natura patologica e in particolar modo per quel che riguarda le malattie da virus che hanno in genere ripercussioni fortemente negative sia sulla produttività della pianta sia sulla qualità delle uve, ha richiesto proposte adeguate per individuare soluzioni al problema.
Pressione selettiva forte È una strategia operativa che, ricercando super cloni adatti a ogni esigenza enologica e situazione ambientale, risulta di difficile realizzazione e critica per una serie di fattori:
• forte influenza dell’ambiente
di coltivazione che maschera l’espressione del fenotipo
• le combinazioni di più caratteri positivi
sono presenti con ridotta frequenza nei singoli individui e quindi difficilmente identificabili durante le selezioni
• spesso caratteri positivi sono associati a caratteri negativi che portano a escludere la pianta dalla selezione nel caso si vogliano individuare cloni con soli caratteri positivi
• utilizzando parametri di selezione
molto restrittivi è fonte di erosione genetica che riduce drasticamente la variabilità dei vitigni sottoposti a selezione clonale
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selezione clonale Tra queste il rispetto e l’utilizzo della variabilità intravarietale, sebbene con maggiori difficoltà e con tempi più lunghi, ha rappresentato un’efficace strumento per soddisfare le esigenze di una moderna viticoltura. Ma giovarsi delle potenzialità del patrimonio genetico delle singole varietà non è solo, come è già accaduto in un recente passato, mescolare un certo numero di cloni in proporzioni variabili, a seconda del terroir o del vino che si vuole ottenere. Infatti nella maggioranza dei casi, l’assemblaggio di cloni, che il più delle volte sono anche di diversa provenienza geografica, non ha portato un reale e generalizzato miglioramento del vino. Le ragioni di questi diffusi insuccessi risiedono nella constatazione che cloni isolati e propagati perché rappresentavano un buon compromesso tra la produttività e il grado zuccherino e/o l’acidità titolabile e selezionati per essere utilizzati da soli, non possono essere tra loro realmente complementari. La complementarità clonale non può quindi basarsi sui risultati di esperienze di confronto di cloni di varia origine, ma deve fondarsi su un preciso progetto. La rielaborazione delle basi teoriche della selezione per il miglioramento genetico delle piante ha permesso di individuare una diversa strategia di miglioramento genetico della vite per selezione clonale. Questa, definita “Pressione selettiva debole”, ha lo scopo di individuare gruppi di cloni, e non più singoli individui, che nel loro insieme apportino un progresso generalizzato rispetto alla popolazione di partenza. I singoli individui che entrano a far parte di queste famiglie clonali sono selezionati non solo in base alle performance che riescono a raggiungere, ma soprattutto in base alla loro complementarità. Questo è il motivo per il quale cloni ottenuti mediante pressione selettiva debole solo raramente possono essere utilizzati in purezza, ma forniscono i migliori risultati solitamente come miscele, più o meno composite, di individui che per caratteristiche qualitative e produttive sono tra loro complementari.
Pressione selettiva debole
• Attraverso le tecniche di pressione
selettiva debole si intende preservare la variabilità, sia morfologica sia funzionale, delle varietà sottoposte a selezione clonale
• La salvaguardia della base genetica
dei vitigni permette di raggiungere due scopi fondamentali: non perdere caratteri poco presenti o di difficile determinazione, ma di indubbio valore, come il contenuto di antociani o le caratteristiche aromatiche particolari; ridurre l’interazione tra il vitigno e il sito di coltivazione, permettendo una maggiore stabilità dei risultati nei diversi ambienti e negli anni
Foto R. Angelini
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