Gipi. Senza chiedere il permesso

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Gipi

Senza chiedere il permesso COMICON Edizioni via Chiaia, 41 - 80121 Napoli tel/fax: 0814238127 e-mail: edizioni@comicon.it edizioni.comicon.it Collana: Gli Audaci (n.9) a cura di: Matteo Stefanelli redazione: Emanuele Soffitto, Alberto Brambilla, Raffaele De Fazio In collaborazione: Glauco Guardigli e Lorenzo Raggioli Progetto grafico e impaginazione: Studio TestaTonda Cover design: Doppiavù Studio Illustrazione di copertina: Gipi Testi di: Giorgio Albertini, Daniele Barbieri, Vittore Baroni, Michele Bellone, Annalena Benini, Federico Bernocchi, Jessie Bi, Daria Bignardi, Francesco Boille, Alberto Casiraghi, Edo Chieregato, Diletta Colombo, Andrea Cortellessa, Oscar Cosulich, Marco Dambrosio (Makkox), Pilau Daures, Fabio Donalisio, Stefano Feltri, Gabriele Ferraresi, Andrea Fiamma, Giuseppe Fiscariello, Goffredo Fofi, Andrea Fornasiero, Massimo Galletti, Fabio Genovesi, Michele Ginevra, Xavier Guilbert, Claudio Magistrelli, Patrizia Mandanici, Valerio Mattioli, Alessandro Mezzena Lona, Pietro Minto, Guglielmo Nigro, Paolo Nori, Andrea Pagliardi, Viola Piuma, Frederic Potet, Andrea Provinciali, Luca Raffaelli, Roberto Recchioni, Daniele Rielli (Quit The Doner), Luca Romano, Domenico Rosa, Sergio Rossi, Paolo Rumiz, Laura Scarpa, Alberto Sebastiani, Luca Sofri, Francesco Specchia, Matteo Stefanelli, Gianluca Testa. © testi 2019: degli autori e degli aventi diritto © immagine di copertina: Gipi © quarta di copertina: foto di Simone Florena © immagini 2019: Gipi - Coconino Press-Fandango © foto di: Roberta Mazzone per Visionarea Studio Un ringraziamento speciale a Coconino Press-Fandango e a Luca Baldazzi per il supporto alla ricerca bibliografica. Questo libro è stato stampato nel mese di aprile 2019 da Grafica Metelliana ISBN 978-88-98049-87-5

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Sommario Introduzione

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Massimo Galletti, Blue, gennaio 1996 Alberto Casiraghi, Lospaziobianco.it, 28 novembre 2003 Matteo Stefanelli, Fumo di china, dicembre 2003 Daniele Barbieri, Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2004 Michele Ginevra, Giannigipi.blogspot.com, 24 novembre 2004 Gianluca Testa, Exibart.com, 23 febbraio 2005 Edo Chieregato, Hamelin, giugno 2005 Giuseppe Fiscariello, Lospaziobianco.it, 20 aprile 2006 Xavier Guilbert, Du9.org, aprile 2006 Jessie Bi, Du9.org, dicembre 2006 Luca Raffaelli, Baci dalla provincia, Collana Graphic Novel, Repubblica/L’Espresso, dicembre 2006 Luca Sofri, Wittgenstein.it, 5 novembre 2008 Patrizia Mandanici, Patriziamandanici.blogspot.com, 17 novembre 2008 Andrea Provinciali, Il Mucchio Selvaggio, novembre 2008 Matteo Stefanelli, Rolling Stone, novembre 2008 Federico Bernocchi, GQ, dicembre 2008 Daria Bignardi, Donna Moderna, dicembre 2008 Goffredo Fofi, Lo straniero, dicembre 2008 Vittore Baroni, Rumore, gennaio 2009 Gabriele Ferraresi, Maxim, gennaio 2010 Andrea Fornasiero, FilmTV, aprile 2010 Domenico Rosa, Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2011 Daria Bignardi, Vanity Fair, 14 settembre 2011 Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2011 Andrea Fornasiero, FilmTV, settembre 2011 Daniele Barbieri, Guardareleggere.net, 22 ottobre 2012 Claudio Magistrelli, Players Magazine, 27 settembre 2013 Pilau Daures, Du9.org, ottobre 2013 Roberto Recchioni, Repubblica XL, ottobre 2013 Paolo Rumiz, La Repubblica, 3 novembre 2013 Alberto Sebastiani, Repubblica Sera, 5 novembre 2013 Annalena Benini, Io Donna, 30 novembre 2013

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Andrea Provinciali, Il Mucchio Selvaggio, novembre 2013 Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 4 dicembre 2013 Alessandro Mezzena Lona, Il Piccolo, 15 dicembre Oscar Cosulich, L’Espresso, 20 dicembre 2013 Fabio Donalisio, BlowUp, dicembre 2013 Goffredo Fofi, Lo Straniero, dicembre 2013 Francesco Boille, Internazionale, 10 gennaio 2014 Guglielmo Nigro, Lospaziobianco.it, 30 gennaio 2014 Frederic Potet, Le Monde, 31 gennaio 2014 Massimo Galletti, Scuola di Fumetto, gennaio 2014 Sergio Rossi, Arte e Dossier, gennaio 2014 Andrea Cortellessa, Tuttolibri La Stampa, 1 febbraio 2014 Daniele Rielli (Quit The Doner), LInkiesta.it, 3 aprile 2014 Matteo Stefanelli, Fumettologica.it, 11 aprile 2014 Diletta Colombo, Doppiozero.com, 16 aprile 2014 Viola Piuma, Fuori Asse, marzo 2014 Andrea Fiamma, Comicus.it, 9 maggio 2014 Paolo Nori, Libero, 16 giugno 2014 Luca Romano, Huffingtonpost.it, 4 luglio 2014 Domenico Rosa, Il Sole 24 Ore, 29 marzo 2015 Michele Bellone, Wired.it, 29 ottobre 2015 Fabio Genovesi, La Lettura, Corriere della Sera, 30 ottobre 2016 Francesco Specchia, Libero, 30 ottobre 2016 Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2016 Daniele Barbieri, Fumettologica.it, 16 novembre 2016 Francesco Boille, Internazionale, 18 novembre 2016 Andrea Pagliardi, L’indice dei libri del mese, novembre 2016 Giorgio Albertini, The Good Life, novembre 2016 Pietro Minto, Rolling Stone, novembre 2016 Valerio Mattioli, Linus, dicembre 2016 Laura Scarpa, Scuola di Fumetto, Gennaio 2017 Marco Dambrosio (Makkox), L’Espresso, 28 ottobre 2018

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Introduzione

di Matteo Stefanelli Nel percorso artistico di Gipi, Esterno notte è l’opera che ha segnato una svolta e un nuovo inizio. Era il 2003 e nessuno si attendeva che, da una giovane casa editrice, Coconino Press, potesse arrivare un contributo così tagliente al panorama del racconto italiano a fumetti. Il Gipi che oggi conosciamo – l’autore di graphic novel tradotte e premiate in Italia e all’estero, l’illustratore di splendide copertine o di eleganti pagine culturali per la stampa, il regista di film non-meglio-identificabili, il videomaker di cortometraggi televisivi tanto bislacchi e divertenti quanto velenosi, l’utente social paradossale, polemico eppure pietoso verso i tanti troll della Rete – viene da lì. Da quel momento in cui, dopo anni di attività satirica e fumettistica per riviste come Cuore, il Clandestino, Zapata, Boxer, Blue – trovando una nuova linea e la propria voce grafica e narrativa – ha iniziato a raccontare una realtà italiana per la quale i suoi primi osservatori, lettori e critici, presero a utilizzare espressioni come “umanista”, “provincia”, “vite vissute”, “fumetto autobiografico”, “disagio esistenziale”. Lo stile di Gipi, oggi, si esprime attraverso pennarelli e acquarelli. Ma in quel memorabile debutto nel graphic novel si presentò con una tecnica mista pressoché unica, fatta di gesso, olio, pennarelli e inserti di carta lucida applicati su cartone telato. La verità è che dal 2003 al 2019 Gipi è cambiato molto e, oggi, le espressioni per descrivere il suo lavoro sono in parte diverse. La sua capacità di ascoltare la realtà italiana e farne materia di racconto, come ha voluto sottolineare la mostra “Gipi irreale” organizzata dal Festival COMICON 2019, passa sempre di più attraverso la forza trasformativa della suggestione, dell’iperbole fantastica, del paradosso poetico, dell’assenza di uno sguardo documentario. Di questo percorso vuole essere testimonianza il libro che abbiamo il piacere di presentarvi. Perché nel comporlo, così come nel leggerlo, credo si possa percepire il piacere di percorrere una carriera artistica nel suo farsi, nel suo progredire, nei suoi piccoli slittamenti progressivi. E perché è un piacere, per chi al Fumetto deve tanto della propria capacità di vedere e comprendere le cose del mondo, trovare riunite tante firme ispirate e importanti, impegnate nel corso degli anni a introdurre, esplorare, analizzare un protagonista della Nona arte.

nella pagina a fianco Gipi nel suo studio, marzo 2019

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Per COMICON Edizioni è un onore presentare un ritratto della carriera di Gipi attraverso questa raccolta di testi. Nessuno dei quali è stato commissionato per l’occasione. Si tratta di scritti provenienti da quindici anni di interventi critici, giornalistici e persino ‘informali’ post da qualche blog che, meglio di qualsiasi testo d’occasione, magari sentito ma pur sempre opportunistico, hanno l’obiettivo di mostrare quanto Gipi abbia inciso, e profondamente, nella cultura italiana e non solo: grandi testate nazionali e internazionali, intellettuali e scrittori di primo piano, periodici specializzati in fumetto e nei più diversi settori creativi, fanzines e spazi online personali. La nostra rassegna di testi sull’autore non è naturalmente esaustiva, ma è la più ampia mai composta fino a oggi, grazie anche alla sincera disponibilità con cui hanno aderito tutti i media e le firme che hanno accettato la nostra proposta. Gipi è un fumettista che davvero, come pochi altri, ha ispirato molti. Questo libro vuole sottolinearlo una volta di più. Con l’obiettivo di offrire una risorsa e un documento storico sulle ragioni per cui, oggi, condividiamo l’idea che Gianni Pacinotti sia uno dei Maestri per i quali vale la pena ringraziare la Nona arte.

nella pagina a fianco S., 2006

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Senza chiedere il permesso Sporco, urgente e cattivo

Blue

I regali più belli sono quelli inaspettati. Così ora vorrei sdebitarmi di una breve, inaspettata e lancinante emozione estiva, e segnalarvi uno pseudonimo ancora piuttosto sconosciuto da curiosare, se vi capita, con attenzione. L’autore si firma Gipi, firma e tratto l’avevo già notati su Cuore, dove però l’avevo memorizzato velocemente insieme a quella nuova schiera di satirici (Marfagno, Rebori, Grassilli, Mora...) che finalmente ha dotato anche le vignette di un’espressività che vada un poco oltre l’abituale, nemmeno sempre, bella calligrafia. Solo il segno, però, perché in quanto a significato la satira italiana (Vincino e Mannelli esclusi) non sa smuoversi dalla storia ormai inoffensiva battuta in stile barzelletta. I contenitori non aiutano (il Cuore versione Sabelli Fioretti men che meno), e anche chi ha talento si mette il Cuore in pace e impara a mortificarselo. Poi è arrivata “Spuma”. Anche “Titta”. Ma soprattutto “Spuma”. Due brevi storie a fumetti di una pagina sul numero sette de Il Clandestino, il bel giornale a cura di Vincino, Vauro, Mannelli e Saviane, purtroppo scomparso proprio da quel numero d’agosto. Al fondo rimangono satira. Trame: un bar che ha fatto della noia calda estiva la sua necessità d’esistenza è spettatore di un fatto di sangue, ma non se ne fa sopraffare, per proprietari e avventori finisce per essere solo un ritardo nei gesti, spuma batte sangue; l’odore di un cane morto e da due giorni a marcire nel caldo, gonfio di gas e mosconi, in urto coi pensieri di dove i cadaveri a marcire al caldo sono di uomini, o le feste sono di architetti. Tratto e prosa non sorvolano su niente che sia minimamente significativo, il fuoco è nell’urgenza espressiva, che rimane sovraesposta; il distacco, la pietà, la cattiveria sono delegati ai colori, ai toni dei colori. Così sono andato a rileggermi i suoi interventi su Cuore, brevi emissioni, compiti e prove d’artista, niente brutte da buttare. Vengo a sapere che produce in quantità, che è un artista generoso di sé, severo con le sue urgenze. E ancora tutto nei cassetti, tutto da scoprire. Gipi ha estro, il tocco di un Weah, ma al servizio soddisfatto della rabbia degli sporchi, brutti e cattivi. Sporchi, brutti e cattivi. C’è spazio ancora per qualche riga, i coccodrilli di solito sembrano obbligati e rischiano la retorica. Quando scrivo è fresca la notizia della morte di Bonvi. Da anni ormai non disegnava che

Massimo Galletti

nella pagina a fianco Un particolare da Battaglia delle Ardenne, 2009.

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pallide ombre di ciò che lo aveva reso famoso. Forse era appagato. O forse il modo e il fumetto avevano corso più di lui. Ma trent’anni fa tutto era di là da venire. Strumtruppen fu la prima vera striscia di qualità e di successo prodotta nel nostro paese. E i suoi soldatini impiccati come addobbi natalizi, il cinismo crudele e stupido, messo in bocca a chi non si rendeva conto di essere egli stesso vittima, aprirono una porta. A sé stesso, che con le Cronache del dopombomba già riassunse tutto il marcio vent’anni fa, prima di clonarsi. E a tutti i Male, i Cuore, i Gipi, che sono venuti e che verranno. E forse qui sotto un grazie ci sta bene.

Lo Spazio Bianco

Alberto Casiraghi

Esterno notte di Gipi, la scoperta di un nuovo, grande, moderno autore italiano Parlare di Esterno notte, il nuovo lavoro di Gipi, non è per niente semplice, poiché ci troviamo di fronte a un’opera di difficile collocazione. Gipi non attinge a tecniche già sperimentate all’estero, non si rispecchia in modelli preconfezionati e importati (pratica legittima e a volte valida), ma sviscera un immaginario totalmente italico (e a volte privato) che colpisce incredibilmente per la sua capacità di mettere a nudo i propri ricordi, di raccontare piccoli e quasi insignificanti episodi di vita quotidiana, riuscendo, con leggerezza e rara sensibilità (come nei racconti “La storia di Faccia” e “Le cinque curve”), a trasformarli in mito o leggenda. In questi racconti non è per niente casuale rispecchiarsi e ritrovare nei volti, nei dialoghi e nella narrazione di un paesaggio provinciale, e spesso indefinito, assonanze con le periferie urbane e sociali che in qualche modo ognuno di noi ha conosciuto. Una narrazione asciutta, non fredda, ma nello stesso tempo distante; quasi estraniata nel raccontare un fatto accaduto nell’intimità familiare, come nel racconto “Via degli Oleandri”. Per far questo l’autore adotta una tecnica (olio su tela, con i personaggi disegnati su lucido sovrapposto) che tutto sfuoca, che dilata, spersonalizza. Grandi macchie di colore azzurro s’impadroniscono delle tavole, in cui le figure umane a volte sembrano estranee. Altre volte, invece, si confondono con la loro trasparenza come in un sogno, o meglio, in un ricordo sbavato nei contorni, ma preciso nella sua essenza. Senza scadere nell’auto-indulgenza né nel realismo stucchevole, come spesso capita a chi si confronta con l’intimismo e la quotidianità, Gipi sbalordisce per il suo narrare dall’incedere riflessivo, che risalta soprattutto nel raccontare episodi forti e violenti, preferendo l’analisi del loro significato a un manierismo estetico. Un’opera matura, supportata da ottimi disegni (o sarebbe meglio dire

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2003

dipinti?) e da un alto livello narrativo, ma, spero di sbagliarmi, probabilmente relegata a un pubblico di nicchia, distante com’è dalla fruizione pigra e superficiale che pervade la buona parte dei lettori. Insomma, non ancora un classico, ma di certo un nuovo, grande, moderno autore italiano. Lo stile singolare di Gianni Pacinotti

Fumo di China

Non è nuova per Coconino – editrice diretta da un autore (Igort) – l’idea di presentare per la prima volta in un volume uno dei maggiori talenti europei contemporanei. Questa volta è però il turno di uno schivo italiano – Gianni Pacinotti – che si offre come raro caso di stile personale sia dal punto di vista tecnico-formale che da quello narrativo. Illustratore, regista di corti e docente di Fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze, Gipi ha pubblicato per Cuore, Tank Girl, Il Manifesto, Strapazin, ma è su Blue (dal ‘97) che ha messo in luce la potenza drammatica e l’abilità tecnica che ne costituiscono la cifra espressiva. Un percorso in bilico fra scavo sociale e inquieta meditazione antropologica che in Esterno Notte arriva a toccare corde profonde e disturbanti anche grazie all’impiego di una coraggiosa scelta di tecnica coloristica, forse la più rara fra quelle storicamente usate nel fumetto: la pittura a olio. In questa selezione di racconti Gipi descrive squarci di realtà della provincia (“Le cinque curve” di motociclisti in folle e adrenalinico divertimento; “La storia di Faccia”, conflitto di quartiere fra sbandati e un’ottusa guardia giurata) e tratteggia figure ferocemente “vissute” (“Macchina sotto la pioggia” è l’incontro tra due gruppi di malavitosi; la stessa storia di Faccia ritrae un “vinto!” di periferia e la sua drammatica libertà di essere). Attingendo molto a episodi autobiografici, talvolta persino intimi e dolorosi (“Via degli Oleandri”, ellittico omaggio a un violento episodio d’infanzia). Ma modulandone i toni con una delicatezza e una partecipazione che spalancano al lettore l’esperienza di uno sguardo di profonda sensibilità (“verista”, non semplicemente realistico). Il disegno muove da furore espressivo (primi piani e contrasti di luce, graffi sugli sfondi; la bicromia di blu slavato, l’unione di olii e pennello con un pennino nervoso) e insieme da un desiderio di poetico distacco dalla furia degli elementi. Gipi infatti sovrappone fogli di carta da lucido con immagini ricalcate dei protagonisti, e l’effetto è quello di scalfire la pagina per tenerla uno spazio “liquido” in cui «le figure sembrano (sono) ritagliate, fuori posto… e i personaggi hanno diverse facce, con diverse espressioni». L’ultima e lunga storia (“Muttererde”) è la più spaventosa: un gruppo di marinai di una petroliera naviga sull’oceano Atlantico in tempesta, e la cupa atmosfera che regna sulla nave e sui loro destini è

Matteo Stefanelli

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affidata ad ampie ma soffocanti vignette prive di dialoghi, accompagnate da pagine drastiche di un (forse) sopravvissuto, feroce voce narrante di una tragica discesa agli inferi. Il Sole 24 Ore

Daniele Barbieri

Macchine emotive per raccontare storie di nulla Sembrano provenire da un altrove remoto le cinque storie inedite che Gipi presenta in Esterno Notte, ma si tratta di un altrove interiore, come isole della coscienza o della memoria che escano d’improvviso dalle brume, per restare, quasi magicamente, fissate sulla carta. E di magia, in questi brevi testi narrativi per immagini, ce n’è parecchia. È il primo libro, questo, che Gipi pubblica, ma numerose storie sue erano già uscite su riviste – storie belle, intriganti, ben costruite. Eppure il salto di qualità che si incontra su queste pagine è stupefacente. Le si legge e rilegge, queste storie, alla ricerca del nocciolo della loro magia, cercando di capire come facciano a emozionare il lettore così tanto, a comunicare questa sensazione di profondità del ricordo, quasi di paura. Non è solo questione di invenzioni visive, ma anche nel semplice modo di rappresentare il suo mondo Gipi appare dalla prima tavola come un maestro. Ci sono questi monocromi dipinti a olio, che combinano la rappresentazione realista con una vaga parodia – messi a contrasto con immagini disegnate a pennino, ora per giustapposizione di vignette, ora addirittura sovrapposte alla pittura, quasi due realtà diverse nello stesso spazio. E poi c’è la parola, il racconto, le voci dei personaggi. Una costruzione di polifonie e contrasti, in cui una vena lirica molto intensa si trova temperata da un’ironia leggera e amara. Tre di queste storie sono frammenti autobiografici, storie di nulla, non-storie. O magari suggerimenti rispetto a quello che in seguito è accaduto davvero, che qui viene taciuto. Ma intanto si delinea il ritratto di un piccolo mondo e delle sue emozioni – che appaiono in questo modo come messe a nudo, liberate dalle pastoie narrative che rischierebbero di farle apparire convenzionali, già raccontate, come spesso accade, da milioni di storie. Poi ci sono altri due racconti, quello di un malavitoso colto da una sorta di crisi esistenziale in un momento di tensione (uno scambio di prigionieri tra bande rivali), e l’ultimo, il più lungo, “Muttererde”, l’incubo di una caccia ai clandestini a bordo di una petroliera, sull’oceano, d’inverno. E qui si riesce forse a individuare almeno una delle strategie di cui Gipi fa uso per costruire le proprie macchine emotive. Nella storia dei malavitosi è il contrasto tra due contesti narrativi tradizionalmente diversissimi, come il tormento interiore e la tensione per la situazione di pericolo. In “Muttererde” è il contrasto tra la grandiosità spaventosa dell’oceano

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2004

ostile, e il tarlo di inumanità e idiozia che corrode la casa comune dei personaggi, la petroliera Muttererde (“Madre Terra”, in tedesco). Ma non si tratta di accostamenti facili. Come in ogni ricetta che avvicina ingredienti dai sapori lontani, la sapienza sta nella scelta degli altri elementi, che servono per farli “legare”. Qui sarà forse la maestria visiva, o la capacità di costruire un ritmo emotivo fatto di tanti elementi diversi; ma che non rallenta mai. Una lettera da pubblicare

Blogspot

Carissimo Gipi, mi hanno riferito di “Muttererde” non considerata un fumetto dalla Giuria di Lucca Comics. Sono andato sul tuo Blog, ma non riesco (non sono capace?) a postarci su per chiarire come stanno le cose. Ti chiedo di inserire questa mail. Infatti, essendo stato Presidente della giuria, posso spiegarti com’è andata. “Muttererde” non è stato escluso dai premi, questo sia chiaro! Abbiamo proceduto per votazioni successive e anche “Muttererde” è stato votato. Le maggiori preferenze dei sette giurati sono però andate soprattutto ad altre due opere, una delle quali, “Paul Apprendista Tipografo”, ha poi vinto. Nel discutere sul perché e sul percome ciascuno votava, alcuni di coloro che non hanno votato “Muttererde” hanno motivato la loro decisione ritenendo che la soluzione narrativa da te scelta non fosse da considerare un fumetto vero e proprio. Ovviamente non ero e non sono d’accordo. Ma rispetto il parere di queste persone, che per altro ammirano, come tutti, il tuo lavoro. Ok. La forma è salva. La Giuria non ha escluso “Muttererde” perché non è un fumetto. Ma la sostanza rimane ;- ) Bisogna avere pazienza. Sai anche tu quali fumetti abbiamo pubblicato in questi anni sotto il marchio del Centro Fumetto “Andrea Pazienza”... Per me, il fumetto è una narrazione grafica. Il balloon non è l’elemento fondamentale per stabilire se un’opera è a fumetti o meno! Ciò nonostante molti, ancora oggi, la pensano diversamente. Hai fatto bene a sollevare il problema. L’importante è che sia chiaro che la giuria, nel suo insieme, non ha deciso che “Muttererde” non era un fumetto! In quel caso me ne sarei andato all’istante. Per il resto, non possiamo che testimoniare il nostro pensiero con il lavoro quotidiano che sappiamo fare, dalla creazione di opere all’organizzazione di eventi culturali, sperando che, con il tempo, si possano modificare questi pregiudizi, sicuramente espressi in buonafede, ma pur sempre pregiudizi e sbagliati.

Michele Ginevra

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Gipi irreale

Nel corso della sua carriera, Gipi ha messo al centro il racconto del presente, con uno sguardo tra i più incisivi dei nostri tempi, spesso indagando le micro esistenze di uomini e donne osservate dall’“avamposto” dell’Italia di oggi. Per farlo, però, ha praticato una via lontana dal documentarismo, nonostante di lui si sia spesso sottolineata l’attenzione al territorio e allo spirito della provincia italiana. La sua, infatti, è un’indagine non tanto su un territorio definito, quanto su un campo di forze al cui centro ci sono la giovinezza, un sottile ma persistente malessere sociale e uno stato di incertezza individuale. Condizioni che vibrano insieme, con o senza il fluire dei dati autobiografici ad accompagnarle, e che guidano la lettura fino al confine delle domande esistenziali, fermandosi un passo prima di fornire risposte e di fare filosofia. In questo percorso, Gipi si spinge sia dentro che fuori dalla realtà, talvolta nello stesso racconto o nello stesso disegno, nutrendo le sue opere di elementi fantastici. La durezza della guerra, l’asprezza dell’adolescenza, il dramma del disagio prendono forma attraverso accostamenti paradossali con orsi parlanti, mutanti post-apocalittici, allucinazioni da videogioco. Non solo La terra dei figli è un racconto di fantascienza postapocalittica, ma l’autofiction La mia vita disegnata male comprende anche una vera e propria storia di pirati, e i suoi classici Appunti per una storia di guerra o Via degli oleandri toccano il sublime quando dal foglio emergono immagini irrealistiche, impossibili, irragionevoli. Come se non volesse tanto indagare i fatti quando abbandonarsi alle distorsioni dei ricordi, alle sfocature degli affetti, agli slanci dell’immaginazione. Insieme alla testimonianza e all’autonarrazione, insomma, Gipi scava il presente grazie all’energia delle grandi allegorie: il sogno, l’immaginazione del futuro, l’ambiguità irrazionale di spettri e apparizioni. Tre chiavi di lettura per riscoprire l’opera di un “Gipi irreale”, anti-naturalista, fantasioso. Senza il quale sarebbe impossibile immaginare la sua personalità artistica.

nella pagina a fianco Un particolare da Il mondo moderno, 2009

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