RelazioneClaudioSchiavoni

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Assemblea Pubblica dei Soci 2013 venerdĂŹ 28 giugno 2013

Relazione di Claudio Schiavoni Presidente 2013 - 2017



Assemblea 2013 - Relazione del Presidente 2013-2017 Claudio Schiavoni

Autorità, cari colleghi imprenditori, Signore e Signori, buon pomeriggio. Ringrazio il Magnifico Rettore della Politecnica delle Marche, Marco Pacetti, ed il Preside della Facoltà di Ingegneria, Dario Amodio, per averci ospitato in questa sede. Grazie al nostro Presidente Giorgio Squinzi, per essere nuovamente con noi: come ha detto poc’anzi Casali, ne siamo particolarmente felici. Personalmente, Presidente, ti assicuro sin d’ora la collaborazione mia personale e rinnovo quella di tutta l’Associazione per far crescere ancor più Confindustria. Oggi intendiamo parlare di industria, di quello che rappresenta per il Paese, per la nostra realtà locale e di quello che sarà domani. Lo faremo anche grazie a colleghi imprenditori di fuori regione che ci testimonieranno, con le loro storie, come sia possibile fare impresa in Italia, seppur tra mille difficoltà. A voi, grazie di cuore per aver dedicato tempo e attenzione alla nostra Assemblea. Siamo qui anche per parlare di noi imprenditori, non per essere autoreferenziali, sia chiaro. Vogliamo raccontare le imprese e gli imprenditori che ogni giorno continuano a lavorare in questo territorio, per il territorio e la sua economia, per i propri collaboratori, impegnati come sono affinché la nostra provincia rimanga sempre motore necessario dell’economia nazionale. Ne parla Confindustria Ancona, anche in nome e per conto dei tanti colleghi silenti che ogni giorno producono benessere per tutti senza fare chiasso e baccano. CON L’INDUSTRIA: è il tema di questa assemblea ma riflettendoci è come dire “noi con noi stessi”. E’ ovvio che noi siamo con noi stessi; il problema è che diamo spesso l’impressione di essere contro e non di essere con. Spesso viene stigmatizzato che siamo contro questa politica, che siamo contro questo sistema bancario e la sua incapacità di valutare correttamente le aziende. Veniamo a volte additati perché considerati contro queste istituzioni, contro queste tasse folli e ingiustificate rispetto ai servizi che vengono assicurati. Personalmente ritengo che gli imprenditori sono pro, non contro. Dobbiamo però cambiare approccio, aprirci maggiormente ed evitare di commettere un errore troppo diffuso in Italia, ossia puntare il dito contro gli altri. É un cambiamento necessario se vogliamo realizzare un nuovo risorgimento per il nostro Paese e la nostra provincia .

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Nel nostro territorio ci sono aziende che non ce la fanno più ma ci sono anche realtà in crescita, sono nate nuove imprese; altre anche in un momento difficile, seppur tra mille sacrifici, stanno continuando a tenere la barra del timone a dritta. Quando ero Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori, ebbi la fortuna di visitare le più belle e floride realtà del nostro territorio e i loro imprenditori. Uno di questi, o meglio uno di quelli che a mio avviso sono Imprenditori con la “I” maiuscola, ci disse: “quando il mare è calmo siamo tutti bravi comandanti; i comandanti veri, però, vengono fuori quando il mare è in burrasca”. Eccoci signori, il mare è veramente in burrasca. Credo che nella nostra nave non sia più il tempo di dire “non hai fatto quello che dovevi fare”; è il momento di iniziare a fare e a fare ognuno secondo le proprie competenze e responsabilità. Credo soprattutto che sia il caso di iniziare a farlo insieme, di unire le forze e raggiungere insieme un porto sicuro oppure aspettare che la burrasca si plachi. La burrasca, infatti, non si è ancora placata e non abbiamo nemmeno raggiunto un porto sicuro e temo, purtroppo, che noi stessi stiamo sbagliando rotta. Non siamo più in un momento di crisi; la crisi è superata. Siamo in una nuova fase, di cambiamento epocale: in Italia il mercato di tre anni fa, a quelle condizioni, non tornerà più o, se tornerà, non sarà a breve. Si è chiusa una finestra, con vecchie consuetudini ed il linguaggio di sempre; se ne apre un’altra, che propone nuove logiche e richiede un nuovo modo di pensare, di agire, di comunicare. Gli ultimi dati economici ci indicano alcuni segnali, che provo ad elencarvi. I recenti studi della Banca d’Italia dicono che stanno andando avanti, e stanno crescendo, le aziende che esportano; indicano anche che un’azienda può ritenersi salva se raggiunge un 40% di export. Un altro dato che emerge è che le banche finanziano solamente le aziende sicure, ovvero solo quelle che sono in grado di restituire i soldi. I dati indicano inoltre che le nostre banche hanno aumentato la raccolta, ma soprattutto - ed è il dato che deve far riflettere - che gli Italiani hanno smesso di comprare beni durevoli. Ulteriore elemento è che il PIL prodotto dai Paesi cosiddetti emergenti è superiore a quello dei Paesi cosiddetti industrializzati, a tal punto che tra pochi decenni sarà più difficile distinguere le economie avanzate da quelle emergenti.

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Se sommiamo tutte queste informazioni, possiamo fare alcune considerazioni. La prima: in Italia è cambiato il modello di consumo; stiamo passando dal consumismo al consumo intelligente. Compro qualche cosa se e solo se mi serve. La seconda: ci sono tantissimi Paesi che stanno emergendo e stanno consumando alla nostra vecchia maniera, ovvero in maniera consumistica. Questo spiega il perché le aziende che vanno all’estero vivono: di fatto esportano l’attuale modello italiano del fare impresa. Chi invece vuole o deve rimanere in Italia è costretto a reinventarsi e smetterla di puntare il dito solo verso gli altri. Dice un detto “Se vuoi la città pulita, inizia a pulire l’uscio di casa tua”. Bene, è giunta l’ora di pulire l’uscio di casa nostra e di lavorare affinché ognuno pulisca il proprio. Credo che sia veramente l’ora di cambiare e di cambiare insieme; non smetterò mai di affermarlo per i prossimi 4 anni e continuerò a ripeterlo all’infinito proprio perché il nostro sistema imprenditoriale, se non decide di cambiare, se non si mette insieme, è destinato a soccombere. Guardiamo indietro negli anni: quanti progetti sono partiti su internazionalizzazione, aggregazioni e reti di impresa, consorzi. Sono tutte iniziative fatte in tempi non sospetti, non di crisi ma di vacche grasse, dove forse o la nostra pancia piena o la nostra poca lungimiranza ci ha portato a snobbare quei progetti e a pensare che il nostro mercato continuasse ad essere quello che era stato nei 30 anni precedenti e perdipiù che durasse in eterno. E invece no, ora il mercato si è evoluto tanto rapidamente che le uniche aziende in grado di rimanere in piedi sono quelle che hanno attivato dei processi di internazionalizzazione veri, quelle aziende che anni fa hanno giustamente distinto i processi di vera internazionalizzazione da quelli di delocalizzazione. Sono quelle aziende che hanno aperto stabilimenti, sedi commerciali, unità operative all’estero non per riportare il prodotto in Italia ad un costo più basso, ma lo hanno fatto bensì per affrontare quei mercati con la necessaria prossimità del processo produttivo. Queste aziende, ora che in Italia c’è una fortissima contrazione del mercato, riescono a sopravvivere proprio grazie alle loro sedi estere. Cari Colleghi, facciamo un minimo di autocritica. Quanti di noi, perlopiù piccoli e medi imprenditori, hanno pensato che, unendosi anche con il concorrente, avrebbero potuto raggiungere la massa critica necessaria per affrontare meglio i mercati esteri?

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Forse lo abbiamo pensato tutti ma nei fatti nessuno - o quasi - lo ha fatto perché ha prevalso la cultura del “mai con il mio concorrente”, anche se questa alleanza avrebbe potuto significare crescita e sviluppo ulteriore. Analogo ragionamento possiamo fare guardando ai temi finanziari. Stante l’attuale situazione del credito e del sistema bancario, come possiamo pensare di chiedere soldi alle banche con lo stesso approccio di anni fa? So bene che in questi anni molti hanno fatto sacrifici per salvare aziende e posti di lavoro ma è ovvio che non possiamo più chiedere soldi alla banca per ristrutturare le nostre imprese, chiedere mutui o leasing, presentando semplici business plan, senza investire noi per primi in quello in cui crediamo. Le banche sono S.p.A., con azionisti a cui devono portare utili alla fine dell’anno. Quanti di noi imprenditori hanno mai pensato di aprire la propria azienda ad un fondo di investimento, che creda nelle nostre idee e che investa nei nostri progetti aziendali? Credo di non sbagliare se dico pochi, molto pochi, forse troppo pochi . E perché? Perché la mia azienda non si tocca, la mia azienda è solo mia, è il mio terzo braccio, è il mio riscatto sociale. Ma è corretto pensare in questo modo, se veramente vogliamo il bene della nostra azienda, del patrimonio economico e di competenze che rappresenta? Noi dobbiamo avere il coraggio di dircele queste cose, altrimenti saremmo ipocriti e continueremmo a piangerci addosso e a puntare il dito solo contro gli altri. Anche gli altri - sia chiaro - hanno colpe, e non poche. Abbiamo un costo del lavoro altissimo; nella produttività l’Italia è rimasta indietro rispetto all’Europa e agli USA; ha perso terreno nel costo del lavoro per unità prodotta (CLUP) e continua a rimanere al top nel costo complessivo del fare impresa, addirittura peggio di Polonia, Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Svezia. Abbiamo una miriade di tasse che uccide i nostri bilanci. Da una ricerca che la nostra Associazione sta completando in queste ore emerge che le aziende associate a Confindustria Ancona – circa 900 tra dirette e indirette – nel 2012 abbiano versato oltre 20 milioni di euro per l’IMU e circa 7 milioni di TARSU. Per essere ancora più chiari circa 55 miliardi di vecchie lire e solo per due imposte locali La burocrazia non ci permette di essere agili e snelli nella realizzazione delle nostre decisioni: è talmente farraginosa che nei confronti del resto dei Paesi dell’Europa noi stiamo facendo una corsa ad ostacoli ma con i lacci della scarpa destra legati con quelli della scarpa sinistra. 6


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Se, come diceva Thomas Mann, l’Europa è la terra della ribellione, della critica e dell’attività riformatrice, parlando di Unione Europea, cosa dovremmo dire della euroburocrazia, dell’eccesso legiferativo, dell’eccesso di rigorismo che sta soffocando tutta l’industria? Potremmo andare avanti per ore a lamentarci delle nostre Istituzioni e dell’Europa, ma cosa risolveremmo ? Non è lamentandoci che risolviamo i problemi; li risolviamo facendo la nostra parte. Attenzione cari Colleghi, non sto dicendo arrendiamoci. Sto solo e semplicemente dicendo: ripartiamo da noi, da Confindustria che in questo momento è l’unica istituzione di cui noi imprenditori ci possiamo fidare; ripartiamo da qui, dalla nostra casa associativa, per avere poi più peso fuori. Tante volte, troppe volte in questo periodo sentiamo imprenditori che dicono basta, me ne vado via dall’Italia, apro all’estero, ma poi? Conosciamo benissimo la risposta: siamo italiani e rimaniamo qui, amiamo la nostra Nazione, amiamo questo Paese; soprattutto, siamo Italiani e non ci diamo mai per vinti. Noi imprenditori, noi “gente del territorio e cittadini del mondo”, ogni volta che ritorniamo a casa, dopo viaggi all’estero, respiriamo la nostra aria, ritroviamo la nostra gente e tutto questo ci assicura nuova forza che ripaga della tanta fatica quotidiana. É di questi giorni il decreto del Fare. Un buon provvedimento sulla carta; probabilmente non soddisfa tutti alla stessa maniera ma credo che l’importante sia partire e in fretta. È necessario riiniziare, dare slancio a questa nostra economia che sta soffocando. Permettetemi, però, un paio di riflessioni rispetto all’operato del Governo. Ci saremmo aspettati che i soldi da troppi anni dovuti dalla Pubblica Amministrazione al sistema imprenditoriale seguissero una procedura più snella, tale da assicurare immediatamente il pagamento di debiti a dir poco vergognosi per un Paese che si definisce moderno e democratico. Mercoledì scorso è uscito il decreto sull’occupazione. Questa notte in ambito europeo è stato raggiunto un difficile accordo, che stanzia oltre 8 miliardi di euro per l’occupazione giovanile. Non ci sentiamo di esprimere soddisfazione, però. Abbiamo la necessità, infatti, di analizzare attentamente entrambi i provvedimenti. Per quanto attiene il decreto italiano, il primo elemento che balza agli occhi è che guarda 7


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soprattutto a chi non ha un diploma di scuola media o professionale e, al tempo stesso, non ha reddito o vive da solo con persone a carico. Aldilà della discutibilità sul numero dei potenziali destinatari di questo intervento – non credo di sbagliare se affermo che gli italiani usufruitori non saranno molti - vorrei chiedere a chi ha partorito il decreto se piuttosto che partire da questo tipo di incentivazione per il rilancio della occupazione, non fosse stato il caso di prevedere una norma più ampia, mirata a coinvolgere tutti i giovani che oggi non hanno un’occupazione per agevolarne l’ingresso nel mondo del lavoro. Con il decreto di mercoledì, invece, quale messaggio intendiamo dare ai nostri figli e alle famiglie che stanno facendo sacrifici enormi per mandare i propri ragazzi a scuola, assicurando loro cultura e facendo in modo che acquisiscano le competenze necessarie per muoversi a testa alta nel mondo del lavoro? Soprattutto, quale è Italia che viene delineata per il futuro? Se è vero, come dice il Presidente di Federculture, Giorgio Van Straten, che investire in cultura fa crescere il PIL, qualcuno vuole spiegarci dove intendiamo andare? Bill Gates, parlando recentemente agli alunni di una scuola superiore, ha detto: “Lavorare in una friggitoria non significa “abbassarsi”. I vostri nonni avevano una parola diversa per questo: la chiamavano opportunità.” Forse i nostri nonni avevano ragione: oggi abbiamo bisogno di opportunità. Per questo avremmo preferito strumenti diversi che in primis trasformassero anche le opportunità di cui ha parlato Bill Gates in lavoro, a beneficio di tutti, anche di coloro che hanno titolo per ambire a qualcosa di più. In questo momento la sfida è stimolare il mercato del lavoro per il maggior numero di persone: dai giovani che sono il futuro del nostro Paese, ai tanti quarantenni e cinquantenni che questi anni di difficilissima economia ne sono stati estromessi. Per farlo è necessario un vero disegno organico, strategico che rimetta al centro l’impresa, in particolare la manifattura, e gli investimenti, che sia capace di riattivare anche i consumi. Si può fare? Noi diciamo di sì! Lo ha detto molte volte il nostro Presidente Squinzi, a partire dal gennaio scorso quando propose alla politica il “progetto CONFINDUSTRIA per l’ITALIA: crescere si può, si deve”. Ma per farlo è necessario innanzitutto riformare la Pubblica Amministrazione, ristrutturare la spesa pubblica, 800 e più miliardi di euro che potrebbero in parte essere destinati agli investimenti, allo sviluppo, all’occupazione. 8


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Ecco, mentre noi proviamo a pulire l’uscio di casa nostra, ci attenderemmo che anche le nostre Istituzioni iniziassero a fare qualche cosa di analogo. Per pulire la città ed il nostro Paese, infatti, è necessario il massimo impegno da parte di tutti; ma noi invece percepiamo che Istituzioni, politica e banche non siano così interessate al pari nostro. Noi imprenditori, se da un lato dobbiamo smetterla di lamentarci, dall’altro abbiamo il diritto di non smettere mai di arrabbiarci quando assistiamo a questo disinteresse collettivo. Riteniamo di averne diritto perché chi di noi fino ad ora ha resistito lo ha fatto a proprie spese, sacrificandosi, stringendo la cinghia più di altri, senza l’aiuto di nessuno, se non quello dei propri collaboratori. Noi paghiamo le tasse al pari degli altri cittadini e pretendiamo di avere una classe politica, una pubblica amministrazione e servizi all’altezza di quanto costano. Vi siete mai domandati come si comportano i clienti delle nostre aziende se non gli assicuriamo un buon prodotto o un buon servizio? Innanzitutto si arrabbiano, magari sospendono i pagamenti e, probabilmente, non ci riutilizzano più. Altrettanto vale per i fornitori delle nostre aziende: se fanno bene il loro lavoro, non abbiamo motivo di arrabbiarci. Pensare allo Stato come un’entità sovrana che ha solo diritti e nessun dovere è sbagliato. Lo Stato è un fornitore e, come tale, dovrebbe fare le cose a regola d’arte. Non le deve fare a caso, forte della sua impunità di fatto, consapevole che noi tutti, imprenditori e cittadini, non abbiamo alternative ai suoi servizi eccessivamente costosi, ingiustificatamente inefficienti. È quindi il momento del fare per tutti! Ed è proprio basandoci su quello che noi vogliamo fare, sulla certezza che Confindustria è l’unica istituzione di cui ci possiamo fidare, anche perché apartitica, autonoma, volontaria e senza fine di lucro, che noi realizzeremo il nostro programma associativo se staremo insieme e se cambieremo. Un programma che sia per gli associati e per le loro imprese. Un programma che mirerà a ridurre i costi di questa Confindustria. Ci lamentiamo dei costi della politica e poi abbiamo un sistema di rappresentanza quasi più pesante della politica stessa: nelle Marche, per esempio, sono circa 3.500 le aziende associate e 6 le Associazioni tra Territoriali e Regionale con duplicazioni spesso superabili ed ingiustificate.

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Se vogliamo che la politica riduca i costi, pure noi imprenditori associati a Confindustria dobbiamo dare il buon esempio; lavoriamo quindi affinché nelle Marche esista una sola Confindustria che ci rappresenti tutti e che abbia maggior peso politico. Caro Presidente, anche per questo guardiamo con estrema attenzione alla riforma che la Commissione da te voluta sta mettendo a punto: ti chiediamo di fare presto, per consentire a tutti i colleghi Presidenti delle altre Associazioni nelle Marche e al sottoscritto, insieme agli associati, di conoscere gli orientamenti e l’assetto che caratterizzerà il nostro Sistema associativo. Nel frattempo, proseguiremo il lavoro avviato da Giuseppe Casali e dalla sua squadra, per rendere ancora più efficiente, più performante e ancor più al passo con i tempi Confindustria Ancona. Al tempo stesso proveremo a creare nuove attività perché Confindustria Ancona si trasformi da fornitore di servizi a facilitatore di business e vero partner industriale. Metteremo poi a minimo comun denominatore sia le esperienze degli imprenditori che del territorio; faremo in modo che l’esperienza della grande industria diventi energia per far lavorare le tante piccole imprese del territorio. Ci dedicheremo alle piccole e medie imprese che sono circa un 90 % degli associati. Soprattutto per loro creeremo un osservatorio, che proprio stando vicino alle imprese anticipi o quanto meno aggiorni gli imprenditori sulle evoluzioni economiche del mercato. Noi per primi torneremo a scuola con corsi di alta formazione imprenditoriale; guideremo le aziende associate che manifesteranno il bisogno di processi di innovazione . Lavoreremo poi per tutte quelle piccole aziende che da sole non riescono ad esportare, mettendole in rete, a sistema, per farle uscire fuori dall’Italia insieme tra loro ed insieme a Confindustria. Lavoreremo su credito e finanza mettendo a disposizione dei nostri imprenditori tutti quegli strumenti che serviranno per avere delle certezze nei confronti degli istituti di credito. Non può mancare poi la formazione, rivolta principalmente ai collaboratori delle nostre imprese. Non ci chiameremo fuori dalle problematiche sindacali: la nostra associazione vanta lunghe e positive tradizioni, di dialogo e confronto con le organizzazioni sindacali. Con loro abbiamo sviluppato relazioni innovative nei contenuti, sempre finalizzate a salvare il lavoro e, per quanto possibile, generare nuovo sviluppo. Oggi i problemi non sono pochi ma, se sapremo unirci, facendo sacrifici, questa provincia saprà superare le difficoltà. 10


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Queste sono le attività che intendiamo realizzare; faremo quanto serve alle nostre imprese, ai nostri imprenditori, al nostro territorio. Il programma si articolerà in due macro famiglie: da una parte, ciò che faremo per le nostre aziende e, dall’altra, ciò che faremo per l’associazione. Da una parte saremo vicini a tutte le imprese e gli imprenditori, sia a chi ha la possibilità di esportare un modello imprenditoriale, sia a chi deve rimanere sul mercato domestico con l’obbligo di reinventarsi; dall’altra ridurremo i costi del Sistema Confindustria e assicureremo maggior peso politico alla nostra Associazione. Lo faremo grazie all’impegno di tutti i Soci ed, in particolare, di coloro che sono al mio fianco nel Consiglio Direttivo: - Marco Gialletti, Vice Presidente con la delega all’Innovazione - Andrea Merloni, Vice Presidente con la delega alla riorganizzazione del sistema associativo a livello regionale - Maria Cristina Loccioni, Presidente del Gruppo Giovani e Vice Presidente di diritto, con la delega all’Education - Diego Mingarelli, Presidente della Piccola Industria, alla pari di Cristina Vice Presidente di diritto con la delega al Credito e Finanza - Giancarlo Cogliati con la delega ai rapporti con la Grande Impresa - Fabio Dellantonio con la delega all’osservatorio di Impresa ed alta formazione imprenditoriale. - Valerio Fedeli con la delega alla riorganizzazione di Confindustria Ancona - Giovanni Fiorini con la delega all’Internazionalizzazione - Sandro Paradisi con la delega ai rapporti con i Comitati Territoriali - Marco Zannini con la delega alle nuove linee di sviluppo. È trascorso quasi un mese dalla mia elezione: oltre ad aver lavorato fianco a fianco e credo di non esagerare quando dico tutti i giorni - con il Direttore, ho incontrato tutte le persone della Struttura, tutti i presidenti dei Comitati Territoriali e delle Sezioni Merceologiche, il Presidente della Piccola Industria e del Gruppo Giovani Imprenditori, il Presidente del Club della Qualità e quello di Markexport, nonché tutti i Presidenti di Confindustria Ancona che mi hanno preceduto. Vi posso garantire che in tutti c’è la voglia di cambiare, di essere partecipi a questo cambiamento; ognuno di quelli che ho sopracitato è voglioso e desideroso di essere parte integrante di questa squadra, con la consapevolezza che tutti siamo di fronte ad un cambiamento epocale e solo se rimarremo insieme potremmo uscirne vincitori. Da sempre sono convinto che la miglior squadra che Confindustria possa mettere in piedi è data da ognuno di noi, da ognuno di noi in quanto singolo imprenditore ma solo se inizierà a pensare insieme a tutti gli altri e se dimostrerà nei fatti la voglia di partecipare alla vita associativa assicurando il proprio contributo. 11


Questa è la squadra migliore che Confindustria Ancona può schierare: quella fondata sulla disponibilità, sull’impegno, sul confronto e sul dialogo. Non posso non ringraziare chi mi ha preceduto in questi quattro anni, Giuseppe Casali e tutta la squadra che con lui ha svolto un ottimo lavoro. Seppur in un momento estremamente difficile, hanno avuto la capacità di assicurare progetti di altissimo livello e la forza di lasciare i conti in ordine. Hanno assunto anche decisioni difficili e dolorose che li ha esposti a critiche, critiche a volte anche fin troppo facili per chi non vive l’Associazione dall’interno. Il tutto è stato fatto per il bene della nostra Associazione, per il suo futuro che è, ricordiamocelo, anche il nostro. Signori, l’Italia è la seconda potenza manifatturiera della zona euro ed è la prima per tasso di imprenditorialità, nonostante il costo dell’energia più alto, nonostante il costo del carburante più alto, nonostante tassi di interessi più alti, nonostante... ...nonostante tutto. Cari Colleghi, provate ad immaginare cosa saremmo se non avessimo al seguito tutti quei “nonostante” e se, al contrario, avessimo una nuova politica economica di rilancio della crescita e del manifatturiero, per fare leva sull’unico vero grande vantaggio competitivo del Paese: la sua alta vocazione industriale. Ribadisco: noi dobbiamo pulire il nostro uscio ma oggi, da questa Aula Magna che simboleggia innovazione e cambiamento, chiediamo che ognuno si impegni fortemente a pulire il proprio e che tutti insieme si lavori per mantenere la città pulita. Noi imprenditori abbiamo la necessità di intravedere un futuro, per noi, per le nostre imprese , ed i nostri collaboratori, per il nostro territorio. Noi dobbiamo essere pronti al cambiamento continuo, perché siamo gente che non può permettersi di fermarsi, di accontentarsi di facili successi. Noi imprenditori abbiamo la necessità di credere e sperare che siamo di fronte ad un nuovo risorgimento italiano. Concludo con una massima di Andrè Gide che dice : Non esistono problemi, ci sono solo le soluzioni, lo spirito dell’uomo crea il problema dopo. Grazie e buona serata a tutti.


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