Confini3

Page 1

Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 3 Luglio/Agosto 2012 - Anno XIV

RIGENERARE LA POLITICA

L’IN

PI IAM C RIO A M A: VIST R E T

PRIMO PIANO: La Relazione di Fini all’Assemblea Nazionale Richiedete la vostra copia gratuita a: confiniorg@gmail.com


www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione culturale “Confini” Numero 3 (nuova serie) - Luglio/Agosto 2012 - Anno XIV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano + Condirettori: Ugo Maria Chirico - Massimo Sergenti + Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Giovanni Belleré Marcello Caputo - Elia Ciardi - Ugo Maria Chirico Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano - Carmine Ruotolo Filippo Sanna - Emanuele Savarese - Massimo Sergenti

+ Hanno collaborato a questo numero: Ugo Maria Chirico Danilo Domenico De Luca Francesco Diacceto Gianluca Esposito Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Giuliano l’Apostata L’Infedele Pierre Kadosh Pennanera Gustavo Peri Angelo Romano Giny Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti Partenope Siciliano + Segreteria di redazione confiniorg@gmail.com Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

1


2

PRIMO PIANO

FORZA DI PROPOSTA 30 giugno 2012, Assemblea Nazionale di Fli. Gianfranco Fini ha aperto i lavori con una lunga e densa relazione, di seguito fedelmente sintetizzata. Le turbolenze in atto, che determinano la complessità e criticità della fase attuale, sono il frutto dell'entrata nel millennio. Il contesto italiano è connotato da una crescente sfiducia verso la politica, sfiducia che si estende ai partiti nella loro generalità a causa del riaffiorare della questione morale e della recessione. La politica viene così percepita come l'area di indebiti privilegi. Va riconosciuto che i partiti sono stati auto-referenziali, non sono stati capaci di autoriformarsi, né di avviare una concreta stagione di riforme, né di cogliere i cambiamenti in atto. Le conseguenze sono state: sfiducia crescente, apprensione diffusa, frammentazione, egoismi. La pericolosità del futuro è stata addebitata al ceto politico, ne sono conferma i risultati delle ultime elezioni amministrative che hanno visto crescere l'astensionismo, persino e per la prima volta in una competizione amministrativa, e l'area della "partecipazione contro", rappresentata dal Movimento 5 Stelle. Ma Grillo è solo il termometro di una febbre crescente che va abbassata, non avrebbe senso rompere il termometro. Vi è stata, inoltre, una forte tendenza alla frammentazione attestata dalla vera e propria proliferazione di liste civiche, dietro cui si è spesso celato il ceto politico tradizionale per tutelare interessi locali senza simboli ufficiali di partito. E' emersa chiara la complessiva difficoltà dei partiti, sia pur diversamente graduata: tutti hanno perduto voti, ma le sinistre hanno comunque strappato amministrazioni al centro destra. Pdl e Lega hanno i maggiori motivi di preoccupazione, l'Udc non è cresciuta quanto avrebbe sperato, Fli ha avuto un risultato marginale, nonostante i lodevoli sforzi compiuti dai suoi esponenti, essendogli mancata la capacità di intercettare il consenso perduto da altri o quella di convincere quote di astensionisti. Tutto ciò ha determinato alcune conseguenze: un forte sbandamento nel Pdl che si trova a dover scegliere se essere partito di lotta o di governo, il probabile consolidamento della "foto di Vasto". Ulteriore conseguenza è stata l'archiviazione del progetto "Terzo Polo" che, in quanto sommatoria di partiti, è stato considerato insufficiente. Tuttavia le potenzialità del progetto restano intatte. Ulteriore conseguenza è stata la domanda di novità che non va confusa con il nuovismo o con il mero ricambio di volti, occorrono idee e proposte nuove, così come va rinnovato il rapporto con la politica. La confusione complessiva dello scenario è accentuata dall'avvicinarsi delle elezioni e dalla mancanza di una nuova legge elettorale. All'interno dei "palazzi" il tasso di confusione è ancor più percepibile, amplificato com'è dalla paura serpeggiante tra i parlamentari. Per ripartire


PRIMO PIANO

occorre aver chiara la strada e quella di Fli ha dei punti fermi: primo: non ostacolare, rallentare o indebolire l'azione del governo Monti. Proprio noi che, a caro prezzo, abbiamo determinato il cambio di governo, non possiamo ostacolarne l'azione, nell'interesse nazionale. Le preoccupazioni straniere per l'Italia e le relative tensioni sui mercati, non riguardano difatti Monti, che è largamente apprezzato, riguardano il dopo Monti, il possibile salto nel buio che potrebbe compiere il Paese. Sostenere quindi l'azione di governo, migliorandola all'occorrenza. Questo non presuppone, ovviamente, un'adesione acritica, ma la capacità di avanzare proposte migliorative. Il secondo punto riguarda le alleanze e la coerenza delle scelte che si compiono: se sosteniamo il governo non possiamo pensare di allearci con chi lo avversa - il Pdl vive questo problema con la Lega -, qualunque sia la legge elettorale con la quale si andrà a votare. Oggi, di fatto, si apre la campagna elettorale ed abbiamo il dovere di presentare idee per l'Italia e non alchimie delle alleanze. Le sole alleanze concepibili sono quelle per o non quelle contro che sono state il cancro della Seconda Repubblica. Basta con le etichette, definiamo le idee e poi confrontiamole con coloro che vogliono dar vita ad un Polo patriottico, europeista e riformatore, per verificare se tale Polo è in grado di offrire un progetto credibile per l'Italia. Con i centristi abbiamo ancora ampie convergenze, eccettuato il ricorso al termine "moderato", così come con altri soggetti politici, non esclusi alcuni componenti del governo. Insieme possiamo dar vita ad un nuovo Polo riformatore. Già a settembre si terrà l'Assemblea dei 1000 per l'Italia, cui dovranno partecipare nuove risorse in grado di portare il loro “sale", il loro contributo di idee al progetto. La nostra idea guida è il perseguimento dell'interesse nazionale e questo coincide con l'idea di un'Europa sempre più integrata. Altro che ritorno alla lira! Il successo del vertice europeo non consiste tanto nello scudo antispread quanto nella messa in comune delle politiche bancarie e fiscali. Occorre cedere sempre più ampie quote di sovranità, fino a condividere anche politica estera e difesa e realizzare così gli Stati Uniti d'Europa. Non più differibile è la riforma degli assetti costituzionali, tante volte promessa e disattesa. Se in quest'ultimo scorcio di legislatura nulla sarà fatto - come temo - occorrerà dar vita ad un'Assemblea Costituente. Occorre rilegittimare la politica con la trasparenza, con l'esempio, con una legge elettorale che davvero persegua l'interesse generale: l'uninominale secco, ad esempio, senza listini o altre scorciatoie, ma con diritto di tribuna ed il 50% dei collegi riservati alle donne. Siamo stati i primi a parlare di "Generazione Balottelli", dobbiamo batterci per l'approvazione di una legge che riconosca la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. La società è molto cambiata, nei decenni, sono emersi nuovi format familiari, fermo restando il "favor matrimoni", vanno approntati strumenti per regolare le unioni diverse dal matrimonio. Procederò per flash: l'eccesso di consumo di territorio impoverisce la qualità ambientale e della vita di tutti i cittadini, occorre introdurre il "pareggio di bilancio" anche nel consumo della risorsa territoriale. In Italia si investe in cultura un miliardo e ottocento milioni, tale investimento genera ritorni per 39 miliardi. Occorre portare l'investimento ad almeno 5 miliardi affinché il ritorno sia

3


4

PRIMO PIANO

di 100. La cultura è un moltiplicatore di investimenti. Il servizio civile oggi è solo volontario, andrebbe esteso agli studenti delle medie e delle superiori. Va favorito il merito con atti concreti come quello di togliere ai Direttori generali delle Asl il potere di nomina dei primari, si ritorni ai concorsi per titoli e soprattutto per esami o quello di premiare economicamente quegli insegnanti che ottengono i migliori risultati didattici. Liberalizzare le rette universitarie per consentire la riduzione del contributo statale da impegnare nel finanziamento di borse di studio per gli studenti non abbienti. Si potrebbero finanziare almeno 100.000 borse. Certo le riforme non si fanno senza risorse, ma essendo attenti nel prevedere i tagli necessari per ogni nuovo investimento diventano possibili, anche in tempi di crisi. La spesa pubblica per beni e servizi ammonta a 140 miliardi l'anno, l'intero interesse sul debito incide per 95 miliardi. Tale spesa è cresciuta a dismisura negli ultimi anni: + 52% per la sanità, + 37% per le regioni. Occorre concentrarsi su tali spese. Un risparmio del solo 10% renderebbe disponibili ben 14 miliardi per finanziare nuove misure riformatrici. Il costo delle regioni é davvero esagerato e non possiamo più permettercelo, per questo andrebbe ridotto drasticamente il numero delle regioni, fissando altresì parametri univoci dipendenti - popolazione o dirigenti - dipendenti. E' macroscopico che la Toscana, con una popolazione di poco superiore ad un terzo, abbia più dirigenti della Lombardia. Così come, insieme all'abolizione delle Province, occorrerebbe accorpare i piccoli comuni in Unioni di almeno 10.000 abitanti. Altre risorse si possono recuperare dalla bonifica della vera e propria selva degli incentivi alle imprese, spesso concessi discrezionalmente. Con le risorse recuperate si potrebbe: introdurre la deducibilità, inversamente proporzionale al reddito, dell'Imu dall'Irpef e sanare così anche la palese ingiustizia di un Imu che colpisce anche gli incapienti, ossia coloro che, per assenza di reddito, non devono presentare alcuna dichiarazione; si potrebbe spostare il cuneo fiscale dal reddito individuale a quello familiare; contenere la disoccupazione dilagante introducendo la riduzione degli oneri contributivi o il credito di imposta per le imprese che assumono lavoratori over 50 o under 35 anni; finanziare un fondo di opportunità per quei giovani che intendono conseguire un master o realizzare un'idea imprenditoriale; promuovere un patto generazionale tra artigiani anziani e apprendisti volto alla continuazione dell'impresa artigiana tramite il passaggio della titolarità agli apprendisti e finanziata da uno sgravio contributivo quinquennale. E ancora: rilanciare l'edilizia abolendo la tassazione del 10% per i costruttori che favoriscono l'accesso all'acquisizione di appartamenti di maggior superficie; incentivare la vendita degli immobili pubblici garantendo il cambio di destinazione d'uso all'acquirente; contrastare la corruzione - stimata in almeno 60 miliardi l'anno - attraverso la realizzazione di un "Fiscal cloud" che garantisce a tutte le imprese che vi appoggiano la loro contabilità il totale sgravio burocratico e l'assenza di adempimenti e fastidiosi controlli. E' tutto riconducibile ai valori della destra? Di una certa idea della destra certamente sì. Ma la cosa più importante è demolire la caricatura della destra che si è costruita negli ultimi anni connotandola con l'egoismo sociale, il fastidio per l'immigrazione, l'antieuropeismo.


PRIMO PIANO

Noi dobbiamo incarnare una politica che ascolta, che sa fare campagna elettorale col ragionamento. Fin qui il ragionamento di Gianfranco Fini. Si sono poi susseguiti molti interventi: Italo Bocchino ha detto che Fli dovrà essere il motore del nuovo contenitore, che sarebbe opportuno che i Presidenti dei parlamenti europei si facessero promotori dell'unità europea, si è dichiarato d'accordo sulla necessità di un'Assemblea Costituente e pessimista sul cambio della legge elettorale. Benedetto Della Vedova ha affermato che il Pdl andava fatto, è fallito perché il Governo Berlusconi è stato il governo non del fare, ma del fare finta. Monti va sostenuto e le alleanze sono effettivamente un punto di arrivo e non di partenza. Enzo Raisi ha indicato la necessità di 2 riforme culturali: per garantire certezza dei tempi e velocità per competere, cancellare la burocrazia autorizzativa per sostituirla con quella del controllo, per combattere l'evasione smetterla con l'intollerabile polizia fiscale introducendo il contrasto di interessi, come nell'ordinamento americano: chiunque ha una fattura se la può scaricare. Per Fabio Granata il Pdl non andava fatto. Ha detto di ritenere inaccettabile il comportamento di quei dirigenti di partito che per cambiare Fli vogliono azzerarlo e che, pur apprezzando il governo Monti, ritiene che la Fornero sia il peggior Ministro del Lavoro che l'Italia abbia mai avuto. Ha sottolineato come sia necessario interloquire direttamente col governo, che la fine di tutti gli "ismi" comporta anche quella del liberismo e che le cessioni di sovranità devono andare a beneficio dei popoli e non della Bce. Flavia Perina ha detto di essere stufa delle polemiche tra liberisti e destristi, che occorrono nuove sintesi e non la caccia ai nemici interni. Vi sono due modi di attraversare il deserto: quello del Mosé penitente e quello avventuroso e divertito descritto nel film "Marrakech Express". Tra i due modi lei sceglie il secondo, anche perché bisogna sempre dare il giusto spazio ai sentimenti, alle emozioni, alla felicità delle persone. Per Carmelo Briguglio Fli costituisce una tappa nella storia della destra europea. Cristiana Muscardini: Si possono coniugare conservatorismo e riformismo, per accelerare il processo di unificazione europea va risolto il conflitto tra Paesi produttori e importatori. Sulla relazione di Fini ha due perplessità: sulla legge elettorale, essendo proporzionalista e sulle coppie di fatto che sono un falso problema. Il punto è l'allargamento dei diritti della persona. E' totalmente d'accordo sul contenimento delle regioni e porta come esempio di spreco le 157 sedi all'estero delle regioni, 21 nella sola Bruxelles. Invita poi ad una riflessione sulla Terza via. Gianmario Mariniello ha invitato a rafforzare le ragioni dello stare insieme. Giuseppe Valditara ha auspicato di andare oltre Fli per creare una unione dei riformisti in grado di puntare al 25% dei consensi. Chiara Moroni ha spinto la sua riflessione sui connotati di un soggetto politico post-ideologico. Sono ancora intervenuti: Muro, Mancuso, Pietro Tatarella, Monteleone, Saraceno, Falvo, Canella, Sarno, Grandinetti, Sorce, D'Acunto, La Rosa, Franzoni, Tassinari, Buffo, Ferrari Nasi, Romeo e Balzi. Ha concluso Gianfranco Fini invitando tutti i dirigenti presenti a diffondere i contenuti della sua relazione e ad avviare il percorso di coinvolgimento dei partecipanti all'Assemblea dei 1000 di settembre. I risultati saranno anche un metro per valutare la capacità espansiva di Fli sui territori, fatta di contenuti, di apporti qualitativi e non di tessere. Gustavo Peri

5


6

EDITORIALE

VOGLIA DI COMUNITA’

Ancora una volta lasciateci dire che siamo fieri di noi. Per la sintonia profonda emersa tra le proposte di Gianfranco Fini e quelle portate avanti da questa testata. Per quella certa idea di una politica capace di distillare idee, elaborare proposte, riflettere sui contenuti e sulle loro implicazioni sulla vita delle persone. Per il meraviglioso cemento che unisce le intelligenze capaci di guardare avanti, di perseguire con amore l'interesse generale, di immaginare, per determinarlo, il futuro. Per la quasi magica energia che porta persone diverse per cultura, esperienze, bagaglio ideale a convergere sulle soluzioni, avendole trovate per percorsi indipendenti. Nel non detto di Fini queste linee di forza, queste polarità emergono con prepotenza. L'appello a mettere in moto le intelligenze affinché apportino il loro "grano di sale" alla causa comune, denota una voglia di coralità, di partecipazione, di comunità. La risposta a questo appello empatico non può che essere una rinnovata voglia di comunità. Si può divergere nelle analisi, nella proposta di rimedi, vi può essere frizione tra caratteri, sensibilità e culture diverse, ma è opportuno che alla fine prevalga il senso della comunità, di appartenenza ritrovata e di destini. C'è uno sforzo da compiere da parte di tutti per smussare gli angoli, per abbattere cascami di vecchie e deleterie "appartenenze", per depurare i metodi e le regole dalle salvaguardie celate dietro le dichiarazioni di apertura, per ripulirsi di qualche misura di troppo di cinismo, di tatticismo, di isterismo, di supponenza, per autorettificarsi, ciascuno un poco, allo scopo di vivere con gioia, con divertimento - come ha suggerito Flavia Perina -, con reciprocità e lealtà, la meravigliosa avventura di attraversare il deserto plasmando la sabbia in idee di futuro. Per poi gioirne insieme. Ma per essere davvero comunità rinnovata e duratura, occorre riaprire la fase costituente di Fli, occorre riflettere sulla forma, sull’organizzazione, sulle regole, sui volti e le qualità delle persone chiamate ad incarnare il progetto sui territori. Basta con gli innamoramenti oratori, basta col partito degli eletti e la “benevola democrazia”, basta con l’inaccessibilità dei vertici e degli strumenti organizzativi, basta con le liste preconfezionate dei “chiamati” e degli iscritti a parlare, con le “file riservate”, con i feudi concessi frettolosamente. Essere Comunità è essere Rete, aperta, interconnessa, meritocratica, solidale. Angelo Romano


SCENARI

RIGENERARE LA POLITICA La globalizzazione sta uccidendo lentamente la politica. Forse l'ha già fatta fuori. I mercati danno sempre di più forma e contenuto alla realtà, creano e soddisfano bisogni, orientano desideri, atteggiamenti, stili di vita. Condizionano esistenze, le piegano ai loro interessi. Speculano scommettendo su ciò che sarà, su ciò che si è previsto debba accadere. Non amano regole e vincoli e tendono a standardizzare tutto, governano la complessità con apparente semplicità, accumulano saperi e competenze protetti da barriere sempre più invalicabili ed inaccessibili ai più, dividono il mondo tra utenti e creatori, tra produttori e consumatori e piegano le scelte in nome dei popoli ai loro vantaggi. I mercati non conoscono emozioni se non il disagio, il nervosismo, la paura, se il profitto è calante o la soddisfazione fino all'euforia, se è crescente. I mercati muovono il danaro, sapendolo rastrellare, accumulare, utilizzare per i propri fini, anche se inconfessabili. Una volta erano i luoghi dell'incontro tra domanda e offerta, oggi sono i luoghi dove si determinano domanda ed offerta.igiene spirituale audacia temeraria Lo spazio della politica era quello di regolare luoghi e modalità dell'incontro. Oggi questo spazio è svanito, si è volatilizzato. E diventa possibile che un solo finanziere metta in ginocchio una moneta sovrana o che una multinazionale determini il destino di un intero popolo. Paradossalmente, la Cina "turbocomunista" è il solo Paese ancora in grado di declinare una certa supremazia della politica, sia pure avvalendosi delle armi mercantili. L'imbarazzato ritiro della cittadinanza onoraria milanese, pur spontaneamente promessa al Dhalai Lama, per temute ritorsioni economiche, la lenta ma capillare neo-colonizzazione dell'Africa, per l'accaparramento di materie prime e "spazio vitale", sono testimonianza di scelte che rispondono ancora ad una "ragion politica". Persino gli Stati Uniti hanno quasi perduto la relazione politica - mercato. Ne è prova la genesi della crisi che sta scuotendo il mondo. La conseguenza è che i popoli diventano sempre più oggetti e sempre meno soggetti. Su scala planetaria e globale esiste il rischio che l'intera umanità ne esca oggettivizzata. E se il 2% della popolazione mondiale possiede oltre il 50% della ricchezza planetaria ed il 10% ne detiene l'85%, (fonte: Istituto mondiale di ricerca sullo sviluppo economico - "Unuwider" - Onu) il rischio diviene matematica certezza. Su questo scenario la democrazia assume i contorni di una maschera tragica, dietro la quale si celano i volti di pochi oligarchi detentori del potere reale.

7


8

SCENARI

E se allo scenario aggiungiamo il tasso crescente di automazione di tutte le produzioni, quale margine resta per l'uomo comune, per il semplice cittadino consumatore, per l'uomo utente e non potente? Neanche i semi per seminare un orto ogm free! Ma come si è arrivati a tanto? Italo Calvino, in "Lezioni americane", descrive le "qualità" del nuovo millennio: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e ConsistenzaCoerenza. Si tratta di qualità letterarie, ma a ben guardare sono dei "must" del millennio. La Leggerezza è opposta alla Pesantezza nella metafora di Perseo e Medusa, il primo sfugge alla forza pietrificante di Medusa guardandola attraverso la superficie e specchio del suo scudo. La politica non ha compreso la lezione, è stata ed è "pietrificante", non pratica la strada della "sottrazione di peso", fa il contrario. La politica è hard, i mercati sono soft, come per la scienza i messaggi del Dna o dei neuroni, i quarks ed i neutrini. In un epigramma possono essere contenute intere epopee, così Calvino connota la Rapidità, è Mercurio rappresentante della sintonia col mondo, della relazione che si instaura, in opposizione a Vulcano, connotato dal suo claudicare e dal battere cadenzato del martello. I mercati sono Mercurio, la politica Vulcano, tutto assorto nella sua "concentrazione costruttiva". La profondità va nascosta in superficie questo il senso dell'Esattezza. Il disegno dell'opera deve essere ben calibrato, essa deve evocare immagini nitide, incisive, memorabili, il linguaggio deve essere preciso. Quale opera della politica ha queste caratteristiche? Una qualunque ricerca di mercato oaudacia uno spot pubblicitario possiede. temeraria le igiene spirituale Visibilità è dalla parola all'immagine e viceversa, per dirla con Dante: "la fantasia è un posto dove ci piove dentro". Quanta fantasia c'è nella politica? I mercati ne sono pieni. Una visione sfaccettata del mondo, interpolabile e riordinabile a vari livelli è la Molteplicità. La politica è monodimensionale, spesso soltanto ideologica, i mercati vedono il mondo da tutte le angolazioni possibili. Di Coerenza-consistenza meglio non parlare. Il soccombere della politica trova, quindi, la sua ragione prima nel non aver saputo cogliere l'essenza del nuovo millennio. C'è ancora un margine per reagire? Occorre una reazione globale dei popoli, finché si è in tempo. Occorre il rilancio della politica. Una politica alta, che tuteli le ragioni della specie, dell'umanità, dell'uomo. Una politica capace di riaffermare la sovranità globale dei popoli opponendola alle aberrazioni del mercato globale. Una politica al servizio delle ragioni dell'umanità e della sua speranza di futuro. C'è bisogno di una "politica globale" e degli strumenti idonei per attuarla. Si potrebbe partire con la riforma radicale dell'Onu, da Organizzazione delle Nazioni Unite a Organizzazione dell'Umanità Unita. Angelo Romano


POLITICA

CUOR DI LEONE

"La maledizione degli uomini è che essi dimenticano", questa frase è pronunciata da mago Merlino nello splendido film di John Boorman: Excalibur. Per comprendere quanto essa sia vera basta pensare alla storia dell'uomo: una catena di sole 50 persone, con una vita media di cinquant'anni, ci riporta, d'un balzo, a 2500 anni fa, ai tempi di Pitagora. Eppure la nostra memoria non arriva a ricordare i nostri bisnonni, il resto è buio oblio. Così si spiega anche perché nella tradizione orale si tenevano a mente le genealogie - come ci segnala Tolkien - ed esisteva il culto dei Lari come antidoto all'oblio. Ciò spiega anche l'apparente ossessione degli Ebrei per la Shoah, sono solo consapevoli del rischio cancellazione. La politica, in particolare quella italiana, è obliante per sua intrinseca natura. Si dimentica delle promesse elettorali, dei solenni impegni assunti con gli elettori, dei contratti stipulati col popolo, delle responsabilità che comportano le leggi e gli atti politici. E' ciò che fanno i detrattori di Mario Monti. Essi dimenticano - o fingono di dimenticare - le condizioni in cui gli è stata "affidata" l'Italia: casse vuote, debito immane, declino; dimenticano o fingono di dimenticare - che la politica di fronte alle difficoltà si è eclissata, si è andata a nascondere, è fuggita dalle responsabilità chiamando i "tecnici" a governare al suo posto. E poi ci si stupisce del successo di Grillo! Basterebbe solo questo per decidere di sostenere Monti, al di là del merito dei suoi provvedimenti e persino degli errori che pur commette. Potrà non risultare simpatico, avere troppa spocchia "bocconiana", essere troppo vicino ai "poteri forti", ma va rispettato per l'ingrato compito cui si è sobbarcato, per il peso che grava sulle sue non atletiche spalle, per il coraggio strenuo di cui dà prova nel tentativo, quasi disperato, di portare l'Italia fuori dalle secche e di farla contare qualcosa in Europa, per la vera e propria abnegazione che dimostra nel sopportare le ondate di critiche, aperte e velate, che si sollevano nei suoi confronti ogni volta che scopre il nervo di qualche interesse corporativo. Occorre non dimenticare, almeno per una volta, ed essere grati al "professore", nonostante il torchio in cui spreme gli italiani. Pennanera

9


10

POLITICA

GENERAZIONE BORSELLINO

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. Il 19 luglio di venti anni fa Paolo Borsellino veniva barbaramente ucciso in seguito ad un vile attentato di stampo mafioso. Un auto imbottita di tritolo uccideva il magistrato antimafia e la sua coraggiosa scorta di servitori dello Stato. Venti anni fa chi aveva diciotto anni assisteva con sgomento alla notizia della tragedia e si interrogava sul futuro del proprio Paese, quasi come uno spettatore increduto. A distanza di meno di due mesi dalla strage di Capaci, nella quale Giovanni Falcone, collega ed amico di Paolo Borsellino, veniva ucciso dalla Mafia insieme alla scorta ed alla compagna, nasceva in Italia la "Generazione Borsellino". "Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e mitersiosa mafia svanirà come un incubo" era solito ripetere Paolo Borsellino in occasioni pubbliche alle quali partecipava con entusiasmo per sotenere l'antimafia militante. Nel 1992 tanti giovani si apprestavano a scegliere per la prima volta la facoltà presso la quale iniziare il percorso di formazione universitario. Molti sceglievano di iscriversi a Giurisprudenza. Un vero boom di iscrizioni a testimoniare che quegli eccidi non potevano rimanere nei libri di storia, ma potevano e dovevano dare la scossa ad un Paese corrotto ed invischiato in lotte di potere quasi mai lecite. Era l'epoca del pentapartito e del crollo del sistema di gestione della Democrazia Cristiana che, se aveva consentito la crescita economica e culturale del Paese nei primi quarant'anni di Governo della cosa pubblica, era oramai indirizzata verso un cupio dissolvi che avrebbe dato poi spazio all'era del Berlusconismo. Fra quei giovani che sognavano di diventare Magistrati molti lo sono diventati e qualcuno di questi ha di recente arrestato mafiosi del calibro di Michele Zagaria. E' la storia di una generazione che giunge finalmente al comando di un'Italia, se possibile, più corrotta di quella di venti anni fa. Una generazione che sin qui ha lottato e vissuto nella convinzione che la Mafia fosse davvero un incubo dal quale uscire. Una generazione che considera Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due eroi moderni, due modelli da seguire, gente di cui andare fiera. Ugo Maria Chirico

via Sistina, 91 - 00187 Roma T. +39 06 69921243 www.fondazioneagenda.it


POLITICA/L’INTERVISTA

MARIO CIAMPI SUL FUTURO ITALIANO

In vista delle elezioni della prossima primavera le forze politiche scaldano i motori: dalla riforma della legge elettorale, sollecitata a gran voce anche dal Presidente della Repubblica, scaturirà, con molta probabilità, la geografia degli schieramenti in campo. Nell'area che fu del terzo Polo sembra imminente la nascita di un rassemblement riformatore e repubblicano. Un nuovo soggetto politico che nasca intorno ad un forte fermento ideale e contenutistico: lo ricorda Gianfranco Fini quando, in una fase politica dominata dall'incertezza e dalla sfiducia dei cittadini, invita a guardare maggiormente ai contenuti e alle proposte per far ripartire l'Italia. In tale direzione, allora, si colloca la nascita di "Agenda", fondazione presieduta dal Presidente della Camera, che avrà il compito, attraverso idee e incontri, di dare slancio e voce al clima riformatore che sembra ridestarsi nel Paese. Della necessità di un nuovo fervore ideale e della nascita del nuovo Polo riformatore, parliamo con il Professor Mario Ciampi, direttore generale della Fondazione "Agenda" e responsabile del Centro Studi di Futuro e Libertà. Professor Ciampi, con quali obiettivi nasce la Fondazione "Agenda"? La Fondazione nasce, certamente, in un momento di profonda crisi economica e ideale. Viviamo una fase difficile e delicata ma, al tempo stesso, foriera di opportunità e di un nuovo spirito riformista. "Agenda" avrà, allora, il compito di dare un apporto al clima riformatore che si avverte nel Paese: lo potrà fare attraverso idee e proposte concrete sulle cose da fare. Dovrà, poi, facilitare il dialogo tra la politica e i tecnici: la stagione del governo dei tecnici insegna che nella società civile c'è un patrimonio inestimabile di esperienze e conoscenze pronte a mettersi al servizio del bene comune. In tal senso i partiti dovranno rendersi più permeabili ed essere pronti a raccogliere idee ed esperienze provenienti da mondi diversi dalla politica. "Il ristagno europeo e il fermento arabo" è il titolo del primo convegno della Fondazione svoltosi a Roma lo scorso 10 luglio. Si, in questo primo incontro pubblico abbiamo discusso di primavera araba e di autunno europeo. Espressioni che comunicano il senso di un momento di profonda incertezza e di passaggio come è tipico delle mezze stagioni. Nei paesi arabi si assiste, dopo la caduta di regimi che sembravano ormai saldamente al potere, ad una fase di passaggio che ci si augura conduca alla democrazia, mediata in ogni caso dalla forte influenza religiosa rappresentata dall'Islam. Il vecchio continente è, invece, segnato da una profonda crisi dalla quale a stento riesce a venir fuori. La strada da percorrere è ancora lunga e piena di difficoltà, ma l'ultimo vertice europeo di fine giugno sembra muovere nella giusta direzione. Si deve tendere, a mio avviso, ad una maggiore integrazione europea che passi attraverso la cessione di quote di

11


12

POLITICA/L’INTERVISTA

sovranità da parte dei singoli Paesi: il tutto per giungere ad una nuova sovranità europea. Più federalismo e più sussidiarietà, per arrivare alla creazione degli Stati Uniti d'Europa. Futuro e Libertà sarà uno dei motori del nuovo Polo riformatore, ha ribadito Gianfranco Fini in più di un'occasione. Quale sarà il contributo ideale che il partito porterà in dote al nascente rassemblement? Il contributo che Futuro e Libertà dovrà apportare sarà sicuramente quello di un rinnovato patriottismo riformatore che, lungi dall'essere semplicemente sloganistico e identitario, dovrà rinsaldare un nuovo spirito nazionale incentrato su proposte concrete e idee per l'Italia. Un patriottismo che sappia raccogliere le sfide in maniera operativa e futurista. A proposito di Polo riformatore, Fini rilancia la proposta di un'assemblea costituente per la prossima legislatura. E' ormai evidente che una modernizzazione dell'architettura costituzionale si rende necessaria. Partendo dalla forma di governo che deve tendere, a mio avviso, verso il semi-presidenzialismo francese per poi arrivare alla riforma del bicameralismo e all'adeguamento della governance locale che significa almeno un accorpamento dei comuni di minore entità. Ci sarebbe anche dell'altro, ma credo che quelle appena citate siano le riforme improcrastinabili. In che modo il mondo dell'associazionismo, del volontariato e i semplici cittadini potranno essere chiamati a partecipare attivamente alla vita politica, come auspicato da più parti? Ritengo che sia la politica a doversi avvicinare a queste realtà, facendo un bagno di umiltà e tralasciando, così, la sua pretesa centralità. In tal modo potrà andare incontro agli interessi dei cittadini e dei territori che si esprimono, di frequente, attraverso il mondo dell'associazionismo e del volontariato. Si tratta di interessi di parte che la politica ha il dovere di sintetizzare e trasformare in interessi generali. In tema di diritti civili il nostro Paese segna il passo. Come promuovere un nuovo approccio di fronte ad argomenti ritenuti tabù da gran parte dell'opinione pubblica? Al riguardo mi sembra necessario, in primo luogo, ribadire il favor familiae che deriva dall'articolo 29 della nostra Costituzione. La famiglia, fondata sul matrimonio, rimane un perno insostituibile e fondamentale della nostra società. Al tempo stesso non si può tralasciare ciò che tanti istituti di ricerca continuano a segnalare: e cioè il proliferare di nuovi format familiari, rappresentati, in particolare, dalle coppie di fatto. Direi che uno Stato moderno deve tener conto di queste unioni riconoscendo alle stesse diritti e, al contempo, pretendendo doveri. Il numero di figli di immigrati regolari nati in Italia è in aumento. E' auspicabile un graduale passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli? Direi di si. Su questo tema mi sembra di registrare delle resistenze ingiustificate anche alla luce dei numeri dei nuovi nati in Italia da figli di immigrati. La direzione da seguire è quella dello ius soli, seppur temperato: chi è nato da una famiglia che risiede stabilmente in Italia e ha frequentato un regolare ciclo di studi può ottenere la cittadinanza. Credo che si tratti di un principio fondamentale anche dal punto di vista della convivenza sociale: in tal modo, infatti, si evita l'insorgere di pericolosi focolai sociali, dettati da un'identità repressa. Giuseppe Farese


POLITICA

LA POLITICA, IL MERCATO, LE GENTI

Dopo gli impegni di Bruxelles del 28 giugno, tra i capi di Stato e di governo dei Paesi dell'Unione, lo spread tra i titoli dei Paesi in sofferenza e quelli tedeschi si è abbassato e le maggiori Piazze Affari hanno gioito, compresa Wall Street, registrando impennate che non si vedevano da tempo. Come cittadino di un Paese in difficoltà, dovrei essere molto contento e, soprattutto, gioire perché, senza attendere la farraginosa redazione di un trattato, l'Unione ha compiuto un passo avanti in termini di coesione, sia pur sotto la spinta della necessità e dell'urgenza. Dovrei altresì rallegrarmi del fatto che la Germania, sfiorata anch'essa dalla crisi, sembra iniziare a comprendere che senza di lei non c'è Unione ma anche che, senza Unione, la grandezza tedesca si perde. Dovrei, infine, sentirmi orgoglioso perché, quantunque dal suddetto accordo abbia preso vita lo scudo anti-spread, l'Italia ha dichiarato di non volerlo utilizzare. Eppure, c'è qualcosa che mi disturba. La crisi è almeno imbrigliata se non sconfitta? E, inoltre. Quanto del progresso sociale dei popoli dovremo ancora bruciare sull'ara del libero mercato finanziario? In sostanza, è giusto che le risorse di uno Stato, anzi di più Stati, debbano essere impiegate per mitigare i deleteri effetti del libero scorrazzare di miliardi di euro/dollari sulle piazze europee, paradossalmente permesso da un accordo comunitario, alla ricerca del più rapido, rilevante guadagno? Qualcuno, da oculato cittadino, potrebbe tranquillamente rispondermi: se il Paese, nei decenni trascorsi, ha svolto una vita da cicala, è bene che ora intraprenda un'esistenza da formica. Se, per mantenere un trend di vita al di sopra delle sue possibilità, si è esposto indebitandosi è giusto che faccia fronte ai suoi impegni anche se le condizioni della "famiglia" non sono floride. Certo. Ne convengo. Però tutto questo che attinenza ha con la perdita di diritti da parte del cittadino? Dopo la cd. sentenza Pomigliano che condanna la FIAT per palese condotta antisindacale, sono preoccupato dalle dichiarazioni di Marchionne che ha definito la sentenza stessa un evento pittoresco locale aggiungendo, chissà perché, che i lavoratori cinesi percepiscono un quinto dei lavoratori italiani. Sono ancor più preoccupato dalle dichiarazioni del ministro tecnico Fornero la quale, in risposta ad un articolo del Wall Street Journal, ha affermato: "Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro posti. L'attitudine delle persone deve cambiare. Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio.". Che il lavoro, purtroppo nei fatti, non si possa reperire con immediatezza è un aspetto, ma che il ministro del lavoro, tecnico per giunta, affermi impunemente che il lavoro non è un diritto e cioè non è una legittima aspettativa del cittadino stesso, garantitagli dalla Costituzione come unico strumento valido per

13


14

POLITICA

realizzare una vita libera e dignitosa per lui e per la sua famiglia, è un altro, preoccupante aspetto. I fatti citati, purtroppo, non sono altro che la punta dell'iceberg di quanto sta accadendo in Italia e in Europa. Con il trattato di Maastricht del 1992, insieme alla manifesta volontà di unione monetaria, è stato fondamentalmente posto in essere un processo di validazione consegnato al mercato il quale, in maniera autoreferenziale, emana regole su cosa è "giusto" e su cosa è "sbagliato". Un'impostazione che, oggi, sta dispiegando i suoi effetti. Tra le regole "giuste", la principale è, ovviamente, l'automatismo delle dinamiche dello stesso mercato che può dichiaratamente produrre maggior ricchezza (in Italia o in Europa è indifferente) a patto che la politica adotti la logica del "governo minimo"; privatizzazioni, liberalizzazioni, contrazione parossistica del welfare, perdita del ruolo di mediatore nei conflitti sociali e nella contrattazione collettiva, ecc. Le azioni governative, quindi, non sono più giudicate sulla base di criteri di opportunità sociale, ma esclusivamente sugli effetti che producono in termini di utilità al mercato. Ne deriva, inevitabilmente, il primato dell'economia sulla politica che comunque non sarebbe una novità se, in aggiunta, non venisse a mancare quel discorso dialettico che politica ed economia sono sempre state costrette a praticare. Bernanke, Presidente del Comitato dei Governatori della Federal Reserve, vede nel futuro il progressivo aumento e invecchiamento della popolazione in tutti i Paesi occidentali: un fenomeno che genera enormi spese sanitarie e pensionistiche, che andranno ad aumentare sempre più i debiti pubblici. Tagliare e privatizzare è l'unico modo per evitarlo, dato che le imposte sulle imprese, sui redditi alti e sui patrimoni non si possono aumentare, essendo i principali attori del libero mercato, né si può continuare a tassare il ceto medio-basso. Eppure, gli U.S.A., economicamente più rilevanti di ogni singolo Stato dell'Unione europea e, comunque, dell'intera Unione si sono dati recentemente l'obbligo di tutela sanitaria per ogni americano. Per quanto l'economia sia forte, il dialogo con la politica permane. Forse Bernanke invidierà l'Europa che, ben prima degli Stati Uniti, è riuscita a esautorare la politica, con l'invenzione del Patto di stabilità e, da ultimo, con il Patto anti-spread basato sulla virtuosa gestione dei bilanci: comodi paraventi dietro i quali la politica si è nascosta e potrà nascondersi ancor meglio nell'emanare provvedimenti antisociali, in ossequio sia ad organismi non elettivi e a rigide regole (pseudo) economiche e fiscali, impersonali, asettiche, non derogabili, e sia alla compiacenza dei mercati, evitando così di rispondere del fatto che è stata essa stessa ad aver innalzato il libero mercato a luogo di verità e di validazione, creando gli strumenti e le istituzioni della sua esclusiva legittimazione e della esclusiva legittimità delle sue "attese". Il cappello dell'operazione sono gli istituti di credito con un unico fine: creare gruppi industriali sempre più grandi. La ragione è duplice: realizzare quelle economie di sistema che consentono di essere competitivi e raggiungere posizioni dominanti o addirittura di monopolio diventando talmente grandi da non poter fallire; in sostanza, arrivare ad un livello nel quale il fallimento


POLITICA

dell'impresa trascinerebbe nel baratro talmente tante banche creditrici, da indurre le stesse banche a correre continuamente in soccorso con nuovo credito. In un circolo vizioso e virtuale di un giro di denaro che esiste ormai solo nei computer. Il fatto è che insieme alla scomparsa della politica si manifesta il restringimento della libertà individuale, che perde la sua caratteristica giuridica per abbracciare quel mercantile; con l'invenzione, cioè, di libertà succedanee: libertà del mercato del lavoro, d'impresa, del consumatore, di proprietà, ecc. Nemmeno la libertà di manifestare dissenso è più ammessa. L'attuale concetto di democrazia vuole che il conflitto sociale sia pacifico, colorato, fantasioso negli slogan e rispettoso delle forme e delle regole, per giunta auto-emanate da chi dissente e sottoposte al vaglio di Autorità censoria. E quando il dissenso esce da tale inquadramento, si trasforma automaticamente in "facinoroso" con la condanna unanime dell'opinione pubblica, dei mass-media e della (pseudo) politica. Certo, la politica dovrebbe preoccuparsi per la perdita di consensi, ma in realtà ha provato a rendere innocuo tale aspetto creando quel che a tutti gli effetti è un sistema unipolare: la visione della supremazia economica (l'ideologia del libero mercato), infatti, è identica sia a destra che a sinistra. Come uscirne? Attraverso varie possibilità, sia a livello comunitario, sia a livello nazionale, sia a livello locale. Ed il bello è che tali possibilità non sono alternative bensì mutuamente stimolanti, in tutto o in parte. La prima possibilità è che qualche Paese membro dell'Unione non ce la faccia a permanere nell'euro; ne esca e inneschi una frana a cascata. Una sorta di catarsi per indurre le energie sane a prevedere, attraverso una rifondazione, un'unione politica. Ci sarebbe un alto prezzo da pagare, ma già ne stiamo pagando uno salatissimo e, in ogni caso, per le speranze future si uscirebbe da un cul de sac senza speranza. Questo potrebbe indurre Marchionne ad assumere lavoratori cinesi, ma se lo facesse verrebbe a cadere anche quell'oneroso timore reverenziale verso un'impresa che da oltre 50 anni vive e prospera grazie alla compiacenza e benevolenza pubblica. La seconda possibilità è che a livello nazionale le forze (pseudo) politiche continuino per la strada intrapresa; così, anche a questo livello potrebbe verificarsi quella catarsi data dalla vittoria elettorale del "nulla": del Movimento a 5 stelle. Un evento che potrebbe innescare un sano processo di rigenerazione e di rinascita delle idee. E la Fornero, da "banchiera" quale è, smetterebbe di parlare inopinatamente di lavoro. La terza possibilità è a livello di comunità locali, da sinergizzare negli sforzi attraverso un nuovo federalismo municipale, depurato dagli eccessi leghisti. Si tornerebbe, nel piccolo, a riscoprire valori perduti. A lavorare per una piccola società, confrontando con proficuità idee e progetti. A studiare e praticare forme di tutela, impossibili a livello nazionale. Un cammino tale da indurre, attraverso l'educazione delle menti e lo stimolo dell'emulazione, alla creazione di reti solidali ad alta sinergia, a realizzare altri cammini simili così da ripensare l'assetto nazionale e, per la proprietà transitiva, quello comunitario. Massimo Sergenti

15


16

ECONOMIA

CLEPTOCRAZIA

Quando l'editore di questa rivista mi ha chiesto, in amicizia, di scrivere un pezzo sulla cleptocrazia, lì per lì l'idea mi è piaciuta. Poi sono cominciate le riflessioni: il taglio, le argomentazioni, l'obiettivo. E non nascondo, ancora ora che scrivo, di non essere totalmente riuscito a rispondere agli interrogativi. Bah! Verranno nel corso dell'elaborato. Cominciamo dal significato. L'unione tra kleptos e kratos da vita ad una espressione che, sostanzialmente, significa "governo del furto": una forma di governo che rappresenta sia il culmine della corruzione politica e sia una forma estrema dell'uso del potere per la ricerca della rendita. E qui, subito, qualcuno potrebbe speculare: Stai parlando di Monti? No. Assolutamente. Anche perché lui e i sui ministri sono dei tecnici. Intendo invece parlare di cleptocrazia nel significato corrente, certamente approssimativo ma efficace, che sottintende la presenza, all'interno di un sistema di governo democratico, di forme di corruzione o di lobbies che difendono esclusivamente i propri interessi. Alcuni osservatori, infatti, hanno preso a utilizzare il termine per etichettare dei processi politici, certamente democratici, ma che, tuttavia, permettono alle grandi organizzazioni-imprese di influenzare la politica; inoltre, sotto accusa sono tutte le lobby di potere. Tanto per fare un esempio, lo scorso anno il Senato Americano ha bocciato la proposta dell'amministrazione democratica per l'abolizione degli sgravi fiscali all'industria petrolifera. Decisivi i no di 45 repubblicani e 3 democratici. Siamo in democrazia, si potrà obiettare ma, per puro spirito di cronaca, ciò non toglie che tale risultato sia l'ennesima vittoria per un settore che nel biennio precedente aveva sborsato 250 milioni di dollari in attività di sano lobbismo. Il solito perspicace, a questo punto riterrà di aver compreso: ho capito, sta parlando dell'Italia. Certo. Ma a che gioverebbe elencare le situazioni note di questo nostro Paese? Politica, imprenditoria, clero, credito, liberi professionisti, malavita organizzata in un intreccio tra corruzione, concussione, prevaricazione, malversazione, interesse privato in atti d'ufficio, peculato, ecc. Non c'è giorno senza che i mass-media annuncino o aggiornino episodi di malaffare e ogni cittadino, leggendo un giornale o guardando la televisione, può averne contezza. Ma il problema in Italia, e non solo, non è unicamente quello. E', ad esempio, l'esistenza di posizioni dominanti per accampare diritti soggettivi, privilegi, vantaggi, concessioni, benefici e persino immunità. E' un po' il caso americano sul mantenimento degli sgravi fiscali ai petrolieri, senza neppure l'esborso di milioni di euro in attività di lobby; semmai, in buona parte dei casi, sembra siano stati ricevuti.


ECONOMIA

In effetti, un Paese un po' sui generis questa nostra Italia. Anche di quest'aspetto andrebbe fatto uno stringato riepilogo ma ci perderemmo nelle pieghe di un discorso che, diversamente, potremmo sintetizzare così: ciò che ha prevalso in questi ultimi venti anni è la logica dell'affare, tout court, sulla logica dell'interesse comune. Non che prima ciò non avvenisse, ma quantomeno un certo aplomb impediva un'azione plateale; l'affare era perlomeno ammantato col bene collettivo. Oggi siamo al delirio dell'onnipotenza e l'unica accortezza usata da parte dei risolutori postumi dell'"impiccio" è di non lasciar trapelare, di nobilitare, non l'affare bensì il motivo del rimedio alla spregiudicatezza; un rimedio, di solito, oneroso per la comunità la quale, in sostanza, paga due volte. A questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi: d'accordo, ma qual è la soluzione? Ho paura, al punto in cui siamo, che non ce ne siano e, per spiegare compiutamente il mio pensiero, mi sono or ora ricordato di un aneddoto letto recentemente sul web. Vado a ripescarlo. Un giorno, Luigi XV di Borbone si recò a caccia, accompagnato dal suo abile ministro, il duca di Choiseul. Il re, che viaggiava su una splendida carrozza che gli era stata appena consegnata, domandò al ministro di indovinare il prezzo del magnifico mezzo che lo ospitava. Choiseul fece dei rapidi conti. Il costo effettivo era di 3 o 4 mila libbre d'oro ma, sapendo che tutti i fornitori della Real Casa applicavano il prezzo reale (nel senso del re), raddoppiò la cifra e disse 8 mila libbre. "30 mila", rispose Luigi XV senza batter ciglio. Choiseul sobbalzò e disse che si trattava di una vera e propria indecenza. Era inconcepibile che dei furfanti, profittando della reale benevolenza, saccheggiassero in quel modo le risorse dell'erario; proseguire così, continuò, avrebbe condotto alla bancarotta e alla dissoluzione del regno. Con fare sornione, allora, Luigi XV domandò al suo ministro "Immaginate di avere pieni poteri, come fareste per farmi pagare la carrozza al prezzo che dite voi?". Choiseul ricostruì mentalmente i molteplici passaggi che avevano fatto giungere la carrozza fino al cospetto del re. Da esperto conoscitore delle cose pubbliche sapeva della corruzione dilagante. Non ignorava la sistematica alterazione dei costi dei reali approvvigionamenti. Più volte gli avevano riferito degli sfacciati favoritismi che, dietro ricompensa, la maggior parte degli appaltatori della Real Casa accordava ai fornitori. Né si poteva contare su quei pochi che resistevano alle lusinghe del denaro; quando i più stolidamente onesti resistevano alla tentazione dell'argent, era pronto l'intervento di un personaggio altolocato che prometteva, in cambio dell'aggiudicazione dell'appalto agli amici, la sua benevola protezione. L'argomento era irresistibile. Tutti sapevano che una parola giusta al momento appropriato consentiva carriere prodigiose e incarichi al servizio della corona lautamente remunerati. Choiseul ne era certo e poteva sostenerlo a ragion veduta: il suo ruolo prestigioso lo aveva ottenuto grazie al sostegno di Madame de Pompadour, favorita del re. Insomma, un'intricata ragnatela di complicità alimentate dai ricatti, un diabolico intreccio perverso che però teneva assieme il regno. Eliminarli, così ragionò Choiseul, avrebbe irrimediabilmente compromesso il precario equilibrio sul quale tutto si reggeva. Un

17


18

ECONOMIA

cambiamento radicale non avrebbe evitato la catastrofe del regno, avrebbe solo anticipato la sua distruzione. Né avrebbe avuto senso che proponesse lui di cambiare le regole di un'amministrazione sconsiderata, la stessa che gli aveva permesso di ottenere prebende e privilegi, onori e carica. Da uomo avveduto e di notevole intelligenza, comprese che porre rimedio a quei guasti non era possibile e rispose al re che la decisione più saggia consisteva nel lasciare le cose come stavano. La conclusione della storia è che quando Madame du Barry divenne la favorita di Luigi XV prendendo il posto della defunta Pompadour, il re si sbarazzò di Choiseul. Lo esiliò nelle sue terre, dove morì coperto di debiti. Quattro anni prima della Rivoluzione Francese. Per tornare ab ovo, non so se alla data di pubblicazione di Confini 3 l'euro sarà ancora in piedi e/o se l'Italia sarà ancora nell'euro: Il FMI ci da circa 10 giorni e Soros ce ne da 90 prima del big bang se, nelle more dell'uno o dell'altro temine, non interverranno fattori esogeni all'italico contesto. Oggi, infatti, è in corso a Roma l'incontro tra la Merkel, Holland, Rajoy e Monti. Non so, quindi, se ce la faremo, come Italia e come Europa; se la Germania si ravvedrà dalle sue posizioni draconiane giacché le sue condizioni economiche non sono più cosi floride e visto che la Deutsche Bank è entrata nel mirino dell'agenzia di rating Moody's, insieme ad altri 14 colossi bancari internazionali, per "significativa esposizione alla volatilità e rischio di perdite fuori misura". Non so se Cameron, dopo aver inopinatamente invitato i ricchi francesi a trasferirsi in Inghilterra, si piegherà alla Tobin Tax e agli euro bond, necessari a raffreddare l'impazzare delle transazioni finanziarie. Non so nemmeno se Holland riuscirà a tradurre in Europa l'accortezza di una maggiore sensibilità sociale. La prima cosa che, invece, so è che, se ne verremo fuori, niente potrà essere più come prima. L'altra cosa che so è che il tecnico Monti, a quel punto, avrà finito il suo compito, qualunque esso sia. La terza cosa che so è che, al fine di affrancare l'Italia da mali insanabili non c'è altra strada se non quella di una sovraordinazione di poteri, quella europea per intenderci. Così i nostri mali saranno, innanzi tutto, soggetti a un controllo e comunque saranno periferici, anche come virulenza, quindi facilmente curabili. La quarta e ultima cosa che so è che l'Europa, ammesso che si faccia, non potrà continuare a prendere lezioni dagli USA: semmai, dovrebbero essere gli USA a dar vita a maggiori controlli, nel mondo finanziario ad esempio, e a dimostrare una maggiore fermezza verso impunite estemporaneità di gruppi di potere. M.S.


ECONOMIA

VIVA SMITH, ABBASSO SMITH

Recentemente abbiamo letto sulla stampa due notizie, a breve distanza l'una dall'altra, che a dir poco ci hanno sorpreso: gli USA stanno conoscendo una forte disoccupazione (oltre 8%) e la Germania è alle prese con una rilevante frenata della sua economia. Aspetti ancor più sorprendenti sono che la disoccupazione USA sta investendo anche la new economy la quale, insieme al settore dei servizi, si diceva dovesse rappresentare la nuova frontiera dell'occupazione; e, nel contempo, che la Germania è il primo partner commerciale tra i 27 Paesi UE nonché primo Paese europeo maggiormente industrializzato; come a dire che associa ad un rilevante settore dei servizi un preponderante settore industriale. A voler sposare ricette liberiste, le notizie si contraddicono, si fa per dire, a vicenda: non c'è dubbio che la massima flessibilità sia di casa negli Stati Uniti; non solo in entrata, come diremmo eufemisticamente noi in Italia, ma anche in uscita. Gli USA, infatti, non hanno un "mercato del lavoro ingessato" e la mobilità è reale e rilevante al loro interno eppure la disoccupazione cresce. Nello stesso tempo, la Germania la cui economia è di per sé senza dubbio meno forte di quella degli USA, pur in frenata non ha un aumento della disoccupazione, quasi ai minimi storici. La Germania inoltre ha un rilevante impianto di sicurezza sociale e di diritto del lavoro e pratica la codeterminazione, senza che tali aspetti nei decenni trascorsi le abbiano impedito di mantenere l'economia in tiro e persino di farsi positivamente carico dell'onerosa integrazione dell'ex DDR. Negli USA non vi sono settori da liberalizzare o da privatizzare, come in Europa: trasporti, energia, comunicazioni, banche. Tranne che per le Poste, il mercato dei servizi "pubblici" americano è totalmente aperto. Non si può quindi attendere la mano salvifica del mercato in tali ambiti ai fini della riduzione della disoccupazione. In Germania, di contro, la presenza pubblica nell'economia non è un fatto inusuale, soprattutto quella delle amministrazioni locali, caratterizzata comunque come dalla veste di semplici investitrici in imprese sane e redditizie. Ambedue i Paesi inoltre hanno un'impostazione istituzionale federale sia pur nella diversità delle dimensioni territoriali; per cui non è pensabile che vi sia necessità di riforme costituzionali e istituzionali per rimuovere gli ostacoli a nuova occupazione in un ambito e alla ripresa economica nell'altro. Né tantomeno è pensabile per ambedue che le cause dei sia pur differenti regressi rientrino nell'alta imposizione fiscale o nella sclerotizzazione dell'azione amministrativa pubblica. Il sistema fiscale americano è additato a positivo esempio e l'efficienza dell'amministrazione pubblica tedesca non è da meno. Neppure il costo del denaro può essere assunto come

19


20

ECONOMIA

elemento comune, sebbene la FED abbia tagliato i tassi un po' più della BCE. L'inflazione, in ultimo, rappresenta più un problema europeo, a causa soprattutto della dipendenza dalle importazioni di petrolio, che non americano. La tesi più accreditata, presuntivamente a valenza generale, è quella indistinta della ricerca tout court delle condizioni di accrescimento di competitività e di flessibilità nell'adattamento. In effetti, è l'unica a sposare e a negare allo stesso tempo le tesi della dottrina liberal-capitalistica. Si può concordare paradossalmente, ad esempio, con il cinico Bernard de Mandeville che nelle sue opere quali La favola delle api e La ricerca sulla natura della società, si spinge fino a pensare che soltanto i difetti e le calamità stimolano l'uomo, di per sé pigro e incapace, ad operare. Peraltro, le tesi di Hebert Spencer oggi non fanno più testo, indirizzate com'erano ad avversare l'intervento dello Stato nell'economia in società militari o comuniste. Neppure il pensiero di Friedrich von Hayek poi soddisfa, con la sua presunzione di aver trovato il punto debole dello statalismo nell'assioma che ogni intervento pubblico che volesse avere la conoscenza dell'insieme peccherebbe di presunzione e d'inconsistenza giacché l'insieme non può essere colto e previsto. Per inciso, sarebbe da chiedersi: perché l'azione dei privati dovrebbe avere caratteristiche di segno opposto? Si può persino concordare con Adam Smith che riteneva che il bene sociale passasse per il perseguimento del bene individuale, sia pur nell'inconsapevolezza degli individui, ritenendo tale filosofia connaturata alla natura dell'uomo, intesa come concorrenza ma non come dominio, come iniziativa ma non come sopraffazione, per quanto risultino persino umoristiche oggi le sue affermazioni "Ognuno può correre con tutte le proprie forze, sfruttando al massimo ogni nervo e ogni muscolo per superare tutti gli altri concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. E' una violazione del fair play che non si può ammettere". Il fatto vero è che non sappiamo mai il risultato del nostro agire, agisca lo Stato o agiscano i singoli, poiché l'economia è il risultato dinamico e drammatico di mille azioni. L'ulteriore fatto vero è che vi è necessita maggiore di politica, piuttosto che di economia, la quale sappia trarre dalla cultura di un popolo, dalle sue tradizioni, dalle caratteristiche della sua diversità, scelte nell'ambito di un dilatato quadro di opportunità per l'organizzazione migliore del suo modello di sviluppo e per le sue correzioni. Paradossalmente lo dimostra la Cina, paese comunista che tale resta pur avendo scelto il turbo-capitalismo. Diversamente, sarebbe come affermare (forse con verità) che unicamente i presupposti del capitalismo stanno per realizzarsi: non tanto quelli di Smith, quanto quelli del padre della tecnocrazia, Claude-Henry de Rouvroy, conte di Saint-Simon che agli albori del 19° secolo teorizzava che la libertà illimitata va data solo agli uomini consacrati all'industria, A lui, peraltro, si deve la teo-rizzazione dell'unione europea che il suo discepolo, Comte, meglio definì attraverso l'atteggiamento delle masse ovvero la disponibilità di esse a credere, senza dimostrazione preliminare, ai dogmi proclamati da un'autorità competente. L'infedele


ECONOMIA

SPENDING PARADE

Finalmente abbiamo la spending review, partorita da due menti del calibro di Giarda e Bondi. Non c'è che dire: è veramente ottima, innervata com'è di sane tradizioni del pubblico impiego… di due secoli fa. Si capisce, del resto, che non si è voluto calcare la mano sugli impiegati che, per quanto negletti, restano pur sempre degli esseri umani. E, quindi, non è stato previsto l'obbligo di portarsi la brace, le mattinate invernali, per scaldarsi; di portarsi la pezzuola di feltro per pulire i pennini; di rigirare un foglio usato per riadoperarlo per gli appunti o le bozze. Insomma, si vede che ciò che ha prevalso sono state, certo, fermezza e determinazione, ma mitigate dalla caritatevole, sensibile considerazione di esseri meschini. E non parliamo della sanità, che sebbene siano ancora previsti dei tagli, non obbliga il malato, in caso di ricovero, a portarsi medicine e lenzuola in ospedale. Si guardi la sensibilità: tagli prima ancora di aver varato la legge anticorruzione. E del resto, il Governo è evidentemente convinto che gli effetti della legge anticorruzione consentiranno alle strutture sanitarie, nonostante i tagli, di innalzare di botto la tutela a livelli vertiginosi. Ed ancora. Si noti la sensibilità a livello internazionale, per l'inderogabile esigenza di esportare democrazia e di ingerirsi a livello umanitario, nella cospicua assegnazione per le missioni di pace. E del resto, gli attuali tecnici governanti sono una specie di buoni padri di famiglia che ammazzano il vitello per il figliuol prodigo e fanno morire di fame quello ubbidiente e timorato. Così dev'essere in una sana società, fondata indubbiamente sulla competizione, ma ancorata saldamente ai valori sociali cristiani e china al timor di Dio. E, in effetti, come non vedere questi importanti, basilari aspetti nell'importante opera del Governo? Come considerare diversamente l'atteggiamento dell'Esecutivo nei confronti della Chiesa circa il pagamento dell'IMU? E, di converso, come non vedere una sana preoccupazione per il futuro di questo nostro Paese nel non voler toccare, sempre a proposito di IMU, i pilastri basilari della ripresa: le banche e le assicurazioni? E' di esemplare esempio, da spettacolo spettacolare, la sensibilità del ministro tecnico Passera nel farsi carico, dopo l'ulteriore, necessario aumento dell'accise sul carburante, di raccomandare ai petrolieri di ridurne il costo alla pompa di ben due centesimi al litro al fine di scongiurare l'aumento dei prezzi dei prodotti. Non citiamo neppure l'emotività consapevole del ministro Fornero, talmente colpita, fino alle lacrime, dagli effetti potenziali dell'art. 18 da farle perdere la trebisonda a proposito degli esodati. C'è da capirla. E le liberalizzazioni? E la trasparenza? Fondamentali fondamenti di una mente da statista.

21


22

ECONOMIA

L'aumento delle licenze taxi sarà a discrezione dei sindaci che valuteranno se in termini di voti, al rinnovo delle cariche, il numero delle nuove licenze da concedere compenserà il numero delle licenze esistenti. Così l'orario di apertura dei negozi, assolutamente libero, e la possibilità di vendere prodotti farmaceutici da banco in un supermercato, con un'intuizione da fulgida folgorazione, consentirà anche all'una di notte a chi ha trovato in strada dieci euro di mangiare con immediatezza o di comprarsi un preservativo. Basamento basilare, poi, è l'obbligo per gli avvocati di provare a redigere almeno un preventivo di massima sul costo di una causa che, nei tre gradi, dovrà durare sei anni. Almeno indurrà l'attore a valutare se esercitare un suo diritto oppure a subire, riducendo l'aggravio sulla giustizia. E come non citare le imprese in difficoltà? Non solo potranno parzialmente compensare i crediti con l'imposizione fiscale (non è stata possibile la compensazione totale perché occorre verificare la fondatezza delle asserzioni. Non si sa mai! Si veda quale misurata accortezza) ma, addirittura, in caso di ulteriori difficoltà che rasentano il fallimento, le aziende potranno chiedere l'intervento pubblico e il competente dicastero, avendo sempre a mente l'aspetto occupazionale, invierà presso le aziende stesse superconsulenti, appositamente presi in carico e ben remunerati per la loro professionalità, che valuteranno se concedere aiuti o meno. Ovviamente non si venderanno i beni immobiliari inutilizzati perché la ripresa consentirà all'efficiente efficienza dello Stato di dispiegarsi in tutti i suoi effetti. E che dire dell'oculata oculatezza, dell'attenta attenzione, posta nel decreto sviluppo? Composto di 61 articoli in 70 pagine e approvato con la formula "salvo intese" (si noti l'impegnato impegno e l'aperta disponibilità a recepire ogni più utile suggerimento), trova il suo fulcro nell'edilizia che nell'ambito residenziale vede l'aumento delle detrazioni per ristrutturazioni dal 36% al 50%. Si guardi la mirabilia mirabolante: non ci sono soldi. Ebbene, quale occasione migliore per indebitarsi così da migliorare la propria abitazione e usufruire, si pensi, un considerevole risparmio fiscale? Quando capiterà più un'occasione del genere? Anche perché scadrà il 30 giugno 2013. Eh! Sì. Il timore era che fosse strutturale. E che dire della riqualificazione energetica che, sebbene abbassata in quanto a detrazione dal 55% al 50%, consente sempre di evitare in maniera durevole l'acquisto del caldobagno, con l'impegno appena di qualche migliaio di euro? L'altro fondamentale pilastro dello sviluppo è quello delle grandi opere pubbliche. Fondato sulla mobilitazione dei capitali privati da investire in infrastrutture, è realizzato attraverso i project bond, obbligazioni in sostanza, per i quali è prevista una forma di regime fiscale agevolato, identico a quello dei titoli di Stato. Gli investimenti sono altresì defiscalizzati. Così la SalernoReggio Calabria nel 2013 finalmente sarà ultimata e, per recuperare l'investimento dei privati, sostenuto dall'interesse derivato dall'obbligazione pubblica e dalla defiscalizzazione iniziale, potranno mettere il pedaggio sul quel tratto autostradale perché avrà finalmente raggiunto la dignità necessaria. Si pensi quanti "derivati" potranno generare tali obbligazioni. Per non parlare di quelle previste per le società non quotate, concepite dal decreto-sviluppo per consentire l'accesso al credito alle PMI. Il paradiso della finanza. Ma, dulcis in fundo, per aumentare la trasparenza della Pubblica Amministrazione, i dati e le


ECONOMIA

informazioni relativi "alle somme di denaro superiori a mille euro a qualsiasi titolo erogate dalla pubblica amministrazione a imprese e altri soggetti economici" dovranno essere obbligatoriamente pubblicati su internet. Almeno, in una lungimirante lungimiranza, si saprà quanto percepiscono gli infermieri e gli insegnanti. Non c'è dubbio. La necessaria azione di risanamento, di riforma strutturale e di ripresa di questo nostro Stato è in buone mani. Basta vedere la sensibilità dimostrata nel non disdettare una pletora di affitti di locali da utilizzare, evi-dentemente, per scopi futuri dal momento che appaiono, ai poco avveduti, inutilizzati o scarsamente funzionali. E se non bastasse, si guardi agli innumerevoli soggetti collettivi (associazioni, fondazioni, consorzi, ecc.) istituiti e/o sponsorizzati dai ministeri per le promozioni tra le più disparate, da anni poco o nulla attivi ma in attesa di una guida sicura per la loro efficiente opera: e ciò a dimostrazione della capillarità che l'azione futura avrà nel non lasciare alcuno spazio scevro da attenzione. E se ancora non basta, non resta che guardare alle Regioni; a questo fiore all'occhiello nel modello istituzionale i cui consiglieri, certamente più impegnati dei parlamentari nazionali e più vicini alle problematiche locali, è giusto che continuino a percepire stipendi superiori ai loro colleghi di Montecitorio e Palazzo Madama e a percepire indennità più alte. E' giusto che le Regioni, più pronte del Governo sulle tematiche del territorio, sponsorizzino una pletora di associazioni, fondazioni, consorzi. E' giusto che, sebbene rappresentate dal Governo nelle interlocuzioni comunitarie, abbiano 21 sedi di rappresentanza a Bruxelles, per trattare direttamente i loro interessi. Sì, 21. Rispettivamente una per ciascuna Regione tranne il Trentino che ne ha una per Trento e una per Bolzano. Si sa, con le minoranze linguistiche non si può scherzare. E poi, che provincie autonome sarebbero? C'è stata altresì una proposta d'iniziativa popolare per cambiare nome a questo nostro Paese. Da Italia a Vigna dei cog….ni. Non è passata. E' sembrata un po' forte. Ahhh! Un momento. In questo nostro Paese si aggirano personaggi strani, una razza aliena tanto cara alla penna di Zacharia Sitchin che egli chiama Nefilim, in ebraico, o Anunnaki, in sumero, provenienti dal pianeta Nibiru, il 9º pianeta del sistema solare presente nella mitologia babilonese. Chissà per quale motivo gli italiani continuano a chiamarli "politici". Ma il Governo, che vigila, non sembra preoccuparsene. Quale stoica temerarietà!! Francesco Diacceto

23


24

PARTECIPAZIONE E LAVORO

SALARI FERMI, CRESCITA NULLA

E' relativamente recente la notizia dell'ISTAT sugli ultimi vent'anni dell'Italia: salari fermi, crescita zero, alta disoccupazione soprattutto giovanile, altissima quota di "scoraggiati" che, pur non avendo lavoro, non lo cercano neanche più. Qualora ce ne fosse stato bisogno, l'ISTAT certifica per l'Italia, almeno per gli ultimi 20 anni, l'equazione (per nulla complessa ma stranamente poco pubblicizzata e forse osteggiata) salari fermi = crescita nulla. Negli scorsi vent'anni, nonostante l'immensa quantità di finanziamenti disponibili per le più disparate attività economiche e nonostante le numerose politiche di flessibilità per ridurre il "costo del lavoro", abbiamo assistito ad un lungo periodo di impoverimento degli italiani (la classe media), di forte perdita di competitività delle imprese italiane oltre che di effettiva riduzione della base produttiva. L'Italia ha visto: - crescere il debito pubblico, - incrementare fortemente il debito delle famiglie che, pur di non abbassare il loro alto livello di consumismo, hanno spessissimo abusato del credito al consumo, - aumentare notevolmente i profitti delle imprese (con i vari boom e sboom di borsa). Insomma, negli scorsi vent'anni, abbiamo incrementato notevolmente (anche nell'aspetto sociologico) l'importanza dell'impresa a scapito dell'individuo e, quindi, della famiglia. Tralasciando gli aspetti sociali estremamente rilevanti (e spesso forieri di grandi danni, molti ancora di là da venire) di questo trend, peraltro comune a gran parte dell'Occidente, nello scorso ventennio si è costantemente posto all'attenzione dei media (e quindi dell'Italia che vota) la necessità di abbassare il "costo del lavoro" al fine di aumentare la competitività delle nostre imprese. Ciò è derivato dalla semplice ed immediata constatazione della notevole differenza tra il costo del lavoro in Italia e quello dei "Paesi emergenti" tra cui la Cina. La logica è stata: 1. il medesimo oggetto prodotto in Cina ha un costo molto inferiore a quello prodotto in Italia; 2. le difficoltà competitive delle nostre imprese sono dovute ad un alto costo del lavoro; 3. la politica industriale (se di politica industriale nazionale si può parlare) si è impostata sull'assioma centrale: abbassare il costo del lavoro. Pochi hanno chiarito (e forse molti non hanno neppure preso in considerazione) un altro aspetto, anch'esso però estremamente evidente. Di fatto, per abbassare il costo del lavoro bisogna optare tra: 1. ridurre concretamente salari e stipendi 2. ridurre la tassazione cui è sottoposto il lavoro dipendente.


PARTECIPAZIONE E LAVORO

In verità di riduzione della tassazione sul lavoro dipendente se ne è parlato molto ma poco o nulla si è fatto; ad oggi la situazione sembra essere la seguente: - abbassare la tassazione sul lavoro dipendente ha rappresentato un provvedimento impossibile da attuare perché di fatto, stante l'altissima evasione fiscale italiana, gran parte degli introiti fiscali deriva proprio dalla tassazione del lavoro dipendente. Lo Stato, non potendo rinunciare al "nocciolo duro" delle proprie entrate, non ha potuto agire in tal senso e, a tutt'oggi (con la crisi in atto), la situazione non solo non sembra avere possibilità di cambiare, ma di fatto si è notevolmente aggravata; - ridurre i salari sic et simpliciter è un provvedimento troppo impopolare per essere attuato ed infatti tale riduzione, nel concreto, è avvenuta subdolamente, lasciando che l'inflazione (seppure bassa) ne rosicchiasse il potere d'acquisto del 2-4% annuo. In questo modo, nel corso di vent'anni, la riduzione effettiva può essere stimata vicina al 25-30%. Insomma, per rincorrere la Cina abbiamo implicitamente accettato di ridurre il nostro livello di benessere medio. Forse sarebbe bastato approfondire l'analisi economica mettendo in evidenza che, stranamente, oggi la Germania è il Paese con l'economia leader in Europa e nel mondo nonostante: 1. non abbia abbassato i salari ed il costo del lavoro; 2. il livello di salari e costo del lavoro è ben più alto del nostro; 3. il welfare tedesco è molto più costoso (oltre che più giusto) di quello italiano,. Nessuno si è posto il problema di spiegare come mai in Italia, (e in misura maggiore in Campania), l'invasione dei prodotti cinesi (a basso ma quasi sempre anche di bassa qualità) sia stata audacia temeraria igienecosto spirituale così massiccia arrivando al punto di colonizzare intere aree produttive (tra tutte l'area vesuviana ed interi quartieri di Napoli). E' chiaro che in Campania si è assistito ad una sostituzione dei prodotti illegali nostrani con prodotti cinesi; borse e maglieria illegale italiana, realizzata rigidamente in nero da "imprenditori" italiani, non hanno retto alla concorrenza di prodotti analoghi di manifattura cinese. Ciò è dovuto ad un motivo banale: i cinesi sono disposti a lavorare di più ed a guadagnare molto meno (quasi nulla) degli italiani. A voler essere estremamente sintetici, quasi brutali potremmo dire che, se vogliamo il costo del lavoro cinese, dobbiamo prendere anche il loro livello di benessere e la loro organizzazione sociale. Ma siamo certi di essere disposti ad accettare tutto ciò che questo comporta? Giuliano l’Apostata

25


26

CULTURA

SPAZIO, TEMPO, VITA, SOGNO

Chissà perché gli attuali indirizzi scolastici, nelle diverse discipline, tendono sem-pre più a perdere, se non addirittura a ignorare, i contorni umanistici, di-venendo, così, aridi nel loro apprendimento, nella loro comprensione e, so-prattutto, nella loro applicazione. Con il rischio di cadere per un verso in una ridotta, ottusa, ripetitiva attività o, per l'altro, come affermava Illich, negli "Esperti di troppo", nel paradosso delle professioni disabilitanti, cioè in quel fenomeno dove, a seguito dell'emergere di caste professionali che sovente fondano un proprio monopolio a partire da un lessico e da un insieme di procedure tecniche specializzate ed incomprensibili alla gente comune, i cittadi-ni vengono espropriati non solo della possibilità di agire per il proprio bene, ma addirittura della stessa capacità di decidere che cosa è bene per loro. Eppure, qualunque professione non può essere esercitata al meglio senza una concezione umanistica nella e della vita e, al contempo, della sentita partecipa-zione del cittadino/cliente. Facciamo un esempio. Molto tempo fa leggevo sul grande scrittore, drammaturgo e librettista austriacoaudacia Hugo vontemeraria Hofmannsthal, l'inventore della ormai nota espressione "Rivoluzione igiene spirituale conservativa" coniata il 10 gennaio 1927 in occasione di una con-ferenza a Monaco di Baviera dal titolo "La letteratura come spazio spirituale di una nazione". Mi sono allora chiesta, un po' retoricamente in verità, cosa trasformasse lo spazio in un nuovo spazio sempre diverso eppure sempre quello. Ma non c'è dubbio, il design, mi sono detta, che ha la capacità non solo di fondere le due precedenti espressioni artistiche inerenti al tempo, ma anche e soprattutto perché ha la capacità di autoalimentarsi, di evolvere, in uno con la cultura complessiva esorbitando da una sola disciplina. Sì, d'accordo, ma verso quale? Ci sono: tale processo e il suo svolgimento possiamo legarli all'evoluzione del pensiero culturale in generale e filosofico in particolare. Aristotele, ad esempio, a proposito dello spazio, affermava che non esiste il vuoto assoluto e che, di contro, ciascun elemento al suo interno si muove in una di-rezione determinata dal suo peso e quindi va verso un luogo naturale all'interno dello spazio stesso. Oggi sappiamo che in parte aveva ragione a non considerare mai vuoto uno spazio e in parte aveva torto perché se il suo riempimento avvenisse per necessità, per forzata induzione, per conforme meccanica, allora non potrebbe aprirsi alcun spazio (inteso come possibilità) per la libertà umana, nessuna autentica possibilità di scelta di cambiamento e di novità. Avrebbero, inoltre, ragione (il ché non è) i successivi Stoici secondo i quali il co-smo come spazio è di per sé ordinato ed eterno; per cui ad ogni conflagrazione (modifica del passato) seguirebbe una rinascita e tutto tornerebbe esattamente come prima. Va da sé che il design dell'epoca ha


CULTURA

seguito tali concetti realizzando strumenti, strutture, oggetti anche di squisita fattura, ma tutti finalizzati ad un razionale impiego codificato e, perché no, tradizionale. Dopo gli Stoici, potrà apparire strano ma la filosofia, per molti secoli, non si occuperà più dello spazio in senso stretto. E per ritrovare concetti relativi dobbiamo giungere a Thomas More, noto anche come Tommaso Moro, del quale, come sappiamo, la più nota opera è Utopia. Qui il concetto di spazio è trattato indirettamente ma se, in sintesi, vediamo la trama di Utopia ne possiamo ricavare interessanti principi guida per la delineazione futura dei concetti di occupazione di spazi. Dopo le critiche al sistema feudale, Utopia delinea una comunità ideale perfetta (quasi come la Repubblica platonica anche se, rispetto a quest'ultima, manca una sorta di predestinazione). Descrive un'isola a forma di mezzaluna, con una confortevole baia, ma dall'approdo difficile a causa di scogli affioranti, sulla quale vi sono 54 città, tutte uguali. Nessuna famiglia è proprietaria della casa in cui vive, poiché non vige la proprietà privata, e per evitare ogni affetto alle mura che la ospita, deve cambiare domicilio ogni dieci anni. L'assegnazione delle nuove case avviene per sorteggio. L'attività comune è l'agricoltura; tutti sono vestiti allo stesso modo; si pratica il libero scambio delle merci, per cui si ignora l'uso della moneta. Lavorano tutti sei ore al giorno, tranne una ristretta cerchia di intellettuali che sono autorizzati dallo Stato a dedicasi completamente agli studi. Su Utopia vigilano 200 sifogranti, mentre su tutti governa un principe eletto con voto segreto, il quale rimane in carica tutta la vita. Vi è la tolleranza religiosa. Ebbene! Non si comincia ad avvertire in filosofia, e quindi nell'umano pensiero, la possibilità di dare vitaaudacia ad una sorta di osmosi tra ispirituale partecipanti che, pur se con idee differenti, pur temeraria igiene partecipando ad una liturgia ripetitiva, pur disponendo so-stanzialmente degli stessi strumenti e beni, innovano anche fondamentalmente lo spazio che di volta in volta vanno ad occupare? Perché se così non fosse, rispetto alla Repubblica di Platone, più articolata nell'occupazione e senz'altro nell'abitazione, l'isola di Utopia porterebbe aliena-zione. E invece riceverà lodi soprattutto attraverso un'altra celebrata opera che è l'Elogio della Follia del grande Erasmo da Rotterdam. E se Erasmo era, possiamo dire, consonante con il pensiero di Tommaso Moro, così era totalmente discordante con quello di Lutero e non già sul piano socio-politico quanto su quello spirituale, particolarmente incentrato sul concetto del libero arbitrio. Mi rendo conto che è un po' tirare per i capelli il concetto di spazio con quello di libero arbitrio, ma se ci pensiamo, non è poi molto così: nel senso che lo spazio deve essere riempito su decisione dell'uomo e ciò ogni volta cambia perché cambia il pensiero dell'uomo in quanto a contenuti, ma ciò che parimenti cambia è anche l'abbinamento dei contenuti stessi che andranno ad occupare il vuoto. Nel senso che la Bellezza, il Gusto, l'Arte, sono senz'altro concetti facilmente comprensibili e riscontrabili, non solo per un singolo soggetto, articolo, espressione, manifestazione, ma anche e soprattutto nell'insieme di più soggetti, articoli, espressioni e manifestazioni anche diverse tra loro. Forse Newton rende meglio il concetto. I suoi tre principi fondamentali della dinamica infatti sono: il principio di inerzia, quello della proporzionalità tra la forza e l'accelerazione; quello di

27


28

CULTURA

azione e reazione. Proviamo a tradurli in iniziative tradizionali, scontri "armonici" di stili e di dimensioni" nonché, ad esempio, oggetto particolare con illuminazione analogamente particolare. Ad ogni buon conto, l'espressione per me più adeguata a ciò che voglio rappresentare la raggiungiamo con la visione di Giordano Bruno: una vera e propria interpretazione del mondo/spazio. Bruno, infatti, delinea con audacia una nuova immagine del mondo/spazio che non ammette né il vecchio geocentrismo (la Terra al centro dell'universo) né il nuovo eliocentrismo (il Sole al centro dell'universo) ma afferma l'infinità dell'universo. L'universo/spazio di Bruno non ha centri né gerarchie; è unitario ed infinito, materiale e omogeneo, autosufficiente, composto da corpi, eventi, processi, la cui ragione d'essere è tutta immanente alla realtà stessa. E, per avviarci vero la fine, completiamo quasi il pensiero con Comte e la sua divisione in due branche della sociologia, la statica sociale e la dinamica o fisica sociale. La prima si basa sul concetto di ordine e studia le condizioni di esistenza comuni a tutte le società di tutti i tempi: la socievolezza fondamentale dell'uomo, la famiglia, la divisione nel lavoro che si concilia però con la "cooperazione degli sforzi". La seconda, invece, si basa sul concetto di progresso e studia le leggi di sviluppo della società. Il progresso, secondo Comte, realizza un perfezionamento incessante, per quanto non illimitato, del genere umano. Tale perfezionamento segna "la preponderanza crescente delle tendenze più nobili della nostra natura". Pensiamo, infatti, a queste due branche applicate all'esigenza di evolvere il contenuto di uno spazio; alla capacità, nel trascorrere del tempo, di elaborare i nostri dogmi in concordanza sia con il livello tecnico-scientifico raggiunto, sia con il livello culturale, facendo di una cosa bella un'altra cosa bella più funzionale in esito ai tempi. Un'altra cosa occorre alla scienza e alla filosofia per realizzarsi compiutamente: il sogno, per il quale ricorriamo a Sigmund Freud. Ogni sogno, per Freud, ha un contenuto manifesto, che è quello che è ricordato al risveglio e un contenuto latente cioè nascosto, che rappresenta il vero significato del sogno stesso. Premesso che non esistono regole applicabili indistintamente a ogni persona e che la logica dei sogni è del tutto autonoma rispetto alle solite categorie spazio-temporali della vita cosciente, per interpretare correttamente il sogno Freud ha scoperto cinque "regole": la condensazione (la tendenza ad esprimere in un unico elemento più elementi collegati tra loro); lo spostamento (trasferimento di interesse da una rappresentazione ad un'altra); la drammatizzazione o alterazione di situazioni; la rappresentazione per opposto, in cui un elemento può significare il suo opposto; la simbolizzazione. Non sembra la sintesi di un avveniristico progetto architettonico? E poi mi si venga a dire che l'ingegnere o l'architetto devono solo saper far bene una pompa o un rustico. Roberta Forte


CONDIZIONE GIOVANILE

RAFFORZARE IL DIRITTO ALLO STUDIO Giudico le 21 proposte di Fini, presentate alla recente Assemblea Nazionale di Futuro e Libertà per l’Italia, tutte largamente condivisibili, eccetto una: quella di liberalizzare le rette universitarie, proposta "addolcita" dalla correlata istituzione di centomila borse di studio per i non abbienti. Tra gli interessi strategici di una società e, quindi, di uno Stato vi è il livello di istruzione della popolazione, più tale livello è alto, più quel popolo sarà in grado di competere, di distinguersi, di avere gli strumenti di lettura e di trasformazione della realtà, di guardare serenamente al futuro e di apportare un fattivo contributo alla complessiva crescita della nazione. E' un po' la logica che sta dietro l'istruzione obbligatoria e che, a parere di chi scrive, andrebbe estesa sia a livello di istruzione universitaria che di istruzione permanente. Che si liberalizzi totalmente il sistema privato va bene, come va bene che chi ne ha interesse, sia esso filantropico o utilitaristico, istituisca borse di studio per offrire, a chi lo merita non avendo i mezzi, la possibilità di seguire percorsi di eccellenza. Ma non così nel sistema pubblico. Questo deve tutelare l’ interesse strategico della collettività e garantire, nel rispetto dei diritti della persona, l'accesso ai saperi a chiunque desideri farlo. A maggior ragione su scenari globali che creano sempre più alte barriere tra chi detiene le competenze e chi no. Nella cosiddetta "civiltà della competenza" il diritto allo studio va rafforzato non compresso. Né può essere appannaggio solo dei più abbienti o soltanto dei più dotati che certamente vanno sostenuti e valorizzati, ma non a discapito di altri, perché l’interesse pubblico guarda alle medie pur tutelando le punte, come coloro che sono al di sotto della media. Andrebbero aboliti persino tutti i numeri programmati o chiusi, per consentire a chiunque si senta portato verso un branca del sapere di poter coltivare il suo talento, in una visione autenticamente umanistica della cultura. La programmazione, correlata alla domanda di specifiche competenze sul mercato del lavoro, andrebbe spostata a valle: nel numero annuale delle abilitazioni all'esercizio di una professione. Se uno ha passione per la medicina perché non deve poterla coltivare se non supera degli stupidi test, congegnati apposta per falcidiare i più, a prescindere dai loro specifici talenti? L'importante è la chiarezza sulle regole: chiunque può studiare quel che gli piace, sapendo che c'è un numero programmato per l'abilitazione ad esercitare.

29


30

CONDIZIONE GIOVANILE

Il rischio che si assume l'individuo è quello di non arrivare mai ad esercitare l'attività per cui si è preparato, ma se lo ha mosso una reale passione, supportata da un certo talento, questa troverà il modo di estrinsecarsi comunque: nella redazione di testi scientifici piuttosto che nella sperimentazione di nuovi farmaci o facendo il laureato "senza frontiere". Andrebbero anche meglio organizzate le funzioni di docenza e di ricerca proprie delle università. Si selezionino i docenti in base alle competenze, ma anche in base alle capacità espositive e si dedichino prevalentemente agli studenti ed all'aula. Si selezionino i ricercatori solo in base a competenze e talento e si dedichino prevalentemente alla ricerca ed ai laboratori. Ed alla fine si premino, come giustamente ha proposto Fini riferendosi agli insegnanti della scuola, quei docenti che hanno i migliori risultati nell'insegnamento. Pierre Kadosh

Libertiamo è un’associazione senza scopo di lucro, che intende concorrere alla costruzione di una piattaforma ideale, politica e di governo ancorata agli ideali e ai principi della libertà civile ed economica. Si propone lo scopo di promuovere la diffusione della cultura della libertà in tutte le sue diverse espressioni, attraverso attività di studio, manifestazioni pubbliche e iniziative di promozione culturale, anche di carattere editoriale.

www.libertiamo.it


CONDIZIONE GIOVANILE

IL MERITO NON HA ETA’

Il disegno di legge costituzionale C.4358, fortemente richiesto dall'ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni, modificherebbe gli articoli 56 e 58 della Costituzione, riducendo l'età per candidarsi alla Camera e al Senato, rispettivamente, a 18 e a 25 anni, e, con l'introduzione di un articolo 31 bis, impegnerebbe la Repubblica a promuovere la partecipazione giovanile alla vita economica, politica, culturale e sociale della Nazione. La paralisi che ha colpito il ddl, parcheggiato dal 5 ottobre 2011 in commissione Affari Costituzionali al Senato dopo la prima approvazione alla Camera, dimostra quanto, in realtà, il Parlamento sia poco sensibile al tema trattato. Questo brusco rallentamento dell'iter parlamentare pare, però, dipendere soprattutto da precise scelte del nuovo Governo, che, nel sopprimere i ministeri delle Pari opportunità e della Gioventù, ha mostrato diffidenza verso alcuni istituti di marcato orientamento berlusconiano. Ma già diversi commentatori, all'indomani dell'approvazione in prima lettura alla Camera, accusarono il legislatore di aver partorito un ddl intriso di populismo, tanto perché fosse ingenuo pensare che norme del genere, da sole, bastassero a favorire l'ingresso dei neomaggiorenni alla Camera, quanto perché fosse inopportuno pensare che anche chi avesse da poco lasciato, prendendo in prestito le parole del Fiorentino, il "pappo e 'l dindi", avrebbe potuto gestire il delicato incarico di parlamentare. Tali norme, che hanno incontrato alla Camera una resistenza pressoché nulla, rispondono alle lagnanze dell'opinione pubblica, esasperata dalla vigenza, a tutti i livelli, di una gerontocrazia asfissiante. Vi è fondato timore di temere, d'altra parte, che gli italiani vi reagiranno con l'individuare i mali della Repubblica nei capelli bianchi dei suoi gerenti e si lascino accattivare da ben noti demagoghi che, per cambiare tutto proprio per non cambiare niente, a questi propongano giovani privi di merito ma adeguatamente indottrinati. Questa convinzione che i più giovani siano esenti dai difetti di cui sono affetti gli adulti affonda le proprie radici in una tradizione millenaria, alla quale, troppo spesso, il popolo si è affidato senza riserve. Così fu per i greci, i quali elaborarono, per bocca di Menandro, il celebre verso "muore giovane chi è caro agli Dei". E' in tal senso significativo, infatti, un antico mito ellenico che racconta che la dea Era, commossa dalla profonda devozione mostrata da due giovani, Cleobi e Bitone, per aver trainato, lungo cinque miglia, il carro su cui sedeva la madre per consentirle la partecipazione ai

31


32

CONDIZIONE GIOVANILE

riti in suo onore, li fece cadere in un sonno eterno, prevenendo così l'ineluttabile corruzione del corpo e della mente. Gli studi di Freud, pioniere della psicanalisi moderna, travolsero questa solida fede nel giovanilismo, mostrando, invece, come i fanciulli siano un concentrato di violente passioni da arginare entro i dettami dell'educazione. E' assolutamente demagogico, quindi, sostenere che i giovani assicurino merito e onestà in quanto tali. Anzi, il succitato ddl costituzionale si incanalerebbe entro quel sistema di liste bloccate che ha portato negativamente alla ribalta Nicole Minetti e Francesca Pascale, distintesi per un accesso non proprio meritorio all'ufficio pubblico. Si auspica, allora, che siano i partiti, per primi, ad adottare provvedimenti ben più significativi per coinvolgere i giovani nella vita politica. Occorrerebbe innanzitutto riformare, se non sopprimere, quelle strutture retoricamente definite "movimenti giovanili", benché vi stazionino troppi ultratrentenni. Questi movimenti, infatti, hanno del tutto dismesso la funzione di "sprone" che avevano negli anni '70 e si sono trasformati in riserve entro le quali contenere gli animosi entusiasmi giovanili. E poi, ovviamente, si attende una riforma elettorale che attribuisca ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti al Parlamento, in modo che siano loro, come possono fare già per le elezioni locali, a premiare il merito, a prescindere dall'età. Danilo Domenico De Luca

ABBONATI!


ECHI DI CRONACA

PARTE “AGENDA”

Agenda, le cose da fare, la nuova Fondazione di Gianfranco Fini sceglie la primavera araba per aprire i battenti. Fini è Presidente onorario, Angelo Pisanu segretario generale, Mario Ciampi direttore generale. Siedono nel cda di agenda, fra gli altri, Umberto Croppi e Benedetto Della Vedova. La nuova creatura finiana si propone di favorire il confronto programmatico proprio in vista della fase di riforme che sembra aprirsi. Il 10 luglio, a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, si è svolto il convegno dal titolo “Il ristagno europeo e il fermento arabo”, organizzato dalla Fondazione Agenda. Benedetto Della Vedova ha aperto i lavori; sono seguite le relazioni introduttive di Alessandra Pallottelli e Luca Bolzonello, per arrivare poi alla tavola rotonda “Autunno europeo e Primavera araba: i temi del confronto”, cui hanno preso parte i professori Vittorio Emanuele Parsi, Gian Carlo Biangiardo, Mohamed Mahna e Salvatore Zecchini, coordinati da Mario Ciampi. Dopo la tavola rotonda, Lucia Annunziata ha dialogato con il sottosegretario agli Affari Esteri Staffan De Mistura. Ha concluso i lavori il Presidente della Camera, Gianfranco Fini. ”La nostra democrazia presuppone condizioni che non sono proprie della societa’ musulmana. Non lo dico per un senso di superiorita’ dell’Occidente, ma per rilevare delle differenze evidenti tra le due societa’. La nostra e’ infatti una comunita’ secolarizzata mentre quella dei popoli che hanno vissuto la Primavera araba e’ fondato sul richiamo alla Sharia”. Cosi’, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso del suo intervento. ”La Primavera araba – ha spiegato Fini – ha avuto la forza di far cadere dei governi ai quali l’Europa si era oramai assuefatta. Inizialmente c’e’ stato un timore secondo cui molti si preoccupavano di poter rimpiangere persino i vecchi regimi, come se non fosse possibile istituire in alcuni paesi del Nord Africa dei nuovi governi democratici”. Ha poi ricordato nel corso dell’incontro come l’Islam non sia un fenomeno monolitico. "La cartina di tornasole per giudicare l'approdo delle rivoluzioni che abbiamo indicato con il nome di 'Primavera araba' sarà il rispetto dei diritti civili, a cominciare dal rispetto per le donne che nelle nostre società occidentali è principio fondamentale. L'altra cartina di tornasole sarà il rapporto che questi Paesi avranno con Israele". Fini ha ricordato il 'pendolo' lungo il quale ha oscillato il giudizio occidentale sulla primavera araba, legato a oscillazioni di commenti una volta positivi, un'altra negativi: "La vera sfida consiste nell'avvicinamento ai modi di vita della società democratiche europee. Tempi e modalità li si capiranno con il tempo". P.K.

33


34

POTERE & POTERI

ERRORI VS ORRORI Inglorious Bastards, che Tarantino ha storpiato in Inglourious Basterds, è un lavoro sugli orrori riparati dagli errori. Orrori storici, cancellati da "errori" ortografici, sintattici, stilistici e narrativi. Costruzioni infrastoriche o parastoriche sovradeterminate dalle intuizioni artistiche: i nazisti sono tali perché hanno il simbolo della svastica, ma avrebbero potuto essere gli antichi Romani con l'SPQR e tutto il corredo immaginario, e altri potenti ancora. Orrori scientifici, lucidi, quale la soluzione finale (Olocausto), corretti con la gomma di un sadismo altrettanto lucido, ma pulp. Non voglio approfondire il significato di pulp. So che talvolta mi trovo a provare un senso di "meraviglia estetica" anche davanti ad eventi terribili, portatori (contenitori) di grandi cambiamenti e di grande dolore. Le immagini delle Torri Gemelle colpite o questa in 3-D del virus dell'HIV, vincitrice del concorso International Science and Engineering Visualization Challenge, sono orribili e bellissime.

Cris Johnson, protagonista di Next, film tratto da The Golden Man di Philip Dick, dice: C'era un artista italiano che si chiamava Alberti (Leon Battista), che ha definito la bellezza: ha detto che è la somma di tutte le parti messe insieme, in maniera tale che non è necessario aggiungere, né togliere niente, né alterare.


POTERE & POTERI

Questo ovviamente se si riesce a conservare un punto di osservazione al sicuro, in salvo, che permetta di chiosare, come fanno i siciliani, su un guaio appena passato: "la mportanza è ca si cunta!". Nel film è come se ci si chiedesse: cosa accadrebbe se ci si desse la possibilità di accogliere dentro di sé, di essere contenitore adeguato (nel senso della capacità di tenuta e in parte di trasformazione, ma solo in parte, perché la trasformazione è sempre solo parziale, come nota André Green con la questione dei resti), di essere un contenitore adeguato, dicevo, dell'orrore, della rabbia, dell'invidia e della distruzione da qualcuno proiettata, fino a quel momento, dentro contenitori inadeguati (le vittime), contenitori che si lasciano distruggere? D'altra parte, seguendo il pensiero di Antonino Ferro, si potrebbe dire che i virus non entrano per distruggere, chiedono un contenitore, corpo/cellula, in cui vivere, trasformarsi, mutare. Come ne L'Uomo nell'alto Castello di Philip Dick, il tentativo di Tarantino non è di ricordare la storia, né di riscriverla, ma di reinventarla. Philip Dick immagina un mondo altro sotto il dominio dei Tedeschi e dei Giapponesi vittoriosi (quello di oggi?). Tarantino invece sogna un'esperienza catartica, possibile a patto di essere altrettanto bastardi e sadici, ma più appassionati e divertiti (forse con più gioia di vivere? più amore e meno odio?) dei bastardi per la gloria. Bastardi senza gloria contro bastardi per la gloria. Come dire, il supereroe è l'alterego necessario al supercattivo o, come recita uno degli slogan più longevi della TV italiana (in onda dall'82): "Per dipingere una parete grande, non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello!". La scialuppa di salvataggio, sognata da Tarantino, è una scialuppa che per funzionare non deve salvare i salvatori, né deve permettere una grande differenziazione tra i nemici e i difensori. Gli inermi sono i differenti. Gli inermi hanno un odore che si può sentire. Forse perché la paura puzza? La paura buca, attraversa i pori, abbatte i meccanismi primitivi del controllo corporeo. Bastardi senza gloria non è la ottusa bugia di chi non regge la verità e si inventa, grazie alla scissione, all'idealizzazione e al diniego, l'inesistenza dei campi di concentramento, ma è la narrazione, la bugia consapevole, di chi è sopravvissuto al trauma/trama rotta e la ritesse attraverso il sogno e la creatività. Una storia tessuta/sognata attraverso continue sliding doors stilistiche, narrative, emotive, in cui si tenta, attraverso una risata di gruppo, la sconfitta di eventi che in solitaria schianterebbero chiunque. Partenope Siciliano

35


36

FORUM

PANEGIRICI, FILOSOFIA E PSICOANALISI Sta diventando davvero piacevole questo simpatico botta e risposta tra me e Partenope Siciliano. Quindi, spero che non se la prenda se provo a ribattere al suo "Agli ordini del discorso" pubblicato lo scorso numero. Credo di aver capito il taglio del suo discorso: certamente non antropologico, né metafisico né, tantomeno, anarchico. Il suo è un ragionamento filosofico o psicoanalitico, da lezione universitaria. Ma è un ragionamento fine a sé stesso? Perché ciò che continuo a non capire è la morale. Certo, il potere è potere… a prescindere, avrebbe detto Totò. Ma, per poterne discutere, lo dobbiamo aggettivare, bello, brutto, utile, illuminato, superiore, saggio, giusto, legittimo, illegittimo, ingiusto e quanti altri aggettivi possano attagliarsi al potere. Perché altrimenti, denegandone dall'inizio la validità tout court, cadremmo nell'anarchia. Di converso, sposandone tout court la validità cadremmo nell'ingenuità. Se poi vogliamo dire che il potere può nascere positivo e tramutarsi in negativo (o che le persone possono cambiare sotto determinati stimoli), anche questo è un fatto. Comunque lo abbiamo sempre aggettivato. Non solo. Se non è palesemente buono o cattivo (e anche lì ci sarebbe da discutere) la considerazione che una persona ha del potere, fine a sé stesso o a qualunque ordine appartenga, è una valutazione soggettiva, valida quanto un'altra, differente, valutazione soggettiva. Ora, si può credere ciò che si vuole, anche riguardo al potere, se questo non comporta riflessi per altri. Diversamente, volendo o dovendo dirimere la questione, dovremmo affidarci a qualcuno che ha il potere di decidere, riconoscendo comunemente il potere di costui; un potere che nasce dalla comune condivisione e accettazione, dal consenso maggioritario, dalla designazione di altro potere, dalla forza. Ed è da notare che tale trafila è la stessa società a richiederla (una volta si sarebbe detto) per un vivere civile. Possiamo anche tenere la mente all'erta, o il naso attivo, come suggerisce Partenope Siciliano, per tentare di sentire effluvi o puzze preventivamente all'emissione di un giudizio o al confidare in qualcuno, specie se detentore di un potere. Ma una volta fatto questo cosa accade? Una volta che si è annusato, quale atto segue? Ci fidiamo dell'"olfatto" o delle "apparenze"? Non so quale considerazione Partenope Siciliano abbia di Foucault ma, essendo morto a seguito di AIDS, e avendo egli avuto il potere di formare delle menti in campo filosofico, lo giudichiamo un pervertito o una mente brillante? Io sarei per questa seconda ipotesi. Già, si potrebbe dire, sei aperto di mente e gli omosessuali devono avere gli stessi diritti degli etero, senza alcuna


FORUM

discriminazione. Giustissimo, sacrosanto. Ma prendiamo Freud, detentore dello stesso potere nella psicoanalisi. Ad "annusarlo" prima, lo giudichiamo un prestigioso caposcuola o un bieco pervertito dal momento che andava contemporaneamente a letto con la moglie e con la sorella della moglie, oltreché con l'amante? Per la morale cristiana sarebbe un reprobo. Già, ma lui era ebreo. E ad "annusarlo" sul piano professionale, facendo finta che non siamo cristiani e che non compete a noi l'emissione di un giudizio sulla morale, ci fermiamo al Freud primo periodo ove le devianze (???) sessuali sono riconducibili all'esistenza di nevrosi o ci spostiamo sulle sue revisioni del proprio pensiero ove le stesse devianze derivano dalle pulsioni di morte? Comunque, in un caso o nell'altro, abbiamo il potere di dissentire. E con Jung come la mettiamo? Un altro caposcuola o un professionista che è venuto meno al codice deontologico portandosi a letto Sabina Spielrein, una russa ebrea di buona famiglia, approdata giovanissima nel 1904 al rinomato Burgholzli di Zurigo con gravi sintomi di tipo psicotico? E a nulla dovrebbe valere il fatto che, in seguito, dopo essere stata curata con successo, sia divenuta collega del grande psicoanalista. O, invece, sì? Partenope Siciliano ha citato Javier Marias, scrittore spagnolo di grande successo e figlio di Julián Marías, discepolo prediletto di José Ortega y Gasset. Non era Gasset a dire: io sono io e la mia circostanza, e se non salvo questa non salvo neppure me? Nel rilevare l'unicità della vita di ciascuno, non trasferibile, determinata da circostanze spaziali e temporali, diverse da uno all'altro, Gasset afferma che è la funzione delle circostanze a determinare ogni singolo individuo e la loro eliminazione comporta l'annullamento dello stesso individuo. Quindi, la concezione di un potere può essere "annusata" analizzandola da diverse prospettive ma resta il fatto che ciascuno, con la sua individualità, ha un olfatto peculiare della realtà. In teoria, quindi, la somma totale di tutte le "annusate" dell'umanità dovrebbe fornire l'odore reale e veritiero del mondo. Quindi, Freud è un grande e lo è pure Jung….a prescindere, direbbe sempre Totò. Però, di converso, ogni posizione è degna di considerazione nonostante sia contraria alla nostra. Ovviamente, per evitare scontri fra differenti "annusate" è fondamentale la tolleranza. Ed io, che sono molto tollerante, resto in totale disaccordo con Gasset quando egli afferma che l'essere umano, immerso nella frenesia della vita, perde l'autenticità, si allontana da sé stesso; e che per riscoprire il suo autentico atteggiamento deve perseguire una pace interiore con la spiritualità; in sostanza, deve abbandonarsi al soprannaturale e a Dio. E ciò al fine di arginare la ribellione delle masse, la socializzazione dell'uomo, l'incertezza sul futuro delle ideologie e delle guide politiche. Ma, si domanda, perché mai solo l'avvicinarsi a Dio avrebbe il potere di portare alla pace interiore? Semmai, la scoperta della religione porta a sopire l'angoscia esistenziale che è in ciascuno di noi. Ma per sopirla, secondo me, ma anche secondo un'alternativa visione, peraltro ammessa dal ragionamento di Gasset, esiste anche il sesso, accantonando le devianze, come potere di potente affermazione di vita.

37


38

FORUM

E comunque, come ci arriviamo a Dio? Direttamente, per intercessione del potere della Chiesa o della collettività? Sposiamo l'aut aut di Kierkegaard o l'et et di Hegel? Ed ancora. Perché andrebbe arginata la socializzazione dell'uomo o l'incertezza sul futuro delle ideologie e delle guide politiche? Innanzi tutto dobbiamo metterci d'accordo su cosa vuol dire "ideologia". Se l'intendiamo come potere totalizzatore e totalizzante di tutte le istanze (un potere dittatoriale, in sostanza), siamo d'accordo ma se, nell'accezione corretta, è semplicemente un'articolata proposta in grado di rispondere alle esigenze plurime e diverse dell'odierna società? Sulle guide politiche non mi addentro. Comunque, riterrei che la socializzazione dell'uomo andrebbe incentivata perché, tralasciando Plauto e Erasmo da Rotterdam, sposo Thomas Hobbes, secondo il quale la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, che detenga un potere reale o meno. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò egli fa derivare un perenne conflitto, un continuo bellum omnium contra omnes nel quale non esiste torto o ragione (che solo il potere legislativo o giudiziario può distinguere), ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa (anche sulla vita altrui). Cosa mai potrebbe sopperire a ciò, se si esula dal potere legislativo o giudiziario? La ragione, dice Platone, che nel 1° libro della Repubblica, in veste di Socrate, interroga il sofista Trasimaco, assertore della pleonexia. Secondo Platone, un soggetto per essere in grado di perseguire il bene comune bisogna che sia capace di porre freno alla pleonexia con la ragione. E la filosofia, cioè la ragione, è tutt'uno con la razionalità politica e con la "ragion di stato". La saggezza politica (politiké areté) è capacità di sottomettere alla ragione la pleonexia, è il potere dell'uomo di controllo di sé, di dominio morale su di sé. Perciò giustifica Atene che, attraverso il potere statale, ha ucciso Socrate semplicemente per le sue idee. In conclusione, è un gran casino. Ma se così non fosse, cadremmo nel paradosso de "Il potere dei senza poteri", un'opera di Václav Havel, scrittore e drammaturgo ceco, ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo Presidente della Repubblica Ceca. E' un'opera illuminante…… circa i panegirici che la mente dell'essere umano riesce a compiere "agli ordini di un discorso". M. S.


RUBRICHE/ARTE

LIGYUNG: LA LUCE DELLE TENEBRE More Light è la mostra personale di metà carriera dell'artista coreana: Ligyung (Coreana Museum of Art, Seoul - fino al 21 luglio). Ligyung, nata nel 1969, rimane imbattibile nei lavori di installazione dove affronta riflessioni filosofiche sull'umanità e la società. In questa mostra spettacolare l'artista presenta uno spazio di luce fluttuante. Il concetto di luce è stato un tema rilevante nel suo lavoro dagli inizi del 2000. Precedentemente, la luce di Liyung era il mezzo per rivelare, paradossalmente, l'incompletezza dell'occhio umano che legittima solo ciò che vede, ma che conferma l'esistenza delle tenebre. In questa mostra l'artista presta maggiore attenzione ai fenomeni che possono essere visti e sentiti qui ed ora, con il corpo ed i sensi. Ligyung nell’offrire uno spazio di luce pulsata e fluttuante offre non solo emozioni tattili e visive, ma una metafora dell'epoca attuale dominata dall'ansia. Luci laser, specchi e vetro combinati insieme. Gli specchi posti sui quattro lati e vetro a strati formano una matrice senza fine con riflessi estesi di diffusione di luce verde. Si cade in uno spazio di luce dove inizio e fine sono noti, gli spettatori condividono esperienze percettive e non possono fissare i loro occhi nello spazio senza limiti. Diverse messe a fuoco entrano in gioco con la sovrapposizione di numerosi raggi psichedelici, provocando gli occhi degli spettatori a vagare. In questo lavoro la luce non è solo visiva ma anche tattile. Gli spettatori possono sperimentare la luce con i loro corpi, mentre la vedono con gli occhi. Sto dicendo una bugia è una grande installazione sinestetica, avvolge tutto il locale con i raggi laser sottili, fumo, video e audio. Un luogo dove la luce rosa si blocca, solo immagini di porte e pareti create da sottili raggi rossi. Ogni quindici minuti viene emesso fumo che a contatto con i raggi rossi, genera un lungo corridoio. Il passaggio appare chiaro, ma nel momento in cui il fumo scompare, la sua presenza visiva diventa ambigua. In un'altra stanza, la luce è troppo intensa per guardare direttamente. Un'immagine, sovrapposizione di scale, appare sulla parete di fronte, IL GUSTO DI LEGGERE vista attraverso la luce. Se ci si affaccia lontano dalla sorgente di luce, con la schiena alla sorgente di luce, il profilo del proprio corpo si riflette sulla immagine delle scale. Dai primi anni del 2000, la luce è diventata una parte significativa degli impianti di Ligyung. Nelle sue opere precedenti, come La vera conoscenza del bene e del male (2001/2003) e Vedere per credere, credere è vedere (2003/2004), la luce era un mezzo per rivelare l'incompletezza dell'occhio umano e confermare l'esistenza delle tenebre. Le opere attuali sono installazioni luminose. Esse stimolano la contemplazione spirituale, con la luce che presuppone un essere divino ed esigente. Ma è una luce fluida, non fissa e immutabile, che ti penetra dentro. Giny

39


40

RUBRICHE/FUMOBLU

DEL FUMAR CORTESE Cari lettori, come annunciato nello scorso numero, l'articolo di oggi, l' ultimo prima della pausa estiva è dedicato ai sigari aromatizzati . La categoria degli aromatizzati è peculiare dei cigarillos e degli ammezzati italiani; la caratteristica di questi sigari è quella di sperimentare nuovi gusti, coniugando il tabacco con altri "aromi", sebbene non incontrino il favore degli esperti e dei "puristi" del fumo lento, quello degli aromatizzati è un mercato ricco di varietà ed opzioni di scelta. In realtà anche il sottoscritto non impazzisce per questi sigari "corretti" , anzi, ma sono dell'opinione che gli aromatizzati abbiano una funzione importante nell' educazione del palato del fumatore di sigari. Il loro aroma poco intenso rende gli aromatizzati i sigari perfetti per una fumata poco impegnativa. La linea più ricca nella categoria degli aromatizzati, è sicuramente quella della Toscano che offre numerose varianti del toscanello: Aroma Caffè, Aroma Mokha, Aroma Anice, Aroma Grappa, Aroma Fondente e Aroma Vaniglia. Da qualche tempo sono presenti sul mercato gli ammezzati De Medici all' aroma arancia e rhum. Il mio giudizio sulla "linea " Toscanello aroma non è esaltante, la fumata risulta scialba e l' aromatizzazione inconsistente, poco perdurante, quasi da sembrare finta e solo olfattiva. Diverso è il giudizio per il De Medici all' arancia, dove l'aroma è consistente e lo si avverte al primo tiro, in questo caso il giudizio rimane strettamente personale, nel senso che io, ad esempio, non ritengo indovinato il connubio arancia tabacco! Comunque non è il caso di disperare, perché anche la categoria degli aromatizzati presenta delle eccezioni che vale la pena provare, come ad esempio l' Anisette Pedroni. Cavallo di battaglia della manifattura di Brissago, l' Anisette può essere considerato il miglior sigaro aromatizzato in commercio. La fattura è ottima, buona anche la combustione ed il tiraggio che formano una cenere ad anelli regolari grigio chiaro, l' aroma è forte e lo si avverte già al momento dell' IL GUSTO DI LEGGERE apertura della scatola. Il sapore d'anice è forte già dal primo tiro, e sembra di masticare realmente una foglia d' anice, è commercializzato ammezzato o lungo. L'anisette può essere, soprattutto nel periodo estivo, un simpatico diversivo anche per i palati più fini. Per l' abbinamento consiglio un thè verde o alla menta, una Sambuca o dell'Ouzo greco, la fumata risulta così fresca e rigenerante indicata in particolare a fine di una cena estiva, è un sigaro particolarmente apprezzato dal gentil sesso. Come accennato in precedenza la nostra rubrica si ferma per la pausa estiva, vi lascio con una augurio di una tranquilla estate ricca di fumate rilassanti ed appaganti, e l'appuntamento è per settembre con i sigari cubani e caraibici. Gianluca Esposito


RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA La cucina futurista è un tipo di cucina sviluppata all'inizio del Novecento che si legava alle idee del futurismo. Ultima delle "grandi battaglie artistiche e politiche" di Marinetti e del suo movimento. Tale cucina, considerata come la lotta contro l'"alimento amidaceo" (cioè la pastasciutta), colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori "fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo", prende le mosse da una cena al ristorante milanese "Penna d'oca" (15 novembre 1930). Al termine, Marinetti preannuncia il Manifesto della cucina futurista, che sarà pubblicato su "Comoedia" il 20 gennaio 1931. Precursore della cucina futurista è il cuoco francese Jules Maincave, che nel 1914 aderisce al futurismo. Annoiato dai "metodi tradizionali delle mescolanze", a suo dire "monotoni sino alla stupidità", Maincave si ripropone di "avvicinare elementi oggi separati da prevenzioni senza serio fondamento": filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola. Oltre all'eliminazione della pastasciutta, il Manifesto - di pugno di Marinetti - predica l'abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti e della politica a tavola; auspica la creazione di "bocconi simultaneisti e cangianti", invita i chimici ad inventare nuovi sapori e incoraggia l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi. Al lancio del Manifesto segue una folta serie di conferenze e banchetti futuristi in Italia e in Francia, l'inaugurazione della taverna "Santopalato" e finalmente, nel 1932, la pubblicazione del libro: “La cucina futurista” di Marinetti e Fillia, nel quale arrivano a proporre, accanto a rivisitazioni dei piatti tradizionali e suggestioni esotiche, piatti programmaticamente incommestibili, assemblati con la tecnica dadaista del "cadavere squisito". I futuristi si impegnarono anche a italianizzare alcuni termini di origine straniera, il cocktail divenne così la polibibita (che si poteva ordinare al quisibeve e non al bar); analogamente, il sandwich prese il nome di traidue, il dessert di peralzarsi e il picnic di pranzoalsole.

41


Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.