Confini5

Page 1

Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 5 Ottobre 2012 - Anno XIV

TERZA REPUBBLICA. ADESSO! d A: stra T o t S I u V TER idente A L’IN res

SCO NCE A R F

e

cep , Vi O I Z DEL

PRIMO PIANO Gianfranco Fini: in Italia c’è grande spazio per una nuova offerta politica


www.confini.org

In copertina: Giacomo Balla, Genio futurista

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione culturale “Confini” Numero 5 (nuova serie) - Ottobre 2012 - Anno XIV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano + Condirettori: Ugo Maria Chirico - Massimo Sergenti + Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Giovanni Belleré Marcello Caputo - Elia Ciardi - Ugo Maria Chirico Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano - Carmine Ruotolo Filippo Sanna - Emanuele Savarese - Massimo Sergenti

+ Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Jodit D’Alessandro Danilo Domenico De Luca Francesco Diacceto Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Francesco Letizia L’Infedele Pierre Kadosh Enrico Oliari Pennanera Gustavo Peri Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti + Segreteria di redazione confiniorg@gmail.com Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

1


2

EDITORIALE

LEGGE ELETTORALE: DI MALE IN PEGGIO

L'undici ottobre la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato a maggioranza, contrari PD, IdV, e PSI perché non d'accordo sulle preferenze, la bozza della nuova legge elettorale alla "greca". In sostanza vengono reintrodotte le preferenze, i partiti si tengono ben stretto un terzo delle nomine, tramite listini bloccati con priorità sugli eletti, alla coalizione vincente viene riconosciuto un premio, su base nazionale e non più regionale, del 12,5%, lo sbarramento viene elevato al 5%, ma ridotto al 4% se un partito fa parte di una coalizione, vengono reintrodotte le vecchie circoscrizioni, ante "mattarellum": 31 per la Camera e 20 per il Senato su base regionale. Persino Fli ha votato a favore, pur essendosi Fini sempre dichiarato favorevole al maggioritario. La portavoce, on. Giulia Bongiorno ha motivato la scelta affermando che "qualunque cosa è meglio del "Porcellum"". Sarà, ma sembra un "omaggio" a Casini. Il nuovo testo dimostra, in maniera palmare, l'assoluto sganciamento della classe politica dalla realtà, dai sentimenti e dai desideri degli italiani. Le preferenze furono cancellate da un referendum con una maggioranza del 95% degli italiani. Basterebbe ricordare questo per non reintrodurle, per non parlare dei guasti conclamati che producono, della corruzione che alimentano, dei traffici di promesse e di impegni che determinano, in particolare al Sud, anche se, come dimostrano gli scandali più recenti, il rischio riguarda tutto il Paese. Mantenere in capo ai partiti il potere di nominare un terzo dei parlamentari, per tutelare le rispettive nomenklature, è indecente, soprattutto dopo che la capacità di scelta dei partiti - ossia delle Segreterie - messa alla prova del "Porcellum", ha determinato la composizione dell'attuale Parlamento che vede tra i suoi membri, tutti rigorosamente scelti e nominati, circa la metà tra condannati, indagati e inquisiti. Il premio di governabilità, istituito per rendere stabili i governi, ne esce stravolto perché il suo presupposto era il bipolarismo che è, di fatto, archiviato dalla nuova bozza. Anche l'istituzione della soglia di sbarramento fu introdotta, in coerenza col modello bipolare, per evitare la polverizzazione della rappresentanza politica. Oggi, anche in presenza della vera e propria proliferazione dei Gruppi parlamentari, ha ancora un senso? Per di più si è ignorata la necessità di introdurre il diritto di tribuna, garanzia di libertà, di autonomia e di continuità, per forze politiche minori che, spesso, rappresentano parti sane della tradizione politica italiana come, ad esempio, i radicali, i missini, parte dei repubblicani e dei socialisti.


EDITORIALE

Con lo sbarramento si costringono tutti all'ammucchiata e ciò concorre a rendere più opaco il sistema. Ancora una volta i partiti hanno perduto l'occasione di riformare, di iniettare dosi di democrazia in un sistema che rischia di crollare su se stesso. Eppure delle soluzioni virtuose ci sarebbero. Il sistema maggioritario, ad esempio, è stato frettolosamente archiviato perché pilastro del bipolarismo. Ma questo non è vero. Per renderlo più elastico e non costringere i cittadini a votare chiunque venga catapultato in un collegio, basterebbe correggerlo in senso plurinominale: la coalizione che prende più voti si assicura il seggio, ma ogni partito di coalizione può presentare il suo candidato di collegio, viene eletto il candidato del partito della coalizione vincente che ottiene più voti. Con questo sistema si eviterebbero le nefaste preferenze, si garantirebbe ai cittadini la libertà di non dover votare turandosi il naso, si assicurerebbe un'elezione meritocratica e rispettosa della volontà e della capacità di scelta degli elettori, si rispetterebbero le vocazioni dei territori. Anche per la giusta esigenza dei partiti di salvaguardare le loro prime file vi sarebbero soluzioni più democratiche di quella di arrogarsi il diritto di nominare un terzo dei parlamentari. Il venti per cento dei seggi, non di più, può anche essere riservato alla dirigenza politica, purché questa abbia il coraggio di esporsi al giudizio degli elettori attraverso un modo diverso di intendere la preferenza, attraverso una sorta di primarie collettive. Che ogni partito presenti una lista con i nomi dei suoi dirigenti meritevoli di tutela secondo valutazioni interne, affianco ad ogni nome una casella spuntabile dall'elettore (in Belgio, dove esiste il voto elettronico si possono esprimere fino a 35 preferenze). Vengono eletti quelli che hanno più preferenze. Questo sistema darebbe ai cittadini la possibilità di scegliere il miglior personale politico ed anche di esprimersi sulla linea politica e lo "stile direzionale" di un partito. Ma di soluzioni virtuose e democratiche non ne vedremo. Angelo Romano

via Sistina, 91 - 00187 Roma T. +39 06 69921243 www.fondazioneagenda.it

3


4

SCENARI

TERZA REPUBBLICA. ADESSO! Con la seconda guerra mondiale l'Europa decise di suicidarsi. I vincitori, come di recente è stato replicato in Afghanistan, esportarono ed imposero la democrazia ai vinti. La democrazia italiana è figlia di quella scelta, non della maturazione consapevole di un popolo. Difatti in quegli anni, metà del popolo italiano anelava a farsi satellite dell'impero sovietico, l'altra metà ambiva a restare "suddita" di una monarchia senza gloria. Nacque così, con un referendum pilotato, la Repubblica. I Padri costituenti dovettero faticare non poco per trovare un punto di compromesso "democratico" tra i vari interessi in gioco: quelli dei vincitori che volevano preservare la giusta influenza conquistata con le armi ed evitare qualunque pericolo di ritorno alla dittatura e quelli dei vinti e di coloro che, per essersi schierati per tempo dalla parte dei vincitori, ambivano a diventare - e divennero - élite dominante. Il risultato fu la Costituzione che, da allora, scandisce ritmi e rituali della "democrazia" italiana. Visti il punto di partenza e la genesi, non ci si può stupire, oggi, se la democrazia si è avvitata su se stessa ed è a rischio di implosione. Il Parlamento funziona, con lentezza esasperante, poco e male, oltre ad essere pieno di indiziati ed inquisiti. E' stato incapace, insieme ai Governi, di dare al Paese le riforme di cui aveva bisogno e, spesso, è diventato strumento di autotutela castale o di tutela di interessi diversi da quello dei cittadini. Le poche riforme varate si sono rivelate dannosissime, come quella del Titolo V che, nel nome di uno sconsiderato federalismo, ha trasformato le Regioni in autonomi staterelli spendaccioni. Perdura, da oltre un ventennio, un conflitto tra politica e giustizia, esacerbato dall'incapacità di riformare della politica e da indebiti sconfinamenti della magistratura. Intanto 35.000 fattispecie di reato, non meno di 150.000 leggi vigenti, unitamente a costi e lentezza insopportabili della giustizia, avviliscono le libertà civili. Le altre istituzioni centrali, tutte comunque elefantiache, si barcamenano come possono. La politica, nel momento di maggiore difficoltà per il Paese, ha dato forfait, non ha trovato di meglio che passare la patata bollente ad un governo "tecnico", per insipienza e per paura di maggiore impopolarità. La sola cosa di cui è stata davvero capace è la copertura della corruzione e la moltiplicazione delle istituzioni e dei costi della "democrazia": Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni, Comunità montane e isolane, Enti d'ambito, società partecipate dagli enti pubblici, Autorità,


SCENARI

Agenzie, Enti, Associazioni di rappresentanza degli enti, Commissioni, Garanti e un'infinità di paraistituzioni minori che vanno dai Caf ai patronati, dagli Enti bilaterali alle centrali sindacali e cooperative. La spesa pubblica ha rotto ogni ragionevole argine e rischia di soffocare persino la speranza di futuro. "Regionopoli" è solo la punta dell'iceberg costituito dalla orribile metastasi di una democrazia malata che ha già prodotto gli innumerevoli scandali che costellano la storia repubblicana. In questo vespaio impazzito rischia di non salvarsi nessuno, nemmeno gli uomini onesti e capaci. Il vento dell'antipolitica non discerne, spazza via. E al peggio non c'è mai fine. E' tempo di reagire, di volere con forza la Terza Repubblica. Adesso! I cittadini sono ormai maturi per pretendere dalla politica un atto estremo di resipiscenza, chiedano a gran voce che si convochi l'Assemblea costituente della Terza repubblica, che si riscriva la Costituzione, che è il sistema di regole da cui scaturiscono tutte le altre, che si introduca finalmente in Italia una democrazia partecipata, rispondente ai tempi e reale. Altre strade non ce ne sono. Pierre Kadosh

italiani QUOTIDIANO

diretto da Luciano Lanna e Filippo Rossi

5


6

PRIMO PIANO

VOLTARE PAGINA CON LA LISTA PER L’ITALIA Il dibattito politico italiano, sia sul fronte del centrosinistra sia su quello del centrodestra, sembra, in queste settimane, avvitarsi su se stesso. Da una parte, nel Pd, si assiste alla discussione sulle regole per le primarie, alla riproposizione di coalizioni già viste, al lancio di veti incrociati tra chi considera la cosiddetta “agenda Monti” un'opportunità per il paese e chi invece la etichetta come “esperimento di macelleria sociale”. Dall'altra, nel Pdl, si aspetta l'ennesimo gioco di prestigio che possa rilanciare un progetto politico mal riuscito, scrivendo nuovi libri dei sogni e promettendo nuovi miracoli. Altrove, intanto, cresce l'onda populista. Si rafforza (grazie al quotidiano stillicidio di scandali e ruberie) l'avversione per la politica tout court. Si vanno riempiendo, ogni giorno di più, sia il bacino del non-voto (con numeri inediti per il nostro paese) che quello del voto di protesta. Il campo della politica pare condannato ancora una volta, insomma, alla autoreferenzialità. Nell'incapacità di dare risposte credibili alle sfide epocali che l'Italia si trova a dover affrontare, si continua audacia a fare e atemeraria raccontare la politica come se nulla fosse cambiato, come se il sistema igiene spirituale bipolare dell'ultimo ventennio, tanto muscolare quanto sterile, non fosse crollato su se stesso, come se gli schemi del Novecento non fossero stati superati dalla storia, in attesa di essere sostituiti da nuove categorie, da nuovi perimetri. La parola fra pochi mesi tornerà agli italiani. È questa l'unica cosa che conta, è questo l'unico punto di partenza possibile. E lasciamo che gli elettori la facciano sentire nitida, la loro voce. Si è aperto oggi nel Paese un grande spazio di consenso per una proposta politica nuova e credibile, realmente alternativa alle pratiche rissose e inconcludenti degli ultimi anni. Si tratta di uno spazio potenzialmente maggioritario, uno spazio composto da larghi e rappresentativi settori del mondo del lavoro e dell’imprenditoria, della società organizzata, dei giovani, delle donne, dell’opinione pubblica e della cultura che non vogliono più saperne di anacronistici ideologismi e di proclamazioni enfatiche e retoriche. È a questo grande e dinamico settore della società che si rivolge la Lista per l’Italia, nella consapevolezza di rappresentare le autentiche domande di rinnovamento del Paese, all’insegna della concretezza, dei valori di libertà e delle aspirazioni alla modernizzazione della nostra società. È il momento di voltare pagina, approfondendo e consolidando l’opera di risanamento e riforma avviata dal governo Monti. Voltare realmente pagina, senza furbizie e senza torcicollo. Gianfranco Fini Tratto da: http://www.futuroeliberta.it/stories/editoriale/4502_in_italia_c_un_grande_spazio_per_una_nuova_offerta_politica/


PRIMO PIANO/L’INTERVISTA

RISVEGLIAMO LA SOCIETA’ CIVILE Ad Arezzo, lo scorso 30 settembre, si è celebrato l'incontro tra la società civile e quella che Gianfranco Fini ama definire la buona politica. L'assemblea costituente dei "Mille per l'Italia" rilancia con vigore l'idea secondo la quale l'agire politico può trovare sbocco al di fuori dei tradizionali canali di partito. Sono tanti, infatti, gli italiani che perseguono l'interesse generale in svariati settori della nostra società pur non mostrando alcuna appartenenza politica. L'appello di Gianfranco Fini ad incontrarsi nella cittadina toscana senza tessere di partito e con un bagaglio di buone idee è stato raccolto con entusiasmo da imprenditori e manager, rappresentanti del mondo delle professioni e dell'associazionismo, intellettuali e giornalisti. Francesco Delzio è Executive vice President di Autostrade per l'Italia, come Direttore Relazioni esterne, Affari Istituzionali e Marketing. E' stato selezionato come Italian Young Leader dal Dipartimento di Stato Usa ed è stato insignito del Premio Internazionale Manager 2011 dall'Accademia Europea per le Relazioni Economiche e Culturali. Autore di alcuni libri in cui ha centrato l'attenzione sui temi dell'occupazione (Generazione Tuareg), della giustizia fiscale (Lotta di tasse) e del audaciagiovanile temeraria igiene spirituale Mezzogiorno d'Italia (La scossa), ha portato il suo contributo all'assemblea di Arezzo destando apprezzamento e interesse. Dottor Delzio, che cosa la ha spinta ad aderire all'iniziativa "Mille per l'Italia? L'idea che ci possa essere uno spazio politico nuovo segnato da un forte impegno civile. Vede, negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un fenomeno pericoloso: le coscienze degli imprenditori, dei manager, degli intellettuali e, più in generale, di tutta la società civile si sono addormentate. Hanno rinunciato ad occuparsi del bene comuneLa mia adesione nasce dalla convinzione che ci possa essere una stagione nuova per l'Italia in cui la società civile aspiri ad un ruolo da protagonista. Converrà con me che i precedenti tentativi di coinvolgere la società civile alla cosa pubblica sono risultati insoddisfacenti e, in alcuni casi, fallimentari. In che modo, allora, dovrà concretizzarsi questo protagonismo che lei auspica? Senza dubbio costruendo una nuova visione dell'Italia, una nuova vocazione del nostro Paese nel mondo. Per raggiungere questo obiettivo è necessario tornare a progettare una politica economica e industriale che, come ho ricordato anche ad Arezzo, è stata la grande assente nella vicenda italiana degli ultimi anni. A causa di una malattia pericolosa che ha colpito la nostra intellighentia, il "tremontismo": quante volte abbiamo sentito ripetere come un mantra, dall'ex ministro dell'Economia, che "lo sviluppo non si fa per decreto"….

7


8

PRIMO PIANO/L’INTERVISTA

L'effetto di tutto ciò è stato il lento abbandono da parte dei politici, degli economisti e degli intellettuali di un progetto economico-industriale capace di rilanciare il Paese. Il tutto, badi bene, mentre la Francia continuava ad esaltare i suoi campioni nazionali e la Germania realizzava il record di produttività ed espandeva la sua economia manifatturiera verso i Paesi asiatici. Di fronte ai problemi che attanagliano il nostro Paese non è più tempo, per la politica, di promesse mirabolanti. La disoccupazione giovanile, ad esempio, assume ogni giorno di più i caratteri di un dramma sociale di fronte al quale è urgente prospettare rimedi e soluzioni. Fa bene a parlare di dramma. Consideri, infatti, che sono cinque milioni i giovani italiani under 35 che non hanno un posto di lavoro. E' un numero che non compare mai nelle statistiche ufficiali, perché si evita sempre di sommare disoccupati, inoccupati e NEET, cioè coloro che non ricevono istruzione, non hanno un lavoro e non fanno training professionale. In questi numeri credo ci sia la misura del fallimento italiano degli ultimi decenni. Ridurre la disoccupazione, moltiplicando le chances di lavoro per i giovani italiani, è la priorità assoluta che il prossimo governo dovrà affrontare appena insediato. Sul tema ho lanciato una proposta. Oggi sono quarantadue i miliardi di euro che sono destinati come incentivi alle imprese, ma solo due di essi sono effettivamente adibiti allo scopo perché finanziano le attività di ricerca e innovazione. Sono dati che risultano dal rapporto Giavazzi. Beh, dei quaranta miliardi restanti, dieci potrebbero essere utilizzati ogni anno per abbattere le tasse sul lavoro - in particolare per abbattere il peso del fisco sulle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani precari - e consentire così alle imprese di tornare ad assumere. Il governoaudacia Monti hatemeraria fatto del contrasto igiene all'evasione spirituale fiscale uno dei suoi cavalli di battaglia. Il percorso, però, sembra ancora lungo e incontra forti resistenze nel Paese. A Monti ed al suo governo vanno riconosciuti meriti innegabili in tema di lotta all'evasione. L'Agenzia delle Entrate può oggi godere di strumenti efficaci di controllo: penso, tra gli altri, all'Anagrafe dei conti correnti. Ma credo che ci sia bisogno di uno scatto ulteriore sul fronte del contrasto all'evasione. Accanto a quelle penali, infatti, è necessario affiancare norme che prevedano la condanna sociale dell'evasore. Nei confronti di chi evade sarà necessario rivedere il "contratto sociale" - in termini di interruzione dei servizi pubblici erogati - con la sola eccezione del diritto alla salute costituzionalmente tutelato. Nel campo del lavoro autonomo penso ad una sospensione della licenza per chi contravviene per più di due volte agli obblighi fiscali. Una sorta di bollino premiante dovrà, invece, essere previsto per esercenti e lavoratori autonomi che mostreranno di essere virtuosi nei confronti delle prescrizioni fiscali. Il Meridione d'Italia rimane un altro grave problema irrisolto. Politiche assistenziali e clientelari hanno stroncato ogni possibilità di sviluppo economico e reso impossibile la nascita di una classe dirigente degna di questo nome. Il dramma del meridione oggi è rappresentato dal rischio terribilmente serio di "morte" dell'industria, come dimostra la scomparsa negli ultimi anni di decine di distretti industriali. Negli ultimi 5 anni il Sud ha perso ben il 15% delle sue attività d'impresa e oggi non si intravvede nessun segnale di risveglio. C'è bisogno, allora, di richiamare capitali privati, imprenditori e idee


PRIMO PIANO/L’INTERVISTA

dall'estero. C'è bisogno di aprire il nostro Mezzogiorno agli investimenti provenienti dal resto del mondo, perché sarebbe illusorio e sbagliato sperare ancora nella spesa pubblica italiana e nell'assistenzialismo statale. Ma in concreto, per attrarre investimenti è necessario istituire una no-tax area a burocrazia zero, per coloro che decidono di dar vita ad attività industriali durature e ad alto valore aggiunto. Sono richieste shock che devono essere oggetto di una serrata trattativa a livello europeo, dove oggi i tempi sono finalmente maturi per ottenere provvedimenti di questo tipo. Un'opportunità di sviluppo per il nostro Paese è rappresentata dalla promozione dell'immenso patrimonio artistico e paesistico che rimane una risorsa male utilizzata. Continuo ad avvertire nei miei viaggi all'estero una grande "fame" di cultura italiana. Dobbiamo promuovere e valorizzare il marchio Italia soprattutto in quei grandi Paesi, che negli ultimi anni hanno "liberalizzato" i viaggi turistici dei loro cittadini verso il mondo occidentale: Russia, Cina e India. Ma accanto alla promozione del brand è necessario creare un'efficiente rete di collegamenti che renda facilmente raggiungibili i luoghi dell'arte e della cultura: penso al potenziamento dei nostri aeroporti meridionali e ad accordi con i principali tour operator dell'Est. Può essere una grande occasione di sviluppo anche per il Sud, che gode di bellezze naturali e artistiche capaci di attrarre turisti da tutto il mondo e del record mondiale di "patrimoni Unesco". In che modo la "Lista per l'Italia" potrà rappresentare la vera novità politica delle elezioni della prossima primavera? Promuovendo un rinnovamento radicale a cominciare dalle liste dei candidati e lanciando un programma di governo chiaro e convincente fondato sui cinque punti di cui abbiamo appena discusso: politica industriale, lavoro ai giovani, lotta all'evasione e riduzione delle tasse alla middle class, rilancio del meridione e promozione del nostro straordinario patrimonio culturale. Giuseppe Farese

9


10

POLITICA

IL CROLLO DEL CELESTE IMPERO E’ un paradosso tutto italiano che il governo della regione con il migliore stato di salute e con i conti della sanità in pareggio sia costretto a passare la mano per un sistema di accuse giudiziarie non ancora provate e dal clima di sospetto generalizzato che ne è scaturito. Come è paradossale il comportamento delle forze politiche, da quelle di opposizione che soffiano sul linciaggio di piazza (Pd, Idv, Sel, esclusi i radicali) come se non avessero i loro accusati eccellenti ed immemori del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, a quelle di maggioranza che si sfilano tremebonde ad una ad una lasciando il “Celeste” da solo, senza solidarietà, né levate di scudi, dopo averlo osannato, assecondato ed additato quale campione di buon governo per 17 anni. Al di là dell’accertamento delle accuse - che riguardano anche Vendola, Errani, Penati ed altri che nessuno tenta di linciare in piazza - a membri della Giunta lombarda, a Formigoni, a consiglieri regionali, al di là del doppiopesismo di molti media, c’è anche in questa vicenda, come sempre, una responsabilità primaria della politica italiana col suo malvezzo di tentare sempre di aggirare le regole che essa stessa si è data o non è riuscita a dare ad altri, per poi pagarne le conseguenze. E’ di palmare evidenza che un ventennio ininterrotto di governo determina delle “incrostazioni”, non a caso la legge limita a due mandati consecutivi le carriere di sindaci, presidenti di provincia e governatori. Ma per il Celeste questa legge non andava applicata, troppo ingombrante la sua presenza altrove. Sempre la legge prevede la raccolta di firme autenticate di elettori per presentare le liste, anche con l’intento non dichiarato di scoraggiare nuovi ingressi nel “giro” della politica. Ma per il Celeste anche questa legge non andava applicata, bastava qualche firma fasulla, come denunciato e provato dai radicali. La legge prevede un listino bloccato per garantire le prime file locali dei partiti, ma per il Celeste il listino poteva anche essere pieno di collaboratori privati del Cavaliere. Un Cavaliere che ha guidato l’Italia per lungo tempo e che non è riuscito a portare a casa nessuna delle riforme promesse, in primis quella della giustizia la cui mancata realizzazione determina l’Italia dell’accusa priva di sentenze e senza risarcimenti per chi è accusato ingiustamente come ha scritto Davide Giacalone. Il Celeste impero si sgretola, come si è sgretolato il “carisma” del Cavaliere e il suo PDL, come vanno sgretolandosi le inossidabili nomenklature della sinistra, mentre lentamente, con la fatica caparbia della radice di una vite, si fa strada nel cuore degli italiani il valore della Legalità. Pennanera


POLITICA

IL FUTURO DI MONTI

Mario Monti, il professore, negli ultimi tempi ha fatto come il gambero: disponibilità si ad un Monti bis, disponibilità no. Alcuni esegeti hanno interpretato l'apparente tentennamento come un modo per smarcarsi da coloro che già avevano impresso il suo nome sui loro scudi elettorali. Forse si tratta di un'interpretazione sbagliata, anche perché sugli scudi Fini e Casini, tanto per fare i nomi, hanno messo "l'agenda Monti", ossia la prosecuzione nel percorso di rigore e di riforme e, quindi, di recupero di credibilità internazionale, tracciato dall'attuale governo e solo in subordine un Monti bis. A riprova di ciò la grande attenzione che, in particolare, Fini ha riservato, sia in Fli, sia con l'iniziativa del Mille per l'Italia, agli aspetti programmatici, visti come un insieme di misure concrete, condivisibili e partecipate da sottoporre al vaglio degli elettori. E se Monti, stanco delle beghe e dei veti italici e pago dei risultati raggiunti, vedesse il suo futuro in Europa? Caso mai a capo della Commissione? Lo scoglio, nelle alchimie dell'Unione, sarebbe costituito dalla difficoltà di assommare in mani italiane Commissione e Bce. Tuttavia, il prestigio di Monti in Europa è talmente in netta ascesa da rendere possibile la sua successione a Barroso nel 2015, fiaccando le resistenze degli altri partner europei. Se così fosse si potrebbero interpretare, sotto altra luce, le sue parole del primo ottobre al Forum della Cooperazione: ''Lasceremo il governo ad altri nei prossimi mesi…. con qualche banale principio di gestione interna lasceremo il Paese un pò meno rassegnato e un poco più rasserenato''. Da Presidente della Commissione Mario Monti avrebbe gli strumenti necessari, in tandem con Draghi, per spingere l'Europa verso una maggiore integrazione e per tenere, nello stesso tempo, sotto osservazione l'Italia. Da privato cittadino tornerebbe a godersi la sua bella casa di Bruxelles. Questa possibilità, ancorché giudicata remota da alcuni osservatori, dovrebbe indurre la politica italiana ad attrezzarsi in proprio per affrontare le sfide della crisi ancora in atto e a non sperare troppo nel “professore della provvidenza”. Gustavo Peri

11


12

POLITICA

LA STRAVAGANZA DELLA LIBERTA’

Si può dire che non passi giorno senza che uno scandalo, una ruberia, un atto di malaffare emerga nel mondo politico. Sembra quasi che, dopo anni di silenzio generale, di superficialità, di disattenzione, improvvisamente i nodi comincino a venire al pettine. Ce n'è per tutti i gusti e in tutti i livelli, dai locali ai nazionali. E' indiscutibilmente giusto che chi abbia sbagliato paghi e per esso venga posto l'ostracismo politico e civile; dal che, regole non solo per estromettere, ma anche per scongiurare possibili recidive nel futuro. Ma, si domanda, è altrettanto giusto che, sia pur a fronte della dilagante immoralità, un governo, tecnico per giunta, emani norme attraverso un decreto che, sostanzialmente, azzera la politica regionale, provinciale e comunale? E' giusto procedere per giustizie sommarie? La politica nazionale era già stata azzerata dai vincoli comunitari, ormai innumerevoli. Conta solo quella dei ragionieri, dell'ottusa partita doppia e della prima nota, dove la mancanza di una virgola fa scattare una censura. Non vorrei indossare una veste che non mi compete, però capirei la limitazione delle retribuzioni e delle indennità, il controllo sulla coerenza della spesa con le finalità istituzionali, un sistema di moralizzazione, ma è concepibile che un'azione amministrativa, qualora moralmente ineccepibile, possa essere inquadrata in parametri prestabiliti da tecnici, esulare dai quali esclude l'amministratore nonostante abbia ricevuto un mandato ad agire in nome e per conto di una collettività? Mi ricordo il Prof. Giacinto Auriti, giurista e docente dell'Università di Teramo, per il quale la domanda ricorrente era: chi è il vero proprietario della moneta? Non le banche alle quali noi affidiamo i nostri soldi, piuttosto che metterli sotto il mattone, e a volte sbagliamo per l'uso che ne fanno senza ricevere punizioni. Eppure sono i primi soggetti da salvaguardare in questo marasma finanziario. Non il Governo che svolge solo una funzione delegata e a termine; figuriamoci quello tecnico che, tuttavia, ne dispone a piacimento. Certamente, nell'ambito della funzione delegata, sia essa a banche, politica, amministratori pubblici, è insita la cura degli interessi del delegante. Ma se il delegato sbaglia chi lo censura? Perché la realtà è che il vero proprietario della moneta è il popolo, accantonando qui la teoria del complotto del signoraggio dello stesso Auriti. Una proprietà che la Banca d'Italia, in difesa da un'azione legale intentata dallo stesso Auriti, fa indirettamente notare, sia pur in maniera arzigogolata: "i biglietti appena prodotti dall'officina fabbricazione biglietti della Banca d'Italia


POLITICA

costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese." Acquistano la funzione e il valore di moneta solo quando la Banca d'Italia li immette nel mercato e ne trasferisce la proprietà ai percettori. Eppure, nonostante questo, sembra che tutti siano i padroni della moneta e che tutti ne possono disporre tranne il vero proprietario che, per recente affermazione della Banca d'Italia, nel numero di 300.000 famiglie non riesce più a pagare i suoi debiti. Non amo particolarmente la politica ma arrivo a comprendere che essa è il sale della vita democratica, senza la quale c'è dittatura. Ugualmente, è auspicabile facesse la comunità nazionale senza limitarsi a gioire ogni volta che apprende dai mass-media le censure nelle quali è incappato il soggetto pubblico di turno. Ovviamente, si comprende l'intima soddisfazione del cittadino, quasi in una sorta di riscatto dalle oppressioni quotidiane di una politica prevaricante, a volte spocchiosa e incolta, ma la giusta via per il nostro futuro è davvero l'azzeramento della dialettica democratica? Nel 1989, il 9 di novembre, cadeva il muro di Berlino. Il 26 dicembre 1991 si dissolveva ufficialmente l'impero sovietico. Sia dal primo che dal secondo evento, è passato, tutto sommato, poco tempo perché gli avvenimenti siano stati riposti nel dimenticatoio. Tutti ricorderemo, ne sono certo, l'esultanza generale perché un regime, che per oltre settant'anni aveva tenuto il mondo con il fiato sospeso, veniva meno. E le dichiarazioni da più parti, erano tutte inneggianti alla "ritrovata" libertà. In quell'occasione, Dahrendorf, da liberale, osò affermare, in provocatoria controtendenza, che liberi quei popoli lo sarebbero divenuti quando avrebbero potuto liberamente (avendo la disponibilità finanziaria) acquistare un televisore, un maglione di buona lana, una vettura di loro scelta, ecc. Con i famosi tempi che corrono, quanti possono dirsi "liberi" secondo l'intendimento del grande filosofo e sociologo tedesco? Oggi, inoltre, si tende a confondere la libertà con la possibilità di scelta dei programmi televisivi o degli yogurt al supermercato: c'è, di fatto, una pseudo-libertà di consumatori, tuttavia di prodotti sempre più di massa, per giunta ignari, nonostante le specifiche in etichetta. E in più. Pochi hanno rilevato che "l'impero del male", come fu scenograficamente definito da Donald Regan, era venuto meno non per una nuova rivoluzione bensì, in buona sostanza, per la forza del grande capitale interagente con i grandi gruppi economico-finanziari russi, creatisi poco prima del '91, che poco o nulla avevano e hanno a che vedere con il benessere collettivo. Non pochi russi, ma anche non pochi rumeni, bulgari, ucraini, ecc. quasi rimpiangono il passato regime perché allora, pur avendo molto poco, possedevano il necessario. Oggi, invece, c'è tutto, ma il godimento è riservato a sempre minori mani e il poco necessario a vivere è ad elevatissimi prezzi, con stipendi che sono mediamente la 4.a parte di quello medio italiano, che già non basta: una condizione che, in nome di una "libertà", ha costretto milioni di persone a emigrare per sopravvivere in lavori umili. Sembrano quasi le condizioni del Sud Italia dopo l'unità; prima si viveva del poco ma dignitosamente e dopo, una volta "liberi", si moriva di stenti, per ovviare i

13


14

POLITICA

quali non restava che l'emigrazione, conosciuta, fino a quel momento, particolarmente dai piemontesi¹. Che progresso è mai questo? E del resto, i popoli dei Paesi dell'ex blocco occidentale non possono più nemmeno emigrare per inseguire retribuzioni dignitose, viste le condizioni dei Paesi comunitari e, per certi aspetti, quelle degli USA. Questo numero, per informazione preventiva dell'editore, è dedicato all'auspicio dell'avvento della terza Repubblica. Mi unisco all'auspicio ma ne aggiungo un altro. Non basta che la politica, della quale si può morire ma senza la quale non si sopravvive, rispolveri le sue forme attraverso restyling di facciata: movimenti, liste civiche, cambi di loghi, partito dei carini, ecc. Quel che occorre sono idee forti, non prelievi forti per "manutenere i conti" (ohibò), tra le quali il ripensamento istituzionale complessivo di questo Paese. E la prima tappa per giungere a tanto è, ovviamente, una Costituente. Non so se la politica sarà così accorta per salvare sé stessa e i suoi mandanti, noi, ma se non lo dovesse fare, saremo "liberi", pur morendo d'inedia, di mugugnare. Francesco Diacceto ¹ Per suffragare la veridicità di tale affermazione basterà vedere sul Web, ampiamente presenti, i dati al 1860 del PIL dello Stato Sabaudo e quelli del Regno borbonico; quelli del PIL pro-capite alla stessa data e, poi, verificare gli indici dell'emigrazione dei due regni, anch'essi presenti, tra il 1830 e il 1860.


POLITICA

PROVE TECNICHE DI TRANSIZIONE

Se la prima Repubblica è caduta per la corruzione elevata a sistema, la seconda viene meno per la generale, ridicola povertà morale e intellettuale, dove nessuno, dico nessuno, può pensare, con la chirurgia plastica, di ricostruirsi l'imene. Non può farlo il centro-destra. E non per la pecoreccia spocchia scialacquatrice dei Fiorito in un delirio d'onnipotenza, né per l'inclinazione verso gentili donzelle dell'ex presidente del consiglio, entusiasta del burlesque, bensì per l'inconsistente azione di governo nei quattro mandati svolti tra il '94 e il 2011. Quale azione strutturale oggettiva il centro-destra, in diciassette anni, può ascrivere a proprio merito, nonostante il Contratto con gli Italiani, sottoscritto alla presenza testimoniale del patron di Porta a Porta, Bruno Vespa? Per quanto mi sforzi, non me ne viene in mente alcuna. Eppure, ha governato per lunghi periodi con larghissima maggioranza. Non gli addebito la crisi né i mancati interventi per prevenirla perché in altri Paesi, dove i Capi del Governo sono stati indubbiamente più sobri, stanno scontando ugualmente, se non più pesantemente, le turbolenze dei mercati, le gracilità del sistema creditizio, indotte da miraggi finanziari dei facili guadagni e le dissocianti paranoie comunitarie che, se da un lato auspicano l'avvento di una politica europea, dall'altro fondano le loro azioni sul pedante, paradossale, perfezionismo tecnico, che mortifica non solo la stessa politica ma anche l'economia, il sociale e l'occupazione. Gli imputo, invece, in estrema sintesi, il mancato ammodernato amministrativo del Paese, l'assenza di una politica economica e industriale, l'omessa riforma strutturale del welfare, il totale disinteresse per l'ambiente, neppure mitigato dalle sceneggiate napoletane. Ma se Atene piange, Sparta non ride. E, infatti, il Pd non può certo ammantarsi d'ipocrita indignazione. Non per l'insipiente, sonnolenta disattenzione dei Montino, svegliati dal frastuono dei mass-media, o per i disinvolti portamenti dei Penati, quanto per l'assenza d'idee che ha caratterizzato il ventennio successivo alla Bolognina. Un vuoto riempito solo da speciose puntualizzazioni, da scontri interni e dall'accomunante avversione per Berlusconi. Non giova parlare degli altri partiti, compreso il recente Movimento 5 Stelle, che hanno animato e che animano la sceneggiata folcloristica italiana, ad eccezione di tre: la Lega, l'UDC e il giovane FLI. Per ventiquattro anni, abbiamo ascoltato i mitomani vaneggiamenti celoduristi, pseudomitologici dei dirigenti leghisti, non sapendo se piangere o sbellicarci dalle risa. Ma, onestamente, non mi aspettavo una conclusione che, a esser buoni, la si può definire alla

15


16

POLITICA

Shakespeare "molto rumore per nulla" mentre, a esser cattivi, la si può risolvere alla napoletana: 'a fine du pirit'. Altro che ladrocini romani, paragonabili al furto al Topkapi, operati da squali: siamo allo scippo delle merendine ad opera di trote. Per l'UDC e il giovane FLI, il discorso cambia. Neanche loro hanno brillato in iniziative. Anche se, a essere onesti, rispetto a Casini, il più provocante sul piano della sollecitazione delle idee è stato sicuramente Fini: non sempre coerente o tempestivo ma, comunque provocante. Il fatto è che, a diciotto anni di distanza dall'avvio di un cammino parallelo dei due esponenti, anche se a volte su binari diversi per la vicinanza o meno ai Governi Berlusconi, non si può candidamente, pseudoingenuamente, affermare, come è stato fatto ad Arezzo, che per il passato "abbiamo sbagliato". Lo sbaglio, soprattutto se prolungato, in politica si paga. Non ci sono chance, ci sono le dimissioni. E, invece, tutti permangono al loro posto. Vi rimane Casini che, al di là dei dichiarati sbagli del passato, sembra folgorato da due assolute convinzioni: uno Stato teocratico, vista la totale supinazione ai desideri ecclesiali, e uno Stato tecnico-efficientista, praticamente laico, con Monti. Qualcuno dovrebbe spiegargli che, almeno all'apparenza, tali visioni sono antitetiche: a meno di non lasciare poi, discretamente e furbescamente, soppiantare i bisogni dello spirito dalle esigenze della carne. E questo lo sa persino l'erbivendolo sotto casa mia. Qualcun altro, ancora, dovrebbe fargli presente che, nell'ottica montiana, come si è visto in quest'ultimo anno, non la politica ma persino i suoi balbettii sono un disturbo per il manovratore. E, al suo posto, resta anche Fini. A quello di riferimento di una parte di elettori, cultori della persona, s'intende. Perché, sul piano delle formazioni partitiche, ne ha affossate due: il MSI e AN. Il FLI, è in procinto di farlo. Allora, nel suo caso, allo "sbaglio" della vicinanza a Berlusconi, si sommano quelli della dispersione di ben due sodalizi di sentimenti, contagiati fino al voltastomaco dallo sprezzante e impudente agire dei colonnelli, nell'assoluta, galleggiante, indifferenza del Capo. Sul piano della contaminazione, il FLI, già praticamente in coma, era comunque sulla buona strada. Perciò, visti i dichiarati "sbagli" pregressi e quelli attuali, chi può garantire che il cammino prospettato ad Arezzo non sia un ulteriore sbaglio? Certo, a votare il Pdl alle prossime politiche, ce ne vuole. E non sarà il cambio del logo e del nome, come sollecitato dagli esponenti ex forzitalioti, né la lista civica, auspicata dagli ex An, quasi un tentativo di affabulazione collettiva, a indurre la maggioranza degli elettori a preferirli. Così come ce ne vuole a votare Pd, oggi unicamente alle prese con le primarie, a doppio turno maggioritario, con scartamento ridotto, elevato alla seconda, diviso due, moltiplicato per P greco ai fini della quadratura del cerchio Renzi. In ogni caso, nella totale, persistente, generale ignoranza dei contenuti della riforma elettorale, non credo che delle attuali coalizioni, o pseudo tali, quella che vincerà nella tornata elettorale della prossima primavera possa dare luogo a governi stabili, a meno di non prevedere premi di maggioranza bulgari o la possibilità di alleanze, postume al voto; nel caso, ancora una volta in spregio della volontà degli elettori. Poteva andare bene tra il '46 e il '92 dello scorso secolo, quando si è arrivati, ai fini dell'autosostentamento opportunistico, persino a un governo


POLITICA

pentapartito; ma, al 2012, con i cittadini che scontano pesantemente prima le leggerezze, poi le disattenzioni e, infine, l'inettitudine crassa, ruspante, amorale, della politica, non fa più premio. Certo è che, di contro, vincerà stabilmente, o sarà durevolmente determi-nante, chi riuscirà a intercettare importanti aliquote di quel "partito" maggioritario silente fatto dal 40% degli elettori che si dividono tra l'indecisione per chi votare e il rigetto totale della politica. E qui è comprensibile, oltre che opportuno, il tentativo ultimo fatto da Casini e Fini circa l'affratellamento sulla spada della lista civica nazionale. Tuttavia, perché non si riveli un ulteriore flop come il Terzo Polo, credo indispensabile che chiariscano, da qui a breve, alcuni basilari aspetti. 1) Considerata l'apparente incompatibilità tra la politica e Monti e la persistente assenza di una nuova legge elettorale; visto, comunque, il reiterato auspicio, soprattutto di Casini, per un nuovo impegno di Monti dopo Monti, tale impegno dovrebbe esercitarsi a capo di una coalizione o come gregario? 2) E il ruolo di Montezemolo? 3) L'impegno, nell'eventualità, sarebbe definitivamente alternativo alla carica di Presidente della Commissione Esecutiva dell'UE, in scadenza nel 2015, alla quale Monti sembra tenere, oppure un trampolino di lancio verso la stessa? 4) Quali temi intenderà cavalcare la "lista civica nazionale"? 5) Quali regole vigeranno per la formazione dei comitati territoriali e per la partecipazione dei singoli alla loro vita sociale e a quella dei consessi nazionali? 6) Quale peso avranno i vari comitati territoriali nella formazione della politica nazionale? 7) Quali metodi saranno adottati per la formazione delle liste nei collegi, nella speranza che la "lista bloccata" del porcellum venga meno al più presto? Sono domande un po' premature? Forse. Ma, visti i precedenti, non sarebbe opportuno stabilire anticipatamente le regole del gioco? Massimo Sergenti

17


18

POLITICA

CITTADINANZA E UGUAGLIANZA Platone, ne La Repubblica, individua e sviluppa un concetto di Stato che appare oltremodo interessante per la capacità di modulare, in termini ideali, due principi che spesso appaiono contrapposti ma che, in realtà, in una logica di buon governo, non possono che essere complementari: la libertà e l' uguaglianza. La soluzione adottata dal Filosofo greco, inoltre, con la classica tripartizione del Corpo sociale in classe dirigente, difensori e produttori, sembra decisamente tener conto del principio di meritocrazia che, se rettamente intesa, con una selezione reale e concreta della capacità e delle inclinazioni individuali, non può che trovarsi all' incrocio dei due principi di cui sopra. Per noi oggi, membri delle Democrazie postmoderne, si tratta di comprendere come si possa attivare una cittadinanza consapevole, tramite una rappresentanza efficace proprio al fine di fornire a tutti l' uguaglianza dei punti di partenza, quanto meno. In Italia veniamo da un ventennio quanto mai discutibile, politicamente e non solo: la perdita dei principi di etica nella politica, emersa con Tangentopoli, pare non ancora recuperata. Il principio cardine che ha guidato l'esperienza degli ultimi decenni pare quello del do ut des, a tutti i livelli e per ogni situazione: si elegge solo chi, per ragioni le più varie, si pensa possa poi fornire un appoggio o un aiuto, più o meno legittimo, per ottenere scopi non sempre limpidi o adamantini. Tutto ciò, per dirla con Guicciardini, alla ricerca del proprio "particulare" vantaggio, che costituisce la miopia e la cecità di una Penisola per troppi secoli etero-diretta dallo straniero, dalla Chiesa e da signorotti, questi sì, locali e proprio come tali intesi solo al proprio egoistico interesse. Sono antichi costumi italiani che andrebbero superati e che dimostrano come, citiamo Giuseppe Galasso: “...nei fatti l' Italia esiste dal Medioevo. La nostra identità nazionale non è stata inventata nel Risorgimento. E' il contrario: il moto unitario dell' Ottocento è stato prodotto dall'esistenza plurisecolare di una nazionalità italiana...” (G.Galasso, Medioevo euromediterraneo e Mezzogiorno d' Italia da Giustiniano a Federico II, Bari, 2000). Con la tragica conseguenza che, così facendo, tutto si riduce a mero mercanteggiamento di voti, di posizioni economicamente o socialmente di privilegio, con buona pace dell' Articolo 3 della nostra Costituzione che sancisce come Tutti i Cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l' eguaglianza dei Cittadini, impediscono il


POLITICA

pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica, sociale del Paese. Lavoratori, dunque, per il Bene Comune della Nazione, non semplici consumatori: quando chi scrive sente parlare di centralità, di diritti del consumatore, spera che dette rivendicazioni siano attinenti al principio di una Cittadinanza dal contenuto politico, non semplicemente economico. Ma un contenuto politico è presente solo in un contesto in cui la libertà della scelta sia vera e sentita, senza liste e listini bloccati: anche perché, dagli ultimi risultati elettorali emersi, tale pratica sembra aver avvantaggiato non tanto personalità di qualità professionale solida, benché non conosciute al grande pubblico, quanto figure in alcuni casi non proprio di alto livello. Le colpe, certo, sono anche del corpo elettorale, che ha troppo premiato chi avrebbe, presumibilmente o per sentito dire, "le mani in pasta", o chi, molto spesso, promette senza poi neanche poter o voler mantenere le mirabolanti affermazioni enunciate in campagna elettorale: ciò, dalle Circoscrizioni, fino al Parlamento. La Politica è una forma di Teologia, una weltanschauung anche nelle sue modalità amministrative. Perciò l'insostenibile leggerezza dell' "Einai", dell'essere parmenideokunderiano, non potrà più essere tenuto artificialmente in vita dal "Tò on", l'Ente platonicocomunale. Anzi, in fasi politiche ed economiche come questa, sarà giusto che Fondazioni e Enti di volontariato tirino invece fuori le proprie risorse a vantaggio del Bene Comune a cui sono destinate, invece di richiedere sovvenzioni a Stato ed Enti pubblici. Un'idea di Ente Pubblico come luogo di risorse infinite a debito, di camera di compensazione di situazioni non risolvibili, è stata uno dei successi maggiori della narrazione fornita dalla sinistra e anche da una certa porzione "localista" del centrodestra a Nord come a Sud della Penisola, purtroppo, all' indomani della caduta del Muro di Berlino. Ma, come sempre, tutto ciò che viene "assistito", si rivela anche economicamente un fallimento: pensare di poter vivere a debito all' infinito, senza che "Il Mercante di Venezia" shakespeariano prima o poi rivendichi la propria libbra di carne, è davvero risibile, soprattutto nel mondo della globalizzazione. La politica della spesa pubblica "lineare" non ha favorito la ripresa dei consumi, sulla base del debito: perché una delle condizioni dell' investimento è che prima o poi il debito concesso rientri. Sarà necessario, con la nuova Legislatura e anche prima, forse, rivedere in modo puntuale e contabile tutti i capitoli di spesa locale, in primis regionale, anche perché una certa forma di rappresentanza clientelare potrà svanire solo quando non ci sarà più nulla da spartire. Se si cominciasse a dare il buon esempio, azzerando emolumenti per incarichi di varia natura? Per dare il segnale che certe posizioni sono SERVIZIO DELLO STATO, PRESIDIO DELLA REPUBBLICA e non una forma di welfare per professionisti in cerca di occupazione, senz'altro molto competenti, ma che proprio per questo non dovrebbero necessitare di lavoro… diciamo, assistito e remunerato a spese dello Stato. Senza buon esempio dall'alto, in tempi di grave difficoltà economica, il Popolo non è più tenuto a nessuna obbedienza, perché viene decisamente a mancare la fonte e la sorgente di ogni Rappresentanza che si voglia legittima, secondo il dettato costituzionale.

19


20

POLITICA

Ecco riemergere la questione della Cittadinanza, ad esempio, come gestirla, e come concederla, dove sia prevista una reale formazione, integrazione e unione di cittadini liberi, nella Repubblica Italiana, nell'Unione Europea. In tale quadro, in una società del merito, non contano il colore della pelle, la religione o l' origine geografica. Conta il fatto che sono italiani quelli che amano l'Italia. L'opposizione all'estensione della cittadinanza, proviene anche da settori imprenditoriali che intendono sfruttare il lavoro in nero di clandestini non protetti dalla legge. Evidentemente, in connessione alla questione cittadinanza vi sono altri 2 elementi: - La legalità, come imporla democraticamente e farne strumento di crescita per tutti i cittadini e le fasce sociali, perché tutti si sentano organicamente parte di un Progetto; - La sicurezza percepita dai cittadini nel loro vivere quotidiano, come elemento psicologico indispensabile per la creazione di un' atmosfera di fiducia nel futuro e nella vita. In questo ambito, si tratta senz' altro di vigilare sulla situazione dell'ordine pubblico, ma anche e soprattutto sulle eventuali infiltrazioni economiche di dubbia provenienza. Scriveva lo scrittore Corrado Alvaro: "la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile. E questa disperazione avvolge il mio paese da molto tempo". A maggior ragione, in tempi di grave crisi economica e finanziaria come questi, la probabilità di imbattersi nella fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa, si fa più consistente. Una delle ragioni della difficoltà che si incontra nel far emergere ad esempio l' evasione fiscale o il lavoro nero, anche, risiede proprio nella contiguità parziale di detti fenomeni antigiuridici con settori della società dediti all'illecito o da quest'ultimo finanziati o comunque condizionati (usura). La centralità della Politica sarà indispensabile, in tale quadro, se verrà intesa proprio come scienza del buon governo, non dell'amministrazione, magari di condominio, ma come direzione ragionata delle comunità e della Polis: questo è un altro tema che l'attuale crisi economica ha decisamente riproposto proprio a livello europeo, con l' emergere sempre maggiore di una ipotesi di Stati Uniti d' Europa. La Nuova Europa dovrà essere intesa come luogo privilegiato di elaborazione di una trama culturale e sociale, ove i concetti di virtù, senso del dovere, amore per la Patria, si traducano in una nuova etica della responsabilità individuale che sia anche identitaria, che in una parola dia senso all'agire quotidiano e condiviso dei membri di una Comunità civile. La modernità e la modernizzazione sono poi gli elementi che da sempre caratterizzano l'agire politico vincente, senza nostalgie per un passato definitivamente consegnato alla Storia. La Sovranità, appartiene al Popolo. Francesco Letizia


POLITICA

IL REGNO DELL’IPOCRISIA ONANISTICA

Sino al 1992, i politici si sarebbero potuti tranquillamente identificare con una celebre frase di Churchill secondo la quale la loro abilità consisteva nel prevedere quello che sarebbe accaduto domani, la prossima settimana, il prossimo mese e l'anno prossimo. E, poi, essere ancor più abili, più tardi, nello spiegare perché non era accaduto. Ma dopo la fine della prima repubblica e l'avvento della cosiddetta seconda, l'abilità si è tramutata in noia e ipocrisia. Nel 1994, Guccini (nessuno si meravigli e sia ipocrita), quasi a celebrare l'avvento della simulazione della politica, scrisse un testo che, a ripresentarlo ora, è di un'attualità sconvolgente. V'invito a leggerlo o ad ascoltarlo. Si chiama Signora dell'Ipocrisia. Ne riporto solo l'ultima strofa: Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa, / quel lungo mese della quaresima, rise la iena, ululò la lupa, / stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni, / mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi ex-leoni. / Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l'usato passo / fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre là, in basso! /Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò il mare, / solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare... Ecco. Credo che si debba tornare a pensare, sia come cittadini che come politici perché, altrimenti, per dirla alla Guccini, Dio è morto. Il Dio dell'intelletto, della libertà di pensiero, del confronto serrato, del compromesso, definito dal Devoto-Oli, di là dal senso riprovevole che l'accezione reca con sé, "Nel linguaggio politico, accordo sulla volontà congiunta di conseguire un fine comune al prezzo di reciproche rinunce e malgrado le divergenze ideologiche". Il piattume, invece, regna sovrano e la politica è divenuta un simulacro di se stessa. Il razionalismo efficientista è l'imperatore di turno. In vari articoli di questa rivista, nei cinque mesi della sua edizione, l'Europa è stata citata, auspicata e criticata. Nel senso che ne è stato augurato un sempre maggiore consolidamento e, al tempo stesso, ne è stato desiderato un differente modo di costruzione. Orbene, non si può essere così ipocriti da tacciare da sovvertitori e antieuropeisti coloro che si rifiutano di essere governati, nella casa nazionale e in quella comunitaria, non dalla genialità del compromesso politico bensì dall'ottusità dei ragionieri. Perché di questo si tratta, salvo che, dietro l'ottusità dei ragionieri, non vi sia una volontà superiore (politica????). Massimo Sergenti, nel n. 0 di questa rivista, concludeva l'articolo "Tecnofarsa" interrogandosi se il nostro, tecnico, presidente del consiglio, accreditato frequentatore dei consessi internazionali, comunitari e

21


22

POLITICA

atlantici, conosca l'assioma "ordo ab caos". Non ci tengo a essere accusato di complottismo mondialista, ma cosa pensare (senza retorica) quando i famosi mercati, silenti per dieci anni, improvvisamente si destano e iniziano la speculazione contro le economie più deboli giungendo a intaccare le forti? E per contrastare l'ondata speculativa, sono passate norme e condizioni ineludibili, neppure immaginabili fino a poco tempo fa. Qualcuno potrà attribuire le defaince alle debolezze di alcuni Paesi, ma conviene ricordare che, con l'intento dell'allargamento, le maglie della rete sono state talmente larghe da consentire l'accesso a Paesi la cui struttura, compresa quella economica, era lontana, anche molto lontana, da quella dei sei fondatori. Poi, una volta nella rete, le maglie monetarie e quelle finanziarie si sono tanto ristrette da strangolare le economie deboli verso le quali la provvida mano dell'UE, in nome dell'efficienza e non della solidarietà, si stende a costi talmente esorbitanti da mortificare non solo la politica ma anche la dignità umana. Nello stesso tempo, per le economie medie e quelle forti, la speculazione finanziaria, agevolata dalle valutazioni delle società di rating, ha fatto il resto, piegando i riottosi a un volere superiore: nessun Paese, del resto, nemmeno la Germania, aboliti i confini col trattato di Schengen e accettata la libera circolazione delle merci, delle persone e, si guardi il caso, dei capitali, può da solo efficacemente contrastare le arbitrarie evoluzioni della finanza nel suo intento speculativo. Ed ecco pronto anche per essi, all'occorrenza, il raggelante "aiuto" comunitario che, sostanzialmente, priva dell'identità istituzionale il Paese stesso. Tra le norme per la libera concorrenza, il divieto degli aiuti di Stato, il trattato di Maastricht, il Piano comunitario di stabilità e di crescita, il Meccanismo europeo di stabilità, il Patto di bilancio europeo circa l'uso della leva fiscale, e il Fondo anti-spread, la volontà politica nazionale è divenuta una sorta di effimera, evanescente chimera, conclamata non solo dall'inclusione degli investimenti pubblici, volani di ripresa in qualunque economia, nel conto del deficit ma anche l'iscrizione, in quel novero, dei finanziamenti ai vari fondi comunitari di sostegno per i Paesi in difficoltà. Quasi un cane che si morde la coda. In Italia, poi, a causa dei Fiorito, degli otto presidenti di regione sotto in-chiesta, e della miriade di consiglieri e assessori inquisiti, insieme all'acqua sporca si è gettato via anche il bambino. I governatori, i presidenti di provincia, i sindaci, si troveranno a gestire le loro amministrazioni come una sorta di società privata da quotare in borsa: la frequenza dei controlli da parte di Finanza e Corte dei Conti e la possibilità di quegli organismi di incidere sulle scelte prima che siano prese, limiteranno fortemente i margini di autonomia nelle decisioni, aumentando la responsabilità di chi le prende ben oltre la condivisione maggioritaria delle assemblee, in un percorso obbligato all'interno del quale i margini di pensiero alternativo e di decisione saranno quasi cancellati. Né più né meno degli Stati all'interno dell'UE. Resta da capire cosa potranno fare i nuovi amministratori che, subentrando a quelli in uscita forzata, dovranno sobbarcarsi il dissesto realizzato dai loro predecessori. Saranno, ovviamente, misurati sulla base delle loro capacità di proporre piani ultra rigorosi di rientro dal deficit e di taglio delle spese. Ma delineare tali piani e trovare all'interno delle assemblee le maggioranze


POLITICA

per farli approvare sarà impresa ardua, dal momento che le possibilità di compromesso e di rinvio degli impegni più spinosi verranno escluse dai nuovi provvedimenti del governo. Alla luce di tutto questo, passato all'unanimità in Europa per paura di dissesti e in Italia per timore di accomunamenti con i "dissipatori", quali saranno i temi che caratterizzeranno le campagne elettorali, da quella prossima per il Lazio a quella politica di primavera 2013? Quali promesse potranno mai fare i candidati, anche alla luce dei recenti pronunciamenti del FMI? Nel dettaglio, secondo l'organismo di Washington l'economia italiana chiuderà il 2012 con una contrazione del 2,3% rispetto al -1,9% stimato a luglio. E nel 2013 la caduta del PIL raggiungerà lo 0,7%. In peggioramento anche la previsione del deficit, che nel 2012 è stimata al 2,7% del PIL contro il 2,6% indicato a luglio, e nel 2013 all'1,8% rispetto all'1,5% della precedente proiezione. E' ritoccata verso l'alto anche la stima del rapporto debito/PIL, che si porterà nel 2012 al 126,3% dal 125,3% della stima di luglio e nel 2013 schizzerà al 127,8%. E questo nonostante che nel biennio 2012-2013 l'aggiustamento fiscale toccherà un picco del 3,4% del PIL in termini corretti per il ciclo. Il Fondo, però, bontà sua, riconosce che gli sforzi per ridurre il deficit pubblico, anche attraverso la riforma delle pensioni, fanno sì che l'Italia sia nella situazione migliore tra i paesi sviluppati per affrontare le sfide poste dall'aumento dei costi pensionistici e sanitari nei prossimi 20 anni. L'organismo guidato da Christine Lagarde, inoltre, conferma che l'Italia sta pagando interessi sul debito più elevati rispetto ai principali fondamentali economici di lungo termine e attribuisce questo alla prevalenza sul mercato di timori nell'immediato, legati alla pervasiva incertezza delle misure messe in campo per contrastare la crisi e all'aumento di passività provenienti dai legami tra banche e debito sovrano. Consiglia, quindi, di consentire alle banche di ricapitalizzarsi senza aggravi per il debito pubblico e di finanziarsi a tassi ragionevoli: condizioni che la nuova rete di sicurezza europea, costituita dal MES e dal Fondo anti-spread, dovrà garantire per il superamento una fase che resta critica. Le terapie del Fondo, quindi, sono il proseguimento delle riforme in nome della competitività al fine di consentire la crescita senza pregiudicare l'equilibrio di bilancio. Inoltre, secondo il Fondo, benefici possono derivare dalla promozione di politiche che aumentino la competitività, attraverso intese tra sindacati, imprese e governo che coordinino il processo di aggiustamento del costo del lavoro. Ma guarda!!!! Se la prima repubblica, dopo i fulgori dei primi decenni, è finita per atteggiamenti da basso impero, utili alla prorompente ondata giustizialista, e la seconda si conclude tra ipocrisia e noia, la terza non potrà non essere che all'insegna della sola, ipocrita affabulazione onanistica. Tutto ciò posto, si ripete la domanda: quali promesse potranno mai fare i politici nelle prossime campagne elettorali? Ma, si sa, la politica è tra le poche attività che non impara dai propri errori. Sempre Churchill affermava: Il rimangiarmi le mie parole non mi ha mai dato l'indigestione. L'infedele

23


24

POLITICA

MAI CONDANNATO, QUINDI ONESTO?

Un "de profundis" meritato quello che riecheggia nei palazzi della politica, scritto, eseguito e diretto dagli stessi attori di questo decadente scenario che è la classe politica del nostro paese. In seguito alle ondate di indagini ed arresti principalmente legati alle vicende dei vari tesorieri o capigruppo nelle giunte regionali, ma non solo, con insistenza si torna a parlare di nuova "Tangentopoli". Qualcuno azzarda persino dei paragoni tra quanto avvenne nel 1992 con le inchieste di "Mani Pulite" ed i risvolti tra il pecoreccio e il drammatico dei novelli rubagalline colti a portarsi via pure le forme di parmigiano sottratte dalle casse delle regioni attraverso i rimborsi ai gruppi o direttamente nelle funzioni di capigruppo dei partiti. Insomma, un florilegio di saccheggiatori che non risparmia alcuna regione e nessun partito, e che come uno tsunami sta scuotendo le fondamenta della politica Italiana, di nuovo. Coloro che in teoria sono stati chiamati a rappresentare gli interessi della collettività, si stanno rivelando null'altro che implacabili avvoltoi che si aggirano con aria famelica attorno alle casse. Trattano il denaro pubblico come fosse una loro disponibilità; voraci ed impietosi si sono fiondati su qualunque cosa abbiano potuto agguantare, comportandosi alla stregua degli sciacalli che in seguito ad un evento naturale catastrofico saccheggiano case e supermercati lasciati incustoditi per necessità. Molti anni prima dei fatti di Tangentopoli, il presidente della Repubblica Sandro Pertini aveva detto che "Chi entra in politica deve avere le mani pulite"; con il senno del poi, forse quella frase andava impressa nelle aule del Parlamento ma arricchita con un perentorio invito affinché quelle mani si mantenessero pulite. Le inchieste di "Mani Pulite" hanno fatto piazza pulita di partiti politici storici e di figure sino ad allora centrali nello scacchiere nazionale. Ci si era illusi che per la portata devastante di quelle inchieste, con i suoi molteplici arresti, le moltissime condanne, potesse davvero riportare quell'ordine e rigore che si erano perduti nei liquami di un intreccio sordido tra politica ed interessi economici in cui il confine tra legalità ed illegalità si era irrimediabilmente perduto. Oggi, sebbene siano cambiati i volti degli attori politici, siamo in presenza di tremende analogie ma, a peggiorare il quadro, si ha la sensazione che il pericolo sia addirittura maggiore anche e soprattutto a causa della profonda mancanza di valori, purtroppo, non solo nella politica ma nella società stessa. Due decenni di illusioni e di catastrofiche bugie consolatorie, frammiste all'alterazione delle


POLITICA

priorità e alla rilassatezza di costumi, hanno reso la qualità degli operatori politici se possibile ben peggiore di quanti furono travolti da Tangentopoli. In questi anni abbiamo assistito in colpevole silenzio ad una inarrestabile crescita esponenziale della spesa pubblica senza che la politica o lo stesso elettorato abbiano mosso un dito per arginare quella deriva. Abbiamo scelto di chiudere gli occhi di fronte alla inefficienza ed inadeguatezza della classe politica, non mettendola in discussione e sul banco degli imputati per il mancato realizzarsi degli obiettivi promessi nelle campagne elettorali, ma restando sostanzialmente inerti di fronte alla tracimazione del debito pubblico. Abbiamo atteso con sconcertante serenità di essere sull'orlo del baratro continuando ad azzuffarci su questioni di nessuna rilevanza mentre frotte di incapaci, nel prosciugare le casse con spese insostenibili, hanno condotto il paese sul limitare di un precipizio, pur se la drammaticità della situazione è stata acuita dalla concomitanza di una crisi economica globale. Se è pur vero che le colpe dello stato dei fatti vanno ascritte maggiormente a chi ha ricevuto il mandato di governare il paese e non ne è stato all'altezza, non si può tuttavia non chiamare in correità anche la cittadinanza, colpevole a propria volta di non avere saputo difendere i propri diritti ed interessi nelle forme costituzionalmente previste, ossia attraverso il voto. Si è istituzionalizzata l'illegalità attraverso leggi inqualificabili e degradanti, senza che a ciò siano corrisposte proteste realmente efficaci e capaci di indurre la classe politica a ritornare sui propri passi, a rinnovarsi ed a mettersi in discussione. Ci siamo illusi che latemeraria forma di protesta con aria salottiera attraverso i social network audacia igieneespletata spirituale potesse essere sufficiente a tutelare i nostri interessi e proteggere il futuro del paese e, per esso, quello delle generazioni future. Si sente dire, impropriamente a giudizio di chi scrive, che allora si rubasse per i partiti e non per profitto personale. Non è così. Forse è vero che si è rubato maggiormente per il partito, ma vi sono stati certamente arricchimenti anche personali, ché quelle tangenti sono state distribuite in forme tali da consentire distrazioni di fondi e spartizioni tali da non scontentare nessuno. E'una crisi di valori quella che ha inquinato il nostro paese, oppresso completamente dalla rilassatezza dei costumi. Si è detto che Tangentopoli abbia seppellito la Prima Repubblica, ma come si poteva pensare di rifondare la Seconda Repubblica quando molti degli attori di allora sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra? Oggi quando un nuovo caso emerge, che si chiami Lusi, Penati, Belsito, Fiorito, ma la lista è tristemente più lunga, troppi esponenti politici si stracciano le vesti, pronti a stigmatizzare il "mariuolo" di turno colto con le mani nella marmellata. E non torna in mente quanto disse Bettino Craxi allorquando si rivolse ai propri colleghi chiamandoli spergiuri qualora avessero negato di essere ricorsi al finanziamento illecito dei partiti o di conoscerne il sistema? Oggi come allora candide vergini asseriscono di essere estranei ai fatti che progressivamente si

25


26

POLITICA

stanno accertando e son pronti a immolarsi di fronte alle telecamere per urlare il proprio sdegno di fronte alle ruberie che emergono ma testimoniando di non avere mai nutrito alcun sospetto. Appare francamente inaccettabile su più fronti. In primo luogo ci si trova dinnanzi a distrazioni di immani quantità di denaro da far trasecolare; assenti forme di controllo rigoroso e parimenti assente l'obbligo di giustificare ogni centesimo preso e speso, il risultato non può che essere ciò che le inchieste giudiziarie in atto stanno documentando. In secondo luogo, se all'interno dei partiti nessuno si pone il problema della gestione delle ingenti risorse che sono prelevate ai cittadini, allora si dichiara l'incapacità di esercitare controlli tanto sugli apparati interni di partito quanto appunto sui fondi stessi, decadendo quel rapporto fiduciario tra eletto ed elettore, ovvero si attesta la propria inadeguatezza nel ruolo di guide del paese. Allora come oggi siamo al preallarme; si moltiplicano gli attacchi agli organi inquirenti e si fa campagna auto assolutoria laddove è possibile. Infatti, salvo che non si sia un Fiorito qualsiasi, non tutelati cioè dall'opzione che il parlamento conceda o neghi le autorizzazioni a procedere, ad oggi si continua ad assistere allo scoperchiamento di questo vaso dal quale fuoriescono purulenti liquami. Nessuna misura realmente efficace viene presa con la tempestività che la drammaticità del momento esige. Un Parlamento sano non perderebbe un minuto di tempo per introdurre immediatamente misure efficaci per arginare da subito il fenomeno, ed invece siamo ancora in attesa che si trovi audacia temeraria igiene spirituale un accordo sul DDL anticorruzione, dove ciascuno ha da dir la propria su come limare ed accomodare un testo che dovrebbe incontrare l'unanime consenso di tutto l'arco parlamentare e che sinteticamente dichiari ineleggibile un condannato. Come non sentire attuali le parole di Paolo Borsellino che disse: "L'equivoco su cui spesso si gioca è questo. Si dice: "Quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto". E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: "Beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest'uomo è mafioso". Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza, si è detto: "Ah, questo tizio non è stato mai condannato, quindi è un uomo onesto". Ma dimmi un poco: ma tu non ne conosci gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe,


POLITICA

quantomeno, indurre, soprattutto i partiti politici, a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati" Un codice di autodisciplina dovrebbe essere un'esigenza avvertita da tutti i partiti, con la previsione che un condannato, un indagato o un rinviato a giudizio non rappresenti affatto un cavallo su cui puntare e, perciò, da candidare. E invece si continua a nicchiare su quasi tutti i fronti facendo discussioni di lana caprina ed opponendo inverosimili teoremi sul dramma del giustizialismo o sui processi mediatici. Sulle macerie di un fallimento è difficile costruire un successo e di questa impasse se ne giovano i novelli urlatori qual è il M5S di Grillo che, pur potendo rappresentare un'alternativa e che al pari di ogni altra aggregazione tra cittadini ha tutto il diritto di partecipare alla vita politica del paese, nasce da presupposti sbagliati. Spaventa ciò che emerge dai sondaggi in cui il partito degli astenuti continua a rappresentare oggi la maggioranza. Non così usciremo dalla palude, non passando cioè attraverso il purgatorio dell'irragionevole astensionismo. Per cambiare un paese, soprattutto in ragione delle difficilissime condizioni in cui si trova, occorre la maturità politica e sociale di ciascuno. Quando si comprenderà il valore del diritto/dovere del voto, quando si sarà capaci di trarre insegnamenti dal passato, quando si inizierà cioè a ragionare con la prospettiva del futuro e senza daraudacia retta ai pifferai di turno, forse questo paese tornerà ad avere un futuro ed una temeraria igiene spirituale prospettiva per le generazioni già traumatizzate dallo scippo perpetrato nel colpevole silenzio delle generazioni dei nostri genitori. Jodit D'Alessandro

27


28

POLITICA

DOPO MONTI... IL MARE

Finalmente qualcuno che, dichiaratamente, non è Monti dipendente. Ieri, domenica 14.10, Bersani ha iniziato la sua corsa per le primarie, partendo popolarmente dalla sua Bettola, ridente (non lo so) cittadina in provincia di Piacenza, accanto alla pompa di benzina dove lavorava il padre. E, tra le affermazioni che ha reso in piazza e, poi, tra quelle ripetute a "In mezz'ora" da Lucia Annunziata, ha dichiarato che non ne può più di farsi fare il prelievo tutte le mattine per verificare il grado di "montismo" che ha nel sangue. Orgogliosamente, ha ricordato che il Pd è stato ed è il partito determinante per il sostegno all'attuale governo tecnico e che non vi è alcuna intenzione di "staccare la spina" anzitempo. Però, ha aggiunto, ferma restando la lealtà, occorre qualcosa in più a questo Paese. Evidentemente, se il segretario del partito, oggi, di maggioranza relativa (stando ai sondaggi), fa affermazioni del genere, deve esserci un pressing notevole a favore di un secondo giro per l'attuale tecnico bocconiano; un pressing che va ben al di là delle trite e ritrite domande dei giornalisti i quali, innamorandosi di un tema, lo cavalcano in tutte le salse sull'onda del sensazionale. Ora, che FLI e UDC, insieme a esponenti del partito dei carini, portino (a capo della lista civica nazionale???) Monti per le elezioni del 2013, è comprensibile: se l'attuale bozza di riferimento per la riforma della legge elettorale restasse, la soglia del 5% non è facile da superare: stando alla ridda di sondaggi che già imperversano, tra l'1 e il 2,2% per il FLI e tra il 2,5 e il 5,5% per l'UDC. Il Partito dei carini può, indubbiamente, dare un importante appoggio alla coalizione per la lista civica nazionale; analogamente, stante alle dichiarazioni emerse, possono farlo gli imprenditori, anche se Squinzi deve, per un attimo, resettare il cerebro per far comprendere la sua personale posizione, altalenante tra l'osanna e il crucifige. E, ciliegina sulla torta, non dimentichiamo le banche: l'Abi, per bocca del suo Presidente, Mussari, ha più volte dichiarato che per il dopo Monti vede solo Monti. Certo, possiamo aggiungere noi, lo vorrebbe, forse, un po' più allineato: Mussari, infatti, a proposito di liberalizzazioni, ha già espresso la sua totale contrarietà all'abolizione delle commissioni bancarie. Però, aggiungiamo sempre noi, non c'è dubbio che l'anima sensibile del nostro presidente del consiglio non sta deludendo il settore. E, perciò, da lì, l'appoggio. Non dimentichiamo, poi, i "cani sciolti": un Tremonti che improvvisamente dichiara che se Berlusconi lo avesse lasciato fare non si sarebbe giunti, per l'Italia, ad un passo dal baratro. Pertanto, fonda un movimento 3L (Lista Lavoro e Libertà) e corre "da solo". E Alemanno e la sua


POLITICA

"Rete Attiva"? Anch'egli dichiara che con questo Pdl non si va da nessuna parte e, se le cose non cambiano, farà ricorso meno alla politica e più alla società per la prossima corsa elettorale. Che cosa vogliano significare le affermazioni e le intenzioni dei due soggetti, (come se nei precedenti governi Berlusconi, loro avessero ricoperto ruoli marginali - ambedue ministri-), non è dato di sapere. Tuttavia, non si può escludere a priori, soprattutto per Tremonti, che se il bocconiano di ferro accettasse una candidatura, forse ciò li indurrebbe a schierarsi. Comunque, ricapitolando, non c'è dubbio che la coalizione che porta Monti, ammesso che Monti si lasci portare, anche se non credo possa raggiungere una posizione di maggioranza relativa, può senz'altro arrivare a percentuali il cui peso influenzerebbe molto lo schieramento vincente. Ma un partito, al livello di Pdl, per quanto in discesa, o di un Pd, in salita, di Monti, tutto sommato, che se ne fanno? Nel senso che se volesse concorrere in una delle due coalizioni, ben venga: è sicuramente un valore aggiunto che porterebbe all'elettorato tradizionale una fetta di voti che difficilmente, senza Monti, andrebbero al Pd, soprattutto a causa di Vendola, o al Pdl, per manifesta incapacità di governo. C'è di più. Non c'è dubbio che la partecipazione di Monti (come gregario) alla corsa del Pd, ammesso che egli potesse accettare la coesistenza di Vendola, re-cherebbe all'elettorato, di primo acchito, più disagio che gioia poiché le politiche montiane nulla hanno a che vedere con l'ombra della politica di sinistra, essendo sparita quella fisica. Però, alla fin fine, il disagio sarebbe compensato dal voto del potere economico e di quello finanziario, per giunta con l'avallo comunitario, nella speranza che il pensiero montiano sia influente e placante la retorica demagogica vendoliana. Non che il Pd abbia bisogno dell'avallo comunitario, dal momento che la presenza dei suoi notabili si estende non solo a tutti i livelli delle tre istituzioni comunitarie ma anche agli organismi esterni che le affiancano; però, una carta in più, a livello internazionale, non guasta, data la sensibilità genetica della sinistra per quel contesto e i trascorsi del professore. Infatti, uno dei risultati più importanti della sua attività di ricerca in campo economico è il modello di Klein-Monti che descrive il comportamento di una banca in regime di monopolio (sic), risultato degli studi paralleli di Monti e del premio Nobel Lawrence Klein. Tra il 2005 e il 2008, è stato il primo presidente del Bruegel, un comitato di analisi delle politiche economiche, nato a Bruxelles nel 2005, mentre, nel 2010, è divenuto presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo d'interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller, nonché membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg: un incontro annuale per inviti, non ufficiale, di circa 130 partecipanti, la maggior parte dei quali sono personalità influenti, a livello planetario, in campo economico, politico e bancario. I partecipanti trattano una grande varietà di temi globali, economici, militari e politici. I verbali delle riunioni non hanno pubblicità. Per inciso, da questi incarichi si è dimesso il 24 novembre 2011, a seguito della nomina a presidente del Consiglio. Ma non basta. Tra il 2005 e il 2011 è stato international advisor per Goldman Sachs e, precisamente, membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute, presieduto dalla

29


30

POLITICA

economista statunitense Abby Joseph Cohen, una delle 30 donne più potenti d'America. Sempre per inciso, la Goldman Sachs, il 16 aprile 2010, è stata incriminata per frode dalla SEC, l'ente governativo statunitense preposto alla vigilanza della Borsa valori, per una, diciamo, disinvolta gestione del titolo Abacus 2007-AC1, addirittura verso grandi istituzioni finanziarie internazionali È stato inoltre advisor della Coca Cola Company, membro del "Senior European Advisory Council" di Moody's (lo stravagante istituto di rating) ed è uno dei presidenti del "Business and Economics Advisors Group" dell'Atlantic Council, il cui scopo dichiarato è "promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell'affrontare le sfide del 21° secolo". Che, poi, in passato, abbia ricoperto (inutilmente, si potrebbe oggi aggiungere) incarichi di rilievo in commissioni governative e parlamentari, attinenti al debito pubblico di questo Paese, chi se lo ricorda? Relatore della commissione sulla difesa del risparmio finanziario dall'inflazione, presidente della commissione sul sistema creditizio e finanziario e membro della Commissione Sarcinelli sulla legge valutaria dell'87, nonché membro nominato dal Governo De Mita nel Comitato Spaventa sul debito pubblico. Per il Pdl, invece, sarebbe un guadagno tout court se non fosse per il fatto che Monti, in termini di riferimento concreto dei poteri economici e finanziari, ruberebbe la scena a Berlusconi, senza null'altro rappresentare come valore aggiunto sul piano internazionale, visto che i pidiellini, come il loro capo, sono unti dal Signore e ritengono il gioco di squadra un perditempo e un vezzo di sinistra. Per tornare al FLI e UDC, mi auguro che con l'approssimarsi delle elezioni da quello schieramento emerga una linea politica dai contenuti interessanti: se lo facessero, nell'eventualità di una disponibilità di Monti, sarebbe un modo per far passare Monti stesso, il Partito dei carini e le farsumaglie, agli occhi degli elettori e degli stessi attivisti, in secondo piano. E ciò perché, alle prossime politiche, non volendo votare Pdl, o come cavolo si chiamerà, per incompatibilità culturale, e siccome mi dispiacerebbe molto votare Pd solo per il semplice fatto che non portano Monti, mi auguro che, da qui ad allora, FLI e UDC abbiano sciolto un'infinità di nodi, tutti di grande odierna perplessità e di non poca incoerenza. Qualcuno potrebbe meravigliarsi di una tale asserzione, visto che scrivo per un giornale che si chiama "Confini" con spazio e senza. Però, non c'è dubbio, che o la terza repubblica, com'è auspicata e definita da più parti, torna a incontrare nuovamente la politica, quella che, alle tecniche scalate montane, fa preferire le entusiastiche perigliosità delle vastità marine, dopo un ventennio di pantano, oppure per questo Paese sarà tutto inutile e tanto vale, per chi può, andare comunque al mare; con la 500 o la Ferrari, non importa. Almeno ci si abbronza. Pietro Angeleri


GEOPOLITICA

ETIOPIA: LA DIGA DELLA DISCORDIA Secondo il movimento per i popoli indigeni, Survival International, la costruzione della diga del Gibe III, ideata sia per irrigare le coltivazioni che per produrre energia elettrica, porterà alla fame le tribù indigene che da sempre abitano la Valle dell'Omo, situata nell'Etiopia centromeridionale. Gli indigeni a rischio di cadere nella morsa della fame per via dell'impianto idrico sono circa 200mila e questo perché, come è stato spiegato dal movimento, una volta completata, la diga fermerà le piene annuali dei fiume Omo impedendo alla tribù di utilizzare le sue fertili rive per garantirsi raccolti preziosi e nutrire il bestiame. "Nella Giornata Mondiale dell'Alimentazione (prevista per il 16 ottobre, ndr)", ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival International, "la gente deve sapere che l'Etiopia ha deciso di privare con la violenza le tribù della bassa valle del fiume Omo del loro stile di vita autosufficiente. Per nutrire le loro famiglie, questi popoli hanno usato la loro terra per coltivare i raccolti e per pascolare il bestiame per generazioni. Oggi questo diritto fondamentale è stato tolto loro, in modo brutale, lasciandoli spaventati e affamati". "Per poter realizzare i suoi lucrativi progetti di sfruttamento della valle dell`Omo - ha continuato - il governo sta sfrattando con la violenza e mezzi brutali tribù come i Suri, i Mursi, i Bodi e i Kwegu". I rappresentanti delle tribù hanno denunciato l'esproprio da parte delle Forze di Sicurezza delle terre utilizzate per i pascoli e per l'agricoltura anche con metodi brutali, fino all'abbattimento del bestiame ed alla distruzione delle riserve di cibo. Nella zona corporations straniere hanno comprato ampie porzioni di territorio per impiantare monocolture, in particolare di canna da zucchero, palma da olio e cotone, nonostante sia ormai risaputo che una tale politica di sfruttamento del terreno comporti l'impoverimento delle popolazioni autoctone, le quali non possono così godere di una dieta variegata. L'appalto di costruzione della diga, che avrà un'altezza di 243 metri e un invaso di 150 km., che svilupperà una potenza di 1870 Mw e che quindi sarà una delle più grandi del continente, è stato vinto nel 2006 dall'italiana Salini Costruttori per un miliardo e mezzo di appalto, mentre il progetto è andato allo Studio Pietrangeli con sede a Roma: entrambe le aziende rappresentano un'eccellenza italiana e nella mission vi è lo sviluppo dei territori nel rispetto della sostenibilità sociale ed ambientale e gli studi di accertamento del progetto della Gibe III hanno dato esito positivo. Tuttavia il periodico Nigrizia, con un articolo pubblicato nel maggio 2011 faceva notare che il

31


32

GEOPOLITICA

Ministero degli Esteri italiano non ha concesso all'Etiopia il prestito di 250 mln di dollari per la costruzione della diga, proprio per gli effetti devastanti sull'ecosistema della valle dell'Omo e sulle popolazioni locali. La notizia era stata confermata anche dalla direttrice della Direzione Generale alla Cooperazione allo Sviluppo, Elisabetta Belloni, che ne aveva dato comunicazione alla Campagna per la riforma della Banca mondiale (Crmb), la quale aveva formulato la richiesta del prestito dell'Etiopia all'Italia.

Il no della Farnesina arrivava dopo le identiche risposte fornite da Banca Mondiale, Banca Europea per gli Investimenti e Banca Africana di Sviluppo (Corriere della Sera, 28 maggio 2011). Enrico Oliari


CONDIZIONE GIOVANILE

DIRITTO ALLO STUDIO TARTASSATO

Sdeng! Una pesante mazzata inaugura il nuovo anno accademico: la tassa sul diritto allo studio (DSU), infatti, schizzerà fino a 160 euro, con aumenti superiori al 120% in alcune regioni. Colpevole del rincaro è il decreto legislativo 68/2012, che lasciava alle Regioni il compito di individuare, entro il 30 giugno, tre fasce di reddito tra le quali ripartire quote da 120, 140 e 160 euro, prevedendo per le inadempienti l'adozione della quota unica di 140 euro. Immediate le reazioni dei sindacati studenteschi, che hanno accusato il Governo di aver infierito su un settore già svilito da precedenti manovre: con la finanziaria del 2011, infatti, i fondi per il sostegno allo studio hanno subito una decurtazione del 90%. Questo ennesimo provvedimento, inevitabilmente, compromette la tutela posta dalla Costituzione al diritto allo studio, fissato nell'art. 34, il quale impegnerebbe (il condizionale è d'obbligo) la Repubblica a garantire ai più meritevoli i mezzi per il raggiungimento dei più alti gradi di istruzione. I padri costituenti, che avevano intuito la potenza emancipatrice dello studio, paventarono proprio l'ipotesi che tale risorsa rimanesse appannaggio dei soli benestanti, così concepirono la suddetta garanzia quale uno degli strumenti essenziali per realizzare "l'uguaglianza sostanziale" richiesta dall'art. 3. Quest'ultimo, infatti, nel sancire che compito della Repubblica sia "rimuovere qualsiasi ostacolo che, limitando l'eguaglianza dei cittadini, impedisca il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del paese", impegna lo Stato ad intervenire in tutte quelle situazioni in cui emergano inaccettabili disparità tra cittadini. Negare ai meno abbienti i mezzi per studiare si traduce in un grave tradimento dello spirito impresso nell'art. 34, quindi, di riflesso, in una lesione dell'art. 3, caposaldo del nostro ordinamento giuridico. Perché, allora, assistiamo impotenti ad un disfacimento dei mezzi di sostegno allo studio? Tra le risposte più amare possiamo annoverare la considerazione che, non potendo la Corte Costituzionale penetrare fino al tal punto nella discrezione politica del Governo, spetti al popolo, con i mezzi di pressione che la Costituzione gli garantisce, contrastare queste scelte, ma ciò, per i motivi più disparati, non accade. Profittando di tale indifferenza, i tagli investono i servizi del settore istruzione piuttosto che gli sprechi di altri.

33


34

CONDIZIONE GIOVANILE

Va ammesso, però, che la realtà universitaria italiana non é libera da sprechi. Un vero e proprio bussines, infatti, avallato dalla completa afasia degli ultimi Governi, capaci solo di blande riforme dei termini per il conseguimento della laurea, ha portato, dal 1985 al 2005, ad una crescita esponenziale degli atenei del 90%, a fronte di un aumento del 7% del numero dei laureati: ciò ha comportato un fiorire di Rettori, Presidi, capistruttura, capidipartimenti e, soprattutto, di cattedre, senza aver, in realtà, migliorato la condizione degli studenti. Così, sotto il peso dei tagli, il fragile edificio meritocratico è crollato, lasciando senza tutela centinaia di migliaia di giovani. L'Europa, però, ci offre ben altri modelli da seguire. La Germania, per esempio, che investe per le borse di studio 1 miliardo e 400 milioni di euro, prevede una varietà di strumenti a sostegno, in primis, degli studenti fuori sede, i quali beneficiano di un assegno mensile di importo pari a 670 euro, più una serie di sconti su bollette e servizi. Per gli studenti, in generale, sono previste agevolazioni, detrazioni e finanziamenti corrisposti sia sotto forma di borsa di studio, sia nelle forme di prestito a tassi minimi. Anche il sistema francese pare funzionare, infatti il tasso di abbandono degli studenti all'università, sostenuti da borse di studio che fuggano la necessità di lavorare per mantenersi durante gli studi, è al 6%, contro il 20% italiano, il più alto d'Europa. Chi si aggira tra le macerie del sistema scolastico italiano non può che aggrapparsi strenuamente alle parole che Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica Italiana, lasciò in testamento al popolo italiano: "Se un minimo di punto di partenza consentisse ai giovani di poter continuare a studiare, a fare ricerche, ad inventare, a trovare la propria vita senza dover da troppo giovani lavorare nelle fabbriche, verrebbero fuori studiosi e inventori che oggi non ne hanno la possibilità". Danilo Domenico De Luca

Libertiamo è un’associazione senza scopo di lucro, che intende concorrere alla costruzione di una piattaforma ideale, politica e di governo ancorata agli ideali e ai principi della libertà civile ed economica. Si propone lo scopo di promuovere la diffusione della cultura della libertà in tutte le sue diverse espressioni, attraverso attività di studio, manifestazioni pubbliche e iniziative di promozione culturale, anche di carattere editoriale.

www.libertiamo.it


CULTURA

SOCIETÀ CIVILE ED ECO-SOSTENIBILITÀ Ho già avuto modo, in un precedente articolo "Sostenibilità e sistemi", di parlare del FEEM-SI, un sistema di rilevazione del grado di applicazione del concetto di sostenibilità in quaranta Paesi, sviluppato dalla Yale University e dalla Columbia University in collaborazione con il Forum economico mondiale e la Commissione europea, con una proiezione dal 2009 al 2020. La classifica dell'indice di sostenibilità per il 2010 mostra al primo posto la Svezia e al quarantesimo i Paesi africani ad eccezione del Nord e del Sud Africa dove quest'ultimo si colloca nelle posizioni centrali della classifica. L'Italia si colloca al 15° posto e, rispetto all'anno precedente, ha perso un posto, invertendo la posizione con la Russia. Ho citato il Sud Africa perché, in occasione dei Campionati del Mondo di due anni fa, ho avuto modo di constatare lo sforzo che quel Paese ha compiuto per rendere sostenibile sul piano ambientale un evento che, di per sé, sarebbe stato altrimenti dirompente. Si pensi alle strutture sportive in sei sedi per ogni girone (la tradizione ne vedeva solo due), alle strutture per l'ospitalità degli atleti e dei 500.000 turisti arrivati per l'occasione, all'energia impiegata nella fase di costruzione e di fruizione delle strutture, e a quella necessaria per gli spostamenti. Si pensi alla massa di rifiuti prodotta. E' vero che l'immane impegno ha avuto un significativo aiuto internazionale, ma è anche vero che ha spronato, altrettanto significativamente, la creatività dei designers e delle imprese locali al punto da prevedere la creazione di 3,6 milioni di posti di lavoro, la maggior parte dei quali rimasta stabile dopo il Mondiale. Si pensi all'evoluzione della rete stradale e del sistema dei trasporti, posti in essere per il Mondiale, che consentiranno, entro il 2020, che l'85% della popolazione viva ad una distanza massima di 1Km da una linea di trasporti pubblici. Altrettanti importanti impulsi si sonoILregistrati del design industriale, dell'artigianato, GUSTO nel DI campo LEGGERE dell'architettura, dell'arredamento e, persino, della moda fino a far affermare a Ravi Naidoo, fondatore del cd. Design Indaba, massima espressione del concetto di eco-design, che "il design sia una forza pervasiva che tocca tutti gli aspetti della vita migliorandone la qualità.". Ovvio, potremmo dire noi, ma dobbiamo capire l'importanza dell'affermazione pensando, certo, alla grande ricchezza del Paese, data dai suoi giacimenti naturali, ma anche al suo melting pot che coinvolge etnie diverse per religione, razza e lingua. Ho voluto citare il Sud Africa perché, nell'osservare il Mondiale nel suo grandioso, articolato complesso, se da un lato mi aveva impressionato il grado di dettaglio nell'organizzazione operativa per rendere meno invasivi possibile gli interventi, anche attraverso l'impiego di

35


36

CULTURA

materiali naturali, dall'altro mi aveva molto colpito la derivata sensibilizzazione della produzione all'eco-compatibilità. Il tutto in un lasso di tempo brevissimo. In Italia, è ogni anno, si può dire, lo svolgimento del Mondiale, tra i campionati nazionali per categorie, il Campionato europeo, la Champions League, l'Europa League, la Supercoppa UEFA. Forse ho saltato qualche manifestazione e i cultori del calcio mi perdoneranno, ma questo per dire che non c'è occasione calcistica che non veda città italiane in tilt, a cominciare dall'intasamento delle vie a ridosso degli stadi. Persino le righe di mezzeria nelle grandi città si trasformano in parcheggi, riducendo le carreggiate sino a impedire il transito. Non parliamo, poi, dell'area urbana in prossimità degli stadi che diviene una sorta di camera a gas per le emissioni nocive sia di un'elevata concentrazione di auto, in buona parte vetuste (ancor di più oggi per l'incombente crisi), sia dei mezzi pubblici, poco manutenuti in generale o la cui anzianità è a volte così elevata da rendere quasi miracolosa la loro marcia. Non c'è stata sensibilizzazione urbanistica coerente con l'ampliamento della presenza del football nelle nostre città, non c'è un serio controllo ecologico da parte delle amministrazioni comunali, tranne che per la stupidaggine delle cd. polveri sottili, così come non c'è stata un'opera di sensibilizzazione sociale verso i giovani, proprio muovendo dai momenti di aggregazione che lo stadio comporta, per indurli verso un'eco-sostenibilità nelle loro carriere, nel loro agire quotidiano da cittadini, nelle loro scelte da consumatori. C'è, ovviamente, una buona cura del manto verde del campo di calcio senza che, tuttavia, dal circo che quasi quotidianamente da spettacolo si possa trarre qualche insegnamento utile a migliorare le condizioni di vita. Eppure, se osserviamo i bordi del campo durante un incontro calcistico, vedremo scorrere le scritte pubblicitarie di varie società, banche, industrie, che sborsano centinaia di milioni di euro ogni anno per quelle presenze. Posso comprendere che la macchina spettacolare ha un costo, che le star della sfera, i manager, le segretarie, gli uffici, le utenze, i viaggi, i soggiorni del circo hanno un costo, ma qual è il costo sociale che la comunità paga, anche per l'ingente, dedicato, impiego di forze dell'ordine? Certo, da che mondo (civile??) è mondo, la regola del panem et circenses dei potenti di turno ha tenuto banco. Ma, nell'attuale situazione dove scarseggia il pane, i soli giochi non bastano. Neppure come valvola sociale per l'affrancamento dalle frustrazioni quotidiane e nemmeno per lo pseudo-riscatto della mortificata ambizione personale attraverso l'identificazione (il transfert) con il carabolante divo di turno. Lo dimostrano le periodiche intemperanze (a essere buoni) dei tifosi. La famiglia, nella stragrande maggioranza dei casi, non fa alcunché in termini di educazione ambientale perché, incolpevolmente, non ne ha le capacità; la scuola e principalmente l'Università, colpevolmente, fa molto poco e, quindi, non trasmette una cultura adeguata in quanto mira, secondo i nuovi dettami, ad una formazione che consenta (???) il più veloce, specialistico, inserimento nel mondo del lavoro; le amministrazioni, da quelle locali a quelle nazionali, non hanno certo un'anima ambientalista e tutt'al più si dilettano nell'arredo urbano:


CULTURA

illuminazione e marciapiedi. La formazione regionale, pagata con soldi europei, non dico si occupi ancora di corsi per parrucchieri e tornitori ma poco ci manca. L'unica formazione che dimostra un po' di attenzione è quella svolta dai privati, a pagamento. Le aziende, nelle loro produzioni, non sono sollecitate verso prodotti eco-sostenibili, sia sul piano dei materiali che dell'estetica, perché non hanno alcun ritorno in termini di utile diretto o indiretto e, per giunta, a seguito di scarso acculturamento della società, trovano meno consumatori. E' il classico cane che si morde la coda. Eppure, non mancano programmi comunitari specifici che, a fronte di peculiari progetti, innovativi, in grado di suscitare maggiore occupazione, mettono a disposizione ingenti somme. Basta fare "massa critica" articolata (vari soggetti coinvolti), progettare al meglio, seriamente, e trovare adeguati cofinanziamenti. E' una provocazione: ma perché non utilizzare una percentuale di quell'ingentissima quantità di denaro, speso in pubblicità nelle manifestazioni calcistiche, ad esempio, (ma gli esempi si possono allungare a dismisura) per cofinanziare iniziative formative, operative, progettuali al riguardo? La seconda repubblica sta volgendo al termine e ancora non s'intravedono gli stendardi della terza. Sappiamo, però, che, in termini di ripartizione di ricchezza prodotta, il futuro prossimo venturo sarà molto avaro. La politica, a tutti i livelli, non potendo più fare roboanti promesse, come il suo solito, per una serie lunghissima di vincoli, comunitari, nazionali e locali, si vedrà costretta tra due strade: la perpetuazione dell'affabulazione collettiva, che alla lunga non paga, e la serietà di proposte sul poco, autonomo, fattibile. L'eco-sostenibilità è una di queste proposte: così verrebbe meno quella buffonata pubblicitaria che fa discendere dall'evasione la scarsità, se non l'assenza, dei servizi sociali ai cittadini. Avremmo pochi soldi, ma almeno vivremmo un po' meglio. Compete a tutti noi, agli elettori, valutare ed in conseguenza destinare la nostra preferenza alla formazione prescelta. Altrimenti, imboniti dai prestigiatori di turno, cadremmo, ancora una volta, in quella situazione descritta da Rousseau nel Contratto sociale: Il primo che, avendo cintato un terreno, osò dire: questo mi appartiene, e trovò uomini abbastanza ingenui per credergli, quegli fu il vero fondatore della società civile. Non so se era nelle intenzioni di Rousseau, ma a me, visto il ventennio trascorso, viene in mente leggerezza morale e dabbenaggine. Roberta Forte

37


AUDACIA TEMERARIA

GUERNICA: LA VERITÀ OLTRE IL MITO Guernica, il celebre dipinto di Pablo Picasso, è un quadro riciclato. Fu infatti realizzato dall'artista molti anni prima del bombardamento tedesco della cittadina basca durante la guerra civile spagnola (1936-39). Come tutti gli spagnoli, Picasso amava le corride e, rimasto colpito dalla morte del famoso torero Joselito, suo beniamino, decise di dedicargli un dipinto. Così alcuni anni dopo realizzò una grande tela gremita di figure tragicamente atteggiate, tra cui un toro decapitato e un cavallo sventrato (quello del matador), che titolò per l'appunto "Lamento en muerte del torero Joselito". Nel 1937, in piena guerra civile, il governo repubblicano-comunista, di cui Picasso era un fervente sostenitore, gli commissionò un quadro per ricordare, o meglio enfatizzare, le conseguenze del bombardamento tedesco avvenuto nei pressi della cittadina Basca di Guernica da esibire all'Esposizione Universale di Parigi prevista per l'anno dopo. Così il nostro artista riesumò il dipinto dedicato al torero e, apportati alcuni aggiustamenti, lo ribattezzò "Guernica" e lo cedette al governo alla modica cifra di 300.000 pesetas dell'epoca. Qualcosa come un milione degli attuali euro. In quegli anni di guerra civile, di morte e distruzione, le popolazioni pativano la fame e il nostro uomo, icona della sinistra proletaria, non ebbe scrupoli a intascare quella enorme somma che contribuì a fare di lui uno degli artisti più ricchi della storia. Da allora il celebre dipinto è diventato il simbolo per eccellenza della protesta dell'umanità contro la barbarie, tale da meritarsi una sala tutta per sé al Metropolitan Museum di New York dove migliaia di "pellegrini" per anni sono sfilati in religioso silenzio, ignari o consapevoli di trovarsi di fronte ad un evidente falso storico che ha fatto ricco il suo autore. Altro falso storico è la vicenda che ha ispirato il quadro, ossia il bombardamento di Guernica. Secondo certa storiografia faziosa la cittadina Basca, il 26 aprile del 1937, fu rasa al suolo da un violento attacco dell'aviazione tedesca che voleva sperimentare nuovi aerei e nuove tecniche di bombardamento. Per puro sadismo i nazisti, che sostenevano il fronte monarchico del generale Franco contro quello repubblicano appoggiato da Stalin, decisero di effettuare l'azione di lunedì, giorno di mercato. La conseguenza di questo vile attacco su una pacifica e indifesa cittadina fu di 1654 morti e 889 feriti, in massima parte civili. Questa tesi, ancora oggi propagandata e riportata addirittura nei libri di testo, è stata smentita nel 2003 da un imponente volume di 600 pagine dal titolo "Los mitos de la Guerra Civil", in cui lo

38


AUDACIA TEMERARIA

storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo, ricostruisce con assoluto rigore la controversa vicenda. Recentemente il giornalista Rai, Stefano Mensurati nel suo documentatissimo libro "Il bombardamento di Guernica", sfata definitivamente il mito di una cittadina immersa in un'atmosfera bucolica, colta di sorpresa e attaccata senza motivo e in maniera selvaggia. Guernica era in realtà un obiettivo militare. Distante una ventina di chilometri dal fronte, era sede di due fabbriche di armamenti, di un nodo ferroviario cruciale per i rifornimenti e di un ponte indispensabile ai repubblicani per ripiegare in difesa di Bilbao. Era presidiata da un contingente di 2.000 uomini e protetta da un sistema di batterie contraeree. Numerosi rifugi erano stati predisposti in previsione di possibili attacchi dall'alto. Ad effettuare l'incursione furono, quel 26 aprile del '37, alcuni bombardieri tedeschi affiancati da una quindicina di velivoli italiani. L'obiettivo era il ponte di Renterìa, sul fiume Oca, che doveva essere distrutto per ostacolare il transito delle truppe repubblicane. Inevitabilmente (non c'erano ancora le bombe intelligenti) alcuni ordigni caddero nel centro abitato, infatti su 39 crateri individuati dalla ricognizione aerea, solo 7 risultano nell'abitato. I morti realmente accertati furono 126 e i feriti una trentina, numeri ben distanti da quelli propagandati. Le due fabbriche di armi, poco distanti dall'abitato, non furono neanche sfiorate dagli ordigni (se fossero state colpite il numero di vittime sarebbe stato molto maggiore) segno che l'obiettivo non era il paese e né tantomeno i suoi abitanti. Altra interpretazione truffaldina riguarda le famose fotografie che ci mostrano una città semidistrutta. Fu invece appurato che furono proprio i miliziani anarchici, durante la loro ritirata, a far saltare con la dinamite, di cui disponevano in abbondanza (siamo nelle Asturie, terra di miniere) gran parte degli edifici per ostacolare l'avanzata delle truppe franchiste, il fuoco delle abitazioni in legno fece il resto. La stessa tecnica fu poi adottata dai sovietici durante l'invasione tedesca della Russia. Un aspetto sconcertante riguarda la presunta crudeltà dei tedeschi che per infierire sulla popolazione civile, dicono gli storici partigiani, decisero di effettuare l'incursione di lunedì, giorno di mercato. Tesi completamente falsa perché il mercato (che fra l'altro quel giorno era stato soppresso) terminava a mezzogiorno, mentre l'azione italo-tedesca si svolse a partire dalle 16 e 15. Come si è giunti a uno stravolgimento dei fatti così clamoroso lo possiamo comprendere leggendo la cronaca di quei giorni attraverso l'unico corrispondente di guerra presente che, come a volte avviene ancora oggi, seguiva gli avvenimenti bellici da una comoda stanza d'albergo a debita distanza dal fronte. Si tratta dell'inglese George L. Steer il quale, lavorando di fantasia, venuto a sapere che il lunedì era giorno di mercato, scrisse da Bilbao la cronaca degli avvenimenti descrivendo le inermi massaie e i vecchi contadini morti sotto le bombe tedesche e il mitragliamento a volo radente. Peccato che quel giorno il mercato non si tenne. Tuttavia, nonostante si capì fin da subito che la corrispondenza non era il resoconto oculare, ma il parto di una mente fantasiosa, la cosa venne accetta come vera. Il motivo è semplice: faceva

39


AUDACIA TEMERARIA

comodo sia alla propaganda comunista per coprire le malefatte dei rossi ai danni dei cattolici perseguitati e massacrati a migliaia, sia a quella del governo britannico impegnato a convincere l'opinione pubblica della necessità di sostenere le ingenti spese per il riarmo al fine di fronteggiare il potenziale bellico che i tedeschi avevano dimostrato di possedere a Guernica, anche se a essere impiegati erano dei normalissimi apparecchi come il trimotore Junkers-Ju-52 e non certo i modernissimi Stukas. Scorrendo su internet è sorprendente notare come questo duplice falso storico (il quadro milionario riciclato da Picasso e la ricostruzione artefatta del bombardamento di Guernica) sia invece comunemente accettato come verità assoluta. Evidentemente certi miti che hanno fatto la fortuna (è il caso di dirlo) di qualcuno e di una parte politica a corto di idee, non si toccano. La verità può attendere. Chissà se a qualche artista contemporaneo un giorno verrà in mente di dipingere un quadro per ricordare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane e tedesche sul finire della guerra, le bombe atomiche sul Giappone prossimo alla resa, il napalm sui villaggi vietnamiti e gli ordigni al fosforo che fecero strage di civili a Falluja in Iraq? E chissà se esisterà un governo disposto a sborsare un milione di euro per acquistarlo, come avvenne per il fortunato quadro di Picasso? Mah. Gianfredo Ruggiero

40


RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA Crocchette di polenta Tempo di preparazione 40 minuti Difficoltà media Ingredienti: polenta precotta (farina di mais) 200 gr., puré di patate pronto 75 gr, 3 uova, 20 gr. di burro, salame napoletano tagliato a dadini 100 gr., mozzarella tagliata a dadini 100 gr., parmigiano grattugiato 100 gr., sale, pepe, prezzemolo tritato, un dado da brodo vegetale, pan grattato, olio vergine di oliva. Portare a ebollizione 700 cc di acqua aggiungendo il dado da brodo ed un po’ di sale e pepe, aggiungere la polenta e mescolare per 7, 8 minuti. Spegnere il fuoco, aggiungere il purè di patate in polvere e mescolare fino ad assorbimento. A parte sbattere le uova, aggiungervi il salame, la mozzarella, il prezzemolo, il formaggio e pepe abbondante. Aggiungere il tutto alla polenta appena tiepida, mescolare bene. Con l’impasto ottenuto fare delle crocchette di una decina di centimetri di lunghezza per tre o quattro di diametro e impanarle. Mettere le crocchette in frigo per almeno 6/8 ore. Friggere le crocchette in olio bollente finché la crosta non è ben dorata. Aggiungere una spruzzata di sale e servire come secondo dopo una pizza o come piatto unico insieme ad un’insalata. Accompagnare con birra artigianale Menabrea chiara.

IL GUSTO DI LEGGERE Antonio Parlato Sua Maestà il Baccalà - Ovvero Il pesce in salato che ci vien d'oltremari Colonnese Editore, Napoli, pp. 128, cm 14,5x21 - ISBN 9788887501780 - Prezzo € 14,00 Articolato volume che spazia dall’origine del nome a quella geografica del più venduto, e acquistato, rappresentante della fauna marina. Accanto alle descrizioni “tecniche” della riproduzione, cattura, lavorazione, richiami al “baccalà letterario”, ossia alla sua presenza nel mondo del libro, passando anche per la musica ( ad esempio, Paolo Conte, col suo: “Pesce veloce del Baltico”). In appendice, gustose (non solo gastronomicamente) ricette legate, oltre che ai luoghi, come di consueto, a personaggi, mestieri e interi popoli che le hanno ideate.

41


Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.