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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

SOVRANISMO le ontana a i r o Edit renzo F rio Lega di Lo Segreta Vice

Numero 79 Ottobre 2019


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 79 - Ottobre 2019 Anno XXI

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Lorenzo Fontana Roberta Forte Giuseppe Iacono Alfredo Lancellotti Lino Lavorgna Pietro Lignola Sara Lodi Giuseppe Marro Antonino Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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VISIONI IDENTITARIE Quale mondo ha creato la globalizzazione? Quale futuro attende l'uomo? L'economia ultraliberista è garanzia di equità o, al contrario, è una minaccia continua? Parlare di dottrina identitaria, oggi, significa innanzitutto andare al fondo di queste domande. La reazione alla deriva globalista e omologatrice che rischia di appianare le differenze, far piazza pulita dei valori tradizionali e di distruggere la stessa idea di persona è infatti la ragione prima del successo dei movimenti identitari, che hanno nella Lega un punto di riferimento a livello internazionale. Qualcuno ci chiama 'sovranisti', un termine a mio avviso inadeguato a rappresentare la nostra concezione della politica e la nostra visione. Perché la sovranità discende da una definizione forte di identità, da cui scaturisce l'esigenza di tutelare radici, tradizioni, usi, costumi, lingue, produzioni che appartengono all'infinita ricchezza dei nostri territori. Ciò vale anche nei rapporti con l'Europa ed è la ragione per cui l'Europa come super-stato è un'idea che combattiamo. Perché non può esistere un grande decisore unico che non rispetti le esigenze dei singoli Paesi e, all'interno di questi, le sensibilità che li compongono. Troppo spesso si dimentica che il mondo attuale ha un passato alle spalle. Proprio attingendo dal recente passato, scopriamo che la prima definizione di "globalizzazione" è stata data dall'Economist nel 1962. Proprio in quel decennio la trasformazione economica e sociale poneva le basi di quella che poi divenne l'epoca della libera circolazione delle merci, dei capitali, delle persone. In tanti guardarono a questo periodo come al 'sol dell'avvenire': la fine dei confini, delle barriere, giudicati come la prima ragione dei conflitti, l'epoca della ritrovata libertà. Oggi, a distanza di decenni, bisogna prendere atto del fatto che questo 'sistema' non ha prodotto il benessere sperato. A livello mondiale ha acuito la distanza tra i grandi possessori di ricchezza e la parte esclusa. L'ultimo rapporto Oxfam dà un'idea del divario oggi esistente tra queste due porzioni di mondo: l'1% più ricco possiede metà della ricchezza aggregata netta totale del pianeta (il 47,2%), mentre 3,8 miliardi di persone, che corrispondono alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare sullo 0,4 per cento. Da qui la genesi delle grandi migrazioni, dei movimenti di massa dei - cosiddetti - 'migranti economici', che qualcuno oggi vorrebbe ricondurre a un fenomeno di tutti i tempi, senza legarlo specificamente alle responsabilità del nostro tempo.


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Responsabilità che passano anche attraverso gli interessi di chi, per abbassare il costo del lavoro o per destabilizzare Paesi, ha convenienza a incentivare l'esodo di masse di persone. E i numeri si incaricano di dimostrare la portata di questo fenomeno: 258 milioni di migranti nel mondo. Nel ricco vecchio continente un certo establishment europeo si è perfettamente allineato a questo corso storico, finendo per uniformarsi agli interessi delle multinazionali e, comunque, ai grandi interessi commerciali. Paesi come l'Italia, che hanno fatto della piccola e media impresa la culla della propria storia economica, storia di successo, sono stati travolti dall'assalto dei giganti. Sono nate addirittura le 'over the top', con fatturati superiori al prodotto interno lordo degli stati e capaci di poter fissare le regole del gioco e condizioni fiscali di vantaggio, salvo poi delocalizzare in base alla convenienza e lasciare dietro di sé disoccupazione e desertificazione economica. Risultato: secondo il "The missing profits of Nations" pubblicato dal "National bureau of economic research", ogni anno le multinazionali guadagnano sul suolo italiano e fanno volare nei paradisi fiscali 20 miliardi di euro. Se questi profitti fossero tassati in Italia frutterebbero alle casse dello Stato 6 miliardi di euro all'anno. Ma ciò che è ancor più grave è che la dottrina turboliberista ha sconfinato rispetto al proprio ambito economico ed è diventata ispiratrice di un autentico 'modello' sociale e culturale, che ha comunque un fine ultimo di natura economica: massimizzare i profitti e le possibilità di previsione e controllo sui consumi. L'homo globalis modello ispiratore di questo nuovo fenomeno - è un individuo che si intende innanzitutto come consumatore. Il consumo si basa sulla creazione di bisogni materiali e sulla progressiva spoliazione di ogni altro genere di necessità, siano esse relazionali o spirituali. Da qui la distruzione di ogni punto di riferimento attraverso il relativismo esasperato, il laicismo dilagante, l'attacco alla famiglia, luogo da cui originariamente si originano le scelte e nucleo economico fondamentale, presidio di libertà degli individui. Insomma: una minaccia da scansare, in nome della nuova dottrina solipsistica. L'individuo solo è uno strumento facile da manipolare, vive dei propri bisogni - che possono essere orientati - e non deve tenere conto di quelli degli altri. Una perfetta macchina da consumo, utile e funzionale agli interessi dei giganti dell'industria. La storia ci dice che tipico di ogni totalitarismo è sempre stato l'impulso ad assoggettare ogni individuo e ogni società a una ideologia, a un modello precostituito di uomo, attraverso violenze, strumenti di persuasione, finta retorica. La globalizzazione, cancellando le differenze, di fatto si alimenta del medesimo carburante. Per questo viviamo l'epoca della nuova Resistenza. Gli identitari sono chiamati a una sfida epocale: riportare l'uomo al centro, nella vita politica e nell'economia, tutelare la nostra economia, ridare priorità alla persona, proteggere i confini, salvaguardare la famiglia, restituire la coscienza della nostra storia. E riformare l'Europa affinché possa finalmente rispondere al sogno originario, un'Europa che abbia fondamenta forti, che condivida valori comuni e che abbia il coraggio e la libertà di riscoprire le proprie radici cristiane. Solo così potremo veramente essere forza agli occhi del mondo: per dialogare con chiunque occorre infatti prima sapere chi si è e da dove si proviene. Lorenzo Fontana

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RIFLESSIONE SUL SOVRANISMO La sovranità è il pieno potere indipendente da ogni altro. Nella realtà di un sistema globale interconnesso tale indipendenza incontra forti limitazioni nei rapporti di forza tra gli Stati, negli interessi geopolitici e nelle logiche di influenza che li determinano, nei trattati e, spesso, nelle convenienze. Essa è, oggi, propria degli Stati, dopo il lento declino dell'idea di impero universale. La sovranità implica l'indipendenza nei riguardi di ogni altro Stato o persona giuridica esterna e la supremazia assoluta rispetto a tutte le soggettività, fisiche e giuridiche, ricomprese all'interno del proprio territorio o temporaneamente al di fuori di esso e sul territorio stesso. L'autolimitazione della sovranità è contemplata, per l'Italia, dall'art. 11 della Costituzione, purché "sia assicurata pace e giustizia fra le Nazioni". Da qui potrebbero nascere molte considerazioni su accordi e trattati che, al di là delle dichiarazioni di principio, non garantiscono "pace e giustizia fra le Nazioni". E' il caso, ad esempio di alcuni trattati europei (Dublino per tutti) e di altri sul commercio internazionale. Nelle moderne democrazie il titolare della sovranità è il popolo che la esprime attraverso la potestà politica che si concretizza col suffragio, anche se già nel diritto romano la lex era ciò che il popolo ordina. Quindi la sovranità è della nazione. Per Giuseppe Mazzini la sovranità può sussistere solo se é Bene sociale, Libertà e Progresso. Il sovranismo sarebbe, secondo la definizione che ne dà l'enciclopedia Larousse, una dottrina politica che sostiene la preservazione o la ri-acquisizione della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali. Quasi identica la definizione del Dizionario Treccani. Secondo tale definizione si tratterebbe soltanto di un meccanismo di difesa dalle logiche della globalizzazione. Alcuni fanno coincidere il sovranismo con l'anteposizione dei propri interessi rispetto a quelli di qualunque altro. Se si trattasse solo di questo allora il Partito comunista, col suo "dalla culla alla tomba" e con l'anteposizione degli interessi del partito e dei militanti a qualunque altro interesse potrebbe essere definito come il sistema più sovranista che si sia mai conosciuto, analogamente per gli epigoni di quel modo di pensare. Ma la priorizzazione dei soli interessi, di gruppo, di comunità, di nazione è insufficiente a definire un fenomeno complesso come il "sovranismo". Così come è fuorviante la sola "contrapposizione alle istanze e alle politiche delle organizzazioni internazionali e sovranazionali". Dal punto di vista di chi scrive un sovranismo europeo di un'Europa finalmente nazione o confederata, sarebbe auspicabile e desiderabile, meno comprensibile, sullo scenario globale, il


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sovranismo di piccole entità nazionali quali la Lettonia, il Montenegro, la stessa Italia e tutti gli altri stati europei che, singolarmente considerati, non hanno una massa critica sufficiente per contare granché. Tuttavia, in una prospettiva medio/lunga e disincantata, ha ragione il Professor Carlo Galli nel dire: "La Ue è oggi inchiodata a una "situazione intermedia", a una impasse tra Stati e Unione, che deve essere superata, ma non si sa in quale direzione. E che nelle more ha generato quelle richieste popolari di protezione, di ritorno allo Stato, di difesa dalle dinamiche globali e dalle regole europee, che si è soliti definire "sovranismo". Richieste che non sono manifestazione di nuova barbarie ma di paurosi scricchiolii nella costruzione europea. E mentre si assiste al rilancio delle logiche sovrane, al perseguimento sempre più evidente degli interessi strategici nazionali, in Regno Unito, Francia e Germania, si accendono al contempo furiose polemiche antisovraniste, il cui senso va chiarito. Inutile quindi rilanciare la palla ai futuri e auspicati "Stati Uniti d'Europa": per farne parte, semmai ciò avverrà, occorrerà in ogni caso essere Stati robusti e consapevoli. Ci sono sfide politiche del presente da affrontare, interessi permanenti da tutelare, e la ricostituzione della nozione di sovranità è a tal fine uno degli strumenti indispensabili. Da utilizzare con realismo, senza demonizzazioni e senza esorcismi." (Carlo Galli https://ragionipolitiche.wordpress.com/2019/04/24/apologia-della-sovranita/)

E ancora: "La lotta politica in Italia si è semplificata intorno alla contrapposizione fra un male e un bene: il mondialismo, o l'europeismo (che non sono la stessa cosa), l'accoglienza, la democrazia, contro la sovranità, l'autoritarismo, la xenofobia. In questa contrapposizione viene ricompresa quella fra destra e sinistra: la sovranità è la destra, e la lotta contro di essa è la sinistra. Ma la sovranità è una cosa più complessa, e non è possibile sbarazzarsene derivandone un termine ingiurioso - sovranismo -. La sovranità è un concetto esistenziale. Ha a che vedere col fatto che un corpo politico (un popolo, una nazione) esiste nella storia e nello spazio, e che ha una volontà e di una capacità di agire. C'è esistenza politica se c'è sovranità. La sovranità è l'ordine giuridico che vige in un territorio: un ordine che, come una prospettiva pittorica, ha un fuoco che ne è l'origine e il vertice. Un ordine che protegge i cittadini, rendendone prevedibile l'esistenza. L'ordine dello Stato. Ma la sovranità è anche un concetto politico: è energia vitale e proiezione ideale di un soggetto che afferma se stesso, che persegue i propri interessi strategici. E che mentre si afferma, esiste, sia che dica "We the People" - come nella Costituzione degli Usa -, sia che dica "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Questa affermazione è, spesso, una rivoluzione: l'altra faccia della sovranità. La rivoluzione, infatti, abbatte una forma invecchiata della sovranità per dare vita a un'altra, più adeguata ai tempi. Qui c'è l'aspetto formidabile e rischioso della sovranità, la sua capacità di creare ordini attraverso il disordine, norme attraverso l'eccezione; e anche il suo affacciarsi sulla possibilità della guerra. E c'è anche la sua dimensione sociale: la sovranità è il prodotto di quelle classi che di volta in volta hanno la forza e le idee per immaginare e plasmare l'intero assetto politico di una società.

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Insomma, la sovranità è un equilibrio di stabilità e di dinamismo, di ordine e di forza, di diritto e di politica, di protezione e di azione, di pace e di guerra. La storia d'Europa è una storia di nazioni che lottano per essere sovrane, e di lotte all'interno degli Stati perché la sovranità abbia un volto umano, perché se ne tengano a freno gli aspetti più inquietanti, che tuttavia è impossibile cancellare. Ma, si dice, la sovranità dei singoli Stati non ha senso nell'età globale; oggi l'economia, e le questioni che essa porta con sé, scavalca le sovranità e i loro confini, i loro ambiti ristretti. Capitalismo e migrazioni sfidano la sovranità, la rendono un concetto obsoleto. Le forme del potere, dell'economia e del diritto sono, oggi, fluide, sganciate dallo spazio e dai territori: sono "reti", e non hanno "vertici". Lo spazio della politica è il mondo, non lo Stato. Oppure, in alternativa a questa narrazione mondialista, si afferma che, per gestire con successo le dinamiche politiche ed economiche globali, è l'Europa che deve avere sovranità, non i singoli Stati. Tuttavia, se ben guardiamo, la scena internazionale è ancora il teatro di sovranità politiche che agiscono (anche militarmente) in parallelo con le forze economiche; e queste hanno sì estensione globale, ma hanno anche un'origine e un orientamento precisi: esistono insomma, differenziate, le sovranità della Cina, degli Usa, della Russia, della Turchia, di Israele, dell'India, del Brasile (solo per fare qualche esempio), ed esistono capitalismi nazionali che si dispiegano nel mondo. E, per venire all'Europa, esistono le sovranità di Germania e Francia, di Inghilterra e Spagna, eccetera, con le loro politiche estere; ed esistono i rispettivi capitalismi, più o meno aggressivi. La Ue, poi, è un insieme di Stati sovrani, alcuni dei quali hanno rinunciato alla sovranità audacia temeraria igiene spirituale monetaria per creare una moneta unica, ma hanno conservato la sovranità fiscale (di bilancio), oltre che gli ordinamenti giuridici e istituzionali nazionali. È un insieme di Stati in cui prevale in ultima istanza il Consiglio dei capi di Stato e di governo, dove pesano i rapporti di forza fra le diverse sovranità. Insomma, la Ue non ha sovranità; non sa identificare né perseguire propri interessi strategici. A differenza degli Usa - federazione sovrana di Stati non sovrani -, la Ue è un insieme non sovrano di Stati sovrani, che hanno un vincolo comune, la moneta, pensata secondo i parametri austeri del pensiero economico tedesco, la "economia sociale di mercato". Un vincolo che divide, che crea effetti disomogenei - benefici per alcuni Stati e per alcuni strati sociali, meno per altri -. I "sovranismi" sono infatti la protesta degli strati deboli (non solo degli Stati deboli, ma ormai di gran parte dell'Europa) contro le conseguenze sociali del paradigma economico vigente, e anche contro il fenomeno delle migrazioni. Sono una richiesta di protezione e di stabilità intercettate da destra, ma in sé non di destra -, rivolta al soggetto politico, lo Stato, che, come Stato sociale, a suo tempo se ne era fatto carico. L'Europa è in bilico, quindi, fra due ipotesi: costruire un'Unione sovrana, federale, certo, ma capace di assumersi gli oneri sociali e i rischi geostrategici di una vera sovranità continentale, come chiedeva il Manifesto di Ventotene - il che significa, tra l'altro, politica estera unica e politiche fiscali comuni, ovvero una diminuzione del peso degli Stati e un aumento del peso del parlamento di Strasburgo e della Commissione -; oppure accrescere la capacità politica dei


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singoli Stati abbassando il peso del vincolo comune. O una sovranità europea o diverse sovranità statali, collaborative ma autonome. Non l'ibrido instabile che oggi genera tensioni e ribellioni che mettono a rischio gli assetti democratici europei. Quanto sia plausibile, probabile o desiderabile una ipotesi o l'altra, quanta energia politica delle élites nazionali o dei popoli europei sia disponibile per l'una o l'altra, dovrebbe essere il vero oggetto di dibattito politico. Anziché demonizzare o idolatrare la sovranità, si dovrebbe insomma riconoscere che questa, su scale differenti, è ancora la serissima posta in gioco della politica." (Carlo Galli, https://ragionipolitiche.wordpress.com/2019/05/14/senza-sovranita-non-ce-politica/)

Illuminato e illuminante il pensiero del Prof. Galli. Tornando al sovranismo esso non è solo meccanismo reattivo è anche afflato identitario, riaffermazione di specificità distillate da una peculiare storia e cultura. Nel successo dello slogan: "Prima gli italiani" non c'è solo la reazione alle angherie derivanti dall'ottusa applicazione dei trattati europei, non c'è solo l'anteposizione degli interessi del popolo italiano, c'è anche un'idea di comunità, rafforzata dal comune patimento, c'è anche l'orgoglio dell'appartenenza, il senso della nazione, il desiderio di giustizia, troppo spesso negata o annegata negli interessi altrui e c'è pure un filo di speranza che non vuol morire. Sì, è giusto, prima gli italiani. Angelo Romano

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SOVRANISMO Cos'è sovranismo? Al momento una suggestione. Non è una teoria politica compiuta, passata al vaglio della storia. A riguardo, il nazionalismo lo è. Si potrebbe asserire che il sovranismo sia un contenitore delle forme molteplici nelle quali si manifesta la ribellione popolare al multiculturalismo e al progressismo indotti dalla globalizzazione economica. Il limite immanente del sovranismo è la sovrapposizione con la categoria politica del populismo. Essi sono rappresentati, nell'azione di delegittimazione da parte del nemico, alla stregua dei due termini noti dell'equazione del Male, dove il coefficiente dell'incognita è il grado di razzismo, xenofobia, paura del diverso che viene instillato negli interstizi della società impreparata a discernere ontologicamente il Bene dal Male. In realtà, il vero razzismo risiede in coloro che riassumono le figure sovrapponibili di populista e sovranista in un indistinto categoriale etico a connotazione fortemente negativa. Tale pregiudizio non si può cambiare, è uguale dalla notte dei tempi, dalla favola del lupo e dell'agnello ed è misurato sulla condizione dei rapporti di forza tra culture politiche. Nelle società audacia temeraria igiene spirituale dell'Occidente avanzato, egemonizzate dal multiculturalismo, il sovranista, come il populista, è per definizione brutto, sporco, cattivo, razzista, fascista. Il pregiudizio cade solo a seguito di un ribaltamento d'egemonia culturale. Non basta, pertanto, vincere un'elezione per restituire misura di verità al dibattito politico. Occorre la "riforma morale" che prosciughi il mainstream del politicamente corretto che scorre nelle casematte del potere: università, burocrazie, media, ordine giudiziario, istituzioni della cultura, Terzo settore, sistema della solidarietà e comparto educativo. Nella ripartizione manichea della cosmogonia del pensiero, dove sopravvive la separazione dei mondi della sinistra e della destra, riflessi speculari del dualismo Bene-Male, il sovranismo è per statuto espressione della destra come, su altro fronte, il progressismo lo è della sinistra. La classificazione è corretta, ciò che non lo è, invece, attiene al giudizio di valore spregiativo che accompagna tale classificazione. Il sovranismo è un'ideologia? No, perché manca di una weltanschauung, di una visione organica e coerente del mondo. È piuttosto un momento di resilienza per fronteggiare la guerra totale all'apparato valoriale tradizionale di cui l'uomo di destra è naturale portatore. L'attacco proviene dallo schieramento compatto del progressismo. Per intenderci, se i multiculturalisti esaltano la "cultura dei ponti" contro quella dei muri è perché essi puntano ad annichilire il concetto di frontiera che richiama in spirito il concetto di limite non arbitrariamente valicabile.


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Nell'ottica dei multiculturalisti, i difensori dei muri sono il male da debellare, ergo: difendere la dignità delle cinte murarie equivale alla salvaguardia dei fondamenti sui quali è stata costruita "la civiltà delle mura e delle torri" che è quella alla quale apparteniamo, piaccia o no ai suoi detrattori. I sovranisti, per iperbole, sono i difensori inconsapevoli della Storia; viceversa, i multiculturalisti sono gli addetti alla rimozione sistematica del passato, in luogo del quale subentra uno storytelling, una narrazione/rappresentazione di una pseudorealtà forzosamente piegata alla volontà dei narratori. È il trionfo postumo della massima bonapartista secondo cui: "Che cos'è la storia, se non una favola su cui ci si è messi d'accordo?" E la retorica dei ponti non è altro che la favola che i vincenti della globalizzazione raccontano a se stessi per scaricarsi la coscienza per i molti danni causati ai popoli. Può una civiltà sopravvivere deprivata di incorrotta memoria storica? Pur in assenza di evidenze scientifiche, il sovranista risponde istintivamente di no. Il che è compatibile con l'effettiva storia della civiltà umana che è stata costruita non sulla ragione ma sull'istinto, sulle pulsioni dell'anima e sulla forza dei sentimenti. Solitamente, la ragione è intervenuta per stabilire il diritto dei più forti a soggiogare i più deboli. Le nazioni concepite dalle potenze vincitrici all'indomani del Primo conflitto mondiale, tracciando delle linee diritte su un'anonima carta geografica, sono il parto della razionalità degli arroganti. Ma come negativamente stia evolvendo la situazione in quelle zone del mondo dove ha funzionato la logica della spartizione a tavolino delle zone d'influenza e del neoimperialismo delle multinazionali è sotto gli occhi di tutti. Il sovranismo è identità? Sì, più propriamente si può definire come una forma compiuta di "identitarismo comunitario". Come osserva Ferdinand Tönnies in Comunità e Società: "Ovunque gli esseri umani sono legati reciprocamente in modo organico dalle loro volontà e si affermano l'uno di fronte all'altro, là esiste una comunità...". Ma vi sono alcuni fattori identificativi di un soggetto collettivo che consolidano il senso d'appartenenza dei suoi membri, elevandolo a elemento indefettibile della struttura comunitaria. L'origine, la lingua, le tradizioni e i costumi trasmessi dagli antenati, si collocano a fondamento di ogni contesto comunitario durevole, partecipato ed esclusivo, fondato sul consenso naturale, impermeabile agli influssi etico-valoriali e religiosi di cui sono portatori gli allogeni che tentano di perforare la compattezza e l'organicità dei contesti comunitari. La reazione immunitaria all'aggressione di tali agenti patogeni è propriamente sovranismo. Cosa prende il sovranismo dal populismo? L'idea di popolo come mito. È in questa accezione che esso viene riconosciuto quale legittimo e unico depositario della sovranità che è sì potere decisionale sullo stato d'eccezione, ma è anche sintesi e compendio dei valori positivi, specifici e permanenti che configurano una comunità di destino. Se il popolo è uno non vi può essere la lotta tra le classi ma solo l'organizzazione piramidale comunitaria che assegna compiti, funzioni, ruoli a ciascun membro del sodalizio. In tale visione, le élite non sono separate dal popolo ma sono organicamente assorbite in esso.

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La comunità (gemeinschaft) organicista non è una società di eguali, tuttavia è marcatamente solidarista. In senso contrario si muovono tutti i modelli sociali costruiti sul principio della concorrenza degli interessi e sull'individualismo. Tali paradigmi, formalmente vocati all'egualitarismo, nella prassi privilegiano gli oligopoli e la cristallizzazione delle élite dominanti sottratte alla volontà e al giudizio delle popolazioni sottostanti. Ma il concetto di popolo necessita di una qualificazione: esso deve essere sovrano e riconoscersi in una comune identità fondata sulla coppia assiologica sangue/suolo. Il sovranismo è un atto di legittima difesa del pensiero identitario, ancorato saldamente al concetto di patria, dalle aggressioni continuate del terzomondismo comunista imparentatosi con l'universalismo pacifista del nuovo cattolicesimo bergogliano. Il sovranismo è antitetico alla mondializzazione dell'economia e dei diritti? Esso è la risposta più efficace all'espansionismo della globalizzazione come ideologia, oltre che come fenomeno macroeconomico. È, per altri versi, la sintesi concettuale di un'istanza di riscatto espressa in termini talvolta irrazionali da quello che il professore Giulio Sapelli definisce "il popolo degli abissi", cioè l'insieme delle masse, per lo più provenienti dai ceti medi tradizionali, che sono state espunte dai processi di modernizzazione sollecitati dall'avvento di una globalizzazione selvaggia delle produzioni, in particolare manifatturiere. C'è spazio politico per il sovranismo nelle società della post-modernità? Sì, a condizione che si rinunci a pensare di scendere a patti con una globalizzazione soft, cioè che possa nel tempo favorire momenti d'integrazione di culture e organizzazioni sociali le quali, storicamente, sono state costituzionalmente alternative. Basta guardare a ciò che sta accedendo lungo il confine turco-siriano. Un convinto islamista qual è il leader turco Recep Tayyip Erdogan, con il pretesto di colpire il terrorismo curdo, sta massacrando gruppi di civili inermi colpevoli di essere di religione cristiana. In un drammatico appello lanciato da monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico emerito di Hassaké-Nisibi, si paventa il rischio concreto che "tra qualche settimana nel Nord della Siria potrebbero arrivare oltre due milioni di persone. Tra queste ci sono anche le famiglie dei jihadisti legati ai Fratelli musulmani che stanno combattendo contro i curdi e che hanno già combattuto attorno a Damasco negli scorsi anni. Per i cristiani sarà la morte. Un bagno di sangue". Come la compianta Oriana Fallaci ebbe a dimostrare nei suoi scritti ultimi, non solo non esistono civiltà, che non sia la decadenza occidentale, disponibili all'amalgama in un indistinto cosmico di culture "diverse" ma è vero che le ragioni del conflitto tra esse non siano ad oggi venute meno. Ciò vuol dire che le relazioni interstatuali non possono essere basate sulla compassione e sull'arrendevolezza. Soltanto la forza usata come deterrente può garantire la tenuta degli equilibri tra civiltà. Ma non basta, anche la consapevolezza di appartenere a una civiltà superiore soccorre il bisogno di non farsi contaminare dalle tradizioni e dalle norme morali, religiose e sociali radicate in altre aree del pianeta. Rivendicare il diritto di possesso di un suolo per un popolo significa riconoscerne la storia e la


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tradizione che ha permesso a valori archetipici di essere trasmessi attraverso il succedersi di generazioni dalle origini della fondazione della patria fino alla contemporaneità. Inquadrato sotto questo profilo il concetto di sovranismo è tutt'altro che sulfureo, è una limpida manifestazione di consapevolezza identitaria. Il sovranismo è risposta al problema incombente della costante perdita di sovranità dei singoli Paesi indotta dalla crescita d'influenza di strutture ed entità sovraordinate agli Stati nazionali, il cui ruolo di regolatori è stato imposto dalla diffusione della globalizzazione su scala planetaria. Si dirà, c'è l'Unione europea che è la nuova frontiera dei popoli del Vecchio continente. In realtà, il progetto di Europa nazione è un vecchio sogno della destra. Però, sovente i sogni sconfinano nell'utopia. In ipotesi, si potrebbe pensare a una gigantesca rivoluzione morale che spinga popoli diversi e con una storia di lotte sanguinose alle spalle a negare le differenze e a mettersi insieme per costruire una nuova patria comune: gli Stati Uniti d'Europa. La realtà è altra cosa. In primo luogo, un'identità comune si fonda sulla lingua. Si prenda il caso della Germania. Ciò che fa la nazione tedesca non è la dimensione territoriale ma l'espressione linguistica. Come bene spiega il Tönnies in Comunità e Società, è la lingua il vero organo della comprensione in quanto "espressione comunicativa e recettiva, in gesti e suoni, di dolore e di piacere, di timore e di desiderio, e di tutti gli altri sentimenti e emozioni. La lingua non è stata - come tutti sanno - inventata e quasi convenuta come un mezzo o strumento per farsi capire, ma è essa stessa comprensione vivente, e al tempo stesso contenuto e forma della comprensione". Ora, è pensabile di costruire una casa comune nella quale tutti i cittadini per comunicare tra loro debbano parlare una lingua di un Paese che sta facendo di tutto per uscire da quella medesima casa comune ritendendosi realtà storica distinta e distante dal contesto dei Paesi con i quali avrebbe dovuto cementare il patto comunitario? Un'identità comune si fonda sulla condivisione di un complesso di valori espresso dalla Tradizione, dalla religione, dai costumi e dagli usi popolari. Attualmente si osserva la presenza di una profonda linea di faglia che separa, antropologicamente, i Paesi del Nord Europa, di tradizione luterana-protestante dai cattolicissimi Paesi della fascia mediterranea. Si può immaginare una comunità di destino all'interno della quale i membri non si fidino gli uni degli altri o coltivino pregiudizi inestirpabili? Una comunità sovrana deve riconoscersi in una sola volontà di potenza. Che è ciò che non accade oggi in Europa. Si guardi agli eventi epocali del nostro tempo, come adesso il fenomeno migratorio. L'Europa ha forse una voce sola? Riguardo alla difesa degli interessi nazionali la musica non cambia. Un conto sono i proclami, altro è la realtà dei rapporti di forza in chiave geopolitica. Al redde rationem la Francia resta la Francia della "grandeur", la Germania non smette di coltivare le sue aspirazioni egemoniche sugli altri Paesi dell'Unione. "Lebensraum" e "Piano Funk" non sono mai stati messi al rogo dopo la caduta del Terzo Reich e con puntuale frequenza rispuntano sotto altre forme, più edulcorate, dalle correnti carsiche della politica. Quindi, l'esercizio sovranista ha senso soltanto se riferito a realtà nazionali.

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Non vi sono i presupposti per associarlo a differenti entità sovraordinate agli Stati nazionali, salva, forse, la prospettiva di una confederazione di Stati europei. Chi sono i sovranisti in Italia? Verosimilmente la Lega di Matteo Salvini, Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni e alcune formazioni minori della destra radicale, quali ad esempio CasaPound. Non Forza Italia di Silvio Berlusconi. Neppure il Movimento Cinque Stelle che, inizialmente, organizzazione politica populista e cesarista, strada facendo ha perso la prima connotazione, quella populista, per tenere, seppure in bilico, la struttura cesarista del partito monocratico. Cosa possono fare i sovranisti? I partiti più grandi possono provare, riuniti in coalizione, a vincere la sfida democratica per dare al Paese un compiuto assetto conservatore. Sarebbe ora di sfruttare l'onda di consenso al sovranismo per dare una spallata alla cultura egemone progressista la cui indubbia abilità, affinata in anni di gestione del potere, è stata di far passare le visioni del mondo non conformi alla propria come aberrazioni della civiltà. Tuttavia, la lotta per la conquista dell'egemonia, almeno in Italia, non sarà mai un "pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità". Mao Zedong lo diceva della rivoluzione, ma può valere parimenti per il sovranismo, che resta un atto di forza, espletabile all'interno del gioco democratico, funzionale al rovesciamento della visione del mondo imposta dai multiculturalisti e dai progressisti. Di regola, la falange macedone del sovranismo dovrebbe procedere da sola e non accettare di associarsi nella competizione elettorale con forze portatrici di valori opposti ai suoi. Ma, com'è noto, la carne è debole per cui di fronte al rischio di essere sconfitti si cede ad imbarcare tutti coloro con i quali si riesca a individuare qualche punto programmatico di contatto, trascurando le premesse ideologiche generali. Tale tattica contiene insieme un vantaggio e un pericolo. Non vi è dubbio che patti coalizionali facilitino la vittoria elettorale. Tuttavia, una volta ottenuta la vittoria si corre il rischio di doversi accontentare di una politica di piccolo cabotaggio a cagione della mancanza di condivisione degli ideali di fondo tra forze aderenti al patto di coalizione. L'esperienza fatta con l'anomalo governo giallo-blu, varato sulla base di un contratto sottoscritto tra Cinque Stelle e Lega, lo scorso anno, ha mostrato tutti i limiti programmatici e di visione di soluzioni dettate dalla contingenza di un compromesso al ribasso. Se le forze sovraniste dovessero tornare a vincere, in un futuro prossimo, con l'ausilio però delle componenti moderate del centro, che possibilità vi saranno di compiere la missione che il sovranismo si è dato in questo tempo storico segnato dallo stigma della globalizzazione? Perché la destra dovrebbe dirsi sovranista? Il sovranismo per affermarsi deve superare il limite che è stato del nazionalismo della seconda metà del Novecento: sentirsi privo di legittimazione per il sopravanzare egemonico dei nuovi imperialismi globali quali sono stati gli Usa e l'Unione Sovietica. Mutato lo scenario geopolitico è possibile lottare, nonostante la pervasività della globalizzazione, per ritagliarsi uno spazio di


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autonomia e libertà come Stato nazionale seppure in complicate articolazioni di delicatissimi equilibri internazionali, sia economici sia strategici. La legittimità , in questo caso, deriva dalla consapevolezza "d'incarnare un'esigenza storica" (l'espressione è di Adriano Romualdi in La Destra e la crisi del nazionalismo). Ora, per un uomo di destra i valori dello spirito sopravanzano quelli dell'erudizione e della pseudocultura. Per stare alla categorizzazione individuata da Oswald Spengler e ripresa da Thomas Mann, l'uomo di destra riconosce la differenza tra il portato debole, discendente, del concetto di "zivilisation", sinonimo di declino di un sapere cristallizzato, contrapposto a quello, forte, ascendente, di "kultur" che tiene insieme legati da un comune filo conduttore la religione, l'arte, la scienza, la filosofia, le tradizioni, le regole di una comunità . Se il sovranismo si ponesse l'obiettivo di fare un passo avanti nell'individuazione di una propria visione del mondo scaturente dall'agire sintonico dei componenti la "kultur" di un popolo, non potrebbe che penetrare il Dna della destra acquisendo un'autonoma attitudine di visione. In tal caso, nessun uomo di destra potrebbe sottrarsi alla qualificazione di sovranista. Cristofaro Sola

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SOVRANISMI VERI E FALSI NELL’EPOCA DELLA GUERRA IBRIDA Il ribaltamento delle alleanze che ha riportato, in poche settimane, al governo dell'Italia il Pd e la nuova formazione renziana - rappresentanti degli interessi antipopolari delle classi dirigenti parassitarie che tengono in scacco gli italiani dal dopoguerra - deve far riflettere sui limiti tattici e strategici dei sovranismi e dei populismi. Qui non entriamo nel merito dei retroscena da servizi segreti che hanno portato al via libera di Trump a Giuseppi Conte per la formazione del suo secondo governo, ma non possiamo non registrare che il maggioritario comune sentire degli italiani è stato sacrificato al cospetto di raffinati strateghi, i quali, dall'alto delle loro rendite di posizione, muovono i fili della guerra scatenata dai poteri forti e dalle oligarchie finanziarie contro il principio di autoderminazione dei popoli. Scriveva Costanzo Preve che "le classi dominanti vincono sempre perché in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all'impossibilità di accedere a questa comprensione intellettuale". Sebbene coi limiti di un approccio sociologico classista, Preve fotografa gli effetti nefasti di una guerra ibrida scatenata innanzitutto sul piano delle cause prime, metafisiche, da forze oscure che hanno il controllo del potere finanziario, culturale e informativo su base planetaria. Prioritariamente bisogna intendersi sul termine sovranismo, da declinare al plurale perché plurali e contraddittori sono gli approcci, gli esiti e le finalità dei diversi sovranismi. Per spiegarci facciamo due esempi opposti, incarnati rispettivamente dal presidente russo Putin e dal cancelliere austriaco Kurz. Il primo è stato l'antesignano del sovranismo autentico, varato con gesti patriottici dall'inequivocabile significato simbolico (dal pellegrinaggio nei luoghi del massacro della famiglia imperiale alla visita a Solgenitsin), che segnarono una inversione di tendenza rispetto al tradimento della identità e degli interessi nazionali messa in atto dal liberale Eltsin e dagli oligarchi. Di tutt'altro segno è il populismo del cancelliere austriaco, il quale, da liberale e liberista, non transige dalle politiche economiche reazionarie dell'Unione europea rinnegando nei fatti la memoria di Jorge Haider, scomparso nel 2008 in uno strano incidente stradale. La guerra ibrida va combattuta prima di tutto sul piano culturale e delle idee, rovesciando il paradigma dominante del nuovo totalitarismo liberale, liberista e libertario, denunciando le fake news del sistema di manipolazione dell'opinione pubblica e delle coscienze e non cadendo nelle trappole che il sistema mette sulla strada dei popoli.


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Smascherando i falsi sovranismi, perché la sovranità senza identità non ha alcun senso. La storia non è un meccanismo - come credono gli storicisti e i marxisti - ma è il luogo della decisione consapevole dei popoli e delle loro élite intellettuali (nel senso guenoniano) che non hanno dimenticato le origini sacerdotali, guerriere e contadine tipiche della tripartizione delle funzioni descritta da un Dumezil. Non è un caso che le contro élite cosmopolite e tecnocratiche vogliono esautorare la democrazia. Bisognerà diffidare degli ultra nazionalisti, che saranno l'ultima arma del potere usurocratico per far scontrare nuovamente tra di loro i popoli europei ed eurasiatici. Popoli che, invece, devono cooperare per combattere il Nemico comune: la Grande Usura e la sua tecnocrazia mercatista. Nota Aleksandr Dugin che "sovranità non è solo il ritorno agli stati nazionali ma anche l'idea di riorganizzare l'Europa come entità geopolitica sovrana" indipendente da Stati Uniti, Cina e Russia, in quanto "gli stati nazionali saranno sovrani nella misura in cui l'Europa sarà sovrana". Del resto gli stati nazionali non erano sovrani neanche prima della costituzione dell'Unione europea: nell'epoca del bipolarismo i centri decisionali erano già fuori dall'Europa (a Washington e a Mosca) e, dunque, l'uscita dall'Unione europea non risolverebbe il problema. E ciò vale anche per la sovranità monetaria, che l'Italia aveva già perso nel 1981 a seguito dell'applicazione della famigerata circolare Andreatta. Uscire da quello che sembra un vicolo cieco è possibile. Assistiamo ad uno scollamento tra la sensibilità diffusa e la narrazione politicamente corretta imposta dal pensiero unico. I popoli si sono risvegliati, la parentesi del governo giallo-verde in Italia e la rivolta dei gilet gialli in Francia stanno a dimostrare che gli spazi politici si sono aperti e che una rinascita è possibile. Segni di risveglio si hanno in tutto il Sud America, nell'India del premier Modi, nel Giappone di Shinto Abe, ma anche in Africa grazie all'azione di anti-globalisti e sovranisti come Kemi Seba. La rivoluzione dei popoli oppressi dal turbocapitalismo globalista è matura. Aspetta solo nuove intellettualmente attrezzate classi dirigenti in grado di orientarla e guidarla, iniziando dalla battaglia delle idee e dalla conquista di spazi di visibilità politica sia locale che continentale. Giuseppe Marro

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MISERIA E NOBILTA’ DEL SOVRANISMO "Ognuno deve rendersi conto che le diverse nazionalità hanno un futuro solo se si collocano in termini federali nell'ambito dell'Unione Europea. Senza Europa gli staterelli europei sono destinati a essere succubi di tutte le tendenze culturali, economiche e scientifiche che si determineranno nell'ambito dei sovranismi". (Massimo Cacciari, Huffington Post, 7/9/2018). Il concetto espresso dal celebre intellettuale si configura come una grossolana sciocchezza: inquadra il sovranismo come fenomeno negativo e conferisce all'Unione Europea, a onta della sconvolgente realtà sotto gli occhi di tutti, quella dignità che evidentemente non ha mai meritato. La citazione, tuttavia, merita la ribalta proprio perché, stravolgendolo, consente di definire correttamente il fenomeno, partendo dalla questione terminologica, come sempre fondamentale. Oggi tutti si riempiono la bocca con il termine "sovranismo", parlandone a favore o contro: ma quanti sono coloro che ne conoscono la genesi, i presupposti e le prospettive? Il mantra più diffuso è quello che vede nel sovranismo la ribellione degli stati nazionali contro lo strapotere dell'Europa dei mercanti, ossia dell'Europa osannata da Cacciari e dai fautori di quella globalizzazione-glebalizzazione i cui disastri sono stati magistralmente trattati nello scorso numero di CONFINI. La definizione può definirsi sostanzialmente corretta ma presenta due incongruenze: lascia trasparire il sovranismo come "rimedio" contro un male e la sua estensione concettuale, un po' a causa di cattivi maestri con le idee confuse e un po' a causa della pigrizia intellettuale che tende a banalizzare anche complesse problematiche, è più pericolosa del male che s'intende combattere, tendendo a generare un sentimento antieuropeista "tout-court", che va ben oltre quello legittimamente tributato alle strutture comunitarie. Incominciamo con il precisare, pertanto, che il sovranismo ha una genesi autonoma, non subordinata a qualsivoglia distonia sociale, e rappresenta un elemento essenziale per la democrazia: non può esservi democrazia se non all'interno di uno stato sovrano, quale che sia la sua forma, nazionale o federale. Per quanto possa apparire banale, è appena il caso di ricordare che l'importanza della "sovranità", nel nostro paese, è addirittura sancita dal primo articolo della costituzione. E' pur vero che uno stato sovrano possa abiurare la democrazia, come più volte accaduto, ma quest'anomalia non può certo mettere in discussione il principio. Risulta paradossale e grottesco, pertanto, il tentativo delle classi dominanti di spaventare l'opinione pubblica paventando rigurgiti fascisti e la minaccia della pace qualora i movimenti


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sovranisti dovessero prevalere. Lo scopo, in effetti, è quello di imporre il loro "sovranismo", che di democratico non ha nulla. L'Unione Europea ha chiesto agli stati nazionali di cedere una quota di sovranità in cambio di maggiore benessere, sicurezza e pace, ma nella realtà dei fatti la si è trasferita alla Banca Centrale Europea e alle lobby finanziarie, che decidono della vita e della morte dei singoli paesi secondo quanto loro faccia più comodo: l'esempio della Grecia è ancora "caldo". Le guerre non sono certo mancate dalla caduta del muro di Berlino a oggi e ognuno è in grado di percepire il proprio livello di (in)sicurezza. Balle colossali, quindi, facilmente smontabili. Ancora più paradossale è l'esempio degli Stati Uniti, globalisti all'esterno e ipersovranisti al loro interno. I nemici del "sovranismo", di fatto, sono i fautori di un "sovranismo dittatoriale", nefasto, che ribalta l'ossatura di una moderna democrazia: sono gli enti privati che possono intervenire nella gestione dello stato, infatti, e non viceversa, soprattutto in presenza di giochi sporchi, ossia sempre. In ossequio all'assioma "too big to fail" occorre addirittura turarsi il naso per salvare banchieri ladri o concessionari di servizi pubblici criminali, che aggiungono, in tal modo, alle ricchezze accumulate in modo fraudolento quelle ricavate dagli interventi pubblici. Premiati per le loro malefatte invece di essere sbattuti in galera. La distinzione tra sovranismo buono e sovranismo dittatoriale o globalismo che dir si voglia, non si esaurisce, purtroppo, in quanto sopra esposto perché le differenziazioni sono ancora più complesse. Tra i critici del globalismo, infatti, vi sono sovranisti che guardano con simpatia, qualcuno in buona fede e altri con fini subdoli, a una sorta di neo keynesianismo che dovrebbe tutelare le classi deboli e "gli ultimi" dalla cinica protervia delle "classi dominanti". (Le parole - è bene ribadirlo fino alla nausea - sono importanti e pertanto non associamo mai il termine "élite", come spesso accade, a concetti ed elementi negativi). Anche questa formula è pericolosa, come ben dimostrano gli anni del dopoguerra in Italia, che hanno visto i partiti al potere depredare lo stato con ogni mezzo proprio grazie a formule di governo non tanto dissimili. Dove andare a sbattere, quindi? Di sicuro, rebus sic stantibus, andremo a sbattere contro un muro perché mancano le basi per un reale cambio di rotta. Oggi si naviga a vista, con limitatezza di vedute, senza adeguata preparazione e senza lungimiranza. Con questi presupposti i poteri forti hanno e avranno ancora facile gioco nel continuare a suonare impunemente la grancassa. Sono destinati a perdersi nel vento, pertanto, i suggerimenti che dovrebbero caratterizzare l'impegno comune di tutti i governanti europei: superamento "totale" dell'attuale Unione e realizzazione degli Stati Uniti d'Europa, che diventerebbero uno stato "federale e sovrano", munito di poteri tali da risultare inattaccabile sia dalle altre potenze del pianeta sia dai poteri forti e malati, che oggi spadroneggiano grazie al controllo delle strutture comunitarie. Uno stato federale in grado di cancellare il concetto mostruoso di "competitività" tra paesi che rispettano i diritti civili e paesi che sfruttano i lavoratori, producendo a costi irrisori e mettendo in difficoltà i primi.

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Uno stato federale che, magari, in economia, rispolverasse i princìpi di un sano corporativismo, in modo da ridurre il surplus di utile per le aziende a beneficio dei dipendenti, coinvolgendoli nella ripartizione e creando i presupposti non solo per una società più giusta ma anche più salda: il maggiore equilibrio economico farebbe bene a tutti perché crescerebbero i consumi e si ridurrebbe lo "stress da povertà", fonte di malattie e gravi disagi. Fantasie senza speranza di pratica attuazione? Ovviamente! Ma non stanchiamoci mai di riproporle, perché le altre strade saranno anche meno fantasiose, ma conducono tutte nello stesso posto: il baratro. Lino Lavorgna


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SE NON FOSSE PER IL PARTICOLARE... È vero. In altro articolo su questo numero ho trattato il 'sovranismo' come materiale di risulta. Non è che l'argomento non mi interessi ma lo ritengo uno sfizio mentale; l'oggetto di discussione di una serata davanti ad un caminetto, con un whisky in mano e una sigaretta tra le dita, con gli animi che si appassionano vagheggiando di chissà quale età dell'oro se tornassimo interamente padroni delle nostre scelte economiche e sociali, della nostra moneta e, quindi, del nostro destino. E, di rimando, con altri animi che si scaldano fantasticando sulle beltà dell'Unione, sulle sue sopite potenzialità, sulle sue virtù nascoste. Ma sì. Una discussione quasi da snob, tra gente che non ha grandi problemi per il futuro perché ha già dato e può permettersi il lusso di disquisire sui massimi sistemi, tanto domani il sole sorgerà ancora. Lo so: è una costatazione tutto sommato amara ma il dispiacere non è dato tanto dalle elucubrazioni mentali dei 'compagni di bevuta' quanto dalle illusioni della gente della strada che lotta ogni giorno, tutti i giorni, per mettere a tavola il pranzo e la cena, per comprare i vestiti ai figli, per mandarli a scuola e qualche giorno al mare. Mi dispiace per loro perché è bello (e persino salutare) sperare ma illudersi diventa distruttivo. E il bello è che non ho fatto una tirata alla Edmondo De Amicis perché rincoglionendomi con l'età mi commuovo ipocritamente per le condizioni di chi sta peggio di me bensì perché mi rendo conto che quella gente, umile e laboriosa, incazzata ma tenace, può divenire facile preda di cantastorie che parlano di 'sovranismo' solo ed esclusivamente perché, da pigri, mancano loro tematiche confacenti per cimentarsi e s'innamorano di un 'incubo', o perché ignorano la portata effettiva della meta che propongono o, peggio, perché adottano la strategia del tanto peggio tanto meglio. Inutile farla lunga. Il sovranismo nazionale, al di là di tante parole, significa uscire dall'Unione Europea. Qualcuno potrà dire che ho scoperto l'acqua calda, che sarebbe il modo per ritornare alla lira, per decidere in assoluta autonomia le politiche di bilancio, gli sforamenti, la dilatazione o la contrazione del deficit, gli aiuti di Stato all'economia e persino la svalutazione della moneta al fine di facilitare l'esportazione. Certo. E quel qualcuno non sbaglierebbe se il tutto potesse concretizzarsi sic et simpliciter, se con un colpo di bacchetta magica si potesse tornare al 1992, se non fossero passati ben ventisette anni dove un sistema, criticabile quanto si voglia, si è consolidato. Non mi affannerò a fare esempi sull'Italia. Basta osservare le traversie inglesi, in nulla lenite dalla originaria formula dell'opting out adottata al momento del varo dell'euro: in pratica, l'Inghilterra, pur stando (si fa per dire) nell'Unione, scelse di non adottare la moneta

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comune. Eppure, quando dal referendum del 2016 emerse la volontà popolare di 'uscire', per quel Paese sono iniziati dei seri guai. Caduto il governo Cameron non foss'altro che per la poca lungimiranza, il suo successore non ha avuto migliori fortune: dopo ben quattro tentativi per 'uscire' senza spargimenti di sangue dal vincolo unionista, dopo ben quattro bozze d'accordo tutte puntualmente bocciate dal parlamento, alla fine la May è stata costretta a cedere e a dimettersi. Il seguito è storia dell'oggi: Boris Johnson, dopo aver minacciato sfracelli e uscite senza accordo, è arrivato persino a provare a 'chiudere' il Parlamento per far passare il suo punto di vista. Ma per l'Alta Corte un tale gesto è sembrato un po' troppo. E mentre la politica si attorciglia intorno alle modalità dell'uscita, le maggiori industrie abbandonano il Paese per trasferirsi al di là della Manica. Tali eventi, è vero, non hanno ancora avuto particolari ripercussioni sul tasso occupazionale ma, come sappiamo, la tutela sociale nel Regno Unito non è neppure paragonabile al nostro welfare e al nostro impianto giuslavoristico; per cui, un lavoro a giornata si può dire che non si neghi a nessuno. Si consideri, tra l'altro, che la costituzione di una società in Inghilterra può avvenire on-line ed entra in funzione dopo neppure diciotto ore. Inoltre, gioca a favore un regime fiscale non particolarmente pesante: fino a circa 40.000 euro l'anno, le aliquote non vanno oltre il 20%. Quindi, la gente non muore di fame, vive male ma non muore di fame. Il fatto è che non ci sono prospettive di crescita: il Regno Unito ha finora rappresentato la prima destinazione europea degli investimenti diretti esteri ma un'uscita traumatica, senza accordo, è foriera di sconvolgenti temporali. La mitica City mi dicono sia abbastanza sguarnita e che quell'aria di potere sul mondo si si persa, insieme alle frotte di uomini in fumo di Londra, ombrello e cartella che andavano verso le postazioni di guida dell'Enterprise. Di colpo, la sterlina rispetto all'euro ha perso tra il 15 e il 20%; il che sarebbe un bene se l'Inghilterra esportasse ma, essendo principalmente un'importatrice, significa che sta pagando un quinto in più rispetto al 2016 le materie che le bisognano. Inoltre, con una svalutazione così alta, l'inflazione è alle porte e rappresenta ulteriore aggravio dei costi. La Borsa è un mare in tempesta per le drammatiche indecisioni della politica e lo spread rispetto al Bund tedesco, fermo a attorno ai 100 pb, si è innalzato a oltre 170 pb. In conseguenza, il rapporto debito/PIL, da poco più del 100%, secondo le previsioni è destinato a crescere, senza più alcuna protezione della BCE. In più, essendo il PIL formato per oltre i ¾ dal terziario e più specificatamente dal settore dei servizi, con il calo delle opportunità economiche c'è verso che cali la raccolta fiscale, chiudendo così il cerchio del cupo quadro. E tutto questo senza che l'Inghilterra sia formalmente uscita dall'Unione. Immaginiamo, solo per un attimo, quali problemi immani creerebbe ripristinare la lira, far fronte al nostro debito già oltre il 132%, non beneficiare delle protezioni BCE, perdere gli IED, assistere alla fuoriuscita di importanti aziende (pensiamo ad una Whirlpool moltiplicata per N), rimetter mano ad accordi commerciali con i restanti Paesi dell'Unione, combattere con i dazi americani e contenere inflazione e disoccupazione, già oggi superiore a quella inglese di oltre 7 punti. Non mi sembra un quadro entusiastico. Ma, per essere realisti più del re, non è detto che tali


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problemi non possano essere affrontati e, a esser buoni, tra una ventina d'anni sperare di esserne fuori. I menestrelli del 'sovranismo', tuttavia, dovrebbero anche aggiungere che, a volerlo fare, sarebbero almeno due decenni di lacrime e sangue che, peraltro, accelererebbero la concentrazione della 'ricchezza' che si produrrà (sempre meno) in sempre minori mani, se non fossero modificati gli strumenti di riparto. Ma c'è da temere che il modificarli accelererebbe la 'fuga' delle imprese. E questo, oltre al danno sarebbe una colossale beffa. Per cui, se volessimo parlare di 'sovranismo' lo dovremmo fare con cognizione di causa o senza usarlo come miglio per polli. Ora, c'è da dire che io non sia mai stata un'entusiasta cheerleader dell'attuale assetto europeo e mi sembra (almeno nella mia pochezza) di non aver risparmiato critiche all'agire dei 'reggitori' che si sono susseguiti nel tempo; almeno dal 1992 ad oggi. E credo che, altresì, i miei scritti su questa rivista stiano lì a dimostrarlo. Solo su un articolo di qualche anno fa, accecata dalla furia per l'ottusità di alcune posizioni sovranazionali, mi è venuto da auspicare lo sconquasso dell'attuale assetto. Ma, devo anche dire che il nostro direttore, liberale fino all'ennesima potenza, non ha per nulla censurato il mio scritto. Forse sapeva che mi sarei ripresa e che avrei proseguito, come ho fatto, nel contribuire nell'opera di critica auspicando, nel contempo, un'Europa diversa, più operativa, più solidale, più 'sovranista' è il caso di dire. Perché è proprio il 'sovranismo' europeo quello da sperare; una politica economica che rispetti le caratteristiche produttive degli Stati e le capitalizzi; una politica finanziaria che pur rispettando le libere circolazioni impedisca le incursioni dei raiders; una politica sociale che operi per colmare i profondi gaps sociali che separano Stati da Stati e condizioni di vita da condizioni di vita; una politica di difesa che ponga in sinergia uomini, mezzi e intelligences; una politica estera che eviti i 'solismi' a danno di altri, che abbia voce in capitolo nei conflitti che accadono vicino ai suoi confini, che si esprima con una sola voce nei pronunciamenti internazionali (ONU, WTO, ecc.); una politica culturale che faccia premio delle diversità tra gli Stati e sappia trarre da ciò un comune arricchimento. Questo desidero, in estrema sintesi, senza che ciò significhi minimamente ridurre le sedi di confronto e il dibattito ad ogni livello: interno ad ogni Stato e tra gli Stati nei luoghi deputati. Ma ciò che ulteriormente desidero è che l'Europa riesca ad esprimersi con una sola voce nel mondo. Già, il mondo. Perché, non c'è verso, l'unico vero baluardo alla globalizzazione e all'omologazione globale è puntare al 'sovranismo' europeo, appunto. L'unica vera difesa è fare massa critica che sappia costruttivamente confrontarsi con la pialla omologante. Un esempio concreto, tra tanti teorici, può bastare: le recenti decisioni del presidente della BCE Draghi sulla gestione dei tassi europei hanno fatto 'innervosire' e riconsiderare le scelte del tycoon americano sul dollaro il quale, certamente operando per il bene del suo Paese, nella sua disinvolta azione non tiene in benché minima considerazione, giusto o sbagliato che sia, gli effetti economici e sociali delle sue azioni sui restanti Paesi dell'intero globo terracqueo. Per inciso, sarebbe da auspicare analoga posizione sui dazi ma, purtroppo, non è competenza del prossimamente uscente presidente della Banca Centrale.

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Ecco ciò nel quale spero. Così come spero, per dirla tutta, che la sedicente 'destra' nel nostro Paese arrivi a considerare tutto questo e, anziché praticare una fumosa azione 'sovranista' nazionale, la concretizzi nell'ottica di un'Europa leader. E, analogamente, mi auguro che la sedicente 'sinistra', estremamente sensibile alle traversie dei migranti, ora che annovera il presidente del Parlamento europeo, il Commissario per gli Affari economici e monetari e sembra legata alla Presidente della Commissione Esecutiva da amorosi sensi, si batta per una politica europea equa circa l'ospitalità. Una politica senza demagogici atteggiamenti quali quelli che hanno visto la comandante Carola Rakete della Sea Wacth, recentemente audita dalla Commissione Libertà Civili dell'Europarlamento, da questa lungamente applaudita e, nonostante gli applausi, rampognata perché quando (la comandante) era 'impegnata a salvare vite umane' (e a ignorare altri porti durante il tragitto, a forzare il divieto di sbarco emanato da un Paese civile e democratico, a sfasciare un mezzo della Guardia Costiera) non ha 'visto nessun rappresentante delle Autorità europee'. Beh! Non è che questo mi meravigli molto: la 'nostra sinistra', pur di raggiungere suoi meschini scopi è sempre stata disposta anche a prendere pesci in faccia, anziché manifestare un minimo, solo un minimo, orgoglio nazionale. Mi auguro, inoltre, che l'Europa, nel suo 'sovranismo', mercé l'attivismo sia pur singhiozzante e 'partigiano' della 'nostra sinistra', possa esprimersi a favore di tutte le popolazioni sofferenti, a cominciare dai curdi. Non entro nel merito delle precedenti scelte americane di 'interrompere' la prima Guerra del Golfo contro Saddam e lasciare indisturbato il Rais a fare strame del popolo curdo; così come non entro nel merito (morale) di recenti scelte, sempre americane, di ritirarsi dalla Siria e di abbandonare i curdi dopo aver ricevuto da questi sostanziosi aiuti militari (e un alto contributo di sangue) nella lotta contro l'ISIS; così come non discuto l'ulteriore scelta americana di interporre quale forza cuscinetto quella turca, nemica giurata del popolo curdo che considera terroristi da eliminare. Forse gioca a favore della scelta la presenza di basi americane in quel Paese, sebbene sia singolare il fatto che a difenderle ci siano missili acquistati dai russi. Ma, tant'è. Ciò del quale, invece, vorrei che si discutesse in un'Europa 'sovrana' è la decisione di estromettere la Turchia (guidata dall'attuale presidente) dalla qualifica di candidata all'ingresso nell'Unione e di bloccare i fondi pre-adesione: ad oggi, ben 10,6 miliardi di euro. Diversamente, non sarebbe il 'sovranismo' ad emergere bensì il paradossale e l'ipocrisia. Infine, lasciatemi esprimere un auspicio senza essere accusata di blasfemia: vorrei, prima della mia dipartita, vedere un'Europa 'sovrana' anche per stemperare le sempre più sospinte gesuitiche uscite del Vaticano. E ciò proprio per ritenermi perfettamente allineata e coperta con l'esortazione del Santo Padre a non sovrapporre ideologia e fede; allo stesso modo, non andrebbe sovrapposto l'insegnamento dottrinario alla politica. Del resto, senza voler istruire alcuno, men che meno in quella sede, va dato a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Uniquique suum come la stessa catechesi insegna. Roberta Forte


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SOVRANISMO E CRESCITA INTERIORE Sarebbe surreale oggigiorno parlare di sovranismo, decantarlo e auspicarlo se lo si riferisce a un paese come il nostro dotato di una Costituzione che lo prevede nelle pieghe di ogni suo articolo. Eppure è un argomento all'ordine del giorno degli ultimi anni, auspicato da varie forze politiche in campagna elettorale, fino a smentirlo regolarmente una volta al potere; auspicato da forze extraparlamentari, una delle quali recentemente bannata dal principe dei social; auspicato da numerosi movimenti in via di formazione anche con idee politiche trasversali, ma unite su questo fronte; auspicato da una fetta sempre più consistente di popolazione, che nonostante la disinformazione del mainstream sta iniziando a capire, soprattutto alla luce degli ultimi rapidissimi stravolgimenti politici nostrani. Al contrario, contrastato in modo sempre più diretto e aggressivo dall'establishment intellettuale, artistico, mediatico, politico, economico e finanziario italiano, europeo e internazionale! A prescindere dalle posizioni, la situazione di cui sopra è un dato di fatto incontrovertibile, con uno scontro destinato ad acuirsi. I primi rigurgiti di sovranismo, in Italia, iniziarono a manifestarsi nel sottobosco politico nostrano con la crisi greca e con quello che è capitato poi a quello sventurato paese; le aree moderate di centro destra e di destra (per quello che era e ne è rimasto… della destra italiana), alimentavano queste "pulsioni" a favore di una ridiscussione di alcuni trattati e regolamenti in essere con l'Unione Europea. Le forze di opposizione invece il problema non se lo sono mai posto e, per una visione ideologica che preannunzia autentici disastri, non se lo porranno mai. Sappiamo bene tutti chi ha governato il paese dal 2011 in poi e sappiamo anche che l'unico governo politico di questi ultimi 8 anni è durato in carica solo 14 mesi; nonostante due schieramenti opposti e antitetici, è stato l'unico governo politico possibile per scongiurare l'ennesimo governo tecnico, di cui abbiamo tutti nefasta memoria. Siamo arrivati a oggi con un governo che, pur nato nel rispetto della Costituzione, non è nato, per l'ennesima volta, con il consenso dei cittadini. E se prima Lega e 5S erano antitetici, l'unione altrettanto forzosa fra PD e 5S, è solo apparentemente antitetica; se ne sono dette di cotte e di crude, è vero, ma, al netto di correnti interne ai 5S, sono più compatibili di quanto non si possa pensare, sul profilo ideologico e su quello del mantenimento del potere, che altrimenti, dati gli ultimi sondaggi, il popolo italiano non gli riconoscerebbe più.

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Tutto ciò premesso, secondo lo storico Christophe Le Dréau, l'associazione più antica che merita il nome di sovranista nasce in Francia con il Movimento per l'indipendenza dell'Europa, fondato nel 1968 da George Gorse, Robert Boulin, Pierre Messmer, Jacques Vendroux e Jean Foyer Pierre, in piena guerra fredda. In quel contesto aveva un senso, viste le forze nucleari contrapposte da cui l'Europa era circondata, con basi Nato al suo stesso interno, ma l'avrebbe ancor di più oggi, visto che l'Unione Europea non è stata per niente fondata su una piattaforma politica, sociale, fiscale e militare, prima ancora che economica. Questo cosa significa? Che si è deciso ed è stato purtroppo sottoscritto dagli stessi Stati Membri che l'economia sta alla politica come Golia sta a Davide. Il bandolo della matassa sta tutto in questa dicotomia: i mercati al di sopra dei popoli, e, con la tragica esperienza greca, i mercati CONTRO i popoli. Nel primo caso, se si fosse voluto, quel progetto di "Movimento per l'indipendenza dell'Europa" di ideazione francese, si sarebbe già avviato a guerra fredda terminata, magari oggi non sarebbe del tutto concluso, ma sulla buona strada per concludersi. La ciliegina sulla torta, una volta unificata l'Europa sul profilo politico, sarebbe stata l'unificazione della moneta, come atto conclusivo del ciclo. Del resto, chi erano i duellanti dell'epoca? Unione Sovietica e Stati Uniti di America: erano duellanti "politici", democrazia contro comunismo; e il comunismo perse per poi implodere sotto Gorbaciov. Chi sono i due duellanti di oggi? Cina e Stati Uniti d'America; non più duellanti politici, ma economici; si, ma… che differenza fa ? Qualcuno pensa che le guerre economiche non creino danni tremendi? La Cina che proprio nei giorni scorsi ha evidenziato con una sfilata militare mai vista uno strapotere militare assoluto; che ha già costruito intere città in Africa, da riempire non di africani, ma di cinesi che andranno a lavorare in Africa; che è già pronta a scalzare il Franco CFA nei 13 stati africani a controllo francese (350 milioni di persone!) ? O che è già pronta con il 5G Huawei a infiltrarsi nella sicurezza nazionale statunitense e nella Nato, di cui facciamo parte anche noi. Gli Stati Uniti d'America, che hanno interessi contrapposti alla Cina e che hanno appena imposto all'intera UE una serie di dazi a tutela del made in USA, a ulteriore danno poi della nostra già disastrata economia, che si regge sulle poche eccellenze che non sono state ancora svendute. Chi vincerà fra i due? Sicuramente perderà l'Europa, che non poteva e non può illudersi di confrontarsi con due mostri del genere solo con un pezzo di carta che si chiama Euro. Quali ulteriori deterrenti sennò per bilanciare lo scontro in atto? Io credo nessuno. E adesso arrivo al Sovranismo. Fallito il Movimento per l'indipendenza dell'Europa del 1968; sulla strada del fallimento questa Unione Europea per tutti i motivi suesposti, quale altra via di fuga si può ipotizzare perché il nostro paese tenti di uscire da una morsa che si sta rivelando mortale, con una UE schiacciata fra Cina e USA e con l'Italia che vale per l'UE solo se ha i conti in ordine!


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1. La prima soluzione. Rinegoziare i trattati europei che non ci stanno bene. Purtroppo, pur avendoci creduto a lungo, me lo sento dire da tanti di quegli anni che credo che morirò di cause naturali nel continuare a sentirmelo dire. Ma perché, chiedo, noi saremmo nelle condizioni di poter trattare qualcosa con l'UE? E a prescindere da tutto, modificare i trattati comporta un iter complesso, sicuramente ordinario e non semplificato (come prevede il regolamento) e sempre vincolato a uno scoglio finale: la ratifica di tutti gli stati membri. Basterebbe l'opposizione di un solo paese per rimandare o bloccare del tutto le modifiche. E infine, pur volendo e potendo, tolto Bettino Craxi, abbiamo per caso avuto altri Statisti al suo livello? O altri governi realmente orientati in tal senso con maggioranze parlamentari schiaccianti ? La stessa Brexit, per esempio e per come sta andando, è la dimostrazione pratica che con l'UE, strutturata con le maggioranze della precedente legislazione e con quelle attuali, non si tratta: con la Commissione tutti i ragionamenti si fanno su base economica, mai politica. Sei debole? Non ce ne frega niente: muto, pagaci debito e interessi, pedala e non ti permettere di sforare dal 2% (nemmeno il 3% come previsto) dal rapporto debito/Pil, sennò ti mandiamo la Troika in Parlamento. Cosi funziona e così ha funzionato con la Grecia. 2. La seconda soluzione. Portare il Sovranismo (non più edulcorato) a forza politica trasversale agli schieramenti attuali. Soprattutto ora, con questo repentino e tragico stravolgimento degli asset di potere in Italia, credo che lo spazio politico e quindi elettorale ci sia e si stia formando. Ma per lo sviluppo di questa ipotesi, bisogna partire da un assunto, senza il quale il termine sovranismo rischia di cadere in una suggestione o in un luogo comune, visto che sono anni che audacia temeraria igiene spirituale sento parlare di Italexit , No Euro, fuori dall'Unione Europea, riprendiamoci la nostra sovranità monetaria ecc.ecc. Rivendicazioni, alla luce della situazione di fatto, assolutamente legittime. Ma non bastano più gli slogan e non basta più il pressapochismo politico e progettuale per una operazione del genere. L'assunto di cui parlo è che bisogna ammettere che abbiamo a che fare con oligarchie sovranazionali potenti, organizzate, efficienti, padrone assolute dei mercati e dell'informazione, che sovrastano la stessa Unione Europea. Se non si parte da qui nulla di quello che continuerò a scrivere avrà un senso. Mi riferisco nello specifico a un nucleo molto ristretto di circa 50 società, quasi tutti banche, gruppi finanziari e assicurativi, che impiegano a vari livelli non più di un migliaio di persone. A cui si associano i collaborazionisti dell'informazione dominante, intellettuali, scrittori, narratori e registi. Questa oligarchia quindi c'è, ha una sua filosofia, una visione del mondo molto precisa, di cui il neoliberismo è soltanto l'attuazione politico-economica, ma dietro questo c'è una precisa antropologia, cioè una visione dell'uomo e del mondo meccanicistica, materialistica, riduzionistica, ove la materia è risorsa da saccheggiare, l'uomo è merce e l'individuo è un'entità da separare "istituzionalmente" dalla sua anima, dalla sua cultura e dalla sua coscienza. Dato per imprescindibile questo assunto, si tratta di elaborare (cosa non facile) un pensiero alternativo che parta proprio dall'antropologia, da chi siamo e da come siamo destinati ad essere su questa terra nell'immediato futuro .

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Noi ci troviamo in un momento della storia del pianeta in cui queste domande ce le dobbiamo assolutamente porre se poi vogliamo fare un progetto politico, che non potrà mai funzionare solo su un piano economico, visto che è proprio il neoliberismo che fa di una certa idea dell'economia la teologia, il linguaggio dominante, unico, sul quale poi l'oligarchia è molto brava ad organizzare i suoi esperti, le sue università, i suoi giornali, i suoi talk show. Quindi si tratta di denunziare con grande sapienza e cognizione di causa le modalità con cui l'oligarchia mondiale controlla il potere non solo finanziario, ma la stessa democrazia, la comunicazione, la cultura, svuotandole di qualunque senso. Per poi, accanto alla denuncia, dare il via in maniera altrettanto forte ed elaborata a un'altra lingua, fondamento essenziale di una rivoluzione culturale che si impone come spartiacque fra l'uomo e l'ectoplasma che siamo destinati a divenire e che in parte già siamo (e qui mi riferisco alle giovani generazioni). Chi rifiuta questo ragionamento, è di fatto, concretamente o solo culturalmente, un collaborazionista di un sistema suicidario (più precisamente di un capitalismo suicidario, come lo definì Ulrich Beck, uno dei maggiori sociologi della seconda metà del 900.) Insomma, un cammino alternativo, un'altra visione dell'umanità, un'altra politica e un'altra politica economica sono assolutamente possibili e sono più che necessari oggi! E qui veniamo al primo scoglio: il superamento delle ideologie. Lo slogan dominante di questo periodo parla di "idee di sinistra e valori di destra". Questo concetto nuovo e per certi versi suggestivo impone di uscire dalle proprie roccaforti mentali per trovarsi tutti in un terreno neutrale, ove imparare a coltivare il seme dell'equilibrio e del buon senso, consapevoli di non poter condividere tutto, ma altrettanto consapevoli che le divisioni ideologiche DIVIDONO, e quindi rendendo ingovernabili i popoli, come è sempre stato in Italia negli ultimi 70 anni. Un percorso del genere, tanto politico-rivoluzionario quanto interiore durerà decenni e presuppone a fattor comune doti di umiltà, buona fede e rispetto. Un nuovo umanesimo, quindi, che nulla ha a che vedere con quel vecchio umanesimo che mise al rogo Giordano Bruno. Un'altra cosa, altre prospettive, altri obiettivi. Una rivoluzione politico democratica non più disgiunta da una rivoluzione interiore progressiva e continua. Un salto quantico della coscienza umana, a cui ci sta spingendo anche la pressione ambientale connessa con i cambiamenti climatici. Fermo restando, però, che le nazioni esistono ed esistono in quanto corpi storici; la loro identità non è e non deve mai essere messa in discussione, perché essa è una elaborazione dello spirito attraverso secoli di storia, di lotte e di sangue; oggi, tuttavia, non sono e non possono più essere entità chiuse le une contro le altre. All'identità nazionale quindi va esteso un altro concetto, che si chiama identità relazionale. Non è un'utopia, ci si deve arrivare a qualsiasi costo. Secondo scoglio: la comunicazione. Il problema principale è che le persone tendono a credere a tutto quello che il mainstream dice e fa vedere. Contemporaneamente, vuoi perché non si ha tempo, vuoi perché si usano male i social o non li si usano per niente, vuoi per diffidenza aprioristica verso quei perfetti sconosciuti del web, che tanto sconosciuti poi non sono vedendo i loro curriculum, non si pongono il problema che vengono poi distratte, plagiate, circuite, disinformate, usate.


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Ed essendo il mainstream al servizio esclusivo delle oligarchie, quale altro modo di comunicare e diffondere contenuti diversi dall'ordinaria omologazione? Con quale impegno, con quale coordinamento, con quali e quante risorse? Il modo è il Web, naturalmente, interpretato come nuova forma di carboneria, quindi organizzata, coordinata, autofinanziata, diffusiva su tutte le principali piattaforme social, capillare e martellante. Non per organizzare chissà quale stravolgimento, ma semplicemente per informare, dimostrare, e documentare. Le risorse? Il web, tolta la creazione e l'aggiornamento dei siti internet, è praticamente a costo zero. Il vero problema è la MILITANZA, ma , se si è arrivati a leggere fin qui, si comprenderà anche che se non si è disposti a metterci del proprio, faremo bene tutti a rassegnarci a farci omologare più di quanto non lo siamo già. Ci si abitua a tutto nella vita, anche a vivere in eterno nella caverna di Platone, dove l'abitudine non te lo fa nemmeno porre il problema della tua libertà, visto che non sai nemmeno di averne il diritto. Terzo scoglio: la politica. In democrazia, la politica, da sempre, cavalca l'opinione pubblica che ha. Chi crea la domanda in politica? Un popolo di imbecilli? Avremo politici imbecilli! Avremo un popolo via via più consapevole, sempre più presente nelle piazze con le proprie istanze? Il popolo, non una parte politica, non i centri sociali, non elementi destabilizzanti e violenti. Il popolo! Avremo certamente politici più attenti. Diversamente non avrebbero più nemmeno un lavoro. Oggi non c'è bisogno di qualunquisti al potere , ma di eccellenze al potere. Può anche succedere che emerga un leader autentico, perfettamente allineato con l'esigenza di questo nuovo "umanesimo" del 21° secolo, ammesso e non concesso che decolli. Sarebbe un miracolo! Certamente questo leader non potrà e non dovrà più parlare alla pancia della gente, come si fa adesso, perché non verrebbe più compreso; non potrà e non dovrà più parlare per ossimori, perché questa perversa tecnica di comunicazione è stata ormai sgamata e chi non se ne è ancora avveduto, farebbe bene a documentarsi, per ascoltare e valutare come castronerie il 90% delle cose che ci vengono dette. Ma le masse, si sa, per quanto "illuminate", non si muovono spontaneamente da sole, e quindi ci vuole la direzione politica di una forza dirompente e a forte trazione popolare. Con quali obiettivi? Andare nei territori, entrare nei comuni, nelle province, nelle regioni, in Parlamento e… al governo del Paese. Con quale strategia? Creare le condizioni di uscita unilaterale da questa gabbia mortale, di cui l'Euro e la stessa Unione Europea, sono solo meri strumenti esecutivi. E' il mio pensiero, l'ho motivato, sarà discutibile, ma ci credo. La scelta sarà fra il rimanere in questa gabbia, con quello che sarà dei nostri bambini, dei nostri nipoti, della società stessa, dello spirito, della cultura, delle tradizioni, degli usi, dei costumi, dei dialetti, della religione, del nostro spirito e della nostra storia. Oppure prendersi il mano il proprio destino, e quindi le proprie responsabilità, sapendo bene che questo processo non sarà indolore e non sarà breve. Come comportarsi con le superpotenze mondiali con cui doversi confrontare? Imparare ad ignorarle!

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Anch'esse, oltre alle oligarchie europee imperanti, sono quelle che vogliono imporci neoliberismo e capitalismo come uniche religioni possibili. Ma c'è un mondo intero con cui relazionarsi, non solo Stati Uniti e Cina. Il nostro debito pubblico all'interno dell'UE? E' falso e costruito sulla menzogna. Ci si deve documentare bene per comprendere a fondo questa colossale menzogna. Processo lungo e doloroso quindi: ma sarà necessario, perché l'Italia possa aprirsi al mondo a modo suo, con le sue regole, con le sue leggi, con le sue capacità industriali, agricole, manifatturiere, con il suo know how, con i suoi ricercatori, con le sue eccellenze e… dulcis in fundo, con la sua moneta, che non a caso ho messo per ultimo, perché la moneta per uno stato realmente Nazionale è solo un pezzo di carta. Liberi, indipendenti, uniti e solidali: finalmente Italiani ! Giuseppe Iacono 11 ottobre 2019


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LA BOLLA SOVRANISTA Sovranismo. Destra Sovranista. Restando nel perimetro della nostra nazione è un termine che vuole associarsi ad una categoria politica, non esiste infatti un sovranismo di sinistra in Italia ed oggi la destra italiana sembra voglia riaggregarsi attorno a tale termine per darsi una specificazione chiara. E' qui che però si incontrano i primi ostacoli. Nel sentire comune essere sovranisti significa "sentirsi (essere) padroni a casa propria", una semplificazione efficace di quelle che sono le politiche anti-immigrazione ed anti-europee che i principali partiti di destra italiani (la Lega e Fratelli d'Italia) propagandano attraverso i media per trovare consenso. Niente che però possa essere ritenuto pertinente ad una visione di società che un partito politico debba possedere. La visione di un'Italia slegata dalle dinamiche europee non è prevista se non in maniera forzata al punto tale che alcune proposte (su cui tornerò) risultano lacunose, ed al tempo stesso non vi è un approccio risolutivo al problema migratorio se non nella facoltà di uno stato sovrano di accogliere chi voglia o meno. Verrebbe quindi da dire che il sovranismo (più che un'idea) è un moto di protesta nato dall'impoverimento della classe media italiana dopo la crisi economica del 2008 che l'Europa rigorista ha accentuato e dall'incapacità del nostro paese di governare i flussi migratori (che sono aumentati nello stesso periodo) e di cui alcuni partiti politici si sono fatti portabandiera per attrarre consenso. Non è un caso infatti che oggi i due partiti citati, stando ai sondaggi e con l'attuale legge elettorale, potrebbero costituire tranquillamente una maggioranza parlamentare autonoma. Da questa prospettiva non esiste quindi una destra sovranista ma una destra che ha fatto proprio il sentimento di protesta di un elettorato che vuole per l'appunto una classe politica di riferimento come unico interlocutore e che prenda decisioni politiche conseguenti al disagio espresso. Tenendo conto del fatto che il nostro è indubbiamente il secolo dell'interconnessione si può tranquillamente parlare di utopia sovranista, non è possibile oggi infatti gestire al meglio una comunità di persone se non si stabiliscono relazioni con le comunità che sono oltre il nostro raggio d'azione: e questo vale sia per la politica, sia per i commerci che per tutto ciò che può avere rilevanza in ambito transnazionale. Qui cade un altro velo. Se riconduciamo il sovranismo ad un fenomeno politico che nasce sì da un sentimento popolare ma che vuole darsi una configurazione più chiara, non essere un'utopia effimera, ecco che il problema di chi ha voluto sposare questa causa diventa quello della collocazione geopolitica che un partito di tale specie dovrà assumere. E' qui che avviene "la

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saldatura" tra il nuovo corso della destra italiana ed il sovranismo; e la cosa è tanto più concreta se pensiamo che lo stesso termine sovranismo (per l'Italia) nasce da questa saldatura. In effetti si è cominciato a parlare di sovranismo italiano solo dopo che con lo stesso termine si fosse già definita la destra repubblicana trumpiana. I più malevoli potrebbero immediatamente collegare questo ad una semplificazione di quell'antico provincialismo italico che sembra non abbandonarci mai, ma questo non può che spiegare solo in parte l'utilizzo di uno stesso termine per due realtà complesse e comunque molto diverse. L'impressione è che le politiche di Salvini abbiano voluto importare qui da noi consuetudini (vedi legge sulla legittima difesa) e posizioni geopolitiche (vedi dichiarazioni dello stesso Salvini dopo il viaggio in Israele sulla questione palestinese e riguardo all'Iran) con l'obiettivo primario di trovare uno sponda d'oltreoceano alle istanze italiane più sentite dal nostro popolo. I muri di Trump giustificano la chiusura dei porti ed il sentimento antieuropeo del nostro paese è accolto col massimo favore da Trump perché interloquire singolarmente con Italia, Francia, Germania o con ogni altro paese europeo pone sempre e comunque il presidente americano in una posizione di forza rispetto a quella che avrebbe se vi fosse un'interlocuzione unica con l'Europa. La leva dei dazi sulla quale lo stesso Trump agisce per migliorare i dati economici USA riceverebbe un duro colpo in quanto all'orizzonte si profilerebbe un nuovo grande competitor del quale tenere effettivamente conto, più della Cina o della Russia, in quanto certe politiche "aggressive" sarebbero certamente meno giustificabili se rivolte ai propri alleati storici. L'interesse americano sulle politiche dei singoli paesi europei è quindi notevole e ciò si manifesta anche nella disponibilità degli USA di mettere a disposizione dei partiti sovranisti del continente le tecniche comunicative e gli strumenti più efficaci per attrarre ancora più consenso. Non è quindi un caso che Steve Bannon venisse accolto col massimo riguardo dalla Meloni (vedi Atreju 2018). Quel che dunque accade è una convergenza di interessi differenti, ciò che stona invece è che una nazione che voglia definirsi sovrana, per giungere ad esserlo, debba riconoscere l'egemonia di un'altra nazione fino al punto limite di importare un atteggiamento culturale che non è il nostro. La risultante è che dall'utopia sovranista si è passati direttamente all'inganno sovranista. Non resta quindi che allargare ancora il campo e puntare direttamente alla semantica di questo termine senza ricondurlo ad una specifica realtà. In linea di massima il sovranismo, essere sovranisti rappresenta una legittima rivendicazione di chi ritiene che tutte le decisioni politiche debbano essere prese in ambito nazionale, ed in opposizione a ciò che voglia essere imposto in ambito internazionale o sovranazionale. Non è un caso che la battaglia di Trump è spiegata come un'opposizione al sistema globalista che muove la finanza mondiale e di cui gli stessi USA si sentono vittima. O che la battaglia di Salvini e della Meloni è spiegata come un'opposizione al sistema burocratico europeo sorretto dalla Germania, dalla Francia e dai loro sodali. Sovranismo dunque come dottrina anti-sistema. In definitiva quindi il sovranismo nasce da un'utopia (dal sentimento di un popolo che per affrancarsi dalle iniquità che produce una realtà interconnessa cerca di porsi in modo autoreferenziale in un mondo dove non è possibile esserlo), che si sviluppa in un'inganno (essere


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sovrani comporta il divenire sudditi di qualcun altro) e che trova il suo piano di sostegno nel proporsi come realtà anti-sistema e facendo assurgere da questa, infine, una dottrina che dovrebbe riconfigurare i partiti di destra. Il cerchio si chiude. Un fardello notevole per la destra italiana, che solo una concatenazione di specifici eventi e il disinvolto uso che ne ha fatto qualche mente più consapevole potevano gettare le basi e creare le condizioni del prodursi di un fenomeno politico così strutturato. Visivamente (o se preferite, metaforicamente) possiamo raffigurare il sovranismo come una bolla, ben definita ma sostanzialmente fragile, il cui esito sul medio termine appare piuttosto scontato. Quel che non è possibile prevedere sono le conseguenze di ciò che avverrà quando questa bolla raggiungerà il suo stato di massima espansione. Potrebbe succedere che il sovranismo si sgonfierà segnando il passo a qualcosa di diverso, oppure, cosa non auspicabile, esploderà generando conflitti non ancora preventivabili allo stato degli eventi attuali. Quel che è certo è che la tradizione storica, culturale, identitaria della destra italiana non è assimilabile ad un fenomeno politico che solo per assonanza di certi termini può risultare affine. La questione migratoria va governata, sia da un punto di vista d'ordine pubblico nazionale che d'integrazione di chi resterà con noi, sia rimuovendo (contribuendo a rimuovere) le cause che portano allo spostamento di flussi migratori verso il nostro continente, e ciò rientra sia nella discussione riguardo alla stabilizzazione dei territori in cui sono presenti contenziosi politici, sia riguardo a problematiche ambientali (questa volta globali) che da politiche di sviluppo per quei paesi da dove provengono il maggior numero di migranti. Tutto questo può essere ad appannaggio della destra italiana ma difficilmente può esserlo per una destra sovranista. Altro capitolo rilevante è quello della collocazione dell'Italia in Europa. La Meloni suggerisce un Confederazione di stati europei che cooperano sulle questioni di interesse comune, questa è a suo dire la soluzione per tornare ad essere sovrani nella propria nazione. In realtà l'adesione ai famigerati Trattati dell'UE è avvenuta solo dopo che c'è stata (anche) una ratifica da parte di ogni paese membro, tutto questo non ci è stato imposto e prelude proprio ad una cooperazione tra i paesi membri. Ovvio però che ogni Trattato deve essere vincolante, altrimenti accadrebbe che ogni nazione se ne possa svincolare per proprio interesse ed a danno delle altre. Se aggiungiamo a questo il fatto che l'organo più importante dell'UE (quello che prende le decisioni più importanti) è il Consiglio Europeo, ed è composto oltre che dal Presidente della Commissione Europea, dai Capi di Stato (o Premier) delle nazioni aderenti possiamo dire che l'attuale assetto dell'UE più si avvicina ad una Confederazione di Stati che ad una Nazione Federale. Non è un caso infatti che non esistono regole comuni su tante questioni rilevanti e che il Parlamento Europeo ha un peso che potremmo definire marginale. Aggiungendo poi a questo che il superamento dei Trattati vigenti implica che i paesi membri si esprimano all'unanimità, ecco che si generano situazioni di stallo, come ad esempio avviene per il Trattato di Dublino dove sono proprio le nazioni sovraniste che impediscono all'Europa di migliorare le regole attuali. Ed è emblematico perché questa è una di quelle questioni che ci toccano da vicino. In realtà il processo di costruzione non avanza nella direzione dell'Europa dei Popoli perché il

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concetto di nazione diventa preponderante sul concetto di patria, ed appellandoci a quest'ultima rappresentazione possiamo dire che finché, a partire da chi ci vive, non "sente" l'Europa come la propria patria ecco che ogni nazione in nome del proprio sovranismo non permetterà mai una reale integrazione su tutte le questioni aperte (in questo caso il sovranismo è soprattutto di chi non si professa tale, alludiamo in primis a Germania e Francia e poi a tutte le altre nazioni). L'Europa dunque può realizzarsi solo a partire da una rivoluzione culturale che successivamente può indirizzare l'azione politica di ogni paese aderente al progetto europeo. Ciò che non si comprende a sufficienza è che l'identità culturale, storica, di usi e tradizioni restano intatte anche all'interno di un'Europa nazione (basta fare riferimento alla Carta di Nizza) ma con l'evidente vantaggio di avere un peso geopolitico notevole, questo a beneficio di chiunque viva in una nuova nazione siffatta. Diciamo in conclusione che destra e sovranismo possono assimilarsi su certi aspetti, ma possono discostarsi notevolmente su altri. Per certe battaglie e pensiamo ad esempio a regole elettorali che possano andare nella direzione di far scegliere ai cittadini l'inquilino di Palazzo Chigi, o per una riforma di stampo Presidenziale queste due possono assimilarsi ma i concetti sovranisti non possono mai sostituirsi ad una visione di ampio respiro che un partito politico autenticamente di destra deve possedere e che gli attuali partiti sovranisti dell'anti qualcosa non possiedono nel loro racconto. Il mio auspicio è che la destra italiana nel ritrovarsi sotto le insegne sovraniste possa giungere rapidamente ad un superamento di questo nell'interesse collettivo. In tutto ciò credo che Giorgia Meloni abbia un'occasione irripetibile (sia per lei che per la destra italiana). Ma occorrerà lavorarci tanto senza aver paura di effettuare delle necessarie virate, viceversa avverrà che saranno gli eventi futuri a decidere. Alfredo Lancellotti


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IL RISCHIO C’E’ Non è mio costume ma qui ci vuole un'espressione da angiporto: La puttanaccia boia! Dove accidenti li hanno trovati questi? Davvero ci può essere qualcuno tanto stolto da credere di aver ragione se afferma che ogni volta io debba fare un prelievo in contanti dei miei, sottolineo miei, soldi semplicemente depositati in banca per evitare di scavare sotto il mattone, debba pagare una tassa? Non conta che per guadagnarli abbia già pagato uno sproposito? Che ogni volta che li abbia impiegati ho pagato la tassa sull'acquisto? Che semplicemente per tenerli in un conto debba pagare una tassa sugli infinitesimali interessi che producono, annullati dalle spese di gestione (sic), mentre la banca che li detiene li usa a proprio piacimento? Che, anzi, se quest'ultime stanno in difficoltà per disinvolte operazioni nel tempo, nel lungo tempo, senza che l'Istituto preposto alla loro sorveglianza abbia osato dire né ahi, né bai, io debba pagare, sia pur indirettamente stavolta, per mantenerle in vita? Ed ora, semplicemente perché, visto l'aggio, non c'è bar che accetti la credit card per un caffè, o un tabaccaio per un biglietto dell'autobus, o un giornalaio per un giornale, o il verduraio per le bietole, io dovrei pagare una tassa ulteriore se ho necessità di contante? Qui siamo davvero alla perdita del capo. E tutto perché? Dobbiamo lottare contro l'evasione? Ma di chi? Del giornalaio? Del verduraio? Del bar? E c'è qualcuno che crede che i problemi del Paese risiedano veramente nell'evasione dell'ortolano? I tanto decantati oltre cento miliardi stimati di evasione c'è sul serio qualche malcapitato che pensi che si siano determinati perché il giornalaio ha evaso sulle figurine? Forse nessuno degli attuali 'illuminati' reggitori dello Stato ha letto il recente rapporto della CGIA di Mestre dove è affermato, senza mezzi termini, che l'entità dell'evasione fiscale contestata alle grandi imprese nel 2018 è stata 16 volte superiore a quella delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi (nel 2017 era stata pari a 18). Il coordinatore dell'Ufficio studi degli Artigiani di Mestre Paolo Zabeo, nel sottolineare che lo scorso anno la maggiore imposta media accertata dall'Agenzia delle Entrate per la piccola impresa è stata di 63.606 euro mentre quella per la grande impresa è stata di oltre un milione di euro. Ovviamente, cicero pro domo sua ma "Questi dati - afferma il coordinatore - ci dicono che la potenziale dimensione dell'infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quella delle piccole. Ovviamente, nessuno di noi auspica che il Paese si trasformi in uno Stato di polizia tributaria; tuttavia, una maggiore attenzione verso questi soggetti sarebbe auspicabile, visto che le modalità di evasione delle holding non è ascrivibile alla mancata emissione di

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scontrini o ricevute, bensì al ricorso alle frodi doganali, alle frodi carosello, alle operazioni estero 1 su estero e alle compensazioni indebite." . Quindi, basta con le puttanate. Mi si rivolta lo stomaco. Perché, inoltre, non si ha il coraggio di affermare che, almeno tempo addietro, la lotta all'evasione sbandierata ai quattro venti da oltre trent'anni non è andata più in là della semplice enunciazione? La media delle visite della 'finanza' ad una azienda era di una ogni 14,5 anni; di che mandare in prescrizione quasi tre lustri di amministrazione. Lo so, lo so. Gli organici delle fiamme gialle erano sotto tono; così ingenti capitali, grandi al punto da rasentare, nel loro ammontare, plurime, pesanti manovre finanziarie dello Stato, hanno preso la via dei paradisi fiscali. E quando lo Stato ha avuto necessità di far cassa, dimenticando, si fa per dire, che i soldi depositati nei forzieri di compiacenti istituti di credito all'estero erano frutto di evasione, li ha 'scudati': nel senso che ha 'pregato' i grandi evasori di riportare in Italia il loro 'evaso' semplicemente pagando una piccola tassa, il 5%, comprensivo di imposte, interessi e sanzioni. Si pensi. Soldi di qualsivoglia provenienza automaticamente 'puliti' e praticamente esentasse. Il 5% fa ridere. Ora non voglio nascondere la testa sotto la sabbia e far finta di non sapere che anche all'estero il cosiddetto scudo fiscale è stato posto in essere. Tuttavia, in Francia, Regno Unito e Stati Uniti, non era mai stato garantito l'anonimato degli evasori, come principio legato al concetto di perdono. Agli evasori è sempre stato richiesto di dichiarare la propria identità, l'ammontare della propria evasione, e di pagare le tasse arretrate con gli interessi, ricevendo in cambio la decadenza delle conseguenze penali ed uno sconto sulle sanzioni. Peraltro, quei governi hanno utilizzato gli 'scudi fiscali' per comprendere tutti i meccanismi di evasione utilizzati. La situazione nostrana, invece, mi ricorda la barzelletta dell'inferno tedesco e di quello italiano dove in quest'ultimo mancava sempre il forcone per punzecchiare i dannati e la 'cacca' dove affogarli. I proprietari dei soldi 'rientrati' nel suolo patrio, per legge, sono stati coperti dall'assoluto anonimato e, al colmo dell'ironia, la circolare dell'Agenzia delle Entrate recita: "… il regime di riservatezza si applica anche ai redditi di capitale derivanti dal denaro e dalle attività finanziarie rimpatriate, realizzate anche successivamente al perfezionamento dell'operazione di emersione.". Alla faccia. Neanche a dirlo, lo 'scudo' ha coperto reati penali quali omessa e infedele dichiarazione dei redditi, dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, falsa rappresentazione di scritture contabili obbligatorie, occultamento o distruzione di documenti, false comunicazioni sociali, falsità materiale, falsità ideologica in atto pubblico, falsità nelle scritture private e soppressione e occultamento di atti. Per non parlare dello stravolgimento delle norme antiriciclaggio. Alla strafaccia. Beh! Qualcuno, a questo punto, potrà cominciare a sogghignare ricordando che l'autore di una così 'felice' azione a vantaggio degli evasori, esportatori di capitali, è stato il governo Berlusconi, il IV per l'esattezza. Già, verrebbe anche a me da sogghignare ma pochi sanno che il provvedimento è passato con 20 voti di scarto, grazie all'assenza di 30 parlamentari dell'opposizione (23 del PD, 6 dell'UDC e 1 dell'IDV).2 Le stime iniziali di 'rientro' annunciavano oltre 300 miliardi di euro con un 'beneficio' sulle


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entrate per circa 3,5 miliardi di euro. In realtà, furono 3,7 dei quali, invece di essere totalmente destinati a fini sociali e di promozione economica, un terzo venne destinato al finanziamento delle missioni internazionali e ai destinatari del '5 per mille'. Questo, tra l'altro, significa che quell'allegro 'condono non è stato di alcun insegnamento, visto che per esplicita dichiarazione governativa l'ammontare dell'evaso è tornato a vette da capogiro. Ma ancora non basta. Le cronache degli ultimi 15 anni hanno sbandierato sui mass-media i nomi più prestigiosi dello sport e dell'imprenditoria bollandoli come 'evasori', presenti o meno nella fantomatica 'lista Falciani' ovvero la 'Swissleaks'. Le fiamme gialle hanno fatto il loro lavoro. Ma a leggere le ulteriori cronache che si sono succedute nel tempo relative a quegli stessi nomi si scopre che per l'ammontare dell'evaso accertato è intervenuta una transazione. Non sono una giustizialista tout court ma superando un dato importo evaso non c'è l'arresto? Così, evasori illustri, almeno a detta dei sistemi d'informazione, versando una piccola parte del dovuto hanno chiuso la loro posizione debitoria nei confronti dell'erario. Non parliamo poi delle società gestrici del gioco, slot e on-line. Senza entrare in merito ai tecnicismi, basti sapere, per le prime, che ogni 'macchinetta' avrebbe dovuto essere collegata telematicamente ad una 'centrale' così da conteggiare l'introito, quindi l'imponibile, e la relativa parte in tasse a carico di ognuna delle sei società che gestiscono il tale gioco. Si è recentemente scoperto ad anni di distanza che solamente alcune erano 'collegate', generando perciò un'evasione da paura. Almeno stando sempre ai sistemi d'informazione. La risultante, a distanza di anni dall'accertamento, sembra essere stata che gli sbandierati 93 miliardi di evasione erano una 'balla', gli organi di vigilanza ministeriali hanno svolto diligentemente il loro lavoro e il dovuto in tasse è una bazzecola. Sembra, comunque, che anche quella 'bazzecola' non sia ancora stata pagata. Il gioco on-line, poi, merita una ulteriore sosta. Direttamente dal loro centro informazione, si apprende, sempre recentemente, che le Fiamme Gialle hanno svolto un'accurata indagine, durata tre anni, per accertare la situazione del settore arrivando a stabilire la presenza di società estere che, tramite intermediari, operavano in Italia senza la necessaria autorizzazione nell'ambito delle scommesse, dei Casinò virtuali e del poker on-line. Alla luce di quanto sopra, e al termine di dettagliati controlli tecnico-contabili, è stata accertata una maxi evasione d'imposta anche con riferimento all'IRAP per oltre 6 milioni di euro, all'IRES per oltre 47 milioni di euro ed alla IUS per oltre 71 milioni di euro.3 Ora, accertata l'evasione, la domanda è, parafrasando il grande film di Sordi e di Manfredi: riusciranno i nostri eroi a ritrovare il 'tesoro' misteriosamente scomparso? L'interrogativo non è peregrino. Ad ammetterlo sarebbe la stessa Agenzia delle Entrate. Dal 2000 al 2018, le cartelle esattoriali emesse ed inevase ammonterebbero a ben 1284 miliardi. Ma … 150,2 miliardi di euro sono dovuti da soggetti falliti, 109,8 miliardi da persone decedute e imprese cessate, 107,8 miliardi da nullatenenti (in base ai dati presenti nell'Anagrafe tributaria), 389,2 miliardi da contribuenti nei confronti dei quali l'Agente della riscossione ha già tentato invano, in questi anni, azioni di recupero esecutive e/o cautelari. Infine, 265 miliardi sarebbero stati cancellati

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dagli esecutivi di turno, catalogati alla voce 'sgravi per indebito e annullamenti per provvedimenti normativi'. Resterebbero, perciò, poco meno di 370 miliardi rispetto ai quali, però, l'Agenzia ammette candidamente che la cifra aggredibile è di appena 80 miliardi.4 Non voglio cadere nella demagogia e nella stantia retorica ma come non porsi la domanda di chi è, alla fin fine, a pagare le tasse? Peraltro, sembra da notizie recenti che la pressione fiscale per il corrente e per gli anni prossimi tende a salire arrivando al dato ufficiale del 40,7%. Secondo il Centro Studi di Unimpresa, invece, tendendo conto di alcune componenti non considerate dai 5 'calcolatori' ufficiali, il gravame salirebbe ad oltre il 47%. Uno dei grandi 'responsabili', neppure a dirlo, sarebbe il sistema pensionistico. Ora, io sono una donna di casa, piuttosto anziana che, sebbene non sia costretta a lesinare su un chilo di pane o su un etto di prosciutto, devo essere piuttosto accorta nell'amministrare le mie risorse se voglio continuare a mantenere una vita dignitosa. Devo farlo non foss'altro perché, siccome vivo di pensione, l'importo della stessa è quanto di più aleatorio possa esistere. Dal '95, anno dell'unica seria riforma pensionistica, non c'è stato governo che non si sia cimentato 'pittorescamente' con la gestione dei risparmi dei lavoratori, durante e dopo la vita lavorativa. Accorpamento fondi, unificazione e modifiche norme di calcolo, allungamenti età pensionabile, ampliamenti requisiti contributivi, riduzione dei 'cumuli', contenimento delle integrazioni al trattamento minimo, 'finestre' d'uscita, 'scaloni', 'prelievi di solidarietà', mancati adeguamenti, 'quote 100' e sottrazioni forzose, sono solo alcuni tra i più eclatanti interventi. Lo scopo dichiarato, neppure a dirlo, è stato (ogni volta) nobile e necessario. La prima considerazione che sorge spontanea è che, vista la ripetizione di interventi, di tutti quelli che ci hanno messo le mani evidentemente nessuno sapeva fare il proprio mestiere. Ma lasciamo stare le battute. In ogni caso, è certo, ed è stato ampliamente annunciato, che ogni azione ha portato a cospicui risparmi. Ma, allora, mi domando, se ciò è vero cos'è stato a far lievitare la spesa pubblica nel corso di questi anni? Non certamente le pensioni. Il PIL del nostro Paese è salito da 1592 miliardi nel 2007 a quasi 1854 miliardi nel 2018 mentre il rapporto debito/PIL negli stessi anni si è portato dal 99,80% al 132,8%. Ciò significa che l'aumento del deficit è preoccupante non solo in termini assoluti ma soprattutto per i meccanismi della sua dilatazione che sembrano direttamente connessi con l'aumento della ricchezza del Paese. Più produciamo e, paradossalmente, ancor di più spendiamo. Ma in cosa? Ancora una volta è la spesa sociale sul banco degli accusati vestita, stavolta, con i panni dell'assistenza e della sanità. Infatti, se osservassimo l'andamento della spesa sociale, ci accorgeremmo che essa ha avuto un costante incremento dal 2007 al 2017 passando da poco più del 25% del PIL a oltre il 29%. Ma, mi chiedo, e tutti gli interventi 'risanatori' operati nel settore sanitario dalle Regioni? Interventi a macchia di leopardo, che hanno reso la sanità italiana sul territorio quanto di più eterogeneo possa esistere, che risultato hanno prodotto? E gli accorpamenti ospedalieri, la cancellazione delle specializzazioni, il mancato aggiornamento della diagnostica, l'assenza di farmaci, le lunghe liste d'attesa a seguito delle 'razionalizzazioni'? Le 'ottimizzazioni' in campo assistenziale, poi, sono da ridere. Il dettaglio dei dati da riportare sugli ISEE rasenta la conta dei peli pubici del


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soggetto richiedente ma quale effetto ha avuto? Nel sottolineare che un tale dato appare sorprendente visto tra l'altro l'andamento demografico pari a zero, voglio, qui, raccontare un evento del quale ho personale contezza. La figlia di una mia cara amica ha una deliziosa bimba che frequenta l'asilo vicino casa. La retta dell'asilo non è molto alta in quanto, al momento dell'iscrizione, il padre, coniuge della figlia della mia amica, era senza lavoro. Il destino cinico e baro ha voluto che, nell'anno successivo, anche la figlia della mia amica perdesse il lavoro. Perciò, in procinto di iscrivere nuovamente la figlia all'asilo ha fatto presente la scomparsa del reddito familiare e ha chiesto la riconsiderazione della 'retta'. Al ché, una solerte impiegata, con aria da cospiratrice, le ha consigliato: "Figlia mia, non ti conviene chiedere l'abbassamento della retta per la disoccupazione anche di tuo marito. Perché, invece di ridursi la retta aumenta.". "Ma … come aumenta?!? Non c'è reddito familiare …" ha chiesto la stupefatta madre. "Aumenta perché adesso avete tutti e due tempo per curare vostra figlia." si è sentita rispondere la figlia della mia amica, prossima allo sbandamento mentale. Un attimo dopo, però, in un barlume di lucidità, ha osato chiedere: "… e come facciamo con la ricerca del lavoro?". "Beh! Potete fare i turni." è stata l'illuminante risposta della solerte impiegata. Ci sarebbe da ridere se non fosse da piangere. Sarebbe, ora, da toccare la scuola ma non ne vale la pena. Tra poco, non ci saranno più edifici scolastici. Quindi, inutile parlarne. Secondo il rapporto di Cittadinanzattiva, nell'anno scolastico 2018/2019 in quegli edifici si sono verificati 70 6 crolli, il peggior dato degli ultimi anni: uno ogni tre giorni. Quindi … Non voglio farla più lunga di tanto ma la domanda che per quanto retorica continua a ballonzolarmi nella mente è: per quale scopo noi paghiamo le tasse? Non voglio fare certo appello allo sciopero fiscale (vivendo di pensione, io le pago puntualmente e, anche se potessi, non evaderei) ma è dura costatare che l'introitato dall'Erario serve solo ed esclusivamente alla sempre maggiore voracità della macchina burocratica-amministrativa e, a volte, a rimediare alle sue sbandate. Già, perché i servizi, che questa dovrebbe fornire, li dobbiamo pagare a parte. Mi ricollego, quindi, al quesito iniziale: la lotta all'evasione? Di chi? Sono convinta che, alla fine, la tassa sul prelievo non passerà mentre, da ultimo, sembra acquistare consistenza l'ipotesi di premiare i possessori di carte di credito con un bonus fino ad un massimo di 475 euro se le spese attraverso il POS nell'anno hanno superato le 2.500 euro. Ottimo, ma chi pagherà il bonus? Ovviamente, le casse dello Stato, un po' come il reddito di cittadinanza. Una spesa totalmente improduttiva ed altamente demagogica, al pari del provvedimento precedente. Come sono convinta che la lotta all'evasione resterà al pari delle 'grida manzoniane'. Come i tanti governi precedenti. Un po' come i controlli della finanza, dei carabinieri e dei vigili urbani sulle autovetture di lusso o ritenute tali durante il governo del bocconiano. Ti fermavano e ti interrogavano nella pubblica via quando sarebbe stato più serio e veloce effettuare i confronti, per giunta telematici, tra il PRA o il RINA e l'Agenzia delle Entrate. Non sarebbe scappato alcuno. Ma l'effetto flou si sarebbe perso. E, tra gli effetti flou, al pari della lotta all'evasione, come non considerare la smodata voglia dell'attuale governo di fare dell'Italia la punta dell'economia ambientale?

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Green è la parola d'ordine, l'impegno per un futuro, green è la voglia del domani, la speranza dei nostri figli, green è l'ambizione dei polmoni degli anziani e quella di spazio pulito e salubre dei giovani, green: una promessa, una realtà va sbandierando il fratello del commissario Montalbano. Un tipo di economia (sic) che, almeno secondo gli impegni dell'attuale governo riceverà nei prossimi anni investimenti per circa 50 miliardi. Il mio cuore gioisce. Ma … e il 'ma' è grande come una casa. Il problema non è la green economy, il green washing, la carbon neutrality, e gli 'aiuti' per sostenerla, i green bond. Al di là dell'ubriacatura ambientalistica e anglofila, è capire cosa significhi tutto questo. L'Italia, peraltro, è ben lontana dagli obiettivi previsti dall'Onu e dall'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ed è molto istruttiva la lettura delle materie di valutazione. Invito a farlo. Ma, in attesa di vedere come si sostanzierà l'impegno governativo, sarebbe intanto interessante sapere quanti provvedimenti AIA (autorizzazione impatto ambientale) giacciono ancora, in fase istruttoria, presso la Commissione IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) del Ministero dell'Ambiente. Al momento della vicenda ILVA erano ben 160 in fase di 'lunga' istruttoria. Sarebbe altresì interessante conoscere che cosa ne sia stato dei 18 impianti considerati dall'UE 'fuorilegge' perché sprovvisti di quell'autorizzazione, eppure in attività. E ancora. Il Governo ha giustamente plaudito alla benevolente accoglienza riservata dalle istituzioni comunitarie a Gentiloni, così come hanno applaudito le forze che compongono la maggioranza. Beh! Non solo. Forza Italia, responsabilmente, ha manifestato il suo apprezzamento per l'opera altamente meritoria che il Commissario italiano potrà fare a vantaggio dell'intero continente. No. Mi sembra riduttivo. Forse dell'intero globo terracqueo. No. Ancora non ci siamo. Secondo gli entusiastici toni del Cavaliere, probabilmente sarà l'intera galassia a beneficiare della prestigiosa opera di Gentiloni, forse un tantino imbarazzato per cotanti apprezzamenti. Ma non stiamo a sottilettizzare, avrebbe detto Federico Salvatore. L'importante è che l'opera del Commissario sia fattiva e intanto rimedi, integrandole, le iniziative che la Commissione esecutiva vorrebbe assumere in risposta ai dazi americani: porre analoghi dazi sulle motociclette e sul whisky USA. Chissà quanti tra gli amanti delle due ruote comprano le americane Harley (invece delle versatili giapponesi) e quanti, tra gli appassionati di whisky (invece del pregevole scotch scozzese) acquistano gli americani bourbon o, peggio, rye (fatto con la segale). Nella mia ignoranza, credo siano molto pochi sia i primi che i secondi e, quindi, non capisco dove risieda l'adeguatezza della risposta. Mi auguro, quindi, che la competenza del neo Commissario riesca a produrre risposte più confacenti alla bisogna. Come mi auguro che questo, proprio perché addetto agli Affari economici e monetari, si attivi perché quegli Stati, comunitari e non, che consentono la contraffazione di prodotti tipici, peraltro dotati di marchio di qualità europeo, vengano censurati. Sarebbe da ridere se i prodotti di qualità (i nostri sono ben 338 con riconoscimento comunitario) oltre ad essere penalizzati dai dazi sui mercati USA venissero insidiati su altri mercati da 'copie' realizzate con benevola disattenzione di autorità pubbliche e, peraltro, beneficiassero di aiuti comunitari sia come fondi


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strutturali che come interventi su programmi. Diversamente, il timore di una colossale presa per i fondelli correrebbe il rischio di essere duplice. L'ulteriore cosa che mi auguro è che l'opposizione (dalla quale è escluso il Cavaliere), non per partigianeria bensì semplicemente per un corretto e fattivo dispiegarsi della democrazia, faccia dignitosamente la sua parte e non mi addolori con dei concetti astrusi, dei quali forse ignora la portata, quali il 'sovranismo'. Alla luce dello scenario politico ed economico a livello planetario l'unico sovranismo che io potrei mai apprezzare è quello europeo perché se, puta caso, ci imbarcassimo in un tentativo di Italexit, i danni sarebbero di gran lunga superiori a quelli, già oltremodo gravosi, che sta registrando l'Inghilterra. Certo, un 'sovranismo' di un'Europa diversa dall'attuale ma, stante la situazione, senz'altro europeo per il quale occorre impegnarsi. Un'opposizione che continuasse su un tale tema, limitato all'Italia, vorrebbe dire che o ignora il significato pratico del concetto che propugna, o ignora lo scenario globale oppure, tertium datur, sta spargendo miglio per polli. In conseguenza, il timore di una colossale presa per i fondelli correrebbe il rischio di essere triplice. Roberta Forte

Note: 1.http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2019/10/05/evasione-grandi-imprese-16-volte-maggiore-piccole-allarmecgia_39e188b5-f0fc-4ae5-8d8e-573941330e9b.html 2. Corriere della Sera, 2 ottobre 2009 3. http://www.gdf.gov.it/stampa/ultime-notizie/anno-2019/agosto/scoperta-maxi-evasione-fiscale-nel-settore-del-gioco-online 4. https://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13509290/evasione-fiscale-cartelle-non-riscosse-2000-oltre-900milardi.html 5. https://quifinanza.it/fisco-tasse/fisco-lultima-stangata-2020-ulteriore-aumento-tasse/292846/ 6. http://www.gdc.ancitel.it/scuole-insicure-numerosi-edifici-in-dissesto/

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DEMOCRAZIA PARLAMENTARE? UN VERO E PROPRIO OSSIMORO Ma che meraviglia, che intuizione felice, che blindatura di privilegi di casta (ed al contempo che sostanziale presa per i fondelli per tutti gli esclusi) è quel secondo capoverso dell'articolo 1 della nostra Costituzione. La Carta - appunto "carta" - più bella del mondo ! "La sovranità appartiene al POPOLO che la esercita nelle forme e nei LIMITI(!) etc. etc."; una vera e propria panacea per i veri, diretti fruitori/beneficiari della stessa, ma altresì finto specchietto per le allodole per tutta, ma proprio tutta, quella sessantina di milioni di italiani (formale facciata "democratica", questa, del dramma di un paese che il concetto di VERA democrazia non sa ancora bene dove stia di casa), TRANNE, che per quell'empireo di 945 (a calare?) beneficiati parlamentari (costituenti il ristretto, vero potere oligarchico ed elitario del Palazzo), composto da quei raffazzonati vincitori di una quinquennale lotteria di Capodanno, o inatteso "jackpot" che dir si voglia, della serie: "io ne traggo un vero, enorme, egoistico, deresponsabilizzato vantaggio personale, ma farisaicamente ti gabello che lo faccio per te, che mi sacrifico per servirti e favorirti". Cos'è dunque questo POPOLO definito letteralmente nella Carta niente popò di meno che SOVRANO del paese, ma senza alcuna corona? Secondo me, un disordinato e sconclusionato amalgama di tante brave ed oneste persone (qualora singolarmente prese), ma altresì un indistinto gregge (si, sostanzialmente GREGGE e pertanto struttura solo apparentemente unitaria) ma, al contempo - altro sbalorditivo ossimoro - intrinsecamente ANARCHICO, Montanelli "dixit"). E la cui teorica "reconductio ad unum" a fini di mera funzionalità 'sovranistica' altro non può essere che un velleitario esercizio filosofico di pura astrazione. Cerchiamo di essere onesti: la "casalinga di Voghera" ed il saldatore di Lecce, il disoccupato di Canicattì e la parrocchiana di San Martino di Castrozza, l'industriale bresciano ed il pastore sardo, il residente di Capalbio e l'abitante di Lampedusa, il naturalizzato nigeriano di Tor Bella Monaca ed il cittadino di Cortina d'Ampezzo, cosa possono individualmente e concretamente aspettarsi dal comune patto di convivenza civile formalmente consacrato dalla nostra "filosofica" Carta costituzionale e che gli odierni "politicanti" (prego caldamente di non chiamare qui in causa l'alto e nobile concetto di "politica" del tutto estraneo ai nostri attuali Palazzi ospitanti un autentico potere oggi, di fatto del tutto irresponsabile) abbeverati al sondaggio quotidiano, infiorano costantemente di proprie "salvifiche" proposte? Di ricette poste giusto lì, appena dietro l'angolo, ma che, guarda caso, svoltato tale angolo ci si ritrova di fronte soltanto… ad un altro angolo e così via di seguito ?


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A questo punto, prego il cortese lettore di seguirmi nello sfogliare un ipotetico, ma attualissimo, album di istantanee di democrazia parlamentare cosi come esse si mostrerebbero se scattate, diciamo, da Marte e con l'opportuna neutralizzazione audio dello sconcertante, sconnesso cicaleccio di contorno. Cosa apparirebbe allora, fotogramma dopo fotogramma ? 1) Una SCHEDA elettorale di ripetitiva riedizione quinquennale imbrattata da astratte figure di simboli dietro le quali dovrebbero celarsi gratuiti ed indimostrati messaggi politici di improbabili panacee per tutti i mali del nostro paese 2) Uno smarrito e confuso CITTADINO elettore a cui è stato detto, da "altri", che egli è chiamato, in tal modo, ad esercitare la sua "sovranità", si fa per dire, sul proprio paese. 3) Uno stuolo di POLITICANTI chiamati all'unico "quarto d'ora" di reale impegno di tutto il lustro precedente dovendo essi perseguire il duplice e non facile obiettivo di far dimenticare quanto concretamente non fatto (o fatto male), nonché quanto da essi perentoriamente affermato, e poi spudoratamente contraddetto, nel corso degli ultimi quattro anni e mezzo (nel quinquennio infatti circa sei mesi sono dedicati alla vitale, per loro ovviamente, campagna elettorale, pena una irreversibile disoccupazione a vita). Ciò, nella consolidata certezza che, mentre per il paese cinque anni sono un tempo brevissimo, l'analoga durata è invece per ogni singolo cittadino un periodo molto lungo che spesso diluisce la memoria. Nel lustro trascorso si sono infatti verificate nascite e morti, ci si è sposati o ci si è divorziati, si è stati assunti ovvero licenziati, si è stati umanamente felici ovvero del tutto insoddisfatti, ci si è arricchiti ovvero amaramente impoveriti, la squadra del cuore ha vinto lo scudetto o lo ha perso, un figlio è nato ovvero si è laureato, si è stati amati ovvero detestati e cosi via elencando per innumerevoli fattispecie. Cosa volete quindi che la mente di quel povero "matitoforo" (nel senso di momentaneo reggitore di apposita matita), supremo attore di sovranità democratica, possa configurarsi in quei brevissimi, solitari istanti trascorsi nella cabina elettorale? Ma suvvia, mio caro cittadino sovrano, non ti resta che mettere d'impulso una crocetta sul foglietto ed il gioco è fatto e puoi anche aver creduto per un eccitante nanosecondo di essere il demiurgo determinante il destino tuo e di tutti gli altri. Il rito comunque si è compiuto, il "sovrano" si è espresso! Ecco: "Consumatum est" quello che i politicanti attendevano da ben cinque anni! Ora, superata la curva, si dipana davanti a loro la nuova autostrada di una gratificante sorta di "sinecura" per un intero lustro atta a garantire una estemporanea "performance" assicurata da una robustissima rete di sicurezza su qualunque cosa si dica o non si dica, che si indovini o che si sbagli, che si faccia o non si faccia, sia in bene che in male. E' la garanzia blindata dal dettato costituzionale, bellezza! Nel prossimo quinquennio chi potrebbe mai sindacarne efficacemente l'operato? I sondaggi? Ma si sa che essi sono del tutto aleatori e non hanno inoltre alcuna rilevanza giuridica! I giochi e le possibili imboscate dei colleghi deputati e senatori? Ma va là! Come suole dirsi "cane non mangia cane", negli emicicli si sta benissimo e le comuni riunioni conviviali serotine in trattoria ("tutti assieme appassionatamente") sono una delizia per il corpo e per la mente. Naturalmente, la tigre di carta deve però fare finta di ruggire, il cane senza denti di mordere ed ecco quindi la recita dal pathos

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esagerato, dall'indignazione di maniera, al limite la rissa, ma trattasi in vero di pure apparenze. Mentre si urla e ci si sbraccia si tasta di nascosto il pavimento sotto i propri piedi per accertarsi che l'emiciclo sia sempre e comunque presente e ben saldo sotto di essi. Ma scherziamo? Mai rischiare seriamente un miracolosamente acquisito, solido stato sociale, una munifica prebenda, una gratificante popolarità socialmente monetizzabile ed il tutto per indisturbati - e soprattutto garantiti - cinque lunghi anni di vita! 4) Ciliegina sulla torta? Il formalmente, ed esageratamente, rispettato ed ossequiato PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA pro tempore, l'arbitro che potrebbe, in teoria, interrompere il bel gioco e persino, udite, udite mandare tutti a casa portando via il pallone dal campo; così è infatti in teoria, o perlomeno così dovrebbe essere. C'è però una grande anomalia: l'arbitro della partita è diretta emanazione dei giocatori stessi! Al riguardo, potrebbe qualcuno cortesemente indicarmi il nome di una qualsiasi disciplina sportiva ove siano gli stessi atleti in futura competizione tra loro che, prima del "match", si riuniscano in apposita assise per indicare, di comune, anche se maggioritario accordo e dopo acceso dibattito, l'arbitro che, insindacabilmente, dirigerà la loro gara? Non ce ne sono e da nessuna parte. In ogni sport che si rispetti, l'arbitro dell'incontro è infatti emanazione di un'autorità ben diversa e del tutto slegata dal coacervo istituzionalizzato degli atleti la cui gara dovrà appunto essere "arbitrata" dal giudice designato. Qualora invece la genesi del direttore di gara sia un fatto interno ad un unico emiciclo in cui siedono indistintamente tutti i futuri competitori, il risultato finale è soltanto quello che il cosiddetto "arbitro" che ne verrà fuori non potrà mai dimenticare da quale delle future squadre in campo egli sia stato designato ed in particolare quale sia il nome (o i nomi) del "capobastone" che abbia reso ciò possibile. Alla luce di quanto sopra esposto, quale conclusiva considerazione ci si potrebbe di conseguenza aspettare, sempre nell'ottica di un mio ormai ben consolidato pessimismo della ragione? Credo che il cortese lettore non dovrebbe faticare molto a trarne le inevitabili conclusioni: "rebus sic stantibus" come suole dirsi, la vedo dura, sia per il paese che per il relativo, singolo cittadino "sovrano" (si per dire), soprattutto nel contesto dell'attuale civiltà tecnologica di massa. Questa volta però voglio tenere in serbo una sorpresa, tirandola fuori dal piccolo sacchetto ove sono riposti gli ultimi scampoli del mio sonnacchioso ottimismo della volontà: l'idea di una repubblica presidenziale. Tale fattibilissima soluzione è infatti, e comprensibilmente, ostracizzata da tutti coloro che traggono diretto beneficio dall'attuale stato di cose: a) I POLITICANTI DI PROFESSIONE, che in tal modo sono del tutto liberi di cantarsela e suonarsela a totale loro piacimento. Il predetto elettore "matitato" una volta restituito tale apposito attrezzo al presidente del seggio elettorale può essere tranquillamente dimenticato dagli eletti per i successivi cinque anni per restare soltanto titolare di un "diritto al mugugno" di marinaresca memoria, ma del tutto ininfluente per la quotidiana, concreta gestione dell'imbarcazione; b) I MASS MEDIA, che sguazzano felicemente nella colorata, battaglia - tipo "wrestling" americano, dalle finte botte da orbi - ma sulla quale ci si può felicemente sbizzarrire con "scoop"


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giornalistici e seriosi approfondimenti buoni soltanto per l'"espace d'un matin", a cui la supposta dialettica "politica" può ben fornire inesauribile linfa vitale essendo essa del tutto artificiale e quindi perenne fonte di estemporanea "creatività"; c) Infine, e "ahimè", anche lo stesso POPOLO SOVRANO, che cosciente di come la partita, diciamo politica, si svolga in uno stadio lunare dall'impossibile coinvolgimento diretto ("ma tu cosa ti aspetti? hai "matitato" in libertà e vorresti ancora rompere le scatole?) conserva il pallido, residuale godimento di potersi accapigliare al bar (tipo post derby Roma - Lazio) con relativa, e tutto sommato divertente, amplificazione da parte delle stazioni radio locali interamente dedicate (h 24) alle vicende della maglia del cuore. Una modifica costituzionale in senso presidenziale di diretta emanazione popolare, oltre che ad essere molto più rispettosa del generale sentire della gente, diciamo "minuto per minuto" (il capo della Stato potrebbe, in tal modo usare contemporaneamente entrambe le sue orecchie: una per ascoltare il popolo e l'altra il parlamento e giungere in tal modo ad una più equilibrata sintesi della realtà), consentirebbe infatti al giudice/arbitro di essere veramente efficace in quanto non più diretta emanazione soltanto dei giocatori in campo, ma anche del pubblico sugli spalti con la conseguenza che la sua personale valutazione arbitrale dovrà tenere conto dello svolgimento della gara sia nell'ottica del rispetto delle condivise regole della competizione nell'arena di gioco che delle ripercussioni che la condotta in campo degli atleti verrebbe ad avere sul pubblico, dopotutto, pagante. Ci si arriverà mai per il bene di tutti? Non saprei, ma comunque me lo auguro sinceramente. Antonino Provenzano Roma, 25/9/2019

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MAMMA, LI TURCHI! GLI ANTEFATTI Nel marzo 2011 inizia la guerra civile in Siria, dopo l'arresto dei ragazzi che avevano invocato la caduta del regime con scritte sui muri. La guerra diventa ben presto uno scontro tra potenze, in un intreccio di non facile decantazione. Iran, Russia, Iraq, Cina sono i principali alleati di Bashar al-Assad, meglio noto come "il macellaio di Damasco", di religione alawita, una branca dello sciismo che, pur essendo un ramo minoritario dell'Islam (anche in Siria, in massima parte sunnita), rappresenta la maggioranza della popolazione in Iran e Iraq. Le forze ribelli dell'Esercito siriano libero possono contare sul sostegno di Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Stati Uniti, Israele, Francia, Giordania, formazioni Jihadiste sunnite, Governo regionale del Kurdistan iracheno, formazioni del popolo curdo (Partito democratico curdo, Unione patriottica del Kurdistan e Partito dei lavoratori del Kurdistan). La faccenda si complica con l'entrata in gioco dell'ISIS, nemico tanto dei ribelli siriani e rispettivi alleati quanto di Bashar al-Assad, ritenuto un ostacolo alla realizzazione del Califfato Islamico. All'interno del conflitto, pertanto, si apre un secondo fronte contro l'ISIS, in Siria e in Iraq, guidato principalmente da USA, Francia e Regno Unito. Altri stati europei, tra cui l'Italia, partecipano con forze inviate come "supporto". Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Qatar e Turchia intervengono solo nel territorio siriano. I terroristi di Al Qaida, dal loro canto, generando non poco imbarazzo, si uniscono al fronte anti Bashar. Ufficialmente, ma senza che nessuno vi presti credito, viene negato l'aiuto dell'Arabia Saudita e degli altri paesi sunniti all'organizzazione terroristica, che implica l'indiretto aiuto anche degli Stati Uniti, nonostante l'attentato alle torri gemelle del 2001, al quale vanno aggiunti quelli del 1993, sempre al World Trade Center, che causò sei morti e un migliaio di feriti; 1996: base di Khobar in Arabia Saudita, 19 morti e 386 feriti; 1998: Nairobi (Kenia) e dar es Salam (Tanzania), 224 morti, tra i quali 12 statunitensi e migliaia di feriti; 2000: Yemen, diciassette marines trucidati; 2003: Arabia Saudita, 35 morti, tra cui 9 statunitensi, in un triplo attentato contro un residence a Riad; 2008: Yemen, autobomba contro l'ambasciata USA che provocò sedici vittime, compresi i sei kamikaze. (La lista è ancora più lunga, dal 2004, se si sommano gli attentati che non hanno avuto vittime statunitensi). Dopo nove anni la Siria è un campo di macerie. La guerra è costata (e sta costando, perché non è ancora finita) centinaia di migliaia di morti e una diaspora di oltre quattro milioni di persone. Bashar al-Assad, dopo aver rischiato molto nel 2013 e nel 2015, è ancora saldamente alla guida del paese e continua a combattere le ultime roccaforti dei ribelli utilizzando anche armi


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chimiche. Putin gli ha dato una grossa mano, conquistando una posizione centrale e dominante nello scacchiere mediorientale, alla pari dell'Iran, che spera di gestire il business della ricostruzione. Con la sconfitta dell'ISIS, gli USA ritengono non più indispensabile l'alleanza con le forze curde che, seppure determinanti nella lotta ai fondamentalisti islamici, sono in guerra con la Turchia, alleato degli USA e terzo esercito più importante della NATO. I curdi controllano il Nord-est della Siria, dove sognano di realizzare uno stato autonomo, sul modello del Kurdistan iracheno. Erdogan, però, non ha mai cessato di aspirare al progetto della "grande Turchia", che si estende su Siria e Iraq, proprio nella zona oggi occupata dai curdi, dove vuole trasferire buona parte dei circa quattro milioni di profughi siriani che ospita nei propri campi, grazie ai sei miliardi di euro ricevuti dall'Unione Europea. L'occupazione del "Rojava" (Kurdistan siriano), però, prevede la cacciata dei curdi o, per meglio dire, il loro sterminio. Il 9 ottobre, secondo consolidate modalità che conferiscono ad azioni criminali presupposti umanitari, la Turchia dà inizio all'operazione "Primavera di Pace", favorita dal disimpegno USA, che nei giorni precedenti aveva ritirato le proprie truppe proprio per lasciare spazio all'intervento militare di Ankara. I FATTI Su Trump è inutile sprecare tempo e spazio. Di lui abbiamo parlato diffusamente in questo magazine e non vi è alcun bisogno di ribadire quanto la sua permanenza alla Casa Bianca possa essere nefasta per il mondo intero. Caso mai, solo come nota di colore, sia pure in un contesto così tragico, va citata la baggianata dei curdi assenti durante lo sbarco in Normandia, da lui profferita per giustificare, in qualche modo, il loro abbandono tra le fauci del novello sultano. Graffiante e sarcastico lo schiaffone tiratogli da Massimo Gramellini, sul "Corriere della Sera", lo 1 scorso 11 ottobre . Ciò che invece deve farci riflettere e preoccupare è l'appartenenza della Turchia alla NATO e il suo 2 desiderio di entrare nell'Unione Europea . Non è più possibile nascondere la testa nella sabbia e giocare partite sporche, che sempre presuppongono il sacrificio di troppe vittime. Sperare che la Turchia possa liberarsi di Erdogan e raggiungere presupposti di civiltà accettabili dai popoli europei è una pia illusione. Morto un Erdogan ne verrà un altro: il tessuto sociale del paese è tale che non potrebbe mai mutare radicalmente, almeno in tempi brevi o medio-lunghi, come ben evidenziato nel luglio del 2016, quando in tanti ci addormentammo, nel cuore della notte, mentre in Tv sentivamo frasi inneggianti alla caduta di Erdogan e alla sicura riuscita del colpo di stato, per poi svegliarci al mattino, increduli, magari ritenendo di aver sognato. E prima o poi dovremo fare i conti anche con l'appartenenza alla NATO, che dovrebbe già scuotere le coscienze. L'azione criminale in atto contro i curdi, per ora contrastata solo a chiacchiere sia dall'Europa sia da un balbettante Trump, che finge di essersi pentito, sta facendo rialzare la testa all'ISIS. Dai campi di prigionia controllati dai curdi, che ora hanno altro cui pensare, fuggono in massa ed è lecito prevedere che presto potranno riprendere gli attentati in Europa.

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Qualora, poi, Erdogan dovesse realmente scaricarci addosso milioni di profughi siriani, come ha recentemente minacciato in caso d'interferenza "effettiva" sul genocidio in atto, per l'Europa (disunita) si aprirebbe un nuovo e devastante periodo buio. L'incapacità di agire in modo adeguato è un problema più serio di quello rappresentato da Erdogan e dall'ISIS messi insieme. Non siamo nemmeno capaci di bloccare la vendita delle armi alla Turchia e risultano ridicole e patetiche le dichiarazioni connesse al blocco di quelle future. E' "ora" che occorre agire! Per difendere noi stessi, certo, ma anche perché i presupposti di "civiltà" impongono che non si ripeta con i curdi ciò che è già capitato un secolo fa con gli armeni! E con questo popolo, al di là della coltellata testé inferta da Trump, siamo già in debito da tempo e non di poco. I curdi ambiscono da sempre a vivere serenamente in un loro stato, nei territori divisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria. (Le comunità presenti in Armenia e Azerbaigian sono perfettamente integrate e solo un esiguo numero, composto principalmente da adulti e anziani, avverte il desiderio di uno stato autonomo, ma non con l'intensità dei compatrioti ramenghi negli altri paesi). Dopo il crollo dell'Impero Ottomano, con il trattato di Sevres, furono gettate le basi per determinare i confini del futuro stato curdo. Il sogno, però, s'infranse nel 1923, con il trattato di Losanna, che sancì la nascita della Repubblica di Turchia e cancellò le aspirazioni di un popolo desideroso di occupare una superficie di circa 450mila chilometri quadrati, cui dare il nome di "Kurdistan". E' passato quasi un secolo e quel popolo sopravvive a se stesso, generazione dopo generazione, combattendo un'infinita guerra, tra continue vessazioni, soprattutto in Turchia, dove, è bene ricordarlo, i curdi sono circa venti milioni! Solo a titolo di cronaca e per evitare facili contestazioni dai mestatori in perenne ricerca del "pelo nell'uovo" per giustificare l'ingiustificabile, va detto anche, en passant, che anche tra i curdi esistono contrasti e divisioni, più o meno come accade in qualsiasi altro paese tra soggetti di opposte fazioni politiche. Questo normale e diffuso aspetto sociale, tuttavia, nella fattispecie viene subdolamente sfruttato da coloro che non hanno alcuna voglia di favorire l'integrazione territoriale, a cominciare dai paesi che fette di territorio dovrebbero cedere. Intanto in Siria il massacro continua (scrivo questo articolo il 15 ottobre e non è possibile prevedere, pertanto, gli sviluppi che matureranno fino alla data di pubblicazione) ed Erdogan può già cantare vittoria, non fosse altro per essere in grado di tenere sotto scacco il mondo intero. Bashar al-Assad, come spesso gli accade, sorride sotto i baffi e si frega le mani, visto che ancora una volta sono altri che gli tolgono dal fuoco pericolose castagne: i curdi, disperati, devono rivolgersi a lui e ciò gli consente di trattare da una posizione di forza. Ciò vale anche per Putin, destinatario di analogo appello, che può sfruttare per cementare il ruolo nell'area e ricattare il popolo sofferente imponendo un "riavvicinamento alla Siria": dolce espressione che all'atto pratico vuol dire solo "subalternità". L'Europa, oggi come ieri recita a soggetto in questo sciagurato scenario, incapace di sviluppare una politica estera comune. In Siria i civili continuino pure a morire in pace. Anzi, no: in guerra. In una sporca guerra.


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DEDICA Questo articolo è dedicato alle vittime innocenti della ferocia turca. In particolare è dedicato a Hevrin Khalaf, trentacinquenne segretaria generale del "Partito del futuro siriano", trucidata dai miliziani siriani filo turchi il 12 ottobre scorso. Ha girovagato indomita, per anni, nelle capitali di tutta Europa per perorare la causa del popolo curdo. L'hanno presa mentre cercava di recarsi a Qamishli, circa 300 km a est di Kobane. La cattura è stata filmata e nelle immagini si vedono le gesta di giubilo dei protagonisti dell'imboscata dopo aver crivellato di colpi il fuoristrada sul quale viaggiava e ucciso i suoi accompagnatori. Fonti curde attestano che sarebbe stata prima violentata e poi mitragliata a sangue freddo. In un secondo video si vede un miliziano che calpesta il corpo privo di vita per poi esclamare: "Questo è il cadavere dei maiali". Del partito che dirigeva, insieme con un uomo, secondo la tradizione curda (al vertice di qualsivoglia struttura la responsabilità si condivide sempre tra un uomo e una donna), era stata la co-fondatrice, il 27 marzo 2018. Predicava la laicità dello stato, l'uguaglianza tra uomini e donne, il rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la rinuncia alla violenza e il ricorso al dialogo costruttivo per risolvere qualsivoglia controversia. Era una donna libera e coraggiosa che sapeva guardare lontano e sognava di vedere vivere armonicamente curdi, turchi, siriani, arabi. Era un bravo ingegnere. Era una donna del futuro che viveva in un presente non alla sua altezza e ha pagato con la vita questo gap. Lino Lavorgna

NOTE 1) "Ora, che un uomo abituato a cambiare opinione nel volgere di un tweet conservi la memoria implacabile di un avvenimento accaduto settantacinque anni prima, spalanca scenari inediti. Se Erdogan invadesse la Germania, Trump avrebbe buon gioco a lasciarglielo fare, dal momento che i tedeschi durante lo sbarco in Normandia si comportarono molto peggio dei curdi, non limitandosi a non aiutare gli americani, ma sparando loro addirittura addosso. Anche se Erdogan attaccasse Londra, Trump non avrebbe nulla da eccepire, considerata l'opposizione degli inglesi alle truppe di George Washington nella guerra di indipendenza. Il bombardamento turco di Parigi lo lascerebbe indifferente, a meno che i francesi non restituissero con gli interessi i soldi incassati da Napoleone per la cessione della Louisiana. Bisogna capirlo, il Donald. Avrebbe voluto scrivere che i curdi intorbidano l'acqua da bere, ma la favola del lupo e dell'agnello non gli stava in un tweet. L'unica aggressione di Erdogan che lo metterebbe in seria difficoltà è quella all'Italia: avendo noi cambiato alleanze di continuo, spesso anche all'interno di una stessa guerra, Trump finirebbe per aiutarci, pur di non farsi venire il mal di testa". 2) Argomento trattato in CONFINI nr. 40, gennaio 2016 - "Turchia ed Europa: l'eterno nodo di Gordio", pagina 31.

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CERCANO IL MEGLIO E PRODUCONO IL PEGGIO Cari amici lettori, ho resistito finché ne sono stato capace e, soprattutto, finché l'infezione virale (potremmo chiamarla "gretinite") che aveva colpito i media ha incominciato a regredire. Ora credo sia arrivato il momento di discorrere dello "straordinario caso di Greta" e di un altro fenomeno che mi sembra in qualche modo connesso, il veganismo. Siamo alla presenza di nuove ideologie che, se dovessero trionfare, rivaluterebbero il nazismo e il comunismo reale al livello d'innocui giochi da bambini. Io non discuto che sia in corso un'epoca tropicale, poiché, come tutti, ho sofferto parecchio il caldo (odio l'aria condizionata) che, ridicolizzando le previsioni dei meteorologi, ci avviluppa da molti mesi. Sono convinto che l'inquinamento sia una cosa orribile e vada combattuto. Amo gli animali e penso che la maggior parte di loro (a cominciare dai gatti e dai cani e, magari, escludendo mosche e zanzare) siano migliori degli uomini. Però… Cominciamo dal riscaldamento del pianeta Terra. Sono molti anni, ormai, che è in corso una speculazione su questo fenomeno, che viene attribuito a colpe dell'uomo. Suvvia! Non era necessario che cinquanta scienziati di chiara fama smentissero, con una lettera sottoscritta e inviata all'ONU, questa favola, grazie alla quale molti potenti si sono arricchiti, girando il mondo per tenere conferenze pagate a peso d'oro, organizzando costosissimi convegni internazionali e fondando enti capaci di raccogliere ricchissimi contributi. Qualsiasi essere umano di media cultura (e, quindi, anche un ambientalista fanatico) sa benissimo che il clima cambia non soltanto da un'era geologica all'altra, ma anche da un evo all'altro e persino a intervalli più brevi. Cirene e le altre città della Libia sono state civilissime e ricche di giardini, la Groenlandia è stata un paese verde, come rivela il suo nome. Certo, occorre perseguire in maniera drastica gli adulti che incendiano foreste per costruire città e i ragazzini che lo fanno per gioco (quelli di Sarno hanno più o meno l'età di Greta), gli industriali che inquinano fiumi e laghi con gli scarichi abusivi per risparmiare spese e aumentare i profitti, le compagnie di navigazione marittima e aerea che riversano gli scarichi sulle città, rendendo l'aria irrespirabile. L'uomo e i suoi misfatti, però, incidono soltanto per il cinque per cento sulla variazione termica del clima, che per il restante 95% discende da cause naturali. Secondo: l'inquinamento. Si tratta di un fenomeno reale e indiscutibile.


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Il nemico pubblico numero uno è la plastica, che invade ogni parte dell'ambiente e uccide troppi innocenti animali. Non siamo certo noi anziani a gradire l'usanza contemporanea dell'usa e getta. Io ricordo che, non molti anni fa, le bottiglie erano di vetro e venivano rese in cambio del piccolo deposito. Così si riusavano e non andavano ad accrescere le montagne dei rifiuti. Io non credo che tornare alla vecchia abitudine darebbe fastidio a qualcuno, se non ai produttori di bottiglie di plastica e, forse, ai coetanei di Greta adusi a lasciare le bottiglie nelle fontane e nelle aiuole. Non andiamo meglio con i solidi, i quali a volte sono rinchiusi in un doppio, se non addirittura in un triplo strato di plastica. Dovremmo smettere di acquistare i cibi preconfezionati e tornare all'antico uso della confezione in carta oleata. Terzo, gli animali. Io, da quasi mezzo secolo ormai, non mangio carne di pollo; mi piaceva quando questi bipedi piumati razzolavano nei campi e nei cortili, nutrendosi di ciò che più loro aggradava. Da bambino avevo una gallina marrone, che si chiamava Filomena e che curai con lo Streptosil quando s'ammalò di pepitola. Morì di vecchiaia e la seppellimmo sottoterra, non nei nostri stomaci. Ho amato Pasquale, il cane pechinese che mi aveva scelto per padrone e che morì, anche lui di vecchiaia, ed ebbe degna sepoltura. Adoro il mio gatto Paolo, che ho scelto come padrone e che fortunatamente ha ancora molti anni da vivere. Questo non significa che possa comprendere i vegani, seguaci di una nuova religione, i cui idoli sono gli animali di ogni specie. Non mi piace che gli animali siano uccisi senza una seria ragione, come a volte si fa, per esempio, con gli orsi e i lupi. Ma Dio (o, se non siete credenti, la Natura) ha previsto che gli animali carnivori si cibassero di altri animali e gli erbivori di creature vegetali. L'uomo è onnivoro: se Dio lo avesse voluto erbivoro, gli avrebbe fornito un rumine. Perché mai, allora, non è giusto che gli umani si cibino di animali, come fanno le altre belve che non uccidono, loro, se non quando hanno fame? Ho visto, qualche sera fa, una zuffa in televisione fra vegani e "normali": se sono così buoni, perché diventano violenti se contraddetti? Mi sembra che questo sia un vizietto dilagante: Hitler e Stalin sono morti, ma ormai politici e frequentatori del web sembrano aver acquisito la stessa mentalità e, se ne avessero il potere, manderebbero all'altro mondo milioni di esseri umani. In fondo, anche quelle due brave persone erano convinte di agire per una giusta causa, si trattasse della dittatura del proletariato o del trionfo della razza ariana. Per concludere, non ce l'ho con Greta. Con i gretini sì e più ancora con i nostri padroni che la usano come fa il puparo con le marionette. I gretini, lo abbiamo visto, manifestano e lasciano le piazze colme di rifiuti; i padroni sono quelli che si arricchiscono producendo la plastica e altre diavolerie. A me non piace essere preso in giro. Pietro Lignola

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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