Confini6

Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 6 Novembre 2012 - Anno XV

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PRIMO PIANO Le idee dei Mille per l’Italia: intervista a Veronica Navarra, presidente Onilfa

www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione culturale “Confini” Numero 6 (nuova serie) - Novembre 2012 - Anno XV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano + Condirettori: Ugo Maria Chirico - Massimo Sergenti + Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Giovanni Belleré Marcello Caputo - Elia Ciardi - Ugo Maria Chirico Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano - Carmine Ruotolo Filippo Sanna - Emanuele Savarese - Massimo Sergenti

+ Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Mario Ciampi Danilo Domenico De Luca Francesco Diacceto Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Giny L’Infedele Pierre Kadosh Enrico Oliari Pennanera Gustavo Peri Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti + Segreteria di redazione confiniorg@gmail.com Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com

RISO AMARO

Berlusconi si ritira e scende in campo

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

PATRIOTTISMO DEPRESSO E FEDERALISMO MUNICIPALE Come si può non amare l'Italia? La bellezza e la varietà del paesaggio, la diversità delle culture locali, delle tradizioni, del folklore, le sue cento città tutte da scoprire, i diecimila campanili, l'indole, per lo più, amabile della gente, la storia bimillenaria, lo sterminato patrimonio culturale, le produzioni tipiche, l'enogastonomia, la creatività che si fa prodotto col "made in Italy", la rendono un'area magica e privilegiata del pianeta. Come e forse più di Francia e Spagna, dentro l'Europa. Allo stesso tempo come si può amare l'Italia della spesa insensata, degli sprechi e delle opere incompiute, del debito pubblico scriteriato, delle caste e delle corporazioni, dell'ipertrofia istituzionale e legislativa, dell'inefficienza congenita, della burocrazia asfissiante, della sanità malata, delle barelle che si fanno ospedali? Come si può amare l'Italia dei "palazzi", dei parlamentari malamente nominati, della magistratura strabica, della giustizia ingiusta e lenta, del fisco iniquo, dei servizi scadenti ma oltremodo costosi, delle amministrazioni furbette che manomettono i semafori e nascondono gli Autovelox pur di fottere i cittadini, della scuola che non forma, delle promesse mai mantenute, delle primarie farsesche, dei diritti civili non rispettati, delle libertà mortificate?

E' questa gigantesca contraddizione tra Italia "fisica" e Italia "politica" che avvilisce il senso di patriottismo degli italiani, toglie loro speranza e fiducia, li induce a disertare dalle elezioni o li spinge nelle braccia del populista di turno. La città di Napoli è paradigmatica di questa contraddizione. Bella come una sirena stesa al sole, ultima per vivibilità, "infernale" per chi ci vive, spinta dal cieco desiderio di riscatto nelle braccia dei Bassolino, delle Iervolino, dei De Magistris, sempre senza esiti visibili, sempre sull'orlo dissesto.

Occorre ripartire, rifondare alla radice un sistema che non funziona più, occorre riallineare l'Italia "fisica" con quella "politica" facendo ricorso agli ultimi brandelli di patriottismo che sopravvivono nel cuore, più che nella mente, degli italiani. E' necessario riunire sotto una stessa bandiera un popolo smarrito e avvilito, sotto un nuovo tricolore le cui bande significhino: nuova Costituzione e snellimento delle istituzioni e delle regole, abbattimento del debito e rilancio competitivo, Terza Repubblica e nuovo contratto sociale.

Per far questo non si può non partire dall'Italia "fisica", dal territorio, dalle città, con lo strumento di un nuovo federalismo municipale, il solo in grado di riannodare le maglie sfilacciate del tessuto sociale, di alimentare sistemi territoriali collaborativi, solidali, efficienti e competitivi, di promuovere le eccellenze della nazione "fisica", immettendole in una grande rete cooperativa che si chiami Italia, solida maglia di una rete più grande che si chiami Europa.

G.P.

FOCUS

RICOSTRUIRE DAL BASSO

In fatto di federalismo, la Lega Nord ha avuto negli ultimi anni un merito e un grande demerito.

Un merito, per aver riesumato dai manuali di storia una delle migliori scuole di pensiero della nostra tradizione; un grande demerito, per averne travisato il senso, facendo passare per federalismo idee che nulla hanno a che vedere con questa dottrina.

Lo ha potuto fare approfittando del completo disfacimento delle culture politiche novecentesche e dell'assoluta marginalità in cui la Seconda Repubblica ha tenuto il dibattito sullo Stato e, più in generale, sul politico. E lo ha potuto fare anche per quel processo di riterritorializzazione della politica, che negli anni Novanta sembrava la risposta più forte e più radicale al globalismo e alle paure che recava con sé.

Il risultato è che in Italia si è voluto propagandare un federalismo senza un foedus, anzi quasi contro un foedus. Ma una federazione sussiste solo quando persone, associazioni e istituzioni stringono un patto e sono pronte a rispettarlo in virtù della fiducia che lega le une alle altre.

La costituzione federale segue il patto federativo. Le strutture e le funzioni vengono dopo.

Prima, occorre ristabilire anche simbolicamente le ragioni del patto federativo, che non può che essere nazionale.

Il nodo della soluzione federalista è tutto nella concezione dell'appartenenza territoriale e nella sua correlazione con quella nazionale. Il federalismo autentico si sposa con l'orgoglio di appartenere alla stessa nazione: l'esempio americano è paradigmatico. Al contrario, si rischia la frammentazione comunitarista, tutt'al più l'amore per la piccola cerchia di cui facciamo parte o la scomposizione del territorio secondo criteri funzionali o secondo disegni del tutto fantasiosi: è l'idea, a più riprese proposta dalla Lega, di una confederazione di euroregioni, ciascuna indipendente e sovrana, che comprende perfino territori esteri insieme a regioni italiane.

Oltretutto, il federalismo preso sul serio parte da una dottrina sociale pluralistica e policentrica, che si basa sull'autonomia della persona e sull'amicizia civile.

Spesso invece il federalismo in salsa leghista è stato presentato con uno scarso riguardo al principio di sussidiarietà orizzontale e si è sviluppato nella direzione di una frantumazione del vecchio centralismo unitario, sommariamente giudicato inefficiente e inadeguato, in una serie di centralismi periferici.

Cosa rimane di questo programma politico, che fino a qualche mese fa sembrava prioritario nell'agenda governativa? Di sicuro, esiste l'esigenza di una discussione generale sul riparto delle competenze tra il livello centrale e quello periferico. E continua a sussistere una generica

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FOCUS

necessità di una divisione del lavoro tra i diversi livelli di governo per effetto dell'aumento dei bisogni delle società contemporanee.

Senza dogmi di sorta: forse è il caso che alcune competenze ritornino in capo allo Stato centrale dopo qualche sperimentazione andata male, e che invece altri poteri oggi statali vengano lasciati ai livelli inferiori. Che non si riducono, conviene precisarlo, alle sole regioni. È paradossale in un Paese che ha la configurazione storico-geografica dell'Italia, ma è mancato quasi del tutto un dibattito sul municipalismo, che in Europa ha ricevuto molte attenzioni negli ultimi tempi, all'interno dell'Agenda Territoriale 2020.

Molti Paesi europei hanno investito in questi anni nello sviluppo sostenibile delle aree metropolitane per assicurarne la competitività in Europa e nel mondo. Cosa manca all'Italia per avviare una politica urbana più ambiziosa, non limitata soltanto alle metropoli? Si tratta di un ambito essenziale per la ricostruzione nazionale e per la ripresa economica del Paese.

Insomma, anziché indugiare sul regionalismo, il federalismo di oggi farebbe bene a concentrarsi sul municipalismo: il pericolo non è più, come per Mazzini, il ritorno al feudalesimo e ai potentati locali, semmai l'assenza di integrazione tra piccoli comuni. D'altronde, forse è il caso di partire dal basso per ricostruire il tessuto connettivo della nazione.

Mario Ciampi

SCENARI

L’ITALIA “METROPOLITANA”

La riduzione del numero delle Province, prevista dal Governo, è solo un primo timido passo sulla strada di un complessivo riassetto istituzionale necessario per avviare l'Italia verso una più efficiente Terza Repubblica, tuttavia la previsione governativa sta sollevando un levata di scudi da parte degli enti cancellati e delle rispettive comunità.

Un passo timido perché bisognava osare di più e con maggior estro riformatore.

La soluzione che proponiamo, e che avremmo adottato, è quella di estendere a tutto il territorio il modello della città metropolitana, per aggregati non inferiori al milione di abitanti.

Si tratta di un livello istituzionale nuovo, a dimensione e taglio europei e che si presta ad attuare e promuovere una filosofia di collaborazione "reticolare" tra i comuni e i territori che ne fanno parte, per questo è anche idoneo a promuovere un nuovo federalismo municipale incentrato sul principio di collaborazione per la crescita e lo sviluppo civile e la messa a fattor comune delle risorse. Inoltre, costituirebbe l'occasione per riequilibrare, in base al principio di sussidiarietà, le forti disparità che esistono tra territori, popolazione residente e numero di comuni.

Una disparità che pesa sia in termini di dispersione di risorse che in termini di iniqua distribuzione dei servizi ai cittadini.

Inoltre, per effetto della conseguente abolizione tombale delle Province, nessuno potrebbe più lamentarsi per "leso campanile".

Quello che proponiamo di seguito è un primo tentativo di articolazione di tale proposta che abbiamo battezzato "Italia metropolitana".

Ci rendiamo ben conto che in alcuni aspetti, come l'accorpamento della provincia di Aosta alla Città metropolitana di Novara, la fusione delle province di Trento e Bolzano nella omonima Città metropolitana, la creazione dei nuovi enti nelle regioni a statuto speciale, i passaggi sarebbero, a Costituzione vigente, delicati e complessi, ma speriamo ardentemente nella riscrittura della Carta costituzionale, auspicabilmente da parte di un'Assemblea Costituente appositamente eletta.

Partire dal basso L'Italia ha 60.626.442 di abitanti distribuiti in 8092 comuni e raggruppati in 20 regioni e 110 province.

La densità media di abitanti per chilometro quadrato è di 201. La media nazionale di abitanti per comune è di 7.492. Campania, Lazio, Veneto, Puglia, Emilia, Sicilia, Toscana e Umbria, in relazione al loro numero di comuni hanno popolazioni medie superiori alla media nazionale,

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SCENARI

Lombardia, Liguria, Piemonte, Marche, Friuli, Calabria, Abruzzo, Trentino, Molise, Sardegna, Basilicata e Valle d'Aosta hanno medie sensibilmente inferiori. Il primo gruppo di regioni ha un totale di 2885 comuni (35,5%) ed una popolazione di 34.731.649 (57%). Il secondo gruppo di regioni ha 5207 comuni (64,5%) ed una popolazione di 25.894.793 (43%).

audacia temeraria igiene spirituale

Tale evidente sperequazione pone un primo problema: quello di raggiungere standard uguali per tutti i cittadini riguardo alla distribuzione dei servizi comunali, in un'ottica di sussidiarietĂ .

Tale obiettivo si può raggiungere in due modi: moltiplicando il numero dei comuni nel primo gruppo di regioni in base alla popolazione media o riducendo tale numero nel secondo gruppo, sempre in base al dato medio. Si tratterebbe quindi o di tagliare 1729 comuni dalle regioni del secondo gruppo o di crearne 1803 nelle regioni del primo gruppo.

La tabella che segue chiarisce i calcoli:

SCENARI

Reg

Pop res

km²

Cam

5.834.056

13.590

429

551

5

10588

780

5843874

Lom

9.917.714

23.862

416

1.544

12

6423

1324

9919601

Laz

5.728.688

17.235

332

378

5

Lig

1.616.788

5.421

298

235

4

15155 6880

765 216

5731491 1618303

Ven

4.937.854

18.398

268

581

7

8499

660

4944816

+79

Pug

4.091.259

19.357

211

258

6

15858

547

4098204

+289

EmR Sic

4.432.418 5.051.075

22.446 25.711

197 196

348 390

9 9

12737

592

4435350

+244

12951

676

5064690

+286

Pie

4.457.335

25.402

175

1.206

8

3696

596

4465319

-610

Mar

1.565.335

9.365

167

239

5

6550

210

1573351

-29

Tos

3.749.813

22.993

163

287

10

13066

501

3753565

FVG

1.235.808

7.858

157

218

4

Cal

2.011.395

15.080

133

409

5

5669 4918

150 269

1123822 2015387

-68 -140

Abr

1.342.366

10.762

125

305

4

4401

180

1348586

-125

906.486

8.456

107

92

2

9853

121

906550

Tre

1.037.114

13.606

76

333

2

3114

140

1048900

-193

Mol

319.780

4.437

72

136

2

2351

43

322162

-93

4444

224

1678241

-153

4485

79

591880

-52

1733 7492*

18

134859

Umb

Sar Bas VdA Tot

ab/km² Comuni

Prov

7

Media ab Comok

1.675.411 24.089 70 377 8 audacia temeraria igiene spirituale 587.517 9.994 59 131 2 128.230

3.263

39

74

1

60.626.442

301.336

201

8.092

110

Abit.

Rid.

Incr. +229

-220 +433 -19

+214

+29

-56 -1.729 +1803

La colonna Comok indica il numero di comuni ottimale tarato sulla media. * Tale media scende a 5.379 se si considera soltanto la popolazione residente al di fuori dei capoluoghi di provincia, ciò cambierebbe di poco le variazioni: -1606 in luogo di - 1729.

Non essendo stagione per l'ampliamento delle istituzioni, la soluzione più ragionevole sarebbe quella di optare per la riduzione del numero dei comuni obbligando i comuni sotto media all'accorpamento, ossia alla fusione con altri comuni limitrofi (anche attraverso le Unioni di comuni rivisitate e rese obbligatorie), fino al raggiungimento di almeno 7.500 abitanti.

Per capire quanto siano piccoli questi numeri e quanto complicato il sistema degli enti locali nazionale basti considerare che la sommatoria degli abitanti di sole 4 grandi città: Shanghai 23 030 048, Mosca 11 551 930, Istanbul 13 120 596 e Londra 7 753 600 supera i 55 milioni, un numero pari all'intera popolazione italiana. Popolazione amministrata da soli 4 enti comunali, contro gli ottomila italiani.

Raccordarsi su area vasta Il secondo problema che qui si analizza è legato alla messa in efficienza del sistema istituzionale locale anche alla luce della prevista e parziale soppressione delle province.

SCENARI

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L'ipotesi è quella di estendere la facoltà (obbligo?) di costituire Città metropolitane a tutti gli aggregati di comuni che raggiungano almeno una popolazione complessiva di un milione di abitanti. Tale ipotesi consentirebbe di gestire al meglio i servizi e le politiche di area vasta e di programmare lo sviluppo comprensoriale con un approccio di "larghe vedute". La soluzione ipotizzata favorirebbe anche le politche di filiera e la sinergizzazione degli investimenti in un'ottica di federalismo municipale. La tabella e la cartina che seguono mostrano un possibile ridisegno istituzionale con la previsione di 43 enti metropolitani e 6228 comuni: REG PIE PIE PIE TOT LOM LOM LOM LOM LOM TOT VEN VEN VEN VEN TOT FVG TOT TRE TOT LIG TOT EMI EMI EMI TOT TOS TOS TOS TOT MAR TOT UMB TOT LAZ LAZ LAZ TOT ABR TOT MOL TOT CAM CAM CAM TOT BAS TOT PUG PUG PUG TOT CAL CAL TOT SIC

Abitanti % naz Kmq Com Città metrop.

Compensazioni 2 .302.353 3,80% 6.830 315 TO Ok 1 .254.603 1,20% 11.976 558 CNALAT Compensaz. per territorio e comuni 1 .028.609 1,70% 9.859 407 NOBIVCVBAO Compensaz. per territorio e comuni (Aosta?)

4.585.565 6,70% 28.665 1 280 Con riduzione num. comuni sarebbero 596 3 .156.694 5,20% 1.579 134 MI Compensaz. per popolazione 1 .555.010 2,60% 7.857 436 PVMNCRLO Compensaz. per territorio e comuni 1 .661.442 2,80% 5.698 379 VACOSO Ok 1 .189.803 2,00% 1.221 145 MBLC Ok 2 .354.765 3,90% 7.507 450 BSBG Compensaz. per territorio e comuni 9.734.545 16,20% 20.651 1 466 Con riduzione num. comuni sarebbero 1246 863.133 1,40% 2.462 44 VE Debito popolazione 1 .790.898 2,90% 5.844 219 VRVI Ok 1 .182.100 1,90% 3.932 154 PDRO Ok 1 .101.723 1,90% 6.155 164 TVBL Ok 4.937.854 8,10% 18.393 581 Nessuna riduzione comuni 1 .235.808 2,00% 7.855 218 UDPNTSGO Compensaz. per territorio 1.235.808 2,00% 7.855 218 Con riduzione num. comuni sarebbero 150 1 .037.114 1,70% 13.607 333 TNBZ Compensaz. per territorio 1.037.114 1,70% 13.607 333 Con riduzione num. comuni sarebbero 140 1 .616.788 2,80% 5.421 235 GESVSPIM Ok 1.616.788 2,80% 5.421 235 Nessuna riduzione comuni 1 .477.243 2,40% 7.733 101 FCRAFERN Compensaz. per territorio 1 .262.338 2,10% 8.331 140 REPRPC Compensaz. per territorio 1 .692.837 2,80% 6.392 107 BOMO Ok 4.432.418 7,30% 22.456 348 Nessuna riduzione comuni 1 .261.532 2,10% 11.980 123 PILISIGR Compensaz. per territorio 1 .140.532 1,80% 4.259 81 LUPTPOMS Ok 1 .347.749 2,20% 6.749 83 FIAR Ok 3.749.813 6,10% 22.988 287 Nessuna riduzione comuni 1 .565.335 2,60% 9.366 239 ANPUMCAPFM Compensaz. per territorio 2.471.821 4,10% 17.912 239 Con riduzione num. comuni sarebbero 181 906486 1,50% 8.546 92 PGTR Compensaz. per territorio - Debito popolazione 906486 1,50% 8.546 92 Nessuna riduzione comuni 4 .194.068 6,90% 5.352 121 RM Prov. Nord Roma cede a VTRI ab. Comp popolaz 480.761 0,80% 6.361 133 VTRI Ok 1 .053.859 1,70% 5.495 124 LTFR Ok 5.728.688 9,40% 17.208 378 Nessuna riduzione comuni 1 .342.366 2,20% 10.795 305 AQCHPETE Compensaz. per territorio 1.342.366 2,20% 10.795 305 Con riduzione num. comuni sarebbero 180 319.780 0,50% 4.433 136 CBIS Debito popolazione 319.780 0,50% 4.433 136 Con riduzione num. comuni sarebbero 43 3 .080.873 5,10% 1.171 92 NA Compensaz. per popolazione 1 .643.478 2,70% 7.502 301 CEAVBN Compensaz. per territorio 1 .109.705 1,80% 4.917 158 SA Ok 5.834.056 9,60% 13.590 551 Nessuna riduzione comuni 587.517 0,90% 9.994 131 PZMT Compensaz. per territorio 587.517 0,90% 9.994 131 Con riduzione num. comuni sarebbero 79 1 .258.706 2,10% 3.825 41 BA Ok 1 .798.854 3,00% 7032 146 LETABR Compensaz. per territorio 1 .033.699 1,70% 8.510 71 FGBT Compensaz. per territorio 4.091.259 6,80% 19.367 258 Nessuna riduzione comuni 733.537 1,20% 4.322 147 RCVV Debito popolazione 1 .277.858 2,10% 10.758 262 CSCZKR Compensaz. per territorio 2.011.395 3,30% 15.080 409 Con riduzione num. comuni sarebbero 269 1 .249.577 2,10% 4.992 82 PA Ok

audacia temeraria igiene spirituale

SCENARI

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SCENARI

La "metropolizzazione" del sistema Italia consentirebbe al Paese di mettersi all'avanguardia in Europa dove da diversi anni è alta l'attenzione sulle aree metropolitane e più in generale sulle formule aggregative anche transnazionali.

Darebbe, inoltre, una formidabile spinta alla competitività dei nuovi aggregati offrendo un contributo concreto al riavvio della crescita.

E' da rilevare che fin dal 1990 sono state introdotte nell'ordinamento le Città metropolitane.

Il legislatore, una volta tanto, aveva visto lontano sia pur in un’ottica non reticolare, ma dai più l'innovazione è stata vista come l'ennesima superfetazione istituzionale e le città metropolitane sono rimaste, a tutt'oggi, lettera morta, si è perduta l'ennesima occasione per innovare in sistema istituzionale logoro.

Soltanto le misure per Roma capitale hanno ravvivato l'attenzione sul tema ed i recenti provvedimenti del Governo Monti che hanno istituito alcune Città metropolitane e soppresso, per accorpamento, 35 province.

E' di tutta evidenza che, in tale ipotesi, a fini di semplificazione e messa in efficienza del sistema istituzionale, andrebbe anche ridisegnato il sistema regionale riducendo a 5 il numero delle regioni italiane, in tale ipotesi la particolare autonomia attribuita a regioni e province a statuto speciale potrebbe essere riversata sulla "specialità" di alcune Città metropolitane.

In tale quadro il nuovo sistema istituzionale locale italiano sarebbe costituito da 5 regioni (o macroregioni), 43 città metropolitane, 6228 comuni.

Un buon inizio per far ripartire l'Italia e solide basi per costruire la Terza Repubblica.

Angelo Romano

via Sistina, 91 - 00187 Roma T. +39 06 69921243 www.fondazioneagenda.it

RIFORME

III REPUBBLICA, UNA PROPOSTA

Con l'approssimarsi della fine della legislatura e del governo Monti, i partiti sembrano essere interessati a un solo aspetto per la prossima campagna elettorale: rifarsi la faccia pensando, così, di apparire nuovi e, quindi, degni di fede, al popolo che andrà a votare. Il ché, in tempi passati, avrebbe anche potuto risultare una mossa vincente.

Il fatto, però, è che non siamo più al 1992 dove da una disgregazione generale ne sono derivati differenti aggregati, quantunque i nuovi personaggi fossero soggetti di secondo livello nella I Repubblica, emersi per la scomparsa fisica o giudiziaria dei loro sovrapposti.

I cittadini, allora, votarono il nuovo pensando che, dopo cinquant'anni di concrezioni politiche, sedimentate in un sistema basato sulla corruttela e sulla tangente, potessero tornare a vedere qualcuno agire per il loro pro-gresso. Hanno continuato ad avere cieca fiducia nella politica; altrimenti, non avrebbero rilasciato deleghe in bianco, imboniti istrionicamente.

Ma, da vent'anni, i partiti si sono sempre più trasformati da mezzi di rappresentanza a meri strumenti di pressione nelle mani di pochi soggetti, a piccoli centri di potere a base non democratica, utili esclusivamente per realizzare alcuni obiettivi economici non strategici e lontani dal loro vero compito di mediazione tra le istanze dei cittadini e lo Stato: caratteristica significativa in tal senso, ad esempio nel centro-destra e non solo, è stato il riferimento al leader del partito stesso, assistendo così ad una autentica "personalizzazione" di tale cardine di rappresentanza. Il consenso, dunque, è stato richiesto non tanto per conseguire finalità d'interesse generale, quanto quale legittimazione di un leader, ovvero di una ristretta ed oligarchica cerchia di soggetti. Così, il partito politico si è inesorabilmente svuotato di contenuto, trasformandosi in semplice "cartello elettorale" tanto più utile quanto più in grado di assolvere il compito di finanziare e organizzare la campagna elettorale, senza concedere spazio al dibattito politico interno né, tanto meno, consentendo la crescita e la formazione di una classe dirigente.

E la sinistra, che, all'apparenza almeno, non ha seguito quella strada, si è avvitata tra lotte intestine e alleanze spurie che, nel medio periodo, hanno presentato il conto: l'interesse di gruppo ha prevalso su quello generale facendo cadere, per ben due volte, il governo di turno.

Senza, peraltro, affrontare tematiche degne di nota, che non fossero una ossessiva, manifesta avversione verso il Cavaliere, ad eccezione di una: la riforma del titolo V della Costituzione, operata dal governo D'Alema nel 2001.

In realtà, la riforma, poi confermata con un referendum al quale la Lega Nord diede il contributo decisivo, ha una gran parte della responsabilità politica dell'attuale sconquasso istituzionale.

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RIFORME

Una riforma, nondimeno, osteggiata, solo a parole, da tutte le forze politiche. Erano gli anni dei fulgori della Lega e ognuno pensava di dimostrare di essere più "federalista" dei "federalisti", ammesso che di federalismo si possa parlare, senza offendere, al di là dell'Atlantico, Alexander Hamilton, John Jay e James Madison, in Europa Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann, e in Italia Vincenzo Gioberti e Carlo Cattaneo.

Una riforma, inoltre, con un intento contestuale, neanche tanto nascosto, di captazio benevoletiae per future possibili alleanze con la stessa Lega. Quella riforma ha, di fatto, trasformato quindici regioni (quelle ordinarie), soggette al controllo dello Stato, in altrettanti micro stati con compiti tutt'altro che di secondo piano come la sanità, i trasporti, l'ambiente, la formazione professionale, ecc. Così, i modesti presidenti di Regione sono diventati governatori potenti e influenti e i consiglieri, quasi parlamentari. L'intento dichiarato era di avvicinare il "fare" ai bisogni locali attraverso l'assegnazione di deleghe alle provincie per dar loro un senso: invece, nella stragrande maggioranza, le deleghe non sono state date e si sono moltiplicati i centri di spesa, lasciando, peraltro, le provincie a languire nel sonno degli ignavi.

Inoltre, cinquecento miliardi di euro comunitari, assegnati dall'UE allo Stato Italiano in sette anni per lo sviluppo regionale, per la politica di sostegno alla pesca e all'agricoltura e per la formazione professionale, ripartiti a seguito delle intese raggiunte nella Conferenza Stato/Regioni, sono giunti sul territorio ad libitum, insieme ai trasferimenti statali, perché, nonostante le sollecitazioni, non è mai stata realizzata la Conferenza Regione/Città.

Ma c'è di più. Il 15 aprile 1993, il referendum abrogativo del Ministero delle Partecipazioni Statali, ebbe un vasto consenso e i voti per l'abolizione del sistema raggiunsero il 90,10%.

Ebbene, dal 2001, è stato messo in piedi il sistema delle partecipazioni regionali con la creazione di società, che al più possono stare sul mercato rionale, con lo scopo di dare servizi in cambio di tariffe. Insieme allo scorno, comunque, c'è la beffa: nessuna regione è immune da elefantiasi burocratica che, insieme alla sciagurata gestione dei vari sistemi a esse affidati tra i quali il pozzo senza fine della sanità, ha portato alla crescita dell'indebitamento.

Se per la fine della I Repubblica è stata determinante la magistratura, alla fine della seconda hanno concorso la Guardia di Finanza e i mass-media, e non la Merkel o Sarkozy, come qualcuno vaneggia. Sarebbe stato, forse, più intrigante parlare della regia di un grande vecchio.

Oggi, sono già in molti ad auspicare l'avvento della III Repubblica, anche se possiamo ben rivendicare, tra pochi e in epoca non sospetta, la paternità di tale augurio. Ma nessuno, al momento, gli ha dato una qualsiasi connotazione. E ciò è di fondamentale aspetto perché, a costo di apparire tautologico, il nuovo governo che emergerà dalle elezioni della prossima primavera dovrà necessariamente fare determinate cose e, nel contempo, non potrà non farne altre. Dovrà, infatti, osservare scrupolosamente le normative comunitarie riducendo così drasticamente gli spazi delle sue scelte, come Monti, peraltro recentemente, ha fatto notare in maniera sardonica; al tempo stesso, perché la III Repubblica abbia senso, occorrerà rinnovare profondamente l'ordinamento istituzionale.

Quello che serve, infatti, è ricominciare dalla polis, dalla città, per tornare a fornire opzioni

RIFORME

politiche ai partiti che, altrimenti, non avrebbero più di che seriamente parlare, agli imprenditori concreti punti di riferimento per la formazione di quell'humus sul quale crescere e ai cittadini motivi di partecipare e di vivere dignitosamente.

In sostanza, è necessario uscire da obsoleti modelli economico-sociali per impostare un "nuovo umanesimo economico", secondo quei principi sostenuti con vigore da Amartya Kumar Sen e dai princìpi non troppo differenti enunciati dal sociologo tedesco Ralf Dahrendorf.

Gli studi di quest'ultimo confermano, infatti, come nel nostro stesso Paese emerga insistentemente la domanda di buona e percepibile politica; una domanda che si manifesta anche con l'affermarsi di nuovi soggetti sociali e di vivaci movimenti collettivi, ancorché animati da una forte carica morale, legati a una concreta concezione di progettualità politica.

C'è, in sintesi, un mix giusto per un così ardito ma indispensabile indirizzo che s'incentra proprio sulla città: la necessità della politica di ristrutturare se stessa, la nascita di nuovi soggetti collettivi, riconvertiti o meno dai vecchi schieramenti, l'impossibilità - per una politica seria - di mirabolanti promesse a seguito dei vincoli comunitari, l'assoluta necessità delle imprese di trovare condizioni adatte per insediarsi e fare rete nello stesso territorio e in quelli vicini, l'opportunità di ritrovare una partecipazione sociale ad attività del potere pubblico condivise e percepibili. Amartya Kumar Sen, infatti, partendo da un esame critico dell'economia del cosiddetto benessere, ha sviluppato un approccio radicalmente nuovo alla teoria dell'eguaglianza e delle libertà. In particolare, Sen ha proposto le due nuove nozioni di capacità e funzionamenti come misure più adeguate della libertà e della qualità della vita degli individui.

In alternativa alle più consuete concezioni del well-being economico come appagamento dei desideri, felicità o soddisfazione delle preferenze, (comunemente etichettate come concezioni welfariste), la visione dei funzionamenti si basa sulla realizzazione di certe dimensioni oggettive, definite da Sen come stati di fare o di essere, o genericamente funzionamenti, che sono dei risultati acquisiti dall'individuo su piani come quello della salute, della nutrizione, della longevità, dell'istruzione, della qualità di vita, della sicurezza. Una politica siffatta, del resto, non può che essere realizzata dalle città, presenti tra l'altro nella nostra atavica cultura.

Ciò comporterebbe una nuova revisione del Titolo V della Costituzione per dare alle Regioni, unificate a non più cinque o dieci, solamente compiti di coordinamento; l'incremento nella costituzione di città metropolitane rispetto alla legge delega del maggio 2009 che ne indica di 15, ma al varo, con il recente D.lg. dello scorso luglio, solo 10; l'ulteriore abolizione di provincie nel rispetto dei parametri dei 2.5000 Kmq e dei 350.000 abitanti o la loro integrale soppressione generalizzando l'adozione del modello della città metropolitana; l'accorpamento di comuni al di sotto dei 1.000 abitanti; il conseguenziale restringimento dei collegi circoscrizionali; l'istituzione della Conferenza Regioni/Città; la ridelineazione dei collegi elettorali di Camera e Senato e la conseguenziale, forte riduzione dei parlamentari nelle due camere.

Immaginiamo, per un attimo, i risparmi strutturali che si otterrebbero da una tale revisione istituzionale ma pensiamo anche ai benefici che ne conseguirebbe l’Italia.

Massimo Sergenti

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PRIMO PIANO/“MILLE” IDEE

INTERVISTA A VERONICA NAVARRA

In una fase in cui la crisi economica mina la tenuta di tanti settori produttivi del Paese, il comparto agricolo, in controtendenza, mostra segni di vitalità. Ai dati lusinghieri del secondo trimestre 2012 diffusi dall'Istat, si accompagna un rinnovato interesse da parte dei giovani per tutto ciò che ruota intorno al mondo dell'agricoltura. L'impresa agricola, infatti, estende sempre di più la sua sfera d'azione alle attività di ricezione turistica e promozione del paesaggio rurale: tale dinamismo ben si adatta alla creatività e intraprendenza dei tanti giovani che, in numero crescente, scelgono studi ad indirizzo agrario. Senza dimenticare, poi, il contributo che il mondo agricolo, con i suoi valori e le sue tradizioni, può apportare in termini di riscoperta delle radici dell'identità nazionale. Donna concreta ed entusiasta, Veronica Navarra affronta, in questa intervista, i temi legati all'agricoltura e all'imprenditoria agricola femminile. Titolare, nel mantovano, di un'impresa agricola attiva nell'allevamento delle vacche da latte per la produzione di parmigiano reggiano, riveste nel tempo diversi incarichi istituzionali: dal 2001 al 2012, su nomina del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, è presidente delegato dell'Osservatorio Nazionale per l'Imprenditoria e il Lavoro Femminile in Agricoltura (ONILFA), mentre da luglio 2011 è nominata componente del gruppo di lavoro Unesco in materia di "Patrimonio Immateriale Mondiale dell'Umanità". Dal dicembre 2010 è Vice-Coordinatore della Task Force Cooperazione della Rete Rurale Nazionale, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. In qualità di componente dell'Internazionale Femminile ha collaborato allo studio e alla definizione di alcuni progetti per il Nord Africa (Scolarizzazione popolare Magrebina, 1995, e Valorizzazione della condizione femminile nelle zone rurali del Nord Africa, 1996).

Relatrice in numerosi convegni nazionali e internazionali in materia di agricoltura, aderisce all'iniziativa "Mille per l'Italia" lanciata da Gianfranco Fini per dare voce al vasto mondo della società civile.

Dottoressa Navarra, viviamo una fase tormentata della vita politica e sociale del Paese. C'è bisogno di una nuova ripartenza: come giudica la partecipazione della società civile al processo di ricostruzione della nazione ?

Continuo a pensare che della politica non si possa fare a meno anche in una stagione, come quella attuale, in cui il ceto politico gode di scarsa credibilità. Ciò che conta è non fare di tutta l'erba un fascio e riuscire a distinguere tra buona e cattiva politica. Detto ciò, credo che sia auspicabile un ruolo da protagonista della società civile nel progetto di rilancio del nostro Paese.

E' necessario, però, che politica e società civile agiscano in perfetta sinergia ognuna nel proprio

PRIMO PIANO/“MILLE” IDEE

campo di azione. Coinvolgere la società civile ritengo sia fondamentale, soprattutto, per prendere coscienza delle problematiche del territorio. Le porto l'esempio del mio settore: solo visitando le realtà territoriali si ha cognizione delle difficoltà quotidiane che gli operatori agricoli si trovano ad affrontare.

Difficoltà che non risparmiano le tante donne imprenditrici e lavoratrici che operano nel settore agricolo. In che modo si può supportare la loro attività?

Vede, sulla donna lavoratrice grava il peso della gestione familiare: figli da accompagnare a scuola, genitori anziani da accudire, cura della casa. Il tutto, per le imprenditrici agricole, in un contesto di vita lavorativa particolarmente dinamica: vendere prodotti nei mercati europei comporta la necessità di spostarsi di frequente per promuovere la propria azienda agricola. C'è bisogno, quindi, di una rete di sostegno che renda più agevole e sereno il lavoro femminile in agricoltura. Da qui la mia proposta di dar vita ad agro-asili che possano sorgere all'interno degli edifici agricoli, magari ristrutturando parte dell'azienda per adibirla allo scopo. Specifici accordi con i comuni consentirebbero, poi, l'invio di insegnanti sul posto. E' un modello che funziona bene nei paesi del Nord Europa, in Olanda ad esempio, e consente ai bambini di crescere nel loro ambiente senza dover affrontare lunghi spostamenti per raggiungere gli asili cittadini.

Sempre in funzione di sostegno, lei ha lanciato una proposta che riguarda il reinserimento sociale degli anziani attraverso l'attività lavorativa nelle aziende agricole.

Tanti anziani vivono oggi in condizioni di estrema solitudine, soprattutto nei mesi estivi in cui le città sono deserte e i servizi diminuiscono: accompagnarli nelle aziende agricole, con gli scuolabus che d'estate rimangono inattivi, potrebbe restituire loro un sentimento di utilità sociale che tanto giova al loro stato d'animo. E' chiaro che verrebbero impiegati in piccoli lavori aziendali che non richiedono un eccessivo sforzo fisico. Di ritorno a casa, poi, porterebbero con sé un bagaglio di tradizioni e valori agricoli da trasmettere ai nipoti.

Il mondo agricolo, con i suoi valori tradizionali, può aiutare i più giovani a riscoprire le radici identitarie della Nazione?

Certamente. Tra i giovani c'è una forte attenzione verso l'agricoltura e una volontà manifesta di far ritorno alle origini riscoprendo tradizioni e valori comunitari.

Pensi, ad esempio, a ciò che accade nelle case rurali dove si respira una splendida aria familiare e tutti i componenti della famiglia, adulti e ragazzi, collaborano fattivamente alle attività domestiche e lavorative. Oppure all'orgoglio che tante giovani imprenditrici agricole mostrano nel produrre cibo per il proprio Paese restituendo vitalità e nuova linfa alla nazione.

Che cosa si intende per multifunzionalità dell'impresa agricola?

La multifunzionalità, raccogliendo un indirizzo normativo dell'Unione europea, ridefinisce e allarga gli ambiti di azione della azienda agricola: produzione e commercializzazione di prodotti, diminuzione del processo di filiera, tutela dell'ambiente circostante, valorizzazione del patrimonio rurale e forestale attraverso attività di ricezione turistica.

In quest'ultima fattispecie rientrano l'agriturismo e la fattoria didattica, che avvicinano sempre di più gli abitanti delle città alla campagna. Insomma, una gestione molteplice delle attività

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agricole che trova nella donna e nella sua versatilità il migliore interprete del principio di multifunzionalità.

In che modo si può favorire e incrementare il consumo, sulle tavole degli italiani, dei prodotti provenienti dalle aziende agricole?

Stabilendo, ad esempio, che nei mercatini rionali delle nostre città ci siano dei banchi dedicati esclusivamente agli imprenditori agricoli. Oppure dando vita ad accordi tra mense scolastiche e aziende agricole affinché queste ultime possano fornire prodotti genuini per i più piccoli. Come vede si tratta di proposte molto semplici: peccato che tutto ciò che è semplice e lineare non trovi quasi mai attuazione nel nostro Paese…

L'Istat segnala per il comparto agricolo lo 0,9% di crescita nel secondo trimestre 2012 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Un'analisi di Coldiretti registra, al contempo, un aumento del 10,1% delle assunzioni di lavoratori dipendenti nel settore agricolo. Sono dati molto positivi, in controtendenza rispetto a quelli di industria e servizi.

Sono numeri che fotografano un settore in salute intorno al quale cresce l'attenzione e l'interesse dei giovani: il numero di ragazze che sceglie il corso di studi in economia agraria, intravedendo un futuro nel settore, aumenta sempre di più. Non bisogna però adagiarsi su questi dati che disegnano un quadro roseo: c'è ancora tanto da fare, ad esempio sulla sicurezza nell'utilizzo delle macchine agricole e sulla necessità di rendere più facile l'accesso al credito per gli imprenditori. Senza dimenticare i problemi connessi agli eventi imprevisti rappresentati dalle calamità naturali che possono compromettere il lavoro di mesi interi.

Ci avviciniamo a grandi passi alle elezioni nazionali di primavera in un clima di generale sfiducia verso la politica: la recente tornata elettorale in Sicilia è stata segnata da un elevato astensionismo. In che modo, secondo lei, si può invertire la rotta?

Credo che i cittadini abbiano voglia di confrontarsi sui problemi veri del Paese: sono indignati di fronte ad una parte della classe politica corrotta ma soprattutto sono stanchi di promesse vacue e mirabolanti. Vede, sono ormai dieci anni che trascorro le mie vacanze in Sicilia e credo di conoscere discretamente quella realtà. Ci sono cittadine dove la crisi fa sentire i suoi effetti in modo drammatico costringendo tanti esercenti ad abbassare definitivamente la saracinesca. Le strade dei centri storici hanno perso, nel tempo, circa il settanta per cento delle attività commerciali. Non la condivido, ma non mi meraviglia la decisione di disertare le urne messa in atto dai cittadini siciliani. Nonostante tutto però sono fiduciosa, perché credo che in Italia ci siano ancora politici seri e onesti in grado di restituire al nostro Paese la credibilità che merita.

G.F.

POLITICA/L’INTERVISTA

LORENZO FONTANA, EURODEPUTATO

Inizia, da questo numero, un ciclo di interviste con esponenti di tutte le formazioni politiche per meglio comprendere le varie posizioni sui temi cruciali per l’Italia e per cercare di porre le basi per nuove forme di dialogo sulle cose da fare.

Europarlamentare e capo delegazione della Lega Nord al Parlamento Europeo, Lorenzo Fontana analizza, in quest'intervista, lo stato dell'arte del processo di costruzione europea. Senza tralasciare, naturalmente, gli avvenimenti di casa nostra: il federalismo incompiuto, la spending review e le prospettive future della Lega in un quadro politico generale quanto mai incerto.

Onorevole Fontana, nel cammino di costruzione europea, teso ad una integrazione che non sia solo monetaria, irrompono le recenti affermazioni elettorali dei movimenti indipendentisti nei Paesi Baschi e nelle Fiandre. Quale significato dare ai nuovi fermenti autonomisti?

Il progetto di un'Unione Europea più forte politicamente attraverso la devoluzione di maggiori poteri all'Europa da parte degli Stati membri, comporterà un indebolimento e una perdita di importanza degli stessi. Le istituzioni che nasceranno faranno sorgere nuovi centri di potere rendendo più marginale il ruolo della politica nazionale. Di fronte ad uno scenario di tal genere emergono, in occasione di tornate elettorali locali, regionalismi e antiche divisioni mai sopite.

Quale è, a suo giudizio, il modello d'Europa verso il quale si deve tendere?

La mia opinione, che rispecchia il pensiero della Lega, è che la costruzione europea debba seguire criteri improntati alla sussidiarietà. Favorendo, cioè, la nascita di istituzioni locali che siano più vicine alle esigenze e ai bisogni dei territori. Sopra di esse vi sarà, naturalmente, lo Stato nazionale e poi l'Europa, un'istituzione, quest'ultima, necessaria per rapportarsi alle altre grandi potenze mondiali. Un'Europa, badi bene, che nasca dal basso, dall'autodeterminazione dei popoli e in cui le decisioni non vengano prese, a livello centrale, da tecnocrati e burocrati. Questi ultimi continuano a pensare di poter imporre scelte uniformi a tutti i Paesi membri, senza alcuna considerazione per le specificità economiche, sociali e culturali che gli stessi esprimono.

Tornando in Italia, rimanendo però in tema di amministrazione decentrata, che cosa ne pensa del decreto con il quale il governo prevede la riduzione delle province?

Penso che il problema sia di più ampia portata. Piuttosto che la riduzione delle province ritengo si debba tendere verso una profonda revisione della nostra Carta Costituzionale per far sì che essa risulti al passo con i tempi. Solo in tal modo si potrà dare attuazione ad un federalismo serio e compiuto. Vede, il problema del nostro Paese è il numero eccessivo di enti intermedi privi, però, di effettivi poteri. In definitiva credo che la svolta possa arrivare da un riordino sostanziale

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POLITICA/L’INTERVISTA

dell'apparato amministrativo italiano, attribuendo ai vari enti competenze specifiche ed esclusive da esercitare con autonomia di risorse.

Sul fronte riforme si continua a discutere di una revisione del titolo V della nostra Carta.

Nel 2001 si diede vita ad una riforma frettolosa e ibrida con un'idea di federalismo debole: si preferì attribuire alle regioni una potestà concorrente piuttosto che esclusiva. Porre rimedio a tale situazione, però, non può certo comportare un nuovo accentramento di poteri a favore dello Stato. E' necessario invece attribuire alle Regioni competenze esclusive, lasciando allo Stato solo le potestà fondamentali: gli Interni, gli Esteri, la Difesa e le Grandi Infrastrutture. Le Regioni provvederebbero, poi, a raccogliere direttamente le tasse concedendo una percentuale allo Stato centrale. In tal modo si realizzerebbe anche l'auspicata autonomia finanziaria.

In una stagione segnata dalla spending review, la scure colpisce, in definitiva, anche le autonomie locali. In quale altro settore, a Suo avviso, vanno operati i necessari tagli di spesa?

Tagli ai costi della politica credo siano imprescindibili: riducendo, per cominciare, il numero dei parlamentari attraverso meccanismi che dovranno essere previsti nella stessa Costituzione. Gli sprechi vanno, poi, sicuramente ricercati nelle pubbliche amministrazioni che, sempre di più, presentano bilanci in disordine. C'è bisogno di regole rigide per chi amministra e di una maggiore attenzione ai bilanci per tendere verso una gestione che sia virtuosa e competitiva. Dobbiamo prendere esempio dalla sana concorrenza che esiste tra i Cantoni svizzeri, i quali, attraverso una fiscalità differenziata e agevolata per le imprese, attirano investimenti e sviluppo sul territorio.

Sono, poi, favorevole al passaggio dal principio del costo storico a quello del costo standard che consente di premiare gli enti virtuosi, tenendo, allo stesso tempo, sotto controllo i bilanci.

"Prima il nord" è, oltre che il motto, anche la linea ufficiale della nuova Lega di Roberto Maroni: il Carroccio tende verso una caratterizzazione regionalistica alla stregua della Csu bavarese?

Le faccio una similitudine per spiegarmi meglio: esportare la Lega fuori dalle regioni del nord sarebbe come voler impiantare altrove una pianta che cresce solo a determinate latitudini.

Ritengo, in tutta onestà, che sia difficile che la Lega possa diventare un partito nazionale. Siamo interessati, invece, a stringere eventuali alleanze con partiti e movimenti locali che possano nascere nel meridione d'Italia riuscendo, dal basso, a rappresentare le rivendicazioni dei territori: al momento, però, non mi sembra di intercettare fermenti di tal genere. Il centralismo porta, alla stessa maniera, effetti nefasti tanto per il Nord quanto per il Sud del nostro Paese.

Dopo la stagione degli scandali interni, qual è il clima all'interno della Lega?

Direi ottimo. Abbiamo superato con grande tenacia una fase difficile: ci siamo riusciti, badi bene, con la forza delle idee e con la passione di sempre. Se fossimo stati semplicemente un movimento di protesta, come qualcuno continua a dipingerci, saremmo già stati spazzati via dalla burrasca degli ultimi mesi. Non è così, e quel progetto politico nato più di venti anni fa in un monolocale è diventato nel tempo una grande realtà politica che ha avuto il merito di lanciare, per prima, il tema del federalismo. Ed oggi, mentre il governo tenta di sottrarre alle Regioni le poche competenze concorrenti, la battaglia federalista diviene, per la Lega, ancor più ineludibile.

Giuseppe Farese

POLITICA

SE NON ORA, QUANDO?

In fondo, lo sapevo: i partiti non hanno ancora capito il momento che stanno, stiamo, attraversando e continuano nella loro buffonesca rappresentazione dello spettacolo di una pseudo-politica che, in realtà, sarebbe rifiutato persino dai teatrini di quart'ordine delle periferie marziane.

Evidentemente, la Sicilia non ha insegnato nulla. L'astensionismo è il primo partito, a maggioranza assoluta, della Regione, il Movimento a 5 Stelle è quello che tra la minoranza votante ha preso più voti, la coalizione che ha portato Crocetta ha vinto, ma, così com'è, non può governare. Non c'è dubbio che le alchimie pseudo-politiche porteranno a formare un governo nella Trinacria ma quanto reggerà dal momento che il Presidente, alla fin fine, governa con circa il 20% dei consensi rispetto all'intero corpo elettorale?

Ho ascoltato Crocetta, presente subito dopo la vittoria in alcuni talk show, affermare le sue intenzioni di rettamente amministrare, di ben risparmiare, di meglio indirizzare.

D'accordo, ma per fare cosa? Come pensa di ridurre l'abnorme deficit della Regione? Ha in animo una spending review regionale? Prevede un blocco del turnover dei dipendenti pubblici?

Ad esempio, da una comparazione tra la Lombardia (mettiamo temporaneamente da parte il caso Formigoni) e la Sicilia non c'è partita moralmente accettabile.

Prendiamo a prestito da un articolo del Giornale del 20/7/2012, a firma Gabriele Villa, che sintetizza la situazione e apprendiamo che la prima, La Lombardia, con 10 milioni di abitanti, ha 3.084 dipendenti, la seconda con 5 milioni di abitanti, ne ha 17.995. E dove i dipendenti totali del "sistema regione" sono in Lombardia, 4.900 in Sicilia ammontano a 28.796.

I dirigenti di ruolo sono 223 in Lombardia, mentre in Sicilia sono 1.800. Una cifra che, forse, è meglio espressa dal rapporto dirigenti-dipendenti: un dirigente ogni 14 dipendenti in Lombardia, uno ogni sei in Sicilia.

In tutta l'isola vi sono quasi trentamila forestali. A Godrano, ad esempio, paesino di mille abitanti in provincia di Palermo, i forestali in servizio sono 190. Più di quelli impiegati nell'intero Molise (dove i cittadini sono 160mila e gli ettari boschivi ottanta volte di più).

La cifra destinata alle pensioni dei consiglieri regionali ammonta a 7,8 milioni di euro in Lombardia e a 20,5 milioni di euro in Sicilia.

Lo Stato lascia alla Sicilia il 100% dei seguenti tributi: Irpef, Ires, Iva, tassa sulle successioni, tassa sulle donazioni, imposta ipotecaria, imposta sull'energia elettrica, imposta di bollo, imposta di registro, tasse automobilistiche.

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Una straordinaria generosità, motivata dal vantaggio di godere dello status di Regione a statuto speciale.

Ebbene, se la Lombardia avesse lo stesso trattamento della Sicilia, dovrebbe ricevere dallo Stato oltre 70 miliardi all'anno contro i circa 20 attualmente trasferiti. Nonostante le scarse risorse trasferite e i continui tagli, la Regione Lombardia chiude sempre il bilancio in avanzo.

Ora, da convinto, appassionato meridionalista, la domanda è: perché al 2012 dobbiamo assistere a tali paradossi? Non siamo più alle dispute tra aragonesi e angioini, né alle utilità papali. Non siamo neppure alle opportunità politiche borboniche e nemmeno alle valutazioni di Gramsci che la considerava una quasi-nazione. Anche il movimento indipendentista, che ha spinto le sue rivendicazioni fino a proporre l'adesione agli Stati Uniti d'America, da tempo tace, come tacciono, sul piano dell'indipendenza, quelli catalani, quelli baschi e quelli fiamminghi.

L'unico che resiste e sembra voler arrivare al 2014, anno stabilito per il referendum d'addio alla Gran Bretagna, è la Scozia.

Ma un momento: il parlamento britannico ha concesso a Holyrood (sede del Pàrlamaid na hAlba, il parlamento scozzese) 24 mesi - quasi fino al termine del 2014, appunto - per convocare la consultazione: in questo modo il first minister Salmond non potrà tergiversare se i sondaggi non dovessero essere favorevoli alla secessione.

E' stato, invece, bocciato il secondo quesito che Edimburgo voleva: una "devoluzione dei poteri", cioè un decentramento amministrativo in subordine alla secessione. Di conseguenza, il referendum per Edimburgo si tradurrà in un "o con Londra o da soli", anche se nell'ambito del Commonwealth. In pratica, da regione del Regno Unito la Scozia potrebbe trasformarsi in un'Australia o in una Nuova Zelanda: il Capo di Stato verrebbe comunque da Buckingham Palace, come sancito dall'Atto d'Unione del 1707.

In ogni caso, la Scozia ha circa 5,2 milioni di abitanti. All'incirca, quanti la Sicilia. E, secondo i sondaggi, di questi soltanto un terzo sarebbe favorevole ad abbandonare Londra, anche perché Edimburgo rischierebbe di trovarsi immediatamente un debito di circa 300 miliardi di euro, più del doppio del Pil reale. Finora, Londra ha coperto il debito, ma in caso d'indipendenza questo porterebbe la Scozia a dover agire in prima persona. E' vero che a suo favore giocherebbero alcune chance per la riduzione del debito, come il petrolio del mare del nord o il mantenimento della base a Faslane dei sottomarini nucleari britannici, ma ciò non toglie che la Scozia, in caso d'indipendenza, risulterebbe, di colpo, il primo Paese dell'UE in quanto a rapporto negativo debito/PIL. Allora, ripeto la domanda: atteso che da più parti, ormai, si avanza l'esigenza della III Repubblica; che in Europa l'aria dell'indipendenza ha fatto il suo tempo; che in Italia neppure la Lega cavalca più la tigre bossiana dell'autonomia del nord; che le Regioni, da quelle ordinarie a quelle a statuto speciale, dal 2001, anno di revisione del Titolo V della Costituzione, ad oggi non hanno dimostrato una grande capacità amministrativa e che, anzi, hanno nella generalità contribuito all'aumento del disavanzo; che, al 2012, con l'abbattimento di certezze giuridiche che si credevano consolidate (dal diritto societario, a quello del lavoro, dal diritto istituzionale a quello

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commerciale, a quello penale, a quello amministrativo) non si comprende la ragione giuridica della sussistenza delle Regioni a statuto speciale; che le provincie, anche a causa della mancata trasmissione di deleghe da parte delle regioni da undici anni a questa parte, sono ancora con la lanterna in mano a cercare un incarico; alla luce di tutto questo non è forse il caso di porre al primo punto all'ordine del giorno del manifesto dei partiti una riforma istituzionale?

Non per la sola Sicilia, ovviamente, (la quale comunque, sebbene previsto, non è stata toccata dal recente D.lg. circa l'accorpamento di provincie e la costituzione di città metropolitane) ma per ridisegnare le istituzioni all'insegna dell'efficienza e del risparmio.

Se proprio dobbiamo decentrare amministrativamente, esterofili come siamo, allora facciamolo come la Francia insegna con gli arrondissements; un decentramento che sul piano gestionale vada soprattutto verso le città, rispettando così una tradizione secolare italiana e un'esigenza del 21° secolo che chiede, per tornare a disegnare il futuro, una visione strabica: un occhio verso il macro, lo scenario internazionale, l'Ue, e un occhio verso il micro, il comune.

E' nel comune che si può progettare per valorizzare le caratteristiche locali e farne una "ricchezza"; che si può lavorare per realizzare una welfare community che lenisca gli scadimenti del cosiddetto welfare state; dove si possono realizzare le migliori condizioni per la promozione d'iniziative economiche. E' dall'alleanza di Comuni che si può costruire una rete per partecipare a progetti comunitari sul territorio o a programmi comunitari per operare a livello internazionale.

E' dall'unificazione di comuni che si fa massa critica progettuale da un lato per evitare dispersione di risorse e dall'altro per ampliare la sfera delle competenze. E' la città metropolitana che supera l'inerzia della provincia e coordina e promuove le iniziative su un territorio omogeneo. Previste nel numero di 15 sin dal 2009, sarebbero state da incrementare mentre ne sono state varate solo 10. Alle Regioni, da ridurre fortemente nel numero, meri compiti di coordinamento. Alle provincie, recentemente ridotte meno del dovuto, (36 invece di 50) il nulla: la soppressione. A Novembre 1998, venne fondato il movimento "100 città" in prevalenza da sindaci di sinistra. Fu sciolto dopo appena 3 mesi, il 13 febbraio 1999, per confluire nel Partito dei Democratici, dove delle tematiche originarie è rimasto poco o nulla.

Non sarebbe il caso di ridare vita a un movimento del genere, sia a destra che a sinistra, per tornare a vivere e a far sognare?

Forse, qualcuno comincia ad avvertire l'esigenza di riprendersi il rapporto diretto con i cittadini. Il 2 novembre, in Parlamento, il Governo è andato sotto per ben tre volte. Una delle tre, su emendamento della Lega (sic) si é stabilita la potestà di Comuni ed Enti locali di revocare a Equitalia e alle società partecipate la gestione della riscossione dei tributi.

I redattori dell'emendamento hanno commentato così: “Si tratta di un provvedimento importante, passato nonostante l'opposizione del governo e del Partito democratico, che porrà un freno alle ganasce fiscali imposte dall'esecutivo e applicate da Equitalia. Finalmente ci sarà un rapporto più sereno fra i cittadini e il fisco gestito direttamente dai Comuni".

Che aggiungere di più? Può darsi che il buongiorno torni a essere, finalmente, visto dal mattino.

Pietro Angeleri

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DUE PESI E DUE MISURE

Lo già detto ma mi ripeto: questo Governo è alquanto permaloso. Forse perché pensa di essere investito da chissà quale grazia divina e non sa neppure dove sta di casa la politica.

Certo… nemmeno la politica lo sa ma un conto è sentir sproloquiare un parlamentare che, a mala pena, avrà la terza media e non ha ben capito quale sia il suo ruolo nell'emiciclo ma, in ogni caso, è stato eletto e un altro conto è sentir discettare un docente di un'esclusiva università per ricchi, componente dei più influenti consessi internazionali, che però non si è mai confrontato sul piano elettorale, e ovviamente afferma di essere la Via, la Verità, la Vita. E, per giunta, non tollera i Tommaso ai quali risponde categorico come il Cristo: "………Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." . Poi aggiunge: "Se non mi volete, torno a Milano", come ha recentemente affermato, quasi sottintendendo "Non mi fate perdere tempo" (Giov. 14, 1-6).

Mi viene in mente un sottosegretario al lavoro del 1° governo Berlusconi, Adriano Teso, il quale alle prese con la sua prima esperienza governativa, affaticato dalle continue riunioni, con i sindacati sul piede di guerra per la raffazzonata politica del Cavaliere, cercando forse una solidarietà per il suo stressante impegno, quasi a captazio benevolentiae affermava che per lui era uno stress venire da Milano a Roma, con il suo aereo privato, tutte le settimane.

Erano i primi tempi della osiddetta. società civile e le liste elettorali ambivano elencarne i rappresentanti. Ma da essi non c'era e non c'è da aspettarsi un granché. Così come non c'è da aspettarsi granché da questo Governo. Mi fanno sorridere i sostenitori di Monti per il dopo Monti i quali, a giustificazione del loro schieramento, affermano come se fosse una Verità Rivelata: Monti ha ridato credibilità all'Italia, quasi al pari di una meretrice redenta.

Inoltre, visto che tra i sostenitori di Monti vi sono soprattutto esponenti del centro-destra che annunciano tale Rivelazione, sarebbe da chiedere loro: considerato che nel trascorso ventennio e, in particolare, negli ultimi otto anni, il Cavaliere l'ha fatta da padrone, chi è stato a far perdere credibilità a questo Paese?

Già. Non giova parlare del passato e attribuire colpe ai figli per i peccati dei padri. Bene, ma se così è, con quale faccia i rappresentanti di questo Governo bacchettano Marchionne?

Non sono un fan del Ceo della Fiat ma, vivaddio, non è stato lui a prendere migliaia di miliardi di aiuti di Stato nei quarant'anni d'oro del dopoguerra. Forse dovrà qualcosa a questo Paese il giovane Presidente che, sebbene con un cognome diverso, è comunque un Agnelli. Resta il fatto che la politica aziendale la imposta l'Amministratore delegato il quale, a differenza di molti soggetti del passato, non ha preso i soldi ed è scappato.

POLITICA

Marchionne, non c'è dubbio, ha ridato "credibilità" alla Fiat e ha investito in questo Paese, soprattutto in una zona dove ben difficilmente i tanto desiderati investitori stranieri, da parte di questo Governo, non investirebbero neppure uno spillo.

Ma, poi, sono la Fornero e Monti a dare lezioni di "morale" a Marchionne? E su quali basi?

La politica di questo Governo, sia quella fiscale, sia quella previdenziale, sia quella del lavoro, ha prodotto ben più "danni" che i 19 dipendenti messi in mobilità.

Forse "danni" necessari, ma non si possono fare due pesi e due misure: non si può auspicare (e operare in conseguenza), una maggiore competitività delle imprese, un loro agire "non ingessato", cancellare l'art. 18 della L.300/70, portare le tasse al 60% del reddito, effettuare l'ennesima, penalizzante, riforma pensionistica che, solo col problema degli esodati, si commenta da sola e poi entrare, impropriamente, nel merito di una questione che interessa solo ed esclusivamente il sindacato e i rapporti tra le parti.

Un sindacato, tra l'altro, neppure unito nel valutare i comportamenti di Marchionne.

E che dire, allora, dell'ILVA e, stando alle perizie, delle migliaia di morti e di ammalati causati dalle dispersioni in atmosfera delle lavorazioni?

Lì, il Governo avrebbe voluto proseguire la produzione senza accertare se tali perizie fossero fondate o meno. Qui, in Fiat, esprime giudizi etici contro un imprenditore il cui unico errore, da cultore del capitalismo, è stato (ammesso che lo sia stato) non cercare "relazioni" in un Paese che vive poco di capitalismo e molto di "riferimenti". E questo senza nulla togliere al precedente errore di adottare esplicitamente una condotta antisindacale che la Magistratura non ha potuto non censurare.

Se non sono un fan di Marchionne, non sono neppure portatore di una cultura capitalistica ma, santiddio, quando diventeremo un Paese coerente e ci racconteremo la verità, almeno nelle serate davanti al focolare, di aver per troppi anni creduto senza vedere e giudicato senza sapere?

Riformiamo l'Italia dalle fondamenta e facciamone un Paese normale, come si diceva una volta sia pur per bocca della sinistra (sic); pensiamo se veramente valga la pena di votare Grillo alle prossime politiche o uno dei nuovi, con virgolette e senza, movimenti che si affacciano sulla scena, ma almeno chiediamo preventivamente di conoscere il loro programma. E, all'interno del programma, se è presente l'impegno di riforma istituzionale.

E ciò perché è vero che questo Governo ha costituito le città metropolitane, individuate con la legge delega n. 42 del 5 maggio 2009, nel numero di 10 nelle regioni a statuto ordinario (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) ma ha altresì dichiarato che provvederà "in seguito" a costituire quelle nelle regioni a statuto speciale e cioè Cagliari, Catania, Messina, Palermo e Trieste.

E' quindi opportuno che il Governo che verrà inserisca nel calendario delle sue attenzioni (premettendolo nel suo programma elettorale) tale questione, particolarmente valida per la Sicilia, data la sua problematica situazione amministrativa, giacché tre delle cinque aree metropolitane previste ne fanno parte.

E' ulteriormente opportuno che il futuro Governo completi l'intrapresa sulle provincie le quali

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POLITICA

sono state sì ridotte da 86 a 51 ma, secondo i parametri dei 2.500 kmq e 350.000 abitanti, avrebbero dovuto scendere a 36 nelle regioni a statuto ordinario.

Premesso che a personale avviso, le provincie andrebbero del tutto abolite e incrementate le città metropolitane, osserviamo quali compiti sono assegnati dal D.lg. 6 luglio 2012, n. 95 alle stesse città metropolitane: l'assunzione delle funzioni fondamentali delle ex province soppresse; la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; la mobilità e la viabilità e, dulcis in fundo, la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Ci sarebbe di che pensare anche a ridurre i poteri e il numero delle Regioni; il ché, con i tempi che corrono, non sarebbe cosa da poco.

Francesco Diacceto

Libertiamo è un’associazione senza scopo di lucro, che intende concorrere alla costruzione di una piattaforma ideale, politica e di governo ancorata agli ideali e ai principi della libertà civile ed economica. Si propone lo scopo di promuovere la diffusione della cultura della libertà in tutte le sue diverse espressioni, attraverso attività di studio, manifestazioni pubbliche e iniziative di promozione culturale, anche di carattere editoriale.

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MILLE

L’ITALIA

Quotidiano online diretto da Enrico Ciccarelli

audacia temeraria igiene spirituale

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POLITICA

L’ECLETTICITA’ DEL SOSTEGNO Beh! Sì. Il Prof. Cisnetto, nel suo articolo La "manovretta" - Bicchiere mezzo vuoto. Alcune critiche costruttive e in libertà alla "manovretta" e alle scelte non fatte da Monti, come quella sull'Iva - pubblicato sul giornale on-line III Repubblica - almeno su una cosa ha ragione. Monti rappresenta una discontinuità rispetto al passato. Non che non l'abbia sul resto (manovretta e le critiche mosse all'azione del governo) ma, vivaddio, meno male che si è dichiarato un suo sostenitore: se fosse stato un avversario, cosa avrebbe scritto?

Qualcuno potrebbe chiedersi: ma perché, da queste pagine, l'Infedele scribacchia di Cisnetto e di III Repubblica?

Perché essendo, egli, un sostenitore del Partito dei carini, ed essendo quel partito un sostenitore di Monti al pari dell'UDC, ed essendo l'UDC affratellata al FLI (almeno fino ad ora) nella Lista Civica per l'Italia, ed essendo la Lista Civica per l'Italia patrocinatrice di Monti o, forse, delle sue tesi (non è ancora chiaro), le dichiarazioni del Prof. Cisnetto, a mio avviso, interessano Confini o,audacia almeno, chi vi scrive. igiene spirituale temeraria Detto questo, avrei capito un elenco di fattori a seguito dei quali, il docente, dona il suo incondizionato appoggio; una lista di motivi a fronte dei quali il professore e la sua Società Aperta si schiera a sostegno; un'esposizione di ragioni per le quali l'insegnante si dispone a supporto.

Invece, a leggere l'articolo, non c'è traccia del contenuto delle riflessioni che l'hanno indotto ad affiancarsi; vi è, invece, una caterva di critiche e, in fondo, due notazioni.

Nella prima, il redattore si rende evidentemente conto che agli occhi di un innocente lettore la sua posizione poteva apparire, che so, da dura opposizione.

E, quindi, chiarisce (??): lui critica da patrocinante.

La seconda è di una verità adamantina (stavo per dire tautologica): Monti rappresenta sicuramente una discontinuità rispetto al passato.

Chiedo scusa ai puristi della lingua ma che c(i)'azzecca? avrebbe detto Di Pietro. Perché, allora, con tale ragionamento, anche l'ex magistrato di Mani Pulite ha rappresentato una discontinuità rispetto al passato.

Non mi risulta, però, che lo stesso Di Pietro abbia ricevuto da Cisnetto, o da altri, lanci di ortaggi che, comunque, rappresentassero un osanna. Solo da Grillo (si pensi) che lo vuole addirittura al Quirinale perché "onesto", come la mia colf. Non avrebbe dovuto dire "discontinuo"?

Comunque, quel "famigerato" qualcuno potrebbe continuare a chiedersi: per quale motivo

POLITICA

l'Infedele ci tormenta i cabasisi e si accanisce contro il meschineddu che ha praticamente svarionato, (neologismo)?

Perché non è un meschineddu: è stato direttore di alcune testate della Rusconi, vicedirettore del quotidiano L'Informazione e vice-direttore del settimanale Panorama. Scrive per il quotidiano Liberal ed è, tuttora, editorialista de Il Messaggero, Il Foglio, Il Gazzettino, Panorama e Il Mondo.

Insegna Finanza alla Scuola di Giornalismo dell'Università Luiss.

Ha ricevuto nel 2000 il Premio Capalbio per l'economia e nel 2001 il Premio Saint Vincent per la divulgazione economica. È, dal 2002, responsabile della realizzazione di Cortina InContra ed ora di Roma InConTra, kermesse di politica, attualità e cultura. È anche conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria, di cui siede in consiglio di amministrazione.

Di formazione politica repubblicana, è considerato un allievo di Ugo La Malfa. È presidente del movimento politico Società Aperta - Circoli per l'altra Italia.

Negli ultimi tempi, come detto sopra, si era molto avvicinato al progetto della Costituente di Centro e dell'Unione di Centro e, per estensione, al progetto Lista Civica.

Rappresenta, in sostanza, un elevato esponente di quella società civile alla quale è stato dichiarato ad Arezzo di voler far ricorso.

Il fatto è che di esponenti del genere ne faccio a meno se non comprendono che nelle loro esternazioni non si stanno bonariamente confrontando tra colleghi, né stanno tenendo una lezione, ex cathedra, a poveri (nel senso di meschini, loro sì) discenti: stanno parlando e scrivendoaudacia di politicatemeraria e, quindi, siigiene stanno spirituale rivolgendo a un pubblico necessariamente variegato all'interno del quale il sempre presente signor qualcuno potrebbe rilevare le incoerenze della stessa esternazione (sic) e, come sto facendo, criticarla.

Questo per porre le mani avanti nei confronti dei leaders della futura Lista Civica affinché qualora pensassero di formare le liste sul territorio con detti personaggi, abbiano almeno la compiacenza di consigliare loro di adeguare e rendere coerenti i loro interventi.

Il capo di "Italia Futura", il sempiterno Luca Cordero, credo non inviso a Cisnetto, nel decidere di non candidarsi ha affermato: "Non chiedo posti o leadership, ma staremo al fianco dell'attuale premier. Il Paese prenda atto della disponibilità del Professore a continuare il lavoro Per quanto mi riguarda, il problema italiano è cambiare, non comandare. Cambiare un sistema, non qualcuno. Oltre a Monti occorre mettere in campo una politica diversa da quelle del passato che ci hanno portato dove l'Italia non merita.".

Ecco. Una dichiarazione pulita, che non desta perplessità di contenuti. Nel senso che non vi sono contenuti politici, ma comunica solo una scelta personale circa il sostegno a terzi (non il ministro delle finanze, bensì Monti).

Dal ché, non necessita, a differenza del Presidente di Società Aperta, della divulgazione delle sue ragioni. Oh! A proposito di contenuti nelle esternazioni di schieramento: quando avremo il piacere di ascoltare dai sostenitori montiani in generale, e dal prof. Cisnetto in particolare, gli indirizzi, le azioni, le riforme, i progetti che intendono perseguire per questo Paese?

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POLITICA

Non è più tempo di capi carismatici che con la loro sola presenza tacitano le folle, cadendo poi nel ridicolo o nel tragico; né è più tempo di stupidaggini al livello di partiti di lotta e di governo per gabbare le genti. E' tempo, invece, di ricongiungere i valori con la vita vissuta, il progetto teorico con la sua realizzazione pratica, l'ideale sognato con il progresso effettivo, la fede con la storia, l'armonizzazione degli interessi privati con l'interesse comune, i diritti con i doveri. E' tempo di III Repubblica e di nuovi, concreti contenuti politici; è tempo di riforme istituzionali per riavvicinare lo Stato al popolo del quale è espressione, è tempo di trasformare il sistema di protezione sociale e di avviare una confacente politica economica. E' tempo di ricominciare a pensare e non solamente a parlare.

Ah! Dimenticavo. Ovviamente non ce l'ho col Prof. Cisnetto del quale, anche se non lo conosco, sono un ammiratore della sua ecletticità.

L'Infedele

italiani QUOTIDIANO

diretto da Luciano Lanna e Filippo Rossi

ECONOMIA

UE: TRIPLO FLOP ALL’ORIZZONTE

Il 24 e 24 novembre il Consiglio europeo dovrà finanziare l'Unione dal 2014 al 2020, ma l'accordo sembra davvero lontano, tanto da indurre il Parlamento europeo a sospendere la sua partecipazione ai lavori per protestare contro le riduzioni di contribuzione richieste da alcuni stati.

Ogni singolo stato si è chiuso a riccio nella tutela dei propri interessi.

Da un altro lato il progetto di unione bancaria arranca, come quello sulla tassazione delle transazioni finanziarie che, insieme al bilancio, costituiscono le principali sfide per l'Unione.

Lo scontro tra i Paesi membri si è fatto talmente aspro che è probabile il fallimento del vertice, con ricadute negative sulla crisi economica.

In particolare Svezia, Danimarca e Regno Unito si sono messi di traverso. I danesi minacciano addirittura il veto sul bilancio UE se non otterranno una riduzione della loro quota di almeno 134 milioni di Euro e gli inglesi ci stanno pensando.

Nonostante il tempo speso in negoziati nulla si è mosso e l'Unione si mostra incapace di realizzare una maggiore integrazione economica e questo aggrava lo scetticismo dei mercati sul futuro della moneta unica.

Ad ingarbugliare ancor di più la matassa vi sarebbe una promessa di riduzione del contributo della Merkel alla Polonia, in quanto i fondi al vicino stimolano l'economia tedesca molto più di quelli alla Francia o al Regno Unito.

In questo quadro confuso l'Italia punta ad ottenere lo sblocco dei 670 milioni di Euro per il fondo di solidarietà per il terremoto dell'Emilia, ma salterebbe il finanziamento per l'Erasmus, incluso in un pacchetto da 9 miliardi fatto saltare da un gruppo di dissidenti capeggiati dal Regno Unito.

Altro che "generazione Erasmus" come speranza di futuro e di accresciuta coesione.

David Cameron avrebbe anche cercato di convincere Monti a passare tra i dissidenti con una carota da 2 miliardi di risparmio sui contributi. Ma Monti ha nicchiato avendo chiare le ripercussioni che lo strappo avrebbe avuto sul fondo di coesione.

Pennanera

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GEOPOLITICA

FOTOGRAFIA DELLA CRISI SIRIANA

Dopo oltre un anno e mezzo di "Primavera araba", le notizie che arrivano dalla Siria sono sempre più drammatiche: le vittime sono infatti oltre 36mila, mentre i rifugiati all'estero, per lo più in Turchia e in Giordania, 410mila. Vi è poi una marea umana di oltre due milioni e mezzo di persone allo sbando che hanno lasciato le proprie case per fuggire alle violenze e che sempre più si trovano pressate dalla fame e dalla carenza di medicinali, dirette verso un destino ignoto in quanto non vi è zona del paese che non sia interessata dagli scontri.

Anche presso i confini è possibile toccare con mano il nervosismo: a nord la Turchia, che ha chiesto una zona cuscinetto di una ventina di chilometri in territorio siriano per prevenire l'insediamento dei curdi del Pkk e che ha già dovuto trattenere a stento la propria reazione quando un proprio aereo da guerra, che aveva sconfinato di poco, è stato colpito ed abbattuto dalla contraerea di al-Assad; stessa cosa quando alcune granate sono cadute in territorio turco, uccidendo in un villaggio cinque persone.

La Turchia funge da filtro per l'eventuale traffico d'armi verso il regime siriano, ma non è più un mistero il suo appoggio, anche materiale, alle opposizioni in rivolta.

A ovest vi è il Libano, dove gli Hezbollah sostengono apertamente il regime di Bashar al-Assad; nel Paese dei cedri la situazione è costantemente vicina al precipitare, tanto che a Beirut un mese fa è stato assassinato in un attentato quello che da lì a poco sarebbe diventato il capo della Sicurezza, Wissam al-Hassan, e a Tripoli le scaramucce fra le diverse fazioni sono all'ordine del giorno. Sciiti sono gli Hezbollah, sciita è la nomenklatura del regime siriano e lo stesso al-Assad, e sciiti sono gli iraniani, il cui apporto a sostegno delle Forze governative è ormai un dato di fatto ed a nulla è servito far passare un autobus carico di esperti militari per una carovana di pellegrini diretti in Siria per pregare.

Anche ad est vi sono di tanto in tanto disordini: recentemente e per più di un'occasione colpi sparati dalla Siria sono finiti in Giordania e pochi giorni fa è stato ucciso un ufficiale di Amman.

Infine a sud vi è Israele: un colpo di mortaio sparato dall'esercito del regime siriano ha centrato una postazione sul Golan lo scorso 12 novembre, provocando la reazione di avvertimento di Tel Aviv. Nonostante il quadro drammatico e dagli esiti imprevedibili, appare ormai messa da parte in modo definitivo l'ipotesi di un intervento della Comunità internazionale sul modello libico, come pure è evidente l'inefficacia dell'azione mediatrice di Onu e Lega Araba per cui in un primo momento era stato scelto l'ex Segretario generale, Kofi Annan, mentre ora il ruolo è ricoperto dall'algerino Lakhdar Brahimi.

GEOPOLITICA

In modo quasi più autonomo che concertato le potenze europee stanno compiendo nel panorama della crisi siriana alcune iniziative di sostegno agli insorti ed in particolare lavoro di intelligence (la Germania ha inviato una nave con sofisticate apparecchiature in grado di monitorare la situazione aerea) e di diplomazia, come nel caso dell'Italia e delle varie trattative che si sono svolte a Roma; ogni tipo di supporto resta comunque difficile in quanto sia il mondo delle opposizioni è composito e sostanzialmente spaccato fra chi opera dall'estero e chi nel territorio siriano, sia perché nel paese mediorientale, a dar man forte ai rivoltosi, sono venuti combattenti da diversi paesi del mondo arabo, i quali sono spinti dai più disparati motivi e dalle più diverse convinzioni politiche o religiose.

Dal punto di vista geopolitico sono sostanzialmente tre i motivi per cui è impossibile l'attuazione di un intervento esterno nella crisi siriana: la Russia ha nella Siria sostanzialmente una propria area di influenza, una delle poche rimastale dopo la caduta dell'Unione Sovietica; presso il porto siriano di Tartus, Mosca ha dislocato un importante contingente fatto di sottomarini, navi di ogni ordine, impianti missilistici, mezzi terrestri, aerei e militari: la Russia non può in alcun modo permettersi di perdere la base militare di Tartus in quanto è l'unica in un panorama più ampio dove tutti i paesi, dal Marocco fino al Kirghizistan (con esclusione dell'Iran e, appunto, della Siria) ospitano basi statunitensi.

La Russia vende inoltre al governo siriano armamenti, cosa confermata anche di recente dal ministro degli Esteri Lavrov, il quale ha riferito che sono ancora in essere contratti risalenti all'epoca dell'Unione Sovietica.

Come la Russia, anche la Cina ha diritto di esercitare (cosa che entrambe hanno fatto) il diritto di Veto al Consiglio di Sicurezza dell'Onu; Pechino ha nella Siria un importante alleato commerciale ed utilizza i porti siriani per distribuire nel mediterraneo i propri commerci. Pechino ha stipulato con Damasco diversi contratti per la fornitura di ogni genere di merce.

Il terzo fattore interessato a che non si sconvolgano troppo le carte siriane è Israele, il quale è sempre più circondato da paesi dove i Fratelli Musulmani, notoriamente alleati di Hamas, o formazioni simili, hanno preso il potere. Durante l'inverno scorso, per via dei soliti diverbi, Israele aveva sospeso la fornitura di energia a Gaza, lasciando un milione e mezzo di cittadini al freddo.

I Fratelli Musulmani dell'Egitto avevano minacciato di sospendere, una volta preso il potere, la fornitura di gas a Israele; il gasdotto arabico, che con quello egiziano serve lo stato ebraico, parte dalla Siria e si raccoglie a Homs ma, senza entrare direttamente in Israele, attraversa la Giordania fino ad Aqaba, quindi risale il Sinai fino ad Arish e da lì entra nel mare per riaffiorare oltre Gaza, nell'israeliana Ashkelon. Per questo motivo e per l'annosa questione del Golan, preso alla Siria con la Guerra dei Sei giorni e mai veramente reclamato dalla dinastia al-Assad, Israele avrebbe interesse che la situazione in Siria rimanesse tale e quale.

Accanto a queste problematiche vi è l'importante arsenale di armi chimiche della Siria, il più cospicuo del mondo: c'è il timore che elementi radicali in lotta contro al-Assad ne possano venire in possesso e possano impiegarlo in modo criminoso.

Enrico Oliari

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PUNTO DI VISTA

ELOGIO DELLA PREFERENZA

La reintroduzione del meccanismo delle preferenze è conditio sine qua non perché gli organi elettivi siano realmente rappresentativi, degni così di costituire il nerbo di uno stato democratico in senso neanche chissà quanto utopico.

Il principio della rappresentanza indiretta, affinché le scelte collettive siano espressione di una volontà largamente condivisa, non può che poggiare sulla piena scelta dell'elettore, posto in condizione di fissare il maggior numero di assiomi entro i quali vada condotta l'attività di governo e di opposizione.

Perseverare, allora, nell'imposizione dei nomi si traduce nel ridurre la scelta dell'elettore a poche sigle, i cui contenuti e i cui attori siano rigidamente predeterminati da dirigenti di partito.

Ne consegue che l'assenza di dialettica interna ai partiti e alle istituzioni, svilito il peso politico dei singoli componenti "nominati", li allontani dalla necessità di confrontarsi con la società.

Si determina, infatti, una situazione di oligopolio naturale, nel senso che accanto ai grandi partiti non possano trovare spazio nuovi soggetti, così che questi risultino liberi, senza dover poi accusare le conseguenze delle proprie azioni, dal peso di dar conto alla collettività.

I sostenitori delle liste bloccate ne difendono le ragioni individuando nei casi "Fiorito" gravi anomalie della democrazia, eliminabili solamente con una compressione del potere di scelta dei cittadini di fronte a liste predisposte ad hoc da segreterie di partito in base a supposti criteri di qualità, coerenza ed efficienza.

Al di là della consolidata premessa storica che debbano essere i militanti a dettare le linee politiche ai vertici di partito e non viceversa, al di là della scontata constatazione che anche i nominati siano stati protagonisti di tristi vicende giudiziarie e che i partiti non perderebbero comunque il potere di selezionare i candidati, occorre ribadire con forza che il principio democratico si basi sulla auto-responsabilità dei cittadini, equivalente politico del biblico concetto di "libero arbitrio".

Il solo immaginare che pochi soggetti siano in grado di scegliere il meglio per la collettività significa arrestare il percorso democratico e tornare a spaventose filosofie totalitarie che teorizzino aristocrazie illuminate.

Al contrario, il processo repubblicano dovrebbe continuare consolidando istituti di partecipazione democratica anche all'interno delle pubbliche amministrazioni, le quali, mentre da un lato sfuggono, quanto meno in parte, ai poteri di indirizzo e controllo politici, dall'altro subiscono, in danno ai cittadini, indebite ingerenze da svariati gruppi di interesse.

PUNTO DI VISTA

Per sfuggire il pericolo di una paventata oclocrazia, temuta da chi sostiene la necessità di minore libertà di scelta, andrebbero necessariamente rafforzati quegli istituti funzionali al controllo, quali Authority e magistratura, con leggi che ne chiariscano i poteri, li liberino dalla sovrastruttura burocratica e che introducano, finalmente, meccanismi di promozione meritocratica e procedimenti disciplinari, almeno per chi incappi in grossolani errori o gravi omissioni.

Infine, è la Costituzione, al I capitolo, ad individuare l'istituzione con cui occorrerebbe dialogare più spesso al fine di riscoprire una salda e condivida etica comune: il popolo!

Danilo Domenico De Luca

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CONDIZIONE GIOVANILE

CHIUDE “LA FABBRICA DEGLI EUROPEI” Il capo della commissione bilancio del Parlamento europeo Alain Lamassoure ha avvertito che l'European Social Fund è in bancarotta e non è in grado di rimborsare gli stati. La prossima settimana toccherà al programma studentesco Erasmus, e alla fine del mese sarà il turno del Research and Innovation Fund.

Secondo Lamassoure il deficit ammonta a 10 miliardi, e dunque nelle prossime settimane è probabile che il commissario al bilancio Janusz Lewandowski chiederà agli stati Ue di versare "diversi miliardi di euro" per appianare il buco.

Miliardi che difficilmente arriveranno. Rischia così di chiudere il progetto Erasmus, “la fabbrica degli europei”, che dal suo avvio, nel 1987, ha consentito ad oltre un milione e settecentomila studenti europei di avvalersi dei programmi di scambio universitario.

Un’opportunità che non solo ha consentito a tanti giovani di formarsi in un Paese diverso da quello di origine, assorbendone lingua, cultura, metodologie didattiche, ma ha anche rafforzato il senso di appartenenza all’Europa.

La “generazione Erasmus” che ha sperimentato la libertà di movimento e di conoscenza, che ha sviluppato legami solidali, che ha imparato a fare rete e partenariato internazionali, che ha vissuto la difficile prova dello sradicamento, che ha avuto il coraggio di lasciare la sicurezza del focolare per darsi alla voglia di esplorare terre incognite, costituisce l’avanguardia dell’Europa nazione. Un’Europa nazione multiculturale, plurale, solidale, pacifica, consapevole della ricchezza rappresentata dalla diversità.

Erasmus ha favorito il nascere di comunità multiculturali di giovani europei, quasi dei vivai di amicizie, di progetti comuni, di legami affettivi da cui nascono anche “eurocoppie” ed “eurofigli.”

Ciò concorre a sviluppare uno spirito europeo nella maggior parte dei giovani, tanto che si è pensato di allargare i programmi di mobilità europea ad altre fasce di età.

Oggi tutto questo rischia di andare in soffitta, di essere cancellato per una manciata di Euro e per i qualche “capriccio di stato”.

L’Europa segna il passo, bloccata come sempre, dagli interessi contrapposti delle singole nazioni che la compongono e, more solito, i giovani ne pagano il prezzo.

P.K.

CULTURA

CI HANNO RUBATO IL SOGNO Ci hanno rubato il sogno. Non più barche d'eccellenza, confezioni pregevoli, monili preziosi, auto brillanti. Non più sogni nel cassetto.

Con questo non voglio dire che ognuno di noi, di là dal potere, avrebbe dovuto mirare esclusivamente a possedere una Ferretti, un Armani, un cachemire Piacenza, un gioiello Bulgari o una Ferrari; probabilmente, buona parte di noi, in un'intera vita, per scelta o per impossibilità, non arriverà ad avere neppure uno dei cinque prodotti sopra citati a mo' di esempio ma il fatto che fossero italiani ci riempiva d'orgoglio.

Che poi venissero acquistati da altri italiani, oltreché da stranieri, non aveva importanza: era il bello italiano che si affermava ed era motivo di fierezza per tutti.

Nell'ultimo anno, invece, i possessori di articoli, diremmo, di lusso sono diventati automaticamente evasori se non persone di malaffare che la gente guarda con sospetto, attribuendo loro, senza alcuna congettura, i più disdicevoli comportamenti sociali.

La magia del nostro design si sta perdendo come sta sparendo la tradizione artigiana; il concetto di bello si è dileguato e il piattume sta invadendo la Terra di Mezzo. Gandalf è scomparso e Frodo Baggins della Contea vuole ripescare l'anello, nonostante lo sprone di Samvise Gamgee, suo amico. E Sauron sta per vincere sulla libertà.

Non c'è dubbio: Il Signore degli Anelli è una meravigliosa metafora "disegnata" da Tolkien a più riprese tra il 1937 e il 1949. Tradotta in almeno 38 lingue, con decine di riedizioni ciascuna, resta una delle più popolari opere letterarie del XX secolo, oltre che rappresentare la quintessenza del genere fantasy.

E' dato, però, il caso che fino al 2001 l'opera tolkiana in Italia era considerata appannaggio della cultura di destra e snobbata sdegnosamente sinistra solo perché un intellettuale missino, IL GUSTOdalla DI LEGGERE Pino Rauti, peraltro scomparso pochi giorni fa, ne aveva tratto spunto per insegnare ai giovani, attraverso la mitica metafora, in campi scuola definiti "hobbit".

Nel 2001, invece, gli americani "scoprono" l'opera e ne fanno tre meravigliosi film che ricalcano l'impropria divisione del libro: da quel momento, la sinistra "dimentica" l'attribuzione culturale e l'opera diventa, finalmente, patrimonio, scenografico e commerciale, di tutti, senza tuttavia entrare nel significato metaforico dell'opera stessa.

Diversamente, capiremmo che, in quest'ultimo anno, noi hobbit, gli italiani, abbiamo fatto un cammino inverso: siamo andati verso il Monte Fato, ci siamo affacciati sull'orlo del vulcano dell'Orodruin, abbiamo ripescato l'Anello, divenuto di stagnola, e l'abbiamo indossato

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CULTURA

proclamandoci, novelli meschini Gollum, possessori del "tessoro", nella speranza che Sauron ci veda e ci giudichi fedeli sudditi, dimenticando non solo la libertà ma anche la bellezza, la bontà, la temperanza, la socialità e, perché no, l'orgoglio d'appartenenza.

Siamo diventati abitanti del vasto mondo delle tenebre e il nostro sonno non è più allietato, nell'umana serena carenza, da sogni colorati: ci svegliamo tesi e più stanchi di prima, pronti ad additare il più piccolo brillio come grave atto paradossalmente contro la socialità.

Oddio! Non sono nata sotto un cavolo e so bene che a volte la manifestazione di abbienza è sorretta da evasione ed elusione: piaghe certamente da combattere strenuamente. Ma da lì a concepire come mostri di evasione ed elusione tutti i possessori di un bene di lusso ce ne vuole.

Ed il bello è che anche chi ha una disponibilità adamantina non compra più articoli di lusso per timore del giudizio (infondato ma percepibile) della gente.

Non sono un'agente della Ferrari o di Armani e non mi preoccupo per quelle aziende il cui fatturato certamente si sostiene per le vendite all'estero, data la notorietà dei marchi; mi preoccupo, invece, perché così facendo s'impoverisce il patrimonio culturale di questo Paese, si perde l'interesse a progettare il bello, non si vede più la bontà dell'opera preferendo la massificazione delle idee e delle merci, la temperanza dinanzi alle avversioni della vita è stata soppressa per sposare l'ineluttabilità del destino e l'orgoglio di essere italiani è diventato una larvata percezione del subconscio, in attesa di un'integrazione comunitaria che è una dichiarazione d'intenti, peraltro collidente con le azioni.

Ma, anche concedendo per un attimo che l'integrazione possa accadere domani (e non almeno fra trent'anni) che cosa sosterrà, culturalmente, economicamente e socialmente questa parte di Unione che una volta si chiamava Italia? Quali saranno i punti di forza sui quali si fonderà l'intrapresa nazionale? O dovremo andare ad intraprendere in altre zone che, una volta si chiamavano Francia o Germania?

Qualcuno dovrebbe chiederselo, piuttosto che pensare a fare chi a una lista civica, chi a un movimento, un nuovo partito, una diversa coalizione e a enunciare, senza eccezioni, obiettivi come democrazia, trasparenza, interesse per la polis, onestà.

Se una ridicolaggine del genere fosse accaduta fino a vent'anni fa, la gente avrebbe bollato dichiarazioni del genere con espressioni la più purgata delle quali sarebbe stata "Ci mancherebbe altro!".

Che senso ha dichiarare di puntare a indossare vesti che dovrebbero essere proprie della politica e, a poco più di quattro mesi dal voto, neppure dichiarare di sfuggita i contenuti della futura azione?

Povera me, che fabbrico nell'acqua, avrebbe detto mia nonna. Questo Paese è da rifondare, sia sul piano costituzionale che istituzionale. Va depurato di tutte le incrostazioni che quarant'anni di cultura democristiana e vent'anni di trash gli hanno scaricato addosso.

Le competenze regionali vanno riportate allo stato ante il 2001, prima cioè della disgraziata riforma costituzionale del Titolo V e vanno ridotte nel numero. Le provincie vanno abolite, giacché neppure quella sciagurata riforma e il recente decreto legislativo, (che le ha portate a 51

CULTURA

da 86 mentre, rispetto alle previsioni, avrebbero dovuto restarne 36) hanno saputo trovare per loro il da fare, se non i soliti, indistinti compiti di gestione di strade e scuole.

Tra l'altro, non sono state toccate le provincie delle Regioni a statuto speciale. Del riordino di quelle province il governo si occuperà "in seguito", ha spiegato il ministro Patroni Griffi, "visto che la legge sulla spending concedeva a queste realtà 6 mesi di tempo in più". Chissà cosa vorrà significare "in seguito" e perché questa dilazione che, d'altra parte, andrà, sicuramente, ben oltre i "sei mesi" preventivati, ritardando inspiegabilmente sul piano generale, e sulle regioni a statuto speciale in particolare, le razionalizzazioni e i conseguenti risparmi dei costi di gestione amministrativa.

I Comuni vanno ulteriormente accorpati, ben oltre le necessarie fusioni derivati dalla costituzione delle dieci recenti città metropolitane, perché per alcuni, ad esempio quelli sotto i 1.000 abitanti, la gestione è una finzione amministrativa. Così come vanno indotti i comuni, alcuni dei quali sicuramente riottosi, a partecipare alla realtà metropolitana, superando la limitazione dell'art. 133 della Costituzione, appartenente al famigerato Titolo V. Nella sostanza, va ridisegnato l'impianto istituzionale trovando il fulcro sulle città.

Non ha senso continuare a parlare di federalismo ma se proprio se ne volesse parlare, allora esso va "disegnato" sui comuni, a maggior ragione se metropolitani, peraltro da ampliare, rispetto ai preventivati 10, i quali, oltre ad avere una più diretta percezione delle esigenze di una comunità, possono meglio rendere alla comunità stessa motivi di un più attagliante giudizio. Soprattutto, va affidato alle città il patrimonio culturale di questo Paese e la conservazione del "bello".

La formazione professionale, pagata in questo Paese con i soldi comunitari, gestita dalle Regioni attraverso bandi, sarebbe dovuta transitare dal 2001 alle provincie che non l'hanno mai vista. Si tolga alle Regioni e si affidi ai Comuni che è l'unico soggetto serio per programmarla e realizzarla con coerenza. Inoltre, si rendano i Comuni fruitori principali delle disponibilità derivanti dal piano Giavazzi.

E ciò, nella speranza che almeno le amministrazioni comunali, investite di nuovi e più cogenti poteri, non abbiano timore a far riscoprire, attraverso l'insegnamento, il bello alle nuove generazioni. Che, tra l'altro, è dentro di noi, come Platone insegna.

Roberta Forte

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SCIENZA E TECNOLOGIA

MAI DIRE MAIS Si tratta di una bomba che ha lanciato la rivista Food and Chemical Toxicology rivelando i risultati degli esperimenti condotti da un team di ricercatori dell'Università di Caen in Francia.

Lo studio, condotto per due anni, è consistito nell’alimentare ratti con mais transgenico, additivato e non con un erbicida prodotto dal gigante americano Monsanto. (90,92-0,15%) L'esperienza ha dimostrato, tra l'altro, che i topi nutriti con mais geneticamente modificato NK 603, con o senza aggiunta di erbicida determina almeno il doppio di incidenza tumorale ed una mortalità più veloce che nei ratti alimentati con mais convenzionale.

Abbastanza per spaventare il mondo sui rischi degli OGM. Ma cos'è un OGM? Si tratta di un organismo geneticamente modificato. Il suo patrimonio genetico ha subito un cambiamento determinato dall'uomo, al fine di dare all’organismo nuove proprietà. Ciò si ottiene cambiando le caratteristiche genetiche con l'aggiunta o l'eliminazione di almeno un gene. Un OGM è un organismo che non esiste come tale in natura.

Vengono utilizzati principalmente nei settori dell'industria, della medicina, in agricoltura e nell’agro-alimentare.

In particolare il mais NK 603 è stato geneticamente modificato per consentire agli agricoltori di spruzzare i loro campi con il Roundup, l'erbicida più usato nel mondo e sviluppato dalla Monsanto. Il grano diventa resistente a questa sostanza chimica e la sua cultura non viene alterata.

L’NK 603 ha ricevuto approvazioni per la coltivazione nel 2010 e nel 2011 in 12 paesi: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, Giappone, Sud Africa, Filippine, Colombia, Paraguay, Uruguay, El Salvador e Honduras, secondo il conteggio effettuato dal quotidiano francese “Le Monde”. È consentito per l'alimentazione animale e per la produzione di cibo per gli esseri umani, come farina o farina di mais.

Questo mais non è ancora coltivato in Europa, ma si trova in numerosi prodotti importati e così l’NK 603 finisce nei piatti degli europei.

Il problema è che non è possibile essere sicuri della sua presenza a tavola in quanto le disposizioni europee non obbligano l'industria alimentare a segnalare la presenza di OGM per i prodotti che ne contengono meno dello 0, 9%. Ma potenzialmente, il mais può essere trovato in cereali, cracker, salatini, pan grattato, sformati, zuppe, salse, budini e dolci.

Secondo Le Monde, esso può, inoltre, essere utilizzato anche negli additivi alimentari, quali l’amido ossidato (E1404), i fosfati d’amido (E1410, E1412 E1414 a) o il sorbitolo (E420).

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SCIENZA E TECNOLOGIA

Due altri prodotti OGM hanno ricevuto approvazioni: il mais MON 810 sempre della Monsanto e la patata Amflora della BASF. Ma per ora, solo il mais viene coltivato soprattutto in Spagna (80% della produzione). L'Unione europea ha inoltre accettato l’importazione di altri 44 OGM: 25 varietà di mais, 8 tipi di cotone, 7 di soia e 3 di colza e barbabietole.

L’Europa, tuttavia, è ancora un’isola felice visto che nel mondo le principali colture OGM hanno coperto, nel 2011, 160 milioni di ettari, come indica una statistica del governo canadese, con un incremento dell'8% rispetto al 2010. Gli OGM per la coltivazione della soia sono i più utilizzati nel mondo (47%), seguono il mais (32%) ed il cotone (15%). Il primatoi OGM è detenuto dagli Stati Uniti (43,1% della superficie globale), seguiti da Brasile, Argentina, India e Canada.

L’uso degli OGM determina comunque grandi polemiche tra fautori e contrari.

Nonostante i risultati della ricerca francese, numerosi altri studi sugli effetti a lungo termine dei prodotti geneticamente modificati sulla salute degli animali - ratti, maiali, pollame - avrebbero dimostrato che questi alimenti sono sicuri quanto gli alimenti non OGM. La Monsanto, dal canto suo, afferma di aver condotto più di 300 studi sull’alimentazione animale che hanno confermato che il cibo OGM sarebbe altrettanto sicuro di quello non-OGM. Pierre Kadosh

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RUBRICHE/ARTE

IL SEME E IL PROIETTILE

Erinç Seymen (Istanbul, 1980) è laureato presso l'Università Mimar Sinan di Belle Arti, Pittura Dipartimento di Pittura nel 2006 e ha conseguito il MA presso Yildiz Teknik University Art e Facoltà del Design, con una tesi su Bob Flanagan. Vive e lavora ad Istanbul. Ha partecipato a convegni e conferenze e molti suoi articoli sono stati pubblicati in varie riviste su temi come il militarismo, il nazionalismo e le problematiche di genere. Dal 2002, ha partecipato a numerose mostre personali e collettive ad Istanbul, Ankara, Vienna, Parigi, Londra, Helsinki, Eindhoven e Lisbona. Le mostre collettive cui ha partecipato sono: "Lungo le porte di Urban", K & S Galerie, Berlino (2004), "An Atlas of Events", Fondazione Calouste Gulbenkian, Lisbona (2007), "Io sono la guerra!", Open Space , Vienna (2008), "?stanbul, Traversata", Palais des Beaux Arts de Lille, Lille (2009), "Moods: una generazione che va fuori dai binari", Ecole Nationale Superieure des Beaux-Arts, Parigi (2010).

Dal 13 novembre al 22 dicembre 2012, la galleria Rampa di Istanbul ospiterà Erinç Seymen con la mostra "Il seme e il proiettile". La mostra è il risultato di tre anni di lavoro, in primo luogo con il disegno, e segna la prima presentazione a lungo termine ed a più livelli del progetto dell'artista: Sangoi (2011-12).

La mostra mette in discussione i processi di naturalizzazione del sociale e rivela il paziente atteggiamento di intensa produzione che recentemente è diventato più importante nel lavoro di Seymen. Queste opere recenti propongono un nuovo mezzo di comunicazione, diretti verso le relazioni ri-organizzazione di oggi e le condizioni di percezione attraverso una serie di immagini simboliche che sono strettamente connesse e coerenti tra loro.

Nella prima sezione della mostra, ci sono otto opere indipendenti: da Testimone Surprise 1 (2011) e Testimone Surprise 2 (2012), ispirate da vari esempi di letteratura utopica a Serva ex Machina (2010) che mette alla prova i confini della violenza visiva.

La seconda sezione della mostra presenta Sangoi, un'opera multimediale costituita da disegni, video e installazione. Sangoi problematizza l'iniqua distribuzione dei ruoli del vincitore e del perdente nella società competitiva di oggi. Il nome del progetto deriva dal paese immaginario dove tre giovani pazienti di Hans-Zulliger, uno psicanalista svizzero, fuggirono, al fine di realizzare varie fantasie lontano dal mondo degli adulti. Attraverso questa prospettiva unica, si evidenzia il collegamento tra le regole del gioco e le regole della società.

Giny

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RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA Risotto al salmone con erba cipollina e salvia Ingredienti per 4 persone: 250 grammi di riso Vialone nano, un filetto di salmone affumicato da 200gr, 50 grammi di panna fresca, 50 grammi di burro, 1 cipolla media, 20 fili di erba cipollina, 5 foglie di salvia fresca, 100 gr di vino bianco, il succo di mezzo limone, 2 litri di brodo di dado classico, sale e pepe nero.

Tempo di preparazione: 40 minuti In una pentola mettere a bollire 2 litri d’acqua e due dadi per brodo (tipo classico).

In una padella grande mettere la cipolla tritata finemente ed il burro, far soffriggere sfumando col vino bianco ed il succo di limone. Aggiungere il riso, farlo tostare leggermente, aggiungere il brodo, secondo necessità, mescolando continuamente e nello stesso verso.

A meta cottura aggiungere il salmone tagliato a pezzetti, il sale, il pepe, le foglie di salvia e 15 fili di erba cipollina tagliati a pezzetti da circa un cm.

Uno o due minuti prima che il riso sia cotto aggiungere la panna mantecando a fuoco molto lento.

Impiattare a guarnire con la restante erba cipollina.

Accompagnare con vino bianco.

L’inventore della ricetta suggerisce il Grillo 2011 di Sallier de la Tour.

IL GUSTO DI LEGGERE Antonio Parlato Sua Maestà il Baccalà - Ovvero Il pesce in salato che ci vien d'oltremari Colonnese Editore, Napoli, pp. 128, cm 14,5x21 - ISBN 9788887501780 - Prezzo € 14,00 Articolato volume che spazia dall’origine del nome a quella geografica del più venduto, e acquistato, rappresentante della fauna marina.

Accanto alle descrizioni “tecniche” della riproduzione, cattura, lavorazione, richiami al “baccalà letterario”, ossia alla sua presenza nel mondo del libro, passando anche per la musica ( ad esempio, Paolo Conte, col suo: “Pesce veloce del Baltico”).

In appendice, gustose (non solo gastronomicamente) ricette legate, oltre che ai luoghi, come di consueto, a personaggi, mestieri e interi popoli che le hanno ideate.

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti.

Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro.

Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove.

Questo e altro è “Confini”

www.confini.org