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Editoriale

La Redazione

Operosità silenziosa

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Il rumore del vento e il canto degli uccelli, i suoni della primavera che avanza potrebbero farci immergere nel silenzio di una natura che ci ridona vita e che diventa capace di stemperare le nostre tensioni quotidiane. Ed invece il silenzio di questo nostro tempo costituisce la cornice di uno scenario che sembra ancora piuttosto desolante… La pandemia, con cui l’umanità sta facendo i conti da oltre un anno, ha prodotto un silenzio assordante che oscura e nasconde la bellezza dell’autentico valore del silenzio che è pienezza e accoglienza di vita. Piazze e strade vuote… assenza di rumore di saldatrici nelle carrozzerie o di motori d’ auto dal meccanico… mancanza di stridore di frese nelle falegnamerie… di chiacchiericci agli ingressi dei supermercati… C’è una bottega, però, sempre aperta… è quella di san Giuseppe! Ce lo ha ricordato Papa Francesco affidando alla speciale protezione di San Giuseppe tutta l’umanità con la proclamazione di un Anno Speciale per ricordare i 150 anni del Decreto Quemadmodum Deus, con il quale il Beato Pio IX dichiarò San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica. È proprio Papa Francesco in questo contesto di emergenza Covid ad additarci San Giuseppe quale straordinaria figura silenziosa, vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. “Le nostre vite”, dice il Pontefice, “sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri, addetti dei supermercati, badanti, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo… gente che esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. Tutti, allora, possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un

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sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza”. E nella storia della salvezza, dell’amore eterno di Dio per l’umanità, Dio ha riconosciuto in San Giuseppe un cuore di padre capace di dare e generare vita nella quotidianità, l’uomo capace di fare della sua esistenza un dono, perché la vita si ha solo se si dà, si possiede davvero solo se si dona pienamente… e questo San Giuseppe l’ha compreso bene e senza tante parole o spiegazioni! “Padre amato”, a motivo della grande venerazione popolare, “Padre nella tenerezza”, capace di far posto a Dio anche attraverso le proprie paure e debolezze, “Padre nell’obbedienza”, capace di cogliere la voce divina attraverso i sogni, san Giuseppe ha affrontato “i problemi concreti” della famiglia di Nazareth, esattamente come fanno tutte le altre famiglie del mondo, incoraggiando a far rinascere nell’uomo risorse inaspettate. “Il carpentiere di Nazaret – spiega il Pontefice nella sua Lettera Apostolica – sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza”. San Giuseppe è, infatti, l’uomo dell’operosità silenziosa. Nei Vangeli non è riportata nessuna sua parola, ma di lui si dice che “quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24), si dice che gli apparve nuovamente in sogno l’angelo ed egli “si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (Mt 2,14). Ed ancora, dopo una nuova apparizione in sogno, “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele” (Mt 2,21). Dopo il ritorno a Nazareth non si dice più nulla, ma sicuramente San Giuseppe ha continuato a vivere con una forte fiducia in Dio e con fedeltà alla preghiera e all’umile lavoro di falegname. E in questa bottega, se vogliamo, oggi possiamo trovarlo ancora, intento alla sua opera… Ci introduciamo, in punta di piedi, facendo nostre le parole di don Tonino Bello: Caro San Giuseppe, scusami se approfitto della tua ospitalità e mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te… Non preoccuparti neppure di rispondermi. So, del resto che sei l’uomo del silenzio, e consegni i tuoi pensieri profondi all’eloquenza dei gesti più che a quella delle parole. Vedi, un tempo anche da noi le botteghe degli artigiani erano il ritrovo feriale degli umili, vi si parlava di tutto… le cronache di paese trovavano lì la loro versione ufficiale, e i redattori dell’innocuo pettegolezzo quotidiano affidavano alle rapidissime rotative degli avventori la diffusione delle ultime notizie… Da quando sono entrato nella tua bottega, quante carezze non hai fatto su quel legno denudato dalla pialla! Oggi purtroppo da noi, non si carezza più, si consuma solo… Mio caro San Giuseppe, sono venuto qui, soprattutto per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù, e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato tutta la vita. La tua vita si è fatta dono. Un dono così gioioso, che la tua contabilità non è segnata sui registri a partita doppia, contempla solo la voce in uscita. Tu non chiedi nulla per te. Neppure da Dio! Ma non per orgoglio, per sovraccarico d’amore, dai tutto senza calcolo, e non accantoni oggi frammenti oscuri di tempo, allo scopo di ritirare domani interessi di gloria per tutta l’eternità. Si è fatto tardi, Giuseppe… ma alla tua protezione non smetteremo mai di ricorrere!

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