Con i Piedi per Terra | 29. CONSELVE

Page 1

N. 29 - Ottobre - Novembre 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

29

arte storia e natura prodotti tipici

Le nostre aziende presentano i loro prodotti da portare in tavola durante le feste

A Natale

REGALA I PRODOTTI DEL TUO TERRITORIO, C’È PIÙ GUSTO

Magazine “Conipiediperterra” - www.conipiediperterra.it


O PER TUTTO IL PERIOD IL NATALIZIO SARÀ APERTO ETICO NOSTRO CENTRO EST E MASSAGGI NICA DAL LUNEDÌ ALLA DOME 0 DALLE 9.00 ALLE 22.0 AI CHE POTETE ABBINARE VOSTRI INGRESSI, NTE DA FARE SINGOLARMEHE O PERCHÈ NO, ANC DA REGALARE!!

lovely present

FOR YOU


Numero 29

Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it

Hanno collaborato a questo numero: Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Anna Maria Pellegrino Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Martina Toso

Progetto Grafico:

Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) Tel. 049 5842968 www.esclamativo.info think.esclamativo@gmail.com

Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl

STORIA E DINTORNI Fa più rumore una foresta che cresce o un albero che cade?

6

LA MEMORIA DI CARTA

16

L’antico detto: “Pan, vin, legna e assa che la vegna!”

INGIROPIEDANDO L’albero è simbolo della vita che si rinnova ogni Natale

21

LA NOTIZIA

36

Il caviale degli zar? Tutt’altro: il suo futuro è sempre più tricolore

PANORAMA GASTRONOMICO

42

Feste tra re e papi. Banchetti parsimoniosi, ma firmati da grandi chef

COSA MANCA? UN GIORNALE!

commerciale@conipiediperterra.it

Stampa: Stampe Violato snc Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com Giornale chiuso in redazione il 24 novembre 2018

La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana. L’autrice è Elia Ferro

ACQUA:

MINACCIA O RISORSA? LA BASSA, PAESAGGIO CELESTE NELLE TELE DEI GRANDI MAESTRI

IL MITO DELLA CAMPAGNA ARCADIA FELIX SOLO PER IL ROMANTICISMO

GENNAIO E FEBBRAIO

MESI DELL’ACQUA E DEL FUOCO

UN TEMPO SI DICEVA:

“NON CI SONO PIÙ LE MEZZE STAGIONI”

5

arte storia e natura prodotti tipici

6

arte storia e natura prodotti tipici 7

CORTI BENEDETTINE, IL PIÙ ANTICO MODELLO DI INDUSTRIA AGRARIA

ATLANTE STORICO della Bassa Padovana, a cura di Francesco Selmin

LA BOSCHETTONA,

SPIAGGIA PADOVANA PATRIMONIO DELL’UNESCO

N. 7 - Novembre 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

LA TERRA SOTTO IL DOMINIO DEGLI ASTRI

arte storia e natura prodotti tipici

N. 5 - Giugno 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

AZZURRE ISOLE DI TERRA FERMA

4

N. 4 - Maggio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

EUGANEI:

3

N. 3 - Febbraio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

arte storia e natura prodotti tipici

Numero 2 - Dicembre 2013 - Periodico - Distribuzione in abbonamento

Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

arte storia e natura prodotti tipici

2

1

Numero 1 - Ottobre 2013 - Periodico - Distribuzione Gratuita

Tiratura: 10.000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013

OGNI STAGIONE HA I SUOI RITI E I SUOI CIBI

oli Con s

€ 15,00

Regalati un anno di buona lettura

CAMPAGNA ABBONAMENTI 2019 COLLEGATI AL NOSTRO SITO WWW.CONIPIEDIPERTERRA.IT/ABBONATI A TUA SCELTA PUOI PAGARE ATTRAVERSO: PAYPAL (PAGAMENTO SICURO E PROTETTO) BONIFICO BANCARIO INTESTATO A SPEAK OUT SRL IBAN: IT 88 A 03069 62492 100000001975 (INDICANDO I TUOI DATI PER LA SPEDIZIONE) BOLLETTINO C/C POSTALE N. 1018766889 (COMPILANDO CON LE INFORMAZIONI NECESSARIE)


SOSTIENI LA RICERCA,

REGALA LA SPERANZA

devolverà l’intero ricavato della vendita della confezione a La tradizionale operazione natalizia di Despar “Sostieni la Ricerca, Regala la Speranza” incrocia quest’anno un importante anniversario: i cinquant’anni di AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla, fondata nel 1968 e da allora impegnata a rappresentare diritti e speranze delle persone con sclerosi multipla. Da metà novembre saranno in vendita a 19,90 € in tutti i Despar, Eurospar e Interspar del Triveneto e Emilia Romagna; l’intero ricavato sarà dato in beneficienza.

www.despar.it


EDITORIALE di Mattia De Poli

Vino ,

UN BICCHIER DI VICINO AL CAMINO! Antidoti contro il maltempo e il rigore dell’inverno, sono espressione del progresso della civiltà umana

L’

ambientazione è tardo-autunnale: la festività del santo di Tours si celebra tradizionalmente l’11 novembre. La natura è aspra, appena smussata dalla nebbia. Il mare risuona sferzato dal vento. In una cornice crepuscolare, l’atmosfera quasi onirica di “San Martino” di Giosuè Carducci è animata soltanto dall’odore del vino novello, dallo sfrigolare delle carni cotte sulle braci e dal fischiettare gioioso del cacciatore sull’uscio della sua casa. Vino e fuoco (prima ancora che il cibo cotto) sono gli antidoti più efficaci contro il maltempo e il rigore dell’inverno. Il poeta toscano fu certo un buon osservatore del mondo contadino, ma fu prima di tutto un profondo conoscitore della poesia greca e latina, che in modo carsico riemerge nei suoi versi, nei temi delle sue liriche, anche al di là della “metrica barbara”. La prima voce che si può riconoscere è quella di Orazio. Nel nono carme del primo libro delle “Odi” la stagione è decisamente invernale: il monte Soratte, che si staglia nella valle del Tevere, è imbiancato dalla neve e tutta la natura è immobile come i corsi d’acqua ghiacciati. Solo gli dei possono dominarla, gli dei che placano i venti sul mare. E il futuro è un mistero nelle mani della Sorte. All’uomo non resta che scacciare il freddo caricando di legna il focolare e versando il vino in quantità generose. Ma nei versi del poeta di Venosa, composti qualche decennio prima della nascita di Cristo, è ancora riconoscibile l’eco della poesia greca arcaica, vecchia di seicento anni. Sull’iso-

la di Lesbo, di fronte alle coste dell’Anatolia, Alceo descrive la pioggia che cade per volontà di Zeus, il cielo è tempestoso, i corsi d’acqua sono congelati. In condizioni metereologiche tanto avverse gli unici benefici vengono dal fuoco, che riscalda e che solo può sconfiggere il freddo, e dal vino, che è dolce come il miele e deve essere versato nelle coppe senza parsimonia. Ma vino e fuoco sono già al centro del confronto fra Odisseo e Polifemo, che si consuma in una dimensione favolistica, atemporale, estranea al ciclo delle stagioni. Il ciclope, che si dedica alla pastorizia, non sa sfruttare il fuoco per cuocere la carne che mangia cruda: egli sbatte al suolo i compagni di Odisseo e li divora così, senza neppure togliere le interiora. Anche il vino è ignoto a Polifemo, e l’astuto eroe di Itaca sfrutta proprio il fuoco e il vino per avere la meglio su un essere gigante e crudele, quasi primitivo. Con falsa cortesia gli offre la bevanda: a Polifemo piace, ne chiede ripetutamente fino a ubriacarsi. Quando finalmente si addormenta, Odisseo insieme ai suoi compagni estrae dalle braci un tronco appuntito e arroventato, che viene conficcato nell’unico occhio del ciclope. Attraverso la voce del mito vino e fuoco sono presentati da Omero come i simboli della civiltà che prevale sulla brutalità e sulla durezza della condizione primitiva. Una condizione che somiglia all’inverno, il periodo dell’anno in cui l’uomo è più vessato dalle intemperie e più ha bisogno di risorse per contrastarle e garantirsi la sopravvivenza.

3


messaggio pubbliredazionale

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO, MALGRADO L’EMERGENZA NESSUNA ALLUVIONE Fiumi in piena e allarmi meteo sono stati gestiti grazie alle nuove tecnologie applicate al sistema di bonifica. Con il telecontrollo sono stati organizzati gli interventi e gli sversamenti degli impianti idrovori fiumi di questa parte del Veneto hanno raggiunto i preoccupanti livelli della piena. Nelle nostre campagne però la situazione è stata molto diversa, nessun episodio alluvionale è stato registrato. Nessuna idrovora è stata fermata e dunque non si sono verificati i grandi accumuli di acqua, provenienti dai canali e dalla rete minore, che avevano caratterizzato l’inverno di quattro anni fa. Che cosa è cambiato? La risposta è arrivata dalle parole del presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo, Michele Zanato, che nel mancato disastro vi ha ravvisato i benefici miglioramenti portati dal riordino dell’Ente, iniziato con il suo mandato. “In questi ultimi anni - ha spiegato - l’ente è stato sottoposto ad una profonda riorganizzazione, tutta incentrata sull’efficientamento, per cercare di dare risposte immediate ai problemi che da anni affliggono il territorio di competenza del Consorzio. Quasi l’intera bonifica è meccanica, ossia praticata con pompe idrovore, e le acque piovane che cadono nella parte occidentale del comprensorio vengono convogliate un unico fiume, il Fratta/Gorzone, che però ha un regime di portata molto ridotto, rispetto a quanto richiesto in queste circostanze eccezionali”. Basti pensare che il fiume in questione  

    

 

  

Se è difficile che tutti ricordino la grande alluvione del 1966, sono sicuramente molti di più quelli che videro nell’aprile del 2014 sprofondare sotto diversi centimetri di acqua le campagne del basso padovano. Lande interamente sommerse, ettari ed ettari di fondi diventati un grande lago, tanto da rievocare quell’antico paesaggio che solo attraverso le carte medievali, in precedenza, era possibile immaginare. Furono le eccezionali precipitazioni di quel periodo a creare le premesse del disastro: piogge abbondanti sulle zone montane (con punte massime di 380 mm circa in Cansiglio (BL) e nel Recoarese (VI) e di 568 mm a Valpore - Seren del Grappa (BL) - fonti Arpav Veneto) prolungati rovesci sulla pianura settentrionale uniti ai forti venti dai quadranti meridionali in quota, che hanno interessato il Nord-Est della pianura. Più o meno le stesse condizioni che si sono manifestate nell’ultima settimana di ottobre di quest’anno, tanto che, appunto, come termini di paragone per l’allarme sono stati presi in considerazione sia il ‘66 che il 2014. Come allora, infatti, l’allerta è salita al massimo grado a causa della furia dei venti, che hanno sradicato interi boschi in montagna, delle frane e delle esondazioni dei torrenti che insieme ai grandi

         

       

  

Corografia generale Consorzio di Bonifica Adige Euganeo Scala 1:170.000  

 

    

 

      

    

  

  





 

 

 



 

 

 

 

 

   



 

 

 

  



     

 

   

 





 

 

    

 

 

  



 

     

 

    

 

      

       



   



la

Sco



 

iolo Dir. Gard

lo Villa

Scolo Albrizzi

Sco

lo Vio

Sc ol



      

 

   

  

 

Bò Dir.

Monea Scolo

Br eo

 

 

  

           

   

  

  



 

 

  

 





   

 



 

    



  

      



 

   

 

 



 

   

   

EA

atto Bis

re

erio

e Sup

Drig o

 

    

   

 

NORD

  

 

  

  

RO

  

 

 

Dir.

ra zie G

r. Di rd

Cana

LA NA GA

LLA SENE FRAS

           



FRACANZAN

     

  

RE

IVIE

OL







       

           

GIA

  

Can ale

 

   

lo Car Sco

a Pe los

Scolo Palazzetto

 



TT A

CIN TO

AR ST RE

le Ca na

Ronch i 

SE

ren dol e 

PE LO

MONACHE

All . Ma 

A

  

BRAGGIO

Scolo 

INA

VAND

               

GAD

O

SC        OL



BRA

     





        

 

   

 

  





 

 

  

 

 

 

 

EG O

min

       

VI

  





   



o    

LE

ell on

Dir. Bresola

A

Scolo

    

VITA

Sa



SAN

Olmo

 

E

Sc olo 

ONARI

    

 

   

  

ON

 

   

    

CA' MOROSINI

      

TTE SIN

  

VES

FRA

TRE



GORN

 



     

     

  

 



       



SI

  

 

  

     

 

 



  



     

MA

 



 

                       

     





  

  

  



  

 

  

  

 

  

   

  

  

RA

  

   

 



DOTTO

     

   

 

  

  

O

  

  

  

      



RT

  

MO





NIN



DO

EL LA

BID

  

T

       

 

 

a

Ad ige

  

              

Punta Gorzone

 

zile Por

n.4 o 1 ol Sc o n. ol Sc



  

ale

    

 

             

lo Volt

Can

  

Matti na

Casetta Scolo Brenton a Mattina

Scolo Sud Intercluso

 

  

  

PI ZZ

 

     

 

Fratta



Sera-

 

Chioggia

 Zennare

dei Cuori a Canale

 

Fiume

an

Sco

gn



 

        

1

2

4

6

8

10

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054

12

14

16

18

20 Kilometers

 Bizzaro 29-06-2010

Corografia generale 50000 adigeeuganeo_A3.prn

  

          

AN ZE



GR

     

  

  

  

 

0

Comuni di:

PROVINCIA DI VICENZA Comuni di: Agugliaro Albettone Alonte Asigliano Veneto Campiglia Dei Berici Noventa Vicentina Orgiano Pojana Maggiore Sossano

D

PROVINCIA DI VERONA

67 68 69 70

Comuni di: Cologna Veneta Minerbe Pressana Roveredo Di Gua'

ELENCO IMPIANTI IDROVORI N°

Sup. Ha. 1 887,59 2 035,56 1 253,11 1 247,43 3 491,00 2 447,35 800,59 544,30 1 591,28 1 072,37 2 237,43 971,86 1 486,25 2 119,18 1 453,55 1 980,05 226,32 2 430,04 4 046,35 92,93 3 274,35 1 816,18 1 148,77 2 399,96 1 275,17 1 570,71 1 514,65 1 787,45 5 064,60 4 452,19 182,53 2 142,70 1 311,71 1 795,19 1 097,20 468,36 2 446,14 1 400,68 892,66 1 270,58 1 329,94 1 078,91 3 152,14 1 024,71 1 971,21 582,88 1 471,19 5,98 1 927,40 1 570,92 2 181,03 1 713,15 1 588,01 2 038,65

92 362,44

Sup. Ha. 4 389,51 2 199,13 6 480,23

13 068,87

Sup. Ha. 1 461,10 1 831,89 7,42 352,50 1 095,02 2 300,77 1 024,83 2 847,17 962,54

11 883,24

 

  

  

    

       

    

  

   

    

 

  

 

         



 

  

me

   

Ma

  

Fiu      



 

     

ego

 

vad lo Sal Sco rana nta e Ca

 

           Borgoforte     Pettorazza          

Trezze

 

 

olo Metiche Sc Cantarana   Can  ale Sco Prim lo Terz ario Infe iario rior e

Rottanova Rottanova 2  



PROVINCIA DI VENEZIA Cavarzere Chioggia Cona

C 58 59 60 61 62 63 64 65 66

Totale Provincia di Verona ha.

Venezia

Ca' Bianca di Chioggia Scolo

Canale Gorizia

tor

        

riva De

nti

      

    

 

Cavarzere

Gesia



 

to Fores Scolo dei Cuori Canale  Civrana

  



 

po Tre

 

  

 

  

Taglio

Scar   le di   Cana    

 Anguillara Veneta   

   

    

NI ZO PIZ   

  

  

  

Cona

    

Pascoletti

Beolo BORGOFORTE

IA

 

la

 

Agna

Zuccona Vitella    Giovannelli   Canale Canaletta Foresto Superiore ni Pisa  ale   Can

tina Mat aa tte olo   lo Con  Sco Peg  

lo    Sco  

Tassi

Scolo

  

RAR

  

sola Sant'Or ta net don      lo Ma  

Scolo

Codevigo  

Pallade Ca na Fiu   m San Silvestro Nuovo l M e or Br    Priula  en  to San Vecchio     Silvestro   ta  Sc  Sc    olo  olo  Sa Mir   n Sil  a ves     tro  à

   Sco  

  





 Zemignani

ss

 

bo so la

sola    ico Rebo 

Fo

ana

olo Sc

Re

eli

o

le

a lo Agn Sco

SorgagliaAgna

 San Bonaventura  

Fiume Gorzone

VALCORBA

Boara Pisani

Mezzo

Vi tel

Sc ol

Sco lo Sug

 

 

lo lo Gal

 

le



OVES

 

A ELLIN

FER

FARFOGLIARI

LL E

RAMO



ERA CORN A A MARI

 

SANT

Barbona 

VA

CANN

 

I Scolo Mich

 

EZZO TRAM

VECCHIO OTTA VALCIS ANA LORED

Vescovana

IONI SABB

           

Stanghella

TI SA ES ER INT

I

CONDOTTO

OLON

 ENI BASS TERR   Mora Livelli

SABBADI NA

San Bovo Cana

Villa

  

Canale Masina SPINELLA

 

PASC

A

RBAN A

LUSIA

Ca' Giovanelli

otto di

Scolo San Bonaventura

LE GA

Granze

ZECCHINA VALLU

. 021

VE NA

AR UR ST

bac

Cond

B 55 56 57

Totale Provincia di Venezia ha.

   

Ca na

Dir.

Sco

Canale Altipiano

Barbegara

Correzzola

Canale Barbegara Scolo San Bovo Ovest

Candiana III

tro Mais

ega

Scolo Sardella

Scolo

PROVINCIA DI PADOVA Comuni di: Agna Anguillara Veneta Arquà Petrarca Arre Bagnoli di Sopra Baone Barbona Battaglia Terme Boara Pisani Bovolenta Candiana Carceri Cartura Casale Di Scodosia Castelbaldo Cinto Euganeo Codevigo Conselve Correzzola Due Carrare Este Galzignano Granze Lozzo Atestino Masi Megliadino San Fidenzio Megliadino San Vitale Merlara Monselice Montagnana Montegrotto Ospedaletto Euganeo Pernumia Piacenza D'adige Ponso Pontelongo Pozzonovo Rovolon S. Elena d'Este S. Margherita D'Adige S. Pietro Viminario Saletto Di Montagnana Sant'Urbano Solesino Stanghella Teolo Terrassa Padovana Torreglia Tribano Urbana Vescovana Vighizzolo D'Este Villa Estense Vo' Euganeo

Totale Provincia di Vicenza ha.

 

Arre

. Be oli

Scolo

lo Rov

delle Basse

Canale Sorgaglia

BONFA'

A 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54

Totale Provincia di Padova ha.

  

Pontelongo

Sco

o

A

TA ET

SE

LA

Dir

ell

FO

SS

PRE

VIL

  

 

e

Bagnoli di Sopra

SA OR LD VA



 

ur st

MOTTA

  

Scolo Conselv

Tribano

Paltana

Terrassa Padovana

Conselve

Scolo Fossona

Scolo Nuova

Rovigo

 

                   

le Bisa tto

  

Bovolenta

Dir. Ronco

Impianti idrovori

'

ZA



io

De

o

 

 



 



Limiti provinciali

                          

 



  

  



 

 



higlio ne

Rete idraulica consorziale e Bacc

i Beol

o

Formigar

Pozzonovo

EE

 

   

Rete idraulica regionale Fium

Scolo

ol

Scolo Desturo

Solesino

 

 

Orolog

S. Pietro Viminario

  

Scolo Cà

o

Sc

Monselice

o Reos

lo Pra rie

o o Bert

 

Sco

Scol

ine

ETT

 Anconetta



Cartura

  Pernumia

o Cart ura



Comprensorio Adige Euganeo 

    

       

 

e Vige nzon e

Scol

Canale Rivella

Scol

Pelosa

Fium

Scolo Paltane lla

 

All. Fonda

Contar

Scolo

Cuoro    Valgrande

S. Urbano

AZZ I

    

TTE

 

    

 Botte di Vighizzolo CANELLE

Vighizzolo d' Este

  

MA

 

 

 

Scolo Gorgo

Due Carrare

e Canal etta

Acquanera  Tognai

S. Elena

Villa Estense

TTE

A MANDRIA ZZE

  

Canal

Canale Fossa Monselesana

TE

A IER



  

 

Bignago

RB

BO

 Cavariega   ANCON

          

 

NA

IDIA

ES

BA

Piacenza d' Adige PIACENZ

ina

Grompa San Felice

 

Masi

CAR

O

  

ter Ca

   



 

CR

ETTA

SPINON



PERAR ige



Limiti comunali

Galzignana

 

ta lo Cos Sco Costa

 

ielle

Este

Carceri

N ZA AN AC LATTERFR IA

BERTOTTI Baratina Vampadore  

 

 Battaglia   Terme dei 12

ida

MOR

 

ia

    

Ad

gl ca

 

TEO MAN CAS ARIA

A

PA

Baone

an

   

OM

 

Br

GR

Scolo Squacch

S.

 

PESCHIER SINA

CORR ER

Duoda

 

me Fiu

NG A

Baone

E

DUODA

O 18 BACIN



ANIM

Ponso RANIERE

O

Castelbaldo

Fiu me 



 

   

A TT

Ospedaletto Euganeo

Megliadino San Vitale

 

  

Catajo

Calto

Lisp

Arqua' Petrarca

 

e um Fi

NA

AL

Merlara

 ORI  GIN ARZARINI OVEST E FRATTE

 

SS

Affl.

Valcalaona

S. Margherita d' Adige

E

NA

      



FO

AG

NT

LINA RANFO

MO

VAMPADOR

8

  

Verona

   

00

SE

Scolo

Cinto Euganeo

MalandrinaFOSSON RIO GIARE

Vela

Montegrotto Terme

 

Galzignano Terme

MACERATOI

LONEA

BERETTA

c.

RE

ba

IO

 

  

CA DOSSI

Saletto

LF

Casale di Scodosia

RA

 

O LL

BE

CE

O

CR EA

Sagrede

LA

O

Megliadino San Fidenzio

MI

ER ST

RO PA

A

HI

Torreglia

VAL LI DI     NOV  ENT Valli di Noventa   A

Fium

FOSSA DI BUOSO FIU

US

NA MO

        

AG

SS

CC

     

ETTO

RUGGERO

FO

VE

VE LA

               sine            e Fras   IELI

Urbana

SIM O

L

 

  SALINE              

GR OM PE

S. MAS

NA CA

A

 

A ON ER



RI

O LL VA

  

UM O

A

ego

RODEL

DAN

SP

 



IAN

Ron

RONEGH



Lozzo Atestino

 

     

Montagnana G

  

DON

RO N

 

RA

'    ZA IZ     ND  COGNARO  BA 

Fiu me

A

Noventa Vicentina

PO



A 

TOR

Roveredo di Gua`

DI

RIVIERA



A

Padova

Vo

  



 

VEG

Le due cartine mostrano il comprensorio di competenza del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo. A sinistra in blu le zone finite sotto acqua tra aprile-maggio del 2014, in seguito allo spegnimento delle pompe idrovore, a destra la cartina relativa alla situazione di quest’anno, in occasione delle perturbazioni che hanno portato disastri in tutto il Veneto

VE

E

Il comprensorio del Consorzio Adige Euganeo ha una superficie territoriale di ha 119.955,41 che ricade nelle seguenti provincie e comuni:

Legenda

GH

AO

ZZ EL UN

Teolo

ON

  



DET

PIO

Minerbe    

Poiana Maggiore    MO   Cologna Veneta   LIN





119 955 94 323 25 632 20 400 1 750 58 163 272 37 77 70 4 245 000

 

ZOV

ha ha ha ha km n° n° m3/s n° n° n° n° n°

 

TOI

O

CA LM

Pressana

  

AT

   

     

    

LAVA

RL

     

 

     

VE

  

RIO

 

SCOLO NINA

 

PE

Agugliaro



Asigliano Veneto

  

Gu a'

NN MA 

me

ON  E  

  

Rovolon

A

Fiu

RE O

DANDOL

TE

UN

LL         HE

ALON

ETT

M

A



ALB

Campiglia dei Berici

 



Sossano

TA

BA  ND  IZ 



LA EL

 

O LIONA SCOL

VIC NA

 

 a'  b Gu  Le

CR OC ET

N

 

CO

o att - Bis



RDO

Orgiano

Superficie consorziale Superficie a scolo meccanico-alternato Superficie a scolo naturale Superficie sotto il livello del mare Rete idraulica consorziale Impianti idrovori Pompe fisse Portata max sollevabile Impianti irrigui Derivazioni irrigue da fiumi Comuni Provincie Abitanti

   

 

 

Alonte

   

A

Helmann Forni

ON

Palu' Massara

 

GO

 

SS FO

SE

ROSA

Albettone

 

O

 

    

OL

   

SC

 

 

 



     

PRINCIPALI DATI DEL CONSORZIO

  

      

 

    

 

  

      

 

 

 

Vicenza

      



  

 



 

 

  

     

  

 

 

 

 

 



 

 



 

 

 

      

    

 

 

 

  

 

Sup. Ha. 352,80 67,59 1 203,93 1 016,54

2 640,86

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58

Denominazione impianto

Ubicazione

Acquanera Pernumia Anconetta Vighizzolo d'Este Baone Baone Baratina Megliadino S. V. Barbegara Correzzola Beolo Anguillara V.ta Bignago Arquà Petrarca Borgoforte Anguillara V.ta Botte di Vighizzolo Vighizzolo d'Este Cà Bianca Chioggia Chioggia Cà Bianca Galzig. Galzignano T. Cà Giovannelli Pozzonovo Casetta Chioggia Catajo Battaglia Terme Cavariega Vighizzolo d'Este Civrana Cona Costa Monselice Cuoro Sant'Urbano Duoda Este Foresto Superiore Cavarzere Forni Albettone Galzignana Battaglia Terme Gesia Cavarzere Grompa Megliadino S. V. Helmann Albettone Lavacci Granze Malandrina Lozzo Atestino Mora Livelli Vescovana Nuova Frattesina Vighizzolo d'Este Pallade Correzzola Palu' Massara Albettone Pascoletti Bagnoli di Sopra Pelosa Monselice Pettorazza Cavarzere Priula Chioggia Punta Gorzone Chioggia Rebosola Correzzola Rest. Cà di Mezzo Codevigo Rottanova Cavarzere Rottanova 2 Cavarzere Sagrede Lozzo Atestino San Bonaventura Anguillara V.ta San Bovo Bagnoli di Sopra San Felice Piacenza d'Adige San Silvestro Correzzola Savellon Pernumia Sorgaglia Agna Taglio-Pisani Anguillara V.ta Tognai Pernumia Tre Canne Vighizzolo d'Este Trezze Chioggia Valcalaona Baone Valgrande Vighizzolo d'Este Valli di Noventa Noventa Vicentina Vampadore Megliadino S. V. Vela Lozzo Atestino Vitella Agna Zennare Chioggia

Prov. PD PD PD PD PD PD PD PD PD VE PD PD VE PD PD VE PD PD PD VE VI PD VE PD VI PD PD PD PD PD VI PD PD VE VE VE PD PD VE VE PD PD PD PD PD PD PD PD PD PD VE PD PD VI PD PD PD VE

Portata l/s 24 000 380 550 1 300 12 400 12 000 1 900 800 2 700 44 800 6 000 14 100 3 500 3 000 10 400 3 900 1 350 500 100 4 000 200 500 4 050 2 900 700 3 525 1 300 1 020 16 200 150 350 600 600 680 2 600 3 000 9 500 300 580 30 1 000 900 300 2 400 6 000 1 100 4 000 6 930 1 000 365 20 000 800 1 480 100 16 500 1 500 3 800 7 750


ha una portata massima di 75 m³ al secondo che viene quasi del tutto esaurito con l’apporto di soli tre impianti idrovori: il Vampadore con 16,5 m³ al secondo, il Cavariega con 10,4 m³ al secondo, il Frattesina con 16,2 m³ al secondo. L’intera rete scolante del Consorzio, però, si impernia su altre 59 idrovore. Ne consegue che nel momento in cui il Fratta-Gorzone raggiunge il livello di piena, gli impianti vengono fatti spegnere in tutto o in parte dal Genio Civile, e inizia l’allagamento delle campagne. “Quest’anno - continua il Presidente - ci siamo fatti trovare pronti. Già dal 15 di ottobre avevamo portato la rete di canali e collettori alla quota invernale, ossia con un regime di acque minimo, bastante alla vivificazione ittica. In campagna quindi avevamo creato una grande “cassa” pronta a ricevere l’acqua delle abbondanti precipitazioni annunciate. Acqua che poi è stato possibile gestire lungo tutta la linea delle idrovore grazie ai sistemi di telecontrollo che dallo scorso anno abbiamo iniziato ad installare sugli impianti”. Sistemi che permettono interventi da remoto, senza che nessun operatore si rechi fisicamente all’idrovora, e che quindi permettono interventi più tempestivi e precisi, grazie a una miglior gestione degli sversamenti, avendo ognuno quote tarate sulla reale situazione di portata. Solo qualche anno fa lo svaso avveniva rimuovendo i panconi a sostegni e chiaviche, e quindi non era controllabile, oggi invece il sollevamento della paratoie avviene con una valutazione da parte del sistema. “I benefici di una gestione centralizzata - continua Michele Zanato - si hanno anche in termini di costi per il Consorzio. Basta considerare che il telecontrollo quest’anno ci ha permesso di risparmiare fino al 25%, per alcuni impianti, di energia elettrica sui consumi delle idrovore, praticamente in tre soli mesi siamo riusciti ad ammortizzare l’intero costo di installazione, che si aggira sui 10-15 mila euro per ogni pompa. A questo si devono aggiungere i tagli di spesa ottenuti sulla minor movimentazione dei mezzi e degli operatori. In un recente passato, infatti, durante i momenti di crisi meteorologica, l’impennata degli straordinari dei dipendenti diventava esponenziale, totalmente fuori controllo. Oggi quasi tutti i mezzi sono dotati di sistemi di rilevamento che permettono

Il punto debole dell’intera asta fluviale del Fratta Gorzone è rappresentato dalla strozzatura della botte a sifone denominata “Tre Canne”, ossia lo storico intervento fatto dai veneziani, alla metà del ‘500 per scolare le acque dell’imponete lago di Vighizzolo, per far passare le acque del fiume Fratta sotto al letto del Santa Caterina-Frassine. Tale imbuto impedisce il funzionamento a pieno regime delle 11 idrovore poste a monte della Botte, basti pensare che a gennaio‐febbraio 2014, l’Arpav ha misurato una portata in transito all’altezza di Valli Mocenighe inferiore a 60 mc/sec, pur con livelli idrometrici del Fiume oltre i limiti di guardia.

Qualche anno fa era stato presentato un progetto per il risezionamento del Fratta/Gorzone che consentirebbe di aumentarne la porta e gestire meglio lo sgrondo delle acque meteoriche anche in occasione di grandi precipitazioni, il costo dell’intervento ammonterebbe a 150 milioni di euro. Il progetto di diversione idraulica studiato dal Consorzio, invece, ne richiederebbe un quarto, ossia 25 milioni e metterebbe in sicurezza dagli allagamenti un territorio vasto 26 mila ettari. Attraverso la realizzazione di due diversivi, a Sant’Urbano e ad Anguillara Veneta, gli eccessi delle acque piovane che interessano questo territorio verrebbero convogliate direttamente in Adige, senza appesantire, come avviene ora, il corso del Fratta/Gorzone

di seguirne gli spostamenti, gli interventi e i tempi di esecuzione. L’ultima emergenza di ottobre/novembre, ha richiesto solo qualche ora di straordinario”. Quindi con un regime molto basso di acqua nei canali della rete scolante, oggi grazie ai nuovo sistema operativo centralizzato e telecontrollato è possibile gestire anche situazioni alquanto critiche, come quella delle ultime settimane, ma se la stessa situazione dovesse riprodursi in estate le conseguenze potrebbero essere ben diverse. Con i canali a regime idrico irriguo, infatti, ossia con un livello di acqua più alto, non sarebbe possibile raccogliere e tenere in campagna le abbondanti precipitazioni per gestirne il deflusso in presenza di una piena del Fratta/ Gorzone. Ma una soluzione c’è anche in questo caso e al Consorzio di bonifica ci stanno già studiando. “Siamo reduci - conclude il presidente Zanato - da un recente viaggio in Israele, ossia il paese più all’avanguardia sui sistemi di gestione dell’acqua a scopi irrigui. Di acqua non ne hanno: le piogge coprono solo il 15% del fabbisogno delle colture, il resto lo ricavano con la desalinizzazione dell’acqua del mare o il recupero dei reflui zootecnici e civili. Anche l’umidità condensata nelle serre viene recuperata ed inviata nelle zone di produzione attraverso tubazioni sotterranee che limitano l’evaporazione e arrivano direttamente agli apparati radicali delle colture. Così riescono a portare avanti qualsiasi tipo di agricoltura anche in prossimità del deserto, se non nel deserto stesso. Vien da se che anche in un paese come il nostro, in cui l’acqua non manca, il futuro della campagna passa comunque attraverso una migliore gestione di questa risorsa: basterebbe riuscire a metterne in pratica un risparmio per aumentare il PIL dell’agricoltura. Quindi è questo il futuro che vediamo per i prossimi anni: l’acqua destinata alla campagna diramata attraverso condotte sotterranee direttamente verso i luoghi delle colture e canali a cielo aperto per raccogliere le piogge sopratutto quelle degli eccessi meteorologici”.

Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi


STORIA E DINTORNI di Emanuele Cenghiaro

FA PIÙ RUMORE

UN ALBERO CHE CADE O UNA FORESTA CHE CRESCE? Dopo decenni condotti nel più dissennato disboscamento, ora le macchie verdi stanno tornando anche in pianura, ma qualche volta il tempo si mette di traverso

L

a recente devastazione di molte foreste della montagna veneta ha riportato in primo piano, e sotto gli occhi di tutti, l’importanza della gestione dei nostri boschi. Non è sull’onda di questi disastri che abbiamo deciso di scrivere questo articolo, che era già in programma, ma quanto è successo ci spinge a cambiare il taglio con cui lo avevamo pensato, che era quello di recuperare il ruolo storico che esso aveva nella vita della gente. Se oggi, ai più, gli alberi servono a fare ombra ai picnic e ad ospitare funghi e mirtilli, non è venuta meno l’importanza a livello geologico e ambientale, come gli eventi hanno dimostrato. L’incuria dovuta all’abbandono della montagna è uno dei problemi, come lo può essere la piantumazione di specie inadatte all’ambiente o la poca diversità, l’edificazione in luoghi sbagliati e molto altro. Sono discorsi che vengono fuori spesso, finora soprattutto per gli incendi in estate. Ora - ma in realtà da tempo lo si dice - per le piogge e le frane. Non che tutto questo un tempo non accadesse: il pericolo incendi era ad esempio all’ordine del giorno. Possiamo però ricordare che la manutenzione del bosco, luogo in cui non si andava tanto per diletto quan-

6

to per questioni di sopravvivenza, incidesse in modo essenziale sulla limitazione di certi eventi. Dal bosco, che fosse di montagna, di collina o di pianura, si traeva legna per riscaldarsi, cucinare, lavare, lavorare.

I danni provocati dal maltempo in Trentino. Centinaia di metri quadrati di bosco schiantati dal vento


STORIA E DINTORNI La pianura veneta era un’unica grande foresta. Gli storici latini la descrivono come una distesa di alberi, calcolata in un milione di ettari di querce, tigli e molte altre specie, inframezzate dagli acquitrini Col legno si costruiva quasi ogni cosa e c’erano fior di leggi che disciplinavano il taglio del legname. E del bosco non si buttava via nulla, anche i fuscelli caduti a terra avevano il loro ruolo nell’economia domestica. Così il bosco rimaneva pulito, mai troppo fitto, i sentieri percorribili, anche i più piccoli che si inoltravano verso gli angoli remoti. È innegabile che l’abbandono della montagna abbia finito per lasciare a se stesse ampie fasce boschive, come probabilmente dimostra anche il loro ripopolarsi di animali scomparsi come il lupo. Vi sono interi pascoli abbandonati e aree un tempo agricole, ma oggi scomode e che nessuno coltiva più, che sono state invase dagli alberi: le foreste in Italia stanno quindi crescendo, ma non sempre come frutto di un progetto governato. Parlando di boschi pensiamo subito alla montagna, ma un tempo non era così: la pianura veneta era un’unica grande foresta. Gli storici latini la descrivono come una distesa di alberi - calcolata in un milione di ettari di querce, tigli e molte altre specie - inframezzate dagli acquitrini. L’erosione del manto forestale iniziò in particolare con le colonizzazioni romane, le centuriazioni, e poi continuò nel medioevo. I veneziani invece, che avevano necessità di molto legname, diedero vita a un programma di rimboschimento, ma dopo la caduta

L’Arsenale di Venezia è stata la prima industria europea della modernità. Il legno era materia prima indispensabile del grande cantiere, per costruire una galera servivano diversi tipi di essenze: rovere, frassino, farnia, per questo la repubblica di San Marco fu promotrice di un’attenta gestione dei boschi anche in pianura, ma dopo la caduta della Serenissima la distruzione riprese sistematica, tanto che negli anni Ottanta del ‘900 in pianura resistevano solo 50 ettari di bosco dei circa 10mila che dovevano avere lasciato i veneziani

della Serenissima la distruzione riprese sistematica, tanto che negli anni Ottanta in pianura resistevano solo 50 ettari di bosco dei circa 10mila che dovevano avere lasciato i veneziani. Sono invece resistiti i toponimi, chiara traccia della presenza di foreste, come Nel medioevo i boschi avevano funzione di welfare state, costituivano “Roncade” e l’an- la dispensa e la legnaia per le classi cora più chiara sua meno abbienti. Le grandi campagne frazione, “Boschi”, di disboscamento partirono nel XIII secolo, per recuperare terre da ma anche Ronchi e destinare all’agricoltura. Oggi di quel Roncaglia (da “run- lontano passato restano toponimi come Ronchi, Ronco, Roncade cus”, terreno disboscato), Brusaure, Legnaro, Vigorovea (da “vicus roveri”), Selvazzano e tantissimi altri. La buona notizia è che questi boschi oggi stanno ritornando e sono decuplicati, ormai più di 500 ettari. L’emanazione della legge regionale13 nel 2003, “Norme per la realizzazione di boschi nella pianura veneta”, nata sull’onda di finanziamenti europei ma anche di una mutata sensibilità, ha dato impulso all’impianto di nuovi boschi planiziali, nonché di parchi urbani e di aree verdi attrezzate composti di sole specie autoctone. Un impulso che ha consolidato una tendenza che era già in atto. Un documento approvato nel 2017, la Carta di Sandrigo, ha posto come obiettivo tornare a 5mila ettari nel 2050. La strada è lunga, ma gli enti locali e qualche proprietario privato sembrano avere compreso l’importanza di aree boschive anche in pianura. Che nascono per i più svariati motivi, sia naturalistici che di svago: il più grande bosco di pianura veneto oggi, il bosco di Mestre lungo il fiume Dese, ha invece motivazioni idrauliche. Il secondo per dimensioni si trova a Bosco di San Stino di Livenza, dove sono stati ricostituiti due antichi boschi arrivando a oltre 100 ettari: l’autostrada ne costeggia il confine sud. Da notare che gli alberi di queste nuove piantumazioni sono quasi sempre specie locali, per lo più fornite dal vivaio regionale centrale che Veneto Agricoltura gestisce a Montecchio Precalcino. Il bosco, come il mare, era anche un luogo fondamentale dell’immaginario antico, luogo del sacro e del profano, della magia e del tenebroso, dove tutto

7


STORIA E DINTORNI Un documento approvato nel 2017, la Carta di Sandrigo, ha posto come obiettivo tornare a 5mila ettari nel 2050. La strada è lunga, ma gli enti locali e qualche proprietario privato sembrano avere compreso l’importanza di aree boschive anche in pianura poteva accadere e non a caso era lo scenario prediletto delle fiabe. Nel bosco si poteva incontrare uno gnomo o un principe azzurro che abbevera il cavallo a una fonte, ma anche il lupo, l’orco, e le ninfe delle montagne venete, le “anguane”. Provate a camminare anche solo ai margini di un bosco, di notte, come dovevano probabilmente fare i nostri antenati quando uscivano, prima dell’alba, per recarsi nei campi o a una fiera lontana. Dagli alberi esce un buio di tenebra, rumori e scricchiolii sinistri, versi animali e l’impressione che qualcuno, nell’oscurità, ti osservi e ti segua… Vi sarà subito chiaro perché il bosco incuteva un timore e un rispetto che sarebbe bene, almeno in parte, recuperare.

8

Il bosco, come il mare, era anche un luogo fondamentale dell’immaginario antico, luogo del sacro e del profano, della magia e del tenebroso, dove tutto poteva accadere e non a caso era lo scenario prediletto delle fiabe


messaggio pubbliredazionale

FRIGUS ZERO

IL FRIULARO IN VERSIONE BRUT CHE SCALDA I CUORI Pronta la nuova bottiglia etichettata La Mincana, un metodo classico che nonostante i due anni e più passati sui lieviti, possiede ancora acidità e sapidità marcate, accompagnate al naso e in bocca da sensazioni piacevoli e armoniose “Servirebbe qualcosa di nuovo, ma allo stesso di antico, per completare la trilogia dedicata al Friularo”. Ed è nata così, attraverso la necessità di avere il numero pitagorico perfetto, giocando tra passato e presente, la nuova etichetta della cantina La Mincana. Si chiama Frigus Zero, ossia il freddo latino, dal quale deriva il nome Friularo, richiamato anche dallo zero termico che avvicina la temperatura della sua vendemmia, dopo l’estate di San Martino. Frigus quindi è clima, ma anche tempo: giusto quegli ottocento anni da quando i monaci benedettini introdussero la sua coltura nelle terre della Saccisica, appena bonificate dalle acque, e quei Cinquecento a cui si deve la sua fortuna sulle galee veneziane, in virtù della spiccata acidità che rendeva facile la conservazione e che gli meritò il nome di “vin da viajo”. Poté così raggiungere ogni angolo di quel Mediterraneo che fece la ricchezza di FRIULARO ROSÉ Versione “easy” e mossa del Friularo. Una versione moderna, un rosato a bollicine con la caratteristica acidità che supporta la parte aromatica di frutta rossa selvatica. Piacevole come aperitivo, si abbina a salumi, spaghetti allo scoglio e piatti di mare non troppo elaborati. Assolutamente da provare con la pizza

San Marco, continuando oggi il suo itinerario nel nome di una versatilità che qui a La Mincana, nel presente lasciato dagli aristocratici veneziani Dolfin, accompagna il già titolato Frigus Passito e il Rosé con la bollicina effervescente di un metodo classico con rifermentazione in bottiglia. Un sistema di spumantizzazione anch’esso antico, che i francesi chiamano Champenois e che si deve ad un benedettino, neanche a farlo apposta, Dom Pierre Perignon. Il vino rimanendo sui propri lieviti per più di due anni ha acquisito una spuma sottile e persistente, note lievitate, acidità e sapidità marcate ma allo stesso tempo piacevoli e armoniose. Un vino che non avendo più alcun residuo zuccherino è un brut, perfetto da portare in tavola a Natale per accompagnare antipasti, crostacei o per il brindisi finale.

La Mincana - Via Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499 www.lamincana.it - info@lamincana.it Cantina La Mincana-Dal Martello


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica

Frutti di bosco,

FORMIDABILI ALLEATI CONTRO LO STRESS OSSIDATIVO Sono quanto di buono offre spontaneamente la Natura, un dono prezioso di vitamine e sali minerali, ma anche di una serie di sostanze medicinali, come i flavonoidi e le antocianine, utili per curare i mali del nostro tempo

I

frutti cosiddetti rossi, ma anche quelli dal colore più scuro come more, mirtilli, ribes, ecc sono annoverati tra i frutti di bosco. Sono frutti stagionali che maturano a fine estate. Fragole e lamponi sono di stagione fino a ottobre, mentre mirtilli e more fino a fine settembre. Questi frutti in ogni caso vengono consumati anche d’inverno, soprattutto nei periodi festivi dove vanno ad arricchire e a colorare le nostre tavole. Oltre che essere buoni e belli, questi frutti sono ricchi di elementi funzionali preziosi per la nostra salute, a partire dal contenuto di vitamine e sali minerali, per passare a vere e proprie sostanze medicinali. Al giorno d’oggi, infatti, la medicina preventiva sta iniziando a diventare sempre più importante, a causa dell’aumento dell’età media della popolazione

e dell’aspettativa di vita, che portano con sé purtroppo anche un aumento della prevalenza di obesità, malattie metaboliche croniche, dovute soprattutto a un regime dietetico sbagliato, ipercalorico e ricco di zuccheri raffinati e grassi aggiunti. Una dieta ottimizzata sarebbe quindi un punto centrale per migliorare la salute specialmente a vantaggio del sistema cardiovascolare. Le abitudini alimentari sbagliate sono correntemente il fattore di rischio principale sia di malattia che di morte a livello mondiale. Si calcola che nel mondo le spese mediche per le malattie croniche sia superiore a 17 trilioni di dollari. Anche se sono disponibili numerose medicine e trattamenti che riescono ad abbassare la mortalità correlata a problemi di salute provocati da malattie cardiovasco-

Più del 50 % dei problemi di salute potrebbero essere prevenuti attraverso un cambio del regime dietetico, magari personalizzando la dieta da individuo a individuo in base all’età, al sesso, ad eventuali intolleranze, ma mantenendo come regola generale un largo consumo di frutta e verdura 10


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE lari, queste ultime rimangono comunque un grosso problema di salute pubblica. Si stima che più del 50 % dei problemi di salute potrebbero essere prevenuti attraverso un cambio del regime dietetico, magari personalizzando la dieta da individuo a individuo in base all’età, al sesso, ad eventuali intolleranze, ma mantenendo come regola generale un largo consumo di frutta e verdura. Un interrogativo a cui cercano di dare risposta gli scienziati è quello di capire quali sono gli elementi nutritivi che rendono più sano un alimento rispetto ad un altro, ed in particolare quali sono quegli elementi provenienti dal mondo vegetale che possono veramente dare un beneficio alla salute umana. I dati suggeriscono che le diete ricche di frutta, potrebbero contribuire a livello globale a ridurre ad esempio la pressione alta, il livello di glucosio nel sangue, e abbassare la mortalità dovuta alle malattie del sistema cardiovascolare. Questo perché la frutta è una fonte di sostanze bioattive che includono i flavonoidi e le antocianine, che sono tra le principali sostanze protettive conosciute. Dei flavonoidi abbiamo largamente parlato in precedenti articoli; essi devono la loro azione principalmente al loro effetto antiossidante e alla loro azione su alcuni enzimi chia-

Le antocianine sono sostanze solubili in acqua generalmente colorate, infatti sono tra i pigmenti responsabili dei bei colori rosso, blu, porpora dei frutti di bosco. Alcuni studi hanno dimostrato che riducono l’incidenza di malattia coronarica e di infarto del miocardio dal 12-30%

Le diete ricche di frutta potrebbero contribuire, a livello globale, a ridurre la pressione alta, il livello di glucosio nel sangue e abbassare la mortalità dovuta alle malattie del sistema cardiovascolare. Questo perché la frutta è una fonte di sostanze bioattive che includono i flavonoidi e le antocianine, che sono tra le principali sostanze protettive conosciute

ve coinvolti nella digestione e nel metabolismo degli zuccheri. Oggi vale la pena soffermarci sulle antocianine, che sono sostanze meno note. Le antocianine sono sostanze solubili in acqua generalmente colorate, infatti sono tra i pigmenti responsabili dei bei colori delle piante, delle foglie e dei frutti. Sono principalmente contenuti nella pelle dei frutti, o proprio all’ interno della polpa stessa, come per esempio in tutti i tipi di frutti di bosco. Sono presenti in cibi normalmente consumati con la dieta che hanno ad esempio colore rosso, blu, porpora e alcuni vegetali. I frutti come le more, fragole, i mirtilli, lamponi, ciliegie, prugne, uva, il ravanello rosso, e alcuni tipi di tuberi ne sono naturalmente ricchi. Sebbene ci siano concentrazioni e composizioni molto diverse

Mediamente in 100mg di mirtilli sono contenuti circa 160 mg di antocianine, mentre un bicchiere di vino rosso ne contiene circa 20 mg

11


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE Il consumo giornaliero di mirtilli è in grado di abbassare la glicemia, e aiuta a prevenire l’insorgere del diabete tipo 2, sono fonte di vitamina C, e aiutano a mantenere la salute del tratto urinario poiché hanno un effetto batteriostatico e prevengono l’adesione batterica che dipendono dalle condizioni di crescita delle piante e dallo stoccaggio e conservazione del prodotto raccolto, possiamo dire che mediamente in 100 g di mirtilli sono contenuti circa 160 mg di antocianine, e un bicchiere di vino rosso ne contiene circa 20 mg. Chimicamente le antocianine sono costituite da una molecola zuccherina (non per forza glucosio) ed una porzione che si chiama genericamente antocinidina, solo 6 sono rilevanti per la dieta umana, la cianidina, la delfidina, la lavidina, la perarconidina, peonidina e petididina. Nelle piante giocano un ruolo nel dare un bel colore ad esempio al fiore, che attrae gli animali impollinatori, inoltre queste sostanze sono capaci di filtrare i raggi ultravioletti, analogamente a quello che succede per la melanina contenuta nella pelle umana e quindi svolgono anche un ruolo protettivo. Un gran numero di studi scientifici, hanno esaminato la correlazione tra l’assunzione regolare di cibi contenenti antocianine e le malattie cardiovascolari. Ci sono evidenze in cui l’incidenza di malattia coronarica e di infarto del miocardio viene ridotto di circa 12-30%. La biodisponibilità è un parametro usato dagli scienziati per definire la quantità di sostanza che effettivamente viene assorbita dal nostro corpo ed è quindi in grado di agire effettivamente sui nostri meccanismi biologici. In seguito ad ingestione le antocianine e i flavonoidi raramente superano indenni il nostro sistema digerente, essi subiscono diversi processi metabolici, a partire dalla flora intestinale che gioca un ruolo chiave. Le sostanze non assorbite prontamente, vengono degradate a sostanze più piccole che possono o meno essere assorbite e possono o meno avere proprietà biologiche. Le antocianine consumate con la dieta, vengono sicuramente metabolizzate e si pensa che non sempre producano il loro effetto biologico come tali, piuttosto modificate dalla flora batterica o chimicamente dai succhi gastrici e dagli enzimi digestivi che le trasformano in sostanze che ven-

12

I lamponi sono di stagione fino a ottobre, mentre mirtilli e more fino a fine settembre. Questi frutti in ogni caso vengono consumati anche d’inverno, soprattutto nei periodi festivi per arricchire e a colorare banchetti e cenoni

gono assorbite e restano in circolo per lungo tempo andando a espletare i loro effetti benefici. Studi recenti hanno mostrato una grande variabilità tra persona e persona nell’ assorbimento e nel metabolismo di un grande numero di sostanze bioattive ma soprattutto, questi studi hanno evidenziato che le sostanze che hanno effetto protettivo sul sistema cardiovascolare, sono per lo più prodotte dall’ azione dei batteri della flora intestinale. Le antocianine infatti interagiscono fortemente con i batteri, e quindi anche cambiamenti della flora batterica o l’assunzione di bifido batteri per esempio sotto forma di alimenti fortificati, come alcuni yogurt o prodotti farmaceutici che li contengono, possono influenzare in positivo o in negativo il loro effetto e il loro assorbimento. Ad esempio, il consumo giornaliero di mirtilli è in grado di abbassare la glicemia, aiuta a prevenire l’insorgere del diabete tipo 2, sono fonte di vitamina C, e aiutano a mantenere la salute del tratto urinario poiché hanno un effetto batteriostatico impedendo l’adesione batterica. Le more, hanno mostrato effetti contro lo stress ossidativo, effetto neuroprotettivo, antiossidante, abbassano livelli di glucosio, e quindi anche loro sono utili per prevenire il diabete tipo 2, abbassano i livelli di insulina negli obesi e sono utili nelle diete in quando alleviano lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica sempre presente negli obesi, accelerano il consumo calorico, favorendo il dimagrimento.


New LI-ION Battery PAT. PENDING

990

PAT. PENDING

PAT. PENDING

ZANON s.r.l. - Via Madonnetta, 30 35011 CAMPODARSEGO (PD) ITALY Tel. +39 049 9200433 Fax +39 049 9200171

zanon.it

RO OST N L I ITE ITA VIS WEB S it

n.

o zan




LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

PAN, VIN, LEGNA E ASSA CHE LA VEGNA! L’antico detto veneto rammentava che l’arrivo certo della neve non doveva trovare impreparato l’uomo ante frigorifero e ante supermercati. La madia della farina, la dispensa, il pollaio, la stalla e la cantina, dovevano fornire sopravvivenza per tutto l’inverno, assieme alla legna da ardere, riserva di energia e, a quel tempo, a costo zero; però provvederla costava tanta fatica, soprattutto alla povera gente!

L

a legna e il legno, due generi per individuare la stesa cosa! Il legno, al maschile, individua il sostegno e la forza, come: tronco, ramo, palo, albero, “mànego”. La legna, invece, è al femminile pensando forse al calore della mamma, con nomi come: “zòca”, “fassìna”, “stéla”, o di aiuto come: “pèrtega”, “tòla”, “asse da lavàre”. La legna da ardere poi ha rappresentato un qualche cosa che attraverso i millenni ha accompagnato e protetto la vita del genere umano, dandoli sicurezza nel tenere lontani gli animali pericolosi, permesso la cottura dei cibi, riscaldato le povere abitazioni e per questo ha meritato attenzione nel raccoglierla, seccarla e immagazzinarla. Ma quanta fatica è costata ai nostri avi! Certo di alberi c’è n’erano parecchi, anche in pianura, soprattutto nei periodi storici di forti piovosità, durati secoli. Val la

16

pena di ricordare che il clima ha subito sempre variazioni ciclicamente lunghe e che nel periodo di insediamento romano nelle nostre terre (I e II sec. d.C.) le piogge erano abbastanza moderate, tali da consentire la geometrizzazione del territorio coltivandolo e Dai secoli bui del Medioevo fino a qualche decennio fa l’ordinamento colturale della campagna veneta era la “Piantàta”, ovvero un alternarsi di fasce di terra adibite a seminativo ad altre con filari di viti sostenute da pali di salice, maritate ad alberi a medio fusto, capitozzati per fornire pertiche. Un vigneto, quindi non forniva solo uva, ma anche legna


LA MEMORIA DI CARTA riservando parte di esso al bosco. Tra il terzo e sesto secolo arriva un clima umido, con piogge frequenti, la decimazione della popolazione a causa di malattie e pestilenze, l’abbandono della pratica agraria a causa dell’innalzamento della falda e il conseguente imboschimento. In questo periodo il legno è protagonista: i pochi residenti si costruiscono casette di legno sugli alberi per tenersi lontani dall’umidità e dagli animali pericolosi che popolavano il bosco diffuso, come orsi e lupi; realizzano sottostanti recinti sempre in legno per tenervi animali domestici al sicuro e dove gettano, dalle loro case sugli alberi, gli avanzi di cibo; costruiscono primordiali barche in legno per attraversare i numerosi rami fluviali e recarsi a caccia e pesca. Poi il ciclo si inverte con un clima asciutto, fino al 12001400, con il disboscamento progressivo e il recupero della pratica agraria, per ritornare a un periodo umido dove l’uomo, questa volta, fa ingenti opere di bonifica del territorio per potere continuare a coltivare la terra. Sono le bonifiche veneziane che ancor oggi caratterizzano l’ambiente in cui viviamo, con arginature dei fiumi, lo scavo di canali rettifili e la “baulatura” dei terreni. Le siepi di olmo o di acero campestre (l’oppio) circondavano le proprietà, favorendo l’ecosistema e fornendo legna minuta per fare le “fassìne”, indispensabili per scaldare il paiolo di acqua per la “lìssia”, ma soprattutto per cucinare la polenta nel focolare. Una brava massaia riusciva a cucinare una polenta bruciando una sola “fassìna”, alimentando il fuoco lentamente fintanto che la polenta “pipàva” emanando dei lievi e ritmati sbruffi di vapore che salivano dal fondo della “ràmina”. Era la cottura a bassa temperatura che i grandi chef hanno riscoperto, ma per le nostre donne era un modo per risparmiare “fassìne” che loro stesse avevano unito e legato con le “stròpe”, e considerando che nelle famiglie numerose di polente se ne facevano 5 - 6 alla settimana (il pane era per la domenica), il “fassinàro” doveva averne 3 - 400! Il “fassinàro” era una costruzione semplice, a forma di casone, dove le “fassìne” venivano addossate a una struttura permanente di duraturi pali di olmo o di castagno, e sistemate in modo da non lasciare penetrare la pioggia. All’interno del “fassinàro” si custodivano i “castelòni”, ovvero il tutolo del granoturco, ottimo accendifuoco prima dell’arrivo della Diavolina, ma anche (scusatemi l’irriverenza verso il mondo che ci ha generato, ma la vita in campagna era così) precursori della carta igienica, e vi si immagazzinava inoltre qualsiasi tipo di legna di risulta, dai tralci più grossi delle vigne tolti con la potatura, ai pali di “salgàro” per il loro sostegno sostituiti perché vecchi ma ancora buoni per il fuoco.

La legna da ardere attraverso i millenni ha accompagnato e protetto la vita del genere umano, dandoli sicurezza nel tenere lontani gli animali pericolosi, permesso la cottura dei cibi, riscaldato le povere abitazioni e per questo ha meritato attenzione nel raccoglierla, seccarla e immagazzinarla Fino a 50-60 anni fa l’ordinamento colturale della campagna veneta era la “Piantàta”, ovvero un alternarsi di fasce di terra adibite a seminativo ad altre con filari di viti sostenute da pali di salice, maritate ad alberi a medio fusto, capitozzati per fornire questi pali. La “smàia” era l’operazione con cui si tagliavano questi rami, di solito ogni tre inverni, con lo “stegàgno”. Poi venivano caricati nel carro e portati in corte dove venivano scorticati perché non riprendessero a vegetare con la primavera. La “scorza” che ne risultava, veniva data da mangiare alle vacche da latte e nel pa-

Una brava massaia riusciva a cucinare una polenta bruciando una sola “fassìna”, alimentando il fuoco lentamente fintanto che la polenta “pipàva” emanando dei lievi e ritmati sbruffi di vapore che salivano dal fondo della “ràmina”. Era la cottura a bassa temperatura che i grandi chef hanno riscoperto, ma per le nostre donne era un modo per risparmiare legna

17


LA MEMORIA DI CARTA ese di mia mamma gli davano pure la “broca”, i rametti più piccoli tagliuzzati spartanamente. Immaginiamoci il latte che ne usciva, certamente anti colesterolo! Ai pali poi si faceva la punta per facilitarne l’inserimento nella terra, ricavando le “stéle”, con le quali si “pagavano” i braccianti che Jean Françoise Millet, Conta- così portavano a casa dine che portano fascine di le- legna per scaldarsi. Dal gna, 1852. Conservato presso tronco degli alberi più l’Ermitage di San Pietroburgo vecchi, una volta tagliati, il padrone ricavava le “zòche”, mentre al bracciante che vi aveva lavorato spettava di diritto la “talponàra” e il “testàle” (la testa dell’albero capitozzata). Era un mondo che vediamo lontanissimo, ma che inesorabilmente ci appartiene! Si bruciava la legna di pianura, a chilometri zero e con basso potere calorico, raramente si veniva in possesso di legno di monte, ed eccezionalmente si poteva disporre del legno di rovere (la quercia), nascosto sotto terra, il cui luogo di giacenza veniva fortunosamente individuato dopo i temporali estivi. La quercia era diffusa nel bosco planiziale, e queste piante giunte alla loro fine vita, a causa anche delle radici annegate dalle esondazioni libere dei fiumi, si schiantavano al suolo venendo poi coperte,

nei millenni, da limo e sabbia alluvionale che le hanno conservate e parzialmente fossilizzate. Mi ricordo che, da bambino, mio padre mi ha portato alle “granze” a vedere degli uomini che stavano scavando in un campo per portare alla luce un enorme rovere sepolto, men- La legna rientrava in quei beni tre altri, con picco che servivano come paga per i e “manàra”, lo rom- braccianti. Ovviamente non era pevano a pezzi for- mai legna buona per il fuoco, spesso solo fascine di rovi o i fitmando delle “zòche” toni con le radici o ancora le teda accatastare nelle ste capitozzate di pioppi o salici loro case come cosa preziosa. Lavoravano sodo pensando al calore che avrebbero avuto in quei freddi inverni passati nelle loro misere abitazioni, dove solo qualche bicchiere di vino e la grappa autoprodotta riscaldava l’animo e il corpo. Hanno passato due inverni belli con quella legna che sembrava carbone, a differenza di tutti quelli passati senza riscaldamento, senza soldi, senza lavoro, al punto che i poveri braccianti delle “granze” forse si auguravano, morendo, di andare all’inferno: almeno lì avrebbero continuato a tribolare, ma al caldo! Il fuoco nelle case dei contadini non era mai a viva fiamma, la legna buona da bruciare era poca. Spesso veniva fatto con le foglie o i tutoli del mais o con le “brecane” e le sterpaglie, gettate sulla misera fiamma ancora ricoperte di brina

18


messaggio pubbliredazionale

I nostri prodotti: • soppressa normale o con filetto di maiale • salame bianco aromatizzato e soppressa • soppressa con pancetta a strati aromatizzata • salami e cotechini

Prodotti genuini grazie a carni di animali allevati direttamente in azienda e a una produzione ancora artigianale Ciò che ci contraddistingue è il legame profondo con il territorio e con la tradizione veneta nel produrre insaccati di altissima qualità. Per garantire sapore e genuinità utilizziamo solo ed esclusivamente tutti i migliori tagli di carni provenienti da suini allevati in azienda e una lavorazione senza utilizzo di conservanti e additivi chimici, come richiede ora un consumatore attento alla qualità di ciò che consuma e alla sua salute. La lenta stagionatura e lo scorrere del tempo permettono poi al prodotto di maturare creando un perfetto equilibrio in bocca I nostri prodotti possono essere acquistati presso il punto vendita aziendale in via Fiume, 72 a Piazzola sul Brenta, o al mercato domenicale di Camisano Vicentino. Per informazioni Cell. 328 6642395 e


messaggio pubbliredazionale

Nero d’Abano dal pane al dolce

Il pane Nero D’Abano ha una propria immagine che lo rende facilmente riconoscibile, sulla crosta superiore riporta stilizzata una fontana che sgorga acqua come simbolo dell’essenza della vita. Un'immagine che rende più bella la tavola e che sazia anche l'occhio

Il grano con il quale viene prodotto ha un genoma antico, le farine sono ottenute attraverso la molitura a pietra, l’impasto è totalmente naturale. Il risultato? Fa bene ed è onestamente buono Nero d’Abano, il pane ottenuto dal grano antico timilia, è un campione di versatilità: dallo spuntino alla tavola fino al dolce, conservando inalterata la sua qualità di pane genuino. Un pane che mantiene forti anche i rapporti con il suo territorio di origine e con le tradizioni della gente: proprio come il buon pane di una volta, la sua nuova versione è stata immaginata in chiave anti-spreco per ottenere dal pane raffermo un morbido dolce da portare in tavola durante le imminenti festività natalizie, in alternativa al panettone, oppure, in formati più piccoli, a colazione o come merenda per fare il pieno di energie

Se fa bene vuol dire che è anche buono Il recupero dell’antico grano Timilia ha portato alla produzione di farine totalmente naturali e a basso contenuto di glutine. Grazie alla sua alta qualità questa antica varietà si è presa la rivincita su quelle moderne, molto spesso realizzate solo per garantire alte rese e facilità di impiego nell’industria alimentare Nero d’Abano è un pane di farina Timilia in purezza, macinata a pietra ed integra ossia composta dall’ intero chicco di grano. La lievitazione è bassa ma naturale, grazie al lievito madre mentre la lavorazione è stata studiata con il fine di preservare le proprietà organolettiche e sensoriali tipiche della varietà d grano.

Viene impiegato pochissimo cloruro di sodio in quanto la farina è già ricca di Sali minerali, sono completamente banditi dall’impasto i conservanti e nonostante questo il Nero D’Abano si conserva perfetto per diversi giorni.

Azienda Agricola Zambon Alberto - Piazza Guido Negri, 92/B - Vighizzolo d'Este (PD) Alberto Zambon 340 5709646 - nerodabano@gmail.com - www.nerodabano.it - . Panificio convenzionato alla produzione: "Naturalmente vivo pane" via Battaglia, 127 - Sant'Agostino (PD) - Tel. 320 3403999


L ’albero STORIA E DINTORNI di Martina Toso

È SIMBOLO DELLA VITA E SI RINNOVA OGNI NATALE

Il suo culto ha attraversato epoche, popoli e religioni ma per incontrare il primo vero pino di Natale bisogna tornare nel 1441 in Estonia, a Tallin, mentre in Italia ha fatto la sua comparsa nella seconda metà dell’Ottocento, grazie alla regina Margherita

I

l Natale è uno dei giorni più attesi dell’anno e inizia a farsi sentire nell’aria già molto prima del 25 dicembre: c’è attesa, c’è preparazione, c’è un vero e proprio spirito natalizio fatto di tradizioni, simboli, ricorrenze condivise e riconosciute da tutti noi. La cinematografia, così come la letteratura, ci hanno insegnato che a Natale si intrecciano storie e destini in un tempo sospeso tra passato, presente e futuro, tra luci e colori, tra presepi e alberi addobbati. Se risalire all’origine di alcuni di questi simboli è forse più immediato, come nel caso del presepe, meno facile è la ricostruzione della tradizione dell’abete addobbato. Perché prima delle palline, dei fili colorati e delle luci, l’abete è un albero il cui culto, in occasione di riti e cerimoniali, proviene da lontano. Un lontano non geografico, quanto piuttosto di tempo, di secoli. Posizionato a metà strada tra paganesimo e cristianesimo, l’albero come segno distintivo del Natale è un’usanza che ha radici antiche quasi quanto la storia dell’uomo. L’albero, infatti, di cultura in cultura è stato sempre portatore di un forte significato, quello della

vita: ma come è diventato uno dei simboli più famosi di questo giorno? Per rispondere, bisogna fare un salto indietro nel tempo fino alle rive del Nilo, nel cuore della civiltà egizia. È qui che un evento astronomico come il solstizio d’inverno è diventato di diritto l’antenato del nostro Natale perché, pur essendo il giorno più corto dell’anno, è anche il preciso momento in cui la luce inizia a riconquistare terreno sul buio e la primavera si fa pian piano spazio. Una rinascita per la luce, insomma, e una rinascita anche per le persone felici di accogliere finalmente giornate più lunghe. I festeggiamenti in onore del solstizio dicembrino non si sono limitati al Vicino Oriente ma, attraverso le genti, sono giunte fino ai Romani che presero l’abitudine di dedicare il giorno del Sol Invictus al dio

I sacerdoti druidi in occasione delle celebrazioni invernali per il solstizio sceglievano di decorare alberi sempreverdi per auspicare metaforicamente la lunga vita 21


STORIA E DINTORNI

La tradizione di decorare un arbusto rimane per alcuni secoli limitata alle regioni della Renania perché considerata dai cattolici un’usanza protestante. Dopo il Congresso di Vienna, nel 1816, la principessa Henrietta von Nassau-Weilburg portò l’albero di Natale a Vienna: un passo che segnò la sua successiva diffusione in tutti i paesi d’Europa

Mitra ornando un albero sacro di oggetti votivi. Ma è con i Celti che il destino di un arbusto in particolare, l’abete, subisce la sua svolta definitiva legandosi indissolubilmente alle sorti di quello che diventerà poi in epoca contemporanea il Natale. I sacerdoti druidi, non a caso, in occasione delle celebrazioni invernali

per il solstizio scelsero di decorare proprio gli abeti che per la loro natura di sempreverdi, rappresentando metaforicamente la lunga vita. Anche tra i Vichinghi dell’estremo nord pare ci fosse l’usanza consolidata di tagliare gli abeti rossi per portarli all’interno delle case e decorarli in onore della notte più lunga dell’anno. In ambito pagano, quindi, gli antenati dell’albero di Natale come lo conosciamo oggi non mancano di certo anche se la storia dell’abete nel corso del Medioevo si arricchisce di nuove sfumature. Dall’Europa centro-nordica parte, infatti, un nuovo modo di intendere e vivere gli antichi riti pagani. Precisamente in Germania il 24 dicembre, durante “Il gioco di Adamo e di Eva” le piazze e le chiese si riempivano di alberi e di tutto ciò che potesse ricreare l’abbondanza del Paradiso Terrestre. Se all’inizio gli alberi utilizzati erano alberi da frutto, ben presto questi vengono sostituiti dagli abeti, simbolo di rinascita e di nuova vita, portatori di un dono eccezionale rispetto a tutte le piante non sempreverdi. Il significato cristiano di questo simbolo natalizio è chiaramente legato alla scena biblica riproposta in occasione di gioco medioevale, che vedeva Adamo ed Eva cadere

L’albero di Natale del Quirinale è stato il primo in Italia. Sarebbe stata la regina Margherita, nella seconda metà dell’Ottocento, a introdurre l’uso di decorare un abete con fili colorati

22


STORIA E DINTORNI

La città di Tallin, in Estonia, dove la leggenda vuole sia iniziata la tradizione dell’albero di Natale moderno

In Germania nel Medioevo la notte del 24 dicembre era dedicata al “Il gioco di Adamo e di Eva”, le piazze e le chiese venivano riempite di alberi per simboleggiare l’abbondanza del Paradiso Terrestre ai piedi dell’albero posto al centro dell’Eden e ricevere il perdono davanti a quello della vita con la nascita di Gesù. Una dimensione certo diversa da quelle tipicamente pagane ma che condivide con Egizi, Celti e Romani la convinzione che l’albero sia l’unico strumento adatto a celebrare la vita in tutte le sue accezioni e forme. Tra leggende e tradizioni sembra che l’abete natalizio, in senso moderno, abbia fatto la sua prima apparizione nel 1441 in Estonia, a Tallin. Da questo momento in poi è tutto un crescendo, con il primo vero pino di Natale a Riga nel 1510, seguito da Brema nel 1570. La tradizione di decorare un arbusto rimane per alcuni secoli limitata alle regioni della Renania perché considerata dai cattolici un’usanza protestante. Dopo il Congresso di Vienna, nel 1816, la principessa Henrietta von Nassau-Weilburg porta l’albero di Natale a Vienna: un passo che segna la sua successiva diffusione in tutti i paesi d’Europa. E in Italia, è la regina Margherita a volere il primo albero decorato al Quirinale nella seconda metà dell’Ottocento. Una storia lunga secoli, che ha attraversato culture diverse e credenze opposte, per arrivare ad assumere la

forma e il significato che noi tutti conosciamo. Al di là degli addobbi, delle luci e dei doni, rimane l’albero. Un simbolo biblico con una forte connotazione spirituale che è stato però capace di essere prima di tutto portatore di un importante significato nel quotidiano delle persone. A partire dai riti pagani per arrivare ai giochi medioevali, infatti, l’albero è sempre riuscito a tradurre materialmente il bagaglio di valori necessario nella vita di tutti i giorni: resistenza, speranza e forza di rinascita. Che sia per la sua natura a metà tra terrestre e celeste o per i suoi rami sempre tesi verso l’alto, verso qualcosa di migliore, non è dato sapere. Ciò che è certo però è che l’albero prima di essere simbolo del Natale, è simbolo dell’uomo.

23


Pasta artigianale dal ���� Una produzione amica del territorio, grazie all’esclusivo impiego di materie prime locali. Più di 100 formati diversi per soddisfare qualsiasi esigenza dal fresco al surgelato Il nostro lavoro lo facciamo con passione, con grande competenza e nella piena consapevolezza che la nostra vita e la nostra salute, sono strettamente legate alla terra, all’acqua, alle sementi e all’ambiente che ci circonda. Produciamo pasta secca senza glutine, pasta fresca all’uovo e pasta ripiena con lo scrupolo di usare solo i migliori prodotti, selezionati, testati e analizzati per garantire sempre la massima sicurezza alimentare:

• Solo semola di grano duro selezionata 100 % Italiana • Solo farina di grano tenero 00 selezionata 100 % Italiana del consorzio agrario del nord est 2 Passi • Solo Uova fresche pastorizzate Allevate a Terra 100 % Italiane • Ricotta artigianale fresca con Latte 100% di filiera Italiana • Carni suine e bovine di origine Italiana provenienti da allevamenti locali • Formaggi freschi D.O.P • Verdure fresche I.G.P del territorio • Solo Parmigiano Reggiano NESSUN CONSERVANTE, NESSUN ADDITIVO O COADIUVANTE TECNOLOGICO, NOI PRODUCIAMO UNA PASTA 100% NATURALE Il pastificio Artusi rispetta la cultura culinaria italiana, privilegia l’arte di “creare la pasta” selezionando alcuni tra i più tipici e gustosi formati L’intera offerta la trovi nel sito dedicato collegandoti attraverso il Qr-Code PASTIFICIO ARTUSI via dell’Artigianato 60 - 35020 Casalserugo (PD) - Tel. 049 9126224 - Fax 049 9129112


messaggio pubbliredazionale

Alcune delle nostre selezioni di pasta

LINEA GOURMET

LINEA CLASSICA

destinata alla ristorazione

destinata alle famiglie

LINEA PASTA FRESCA

NOVITÀ

surgelata i.q.f.

Il Pastificio Artusi produce pasta secca, fresca all’uovo, pasta all’uovo ripiena e gnocchi di patate sia in atmosfera protettiva sia Surgelata in IQF per tutti gli esercizi commerciali attenti al rapporto qualità/prezzo, caratteristica in grado di fare la differenza, ricercata da un sempre maggiore numero di consumatori. La distribuzione viene fatta anche in piccole quantità con propri automezzi

info@pastificioartusi.com - www.pastificioartusi.com


INGIROPIEDANDO a cura della redazione

C

M

Y

CM

MY

CY

CMY

K

10 ANNI DI INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA DEL RADICCHIO DI CHIOGGIA

DIECI ANNI DI IGP

2008-2018

DIECI anni di Indicazione Geografica Protetta del Radicchio di Chioggia

del Radicchio di Chioggia Passato, presente e futuro di uno dei prodotti più rappresentativi dell’orticoltura veneta. Intervista al presidente del Consorzio di tutela, Giuseppe Boscolo Palo

I

l 17 ottobre 2008 arrivava da Bruxelles la lettera che riconosceva l’ottenimento dell’indicazione Geografica Protetta per il Radicchio di Chioggia. Sono passati, quindi, 10 anni da quel primo passo nella direzione di una nuova stagione per l’orticoltura chioggiotta e quest’importante ricorrenza offre lo spunto per un bilancio, insieme al presidente del Consorzio di tutela Giuseppe Boscolo Palo. Che cosa hanno significato questi primi dieci anni di IGP per Radicchio di Chioggia? “Per partire dall’inizio bisogna dire che ha rappresentato l’opportunità di organizzare la produzione del Radicchio di Chioggia in modo programmato, ossia dando degli obiettivi a questa coltura per raggiungerli attraverso il nostro lavoro. Obiettivi che non potevano prescindere dalla valorizzazione del prodotto, rendendone riconoscibile e certa sia la qualità che la provenienza, e dal miglioramento del reddito dei produttori. Alcuni di questi sono stati raggiunti in modo pieno e convincente, su altri bisognerà continuare a lavorare duramente, perché il settore primario è ancora troppo fragile e a volte disorganizzato nel proporsi sul mercato. Tuttavia nel tempo credo che l’IGP sia stata di forte stimolo nell’assumere la

26

Il presidente del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia IGP, Giuseppe Boscolo Palo

consapevolezza che noi ortolani chioggiotti non produciamo semplicemente una merce, ma che siamo custodi di una tradizione quasi centenaria e tutori di una terra che va preservata, perché è da qui che esce quella qualità che i consumatori sempre più richiedono”. All’ortolano di oggi, dunque, serve sempre più consapevolezza del proprio lavoro? “Direi proprio di sì, proprio perché l’innovazione e la ricerca sono strade obbligate nell’agricoltura di domani. Per rispondere ai cambiamenti sociali, alle ten-


INGIROPIEDANDO denze del mercato, alla richiesta di prodotti sempre più sicuri, nel segno della tracciabilità e dalla salute, è sempre più necessario dotarsi di strumenti e cognizioni nuove. Ma il Consorzio di tutela si è speso senza sosta anche sul fronte dei consumatori, diffondendo a facendo conoscere quelle caratteristiche pedoclimatiche e quelle buone pratiche agronomiche che stanno alla base del nostro Radicchio. È importante far sapere da dove arriva questa qualità e difenderla dalle tante altre produzioni che cercano di imitarla, senza tuttavia riuscirci”. Se Chioggia nel mondo è conosciuta è anche senz’altro grazie al suo Radicchio… “Si certo, in questi anni tra gli impegni portati avanti dal Consorzio di tutela, insieme agli altri compiti che gli provengono dallo statuto, in ordine di vigilanza sulla produzione e sull’uso delle denominazioni o l’assistenza ai produttori e alla filiera, la promozione ha avuto un ruolo preminente, in quanto portata avanti nella piena convinzione che il prodotto promuove il territorio e viceversa. Così l’area di produzione, che si estende dalla Laguna Sud di Venezia al Basso Polesine, è stata valorizzata nel complesso delle sue valenze paesaggistiche, culturali e turistiche ad ogni partecipazione a fiere, manifestazioni ed eventi sia nazionali, come Fruit Innovation di Milano, Mac Fruit di Rimini, Vinitaly di Verona al Caseus Veneti, che internazionali, come Fruit Logistica di Berlino. Solo per citarne alcuni. Ma tra qualche giorno partiremo per la Finlandia, per raccontare la nostra terra e cercare nuovi mercati nel Nord freddo dell’Europa”. L’Indicazione geografica protetta è stata importante anche per tessere relazioni con tutte le istituzioni del settore… “Abbiamo intrapreso rapporti progettuali praticamente con tutti i Consorzi a marchio veneti, direttamente in ATI e/o attraverso collaborazioni e partecipazioni a manifestazioni organizzate dalla regione Veneto ed è stato siglato il gemellaggio con il Consorzio di Tutela del Pomodoro di Pachino Igp. Con le Organizzazioni dei Produttori del territorio sono condivise tutte le azioni e le attività del Consorzio essendone socie, ma anche sedendo con loro ai tavoli importanti della programmazione regionale, quali: il Comitato Radicchio dell’Organizzazione Interprofessionale o quello tecnico regionale per definire assieme con altri soggetti le politiche economiche, di ricerca di sperimentazione e di sviluppo del settore ortofrutticolo”.

Il Quaderno Scientifico, una recente pubblicazione che raccoglie gli studi condotti dalle Università di Padova e Venezia, dell’ISPRA di Chioggia e dalla World Biodiversity Association in seno al progetto regionale sulla “Caratterizzazione qualitativa dei principali prodotti ortofrutticoli veneti e del loro ambiente di produzione”. Studi che accertano il valore nutrizionale e nutraceutico del Radicchio e le buone pratiche agricole condotte dagli ortolani chioggiotti nel rispetto della biodiversità PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO

Radicchio di Chioggia IGP “precoce”

“tardivo”

Sostanza secca (%)

5.14

6.88

Acqua (%)

94.9

93.1

pH

5.4

5.38

Conducibilità elettrica (mS/cm)

6.05

6.93

Solidi solubili (°Brix)

4.05

4.64

Acidità titolabile (% ac. citrico)

0.122

0.131

Fibra alimentare totale (% pf)

1.34

1.77

Lipidi (% pf)

0.067

0.093

Proteine totali (% pf)

1.09

1.07

Saccarosio (mg/100 g pf)

253

289

Glucosio (mg/100 g pf)

978

980

Fruttosio (mg/100 g pf)

1008

1038

Valore energetico calcolato * (kcal/100 g pf)

15.6

17.9

Vitamina C (mg/100 g pf)

18.6

8.93

* Regolamento UE n° 1169/2011

Principali caratteristiche nutrizionali del Radicchio di Chioggia IGP nella tipologia “precoce” e “tardivo”. (Fonte: Risultati ottenuti dal DAFNAE dell’Università di Padova nell’ambito del progetto: “Caratterizzazione qualitativa dei principali prodotti ortofrutticoli veneti e del loro ambiente di produzione” finanziato dalla Regione Veneto (D.G.R. n. 2860/2013) e coordinato da Veneto Agricoltura)

La tabella indica e la presenza di polifenoli, sostanze naturali che contribuiscono a mantenere in salute le cellule umane, a confronto con le altre varietà di radicchi veneti

27


INGIROPIEDANDO

Un recente educational tour press della stampa nazionale specializzata in visita agli stabilimenti di produzione di pasta e di IV gamma che impiegano il Radicchio di Chioggia Igp come ingrediente

In materia di ricerca è da ricordare il progetto regionale sulla “Caratterizzazione qualitativa dei principali prodotti ortofrutticoli veneti e del loro ambiente di produzione” “Assolutamente: sapevamo che le caratteristiche organolettiche del nostro radicchio erano sintomatiche di un prodotto molto buono da gustare, ma quanto queste fossero importanti per il benessere del nostro corpo lo abbiamo scoperto grazie agli studi condotti dal dipartimento DAFNAE dell’Università di Padova. L’elevato contenuto di vitamine e sali minerali lo rendono utile per una dieta sana e con un’importante presenza di antiossidanti come le antocianine, legate alla colorazione rossa del radicchio, e i flavonoidi è tra i rimedi naturali più efficaci per contrare l’insorgere di malattie. In più fa bene anche all’ambiente di produzione, come dimostrato dalla World Biodiversity Association le buone pratiche agronomiche dei nostri ortolani garantiscono un’elevata biodiversità in campagna”. Il futuro di questo prodotto, come lo immaginate? “Il futuro del Radicchio di Chioggia IGP è già qui e lo vediamo nelle richieste che ci provengono dall’industria di trasformazione. La sua tracciabilità certa, le sue indiscutibili qualità organolettiche e nutraceutico costituiscono un valore aggiunto anche per i marchi che lo impiegano come ingrediente. Viene impiegato nella IV gamma, così come è oramai consolidata la sua trasformazione in essiccato, favorendo con ciò il suo utilizzo per i dolci tipici del clodiense e per le birre, e poi vengono proposti gelati e prodotti da forno, come le pizze e non manca la pasta al e con il Radicchio di Chioggia IGP preparata artigianalmente in abbinamento con formaggi a marchio. E proprio per cogliere appieno questo interesse del sistema agroalimentare si sta lavorando per apportare alcune modifiche al disciplinare di produzione per adeguarlo

28

alle nuove esigenze produttive, di confezionamento e di commercio, cercando anche di rafforzare le certezze dei consumatori nel momento dell’acquisto”. E per quanto riguarda il domani dei produttori? “È necessario rilanciare con nuovi sistemi, magari con la costituzione di un catasto/anagrafe dei radicchi veneti che ne certifichi il costo di produzione, per definire politiche rivolte alla specializzazione di tali produzioni, vanto e fiore all’occhiello del Veneto, e controbattere il rischio che diventino commodity. In questa assoluta necessità di ridisegnare il futuro della nostra agricoltura non possono essere esentate le istituzioni locali come i comuni. In questi anni con i Municipi di Chioggia e Rosolina si è consolidata una forte convergenza sulla necessaria riorganizzazione dei rispettivi ortomercati. In più con la riscrittura del piano di controllo, da parte dell’ente certificatore (CSQA) scelto dal Consorzio di Tutela e riconosciuto dal MIPAAFT, avremo strumenti importanti, utili a creare le migliori condizioni di adesione da parte dei produttori, perché verranno tolti tutti i limiti pratici che nel tempo sono emersi, da parte dei confezionatori, in termini di rigidi limiti imposti dagli imballaggi. Infine verrà rafforzato il ruolo del Consorzio di Tutela, perché una massiccia adesione dei produttori e confezionatori andrà inevitabilmente a conquistare fette di mercato importanti, tenuto conto che nell’area di produzione dell’IGP si produce circa la metà della produzione nazionale identificando finalmente il Radicchio di Chioggia IGP con il suo territorio di produzione sugli scaffali delle catene distributive in Italia e all’estero. Sono queste gli impegni e le sfide che la denominazione IGP ci spinge ad affrontare in forma coesa, in gruppo, in un accordo che coinvolge produttori, trasformatori e confezionatori capaci di guardare al domani”.


Antico Molino

messaggio pubbliredazionale

trattoria

Di Pernumia

IL GUSTO GENUINO DELLE FESTE Con l’arrivo dell’inverno la carne è la regina della tavola e qui è oggetto di un’accurata selezione per portare in tavola solo qualità

Il Natale è un momento speciale, un rito che richiede calore, intimità e tradizione. Per questo il posto giusto in cui cercare il sapore delle Feste potrebbe essere il ristorante Antico Molino di Pernumia, perché qui viene rispettata quell’ortodossia che diventa indispensabile per sottolineare pranzi e cenoni che connotano quest’ultima parte dell’anno. Un’ortodossia fatta di carni, indispensabili per affrontare le rigidità invernali e che da sempre distinguono i giorni di festa. Qui sono presentate in tutti i modi e su tutto vale la qualità, in quanto figlia di un’oculata selezione. La scottona garronese Omega 3, infatti, può dividersi tra la griglia e le crudità al coltello, la carta contempla la straeca, il filetto la fiorentina oppure la tartare e l’originale “Carpaccio presentato come una pizza”. La stessa cosa vale per il maiale, solo italiano, che in tavola è rappresentato dalla “Braciola con osso alla milanese”, da “Il guancialino” cotto a bassa temperatura in accompagnamento radicchio tardivo gratinato o dall’immancabile cotechino, piatto immancabile vista la stagione. Non vanno trascurate le paste, rigorosamente fatte in casa, rustiche dunque come nel caso de “Il bigolo, pasta d’autore”, con trito di Patanegra e tartufo nero, “Il pacchero di Gragnano” con ragù di

corte al coltello e olive taggiasche o l’ever green pasta e fagioli. Anche il pane qui è veramente quotidiano, trovandoci all’interno di un mulino il piacere per le farine non poteva che essere quello di darne lievitazione e cottura ogni santa mattina insieme ai dolci anch’essi figli della mano del cuoco e non dell’industria. Discorso a parte meritano i vini per i quali alla qualità si accompagna l’abbondanza. Circa 500 etichette per dimenticare del tutto la genericità del vino sfuso. Perché c’è una accordo importante tra i piatti e i calici, un rapporto molto intrigante che va cercato ogni volta per godere appieno dei profumi e dei sapori che la stagione offre. E per i brindisi di fine anno c’è solo l’imbarazzo della scelta, basta alzare il bicchiere e cercare le parole giuste per esprimere desideri e auspici.

Le paste e il pane sono fatte a mano. Trovandoci all’interno di un mulino del XVI secolo il piacere per le farine non poteva che essere quello di darne lievitazione e cottura ogni santa mattina insieme ai dolci anch’essi figli della mano del cuoco e non dell’industria

Antico Molino Via Palù Superiore - Pernumia (PD) - Tel. 0429 779071 - info@anticomolino.it Il ristorante è aperto tutta la settimana, rimane chiuso la domenica sera e il lunedì


Il legno, di Michele Grassi

MESTIERI ANTICHI E RITI D’ALTRI TEMPI Cucchiai, mestoli, scalere e l’immancabile “spino” erano prodotti forniti dal bosco e torniti dalle mani di abili artigiani

L

is sedonariis giungevano dal vicino Friuli, le venditrici del legno percorrevano i territori della loro regione e del Veneto per vendere cucchiai, mestoli, bastoni per la polenta e tanti altri oggetti. Camminavano faticosamente sulle strade di montagna, con le gerle cariche o con cassette portate a spalla, per offrire i capolavori di un artigianato ormai scomparso, che venivano utilizzati nelle cucine delle case ma anche nelle trattorie, nelle locande. Il cucchiaio di legno, di frassino o faggio o di altre essenze

30

offerte dai boschi, dal quale il nome dialettale sedon, era l’oggetto più venduto, vuoi per il comune utilizzo vuoi per il costo piuttosto limitato. Ma quando arrivavano alla latteria, di solito turnaria, la loro merce, e di conseguenza la loro vendita, non aveva molto successo a parte qualche mestolo di dimensioni un po’ maggiorate che poteva essere utilizzato dal casaro per agitare il latte al momento dell’innesto del caglio. Al casaro interessavano altre suppellettili del nobile materiale naturale che le sedonariis non vendevano.

Foto concessa da Antonia Giordani Buch

LA FORMA DEL LATTE


LA FORMA DEL LATTE Led sedonariis, erano donne friulane che commerciavano gli attrezzi che i loro mariti avevano creato durante l’inverno con il legno dei boschi

Le gerle delle Lis Sedonariis, caricate sulle spalle costituivano la pesante compagnia durante i lunghi viaggi, per valli e strade di montagna. fino ai luoghi della vendita

Nei territori montani del bellunese era facile incontrare le Las Nardanas, donne che partivano dal vicino Erto, oggi tragicamente ricordato per il disastro del Vajont, portando oggetti che gli uomini facevano con i legni dei loro boschi, che poi affidavano alle mogli o alle figlie per la vendita. Le massaie bellunesi e anche i casari le accoglievano benevolmente perché conoscevano le fatiche immani di questo antico lavoro. Come dicevo, i casari avevano altre esigenze, quelle prevalentemente legate alla loro attività di trasformazione del latte in formaggio. E la prima di tutte, quella alla quale non potevano certo provvedere le Las Nardanas, era la provvista di legna per il fuoco che scoppiettante riscaldava il latte o cuoceva il formaggio nella caldera in rame. Era per il far fuoco che si lavorava duramente nei boschi, raccogliendo legna prevalentemente di abete e larice, nelle zone di alta montagna, ma anche di faggio alle quote più basse dove c’erano e ci sono ancora le latifoglie. L’abbattimento degli alberi, la successiva raccolta dei monconi dei tronchi che subivano lo spacco e il taglio nelle misure più adatte in funzione delle dimensioni del focolare erano il duro lavoro che consentiva la provvista energetica della latteria. In Veneto, soprattutto sulle montagne, dove le latterie erano spesso di piccole dimensioni e il casaro, lavorando tutti i giorni, non aveva bisogno di due o più caldere, veniva utilizzato, e in alcune realtà montane oggi c’è ancora, il paiolo di rame che per essere spo-

stato dal fuoco veniva appeso a una struttura girevole di legno. Il legno utilizzato per questa struttura di estrema semplicità ma di altrettanta estrema praticità, era rigorosamente di larice, legno fibroso, forte, carico di resina ma capace di prendere il fumo del focolare per auto proteggersi, lo stesso fumo che passando per la cappa affumicava le ricotte adagiate su graticci di legno o di ferro. Il casaro riceveva il latte alla sera e alla mattina prima dell’alba. I piccoli allevatori, quasi mai possedevano più di 5-6 vacche, riempivano le lattarole di alluminio, quasi sempre ammaccate e spesso prive di coperchio, e le portavano alla latteria dove il casaro di turno procedeva al filtraggio del latte tramite teli di cotone o di lino posti su tini di legno o di rame stagnato, i quali venivano poi immersi in fontane d’acqua corrente, e li rimanevano conservando perfettamente il latte, fino al momento della lavorazione che avveniva il mattino successivo. Il casaro tornava in latteria prima dell’alba ad accen-

In alcune malghe di montagna, soprattutto dove le quantità di latte erano modeste al posto delle caldera di rame veniva usato il paiolo, il quale, per essere spostato dal fuoco, veniva appeso a una struttura girevole di legno di larice. Questo legno fibroso, forte, carico di resina prendeva presto il fumo e il calore del fuoco fino a diventare duro come un metallo

31


LA FORMA DEL LATTE Il casaro iniziava la sua giornata prima dell’alba, cominciava a scaldare il latte e nel frattempo rivoltava i formaggi nell’attigua cantina dere il fuoco, facendo attenzione a non esagerare con la fiamma, che lo accompagnava per tutto il tempo della lavorazione. Così cominciava la sua giornata, e mentre scaldava il latte o attendeva che si trasformasse in cagliata, il casaro rivoltava i formaggi nell’attigua cantina dove, accostate ai vecchi muri di sasso erano le scalere, strutture rigorosamente in legno di abete bianco, conifera che non trasuda eccessivamente di resina e che non lascia tracce odorose o aromatiche al formaggio. Era ed è ancora oggi la miglior scelta, quella dell’abete bianco, le cui tavole devono essere affiancate ed unite per ottenere la larghezza necessaria, solitamente senza collanti ma con spinotti dello spesso legno o di legno di acero o frassino. Nessun trattamento conservativo, ne chimico e neppure naturale può essere fatto alle tavole di abete le quali devono mantenere le loro caratteristiche originarie per accogliere le forme di formaggio ancora umide o ammuffite o asciutte. C’era un solo strumento che il casaro doveva fare da se, lo spino. Ho parlato spesso di questo meraviglioso ma raro strumento di legno che il casaro predilige per fare formaggi tradizionali sia in Veneto sia in altre regioni italiane. Lo spino, un bastone di legno che porta rametti secondari, corti, sottili ma molto robusti, viene utilizzato in particolare per tagliare la cagliata ma anche per

Lo spino era un bastone, di biancospino o di pero selvatico, al quale il casaro lasciava alcuni rametti secondari, corti, sottili ma molto robusti, utili per tagliare la cagliata, per agitare il latte all’innesto del caglio o della pasta nella fase di cottura o ancora nel rinnestare il siero per ottenere l’affioramento della ricotta

32

Ancora oggi le scalere in cui vengono fatti stagionare i formaggi sono fatte in abete bianco. Grazie alle sue proprietà legate ad una scarsa trasudazione di resina e la quasi totale assenza di odori è l’ideale affinché i formaggi non acquisiscano puzze sgradevoli

altre fasi della trasformazione, come per esempio l’agitazione del latte all’innesto del caglio, o della pasta nella fase di cottura o dell’agitazione del siero per ottenere l’affioramento della ricotta. Il casaro, non vuole uno spino qualunque e per questo si reca personalmente, in calar di luna, nel bosco, o ai margine delle strade forestali o su gli argini dei fiumi a cercare il bastone, quello che poi porterà alla latteria e che sarà lo strumento identificativo della sua professione. Ma non sempre riesce a trovare il pollone di biancospino, o di pero selvatico, giusto, deve provarlo per decidere se continuare a servirsi di quello o cercarne uno più adatto. Quello non buono andrà ad alimentare il fuoco sotto la caldera. E gli strumenti di legno esprimono rilevanza nelle tradizioni gastronomiche prevalentemente autunnali o invernali, soprattutto sulle nostre montagne dove Lis sedonariis e le Las Nardanas hanno lasciato un ricordo indelebile, e dove, spesso, il formaggio fatto con lo spino viene abbinato alla polenta agitata con il bastone nel paiolo di rame, e lo spezzatino mescolato con il cucchiaio, tutti rigorosamente di legno.


messaggio pubbliredazionale

AZIENDA AGRICOLA E CASEIFICIO AI PRÀ

Dal foraggio al formaggio:

filiera cortissima, tracciabilità certa Formaggi ottenuti dalla mungitura quotidiana delle cinquanta mucche pezzate italiane allevate da Pier Giorgio e dal latte lavorato artigianalmente da Antonella. Una produzione che ha un nome, un volto e le mani di chi ama la campagna e per questo la sa rispettare. CACIOTTE alle noci, al miele, al radicchio, ai pistacchi con diverse stagionature

IL FRIULARO, affinato nelle vinacce del vino gagliardo, simbolo del nostro territorio

AI PRÀ, dal sapore di latte appena munto, morbido con note dolci e lievemente acidule

VECCHIO, con dieci mesi di stagionatura è il formaggio che ama anche la grattugia

CASERECCIO ALLO YOGURT

Per Natale Potete trovare anche: Nostrano, affinato con il miele di castagno o in barrique di legno riempite di fieno, Rosso Passione alla paprika, mozzarelle, casatelle e toselle, stracchini e ricotte, yogurt e panna cotta

DOVE TROVARE I PRODOTTI DEL CASEIFICIO AI PRÀ

Il banco dei prodotti del caseificio Ai Prà si sposta durante la settimana: • Il martedì pomeriggio dalle 17.00 alle 20.00 in piazza di Due Carrare • Il mercoledì mattina al mercato di Conselve • Il venerdì è aperto tutto il giorno il punto vendita aziendale • Il sabato mattina in piazza Cannoni a Sottomarina al mercatino dei tipici • La domenica ai mercatini di Campagna Amica o alle fiere del territorio 339 3278420

CON I NOSTRI PRODOTTI E QUELLI DEL TERRITORIO PRODUCIAMO CESTE E IDEE REGALO PER UN NATALE A KM 0 PIENO DI GUSTO

Azienda Agricola Ai Prà via Pratiarcati, 9 - 35020 Maserà di Padova (PD) www.aziendaagricolacaseificio.padova.it antbus973@gmail.com Azienda Agricola Ai Prà


PRODOTTI GOURMET per rendere speciale il Natale Il piacere di poter sognare momenti di gioia e di vivere emozioni gustando qualcosa fuori dall’ordinario! Immaginiamo che il periodo di vacanza legato alle Feste, possa essere dedicato ad un viaggio in Europa. Indubbiamente un bel regalo per se stessi e la famiglia, una opportunità per scoprire, visitare monumenti, ammirare opere d’arte delle migliori città d’arte del nostro continente. Ma qualcosa di molto simile è possibile farlo anche tra le proprie mura domestiche, approfittando del calore della famiglia che si ritrova attorno ad una tavola imbandita per pranzi e cenoni. Un viaggio nei sapori d’Europa, infatti, potrebbe essere un bel modo per stupire amici e parenti. Un viaggio appunto, che anziché concretizzarsi nello spazio possa essere ad esclusivo appannaggio delle papille gustative, grazie ai prodotti gourmet dell’enogastronomia che Il Tagliere Srl ricerca e seleziona, con entusiasmo e dinamicità, per offrirli ad una clientela che predilige la qualità. Facile quindi trovare dai loro clienti formaggi francesi, inglesi, spagnoli, svizzeri oltre alle moltissime specialità casearie italiane e non mancano neppure caviale, Champagne e Patanegra.

UN VIAGGIO NATALIZIO NELL’EUROPA DEI FORMAGGI Eleganti golosità dalla Loira, formaggi e carbone vegetale per fare invidia alla Befana

Non sempre il carbone è il premio per chi è stato cattivo, tutt’altro: in questo caso il carbone distingue chi è molto buono. Ossia alcune tipologie di caprini AOC dalla valle della Loira, conosciute nel mondo come Selles sur Cher, VaSELLES SUR CHER lencay, Sainte Maure caratterizzati dalla copertura di carbone vegetale. In passato, infatti, la cenere veniva usata per tenere lontani gli insetti dopo la VALENCAY stagionatura, ma poi è diventata una nota distintiva di questi formaggi per le proprietà depurative e digestive del carbone. SAINTE MAURE

Via Dei Ronchi, 1 - Z.I. Camin - Padova - Tel. 049 89 61 956 - Fax 049 89 69 448 info@iltagliere.it - www.iltagliere.it


messaggio pubbliredazionale

Svizzera: non solo orologi a cucù e formaggi con i buchi

Non solo la Francia ma anche la Svizzera vanta delle specialità casearie di ottimo livello in quanto oltre all’Emmental o al Gruyere, apprezzati da molti, produce la mitica Tête de Moine che con i suoi riccioli o rosette, ottenute con l’utilizzo della Girolle, seduce occhi e palati. TÊTE DE MOINE

Blue Stilton il nobile Re dei formaggi che arriva dalla foresta di Robin Hood

Non può mancare una citazione all’Inghilterra che con il Blue Stilton ha conquistato il mondo dei formaggi erborinati. Uno dei formaggi con una lunga storia documentaBLUE STILTON ta sin dal 1722 e a lungo conosciuto come il “Re dei formaggi” che gli inglesi amano accompagnare a fine pasto con un buon vino liquoroso, il Porto. Viene prodotto solo da sei aziende in prossimità della città di Nottingham, a tutti conosciuta per le avventure di Robin Hood. In occasione del periodo natalizio è usanza trovarlo in vendita confezionato in una simpatico bicchiere di ceramica che alla fine della consumazione rimane per gli usi più diversi.

“Ricerchiamo e selezioniamo, con entusiasmo e dinamicità, i prodotti migliori dell’enogastronomia europea per offrirli ad una clientela che predilige la qualità”

Dalla terra di Cervantes la “Tortita de Barros”, formaggio pluripremiato al World Cheese Awards E che dire della Spagna? Verrebbe facile usare le parole di Cervantes, ma il suo Don TORTA DE BARROS Chisciotte della Mancha è un paladino delle cause perse, mentre in terra iberica e nel contesto caseario c’è chi ha vinto tante volte riconoscimenti e premi al World Cheese Awards. Un produttore di formaggio di pecora a latte crudo che ha una pasta interna cremosa e di colore bianco brillante mentre la sottile crosta è più consistente e di colore ocra. Prodotto con caglio vegetale esprime un’esplosione di sapori di erbe ed un elegante retrogusto amaro derivante appunto dal caglio utilizzato. Dall’aroma intenso e fragrante è ottimo per accompagnare pane tostato ed essere utilizzato nella ristorazione con un servizio semplice ed elegante ma anche per offrire convivialità tra gli amici ponendolo al centro della tavola e spalmandolo autonomamente su un crostino di pane attorniati dal “calore” dei propri cari. Il formaggio si chiama “Tortita de Barros”.

Il Tabaccaio: l’America sulla pelle ma con il cuore 100% made in Italy

Ebbene si, viaggiare è bello! Ma non è certo all’Italia che mancano storia, tradizioni e prelibatezze anzi spesso è fin troppo facile percepire l’imbarazzo della scelta. Tra le innumerevoli di cui avremo potuto parlare… ci è piaciuto Il Tabaccaio espressione della capacità, della qualità e della fantasia italiana. Formaggio prodotto in terra friulana da latte vaccino crudo che viene stagionato per 24 mesi prima di venire affinato in foglie di tabacco Kentucky proveniente da coltivazioni italiane, che è l’unica varietà di tabacco utilizzata per la preparazione del sigaro toscano. L’essiccazione avviene attraverso il fumo di legni speciali che, penetrando lentamente nelle foglie, ne conferiscono un particolare aroIL TABACCAIO ma ed il colore scuro. Il gusto è forte e persistente che ben si accompagna ad una birra corposa ed alcolica, così come ad un vino robusto o addirittura ad un buon Rhum.

Il Tagliere S.r.l. spedisce i propri prodotti in tutta Italia. Per il trasporto ci affidiamo a corrieri specializzati nel recapitarvi la freschezza


INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin

DALLE FIABE ALLO “STORIONE” DI NATALE, O MEGLIO ALLE SUE UOVA Il caviale, nell’immaginario collettivo simbolo dell’aristocrazia russa o degli sfarzi della belle époque, è un prodotto che in Italia ha una parte della sua storia e probabilmente anche il suo futuro

L

a storia del caviale è in realtà uno “storione”: sia per quanto riguarda il pesce dal quale lo si ottiene, (lo storione, appunto, un pesce preistorico di 200 mila anni fa), sia per la somma di tempo trascorso da quando, questo alimento, ha iniziato ad essere consumato. Infatti, non è un prodotto figlio dei piaceri e del lusso della belle époque russa, come l’immaginario collettivo potrebbe suggerire, ma già nella Grecia IV secolo a.C era conosciuto e apprezzato, come pure era diffuso tra i triclini romani che se lo facevano arrivare direttamente dell’Ucraina. Le cronache, quindi, ce lo consegnano già così come lo immaginiamo oggi: un prodotto a dir poco esclusivo, per i palati dell’aristocrazia “classica”. Poi chissà che palati, perché resta difficile immaginare che sapore potesse avere un caviale che da Odessa arrivava a Roma attraverso le carovaniere. Sarà stato salato ed essiccato, come la bottarga, quindi un prodotto molto diverso da quello attuale che viene consumato certo salato ma conservato, assolutamente, al fresco. È più probabile, invece, che il caviale che conosciamo noi abbia origini popolari e fosse già quello che durante il Medioevo i pescatori e i contadini russi mettevano sotto i denti, poiché era un’economica fonte di proteine. La chiesa ortodossa, in seguito, prescrivendo pro-

36

lungati digiuni e l’astensione da molti cibi, contribuì a favorirne il consumo e a radicarne la tradizione nella cucina russa, ancora oggi caratterizzata dal grande impiego di verdure e pesce in sostituzione della carne. Ma il caviale continuò a rimanere un prodotto popolare anche quando, nel 1675, lo zar Alexander Michailovich, secondo imperatore della dinastia Romanov, stabilì l’esclusiva autorità dello corona nel commercio del caviale e fu solo nel XIX secolo, quando l’aristocrazia russa iniziò ad apprezzarlo, che divenne un cibo a esclusivo consumo delle classi aristocratiche, diventando una delle immagini del lusso (anche per il gusto pleonastico della moda russa) per antonomasia. Ma non è nella terra degli zar che va cercato il primato del caviale, piuttosto in quelle degli scià di Persia, nell’Iran moderno e in quelle acque del Mar Caspio dove vivono cinque delle venti specie di storione conosciute, tra cui il Beluga, l’Asetra ed il Sevruga, che forniscono il miglior caviale al mondo. Una qualità che pare derivi dal fatto che i pescatori iraniani riescono a catturare le femmine prima che incomincino il loro viaggio verso gli sbocchi dei fiumi, mentre i russi sono costretti ad aspettare l’arrivo degli storioni alla foce del Volga. Il risultato è che le uova sono già mature e quindi più molli e collose, mentre il caviale


INGIROPIEDANDO Nello scavo della “terramara” di Pilastri, vicino a Bondeno, sono emerse prove inconfutabili che la pesca e il consumo delle carni di storione erano già molto diffuse durante l’Età del Bronzo iraniano resta croccante e con grani uniformi e ben definiti. Si tratta, ovviamente, di caviale ottenuto da animali selvatici, che purtroppo sono sempre più una rarità visto che lo storione è attualmente in pericolo di estinzione. I pochi esemplari viventi si trovano nelle acque costiere dell’Oceano Atlantico orientale, del Mar Mediterraneo, del Mar Nero e, appunto, del Mar Caspio e nei fiumi che vi sboccano. Un tempo questi grandi pesci erano presenti anche nei nostri fiumi, Po e Adige, e anzi a cercare le origini del consumo dello storione italiano a tavola è proprio qui, tra Veneto ed Emilia, che si possono trovare le tracce più evidenti.

Tracce archeologiche, addirittura, come quelle rinvenute nello scavo della terramara di Pilastri, vicino a Bondeno, che indicano una diffusa pesca e un largo consumo dello storione già in Età del Bronzo. Una pesca destinata a rimanere immutata per millenni, tanto che nel paesino polesano di Ficarolo lo storione è stato una delle fonti di guadagno principali, sia per i molti pescatori che per i commercianti, fino agli anni ‘60 del secolo scorso. Una pesca a volte improvvisata, tanto che alcuni pescatori non avevano nemmeno un battello, ma unicamente le reti e un tratto di fiume in cui cercare di chiudere nelle maglie i possenti pesci. “Capoccia grossa!”, urlato dagli argini dal fortunato pescatore, annunciava la cattura di un esemplare di grandi dimensioni, l’entusiasmo era giustificato dal fatto che ad essere vendute erano le carni e quindi il prezzo era in relazione. Gli stessi commercianti erano del luogo e accorrevano immediatamente per pesare il pescato, contrattare l’affare e completare poi la vendita con i ristoratori della zona, anche se poteva

È ITALIANO QUASI LA METÀ DEL CAVIALE CONSUMATO NEL MONDO Se nei nostri grandi fiumi oggi è difficile riscontrare la presenza dello storione, negli allevamenti, invece, è largamente diffusa, soprattutto in quelli tra Lombardia e Veneto dove viene prodotta più della metà del caviale etichettato con la bandiera tricolore. Caviale italiano, certo, perché se certi luoghi comuni possono portare a credere che le preziose uova siano una produzione esclusiva della Russia o al più dell’Iran, i luoghi reali della produzione mondiale invece sono proprio quelli nostrani: l’Italia è al secondo posto e viene appena dopo la Cina. Nella patria degli zar, infatti, se ne producono 25 tonnellate annue e dalle terre bagnate dal Golfo Persico ne arrivano appena 5, mentre l’Italia si attesta sulle 40 tonnellate, di cui 25 vengono dagli allevamenti di Agro Ittica nel bresciano e 8 dalla veneta Caviar Import che ha sede a Gardignano di Scorzè, nel veneziano. Un settore del nostro allevamento ittico che recentemente ha registrato una crescita esponenziale, da zero a 11, 2

milioni di euro negli ultimi dieci anni secondo le fonti Coldiretti, soprattutto grazie alla qualità. Infatti, i numeri da soli non bastano a qualificare la produzione nostrana di caviale, per completare il profilo di questo prodotto, rigorosamente Made in Italy, è necessario tirare in ballo proprio la qualità, data dalla salubrità degli ambienti di produzione, grazie alla diffusa presenza di fontanili di acqua sorgiva che garantiscono qualità idriche del tutto identiche a quelle dell’habitat naturale dello storione, dalla qualità dell’alimentazione, dalla qualità del sale con il quale si preparano le uova e nel più scrupoloso rispetto di un prodotto tanto sensibile e delicato, mantenendo le operazioni di lavorazione e commercializzazione ad una temperatura mai superiore ai 2 gradi centigradi. Da noi i controlli sono ferrei su tutta la filiera, in Cina, invece, non è dato saperlo ed è per questo che i primi due posti della graduatoria dei paesi produttori, per quanto riguarda la qualità, andrebbe perlomeno capovolta.

37


INGIROPIEDANDO

CONOSCERE IL CAVIALE

L’origine del nome è piuttosto dibattuta, per i nazionalisti il termine andrebbe riconosciuto all’Italia, ma secondo le fonti più autorevoli pare derivi da “havyar” una parola turca che indica le uova di tre specie di storione tra cui il Beluga, che è tra i più rinomati. Uno storione arriva alla maturità sessuale attorno ai 12 anni e la sacca ovarica può contenere un quantitativo di uova pari al 10% del peso dell’animale (la pezzatura dello storione è piuttosto importante e si aggira attorno ai 60 chilogrammi). Per estrarle è necessaria la macellazione dell’animale e la lavorazione avviene immediatamente con la separazione delle uova dallo storma connettivale, la setacciatura e la lavatura sotto abbondante acqua fredda. La fase più importante è sicuramente la salatura che può avvenire per immersione in salamoia o a secco e la quantità di sale dipende dalla qualità della materia prima: più il caviale è salato, minore è la sua qualità. Il sale, infatti, serve per nascondere difetti del prodotto o la lavorazione non ottimale, come il non rispetto della catena del freddo. Essendo un prodotto termosensibile, va lavorato, conservato e consumato sempre all’interno di una forbice compresa tra i - 2 e +2 °C. Il caviale illegale, infatti, proveniente da bracconaggio, molto spesso risulta particolarmente salato o con gusto eccessivamente intenso con sentori di aringa. Tuttavia secondo il Codex Alimentarius il caviale dovrebbe contenere tra il 3 e il 5% di sale in rapporto al suo peso, ma resta scontato che minore è la sua presenza migliore è il prodotto finale, tant’è che in Russia la parola “malossol”, che significa “poco sale”, viene usata per indicare le produzioni migliori. Dal punto di

38

Storioni di notevoli dimensioni popolavano anche i nostri fiumi, in Adige (al quale si riferisce la foto) la pesca occasionale è stata praticata fino agli anni ‘70, nel Po invece esisteva una vera e propria economia legata allo storione. A Ficarolo, in provincia di Rovigo, la pesca è stata una delle fonti di guadagno principali sia per i molti pescatori che per i commercianti fino agli anni ‘60. Legate all’oro del Po, ossia il caviale di Ferrara, rimangono le testimonianze di alcuni pescatori di Felonica che a Ferrara vendevano le uova di storione al negozio della signora Benvenuta Ascoli, detta Nuta oppure al Ristorante Tassi di Bondeno

capitare che lo storione di Ficarolo venisse spedito con il treno in località lontane. Il Cobice, il Ladano e la Colombina erano le varietà apprezzate di cui si ha notizia fin dal Rinascimento, soprattutto quest’ultimo non manca mai tra i prodotti richiesti ai popolani per onorare i banchetti di re e papi. Poteva capitare, in certi periodi dell’anno, che sventrando un grosso storione si scoprisse al suo interno “l’oro del Po”, ossia il caviale di Ferrara, una produzione che ha goduto di grande longevità in quanto rimangono le testimonianze di epoca contemporanea di viaggi di alcuni pescatori di Felonica a Ferrara per vendere le uova di storione nel negozio della signora Benvenuta Ascoli, detta Nuta, dove veniva preparato il prelibatissimo caviale. Anche il Ristorante Tassi di Bondeno è ricordato come uno dei luoghi in cui le uova dello storione del Po figuravano tra le specialità. Oggi purtroppo, malgrado lo storico locale figuri nella guida Michelin, il caviale di Ferrara non c’è più, l’unica carta che raccoglie la storia dello storione del grande fiume è quella di cui sono fatte le pagine del libro di Gian Antonio Cibotto, Scano Boa, in cui vengono narrati il paesaggio deltizio, con gli ultimi casoni di canna, e la vita dura dei pescatori.


INGIROPIEDANDO

È importante saper leggere l’etichetta:

ALCUNE DELLE TIPOLOGIE DI CAVIALE ITALIANO

ISO indica il paese di origine STANDARD la specie di storione al quale appartengono le uova W è usato per le uova di storione selvatico C per quello di allevamento

Per coloro che, con l’avvicinarsi del Natale, vengono assaliti dai dubbi su che cosa portare in tavola per impreziosire banchetti e cenoni delle Feste, il caviale italiano potrebbe essere il prodotto giusto. Qualche esempio delle migliori produzioni: ⊲ ROYAL SELECT (caviale bianco) Prodotto dallo storione “Acipenser Transmontanus” di origine americana allevato in Italia. Le uova raggiungono le dimensioni di ø 3,5 mm. Gusto molto delicato Colore a matrice grigia ⊲ CLASSIC SELECT (caviale siberiano per Adriatico) Prodotto dall’incrocio di storione adriatico e siberiano allevato in Italia. Le uova raggiungono le dimensioni di ø 2,5 mm. Gusto delicato Colore a matrice marrone/grigia

vista tecnico-normativo il caviale è una semiconserva, quindi non è un prodotto fresco, malgrado si tratti di pesce crudo, e ha una scadenza piuttosto prolungata che tuttavia non dovrebbe superare i 60 giorni. Per un prodotto così delicato e costoso, in compenso, il servizio e l’accompagnamento sono quanto mai economici, certo gli intenditori consigliano coppette in cristallo e posate in madreperla, ma allo scopo può andar benissimo un cucchiaio di plastica. Sono, invece, da evitare le posate in metallo in quanto trasferirebbero al prodotto note solfuree e sentori poco gradevoli. Anche per la degustazione i prodotti a cui si accompagna sono quanto mai semplici, bastano dei blini, delle crespelle russe, o della patata bollita o ancora del bianco dell’uovo lesso. In alternativa è particolarmente aristocratico mangiarlo con le mani, certo non a grosse prese ma posizionandolo sul dorso, nell’incavo tra pollice e indice, è possibile anche a chi non ha le papille gustative allenate ricevere un immediato feedback sul prodotto: se la pelle poi odora di pesce il caviale non è buono.

39


INGIROPIEDANDO ⊲ IMPERIAL SELECT (da caviale siberiano) Prodotto dallo storione “Acipenser Baerii” allevato in Italia. Le uova raggiungono le dimensioni di ø 2,5 mm. Gusto deciso Colore a matrice marrone, da scuro a dorato

⊲ SPECIAL RESERVE Selezione della migliore qualità di caviale di storione russo siberiano o bianco che si distingue per particolare gusto colore e granatura

STORIONE. Già dalla forma lo storione tradisce le sue origini preistoriche: le sembianze aggressive, il muso schiacciato e proteso in avanti, insieme alla presenza di grosse placche ossee disposte longitudinalmente sulla pelle nuda, lo rendono molto simile ai grandi pesci che popolavano le acque del pianeta nel passato. Assai longevo, lo storione può raggiungere anche i 100 anni di vita, è una specie anadroma, cioè che dopo aver trascorso il primo periodo di vita nei fiumi, dove le femmine depongono le uova, discende in mare e vi resta fino al momento della riproduzione. Ne esistono di 28 specie, è il pesce più grande che popola le acque dei fiumi europei, un tempo presente anche in quelli italiani, come Po e Adige, ma oggi è considerato estinto a causa dell’inquinamento e di una pesca spietata. Nel tempo sono stati tentati diversi reinserimenti, ma non è più tra le specie che popolano le nostre acque.

Un’idea regalo per Natale: Burro di Bordier da spalmare, caviale Royal Select accompagnato dal cucchiaio di madreperla per la degustazione e Champagne

40


messaggio pubbliredazionale

Ristorante Pizzeria

il mare d’inverno Il posto giusto dove trovare sapori e profumi ricercati oppure il calore della convivialità, che aiuta a contrastare l’inclemenza del termometro

IL MIGLIOR PESCE acquistato fresco ogni giorno

VERDURE DI STAGIONE direttamente dagli orti di Chioggia

LE NOSTRE PIZZE

un piatto veloce senza rinunciare alla qualità e al gusto

Il mare d’inverno ha indubbiamente il suo fascino, ma ha anche i suoi sapori. Sapori che, in una città millenaria come Chioggia, da sempre costituiscono un rimedio alla stagione fredda e anzi ne sottolineano le festività, perché la pesca è generosa anche in questa parte dell’anno, anzi verrebbe da dire che lo è di più. E il Ristorante pizzeria Minerva di Sottomarina di questa ricchezza ne sa tener conto, unendo il meglio che il mercato ittico locale offre ogni giorno a quei prodotti che a buon diritto possono essere considerati i sovrani dell’inverno, come il locale Radicchio di Chioggia Igp, i funghi della non lontana Treviso o i carciofi adriatici dell’isola di Sant’Erasmo. Perché il ristorante Minerva è celebre per quell’intelligente predilezione di portare in tavola solo i prodotti del territorio comSogliole, triglie, scampi, binati nel pieno rispetto dell’ortodossia gastronomica adriatica, ma rivisitati in branzini, canocchie e granceole preparazioni gourmet con il compendio è quanto di meglio offre delle migliori etichette del buon bere il mare invernale nazionale e internazionale. Armido e Fabrizio insieme alle rispettive mogli, Daniela e Nadia, del resto, sono ristoratori di conclamata fama e di grande esperienza, sanno sempre proporre il piatto giusto per sottolineare importanti ricorrenze, come le imminenti festività, oppure momenti in cui la convivialità rappresenta quell’allegro calore da contrapporre all’inclemenza del termometro. E allora è il palato il primo a ricevere il piacevole tepore di fumanti zuppe di pesce, oppure la confortante pienezza degli “gnocchi fatti in casa ripieni di capesante e porcini”. Tra i secondi non mancano autentiche ricercatezze come i “gamberoni in camicia di San Daniele”, il Friuli del resto è un altro pezzo importante di quella geografia che qui al Minerva chiamano territorio, o gli “scampi e burrata”, oppure il “branzino e carciofi”. Come assolutamente da provare sono i dolci, anch’essi figli delle creatività del cuoco e non dell’industria dolciaria. Per chi, invece, cerca pranzi o cene più disimpegnate allora corre l’obbligo di segnalare la pizza. In questa stagione sugli impasti ottenuti dalle migliori farine e da lievitazioni di almeno 38 ore impera quella zucca che nelle commedie di Goldoni è motivo di aspre “baruffe” e che qui, invece, trova formidabili accordi con gli altri prodotti della dispensa.

Il ristorante è attrezzato per banchetti e cerimonie Aperto dalle 12.00 alle 14.30 e dalle 18.30 alle 24.00 Il lunedì i mestoli riposano Lungomare Adriatico - Lato Nord, 30015 - Sottomarina Mob. 339 6684500 - Tel. 041 4965367 ristorante.minerva@libero.it - www.ristorantepizzeriaminerva.it - Seguici su Facebbok e Twitter


IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo

Natale TRA RE E PAPI

BANCHETTI PARSIMONIOSI, MA FIRMATI DA GRANDI CHEF Sulle tavole dei potenti non vengono imbanditi pranzi o cenoni luculliani. Vige una certa moderazione e al Quirinale si mangia in 45 minuti

M

ezze maniche alla melanzana, gallinella bollita, patate, carciofi, zucchine, carote cotte al vapore e dolci a tema. Sono questi i piatti serviti al Quirinale nel Natale 2002 alla famiglia Ciampi e all’allora presidente Azeglio che, al pari degli altri presidenti della Repubblica, non ha mai esagerato nelle richieste di cibi particolarmente ricercati per il menù natalizio o del cenone di Capodanno. Come del resto ha sempre confermato nelle sue interviste, Fabrizio Boca, executive chef del Quirinale che a tutt’oggi, a soli 48 anni, ne ha trascorsi ben 24 anni al servizio di cucina presidenziale; preparando pranzi e cene a quattro presidenti e a tutti i potenti, teste coronate comprese, che di volta in volta siedono ai tavoli del salone delle feste. Occasioni, raccontano gli chef del Quirinale, che pur prevedendo la pompa dell’addobbo devono durare un tempo massimo

42

di 45 minuti e osservare rigidi protocolli sul numero delle portate. Da qui, forse, la frugalità con la quale sono caratterizzati tutti i menù, Natale e Capodanno compresi, di casa Quirinale. Soprattutto sotto la cifra dell’ultimo inquilino che non si formalizza nell’accontentarsi anche di una semplice zuppa di ceci o lenticchie pur se, da buon siciliano, gradisce il timballo di anellini con le polpettine e pomodoro profumato al limone e il falso magro, tipico involtino di carne che in questo caso, racconta Boca, viene alleggerito e reso meno impegnativo per i succhi gastrici dell’illustre commensale Mattarella. Pronto magari a rifarsi nella sua Sicilia dove per Natale, in ambiente totalmente domestico e riservato, trascorre altrettanto riservati pranzi natalizi. E se in quella che fu reggia reale sabauda, e prima ancora dei Papi, non sembra avere troppo spazio, la corsa ai menù luculliani che inve-


IL PANORAMA GASTRONOMICO ce noi mortali ci accingiamo a programmare in vista del Natale e del Capodanno, non va meglio neanche nelle stanze da pranzo di papa Francesco. Capo supremo della cristianità che come gli altri papi che lo hanno preceduto fino al 1870, anno in cui il Quirinale da palazzo papale divenne reggia reale, vive e celebra le festività Natalizie oltre Tevere. Servito, nei suoi pranzi quotidiani, dalle suore della mensa di Casa Santa Marta, cibandosi in modo francescano pur non disdegnando piatti concreti come l’assado della sua Argentina o il “pucciare” il pane nella bagna cauda. Piatto che sicuramente deve stimolare i suoi geni di origine piemontese che hanno dato vita al suo cognome Bergoglio. Razza sabauda, verrebbe da sottolineare per questa singolare coincidenza che vede un papa dal Dna italiano, re anche lui, ma di uno stato senza reggia se non quella compresa negli appartamenti papali annessi al Palazzo Apostolico. Residenza di rappresentanza cui ci si aspetterebbe fosse anche il tempio di prelibatezze, almeno per Natale, o se non altro per rispettare il vecchio adagio, in voga tra noi comuni mortali che quando ci alziamo da tavola particolarmente soddisfatti spendiamo il classico dire, che si è mangiato da Papa. In realtà la benedetta residenza papale, inclusa nel Palazzo Pontificio, non ospita reali pranzi e cenoni di Natale soprattutto da Carol Wojtyla in poi, anzi. Molti infatti si sono svolti con frequenza al di fuori della sfarzosità degli scenari dei saloni apostolici albergando, invece, per vocato desiderio dei rappresentanti di Dio in terra, in luoghi aperti a ospiti tutt’altro che potenti. Vale a dire decine e centinaia di poveri e diseredati che grazie a questi inviti papali, almeno alla

Fabrizio Boca, executive chef del Quirinale che a tutt’oggi, a soli 48 anni, ne ha trascorsi ben 24 anni al servizio di cucina presidenziale; preparando pranzi e cene a quattro presidenti e a tutti i potenti, teste coronate comprese, che di volta in volta siedono ai tavoli del salone delle feste. In primo piano nella foto, con alla sua sinistra Cristeta Pasia Comerford cuoca della Casa Bianca

Luigi Einaudi, al Quirinale, alla fine di un pranzo di festa consumato in soli 45 minuti, dopo aver diviso in due una mela chiese ai suoi ospiti: “Chi vuole l’altra metà?”

Niente salmone, troppo costoso anche a detta dell’allora vescovo Bergoglio che diventato Papa continua con una linea di sobrietà a tavola. Ben soddisfatta del resto da Sergio Dussin, cuoco dei Papi, qui ritratto nella foto con Benedetto XVI e alle spalle di papa Francesco

cadenza del Natale, seppur con menù farciti di gran sobrietà, riescono a gustare un pranzo caldo come Dio comanda e certamente dove più che una terrina di foie gras, vale molto di più un semplice flan di zucchine. Realizzato dal cuoco dei papi che cucina per loro fin dal 2002 in tutte le occasioni speciali come possono esserlo questi grandi pranzi. Un nostrano veneto Sergio Dussin del ristorante “Al Pioppeto” che con la sua brigata, ormai vera e propria squadra a tutto tondo per un servizio di catering di caratura pontificia, scende dalla sua Romano d’Ezzelino per rendere i suoi servigi gastronomici al soglio pontificio. Una storia cominciata nel 2002 quando si trovò ad accontentare la richiesta delle Guardie Svizzere di degustare gli asparagi di Bassano e proseguita poi con la conoscenza del cancelliere della Pontifica Accademia delle Scienze. Il quale stupito dall’efficenza del servizio reso alle guardie michelangiolesche, gli chiese il biglietto da visita. Introducendolo così verso altri contatti con le più alte istituzioni vaticane e fino ai papi. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e fino l’attuale papa Francesco. Che proprio nella giornata mondiale dedicata ai poveri, svoltasi a metà novembre, in pieno Avvento, lo ha chiamato ancora una volta a Roma per apparecchiare un grande pranzo per 1500 indigenti ospitati nella sala delle udienze generali. Centocinquanta tavoli con 10 ospiti ciascuno, sui quali sono stati serviti i piatti del menù che Sergio Dussin, reso quanto mai rappresentativo della sobrietà che ha ispirato l’epopea dei papi fin qui serviti

43


IL PANORAMA GASTRONOMICO Sergio Dussin con la brigata di cucina scende dalla sua Romano d’Ezzelino per rendere i suoi servigi gastronomici al soglio pontificio. Una storia cominciata nel 2002 quando si trovò ad accontentare la richiesta delle Guardie Svizzere di degustare gli asparagi di Bassano e proseguita poi con la conoscenza del cancelliere della Pontifica Accademia delle Scienze. Il quale stupito dall’efficienza del servizio reso alle guardie michelangiolesche, gli chiese il biglietto da visita introducendolo, così, verso altri contatti con le più alte istituzioni vaticane e fino ai papi. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e fino l’attuale papa Francesco

dal cuoco bassanese, con altrettanta modestia. Ecco dunque un menù in vista dell’imminente Natale fatto di gnocchetti sardi spadellati con pomodoro, olive e formaggio Collina Veneta, bocconcini di vitello con verdure, polenta e broccoli di Bassano, acqua, aranciata e caffè dopo la dolce sorpresa finale, annunciata dallo stesso Bergoglio, che invece non lo ha condiviso, il tiramisù alla veneta. Uso nostrano di finire in bellezza ogni grande pranzo che si rispetti, anche quello di Natale. Lasciando dunque tornare nelle case milanesi i panettoni che ad esclusione di qualche serio artigiano pasticcere, sono fatti e venduti al pari di comunissime merendine e pure di bassa caratura. Niente di meglio quindi che il casalingo tiramisù che da buon dolce veneto lascia ad ogni suo esecutore libertà di interpretazione e di gusto. Come del resto succede per la bûche de Noël del presidente francese, Emmanuel Macron, il Christstollen della cancelliera tedesca Angela Merkel, i polvones di re Filippo VI di Spagna, il Christmas pudding di sua maestà Elisbetta d’Inghilterra e anche dell’anglofono presidente americano Donald Trump. Leccornie che diventano regali per potenti quando a prepararle

44

sono i colleghi dei citati Fabrizio Boca o Sergio Dussin. Una schiera di cuochi coronati, più che stellati verrebbe da dire, che appartengono alla ristretta cerchia associativa del Club des Chefs des Chefs. Ovvero i cuochi che cucinano per re e presidenti di mezzo mondo e sarebbe a loro che bisognerebbe chiedere qual’è il menù più regale e sontuoso da preparare per il Natale, confidando che non rispolverino la storia di quanti hanno vissuto nei palazzi dove immaginiamo chissà quali sontuose prelibatezze vengano servite. Visto che, per citarne uno, Luigi Einaudi, al Quirinale, alla fine di un pranzo di festa consumato in soli 45 minuti, dopo aver diviso in due una mela chiese ai suoi ospiti: “Chi vuole l’altra metà?”. Emblematico esempio non distante dai desideri di Elisabetta d’Inghilterra che a distanza di anni, racconta Boca, sembra ancora ricordare come indimenticabile il semplice risotto alle erbe preparato per lei dal cuoco del Quirinale. D’altro canto non potrebbe essere diversamente dato che nemmeno per il giorno di Natale è previsto che a casa dei Windsor ci si gusti un gran primo piatto, come solo noi italiani sappiamo fare, sia che si pensi ad un menù a base di pesce o di carne per festeggiare, a tavola, il Natale e l’anno che verrà.

Ironiche statue di cera che ritraggono la famiglia reale inglese a Natale

Il Salone delle feste al Buckingham Palace


messaggio pubbliredazionale

Il Pianzio Produttori per passione A dicembre degustazioni di vino e olio per conoscere da vicino le eccellenze euganee e trovare idee originali da regalare o da portare in tavola A Natale regala un’esperienza! Il Pianzio, storica cantina di Galzignano Terme, attraverso una gift-card, che funziona come un buono regalo, offre la possibilità di una degustazione dei propri prodotti unitamente alla visita della tenuta che impreziosisce un suggestivo scorcio degli Euganei. Una bellissima esperienza di due ore che permetterà di conoscere da vicino il mondo dell’enolo-

1

Il Fior d’Arancio passito Docg ha recentemente vinto la medaglia d’oro al Concorso Selezione del Sindaco di Cannelli, Asti

gia delle belle Colline venete e che potrà anche essere di aiuto per la scelta delle migliori bottiglie da regalare o da portare a tavola durante pranzi e festività natalizie. Al Pianzio la scelta non manca e oltre alle blasonate etichette come il Fior d’Arancio D.O.C.G. passito o al Cabernet Sauvignon Jenio, entrambe reduci da importanti affermazioni ai concorsi nazionali, esistono etichette da accompagnare ai piatti della tradizione, dagli antipasti

Jenio 2016 Vincitore del primo premio alla Venticinquesima Selezione Concorso vini rossi Doc Colli Euganei

all’immancabile brindisi. Per chi invece fosse in cerca di idee originali da regalare, esiste la possibilità di confezioni che alle bottiglie uniscono il meglio dei prodotti tipici locali e le altre preparazioni di casa, come confetture alle ciliegie e alle giuggiole, la grappa di moscato, l’aceto balsamico o l’apprezzato olio, un blend realizzato con le olive di diverse cultivar secolari dal profumo intenso, ma dal gusto delicato, con una leggera nota piccante.

Olio extravergine di oliva La spremitura delle olive è appena terminata e quest’anno la stagione è stata molto generosa. Alla quantità è legata una qualità caratterizzata da un aroma equilibrato, non troppo amaro ma più piccante e con un retrogusto di mandorle dolci e di carciofo che ben si sposa con i piatti del Natale

IL PIANZIO di Selmin Soc. Agr. - Via Pianzio, 66 - 35030 Galzignano Terme (PD) Tel./Fax 049 9130422 - Cell. 393 7699836 - info@ilpianzio.it www.ilpianzio.it - Seguici su Facebook

1


“Tutto fa brodo” LA CUCINA DI QB

di Anna Maria Pellegrino

MA NON TUTTO FA BUON BRODO Se non ci fosse il brodo bisognerebbe inventarlo! Senza brodo infatti addio a tutte le paste ripiene (anolini, cappelletti, tortellini e via dicendo), ma anche solo apparentemente piatti più poveri, come la zuppa pavese, brodo, pane e uovo

M

a nacque prima il brodo o la gallina? Circa 20.000 anni fa circa, la scoperta: grazie al fuoco, quella della cottura tramite l’acqua, che probabilmente nacque per cercare di estrarre dalle carni e dai vegetali sostanze particolari o dalle proprietà benefiche. “È stato inoltre il brodo che - non è un’eresia! - nato prima della pentola, l’ha fatta nascere. Molti indizi fanno - scrive Giovanni Ballerini, presidente onorario dell’Accademia italiana della cucina - ritenere che le donne dei popoli nomadi ottenessero i primi brodi in sacchi di pelle, dove l’acqua era riscaldata con l’immersione di pietre roventi, e soltanto quando i popoli divennero stanziali fu possibile costruire ed utilizzare pentole di pietra e, soprattutto, di prezioso metallo. Una richiesta femmi-

La curiosità

Icona di una generazione di donne degli anni ‘50 e caratterizzata da stile ed eleganza, è sempre la stessa da 70 anni. Il dado è infatti il prodotto più longevo della Star, azienda che è stata fondata il 19 giugno 1948

46

nile assecondata dall’uomo, che apprezzava le doti ristoratrici dei brodi. Per il brodo furono dunque costruite le prime pentole e si passò dalla cottura “maschile” degli alimenti al fuoco vivo alla cucina “femminile”. All’uomo resterà l’arrosto, il fuoco mentre alla donna tutte quelle preparazioni che prevedevano la protezione di un tetto o, meglio, di mura che le avrebbero celate e protette, soprattutto dagli altri sguardi maschili.” Si diceva che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Ci pensò infatti l’industria alimentare e l’avvento della chimica a decretare la fortuna del brodo sotto forma di estratto di carne prima e quindi di brodo concentrato in dado poi: Liebig, Maggi Knorr, Star sono brand aziendali che ancor oggi troviamo nei scaffali della Grande Distribuzione. Durante la Prima Guerra mondiale vennero distribuite alle truppe milioni di razioni di carne in scatola e di boccette di brodo. Per molti contadini fu la prima volta e l’uso comune del dado da cucina si affermò in Italia attorno agli anni venti del secolo scorso. La televisione poi ne decretò il successo.


Un po’di Storia

LA CUCINA DI QB

Agli inizi del XVII secolo il pollame era un genere di lusso. Fu allora che Enrico IV di Francia si augurò che in tutto il suo regno non ci fosse neppure un contadino così povero da non essere in grado di concedersi un pollo in pentola la domenica. Il re buongustaio però non ebbe l’onore di conoscere la bontà della corte veneta che caratterizza le feste natalizie, ovvero, il Cappone la cui preparazione, lenta e carica di attenzioni, è essa stessa un atto d’amore, sentimento che al pari degli aromi utilizzati inebria il Natale. È possibile servire a parte il cappone cotto in un piatto da portata cosparso di sale grosso con croccanti giardiniere o con le verdure utilizzate per la cottura come contorno ed accompagnato da un’ottima mostarda o da un accattivante chutney.

Buon Appetito! Buone Feste!

BRODO DI CAPPONE Lavare ed asciugare il cappone, legare le cosce. Mondare e spuntare i porri della parte verde e legarli a mazzetto con filo da cucina. Mondare le carote e le cipolle ed una steccarla con i chiodi di garofano e la foglia di alloro. Mettere il cappone in una casseruola abbastanza grande, coprirlo di acqua fredda ed aggiungere il sale. Portare a bollore ed eliminare la schiuma con un cucchiaio man mano che si forma. Quando la schiuma non si forma più ridurre il calore ed unire le verdure, il bouquet garni e volendo la testa d’aglio. Far sobbollire adagio per almeno un’ora: pungere con i rebbi della forchetta la coscia e se il succo che ne uscirà sarà limpido vorrà dire che sarà cotto. Altrimenti proseguire la cottura per altri 30’. Tenere al caldo fino al momento di servire: tagliare una fetta spessa di pane, guarnirla con una rotella di carota e disporla al centro della fondina dove è già stato versato il brodo caldo. Completare con abbondante parmigiano e servire immediatamente.

Difficoltà: bassa

Preparazione: Cottura: 20 minuti da 1 a 2 ore

INGREDIENTI per 4/6 persone • 1 cappone di circa 2 kg legato • 3 piccoli porri spuntati della parte verde e legati a mazzetto • 3 cipolle bianche • 6 carote • 1 testa d’aglio • 1 foglia di alloro • 3 chiodi di garofano • 3 grani di pepe nero • un bouquet garni (mazzetto aromatico) • sale iodato fino e grosso Per il servizio: pane a baguette, parmigiano reggiano grattugiato oppure tortellini o cappelletti freschi

47


messaggio pubbliredazionale

AZIENDA AGRICOL A

Fontolan

LE MIGLIORI CARNI ALLEVATE E PREPARATE IN AZIENDA, AL BANCONE VARIETÀ, CORTESIA E I TANTI CONSIGLI PER PORTARE IN TAVOLA I GUSTI GENUINI DELLA TRADIZIONE Il Natale è la festa della famiglia che si riunisce, per tradizione, attorno ad una tavola imbandita. Il cibo fa parte dello stare assieme, è la nota che sottolinea la Festa: per questo è importante che i piatti siano di grande qualità. All’Azienda Agricola Fontolan qualità significa natura, rispetto dei cicli di allevamento, attenzione nelle lavorazioni per carni morbide e gustose, un risultato che qui si ottiene con il massimo controllo su tutta la filiera, dalla terra al piatto del consumatore.

“Le nostre carni sono ottenute da “sorane” di razza charolaise francese, carni tra le più tenere, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura” Con l’arrivo delle Festività il punto vendita è attrezzato per preparare ceste e idee regalo con i tagli di carne più pregiati, i salumi egli insaccati prodotti come un tempo, senza conservanti o coloranti

Salami, capocolli, pancette e cotechini contengono solo spezie naturali: pepe, sale, aglio e vino rosso, niente conservanti o coloranti

Il lardo, stagionato sei mesi con sale, pepe, rosmarino e foglie di salvia e alloro

Prosciutto, ottenuto dalla noce della coscia di maiale, salato, pepato, aromatizzato con cannella e chiodi di garofano e insaccato in budello naturale, asciugato per 15 giorni e stagionato per sei mesi

L’azienda aderisce al disciplinare di Unicarve per l’allevamento a cereali. Benessere degli animali, pulizia e filiera sicura attestano il marchio “Carne di qualità”

Bresaola di scottona ai cereali, ricavata dal girello di coscia, speziata con sale e aromi, insaccata in budello naturale e stagionata con metodo tradizionale circa 45 gg

Tutti i prodotti sono certificati CSQA

AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta (PD) - Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it - www.aziendaagricolafontolan.it ORARI D’APERTURA: VENERDÌ 15.30 - 19.30 e SABATO 9.00 - 12.15 e 15.30 - 19.30


A OGNUNO IL SUO CALICE… di Emanuele Cenghiaro

SOAVE

Cinque Bottiglie

CHARDONNAY

ROSÈ

BONARDA

NERO D’AVOLA

MERLOT

PINOT NERO

PASSITO

PORTO

CHAMPAGNE PROSECCO

MOSCATO

DA METTERE SOTTO L’ALBERO

L

o scorso anno nel numero di fine autunno avevamo cercato di suggerire un menù natalizio alternativo ai “soliti vini”. Quest’anno, perché non andare alla ricerca di qualche bottiglia da regalare, attenti al budget ma anche a essere originali? Rimaniamo fedeli al proposito di non superare, se non come eccezione, i confini regionali: le cantine nostra-

ne offrono prodotti di grande qualità e talvolta noti e apprezzati più fuori casa che nel nostro territorio. Se ragioniamo per categorie, potremmo pensare all’immancabile spumante, a un rosso classico e a uno strutturato, e ad un passito. E, per finire, una grappa. Buon regalo!

LO SPUMANTE (VALDOBBIADENE - TV) RIVA DI SAN FLORIANO, CANTINE NINO FRANCO Il Prosecco dal 1919, buona idea per Natale Non può mancare un Prosecco a Natale. Le cantine Nino Franco sono meno note di altre ma storiche, essendo nate a Valdobbiadene nel 1919, mirando fin dall’inizio a realizzare prodotti di qualità. Dal nonno Antonio al figlio Nino, oggi l’azienda è condotta da Primo, terza generazione, assieme alla moglie Annalisa e alla figlia Silvia. La gamma di Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, 100% uva glera, è rigorosamente brut, con i “cru” Riva di San Floriano e Nodi (vigneto Col del Vent); in una confezione natalizia non può però mancare il quasi dolce (“dry”) Superiore di Cartizze. Una chicca è il Grave di Stecca, un brut prodotto da un piccolo vigneto, quasi un “clos”, nei pressi del paese, che ha raggiunto i 95/100 punti nell’edizione 2018 della “Guida Essenziale ai Vini d’Italia” di Daniele Cernilli. Non è docg, ma nemmeno il Sassicaia, in origine, lo era…

Una chicca è il Grave di Stecca, un brut prodotto da un piccolo vigneto che ha raggiunto i 95/100 punti nell’edizione 2018 della “Guida Essenziale ai Vini d’Italia” di Daniele Cernilli 49


A OGNUNO IL SUO CALICE… IL ROSSO (BARDOLINO - VR) BARDOLINO SP PIONA 2013, CANTINA ALBINO PIONA Un vino ricco di profumi e struttura Ha compiuto 50 anni la Doc Bardolino, che nel 1968 fu tra le prime approvate in Italia. Un compleanno festeggiato con il ripristino delle tre sottozone, La Rocca, Montebaldo e Sommacampagna, già note a fine Ottocento e ora rinate in previsione di un nuovo disciplinare. Tra le molte cantine validissime ne scegliamo una storica, Albino Piona di Custoza, datata 1893, di cui suggeriamo il Bardolino SP Piona 2013 (dove SP sta per sperimentale per via dell’inusuale lungo affinamento), sottozona Sommacampagna, ricco di profumi e struttura, che si rivelerà una sorpresa origi-

Se regalato in confezione, lo si può abbinare con un Chiaretto, così da poter coprire anche gli antipasti di salumi. Con un Bianco di Custoza, c’è posto anche per il pesce

nale e molto soddisfacente all’assaggio. Da abbinare, ad esempio, a una classica pasta e fagioli. Se regalato in confezione, lo si può abbinare con un Chiaretto, così da poter coprire anche gli antipasti di salumi. Con un Bianco di Custoza, c’è posto anche per il pesce.

IL ROSSO IMPORTANTE (MONTEBELLO V.NO - VI) MERLOT CASARA ROVERI 2015, DELL’AZIENDA DAL MASO Unico vicentino Tre Bicchieri del Gambero Rosso Un bordolese di grande potenza e struttura, che affina 18 mesi in barriques di rovere e matura per altri cinque in bottiglia da abbinare a cacciagione o carni saporite

È stato l’unico vino vicentino a ottenere, quest’anno, i Tre Bicchieri del Gambero Rosso: è il Merlot Casara Roveri 2015 Colli Berici Doc dell’Azienda Dal Maso di Montebello Vicentino. Si tratta di un’altra storica azienda, avviata a fine Ottocento e oggi gestita dalla quarta generazione di pronipoti del capostipite, Serafino Dal Maso. Ampia è la gamma dei loro prodotti,

50

che dalla Doc Gambellara e Monti Lessini si spingono fino ai Colli Berici. Da non perdere gli spumanti a base di uva Durella, ad esempio, ma anche gli straordinari Tai della casa. Qui però parliamo di un bordolese, il Merlot Casara Roveri, di grande potenza e struttura, che affina 18 mesi in barriques di rovere e matura per altri cinque in bottiglia. Un succo concentrato da abbinare a cacciagione o carni a lunghe cotture e ricchi intingoli, o con formaggi ben stagionati e sapidi.


A OGNUNO IL SUO CALICE… IL PASSITO (VO - PD) FIOR D’ARANCIO CANTINA VILLA SCERIMAN Un dolce nettare che arriva dal Passo del vento Sorge in un complesso rurale del XVI secolo, con tanto di splendida villa palladiana, la cantina Villa Sceriman di Vo, ai piedi dei Colli Euganei. L’azienda, di proprietà della famiglia Soranzo, fu tra le prime ad adottare, già negli anni Novanta, la coltiva-

Perfetto per la pasticceria secca e con i dolci aromatici che nei giorni delle feste non mancano mai, ma da abbinare anche a formaggi erborinati. Elegante golosità zione biologica delle uve. La produzione prevede un’ampia gamma, di fatto tutta quella classica dei colli vulcanici padovani: noi vogliamo però soffermarci su una bottiglia particolare, il delicato Fior d’Arancio in versione passita. Un prodotto profumatissimo, dolce quanto basta e mai stucchevole grazie a una giusta acidità e mineralità. Viene da un vigneto in località Passo del vento, a quasi 300 metri di altitudine, e affina due anni in barrique. Perfetto per la pasticceria secca e con i dolci aromatici che nei giorni delle feste non mancano mai, ma da abbinare anche a formaggi erborinati. Elegante golosità.

LA GRAPPA (VENETO) VIRILI DISTILLATI DA VINACCE La tradizione del “rasentin” ma anche una bella idea da regalare viene in mente la gamma di grappe Maculan di Breganze, come quelle dalle vinacce del Torcolato o del celebre Cabernet Fratta. Oppure la superba abbinata di grappe da vinacce di Recioto e di Amarone della casa vinicola Tommasi (San Pietro in Cariano). Vignalta di Arquà Petrarca ne fa dal Fior d’Arancio Alpianae e dall’arcinoto rosso Gemola. C’è solo l’imbarazzo della scelta! E per fine pasto? Il “rasentin” si fa con la grappa, almeno nel Veneto. Molte distillerie, alcune note altre meno, offrono un’ampia gamma di prodotti. Ma anche molte cantine vendono le “loro” grappe, fatte produrre da terzi ma con le vinacce delle proprie uve, “scarto” della vinificazione ma preziosa materia prima per il distillato nazionale. Perché non prevedere come regalo, abbinata ai vini o anche sa da sola, una bottiglia di grappa? È difficile suggerire una sola cantina: mi

Molte distillerie offrono un’ampia gamma di prodotti. Ma anche molte cantine vendono le “loro” grappe, fatte produrre da terzi ma con le vinacce delle proprie uve 51


messaggio pubbliredazionale

CONSELVE VIGNETI E CANTINE

Inverno, tempo di festa

con Conselve Vigneti e Cantine La stagione fredda è quanto mai attesa alla storica Cantina di via Padova. È tempo di Friularo, di bilanci e di Winter Village Festival La vendemmia ormai alle spalle e oltre alle botti piene dei pregiati vini del territorio alla Cantina di Conselve resta la soddisfazione di una stagione da incorniciare. Senza alcun imbarazzo è legittimo parlare di una vendemmia record che ha portato la raccolta dai 143 mila quintali dello scorso anno a 226 mila. E se è vero che la quantità andrà a braccetto con la qualità, il risultato è davvero importante, ma, come spiega il presidente Roberto Lorin, non tutto il merito va attribuito alle buone condizioni meteorologiche garantite dall’estate e dall’autunno 2018, molto di questo risultato deriva invece dagli investimenti fatti dai soci in termini di aumento delle superfici coltivati e delle tecniche impiegate. Negli ultimi 10 anni le aziende hanno raddoppiato le loro superfici vitate, seguendo il trend positivo del settore trainato da Prosecco e Pinot Grigio.

Winter Village

“La campagna conselvana è sempre più ad appannaggio della viticoltura. Da anni stanno crescendo le superfici vitate e molti sono i soci che stanno rinnovando gli impianti e diversificando le produzioni. La nostra tradizione resta sui vini rossi, ma abbiamo una propensione anche per i bianchi grazie a un clima e a caratteristiche minerali del terreno che permettono ottimi risultati. Quest’anno abbiamo centrato l’obiettivo di raggiungere una stabilità produttiva grazie a conferimenti superiori ai 200 mila quintali di uve e oggi la sfida si pone sull’imbottigliamento, in quanto a differenza del vino venduto ad altre cantine, che

Conselve Vigneti e Cantine S.C.A. - Via Padova, 68 - 35026 Conselve (PD) - Tel. 049 5384433 - FAX 049 9500844


Friularo

ieri oggi e domani Uva tipica della zona del Conselvano derivante da un biotipo di Raboso Piave, può considerarsi oramai un autoctono della bassa padovana date le peculiari capacità espressive che esalta in questa zona. Frutto del lavoro certosino di 30 aziende partecipanti ad un progetto che da anni prende il nome di “Ambasciatore”, le uve vengono raccolte in piccole cassette da 4kg e riposte in fruttaio ad appassire, dalla fine di ottobre (periodo della vendemmia) ai primi di gennaio, per ottenere un nettare di oltre 15%vol dai forti sentori di marasca, frutta rossa e piccoli frutti neri. La successiva maturazione in serbatoio e l’invecchiamento per oltre 3 anni in piccole botti di rovere ne ingentilisce il sapore, arrotonda il gusto, evolve i profumi fino ad ottenere un grande vino di spessore dalle caratteristiche uniche ed una durevolezza estrema data dalla freschezza originaria delle uve.

Segui l’evento su Facebook

non ci da nessuna identità, il nostro futuro lo immaginiamo sull’etichetta, di numero ben superiore ai due milioni di bottiglie prodotte oggi. Anche qui il risultato da raggiungere è quello di raddoppiare la produzione del confezionato sviluppando i mercati interni e soprattutto quelli esteri.”. Anche con il biologico la Cantina ha raddoppiato le superfici coltivate “È un altro asso nella manica per il futuro. Crescerà ancora, abbiamo diversi produttori che stanno ultimando il periodo di conversione e questo tipo di agricoltura sicuramente rappresenta il domani anche della produzione enologica”. A fianco del futuro però rimane sempre il passato, ossia il Friularo “Se per passato intendiamo la storia di questo vino mi va bene, ma il Friularo è proprio l’immagine del vino che vogliamo consegnare ai posteri. È l’identità stessa del Conselvano, il vino che tiene alto il nome dei vini di pianura, l’etichetta con la quale competiamo con etichette blasonate come l’Amarone o il Rosso di Montalcino. Quest’anno la produzione ha superato i 2.700 quintali e a Friularo si lega anche la seconda edizione del Conselve Winter Village, una grande festa per animare e scaldare la nostra gente anche durante le rigidità invernali”. Infatti: un festival in pieno inverno? “Molti storici ritengono che il nome Friularo derivi dal latino frigus, ossia freddo, alludendo alla stagione in cui avviene la vendemmia di questo Raboso. E quindi l’inverno è il momento giusto per farlo conoscere. È un vino di corpo e strutturato che si lega bene con i piatti a forte contenuto proteico, anche se lo metteremo al centro di molte degustazioni, in abbinamento con gli altri prodotti del territorio”. Quindi un grande evento sul Friularo? “Diciamo che sarà tra i protagonisti, insieme agli altri nostri vini e alle eccellenze del Conselvano. Ci saranno, pasta, formaggi, dolci, piatti declinati in versione street food preparati e proposti con il nostro aristocratico vino, ma diciamo che è l’incontro l’aspetto che vogliamo promuovere, ovviamente attorno ad un buon calice di vino, ma anche attraverso spettacoli, iniziative culturali, teatro, musica e divertimento. Ci saranno spazi dedicati ai più piccoli, compresa una pista per il pattinaggio su ghiaccio. Sotto alla grande cupola trasparente raccoglieremo il meglio per mostrare quanto sia generosa Conselve e il suo territorio. Ovviamente si potranno fare acquisti… “Io caldeggerei l’acquisto di una buona bottiglia di Friularo, il Riserva 2007 ha appena vinto la Medaglia d’Oro all’Austria Wine Challenge. Potrebbe essere questo il regalo giusto da mettere sotto l’albero, oppure la bottiglia da mettere in tavola durante banchetti e cenoni. Anzi propongo agli appassionati del buon bere, visto che il periodo richiama occasioni conviviali e brindisi, di mettere in competizione il Friularo con le altre grandi etichette nazionale, vedrete che reggerà la statura dei grandi blasonati e, più spesso di quanto ci si potrebbe aspettare, la supererà”.

www.cantinaconselve.it - info@cantinaconselve.it


“EL VIN DA VIAJO” Il tempo rientra come una costante se si vuol trattare il vino Friularo. Tempo, è innanzitutto la sua storia, iniziata diversi secoli fa proprio in ragione della sua capacità di resistere bene al trascorrere del tempo. La sua spiccata acidità, quasi doppia rispetto agli altri vini, lo protegge dalle stagioni e nel passato è stata la ragione del suo successo. Un tempo, infatti, ciò che durava a lungo aveva un senso, tanto più nella Serenissima Repubblica dove gli uomini stavano per mesi lontani da casa a cavallo dei mari. Nelle pance delle “galere” a remi il vino si conservava bene anche nelle trasferte più lunghe e poteva arrivare nei mercati di destinazione in ottime condizioni. Per questo a quel tempo veniva definito “El vin da viajo”.

ANNATA 2012 COLORI E PROFUMI INTENSI Da quest’anno è in commercializzazione l’annata 2012 e si presenta di un colore rosso granato molto intenso, quasi impenetrabile, tonalità matura ma con ancora un tono di freschezza nell’unghia, caratteristica fondamentale del Friularo. Al profumo si presenta molto complesso, con una evidente nota di speziatura derivante dalla lunga permanenza in barriques da 225lt. Successivamente con l’evoluzione nel bicchiere si aprono sentori di cioccolato, vaniglia, cappuccino ed una certa balsamicità che porta a sentori di confettura,

data dal parziale appassimento a cui sono sottoposte le uve. Caratteristica predominante di questa annata 2012 è la notevole complessità dei profumi evoluti dal legno che ben si amalgamano con le forti componenti dei profumi primari delle uve, tra cui risaltano la marasca e i frutti di bosco. Al sapore risulta pieno, molto voluminoso, con una leggera nota acidula ben armonizzata dall’abbondante contenuto in glicerolo dato dalla lunga e lenta fermentazione alle basse temperature di fine gennaio, e da un modesto residuo zuccherino da appassimento.

ABBINAMENTI: UN VINO PER PIATTI IMPORTANTI È un vino dall’importante volume e di ottima armonia, con un palato pieno e molto lungo, ricco di persistenza e dalle sensazioni sempre in evoluzione. Vino da carni rosse robuste, arrosti o spiedi, ma che ben si accompagna a formaggi molto stagionati. L’esaltazione massima la si può avere se aperto circa una mezz’ora prima dell’uso e come vino da meditazione degustato a piccoli sorsi su bicchiere ballon dopo cena abbinato a cioccolato fondente o altro dessert a base di cioccolato.

CONSELVE VIGNETI E CANTINE La Cantina di Conselve nasce per soddisfare le esigenze di un territorio in cambiamento. Nel dopoguerra la viticultura, che in precedenza era servita quasi esclusivamente per il consumo interno delle famiglie, ha conosciuto un certo sviluppo. Anche se le produzioni non potevano contare su grandi numeri, la vendita di uva e di vino iniziava ad essere remunerativa. Serviva quindi una cantina per ottimizzare la raccolta, la lavorazione e il commercio del vino. Attorno agli anni ’50 i contadini del territorio deciso di intraprendere la strada della cooperativa. Fu una scelta giusta, in quanto in capo di un ventennio la Cantina divenne una delle realtà viti-vinicole più importanti del Veneto, seppur al

tempo fosse solo un centro di raccolta e l’offerta si limitasse esclusivamente al commercio di vino sfuso. Oggi, invece, produce mezzo milione di bottiglie, lavorando con attrezzature all’avanguardia le uve di circa 800 soci da varietà internazionali come il Merlot, il Cabernet, lo Chardonnay, il Sauvignon, il Pinot Grigio e varietà venete come il Prosecco, il Marzemino, il Refosco e ovviamente il Friularo. Bottiglie destinate sia il mercato interno sia a quello estero, Nord America e Asia sopra tutto. I numerosi riconoscimenti e i premi vinti ai principali concorsi internazionali dimostrano l’elevata qualità dei prodotti della Conselve Vigneti e Cantine.

Conselve Vigneti e Cantine S.C.A. - Via Padova, 68 - 35026 Conselve (PD) - Tel. 049 5384433 - FAX 049 9500844

www.cantinaconselve.it - info@cantinaconselve.it


messaggio pubbliredazionale

CONSELVE NUOTO

il Natale con noi!

Durante le Feste il polo natatorio rimarrà aperto con un calendario speciale per permettere a tutti di continuare con il proprio sport preferito e alle famiglie di stare insieme in un mondo d’acqua e di divertimento Un centro sportivo moderno, pulito, efficiente. Un ambiente giovane dove allo sport e alla salute si associa il divertimento, soprattutto per i più piccoli. Conselvenuoto non è solo un polo natatorio, ma un mondo di acqua dove ogni giorno si svolgono corsi per tutte le età: dai sei mesi agli 85 anni, con un’offerta che spazia dal nuoto libero all’acquagym, dall’acquabike al “tapis roulant”, alla palestra e alla nuova palestra in acqua. Per i giovanissimi, invece, l’acqua è pura gioia e per loro, durante le festività natalizie, le opportunità di divertimento raddoppiano

grazie ai Centri invernali sportivi, tenuti da insegnanti qualificati FIN di provata esperienza. I bambini potranno seguire: nuoto, pallanuoto, nuoto sincronizzato, acquagym e salvamento; verranno organizzati inoltre i laboratori a tema natalizio e giochi di squadra per socializzare e rafforzare lo spirito. Anche quello natalizio, perché si sa che il Natale è la festa delle famiglie e Conselvenuoto ha pensato anche a questo con ingressi e abbonamenti family, così scenderanno in vasca anche mamma e papà.

LE VARIE ATTIVITÀ ACQUAFITNESS • AcquaGym e Bike • Treadmill • Due Elementi • Hydromix • Water Body Sculpture • AquaPilates La struttura è nuovissima e ben accessoriata con: � 2 vasche olimpioniche � 1 vasca da 12 metri con profondità regolabile dagli 80 a 120 cm � 1 palestra - sala pesi Technogym � Bar attrezzato per organizzare anche feste di compleanno La piscina è aperta tutti i giorni dalle 7.00 alle 23.00, compresi i festivi Il programma dei corsi è consultabile nel sito www.conselvenuoto.it

CORSI DEDICATI • Family (genitore-figlio) • Lezioni Private • Corsi Accelerati

GIORNI 8 dicembre 24 dicembre 25 dicembre 26 dicembre 27 dicembre 28 dicembre 29 dicembre 30 dicembre 31 dicembre 1 gennaio 2 gennaio 3 gennaio 4 gennaio 5 gennaio 6 gennaio 7 gennaio

SCUOLANUOTO • Anatroccoli • Paperini • Ragazzi • Junior • Adulti

NUOTO LIBERO 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 18.00

CORSI NO NO

8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 9.00-20.00 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 18.00

SI SI SI SI NO

8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 10.30 - 14.30

SI SI SI SI NO SI

PISCINA E PALESTRA Anche in abbinamento con i corsi PALESTRA IN ACQUA Per completare la pesistica in acqua

PALESTRA CENTRI INVERNALI PALESTRA IN ACQUA 9.00 - 12.30 NO NO 9.00 - 22.00 NO NO Chiuso - Buon Natale Chiuso - Buon Natale 7.15 - 22.00 SI 11.00 - 13.00 9.00 - 22.00 SI 19.15 - 21.15 9.00 - 18.30 NO 12.30 - 15.00 9.00 - 12.30 NO NO 9.00 - 12.30 NO 11.00 - 13.00 Chiuso - Buon Anno 9.00 - 22.00 SI 12.30 - 14.30 7.15 - 22.00 SI 11.00 - 13.00 9.00 - 22.00 SI 19.15 - 21.15 9.00 - 18.30 NO 12.30 - 15.00 9.00 - 12.30 NO NO 7.15 - 22.00 NO 11.00 - 13.00

CONSELVENUOTO srl Via Pampaloni, 1 - 35026 Conselve (PD) Tel. 049 9501421 - Fax 049 9513865 - www.conselvenuoto.it - info@conselvenuoto.it


LA RECENSIONE di Renato Malaman

?

PERCHÉ

Recensione

Al “Venier ”

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

I SAPORI RUSTICI DI TONI Il locale che si affaccia sulla piazza di Baone è un concentrato di valori semplici e genuini. Piatti della tradizione euganea e tanti prodotti “fatti in casa”

G

li ingredienti ci sono tutti... e non solo in cucina. Perché il ristorantino Venier in piazza a Baone - ospitato dal 1972 nella signorile Ca’ Dottori - è un concentrato di tradizione e di valori schietti. Di quelli di cui spesso abbiamo bisogno per fare un viaggio nella memoria e ritrovare le nostre radici. Cibi genuini (molti dei quali davvero a km zero), ambiente rustico e informale, clima giusto per fare due “ciacole”. Senza contare che ai tavoli del locale si incontrano persone di tutte le provenienze, nel ‘democratico’ piacere di accomunarsi nella semplicità. Spirito che ricorda l’osteria di gucciniana memoria. Toni Raffagnato questi valori li coltiva da 45 anni, gran parte dei quali spesi proprio al banco (sì, perché il Venier è ancora orgogliosamente anche bar-osteria). Una costanza di impegno e di passione che qualche settimana fa gli è valsa anche un premio inatteso: quello tributatogli da tre sindaci della zona: Monselice (dove risiede), Baone (dove lavora) e Arquà Petrarca (dove è nato). Una bella pergamena che oggi troneggia nel locale, accanto agli articoli che parlano del Venier e al riconoscimento avuto dalla guida Osterie d’Italia di Slow Food. Premio che idealmente Toni condivide con la moglie Antonella, che lo ha sempre aiutato in cucina e nella squisita accoglienza, e soprattutto con la figlia Valentina, che del Venier è presente e futuro visto il piglio, tutto grazia ma anche autorevolezza, con cui conduce il locale da qualche anno. Il menu del Venier è stimolante... anche per i fuori menù. Piatti del giorno che Toni inserisce in base a quello che matura nel suo orto o che trova nel mercato. Anche parte delle carni, specie quelle bianche, sono di provenienza domestica. Per non parlare dei salumi. Immancabile al Venier iniziare dall’antipasto della casa… che detto così non dice nulla, ma basta vedere il colore della soppressa che arriva nel

56

Piatti del giorno che Toni inserisce in base a quello che matura nel suo orto o che trova al mercato


LA RECENSIONE Anche una linea dei vini in carta è di produzione propria, con tanto di etichetta

piatto con la polenta “brustolà”. Tra i primi trovano sempre spazio le tagliatelle al ragù di casa, un’esperienza che vale la pena di affrontare. Come pure il risotto con i funghi porcini. Tra i secondi spicca la tagliata di “sorana”, l’intramontabile grigliata mista (richiestissima dalle compagnie), l’ossocollo al pepe verde e l’anitra al forno. Talvolta c’è pure il "baccalà" e il "musso". Non lasciano indifferenti nemmeno i contorni di stagione, dato che la verdura è quasi tutta proveniente dall’orto di Toni all’ombra del Montericco. Anche una linea dei vini in carta è di produzione propria, con tanto di etichetta. Il resto sono tuttavia dei vini della Doc Colli Euganei. Non è raro trovare gli stessi produttori locali al desco di Toni… Nei piatti del Venier, come pure nei dolci (tutti fatti in casa), sono privilegiati i sapori originari. È la loro schiettezza a colpire e a far provare emozioni, anche laddove la tecnica di preparazione è ruvida e artigianale. Il gusto dei piatti fa tornare indietro con la memoria. Per esempio, il sentore di noce moscata… e chi non ricorda i tortellini fatti in casa dei giorni di festa? Il pregio del Venier è proprio questo, la rusticità dei sapori genuini che propone. Una sosta davvero piacevole, che inevitabilmente si conclude temporeggiando al banco, magari sfogliando la “Gazzetta”, o - d’estate - fuori del locale, dove la graziosa piazza di Baone con la sua pace notturna ristora anche l’anima. Un consiglio: a settembre non bisogna perdere i “sugoli”, quella specie di budino di mosto che un tempo era la delizia dei bambini dopo la pigiatura delle uve. Al Venier lo si trova spesso. Prezzi al di sotto della media di qualsiasi ristoToni Raffagnato con la moglie rante segnalato dalle guide. Insomma, da Toni Antonella, la figlia Valentina si spende poco e si mangia bene… e il giornalista Renato Malaman

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso di materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


messaggio pubbliredazionale

NATALE

A VAL POMARO Cene e banchetti nella splendida atmosfera del ristorante, panettoni artigianali e una linea di piatti tradizionali già pronti, solo da riscaldare: ecco l’offerta per le Feste dello storico locale di Arquà Petrarca Con o senza canditi? L’importante è che il panettone sia di altissima qualità e questa non può che dipendere dalla scelta delle materie prime, come avviene per la produzione Val Pomaro che per i propri dolci natalizi usa solo farine biologiche, lievito madre, uova, zucchero, burro, canditi, pasta d’arancia e profumatissime bacche di vaniglia. Uno scrupolo dedicato agli ingredienti che viene esteso anche alle altre preparazioni in cucina, Val Pomaro è conosciuto e apprezzato per essere tra i migliori ristoranti dei Colli Euganei, ma grazie alla grande passione per le preparazioni lievitate oggi nell'offerta c'è anche una produzione di eccellenza per quanto riguarda i dolci artigianali più tipici delle festività. Nessun segreto per quanto riguarda la ricetta, il vero punto di forza per un dolce goloso ma perfettamente digeribile è la lievitazione, con tempi che non devono scendere mai sotto alle 35-40 ore. Per il resto c’è solo l’imbarazzo della scelta, l’offerta va dal panettone del Petrarca tipico con fichi, uvetta, mandorle e farina integrale a quello prelibato con marasche e cioccolata. Il panettone con albicocche e fiori di lavanda è uno dei punti di forza della linea Val Pomaro e per tornare alla domanda iniziale: con o senza canditi? La risposta potrebbe essere la semplice Veneziana o il classico panettone con i canditi, anch’essi, però, preparati artigianalmente in cucina.

• SOLO FARINE BIOLOGICHE • LIEVITO MADRE • UOVA • ZUCCHERO • BURRO • CANDITI • PASTA D’ARANCIA • BACCHE DI VANIGLIA

Il panettone Val Pomaro richiede dalle 35 alle 40 ore di lavorazione. L’impasto viene lasciato lievitare per 15 ore, tra un passaggio e l’altro, e poi lasciato riposare un’intera notte prima di essere infornato. Il risultato è pura leggerezza intrisa di straordinari profumi e sapori

IL PANETTONE VAL POMARO lo si può acquistare presso il ristorante o nel punto vendita Sotto al Salone a Padova, al civico 37, dove oltre ai tipici dolci natalizi sarà possibile acquistare la pizza gourmet, altra specialità della casa, e una linea di prodotti della cucina tradizionale già pronti, solo da riscaldare. In pochi minuti a casa tua, pranzo o cena, piatti eccellenti come in un rinomato ristorante! RISTORANTE VAL POMARO Via Scalette, 19 - Arquà Petrarca (PD) Tel. 0429 718229 - Cell. 320 6650364 www.ristorantevalpomaro.it - valpomaro@gmail.com


INGIROPIEDANDO di Anna Maria Pellegrino

FOTOGRAFARE IL CIBO, NON È UNA MODA DI OGGI Piatti e alimenti da sempre rappresentano qualcosa che va oltre il loro essere semplice nutrimento: rappresentano una forma di status symbol, un oggetto di comunicazione per testimoniare abbondanza, povertà o semplicemente la grande varietà della natura

I

l 6 ottobre 2010 vide la luce Instagram, social network che consente agli utenti di scattare foto, smanettarle con filtri o applicazioni specifiche e naturalmente condividerle in rete. Nel 2012 l’azienda, ed i tredici dipendenti che ci lavoravano, fu acquista da Mr Facebook per un miliardo di dollari. Un’idea vincente, senza dubbio. Sembra sia passata un’era geologica rispetto a quando ci si metteva a tavola e si condivideva il cibo con commensali distanti pochi centimetri e non si lasciava raffreddare la portata. Com’erano belli i tempi in cui tutto ciò non esisteva ancora!

Si, ma di quali “tempi” stiamo parlando? Perchè basterebbe uno sguardo distratto ad un libro di storia dell’arte dei nostri figli per comprendere che fissare la bellezza del cibo attraverso le immagini è stata un’esigenza che ci ha accompagnato da due mila anni a questa parte. Al Museo archeologico di Napoli si rimane rapiti dalla bellezza di un affresco proveniente da Pompei in cui vengono rappresentati molti pesci dall’incredibile vitalità. Oppure nella Casa dei Cervi, a Ercolano, un coniglio, un colombo appena cacciati, assieme ad altri animali ancora vivi, a funghi appena colti e rossi me-

59


INGIROPIEDANDO È #foodporn e tradisce il fatto che da appassionati della bellezza stiamo diventando dei voyer, osservatori fugaci di un valore che non riusciamo a far nostro lograni ci accolgono come di ritorno da una battuta di caccia. La forza della luce e delle ombre, la drammatica potenza espressiva di Caravaggio riescono a trasformare un mite cesto di frutta in un trionfo della bellezza: sembra di pregustare la dolcezza dei fichi, la croccantezza dell’uva ed anche la mela, seppur bacata, esprime un fascino irresistibile mentre le foglie della vite e del fico raccontano i colori e la luce morbida dell’autunno. Gli autori degli affreschi di Ercolano e l’inconfondibile tratto espressivo di Caravaggio pongono ad “ingredienti” del quotidiano la stessa attenzione che avrebbero posto ad altri soggetti “belli”, come ancelle danzanti o muscolosi modelli. Arcimboldo, con le sue figure antropomorfe create con ortaggi, frutta, fiori ed animali, inaugura un registro narrativo diverso per la bellezza dove fauna e flora devono fare i conti con la presenza dell’Uomo,

come a sottolineare il suo essere padrone e custode. “Padrone” che viene tradito dalla Natura stessa, affamato e ridotto in misera a causa delle carestie: non c’è traccia di bellezza, almeno di quella convenzionale, nel quadro che Vincet van Gogh realizzò nel

I “Mangiatori di patate” di Vincent Van Gogh appartiene al primo periodo dell’autore, quando la sua arte voleva essere strumento di racconto sociale, mostrando le condizioni dei contadini del Brabante

60


INGIROPIEDANDO 1885, “I mangiatori di patate”. La luce fioca di una lampada a petrolio illumina una povera stanza dove cinque contadini condividono la cena composta unicamente da patate bollite e fumanti, come fumante è il caffè nero che una donna anziana e stanca versa anche per i propri cari. L’autore esprime con pennellate decise la rassegnazione dei contadini eppure, nel dipingere il vapore delle patate, restituisce all’umile tubero una bellezza unica, trasformandolo in un ingrediente goloso. Il secolo breve, quello delle due guerre e del boom economico, degli elettrodomestici tuttofare in cucina e delle massaie rappresentate con il filo di perle e con le mani curate, vede un altro grande genio confrontarsi con il cibo e con la bellezza: Andy Warhol. L’artista è riuscito ad esaltare la banalità e la serialità del cibo in scatola, trasformando la celebre zuppa di pomodoro nata nel 1896 in un’icona pop, che cattura ancora lo sguardo dopo oltre 50 anni. Abbiamo dunque sempre raccontato la bellezza del cibo attraverso le immagini e le moderne tecnologie hanno consentito ad ognuno di noi di cimentarci in linguaggi ed espressioni artistiche che una volta erano ad uso esclusivo di pochi. Ma che differenza c’è quindi tra il cesto di Caravaggio o la zuppa Campbells e una qualsiasi immagine di cibo che Instagram sforna quotidianamente? Io credo sia proprio nella capacità degli artisti di raccontare la bellezza mentre le immagini, che non lasciano in noi ricordo, vengono postate, non a caso, con un hashtag clicattissimo in rete. È #foodporn e tradisce il fatto che da appassionati della bellezza stiamo diventando dei voyer, osservatori fugaci di un valore che non riusciamo a far nostro. Bisognerebbe tornare ad osservare, non limitandoci a guardare, imparando da Goethe e dal suo nel “Viaggio in Italia”. Ecco come descrive il suo breve viaggio lungo il Brenta, in avvicinamento a Venezia. È il 28 Settembre 1786 e sembra di essere

Andy Warhol è riuscito ad esaltare la banalità e la serialità del cibo in scatola, trasformando la celebre zuppa di pomodoro nata nel 1896 in un’icona pop, che cattura ancora lo sguardo dopo oltre 50 anni

in barca con lui, al suo fianco, sereni nel condividere un frutto squisito e le chiacchiere degli educati compagni di viaggio, il suono dei remi che increspano il fiume: “Voglio darvi conto in poche parole del modo col quale sono qui venuto da Padova. Il viaggio sulla Brenta, in un barcone pubblico, ed in buona compagnia, imperocchè gl’Italiani sono soliti usarsi vicendevolmente ogni riguardo, è viaggio comodo, e piacevole ad un tempo. Lungo le sponde del fiume si scorgono ville e giardini, villaggi i quali scendono sino al fiume, ed in altri punti la strada la quale corre lungo quello, animata da vivo commercio. Nello scendere il fiume si fanno spesso colà dove sono catteratte o conche brevi fermate, durante le quali si può sbarcare sulla sponda, e si ha occasione di acquistare frutta squisite, le quali vi vengono offerte in abbondanza. Si rientra nella barca, e si continua a scendere la Brenta, fra campagne fertilissime, e piene di vita.” La grande bellezza quindi è a portata di tutti e senza la mediazione di uno schermo. Basta saperla cogliere.

Abbiamo sempre raccontato la bellezza del cibo attraverso le immagini e le moderne tecnologie hanno consentito ad ognuno di noi di cimentarci in linguaggi ed espressioni artistiche che una volta erano ad uso esclusivo di pochi 61


messaggio pubbliredazionale

Premio Letterario

“Città di Chioggia”

Un decennale di cultura e territorio Aspettando la cerimonia di premiazione all’Auditorium San Nicolò, il 15 dicembre, abbiamo scambiato due parole con la madrina dell’edizione di quest’anno, Claudia Grendene, autrice di “Eravamo tutti vivi”

Incontrare Chioggia tra le pagine di un libro potrebbe essere l’opportunità di vedere questa straordinaria città da un punto di vista inedito, sotto una luce intima, personale, quella dell’autore. E questo succede da ormai dieci anni, grazie al Premio Letterario Città di Chioggia che attraverso i componimenti narrativi e la poesia di scrittori provenienti da ogni parte d’Italia ha contribuito nel far conoscere non solo una città, ma anche l’esperienza che essa produce in ogni animo disposto a coglierla. E così Chioggia, città unica per essere città d’acqua e di terra, si è fatta di carta per farsi leggere e scoprire anche negli spazi più lontani dai percorsi del turismo. “Lo scopo della Pro Loco - spiega il presidente Marco Donadi - è quello di promuovere il territorio e quindi abbiamo pensato a un premio letterario che come tema avesse proprio lo spazio della nostra città, la sua storia, la bellezza che la rende unica in ogni stagione. In questo percorso ci siamo fatti accompagnare da importanti figure della letteratura come Giancarlo Marinelli, Alberto Toso Fei o Fulvio Ervas che, in qualità di padrini, hanno dato autorevolezza e prestigio alla nostra rassegna letteraria. Quest’anno ricorrono i dieci anni del Premio Letterario e l’affluenza di testi è stata ampia e significativa, Sabato 15 dicembre premieremo le migliori opere e sarà un modo per incontrare altri e nuovi suggestivi angoli di Chioggia”.

Il Premio Città di Chioggia è un concorso nazionale, aperto a tutti i cittadini italiani e non che intendono parteciparvi con opere in prosa come: “racconti fantastici”, “gialli”, “fiabe”, “filastrocche”, “leggende”, oppure componimenti poetici, purché i contenuti siano riferiti alla tradizione e alla cultura del territorio di Chioggia. Chi fosse interessato a parteciparvi come autore può consultare il sito www.prolocochioggia.org alla voce Concorso Letterario, oppure www.concorsiletterari.it troverà tutte le indicazioni utili PRO LOCO CHIOGGIA Via Felice Cavallotti, 410 (già Calle palazzo) Chioggia info@prolocochioggia.org - www.prolocochioggia.org


Claudia Grendene, madrina dell’edizione 2018 La madrina del Premio Letterario Città di Chioggia 2018 sarà Claudia Grendene, scrittrice padovana, autrice del romanzo “Eravamo tutti vivi” che proprio a febbraio di quest’anno ha avuto il battesimo nelle librerie. La sua storia di scrittrice incontra anche Chioggia, anzi proprio il Premio Letterario. “Si, infatti, qualche anno fa ho partecipato al premio letterario Città di Chioggia con una poesia, e mi classificai terza. Per cui ritornare a Chioggia da madrina del Premio mi dà una particolare emozione. Per questa esperienza, come per tutte le esperienze verso la quali mi porta la scrittura, le mie aspettative si riversano sulle relazioni umane: spero di fare incontri interessanti e so che sarà così.” Nel suo libro “Eravamo tutti vivi” racconta un’epoca precisa della storia recente del nostro territorio. Un periodo di cambiamenti sia a livello economico che sociale che ha sullo sfondo la città di Padova, ma che potrebbe avere quello di qualsiasi altra città del Veneto tranne, forse, proprio Chioggia. Perché Chioggia ha un profilo suo particolare, legato a elementi primari come l’acqua e la terra, al fatto di essere un’isola con una propria lingua, il dialetto, che ancora esprime una forte identità comunitaria. Qui tutto sembra passare attraverso un filtro che rende i cambiamenti meno definitivi. È d’accordo? “Mi trovo assolutamente d’accordo. Chioggia ha un’identità precisa, molto caratteristica, che si distingue da tutte le altre città del Veneto. La stessa identità dei cittadini è definita secondo altre regole, con l’aggiunta del “soprannome” familiare nel documento personale, per esempio. E’ città lagunare, ma non può essere paragonata a Venezia. Ha un’economia tutta propria. Chioggia non è eccessivamente turistica, parlo del centro storico della città, naturalmente, non della litoranea marittima di Sottomarina. Dicevo, non è eccessivamente turistica e dunque è rimasta molto più autentica. Un vero gioiello conservato quasi intatto nella sua cultura e identità.”

Il Veneto è una regione che non ama raccontarsi e se lo fa usa, quasi sempre, degli archetipi, oppure il suo modello di sviluppo. In ogni caso l’immagine è quella di una ragione intraprendente. Fino a qualche anno fa era il miracolo del Nord Est. È un racconto ancora realistico? “A mio parere oggi di miracoloso nel Nordest non c’è più nulla. E credo che sia partita una narrazione del Veneto sulla base di una decrescita, purtoppo infelice. Totalmente infelice. Mi riferisco a libri come Effetto domino di Romolo Bugaro o a Cartongesso di Francesco Maino. Notevole anche il Veneto desolante raccontato in Works di Vitaliano Trevisan. Il racconto sulla recessione di questa regione e sull’involuzione traspare anche sullo sfondo del mio romanzo Eravamo tutti vivi. Credo che purtroppo né il topos dell’arcadia felix (abbiamo le falde insozzate dagli pfas, i fiumi che esondano, le trombe d’aria che abbattono i boschi), nè quello dello sviluppo economico siano più modelli pienamente rappresentativi di questa nostra realtà territoriale. Anche se, va detto, la mia formazione letteraria veneta è avvenuta attraverso le parole di Goffredo Parise e Luigi Meneghello che hanno raccontato un Veneto povero, non così lontano da noi nel tempo.” Se consideriamo l’importanza che alcuni scrittori hanno avuto per la loro terra, ad esempio Cesare Pavese per le Langhe o anche Mario Rigoni Stern per l’Altopiano di Asiago, la letteratura può essere uno strumento importante per lo sviluppo di un “territorio”? “La letteratura secondo me racconta i territori e nel narrarli restituisce ai noi lettori alcune consapevolezze che possono sfuggire o non essere ben definite nelle nostre percezioni immediate. Essendo molto convinta che lo sviluppo economico sia legato a doppio filo con lo sviluppo culturale di un territorio direi sì: la letteratura è uno strumento importante.” Sta lavorando a qualcosa di nuovo? Vedremo presto un suo nuovo lavoro in libreria? Magari sul territorio? “Certo, sto sempre lavorando a qualcosa di nuovo, ma non so dirle se e quando lo potremo vedere nelle librerie. Per ora, ho una storia ambientata a Verona e provincia, cioè nei luoghi dove sono nata e cresciuta. Che vorrebbe affrontare aspetti diversi da quelli generazionali, storici e politici innestati tra le righe di Eravamo tutti vivi. Mi interesserebbe raccontare una storia che va a toccare aspetti etici e spirituali. Una sorta di “come siamo cresciuti dentro” in questo Veneto. Spero di riuscirci”.



messaggio pubbliredazionale

VIGNE AL COLLE, il carattere vulcanico dei vini

Euganei

Bottiglie per Natale, da portare in tavola per pranzi e cenoni o da regalare insieme al panettone Fior d’Arancio Natale, qualche giorno di vacanza e per chi non parte per la settimana bianca una meta interessante potrebbe essere rappresentata dai Colli Euganei, magari per cercare qual calore e quelle atmosfere conviviali che il periodo richiama e che un buon bicchiere di vino può soddisfare pienamente. E per fare visita alla cantina Vigne al Colle di Rovolon non c’è momento migliore, la bella sala riscaldata dal fuoco del camino sarà aperta tutte le domeniche di Dicembre, su prenotazione, per una degustazione delle migliori bottiglie figlie dell’esperienza, che ha alle spalle tre generazioni di vignaiuoli, e della mineralità di un territorio che non ha eguali. Una selezione di etichette che possono essere un bel regalo da mettere sotto l’albero, ma che figurano ancor meglio in tavola, in accompagnamento ai piatti importanti di pranzi e cenoni. Per gli antipasti Vigne al Colle propone il suo Serprino millesimato Doc, vendemmia 2018. Oppure una bella bollicina: rustica, autentica, rifermentata in bottiglia a basso contenuto di solfiti, non filtrata e quindi con il fondo e un nome sbarazzino: La prima volta. E per i secondi importanti a base di carne la cantina affianca un poker di rossi: il Colli Euganei Rosso, realizzato con 60% Merlot e 40% Cabernet Franc, il Colli Euganei Cabernet Franc, oppure vini più strutturati come il Colli Euganei Merlot 2016 - Poggio alle Setole, con un anno di riposo in barrique, o il Colli Euganei Riserva 2015, realizzato con 40% Merlot e 60% Cabernet, che ha appena concluso il suo periodo di affinamento. Per i dolci natalizi da provare è il Campo delle baruffe, un moscato giallo vendemmia tardiva, una bottiglia in anteprima, o l’intramontabile Fior d’Arancio DOCG magari da prendere in abbinamento con l’omonimo panettone, realizzato da un forno locale con farine integrali e uva macerata nel dolce nettare di moscato giallo. Non resta che alzare i calici per il brindisi, magari stappando le nuove magnum di Serprino Millesimato o La prima Volta. AZIENDA VITIVINICOLA VIGNE AL COLLE DI BENATO MARTINO & C S.S. Via Palazzina, 98 - 35030 Rovolon (PD) info@vignealcolle.com - M. 348 0139109 - T. 049 5227009


L’ELZEVIRO di Eliano Morello

CHE NON ARRIVANO DA MARTE Sono sempre più ingenti i danni provocati in campagna da insetti che un tempo non c’erano. La zanzara tigre, la cimice asiatica forse sono le più note, ma solo perché dai campi hanno iniziato ad invadere le nostre case

D

a anni si sente parlare di specie “aliene” che popolano le nostre campagne. Ovviamente non si tratta di esseri viventi arrivati da un altro pianeta con l’astronave, degli UFO per intenderci, con questo termine in biologia, invece, si intende qualsiasi specie terreste che a causa dell’azione dell’uomo, anche accidentale, si trova ad abitare e colonizzare un territorio diverso da quello di origine. L’origine dei problemi della Natura è quasi sempre l’uomo o meglio la sua azione, come nella fattispecie, che convenzionalmente potremmo chiamare globalizzazione. Un termine anche questo nuovo, o meglio la sua accezione riferita all’economia lo è, ma in realtà l’uomo ha iniziato ad essere il collegamento, o meglio il tramite, tra le varie parti del mondo 200 mila anni fa, quando la nostra specie, l’Homo Sapiens, è uscita dall’Africa per colonizzare tutto il mondo, a scapito delle altre specie di uomini, più o meno nostri parenti, che già lo abitavano (come i Neanderthal, ma non solo loro) in certi casi portandoli all’estinzione. Tra le cause che risultarono letali in quel lontano passato i paleoantropologi inseriscono an-

66

che le malattie di cui la nostra specie deve essere stata portatrice diffondendola tra chi, quei popoli più primitivi, non aveva difese immunitarie. Più o meno la stessa cosa è successa nel XVI secolo quando i conquistadores spagnoli e portoghesi invasero le Americhe e oltre ad un buon numero di armi, da rivolgere contro i nativi, portarono involontariamente una buona dose di malattie che però risultarono altrettanto letali. Verrebbe facile concludere che quando l’uomo si muove fa danni e in parte è vero, ma se lo fosse del tutto la nostra specie non sarebbe quella dominatrice del mondo che noi tutti conosciamo. Comunque questa ampia digressione rispetto alle “specie aliene”, citate in apertura di questo articolo, si giustifica con il fatto che l’uomo e gli spostamenti sono elementi, entrambi, che stanno alla base dei problemi che si stanno manifestando nelle nostre campagne. Perché per tornare alle esperienze americane, appena La cimice asiatica è una specie vorace, polifaga, cioè mangia di tutto e non si trova solo nella soia, è molto prolifica. Queste due caratteristiche la rendono di per se molto temibile, ma in più non ha competitori naturali e quindi può arrivare a rappresentare una vera e propria invasione


L’ELZEVIRO Verrebbe facile concludere che quando l’uomo si muove fa danni e in parte è vero, ma se lo fosse del tutto la nostra specie non sarebbe quella dominatrice del mondo che noi tutti conosciamo posteriori alla scoperta colombiana, se da una parte è vero che da quel continente sono arrivate immense ricchezze sotto forma di patata, cacao o mais è vero anche che insieme a loro abbiamo importato i loro patogeni, come la peronospora o la dorifora, e non ci siamo fatti mancare neanche la fillossera della vite, solo per citarne alcune. E questo sta continuando a succedere arrivando ad essere un fenomeno di portata mondiale, che coinvolge i prodotti più disparati. Ultimamente abbiamo importato molti prodotti che fanno bella mostra sui banchi del commercio, e fa gola trovare essenze sempre nuove con cui arricchire la nostra tavola, ma in campagna quelle presenze di traducono in: bruco americano, punteruolo delle palme, piralide del bosso, zanzara tigre, cimice asiatica, xilella fastidiosa, popillia japonica, drosophila suzukii, calabrone delle api (vespa vellutina). Veri flagelli delle coltivazioni e degli allevamenti! Poi resta da trattare quando questi iniziano ad essere dei veri e propri problemi per ognuno di noi. Perché fin che il problema è in campagna la “grana” è del contadino, ma poi quando questi arrivano nelle case in forma di cimici, coccinelle, zanzare, allora si arriva al parossismo. Pur di eliminarli si è disposti a qualsiasi tipo di trattamento, anche il più micidiale. Purché sia immediato e definitivo. E magari fino a ieri si è guardato di malocchio il contadino impegnato nel suo programma di interventi fitosanitari, fondamentali per

Ad ottobre, dopo la trebbiatura della soia in campagna, le cimici cercano ripari per trascorrere l’inverno, in una sorta di letargo. È in questo periodo che i problemi, dovuti alla loro presenza, si trasferiscono dalla campagna elle case. Quest’anno, soprattutto in Friuli Venezia Giulia, questo esodo si è trasformato in una vera e propria invasione

I ferretti, così sono comunemente denominate le larve dei coleotteri appartenenti alla famiglia degli elateridi. Ne esistono all’incirca 150 specie distribuite in tutta Europa. Solo una piccola parte, circa 10-15 specie, sono considerate dannose. Quest’anno sono stati registrati importanti attacchi di questo insetto soprattutto nelle coltivazioni di patate

portare a casa il raccolto a fine stagione e con esso la rendita del proprio lavoro. Andrebbe anche sottolineato che quel contadino, nei suoi trattamenti, deve seguire scrupolosamente le indicazioni di etichetta e spesso non ci sono armi sufficienti per il controllo di questi parassiti. Il corretto uso dei fitofarmaci è molto controllato da vari Organismi di controllo (Avepa, ULSS, Repressioni frodi, Fotestale, ecc.). Tuttavia quest’estate abbiamo avuto un’autentica psicosi da virus del West Nile trasmesso da alcuni tipi di zanzara. Molti interventi di specialisti hanno cercato di tranquillizzare la popolazione sulla diffusione del virus e della sua pericolosità ma, come troppo spesso avviene in Italia, gli scienziati riscontrano meno credibilità e attendibilità di televisione, di giornali o addirittura opinioni sui social e internet. Quest’estate sono stato testimone di un caso curioso. Durante i primi giorni di agosto mi trovavo presso l’azienda agraria Duca degli Abruzzi di Padova e una mattina una signora, piuttosto battagliera, residente nei pressi dell’Istituto, si diceva alquanto seccata dalla presenza della zanzara portatrice del virus e ci chiese quando pensavamo di risolvere il problema con un bel trattamento anti-zanzara. Il suo cruccio, a quanto capimmo in seguito, era che l’allerta creata per il virus le impediva di portare a passeggio il suo cagnolino nel parco della scuola. Quest’estate, con le sue torride temperature, ha poi continuato a regalarci elementi di psicosi attraverso l’onnipresente cimice asiatica. Anche in questo caso i danni causati all’agricoltura sono stati il cruccio degli addetti del settore, non interessando minimamente l’opinione pubblica dato che la cimice non faceva notizia. Quando l’insetto ha però raggiunto numeri stratosferici, e i cittadini si sono trovati praticamente inondati di cimici, essa è diventata una delle sette piaghe

67


L’ELZEVIRO L’estate 2018 è stata una delle più calde degli ultimi anni: una condizione ottimale per la crescita e il moltiplicarsi degli insetti che poi si sono manifestati durante l’autunno

Quest’estate la diffusa presenza della zanzara tigre ha causato la psicosi dovuta al diffondersi del virus West Nile. In realtà non è questa specie la causa del contagio, ma la zanzara comune, tuttavia la presenza e la mordacità di questo insetto, anche durante le ore diurne, è diventato un fastidio insostenibile in alcune zone

d’Egitto. Io conosco la cimice asiatica da almeno tre anni e ne ho persino annunciato il flagello proprio su queste pagine mesi addietro. All’epoca, però, la cimice era diffusa a macchia di leopardo e non destava clamore. Quest’anno, invece, le cose sono cambiate, e se ne sono accorti tutti. L’estate 2018 è stata una delle più calde degli ultimi anni: una condizione ottimale per la crescita e il moltiplicarsi degli insetti. Da ottobre ha poi preso avvio il periodo della trebbiatura della soia e le notti si sono rinfrescate: le cimici, che trascorrono l’inverno da adulte, hanno iniziato a muoversi per cercare riparo dalle intemperie, rintanandosi in tutti i luoghi possibili e immaginabili: magazzini, sottoportici, case, automobili...

Nel caso della cimice verde, ridurre il suo alimento preferito (le leguminose come la soia in primis) potrebbe diventare una soluzione se essa diventasse incontrollabile. La cimice asiatica, invece, è un osso molto più duro. Non voglio essere catastrofista ma una lotta chimica a oltranza è improponibile, mentre la difesa biologica ha prodotto scarsi risultati. Molto si discute su antagonisti naturali (vespidi o imenotteri parassitoidi) ma i punti di domanda sono molti: il suo antagonista naturale, il Trissolcus japonicus, in Cina parassitizza fino al 70-80% (con medie stagionali del 50%), ma non è specifico e quindi può dirigersi verso altri insetti con ripercussioni sull’ambiente di cui non conosciamo la portata. Altri parassiti quali Ooencyr-

La piralide del bosso

La cimice in questione, inoltre, è una specie vorace, polifaga e molto prolifica, quindi oltre a trovarsi in qualsiasi luogo e spostarsi con ottima autonomia, arriva dappertutto. Ed è arrivata anche a Selvazzano, Comune alle porte di Padova. La popolazione molto infastidita da questa indesiderata presenza è arrivata al punto da proporre una petizione al Sindaco affinché vieti la coltivazione della soia sui terreni in prossimità dei centri residenziali. È pura follia, se si pensa che ormai la soia è uno dei prodotti più ricercati nell’alimentazione moderna, vegetariana e non. E la cimice asiatica non si ciba neanche solo di soia. Ma allora cosa fare? Nel caso in cui ci trovassimo a fronteggiare insetti poco prolifici e poco polifagi (che preferiscono solo alcuni tipi di alimenti), questi potrebbeIl punteruolo ro essere confinati e controllati. delle palme

68

La xilella fastidiosa

tus telenomicida e Anastatus bifasciatus promettono bene in laboratorio, ma all’aperto e in ambiente naturale hanno bassi livelli di parassitizzazione (dati ricavati da Crea e Lara Maistrello). Quindi siamo ai punti di partenza: cosa facciamo? La soluzione: in autunno possiamo cercare di catturare più cimici possibili con l’ausilio di aspirapolveri e poi mettendo gli insetti catturati in acqua e sapone (così non sopravvivono), oppure predisponendo scatole di cartone riempite con stracci (sicuramente apprezzano tali ripari) per poi eliminarle. In primavera controllare quando escono e trattarle con prodotti insetticidi nel momento in cui sono indebolite dal letargo e dal digiuno invernale. In agricoltura si può procedere con reti anti-insetto, dove possibile. Ma un’altra strada sicuramente da percorrere sarà l’ingegneria genetica: creare insetti sterili che introdotti nell’ambiente possano ridurre la prolificità di questa piaga.


depliant - cataloghi aziendali - riviste brochure - libri - poster

Viale dell’industria - VI strada, 13 - 35023 Bagnoli di Sopra (PD) Tel. e Fax 049 9535267 info@stampeviolato.com - www.stampeviolato.com


AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli

PACIFICHE INVASIONI PER TROVARE SCAMPO DAL FREDDO In certi inverni può capitare che nelle nostre campagne si concentrino specie di piccoli uccelli poco conosciute alle nostre latitudini, come il Lucherino, l’Organetto o il Beccofrusone. Sono in cerca di cibo e di un riparo

P

er gli appassionati di natura alcuni anni vengono ricordati per degli eventi particolari, in cui numerosissimi uccelli della stessa specie sembrano invadere alcune zone dove di solito non sono presenti e questo accade quasi sempre durante il periodo invernale. Legati a eccezionali migrazioni una specie che di solito passa dalle nostre parti con numeri limitati può ritrovarsi con centinaia di esemplari in zone circoscritte che ne permettono la sussistenza grazie a un’abbondanza di risorse alimentari particolari. Questo può essere il caso dei tordi ma anche di uccelli meno comuni come il Lucherino, diffuso in tutta Europa, ad eccezione delle estreme regioni del nord di Scandinavia e Islanda. Durante la stagione fredda, si trasferisce in Africa settentrionale ma anche in Europa meridionale. In Italia è nidificante loca-

70

lizzato, con popolazioni per lo più sedentarie, mentre come svernante risulta particolarmente diffuso e abbondante, talvolta con vere e proprie “invasioni”. Lungo circa 10 centimetri, un peso fino a 14 grammi e con un’apertura alare di 20 centimetri, il maschio presenta la fronte, la calotta e il sottogola di colore nero, elementi che risultano del tutto assenti nella femmina. Altro segno distintivo è il colore giallo della livrea, anch’esso maggiormente evidente nei maschi e come tutti gli uccelli granivori si nutre di semi, con particolare preferenza per i semi oleosi. Queste massicce presenze non seguono cadenze particolari e non passano molti anni senza che si verifichino. L’inverno 2004-2005 sarà invece ricordato per la cospicua comparsa di Beccofrusoni, specie esclusiva del nord Europa, che ha interessato l’Europa centrale


AMICI CON LE ALI

Il Beccofrusone ha una lunghezza media di 18-20 centimetri, un peso pari a 50-60 grammi per un’apertura alare di 35 centimetri. Caratteristico è il suo elegante piumaggio e il vistoso ciuffo. È una specie esclusiva del nord Europa, si ciba di bacche di sorbo, ma in caso di carenza di quest’ultime effettua grandi migrazioni che possono portarlo fino al bacino mediterraneo Foto di Fabio Piccolo

e l’intera catena alpina. Una lunghezza media di 1820 centimetri, un peso pari a 50-60 grammi per un’apertura alare di 35 centimetri, con il suo piumaggio, il disegno nero del capo e della gola e il vistoso ciuffo, il Beccofrusone è unico nel suo genere. Negli anni con una buona offerta di bacche di Sorbo degli uccellatori la maggior parte degli uccelli sverna nelle regioni nordiche di nidificazione o poco più a sud. In caso di carenza di bacche, la specie effettua grandi migra-

Ogni 10-15 anni i Beccofrusoni danno luogo a spettacolari invasioni che interessano l’Europa centro meridionale; si ricordano quelle del 1990-91, del 2004-05, ma invasioni eccezionali sono note sin dal tardo Medioevo

Il Lucherino è lungo circa 10 centimetri, ha un peso che può raggiungere i 14 grammi ed è dotato di un’apertura alare di circa 20 centimetri. Durante la stagione fredda, si trasferisce in Africa settentrionale ma anche in Europa meridionale e proprio l’Italia è uno dei paesi in cui sverna. In alcuni anni la sua presenza risulta particolarmente abbondante, una vera e propria “invasione”

71


AMICI CON LE ALI L’inverno 2004-2005 viene ricordato dagli appassionati della natura per la cospicua comparsa di Beccofrusoni, specie esclusiva del nord Europa, che ha interessato l’Europa centrale e l’intera catena alpina zioni che possono portarla fino al bacino mediterraneo. Un tempo, l’apparizione imprevedibile, a volte in massa, di questi uccelli veniva ritenuta un presagio di guerre o pestilenze. Ogni 10-15 anni danno luogo a spettacolari invasioni che interessano l’Europa centro meridionale; si ricorda quella del 1990-91 ma invasioni eccezionali sono note sin dal tardo Medioevo. Eccoli quindi apparire nei nostri boschi e giardini, ad animare piante e cespugli con i loro colori e gli inconfondibili trilli, a cibarsi di mele e bacche. Si fermano sino a marzo, eccezionalmente sino all’estate, per poi ripartire verso le fredde foreste del “Grande Nord”. Nell’inverno del 2017-18 anche il Veneto è stato interessato da un’invasione di piccoli Organetti, uccelli montani che arrivano in pianura raramente e con numeri limitati. Dalle dimensioni di un Cardellino, il maschio in abito riproduttivo presenta parti superiori brune, fronte rossa brillante, piccola macchia nera sul mento e petto con tonalità rosate. La femmina

manca del rosso su gola e petto, sostituito da bianco sporco sfumato di marrone. La forma nominale flammea è presente nelle regioni settentrionali di tutto il continente eurasiatico, da Norvegia e Paesi baltici ad oriente sino alla Kamchatka, mentre la sottospecie cabaret è presente nel Regno Unito e nelle regioni dell’Europa centro-occidentale ed orientale. Sulle Alpi italiane in particolare è legato ai boschi di conifere, con una certa predilezione per il Larice; predilige i versanti umidi e freschi ed è presente con una certa uniformità nelle località adatte in quasi tutte le valli alpine dal Cuneese (Alpi Marittime) al Friuli Venezia Giulia (Alpi Giulie), pur con differente abbondanza; nidifica abitualmente su conifere, a quote poste tra i 1.400 e i 2.200 m, con maggior diffusione sopra ai 1.700 m. Nell’ultimo inverno molti esemplari hanno effettuato una migrazione altitudinale spostandosi a quote più basse, fino al mare e il fenomeno ha interessato tutto il nord Italia. Se trovano cibo possono rimanere a lungo nella zona e spesso si presentano a frotte per mangiare in orari prestabiliti ed è anche facile vederli, data la loro noncuranza nei confronti dell’uomo. In queste zone dove si concentrano possono trovare alcuni cibi a loro graditi come i semi di conifere e betulla ma non disdegnano anche i capolini delle asteracee, presenti negli incolti. Quindi attenzione ai visitatori invernali, possono offrirci spettacoli che non scorderemo per anni.

Gli Organetti hanno le dimensioni di un Cardellino, presenti in molti paesi europei in Italia si trovano spesso nelle zone montane dove trovano cibo e riparo nei boschi di conifere. Può capitare che scendano a quote più basse, in certi inverni raggiungono anche le zone litoranee adriatiche. Se trovano cibo possono rimanere a lungo nella zona e spesso si presentano a frotte per mangiare in orari prestabiliti ed è anche facile vederli, data la loro noncuranza nei confronti dell’uomo

72


VERNICIATURA A POLVERI E ZINCATURA

L’AVANGUARDIA NEL SETTORE DELLA VERNICIATURA A POLVERI Trent’anni di esperienza, pongono la nostra azienda ad essere leader nel settore della verniciatura a polveri. In costante crescita, investiamo con lungimiranza ed entusiasmo impegnando le nostre risorse per esaltare tecnologia, standard qualitativi, assistenza e servizi per arrivare a soddisfare al meglio ogni esigenza del cliente PERCHÉ SCEGLIERCI: • tempestività, l’organizzazione aziendale e le attrezzature all’avanguardia permettono diversi cambi di tinta giornalieri garantendo l’abbattimento dei tempi di attesa per la restituzione del lavoro ultimato • disponibilità, grazie ad un sistema di trasporti consolidato è possibile la raccolta e la riconsegna anche di piccoli lotti di materiale da verniciare. Da noi è possibile verniciare e zincare qualsiasi superficie • economicità, è ottimo il rapporto tra qualità del servizio e costo dell’intervento

QUALITÀ, EFFICIENZA E CORTESIA

Anche consulenze tecniche e consigli per soddisfare l’esigenza del cliente più esigente

GPS Srl - Viale dell’Industria 6a Strada, 7 – 35023 Bagnoli di Sopra (PD) Tel. 049 9535317 - Fax 049 9539007 - info@gpsverniciatura.it - www.gpsverniciatura.it


Pro Loco Conselve


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.