Con i Piedi per Terra | 13. TRA ADIGE E BACCHIGLIONE

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arte storia e natura prodotti tipici

N. 13 - Ottobre - Novembre 2015 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. Copia in vendita a € 3,50 - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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IL TEMPO DEL CONFORTO, DEL BUON CIBO, DI UNA CHIACCHIERATA ACCANTO AL FUOCO

Se l’inverno dicesse: “Ho nel cuore la primavera” chi gli crederebbe? (Kahlil Gibran)

Con i piedi per terra in tutte le edicole di Padova e provincia


Tutto per la cucina e per la casa

La Coltelleria Piva dispone di un punto vendita a Conselve, ed è presente online attraverso un sito in cui è possibile reperire tutti i prodotti commercializzati dall’azienda. Coltelleria Piva è in grado di offrire prodotti tecnici di qualità, garantiti dalla pluriennale esperienza nel settore. Lame per ogni tipo di uso e professione provenienti per la maggior parte dall’Italia ma anche dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Germania, dal Giappone. Grazie al servizio di affilatura e riparazione interno, i coltelli e le lame che Coltelleria Piva consegna ai clienti sono sempre pronti e perfettamente affilati a garanzia di un utilizzo che durerà nel tempo se non a vita. Presso il punto vendita di Conselve è possibile reperire una vasta gamma di articoli per la casa, piatti e bicchieri, pentole e piccoli elettrodomestici, moltissimi accessori per gli amanti del vino, prodotti alimentari eccellenze Italiane, le lampade e i profumi Lampe Berger e tanti altri articoli utili anche come regalo. Anche coloro che necessitano di creare una lista di nozze a Conselve e dintorni possono rivolgersi alla Coltelleria Piva. La grande varietà di prodotti trattati dall’azienda, tra cui articoli per la casa, per il giardinaggio e per il tempo libero, non lascia che l’imbarazzo della scelta su quali regali includere all’interno della propria lista nozze. Troverete all’interno marchi prestigiosi come Berkel, Le Creuset, Victorinox, Felco, Sambonet, Screwpull e moltissimi altri. RIVENDITORE UFFICIALE FELCROTRONIC. VENDITA ON-LINE sul sito www.coltelleriapiva.it COLTELLERIA PIVA Via Vittorio Emanuele II, 33 • 35026 Conselve (PD) • Tel 049 9500849 • info@coltelleriapiva.it • www.coltelleriapiva.it


Numero 13

Direttore responsabile: Mattia De Poli Editore: Speak Out srl Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) speakout@live.it

Hanno collaborato a questo numero: Francesca Antonucci Emanuele Cenghiaro Luana Deiana Maurizio Drago Mauro Gambin Eloisa Gobbi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Loredana Pavanello Paolo Rigoni Donato Sinigaglia Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Martina Toso Beatrice Zambolin

Progetto Grafico:

Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968

Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it

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Il freddo rimasto nella memoria STORIA E DINTOR NI

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Natale povero, ma ricco di fede ARTA MEMORIA DI C

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Il bosco, antico ammortizzatore sociale

Stampa: Stampe Violato S.n.c. Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com

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Giornale chiuso in redazione il 27 ottobre 2015 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari) In copertina: “Oggi so che l’inverno è venuto” di Mauro Gambin

IL POLESINE PRIMA DEL MAIS

PANORAMA O A G STRONOMIC

“Bondola”. Pregiato salume, ma sempre più raro

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Babbo Natale, icona pop di un Santo turco

ARTERRA


messaggio pubbliredazionale

CONSORZIO PADOVA SUD,

IN UN ANNO DI LAVORO: RITIRATI 120 MILIONI DI CHILI DI RIFIUTI Una montagna di spazzatura, corrisponde ad una montagna di lavoro

Sono le 4 del mattino e per Marco è l’inizio di una lunga giornata di lavoro. Marco è ovviamente un nome di fantasia che abbiamo dato ad uno dei tanti operatori che ogni giorno si alzano prima dell’alba e girano nelle strade dei nostri paesi per raccogliere tutti i rifiuti. Una quantità incredibile che giorno dopo giorno arriva annualmente a superare i 120 milioni di chili solo nel territorio della Bassa Padovana. MATTINA DI RACCOLTA Marco, insieme ai suoi colleghi, è il primo attore in questo delicato processo: raccoglie i sacchetti che tutti noi mettiamo in strada, senza temere pioggia, freddo, caldo, nebbia, traffico e, qualche volta, l’incomprensione di pochi che non si rendono conto della fatica nel gestire correttamente il ciclo dei rifiuti. Il volume del lavoro svolto può essere riassunto dai numeri della produzione dei rifiuti nel 2014. Sono 123.798.883 i chili prodotti da 267.629 abitanti di 58 diversi comuni nell’area a sud di Padova. La parte non riciclabile rappresenta una quantità sempre minore: sono 27.733.598 i chili della frazione secco ovvero quella che non può essere recuperata in nessun modo. Per quanto riguarda i recuperabili invece, il vetro arriva a 9.405.470 chili, plastica e lattine 9.547.020 chili, carta e cartone 13.503.540 chili, indumenti usati 466.065 chili, metalli 417.018 chili, legno 2.592.524 chili, rifiuti elettronici 1.204.005 chili, verde 24.609.628 chili,

umido 21.013.240 chili e infine 65.234 chili di rifiuti pericolosi come i farmaci scaduti. POMERIGGIO DI ASSISTENZA Una volta finita la raccolta porta a porta il lavoro continua negli uffici del Consorzio Padova Sud e di Padova Tre Srl dove gli operatori controllano che la raccolta sia stata eseguita correttamente, che i rifiuti vengano gestiti secondo il ciclo di differenziazione e assistono telefonicamente tutti gli utenti che necessitano di informazioni e supporto. È il caso di Laura che ogni giorno si rapporta con gli utenti analizzando tutti i casi specifici. Lei e le sue colleghe, solo nel 2014, hanno gestito più di 46.000 richieste tra segnalazioni di disservizio, rifiuti abbandonati, informazioni sulla corretta differenziazione e prenotazioni di ritiri porta a porta di particolari tipologie di rifiuto. UN IMPEGNO CHE CONTINUA Nonostante tutto questo lavoro resta ancora molto da fare in particolare cercando di sconfiggere il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti. Padova Sud e Padova Tre Srl hanno messo in campo un servizio apposito che rende gli utenti preziosi custodi del territorio. Il progetto si chiama Città Pulita e permette di segnalare le situazioni di degrado anche direttamente del proprio telefono. In molti casi è possibile individuare l’autore dell’abbandono. In questi anni sono stati raggiunti risultati impressionanti e di certo l’impegno continuerà per migliorare un servizio già di alto livello, perchè il grado di civiltà, raggiunto da una comunità, è legato alla tutela ambientale.

Per informazioni, prenotazioni e segnalazioni:

Via Rovigo, 69 - 35043 Este (PD) - Tel 0429 616911 - Fax 0429 616990 - info@padovasud.it - info@pdtre.it


EDITORIALE di Mattia De Poli

Il valore del simbolo

Un regalo è sempre “simbolico” e dice qualcosa di noi

C’

è chi comincia a pensare ai regali di Natale a settembre, con quattro mesi di anticipo. C’è chi inizia ad acquistarli durante le vacanze estive, quando magari si trova in luoghi lontani da quelli abituali e può fare incetta di oggetti particolari e originali. E c’è chi si riduce all’ultimo giorno, al pomeriggio della Vigilia, e magari non trova nulla di apprezzabile, ma si limita ad assolvere a un dovere sociale e tra sé ripete che basta il pensiero e che fare regali è un gesto “simbolico”. Come se i gesti “simbolici” non avessero alcun valore. La società moderna - non solo le giovani generazioni ma anche gli adulti - tendono a disprezzare e rifiutare tutto ciò che è simbolico e rituale, come se fosse intrinsecamente falso, insincero, e magari anche ingannevole. I nonni e le persone più anziane sanno che, quando si ascolta l’inno nazionale, “bisogna” portare la mano destra sul cuore: è un segno di rispetto e di amore verso la patria. Il cosmopolitismo e la globalizzazione hanno modificato il concetto di patria e il legame fra l’individuo e la patria tanto da far percepire la destra sul cuore durante l’esecuzione dell’inno come un gesto ipocrita o vuoto di significato. La consuetudine per cui il padre della sposa accompagna la figlia all’altare e la consegna al futuro marito è indubbiamente il retaggio di una società patriarcale e maschilista: l’affetto della giovane sposa nei confronti del padre e l’amore nei confronti del marito potrà rendere accettabile il perpetuarsi di questa tradizione,

ma la Chiesa oggi propone agli sposi anche un modo alternativo per andare verso l’altare, ugualmente rispettoso di entrambe le persone. I gesti simbolici sono fondamentali nelle cerimonie rituali, religiose o laiche, e i riti sono uno strumento a cui la società affida la memoria e l’identità collettiva: con il passare del tempo la memoria si arricchisce e l’identità si evolve, modificando i riti e sostituendo i gesti simbolici con altri gesti, altrettanto simbolici. I simboli, infatti, non nascondono ma rivelano le convinzioni, le credenze, l’identità degli individui e della società. Nell’antica Grecia l’incontro e l’amicizia tra due persone erano accompagnati dal gesto di spezzare un oggetto: il “symbolon”, quasi come il biglietto staccato dalla matrice, permetteva di stabilire con certezza i vincoli di ospitalità e lealtà tra due persone e le rispettive famiglie, anche a distanza di tempo e tra diverse generazioni. Il simbolo non era un oggetto falso o ingannevole ma la prova certa dell’identità di una persona all’interno del contesto sociale. A Natale, come in tutte le occasioni rituali, fare un regalo è comunque un gesto “simbolico”, che rivela chi siamo, quale sentimento proviamo nei confronti del destinatario, quale percezione abbiamo della circostanza. La scelta del regalo spesso tiene conto delle esigenze e degli interessi della persona che lo riceverà ma dirà comunque qualcosa delle nostre conoscenze e dei nostri gusti. Un regalo dice sempre qualcosa di noi.

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L’ELZEVIRO di Eliano Morello

SENZA PREGIUDIZI NON È DETTO SI MANGI MEGLIO,

ma certamente mangeremmo tutti Conoscere la storia del cibo oltre a renderlo più affascinante, può anche farlo apparire meno “diabolico” e ci può aiutare a comprendere il ruolo e l’importanza di chi lo produce e lo lavora

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l 31 ottobre 2015 la grande kermesse dell’EXPO coltura e allevamento), secondario (lavorazione dei di Milano si è conclusa. Premesso il fatto che, purcibi) e terziario (distribuzione degli alimenti), ma più di troppo, non ho avuto l’occasione di visitare quetutto speravo che si parlasse di Università e Ricerca, sta grande Esposizione Universale, mi sono tuttavia di OGM e di messa a punto di nuove tecnologie per documentato sull’argomento leggendo articoli, senprodurre di più in meno spazio! “Nutrire il pianeta” tendo pareri e raccogliendo impressioni personali dai era il soggetto: è stato sviscerato nel modo giusto, molti conoscenti che a Milano si sono recati in questi mi domando? Alla fine, a chi è servito e a che cosa, mesi. Mi ero fatto un’idea questo mega incontro tra Per poter nutrire i nostri sette di Expo forse un po’ tropenogastronomiche miliardi della popolazione mondiale culture po utopistica: ero convinmondiali? Lascio a ognuno dobbiamo puntare su prodotti che di voi la risposta. to che la manifestazione forniscano molte calorie a basso Del cibo si conosce poco, avesse come fine ultimo prezzo e consumo energetico quello di creare un laboraspecialmente la sua storia torio di idee e progetti concreti, da mettere in atto a intimamente legata alla nascita dell’agricoltura (circa partire già da adesso, su come riuscire a sfamare una 10.000 anni fa). Sin dall’antichità, le popolazioni umapopolazione mondiale in continua crescita con semne si sono mosse da un posto all’altro e poi stanziate pre meno risorse energetiche disponibili. Insomma dove c’era cibo. La disponibilità di cibo ha inoltre conmi aspettavo, francamente, che si parlasse di enertribuito all’esplosione demografica per la quale siamo gie rinnovabili da applicare al settore primario (agrichiamati a nutrire il pianeta negli anni a venire.

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L’ELZEVIRO Se riusciremo a valorizzare il nostro settore primario contribuiremo a salvarlo e questo vorrà dire che abbiamo operato anche nella direzione della salvaguardia dell’ambiente La carenza di cibo, al contrario, è sempre stata causa di carestie, denutrizione, guerre. Il cibo, infondo, è vita. Conoscere la sua storia, oltre a renderlo più affascinante, può anche farlo apparire meno diabolico e ci può aiutare a comprendere il ruolo e l’importanza di chi lo produce e lo lavora. Pensate ad esempio alla bizzarra storia della patata. Come tutti sappiamo essa è originaria dell’America meridionale e la sua introduzione in Europa risale al 1550 circa, tuttavia per essere impiegata come risorsa alimentare umana si dovettero attendere altri 200 anni. Precisamente la sua introduzione nella nostra dieta risale alla grande carestia alimentare avvenuta in Irlanda nell’Ottocento, mentre prima essa era destinata all’alimentazione animale. Ma come mai un alimento così nutriente impiegò oltre due secoli prima di apparire sulle nostre tavole, pur conoscendolo? Perché si dovette lottare contro vari pregiudizi e false credenze diffuse dalla Chiesa: un alimento germogliato e cresciuto sotto terra cos’altro poteva essere se non un prodotto del Diavolo? In Natura tutti gli animali si nutrono di ciò che il territorio che abitano rende loro disponibile (da piante e frutti ad altri animali): se gli alimenti sono limitati anche la crescita della popolazione viene limitata e quindi solo i più forti sopravvivono. Al contrario, con l’abbondanza degli alimenti, anche la popolazione aumenta e può sfamare tutti i suoi membri. Per l’uomo il meccanismo non è così automatico: siamo una specie onnivora, tuttavia nel corso dei secoli il progresso, le esplorazioni e le innovazioni, invece di semplificare la nostra ricerca di cibo, pare l’abbiano resa sempre più difficoltosa. Non nel senso che non sappiamo dove reperire il nostro nutrimento (almeno qui in Occidente), ma non sappiamo più cosa mangiare! Siamo talmente sommersi da cibo in tutte le sue possibili varianti, che scegliere diventa un’impresa (il “dilemma dell’onnivoro”). Ora siamo chiamati a modificare i nostri standard di consumo: per poter nutrire i nostri sette miliardi di fratelli dobbiamo puntare su prodotti che forniscano molte calorie a basso prezzo

e consumo energetico. Questo non vuol dire riempirsi la pancia in un fast-food, dal quale uscire tronfi avendo speso solo €3,90. Sfamare l’intero pianeta non significa solamente produrre più cibo, ma distribuirlo meglio (non è possibile che nel 2015 ci sia ancora chi muore per denutrizione e chi muore per ipernutrizione), trasportarlo da un angolo all’altro del globo, conservarlo e trasformarlo consumando poca energia e cercare di prediligere i prodotti locali e di stagione. Non possiamo più girare la testa dall’altra parte e far finta di non vedere chi muore di stenti! Tutti noi occidentali, ricchi e meno ricchi, dobbiamo modificare le nostre abitudini alimentari e i nostri stili di vita. Quindi oggi, come un tempo facemmo per la patata, bisogna prendere coscienza che le necessità sono cambiate: chi lo sa se fra qualche decennio anche qui non mangeremo insetti, alghe marine e krill? Probabilmente occorrerà fare di necessità virtù ed eliminare i tanti pregiudizi che ancora affollano le nostre coscienze. Segnalo un bellissimo documentario firmato Rai, confezionato per Expo, “Hungry and Foolish - La grande avventura del cibo”. Abbiamo capito che il cibo deve essere valorizzato, e con esso va apprezzato il lavoro di chi ce lo fa pervenire in tavola, buono, sano e fresco. Se riusciremo a valorizzare il nostro settore primario contribuiremo a salvarlo e questo vorrà dire che abbiamo operato anche nella direzione della salvaguardia dell’ambiente, tanto invocata della sostenibilità e della biodiversità. Ricordate che l’Italia è il paese con la maggiore biodiversità tra gli stati Europei!

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CONTRATTO DI FIUME ADIGE EUGANEO, strumento nuovo per risolvere problemi vecchi Per la gestione delle criticità idrografiche e in generale per il governo delle acque e degli ambienti connessi, un nuovo approccio metodologico basato sulla concertazione e la integrazione delle azioni fra tutti i soggetti del territorio “La scarsità di risorse, la frammentazione di competenze Il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo ha riconosciuto nel (il bacino consortile si estende su 4 provincie, 70 comuni, Contratto di Fiume lo strumento maggiormente vocato per 3 bacini idrografici), le conflittualità per gli usi e le difficoltà un diverso approccio alla politica di gestione delle criticità conseguenti l’attuazione di alcuni piani che per il Consoridrografiche ed in generale delle risorse idriche nel territorio di competenza compreso Tre gli ambiti verso cui il Contratto di Fiume zio sono ritenuti fondamentali, fra i fiumi Adige, Brenta-Bacindirizzerà il proprio lavoro, ossia: la difesa per ridurre soprattutto i problemi derivanti dalle frequenti chiglione e la Laguna di Venedalle alluvioni, la qualità dell’acqua inondazioni a cui il territorio zia. Il perché lo ha spiegato il e la tutela dell’ambiente e del territorio va sovente incontro, ci hanno presidente del Consorzio Miorientato verso l’idea di uscire da logiche di programmachele Zanato, riassumendo per punti le principali difficoltà zione e gestione di tipo settoriale per abbracciare invece che l’Ente incontra nel portare avanti la propria programun approccio integrato con le diverse politiche e partemazione e gli interventi ritenuti necessari per affrontare i cipato dalla comunità locale che governa, usa e vive le principali pericoli che nel territorio derivano dall’acqua. acque del territorio consortile”. In buona sostanza il Contratto di Fiume è una sorta di “commissione”, di “comitato permanente” partecipato “erga omnes” da tutti i soggetti sia di natura pubblica (Regione, Comuni, enti ed associazioni di categoria) e privata (associazioni in genere e privati cittadini) della zona interessata, che avranno come “camera di regia” proprio il Consorzio di Bonifica per la ricerca di soluzioni congruenti con il quadro giuridico-normativo, con le esigenze ed i diritti che appartengono a tutti come: la salute, la sicurezza, la qualità ambientale e paesaggistica e, in genere, la qualità della vita. Il manifesto di intenti è stato firmato lo scorso 30 aprile e, ad oggi, sono già 92 i soggetti che hanno aderito. Numeri L’ex assessore regionale all’Ambiente, Maurizio Conte, e il presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo, Michele Zanato che lascino presagire che il Consorzio di Bonifica Adige

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo www.adigeuganeo.it


messaggio pubbliredazionale

ogni azione, gli attori interessati, i rispettivi obblighi e imEuganeo abbia visto giusto nell’individuare questo nuopegni, i tempi e le modalità attuative, le risorse umane ed vo strumento di programmazione strategica e negoziata, economiche necessarie, nonché che in Veneto ha solo un altro Nei Piani d’Azione devono essere la relativa copertura finanziaria. precedente, per la gestione del indicati agli obiettivi di ogni azione, gli Due sono al momento le azioni al territorio, visto anche che l’area in attori interessati, i tempi e le modalità centro della discussione, la prima questione non ha alcun consiglieattuative e la copertura finanziaria interessa il Bacino scolante Lagure in Regione che la rappresenti e necessaria per l’intervento na di Venezia, con la realizzazione che tuttavia il finanziamento degli di uno sbarramento antintrusione salina, utile a impedire interventi dovrebbe avvenire attraverso fondi del Piano di la progressiva contaminazione di acqua salata nelle falde Sviluppo Rurale, erogati dalle casse di Palazzo Ferro-Fifreatiche e a favorire la tesaurizzazione dell’acqua “persa” ni. Tre gli ambiti verso cui il Contratto di Fiume indirizzerà nel mare la seconda rivolta ai bacini dell’Adige e del Brenil proprio lavoro, ossia: la difesa dalle alluvioni, la qualità ta Bacchiglione per la realizzazione di infrastrutture di indell’acqua e la tutela dell’ambiente e del territorio attraterconessione dei bacini di bonifica consortili con scarico verso una programmazione concertata e la realizzazione delle acque piovane nel Fiume Adige. di Piani d’Azione dove siano indicati oltre agli obiettivi di

1. Bacino Idrografico dell’Adige 2. Bacino Idrografico del Brenta-Bacchiglione 3. Bacino Scolante Lagina di venezia

Ambito Consorzio di Bonifica Adige Euganeo (area Contratto di Fiume)

ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054 CONSELVE Viale dell’Industria, 3 - Tel. 049 9597424 Fax 049 9597480


STORIA E DINTORNI di Mauro Gambin

Il freddo

CHE RIMANE IMPRESSO NELLA MEMORIA Il Novecento conserva il ricordo di tre inverni veramente terribili: il ‘29; il ‘56 e l’85. Rigori che tuttavia erano la norma tra il XIV e il XIX secolo, quando per cinquecento anni infuriò la “Piccola era glaciale”

“Fin da Nadale fredo non fa: braghe da istà, dopo Nadale fredo passà: braghe da istà”

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ppure il freddo c’era. La sua sagoma ingombrante e invadente era una triste compagnia, soprattutto per chi aveva pochi mezzi per tenerla a bada. Ospite decisamente sgradito, non aveva problemi a entrare nelle case della povera gente, a sedersi a tavola con loro durante il pranzo, la cena, a stendersi nelle cuccette, insieme ai corpi raggomitolati nel buio sotto misere coperte, e a risvegliarsi al

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mattino ancora una volta inclemente. Gelava l’acqua nei bicchieri sul comò, il freddo, e rigava con una secca bava di ghiaccio le sottili lastre di vetro alle finestre, anche dalla parte interna delle camere di quei contadini che fino a sette-otto decenni fa abitavano le nostre campagne. Erano loro a soffrire massimamente la morsa del freddo. L’endemica povertà rendeva le stagioni rigide vere e proprie epidemie che mietevano vite umane. Non c’era scampo dal gelo, non c’era nulla o quasi che potesse allentare la sua morsa ai piedi, alle spalle, alle membra di vecchi, donne o bambini: niente negli armadi, salvo uno scialle o


STORIA E DINTORNI LA LAGUNA GHIACCIA raramente, circa un paio di volte al secolo, ma ben cinque nel corso del XVIII secolo. La gelata del 1788 è stata dipinta da molti pittori del tempo

1788, Francesco Battaglioli Vista da San Giobbe a San Giuliano e Marghera

1788, Teodoro Viero Vista da San Giobbe a San Giuliano e Marghera

freddo”, erano tutto sommato la norma in quei cinqualche paio di calze di lana rammendato mille volte, quecento anni che, dal XIV a XIX secolo, gli esperti niente nelle bocche dei camini dove la legna era rara della meteorologia definiscono “Piccola era glaciale”. e più spesso ci finivano le “brecane” e le sterpaglie, Freddi capaci di fermare il corso dei fiumi e le maree gettate sulla misera fiamma ancora ricoperte di brina. delle lagune, di coprire paesi e Buone appena ad affumicare le Aveva l’odore dei cibi villaggi sotto cumoli di neve per stanze o a scaldare i palmi delle e della stalla il calore settimane, creando patimenti mani e le guance dei visi, mentre le schiene e le articolazioni rima- che rinfrancava i contadini che non è difficile immaginare ancora più tremendi, per quei nevano preda della penombra contemporanei le cui condizioni di vita non erano del delle stanze e dell’umidità. La stessa umidità che si tutto dissimili dalla miseria raccontata dai nostri noncondensava insieme agli sbuffi della polenta fumante ni. Così vien da chiedersi come abbiano fatto quelle tra le brecce delle tavole dei soffitti, perché il calore povere plebi ad affrontare l’inverno 1431-32, quando nelle case dei contadini aveva anche un odore, quelle cronache del tempo ci informano che il fiume Po lo appunto dei cibi, ma anche quello meno inebriante rimase ghiacciato per oltre due mesi, tanto da essere della stalla, dove le anime si stringevano attorno ai usato come una strada per il trasporto delle merci. grossi corpi delle “bestie” in quella forma di socialità La stessa sorte toccò anche alla laguna veneziana che tra i veneti è conosciuta con il nome di “filò”. “così che i carri potevano fare comodamente avanti e È quindi immaginabile che tra le speranze ci fosse indietro tra Mestre e Venezia” - episodi che, tuttavia, quella di un inverno breve, l’auspicio che magari il pare rientrassero nella norma, tanto che il capoluoGenerale Inverno togliesse l’assedio subito dopo Nago veneto, nei periodi di isolamento, aveva messo a tale. Eppure i ricordi, anche più desolanti, dei rigori punto un collaudato sistema di approvvigionamento che popolano la memoria rurale delle nostre campadell’acqua dolce, attingendo direttamente dal Brenta. gne degli ultimi secoli, possono Un gruppo di barche usciva quotidianamente, accomessere assimilati alla “frigidità” pagnato da un manipolo di volonterosi forzuti, attrezdi una granita alla menta se zati con pesanti martelli, che rompevano il ghiaccio confrontati con quelli di epodavanti agli scafi fino a permettere alle imbarcazioni che precedenti. Gli inverni del ‘29, del ‘56 e di raggiungere la foce del fiume. Oggetto di molto del ‘85, archiviati come terripiù scalpore tra i contemporanei, invece, erano le bili nella storia del Novecennevicate, anche perché erano davvero eccezionali. to, proprio per il “grande Nel 1448-49 la neve caduta al suolo superò l’altezza di una persona, così pure nel 1481-82, mentre nel

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STORIA E DINTORNI 1489-90 a Venezia nevicò addirittura per dodici giorni consecutivi. Della nevicata del 1608 rimane testimonianza in un manoscritto, conservato nella Biblioteca Civica di Padova, dove Nicolò De Rossi, in un italiano piuttosto stentato, ci informa che: “In quest’anno molto calamitoso per le continue e grandissime neve che per due mesi e mezzo, che veramente mostrò un diluvio grande di neve che fu cosa inaudita il vedere una tanta quantità che per memoria di vecchi non si ricorda mai tanto naufragio che a pena si potevano vedere li huomini da una parte e l’altra delle strade, li coperti delle case non erano sicuri perché bisognavano che con forti travi fossero appuntellati, e continuamente ogni altro giorno gettare giù la neve nelle strade con gran spesa...”. Altre fonti ci informano che gli inverni continuarono a susseguirsi terribili per tutto il XVII secolo, con picchi di freddo nei decenni centrali tra il ’49 e il ’72. Con il 1645, infatti, si aprì quello che nella storia della meteorologia è conosciuto con il nome di “Minimo di Maunder”, ossia il periodo che fino al 1715 racchiude gli inverni più rigidi degli ultimi mille anni, il cui apice è rappresentato senza ombra di dubbio dall’inverno 1708-09. Il più freddo che la storia documenti. Un di-

pinto oggi conservato nel corridoio della pinacoteca della Fondazione Querini Stampalia, spesso erroneamente attribuito alla mano di Gabriele Bella, mostra la laguna di Venezia completamente ghiacciata, un fenomeno, come abbiamo detto non raro, ma la stessa sorte toccò un po’ a tutti i grandi fiumi d’Europa e, caso unico, gelò completamente anche il lago di Garda. Bastarono poche ore a un vento polare, che iniziò a spirare la notte dell’Epifania, per congelare tutti i corsi d’acqua della nostra Regione, a cominciare dal Po la cui crosta di ghiaccio raggiunse i 70 centimetri. La neve raggiunse lo stesso spessore a Rovigo, mentre nel capoluogo veneto la colonnina di mercurio, anzi è meglio di dire di “spirito” visto che proprio in quell’anno Daniel Gabriel Fahrenheit mise a punto il suo termometro funzionante ad alcol, scese di 17,5° C sotto lo zero termico, un fatto rimasto eccezionale se si pensa che la temperatura più bassa dopo tale data fu -13,6° C, registrata nell’inverno 1963. Si trattò comunque di una temperatura mite rispetto al resto del Veneto e d’Italia, dove il rigore raggiunse cifre doppie. Si spiegherebbe così l’eccezionale moria di alberi di mele, susine noci e ciliegie che solitamente possono resistere fino a temperature sotto

LA “LAGUNA GHIACCIATA ALLE FONDAMENTA NUOVE NEL 1708”. Spesso erroneamente attribuita a Gabriele Bella, in realtà questa tela è opera di un pittore anonimo, derivata da un’incisione di Vincenzo Corelli. Si trova nella pinacoteca della Fondazione Querini Stampalia

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STORIA E DINTORNI corso di quei tre inverni che nella storia del Noveceni - 40° C. Inoltre la laguna si liberò dai ghiacci il 29 to vennero ricordati come anni “del freddo”. Nel 1929 gennaio mentre nella pianura la gran quantità di neve la temperatura minima toccata a Padova fu di -15,6° e di ghiaccio permise la permanenza del gelo fino C, di -16,3 C a Vicenza e -20° C a Rovigo. Un freddo alla tarda primavera. Al freddo si unì la mancanza di tuttavia che per il suo prolungato assedio fu sufficienrisorse, già a febbraio le disponibilità alimentari iniziate per lasciare l’ultima testimonianza di fiumi comrono a scarseggiare, i raccolti dell’estate precedenpletamente ghiacciati. Nel 1956, infatti, il Po ghiacciò te erano risultati scarsi ovunque e il permanere del in alcuni tratti e anche il corso gelo aveva paralizzato anche i trasporti. I prezzi dei generi di Niente nelle bocche dei camini dell’Adige si fermò solo verso dove la legna era rara la foce. L’ultima vera ondata di prima necessità schizzarono gelo polare risale esattamente alle stelle. Ai morti di freddo e e più spesso ci finivano a trent’anni fa, quando correnti per malattie bronco-polmonari, “brecane” e sterpaglie, iniziarono ad aggiungersi quelgettate sulla misera fiamma di aria fredda provenienti dal Nord Europa investirono la noli per stenti, come conferma il ancora ricoperte di brina stra pianura dal 5 al 16 gennafattore dell’azienda Pisani, a io, lasciando a terra 30 centimetri di neve a Verona e Vighizzolo, scrivendo al suo padrone che i braccianVenezia, 40 a Padova e 55 a Vicenza. Anche il gelo ti morivano di fame. Fu certo di oltre un milione di fu pungente, nel Veneto vennero registrate tempedecessi il pedaggio che dovette pagare l’Europa ai rature minime prossime ai -20° C che eguagliarono i rigori di quell’inverno che per fortuna non ebbe più rigori raggiunti il 15 febbraio 1956. Quella fu l’ultima a ripetersi nei secoli successivi. Per tutto l’Ottocento occasione per veder passare nel letto dell’Adige le infatti, malgrado la carestia “biblica” del 1816-1817 e “beazze” , le grandi lastre di ghiaccio in formazione malgrado gli inverni rigidi non siano mancati soprattrasportate dalla corrente. Da allora solo l’acqua ha tutto nei decenni centrali del secolo, simili situazioni continuato a passare sotto ai ponti... non si verificarono e non si verificarono nemmeno nel

L’ADIGE GHIACCIATO NEL 1929: Dopo l’Epifania le temperature, che fino a quel momento erano state miti a causa di perturbazioni a carattere piovoso, iniziarono a scendere. La successiva fase di sereno, portata da un anticiclone, provocò nebbie persistenti e notevoli inversioni termiche in pianura: il 13 gennaio la colonnina di mercurio scese a -3,6° C a Padova mentre sul monte Venda fece registrare un + 4,6° C. La vera ondata di freddo, una delle più forti del ‘900, iniziò il 24 gennaio quando un possente anticiclone sulla Russia interessò anche la pianura Padana con aria molto fredda e precipitazioni a carattere nevoso. Dopo le nevicate, seppur deboli, le temperature diminuirono ulteriormente, il 29 gennaio la minima registrata a Padova fu di -15,6° C; -12,5° C a Rovigo; -9,4° C a Vicenza, mentre il mese successivo iniziò con temperature in ulteriore discesa. A Padova il gelo raggiunse i -16,3° C; Vicenza i -12,6° C e Belluno toccò i -18.3° C. Tra l’11 e il 13 febbraio tornano le nevicate con temperature veramente gelide, a Vicenza il 12 nevicò con una massima di -8,3°, a Padova e Treviso con una massima a -9,2°; a Venezia -9° e Rovigo a - 9,9°. La coda del grande freddo si estese fino al 16 di febbraio, quando le minime tornarono alla stessa temperatura di inizio mese e a Rovigo i termometri fecero registrare - 20.6°. Le foto sono state scattate dagli ingegneri del Consorzio di Bonifica a Boara Pisani, da notare oltre ai mulini galleggianti l’abbigliamento del tempo: gli uomini portano appena un tabarro sopra alla giacca e i più giovani hanno addirittura i pantaloncini corti.

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LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

Magico Natale! MA LO È ANCORA?

Sarà perché non viene più con la neve, sarà perché il consumismo condiziona tutte le età, sarà perché ci sono feste tutto l’anno che anche il Natale, un tempo, era un’altra cosa!

L

o si aspettava per tempo, lo si sentiva nell’aria, fatta di pezzi di legno e carta da pacchi; con il laghetnel parlare quasi sottovoce, nei gesti, nei ragazzi to che era uno specchio rotto; con le stradine fatte della parrocchia che passavano, di sera, a cantacoi sassi presi dalla strada comunale, ma che stavi atre la Chiara Stella, con una stella di legno e carta vetento a non farti scoprire, e lavati con la varechina per lina colorata e illuminata da una flebile candela, negli sbiancarli un poco; con l’angelo che non sapevi come auguri spediti con le cartoline postali, nello stringersi farlo star su; con la trepidazione di quando passava la mano togliendosi i guanti che tua zia ti aveva fatil cappellano a visitare i presepi per la premiazione, to con la lana del vecchio maglione, nel suono delle e magari il gatto di casa vi aveva dormito sopra, sicampane a festa più squillanti stemandosi tra il fabbro e il paPer la Vigilia: del solito, quasi che il camstore. Mia zia Giuliana invece, bigoli con la sardela e polenta panaro avesse messo il turbo l’ultima delle sorelle di mio panel tirare le corde, nell’ultimo e baccalà, che detta così oggi dre a sposarsi, anticipando la sguardo al presepe, che avevi modernità attuale, addobbava sarebbe una prelibatezza, realizzato da due settimane, ma il baccalà preparato da mia l’albero di Natale, con palline prima di partire per la messa vetro gelosamente custodite nonna era poco più gustoso di solenne con la camicia bianca ed incartate una a una, conserdi quello appeso in bottega vando la carta che era un bene profumata di lavanda che semdal “casolìn” brava nuova, e che te l’aveva prezioso. Per tutta la settimapassata tuo cugino più grande, con l’anima complena precedente il Natale la radio taceva, al massimo tamente sgombra per la confessione speciale, con si ascoltava musica classica che piaceva solo a mio il digiuno da mezzanotte, ma anche da molto prima nonno; a mezzogiorno non si ascoltavano, come di dato che nella Vigilia si rispettava l’astinenza e il disolito, gli auguri con dedica musicale di Radio Capodigiuno. Era il mio e il nostro Natale degli anni ‘50! Con stria, perché trasmettevano anche “Bandiera Rossa”. l’andare a muschio dietro i “salgàri” e le “pioppe” per I nonni si confessavano giorni prima, poi toccava agli fare il presepe con poche statuine di gesso, ma con adulti, e infine a noi bambini, quasi a teorizzare che si tante pecore perché costavano poco; con la grotta pecca più facilmente in giovane età! L’attesa del Bam-

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LA MEMORIA DI CARTA vano gli avanzi del mezzogiorno e poi si giocava a bin Gesù era sentita da tutti; la neve, immancabile, faTombola, e così si festeggiava il Natale, per arrivare ceva da contorno ovattando i pochi rumori che erano all’ultimo dell’anno, che era quasi un giorno come un quelli del fuoco della stufa e del camino e non c’era altro, salvo finire la serata con bagigi, “stracaganala frenesia dei regali da comperare all’ultimo momensce”, carrube e vino mericanelo e brulè. La tombola to usando parte della tredicesima, o da ricevere! Era mandava tutti a letto alla dieci e mezzo, massimo alle tutto più semplice e genuino, come la nascita povera undici, non si aspettava l’anno nuovo, tanto i vecchi del Bambino che ci tramanda la Chiesa da sempre, e i genitori sapevano già che sarebbe stato un anno solo che ultimamente siamo cambiati noi! La Vigilia di come un altro, dedito al lavoro dei campi, senza diNatale era sospesa tra l’attesa di poter mettere la stavertimenti, senza alternative, con certezze elementatuina del Bambin Gesù nel presepe e l’attenzione nel ri che ora mancano. Le sere che portavano alla Befamangiare: digiunare era categorico, ma l’astinenza? na erano un incubo per noi bambini. Cosa trovassero Era astinenza dalle carni e allora ecco che la cucina di divertente gli uomini della contrada di allora a tradi mia nonna presentava a pranzo: bigoli con la sarvestirsi da “vecchioni”, passadela che a malapena riuscivi a Non si aspettava l’anno nuovo, re per le case dove c’erano finire, e per secondo polenta e baccalà, che detta così oggi già si sapeva che sarebbe stato piccoli, scuotendo catene e un anno come un altro, dedito facendoti recitare tremolanti sarebbe una prelibatezza, ma le “oraziòn” in ginocchio, non il baccalà preparato da mia al lavoro dei campi, senza nonna era poco più gustoso divertimenti, senza alternative, l’ho mai capito. Forse dovevamo prendere così tanta paura di quello appeso in bottega con certezze elementari da stare buoni tutto l’anno? dal “casolìn”. E per finire un Abbiamo subito processi e siamo stati condannati cucchiaio di mostarda offerta sempre dal “casolìn” ai prima di aver commesso il reato! Adesso non si conclienti affezionati. Ma il giorno dopo era Natale e bisodanna neanche chi ruba o uccide! Ma con la “veceta” gnava essere buoni ed eri da poco confessato! ci rifacevamo: la “veceta” portava i doni, e siccome Al mattino del Natale non c’erano regali sotto l’albero, arrivava di notte con la “musseta”, preparavamo sotto né panettoni e torrone ma dopo la Santa Messa, gli il portico: un bicchiere di vino, un po’ di fieno e un secauguri e le visite ai parenti, c’era il pranzo che non chio d’acqua, per trovare, al mattino del sei gennaio, è cambiato per vari Lustri a casa mia: Tortellini fatti il vino e l’acqua bevuti e il fieno mangiato e al loro a mano in brodo di cappone e gallina vecchia, galliposto due o tre mandarini e degli amaretti, lasciati na vecchia e cappone lessi per secondo, arrosto di dalla “veceta” che aveva gradito quanto trovato. Tutpollo e patate al fono con tanta salvia per ulteriore to avveniva naturalmente di notte, che avvolgeva il secondo, e per finire l’immancabile torta Margherita mistero. Cose inenarrabili ai nipoti che ti crederebbee il vino Moscato fatto in casa, bevuto sui calici, dono ro un “Jurassico”! Ora trovi, per giunta di giorno e già di nozze, tirati fuori dalla vetrina per l’occasione! Ma una settimana prima della Santa Notte: Babbo Natale tra il primo e il secondo la sorpresa! Tutti noi bambini nei supermercati, poi nelle scuole, per di quel tempo abbiamo messo, trepidanti, la letterina le strade. Porta persino regali a Gesù Bambino sotto il piatto dei a domicilio! Fa tutto lui! E nostri papà che, togliendolo, Gesù Bambino? E il Natrovavano il biglietto dove tale? E la letterina? Se ognuno si impegnava, con Babbo Natale è una Gesù, ad essere più buono moderna evoluzione e bravo e, se la maestra (consumistica) di San te l’aveva insegnata, reciNicola come dicono, tavi pure la poesia di Naperché ricorrere a tale con la cantilena tipica un derivato, quandei bambini. Era evidente do potremmo aveche lo scopo era quello re come portatore di ricevere la mancia da di doni, materiali e papà, ma con la menon, il Suo, e nostro, diazione Celeste. Superiore? Alla sera si fini-

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LA PRO LOCO CITTADINA PRESENTA UN CALENDARIO DI EVENTI SUGGESTIVI E COINVOLGENTI PER VIVERE IL PERIODO DELLE FESTE CON LA GIUSTA ATMOSFERA Il periodo delle festività natalizie richiama per antonomasia alture, piste innevate, caldi rifugi, luoghi insomma ovattati e carichi di atmosfera, ma non è detto che per trovare questo sospeso afflato si debba necessariamente andare in montagna. Il mare d’inverno ha indubbiamente il suo fascino, lo cantava anche Enrico Ruggeri, e se a questo fascino viene accompagnato da un programma di eventi dedicati al Natale, ecco che anche quei luoghi conosciuti e frequentati durante l’estate possono diventare il posto giusto per vivere la festa più importante dell’anno. È il caso di Chioggia, città marittima, ma anche città d’arte e di storia, terra fertile per tanti prodotti tipici di rinomata fama. Per citarne uno su tutti: il radicchio, autentico principe della stagione fredda, che volentieri viene offerto in abbinata al miglior pesce che arriva ogni giorno sul molo cittadino preparato da generazioni di abili chef, che da sempre si dividono le due sponde del Canal della Vena. Un patrimonio che non solo merita di essere esperito, ma profondamente conosciuto e condiviso ed è per il raggiungimento di questo duplice scopo che la locale Pro Loco lavora instancabilmente con progetti promozionali e di valorizzazione delle tradizioni anche in quei mesi in cui la Città e la sua Laguna si accendono di nuovi colori. E anche per Natale ha pronta la sua offerta! PRO LOCO CHIOGGIA Via Felice Cavallotti, 410 (già Calle palazzo) - 30015 Chioggia info@prolocochioggia.org - www.prolocochioggia.org


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IL POLESINE PRIMA DEL MAIS di Paolo Rigoni

Il bosco,

ammortizzatore sociale per i poveri di tutte le epoche A partire dai secoli bui della storia fino al recente Novecento l’economia dell’incolto ha garantito una disponibilità alimentare complessa e variata fondamentale per superare di siccità e carestia

D

opo la caduta dell’Impero Romano, con le calate dei popoli del Nord cambiò il modo di sfruttare il territorio. Selve, boschi e incolti tornarono ad “imbarbarire” un paesaggio che fino a quel momento aveva conosciuto, invece, una sostanziale organizzazione. Con Roma, infatti, la casuale esuberanza della Natura era stata posta sotto una razionale organizzazione che proprio nelle campagne aveva permesso il superamento di una semplice agricoltura di sussistenza del colono o del contadino per un’economia propriamente commerciale, fondata sull’incontro tra domanda e offerta, che poneva le città in stretta dipendenza dall’agro. Con l’arrivo delle nuove popolazioni barbariche, come si diceva, l’utilizzo del suolo venne riportato a forme più primitive, oggi il termine corretto sarebbe “economia dell’incolto”, che in buona sostanza si fondava sul ritorno allo sfruttamento di ciò che la natura offriva spontaneamente.

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Per gli uomini del secolo VI e VII caccia, pesca, allevamento brado o la raccolta di frutti spontanei delle piante erano un notevole mezzo di sostentamento. Primitivo, certo, ma fondamentale soprattutto per le classi sociali più povere. Tali forme di disponibilità, infatti, rappresentavano una sorta di ammortizzatore sociale che integrava, se non del tutto sostituiva, quello che più tardi finì sotto il concetto di reddito. In Polesine, fino alla scoperta dell’America, il permanere di alcune forme di economia dell’incolto contribuì pure nella definizione del paesaggio, dove a fianco della proprietà privata, accompagnata da una rinascita agricola, perduravano spazi pubblici, boschi e specchi d’acqua interni, di proprietà delle comunità, a cui i pauperes, i nihil habentes, le plebi cittadine e rurali, potevano accedere liberamente, pur nel rispetto delle regolamentazioni statutarie. Era quello che sarà definito il vangativo, protrattosi sino alla fine


IL POLESINE PRIMA DEL MAIS

Il Leprotto di Albrecht Dürer, datato 1502 appartiene al fondo dell’Albertina di Vienna

dell’800, il diritto consuetudinario a cacciare, pescare e far canna. Basta scorrere i documenti per trovare ovunque, fra le proprietà dei comuni, toponimi come Publico de Fixura, Piòvego del Comun de Sorbara, Publicus Vallis Quarti, Publicus Gualdi, Terra de Bosco, Fossa del Liparo, Valli de Quinto e de Quarto, Valle Soa, che stavano ad indicare luoghi pubblici, usati come dispense naturali e come notevoli integratori dietetici durante i periodi di carestia. Una molteplicità di risorse silvo-pastorali assicuravano un regime alimentare complesso e variato. L’accesso al bosco garantiva disponibilità di carne in ogni periodo dell’anno attraverso l’esercizio della caccia: cervi,

caprioli, daini e maiali allevati allo stato brado, vale a dire i cinghiali, designati con il nome di porci silvestres, o porci singulares, da cui viene il dialettale “séngiaro”. E poi tutta la selvaggina minore, abbondante in un territorio ecologicamente integro: lepri, ghiri, porcospini, ricci e tutti i tipi di uccelli. Accertato il versamento del glandarizio o ghiandatico per poter pascolare i maiali nei boschi privati e lo stirpatico per far legna e fascine. Libera la raccolta di “date misure” pigne da pinoli, ricercati nella cucina aristocratica, e, non ultimo, in ordine di importanza la possibilità di catturare e conciare le pellicce per venderle. Il bosco rifletteva l’ideologia della caccia attraverso la quale l’aristocrazia guerriera, dedita all’uso e all’esercizio delle armi, esercitava simbolicamente la propria supremazia accordando agli abitanti del contando di poter cacciare nella “foresta”, intesa come riserva, qualsivoglia preda all’unica condizione di consegnare il capo o una parte della vittima al signore, quale segno di “homagium”. Nel Privilegium Laureti del 1094, il doge Vidal Falier concede ai cittadini di Loreo. “L’uso del Bosco nostro il quale ad essi diamo per uso e godimento, sicché voi e li vostri eredi e proeredi, lo abbiate; ma che la caccia in ogni tempo rimanga nostra e de successori nostri” e se “in qualche cacciagione prenderete alcun cinghiale, siete obbligati di portare il capo e li piedi di quello a Noi, e alli successori Nostri”. L’attività della caccia, con la simbologia di cui era portatrice, si protrasse per tutto il basso Medioevo da parte della Signoria degli Estensi nelle zone in cui sorgevano “delizie” ove periodicamente si trasferiva tutta la corte. Nelle Corbole Venete, ad esempio, nell’odierna Bellombra, ove il marchese prima, duca poi, giungeva con tutto il suo codazzo di dame, cavalieri, cuochi e scalchi chiedeva: “Che ogni volta accaderà al d.to Sig.re overo ad alcuno della sua famiglia per causa de solazzo, overo esercitio, overo per altra causa andare con la sua compagnia andare alla terra d’Adri, overo alla Villa de Corbole detti huomini, et Commune di Corbole, et Adria siano tenuti dover conferire per la terza parte, et li huomini, et Commune de Corbole per le altre doi parte à dare, et condurre alla Corte quando saranno ricercati per il scalcho, et offitiali, overo Castaldo e de detto Sig.re tutte, et singule quantità de letti, drapamenti, et altre cose necessarie alluso di essa corte, et similmente servire ad essa corte con le sue persone, et nome sicome sarà necessario ad essi offitiali richiesta.” E quando gli spazi boschivi iniziarono a restringersi per il prevalere delle città poteva accadere che i no-

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IL POLESINE PRIMA DEL MAIS la decima dovuta al pievano del Castello e che ogni bili “riconducessero a undicesima anguilla catturata sia consegnata a lui boscaglia per potervi stesso. In cambio i Loredani dovranno “ad medium andare a caccia, terreGaurum viam a latronibus defendere et securam ilni un tempo coltivati” lam semper reddere”. Naturalmente, il godimento perché nel taglio del dei diritti acquisiti, nel tempo viene sempre più limitabosco avvertivano che to, anche per l’insorgere di nuovi rapporti economici si minavano alla base nello sfruttamento dell’incolto, come risulta da patenle prerogative della te rilasciata a Remigio di Trecenta nel 1376 che ottieloro autorità che si ne dal marchese Nicolò autorizzazione di sfruttamenmanifestava attraverso “graziose” concessioni. Così to delle valli contemporaneamente al divieto per tutti può essere interpretata una supplica del 1480, indigli altri, “piscantes in ipsis Vallibus et de eius extraenrizzata a Ferrara, circa il mantenimento degli argini tes aliquam quantitatem navium (sic, ma dev’essere nelle Corbole: era in consuetudine che se uno avea avium), aproprum, trigolorum “uno Casale suxo lo arzene Nel 1084, il doge di Venezia et legmaminis” di continuade Po, nel dietro alarzine de lasciò facoltà di libera pesca re a farlo. Uccelli, cinghiali, Po [i proprietari] fossero obligati ad mantinere dritto il suo alle anguille a patto che ogni dieci legname e trigoli… I trìgoli, pianta caratteristica delle acdicti arzeni, el quale ordene anguille catturate, l’undicesima que stagnanti che produceva et consuetudine mostrava venisse consegnata a lui stesso una castagna commestibiessere de grande interesse, le, impiegata sia nell’alimentazione popolare che in in primis ala Excellentia del molto Ill.mo Signore… quella aristocratica. Trapa natans, il nome scientifico spesse volte accadeva chel brazente era povero et del Linneo, castagne d’acqua o trógni, nel dialetto solo, et non potendo reparare l’arzene dritto lui se di qualche paese polesano, scoreze del diavolo in affondava la possessione… Et etiam alcuni brazenquello veneziano, i trìgoli hanno costituito una fonti predicti per propria miseria et povertà haveano te alimentare indispensabile soprattutto nei periodi abandonato li casali, et eranosi reducti a stare quali di carestia sino alla prima metà del ‘900, tanto che a Chioza, quali a Loreto… Supplicando a Sua Excelnei canali e negli scoli si “coltivavano”, delimitando lentia che per mantenimento de quello paese dele porzioni d’acqua con assi e pertiche per evitare che Corbolle et de’ Cuor crevado se li volesse far proviuna eventuale, seppur debole corrente, allontanasse sione de soa se non voleva che tuto quello paese i cespi galleggianti. addiventasse valle.” Di pari passo con il diradarsi dei boschi si introducevano limitazioni all’attività della caccia e disposizioni per incentivare la messa a dimora di alberi, soprattutto nei centri abitati. Gli statuti di Lendinara vietano tassativamente la cattura di lepri, fagiani, pernici e quaglie con reti o con cani, nel contempo vi è l’obbligo in base al quale quilibet habens Frutto d’una pianta ortum proprium vel conductum, brolum vel clausuram acquatica, scrive il vel possessiones proprias vel conductas , teneatur Boerio: “simile alla plantare vel inserere omni anno duodecim arbores, castagna, di figura scilicet duo pomaria, duo coronaria, duo niçolarperò quasi triangoia, unum pirum, unam asvonariam, unam nogaram lare, armato di quatunum morarium, unam marinellam, unum çiçolarium. tro corna opposte a ciascun lato, di colore nero o (Tutti coloro che avevano orto, brolo, clausure di proscuro, racchiude una specie di mandorla cordiforme, prietà o in conduzione erano tenuti a piantare ogni bianca, dura, di buon sapore che somiglia alla castaanno dodici alberi di diverse specie). gna; si mangia cotta allessa, e se ne raccoglie speAccanto al bosco e alla selva, le paludi, le peschiere i cialmente dai Chioggiotti in molta quantità. Quando gorghi, anch’essi accessibili. Sempre a Loreo e semquesto frutto sia tagliato a’ due lati più acuti, che si pre col medesimo privilegio del 1084, il doge, pur tepossa aprire con facilità, chiamasi a Chioggia Mannendo per sé la “Piscaria de Laureto, quae in nostra doloti”. virtute remanet” lascia facoltà ai residenti della pesca delle anguille capitanee alla condizione che versino

Tregoli

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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Donato Sinigaglia

“Bondola”:

ROTONDA ECCELLENZA FIGLIA DI UNA TRADIZIONE GELOSAMENTE CUSTODITA L’insaccato caratteristico dell’area compresa tra Polesine e Bassa Padovana sta diventando un’autentica rarità. Sono pochi i produttori che continuano a seguire l’antica ortodossia nel dare gusto e profumo a questo piatto che da sempre distingue il dì di festa dagli altri giorni del calendario

P

oterla gustare è un lusso che pochi possono assaporare. La vera “bondola” polesana è una rarità che solo selezionati macellai sanno lavorare seguendo i dettami della tradizione tramandata da padre in figlio. Il salume, tipico del Polesine e della Bassa Padovana, che viene consumato durante il periodo invernale, è una ghiottoneria. Agli “ingredienti esterni”: aria umida, acqua e nebbia quanto basta, suini allevati in riva ai canali che si snodano tra le sponde dell’Adige e del Po, si devono aggiungere le parti scelte del maiale. “La “bondola” di sola carne - affermava Nemo Cuoghi, accademico della cucina e profondo conoscitore

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della storia culinaria polesana - sta diventando introvabile. È un prodotto che deve essere salvato perché appartiene al mondo delle eccellenze del Veneto”. Salume caratteristico dei comuni di Frassinelle, Villamarzana, Pincara, Guarda Veneta, Stanghella e Rovigo, la vera “bondola” da sempre è la protagonista delle mense nei giorni di festa. Prodotto di “nicchia”, quindi raro, è impossibile trovare una ricetta unica: preparazione, lavorazione e stagionatura sono “top secret”. Viene svelata solo la base con cui si prepara l’impasto: polpa scelta tra cui il fondello (straculo) e spalla in parti eguali; gola (guanciale), pancetta, vino rosso di qualità, sale pepe e aglio (facoltativo). La


IL PANORAMA GASTRONOMICO Nell’impasto: carne scelta di maiale, guanciale, pancetta, vino rosso di qualità, sale pepe e aglio il tutto insaccato nella vescica di maiale o di vitello e stagionato dai due ai tre mesi macinatura è fatta con piastra media, numero otto. L’impasto è poi insaccato nella vescica di maiale o di vitello. La stagionatura varia dai due ai tre mesi. La forma è rotondeggiante, il peso varia dal chilogrammo quando è fresca a 7/800 grammi quando è stagionata. Il resto degli ingredienti, che fanno della “bondola” la ricercata prelibatezza delle mense nelle feste invernali, sono oggetto di un geloso mistero. A poche decine di chilometri da Rovigo c’è Frassinelle: luogo “vocato” per la bondola: qui al vino a volte si preferisce il brandy e all’aglio gli aromi speziati. La stagionatura è più lenta: tre - quattro mesi. Da venti giorni a un mese è, invece, il tempo di conservazione scelto da Gianni Astolfi, da trent’anni macellaio a Stanghella, dove produce salumi di alta qualità, con il marchio Gran Carni Group. “L’impasto - spiega Astolfi - è semplice. Oltre alle carni selezionate usiamo il succo d’aglio e il vino merlot, nessun tipo di conservanti e coloranti. La ricetta è la stessa che faceva mio padre Osvaldo, macellaio di razza, quando uccideva i maiali e confezionava le “bondole” per la famiglia ed i clienti”. La produzione della macelleria Astolfi è di “nicchia”: al massimo 300 “bondole”, su prenotazione. Il nome è una garanzia: Gran Carni Astolfi, dal 1985 è un’azienda a conduzione familiare. Alla base c’è l’amore per le carni, i salumi buoni preparati con sapienza, mantenendo vive le tradizioni. Ancora oggi, il capostipite Osvaldo, segue la produzione di “bondole” e salumi preparati utilizzando solo carni selezionate e senza aggiunta di coloranti e nitrati. A portare avanti l’attività, è subentrato il figlio Gianni con la moglie Marina aiutati da Sonia e Daniele. La cottura della “bondola” richiede una tecnica tutta particolare e tempi lunghi.

Prima della cottura la “bondola” va messa a bagno per alcune ore. Va poi avvolta in un canovaccio e ancora le va usata l’accortezza di legarla ad una assicella per fissarla alla bocca della pentola, in modo da evitare che tocchi il fondo. La cottura deve essere lenta, almeno quattro ore

Se si rispetta la tradizione contadina prima di cuocerla è opportuno tenerla a bagno per alcune ore. Va poi avvolta in un canovaccio e legata ad una assicella, ciò perché la parte inferiore non venga a contatto con il fondo della pentola. La cottura deve essere lenta e della durata di circa quattro ore. “Se invece si seguono le nuove tecniche di cottura - dice Gianni Astolfi - la “bondola” può essere da subito messa a bollire in una normale pentola ed adagiata sul fondo”. Va comunque servita bollente, appena scamiciata, con un abbondante contorno di purea”. Per i gourmet l’impasto deve essere morbido, uniforme e, dopo il taglio del budello, deve afflosciarsi leggermente ed emanare un “gran respiro profumato”.

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Gran Carni GROUP,

molto di più di una semplice macelleria Dal 1985 carni di altissima qualità, ricette per tutti i giorni e un servizio speciale per i banchetti dei momenti importanti e realizzate per agevolare tutte quelle famiglie che C’è chi entrando nel negozio della famiglia Astolfi è per ragioni di tempo non riescono a portare in tavola convinto di trovarsi in una pregiata macelleria, chi pietanze elaborate, arrivando a cucinare per loro veri in una fornitissima Enogastronomia e chi nel pune propri piatti “personalizzati”. Per Natale e Capoto vendita di Piazza Pighin a Stanghella entra per danno, è già pronto un menù prenotare un raffinato serviA Natale e Capodanno un menù pronto che basterà portare a casa zio di catering o banqueting. che basterà portare a casa e riscaldare qualche minuto nel microonde, e riscaldare per qualche miEppure tutti vengono qui per lo stesso motivo: la qualità. per fare bella figura con amici e parenti invitati nuto nel microonde, per fare per cene, veglie e cenoni bella figura con amici e paEd è proprio così, perché i renti invitati per cene, veglie e cenoni. Poi per chi oldue rami d’azienda riassunti dal marchio Gran Carni tre alla cena volesse organizzare qualcosa un po’ più Group, il primo legato alla vendita di carni e gastroin grande, può fare affidamento sul servizio catering nomia e il secondo rivolto al servizio per feste e cerie banqueting, l’alta professionalità e la grande creamonie, si nasconde la stessa passione per il proprio tività che contraddistingue Gran Carni Group ancora lavoro e la costante ricerca della qualità. una volta vi farà vivere A partire delle materie prime, che sono sempre del un momento territorio. La carne bovina, ad esempio, da anni viene unico! acquistata da un allevatore della zona, per la fiducia reciproca che si è instaurata ma soprattutto perché quest’ultimo ha un occhio di riguardo per la qualità della vita dei propri animali, che alleva in modo naturale a partire dall’alimentazione. La stessa cosa vale per le carni bianche e pure per quelle di maiale, con le quali la famiglia Astolfi prepara le sue rinomate produzioni di insaccati, coniugando al valore della Per Natale materia prima il valore aggiunto della consolidata ceste e idee regalo esperienza e la ligia osservanza a quell’ortodossia vengono confezionate con prodotti della maniera, che convenzionalmente chiamiamo genuini di altissima qualità tradizione. Lo stesso acume e la stessa genuinità e un packaging originale e di valore estetico, fanno parte delle ricette della gastronomia, pensate perché anche l’occhio vuole la sua parte… P.zza Pighin 7, Stanghella (PD) - Tel. 0425 958116 - Gianni 339 2620592

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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo

La Polenta

FA LA TAVOLA CONTENTA

Con il pollo in umido, con il baccalà o con lo “scopetton” e l’arringa si accompagna per tradizione, ma è propriamente con ciò che il veneto riconosce come “tocio” che la “giallona” trova la “morte sua”

Q

uando la cucina rispondeva alla regola che si mangiava per vivere e non come oggi, che l’imperativo mediatico sembra dettare il vivere per mangiare, nelle cucine, davvero, non si buttava via niente. Non solo perché c’era ben poco da buttare, e i piatti poveri non erano tali solo perché lo stellato dei nostri giorni ne ha saputo fare un vanto per metterti li due mezzi tentacoletti di piovra e quattro o cinque foglioline di spinaci arrotolati su, con un paio di goccioline di caviale a far capolino, nossignori. I piatti erano poveri perché gli ingredienti che “giravano” erano quasi sempre gli stessi e quasi sempre

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“quelli”: latte, burro, qualche uovo, verdure e farina; tanta farina che si trasformava in polenta ad ogni piè sospinto. Certo che qualche notabile, e più ancora i ricchi signori e i nobili, disponevano di carni, selvaggina e anche pesci. Ma per la maggior parte del povero vulgo, soprattutto contadino, fatta la polenta, di cui s’è detto anche nel numero scorso di “Con i piedi per terra”, non c’era che la possibilità di arricchirla con del raro companatico. Cotto in tanto e con tanto sugo. Meglio, in Veneto, con quel “tocio” che riusciva a decuplicare le magre porzioni di carne, pesce oppure del pesce non pesce che era ed è il bac-


IL PANORAMA GASTRONOMICO ricuocendo. Furbesco procedimento di cottura di brave donne di casa che così facendo riuscivano a impiattare qualche decina di porzioni per famiglie che, nei tempi andati, in mezzo ai campi, non erano neanche tali se nei giorni di festa non schieravano sei, sette figli e anche di più davanti al sagrato delle chiese. Insomma qualche decina di grammi di carne, verdure a volontà e lei: la polenta. Bianca, gialla, soda o cremosa compatta o molliccia o finanché abbrustolita. Altro capitolo. Come se, in questo caso, non fosse più polenta come la s’intende nell’immaginario ma vera e magica trasformazione gastronomica degna della più alta “haute cousine”. Polenta che diventa serie di parallelepipedi, più o meno regolari, da accompagnarcalà. Insomma di quei companatici di cui la polenta si, dopo dovuta abbrustolatura, con il sugo rilasciato divenne l’accompagnatrice ufficiale per piatti entrati - altro esempio - dallo scopeton o dall’aringa. Pesci a gamba tesa nella storia e sulle tavole al punto da che una volta affumicati o sotto sale, vengono ancodiventare addirittura prosa cantata; come nel vecchio ra oggi commercializzati anche nei banchi al di fuori refrain, sempre cantabilissimo anche ai nostri giorni: delle pescherie. Pesci spesso confusi fra loro, ma ben “se il mare fusse de tocio la-ri-o-la e i monti de poendiversi e seppur uniti dalla stesta la-ri-o- la o mama che tociae Il companatico veniva cotto sa gloriosa fine. Quella di esseo mama che tocia poenta e bacaeà”. Ecco, “poenta” e bac- con tanto-tanto sugo, poiché re stati serviti a ben più di una “tociato” con la polenta generazione di contadini del calà, ovvero lo stoccafisso alla vicentina che pretende una po- diventava pasto che sfamava Veneto come alibi per divorare quantità industriali di polenta. lenta morbida, cremosa, gialla la numerose bocche Prova provata del farinoso gema anche bianca appena sverdelle famiglie contadine noma dei polentoni in bella evisata sul paiolo da un fumante denza perché il pesce, cotto sulla griglia a brace lenta “caliero”, rigorosamente di rame. Oppure, sempre in e quindi aperto e liberato dalla lisca, cosparso d’olio e tema di intingoli e “toci” che trasformavano qualsialasciato riposare per qualche ora, era solo il bersaglio si polenta in un piatto altrettanto regale come quello per un numero quasi innumerabile di pezzi di polendella “poenta” e baccalà, il sugo ottenuto cuocendo ta, che guidati dalle mani dei comensali “toccavano” un pollo ruspante in umido. Riccamente accompagnasolo un piccolissimo pezzetto di pesce mentre in bocto da tutti gli ortaggi regalati dall’orto, perfettamente ca s’infilava quasi esclusivamente la polenta inzuppae finemente cubettati, colorato con un bel rosso del ta. O meglio, “tociata” nell’olio misto alla colatura di sugo di pomodoro e arricchito da pezzotti di patate cottura dello scopeton o dell’aringa. Insomma polenche finivano col confondersi con gli stessi pezzi del ta, ancora polenta e sempre polenta anche quando pollo che rimetteva l’anima al buon Dio, cuocendo e dai roccoli inventarono la “poenta e osei” o i salumai suggerirono di servirla con la sopressa o il salame. I casari con il formaggio o addirittura dentro al latte. Ma su tutte, le polenta la più gustosa è quella condita con solo “tocio”. Da che cosa e con che cosa sia ricavato, poco importa... “ea poenta e tocio” non ha rivali.

“ai me tempi... quatro fete de polenta brustolà e un sardeon pica via in meso o sora la tola... ma solo pociare! Parchè, finìa la polenta, la mama fasea sparire el sardeon che, co’ na scaldadina e do giosse de oio, el giovava ancora. E vanti cussì più che se podèa...”

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Bertelli, salumi di un tempo A Montagnana il rinomato salumificio produce insaccati di altissima qualità grazie all’accurata scelta della materia prima e all’osservanza stretta della tradizione

Tradizione! È la parola d’ordine necessaria per raccontare l’attività e i prodotti che escono dal rinomato Salumificio Bertelli di Montagnana. Tradizione perché questa ormai storica attività, che si avvia a compiere i trent’anni, parte proprio da quel solco che convenzionalmente chiamiamo tradizione e che erroneamente confondiamo con folclore, perché tradizione è una parola seria nella quale sono codificate tutte quelle attività che un tempo, per l’uomo di queste parti, erano fondamentali per adattarsi al suo ambiente e sopravvivere. Fare i salami in

casa rientrava tra queste attività: la carne del maiale era tra le poche che i nostri contadini avevano a disposizione e i salami l’espediente per estendere questa disponibilità anche al di fuori del periodo di macellazione dell’utile animale. Se pensiamo che il salame sostituisce, tra i metodi di conservazione, il frigorifero, possiamo ritenerlo un prodotto della tecnologia. Del resto come non definire “tecnica” l’insieme delle conoscenze, spesso tramandate da generazione in generazione, necessarie per trattare con la giusta

Bertelli si trova a Montagnana (Pd) in via Frassenara, 39 Z.a.i - Tel. 0429 82918


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premura la pregiata materia prima, le alchimie semplici ma precise dell’impasto e gli importantissimi tempi e modi della stagionatura? Ecco questa è la tecnica di cui la famiglia Bertelli, salumieri arrivati alla terza generazione, continuano a servirsi per il proprio lavoro, unitamente all’amore per un’arte così antica e al desiderio di far portare in tavola ai propri clienti un prodotto che a pieno titolo si possa definire genuino. In risposta ai tanti furbacchioni, che

LA GIUSTA PREMURA PER LA PREGIATA MATERIA PRIMA, LE ALCHIMIE SEMPLICI MA PRECISE DELL’IMPASTO E GLI IMPORTANTISSIMI TEMPI PER LA STAGIONATURA negli ultimi anni hanno speculato a botte di marketing sul valori artigianali dei loro prodotti, qui il lavoro viene condotto con scrupolo a partire dalla scelta delle carni. Paolo in persona si occupa di scegliere i tagli migliori del Gran suino Padano Dop (lo stesso con cui San Daniele produce i suoi prosciutti) per portarli nella sua azienda e lavorarli con metodi ormai collaudati e affidarli ad una asciugatura e una stagionatura lenta, di almeno cento giorni, perché questo gli permette di ricorrere il meno possibile ai conservanti. Segreti non ce ne sono, sono i prodotti stessi a parlare chiaro! E la scelta è vastissima: dai tradizionali salami con la fantasia, ma sempre nel rispetto dell’ortodossia, sono state inventate varianti che possono soddisfare ogni tipo di palato, anche quello di celebrati gourmet come Edoardo Raspelli ed Andy Luotto che qui sono di casa.

IL LARDO È LA VERA SPECIALITÀ DELLA CASA Qui si produce in diverse forme: da quello classico a quello da spalmare o da usare per condire verdure e arrosti, ma il vero “capolavoro” anche per l’occhio è quello arrotolato. La particolare miscela di spezie, le dimensioni e la lunga stagionatura lo rendono unico, tanto da essere stato recentemente premiato dal Confartigianato Food Award al recente Expo di Milano

Diversi tipi di salami, sopresse baciate e con il filetto, coppe, pancette arrotolate, steccate e affumicate, guanciali, cotechini, zie, bondiole e prosciutti. Per gli insaccati viene usato solo budello naturale

www.bertellisalumi.it - info@bertellisalumi.it


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Dr. Adriano Mollica

Rafano,

alias Kren Usato nella cucina popolare per accompagnare lessi e bolliti, ha doti curative per le affezioni delle vie respiratorie, per abbassare la pressione sanguigna ed è ottimo come digestivo

R

afano (Armoracia rusticana, L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Cruciferae (la stessa a cui appartengono senape e broccoli). È originaria dell’ Est Europa. La radice è bianca, fibrosa ed ha un forte sapore pungente, odore balsamico e lacrimogeno, dovuto alla presenza di composti volatili solforati. Nel nord Italia viene spesso chiamata con la parola slava “cren” o “kren ed è usata sin dall’ antichità come pianta medicinale e come condimento in cucina. USO NELLA CUCINA TRADIZIONALE L’uso del rafano come condimento si è diffuso dall’ est Europa verso le aree mediterranee durante il medioevo. Oggi, la radice è utilizzata grattata, o anche fatta a pezzi soprattutto in Basilicata, dove è chiamata “il tartufo dei poveri”. È alla base di alcune preparazioni tipiche ci carnevale, come la “rafanata”, simile ad una frittata cotta al forno ed è presente nel ragù potentino, noto come “ndrupp'c”. Nel nord Italia, il rafano è usato principalmente per la preparazione della salsa al Kren, tradizionalmente abbinata al muset (cotechino) e al bollito. USO NELLA MEDICINA POPOLARE E NELLA MEDICINA MODERNA Il rafano è un alimento ricco di vitamina C. Tra i suoi numerosi usi nella medicina popolare, spicca la possibilità di usarlo nelle affezioni delle vie respiratorie, tosse, bronchiti, e per abbassare la pressione sanguigna, e come digestivo. In Basilicata è tradizionalmen-

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te usato come rimedio contro i reumatismi, dolori al nervo sciatico, mal di testa, influenza e per diminuire gli effetti di una sbornia. Studi recenti effettuati sulle sostanze medicinali isolate da questa pianta, hanno portato gli scienziati a definire il rafano come un “Functional food”, cioè benefico per la salute umana. In particolare, gli isotiocianati, le sostanze responsabili dell’odore e del sapore pungente del rafano, sono ritenute antitumorali e batteriostatiche. Inoltre il solforafano, un composto chimico abbondante nella pianta, ha attività neuroprotettiva, capace di rallentare il decorso di alcune patologie neurodegenerative come la demenza senile. Bisogna comunque ricordare che come tutte le piante medicinali, il rafano non è privo di effetti collaterali ed il suo consumo è sconsigliato in gravidanza, in allattamento, ai bambini piccoli, ai soggetti con ipotiroidismo e con insufficienza renale.

Armoracia rusticana (disegno originale della Dr.ssa Azzurra Stefanucci)


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Tigella Bella, a Este

Il posto giusto per assaggiare i prodotti del salumificio Bertelli è la tigelleria, dove in accompagnamento alle tradizionali tigelle e gnocco fritto si può trovare una selezione dei prodotti della casa accompagnati da formaggi, salse salate, creme dolci e le famose Creme di Piera

Orari d’apertura Mercoledì - Giovedì - Domenica 19:00 - 23:30 Venerdì e Sabato 19:00 - 00:30

Vieni a trovarci Este (PD) in via Argine Restara 2/C (zona mulini) Tel. 0429 635891 - Cell. 333 8838634 - dabertellisrl@gmail.com


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AZIENDA FONTOLAN: carni di qualità per la spesa sicura

Tutte le fasi di produzione, dalla terra al piatto del consumatore, vengono gestite e controllate in azienda Si sa che la stagione fredda è prepotente, nel senso che pretende i suoi riti e le sue consuetudini, e il consumo di carne è tra queste perché le proteine e i grassi “buoni” aiutano a resistere meglio ai rigori dell’inverno. Insomma la carne fa bene e se è di ottima qualità fa ancora meglio, soprattutto fa bene anche al palato se viene preparata con recette che ne sappiano valorizzarne le peculiarità e ovviamente la tradizione alimentare. Al punto vendita dell’Azienda Fontolan, appunto, oltre ai giusti “tagli” per ogni preparazione si possono trovare ottimi consigli per portare in tavola quella qualità e quell’esperienza che per esempio serve per un ottimo “gran bollito alla padovana”. La ricetta più celebre lasciata ai posteri patavini niente meno che da Galileo Galilei, perché tutti lo conosciamo come astronomo ma era anche un validissimo gastronomo, prevede un quarto di gallina, un bel taglio di scappino o muscolo di spalla, la lingua fresca e l’immancabile cotechino che qui, all’Azienda Fontolan, fanno parte del bancone di servizio insieme al resto dei nobili quarti di sorane e maiali e ai ruspanti di bassa corte, tutti rigorosamente allevati in azienda.

Dieci anni di servizio, cortesia e buoni consigli per portare in tavola carne eccellente preparata nel modo migliore

Natura, cibo, benessere

Si attesta che l’Azienda Agricola Fontolan è socia di Unicarve e aderisce al Disciplinare di Qualità Verificata “Vittellone o Scottona ai cereali”, conforme alla L.R. 12 del 31/05/2001. Si precisa inoltre che il Disciplinare è sottoposto a controllo da parte di CSQA Certificazioni S.r.l. e vigilanza da parte della Regione Veneto.

Per Natale regala la qualità della tua Terra! Tutti gli insaccati sono realizzati con animali allevati in azienda e preparati con ricette tradizionali. Salami, capocolli, pancette e cotechini contengono solo spezie naturali: pepe, sale, aglio e vino rosso, niente conservanti o coloranti. Assolutamente da provare il lardo, stagionato 6 mesi, con sale pepe rosmarino e foglie di salvia e alloro è un prodotto che non può mancare sulle tavole a Natale.

AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN, Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta (PD) Tel 049 5347142 - info@aziendaagricolafontolan.it - www.aziendaagricolafontolan.it


Il Magazine che parla del territorio e dei suoi protagonisti

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CORTI BENEDETTINE, IL PIÙ ANTICO MODELLO DI INDUSTRIA AGRARIA

ATLANTE STORICO della Bassa Padovana, a cura di Francesco Selmin

LA BOSCHETTONA,

SPIAGGIA PADOVANA PATRIMONIO DELL’UNESCO

N. 7 - Novembre 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

N. 5 - Giugno 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

LA BASSA, PAESAGGIO CELESTE NELLE TELE DEI GRANDI MAESTRI

N. 4 - Maggio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

MINACCIA O RISORSA?

N. 3 - Febbraio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

Numero 2 - Dicembre 2013 - Periodico - Distribuzione in abbonamento

Numero 1 - Ottobre 2013 - Periodico - Distribuzione Gratuita

ACQUA:

ARCADIA FELIX SOLO PER IL ROMANTICISMO

GENNAIO E FEBBRAIO

MESI DELL’ACQUA E DEL FUOCO

UN TEMPO SI DICEVA:

“NON CI SONO PIÙ LE MEZZE STAGIONI”

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OGNI STAGIONE HA I SUOI RITI E I SUOI CIBI

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Cappone

tutto il gusto La stagione vuole i suoi riti, soprattutto a tavola, e l’azienda condotta dalla famiglia Scudellaro rivendica l’osservanza scrupolosa della tradizione, è da queste giuste pretese che nasce il piatto perfetto da portare in tavola in occasione delle Feste

Allevati all'’aperto, in grandi spazi recintati, e alimentati con becchime prodotto in azienda

Minimo 9 mesi di vita, l'accrescimento è naturale senza impiego di stimolatori

Macellati e spiumati a mano per evitare di compromettere le qualità delle carni La tradizione vuole che il giovane galletto di circa 2 mesi venga castrato tra il 10-15 di giugno, in modo che abbia così il tempo di essere pronto per il periodo Natalizio, servono circa nove mesi per la sua maturazione, per capire se il cappone è pronto basta guardare lo sperone sopra le quattro dita della zampa: se è molto pronunciato è un animale che ha vissuto a lungo, se è corto il suo accrescimento è stato forzato. Ancora l’usanza prevede venga preparato lessato e

nello stesso brodo si cuociano i tortellini. Sono due le specie allevate all’azienda Antichi Sapori: il “collo nudo”, che raggiunge i 4,5-5 chilogrammi di peso e il Golden Com, più piccolo raggiunge i 3.5 chilogrammi. Quest’ultimo viene allevato anche con il metodo Latte&Miele, negli ultimi due mesi di vita l’alimentazione viene integrata con latte in polvere e miele “Millefiori” dei Colli Euganei.

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Antichi Sapori, della tradizione Il Cappone, campione di sapori e salute

CAPPONE ARROSTO

Il cappone è un gallo che è stato castrato per ottenere un maggior sapore e morbidezza della carne. La macellazione non avviene prima dei 200 giorni di vita quindi le sue carni sono anche molto sapide, succose e gustose, tuttavia il contenuto lipidico è piuttosto basso (3 %) senza la pelle. Ha un buon contenuto proteico, ed è molto digeribile. Il cappone viene solitamente lessato, quindi togliendo il grasso che affiora in superficie durante la cottura si riduce la quantità di grassi. Contiene sodio, potassio, fosforo, magnesio, ferro e selenio e vitamine B1, B2 e PP e solo 110 Kcal per ogni 100 gr di prodotto senza pelle. Trasgredendo all’ortodossia locale, che il cappone lo pretenderebbe lesso, lo proponiamo arrosto come ce lo presenta il patriarca del mangiar bene, Pellegrino Artusi, esaltandone la bontà e al contempo la semplicità perché, se il cappone è ottimo, non servono molti ingredienti.

EVITA DI FARE LA FIGURA DEL POLLO, quello che porta questo marchio è il vero Latte&Miele!

La prima cosa da fare, se avete comprato un cappone intero, è privarlo del collo e delle zampe, quindi pulirlo all’interno e lavarlo. Con il fegato e il ventriglio che troverete nel cappone Antichi sapori prepariamo la farcia, sminuzzandoli a coltello e rosolandoli con un po’ di burro su un fondo di sedano carote a cipolla. Aggiungete un po’ di brandy e flambate leggermente. Aggiustate con sale e pepe bianco, con un po’ di pane grattato impastate il tutto in modo da ottenere una polpetta da inserire nel corpo del nostro pennuto. Se l’impasto risultasse secco aggiungete un po’ di extravergine di oliva. Una volta legato il cappone va fatto rosolare in padella a fiamma viva sempre su un letto di sedano carota e cipolla, la rosolatura su tutti i lati del nostro pennuto renderà dorata la pelle e le sostanze nutritive della carne rimarranno al loro posto. Sale e pepe all’occorrenza. Poi mettete tutto in una teglia e completate la cottura al forno avendo l’accortezza di bagnare di tanto in tanto il nostro cappone con il fondo di cottura. A 170° gradi serviranno dalle due alle tre ore prima di servirlo in tavola.

Tel. 049 5349944 - Fax 049 7383364 - info@scudellaro.it - www.scudellaro.it


LA “MUCCA VERDE”

il caseificio del buon formaggio locale Più di trenta prodotti: dagli stagionati ai freschi e dalle caciotte di diverso tipo fino agli spalmabili, passando attraverso gli erborinati, gli speziati, gli amaricanti e gli “imbriaghi” e arrivare agli yogurt di mucca e bufala, anche da bere Dall’ampia vetrata, che dal punto vendita affaccia direttamente sul laboratorio, è possibile vedere i “mastri casari” lavorare avvolti in spirali di tiepido vapore. Qui arriva solo il miglior vaccino del nostro Veneto mentre il latte di altre specie ha provenienze ancora più specifiche: quello di pecora arriva dai Colli Euganei, quello di bufala da quelli Berici, mentre quello di capra dalla Lessinia, il resto degli ingredienti è arte perché al caglio, sempre naturale, si aggiunge solo l’esperienza, codificata in formule genuine che di volta in volta porta a risultati differenti fino a produrre le trenta referenze con le quali ogni giorno viene allestito il bancone di vendita. Dagli stagionati di diverse consistenze ai freschi

e dalle caciotte di diverso tipo fino agli spalmabili, passando attraverso gli erborinati, speziati, amaricanti e “imbriaghi”, la scelta è vastissima e si accompagna agli yogurt, sempre artigianali, di mucca e bufala, anche da bere. Un vero miracolo della natura! È inutile chiedere se il formaggio è fresco perché la produzione è lì, avviene “in diretta”. Niente segreti, dunque, per quanto riguarda gli ingredienti, qualche riserva in più è consentita sulla stagionatura, ma solo perché fa parte di quei segreti del mestiere che garantiscono l’unicità del prodotto. Una parte viene stagionata sull’Altipiano durante il periodo estivo fino alla prima neve.

DA NON PERDERE! Sabato 23 gennaio 2016

Un corso sull’arte casearia. A tenere la lezione sarà il celebre Michele Grassi, esperto di tecnologia casearia, premio Grolla d’Oro 2009 per il miglior formaggio di malga a pasta molle e autore di Aroma, un viaggio sensoriale alla scoperta dei formaggi D.O.P. italiani. Seguirà una degustazione dei prodotti del caseificio. Per ulteriori informazioni www.caseificiomuccaverde.com e per le prenotazioni: 0429 82324 CASEIFICIO MUCCA VERDE Via del Lavoro Nord 371 - 35040 Urbana (Pd)


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UNA LINEA DI FORMAGGI pensati per la stagione fredda

A unire le forme dei formaggi, che per tipologia sono diversi, è il luogo della stagionatura: una malga sull’Altopiano di Asiago dove riposano per il periodo estivo fino alla prima neve. • MONTE EZZELINO: un formaggio di latte vaccino, lavorato a latte crudo stagionato per circa 240 giorni. Ha pasta occhiata e asciutta dal colore bianco/paglierino. Molto saporito, ha un retrogusto di erbe che si abbina perfettamente a diversi tipi di mostarde o al miele di castagno • NOVECENTO: Anche questo è un formaggio di latte vaccino ma la lavorazione riprende una “ricetta” dei primi anni del secolo scorso che prevede l’uso del caglio di capretto. La pasta è compatta e leggermente acidula. • BASTARDINO ALLA CERA D’API: Formaggio di latte vaccino, lavorato a latte crudo o pastorizzato, stagionato minimo 180 giorni. Ha pasta saporita e corposa, leggermente occhiata, dal colore bianco/paglierino. Ha un profumo aromatico che ben si sposa con le mostarde di frutta. La stessa versione viene fatta anche ricoprendo la crosta con cera d’api che ne protegge la stagionatura conferendo pure leggeri sentori di miele aromatico. • CACIOTTA MISTO PECORA: Formaggio prodotto impiegando latte vaccino e di pecora pastorizzati. La pasta è compatta e di colore paglierino, il sapore varia in base alla stagionatura che può durare anche 5-6 mesi, in quest’ultimo caso diventa molto saporito.

L’AZIENDA

Il primo giorno di lavoro Benvenuto Tognetti raccolse 70 litri di latte dalle stalle del territorio. Nessuno quel giorno avrebbe scommesso che su quella modesta cisterna si sarebbero poste le basi per un’attività longeva e remunerativa nel settore della raccolta e della commercializzazione del latte locale. Eppure quei 70 litri ben presto divennero 7.000, portando pure alla necessità di creare quelle strutture necessarie per lo stoccaggio, la conservazione della materia prima e ovviamente le prime strategie di mercato per continuare una proficua vendita. Così, uno dopo l’altro, arrivarono i primi spacci, i primi litri nel contenitore di cartone marchiati “Commerlat, il buon latte delle nostre stalle…” da vendere sempre “porta a porta” e le basi di una Cooperazione lattiero casearia con le cooperative del Veneto. I soci da alcune decine arrivarono al migliaio in poco tempo e con il loro numero tornò a crescere l’esigenza di stabilimenti e attrezzature proporzionate al volume di lavoro. Ma non era ancora tutto, agli inizi degli anni ’90 a fianco del consolidato sistema per la raccolta a la commercializzazione del latte iniziò a prendere forma l’idea di produrre in cooperativa anche il formaggio, un modo - si pensava al tempo con lucida lungimiranza - per accorciare la filiera e produrre secondo i criteri della qualità. Un’idea che tuttavia dovette scontrarsi con altre scelte nate come esigenza all’interno della Cooperativa e per un certo periodo rimase chiusa nel “cassetto dei sogni”. Il cassetto finalmente venne aperto con i primi anni Duemila e con il 2012 a Urbana ha preso il via il mini-caseificio, ossia la nuova stagione del latte locale, lavorato in modo del tutto artigianale, sempre freschissimo e decisamente a chilometri zero.

Tel. 0429 82324 - lacoopagrveneta@libero.it - www.caseificiomuccaverde.com


STAGIONI DI TRANSITO di Luana Deiana

La pecora,

DAMNATIO MEMOROIAE FINITA,

è tempo di riammetterla a tavola Per storia e in termini di popolarità, il mansueto ovino dovrebbe stare a fianco del più celebrato maiale, non solo sul presepe. Produttori e ristoratori ne ripropongono il sapore in tavola

F

a riflettere quando, parlando con i più piccini, ci si rende conto di quanto ormai, il riferirsi ad animali, un dì considerati comuni e quasi ‘familiari’, li veda estremamente curiosi; al punto che il trattare di maiali, oche e pecore, risulti spesso per loro lontano quasi quanto riferirsi a orsi o rinoceronti. Eppure, non risale a troppo tempo addietro, quando, periodicamente, e specialmente per le vie dei paesi di provincia, era usuale imbattersi in greggi di ovini che lenti e composti erano guidati da pazienti pastori per la stagiona-

le transumanza. Così vien da chiedersi, dove sono spariti? Animali, passati a popolare un simbolismo comune forgiato da una narrativa biblica, mitica e favoleggiante, che li ritrae come placidi esseri, quando addirittura, soffici ‘batuffoli’ somiglianti a ‘nuvolette’ da potersi scorgere, ormai con sicurezza, solo tra le ingiallite e stantie statuine protagoniste di presepi natalizi, spesso datati e consunti?! In realtà, facendo qualche indagine, ed attingendo alla memoria breve di conoscenti più ferrati in materia, si scopre come le greggi non siano esclusiva dei litorali abruzzesi descritti anche dalle rime dannunziane (come nella poesia “I pastori”), il quale nel primo novecento ne riferiva quali nostalgiche rappresentanti di una Arcadia a tinte pastello ormai perduta; le pecore sono state vive protagoniste anche del nostro Nordest, e a tutt’oggi, benché in minor quantità, vengono riconosciute quale attiva e valida alternativa ai maggiormente usuali suini, ad esempio, anche in tavola. Eh già, perché è bene ricordarsi, senza volerli importunare troppo, dei mercanti bizantini che dalla


STAGIONI DI TRANSITO Dalmazia, a inizio ‘600, furono unici pietosi compagni dei vessati veneziani, quando sopraffatti dalla peste essi riuscirono ad allentare i serenissimi morsi della fame, grazie alle essiccate carni di montone, le quali, benché un tantino alleggerite nel sapore, sono ancora oggi protagoniste della cucina tradizionale veneziana, con piatti come la “Castradina”, ad esempio, proprio a ricordo del passato, nonché in occasione appunto della “Festa della Madonna della Salute”, preparati nella settimana del 21 novembre. Così, tornando ad aree di nostro più diretto interesse, ma proseguendo con l’orgogliosa “rivalsa” della pecora, tornata in auge dopo un periodo ombroso, in cui oche e maiali sembravano averla relegata ai polverosi camerini del teatro culinario della Bassa Padovana, d’obbligo risulta l’accennare, per esempio, ai tre fraPecore in riva all’adige telli Morandi. Essi, quali tenaci messaggeri della bontà delle carni ovine, sono infatti la terza generazione e attento Cristiano Agostini, ancora è presente queldi una famiglia di allevatori che, partendo dall’Appenlo di “Risi in cavroman”. Di chiara ispirazione levantinino emiliano, attraversando l’area del ferrarese, hanna, questa pietanza riesce ad unire ad uno dei piatti no infine stanziato i pascoli delle loro ovine greggi tipici veneti, quale è indubbiamente il riso, il sapore nelle campagne della zona di Anguillara, lungo le della polpa di agnellone, scelta al posto, benché a rive dell’Adige, al limitar del confine con il rodigino. svelato richiamo, della tradizionale carne di montone, Dove bene riescono nell’alledal troppo prepotente I Veneziani sopraffatti vamento delle proprie pecogusto, così da rendere dalla peste del 1630 riuscirono re, così da proporre prodotti meno marcato il sapore validi e di gusto che, ai già ad allentare i morsi della fame grazie di “selvatico”, altrettanto alle carni essiccate di montone. considerati formaggi, agtipico per la carne degiungono vari saporiti affetLa “Castradina” da allora divenne gli ovini quando adulti. tati, rigorosamente sempre di Il tutto, nella sapiente il piatto tradizionale per la pecora, come ad esempio il “Festa della Madonna della Salute”, abbondanza di aromi, “Fiocco”, assai gradito anche viene quindi profumato il 21 novembre dai più restii, ancora tradizioanche da odori tra i quali nalmente legati ai sapori del suino. Per arrivare infine rimangono, secondo tradizione, i chiodi di garofano e alla appetitosa proposta che giunge dalle abili cucine la cannella, il tutto naturalmente annaffiato da sapodella “Trattoria La Famiglia” degli Agostini, in quel di rito brodo e accompagnato magari dal giusto vinello. Correzzola, dove tra i primi piatti preparati dal capace

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INSACCATI DI PECORA:

dalle rive dell’Adige un prodotto giovane, anzi antico I migliori tagli nobili delle pecore allevate al pascolo come un tempo, lungo gli argini del grande fiume, il sapiente impiego di ricette antiche e tanta attenzione per la stagionatura. Nasce così la linea di insaccati realizzati dal Centro Veneto Ovini di Anguillara Veneta per portare a tavola sapori antichi, ma rivisti in chiave moderna. Prodotti ottimi per qualsiasi circostanza: dallo spuntino veloce alla cena in cui servire piatti ricercati.

PROSCIUTTO

LONZINO, FIOCCO E FIOCCHETTO

Solo le migliori cosce di pecora possono diventare un prosciutto. La carne salata e insaporita con erbe aromatiche viene fatta stagionare dai 90 ai 120 giorni. Il risultato è un prodotto ricco di profumi e dal sapore intenso

Rispettivamente dalla lonza e dal fiocco di coscia di pecora si ottengono tagli che vengono salati, speziati e stagionati con calma, in modo naturale, rispettando i giusti tempi che servono ai profumi e ai sapori per diventare intensi

SELLA Il taglio di spalla della pecora dopo un processo di salatura e speziatura che dura una ventina di giorni viene fatto asciugare per 15 giorni circa

SALAMI, SALAMELLE E SOPPRESSA I salami vengono preparati con il 60% di carne di pecora e il 40% di pancetta di maiale. Dopo la macinatura e la speziatura, con sale, pepe e vino rosso, l’impasto viene insaccato in un budello naturale. Segue un’asciugatura di otto giorni e una stagionatura che arriva ai 60 giorni. ALLEVAMENTO VENETO OVINI Via Porcaro, 1 - 35022 Anguillara Veneta (PD) • Tel. 347 0326458 • info@veneto-ovini.com • www.veneto-ovini.com



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MEZZODÌ AL LAZZARO 1915 Zuppa di cipolla bruciata e sgombro tostato agli agrumi oppure Uovo fondente impanato, acciuga dolce e crescione, fiocco di culatello del Podere Cadassa Pasta in “bianco” con fiori di zucchina e cacciocavallo oppure Stinco di maiale con crema di fagiolini, peperone alla citronella Un calice di vino, acqua, caffè 25,00 euro ISTANTANEE D’ACQUA tonno al fumo di abete, pompelmo rosa ed uovo marinato taglierino di solo tuorlo con bottarga di tonno rosso tonno bianco essiccato ed il suo ristretto alle olive tostate tataki di toro di tonno al whisky torbato, orto d’autunno croccante maionese al rafano roquefort con mora al sambuco panna cotta, rabarbaro e zucca Menu completo escluse bevande e vini 40 euro

LAZZARO 1915 SOLO UNA LUNGA STORIA PUÒ SPIEGARE UN PO’ DI TRADIZIONE…

Cento anni di ristorazione in continua evoluzione

Lazzaro1915 è, oggi, un ristorantino accogliente e familiare, che propone una cucina decisamente internazionale. Il talento di Piergiorgio Siviero, chef e patron insieme alla sorella Daniela, si fonde, nel centenario ristorante di famiglia, con la tradizione della cucina del territorio: carni rare come quella dell’oca, il baccalà, ma anche il nero di seppia sono ingredienti che Piergiorgio rielabora, creando piatti originali e d’avanguardia. Qualità, ricerca, tecnologia: sono questi gli strumenti della professione dello chef contemporaneo che, per Lazzaro1915 si applicano solo su materie prime di altissima qualità, preferibilmente a KM0 e di produzione artigianale. Ambiente confortevole e servizio informale e curato sono l’adeguata cornice a pranzi e cene, che da Lazzaro1915 si trasformano in indimenticabili esperienze gustative! NEL MENÙ Piergiorgio e Daniela Siviero propongono a pranzo

DEGUSTAZIONE D’OCA Bacio di dama alla bietola con cremoso d’oca affumicata e nocciola Royale di foie gras e coscia d’oca Battuta marinata al latte e caffè con giardiniera di peperoni cornetto Cappelli con parmigiano liquido solo di Bruna, prosciutto d’oca di nostra produzione Il petto cotto “in onto” e profumato alle noci di cola, erbe amare, chutney di fichi bianchi Melograno Uovo d’oca al tegamino con tartufo (spuma di patata ‘merica, sorbetto di zucca,brownies di cioccolato fondente e strutto d’oca) 50,00 euro

e a cena una ricca scelta di piatti alla carta, di carne e pesce, verdure ed erbette, selezionati in funzione della loro stagionalità. Al di fuori della carta il cliente può scegliere tra un menù degustazione, le “Istantanee” della filosofia di cucina di Lazzaro1915, e il menù del centenario, chiamato “Istantanee d’acqua”, che include una selezione di piatti in cui l’acqua è, per varie ragioni, protagonista. Per tutto il mese di novembre, inoltre, è disponibile “Il menù dell’Oca di San Martino”. IN CANTINA Daniela, in sala, provvederà con piacere ad abbinare il giusto vino ai piatti scelti, privilegiando le piccole produzioni, italiane o francesi, e i vini naturali.

Piergiorgio Siviero, una lunga esperienza nelle cucine di mezzo mondo. La Guida de L’Espresso 2016 colloca il ristorante condotto da lui e dalla sorella Daniela tra i migliori 25 del Veneto

Lazzaro 1915 via Roma 351 - Pontelongo - Tel. 049 9775072 - ristorante@lazzaro1915.it - www.lazzaro1915.it


IL PANORAMA GASTRONOMICO di Renato Malaman

GRAZIE Nouvelle Cuisine

Il movimento si presentò in Francia nel 1973 stravolgendo le regole dello stile in cucina e attirando su di sè aspre critiche. In realtà, dobbiamo alle novità che ha introdotto se oggi i nostri piatti sono più leggeri, più belli e più ricchi di prodotti freschi e di qualità

Q

uante volte l’abbiamo criticata la Nouvelle Cuisine! Spesso persino sbeffeggiandola per quella sua presunzione accademica di dettare le regole, senza poi mantenere la promessa di portare sul piatto qualcosa di buono e soprattutto di sostanzioso. Sì, perché nell’immaginario collettivo Nouvelle Cuisine, movimento nato in Francia nel 1973 grazie alle intuizioni dei critici enogastronomici Henri Gault e Christian Millau (quelli dell’omonima guida, seconda al mondo per notorietà solo alla Michelin), già negli anni Ottanta è diventata sinonimo di porzioni piccole in piatti smisurati. In realtà la vera rivoluzione delle nostre abitudini alimentari è iniziata proprio da lì, dalla tanto vituperata Nouvelle Cuisine. Che ha in-

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IL PANORAMA GASTRONOMICO In soli quarant’anni sono state rivoluzionate le nostre abitudini alimentari I cibi guardano di più al territorio e a cotture rispettose dei gusti delle materie prime

trodotto in cucina concetti e stili nuovi. Quello della leggerezza innanzitutto, ma anche la tendenza ad utilizzare prodotti freschi e di qualità, cotti a bassa temperatura (meglio se al vapore) e poi composti nel piatto con gusto estetico. Valori a cui tutti noi oggi siamo più attenti. Vuoi per la necessità di nutrirci con maggiore equilibrio salvaguardando in tal modo anche la nostra salute (e questo ormai l’abbiamo capito senza aspettare che ce lo raccomandino il dietologo o il nutrizionista), ma anche nell’ottica di una valorizzazione dei prodotti del territorio, quella stessa che in tempi più recenti ha portato all’affermazione della filosofia del prodotto a “chilometri zero”. Modificando anche le tecniche di cottura: oggi più attente ed evolute per la necessità di rispettare il gusto originario dei prodotti utilizzati. Anche la cura dell’estetica del piatto non è un cedimento alle mode, ma semplicemente un modo per riconoscere che anche l’occhio vuole la sua parte. È lo stesso motivo per cui oggi una pietanza grassa, anche una semplice minestra con gli “occhi” di grasso galleggianti, ci fa esclamare inorriditi “vade retro”. Scomodiamo la Nouvelle Cuisine perché è la madre di tutte le rivoluzioni gastronomiche e dei nostri comportamenti a tavola. Persino le più recenti tendenze, come la cucina vegana (o la vegetariana affermatasi qualche anno prima), sono figlie, anzi nipoti, del cambiamento di natura culturale iniziato con la Nouvelle Cuisine francese. Un cambiamento che, se all’inizio interessava solamente un’avanguardia di esperti gourmet, oggi coinvolge un pubblico sempre più vasto. E sempre più consapevole che mangiare meno, man-

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giare più leggero e più sano, utilizzando in prevalenza prodotti freschi di mercato, contribuisce a migliorare la qualità della vita e a tutelare arterie e cuore. Prevenendo non solo l’obesità ma anche le conseguenti patologie dell’apparato cardiocircolatorio che in Europa costituiscono la prima causa di morte (uccidono ogni anno 9 milioni di persone prima dei 60 anni). In Italia abbiamo avuto una grande fortuna negli anni Ottanta. L’affermarsi della Nouvelle Cuisine ha scatenato per reazione uno scatto d’orgoglio. Quello che ha stimolato il recupero dei valori della cucina regionale. Un’operazione di scavo anche culturale che in ogni territorio ha riservato delle belle sorprese, perché accanto alle ricette della nonna e quindi alle tradizioni di un territorio sono stati valorizzati dei prodotti dimenticati. I grandi cuochi di quel periodo, alcuni dei quali ancora in attività come Nadia Santini, lo stesso Gualtiero Marchesi per quanto a fine carriera, Igles Corelli, Alfonso Iaccarino, hanno contribuito a portare questo recupero alla ribalta del mondo, dando un risalto straordinario alla cucina regionale Made in Italy. Giusto ricordare anche chi non c’è più, come Paracucchi, Cosetti, Godio, Colombani… Ma che riflessi hanno oggi questi grandi cambiamenti nelle


IL PANORAMA GASTRONOMICO nostre tavole, sempre più minacciate dal fast food, dai cibi surgelati, da certo street food di infima qualità? Li hanno eccome, perché il consumatore è sempre più consapevole che mangiare bene non significa mangiare tanto (il concetto di opulenza era giustificato una volta quando un’intera generazione di italiani aveva sofferto la fame durante la guerra), ma mangiare il giusto. Possibilmente piatti equilibrati, più ricchi di verdure e di fibre e meno di grassi. Carboidrati e proteine sono entrati nel lessico comune perché quasi tutti sanno che condizionano gli esami del sangue e quindi se si vogliono evitare brutte sorprese è meglio prevenire. Il grande successo del “vegan”, cucina che ha eliminato dal piatto tutto ciò che è di origine aniMichel Guérard, pioniere della Nouvelle Cuisine male (persino le uova e i formaggi) si deve anche a e maestro di Max Alajmo questa aumentata attenzione verso il mangiare sano. disce questo genere di creazioni è animata dalla voPersino le associazioni di categoria spingono in queglia di provarle, se non altro per un approfondimento sta direzione. La Camera di Commercio di Padova e culturale. Stesso discorso per la cucina per i celiaci l’Appe, coinvolgendo una quarantina di ristoranti pao persone affette da altre intolleranze alimentari. I ridovani della tradizione, lo scorso anno hanno curato storanti stanno tenendo conto nei loro menu anche la pubblicazione di un volume di ricette ispirate alla creatività vegetariana. E sono Il successo del “vegan” nasce delle esigenze di chi non può permettersi certi ingredienti o sempre di più i ristoranti (tra di dall’esigenza di salvaguardare certi piatti. Un atteggiamento loro persino qualche stellato) sempre di più la salute come etico lodevole. Insomma, il che presentano un menu dedicato ai piatti “vegan”, con- del resto l’attenzione alle quantità nostro modo di mangiare sta cambiando, si sta evolvendo. vinti di interpretare le aspettae alla tutela di chi soffre Guarda di più alla sostanza (in tive della clientela più evoluta. di intolleranze alimentari questo caso alla salute) che Quella che se anche non granon alle mode o a certa tradizione negativa in termini di valori nutrizionali. Semmai concedendosi solo episodiche trasgressioni (che persino i nutrizionisti consigliano, per non andare in paranoia) in occasioni di riti sacri e profani. Tipo il pranzo di Natale o il cenone di San Silvestro, che non sono immaginabili senza la ricchezza e la “grassezza” dei menu della tradizione, ma anche l’immancabile cena degli “ossi de mas-cio” che chiude alla grande il rito dell’uccisione del maiale e della preparazione di salami e “musetti”. Tutto va preso con misura. L’abbiamo capito: dalla nostra alimentazione dipende la nostra salute e sono sempre meno quelli che vogliono rischiare patologie gravi per un capriccio di gola. Una rivoluzione che è ancora in corso e potrebbe generare ulteriori cambiamenti. Quello di doversi arrendere a mangiare insetti iperproteici (in Francia e Germania esistono già allevamenti di grilli, cavallette e lombrichi a scopo alimentare), vista la progressiva difficoltà di assicurare cibo per tutti nel pianeta, per fortuna sembra ancora lontana. Quindi anche per questo Natale concediamoci senza patemi un bel cappone farcito o un capitone in umido… La dieta può attendere.

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antica trattoria da

TAPARO all’oca la sua carta e per Natale un menù d’elezione

Un locale che unisce, in un’atmosfera calda e rilassante, i piatti della tradizione più schietta a proposte gastronomiche raffinate e interpretate con una creatività sempre nuova La stagione fredda assume forme e riti che vanno cercate proprio all’interno dei ristoranti, perché non c’è posto più adatto di una cucina per rispondere alle rigidità invernali e trovare quella convivialità che rende magica un’atmosfera, magari proprio quella natalizia che ormai incombe dalle pagine del calendario. L’antica trattoria da Taparo è il luogo perfetto per trovare quel preciso contrappunto tra gli scorci del paesaggio collinare e i sapori che a buon diritto appartengono allo stesso panorama. Qui è ancora possibile alzarsi da tavola con una sensazione di festa, conquistati da quello che non è stato solo un pasto, ma un’esperienza. Un locale che unisce, in un’atmosfera calda e rilassante i piatti della tradizione più schietta a proposte gastronomiche raffinate e interpretate con una creatività sempre nuova. Così anche la tradizionale oca trova una nuova livrea, una leggerezza inusitata che tuttavia non toglie nulla al sapore delicato delle sue carni, grazie a cuochi che le usano la premura di “scamiciarla” per poi sottoporla a cotture pro-

lungate a bassa temperatura. È appunto in questo modo che anche il corputo pennuto si fa morbido prosciutto da servire con sedano e mele, saporito boccone nel ripieno di tortellini confezionati a mano e profumata tagliata accompagnata da olive per coprire, in un menù a lei esclusivamente dedicato, le posizioni che vanno dall’antipasto al secondo di gran rango. Menù nel quale la precedenza viene accordata anche ai contorni di stagione, come il radicchio tardivo, le biete coste o i carciofi che ben si accompagnano ai piatti a base di carne, come il “gran bollito alla padovana”, senza dimenticare che all’Antica trattoria da Taparo anche il pesce ha la sua bella “carta”. Le specialità del mare, infatti, sono comprimarie di pietanze rituali nel menù dedicato al Natale, perché fa parte della classe di questo storico locale trovare sempre il perfetto compromesso tra i sapori che provengono dal territorio collinare con quelli dell’altrettanto nostrana laguna, magari con una magica liaison che proviene dalla fornitissima cantina.

Qui è ancora possibile alzarsi da tavola con una sensazione di festa, conquistati da quello che non è stato solo un pasto, ma un’esperienza

Menù del Natale: sapori, magica atmosfera e scarpe di vernice

• Antipasti •

• Secondi piatti •

Involtino di salmone affumicato, Flan di carciofi Crocchetta di baccalà mantecato

Filetto di Branzino in crosta di noci. Spuma di mandorle e broccoli

• Primi piatti •

• Sorbetto •

Risotto mantecato al frutto della passione, scampi e mazzancolle Bignè gratinati alla crema di tartufo con taleggio e sfilacci di fagiano

Il bollito misto alla Padovana, con purè di patate e radicchio brasato

• Dessert • Cialda di castagne con crema al Marron Glacé Caffè e liquori della distilleria Luxardo

Dalla Cantina: Pinot Bianco Colli Euganei 2014 Vignalta, Rosso Colli Euganei 2010 Vignalta, Spumante Fior d’Arancio ANTICA TRATTORIA TAPARO Via Castelletto, 49 • 35038 Torreglia (PD) • Tel. 049 5212131 www.taparo.it • info@taparo.it • facebook: Antica Trattoria da Taparo


Ricetta Veneta Valori gastronomici italiani che nascono dall’amore e la passione per i buoni prodotti di una terra generosa

Lavoriamo secondo la tradizione tramandata da secoli

Utilizziamo suini nati e cresciuti esclusivamente nella pianura padana

Riduciamo l’impatto della nostra attività sull’ambiente circostante


CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA di Francesca Antonucci

Il brodo:

IL PIATTO CALDO CHE RISCALDA E CURA Nella sua semplicità è sempre una pietanza piacevole e profumata che riscalda e aiuta a curare qualche malanno tipico dell’inverno. Grazie alla gran quantità peptidi e alla buona concentrazione di acido linoleico coniugato, il brodo ha un’importante azione stimolante sulla risposta immunitaria

L’

autunno quest’anno è arrivato un po’in punta piedi: le belle giornate hanno ceduto il passo lentamente al rigore dell’inverno. Nonostante ciò già in questi primi giorni di novembre al mattino e soprattutto la sera le temperature sono un po’ più rigide e mi hanno fatto venir voglia di “cucina invernale” e di brodo! Nella sua semplicità il brodo di carne o di verdure è sempre una pietanza piacevole e profumata che riscalda e aiuta a curare qualche malanno tipico dell’inverno oltre ad essere la base d’eccellenza per qualche piatto tipico come la pearà per accompagnare il bollito. Secondo alcune ricerche la preparazione del brodo è stata ideata per estrarre durante la cottura in acqua della carne e dei vegetali sostanze particolari e dalle note o presupposte proprietà benefiche.

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Comunque sia nato questo alimento ha un potere corroborante e qualità benefiche differenti a seconda della sua origine. IL BRODO DI CARNE Il brodo di carne è l’alimento tradizionalmente ottenuto dalla bollitura in acqua di carne di manzo e gallina o cappone interi e semplicemente puliti e privati delle interiora. Per quanto riguarda la carne di manzo, invece, le parti più adatte alla preparazione del brodo sono il doppione, il muscolo, la pancia, il girello o la coda. Tutta la carne va posta in una capiente pentola con i bordi altri, coperta con abbondante acqua fredda e quindi portata lentamente ad ebollizione. Durante questa fase affiorano sulla superficie dell’acqua schiuma ed impurità: è necessario rimuoverle co-


CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA stantemente con l’aiuto di una schiumarola. Una volta ottenuto un brodo limpido si aggiungono una cipolla, un paio di carote ed un gambo di sedano: il tutto va lasciato lentamente sobbollire per un paio di ore prima di procedere ad un accurato filtraggio con il tipico colino conico. Questo passaggio non rimuove tutto il grasso, per farlo è necessario utilizzare un mestolo forato. Per favorire l’affioramento del grasso serve lasciare raffreddare il brodo in un ambiente fresco (fuori dalla finestra va benissimo!): in questa condizione il grasso forma una patina compatta in superficie ed è più semplice rimuoverla. Secondo le ricerche le qualità corroboranti del brodo di carne sono da attribuirsi alla gran quantità di peptidi, brevi catene di amminoacidi, e alla buona concentrazione di acido linoleico coniugato: questi componenti nutrizionali del brodo hanno una azione stimolante sulla risposta immunitaria ed inoltre favoriscono il processo digestivo. Quest’ultima proprietà del brodo, tuttavia, è già in gran parte assolta dalla temperatura in cui viene servito e consumato. L’aroma e le qualità nutrizionali del brodo di carne possono essere aumentate aggiungendo agli ingredienti anche un osso di bovino. Durante la lessatura quest’ultimo rilascia sostanze grasse e lecitine, molecole attive nel controllo della concentrazione del colesterolo nel sangue. Da non trascurare nemmeno

La pearà LA SALSA DI PANE CHE SERVE PER ACCOMPAGNARE IL GRAN BOLLITO

l’apporto di calcio solubile che viene rilasciato durante la cottura della componente spugnosa dell’osso. IL BRODO DI VERDURA, MINIERA DI SALUTE Il brodo vegetale è l’altra medaglia della stessa ricetta: è un alimento base che si prepara con sole verdure e che per la facilità di preparazione si può “fare con quel che si ha”. La regola principale è quella di scegliere verdure di stagione che, per il naturale grado di maturazione appena raggiunto, sono più ricche di sali minerali e fibre fresche. Le verdure scelte devono essere poste in acqua fredda e portate velocemente ad ebollizione: la cottura andrà poi proseguita lentamente per un paio di ore. Una attenta scelta delle verdure e l’aggiunta di qualche erba aromatica o di una foglia di alloro in cottura consente di ottenere un brodo saporito e sufficientemente sapido senza l’aggiunta diretta di sale. Un piccolo accorgimento per la salute senza rinunciare al gusto. Il brodo vegetale è una naturale riserva di sali minerali, di carotenoidi antiossidanti e di fibre alimentari solubili che contribuiscono a diminuire il colesterolo LDL e totale e mantenere regolare l’attività intestinale. Le cipolle, le carote e le patate sono tra le verdure più ricche di fibre solubili: ecco perché non dovrebbero mai mancare in un buon brodo vegetale.

Ingredienti per 4 persone: Il brodo è nella tradizione veneta la base per la preparazione di uno dei piatti tipici dell’inverno: la pearà, la salsa “di pane” che serve per accompagnare il lesso misto. • 100 g di pangrattato • 80 g di midollo di manzo o vitellone • 800 ml circa di brodo di carne • pepe Fate scaldare il brodo quindi ponete il midollo in un tegame, preferibilmente di coccio e fatelo sciogliere a fuoco basso. Al midollo fuso unite il brodo caldo e dopo qualche minuto il pangrattato: mescolate bene per far amalgamare gli ingredienti. Fate bollire molto lentamente per almeno 1 ora, quindi servite la pearà calda con il pepe. Una porzione di pearà è una ricca fonte di carboidrati, e sostituisce in un pasto il primo piatto. Mangiare bene deve essere anche sapere come mangiare sano pertanto un piatto di lesso con la pearà dovrebbe essere un’unica portata accompagnata solo con un contorno di verdure fresche di stagione.

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Ristoratori veramente ospitali e decisamente anticipatori di quell’intelligente predilezione di portare in tavola soltanto la qualità e tutte quelle eccellenze che rappresentano per storia e tradizione il territorio, per l’arrivo delle Feste Natalizie offrono un’atmosfera calda e ovviamente il piacere del buon cibo

DA NON PERDERE la serata dedicata al

“Gran

Bollito alla Padovana”

Venerdì 27 novembre usciranno, dalla cucina, uno dopo l’altro i piatti dedicati al gran pentolone con gallina, cotechino, lingua e un bel pezzo di manzo. Si partirà con i classici tagliolini in brodo che divideranno il posto dei primi con un altrettanto classico risotto, poi sarà la volta del gran protagonista patavino della serata accompagnato dall’immancabile scaligera “pearà”, perché la città murata si colloca giusto lì-lì dove Padova non è già più Padova e Verona non è ancora Verona, e dunque è d’obbligo l’osservanza di entrambe le tradizioni. Chiuderà la serata la Fugassa di Donna Laura, che la ricetta di casa vuole preparata con pane raffermo, farina gialla, mele, noci, uvetta sultanina e cedrini, accompagnata con crema di mele cotogne.

Per chi avvertisse nella stagione fredda il bisogno che porta a luoghi intimi, alla ricerca di un’atmosfera calda e avvolgente il posto giusto è l’Hostaria San Benedetto a Montagnana. Perché qui l’ospitalità bolle in pentola insieme ai prodotti di stagione, creando quelle suggestioni attraverso le quali ci rendiamo conto che il tempo non scorre sempre in silenzio. Anzi ogni staGianni, Laura e Federico Rugolotto da più gione ha i suoi riti, i suoi sapori e i di trent’anni ospitali padroni di casa della suoi colori e soprattutto a tavola il rinomata Hostaria San Benedetto rispetto di questa ortodossia è un valore assoluto che nella cucina di via Andronalecca viene tenuto in gran considerazione. Con le pagine del calendario, infatti, cambiano anche i piatti del menù, contemplando tradizione e meteorologia. Così nei giorni di freddo pungente che cosa c’è di meglio di una saporita zuppa fumante? O della cordialità che le minestre maritate sanno esprimere a certe temperature? O ancora un bel piatto di tortellini fatti in casa e perché no: un gran bollito alla padovana, magari accompagnato da salse e mostardine sempre e rigorosamente nostrane? Nostrane, certo, e non potrebbe essere diversamente, visto che il locale è un Presidio Slow Food che da albergo a tipicità locali come la “gallina padovana”, il “Monte Veronese” o il “Botìro di Primiero di Malga”, con il quale vengono impreziositi gli gnocchi dolci, con zucchero e cannella, ottimi in ogni stagione. A proposito di dolci, non andrebbero trascurati i dessert, perché anche questi sono di produzione propria, e non andrebbe trascurata la cantina, dove a fianco delle bottiglie di grande prestigio riposano i vini dei vicini Colli: passiti e spumanti, perfetti in mille abbinamenti e per il cincin delle Feste importanti.

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il

TORTELL AIO MATTO

Pasta fresca fatta a mano come Dio comanda “Solo usando le mani si può sentire la giusta umidità e il livello di elasticità della sfoglia, è con il calore delle mani dell’uomo che la pasta diventa speciale” Come non ricordare con nostalgia la pasta che la nonna

infatti, è la qualità dei prodotti impiegati, l’esperienza ma-

preparava in casa. Il ritmici e poderosi gesti delle mani che

turata nel settore della pastificazione, (con una formazione

allungavano e contraevano l’elastico panetto giallo e poi il

alberghiera e una carriera iniziata nelle migliori strutture

rullare del mattarello accompagnato dai veloci scatti delle

del Nord Italia della pastificazione) e l’immensa passione

mani che accarezzavano e allungavano la sfoglia sul dor-

con la quale cercano la massima soddisfazione dei loro

so del liscio bastone. Anche il taglio era un capolavoro di

clienti. Le farine e le semole impiegate sono solo quelle

precisione: un ritmo, un ticchettio inesorabile del coltello

del Mulino Quaglia, compresa la preziosa “Petra”, amal-

che ad ogni affondo consegnava alla spianta con la farina nastri perfetti, tutti della stessa larghezza, a prescindere si trattasse di fettuccine o tagliatelle. La pasta fatta in

Il Tortellaio Matto lavora per ristoranti, attività alimentari e famiglie. L’attenzione e la cura è sempre la stessa sia nella produzione per le grandi forniture che per le piccole

gamate esclusivamente con uova fresche, i brick e le uova liofilizzate volentieri qui vengono

lasciate

all’industria,

e poi è l’arte dell’impastare, solo piccole e medie porzioni

casa era davvero un’altra cosa, a quel sapore e a quella

in modo da poter gestire quella robustezza e quell’elasti-

consistenza bisognerebbe rassegnarsi se non fosse che

cità che fa la differenza dopo la cottura. Insomma un pro-

al “Tortellaio Matto” di Boara Piasani, la pasta viene fatta

dotto creato “su misura” per i ristoranti, con forniture già

ancora così. Anzi meglio perché l’attenta selezione delle

porzionate e paste ripiene pastorizzate per gestire meglio

materie prime e l’impiego delle diverse farine con le qua-

le scadenze, e per le famiglie, perché qui ogni ricetta trova

li Sara e Samuele Frigato realizzano le loro paste, nonna

l’entusiasmo per il gusto della tradizione e la certezza del

non la faceva. Il segreto di questo pastificio artigianale,

prodotto fresco.

IL TORTELLAIO MATTO Sas via I Maggio, 57 - Boara Piasani - Cell. 345 1060541


PASTE RIPIENE Le paste ripiene sono il cavallo di battaglia del Tortellaio Matto, la lavorazione avviene tutta a mano e i ripieni vengono realizzati solo con materie prime fresche e di stagione. Nascono così le preparazioni al radicchio e Asiago, zucca e amaretti, pere e Gorgonzola, baccalà, fichi e caprino, cavolo nero e patate, crema di formaggio Piave e molte altre specialità da provare e riprovare, facili da portare in tavola con successo perché se il tortellino è già ottimo sarà semplice renderlo speciale! Pasta ripiena • Tortellini • Cappellacci • Tortelloni • Caramelle La Specialità di Natale sarà il Tortello ripieno di cotechino da servire con salsa alle lenticchie

PASTA LAMINATA E TRAFILATA La trafilatura o la laminazione della pasta sono passaggi che richiedono arte per garantire la giusta nervatura e quella perfetta rugosità della sfoglia che consente un matrimonio sincero con il condimento, magari proprio quello che il Tortellaio Matto prepara al sugo di anitra, cinghiale o tradizionale per assecondare le proprie paste. Pasta laminata

Pasta trafilata

• Tagliatelle

• Bigoli

• Papardelle

• Spaghetti alla chitarra

• Tagliolini

• Linguine

• Capelli d’angelo

• Tonarelli

Gli stessi impasti possono venire aromatizzati o colorati con basilico, limone, radicchio, nero di seppia o preparati con farina di castagne, grano arso. Tutta la gastronomia ed i ripieni per la pasta ripiena vengono preparati partendo da carni e verdure fresche nella cucina dell’azienda, rispettando la stagionalità dei vari prodotti, senza utilizzare glutammati o conservanti.

DOVE TROVARCI I prodotti del Tortellaio Matto possono essere acquistati

il

TORTELL AIO MATTO

presso il punto vendita, di via I Maggio. 57 a Boara Piasani, tutte le mattine dalle 8.30 alle 12.30 e dal giovedì al sabato anche al pomeriggio con orario 16.30-19.30 e presto anche on-line visitando il sito: www.iltortellaiomatto.it. Aperto anche la domenica dalle 9.00 alle 12.30, Il laboratorio è sempre operativo per ordini e prenotazioni, i mattarelli si fermano solo il lunedì

www.iltortellaiomatto.it - info@iltortellaiomatto.it - Seguici su Facebook e Twitter tutte le novità


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Podere

Villa Alessi,

nella Valle di Faedo una dispensa di eccellenze

Un vero agriturismo perché a fianco di materie prime e piatti di grande genuinità diffonde anche la cultura che è stata necessaria per produrli e tenerli coerentemente insieme al centro di un piatto Il tempo della Natura è un tempo circolare. Il tempo del continuo ritorno al quale si lega saldamente il concetto di tradizione e qui, al Podere Villa Alessi di Faedo, ogni cosa viene condotta proprio nell’osservanza di quell’ortodossia che permette di cogliere nelle stagioni il loro lato migliore, sia in campagna che in cucina. Perché Villa Alessi è un vero agriturismo dove insieme ai prodotti viene trasmessa la cultura che è stata necessaria per realizzarli e tenerli coerentemente insieme al centro di un piatto. In più c’è l’etica, perché Ivano, che è anche lo chef di casa, detesta gettare nella spazzatura quello che la natura ha prodotto e che a lui stesso ha richiesto attenzioni e cura, e per questo preferisce ricevere i suoi ospiti su prenotazione. Va detto, pure, che la prenotazione sarebbe auspicabile perché qui è consuetudine ser-

UNA CANTINA FORNITISSIMA L’agriturismo Podere Villa Alessi produce etichette originali di vini rigorosamente autoctoni: dal Serprino al Pinello e per Natale propone l’identità enologica dei Colli ossia il Fior d’Arancio, nelle sue tre declinazioni: Classico, Passito e la rivelazione di questi ultimi tempi il Secco, perfetto da servire a tutto pasto o con abbinamenti provocatori vire il buon cibo genuino con un bel contorno di calda ospitalità e al taverniere va lasciato il tempo di preparare una storia, un racconto, un percorso da fare tra i boschi, insomma un viaggio nel passato e nel presente di questo luogo incantato, al centro del Parco dei Colli Euganei. Quasi pronto, intanto, c’è il menù delle Feste che come tradizione mette insieme l’intramontabile “menestra maridà” ai lessi di stagione, magari proprio quel “cappone in canevera” che fa parte del panorama natalizio del luogo e che si coniuga alla perfezione con gli altri prodotti di stagione, mentre per gennaio è già in calendario una serata di gala per il principe dell’inverno, ossia il maiale che verrà riverito in tutte le sue declinazioni alimentari.

AGRITURISMO PODERE VILLA ALESSI - Via San Pietro, 6 - Faedo di Cinto Euganeo - PD Tel. 0429 634101 - Fax 0429 634009 - www.villalessi.it - info@villalessi.it



INGIROPIEDANDO di Martina Toso

Il Mondo del Vino

NON È UN PAESE PER VECCHI… Tra i produttori si stanno affacciando le nuove generazioni e anche le esperienze più interessanti legate alla promozione delle nostre etichette portano la firma di giovani imprenditori. Aggiungiamoci poi che è sempre più il buon calice ad accompagnare i momenti conviviali e di aggregazione tra i ragazzi e ci accorgeremo che qualcosa è in movimento…

C

ome succede per tutte le cose anche nel monpagnare gli spuncetti negli aperitivi, soprattutto quel do enologico qualcosa è cambiato, sta camvino che è del territorio e per questo sa creare apparbiando e cambierà. Destino ineluttabile! Ma tenenza. Non un prodotto semplicemente da comchi l’avrebbe detto che a dettare le regole di questo prare, ma da conoscere magari insieme a chi lo procambiamento sarebbero stati duce, magari passeggiando Altro che spritz e super alcolici, con lui tra i vigneti di Glera e proprio i giovani? Se qualcuè il vino a regnare sulle tavole Moscato, magari osservando no fosse rimasto al vino nel fiasco impagliato, beh prenil paesaggio e meditando... imbandite per le feste da coscienza di appartenere in compagnia e ad accompagnare E i giovani, che si trovano e alla preistoria. Il vino parla un ritrovano, accompagnano le gli spuncetti negli aperitivi linguaggio sempre più giovaore piacevolmente trascorse ne, coinvolgendo inevitabilmente anche chi produce in compagnia alle bollicine ma proprio la loro nuova poiché la risposta deve essere idonea alla richiesta di attitudine a scoprire cosa si celi dietro e dentro il bicchi nel bere tiene conto del come, del quando e del chiere di vino, non fa loro disdegnare la sperimenperché bianco e perché no il rosso… con una nontazione di vini più corposi, rossi nel colore e robusti chalance che è propria di chi al mondo dell’enologia nel sapore. Ecco che allora il panorama enologico dei intende avvicinarsi è non certo in punta di piedi. Altro vini artigianali e genuini si apre ad abbinamenti innoche spritz e super alcolici, è il vino a regnare sulle tavativi, arditi e congeniali all’orario dello svago e della vole imbandite per le feste in compagnia e ad accomchiacchiera tra amici.

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INGIROPIEDANDO Le bollicine sono quindi la delizia del palato, il must have di questo 2015 che volge al termine con un bilancio nettamente in positivo per i bianchi frizzanti, i prediletti nella classifica enologica, e accanto al più modaiolo Prosecco c’è il meno conosciuto Fior D’Arancio, che nelle sue tre tipologie Spumante Dolce, Secco e Passito riesce ad esaltare e rendere merito non solo ai dessert ma anche all’aperitivo, prediligendo il dolce con gli “zaeti”, i dolcetti secchi tipici della zona mentre la versione secca crea un binomio perfetto con gli stuzzichini salati. Se la socializzazione è l’arte più antica del mondo, un’altra arte vi si lega strettamente dalla notte dei tempi: quella del vino, che oggi sembra soggetto e oggetto del confronto, della sperimentazione e della socialità stessa; un prodotto da scegliere con cura, regalare agli amici e stappare nelle occasioni speciali come speciale è la natura stessa “del nettare degli dei”.

HIT PARADE ENOLOGICA Inebriati e rallegrati dal profumo della vendemmia conclusa e dall’emozione per una nuova stagione enologica che si apre, ecco i primi vini che identificano questo 2015: • Il Fior d’Arancio, per Lisa Loreggian • Il Carmenere, per Davide e Francesca • Il Prosecco, per Francesca Salvan

LISA LOREGGIAN

FRANCESCA SALVAN

DAVIDE E FRANCESCA BOLDRIN

Azienda Agricola Loreggian Adriano (Arquà Petrarca) “L’enoturista è la figura moderna del turista, colui che vuole vedere e conoscere il contesto e la terra da cui il vino attinge profumo e gusto. E noi dobbiamo essere in grado di accoglierlo e rispondere alle sue esigenze”, di questo è convinta Lisa. Come pure non ha dubbi sul bilancio di fine anno: “Il vino del 2015 è sicuramente il Fior d’Arancio che tra l’altro è anche una D.O.C.G. dei Colli Euganei. E se qualcuno, in occasione delle Feste, capitasse dalle parti dei Colli Euganei per prendere parte a cene o cenoni non trascuri di assaggiare la carne di cinghiale in abbinamento con un buon bicchiere di Villa Ca’ Valli Colli Euganei Riserva D.O.C.” Il consiglio è spassionato e arriva dal cuore di un’arquatense altrettanto Doc.

Azienda Agricola Salvan Urbano Vigne del Pigozzo (Due Carrare) Francesca è reduce da un tour estivo/autunnale che con l’associazione “Strada del vino Colli Euganei” ha portato il vino nelle “location” di prestigio del territorio con il risultato che tra un aperitivo sulla terrazza del Catajo e un bicchiere bevuto ascoltando un concerto Jazz, il buon bere può diventare anche un’occasione per conoscere il territorio. Il binomio vino-arte, sia essa musica, letteratura o semplici passeggiate alla scoperta della nostra bella campagna, è decisamente vincente. Un pubblico sempre più largo si sta accorgendo dello spirito conviviale del vino, soprattutto se è esuberante: il Prosecco rimane il vino degli “appuntamenti” ma anche il Fior D’Arancio sta trovando il suo spazio oltre le bollicine.

Enoteca La Misticanza (Monselice) Davide e Francesca hanno una filosofia: “Riportare il vino, dallo status symbol degli ultimi anni, di nuovo tra noi come elemento di cultura di tutti i giorni, valore alimentare e nutrizionale”. Il loro consiglio è di scegliere sempre ‘vini di terroir’, ed è per questo che per i pranzi rituali delle imminenti festività consigliano di accompagnare i tortellini in brodo con uno spumante metodo classico ben maturo come un Durello dei Monti Lessini o lo Champagne riservando per il cotechino un vigoroso Raboso Sur Lie e il Fior D’Arancio per il dolce, entrambi vini figli della tradizione enologica sia dei Colli sia della circostante pianura. Del resto, solo i grandi classici riescono ad unire le diverse generazioni attorno allo stesso tavolo.

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vini, prodotti e ospitalità per le Feste di Natale A Rovolon la stagione fredda è arrivata con i colori caldi dell’autunno, questo è il momento giusto per concedersi un momento di stacco per vivere da vicino il paesaggio collinare e i suoi meravigliosi frutti

Giovanni Zini, patron della Fattoria Eolia di Rovolon

Tutte le etichette della Fattoria Eolia si ispirano a storie o leggende del territorio. La nuova etichetta realizzata da Marta Farina per il Rosee Brut Rosa d’Aria si ispira alla leggenda della Valle S.Giorgio detta anche “Valle di Donna Daria”. Si racconta che durante la notte Donna Daria sia scesa sul fondo della valle, dove giaceva il giovane Guglielmo, con il biondo capo staccato dal busto. Il nipote di Donna Daria era stato fatto decapitare dal terribile tiranno Ezzelino da Romano. La valle era immersa nelle tenebre e in nessun modo Donna Daria avrebbe potuto individuare Guglielmo. Allora invocò la Madonna e dal fondo buio apparve uno sciame di lucciole che la guidò fino al suo caro. Guidata dalla lucciole riuscì a portare il corpo di Guglielmo fino alla casa della nutrice. Ogni anno in una notte di giugno le lucciole rifanno la strada percorsa da Donna Daria per raggiungere il corpo del nipote.

FATTORIA EOLIA Via San Giorgio, 7 - Rovolon (PD)


Alla Fattoria Eolia i colori della campagna autunnale si sono accesi nelle tonalità più calde. Nei vigneti su al Pirio e in quelli della località Spinazzola a Rovolon, l’arrivo delle foschie mattutine avvolge il paesaggio ovattandone l’esuberanza e annunciando l’arrivo della stagione fredda. La campagna si sta per chiudere nel suo splendido silenzio, dopo settimane nelle quali è stato il fervente lavoro del vignaiolo ad essere protagonista, ora gli spazi aperti tornano ad essere di tutti e soprattutto di chi ha l’occhio e la pazienza per leggerne la magnifica bellezza. Del resto questa è la stagione dell’attesa, nella cantina incastonata nel grande parco che si affaccia su via San Giorgio a Rovolon i vini riposano affinando quei

profumi e sapori che l’estate calda gli ha messo addosso. “Le premesse per un’annata di prestigio ci sono tutte - spiega Giovanni Zini, patron della Fattoria Eolia - Merlot e Cabernet quest’anno si sono presentati alle botti con colori limpidi e decisi,

Un Rosee Brut di struttura, ideale per accompagnare i piatti complessi di cene e pranzi di Natale confermando ampie prerogative per una qualità certa che finirà sotto le etichette ammiraglie dell’Azienda. Il Baraban, il nostro Cabernet Doc, avrà il vigore rustico dell’orco-contadino (al quale allude il suo nome) ma anche quella mineralità che si addice ad un vino maturato sulle terre vulcaniche dei Colli Euganei. Il Dragone, inutile dirlo, è la “botti-

glia” dalla quale mi aspetto di più, essendo la gran riserva della casa, e anche la Garganega, che ha appena finito il suo appassimento in cassetta, ha le carte in regola per essere quell’ottimo Bianco Igt che confidenzialmente da noi si chiama Rubinara”. Questione di tempo, dunque, ma neanche tanto visto che la nuova bottiglia della Fattoria Eolia verrà stappata a dicembre. Rosa d’Aria questo è il nome dell’etichetta, che come sempre verrà disegnata da Marta Farina, per un “rosee brut” di struttura ottenuto da uve Barbera, perfetto per accompagnare anche i piatti complessi di cene e pranzi delle imminenti Feste, magari in coppia con il Fior d’Arancio, un gran classico per il brindisi finale.

Il posto giusto per trascorrere le Feste potrebbe essere proprio qui, perché la Fattoria Eolia è anche un Bed&Breakfast dotato di ogni comfort. Perfetto per chi le vacanze di Natale vuole trascorrerle nell’atmosfera incantata dei Colli Euganei, a contatto con la natura e le suggestione delle tradizioni

PER NATALE REGALA IL TUO TERRITORIO

Alla Fattoria Eolia oltre ai vini, per confezionare ceste o idee regalo, puoi trovare l’extravergine, ottenuto da 140 olivi secolari, il miele, gli straordinari panettoni del consorzio Fior d’Arancio e ovviamente la grappa lavorata negli alambicchi della distilleria Brunello appositamente per l’azienda di Giovanni Zini.

Tel. 049 5226214 - g.zini@fattoriaeolia.com - www. fattoriaeolia.com -

Fattoria Eolia


DIVINO PARLAR di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it

Feste di Fine Anno: VINI FERMI O BOLLICINE?

C

on l’incalzante approssimarsi delle feste natalizie, si pone molto spesso il problema di abbinare vini al pranzo natalizio o al cenone di San Silvestro ospitando o accettando inviti da amici e familiari. Uno degli obbiettivi è quello di fare bella figura, ma il vero risultato importante deve essere quello di riuscire ad esaltare i gusti e i sapori di piatti che hanno richiesto diverso tempo per essere preparati. Non è sempre facile, siamo pur sempre nel campo della soggettività, comunque ecco, di seguito, alcuni consigli per abbinamenti che hanno sempre un grande successo. ★ ANTIPASTI Se si tratta di antipasti di pesce tendenzialmente leggeri vanno abbinati vini frizzanti o bianchi fermi leggeri a bassa gradazione alcolica, come il Colli Euganei DOC Serprino o un Pinot Bianco fermo sempre di area euganea o della DOC Corti Benedettine del Padovano. Se si tratta di antipasti all’italiana, a base di salumi, invece, vanno abbinati vini rossi d’annata freschi, poco strutturati, a bassa gradazione alcolica. Vanno bene anche i rosati. ★ PRIMI PIATTI Le classiche lasagne fatte in casa vanno accompagnate con rossi leggeri o rosati: un Cabernet, un Merlot, un Raboso Piave. Se si tratta di risotti con funghi e porcini va bene un Sauvignon o un Chardonnay della zona Colli Euganei o in alternativa della zona di Lison-Pramaggiore. Altra scelta può ricadere sui bianchi secchi morbidi del Garda (Lugana o un Soave, o un Bianco di

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Custoza). Se i primi piatti sono rappresentati da tortellini in brodo o con altri condimenti, consiglio vini rossi di annata. ★ PIATTI DELLA TRADIZIONE Lo zampone o il cotechino con le lenticchie, lo stinco di maiale al forno o in generale gli arrosti di maiale vanno serviti con vini rossi freschi (acidi) e di annata (2014-2013) con presenza viva di tannini che contrastino la succulenza tipica di queste carni. Vanno bene il classico Lambrusco secco o un Bonarda dell’Oltrepò Pavese; va benissimo anche un nostrano Cabernet d’annata della DOC Colli Euganei, un altrettanto nostrano Cabernet delle Corti Benedettine del Padovano o ancora un Raboso Piave. Con il bollito misto, invece, è meglio scegliere dei rossi di annata o di medio corpo (2-3 anni di affinamento). ★ SECONDI PIATTI DI PESCE Con l’astice, l’aragosta o le grigliate miste di pesce possono andare benissimo gli spumanti brut come i prosecchi della zona, oppure il più famoso Conegliano Valdobbiadene DOCG o un Metodo Classico (Franciacorta, Trento DOC). Perfetti sono anche i vini fermi del Friuli (Collio Sauvignon) . ★ DOLCI E DESSERT Con i dolci e i dessert l’accostamento è scontato, serve un vino dolce! Con il panettone o il pandoro l’abbinamento perfetto è con il Colli Euganei Fior d’Arancio Spumante DOCG. Non c’è storia!


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DIECI ETICHETTE nel segno dei Colli Euganei Territorio, tradizione e una passione per l’enologia che non è mai venuta meno lungo tutti i cento anni di storia di questa rinomata cantina

Il Moscato giallo è l’emblema degli Euganei che qui trova tre espressioni diverse nella versione classico, passito e secco. Perfetto per i brindisi di Natale

Profumo fruttato e intenso che ricorda la mela golden, sapore asciutto e vellutato da abbinare a piatti leggeri e pesce

Immagine del bere veneto

Il vino deciso, maturo emblema del carattere dei fondatori di questa azienda

La risposta euganea alle bollicine del Prosecco, ideale per: apertivi, antipasti e pesce

FRIGUS – Doc Bagnoli Friularo passito Dall’appassimento dell’uva Friularo si ottiene un vino che ha di fronte l’eternità

RABOSO FRIULARo Rosè IGT Veneto

ALGIO – Doc Colli Euganei Cabernet Sauv.

ZEROUNO – Doc Colli Euganei rosso Dalle migliori uve di Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc l’abbinamento ideale è con gustosi piatti d’arrosto, selvaggina, e formaggi stagionati, oppure da solo...

SERPRINO FRIZZANTE – Doc Colli E.

Vino molto robusto di colore rosso rubino, dal profumo e gusto erbaceo da abbinare a piatti d’arrosto e selvaggina

CHARDONNAY – Doc Colli Euganei

FIOR D’ARANCIO DOCG Colli Euganei

Il Merlot che nelle ultime cinque annate ha vinto tre volte il Concorso enologico Colli Euganei. È il vino della tradizione che sta bene insieme ai piatti di carne saporiti

PROSECCO DOC Spumante extra dry

CABERNET – Doc Colli Euganei

STRADELLA – Doc Colli Euganei Merlot

“È stata una di quelle annate in cui pensi che è tutto possibile”. Per Artenio Dal Martello della storica cantina La Mincana, i lavori in campagna si sono conclusi con la vendemmia del Friularo, a metà novembre, ora le fatiche verranno concentrate in cantina... fatiche per modo di dire, visto che i vigneti hanno prodotto bene in quantità e in qualità, favorendo profumi, struttura e sapori delle dieci etichette che rendono celebre e celebrato il marchio che riporta la storica villa che fu dei Dolfin. Vini che sono il riflesso liquido delle dolci alture Euganee e del particolare “terroir” che mette insieme rocce vulcaniche e sedimentarie per involontarie, ma quanto mai apprezzate, corposità nei vini a bacca rossa e sapidità in quelli bianchi. Il resto è passione, tanta passione che non è mai venuta meno lungo tutti i cento anni di storia di questa rinomata cantina.

È la versione “easy” del più robusto Friularo, brioso e frizzante

La Mincana - Via Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499 www.lamincana.it - info@lamincana.it


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PRONTE LE BOTTIGLIE PER I BRINDISI DELLE FESTE

Negli impianti di via Marconi aVo’ Euganeo sono già in vendita le bollicene euganee: Fior d’Arancio, Prosecco, Serprino, Chardonnay e Pinot

La vendemmia è finita e la stagione è una di quelle che meriterebbero di essere messe in cornice. La qualità quest’anno è fuori discussione, le calde giornate dell’autunno che si stanno spegnendo solo ora, hanno messo addosso ai grappoli una maturazione ottimale che sarà possibile trovare sotto forma di profumi e sapori anche dentro alla bottiglia. Anzi dentro le bottiglie visto che i cento mila quintali di uve conferite qui, in via Marconi, verranno trasformati e messe sotto vetro in un numero che supera abbondantemente i due milioni di unità, destinati raggiungere sia il mercato interno che quello estero. Giappone, Malesia, Russia, Sud Africa e Canada, infatti, si confermano buoni mercati per le etichette con su stampigliato “Cantina Colli Euganei”. Insomma l’offerta legata alla vendem-

mia 2015 sarà di grande qualità come conferma i feedback del Fior d’Arancio, del Prosecco del Serprino Frizzante dello Chardonnay, che qui si chiama Palazzo del Principe, e del Pinot, ai quali è già stato messo il tappo e la bottiglia già campeggia dagli scaffali della vendita. Molto ci si aspetta anche dai rossi e dalle gran riserve, come il Notte di Galileo visto che la componente di Merlot, presente in egual misura del Cabernet Sauvignon, dallo scorso anno è sottoposta a leggero appassimento grazie a un nuovo impianto dove vengono messi a riposare anche i grappoli di Raboso e di Moscato, bianco e giallo. È da questo stesso trattamento che è nato il Fior d’Arancio passito, il vino ideale con cui accompagnare la pasticceria natalizia o brindare al nuovo anno.

cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)


La Cantina

Vino immagine di Colli Euganei, da un anno viene prodotto anche nella versione passito. Ottenuto da uve 100% Moscato giallo, vendemmiate a settembre nei vigneti dell’areale euganeo e fatte appassire in cassetta per circa 4 mesi. Dalla pressatura soffice e dalla fermentazione in botti di rovere, esce un “nettare” dal colore giallo oro e riflessi ambrati, dal profumo intenso e dal sapore che ricorda il dolce del chicco d’uva

La Cantina Coll i rativa agricola fond Euganei è una società coopedi un gruppo di ata nel 1949, nata per volontà vi per poter raccog ticoltori che si sono associati liere, vinificare e commercializzare il vino della zo Oggi raggruppa ci na Dop e Igp dei Colli Euganei. rc all’interno del te a 680 produttori, disseminati rritorio protetto Colli. Per gli asso dal Parco dei ci ferimento quotid ati la cantina è un punto di riia stenza tecnico-fo no: consulenza enologica, assirmativa per i viti coltori, grande attenzione alle sc el cantina. È un’azien te di qualità, in vigna come in nologie all’avangu da certificata, che impiega tecar razione. Aggiornam dia in tutte le fasi della lavoe competenza cara ento costante, cultura tecnica gna per dare la ce tterizzano lo staff che si impert te controllata, da ezza di una filiera totalmenl milioni di chili d’ grappolo alla bottiglia. Con 7 uva raccolta, 5 m ilioni di litri di vino prodotto e 2 la Cantina Colli E milioni di bottiglie distribuite uganei è il maggior dell’area. e produttore Oltre ai punti ve vazzano e Gal ndita di Vo’, Limena e Selzi acquistare i p gnano terme è possibile ro li Euganei anch dotto della Cantina Colall’indirizzo in e on-line. Basta una mail fo contatto con u @virice.it per entrare in n operatore e p oter accedere al acquisti e ri desiderato diret cevere entro 48 ore il vino tamente a casa .

IL PUNTO VENDITA, NON SOLO VINO

Nel Punto vendita della Cantina oltre all’intera gamma dei vini prodotti, possono essere acquistati i prodotti del territorio e in occasione delle imminenti Feste Natalizie vengono realizzate ceste e idee regolo esclusive con l’impiego di autentiche eccellenze come: il salame al vino, il miele e l’olio dei Colli Euganei, e le pluripremiate creazione della pasticceria “Marisa” di Arsego tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@virice.it


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Un extravergine

che arriva da lontano, nella storia Gli olivi si trovano a 700 metri sul mare, in un angolo incantato lontano dall’uomo e dalla frenesia della vita urbana

L’extravergine prodotto da Luigi Rosolia è assegnatario di diversi premi. A Trieste ha partecipato nel 2014 all’ottavo salone “Benvenuti a Olio Capitale”, la fiera dei migliori oli extravergine italiani e stranieri; ha raggiunto la Polonia, a Zakopane, in occasione della quinta edizione della Fiera Europea dei prodotti agricoli. Nel Comune di Vallo della Lucania in provincia di Salerno ha preso parte alla “Borsa Verde dei Prodotti Mediterranei” organizzato dalla Regione Campania. In Veneto è stato l’ingrediente fondamentale in molti Work Shop organizzati al circolo Wigwam di Piove di Sacco, del quale Luigi è uno storico socio.

Azienda con riconoscimento regionale

FRANTOIO OLEARIO “ALLA TAVERNA” di Giuseppe Carmine Rosolia


La storia non viaggia su binari paralleli, è piuttosto una

bre del 1943, quando il

corda sciolta, libera che trova facili annodi con altre storie

Re e Badoglio scelse-

per formare una rete capace di catturare anche le cose

ro di continuare la se-

più lontane, siano esse confinate nello spazio o nel tempo.

conda guerra mondia-

È così che un frantoio di Sicignano degli Alburni, nel Parco

le sul fronte opposto

Nazionale del Cilento, dal nome un po’ singolare si lega al

rispetto a dove erano

territorio veneto. “Alla Taverna”, infatti, può sembrare un

partiti. Il padre di Luigi,

appellativo più adatto ad un ambiente legato alla mescita

come tanti altri soldati

del vino piuttosto che ad un’azienda produttrice di olio.

rimasti senza ordini e

Tant’è, che la cosa si giustifica appunto con il passato del

senza esercito, si tro-

luogo, perché sorge lungo il percorso dell’antica via Annia,

vò prigioniero dei te-

la Capua-Regium, che al tempo dei Romani era costel-

deschi e messo in un

lata di “Tabernae, Stationes e Mansiones” atte a rende-

treno diretto in Germania, con un destino già scritto: morire di stenti e fatica in uno dei tan-

Da sinistra: il Sig. Silvio Brighenti con la moglie Luigia Bovoni (Gigia) e Carmine Rosolia

ti campi di lavoro del Reich. Quella, del resto, era la punizione che i nazisti ritenevano giusta per chi veniva considerato traditore. Tra questo e quello che realmente accadde intervenne il fato o meglio un’operazione di Partigiani nella stazione di Verona atta a deviare un convoglio di armi e munizioni tedesche. I guasti coinvolsero anche la tradotta militare in cui viaggiava Rosolia, il trambusto che ne seguì fu sufficiente al giovane soldato Carmine per scappare e prendere la via delle montagne. Trovò rifugio nel paesino di Monteforte d’Alpone, dove rimase nascosto presso la famiglia Brighenti che lo acre il viaggio più confortevole e meno pericoloso. Qui gli

colse e lo nascose fino alla fine

avventori assaggiavano le famose “lucaniche”, salsicce a

della guerra. “Gigia”, Luigia, era

base di carne di maiale e proprio qui, nella piccola frazione

uno dei membri di quella fami-

di Scorzo, ha sostato anche il grande oratore e avvocato

glia alla quale i Rosolia portano

Cicerone, sulla strada dell’esilio per Brindisi. Forse nello

ancora riconoscenza e affetto,

stesso frantoio, quando ancora si chiamava Taverna, ma

tanto che è proprio alla veronese

non lo sapremo mai, quello che invece sappiamo è che

signora Luigia che il nostro fran-

oggi chi intraprende questa strada incontra Luigi Roso-

toiano, nato subito dopo la guer-

lia. Il frantoiano. È appunto Luigi il trait d’union che tiene

ra, deve il suo nome e l’affetto

insieme diverse storie, perché Luigi la storia la ama pa-

alla nostra regione. C’è anche un

recchio. Accanto al frantoio ha messo in piedi anche un

po’ di Veneto, dunque, nell’extra-

piccolo “Museo Etnografico” della civiltà contadina locale,

vergine che Luigi Rosolia produce

con un allestimento che raccoglie migliaia di attrezzi agri-

lavorando il frutto dei propri olivi

coli, spesso oggetto di visite da parte delle scolaresche

con il vecchio metodo “a freddo”,

del circondario. Ma c’è un motivo per il quale Luigi ama

ossia attraverso la frantumazione

la storia, un motivo che risiede proprio nel suo nome. Può

a pietra delle olive e la spremitu-

capitare, infatti, che la storia personale incroci la “grande

ra “a fiscoli” ottenendo un extra-

storia”, quella dei libri per intenderci, e, come si diceva,

vergine dal colore naturale, gial-

porti ad abbracciare non solo le distanze temporali ma

lo-verde, dal gusto dolce-amabile

anche quelle geografiche, che nel caso di Luigi arrivano al

e un aroma inconfondibile di erba

Veneto dei giorni immediatamente successivi all’8 settem-

verde e nocciola.

Lattina da 5 litri di Olio Extravergine di Oliva del Frantoio Oleario “Alla Taverna”

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LEGGERE PER LEGITTIMA DIFESA di Eloisa Gobbi

Silvia Rodella,

Leggende Euganee S

ettantatré anni fa Silvia Rodella, con lo pseudonimo di Sellida Ilvaro, dava alle stampe forse la sua opera più riuscita: “Leggende euganee”. Undici leggende nelle quali l’autrice ha intrecciato con originalità personaggi ed eventi storici, in gran parte di età medioevale, ma anche figure attinte dalla tradizione popolare orale e dalla sua fertile fantasia. Protagoniste sono le donne, Beatrice d’Este o Donna Daria per citare le più famose, ma forse il vero personaggio principale è il paesaggio euganeo. Personaggio certo, perché tra le pagine i luoghi che tutti conosciamo vengono travestiti anche con abiti umani così che la Rocca di Monselice è la “solitaria e diruta staffetta degli Euganei” e il campanile di Calaone diventa un pastore che custodisce il villaggio-gregge. Ed è per questo amore rivolto al paesaggio euganeo, per le sue forme, i suoi colori, i suoi suoni, che le pagine di Silvia Rodella, “piccola Grimm euganea”, meritano di essere rilette ancor oggi. Cierre edizioni pubblicato nella collana Percorsi della memoria Silvia Rodella (1885-1966) nata a Padova ma ad Este legata dai ricordi della giovinezza e da una permanenza assidua nella sua bella villa di ca’ Pasinetti a Cinto Euganeo, finì per fare dei colli Euganei e dell’ambiente estense la passione della sua letteratura. Ne uscirono scritti e saggi che in una bibliografia estense non possono essere dimenticati: Nella Bufera, Gastaldi 1952, Leggende Euganee, Draghi, Padova, 1959.Castelli Euganei Draghi 1964.

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messaggio pubbliredazionale

È PRONTO L’OLIO NOVELLO! LA STAGIONE DELLA SPREMITURA È ARRIVATA AGLI SGOCCIOLI, L’EXTRAVERGINE È GIÀ NELLE BOTTIGLIE E QUEST’ANNO STUPIRÀ PER SENTORI E SAPORI INTENSI MA EQUILIBRATI Goccia dopo goccia la stagione olearia è arrivata agli sgoccioli, le olive del Frantoio di Cornoleda sono diventate verde e profumato EVO, l’extravergine ottenuto da diverse cultivar tutte autoctone dell’area Euganea. Così, per esempio, il Rasara è già nelle bottiglie insieme al suo spiccato sentore di carciofo, El Matosso, allo stesso modo, ha ritrovato i profumi di pomodoro e il Green Selection ha confermato, nel suo essere un vivace “blend”, le note verdi sue caratteristiche di erba appena tagliata unite a quelle di mandorla dolce. Extravergini nati per esaltare i sapori, senza coprirli, eccellenze messe a punto in anni di costante lavoro e premiate dall’ottenimento della Dop Colli Euganei, una delle più selettive tra gli extravergine. La famiglia degli oli è composita, profumi e sapori cambiano ed è in base a questi che le bottiglie dovrebbero essere scelte per insaporire i piatti in tavola. Come certi vini, certi oli, si accompagnano preferibilmente a taluni sapori e altri ne preferiscono di differenti. Per questo una bottiglia di olio in casa non basta è l’offerta al Frantoio di Cornoleda è vasta e variegata, spaziando dai monovarietali, al Bio e agli aromatizzati: al rosmarino, peperoncino, limone e aglio/ peperoncino, prodotti al naturale macinando le olive con i frutti e le spezie, senza aggiunta di aromi artificiali In seguito alle degustazioni effettuate dal curatore Marco Oreggia e dal suo Panel di Esperti Assaggiatori, su oltre 1.000 campioni pervenuti da tutto il mondo, l’olio extravergine di oliva del Frantoio di Cornoleda è stato selezionato per la Guida Flos Olei 2016 - guida al mondo dell’extravergine, strumento di divulgazione e promozione delle migliori realtà di produzione del settore oleario mondiale

fino a fine dicembre siamo aperti per voi tutti i giorni, venite a trovarci!

“Per noi la terra è un qualcosa di vivo, che ci parla attraverso il frutto dell’albero che amiamo di più. La nostra missione è di offrirvi un prodotto sempre più buono e controllato dai più alti standard qualitativi internazionali”

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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Maurizio Drago

LA NONNA DEL PANETTONE È LA

“Veneziana”

In merito alla creazione del panettone esistono molte leggende, tutte milanesi, una vuole sia stato uno dei cuochi di Ludovico il Moro ad inventalo, usando prodotti semplici come farina, burro, uova, scorza di limone e uva sultanina

Quindi in via genealogica la paternità del dolce tradizionale del Natale va senz’altro riconosciuta al Veneto

L

a storia (o le storie) della nascita del panettone li del circondario, ma il dolce, dimenticato nel forno, si perde nella notte dei tempi. La primogenitura quasi si carbonizzò. Vista la disperazione del cuoco, la vuole avere la Lombardia, ma il Veneto non Toni, un piccolo sguattero, propose una soluzione: si fa da parte, anzi rivendi“Con quanto è rimasto in Negli altri paesi esteri non esiste ca che il “panetòn” nasce dispensa - un po’ di farina, la tradizione del “panettone solo burro, uova, della scorza nelle terre tra Venezia, Treviso, Padova e Rovigo, aldi cedro e qualche uveta Natale, il celebre dolce viene meno un secolo prima del ta - stamane ho cucinato mangiato tutti i giorni “cugino” meneghino. questo dolce. Se non aveTuttavia noi non andiamo a cercare con minuziosi te altro, potete portarlo in tavola”. Il cuoco acconsentì studi dove sia nato il dolce che per l’Italia è quello e, tremante, si mise dietro una tenda a spiare la retipico di Natale. Ma per giusta informazione dobbiaazione degli ospiti. Tutti furono entusiasti e al duca, mo citare la storia, ai tempi del Medio Evo, di Messer che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, Ughetto degli Atellani, falconiere che abitava a Milail cuoco rivelò il segreto: «L’è ‘l pan del Toni». Da alno, che, innamorato pazzo di Algisa, bellissima figlia lora è il “pane di Toni”, ossia il “panettone”. Ma nel di un fornaio, si fece assumere dal padre di lei come Veneto il panettone parte dalla focaccia. Abbiamo ingarzone; così per incrementare le vendite inventò un tervistato Dario Loison, di Costabissara in provincia di dolce impastando la migliore farina del mulino con Vicenza, uno dei leader indiscussi per la produzione uova, burro, miele e uva sultanina, in questo modo di panettoni, il pasticcere veneto per eccellenza che convinse Algisa a sposarlo per la sua bravura… è riuscito a vincere un appalto di fornitura dei dolci Una seconda storia parla del cuoco di Ludovico il natalizi per il Comune di Milano. Moro che fu incaricato di preparare un sontuoso “Il panettone è una focaccia - sottolinea Dario Loison pranzo di Natale a cui erano stati invitati molti nobi- tutti i panettoni sono focacce. I fornai veneti, sin dal

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IL PANORAMA GASTRONOMICO 1300, facevano le focacce senza glassa, mentre i pasticceri, a quell’epoca, producevano le “veneziane”, piene di burro e glassa per essere più dolci”. A Milano il panettone nasce invece attorno al 1500, quindi il Veneto era arrivato parecchio prima con le “veneziane”. Agli inizi del 900 il panettone era diventato industriale perdendo la genuinità artigianale. Loison, che per tre generazioni porta avanti la sua “fabbrica di panettoni” ha dato invece un tocco di regolarità al lievito madre, un controllo delle temperature e all’organizzazione del lavoro. Così ha portato la perfezione del lievito madre che è vincente per l’estrema digeribilità scegliendo poi i prodotti migliori avendo tutti una “unicità” italiana: tradizione e tipicità. Dario Loison ha una certezza: i prodotti più convincenti devono essere ispirati alla tradizione e rinnovati sperimentando ricette e accostamenti creativi seguendo le esigenze del palato. In fondo la storia del panettone è più semplice di quello che si pensa. È il dolce elaborato per la festa che nel nostro territorio è quella più importante dell’anno: il Natale. È il dolce che in Italia si mangia solo durante le feste natalizie, negli altri paesi esteri non esiste la tradizione del “panettone solo a Natale”. Infatti i produttori di questo tipico dolce stanno avviando con successo delle esportazioni con lo slogan “panettone tutto l’anno”. Il panettone è diventato un dolce tipico italiano tutelato dal 2005 da un disciplinare, che ne specifica gli ingredienti e le percentuali minime per poter essere definito tale.

Il panettone è tutelato dal 2005 da un disciplinare che ne designa la tipicità e ne specifica gli ingredienti

Il Museo

DEL PANETTONE a Costabissara (Vicenza)

Il classico panettone è un prodotto della terra meneghina. Ma c’è chi dice che il panettone sta diventando piu’ “veneto” grazie alla straordinaria passione di alcuni pasticceri che stanno superando in “arte” la produzione del dolce prodotto natalizio milanese. A Costabissara, in provincia di Vicenza, è aperto da poco anche il museo del Panettone, ad opera di Dario Loison che è riuscito a produrre, proprio lui, i panettoni per il comune di Milano, a scrivere libri sull’arte del panettone e a vincere decine di premi nazionali e internazionali. Nel museo, con annessa una ricca biblioteca, sono stati raccolti oggetti d’antiquariato, macchinari utilizzati in passato per produrre panettoni, caramelle e pasticceria, documenti e testimonianze. Si trova lungo la Statale Pasubio 6 a Costabissara, a fianco dell’attività produttiva.

Dario Loison

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STORIA E DINTORNI di Emanuele Cenghiaro

Il caffè,

una moda che è diventata rito tra i padovani Da Venezia giunse a Padova anche grazie a Francesco Pedrocchi, che aprì la sua bottega in città nel 1772, e vista la presenza di universitari benestanti e di molti veneziani, nobili e borghesi, studenti e commercianti, la moda trovò terreno fertile e nel Pedrocchi assunse una delle massime espressioni in Europa

C

osta il doppio di un caffè normale ma ci può stare, in un locale così, di concedersi qualcosa di diverso dal normale “ristretto”… È il “pedrocchino”, una delle specialità del Pedrocchi, lo storico caffè padovano, uno dei più celebri d’Italia. L’edificio vale da solo una visita, con le sue sale che conservano arredi ottocenteschi e l’atmosfera d’altri tempi che ancora vi si respira. E il palazzo è celebre per tanti motivi oltre al caffè: ad esempio per l’archi-

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tettura eclettica di Giuseppe Jappelli, o per l’abitudine a tenere aperte le sue porte giorno e notte, tanto da essere chiamato “il caffè senza porte”, oppure per le vicende patriottiche: vi si ritrovavano studenti e professori della vicina università protagonisti del periodo risorgimentale. Al piano di sotto si può accedere e vi è anche una stanza in cui è permesso, come un tempo, sedersi senza consumare, al piano di sopra si trova il Museo del risorgimento e dell’età contemporanea. Ma torniamo al motivo per cui il Pedrocchi fu creato: il consumo di caffè. Che, come accadeva a Venezia in quei tempi, era più una scusa per socializzare. La moda di degustare questa bevanda aromati-


STORIA E DINTORNI ca si era diffusa nel Seicento proprio nella città lagunare, nel cui porto i sacchi pieni dei preziosi chicchi venivano scaricati e poi inviati in tutta Europa: celebre è il caffè Florian, forse il primo in assoluto, e altrettanto noti sono i quadri di Pietro Longhi e dei suoi seguaci che ritraggono nobili veneziani con la tazza in mano. A quel tempo la bevanda era assunta anche a fini medicali e questo contribuì ad aumentarne il prezzo: non era il caffè a portata di tutti come è oggi. Da Venezia giunse a Padova anche grazie a Francesco Pedrocchi, che aprì la sua bottega in città nel 1772, e al figlio Antonio: vista la presenza di universitari benestanti e di molti veneziani, nobili e borghesi, studenti e commercianti, la moda trovò terreno fertile e nel Pedrocchi assunse una delle massime espressioni in Europa. Pensiamo che proprio in quel periodo i caffè vennero ad affiancarsi a “taverne”, “osterie” e mescite di vino, con funzione e clientela ben diversa. Non è un caso se “caffè” oggi è ancora usato come sinonimo di “bar”, locali dove protagonisti non sono alcol e cibo ma la chiacchiera, il piacere della conversazione e delle relazioni tra pagnare le occasioni di incontro tra persone e non le persone, e dove anche le donne possono entrare si limitava a chiudere il pasto o a riempire una breve senza temere di vedere disonorata la reputazione… pausa nelle attività lavorative, come si usa oggi… beh, La passione per il caffè, diffusasi in città anche grazie pur rischiando di apparire irrial Pedrocchi, ha probabilmenUn tempo il caffè era assunta verenti, ci viene spontaneo te contribuito all’attenzione anche a fini medicali e questo accostarlo a un’altra moda che i padovani hanno ancora oggi per questa bevanda: lo contribuì ad aumentarne il prezzo: che proprio da Padova ha preso piede: lo “spritz”. Un’aldimostrano le numerose tor- non era il caffè a portata di tutti come è oggi tra bevanda che, facendo le refazioni che spandevano l’adebite differenze, accompagna gli incontri tra persoroma tostato tra i tetti dei palazzi anche all’interno ne e il cui successo potrebbe forse, in qualche modo, della cinta muraria del capoluogo, alcune delle quali avere beneficiato del terreno ben preparato dall’illuveramente storiche: nomi come Vescovi, Incas, Ruffo, stre predecessore. Diemme, per citarne solo alcuni, non tutti ancora in attività. Al Pedrocchi non si beve però solo il caffè: specialità della casa è divenuto nel tempo lo zabaione, detto anche “alla Stendhal” perché il grande scrittore francese lo citò nel suo romanzo «La Certosa di Parma». Restando al caffè, specialità della casa è il citato “pedrocchino”, un sapiente incrocio tra la bevanda aromatica per eccellenza e la crema di menta. Il tutto va gustato senza mescolarlo e infatti viene servito senza cucchiaino. Un prodotto, quindi, accessibile al palato anche di chi non è uso all’aroma del caffè all’italiana e che in questo modo trasforma il piacere della bevanda dopo pasto in un piccolo, raffinato, dessert. Se il caffè, nella modalità di consumo diffusa dal Pedrocchi in città, ha sempre avuto la finalità di accom-

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ARTERRA di Loredana Pavanello

Babbo Natale, ICONOGRAFIA POP DI UN SANTO TURCO DEL IV SECOLO

Le immagini cambiano per assecondare nuove culture, nuove epoche, nuove necessità comunicative. È così che per la festa più importante dei cristiani vengono riprodotte usanze molto più remote dell’avvento del Cristianesimo e oggi sono ancora valide nel linguaggio del marketing commerciale

V

estito di rosso, con una fluente barba bianca simile a zucchero filato, con le guance e il naso rubizzi di chi ha corso controvento in slitta, il Babbo Natale è diventato un’icona popolare della festa principale dell’inverno. Il suo aspetto simpatico e accattivante è il risultato delle ricerche di marketing della Coca Cola, che infatti lo ha vestito dei propri colori per farne il centro di una campagna pubblicitaria di grandissimo successo. Sebbene questa figura conservi il nome di Santa Claus, contrazione anglosassone di san Nicola, ha ben poco in comune con l’originale figura di santo cristiano vissuto nel IV secolo e particolarmente venerato a Bari, dove le sue spoglie furono portate dalla Turchia nell’XI secolo e dove si trova la grandiosa cattedrale a lui dedicata. Il santo cristiano e l’icona pubblicitaria condividono fra loro giusto l’attributo iconografico della fluente barba bianca, che per Babbo Natale costituisce un simpatico vezzo, mentre in san Nicola era segno di saggezza e di esattezza di pensiero, eredità raccolta dai filosofi della Grecia classica. Eppure in Babbo Natale con la sua slitta carica di doni e con il suo sacco magico pronto ad accontentare i desideri di tutti bambini della società dei consumi, si cela il ricordo di Nicola, il santo amato dal popolo per la sua attività caritatevole. L’iconografia del patrono di Bari lo raffigura infatti con in mano tre palle d’oro, quelle che, secondo la tradizione amplificata dal vero e proprio best seller medievale che fu la Leggenda Aurea di Jacopo da

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ARTERRA e mostra la sua potenza facendo in modo che le ore di luce ricomincino ad aumentare. Per simboleggiare questo trionfo della luce era naturale dunque addobbare e abbellire un albero sempreverde, simbolo della forza della natura di mantenersi sempre vitale e feconda, anche nei freddi mesi dell’inverno delle regioni scandinave in cui all’epoca abitavano le popolazioni germaniche. Questo particolare momento dell’anno non era festeggiato solo tra le tenebrose foreste del Nord Europa, ma anche nelle terre più calde e assolate del Mediterraneo. Fu nelle regioni mediorientali dell’impero romano nei secoli a cavallo dell’era cristiana che si sviluppò la religione del Nell’immagine della Natività, realizzata dal Giotto nella Sol Invictus, il Sole sempre vincitore, che raccoglieva Cappella degli Scrovegni a Padova, si può notare una parantiche suggestioni delle religioni antiche della Siria, ticolarità iconografica: il Bambino non si trova al centro deldell’Egitto e della lontana Persia per costituire una la scena, dove dovrebbe logicamente trovarsi, ma è quasi nuova forma di culto in cui l’ordine e il benessere di defilato, in basso a sinistra, con la testa circondata però da un formidabile nimbo dorato: Gesù, al momento della sua tutti erano garantiti dall’astro portatore di luce e vita, nascita, riproduce in modo quasi perfetto l’immagine del garante della giustizia universale e sempre pronto a sole che sorge ad Oriente per illuminare il mondo, e Giotto sconfiggere il male in qualunque forma esso si incaraveva reso questo particolare ancor più preciso collocannasse, fosse un demone maligno, una bestia selvagdo l’aureola del bambino nel punto esatto in cui la luce gia oppure il nemico dell’impero. entrava nella Cappella all’alba del 25 dicembre Questo culto era diffuso in particolare fa le legioni al Varagine, il santo lanciò di notte e di nascosto all’inservizio dell’impero romano, i soldati lo portarono in terno di una casa in cui abitavano tre fanciulle povere ogni angolo del mondo, nella particolare forma del e orfane, che, lasciate senza dote, non avrebbero poculto di Mitra, il fanciullo solare che sconfigge le tetuto fare altro che dedicarsi alla prostituzione. Il dono nebre incarnate da un temibile toro nero. Troviamo del santo consentì loro invece di trovare facilmente tracce di questa tradizione anche nelle nostre zone: marito e di continuare a vivere onestamente. Questo a Padova, al di sotto della chiesa di Santa Sofia si trofatto è alla base della tradizione secondo vano i resti di un santuario dedicato al culto L’albero cui Babbo Natale entra di notte nelle case di Mitra, e proprio su questo tempio, il pridi Natale, per lasciarvi doni. Altra tradizione natalimo vescovo di Padova, san Prosdocimo, un’usanza che zia importata dai paesi anglosassoni è avrebbe eretto il primo tempio dedical’albero di Natale, addobbato di palle to alla nuova religione, significando un tempo colorate e di luci festose. In questo comunicava in modo ancora una volta la vittoria della luce caso si tratta di un’usanza che presemplice e immediato sulle tenebre. Anche la natività di cede l’avvento del Cristianesimo la gioia legata al solstizio Cristo è infatti legata indissolubile che comunica in modo semplimente alla manifestazione della d’inverno, il giorno in cui ce e immediato la gioia legata luce che sconfigge le tenebre, il Sole recupera le forze e al solstizio d’inverno, inteso ne troviamo un esempio stramostra la sua potenza facendo ordinario nel capolavoro delnon come il giorno più breve in modo che le ore di luce e buio dell’anno, ma al conla pittura del Trecento, la trario come il giorno in cui Cappella degli Scrovegni ricomincino il Sole recupera le forze dipinta da Giotto semad aumentare

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ARTERRA

Nell’ Adorazione dei pastori di Lorenzo Lotto, conservata ai Musei Civici di Brescia, oltre alla tenue luce crepuscolare che entra dalle finestre appare la “vera luce” emanata dal Bambino al centro della scena, pronto ad accogliere già infante il mistero del sacrificio metaforicamente incarnato dall’agnellino

pre a Padova. Nell’immagine della Natività realizzata scena, pronto ad accogliere già infante il mistero del dal pittore fiorentino si può notare una particolarità sacrificio metaforicamente incarnato dall’agnellino. iconografica: il Bambino non si trova al centro della O ancora nella celebre Natività Allendale di Giorgioscena, dove dovrebbe logine, conservata alla National A Padova, al di sotto della camente trovarsi, ma è quasi Gallery di Washington, dove il chiesa di Santa Sofia si trovano tema della luce, sapientemendefilato, in basso a sinistra, con la testa circondata però i resti di un santuario dedicato te declinato in funzione di un al culto di Mitra, e proprio su morbido paesaggio alla veneda un formidabile nimbo dorato: Gesù, al momento della questo tempio, il primo vescovo ta, spicca per il contrasto con sua nascita, riproduce in modo il buio della grotta, a segnare il di Padova, san Prosdocimo, quasi perfetto l’immagine del avrebbe eretto il primo tempio passaggio dal mondo delle tesole che sorge ad Oriente per dedicato alla nuova religione nebre a quello della rivelazioilluminare il mondo, e Giotto ne. L’idea sarà accolta nell’età aveva reso questo particolare ancor più preciso coldella “maniera” da Jacopo Bassano, autore di numelocando l’aureola del bambino nel punto esatto in cui rosissime scene di Natività, e ed elaborata appieno la luce entrava nella Cappella all’alba del 25 dicemdall’accesa fantasia di Tintoretto, nella suggestiva bre. Questa identità fra il Cristo e la luce del mondo Adorazione dei pastori alla Scuola Grande di San si trova poi in numerosi esempi della grande pittura Rocco a Venezia, secondo un’accezione visionaria del Cinquecento veneto, come ad esempio nella strache sarà a sua volta fondamentale per le dissonanze ordinaria Adorazione dei pastori di Lorenzo Lotto ai di El Greco, come si vede ad esempio nella AdorazioMusei Civici di Brescia, dove la tenue luce crepusconi dei pastori della Galleria Nazionale Barberini, che è lare che entra dalle finestre appare una lieve chiosa attualmente visibile a Treviso nell’interessante mostra alla “vera luce” emanata dal Bambino al centro della dedicata all’artista greco-spagnolo.

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Centro Sportivo

Le Tre Piume

GOLD CUP di Shotgun 2016, si guarda già al futuro

In Europa una struttura così completa per gli amanti del tiro con le armi non esiste e non ne esiste una altrettanto sicura in Italia, infatti, è l’unica che può fregiarsi del marchio sicurezza Coni. Ed è l’unica nella quale oltre ad un servizio impeccabile troverete un ambiente famigliare, accoglienza e una cucina semplice ma ideale per chiudere una giornata tra amici all’insegna dell’allegria e dello sport poco impeccabile. “Gestire un mondiale non è Il centro sportivo Le Tre Piume di Agna, ha una cosa da poco - spiegano Giovanni e Mario appena concluso una stagione agonistica da Carli, conduttori degli impianti - è stato davincorniciare, dove all’impegno profuso sono vero impegnativo per il valore della posta in seguiti i risultati. E che risultati. Per quanto palio, per l’enorme numero di persone che per riguarda il recente campionato mondiale di due settimane sono stati ospiti della struttura Shotgun, disputatosi dal 7 al 20 settembre, e anche perché per noi è stata la prima volta sono i numeri a parlare: 683 atleti parteciche ci siamo misurati con una competizione panti, altrettanti accompagnatori, 82 arbitri di così importante. Molto ci ha aiutato il bel rapcampo e start office, 56 tappatori, 4 interpreti porto di lavoro che si è instaurato con la Fedee una quarantina di operatori tra accoglienza, razione Tiro Sportivo e alla fine siamo contenti ristoro e riparazioni, insomma gli impianti di Roberto Vezzoli dopo il titolo del 2013 è via Costanze per 14 giorni si sono riempiti di tornato sul gradino più alto del podio della che quest’esperienza sia stata archiviata con un popolo unito dallo spirito dello sport e nel competizione più importante al mondo dello solo critiche positive, pensiamo sia una bella pagina per il nostro sport”. Insomma il Centro cercare di portare a casa il maggior bottino Shotgun sportivo Le tre Piume ha dimostrato di essere l’unica struttura di medaglie in palio. In tal senso è andata benissimo per i nostri all’altezza di organizzare anche di competizioni così importanti. colori, la rappresentanza italiana ha fatto propri sei ori: quattro nelle discipline individuali, andate al collo di Davide Bellini, Gavino La magistrale prova di efficienza e organizzazione ha convinto anMurra, Amedeo Sessa e Roberto Vezzoli, che così si è riconfermato che i vertici mondiali della Beretta Armi e dell’organizzazione dello campione del mondo per la seconda volta, due nelle competizioShotgun, tanto che è già stata deliberata l’assegnazione della Gold Cup di shotgun 2016 e sarà ancora una volta il centro sportivo ni a squadre e altrettante medaglie tra argento e bronzo per un Le tre Piume di Agna il teatro delle competizioni a maggio del totale di quindici premiazioni. Soddisfazione per i colori azzurri, prossimo anno. ma anche per quanto riguarda l’organizzazione che è stata a dir

CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)


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Grande prova del team italiano, quindici medaglie tra oro, argento e bronzo Con una bella prova di altruismo e solidarietà si è conclusa anche l’undicesima edizione del Trofeo Città della Speranza. La competizione, voluta e realizzata da undici anni per raccogliere fondi da destinare al centro ricerche malattie oncologiche infantili, si è conclusa nel migliore dei modi grazie al grande contributo messo a disposizione da Beretta Army, sempre sensibile ad iniziative come questa, e al gran numero di atleti che ogni anno prende parte alla particolare competizione. Sono stati più di trecento, infatti, gli atleti che dopo aver calcato le piazzole di tiro hanno aderito alla consueta cena, organizzata nel ristorante del Centro Sportivo, per destinare ognuno una piccola cifra alla ricerca delle malattie oncologiche infantili e visto che l’unione fa la forza, anche quest’anno al centro padovano sono stati devoluti 7.600 euro. Le competizioni riprenderanno il prossimo anno, intanto al Centro sportivo Le tre Piume continuerasnno le attività di allenamento e i corsi. L’intera struttura è a disposizione per chi ha voglia di mettersi alla prova.

Tutto quello che c’è da sapere del Centro Sportivo “Le Tre Piume” Definire il centro sportivo “Le tre piume” un poligono, oppure un centro di “tiro sportivo” è molto riduttivo. L’attività che viene svolta in via Costanze ad Agna, infatti, è ben più articolata e coniuga allo sport anche un servizio di ospitalità, con un ristorante che sforna piatti vini della tradizione locale, e un’area riposo dotata di piscina, che estende il piacere di una giornata all’aria aperta anche ai famigliari dei tiratori. Una piccola oasi verde dotata di ogni comfort, infatti, può essere lo svago perfetto per chi alle sagome o ai piattelli ama il relax di una giornata nella natura. Insomma, è il posto giusto in cui passare le domeniche è ovviamente per chi ama lo sport con le “armi” è un vero e proprio parco divertimenti. Non mancano le attività agonistiche con allenamenti e corsi, seguiti da Giovanni e Mario, per imparare l’antica arte balistica.

Giovanni e Mario Carli, gestori del centro sportivo Le tre Piume

Tutti i Campi a disposizione • 8 CAMPI DA TIRO AL VOLO • nel quale ci si può esercitare in discipline olimpiche come la “fossa”, lo “skeet” e il “double trap” oppure le non olimpiche come la fossa universale, il compact sporting o il trap americano e percorso caccia • 15 STAGE PER IL TIRO CON LA PISTOLA • sia statico che in movimento • PIAZZOLE E BERSAGLI • per il tiro con l’arco • LINEE PER IL TIRO AD AVANCARICA • con vecchi fucili dell’Ottocento • 23.000 m2 ATTREZZATI PER IL SOFT-AIR • È stato inaugurato quest’anno il campo con 16 LINEE PER IL TIRO LUNGO, tiro con la carabina a canna rigata da 100 a 200 metri, pensata per gli appassionati delle armi ex ordinanza o per i cacciatori di ungulati. Si tratta di una delle poche strutture di questo tipo presenti in zona.

Orari

ORARI TIRO A VOLO dal mercoledì alla domenica dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00 mercoledi sera fino alle 23.00 ORARI TIRO CON ARMI RIGATE mercoledì pomeriggio dalle 14.30 alle 19.00 sabato e domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00

Tel. 049 9515388 - Fax 049 9519308 - info@letrepiume.it - www.letrepiume.it


AMICI SENZA LE ALI di Aldo Tonelli e Beatrice Zambolin

UN OSPITE SPINOSO

ma simpatico In autunno si avvicina volentieri alle nostre abitazioni in cerca di cibo e per ospitarlo nei nostri giardini basta poco, qualche piccolo accorgimento e un aiuto qua e là

S

buffa, rovista, sposta tumultuosamente le foglie creando un gran baccano: si sente un riccio che si avvicina nel giardino autunnale coperto dalle foglie cadute dagli alberi. Il riccio europeo è un piccolo mammifero comunemente conosciuto per il suo manto formato da aculei. È un animale notturno, piuttosto elusivo, che conduce una vita per lo più solitaria. In autunno si avvicina volentieri alle nostre abitazioni in cerca di cibo e per ospitarlo nei nostri giardini basta poco, qualche piccolo accorgimento e un aiuto qua e là. Prima del letargo deve accumulare uno strato di grasso sufficiente a permettergli di passare l’inverno, stagione in cui le sue prede sono assenti, e avendo bisogno di molte proteine, quando capita, approfitta del cibo nelle ciotole lasciate fuori per i nostri cani e gatti. In natura al contrario ha una dieta molto variegata: si nutre di insetti, lumache, larve, ragni, lombrichi e occasionalmente anche di uova, nidiacei, rettili, anfibi e piccoli mammiferi, soprattutto cuccioli di topo; inte-

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gra poi i pasti con bacche, radici e frutta. La sua tana è un piccolo anfratto lievemente scavato fra pietre o radici e ben ricoperto da foglie secche e rametti e se si ha il piacere di accoglierlo nel proprio giardino, è bene non ripulire del tutto il prato ma lasciare foglie e rami in alcuni angoli di esso, così da permettergli di trovare il materiale adatto. Curioso e molto laborioso, dispone e risistema vari giacigli nel corso della sua vita, ma se trova un posto sicuro e asciutto lo occu-

Quando è tranquillo i muscoli sotto gli aculei sono rilassati


AMICI SENZA LE ALI

no essere validamente sostituiti da metodi naturali pa per parecchio tempo. I rifugi artificiali sono molto semplici ed efficaci, basta solo impegnarsi in un’adeapprezzati dal riccio e ci si può sbizzarrire con vari guata informazione. Anche se è molto facile ospitare materiali: si può posizionare nel giardino, in un luoun riccio in giardino è necessario ricordare che è un go protetto e riparato, un vaso di coccio rovesciato animale selvatico e va mantenuto tale: la detenzione o una cesta di vimini, con un foro o rialzati in modo in cattività è illegale ai sensi della legge e gli porta da lasciare un’ampia fessura d’entrata, anche le lenotevoli sofferenze gnaie e i fienili sono Prima del letargo deve accumulare uno poiché non è facile forluoghi molto graditi per strato di grasso sufficiente a permettergli nirgli l’ambiente di cui passare il letargo. Nel di passare l’inverno e avendo bisogno ha bisogno per la sua nostro giardino il riccio aiuta ad eliminare vari di molte proteine spesso si serve del cibo salute. Numerosissimi insetti e lumache e non lasciato nelle ciotole dei nostri cani e gatti ricci ogni anno vengono investiti sulle nostre provoca alcun danno: strade e la loro popolazione, anche se per il momento infatti, al contrario dei topi, non ha l’abitudine di ronon a rischio, viene costantemente diminuita. sicchiare cavi e attrezzature né di cibarsi di granaglie, Il riccio ha un sistema di difesa per cui quando avverdal momento che non è un roditore bensì un appartete un pericolo si immobilizza nella speranza di non nente alla famiglia degli erinaceidi: creare un ambienvenire scorto e se viene ulteriormente spaventato si te comodo e sicuro per lui può risultare proficuo anappallottola su se stesso per proteggere il muso e la che per noi. Per evitare spiacevoli incidenti è buona pancia ma questo sistema ovviamente non funziona norma usare delle premure durante il mantenimento con le automobili che inevitabilmente lo travolgono. del giardino e quando si taglia l’erba o si potano le È ancora comune sentir nominare il riccio con il sopiante bisogna fare attenzione nelle vicinanze delle stantivo di ‘porcospino’: questo termine è più corretsiepi dove i ricci potrebbero dormire, non si devono to se utilizzato per indicare l’istrice, un roditore più lasciare per terra fili e reti per evitare che si impigligrande e raro con il dorso interamente ricoperto da no con le zampe, non bruciare mai cumuli di foglie e lunghi aculei bianchi e neri. Modi di dire basati sul rami se non dopo aver controllato accuratamente che riccio e sulle sue caratteristiche sono noti: chiudersi nessun riccio vi stia dormendo dentro ed evitare l’ua riccio-essere un riccio-fare il riccio ovvero assumeso, deleterio per moltissimi animali, di mastice o altri re un atteggiamento di chiusa difesa, di reticenza e tipi di colla per terra. I pericoli più frequenti e concrerifiutando qualsiasi intervento esterno. Gli inglesi inti per questi animali sono costituiti dai veleni e dalle vece hanno una curiosa espressione per definire una sostanze chimiche artificiali, per cui è bene limitare situazione scomoda: “On the back of the hedgehog” quanto più possibile l’utilizzo di pesticidi, insetticidi, ovvero “essere in groppa al riccio”. diserbanti, lumachicidi e fertilizzanti, i quali posso-

In caso di pericolo i muscoli sottopelle fanno erigere gli aculei e poi si chiude a palla

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CONSELVE NUOTO DURANTE LE FESTE ANCORA PIÙ SERVIZI PER LO SPORT E IL DIVERTIMENTO IN VASCA Un mondo di acqua dove ogni giorno si svolgono corsi per tutte le età: dai sei mesi agli 85 anni, con un’offerta che spazia dal nuoto libero all’acquagym, dall’acquabike al “tapis roulant” Un centro sportivo moderno, pulito, efficiente. Un ambiente giovane dove allo sport e alla salute si associa il divertimento, soprattutto per i più piccoli. Conselvenuoto non è solo un polo natatorio, ma un mondo di acqua dove ogni giorno si svolgono corsi per tutte le età: dai sei mesi agli 85 anni, con un’offerta che spazia dal nuoto libero all’acquagym, dall’acquabike al “tapis roulant”. Corsi pensati e sviluppati per il fitness o per ogni singolo nuotatore in base alle sue esigenze: dal mantenimento della forma fisica, al perfezionamento degli stili, fino all’agonismo. Per i giovanisGIORNI 6 Domenica 7 Lunedi 8 Martedì 22 Martedi 23 Mercoledi 24 Giovedi 25\26 27 Domenica 28 Lunedi 29 Martedi 30 Mercoledi 31 Giovedi 1 Venerdi 2 Sabato 3 Domenica 4 Lunedi 5 Martedi 6 Mercoledi

ORARIO PISCINA DI CONSELVE ORARIO NUOTO LIBERO 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 14.30 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 14.30 7.15-14.30 \18.00-22.00 8.30-18.00 Chiuso - Buon Natale 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 7.15 - 22.00 8.30 - 18.00 Chiuso - Buon Anno 9.00 - 20.00 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 16.30 \ 20.00 - 22.00 8.30 - 13.00 \ 15.00 - 19.00

simi, invece, l’acqua è pura gioia e per loro, durante le festività natalizie, le opportunità di gioco raddoppiano grazie a “FUN”, l’attività pensata per associare al nuoto il divertimento con gonfiabili e pallanuoto, e grazie a “La festa di Babbo Natale”, con doni per tutti bimbi più buoni. Dal dicembre al 4 gennaio, inoltre, torneranno i Centri Invernali, tenuti da insegnanti qualificati FIN di provata esperienza. Tutte le mattine fino alle 14.30 i bambini potranno svolgere attività fisica con un programma che divide equamente gli esercizi in vasca e quelli in palestra. CORSI SI SI NO SI SI NO NO SI SI SI SI NO NO SI SI SI SI NO

PERIODO NATALIZIO 2015\2016 ORARIO PALESTRA CENTRI INVERNALI 9.00 - 12.30 NO 9.00 - 22.00 NO 9.00 - 12.30 NO 9.00 - 22.00 NO 9.00 - 22.00 NO 9.00 - 14.30 SI Chiuso - Buon Natale NO 9.00 - 12.30 NO 9.00 - 22.00 SI 9.00 - 22.00 SI 9.00 - 22.00 SI 9.00 - 14.30 SI Chiuso - Buon Anno NO 10.00 - 18.00 SI 9.00 - 12.30 NO 9.00 - 22.00 SI 9.00 - 22.00 SI 9.00 - 12.30 NO

TUTTO CIÒ CHE C’È DA SAPERE SULLA STRUTTURA La struttura è nuovissima, e ben accessoriata con: • 1 vasca 25 metri • 1 vasca didattica doppio livello • 1 vasca da 12 metri con profondità regolabile dagli 80 a 120 cm • 1 palestra - sala pesi - Technogym • Bar, attrezzato per organizzare anche feste di compleanno CONSELVENUOTO srl Via Pampaloni, 1 - 35026 Conselve (PD) Tel. 049 9501421 - Fax 049 9513865 - www.conselvenuoto.it - info@conselvenuoto.it


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TECNOCASA DI CARTURA, investire per avere valore L’interesse per il “mattone” è in ripresa: una politica di prezzi più bassi e le nuove soluzioni abitative, che permettono un risparmio nella gestione della casa e migliori comfort nello stile di vita, stanno tornado a riscuotere l’interesse sia di coloro che lo considerano oggi la migliore forma d’investimento, utile a garantire la conservazione di un certo capitale, sia di quanti vedono nell’acquisto di una casa il coronamento di un sogno dopo tanti anni di risparmi e grossi sacrifici Dieci anni di esperienza trascorsi a fianco di chi vuole investire nel mercato immobiliare. Prima a Due Carrare, poi a Mezzavia e dal 2013 a Cartura l’agenzia Tecnocasa attraverso centinaia di consulenze, di proposte e di offerte ha accompagnato l’acquisto o la vendita del bene più prezioso per le famiglie: la casa. L’interesse per il “mattone”, infatti, è in ripresa: una politica di prezzi più bassi e le nuove soluzioni abitative, che permettono un risparmio nella gestione della casa e migliori comfort nello stile di vita, stanno tornado a riscuotere l’interesse sia di coloro che lo considerano oggi la migliore forma d’investimento, utile a garantire la conservazione di un certo capitale, sia di quanti vedono nell’acquisto di una casa il coronamento di un sogno dopo tanti anni di risparmi e grossi sacrifici. La compravendita di una casa è in ogni caso un’operazione delicata e un passo importante che vanno gestiti e affrontati con estrema cautela. È in questo contesto che l’Agen-

Nella foto Nicola Fortin, Luca Vernuccio, e Leonida Todaro

zia Tecnocasa di Cartura ha un ruolo fondamentale, grazie alla professionalità e all’affidabilità dei suoi agenti, preparati pure a interpretare e assecondare le tendenze del momento storico. La compagine di via Roma, infatti, sta seguendo anche il mercato dei fondi agricoli. “Nell’impasse” economica di questi anni il mondo dell’agricoltura ha giocato ruoli chiave, sia come ammortizzatore sociale sia come settore capace di attrarre investimenti, tanto da riportare in auge il mondo della ruralità anche tra quelle giovani generazioni che in precedenza sembravano maggiormente sedotte dalla città. Oggi la campagna attrae sia come scelta abitativa, per il verde e la tranquillità, sia come opportunità professionale, e questo interesse mantiene alto il valore dei fondi agricoli. Tecnocasa è a disposizione di chi vuole vendere un terreno, consulenze e valutazioni sono gratuite!

Luca Vernuccio è disponibile per consulenze approfondimenti al 349 0578051 oppure via mail all’account luca.tecnocasa@gmail.com


Tempo al tempo e il vino si fa color granato, austero, dal gusto lungo e persistente, giustamente tannico… sublime calice da meditazione

●D IPLOMA DI MERITO

al 17º Concorso Regionale EnoConegliano 2015 per il Bagnoli Friularo Doc Ambasciatore 2009 ●M EDAGLIA D’ORO al 22º Concorso Enologico Internazionale di Verona 2015 per il Bagnoli Friularo Doc Riserva “Il Fondatore” 2003 ●M EDAGLIA D’ORO al Concorso Mondiale di Bruxelles 2015 per il Bagnoli Friularo Doc Ambasciatore 2009 ●G RAN MEDAGLIA D’ORO al Concorso Mondiale di Bruxelles 2015 per il Bagnoli Friularo Doc Riserva “Il Fondatore” 2003

CAMPIONE TRA I VINI, Conselve Vigneti e Cantine S.C.A. Via Padova, 68 35026 Conselve (PD) Tel. 049 5384433 FAX 049 9500844

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orgoglio della nostra terra Il Friularo Fondatore è un eccellente vino rosso ottenuto con la vendemmia tardiva, l’appassimento in fruttaio, la lenta fermentazione ed un lungo invecchiamento in botti di rovere


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