Con i Piedi per Terra | 27. BASSA PADOVANA

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N. 27 - Maggio - Giugno 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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arte storia e natura prodotti tipici

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Numero 27

Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it

6 L’ELZEVIRO

Finirà prima la terra o l’agricoltura?

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Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Paolo Breber Emanuele Cenghiaro Mattia De Poli Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Alberto Naccari Loredana Pavanello Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Martina Toso Claudio Vallarini

Progetto Grafico:

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Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl commerciale@conipiediperterra.it

Stampa: Stampe Violato snc Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com Giornale chiuso in redazione il 28 giugno 2018 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)

La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana. L’autore è Augusto Camozza

Nel supplemento al N 26 - Chioggia città dell’armonia è stato omesso il nome dell’autore della copertina. Lo citiamo qui: Riccardo Ciriello

LA MEMORIA DI CARTA

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“Schei”, il valore del denaro

INGIROPIEDANDO

Insetti: moda o frontiera alimentare?

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STORIA E DINTORNI

Ottant’anni di Sagra del pesce a Chioggia

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EDITORIALE di Mattia De Poli

NON DI SOLO PANE…

Nella società dei consumi anche il cibo da bisogno è diventato un business

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i vive per mangiare o si mangia per vivere? In altre parole: mangiare è un piacere o una mera necessità? Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo l’alimentazione è indicata come uno degli aspetti che concorrono a definire il tenore di vita di una persona “sufficiente a garantire la salute e il benessere” dell’individuo (art. 25). Ma che differenza c’è fra salute e benessere? Il documento approvato dall’Assemblea delle Nazioni unite il 10 dicembre del 1948 sembra intendere la “salute” essenzialmente come salute fisica, ovvero come la condizione di normalità strutturale e funzionale del corpo umano, come uno stato di assenza di malattie o infermità. Ma nello stesso anno l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito la salute come uno “stato di benessere fisico, psichico e sociale”. In questa prospettiva i concetti di “health” (salute) e “well-being” (benessere) tendono a coincidere e i due termini impiegati nel testo della Dichiarazione esprimono sostanzialmente un unico concetto, come un’endiadi. In ogni caso, stabilire una relazione fra alimentazione e benessere significa riconoscere al cibo una funzione non solo strettamente biologica, fondamentale per la sopravvivenza, ma anche psicologica e sociale. Essere in salute, in senso stretto, è un presupposto dello star bene con se stessi e con gli altri: salute fisica, equilibrio psichico e relazioni sane sono aspetti correlati fra loro. Il cibo, dunque, è al contempo una necessità e un piacere, se è vero quello che sosteneva Aristotele, che l’uomo è un essere vivente incline

per sua natura a vivere con i suoi simili. Ma nella società dei consumi anche questo piacere necessario diventa un business. La parola d’ordine è stile. I cuochi non sono più soltanto addetti a sfamare le persone, lavorando dietro ai fornelli, ma sono degli autentici maître-à-penser, dei guru, degli stilisti del cibo: non si limitano a stare nella cucina di un ristorante, ma conducono dei programmi in televisione, scrivono libri che diventano best-seller. E alla fine diventano testimonial nelle campagne pubblicitarie di prodotti altrui: basta il loro nome, la loro firma, il loro volto sui manifesti o sullo schermo televisivo - tutto immediatamente riconoscibile come fossero divi del cinema o della musica - per garantire la qualità di un marchio che produce pasta o patatine, per promuovere multinazionali della ristorazione di massa e perfino fabbriche di mobili. Il marketing del settore alimentare è diventato un’opportunità che attira anche personaggi pubblici legati ad altri ambienti, come quello sportivo, dal nuoto al motociclismo, e anche alcuni calciatori, che in Italia sono tra le persone più popolari, vi sono stati aggiogati. Anche il cibo, come l’abbigliamento, è griffato e sponsorizzato. Ma, allora, dov’è il confine fra il necessario e il superfluo? Non avere il prodotto di marca, garantito dal testimonial, comporta una rinuncia: anche se è superfluo, la sua privazione ci fa stare male e ci mette a disagio di fronte ai nostri simili. L’indifferenza è la “nuova” virtù, se ci libera dai condizionamenti esterni.

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messaggio pubbliredazionale

In questi giorni verranno recapitati nelle case dei consorziati i ruoli per l’anno 2018, la seconda tranche è prevista per settembre. Sarà facile constatare che gli importi sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto agli anni scorsi

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO

ESTENSIONE RETE IRRIGUA, DALLA CARTA ALLA REALTÀ GIÀ A FINE ANNO A dicembre l’individuazione della ditta che si occuperà dell’estensione dei 19 chilometri di condotta che supererà il problema dell’inquinamento da Pfas in agricoltura. Non avrà alcun impatto ambientale, permetterà il 25% di risparmio d’acqua e soprattutto sarà acqua certificata

Acqua e per di più acqua pulita. La possibilità di irrigare la campagna durante i periodi siccitosi, che sempre più caratterizzano le estati, è un requisito fondamentale per accompagnare l’agricoltura nei suoi investimenti rivolti a colture sempre più di qualità. L’acqua, infatti, è il vero motore dell’economia della campagna e l’elemento che ne garantisce il risultato in termini di profitto. Tanto più se la qualità dell’acqua è ottima. È questa la scommessa che il Consorzio di bonifica Adige Euganeo può dire di aver vinto con l’ottenimento del finanziamento ministeriale per l’estensione della rete nei tre distretti irrigui del Guà, Monastero e Fratta. Perché se da una parte la realizzazione di questo impianto, per il quale il precedente Consiglio dei Ministri ha stanziato la ragguardevole somma di 45 milioni di euro, consentirà di efficientare il sistema di distribuzione dell’acqua, dall’altra andrà a dare una concreta risposta ad un tema che negli ultimi mesi ha costituito un serio motivo di allarme, per via delle presenze degli inquinanti che inficiano la qualità delle acque del Fratta-Gorzone. Nel tronco del fiume compreso tra la derivazione dal Canale LEB ed il manufatto di scarico del canale “Fossetta”, in confine tra i Comuni di Castelbaldo e Merlara, il Consorzio di Bonifica, infatti, deriva una portata di 2025 l/s per destinarli all’irrigazione. Un problema serio, dunque, per le persone che abitano nella zona interessata, ma che potrebbe anche estendersi altrove attraverso la filiera alimentare, se i prodotti

Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054


Il progetto riguarda la realizzazione di una condotta sotterranea lunga 19 chilometri, in estensione al Leb, da Cologna Veneta a Masi e Castelbaldo, per l’alimentazione di una rete irrigua che permetterà di evitare i prelievi direttamente dal Fratta-Gorzone. La rete in parte già esistente e in parte da eseguire ex novo, alimentata dai vari sifoni e capillarizzata nelle campagne attraverso canalette e condotte in cemento, garantirà la disponibilità di acqua pulita a scopi agricoli a tutta la parte meridionale del territorio di competenza del Consorzio Adige Euganeo

venissero a contatto con acqua contaminata. In più il perdurare di questo problema sta già diventando motivo di afflizione per gli agricoltori, in quanto le loro produzioni risentono di una forma di pregiudizio tra la clientela sempre più abituata a chiedere qualità. “In effetti - spiega il presidente del Consorzio di bonifica Adige Euganeo, Michele Zanato - si tratta del più grande progetto irriguo nazionale finanziato negli ultimi anni. Un risultato ottenuto con la forte determinazione del nostro Consorzio,per poter sostenere una gara contro il tempo e cercare di risolvere i problemi che interessano la nostra campagna. Una corsa che, tra l’altro, non possiamo ancora considerare conclusa, in quanto stiamo ancora sollecitamente lavorando per portare l’intervento dalla carta del progetto alla realtà il prima possibile. In sintesi gli interventi in progetto prevedono la realizzazione di una nuova condotta di adduzione di circa 19 km in grado di collettare le acque del Canale L.E.B. ai sistemi irrigui dei distretti Guà, Monastero e Fratta. Per consentire un miglioramento qualitativo delle acque irrigue, verranno convogliate in condotta fino a 2.500 l/s di acqua, destinati a una superficie complessiva di circa 8 mila ettari”. E la scaletta del Consorzio parla già di fine anno per l’individuazione della ditta, per poi procedere secondo i tempi tecnici alla realizzazione di quello che a tutti gli effetti sarà un acquedotto la cui estensione dovrà fare i conti con tutti gli sbarramenti che un territorio fortemente antropizzato, come il nostro, presenta. “Non avrà alcun impatto ambientale - rassicura il Presidente - in quanto la condotta sarà interamente sotterranea. Cammineremo a cinque metri di profondità. Dovremo superare ostacoli come la Strada Provinciale n 500 a Cologna Veneta, la ferrovia MantovaMonselice, la SR10 a Bevilacqua e lo stesso corso del Fratta in

prossimità del collettore Zerpano, per i quali non è possibile realizzare scavi in trincea per la posa delle condotte. In tali punti prevediamo di utilizzare il micro-tunneling, una tecnologia dove le condotte, precedute da una testa fresante in acciaio detto scudo, verranno fatte avanzare nel terreno tramite la spinta di martinetti idraulici controllati in superficie”. La presa delle acque avverrà direttamente dalla condotta grazie a sei derivazioni, l’impianto sarà tutto in bassa pressione e soprattutto l’acqua sarà assolutamente sicura, tanto che potrebbe essere certificata. “Anche i dubbi e le preoccupazioni che inficiavano le produzioni agricole - conclude il presidente Zanato - potranno essere superati, anzi da un punto debole si potrà arrivare ad un punto di forza grazie a colture realizzate con acqua dalla qualità garantita. In più c’è il grande vantaggio apportato dal risparmio. È stato calcolato che mantenendo lo stesso prelievo dal Leb, in campagna arriverà un 25% di acqua in più rispetto al passato, solo eliminando perdite e sprechi”. Non tutte le siccità vengono per nuocere potrebbe essere il motto con il quale tenere a battesimo questo fondamentale intervento, in quanto va ricordato che la somma di denaro impiegata per portare alla forma esecutiva il progetto presentato in Regione e al Ministero, era stata ottenuta dai risparmi resi possibili dal minor consumo di elettricità delle pompe idrovore durante la siccitosa estate dello scorso anno. Ben oltre 400 mila euro che lo scorso 22 febbraio, attraverso il Piano Irriguo Nazionale e l’intraprendenza del Consorzio di bonifica Adige Euganeo, sono diventati 45 milioni da destinare al futuro di una terra spesso, purtroppo, troppo spesso dimenticata dalle istituzioni.

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L’ELZEVIRO di Eliano Morello

Consumo DI SUOLO e consumo DELLA CATEGORIA AGRICOLA

I problemi legati alla scarsa produttività della campagna stanno creando un terreno fertile per i speculatori del cemento

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ecentemente alcuni telegiornali locali hanno diffuso la notizia che sarebbe necessaria la costruzione di una terza corsia per l’autostrada A13, almeno per il tratto Monselice - Padova. Prima ancora era partita una battaglia per la concessione dell’autorizzazione alla costruzione del centro commerciale denominato “Due Carrare”, che pareva dovesse sorgere difronte al castello del “Catajo”. Non so invece quando sia avvenuta la discussione, presso il Comune di Monselice, per la costruzione del nuovo polo agroalimentare denominato “AGROLOGIC” (è visibile a destra per chi percorre la variante SR 10 all’altezza del tratto che va dall’ospedale di Schiavonia all’uscita per Monselice). Devo anche evidenziare che il 6 giugno 2017, con la Legge Regionale n. 14, la Regione Veneto ha regolamentato il consumo di suo-

È nella pianura padana che la disponibilità di terra sta scomparendo più rapidamente che altrove. Si perdono circa 3 metri quadrati al secondo in modo irrimediabile 6

lo a partire dal 2017 stesso fino al 2050. Ma in tutte le discussioni elencate, solo in merito alla costruzione della terza corsia autostradale si è denunciato che gli espropri avrebbero interessato terreni coltivati a vigneto e asparago e pertanto non è accettabile la distruzione di terreno agricolo per quello scopo. Specialmente se ad essere espropriati sono terreni che producono beni di altissimo valore. E se si fosse trattato di terreni destinati a seminativi o colture meno pregiate? Non si sa. A mio avviso il consumo di suolo rientra a pieno diritto nel degrado ambientale di questo paese che, purtroppo, non ha una coscienza ambientale a tutto tondo. Anzi, ho l’impressione che il nostro ambientalismo sia a orologeria (cioè che si faccia sentire solo quando ci fa comodo), camuffato con pelosa ipocrisia. Eppure la cementificazione sta diventando una vera piaga, e non solo ambientale: la provincia di Monza-Brianza (MB) è quella con il tasso di cementificazione più alto, seguita da Napoli e Milano. In generale, però, è nella pianura padana che la disponibilità di terra sta scomparendo più rapidamente che altrove. Si perdono circa 3 metri quadrati al secondo (l’ISPRA calcola


L’ELZEVIRO

La Tabella indica il valore degli indennizzi per la determinazione dell’indennità di espropriazione in ragione delle coltivazioni in essere sui terreni interessati

in 23.000 Km quadrati, pari a 2.300.000 ettari), persi in modo irrimediabile: solo in sei mesi, tra il 2015 e il 2016, sono stati consumati 5.000 ettari di suolo pari a 5.700 campi di calcio. La causa di tutto ciò sembra da imputare agli stili di vita: o vengono rapidamente cambiati oppure il nostro ambiente diverrà irrecuperabile. Ora mi domando: in tutto ciò, dove sono gli agricoltori? Come mai ci si muove solo se si tratta di prosecco o asparago? Le altre colture non sono forse degne di essere salvaguardate? Se analizziamo gli ultimi dati ISTAT (Annuario Istat 2017) si può notare che la salute della nostra agricoltura (vino a parte) è cagionevole: il numero di aziende in attività (periodo 2013-2010) è calato del 9,3%; nello stesso periodo la superficie coltivata a seminativi è calata del 3%; i frutteti e le colture permanenti sono diminuiti del 5,1% e i prati e i pascoli permanenti si sono ridotti del 2,8%. Le stalle sono passate dalle 207.000 del 2010 alle 190.000 del 2013 (meno 17.000 pari al 8,21%). Questo trend, se non viene fermato, continuerà ed è già visibile anche a casa nostra. Vi consiglio una visita nel sito dell’Arpav al capitolo “Consumo di suolo nelle aree urbane”. Come è evidenziato, la provincia di Padova guida la classifica per consumo di suolo, seguita da Venezia e Treviso. Ma quello che preoccupa è il dato che vede l’incremento costate della perdita di terreno agricolo dal 1988 al 2016. Quando si discute, ci si scandalizza, ci si preoccupa della perdita di suolo, questo argomento spesso viene visto solo da un lato, cioè quello ambientalista, che ha occhio solo per la biodiversità, l’inquinamento ecc... nient’altro.

Vi riporto una notizia diffusa dalla CIA (Confedrazione Agricoltori Italiana) che sottolinea la situazione attuale e futura di parte dei nostri agricoltori: “Oltre 2,2 milioni di anziani in Italia vivono con pensioni al di sotto di 510 euro, e di questi circa 1 milione sono ex agricoltori. Una situazione di vera emergenza sociale, che rischia di peggiorare nei prossimi anni. Con la reintroduzione del sistema contributivo, i futuri pensionati agricoltori con contributi a partire dal 1996 non avranno nemmeno più l’integrazione al minimo,

Il valore dei terreni da espropriare viene triplicato se si tratta di campi i cui possessori sono agricoltori “coltivatori diretti”. E visti gli andazzi dell’agricoltura sono sempre meno quelli che resistono alla tentazione con pensioni anche di 276 euro al mese”. Con gli attuali redditi e versamenti contributivi quale futuro pensionistico potrà avere questa bistrattata categoria? Ora vorrei farvi notare la tabella provinciale per la determinazione dell’indennità di espropriazione dei terreni per la provincia di Padova. Ogni anno questi valori vengono aggiornati e prevedono, oltre ai valori indicati, altre indennità aggiuntive per ristorare la perdita del bene primario per un agricoltore. Bene: se si tratta di esproprio per pubblica utilità oppure per la costruzione di aree industriali, residenziali o altro e se questi terreni sono tolti ad agricoltori “coltivatori di-

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L’ELZEVIRO CONSUMO DI SUOLO NELLE AREE URBANE - ARPA VENETO superficie (%) 60,0

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Come indica il grafico redatto dall’Arpav, la provincia di Padova guida la classifica per consumo di suolo, seguita da Venezia e Treviso

retti” i valori indicati vengono triplicati. Altri proprietari “non coltivatori diretti”, compresi i fittavoli, vengono indennizzati aumentando il valore indicato in tabella di 1,5 volte. Vediamo qualche esempio: analizziamo la regione agraria n. 6 (pianura padovana meridionale), area oggetto di discussione per il centro commerciale, per il centro agroalimentare e per la terza corsia autostradale. Se l’esproprio riguarda un seminativo irriguo questo vale 57.000 €/ha (triplicato 171.000 €/ha); se si tratta di vigneto (non DOC) vale 62.000 €/ha (triplicato 186.000 €/ha); se parliamo invece di vigneto DOC (parificato a IGT) vale 92.000 €/ha (triplicato 276.000 €/ha), il frutteto vale 67.000 €/ha (triplicato 201.000 €/ha) e un terreno ad orticoli (tipo asparago) vale 66.000 €/ha (triplicato 198.000 €/ha). Vedete quindi che se l’agricoltore non è un idealista incorreggibile, ad una eventuale offerta, non credo ci penserebbe molto prima di accettare di privarsi di qualche ettaro di terreno. A queste condizioni. Ho ancora vivo il ricordo di tante battaglie contro la costruzione della A31 - Valdastico Sud: comitati per il NO, agricoltori irremovibili ma tutti alla fine hanno ceduto al denaro. Per la cronaca: l’area destinata al mercato agroalimentare di Monselice interessa un’area di circa 32 ettari. Se essa fosse posseduta da un singolo agricoltore, questo avrebbe percepito un controvalo-

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re di oltre 6 milioni di euro al netto di altre indennità aggiuntive. Chi vi rinuncerebbe? Avete mai sentito una critica verso tutti quei suoli rubati alla produzione primaria e destinati a parchi e giardini privati? Certo anche questi, si può obiettare, producono benessere al pari di una buona viabilità e, perchè no, anche di qualche centro commerciale o insediamento produttivo. Mi sembra di notare però che la difesa del suolo, del clima, dell’ambiente parta quasi sempre da persone che si trovano ad affrontare la vita quotidiana da posizioni privilegiate. Dunque, siamo sicuri che il tentativo di coinvolgere le masse possa dare dei frutti quando le stesse masse, che dovrebbero prendere coscienza e consapevolezza di questi temi, non dispongono degli stessi strumenti che vantano i “privilegiati”? Personalmente, credo che quando manca la cultura (in generale, non solo quella ambientale), quando mancano le risorse economiche per poter acquisire determinate conoscenze (scuola e istruzione), quando ci sono troppe disuguaglianze tra ricchi (e super-ricchi) e poveri, non possiamo pretendere che questi ultimi si facciano carico di tante fisime ambientaliste. Un vecchio filosofo sosteneva che è molto difficile ragionare con la pancia vuota. In sostanza tanta filosofia, tante buone intenzioni, tanta ipocrisia ma alla fine l’economia è fatta di altre cose.



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Boscovecchio

INGIROPIEDANDO

di Claudio Vallarini

DA LUOGO DIMENTICATO AD AREA NATURALISTICA ATTREZZATA “Schiribilla 40.0” è il nome del progetto che i Comuni di Masi e Badia Polesine stanno portando avanti sinergicamente insieme al WWF di Rovigo per rinaturalizzare un’area golenale dell’Adige

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ella generale cementificazione che negli ultimi anni ha riguardato l’intera nostra regione, può risultare consolatorio o comunque significativo sapere che esistono anche dei progetti di difesa e preservazione di alcune L’area del Boscovecchio e il progetto preliminare di rinaturalizzazione. aree di pregio naturalistico. È il caso del Sono previsti interventi per la realizzazione di un percorso di visitazione, Boscovecchio, una golena dell’Adige, a il posizionamento di strutture per il birdwatching e individuate aree per le attività sociali metà strada tra Masi, in provincia di Padova, e Badia Polesine, in quella di Rovigo, dove i me in quella zona. Così accadde che la terra un temrispettivi sindaci in sinergia con WWF di Rovigo, gli po padovana, finì con il trovarsi il fiume alle spalle per agricoltori dell’area interessata, il GAL Adige e due divenire, de facto, rodigina, ovvero raggiungibile, via sensibili tecnici che si occupano di ambiente e territoterra, solamente da Badia Polesine. Infatti da sempre rio: il geometra Massimo Morelli, di Badia Polesine, e è accesa, tra le due comunità, la disputa su chi sia il il geometra Massimo Rigobello, addetto all’Adige per proprietario di questa parte “emersa” di fiume, in reil Genio Civile di Rovigo, stanno portando avanti un altà non appartiene a nessuno - o meglio, appartiene progetto di rinaturalizzazione dell’area. Si tratta infatti a tutti - visto che l’Adige rientra nella gestione demadi un sito fluviale, completamente dimenticato dalla niale affidata al Genio Civile, ma forse questo progetstoria da quando un taglio ad opera degli ingegneri to è il modo più corretto per riappropriarsi almeno veneziani, il Taglio delle Rocche Marchesane, alla fine della sua natura, anche se il recupero non riguarda la del XVII secolo, retificò l’andamento sinuoso del fiustretta zona fluviale, ma un’area ben più vasta e che

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INGIROPIEDANDO raggiunge il canale Ceresolo. Entrambi i cosi d’acqua sono soggetti a tutela ambientale, il primo quale Sito di importanza europea, il secondo ai sensi del Testo Unico 42-2004 quale bellezza paesaggistica italiana, vincoli che hanno permesso a questa zona di essere risparmiati dalla recente realizzazione della Valdastico Sud che raggiunge il tracciato della Transpolesana. Ma la fortuna di questa zona, davvero suggestiva per essere un luogo in cui si conservano le caratteristiche tipiche del paesaggio agrario presenti nella pianura veneta fino agli anni ‘50 del Novecento, è la cura che anche i residenti vi ripongono. Il signor Giuliano Ferrighi, ad esempio, dopo aver arricchito di siepi una zona di Salvaterra, ha provveduto ad impiantare quattro ettari di terreno con altre piante da siepe dall’indubbio effetto paesaggistico e valore naturalistico a beneficio della fauna selvatica. Qui anche le strade portano nomi antichi come via Restara, via Abbazia o poco rassicuranti come la “Strada dei morti” anche se in realtà l’attaccamento alla vita è molto forte tanto che tra maggio e giugno si tiene ancora una suggestiva cerimonia religiosa per allontanare i pericoli portati dal fiume.

Ma ritornando alla Golena, va precisato che la richiesta sottoscritta alla Regione Veneto da entrambi i Comuni, a gennaio di quest’anno, al fine di conseguire una gestione condivisa dell’area, porterà un innegabile beneficio al Boscovecchio, sia in ambito naturalistico che in ambito turistico. La Golena, infatti è una piccola oasi di circa 20 ettari, dove verrà realizzato un percorso di visitazione, saranno posizionate strutture per il birdwatching e individuate alcune aree per le attività sociali. Non mancherà il recuperò di vecchi sistemi di coltivazione della campagna locale, come la “piantata padana”, il vecchio modo di gestire il vigneto maritando alla vite gli alberi da frutto o all’Acero campestre, tecnica riproposta dal WWF, nel terreno della Casa della Legalità e della Cultura di Salvaterra. Agli aspetti legati alla conservazione, infatti, si legano anche spazi deputati alla didattica: importantissimo far conoscere la ricchezza di questi luoghi sia in termini storici che ambientali. Insomma: un progetto intelligente che potrà anche proporsi ai tanti cicloturisti che già percorrono la “Destra Adige”, ossia la ciclabile che collega l’Adriatico a centro Europa.

BOSCOVECCHIO FLORA E FAUNA

Beccamoschino

Capinera

Per quanto riguarda gli aspetti naturalistici, il Boscovecchio riveste interesse comunitario, soprattutto per l’avifauna arboricola, le bordure di Ontano nero, Salice bianco, Pioppo bianco e Frassino maggiore, mentre le fasce arginali inerbate offrono riparo e alimentazione a numerose specie di avifauna terricola. Tra le singolarità vegetali è possibile osservare alcune specie di Orchidea. Il Boscovecchio riveste particolare importanza anche come luogo di nidificazione di numerose specie di uccelli, tra questi troviamo: il Beccamoschino, la Cannaiola, la Cannaiola verdognola, il Pigliamosche, la Capinera, l’Usignolo di fiume, il Migliarino di palude, l’Usignolo comune, il Rigogolo, l’Upupa, il Picchio verde, il Picchio rosso maggiore e il Tarabusino, un minuscolo Airone che trascorre le ore ad attendere immobile le rane, ma vi si possono osservare anche l’Airone rosso, l’Averla minore,

Pigliamosche

Averla minore

il Martin pescatore ed una grande colonia di Airone cenerino sul lato sinistro del fiume, dove un tempo sorgeva, non a caso, l’Isola degli Sgarzi (Sgarzo è il nome dialettale dell’Airone). Tra i rapaci diurni troviamo il Gheppio, lo Sparviere, il Lodolaio. Tra i mammiferi: il Tasso, la Donnola, la Faina, il Riccio, la Talpa, l’Arvicola terrestre e alcune specie di pipistrelli, tra le quali il Serotino comune e il raro Ferro di Cavallo maggiore. Tra gli insetti è stata recentemente individuata Morimus asper, una deliziosa specie dalle lunghe antenne, non volatrice, purtroppo in decrescita in tutto l’areale riproduttivo a causa della progressiva scomparsa delle zone boscate. Per aiutare questo delizioso insetto, con il suddetto progetto di recupero sono state lasciate in loco alcune cataste di legna marcescente e verranno piantate nuove essenze legnose.

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L’ELZEVIRO di Giuseppe Cilione

PERCEPIRE IL PAESAGGIO E VENDERE IL TERRITORIO:

la sfida di un sistema culturale Affinché il turismo possa diventare un’effettiva opportunità per la zona è prima di tutto necessario svoltare pagina dal punto di vista della mentalità perchè è difficile che gli abitanti della Bassa possano “vendere” un territorio che in molti casi sono i primi a non sentire e a non conoscere

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na delle più recenti conquiste nell’ambito della legislazione sui Beni Culturali in Italia è il fatto di essere arrivati, nel 2004, alla definizione legale del concetto di paesaggio: “Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.” (D. Lgs. 22/01/04, n. 42, art. 131 comma 1). In termini semplici, il paesaggio è la natura, così come è stata modificata dalla cultura umana. Chi vive nel territorio della Bassa padovana, quella striscia di terra fra i Colli Euganei e l’Adige, dovrebbe rendersi conto facilmente di quanto questa definizione possa essere forte, perchè la vita in questo terri-

torio è ancora in un certo senso condizionata dalla grande operazione di ingegneria idraulica veneziana del retratto del Gorzone, con cui la Serenissima Repubblica trasformò la geografia di queste terre prosciugando il Lago di Vighizzolo. Con questa operazione però si determinò anche il cambiamento di uno stile di vita: se prima gli abitanti della zona erano stati soprattutto pescatori che rifornivano i mercati di pesce di Este e Padova, con la grande opera di bonifica si sarebbero trasformati in uomini votati all’agricoltura, anzi alla santa agricoltura, come Alvise Cornaro chiamava quel processo che avrebbe dovuto aumentare la produzione di cibo dello Stato veneto e combattere la fame. In un certo senso quel cambio

Nella foto in alto: il Retratto del Gorzone. La vita nella Bassa Padovana è ancora in un certo senso condizionata dalla grande operazione di ingegneria idraulica veneziana del retratto del Gorzone, con cui la Serenissima Repubblica trasformò la geografia di queste terre prosciugando il Lago di Vighizzolo

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L’ELZEVIRO La Bassa Padovana, compresa tra I Colli Euganei e l’Adige, è uno dei pochi territori del Veneto ad aver mantenuto una vocazione principalmente Agricola di paradigma, operato dal governo di San Marco e dai suoi ingegneri alla fine del XVI secolo è ancora la cifra caratteristica della vita nella Bassa, uno dei pochi territori del Veneto ad aver mantenuto una vocazione principalmente agricola. Alvise Cornaro, nel suo trattato di agricoltura scritto alla metà del Cinquecento, affermava senza mezze misure che l’agricoltura che si poteva esercitare nelle terre bonificate era la vera alchimia, trasformazione della terra da improduttiva a produttiva e dunque fabbricazione vera e propria d’oro! Da allora le cose sono sicuramente cambiate, è avvenuto un altro, sconvolgente cambio di paradigma, quello industriale e anzi, probabilmente stiamo vivendo una nuova fase in cui la produzione di beni viene sostituita dalla pervasiva offerta di servizi. A questi cambiamenti dal punto di vista economico corrispondono sempre dei cambi di stili di vita e di tendenze di pensiero e la ruralità della Bassa viene percepita come qualcosa di negativo, in primo luogo dai suoi stessi abitanti che, in larga parte, si sentono esclusi dalla grande occasione offerta dal contemporaneo. In questo senso, la campagna viene intesa

come qualcosa di vecchio, da abbandonare, legato a stili di vita che non hanno più senso al giorno d’oggi. Si possono ripercorrere le relazioni delle visite pastorali, ad esempio quelle effettuate a Carmignano di S. Urbano, e nelle relazioni dei parroci Alvise Cornaro ritratto da Jacopo ai vescovi si nota, Tintoretto. Nel suo trattato di agricoltura scritto alla metà del Cinquecento, lungo tutto il coraffermava senza mezze misure che so del Novecenl’agricoltura che si poteva esercitare to, una difficoltà nelle terre bonificate era la vera alchimia, trasformazione della terra a raggiungere da improduttiva a produttiva e dunque i più giovani, a fabbricazione vera e propria d’oro farli parte di quel messaggio cristiano che inesorabilmente fa parte di un mondo vecchio, al suo tramonto. In quelle relazioni si legge qualcosa che è parte di un sentimento diffuso, la campagna è un mondo da cui fuggire, legato al passato, alle difficoltà economiche, ad un vivere non facile, e la Bassa costituisce

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L’ELZEVIRO

La campagna è spesso percepita come un mondo da cui fuggire, legato al passato, alle difficoltà economiche, ad un vivere non facile, un mondo parellelo alle scintillanti mode cittadine

una sorta di manifestazione di questo concetto, di un arcaismo che si protrae in un mondo parellelo alle scintillanti mode cittadine, un mondo piatto, coperto e avvolto dalla nebbia per lunghi mesi all’anno, in cui il tempo è scandito dall’obbligatorietà delle operazioni agricole, che non lasciano spazio alla libertà di costruirsi una vita. Ora qui nasce il problema quando si vuole riflettere sulle potenzialità turistiche del territorio compreso tra i Colli Euganei e l’Adige. Potenzialità che si trovano soprattutto nella possibilità di vivere in questa zona un paesaggio rurale con alta qualità della vita e la giusta lentezza, dotato inoltre di alcune significative espressioni a livello di turismo culturale sia per la presenza di monumenti nell’area che per la facilità di raggiungere grandi attrattori culturali come Venezia, Mantova e Ferrara senza essere risucchiati nel gorgo del turismo di massa. La potenzialità turistica è presente, perchè si trova nella collocazione geografica fortunata della zona e comunque nella presenza di alcuni aspetti che possono essere attrattivi per specifiche categorie di turisti, soprattutto quelle interessate ad un turismo verde e lento. Da questo punto di vista non mancano certo le eccellenze anche nel territorio della Bassa e Con i piedi per terra le ha segnalate e continua a segnalarle. Tuttavia per fare in modo che il turismo possa diventare un’effettiva opportunità per la zona è prima di tutto necessario svoltare pagina dal punto di vista della mentalità perchè è difficile che gli abitanti della Bassa possano

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Saper recuperare una identità della Bassa può e deve essere il primo passo di un meccanismo imprenditoriale da diffondere capillarmente nel territorio “vendere” un territorio che in molti casi sono i primi a non sentire moderno e invitante. In termini di economia spicciola non ci sarà mai nessuno che comprerà qualcosa se questa non viene messa in vendita, ed è molto difficile che un commerciante metta in vendita qualcosa di cui non percepisce il valore. Per vendere il territorio della Bassa è dunque, in primo luogo, necessario comprarlo, rendersi conto di quelle che possono essere le sue potenzialità e quindi sarà possibile trovare un modo per venderlo. In una società come la nostra, legata ai servizi, è necessario creare un’identità in quello che si vuole vendere, perchè esso non sia uguale a tutti gli altri prodotti che si trovano sullo scaffale (che nel nostro caso è ovviamente metaforico). Saper recuperare una identità della Bassa, in un modo che possa essere definito inclusivo, cioè portatore di un pensiero che possa essere arricchito dall’incontro con l’altro, secondo la definizione del filosofo ed economista premio nobel Amartya Sen, può e deve essere il primo passo di un meccanismo imprenditoriale da diffondere capillarmente nel territorio.


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FESTA DEL PONTE

di Noventa Padovana Tradizione, buon cibo e fuochi d’artificio che rischiarano le profonde acque del Piovego e il buio caldo della notte estiva

Tra la festa del Redentore di Venezia e la Festa del Ponte di Noventa Padovana c’è più di una cosa in comune: la data, ossia il 14 luglio, poi il ponte e un suntuoso spettacolo pirotecnico. Come questi elementi si intreccino nella storia delle due città è difficile dirlo, ma di certo anche la festa di Noventa Padovana è antichissima. La memoria più remota ricorda il periodo tra le due guerre, quando un grande burchio accompagnava un’orchestra lungo il Piovego tra ali di gente. In gran parte quei contadini che si riunivano spontaneamente a festeggiare il Redentore, portando salami e pan biscotto da casa e trasformando in balera la casa dei Bianconi, sull’argine Sinistro del Piovego. Ma tanto è bastato per radicare una consuetudine che nel 1991 è stata ufficialmente istituita tra le feste comunali dall’allora presidente della Pro Loco Giuseppe Borina, il cui impegno ed idee rappresentano ancora oggi un faro per la promozione del territorio. Da allora è diventata una data fissa dell’estate padovana, un atteso appuntamento con la musica, la buona cucina tradizionale e ovviamente i fuochi d’artificio che, anche quest’anno, rischiareranno le profonde acque del Piovego e il buio caldo della notte estiva.

PROGRAMMA DELLE SERATE • GIOVEDI 12 LUGLIO Gastronomia: street-food e birra artiginale Musica: ore 21 Live Muisic 100Trent'1 Pub in collaborazione con • VENERDI 13 LUGLIO Gastronomia: Il menù prevede “pesce fritto” e carni alle braci Musica: ore 21 Gambler tributo Pink Floyd • SABATO 14 LUGLIO Gastronomia: Il menù prevede “pesce fritto” e carni alle braci Musica: ore 21 La Compagnia Acoustic Live Show Vasco Battisti e grande spettacolo di fuochi d’artificio


LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman

DAL “BARATTO” AI “SCHÈI” IL DECLINO DELLA COSIDDETTA

“civiltà contadina”

Dalla stretta di mano per gli affari e gli scambi, al denaro di metallo, poi di carta ed ora elettronico, accumulato da pochi a scapito dei più, si è consumata una civiltà. Ricordi di un tempo quando non c’era il PIL, le Banche erano Istituti di cui fidarsi, e di quando eravamo ingenui attori, a scuola, della “Giornata del Risparmio”

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on ho mai capito cosa sia stata veramente la troppo invocata “Civiltà Contadina”, se non una serie di usi e consuetudini praticati nell’ambiente che ci ha generato! Non la si può paragonare a una Civiltà Ellenica, Egizia o Romana, perché di quella contadina sono rimasti pochi segni, frettolosamente cancellati da noi, figli di questo mondo! Non ci ricordiamo più cosa era il risparmio e l’uso appropriato del poco denaro disponibile e soprattutto dell’aiuto materiale e reciproco fra paesani, parenti o conoscenti, con l’impegno morale del risarcimento o del ritorno di quanto ricevuto. Il “Baratto”, ad esempio, è stato per secoli una pratica fondante del vivere in campagna; si faceva la spesa pagando con le uova di gallina, si scambiavano campi, animali, foraggi, cibo, anche in cambio di lavoro o di altri beni materiali, dopo una reciproca valutazione verbale, siglata con una stretta di mano. Mi raccontavano gli anziani di famiglia che, nel “ventennio” con in vigore le leggi autarchiche per l’autosufficienza economica nazionale, a casa mia hanno deciso di seminare

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il cotone, pianta tessile come la canapa, il lino e la ginestra, e di consegnarlo allo Stato attraverso l’Ammasso volontario presso i Consorzi. Ovviamente il prodotto veniva pagato al contadino una volta che il Consorzio lo aveva venduto, così per pagare le “opere”, i lavoratori che si occupavano della raccolta, mio nonno seminava due file di cotone e una di “capuzzi” che servivano per mantenere le “opere” e le loro famiglie, e poi con i schèi del cotone manteneva la sua famiglia e pagava il padrone dei campi, da “San Martìn”. Un terzo per le “opere”, un terzo per le spese del conduttore e uno al padrone della terra. Era un mondo semplice, equilibrato e improntato sulla parola data e sul rispetto reciproco, rispetto che Il termine schèi deriva da questa moneta di un centesimo di lira austriaca e più propriamente dalla parola stampigliata “schei-de-munze” che voleva dire “moneta divisionale”, ma che veniva letto anche, con dispregio del dominio austriaco e per il suo poco valore come “schèì de mona”, e siccome questo era anche fisicamente un piccolo soldo, per traslato “el schèo” è diventato una unità di misura rapportata al centimetro


LA MEMORIA DI CARTA Il “Baratto” è stato per secoli una pratica fondante del vivere in campagna; si faceva la spesa pagando con le uova di gallina, si scambiavano campi, animali, foraggi, cibo, anche in cambio di lavoro o di altri beni materiali, dopo una reciproca valutazione verbale, siglata con una stretta di mano veniva meno quando si trattava di versare schèi allo stato, fosse quello italiano, ma soprattutto a quello austriaco e ancor prima francese. È di quel periodo la nascita dell’uso più diffuso del denaro di metallo, del termine schèi, e del banditismo di chi non voleva, o non poteva, accumularne per soddisfare gli appetiti sempre crescenti di Stati stranieri.

Il termine schèi, che usiamo tuttora in veneto, è assodato derivi dal tedesco “schei-de-munze” stampigliato nella moneta di un centesimo di lira austriaca, che voleva dire “moneta divisionale”, ma che veniva letto anche, con dispregio del dominio austriaco e per il suo poco valore paragonabile ai nostri ovunque presenti 1, 2, 5 centesimi, come “schèì de mona”, e siccome questo era anche fisicamente un piccolo soldo, per traslato “el schèo” è diventato una unità di misura rapportata al centimetro. “Alza la tola de ‘on par de schèi!” Anche “el franco” pare derivi da una moneta austriaca con l’effigie dell’imperatore Francesco Giuseppe che portava abbreviata la scritta: “Franc-Ios-Austriae-Imperator”, e così la prima parola della moneta, venetizzata, è diventata sinonimo di lire: “dièse franchi, mile franchi!” Il termine Lire, in dialetto veneto non è mai stato usato, anzi qualche volta parliamo ancora di “bezzi”, il mezzo soldo coniato dalla Serenissima a partire dal 1525, e di “palanche”, dieci centesimi di lira o un soldo veneto (due bezzi). La palanca era una moneta marinara, in uso anche a Genova e in toscana, ma il termine ha origine spagnola. “Gheto dièse palanche par pàgare la carèga in cesa?”, (dieci lire). La lira era nominata in veneto solo citando canzoni di speranza come “Mamma mia

Il signor Bonaventura, ideato da Sergio Tofano nel 1917 e pubblicato sulle pagine del Corriere dei Piccoli per decenni con il suo immancabile “un milione”

dammi cento lire che in America voglio andar”, o più tardi, col desiderio del posto fisso, con “Se potessi avere mille lire al mese?” Dal canto suo il signor Bonaventura, ideato da Sergio Tofano nel 1917 e pubblicato sulle pagine del Corriere dei Piccoli per decenni, faceva sognare gli italiani con le sue strampalate avventure che finivano sempre per fargli avere “Un Milione”, cifra agognata da tutti e mèta da raggiungere per ogni risparmiatore, perché con un Milione si comperava un campo, e chi non poteva ne comperava mezzo o un “quartiero”. Il Milione era insieme una unità di misura e un traguardo! E il denaro era certezza assieme alla terra posseduta, la casa veniva dopo. Un detto recitava: “Tera fin ca te ghe vedi, casa ch’el tanto ca te te coerzi!” Ma poi è arrivata, nel 1924, la “Giornata del Risparmio”, celebrata anche nel secondo dopoguerra in tutte le scuole elementari. Arrivavano, il 31 di ottobre, degli incaricati della Cassa di Risparmio a sensibilizzare noi ignari studenti, che al massimo ricevevamo la “mancia domenicale” di dieci palanche buone per comperarci quattro mezze caramelle o due “caròbole” da Leo all’uscita di Dottrina, sul valore del risparmio. Anche la parola “franchi”, per indicare le lire in veneto, non deriva dal periodo della dominazione francese, come verrebbe facile supporre, ma da una moneta austriaca che portava l’effige dell’imperatore Francesco Giuseppe e l’abbreviazione “Franc (Franciscus) Ios (Iosef) Austrie Imperator”. Nell’indicare la moneta venne presa solo la prima parola: Franc, che poi diventò “el franco” e al plurale “i franchi” come sinonimo generico di soldi

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LA MEMORIA DI CARTA La lira era nominata in veneto solo citando canzoni di speranza come “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar”, o più tardi, col desiderio del posto fisso, con “Se potessi avere mille lire al mese?”

Le attività di sensibilizzazione al risparmio dell’INA-Casa venivano rivolte alle scuole con un concorso di disegno. Il soggetto proposto ovviamente doveva essere una casetta, simbolo di una cosa da realizzare con il denaro risparmiato, e come premio si riceveva un diploma. Attività simili venivano portate avanti anche dalla Cassa di Risparmio con la consegnava un libro di metallo, con funzione di salvadanaio, da aprirsi solo in banca e trasferire il valore delle monetine raccolte in un Libretto di Risparmio personale l’interesse era del 3%

Era cosa buona e giusta, e quelli dell’INA-Casa ci facevano fare pure il disegno di una casetta, simbolo di una cosa da realizzare con il denaro risparmiato, e ti premiavano per il disegno con un diploma, mentre la Cassa di Risparmio ti consegnava un libro di metallo, con funzione di salvadanaio, da aprirsi solo in banca e trasferire il valore delle monetine raccoltevi in un Libretto di Risparmio personale sul quale percepivi l’interesse del 3% senza spese di gestione o tasse! Era il massimo! Così al tuo compleanno, da Natale, alla Prima Comunione o Cresima, quando venivano i parenti da Milano, quando spigolavi il frumento dopo la mietitura, quando perdevi un dente e lo infilavi tra le crepe del muro, raccoglievi mancette da inserire in questo libro-salvadanaio, da aprire in banca con trepidazione! E da grande ti sei ricordato di quella casetta che avevi disegnato alle elementari come simbolo del risparmio e hai voluto costruirtene una vera, grande e comoda; magari hai aiutato i figli a costruirne una anche per loro, e dopo tanti sacrifici e risparmi, con rinunce di ferie e feste, hai scoperto che hanno inventato l’ICI, l’IMU, la Tasi, Tari, IUC, e chi più ne ha

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più ne metta, tanto la casa mica la porti all’estero nei paradisi fiscali! E quel povero Libretto di Risparmio che dava il 3% senza spese che fine ha fatto? Eliminato a favore dei sempre più costosi Conti Correnti che ti danno tanti servizi, il Bancomat, la Carta di Credito, la Domiciliazione Bancaria, il Fido (che tu pensi che sia un cane fedele! Accidenti!), e altre diavolerie che ti facilitano la funzione principale a cui noi moderni siamo chiamati: SPENDERE! Non importa se hai i soldi, ci sono le Finanziarie! Vuoi cambiare l’auto? C’è lo sconto se fai il finanziamento! Elettrodomestici, televisori, telefonini da 1000 euro, tutto a TAEG Zero e rate “bassotte”! E le Banche sono in crisi per aver dimenticato la loro funzione principale, prestando soldi ad amici e a sconosciuti senza coperture sufficienti e che non hanno vissuto, o non si ricordano, la “Giornata del Risparmio”, tanto c’è l’Ipoteca! E così abbiamo lottizzazioni incompiute anche in Veneto, case e capannoni inutilizzati e all’Asta Giudiziaria, e i Tribunali sono diventati le più grandi Agenzie Immobiliari! Chi vivrà vedrà!


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“Il vino è poesia in bottiglia”

(Robert Luis Stevenson)

Serprino Frizzante Doc Colli Euganei

Raboso (Friularo) Rosè Igt Veneto

Fior D’Arancio Docg Colli Euganei

L’effervescenza dalle bollicine delle nostre belle alture vulcaniche

La versione “easy” del più robusto vino della tradizione

L’evoluzione secca e aromatica del moscato giallo

La Mincana - Via Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499 www.lamincana.it - info@lamincana.it Cantina La Mincana-Dal Martello


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A Noventa Padovana

aperitivo fashion e marketing territoriale UN GRUPPO DI COMMERCIANTI CAPITANATI DA CONFESERCENTI PROMUOVONO LA CITTÀ INSIEME AI PROPRI PRODOTTI E SERVIZI

Noventa per identificare in modo forte il territorio. La promozione del territorio passa anche attraverso le imprese del commercio. È il caso di NovenInsomma via Marconi 82 si è trasformata per una ta Padovana dove lo scorso 8 giugno si è tenuta la serata in una Fashion Street. “Qui abbiamo capito quarta edizione de “L’aperitivo Street BY Nicole”, bene le potenzialità del fare rete e da quattro anni un aperitivo all’insegna dello stile e stiamo lavorando, supportati dalle dell’eccellenza che ha avuto come associazioni di categoria e dall’amfilo conduttore il coinvolgimento dei ministrazione comunale, per pronegozi più IN di Noventa Padovana. muovere il commercio attraverso Un aperitivo corredato dalla sfilata la promozione del terriotrio” ci racdi eleganti capi estivi, ed attorniato conta Luca Pasin (Lucaffè Shop dalle eccellenze di circa trenta attiviNoventa), delegato Confesercenti tà commerciali che per l’occasione per il territorio che affianca Nicoletta hanno presentato i prodotti migliori. Allibardi nell’organizzazione dell’evento. Ancora più esplicito nell’iNon solo moda (dagli abiti, alle caldentificare il ruolo che il commercio zature, agli accessori) ma prodotti detiene nella promozione del territodi bellezza, fiori, vini pregiati, caffè rio è stato il convegno organizzato dall’aroma corposo e liquori unici. Ricordiamo l’Amaro del Folpo, L’amaro del Folpo, uno dei prodotti più sempre in occasione della manifeultimo prodotto nato proprio qui a stazione, sul tema della promozione rappresentativi di Noventa Padovana


TUTTE LE BOTTEGHE PRESENTI A

l’A peritivo Street by Nicole in ottica turisticocommerciale che ha avuto come relatori Dario Bertocchi, del Dipartimento di Economia dell’Università Cà Foscari di Venezia e Irene Mantoan, del Museo della Calzatura Villa Foscarini Rossi. Ma la grande novità della quarta edizione è stata la presenza, affianco alle attività commerciali, di artisti noventani di fama come: Sergio Rodella, Ruggero Pagnin, Alberto Raffaelli e dalle loro opere. “È importante riconoscere il merito di tutto il gruppo spiega Nicoletta Allibardi, (Nicole Boutique) presidente dell’associazione “Le vetrine di Noventa” - In questi quattro anni è stato un crescendo di partecipazione sia come ospiti che sono venuti a feNicoletta Allibardi commerciante e padrona di steggiare con noi, che come casa dell’evento de “L’a- numero di colleghi esercenti peritivo Street BY Nicole” che si sono uniti nell’organizzazione. Ecco perchè crediamo che “fare sinergia” e lavorare assieme sia lo spirito giusto per ridare fiato alle nostre attività commerciali”. Alessandra Trivellato

• LUCAFFÈ SHOP distributore caffè, ideatore e distributore Amaro del Folpo • PIÙ SPORT & VOLLEY • DONNA FRIDA liquori artigianali • 100 TRENT’1 PUB birre artigianali e hamburger • LA DISPENSA Destro Market • LADY RAFFY calzaturificio • ZULIAN CALZATURE • SPOSA PERFETTA abiti da sposa • POUR MOI bottega di ottica • MORENA INTIMO • VANITÀ parrucchieri • IP STREAM riprese televisive • DOC regia, audio, video per spettacoli • ENERGEK consulenze sull’energia • CANTINA ITALIANA non solo vini • LA BOTTEGA DEL CIGNO associazione culturale • DHRAMA estetista • BALLET STUDIO scuola di danza

• LA BOTTEGA DI ANGELA gelateria • ASSICURAZIONI GENERALI ag. Camin • WE TRAVEL DESIGNER agenzia viaggi • AGENZIA TECNOCASA • FEELING Bar caffetteria • FIORERIA LE BOUQUET • DIEFFE accademia delle professioni • GASTRONOMIA bottega artigiana • BREAD & COFFEE caffetteria • PARAFARMACIA EUROPA

Ketty Zanzerin, presentatrice e coordinatrice dell’evento, Show Girl & Istant Fashion

Le immagini di queste pagine sono realizzate da Dino Juliani


INGIROPIEDANDO di Paolo Breber

“pugliese veneto”

L’ANTICO BOVINO UN TAGLIAERBA A QUATTRO ZAMPE MOTRICI

Una proposta per il recupero di un bovino che fino a non molti anni fa veniva allevato nelle nostre campagne. La sua natura rustica, che lo rende idoneo a vivere all’aperto tutto l’anno e ad adattarsi a ogni sorta di pascolo, potrebbe essere vincente per un suo inserimento nei grandi parchi di pianura come equilibratore la vegetazione. In Germania e in Olanda già lo fanno

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n una pubblicazione del 1960 sulle razze bovine italiane della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, risultava ancora diffusa e allevata nel Basso Veneto una razza denominata “Pugliese del Veneto”. Oggi di questo bovino non c’è più traccia. Si trattava di un animale pascolante legato alle zone non ancora bonificate, a quei terreni soggetti ad allagamenti primaverili e la pratica del maggese, cioè la presenza di campi lasciati a riposo dove si formava del pascolo spontaneo. Se guardiamo i piani di bonifica di fine ‘800 e primi del ‘900 il territorio così caratterizzato era allora ancora estesissimo nel Basso Veneto. Nelle condizioni attuali del territorio della regione è un tipo di habitat completamente assente. L’impiego primario della Pugliese Veneta era quello di animale da lavoro, ma forniva anche ottima carne e, volendo, poteva anche dare latticini anche se con rese minime

comparate con quelle delle mucche da latte di oggi; apparteneva ad un tipo di bovino che anticamente era diffuso lungo tutto il litorale Adriatico, dall’Istria fino in Puglia. La sua caratteristica era di essere molto rustico, capace di vivere all’aperto tutto l’anno e di accontentarsi di ogni sorta di pascolo. Le razze bovine primitive come la Pugliese Veneta sembrerebbero non avere più un posto loro nel contesto rurale di oggi. Di fatto, però, si sta aprendo una nuova possibilità per questo di tipo di erbivoro. In alcuni paesi europei come Olanda e Germania, questi bovini primitivi vengono impiegati per tenere sotto controllo la vegetazione dei grandi parchi verdi di pianura. Si tratta di estensioni troppo grandi perché squadre di giardinieri possano gestire la situazione e troppo piccole per mantenere un ecosistema naturale completo, dotato di erbivori selvatici e relativi

In questa pagina: Toro Pugliese Veneto premiato alla Esposizione Nazionale di Milano nel 1881

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INGIROPIEDANDO L’impiego primario della Pugliese Veneta era quello di animale da lavoro, ma forniva anche ottima carne e, volendo, poteva anche dare latticini anche se con rese minime comparate con quelle delle mucche da latte di oggi; apparteneva ad un tipo di bovino che anticamente era diffuso lungo tutto il litorale Adriatico, dall’Istria fino in Puglia predatori, come nei grandi parchi nazionali. Per tenere sotto controllo l’esuberanza della vegetazione zone del primo tipo come il Parco dei Colli Euganei, e il Parco del Delta dovrebbero seriamente considerare l’impiego della Pugliese Veneta, che offre l’autosufficienza delle specie selvatiche unitamente alla gestibilità di quelle domestiche. La dove la vegetazione cresce senza prelievo si creano zone impenetrabili e a terra si accumula una grande biomassa organica secca con la costipazione dell’ambiente e offrendo occasione a inevitabili conflagrazioni al primo mozzicone di sigaretta. Il bovino in questione è abituato a vivere in ambienti naturali dove bruca non solo l’erba ma anche i rami dei cespugli e degli alberi. Questa azione ecologica favorisce la biodiversità. Tenere rasati i prati con il pascolamento favorisce l’avifauna poiché gli uccelli non amano scendere a terra dove c’è l’erba alta. Le fatte lasciate a terra dai bovini favoriscono poi tutta la entomofauna. L’escursionista troverebbe un ambiente facilmente percorribile con corridoi e radure create dai bovini, e gli alberi privi delle fastidiose fronde basse. La Pugliese Veneta ha una indole molto tranquilla e basta del filo spinato per contenerla, ciò a differenza di erbivori selvatici che richiedono costosissime recinzioni di rete grossa alta tre metri. Grazie alla sua indole pacifica questo bovino può es-

Un esemplare attuale di Bovino Pugliese

La presenza del Bovino Pugliese con le sue varietà locali nella prima metà del ‘900

sere lasciato libero in presenza di escursionisti senza che vi sia pericolo, anche con il toro. Comunque sia, nulla di più agevole segregarli in orario di pubblico data, appunto, la loro domesticità. Importante è stabilire con precisione il carico di bestiame per superficie di territorio perché gli animali devono essere indotti a brucare non solo l’erba ma anche la parte loro meno grata, quella fibrosa e legnosa, della vegetazione. Il nucleo di bovini deve comprendere toro e vacche in giusti rapporti di numero e la riproduzione andrebbe lasciata a se stessa. Quando il numero di capi diventa eccessivo si può provvedere alla regolare macellazione dell’esubero. Si può ben immaginare quanto potrà essere “biologica” tale carne. Anche qui si vuol far notare la convenienza di impiegare una specie domestica nelle aree verdi rispetto a, per esempio, il

Per tenere sotto controllo l’esuberanza della vegetazione zone del primo tipo come il Parco dei Colli Euganei, e il Parco del Delta dovrebbero seriamente considerare l’impiego della Pugliese Veneta, che offre l’autosufficienza delle specie selvatiche unitamente alla gestibilità di quelle domestiche 25


INGIROPIEDANDO passato da parte pubblica come quelle di ricostituire le siepi tra i campi coltivati e creare qualche boschetto con specie originarie. Ma il movimento d’opinione va ben oltre: chi abita in pianura reclama vera e propria “Natura Km 0”. Non si tratterebbe di spazi verdi tra le case ma di vere estensioni di decine di ettari raggiungibili a piedi o in bicicletta dalla propria abitazione. Si tratterebbe di aree del primo tipo descritto sopra dove la dinamica della vegetazione naturalizzata verrebbe contenuta non dalla grande fauna erbivora ma da erbivori domestici. In fondo sarebbe un ritorno, mutatis mutandis, ai demani comunali.

Da tempo regioni come la Lombardia ed il Veneto sono allarmate dal consumo di territorio. Si vorrebbe non solo arrestare l’asfalto ed il cemento ma invertire la tendenza riportando zone di pianura ad una condizione ecologica più sostenibile

Bovini di razza podolica al pascolo in una zona del parco del Gargano

daino molto più difficile da contenere e da gestire, sia da un punto di vista tecnico, sia da quello normativo. La Pugliese Veneta costituisce di per se un elemento attraente e qualificante del paesaggio. Le razze primitive hanno un maggiore valore estetico rispetto a quelle altamente modificate dell’industria. Oltretutto, ha una sua validità storico-culturale, inserendosi in quella serie di rivisitazioni odierne della vita ed economia rurale del passato. Resta da vedere dove recuperare soggetti di tale razza bovina. Si può andare in Istria a trovare la “Boscarin”, in Puglia dove ora viene chiamata “Podolica”, o ancora meglio prendere soggetti da ambedue località. L’argomento specifico di questo articolo s’inserisce nel contesto assai più vasto del restauro ecologico della pianura della Val Padana. Da tempo regioni come la Lombardia ed il Veneto sono allarmate dal consumo di territorio. Si vorrebbe non solo arrestare l’asfalto ed il cemento ma invertire la tendenza riportando zone di pianura ad una condizione ecologica più sostenibile. Ci sono state già timide iniziative in

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Una delle tante zone acquitrinose del Basso Veneto agli inizi del ‘900 dove si mandava al pascolo il bovino Pugliese Veneto


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Podere Villa Alessi svago e frescura anche lontano dal mare Un calendario di appuntamenti per vivere le notti d’estate Astronomia, storia e buona cucina

Le cicale friniscono qua su, nel cuore di Faedo, mentre l’estate si espande tra le alture euganee. Un momento di ombra e frescura potrebbe essere il modo giusto per scappare dall’arsura, anche lontani dal mare. Allora il posto giusto per trovare refrigerio e sollievo potrebbe essere proprio l’Agriturismo Podere Villa Alessi, dove Ivano Giacomin insieme alla moglie Paola Zanovello e alla figlie Elisa e Alice, offre la propria ospitalità attraverso la disponibilità di quattro alloggi attrezzati e la cucina del ristorante in cui alle produzioni proprie e della Natura, sa coniugare quell’alta cultura gastronomica che proviene dalla tradizione secondo il rigoroso calendario della stagionalità. Le materie prime, infatti, sono quelle realizzate direttamente in azienda: dalle verdure di stagione agli animali da cortile, dalla pasta e il pane fatto in casa all’olio, tutto nel segno della più au-

La nostra mascotte

tentica autoctonia. E nel segno del cancro e del leone la vera regina qui è la gallina, o meglio l’insalata della preziosa Padovana, e anche il gelato alla menta o al sambuco sono autentici must della stagione calda, insieme ai giusti compendi enologici che portano il nome di Pinello, Serprino e Fior d’Arancio. Per il brindisi c’è tanto posto sulla terrazza, il luogo magico nelle calde notti estive dove può succedere di tutto, perché le cene all’Agriturismo Podere Villa Alessi non sono mai banali e ai piaceri della buona tavola si coniuga sempre il valore di un’esperienza.

Tutti i prodotti offerti dalla cucina sono realizzati in azienda. Vino, olio e marmellate sono sempre buone idee da regalare

i prossimi appuntamenti 14 LUGLIO - L E ERBE A TAVOLA TRA MAGIA E SALUTE Serata vegetariana a buffet con abbuffata di primi e gelato 21 LUGLIO - U N VIAGGIO NEL TEMPO: a cena con i Veneti antichi con prodotti a km 0 28 LUGLIO - C ENA CON ESCURSIONE AL CHIARO DI LUNA 4 AGOSTO - UN VIAGGIO NEL TEMPO: a cena con i Romani con prodotti a km 0 11 AGOSTO - CIN CIN SOTTO LE STELLE accompagnati dal Gruppo Astrofili di Padova

PODERE VILLA ALESSI È ANCHE UNA CANTINA, UN “MUSEO” DEL TERRITORIO, OFFRE ALLOGGIO, UN PANIERE DI PROPRI PRODOTTI ED È UNA FATTORIA DIDATTICA L’agriturismo è aperto prevalentemente su prenotazione, la location e i suoi locali sono ottimali per cerimonie, matrimoni, piccoli meeting e per attività di team building e orienteering

AGRITURISMO PODERE VILLA ALESSI - Via San Pietro, 6 - Faedo di Cinto Euganeo - PD Tel. e Fax 0429 634101 - www.villalessi.it - info@villalessi.it


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica

ALIMENTAZIONE

TRA MITI, CHEF ED ESPERTI DELLA DIETA Il cibo non è più solo quell’insieme di alimenti dai quali ogni organismo trae sostanza per la sopravvivenza, oggi è anche moda, status symbol, religione e sempre più spesso anche causa di importanti patologie

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iornalmente la televisione propone una serie di trasmissioni culinarie, che invariabilmente mostrano un tipo di alimentazione difficilmente riproponibile nelle proprie case. Il fascino che viene dal cibo, innegabilmente va ricondotto a meccanismi adattativi che tirano in ballo percorsi cerebrali di “reward” (gratificazione) e comportamenti edonistici. Nei casi patologici si può arrivare ad essere dipendenti dal cibo. Per supportare l’ipotesi che il cibo ipercalorico possa creare dipendenza sarebbe necessario identificare le specifiche proprietà biochimiche che possono essere in grado di creare processi di dipendenza. Spesso, la

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capacità del cibo di rilasciare dopamina o attivare il “nucleus accumbens”, un’area del cervello responsabile dei meccanismi di rinforzo, è ritenuta una prova ammissibile del potenziale di creare dipendenza, ma chiaramente questi dati da soli sono inadeguati a spiegare questo fenomeno complesso. In animali da laboratorio sono stati testati alcuni regimi alimentari che provocano effetti simili alla dipendenza da droga, ma questi studi sono ritenuti inadatti per spiegare questi effetti sugli umani, in quanto la questione potrebbe essere molto più complicata. Ad esempio il carico glicemico di alcuni cibi è stato proposto come elemento che potrebbe dare dipendenza, in quanto


ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE La fame non è il campanello di allarme che suona solo per annunciare la necessità di ricaricare l’organismo di energia, suona anche per soddisfare altri bisogni un elemento comune di queste sostanze è che contribuiscono a rendere gli alimenti più appetibili. Gli alimenti ad alta densità energetica, infatti, sono per natura preferiti: si tratta probabilmente di una “debolezza” che all’origine della nostra evoluzione era un “punto di forza” per la sopravvivenza, in quanto le nostre predisposizioni biologiche, fanno sì che sia alta la tendenza ad essere attratti verso cibi ad alta densità energetica e a minimizzare l’attività fisica. In natura, del resto, mangiare cibi con elevato valore nutrizionale e ridurre il dispendio energetico sono condizioni che garantiscono una vita prospera, ma l’uomo è uscito dalla condizione naturale quando ha iniziato a non dipendere più dalle disponibilità fornite dall’ambiente e a prodursi da se ciò di cui ha bisogno, anche a prescindere dalle vere necessità alimentari segnalate dai vari stadi di ciò che normalmente definiamo senso di fame. Anche se la fame non dipende solo dal reale dispendio di energie, cioè non è il campanello che suona solo per annunciare la necessità di ricaricare l’organismo di energia, ma suona anche per soddisfare altri bisogni. Ritmi frenetici, stress, ansia, sono tutte condizioni che richiamano un apporto calorico anche in assenza di un vero dispendio energetico importante, come quello da movimento, e il dilagare di una malattia come l’obesità forse è il segno più evidente, ma non l’unico, della modernità. Le condizioni ottimali per sviluppare questa malattia includono la disponibilità di cibo con alta densità energetica, opportune limitazioni all’ attività fisica, e valori socioculturali che incoraggia-

Le nostre predisposizioni biologiche fanno sì che sia alta la tendenza ad essere attratti verso cibi ad alta densità energetica

Ritmi frenetici, stress, ansia, sono tutte condizioni che richiamano un apporto calorico anche in assenza di un vero dispendio energetico e il dilagare di una malattia come l’obesità

no l’uso di massa di facilitazioni e soluzioni comode. Quindi da un punto di vista bio-psicologico, il processo complesso che sottolinea l’iperconsumo e l’obesità possono essere spiegati come normali adattamenti biologici allo stile di vita che è anche modellato dalla potente pressione dell’ambiente moderno “obesogenico”. Un altro elemento che potremmo far rientrare come fattore di una dieta sbilanciata nell’alimentazione dei nostri tempi è il costo del cibo, anche se non è una novità del nostro secolo che le classi più povere mangino peggio di quelle ricche. Tuttavia recenti studi dimostrano che le persone con un salario basso, consumano meno frutta e verdura e più cereali trasformati (pane e pasta) o alimenti che contengono molti grassi

È interessante notare come l’alimentazione per uso animale sia sviluppata in collaborazione con i nutrizionisti, per l’alimentazione umana, invece, succede spesso il contrario e zuccheri. E allora vien da chiedersi se piuttosto che tanti programmi televisivi e riviste rivolte ad assecondare l’appeal mediatico di chef arroganti con ricette a base di oro alimentare e cucina molecolare, che ognuno di noi assaggerà si e no una volta nella vita, non sia più giusto promuovere la qualità della dieta, anche attraverso politiche dei prezzi rivolte a garantire l’acquisto di cibi sani anche a chi ha meno disponibilità economiche. Modelli simulati hanno suggerito che un sistema di tassazione differenziato basato sula densità energetica dei cibi potrebbe essere un primo passo, insieme alla riduzione delle porzioni servite nei fast-food, ed educare all’alimentazione nelle scuole. Altre iniziative sono orientate a ridurre la grandezza delle porzioni o a migliorare la qualità delle materie

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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE Anche paesi come l’Italia e la Spagna stanno abbandonando la “dieta mediterranea” per orientare le loro scelte alimentari verso prodotti tipici dei Paesi occidentali, come grani raffinati, grassi animali, zuccheri, carne lavorata, poveri in legumi, cereali, frutta, e verdura

La popolarità del cibo take away è andata via via aumentando, la popolazione inglese usufruisce di pasti pronti a domicilio almeno una volta a settimana

prime impiegate per i pasti pronti, come quelli dei take away. La popolarità di questo tipo di cibo è andata via via aumentando, la popolazione inglese usufruisce di pasti pronti a domicilio almeno una volta a settimana, e con essa è aumentata progressivamente anche la percentuale dei problemi legati all’alimentazione. È interessante notare come l’alimentazione per uso animale sia sviluppata in collaborazione con i nutrizionisti e le compagnie che producono questi cibi si adeguano ai loro consigli, invece per l’alimentazione umana succede esattamente il contrario: le aziende produttrici di alimenti spesso si scontrano con le opinioni dei nutrizionisti e di tanto in tanto anche con gli assunti della dieta mediterranea che, come è noto, concorre alla riduzione del rischio cardiovascolare e la pre-

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venzione di importanti malattie croniche. Il problema è serio anche alle nostre latitudini, in quanto anche le società mediterranee stano ritirandosi da questo regime alimentare per orientare le loro scelte alimentari verso prodotti tipici dei Paesi occidentali, come grani raffinati, grassi animali, zuccheri, carne lavorata, scarso utilizzo di legumi, cereali, frutta, e verdura. Indubbiamente l’influenza esercitata dalle mode ha un peso sostanziale in cambiamenti così repentini nelle abitudini alimentari e lo stuolo di esperti (non proprio in scienza dell’alimentazione) che popolano le trasmissioni televisive, pronto a discorrere di nutrizione e salute, non giovano alla causa. Se 50 anni fa il famoso programma Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi insegnava a leggere e scrivere a milioni di persone, oggi ci sono i maestri della dieta e della sana alimentazione che guidano masse di ascoltatori alla ricerca della formula magica da adottare a tavola, ma se verificare la validità dell’insegnamento di Manzi era facile, cercare di decodificare i messaggi nutrizionali televisivi oggi è molto complicato.


messaggio pubbliredazionale

RISTORANTE E PIZZERIA CON PASSIONE

La grande terrazza è un luogo suggestivo per cene e serate estive

Tutte le selezioni di pizza possono essere anche da asporto, comprese le preparazioni del ristorante

Esperienza, materie prime selezionatissime e grande varietà sono i punti di forza sia del listino delle pizze che del menù della cucina

Un locale originale, giovane e moderno dove il buon cibo è un imperativo grazie alla grande esperienza maturata al forno della pizza e ai fornelli dai cuochi, unita alla scelta di materie prime di grandissima qualità. Sia per il reparto pizzeria che per il ristorante i prodotti sono figli di un’attenta selezione che premia la stagionalità, per portare in tavola genuinità, freschezza ed evitare gli spechi. In questo modo i buoni palati ringraziano e quelli più esigenti trovano pane per i loro denti, perché le pizze in listino sono più di 150, tutte realizzate con farine di primissima scelta, anche light, integrale e grano khorasan, lievito madre per fermentazioni che durano dalle 70 alle 130 ore, in maniera che amidi e zuccheri vengano eliminati quasi completamente a vantaggio di una pasta croccante, leggera e ad alta digeribilità. Lo stesso scrupolo viene usato nei piatti del ristorante dove è possibile trovare sia i piatti veloci della ristorazione moderna che tutto il gusto della cucina tradizionale, dalle costate e tagliate di manzo alla “frittura di pesce”. Piatti sempre a chilometri zero, perché la carne è padovana e il pesce è quello della nostra laguna. Piatti da degustare accompagnati dalle ottime etichette di cui è fornita la cantina, da dove non mancano le bottiglie più importanti di Veneto e Friuli e tra le birre c’è solo l’imbarazzo della scelta: dalle birre d’abbazia elle trappiste e dalle weizen alla birra Italiana servita alla spina. La cura dell’offerta si estende al dopo pasto con ricca selezione di caffè monorigine che, a differenza delle comuni miscele, provengono esclusivamente da una singola piantagione e berli in purezza permette di ritrovare in tazza le caratteristiche uniche e peculiari di ogni terreno d’origine.

Il locale è aperto tutti i giorni dalle 18.30 alle 24.00 tranne il lunedì Piazza del Donatore, 6C - Maserà di Padova - Tel. 049 8860023 6persempre


INGIROPIEDANDO di Martina Toso

IN VITRO

MA PUR SEMPRE CARNE

In un mondo in cui cambia il modo di intendere il rapporto tra cibo, salute e ambiente, può la provetta essere la soluzione?

M

oda, avanguardia o utopia: comunque la si voglia chiamare e con i tempi che corrono, quella della carne in vitro è un’idea che fa nascere spontanea la domanda “Perché non ci abbiamo pensato prima?”. Se già negli ultimi anni stiamo assistendo a un cambio epocale in fatto di cibo e cucina, che arriva fino agli insetti commestibili, il proposito di produrre carne sintetica in laboratorio nasce sulla scorta di una oggettiva disparità tra fabbisogno mondiale di cibo e disponibilità di risorse. La domanda di cibo andando di pari passo alla crescita demografica è, come quest’ultima, destinata a crescere in maniera sensibile nei prossimi decenni. Sebbene sia

per gli hamburger mangiati ogni giorno nel mondo, vede aumentare a dismisura i propri zeri. E se di sostenibilità vogliamo parlare, un discorso a sé merita l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi di bestiame che riesce a superare, e non di poco, lo smog emesso dalle automobili. Secondo alcuni studi condotti dall’Oms, dagli allevamenti deriva una buona percentuale del metano presente in atmosfera e la sola industria della carne produce fino al 65% del protossido d’azoto totale. Ecco spiegato perché è sempre più urgente la ricerca di sostituti alimentari rispettosi sia della salute umana sia di animali e ambiente. L’idea di poter ricreare la carne in provetta parte da

La sfida da vincere è quella di riuscire a sfamare sempre più persone senza intaccare le risorse del pianeta un problema urgente, la difficoltà di rispondere a un numero sempre maggiore di richieste non è l’unico motivo che ha spinto gli studiosi a considerare di produrre artificialmente uno degli alimenti principi della dieta mediterranea e mondiale. A spaventare davvero gli addetti ai lavori è più che altro la sostenibilità ambientale dell’intera filiera di produzione, con al primo posto l’impatto che ciascun alimento ha in termini idrici. Anche se noi non vediamo l’acqua, infatti, essa è presente in tutto ciò che mangiamo, da frutta e verdura fino alla carne. La stima dell’impronta idrica, ossia il volume totale di acqua dolce impiegata, varia da paese a paese ma tiene comunque conto di ciascuna fase che porta il prodotto sulla tavola. Guardando alla carne, un solo hamburger da 150 grammi necessita di circa 2.400 litri di acqua, un numero che, moltiplicato

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Il primo hamburger in vitro assaggiato a Londra nel 2013, con i suoi 140 grammi di peso per 250 mila euro di costo, ha messo bene in evidenza le criticità che oggi caratterizzano la diffusione di questi prodotti


INGIROPIEDANDO I ricercatori stanno sviluppando metodi per crescere cellule staminali dal bestiame a carne commestibile. Ecco come funzionerebbe Le cellule staminali embrionali sono facili

2A da far proliferare ma non semplici 1

Vengono isolate cellule staminali embrionali o adulte da mucche, maiali, o galline

da convertire in cellule muscolari Cellule staminali embrionali

3 Contrariamente, le

2B cellule staminali adulte Prelievo tessuto muscolare

prelevate da tessuto muscolare presentano alcune difficoltà con la crescita ma sono facili da differenziare in muscolari

Gli scienziati inducono le cellule staminali a moltiplicarsi molte volte, immettendoli in una coltura a base di batteri, insieme ad un siero di crescita. Le cellule sono così stimolate a formare cellule muscolari

Un solo hamburger da 150 grammi necessita di circa 2.400 litri di acqua per essere prodotto, un numero che, moltiplicato per gli hamburger mangiati ogni giorno nel mondo, vede aumentare a dismisura i propri zeri lontano, forse anche con altre motivazioni, quando la Nasa agli albori degli anni Novanta sperimentava cibi a lunga conservazione per lo spazio. Oggi il cuore della ricerca è l’Università di Maastricht, dove Mark Post e il suo gruppo di studio lavorano per mettere a punto la ricetta perfetta della carne in vitro. Il loro segreto sta nelle cellule staminali prelevate, con biopsia, dal tessuto muscolare bovino e poi nutrite e fatte crescere in ambiente protetto per circa tre settimane. Un tempo necessario alla proliferazione delle cellule che vengono, poi, poste su idonei supporti a formare strisce di tessuto muscolare indispensabili per la produzione di carne. Se sulla sostenibilità ambientale di questa vera e propria rivoluzione gastronomica sembrano esserci pochi dubbi, altro discorso riguarda sicurezza, gusto e costi di produzione. Il primo hamburger in vitro, assaggiato a Londra nel 2013, con i suoi 140 grammi per 250 mila euro ha messo bene in evidenza le criticità. Mentre, però, resa estetica, sapore e consistenza possono avere nel succo di barbabietola rossa e in un mix di pane, caramello

L’idea di poter ricreare la carne in provetta parte da lontano, forse anche con altre motivazioni, quando la Nasa agli albori degli anni Novanta sperimentava cibi a lunga conservazione per lo spazio

e zafferano delle alternative valide, ma da mettere a punto, la questione salute e costi è più complessa. Incertezze, queste, che come per ogni altra innovazione fanno parte del gioco e la cui soluzione sarà data solo nel medio-lungo periodo. È indubbio però che la storia della carne per come la conosciamo è a un punto di svolta e noi, siamo pronti?

All’Università di Maastricht si stanno prelevando cellule staminali dal tessuto muscolare bovino e poi nutrite e fatte crescere in ambiente protetto per circa tre settimane 33


INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin

Gli Insetti:

PASSATO E FUTURO DELL’ALIMENTAZIONE UMANA Cavallette, grilli, scorpioni sempre più considerarli l’alternativa a carne e pesce

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o so: di primo impatto è dura. Perché gli insetti siamo abituati a toglierli dal cibo, non a metterceli. Qualche anno fa sarebbe stato sufficiente anche solo togliere la mosca finita annega nella minestra, per continuare a mangiarla, oggi invece, se accade, buttiamo via tutto. E anche con un po’ di senso di vomito. Eppure gli insetti rappresentano il passato dell’uomo e molto probabilmente anche il futuro. Aristotele sosteneva, nella sua Historia animalium, che le cicale hanno un ottimo sapore e Plinio il Vecchio, in qualità di naturalista, certificava che per i suoi contempora-

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nei le larve di scarabeo erano un’autentica prelibatezza. Certo da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e il gradimento dell’insetto a tavola è progressivamente venuto meno. Non ovunque però: “in 112 nazioni al mondo - scrive il magazine Focus - soprattutto in Africa, America Latina, Australia, Asia e Pacifico, cioè per circa 2 miliardi di esseri umani, gli insetti di circa 1.900 specie rappresentano una grassa fetta della dieta quotidiana”. Va beh, con superficialità si potrebbe pensare che è questione di fame o anche di arretratezza culturale. E se invece gli arretrati fossimo noi? Del resto da anni i migliori ristoranti


INGIROPIEDANDO Nel nostro paese ancora non ne esiste una legge che regoli l’allevamento e la commercializzazione degli insetti del mondo, come lo Spektakel di Haarlem, nei Paesi Bassi, il Never Never Land di Berlino e il Manitou di Francoforte, servono scarafaggi, cavallette, scorpioni e grilli alla gran cart. Senza contare, poi, che anche in Italia alcuni prodotti tipici, come il casu marzu sardo, il cacio marcetto abruzzese, il saltarello friulano, il furmai nis piacentino, sono apprezzati proprio per il contributo dato dagli animaletti vivi che li popolano. Formaggi ricercati, sì, nel senso che sono anche fuori legge. Nel nostro paese, infatti, ancora non ne esiste una, che regoli l’allevamento e la commercializzazione degli insetti. “Se i N.A.S (Nuclei Antisofisticazioni e Sanità) entrano in un ristorante e trovano degli scarafaggi - speigano Giuseppe e Antonio Bozzaotra, che dal 2013 hanno impiantato a Monselice la loro azienda “Insetti commestibili” - è sintomatico di sporcizia”. È una battuta, ma sicuramente gli insetti non vengono interpretati come merce della dispensa. Questo per dire quanto “destabilizzanti” sono gli insetti per la nostra cultura. Eppure l’Italia avrebbe una grande responsabilità in materia, in quanto essendo un modello culturale, dal punto di vista alimentare, sicuramente il consumo verrebbe imitato da altri paesi. Magari in combinata con i nostri prodotti simbolo come la mozzarella, il pomodoro, il Parmigiano.

“Invece veniamo dopo l’Olanda, la Germania, la Finlandia - continuano i fratelli Bozzaotra - in Svizzera esportiamo i nostri insetti allevati biologicamente: grilli, cavallette e bachi da seta, principalmente. Noi Aristotele, nella sua Historia animalium, crediamo molto sosteneva che le cicale hanno un ottimo in questo tipo sapore e Plinio il Vecchio certificava che per i suoi contemporanei le larve di scarabeo di allevamen- erano un’autentica prelibatezza to: non si tratta solo di una moda alimentare, al consumo di insetti si legano anche valori nutrizionali importanti. A parità di massa edibile contengono fino all’80% di proteine contro il 24% del pollo e il 13-16% del bovino. Sono ricchi di grassi “sani”, paragonabili a quelli del pesce: 1/3 di grassi saturi e 2/3 di grassi mono e polinsaturi. Ancora: la maggior parte degli insetti commestibili contiene una quantità di ferro uguale se non superiore alla carne di manzo; 100 grammi di locuste racchiudono da 8 a 20 mg di ferro contro i 6 mg del manzo. Alcuni insetti, come le larve gialle delle tarme

Da anni i migliori ristoranti del mondo, come lo Spektakel di Haarlem, nei Paesi Bassi, il Never Never Land di Berlino e il Manitou di Francoforte, servono scarafaggi, cavallette, scorpioni e grilli alla gran cart

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INGIROPIEDANDO

Per circa 2 miliardi di esseri umani, gli insetti di circa 1.900 specie rappresentano una grassa fetta della dieta quotidiana

della farina, sono anche ricchi di vitamine e minerali, mentre i grilli hanno alte concentrazioni di aminoacidi, vitamina B12, riboflavina, vitamina A”. Ma non si tratta solo del valore alimentare degli insetti, infatti, sono ben più pressanti i motivi per i quali organismi internazionali come la Fao (Food and agriculture organization) invitano a superare la naturale riluttanza e a cibarsene. Nel 2030 la popolazione mondiale sarà di 9 miliardi di abitanti e nutrire tutti potrebbe aggravare i problemi ambientali. Gli insetti rappresentano, almeno in parte, una soluzione. Con l’allevamento di animali da carne, che genera una

Un chilogrammo di farina di grilli costa 120 euro, ma 15 grammi di valore proteico equivalgono a 5 hamburger di carne e costano appena 5 euro produzione di gas serra equivalente al 18 per cento delle emissioni globali prodotte dalle attività umane, gli insetti offrono un’alternativa ecologica interessante per contribuire alla copertura del fabbisogno proteico della popolazione in crescita. Tanto più se si considera l’obiettivo Fame Zero delle Nazioni Unite che punta a far uscire dalla fame i circa 800 milioni di persone che ancora oggi non hanno un’alimentazione sufficiente. Un altro limite alla sostenibilità è il consumo di acqua per l’allevamento di bovini che invece gli insetti superano brillantemente. Infatti, se per produrre un chilogrammo di carne sono necessari circa 2200 litri, per l’equivalente di proteine da insetti ne basta un litro. A fronte di tutti questi vantaggi gli insetti inquinano meno di qualsiasi altro animale di allevamento: producono meno gas serra e meno ammoniaca, usano meno spazio, meno cibo e soprattutto riciclano biomasse di scarto, un’opera meritoria se

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si considera che circa l’80% dell’ammoniaca prodotta negli Stati Uniti proviene dagli escrementi animali. Quindi cosa manca per aprire le porte a questo tipo di allevamento? Non certo il prezzo sul mercato, anche se potrebbero spaventare i 120 euro per un chilogrammo di farina di grilli. Del resto ce ne vogliono circa 5.000 per riempire il sacchetto che noi tutti teniamo nella credenza, ma va detto che 15 grammi di valore proteico equivalgono a 5 hamburger di carne e costano appena 5 euro. Lo scoglio duro da superare, probabilmente, è proprio quello culturale. La cavalletta stesa nel piatto, riconoscibile in tutti i suoi lineamenti, e alla quale bisogna usare l’accortezza di strappare le ali prima di mangiarla, perché le membrane si infilano tra i denti, un po’ come la parte nervosa dei salami quando sono freschi, non muove all’acquolina. Ma chissà: forse e solo questione di tempo e del resto mio nonno, in vita sua, non ha mai assaggiato una fetta di pizza o addentato un kiwi, in quanto per lui alimenti di un tempo che non gli apparteneva, ed era uno che aveva conosciuto la fame.

I fratelli Bozzaotra nel 2013 hanno fondato a Monselice la loro azienda “Insetti commestibili”


·La nostra storia dal 1947 ad oggi ·

Le nostre Specialita'

• CREMINI • TORTE E COPPETTE SEMIFREDDO • GHIACCIOLI ARTIGIANALI

Il nostro gelato è prodotto con latte fresco di alta qualità prodotto nella nostra regione! Le nostre ricette sono equilibrate, con meno zucchero e prive di farine. Questo rende il nostro gelato e i nostri prodotti altamente digeribili e non creano fastidi alla digestione!

Le nostre Particolarita' • GELATO AL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP • GELATO ALLA ZUCCA

Una tradizione di oltre 70 anni per offrirti un ''brivido'' di piacere Strada Madonna Marina, 130 - SOTTOMARINA di Chioggia (VE) GIOVANNI 334 7176111 - ANNA MARIA 348 7907948 - gelateria.sottozero@libero.it Seguici su Facebook

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STORIA E DINTORNI di Alberto Naccari

LA SAGRA DEL PESCE DI CHIOGGIA, GENESI DI

una festa popolare Nata nel 1938 come una delle tante iniziative della propaganda fascista per promuovere la politica dell’autarchia, dopo 81 anni è ancora una delle manifestazioni più importanti della Città legate ai prodotti ittici e alla pesca L’ANTEFATTO STORICO Dopo l’apertura del Canale di Suez (1869), l’imprenditore ed armatore genovese Raffaele Rubattino, lo stesso che nel 1857 aveva fornito a Carlo Pisacane le navi per la spedizione militare nel Mezzogiorno d’Italia e nel 1860 a Giuseppe Garibaldi per la sua spedizione dei Mille, ampliò i propri interessi commerciali estendendoli fino all’Abissinia, acquistando la Baia di Assab in Eritrea. Nel 1882 il governo italiano, mosso da mire espansionistiche nel Corno d’Africa, acquistò la Baia, muovendo il primo passo verso una politica coloniale che avrebbe avuto, nell’arco di pochi anni, degli esiti catastrofici. Il neonato Regno d’Italia (1861) era giunto in ritardo rispetto ad Inghilterra, Francia, Germania nella corsa all’acquisizione e conquista di territori d’oltremare. Le tre superpotenze europee, infatti, dopo la Conferenza di Berlino (1884), in tacito accordo avevano pianificato la spartizione dell’Africa intera e

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di tutto quanto non fosse ancora stato conquistato. Dopo l’acquisto della Baia di Assab, il governo italiano inviò alcune migliaia di soldati, prese la città di Massaua (1884), ed avanzò verso l’interno nel tentativo di occupare la parte settentrionale dell’Altipiano Etiopico. Subì però una clamorosa sconfitta a Dogali (1887) dalle truppe del Negus Giovanni II, sovrano dell’Etiopia (che gli italiani avevano ribattezzata Abissinia). Il compito di lavare l’onta toccò al capo del governo italiano Francesco Francesco Crispi Crispi, il quale, senel 1887 successe guendo vie dipload Agostino matiche, appoggiò De Pretis alla Presidenza del Menelik, re dello Consiglio, fu lui, Sciorà, a divenidopo la sconfitta re il nuovo Negus di Dogali, a convincere il nuovo (1889). Nello stesso anno, con il Trattato negus Menelik a sottoscrivere il di Uccialli, l’AbissiTrattato di Uccialli, nia divenne un procon la quale l’Etiopia divenne un tettorato italiano e assieme protettorato italiano costituì, agli altri possedi-


STORIA E DINTORNI Le tensioni internazionali provocate dal colonialismo italiano in Africa sono da considerarsi come i precedenti di quella politica autarchica che il Fascismo inaugurò anche con scopi propagandistici menti, la Colonia Eritrea (1890). Ma quando, nel 1895, l’Italia occupò anche il Tigré, Menelik ruppe gli accordi e provocò la terribile guerra che si concluse con la battaglia di Adua (1896), che vide l’esercito italiano nuovamente sconfitto. L’aver perso il protettorato sull’Abissinia costò al Crispi la caduta del governo. Nel frattempo, comunque, in seguito ad accordi con il sultano di Zanzibar, con l’Inghilterra e con la Germania, l’Italia aveva ottenuto il possesso della Somalia (1890). Dopo gli sconvolgimenti politico-geografici prodotti dalla Prima Guerra Mondiale (1914-18) e dall’avvento del Fascismo (1922), che per oltre due decenni aveva fatto passare in secondo piano il problema africano, toccò a Benito Mussolini, il Duce, il compito di riconquistare il tanto bramato Impero Etiopico. La nuova avventura africana iniziò nel 1935, a causa delle “molestie” pretestuose provocate dall’Impero Etiopico nei confronti delle confinanti colonie dell’Eritrea e della Somalia. Quando, a causa dell’incidente di Ual Ual (villaggio di confine ricco di pozzi d’acqua), l’Italia chiese il risarcimento dei danni morali e materiali, il Negus non fu in grado di soddisfare le richieste. Il ricorso alle armi divenne “necessario” e si concluse il 5 maggio 1936, quando le truppe italiane guidate dal Maresciallo Pietro Badoglio (in gara con il Generale Rodolfo Graziani nell’arrivare per primo) entrò in Addis Abeba. L’Etiopia venne posta sotto la sovranità del Re Vittorio Emanuele III, che potè fregiarsi del titolo di Imperatore.

I feriti della battaglia di Adua

Le colonie italiane in Africa

LE SANZIONI La Società delle Nazioni, organismo internazionale sorto dalle ceneri della Prima Guerra Mondiale per dirimere le controversie tra le Nazioni, si espresse in maniera negativa sul progetto di riconquista dell’Etiopia da pare di Mussolini, ma riuscì solo ad offrire un’ambigua solidarietà al Negus ed a bandire contro l’Italia un blocco economico mediante sanzioni commerciali. In realtà, solo alcuni dei 56 Paesi che non avrebbero dovuto rifornire l’Italia si schierarono apertamente contro (come fece la Francia). Inoltre, non facendo parte della Società, piena libertà era lasciata agli Stati Uniti, al Giappone, al Brasile. In questo modo, l’Inghilterra, rifornita dagli USA, riforniva tranquillamente la Germania, che a sua volta riforniva l’alleata Italia. Le sanzioni, quindi, non influirono più di tanto, con l’assenso tacito e compiaciuto della stessa Italia, cui conveniva atteggiarsi a vittima per far crescere l’odio delle masse contro le “nazioni plutocratiche”. Propagandare questa situazione con il vittimismo era funzionale al Regime, sia perché Mussolini già pensava ai futuri passi d’amicizia con la Germania di Hitler sia perché negli ultimi anni le riserve auree della Banca d’Italia erano calate del 74% sia perché la frenesia della conquista aveva aperto voragini in tutti i settori, con una reazione a catena su tutto l’indotto. Inoltre,

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STORIA E DINTORNI Quella di credere evitabili le importazioni fu una pia illusione, in particolare l’acquisto di materie prime necessarie alle industrie tessili, all’industria siderurgica, ai trasporti, che erano assolutamente irreperibili nel nostro Paese. Il vittimismo delle Sanzioni servì a Mussolini solo per propagandare il consumo dei prodotti nazionali, mentre la riconquista dell’Etiopia si dimostrò unicamente una costosa crociata patriottica ininfluente sulla crescita economica la sopravvalutazione della Lira impediva gli scambi, danneggiando l’esportazione ed impedendo l’entrata di divise preziose, utilizzabili per l’importazione. A tali problemi si aggiunse quello del grano, la cui produzione non era sufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale. Quella di credere evitabili le importazioni fu una pia illusione, in particolare l’acquisto di materie prime necessarie alle industrie tessili (cotone e lana), all’industria siderurgica (acciaio e carbone), ai trasporti (combustibile), che erano assolutamente irreperibili nel nostro Paese. Il vittimismo delle Sanzioni servì a Mussolini solo per propagandare il consumo dei prodotti nazionali, mentre la riconquista dell’Etiopia si dimostrò unicamente una costosa crociata patriottica ininfluente sulla crescita economica. Ed è proprio a questo stato di cose che va condotta la nascita della Sagra del Pesce di Chioggia.

L’AUTARCHIA Come risposta alle Sanzioni, il regime fascista si adoperò per lo sviluppo di una serie di produzioni autonome, potenziando l’industria chimica, la ricerca sulle fibre vegetali, sperimentando nuovi tipi di carburante, favorendo i surrogati per sostituire le materie mancanti. Per far fronte alle necessità alimentari della popolazione fu potenziata la battaglia del grano, lanciata nel 1925 con l’ambizioso obiettivo di raggiungere l’autosufficienza produttiva di frumento, e non importare più i 25 milioni di quintali di frumento su un fabbisogno totale di 75. La bonifica dell’Agro Pontino (1926-37), affidata all’Opera Nazionale per i Combattenti, divenne il fiore all’occhiello di Mussolini, ripreso a dorso nudo ad aiutare i braccianti agricoli, così come la fondazione di Littoria (oggi Latina), Sabaudia, Pontinia, Aprilia e Pomezia. Di pari passo, le popolazioni interne del Paese furono spronate al consumo del pesce, incalzate con insistenza dalla propaganda che si serviva di affermazioni create ad hoc: “La mancanza di iodio fa venire il gozzo; guardate nei paesi montani. Abbiamo i quattro più stupendi mari del mondo, con una riserva alimentare infinita e perenne... ed inoltre il consumo di pesce sviluppa l’intelligenza”. La metà del popolo italiano che viveva nell’entroterra (il 50% degli italiani viveva lungo le coste) iniziò a scoprire ed a consumare il pesce di mare. Nella ricca Lombardia era rarissimo, prima del 1936, trovare una pescheria in città. Il pesce era praticamente sconosciuto ad ogni ceto, e veniva considerato un alimento per i poveri derelitti incapaci di procurarsi altro. A Venezia, nel 1936, un chilo di triglie o di sogliole non superava il costo di un etto di pane. Il pesce azzurro: sgombri, sarde, alici, veniva ributtato a mare dai

Giovani Balilla e Piccole Italiane per gli esercizi ginnici del sabato al campo sportivo, 1939. Il Regime Fascista, attento sia al controllo degli italiani sia al loro coinvolgimento emotivo per accrescere il consenso, favorì molte iniziative di stampo corporativistico miranti a risvegliare l’orgoglio nazionale ed avvalorare il ricco patrimonio culturale locale

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STORIA E DINTORNI pescatori! A Pescara, al porto, era venduto a due centesimi al chilo, lo stesso costo di mezzo etto di patate o di metà uovo. Il Fascismo puntò su questo alimento “autarchico” inaugurando a Milano, nel 1935, il Mercato del Pesce. Grandi divennero gli affari per i pescatori liguri, romagnoli, veneti. Una Si esaltano le qualità del pesce ragione c’era: la carne e si invita a consumare questo costava circa 18 lire al nutrimento autarchico nel chilo, il pesce 18 volte manuale del dottor Padoan meno! Il baccalà seceditato nel 1941 co (merluzzo) costava solo 2,50 lire al chilo, e l’unica ditta che lo importava in monopolio dalla Norvegia aveva sede ad Ancona. Nel Veneto, il piatto principale divenne il baccalà, che aumenta di varie volte il proprio peso dopo essere stato reidratato: con sole 4 lire (tre per il baccalà ed una per la farina gialla da polenta) si poteva mangiare per una settimana. Una vera manna, se si pensa che lo stipendio mensile di un bracciante era di circa 200 lire, di un operaio 300, di un impiegato 350/420, di un capo-ufficio 800, di un dirigente 1000, di un generale o di un accademico 3000. Nel nostro Paese, la prima città a muoversi per propagandare il mondo del mare fu Ancona. Nata nel 1933, la Fiera Internazionale della Pesca presentava le novità dell’intera filiera ittica: dalla cantieristica al prodotto, dalle attrezzature di bordo a quelle per la lavorazione e trasformazione del pescato, dall’acquacoltura ai servizi per la commercializzazione. Essa rappresentava l’appuntamento annuale per incontri e confronti tra operatori, associazioni di categoria, organismi governativi, per promuovere innovazione, Primo studio sull’importanza qualità del lavoro e dei Mercati del Pesce adriatici redditività. nel 1924

La metà del popolo italiano non consumava pesce di mare, veniva considerato un alimento per i poveri. A Venezia, nel 1936, un chilo di triglie o di sogliole non superava il costo di un etto di pane. Il pesce azzurro: sgombri, sarde, alici, veniva ributtato a mare dai pescatori! A Pescara, al porto, era venduto a due centesimi al chilo, lo stesso costo di mezzo etto di patate o di metà uovo

Diploma offerto da S.A.R. il Duca di Genova per la prima edizione della Sagra del Pesce, 1938

LA FESTA POPOLARE Nata nel 1938 con il patrocinio di Sua Altezza Reale Ferdinando di Savoia, il Duca di Genova, che volle offrire coppa e diploma da destinare quale premio, la Sagra del Pesce si caratterizzò come il manifesto di una politica economica mirante alla valorizzazione dei prodotti alimentari nazionali ed alla esaltazione della propria identità culturale. Oltre ai vari spazi allestiti per la degustazione del pesce, infatti, veniva dato grande risalto alla tradizione marinara locale, presentando gli attrezzi, gli strumenti, le imbarcazioni di un ambito lavorativo praticamente sconosciuto al resto del Paese. La scelta autarchica diede un forte impulso all’economia collegata alla pesca, tanto che il prodotto commerciato passò dai 30.077 quintali del 1932 ai 39.082 del 1938, mentre il fatturato passò dai 9 milioni ai 12 milioni e mezzo per lo stesso periodo. Purtroppo tali progressi non furono seguiti dall’ammodernamento della flotta peschereccia, nella quale si contavano solo poche decine di imbarcazioni a motore.

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STORIA E DINTORNI Attraverso numerosi organi istituzionali, ultimo dei quali il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop), istituito nel 1937, il Regime Fascista, attento sia al controllo degli italiani sia al loro coinvolgimento emotivo per accrescere il consenso, fu particolarmente attivo durante gli anni Trenta, favorendo molte iniIl programma della Sagra ziative di stampo cordel pesce del 1939 porativistico miranti a risvegliare l’orgoglio nazionale ed avvalorare il ricco patrimonio culturale locale. Vanno viste sotto questa luce le regate tra le imbarcazioni da pesca, quelle tra le imbarcazioni sportive, le colonie marine che nella stagione estiva si riempivano dei figli dei contadini e degli operai, i viaggi in treno o le crociere navali per le varie associazioni di dopolavoro, i concorsi a premi di figurine date in omaggio sui prodotti alimentari nazionali, le attività ginnico-sportive per i giovani che si svolgevano nella giornata di sabato (“el sabo fasista”), e molto altro. In un contesto così definito, la Sagra divenne la cornice ideale per quelle manifestazioni pensate sia per promuovere i prodotti del mare sia per recuperare i valori della tradizione, come il concorso per il miglior costume, per la costruzione del miglior bragozzo da pesca, la festa della vela nel bacino di Vigo, il concorso per lo stand (“casottino”) più invitante. L’intera piazza, addobbata con luminarie, fontane, festoni, insegne, ospitò per tre giorni (20, 21, 22 agosto) una quantità impressionante di turisti giunti da ogni dove e con ogni mezzo, in un numero così elevato da rendere impossibile il passeggio. Erano quelli gli anni dei treni che viaggiavano in orario,

Il Ministro dell’Agricoltura e Pesca, Rossoni, con le partecipanti al concorso per il miglior costume tradizionale nel 1939

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dei telefoni bianchi, dei film storici che celebravano le virtù italiche, delle liriche di Gabriele d’Annunzio, del premio Nobel per la fisica ad Enrico Fermi (1938), dello sviluppo del polo chimico di Marghera, della battaglia del grano, del completamento dell’Acquedotto Pugliese, della fiera del Levante (Bari), ma pure del sogno delle “mille lire al mese”, del teatro di Petrolini, del varietà di Macario, Dapporto, Wanda Osiris, della crociera aerea del decennale (1933), dei due campionati di calcio del mondo vinti nel 1934 e nel 1938, dei cinegiornale “Luce”, delle trasmissioni radiofoniche dell’EIAR capaci di catturare milioni di ascoltatori. Come la seguitissima “I quattro moschettieri”, (193437), con la voce di Nunzio Filogamo che narrava le eroicomiche avventure dei celebri personaggi usciti dalla penna di Dumas, in un carosello di situazioni paradossali dove apparivano divi del cinema americano (e per questo un po’ invisa al Regime, che però tollerava). Il successo fu tale da indurre la Perugina-Buitoni a lanciare, nel 1936, un concorso a premi di figurine (con la famosissima n.20, quella del “feroce Saladino”), e di riproporne un altro nel 1938. Queste due raccolte di figurine andarono ad aggiungersi ad un’altra iniziativa simile, sempre del 1936, proposta dalla Elah di Genova Pegli, che scelse come soggetto i personaggi Disney (con l’introvabile n.41, dove Greta Garbo baciava Topolino). Oltre ad incrementare la vendita dei prodotti nazionali, il loro successo fu così grande da divenire Concorso a premi Figurine un vero e proprio Perugina-Buitoni, Due anni dopo, fenomeno di costudel 1938 me, tanto da dover essere regolato dalle autorità competenti mediante precise disposizioni. Di lì a pochi anni il turbine degli eventi bellici si abbatté sul Mondo intero, ed in Italia tutto fu tragicamente spazzato via. A Chioggia però la Sagra è sopravvissuta, sia per il forte legame della sua gente con la tradizione e l’amore per il campanile, sia per motivi economici. Ogni anno attira decine di migliaia tra turisti e residenti, ma si è spogliata del folklore di un tempo, riducendosi a puro fenomeno commerciale, anche se in un contesto urbanistico che non trova paragoni.


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VONGOLE DI MARE, fasolari VERACI E FASOLARI

(Callista chione)

dal mare alla tavola

Una tradizione antica come il mare, tanta passione e rispetto per il prodotto pescato, queste sono le armi vincenti della cooperativa Sciabica di Chioggia, formata da una decina di soci, 4 imbarcazioni e attiva da più di due lustri nella pesca di fasolari e vongole di mare e nell’allevamento di quelle veraci in laguna. Qualità è la parola d’ordine, in quanto la pesca avviene in acque di categoria A (acque aperte), e dunque non necessitano di depurazione, la cernita e il lavaggio vengono fatti rigorosamente a mano evitando stress ai bivalve, sempre a mano anche il confezionamento in sacchetti di 15 kg prima del conferimento al Centro di spedizione molluschi per la distribuzione.

Vera eccellenza del nostro Adriatico, vive solo qui, da Chioggia al Golfo di Trieste, dove le correnti marine provenienti dall’Istria creano grandi banchi di sabbia, habitat esclusivi di questo bivalve dal lento accrescimento: ci impiega 6-7 anni per raggiungere i cinque centimetri di pezzatura per il consumo. Ma è una prelibatezza, il consumo ideale sarebbe crudo dopo l’apertura a vivo delle valve e l’asportazione della piccola appendice calcarea del mitile, la sicurezza del consumo è data dal fatto che viene pescato al largo, dalle 8 alle 12 miglia dalla costa, in mare aperto e pulito a 16-22 metri di profondità.

vongola di mare (Venus gallina)

COOPERATIVA SCIABICA ALLA SAGRA DEL PESCE DI CHIOGGIA I pescatori della Cooperativa Sciabica saranno presenti alla prossima Sagra del Pesce. Lo stand verrà posizionato nei pressi di piazza Vigo, di fronte a palazzo Morosini, e come ogni anno sarà possibile degustare le specialità della loro cucina. Il lavoro di pescatori, dunque, non si ferma al mare, ma continua con la proposta delle migliori ricette della tradizione chioggiotta per presentare al meglio il frutto del loro lavoro e far conoscere come valorizzare una materia prima preziosa come il nostro pesce adriatico. La loro cucina è stata premiata molte volte negli ultimi anni e il Gran Piatto Sciabica è uno dei punti forti della loro offerta. Da provare e riprovare...

Dal 13 al 22 luglio

vieni a trovarci all’81° edizione della

Sagra del Pesce

Ti aspettiamo con i nostri piatti realizzati con il meglio del pescato giornaliero. Lo stand si trova in zona P.zza Vigo, davanti a palazzo Morosini

Anche lei regina delle preparazioni culinarie chioggiotte è una vera prelibatezza, da non confondere con la vongola filippina (o caparozzolo) che vive nei bassi fondali della laguna, viene pescata in mare aperto, in acque di classe A. C’è una particolarità: quelle pescate da Chioggia verso il Tagliamento sono più salate rispetto a quelle che crescono verso le foci dell’Adige, il perché è un mistero ma l’aneddoto potrebbe essere stuzzicante per i palati più sensibili.

vongola filippina (Vongola verace) L’allevamento è stato abbracciato solo da qualche anno e si concentra nelle lagune di Porto Levante con la coltura delle vongole veraci.


La forchetta, IL PANORAMA GASTRONOMICO

di Mario Stramazzo

TRAMPOLINO DI LANCIO DELLA GRANDE CUCINA

C’è stato un momento in cui il cibo ha smesso di essere mero nutrimento per il corpo ed è diventato anche nutrimento per gli occhi e per l’anima

S

arebbe interessante indagare da quando il cibo ha smesso i panni del mero nutrimento (anche in termini di Kcal.) per diventare un oggetto di appeal. Questa, la questione messa sul piatto, per così dire, da un curioso lettore poco o per niente interessato alla spettacolarizzazione mediatica dell’arte gastronomica stellata, quanto, piuttosto, affascinato dall’intrinseca bellezza artistica di molte mise en place che riescono a catturare la vista prima ancora che il palato. E se può essere vero che la vista ci offre le prime sensazioni relative all’aspetto, al colore, alla forma e all’impiattamento di una pietanza, per la qual cosa si può dire che il cibo abbandona il suo stato d’essere nutrimento, per diventare oscuro oggetto del desiderio più recondito, ancora più vero può essere la rispsota, caro lettore, che prima dell’invenzione della forchetta, il cibo non era che cibo e quindi solo nutrimento. Afferrato e portato alla bocca con le dita delle mani che al più tardi impugnavano un coltello; prima ancora dell’era del ferro, una tagliente lama di pietra magari di quel silicio che pensavamo di aver abbandonato con la preistoria ma che paradossalmente oggi ci ritroviamo ancora ben presente fra le mani, seppur celato dai microcircuiti elettronici di smarthphone, tablet e Ipad. Poco male visto che alla storia non si sfugge e non si può dunque negare che l’invenzione della forchetta può benissimo far da pie-

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tra d’angolo per la costruzione di tutta l’arte gastronomica che ne è seguita a cominciare da quei secoli che videro la caduta dell’impero romano. Pare infatti che oltre ai cinesi, già gli antichi romani conoscessero questo utensile gastronomico che a quel tempo però era una sorta di doppio spillone. Due soli rebbi, questo il nome dei denti appuntiti che si allungano dal corpo centrale della forchetta, dopo aver lasciato il manico che non di rado era impreziosito da gemme e fregi. A sottolineare il valore di quella primordiale forchetta e lo stato sociale di chi la stava usando. Non così ininterrottamente fino ai nostri giorni però, visto che con l’avvento dei barbari il suo uso cadde nell’oblio come accadde per il gusto e il piacere di mangiare con gli occhi prima che con la pancia. Prerogativa non certo popolare ma sicuramente di gran moda tra nobili e patrizi che non conoscevano

La vista ci offre le prime sensazioni relative all’aspetto, al colore, alla forma e all’impiattamento di una pietanza, per la qual cosa si può dire che il cibo abbandona il suo stato d’essere nutrimento per diventare oscuro oggetto del desiderio più recondito


IL PANORAMA GASTRONOMICO Fu il clero, attorno al 1000, già diffidente verso tutto ciò che era in “odore” di Bisanzio, a levare alte critiche in difesa della semplicità dei costumi, ivi compreso il consumo del cibo. E furono sempre gli uomini di chiesa a bollare come peccaminoso l’uso della forchetta che proprio i veneziani iniziarono a chiamare “piròn”, per assonanza con la parola bizantina “pirouni”, dal greco “peìro” che vuol dire infilzo gli stenti patiti dalla plebe che in massima parte viveva in condizioni di servile schiavitù. Poco peggio di quanto succedeva attorno all’anno mille e precisamente nell’estate del 1004, quando la forchetta riapparve in pubblico in grande pompa. Teatro dell’evento fu la città di Venezia e l’occasione fu il matrimonio del giovane doge Giovanni Orseolo II (984-1007) con la principessa bizantina Maria Argyropoulaina, figlia del principe bizantino Argiro e nipote dell’imperatore Basilio II. Fanciulla appena diciassettenne data in sposa al serenissimo veneziano per suggellare l’alleanza di Venezia con l’impero di Costantinopoli e segnare l’inizio del dominio veneziano nel canale d’acqua che separa l’Italia dai Balcani: Grado, Pola, Cherso, Veglie, Zara, Spalato, Ragusa e Curzola. Tutti gli invitati, nonostante la ricchezza dei cibi serviti sui piatti da portata e acconciati con tutta la pompa in uso in terra di Bisanzio, all’avvio del banchetto cominciarono a mangiare con le mani. Non però la graziosa fanciulla che con fare distaccato e freddo, estrasse da una custodia una forchetta d’oro a due rebbi e con studiata eleganza iniziò a portare i cibi alla bocca proprio con quello strano strumento. Vero che tra i bizantini l’accessorio era già diffuso ma il popolo di Venezia, e per primi i nobili, condannarono quella che apparve come un’ostentazione di snobismo e superiorità nei confronti dei costumi e degli usi alimentari lagunari. Che da quel punto in avanti, pur non senza fatica e resistenze, smisero i panni di elementi nutritivi per diventare entità alimentari acconciati ad arte su preziosi portavivande e argentei piatti da portata. Un’evoluzione del cibo, dunque, che seguì e meglio, accompagnò quella della forchetta. Che al pari del-

Caterina de Medici sposò il re di Francia, Enrico II, e in dote oltre a grandi ricchezze, portò anche l’uso della forchetta a tavola

“Il pasto”, miniatura dal “De Universo” di Rabano Mauro Montecassino, X-XI secolo. Al tempo sulle tavole comparivano solo i coltelli ed erano strumenti personali, non appartenevano alla mise en place.

le usanze gastronomiche in cerca d’autore, conobbe fortuna solo qualche secolo dopo dalla sua ricomparsa al banchetto dogale. Osteggiata pure dalla Chiesa che la considerava come un diabolico strumento di mollezza e perversione sottolineando al contempo lo scarso rispetto del cibo. Sempre più manipolato e acconciato pensando più all’eleganza delle forme e dei colori. Capace di attirare la vista oltre che il palato ma anche di elevarsi verso gusti e sapori più raffinati ed eleganti che mal si conciliavano con la rozza gestualità di afferrare il cibo con le mani che comunque soddisfaceva e accompagnava i dettami di sobrietà predicati dallo stesso papa Innocenzo III che ammoniva: “A cosa vi servono le tavole imbandite, le tovaglie ricamate, le forchette e i coltelli di metalli preziosi se poi non vi comportate bene?”. E vien da pensare che anche il cibo e la sua mise en place non fosse tenuto in gran considerazione nella sua espressività artistica. Quella stessa caratteristica di oggi giorno che di contro cominciò a crescere di valore e d’importanza ancora una volta con l’ennesima ricomparsa della forchetta sulle tavole dei ricchi dei nobili, e del clero. Casta, quest’ultima, che cominciò a diventare sempre più aristocratica e meno incline alle frugali abitudini di cibarsi solo per nutrire il corpo, quale scrigno dell’anima. Fu infatti nel quattrocento nella Firenze dei Medici e più avanti ancora, con Caterina

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IL PANORAMA GASTRONOMICO L’uso della forchetta conobbe momenti diversi. Forse già in uso durante i secoli dell’Impero Romano, decadde con le invasioni barbariche, per essere ripresa solo con gli anni centrali del Medioevo e affermata pienamente durante il Rinascimento, ma solo tra le classi abbienti de Medici, sposa di Enrico II re di Francia, promotrice dell’uso della forchetta sulle tavole francesi, che il cibo sul prezioso vasellame da portata compì un altro grande balzo in avanti sulla strada del bello e dell’artistico. insieme e nuovamente con il protagonismo del raffinato utensile chiamato forchetta e lascia i due rebbi per assumerne altri due e dare forma e sostanza alla forchetta, che da lì in avanti giungerà sulle nostre tavole. Non prima però di aver vissuto altri altalenanti periodi di ostracismo. Gli stessi che accompagnarono lo sviluppo dell’arte culinaria e l’uso sempre più ricercato di alimenti che fossero capaci di adattarsi alle fantasie creative di maestri cerimonieri e gran ciambellani. Figure che popolavano ogni corte nobiliare che curavano qualsiasi dettaglio che potesse contribuire a soddisfare la sempre più marcata volontà di distinzione e di esclusività fra gli appartenenti alle classi sociali più elevate. Facoltosi commercianti o ricchi patrizi che non perdevano certo tempo nell’emulare quanto usciva dalle cucine delle altezze reali, di potenti cardinali e degli stessi Papi. A cominciare da Pio IV per proseguire con Pio V sotto i quali, Bartolomeo Scappi, cuoco delle cucine vaticane, divenne fra i primi gran maestri di cucina e pubblicò il più grande trattato di cucina del tempo dando nobiltà ai cibi conosciuti e anche a quelli appena giunti dalle Americhe, enfatizzando già in quei secoli l’innovazione nell’uso degli ingredienti. Descritti ed elencati in un’opera enciclopedica che includeva più di mille ricette e trattava degli strumenti di cucina e di tutto ciò che doveva conoscere un cuoco rinascimentale di livello superiore per trasformare ogni alimento in pietanza strutturata e acconciata per poter risultare oltre che buona anche bella, e viceversa. Con la differenza, rispetto ai nostri giorni, dove simili concetti troppo spesso vengono confusi, che gli elementi nel piatto non dovevano mai perdere il loro primordiale significato di nutrimento e non essere solo apparenza. Per la cronaca e non casualmente va pure ricordato che in questa monumentale opera

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Bartolomeo Scappi fu il cuoco delle cucine vaticane, divenne fra i primi gran maestri di cucina e pubblicò il più grande trattato del tempo dando nobiltà ai cibi conosciuti e anche a quelli appena giunti dalle Americhe

sulla cucina del cuoco segreto dei Papi, si trova anche una delle prime raffigurazioni conosciute di una forchetta. Strumento senza il quale, quasi a conferma di quanto avete avuto la bontà di leggere fino a questo punto, è probabile che la grande cucina, fatta di ingredienti ridotti in forme contenute e vestiti dei loro colori più brillanti possibili, grazie alle più disparate tecniche di cottura, non sarebbe riuscita ad evolversi ed avere avuto quel magnetismo che le viene riconosciuto. Oggi più di ieri, si crede, ma nato invece quando l’uomo comprese che più erba si “magna” e più bestie si diventa, intendendo con questo distanziarsi il più possibile dalla maggioranza dei mammiferi suoi simili, e che l’eleganza dei piccoli bocconi portati alla bocca col “piron” lo differenziano dalle belve che prima di cibarsi, sbranano il loro pasto.

La forchetta veneziana, detta “piròn”


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Ristorante Pizzeria

l’estate passa dalla cucina

Un menù che contempla il meglio dei prodotti del mare con quelli degli orti interpretati secondo tradizione, ma anche originalità per un’offerta che parte dagli antipasti, arriva al dolce e alle pizze La possibilità di pranzare o cenare in riva al mare, in un angolo di spiaggia davanti al quale si stende l’estate che rende Sottomarina uno dei luoghi più gettonati dal turismo balneare, un menù che contempla il meglio del pescato fresco, approvvigionato al mercato ittico cittadino, interpretato con originalità insieme agli altri prodotti per cui Chioggia è celebre: il radicchio, le cipolle e l’immancabile zucca che nelle commedie di Goldoni è motivo di aspre “baruffe”. Aggiungiamoci l’ospitalità, che in una città abituata ad accogliere è una forma di identità, e aggiungiamoci anche un’attenzione che nel far ristorazione parte dai piatti semplici dalla tradizione e arriva a vere e proprie preparazioni gourmet, con il compendio delle migliori etichette del buon bere nazionale e internazionale, e troveremo delineati i punti forti dell’offerta del ristorante Minerva di Sottomarina. Armido e Fabrizio

insieme alle rispettive mogli Daniela e Nadia, ristoratori di conclamata tradizione e di grande esperienza, sono interpreti di quell’intelligente predilezione di portare in tavola soltanto la qualità e tutte quelle eccellenze che rappresentano per storia e tradizione il territorio. Nascono in questo modo i piatti che si dividono tra terra e mare come “L’insalata di gamberi con il radicchio di Chioggia Igp”, i “Fasolari in saor con la cipolla bianca” o gli “spiedini di mazzancolle con gli asparagi della vicina Conche” e la lista potrebbe continuare con le triglie, le “Schie”, i rombi chiodati, le “moleche” per arrivare fino alle pizze, anch’esse preparate per rispondere alle esigenze dei palati più esigenti e servite, su prenotazione, anche in spiaggia sotto l’ombrellone. L’estate, del resto, è un appuntamento fisso con le specialità del ristorante Minerva.

La cucina e la sala sono attrezzate per banchetti e cerimonie. I tavoli affacciano direttamente sul mare. Il ristorante è aperto tutto l’anno dalle 12.00 alle 14.30 e dalle 18.30 alle 24.00. Il lunedì i mestoli riposano Lungomare Adriatico - Lato Nord, 30015 - Sottomarina Mob. 339 6684500 - Tel. 041 4965367 ristorante.minerva@libero.it - www.ristorantepizzeriaminerva.it - Seguici su Facebbok e Twitter


LA RECENSIONE di Renato Malaman

?

PERCHÈ

La Montanella

LA TRADIZIONE SI FA POESIA

Recensione

Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta

Il ristorante della famiglia Borin da tre generazioni rende omaggio al borgo di Arquà Petrarca con una cucina di classe che affonda le sue radici nei riti delle stagioni e nella qualità dei prodotti del territorio

I

l borgo del Poeta è lì sotto, appartato e stretto intorno al suo campanile. Lo si nota affacciandosi alla splendida terrazza naturale incorniciata dal verde delle piante. Il ristorante La Montanella è un luogo bello da vedere prima ancora che “buono” da mangiare. Un buen retiro dell’anima, per la poesia evocata dal ricordo di Francesco Petrarca (che ad Arquà è sepolto, dopo avervi vissuto la serena ultima fase della sua vita per il mecenatismo dei Carraresi) ma anche per la storia e i valori che la famiglia Borin incarna da tre generazioni. Valori semplici di gente euganea, espressi con gusto, raffinatezza e sobrietà nel lavoro. La Montanella è sul colle che domina il borgo dal 1971, prima era stata per qualche anno alla “spaccata”, gestita da Aldo e Delfina con fratello e cognata. Giorgio Borin, figlio di Aldo, è stato più volte ed è tuttora presidente dei Ristorantori Padovani. Da lui e dalla moglie Biancarosa, la chef del locale, sono partite tante iniziative per la valorizzazione della cucina padovana: dalle grandi cene evento, al recupero della gallina padovana, alla cucina “light” da 900 calorie, alla “cucina per la mente”. La Montanella è un crocevia di cultura gastronomica vera. Che parte dal basso, dalle tradizioni: come raccogliere le erbette selvatiche a primavera, fare le marmellate d’estate, l’olio in autunno e i salami di casa prima di Natale. Riti! Seppur la cucina di questo splendido locale abbia conosciuto un’evoluzione molto moderna, aperta al nuovo e a una moderata ricerca.

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È un crocevia di cultura gastronomica vera, che parte dal basso


LA RECENSIONE Personale di sala, sempre attento e professionale. Mai “ingessato”

Oggi si caratterizza per eleganza e classe, le stesse che si ritrovano nella varie sale e d’estate anche nei tavoli allestiti al fresco sotto gli ulivi. Sono tanti i piatti che hanno reso celebre questo locale, dal papero alla frutta (che riprende una cucina del ‘500 e oggi è anche Piatto del Buon Ricordo) ai “risi e bisi”, al risotto con la quaglia, all’insalata di gallina padovana con uvetta e pinoli. Tra i dolci non manca la padovanissima pazientina. Nel corso della nostra visita siamo andati sul velluto, concedendoci il lusso di piatti di comprovato gradimento, come la soppressa di casa tagliata a coltello con un tortino di erbe. Come i classici tortellini ripieni di carne con il tartufo nero grattugiato sopra (fatti uno a uno da Biancarosa), come il rombo in crosta di pistacchio. Come dessert un altro classico: la millefoglie alla crema. Pietanze presentate con la consueta maestria, ricorrendo solo a materie prime di qualità e a preparazioni rispettose del prodotto. Sia negli accostamenti di gusto che nelle tecniche di cottura. Piace il modo in cui i Borin si sintonizzano con le stagioni e le sanno presentare, esaltandone il valore aggiunto anche culturale, tangibile nel ripetersi di certi riti. Solo vini euganei nei calici: dal Moscato giallo Gaia di Borin Vini & Vigne, al Rosso Riserva di Vignalta, al Fiordarancio sempre di Borin. Una nota particolare va al personale di sala, sempre attento e professionale e mai troppo ingessato. Nota di significato perché oggi il lavoro in sala viene spesso considerato di serie B, mortificando quel ruolo di “ambasciatore” di un territorio che il cameriere potrebbe avere. Una sosta alla Montanella rappresenta un piacere in tutto, a cominciare dal rivedere Arquà Petrarca che lo scorso anno ha avuto la soddisfazione di essere nominato secondo borgo più bello d’Italia dal concorso “Borgo dei borghi” promosso dalla trasmissione televisiva di Rai 3 “Kilimangiaro”. Insomma, i Borin oltreché buon cibo sanno regalare Il giornalista Renato Malaman con Biancarosa e Giorgio Borin anche emozioni autentiche.

La Pagella

di Con i piedi per terra

⊲ Uso delle materie prime del territorio

⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo


A OGNUNO IL SUO CALICE… di Emanuele Cenghiaro

Cinque etichette regionali SOAVE

CHARDONNAY

ROSÈ

BONARDA

NERO D’AVOLA

MERLOT

PINOT NERO

PASSITO

PORTO

CHAMPAGNE PROSECCO

MOSCATO

CHE SI SPOSANO BENISSIMO CON LA STAGIONE ESTIVA

T

orniamo a viaggiare per il Veneto con la nostra rubrica dedicata alla scoperta di etichette note e meno note. In questo numero diamo spazio a proposte originali di due delle più grandi cantine sociali venete, all’insegna della Novità (qualcosa mai

vista prima) e della Curiosità (una proposta originale), e di cantine storiche o nuove che propongono l’originalità (ci piace sperimentare…), Tradizione (andiamo sul sicuro!) e la Riscoperta (antichi vitigni recuperati). Ce n’è per tutti?

LA NOVITÀ (NEGRAR - VR) VINI “PRUVINIANO: un Amarone, un Valpolicella superiore e un Ripasso Essere una delle più valide cantine sociali italiane permette di dedicare spazio alla ricerca del meglio che il territorio può offrire: è quello su cui da qualche anno sta puntando la Cantina Valpolicella Negrar. Questo percorso di conoscenza e valorizzazione dei “cru” delle cinque valli veronesi dell’Amarone ha già visto la presentazione in passato di altrettanti vini della linea “Espressioni”. Ora è la volta della collezione vini “Pruviniano”, antico nome della valle di Marano, dalle cui viti nascono le novità 2018: un Amarone, un Valpolicella su-

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periore e un Ripasso, prodotti in località Prognol, dove da qualche anno la cantina ha un nuovo stabilimento produttivo. Sono vini, i Pruviniano, che vanno più a fondo nella ricerca di aromi e sentori, alla scoperta di originalità e di un profilo che li sappia distinguere. Perché gli Amaroni non sono tutti uguali!

Sono vini che vanno più a fondo nella ricerca di aromi e sentori, alla scoperta di originalità e di un profilo che li sappia distinguere


A OGNUNO IL SUO CALICE… LA CURIOSITÀ (SEGUSINO - TV) “QUATTRO GATTI DI SEGUSINO”, prodotto solo con uve del comune Prosecco, certo. Ma bisogna conoscerlo. Chi sa che dietro ai marchi Ca’ Val e Val d’Oca si cela una delle più grandi cantine sociali italiane? È la Cantina produttori di Valdobbiadene, fondata nel 1952 e oggi costituita da quasi seicento soci che coltivano un migliaio di ettari di vigneti. Una cantina nata quando la glera, l’uva del Prosecco, non era certo il 90% della lavorazione aziendale, e che oggi segue direttamente la qualità delle uve dei propri conferitori e il rispetto dei disciplinari di qualità e sostenibilità ambientale come il Protocollo Prosecco 2018. Serve aggiungere altro?

Una curiosità: ai classici cru Docg, ovvero “Le rive”, perché non affiancare l’assaggio dei “Quattro gatti di Segusino”, prodotto solo con uve del comune, pur confinante con Valdobbiadene, dove le vigne si contano sulle dita di una mano?

Una qualità che arriva dalla storia, dalla selezione delle migliori uve dei propri conferitori e dal rispetto dell’ambiente

L’ORIGINALITÀ (BAONE - PD) DILÌ E DILÀ CANTINA MAELI: l’andare oltre le solite bottiglie di moscato Fior d’Arancio Dilì, Dilà. Sono i simpatici nomi di due originali vini prodotti dall’uva tradizionale dei Colli Euganei, il moscato giallo Fior d’arancio. Un’uva sulla cui valorizzazione ha deciso di puntare con forza la cantina Maeli: l’azienda guidata da Elisa Dilavanzo (da cui i nomi dei vini...) a catalogo conta ben cinque etichette da uve moscato. E si è spinta a sperimentare: ai tradizionali passito, spumante dolce e fermo secco, si sono aggiunti uno spumante metodo classico brut nature, il Dilà appunto, e il Dilì, un moscato giallo “sur lie”, ovvero rifermentato in bottiglia sui lieviti a modello del Prosecco col fondo. Il mosto macera per tre giorni e fermenta solo con lieviti naturali. Colore dorato con riflessi aranciati e profumi a mille: non quelli tipici del moscato ma piuttosto note di frutta tropicale e frutta secca. E, in bocca, tutta l’asciutta mineralità vulcanica degli Euganei.

Colore dorato con riflessi aranciati e profumi a mille: non quelli tipici del moscato ma piuttosto note di frutta tropicale e frutta secca

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A OGNUNO IL SUO CALICE… LA TRADIZIONE (VILLAGA - VI) TAI ROSSO, in diverse declinazioni tutte cantina Piovene Porto Godi È diventato un simbolo dei Colli Berici: è il Tai rosso. E quando dici Tai dei Berici non può che venire in mente la storica cantina Piovene Porto Godi con il suo Riveselle, l’emblema di questo vino. Delicato e fruttato, è il classico vino da abbinare al baccalà alla vicentina. Per chi ama invece più struttura c’è il Thovara, un prodotto importante ottenuto da uve raccolte al massimo della maturazione, con bassissime rese per ettaro, e maturato in botti francesi per un anno. Un vero nettare che unisce freschezza e potenza. All’opposto, sempre dall’uva Tai (parente stretta della francese grenache, della spagnola garnacha e del Cannonau) nasce Lola, il delicato rosé da aperitivo

Freschezza e potenza, ma anche delicatezza. Se è leggermente fruttato è il classico vino da abbinare al baccalà alla vicentina o da abbinare a cruditè di pesce. Per chi non conosce il Tai, però, la via di mezzo, il Riveselle, non è un compromesso ma una rivelazione.

LA RISCOPERTA (GORIZIA) “SONTIUM”, cuvée da vecchi vigneti, riscoperti e vinificati dalla cantina Lorenzon “Sontium”, nome latino del fiume Isonzo - reso celebre dalle battaglie della Grande guerra - è il nome di una cuvée da vecchi vigneti, riscoperti e vinificati da una cantina di San Canzian d’Isonzo (GO), la Lorenzon, fondata da una famiglia trevigiana trapiantata in Friuli e nota per la linea di vini “I Feudi di Romans”. Pinot bianco, friulano, malvasia e in piccola parte traminer aromatico, tutti insieme, sono riuniti a comporre un quartetto curioso. La sfida era dare ai profumi anche sostanza ed eleganza. La prima viene garantita dal lavoro rigorosamente manuale in vigna, teso a ottenere alte concentrazioni di sostanze; alla seconda contribuisce il passaggio in

Per il Pinot bianco, friulano, malvasia e traminer aromatico la sfida è: dare ai profumi anche sostanza ed eleganza 52

legno (tonneau) del pinot bianco, che amplia il già ricco bouquet aromatico e ammorbidisce il palato. Un vino da provare soprattutto come aperitivo o abbinato a piatti di pesce e crostacei.


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Vendemmia

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“Esperienza, professionalità e tecnologia all ’avanguardia, questi sono i nostri punti di forza” IL TUO VIGNETO IN BUONE MANI

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DIVINO PARLAR di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it

Frizzante etichettato Il Pianzio

COLLI EUGANEI DOC SERPRINO L’effervescenza tutta naturale dei Colli Euganei

C

on l’arrivo dei primi caldi sono salito sulle nostre alture euganee a cercare refrigerio, sono andato a trovare la Famiglia Selmin, vignaioli da generazioni e produttori di grandi vini con l’etichetta Il Pianzio, per degustare il loro celebre Serprino, o meglio il Colli Euganei Doc Serprino Frizzante, vendemmia 2017. Era questo, infatti, il tipo di ristoro che cercavo, per degustarlo e presentarlo a voi attenti lettori della rivista Con i piedi per terra. E devo dire che al piacere di un buon bicchiere ho trovato anche la cortesia e la disponibilità per una lunga chiacchierata che mi ha permesso di conoscere nel dettaglio il metodo di produzione di questo autentico “asso” nella cantina dei Selmin. Innanzi tutto la vendemmia: rigorosamente a mano, con successiva diraspatura e pigiatura soffice dell’uva per ricavare il mosto fiore, ne segue la vinificazione in bianco a basse temperature e stoccaggio delle basi spumanti in botti di acciaio a 0° C. La cosa interessante è che vengono create due basi spumanti: una tradizionalmente secca e una seconda parzialmente dolce. Prima di ogni imbottigliamento viene creato un bland di queste due basi in modo da permettere al vino di effettuare una rifermentazione con i propri zuccheri naturali che ne contengono il patrimonio aromatico. Una volta creato il bland, con il giusto apporto di zuccheri, si proce-

de con la presa di spuma (metodo Martinotti lungo) dove il vino subisce una seconda fermentazione in autoclave, per circa 40-45gg, ottenendo quindi la sua inconfondibile gasatura naturale fine e fragrante. Al termine ne esce un vino che complessivamente ha un residuo zuccherino di circa 8 gr/lt. Con questa tecnica vengono preservati gli aromi floreali e fruttati che sprigiona questo favoloso vino frizzante. Caratteristiche di vino fresco, con aromi primari gradevoli, raffinati ed eleganti. Ne deriva un bouquet il più possibile fresco e fruttato. Vino giovane sì, di pronta beva, ma mai banale, come del resto è sempre per i vini della famiglia Selmin. Dopo le 3 tranches annuali di imbottigliamento, per mantenere sempre inalterate le caratteristiche del vino, vengono tappate circa 17-18.000 bottiglie, molte prenotate ancor prima di essere sugli scaffali. Niente di invenduto insomma! E il perché è facile a capirsi: un vino elegante, schietto e fine. Fresco, come era nelle mie aspettative, sapido, asciutto e armonico: una grande maniera nel trattare questa bollicina, simbolo dei Colli Euganei.

La Scheda di Con i piedi per terra

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⊲ ANALISI VISIVA

Giallo paglierino leggermente scarico con riflessi verdolini; trasparente, brillante, luminoso e cristallino

⊲ ANALISI OLFATTIVA

Complesso con note floreali e fruttate: fiori di acacia, fiori bianchi, biancospino; mela verde e pera ne completano il corredo aromatico. Al naso schietto e fine, pulito

⊲ ANALISI GUSTATIVA

Tipicamente acidulo e frizzante; discreta avvolgenza con buona freschezza e sapidità graziato da una nota morbida. Nel complesso asciutto, armonico ed equilibrato

⊲ ABBINAMENTO

Accattivante come aperitivo e ideale compagno di spuntini soprattutto a base di pesce e carni bianche. Primi piatti leggeri come risotti alle erbette di primavera, alle carni bianche; ideale con formaggi freschi e delicati. Da provare con la pizza


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A Z I E N DA A G R I C O L A

Vittorio Comini

Dal passato i Vini per il futuro

Turchetta, Benedina, Mattarella tre varietà identitarie delle terre tra Adige e Po È una produzione di nicchia quella che Vittorio Comini conduce nella sua cantina di Giacciano con Barucchella. Appena cinque mila bottiglie l’anno, ma dal contenuto quanto mai ricercato sia in termini di varietà che di qualità. Il centro del suo lavoro di vinaiolo, infatti, è costituito dal recupero e dalla ricerca di nuove metodologie produttive di antichi vitigni autoctoni del territorio polesano per riportarne in vita il valore e l’attualità in un panorama enologico sempre più dominato dalla standardizzazione. Nelle bottiglie che riportano l’etichetta Azienda Agricola Vittorio Comini, dunque, convivono il passato e il futuro del vino, insieme al rispetto per la propria terra e il gusto genuino della tradizione.

Sono tre le etichette ammiraglia dell’Azienda Agricola Vittorio Comini TURCHETTA È il vino polesano per antonomasia, i suoi grappoli a bacca nera si trovano descritti già negli ampelografi del XVIII secolo. Il vino ha una colorazione molto intensa come lo è il profumo: sensorialmente presenta sentori di viola e marasca con una giusta nota amara.

L’AZIENDA COMINI PRODUCE E COMMERCIALIZZA ANCHE MERLOT, CABERNET, RABOSO VERONESE, TAI, RIESLING E MANZONI BIANCO

MATTARELLA Coltivata in modo esclusivo nei territori di Trecenta e Giacciano con Barucchella da più di un secolo, dà un’uva a bacca bianca con buccia molto spessa. La gradazione è piuttosto significativa per un bianco ed è sorprendente sia la freschezza che la mineralità. Viene proposta con leggero invecchiamento e rifermentazione naturale.

BENEDINA Ne esistono appena trecento viti nel territorio del Medio Polesine, ma un tempo era molto diffusa. Forse introdotta dai monaci Benedettini da cui deriverebbe anche il nome. L’uva è a bacca nera e matura piuttosto tardi. Dopo una “mecerazione in rosso classica” e un leggero affinamento si ottiene un vino dal gusto armonico, colore brillante, mediamente alcolico adatto anche ad essere invecchiato. Queste varietà locali si pensavano ormai scomparse e per non perdere questo patrimonio genetico è stata anche costituita l’Associazione Vini Storici Polesani

A Z I E N DA A G R I C O L A

Vittorio Comini via Borgonovo, 1300 Giacciano con Baruchella (RO) tel. 346 2205921 https://vinicomini.jimdo.com vittorio.comini@libero.it


SCOPRIRE IL TERRITORIO a cura della redazione

Questa pubblicazione ha ricevuto il patrocinio di: This publication has received the patronage of:

Provincia di Padova

A SPASSO NELLE TERRE DEI CARRARESI

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Comune di San Pietro Viminario

tra arte, paesaggio e prodotti tipici

A WALK IN THE LANDS OF THE CARRARESI between art, landscape and typical products

THINK! soluzioni creative

U

Comune di Pernumia

A SPASSO NELLE TERRE DEI CARRARESI

Tra arte, paesaggio e prodotti tipici n progetto di promozione e visitazione del territorio realizzato da Speak Out e sponsorizzato da alcune aziende del territorio. Un modo per raccontare la ricchezza di questa terra e proporre quattro itinerari per conoscerla meglio sia nei suoi aspetti culturali e paesaggistici, ma anche come centro per gli acquisti di prodotti tipici, vista la presenza di tante storiche aziende dai marchi di assoluta qualità. La terra dei Da Carrara, del resto, è sempre stata ricca. Sotto questa dinastia il territorio conobbe la massima espansione territoriale e la loro corte richiamò i più insigni artisti dell’epoca trasformandola in una della capitali intellettuali e politiche del tempo. Un passato che ancora leggibile attraverso la storia conservata in forma di museo diffuso e rintracciabile anche nei tanti prodotti che il territorio offre, per questo questa pubblicazione va letta anche in chiave di opportunità di “shopping” emozionale e dinamico.

Comune di Comune di Comune di Comune di Comune di Comune di Albignasego Cartura Casalserugo Conselve Due Carrare Maserà

Pubblicazione realizzata da Speak Out Srl editori di “Con i piedi per terra” Publication realized by Speak Out Srl publishers of “Con i piedi per Terra”

OUT

www.conipiediperterra.it

Una cartina in due lingue collegata al web da un QR Code, per le proposte di itinerario, roadmap e le schede di presentazione dei siti di interesse storico, architettonico e paesaggistico dell’area a Sud della città di Padova alle pendici dei Colli Euganei. Nonché le aziende aperte per lo shooping e le loro proposte merceologiche


SCOPRIRE IL TERRITORIO

I SITI D’INTERESSE STORICO E CULTURALE INTERCETTATI DAL PERCORSO ABBAZIA DI SANTO STEFANO, il mausoleo dei Signori di Padova L’Abbazia di Santo Stefano, gioiello eretto a Due Carrare sulle fondamenta di un oratorio altomedievale, è il più antico monastero della provincia di Padova. Un documento del 1027 infatti riporta la donazione compiuta da Litolfo Da Carrara, capofamiglia dei Carraresi, per la costruzione del monastero. L’abbazia, che conosce il suo splendore durante la signoria dei Da Carrara a Padova, viene saccheggiata nel 1405 per volere dei Veneziani ma conserva tuttora il mausoleo di Marsilio Da Carrara, secondo signore di Padova.

IL CASTELLO DEL CATAJO, la reggia dei capitani di ventura Un secolo dopo la disfatta carrarese contro i veneziani, proprio nei pressi delle terre dei Da Carrara il condottiero della Serenissima Pio Enea I degli Obizzi decise di costruire un palazzo, a metà tra il castello militare e la villa principesca, che esaltasse la gloria della sua famiglia: fu così che nel 1570 nacque il Castello del Catajo. Una dimora estiva, impreziosita dagli affreschi di Gian Battista Zelotti discepolo di Paolo Veronese, che ha mantenuto per secoli intatto uno dei più spettacolari cicli di affreschi delle ville venete.

IL MUSEO DEI BARCARI DI BATTAGLIA TERME, tra brìcole e tradizione Poco lontano da Due Carrare, si trova il Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme: uno spazio espositivo che raccoglie storie, materiali e ricordi dell’antica professione dei barcari. Un viaggio nel mondo del trasporto fluviale che mostra l’attività cantieristica, i tipi di imbarcazioni, i mezzi di propulsione e la faticosa vita di bordo di coloro che abitavano lungo le rive del canale Battaglia. Prima dell’avvento del trasporto ferroviario e su gomma, infatti i burchi dei barcari carichi di trachite e granaglie passavano in questo dinamico porto fluviale, scrivendo pagine di storia e tradizione. Il Percorso si snoda ai piedi dei Colli Euganei in terre famose per i pregiati vini per questo non è da trascurare l’opportunità di una degustazione presso le cantine: La Mincana, Cantina Monticello, Azienda Agricola Salvan Vigne del Pigozzo. Assolutamente da assaggiare anche i prodotti delle api dell’Azienda Apicoltura Miele Più

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SCOPRIRE IL TERRITORIO

PERCORSO DEI SIGNORI E DELLE CANTINE 11 CANTINA LA MINCANA CASTELLO DEL CATAJO

CHIESA BATTAGLIA TERME

AZIENDA 10 AGRICOLA SALVAN

MUSEO NAVIGAZIONE FLUVIALE

23,5 Km

10 VINI MONTICELLO

VILLA GRIMANI

MULINO DI PONTEMANCO VILLA SPERANDIO

VILLA CAPODAGLIO ABBAZIA SANTO STEFANO PONTE DI RIVA

14 APICOLTURA MIELE PIÙ

13 RISTORANTE PIZZERIA GIÀ CHE CI SEI

CHIESA ASSUNTA VILLA BUZZACCARINI

PIEVE SANTA GIUSTINA

CHIESA SAN PIETRO

DUE CARRARE > BATTAGLIA TERME > PERNUMIA > SAN PIETRO VIMINARIO > CARTURA > DUE CARRARE L’itinerario si snoda nelle terre dei Da Carrara, signori di Padova nel XIV secolo. Un tempo insediati nel poderoso castello di Carrara San Giorgio, di cui non restano che le rovine, nel 1027 la ricca famiglia dei Da Carrara finanziò la costruzione dell’Abbazia di Carrara Santo Stefano, oggi nota per essere sepolcro del potente Marsilio I. Da visitare è sicuramente il Castello del Catajo e le sue 350 stanze. Altro sito di sicuro interesse per comprendere il rapporto storico di questo territorio con l’acqua è il Museo della Navigazione Fluviale a Battaglia Terme.

In questo numero pubblichiamo il primo dei quattro percorsi, ma fotografando con il tuo smatphone il QR Code qui a fianco avrai accesso alla roadmap e alle schede di presentazione dei siti di interesse storico, architettonico e paesaggistico degli altri tre percorsi. Nonché le aziende aperte per lo shopping e le loro proposte merceologiche 58


ARTERRA di Loredana Pavanello

ARTISTI A TAVOLA INGREDIENTI SEMPLICI PER UNA RICETTA COMPLESSA L’arte “alimentare” ha una storia antichissima che incontra il gusto dell’ostentazione della ricchezza, i complicati messaggi religiosi del cibo legati all’eucaristia e la “fame” come “grado zero” della condizione umana

A

rte e cibo: un binomio perfetto, un’accoppiata vincente si direbbe, soprattutto in un Paese come il nostro che della tradizione culinaria ha saputo fare un’arte e che, quasi come in un gioco di specchi, nelle arti figurative ha trovato una delle vie per esprimere tale “vocazione”, se così possiamo definirla. Per averne diretta conferma possiamo andare indietro nel tempo, alle radici dell’arte occidentale, e “assaporare” - per non uscire dalla metafora - le prove illusionistiche dell’arte classica, che con il celebre tema dell’asàratos òikos (o, più semplicemente asaraton), il “pavimento non spazzato” - suggestivo antenato della natura morta - fissa nei repertori ico-

Asaraton, mosaico di Aquileia, destinato a decorare le sale del triclinio, la sala da pranzo della domus romana, rappresenta il “pavimento non spazzato” ossia è una forma di ostentazione di quello che doveva essere la fine di un sontuoso banchetto

nografici la rappresentazione di quello che doveva essere la fine di un sontuoso banchetto. Il soggetto, ideato nel II secolo a.C da Sosos di Pergamo e diffuso nei repertori musivi, vede infatti la singolare messa in scena di un pavimento ricoperto da resti di cibo, in cui si possono osservare frutti, lische, ossa di pollo, gusci, molluschi, conchiglie, come è ad esempio nel bel mosaico dei Musei Vaticani, proveniente da una villa di età adrianea dell’Aventino, o ancora, per avvicinarsi al nostro territorio, nel meraviglioso trompe l’oeil di Aquileia. Destinato a decorare le sale del triclinio, la sala da pranzo della domus romana, l’asaraton certifica la magnificenza e la ricchezza del suo committente: non è solo un mero gioco d’illusione a scopo decorativo - per quanto affascinante - bensì un vero e proprio manifesto di auto-promozione sociale. Va detto infatti che molto spesso la rappresentazione del cibo nella tradizione figurativa non è disgiunta da significati ‘altri’, carichi di valore simbolico. Così è ad esempio nelle tavole imbandite delle splendide Ultime Cene rinascimentali, dal Cenacolo per antomasia, quello di Leonardo in Santa Maria delle Grazie a Milano, ai Cenacoli fiorentini, in cui spiccano la versione quattrocentesca di Andrea del Castagno in Santa Apollonia e quella elegantissima, “sanza errori” avrebbe detto Giorgio Vasari, di Andrea del Sarto a San Salvi. E ancora quelle, passando in Veneto, di Jacopo Tintoretto e Paolo Veronese, decisamente

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ARTERRA Molto spesso la rappresentazione del cibo nella tradizione figurativa non è disgiunta da significati “altri”, carichi di valore simbolico più ricche e variegate. Naturalmente in questi casi la presenza del cibo si collega al significato religioso di pertinenza: il pane - quello che appare in abbondanza ad esempio nel telero di Tintoretto in San Giorgio a Venezia - è già preludio dell’ostia, ed è dunque pane della salvezza, dal valore sacramentale. Nel dipinto veneziano, dove bene è rappresentata questa doppia valenza - materiale e spirituale insieme - vediamo infatti un bellissimo Cristo sacerdotale che offre l’ostia agli apostoli, disposti lungo il tavolo in scorcio ed immersi in un’atmosfera allucinata, percorsa dai bagliori sprigionati dalla lucerna arroventata e da un turbine di angeli evanescenti. È questo un brano di vibrante intensità espressiva, idealmente sospeso tra la rappresentazione della prosaica realtà quotidiana, con la bellissima tavola imbandita ricoperta di “coppe […] boccie di Murano, […] piatti colmi di ova, di frutta, di erbaggi” (Luigi Coletti), e la trasfigurazione visionaria della stessa, resa nei termini stilistici di un maturo luminismo integrale. La rappresentazione del cibo, in questo caso (e in infiniti altri dello stesso periodo) rientra all’interno di una precisa iconografia codificata, dove la grandezza

“Il Mangiafagioli” è un dipinto di Annibale Carracci. Datato tra il 1584 e il 1585, si tratta verosimilmente del dipinto di genere più noto eseguito dal maestro bolognese. È custodito nella galleria di Palazzo Colonna a Roma

dell’artista non consiste - come sarà dopo le avanguardie del Novecento - nell’originalità dell’invenzione ma nella capacità di variare i dettagli, precisi portatori di significato, al fine di creare situazioni nuove - in primis mediante associazioni visive, ricreazione delle metafore, usi specifici dei simboli - all’interno di un sistema di immagini già “regolamentato”. Notevole, sempre nella tela di Tintoretto, la straordinaria capacità di creare il nesso retorico con la Caduta della Manna, collocata di fronte: il nuovo pane sacramentale infatti non solo ha sostituito il pane azzimo del rito ebraico, ma ha simbolicamente sostituito la manna,

Nell’Ultima Cena di Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, il pane ha una doppia valenza, materiale e spirituale

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ARTERRA come sembra suggerire la donna in primo piano che offre all’uomo di spalle una coppa di confetti del tutto simili alla manna dell’altro dipinto, ostentatamente rifiutati in favore della frutta perché il pane del deserto è ormai sostituito dal nuovo pane dell’Eucarestia. Lo stesso concetto si può applicare a infiniti altri esempi, anche alle famose “frutte” di Caravaggio, realizzate verso la fine del Cinquecento: strepitosi brani di naturalismo che non vogliono tuttavia essere semplici riproduzioni della realtà quanto allusioni a precisi valori simbolici: così è per la Canestra di frutta della Pinacoteca Ambrosiana, la celeberrima “Fiscella”, che rappresenta al massimo grado - per qualità e precisione analitica - il genere della “natura morta”, di origine come s’è visto ellenistica, ma tornato in auge alla fine del Cinquecento e diffuso in Europa lungo tutto il Seicento. Se infatti osserviamo la frutta raffigurata scopriamo che non è perfetta come sembra, bensì segnata da piccole imperfezioni, a suggerire la fragilità della vita, secondo il tema della vanitas allora in voga. Innumerevoli sono gli esempi analoghi: dai fiamminghi come Pieter Claesz, i Van Haelst o de Hee, solo per citarne alcuni fra i più noti, ai bodegones di Velazque, dalla scuola napoletana di Giuseppe Recco e Paolo Porpora, a quella milanese di Fede Galizia o a quella toscana di Bartolomeo Bimbi, autore di quadri “ripieni di tutte le sorte di frutte, d’agrumi, d’uve, di fiori... sì di naturali come di stravaganti aborti della natura” (Filippo Baldinucci). Eppure non è solo questo, c’è un’evoluzione: la natura morta è anche un “oggetto teorico”: immagine in

Il genere della “natura morta” non è una semplice riproduzione della realtà, spesso allude a precisi valori simbolici legati all’esistenza cui il tema è l’immagine - non una “storia”, per quanto allegorico-mitologica, né una semplice rappresentazione. E a volte è invece “commento” alla scena: come nella “finta” natura morta di Peter Aersten, a Vienna, nel Cristo in casa di Marta e Maria, dove la scena evangelica è relegata in fondo a sinistra, e protagonista è il trompe l’oeil con diversi oggetti ammassati, apparentemente senza senso. Il senso invece c’è, ed è il nesso tra gli oggetti in primo piano e il significato evangelico della scena nello sfondo: a richiamare Cristo è infatti il grande coscio d’agnello, e in modo ancora più sottile il garofano conficcato in quello che sembra un pezzo di burro e che invece è da identificarsi con il lievito: garofano in latino è detto carnatio, ed è dunque un perfetto simbolo dell’Incar-

Nell’opera di Peter Aersten la “natura morta” in primo piano non sembrerebbe avere alcuna attinenza con il soggetto del quadro, Cristo in casa di Marta e Maria, in realtà contiene dei messaggi allegorici legati all’incarnazione di Cristo.

nazione, legato al lievito, che non è ancora pane ma materia che attende la trasformazione ed è destinato a crescere. Secoli più tardi questi temi troveranno una nuova conversione: spogliati del manto allusivo saranno al centro di vere e proprie denunce sociali, come è nei Mangiatori di patate di Van Gogh (1885), opera anti-retorica per eccellenza, permeata di crudo realismo, idealmente memore di quel Mangiafagioli secentesco di Annibale Carracci, dove però era il realismo in sé ad attirare l’artista, senza traccia di denuncia sociale. Più giocosi del maestro olandese, ma non meno taglienti, erano stati poco più di un secolo prima i grandi maestri del Settecento veneziano, Giambattista Tiepolo ed il figlio Giandomenico che nei Pulcinella che mangiano gli gnocchi raffigurano un’umanità rappresentata nel suo “grado zero”, quello che vive unicamente nelle pulsioni più semplici, senza considerare le grandi complicazioni che nel corso del secolo dei Lumi interessavano sempre più le cerchie intellettuali. Ancora una volta, una figura che appare semplice, ma si riveste di significati complessi a sancire l’inizio della modernità.

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Il Biancone

AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli

L’AQUILA DEI SERPENTI In Veneto la popolazione di questo rapace che si ciba esclusivamente di rettili non è molto numerosa, ci sono poche coppie nidificanti, meno di una decina, ma a volte si può avere la fortuna di vederlo durante le migrazioni o mentre scruta il terreno a caccia di qualche “scarbonasso”

I

rapaci diurni possono essere molto eclettici nella scelta del cibo, come la Poiana che mangia praticamente di tutto, oppure molto selettivi, come il Falco pescatore che si nutre solamente di pesci. Il Biancone, nome derivante dal colore chiaro che lo distingue, fa parte di quest’ultima categoria cibandosi quasi esclusivamente di rettili e specialmente serpenti che rappresentano il 90% della sua dieta, cosa che gli ha fatto attribuire anche il nome di Aquila dei serpenti europea. Poco più grande della comune Poiana, il Biancone fa parte della famiglia delle aquile e si distingue per il piumaggio, nettamente distinto tra la parte inferiore, chiara, e la parte superiore, l’area del capo e del petto, con tonalità cromatiche dal bruno al marrone; inoltre gli adulti presentano una sorta di cappuccio marrone scuro che dal capo scende sul collo. La coda vista da sopra presenta delle barrature marrone su fondo fulvo e le restanti parti inferiori (ali comprese) sono biancastre con diffuse macchiette scure e barrature sulla coda. Non ci sono macchie carpali scure evidenti come in altre specie di rapaci simili per colorazione, le zampe artigliate sono grigio bluastre mentre gli occhi sono di un ipnotizzante co-

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AMICI CON LE ALI Caccia planando lentamente, esplorando attentamente il terreno con la testa rivolta verso il basso e con frequenti soste in “spirito santo” come il Gheppio lore giallo. I giovani sono molto simili agli adulti ma si distinguono per la quasi assenza del cappuccio scuro e le poche macchie scure nelle parti inferiori, alcuni esemplari sono quasi completamente bianchi. Caccia planando lentamente, esplorando attentamente il terreno con la testa rivolta verso il basso e con frequenti soste in “spirito santo” come il Gheppio. La base della dieta, come accennato, è costituita da serpenti, anche velenosi come le vipere di cui non è immune al veleno. Una volta avvistato il rettile, scende planando lentamente fino a pochi metri confidando nell’abitudine dei serpenti di non scrutare il cielo e sulla colorazione chiara che lo mimetizza parzialmente contro il cielo; quindi accelera e piomba sulla preda artigliandola. Il rettile cerca di difendersi mordendo ma il Biancone para i morsi con le ali e affonda il becco nella testa dell’avversario, finendolo rapidamente e divorandolo subito al suolo o in volo. Durante il periodo riproduttivo, invece, molte prede vengono riportate al nido trasportate nel becco facendone penzolare fuori solo parte della coda per non farsele rubare da altri predatori. In tal caso, una volta giunto al nido, il giovane estrae il serpente dallo stomaco del genitore tirandolo per la coda prima di poterlo mangiare. La preda tipica è il biacco, detto “scarbonasso” che in esemplari lunghi un metro pesano circa 100 grammi e dato che un Biancone adulto ha bisogno di circa 150 grammi di cibo al giorno ci si può rendere conto delle necessità alimentari di una famiglia di questi rapaci. Nel corso di una stagione riproduttiva, una coppia di bianconi

Biancone adulto

cattura dai 700 agli 800 serpenti ma non senza pericolo: se la preda riesce ad attorcigliarsi al collo può tentare di strozzare il rapace. Sono noti casi di individui, perlopiù giovani, che per inesperienza hanno attaccato serpenti molto grandi e sono stati ritrovati morti con ancora la preda, anche lei morta, tra gli artigli ma che era riuscita ad avvinghiarsi al collo del predatore strangolandolo. Il nido viene generalmente costruito su grandi alberi, che insieme alla disponibilità di aree aperte per la caccia costituiscono elemento

Nel corso di una stagione riproduttiva, una coppia di bianconi cattura dai 700 agli 800 serpenti ma non senza pericolo: se la preda riesce ad attorcigliarsi al collo può tentare di strozzare il rapace

Biancone posato

essenziale per la vita della specie. Depone una volta all’anno un unico uovo, la durata della cova è di 45 giorni, il piccolo rimane nel nido circa 75 giorni e la vita massima è di 20 anni circa. Generalmente silenzioso, può emettere un fischio modulato e musicale: nel periodo riproduttivo emette in volo sul nido una specie di canto melodico. Amante dei climi temperati,

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AMICI CON LE ALI

Adulto con cappuccio e macchie più evidenti rispetto al giovane

e degli ambienti mediterranei ricoperti da arbusti e aree aperte, il Biancone è un uccello migratore che sverna in Africa e torna sui cieli d’Europa con l’arrivo della primavera. Interessante descrivere il percorso compiuto da questo uccello per giungere in Italia: notevole è infatti il passaggio migratorio in Liguria, dato che il Biancone, per raggiungere l’Europa, sceglie la via dello Stretto di Gibilterra non amando viaggiare a lungo in mare aperto. Il Biancone compie un tragitto analogo in autunno, quando si tratta di ritornare in Africa nella zona del Sahel a sud del deserto del Sahara. Un percorso tortuoso e lungo probabilmente dovuto alla necessità di minimizzare il dispendio energetico e il rischio legato all’attraversamento di ampi tratti di mare quali il canale di Sicilia. Con un peso di circa 2 chili, lungo circa 70 cm e un apertura alare di circa 180 cm, il Bianco-

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ne può percorrere ben 100 km al giorno durante la migrazione, con soste dove trova un ambiente con prede adatte. La specie ha conosciuto un declino soprattutto nell’Europa centrale. Negli ultimi 30-40 anni la popolazione europea di Biancone si è stabilizzata e consiste di circa 5.500-7.500 coppie di cui 350-550 in Italia. Nel Veneto ci sono poche coppie nidificanti (meno di una decina) ma a volte si può avere la fortuna di vederlo durante le migrazioni o mentre scruta il terreno a caccia di qualche “scarbonasso”.

Il Biancone è un uccello migratore che sverna in Africa e torna sui cieli d’Europa con l’arrivo della primavera con una rotta che cerca di evitare per quanto possibile il mare aperto


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