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N. 31 - Febbraio - Marzo 2019 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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Editoriale:
DUE OCCHI BEN APERTI SUL MONDO CONSENTONO DI COGLIERE LE GIUSTE PROFONDITÀ E LE DISTANZE Attualità:
LE STRADE DI DOMANI NON SARANNO DI CEMENTO
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Numero 31
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N. 26 - Febbraio - Marzo 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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N. 25 - Dicembre 2017 - Gennaio 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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N. 28 - Luglio - Agosto 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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N. 27 - Maggio - Giugno 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana. L’autore è Augusto Camozza Titolo dell’opera: Nifee e Agapanti
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INGIROPIEDANDO
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PANORAMA GASTRONOMICO
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Tiratura: 10.000 copie Diffusione: periodico bimestrale Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013
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AGRICOLTURA
Hanno collaborato a questo numero:
Giornale chiuso in redazione il 28 marzo 2019
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Direttore responsabile: Mauro Gambin
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EDITORIALE di Mattia De Poli
ciclopica ? “ ”
UNA SOCIETÀ
“Il ciclope” di Odilon Redon. Museo Kröller-Müller di Otterlo
Leggere la storia di Polifemo per scrivere un futuro diverso dal mito
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a storia di Polifemo e del suo incontro con Ulisse e i suoi compagni, così com’è raccontata nell’Odissea, impressiona anche il lettore più smaliziato: i tratti bestiali del Ciclope e il suo pasto cruento a base di carne umana turbano anche gli amanti del genere splatter. D’altra parte, la vicenda ha un potenziale lato comico, che è stato sfruttato da Euripide nel dramma satiresco Ciclope. Un diversivo divertente, non privo di spunti di riflessione, allora come ora. Nella versione euripidea, Polifemo abita ai piedi dell’Etna, in Sicilia: l’isola è parte del mondo greco, almeno per lingua e cultura, ma qui i Ciclopi vivono ognuno per conto proprio, senza che nessuno sia tenuto ad obbedire ad altri. Manca una forma di governo, mancano delle autorità, ognuno è autonomo. I Ciclopi sono figli del dio del mare, Poseidone, ma Polifemo non si sente in dovere di onore gli dei né i valori tradizionali, di cui essi sono considerati i garanti: l’unico dio che Polifemo riconosce è la propria pancia, e la soddisfazione dei propri bisogni. Non è rozzo come lo tratteggia Omero, non è più il pastore primitivo che vive in mezzo ai suoi animali: del suo gregge si prendono cura altri (i satiri), mentre lui si dedica alla caccia, che pratica come uno svago più che come una necessità per la propria sussistenza. Come nell’Odissea, anche nel dramma euripideo Polifemo si considera furbo: Ulisse si presenta al suo cospetto con buone intenzioni, come un supplice che chiede accoglienza, e lui gli concede dei doni ospitali piuttosto singolari. Il personaggio omerico concedeva al suo ospite il singolare privilegio di essere mangiato per ultimo, dopo tutti i suoi compagni. Sulla scena teatrale, invece, gli promette del fuoco
e qualcosa con cui vestirlo: un abito pesante da portare, la pentola che sarà messa sul fuoco e in cui sarà cotto. Crede di fare il furbo, ma col suo unico occhio in mezzo alla fronte non vede la profondità delle cose e non mette in prospettiva le informazioni. Non si accorge che Ulisse lo sta ingannando, finendo per essere accecato, e non collega l’arrivo dello straniero che torna dalla guerra di Troia con la profezia che gli aveva predetto la rovina a causa di Ulisse. Un mito, una bella favola. Forse anche una metafora, in cui il Ciclope impersona una società che rifiuta o reinterpreta in modo personale ed autoreferenziale non solo la religione ma anche i valori della propria tradizione. Una società che si crede evoluta e raffinata, ma che si rivela essenzialmente incivile, individualista ed egocentrica. C’è da riderne, fintanto che la rovina non si compie. E poi? Polifemo cerca invano di colpire la nave di Ulisse e gli prospetta un viaggio ancora lungo, ma Ulisse se ne va e prima o poi arriverà a casa. Lasciando per sempre il Ciclope nella sua cecità. Un finale alternativo è possibile? La cornice del mito lo impedisce, ma fuori di metafora la conclusione può e deve essere un’altra, perché la complessità del reale può rivelarsi una risorsa e aprire prospettive imprevedibili, trasformando lo scontro in un incontro e confronto. Due occhi ben aperti sul mondo consentono di cogliere giuste profondità e distanze, senza appiattire tutto nell’indifferenza. Perché rimpiangere gli errori commessi per avventatezza e cercare vane vendette, quando una prudente discrezione può evitare danni a sé e agli altri?
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CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO UNA SQUADRA DI PROFESSIONISTI AFFIATATA E COMPETENTE Con il riordino del personale, conseguente all’accorpamento delle sedi Este e Conselve, è stato possibile amalgamare un nuovo gruppo di dipendenti e trovare economie di scala con le quali appianare i minori trasferimenti da Stato e Regione Dopo il percorso di riorganizzazione del personale, dovuto alla scelta di accorpare le due sedi del Consorzio di Bonifica, Conselve ed Este, l’ente oggi si trova con una nuova squadra: professionalmente preparata, motivata ed efficiente. Il percorso non è stato semplice, non lo è mai quando viene aggiornato un POV (Piano Organizzazione Variabile) e la materia sulla quale intervenire è il personale. In forma astratta si tratta di dipendenti, ma nelle forme di un ente territoriale delle dimensioni di una media azienda, in cui dai dirigenti agli operai tutti si conoscono, i rapporti con le persone si esprimono in nomi, volti, e nelle forme confidenziali del “tu”. È materia viva, quindi, il personale, e tradurlo burocraticamente nelle forme grafiche e astratte del bilancio è un’operazione che va oltre le pratiche amministrative. Ci vuole rispetto e sensibilità anche nell’obbligo di una vera e propria rivoluzione, come è accaduto al Consorzio di Bonifica Adige Euganeo con la necessità di non avere doppioni nel proprio organigramma, quando le sedi da
due sono passate ad una. Ad esempio erano quattro le aree dirigenziali, due deputate all’amministrazione e due alle aree tecniche, ora ne sopravvivono la metà: un’area amministrativa, un’area tecnica-lavori pubblici e manutenzione. “Con gli incentivi all’esodo liquidati una tantum e con un turnover misurato - spiega il presidente del Consorzio, Michele Zanato - siamo riusciti a sostituire quel personale prossimo alla pensione, ormai legittimamente poco motivato, con la ricollocazione di personale, sempre interno, tenendo maggiormente conto della loro professionalità e delle competenze. La squadra ne è uscita rivitalizzata e ciò ha consentito anche di trovare quelle risorse economiche che nel tempo sono venute meno con la riduzione degli trasferimenti da parte della Regione. Solo quattro anni fa da Palazzo Balbi arrivavano al nostro ente circa 450 mila euro l’anno, oggi la cifra è scesa a 100 mila. Quindi per coprire la differenza, che nel bilancio rappresenta una minor entrata, avremmo dovuto ritoccare verso l’alto gli importi
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TEAM BUILDING
I 100 dipendenti del Consorzio rafforzano l’affiatamento tra i fornelli
dei ruoli, ossia i contributi in capo ai consorziati. E l’aumento sarebbe stato anche rilevante, toccando quasi il 12%. Invece la cifra mancante siamo riusciti a trovarla proprio nella riduzione del personale, senza pregiudizio per l’attività istituzionalmente svolta”. A fronte dei 635 mila euro spesi in incentivi all’esodo, ossia le somme pagate ai dipendenti in esubero che hanno cessato il rapporto di lavoro, oggi il risparmio concreto, in minori stipendi da sostenere, ammonta a 834 mila euro l’anno. Non avvicendando i pensionamenti con nuovo personale, inoltre, le fila dei vecchi Consorzi di Bonifica si sono assottigliate di altre unità, con una riduzione che ha interessato sia l’area dei funzionari, sia quella degli operai, che del personale avventizio. “La riduzione del personale - continua il presidente Zanato non ha tuttavia inficiato ì la qualità del servizio, anzi sono stati ottenuti dei miglioramenti. Un esempio potrebbe essere quello della manutenzione delle rive dei canali di bonifica: nel 2014 erano stati apportati interventi su una superficie di 21.831.000 metri quadrati, ora siamo a 24.118.000”. L’efficientamento del lavoro è stato possibile anche grazie alla dotazione di attrezzature sempre più all’avanguardia, come i sistemi di telecontrollo e di telerilevamento, che, oltre a aumentare la sicurezza sul lavoro, hanno contribuito non poco anche nella gestione degli straordinari coperti dal personale. “Dal 2014 ad oggi - conclude il presidente Zanato - siamo riusciti a ridurre del 30% le distanze percorse dai mezzi dei dipendenti per servizi al Consorzio e del 65% le ore di straordinario in conto all’ente. Oggi la struttura è in equilibrio e ci permette di guardare con maggiore serenità al domani”.
Le nuove frontiere in termini di affiatamento sul posto di lavoro si chiama Team Building, ossia un complesso di attività dirette a favorire la comunicazione tra colleghi e a stabilire un clima di fiducia e di collaborazione. E per i dipendenti del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo il modo per stringere l’affiatamento è stato quello di mettersi attorno ai fornelli di un laboratorio di cucina a Vigonza nel padovano, lo scorso 14 e 28 marzo. Approfittando dei Fondi di Formazione accantonati all’INPS, i lavoratori (non sono stati coinvolti solo gli stagionali) è stato possibile fare un’esperienza veramente fuori dal comune, anzi fuori dei ruoli normalmente occupati all’interno dell’ente. Infatti, chi di solito si occupa della progettazione di opere di irrigazione o esce in campagna per la manutenzione della bonifica, si è dovuto cimentare questa volta con i primi, i dolci e i contorni. Ognuno ha occupato un posto in quella che normalmente è una brigata di cucina, suddivisa appunto in ragione della tipologia di piatto da preparare, per realizzare un intero menù. I vari piatti sono stati poi serviti al pranzo riservato agli stessi dipendenti e il migliore è stato scelto, a giudizio gastronomico del presidente Zanato, e premiato con grande soddisfazione di tutti per il buon lavoro di squadra.
Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi
AMBIENTIAMOCI di Emanuele Cenghiaro
cemento
LA STRADA PER IL FUTURO NON FATTA CON IL Il territorio Veneto è caratterizzato da un disordine di strade e capannoni che la dicono lunga sul modello si sviluppo del recente passato. È mancata la razionalità, che è un metro di misura dell’intelligenza. Oggi quei danni potrebbero essere recuperati attraverso un’economia che riqualifichi e rigeneri i vecchi spazi cementificati
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e il territorio “è il prodotto della storia delle civiltà umane, del loro lavoro, della loro cultura, del sistema di relazioni della società con l’ambiente”, quello del nostro Veneto chi rispecchia? Noi cittadini, la nostra storia, la nostra economia, la nostra cultura? Domande che mi pongo sfogliando il rapporto Ispra 2018 sullo stato del territorio italiano da cui è tratta la citazione virgolettata, che rinvia ad Alberto Magnaghi, fondatore della Scuola territorialista italiana. Il Veneto che osservo percorrendo la pianura, dove si sta faticosamente completando l’ultima grande striscia di asfalto, quella della Pedemontana, che segue il Passante e la Valdastico Sud e non sarà certamente l’ultima, veramente ci rispecchia? Questo dei capannoni accanto ai filari di viti e ai campi di mais, degli autoarticolati che attraversano i paesini delle nonne,
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dei passaggi a livello che non si è ancora riusciti a eliminare, delle zone artigianali che ogni Comune ha realizzato senza pianificazioni di largo raggio e respiro… questo, è il Veneto di chi? La domanda assume importanza, credo, alla luce delle richieste di autonomia avanzate, e ormai concordate, dal Veneto nei confronti dello Stato italiano, che contemplano anche la praticamente totale potestà legistativa e amministrativa sui piani paesaggistici. Il citato rapporto Ispra, molto dettagliato, fotografa la copertura del suolo italiano nel 2017. Ebbene, senza sorprese, il Veneto è secondo solo alla Lombardia (12,99%) per superfici artificiali e costruzioni. Il 12,35% del territorio nostrano è “costruito”, quasi il doppio della media italiana. Eppure, buona parte della nostra superficie è montana, quindi la pianura raggiunge percentuali ben più elevate.
AMBIENTIAMOCI zare prodotti straordinari che raggiungono i mercati più lontani, a questa abilità forse è gioco forza che il territorio non basti mai… Tante imprese significano altrettanti capannoni, laboratori, uffici; e quindi strade, ponti, asfalto. E ancora, case per chi vi lavora. Ma non in città, nel Veneto non è stato così: bensì vicino al posto di lavoro, che era vicino a dove abitava l’artigiano, divenuto piccolo industriale.
Quando avremo nelle mani la totale disponibilità di fare del nostro territorio quello che noi veneti vogliamo, che ne faremo? Il rapporto Ispra fotografa la copertura del suolo italiano nel 2017. Il Veneto è secondo solo alla Lombardia per superfici artificiali e costruzioni
A questi imprenditori, e agli amministratori, al loro tempo correva l’obbligo di “fare”, e non poteva importare loro che vi fosse un’occupazione disordinata del suolo, anche lì dove non era il caso, perché magari vi era una palude che di tanto in tanto si allagava di nuovo. E non doveva importare se c’era un aumento di traffico ma non le strade adatte, mettendo in crisi magari il paesello vicino che doveva subire il passaggio dei tir; o se i servizi alle persone dovevano moltiplicarsi crescendo nel territorio, per nulla ottimizzati e generando sprechi, come ad esempio l’uso di auto (una per individuo!) per ogni spostamento, e poi inquinamenti, disagi e via così. Poi, magari, oggi capitano le “vendette” delle acque che, quando piove, talvolta si mettono a richiedere i loro spazi naturali, edificati chiedendo i permessi agli uffici “competenti”, ma non a loro... Questa è una visione negativa, ma noi vogliamo essere ottimisti come tutti i veneti lo sono per natura:
Il dato regionale indica il 12,35% del territorio nostrano è cementificato, quasi il doppio della media italiana. Eppure, buona parte della nostra superficie è montana, quindi la pianura raggiunge percentuali ben più elevate come dimostra la cartina
La questione è: quando avremo nelle mani la totale disponibilità di fare del nostro territorio quello che noi veneti vogliamo, che ne faremo? La domanda non vuole essere polemica, guarda allo stato di fatto e al recente passato. Perchè mi chiedo se non siano proprio le caratteristiche di “veneticità”, ad esempio i nostri decantati ingegno e industriosità, le principali nemiche del nostro territorio. Pare strano, vero? Però un dato mi fa pensare: noi abbiamo occupato in percentuale il doppio del suolo del Piemonte “industriale”, che evidentemente ha concentrato tutto a Torino, Ivrea o poco più. All’abilità artigiana, quella, per ntenderci, capace di inventare successi dal nulla, di creare un’impresa per ogni famiglia, di realiz-
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AMBIENTIAMOCI
Nella foto i cambiamenti che hanno interessato una parte del comune di Monselice dal 1993 al 2003. I triangolini rossi indicano gli stessi punti nelle due foto aeree
siamo benestanti, rispetto ai nostri nonni, i vantaggi sono molti più degli svantaggi, vero? E quindi, per conservarli tali, ci chiediamo, tornando alla citazione iniziale, se è veramente quello che vediamo fuori dai finestrini dell’auto quando lo attraversiamo, il Veneto che ci rappresenta. Siamo così confusi, noi Veneti, come il reticolo di strade, case e aree artigianali e commerciali che abbiamo realizzato negli ultimi cinquant’anni?
Il Paesaggio che vediamo fuori dai finestrini dell’auto quando lo attraversiamo è veramente il Veneto che ci rappresenta? Probabilmente no, forse è stato solo che, impegnati a lavorare sodo per uscire da povertà e ignoranza, siamo stati troppo indaffarati e un tantino troppo orgogliosi per parlarci tra noi e guardare al di là dell’orizzonte chiuso dai filari di pioppi, o dai cavalcavia di cemento, per decidere sul vero bene comune. Se danni sono stati fatti, prendiamone atto: andiamo avanti. Ma si può evitare di farne altri? L’impressione è che, oggi, il territorio maltrattato e a tratti devastato ci stia dando un’altra occasione, quella di rimetterci le mani e riappropriarcene. Nel 2017, ad esempio, la Re-
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gione Veneto ha approvato una legge, la 14/2017, per limitare “gradualmente” il consumo di suolo, “bene comune” e “risorsa non rinnovabile”. Ma le scappatoie e le eccezioni, i permessi ormai concessi e così via, a detta di molti l’hanno resa meno efficace di quello che l’urgenza sembrava richiedere. Insomma, pare che anche stavolta stia alla buona volontà dei cittadini farne buon uso. E ci sarà sempre chi dirà: “Insomma, non si può bloccare tutto!”, e ha ragione. Sì, ma… bloccare cosa? Proviamo a rivoltare la prospettiva: la stessa legge regionale lo fa, quando al Capo I titola “Contenimento del consumo di suolo” ma subito precisa: “riqualificazione, rigenerazione e miglioramento della qualità insediativa”. Quindi, lo scopo vero è “contenere, bloccare”, oppure lavorare al benessere di tutti? Riqualificare e rigenerare, queste potrebbero essere le vere parole d’ordine, e non il “bloccare” fine a se stesso, che dovrebbe essere visto come una necessaria misura di emergenza. “Rigenerare” è qualcosa di attivo, in grado di mettere in moto un’economia nuova, orgogliosa ma non egoista, di larghe vedute, che sappia guardare lontano e abbia il coraggio di mettere, al centro di ogni scelta, le persone e i cittadini. I veneti, insomma, vecchi e nuovi.
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ECONOMIA di Giuseppe Cilione
Ville Venete e Territorio
COME MODELLI DI SVILUPPO La situazione politica ed economica che ha generato il fenomeno delle Ville Venete è assimilabile a quanto viviamo ora. Oggi, come cinquecento anni fa, siamo di fronte alla necessità di variare il modello di crescita
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n paesaggio come lo vediamo oggi non può che essere il prodotto degli interventi umani che si sono succeduti in esso nel corso dei secoli. Quello che osserviamo non è, insomma, un elemento naturale nella sua forma “pura”, ma il risultato di un lungo processo di interazione dell’ambiente con gli uomini che lo hanno abitato. Quello che modifica e scolpisce un territorio è insomma la cultura di chi lo vive. Una società nomade produce poche modifiche nel suo ambiente, una agricola molte di più, una industriale influisce in modo ancora maggiore, perché
tendenzialmente non introduce nuovi elementi vitali nel terreno, e quindi provoca modificazioni estremamente più violente e potenzialmente irreversibili. Compito dunque di una società matura dovrebbe essere quello di saper scegliere quali interventi effettuare nel suo territorio sapendo trovare con cognizione di causa un punto di equilibrio fra necessità economiche e possibilità di mantenimento di un ambiente salubre. Cosa che in Veneto, a partire dal secondo Dopoguerra, è raramente successo. Se invece guardiamo alla storia possiamo constatare che è più facile trovare modelli di ordine applicato al progresso economico di un territorio: la grande trasformazione sociale che porta alla nascita e allo sviluppo del fenomeno della Villa Veneta ne è l’esempio più macroscopico. Si è trattato infatti anche di una grande operazione economica, che ha visto il riposizionamento di capitali dall’attività commerciale a quella fondiaria, sia con interventi significativi sul piano del paesaggio che con l’introduzione di nuove colture, come il mais appena arrivato dalle Americhe e molte specie di viti che erano spesso coltivate in associazione con il gelso. Naturalmente i fattori che hanno portato alla nascita del “fenomeno villa” sono molteplici e di diversi caVilla Ardit. Il fenomeno della villa introdusse un modello di sviluppo nuovo. Si trattò infatti di una grande operazione economica, che ha visto il riposizionamento di capitali dall’attività commerciale a quella fondiaria, sia con interventi significativi sul piano del paesaggio che con l’introduzione di nuove colture
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ECONOMIA La diversità territoriale che caratterizza il Veneto è un vero punto di forza. Lo è sempre stato e così dovrà essere anche per scegliere i modelli economici del futuro. Puntare sulle tante piccole e vitali eccellenze che caratterizzano il territorio, può essere un modo per garantire progresso e il mantenimento di un ambiente salubre ratteri, ma non possiamo dimenticare, in ottica di un confronto con il presente, che esso avvenne all’inizio del Cinquecento, cioè poco dopo rispetto a due eventi estremamente significativi quali la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453) e le grandi esplorazioni portoghesi e spagnole che culminano con la scoperta dell’America (1492) e l’arrivo in India via mare di Vasco da Gama (1498), che segnano un punto di arresto per il commercio veneziano in Oriente, fino a quel momento base della ricchezza della Serenissima nel Medioevo. In realtà questo commercio continuerà, anche se sarà fortemente ridotto, da cui la necessità per la nobiltà veneziana di rendere produttivi i terreni dell’entroterra, cosa che permetterà alla Serenissima di rappresentare un elemento sullo scacchiere politico internazionale per ancora due secoli.
Questo peculiare aspetto economico della nascita delle Ville Venete si sposa bene con una riflessione sul tempo presente in cui ci troviamo, essendo ormai posti di fronte alla necessità di variare il modello economico di riferimento. La situazione che ha generato la realtà della villa quale centro di produzione economica e culturale è dunque assimilabile a quanto viviamo ora: senza voler entrare nello spinoso tema della “decrescita felice” - che al di là della condivisibilità o meno del modello lancia comunque importanti interrogativi - appare comunque chiaro che la formula sviluppatasi dal secondo Dopoguerra è ormai desueta, per quanto essa sia stata vincente in un diverso contesto internazionale. Come cambiare? Di certo non è condivisibile - restando nel tema della villa veneta quale punto connotativo della realtà locale, e dunque quale potenziale fattore di propulsione economica - il modello di utilizzo turistico propinato dai media più o meno qualificati nel corso degli ultimi anni. Da vent’anni circa, da quando cioè è stato assegnato il riconoscimento UNESCO alla Valle della Loira, si discute di quanto sarebbe opportuno rubare le idee di valorizzazione del patrimonio storico francese per applicarle al sistema delle ville venete, che hanno ricevuto lo stesso riconoscimento internazionale qualche anno prima. Si tratta di uno dei tanti luoghi comuni, di quelle frasi che vengono ripetute come un mantra, affinché prendano il posto di una soluzione, ma anche questa presenta numerosi problemi nel momento in
Bastano pochi chilometri per passare dalle terre alluvionali dei Grandi Fiumi e del Delta del Po a quelle vulcaniche delle alture Euganee, fino alle terre salse della gronda lagunare. Una diversità territoriale che oltre ad essere caratterizzata da una grande varietà di paesaggi offre terreni fertili a una grande varietà di colture
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ECONOMIA cui si pensa ad un’applicazione seria. Il problema principale è proprio il rapporto con il territorio: il patronato UNESCO francese copre un’ampia regione, vasta quasi come la pianura padana, che presenta caratteristiche morfologiche uniformi; in questa regione si trovano, come elementi caratteristici, 19 castelli che costituiscono gli elementi di spicco dell’offerta turistica. In Veneto sono presenti circa 4000 ville e dimore storiche censite (più un numero imprecisato andato distrutto nel corso dei secoli), e soprattutto sono presenti in tutti gli ambienti: dalle ville alpine del Bellunese a quelle che sorgono a pochi metri dal Grande Fiume Po, dalle grandi tenute vinicole del veronese alle ville-granaio del vicentino, e così via. Dietro ad ogni villa si cela una storia diversa, di rapporti tra i suoi abitanti e i paesi vicini, di arte, di idee, di coltivazioni particolari e innovative, in una parola di un rapporto continuamente mutevole e fecondo fra gli esseri umani che la abitavano e vi lavoravano e il territorio. E, a differenza della Valle della Loira, il territorio veneto si rivela estremamente mutevole e variegato; è capace di cambiare completamente volto a distanza di pochi chilometri, passando dalla pianura alla montagna, dai colli al terreno alluvionale, dalla laguna alla pedemontana. È questa diversità territoriale che ha svolto, nel corso della storia, un’im-
Da vent’anni circa si discute di quanto sarebbe opportuno rubare le idee di valorizzazione del patrimonio storico francese per applicarle al sistema delle ville venete. Ma si tratta di uno dei tanti luoghi comuni, quell’applicazione presenta numerosi problemi nel momento in cui si pensa ad un’applicazione seria portante funzione di stimolo permettendo la nascita di tanti spunti che si sono convertiti in idee nel corso dei secoli. E così può e deve continuare ad essere, puntando su una struttura che favorisca la nascita di tante piccole e vitali eccellenze, magari cominciando dal settore primario dell’agricoltura e dell’allevamento, che è quello che maggiormente si trova a dialogare con questo territorio fecondo di idee e di possibilità di crescita, per poi trasferirsi al settore dell’industria vera e propria, anch’essa bisognosa di trovare nuove vie, a partire dalla ricerca e dallo sviluppo di nuovi modi per bonificare il territorio, anziché dedicarsi al suo deterioramento continuo, come avvenuto negli ultimi sessant’anni e come purtroppo tuttora accade.
All’inizio del Cinquecento l’economia veneziana fu vittima di una serie di eventi internazionali come la caduta di Costantinopoli o la scoperta dell’America che segnano un punto di arresto per il suo commercio. Da qui la necessità di rendere produttivi i terreni dell’entroterra, cosa che permetterà alla Serenissima di rappresentare un elemento sullo scacchiere politico internazionale per ancora due secoli
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Lo chef è Arturo Zanarotti, oltre alla cucina del ristorante tiene corsi di pasticceria e gelateria, pizza e pasta fresca
A cadenza settimanale si tengono degustazioni di vini e prodotti tipici. Celebrata è la selezione di prosciutti crudi, tra i quali il Bertelli e il Crosare Dop. Per conoscere le date basta seguire la pagina Facebook
L’sparago risottato, il piatto della stagione primaverile, primo premio al concorso Sparisada di Castelvenere in Croazia
La piacevole sensazione di sentirsi a proprio agio
Food and wine a misura d’uomo, ospitalità e tradizione senza rinunciare alla fantasia Sentirsi a casa. È attorno alla piacevole sensazione di stare a proprio agio che Arturo Zanarotti ha costruito un modo originale di fare ristorazione. Spazi a dimensione umana che facilitano l’incontro e il confronto attorno ad un bicchiere di vino o ad uno spunciotto in Hosteria, vere e proprie camere domestiche, invece, per il ristorante, caratterizzato da piccoli angoli, con la possibilità di stare in due tra quattro pareti, per 25-30 posti al massimo. La tavola, del resto, è un luogo intimo in cui è piacevole parlare a bassa voce, trovare la dimestichezza dei gesti, senza l’imbarazzo di mise un place esagerate, e incontrare profumi e sapori genuini. L’esclusività è sicuramente uno dei valori a cui si ispira l’offerta alla quale si accompagna quell’ospitalità rustica e contadina, a metà strada tra calore e sentimento, che pervade anche i sapori che escono dalla cucina. I piatti, infatti, sono quelli della tradizione, ma rivisitati e presentati sempre in modo originale. Il menù è brioso e dinamico, per seguire la stagionalità, ma sa anche trattenere il meglio delle produzioni montagnanesi, a cominciare dalla selezione di prosciutti, Bertelli e Crosare DOP, valorizzati, anche, in una ricetta che li unisce all’Amarone e al tartufo nero, per arrivare alla Patata dorata del Guà attraverso le altre orticole locali, come il radicchio e gli asparagi, e concludere con le carni, approvvigionate da una macelleria di fiducia in città, o qualche proposta di pesce della tradizione. Nel tempo veri e propri cavalli di battaglia sono diventati gli Gnocchi alla Montagnanese, fatti con il semolino e il crudo, l’Asparago risottato, con i verdi turioni di Pernumia sminuzzati alle dimensioni di un chicco, mantecati come un risotto e serviti con una mimosa di uovo sodo, la pasta fresca, fatta rigorosamente a mano, con i ragù di “oca” o di “Corte”. Il bianco pennuto, infatti, è un must in cucina, insieme al coniglio, all’anatra o al maiale in omaggio a quella tradizione per la quale si osserva memoria anche per la cottura. Qui infatti si privilegiano le basse temperature, ma quando l’ortodossia indica il tegame o la padella diventa peccato non esserne praticanti. Il pane è veramente quotidiano, il forno Zanarotti ha 100 anni di lievitazioni alle spalle fra “schissotti” e “fugasse” premiati dalla clientela e dalla critica, e i dolci sono quasi tutti espressi. Vengono “montati” al momento la Millefoglie, la Pazientina, tipica padovana, o lo Strudel servito al cucchiaio. Discorso a parte meritano i vini, se non per il fatto che al ristorante si accompagna l’osteria, e l’offerta spazia dai francesi ai nazionali fino ai locali, ma riserva pure preziose chicche con bottiglie rare e di annata.
HOSTARIA ZANAROTTI • via Matteotti, 3 • 35044 Montagnana (PD) • Tel. 0429 800383 arturo@zanarotti.it • www.zanarotti.it • Hostaria Zanarotti
L’ELZEVIRO di Eliano Morello
L’UNIONE EUROPEA UNA QUESTIONE DI CONSAPEVOLEZZA Per quanto riguarda l’agricoltura la permanenza all’interno del gruppo dei 28 rappresenta sicuramente un’opportunità. Ricerca e sviluppo, tecnologie digitali (agricoltura 4.0), sistemi economici a bassa emissione di CO2 sono tutti temi che riguardano il futuro del nostro paese e che oggi vengono finanziati da Strasburgo
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uando l’Inghilterra ha votato per uscire dall’Unione Europea (con la cosiddetta Brexit) è stato un triste giorno per tutti. Sicuramente non per gli Inglesi, o almeno all’inizio. Poi, sfumato l’entusiasmo, hanno iniziato a capire cosa significasse uscire dal bel gruppo dei 28 e pare che, quasi quasi, ci stiano ripensando. Certo, nella scelta inglese un forte peso deve averlo avuto il ricordo della storia nazionale colonialista e imperialista, che li ha abituati da secoli a dettare le regole, piuttosto che ad osservarle. A differenza di tutti gli altri Stati, però, l’Inghilterra può contare sui trattati con le sue ex colonie (i Paesi del Commonwealth). Al di là del fatto che l’Inghilterra abbia comunque una solida economia, la sua perdita per l’Europa Unita è considerevole, ma vale anche il contrario: Confagricoltura afferma che gli acquisti di prodotti agroalimentari del Regno Unito dagli altri Stati membri dell’UE ammontano a 41 miliardi di euro all’anno (di cui circa 3,4 miliardi sono forniti da noi Italiani). Per non parlare dei milioni di euro che entrano nelle casse dello Stato inglese attraverso i vari contributi europei (come la PAC) e con cui solo ora molti agricoltori inglesi stanno facendo i conti. Tuttavia, se idealmente l’Inghilterra può permettersi l’uscita dalla UE, la stessa cosa non potrebbe valere per noi, poiché siamo un Paese che non ha risorse di alcun genere e abbiamo bisogno di tutto: prestiti per finanziare il debito pubblico, materie prime, energia, alimenti. Tuttavia, dobbiamo convenire che, nel caso dell’agricoltura ma anche di tutti gli altri settori, non possiamo più fare a meno dei soldi che Strasburgo
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investe nel nostro Paese. L’Unione Europea, con il contributo di tutti gli Stati membri, finanzia - attraverso i SIE (Fondi Strutturali di Investimento Europei) attività quali: lo Sviluppo Regionale, il Fondo Sociale, il Fondo di Coesione, il Fondo Agricolo di Sviluppo Rurale (FEASR) e finanziamenti PAC e il Fondo per gli affari marittimi e la pesca. Questi fondi poi si concentrano su investimenti in: Ricerca e sviluppo, tecnologie digitali (agricoltura 4.0), sistemi economici a bassa emissione di CO2, gestione sostenibile delle risorse naturali e piccole imprese. Per esempio, grazie a contributi comunitari l’Italia ha potuto solidificare la propria esperienza nell’ambito dell’agricoltura di precisione, tanto che molti nostri progetti sono all’avanguardia nel settore dell’agricoltura tecnologica. Senza tali contributi, e quindi senza l’Unione Europea, non avremmo mai trovato i fondi per finanziare tali progetti, vista la proverbiale stitichezza di tutti i passati governi a investire in ricerca
L’Unione Europea, con il contributo di tutti gli Stati membri, finanzia attraverso i Fondi Strutturali di Investimento Europei attività quali: lo Sviluppo Regionale, il Fondo Sociale, il Fondo di Coesione, il Fondo Agricolo di Sviluppo Rurale (FEASR) e finanziamenti PAC e il Fondo per gli affari marittimi e la pesca
L’ELZEVIRO e sviluppo. Al di là della valutazione dell’importanza di una politica sovranazionale, non dovremmo trascurare le opportunità che già ora esistono ma che l’Italia spreca o di cui, per nostra mancanza, non beneficia. È il caso di tirare in ballo le recenti vicende che hanno riguardato il CREA (Ente per la Ricerca in Agricoltura), sotto inchiesta per aver sperperato milioni di euro in modo clientelare e truffaldino, chi dirigeva l’Ente ha fatto bandi di gara spezzettandoli per non essere controllato, ha assegnato incarichi o regolarizzato posizioni di dipendenti senza concorsi, e il SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale), il quale è stato proprio richiamato dalla commissione UE per non aver ancora assegnato l’incarico di informatizzare i dati agricoli, un procedimento importante per l’assegnazione di contributi e redigere piani di sviluppo. Dopo due anni di bando di gara oltre 550 milioni di euro sono rimasti nel cassetto! È evidente che in Europa siamo considerati per quello che non facciamo e per come sprechiamo il nostro tempo e il nostro denaro. Non troveremmo ragione nel lamentarci con l’Europa nemmeno se andassimo a vedere quanti soldi lasciamo a Strasburgo. Spesso sentiamo parlare, da molti politici e opinionisti, di 20 miliardi versati al Bilancio europeo a fronte di 12 incassati, quindi con un disavanzo di 8 miliardi di euro. Ma se andiamo a leggere quanto contenuto nella Relazione Annuale 2016 della Corte dei Conti (delibera n. 17 del 2016) i numeri sono molto diversi. È il caso di ricordare che l’Italia - Paese fondatore e membro del G8 - è al 5° posto come contributore netto (dopo Germania, Regno Unito, Francia e Olanda) al Bilancio
Il mondo agricolo dipende dal mercato globale e in futuro questa dipendenza sarà ancora più stretta, trovando la concorrenza di paesi ben più organizzati e spregiudicati del nostro
Gli agricoltori italiani incassano - tramite la PAC - 4,424 miliardi di euro e l’Italia ne versa al Bilancio 4,435 miliardi di euro, 11 milioni in più
e che il suo contributo in termini di percentuale sul RNL (Reddito Nazionale Lordo) ci colloca all’8° posto con lo 0,34% (dopo i quattro già citati, ci precedono anche Danimarca, Svezia e Belgio). In sostanza l’Italia nel 2016 ha versato 16,4 miliardi di euro e ne ha incassati circa 12. Pensate che gli agricoltori italiani incassano - tramite la PAC - 4,424 miliardi di euro e l’Italia ne versa al Bilancio 4,435 miliardi di euro (11 milioni in più). Purtroppo l’Italia è un Paese ancora fortemente arretrato e diviso nel gestire i rapporti all’interno del Continente. È una questione di politica? Di dimensioni? Di poca trasparenza? Bisogna dirlo, non siamo il paese della limpidezza, ma contiamo poco e forse abbiamo anche un certo complesso d’inferiorità, confuso spesso con atteggiamento poco “amichevole” nei nostri riguardi. Questo non ci pone nella situazione di sfruttare al meglio le opportunità economiche che arrivano dall’Europa e nemmeno quelle politiche che per essere efficaci hanno bisogno di una dimensione continentale. Non andrebbe mai dimenticato che il mondo agricolo dipende dal mercato globale e in futuro questa dipendenza sarà ancora più stretta, trovando la concorrenza di paesi ben più organizzati e spregiudicati del nostro. Le regole servono quindi, non sempre sono lacci e laccioli. Servono per riuscire
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L’ELZEVIRO a parlare la medesima lingua in un continente che ha al suo interno diverse culture e per questo sa porsi obiettivi diversi. Ecco, anche l’Italia dovrebbe trovare dentro di se la propria cultura e portarla in Europa, invece a Strasburgo conoscono soprattutto la nostra disorganizzazione. Molti temi portanti per l’economia del settore primario vengono affrontati in ordine sparso dalle associazioni di categoria e molto spesso sen-
progetti chiari e condivisi, magari esposti e perseguiti da rappresenti all’altezza di questo compito, invece le elezioni europee sono spesso piuttosto trascurate anche dall’elettorato. L’andamento della partecipazione al voto dal 1979 al 2009 (dati CISE 2014) è stato decrescente: dal 62% del 1979 si è passati al 43% del 2009 con un calo di 19 punti percentuali. In Italia non è andata meglio: si è passati da un 85,7% di affluenza nel 1979 al 65,1% del 2009 con un calo di 20,6 punti percentuali. Le conseguenze di questa disaffezione sono ben note. Questo è un atteggiamento che non possiamo più permetterci a meno che non si voglia continuare a sostituire la critica con il piagnisteo. Il tema della rappresentanza è un tema serio che tocca sia i rappresentati che rappresentanti. Tra qualche settimana si andrà a votare e ogni partito ha avanzato le proprie candidature: accertatevi che questi candidati siano competenti e coerenti con l’impegno preso. Meditiamo.
Nella programmazione 2014-2020: l’Italia è al 2° posto (dopo la Francia) nei programmi di sviluppo presentati all’Europa (23 su 118) ed è al 2° posto come fondi assegnati con 10.444 milioni di euro - sempre dopo la Francia - sui 99.586 milioni di euro di bilancio totale
za una logica. Tutti ricordano le vicende delle quote latte, del vitivinicolo, dell’ortofrutta, dell’olio di oliva: tutte questioni affrontate da Bruxelles perché noi da soli - non riusciamo a superarle. Ecco quindi incentivi all’aggregazione (OCM frutta e OCM vino) ma poi le nostre proteste si scontrano con dati inesatti, con richiami, multe e sanzioni. Ma per sfatare anche questo mito basta guardare alcuni dati: mentre nella programmazione 2007-2013 siamo stati incapaci di sfruttare tutti i soldi destinati all’Italia, sembra che negli ultimi anni la situazione sia molto migliorata e che la tendenza si sia invertita. A confermare questo basta vedere cosa è previsto nella programmazione 2014-2020: l’Italia è al 2° posto (dopo la Francia) nei programmi di sviluppo presentati all’Europa (23 su 118) ed è al 2° posto come fondi assegnati con 10.444 milioni di euro - sempre dopo la Francia - sui 99.586 milioni di euro di bilancio totale. Nel periodo in esame all’Italia è stata assegnata una dotazione finanziaria di 44 miliardi di euro, che ci pone al secondo posto dietro solo alla Polonia. Ora sta a noi farne un buon uso e personalmente non penso che l’Unione Europea ci stia sfavorendo o perseguitando. Almeno non con questi numeri che parlano. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è unità,
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L’andamento della partecipazione al voto dal 1979 al 2009 (dati CISE 2014) è stato decrescente: dal 62% del 1979 si è passati al 43% del 2009 con un calo di 19 punti percentuali. In Italia non è andata meglio: si è passati da un 85,7% di affluenza nel 1979 al 65,1% del 2009 con un calo di 20,6 punti percentuali
LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE di Ada Sinigalia
UNA FORMA DI OSPITALITÀ SEMPRE PIÙ IN CRESCITA Attorno a questo settore della ristorazione e della riccevità si stanno formando nuove figure professionali e a fianco dell’offerta turistica sta sempre più prendendo piede quella didattica che valorizza il ruolo formativo e informativo dell’agricoltore
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empre più frequentati e apprezzati gli agriturismi italiani e veneti. Secondo uno studio dell’Osservatorio di Agriturismo.it, il 2018 è stato l’anno d’oro per questo tipo di ospitalità in Italia con una domanda che ha registrato un aumento rispetto all’anno prima, del 12%. Sul totale della domanda rimane stabile la fetta di utenti stranieri che, nel 2018, hanno rappresentato un terzo delle richieste arrivate alle strutture. Riguardo ai soggiorni prenotati, gli italiani scelgono l’agriturismo per una permanenza media di 3 notti con una spesa media di 35 euro a persona a notte, mentre gli stranieri prenotano mediamente per 4 giorni e spendono il 14% in più degli italiani (40 euro a notte a persona). Tra le regioni più visitate il Veneto si trova al terzo posto, pari merito con l’Umbria, dopo Toscana e Lombardia. In Veneto, secondo i dati regionali del 2018, sono 1826 gli agri-
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Il 2018 è stato l’anno d’oro in Italia con una domanda che ha registrato un aumento rispetto all’anno prima del 12% turismi. La provincia con il maggior numero è Verona che ne conta 410, seguono le province di Treviso con 328, Vicenza con 223 , Padova con 184, Venezia con 127, Belluno con 127 e Rovigo con 54. Diverse le tipologie di utenti che frequentano gli agriturismi: dalle famiglie con bambini per i quali sono predisposte attività didattiche e ludiche, dagli amanti dell’enogastronomia e della cucina tipica locale ai vegetariani e vegani, dagli sportivi ai giovani. L’offerta è ampia, basata soprattutto sulla riscoperta della natura, del relax e della voglia di conoscere non solo i prodotti tipici ma anche la loro storia e la cultura e
LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE Tra le regioni più visitate il Veneto si trova al terzo posto, pari merito con l’Umbria, dopo Toscana e Lombardia tradizione raccontatati direttamente dal produttore. La capacità di mantenere inalterate le tradizioni enogastronomiche nel tempo è tra le qualità più apprezzate dagli ospiti degli agriturismi, ma aumentano nel contempo la domanda di servizi innovativi per sportivi, curiosi e ambientalisti come l’equitazione, il tiro con l’arco, il trekking o attività culturali con la visita a percorsi storici o naturalistici ma anche corsi di cucina e wellness. Si riscontra anche un’apertura nei confronti del crescente turismo itinerante dei camperisti con le strutture che in molti casi si sono attrezzate con l’offerta di alloggio e di pasti completi, ma anche di colazioni al sacco o con la semplice messa a disposizione spazi per picnic e camper per rispettare le esigenze di indipendenza di chi ama prepararsi da mangiare in piena autonomia ricorrendo eventualmente solo all’acquisto dei prodotti aziendali.
Ogni anno a metà ottobre la Regione Veneto, in collaborazione con le Organizzazioni professionali agricole, organizza l’iniziativa “Fattorie didattiche aperte” giunta già alla sedicesima edizione. È un’opportunità, dedicata a piccoli e grandi, per avvicinarsi agli animali e scoprire la cultura rurale, accompagnati dagli agricoltori
AGRICHEF, IL CONTADINO AI FORNELLI
Nella foto Diego Scaramuzza, il primo da sinistra, ideatore della figura dell’agrichef
L’agrichef è la nuova figura professionale ideata da Diego Scaramuzza, presidente di Terranostra, l’associazione di Coldiretti che raggruppa gli agriturismi, rappresenta chi, oltre a coltivare e produrre prodotti, è anche abile cuoco e perfetto ambasciatore dei prodotti del proprio territorio che cucina e presenta in modo da soddisfare le diverse esigenze della clientela. Attraverso un percorso formativo con l’Agrichef Academy, gli agricoltori ottengono l’ambito titolo. Infatti elemento principale per le iscrizione è il certificato di imprenditore agricolo che distingue il valore aggiunto della coltivazione o allevamento dei propri prodotti serviti poi in tavola.
In questi ultimi anni è notevolmente cresciuta la domanda di servizi per sportivi, per la visita a percorsi storici o naturalistici ma anche per corsi di cucina e wellness
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LO SGUARDO OLTRE LA SIEPE
FATTORIE DIDATTICHE Capita sempre più spesso di trovare negli agriturismi o come imprese agricole a sé stanti le fattorie didattiche e sociali che propongono attività dedicate a bambini o a persone svantaggiate e disabili. Le prime in Veneto sono state regolamentate fin dal 2003 con l’obiettivo di favorire l’incontro tra il mondo agricolo e le scuole, allo scopo di riscoprire il valore “culturale” dell’agricoltura e del mondo rurale, valorizzando il ruolo formativo e informativo dell’agricoltore, creare una rete di relazioni fra produttore e giovane consumatore finalizzata alla conoscenza della produzione agricola e ad uno stile di vita sano, e consolidare i
legami dei giovani con il proprio territorio. Oggi in Veneto sono quasi 170 le fattorie didattiche iscritte all’Elenco Regionale che propongono a scuole e famiglie l’opportunità di vivere in un luogo di conoscenza ed esperienza con una modalità innovativa di apprendimento basata sull’“imparar facendo”. Ogni anno a metà ottobre la Regione Veneto, in collaborazione con le Organizzazioni professionali agricole, organizza l’iniziativa “Fattorie didattiche aperte” giunta già alla sedicesima edizione. È un’opportunità, dedicata a piccoli e grandi, per avvicinarsi agli animali e scoprire la cultura rurale, accompagnati dagli agricoltori.
FATTORIE SOCIALI Le fattorie sociali in Veneto hanno una storia più recente. Sono state istituite nel 2015 con un’apposita legge regionale che ha istituito un albo per operatori agricoli sociali per accedere al quale gli imprenditori agricoli seguono con corsi di formazione specifici. Nell’agricoltura c’è una predisposizione naturale per la valorizzazione degli individui di tutte le età. La relazione e la prossimità sono, infatti, valori antichi e da sempre presenti nel mondo contadino così come la solidarietà, il mutuo aiuto, la cura e l’assistenza di membri all’interno di una cerchia familiare “allargata”. Per questo le pratiche di agricoltura sociale offrono un contributo rilevante allo sviluppo del territorio e delle comunità rurali, ma anche al benessere delle persone. “A cinque anni dall’approvazione in Veneto della legge che ha dato riconoscimento e cornice normativa al fenomeno dell’agricoltura sociale - commenta l’assessore all’agricoltura della Regione Veneto, Giuseppe Pan - le fattorie sociali sono in costante crescita. Nel 2015 erano solo 3 le imprese venete
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iscritte all’apposito registro dell’agricoltura sociale; in un biennio se ne sono aggiunte altre 14 e ulteriori 5 nel primo semestre di quest’anno. Sono quasi tutte realtà fortemente legate al terzo settore che danno il segno della versatilità dell’attività agricola e della grande valenza sociale che orti, allevamenti e lavoro nei campi possono svolgere. La mappa di queste esperienze di imprenditoria sociale si sta dilatando grazie anche all’attività di formazione e di promozione svolta dalla Regione con i fondi del programma regionale di sviluppo rurale”.
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LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi
IL LATTE GIUSTIZIATO! La protesta dei pastori sardi ha raggiunto le cronache nazionali e internazionali, ma dietro alle lattarole sversate per strada ci sono problemi e carenze che riguardano buona parte dell’agroalimentare Made in Italy
L
o devo dire. Uno dei gesti che, nei tanti anni di lavoro dedicati al mondo caseario, mi hanno maggiormente sconvolto è stato vedere la distruzione del latte da parte dei pastori sardi. Intere famiglie di produttori in questi mesi stanno vivendo momenti tragici, sia dal punto di vista economico che sociale, a causa della crisi del settore caseario. Una crisi che dal nostro punto di vista di spettatori, lontani dalla cultura sarda e dal comprendere la reale complessità del problema, è difficile valutare e che tuttavia è arrivata a noi attraverso quel gesto simbolico che abbiamo visto fare e rifare in ogni servizio al telegiornale: il latte giustiziato. Sì, il latte morto per strada, in pozzanghere, gettato lungo l’asfalto o dai cavalcavia come una cosa inanimata, senza più valore. Un dolore, soprattutto se si è abituati ad associare al latte la vita, perché la seconda cosa che abbiamo fatto dopo essere venuti il mondo - tutti - è stata quella di nutrirci di latte. Quindi l’immagine è forte, ma è anche complesso comprendere i motivi che hanno portato alla protesta. Ripeto: servirebbe conoscere quello che sta tutt’introno a questa crisi, oltre ai numeri facili da dire e da ricordare, entrare nelle faccende locali, in quelle nazionali e internazionali, perché ha questa vastità e questa capillarità il problema. Sì, bisognerebbe andare oltre l’iconografia del pastore infaticabile lavoratore, continuatore di una tradizione millenaria ed entrare nelle logiche del mercato globale e non solo in
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queste. Perché se è vero che il problema è il prezzo e il prezzo lo crea il mercato, ossia l’incontro tra offerta e domanda, ci sono molte cose che non funzionano nell’agroalimentare italiano e che inceppano questo appuntamento. Il tema del giusto prezzo, infatti, non mortifica solo il lavoro dei pastori, ma anche quello di molti altri protagonisti della filiera alimentare. Professionisti, gente molto spesso preparata e coscienziosa che porta avanti le proprie produzioni nel segno delle migliori tecniche agricole e dell’allevamento, attente alle tradizioni, all’ambiente, certificate e autentificate nel rispetto della tracciabilità che poi, però, vengono liquidate con una manciata di spiccioli. Un’offesa. È a questo punto che ci si accorge che c’è un problema, l’indignazione è un buon segnalatore, un campanello di allarme, ma la vera radice del tutto sta più a monte. In un’offerta che non sempre è organizzata, per esempio, incapace di porsi in forma strutturata al mercato, con una pianificazione ordinata delle vendite. Poi andrebbe considerata anche una concorrenza che anziché misurarsi con i prodotti degli altri paesi si sfianca tra le mura della stessa filiera, una produzione raramente calcolata sugli indici di assorbimento della
Il latte morto per strada, in pozzanghere, gettato lungo l’asfalto o dai cavalcavia come una cosa inanimata, senza più valore
LA FORMA DEL LATTE Una concorrenza che anziché misurarsi con i prodotti degli altri paesi si sfianca tra le mura della stessa filiera
È un formaggio quindi dalle caratteristiche sensoriali uniche, il sapore salato non copre le caratteristiche olfattive e retrolfattive lattiche, vegetali, floreali, fruttate e animali che lo contraddistinguono per Il suo utilizzo anche in cucina, visto che è anche da grattugia. Non ha simili e la sua trasformazione è quasi esclusivamente effettuata da medi o grandi caseifici posti per lo più in territorio sardo, ma anche nell’entroterra laziale, visto che la sua territorialità, ammessa dal disciplinare di produzione, comprende tutta l’Isola, l’intera regione Lazio e la provincia di Grosseto in Toscana
domanda, l’incapacità di dominare commercialmente alcune aree del mercato. Tutto questo, svilisce il prezzo, c’è poco da fare e anche per i pastori sardi e il loro eccellente Pecorino Romano le cose stanno più o meno in questi termini. La sovrapproduzione del Pecorino romano Dop e la cattiva pianificazione delle vendite da parte di privati e di cooperative, unite ad
una politica promozionale che non è riuscita a differenziare le produzioni Dop sarde, hanno concorso alla riduzione delle vendite del formaggio e del latte, considerando che quest’ultimo viene commercializzato anche al di fuori dell’Isola. Certo tra queste cause qualcosa ha una gravità maggiore, altre pesano di meno, su qualche aspetto la Sardegna è già corsa ai ripari, come nel caso della promozione che avverrà in unione d’intenti tra i consorzi Dop di tutela del Pecorino romano, del Pecorino sardo e del Fiore sardo, ma quando si parla di prezzi, e quindi di margini di guadagno più bassi, il rischio vero è che la differenza la si paghi in minor qualità. Ciò è preoccupante ed è una deriva alla quale non può essere abbandonato il made in Italy. Puntare quindi alla produzione controllata e alla pianificazione delle vendite, del Pecorino sardo e del Fiore sardo, può contribuire a una migliore distribuzione dell’utilizzo del latte ed evitare che, come oggi accade, si determinino giacenze assurde, incomprensibili come le attuali che constano in ben 239.400 quinta-
La sovra produzione di Pecorino Romano non ha solo avuto risvolti negativi sul prezzo ma ha concorso nel mettere in ombra alcune specialità tradizionali e che quindi risciano di essere perdute
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LA FORMA DEL LATTE
Il latte sardo ha caratteristiche del tutto eccezionali, molte ricerche hanno dimostrato che la maggiore presenza di grassi insaturi rispetto a quelli saturi, favorisce gli acidi grassi, ALA e CLA che contribuiscono a un corretto equilibrio del livello di colesterolo, tutte caratteristiche che dal latte sono trasferite in tutti i formaggi sardi
li di Pecorino romano Dop. Anche il consumatore di casa nostra deve sentirsi coinvolto in questa storia, la crisi economica degli ultimi anni, certo, ha legittimato scelte che sugli scaffali hanno premiato i cartellini con l’importo più basso, tuttavia è importante sapere che la qualità e giusto prezzo sono due cose che vanno a braccetto anche per la salute. Siamo quello che mangiamo, del resto, e l’Italia è ricca in tal senso, la biodiversità del nostro paese è inimitabile, come lo è la nostra storia e quella del Pecorino romano è molto lunga. Tutto il parlarne che si è fatto in queste settimane, infatti, ha trascurato forse la cosa più importante, ossia il ribadire che si tratta di un grande prodotto la cui produzione è iniziata in tempi remoti: quando gli eserciti degli antichi Romani (da questo la denominazione attuale, l’opinione pubblica spesso travisa ritenendo si tratti di un formaggio esclusivamente laziale) usavano distribuire ai loro legionari, per i lunghi viaggi a cui erano sottoposti. Il pecorino, del resto, grazie ad un buon ricorso alla salatura, ha come caratteristica la lunga conservazione. Oggi questa presenza di sale è oggetto di critica, ma un tempo ne ha fatto il viatico per molte trasferte, comprese quelle dei nostri immigrati del secolo scorso verso le coste al di là dell’Atlantico. È un formaggio quindi dalle caratteristiche sensoriali
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239.400 quintali di Pecorino romano Dop sono in giacenza, invenduti. Il crollo del prezzo è dovuto alla sovra produzione uniche, il sapore salato non copre le caratteristiche olfattive e retrolfattive lattiche, vegetali, floreali, fruttate e animali che lo contraddistinguono per Il suo utilizzo anche in cucina, visto che è anche da grattugia. Non ha simili e la sua trasformazione è quasi esclusivamente effettuata da medi o grandi caseifici posti per lo più in territorio sardo, ma anche nell’entroterra laziale, visto che la sua territorialità, ammessa dal disciplinare di produzione, comprende tutta l’Isola, l’intera regione Lazio e la provincia di Grosseto in Toscana. Il latte sardo ha caratteristiche del tutto eccezionali, viste le caratteristiche dei pascoli che sono il sostentamento alimentare delle pecore, soprattutto la qualità del grasso in esso contenuto. Molte ricerche hanno dimostrato, infatti, che la maggiore presenza di grassi insaturi rispetto a quelli saturi, favorisce gli acidi grassi, ALA e CLA che contribuiscono a un corretto equilibrio del livello di colesterolo, tutte caratteristiche che dal latte sono trasferite in tutti i formaggi sardi.
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ECCELLENZE DALL’EUROPA, SEGUENDO LA STAGIONE
Plaisentif e Tomme de Montaigne à la violette due formaggi uniti nel segno dei fiori
Il nostro lavoro è quello di rendere reperibile sul mercato nazionale il meglio delle produzioni enogastronomiche d’Europa. Ogni giorno ricerchiamo e selezioniamo, con entusiasmo e dinamicità: sapori, profumi e storie. Sì, certo, anche le storie, perché ogni prodotto porta in se una patrimonio di informazioni che valgono come identità dei luoghi, delle tradizioni e degli uomini che li producono. Non appartiene alla nostra azienda la logica della ricetta apolide, del protocollo seriale, della prospettiva meramente mercantile, riteniamo invece che un prodotto, per essere veramente autentico, debba saper trattenere almeno un breve soffio di vento del suo luogo d’origine. E se parliamo di vento non possiamo esimerci dal parlare di vento primaverile, perché la stagionalità rientra anch’essa nel novero di quelle scelte che ci permettono di offrire alla clientela le migliori produzioni nel loro tempo migliore. Ecco, dunque, due nostre proposte che si intonano con questa parte dell’anno: due formaggi uniti dai colori delle viole, ossia da quei fiori che, per essere i primi a spuntare sui prati liberati dalle nevi, diventano alimento gradito ed amato dalle mucche. Un valore aggiunto, quindi rispetto all’alimentazione invernale fatta di insilati e fieni, che va a qualificare il latte e l’intera produzione che esce dalle abili e sapienti mani dei casari dell’Alta Val Chisone e dell’alta Val Susa sotto il nome di Plaisentif, formaggio delle viole per l’appunto. Viene prodotto sin dalla fine del XVI secolo, con una ricetta rimesta per lo più identica in tutti questi anni. La stagionatura dura 80 giorni e può essere commercializzato Il Plasentif prodotto da quasi cinquecento anni nell’Alta Val Chisone e nell’alta Val Susa
solo a partire dalla terza domenica di settembre, in occasione della festa di “Poggio Oddone” a Perosa Argentina. Non molto lontano, invece, oltre confine in area transalpina, e più precisamente nel piccolo comune di Montferrat (1.286 abitanti) un piccolo caseificio a conduzione familiare - Fromagerie Beaudé - produce una Tomme de Montaigne à la violette; un formaggio a latte da e dalle crudo dalla pasta morbimodeste occhiature con gli steli ed i petali di violetta all’interno della pasta stessa. Il profumo ed il sapore sono di grande espressione non tanto per le violette, quasi impercettibili, quanto per la piacevole sensazione di latte fresco. Sta- La Tomme de Montaigne à la violette prodotto da gionato per almeno 90 giorni è un piccolo caseificio famiun grande pro- liare nel piccolo comune dotto da degusta- di Montferrat in Francia re e... perché no, anche da accompagnare con una leggera velatura di gelatina di violette. Gastronomie, ristoranti, enoteche, wine bar che desiderano acquistare i nostri prodotti, oppure semplicemente avere delle informazioni sui prodotti che commercializziamo possono consultare il nostro catalogo www.iltagliere.it attraverso il Qr-Code Oppure contattarci direttamente Via Dei Ronchi, 1 - Z.I. Camin - Padova - Tel. 049 8961956 Fax 049 8969448 - info@iltagliere.it - .
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica
Le Uova
SONO BUONE ANCHE DOPO PASQUA Soprattutto per la salute del nostro corpo, albume e tuorlo contengono proprietà utili nel controllo di malattie cardiovascolari, nel rafforzare il sistema immunitario, e nel prevenire malattie metaboliche, croniche ed infettive
N
ella tradizione di diversi popoli l’uovo è simbolo di buon augurio e prosperità. Oggi è diventato uno dei prodotti da consumare durante la Pasqua, sia sodo che di cioccolata, ma più che come elemento attribuibile al sacro dipende dal fatto che per tutto il periodo quaresimale un tempo ne era proibito il consumo. Insomma rappresenta il ritorno, in disponibilità, di un alimento che è sempre stato importante per la cucina di tutte le epoche e ancora oggi base di moltissime preparazioni. Ed infatti l’uovo è un alimento insostituibile, con sorpresa o meno, infondo non stiamo parlando delle uova di cioccolata, è il vero regalo che la natura ci fa quotidianamente. Cosa sarebbe la nostra dispensa senza la pasta fresca, i biscotti e quasi ogni tipo di dolce? Certo l’alimentazione moderna ci ha insegnato a non
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abusarne, però va ricordato che le uova di gallina, sono formate dal 9.5% dal guscio, il 63% di albume e il 27.5% dal tuorlo. Nella composizione chimica la parte preponderante è l’acqua (75%), poi proteine (12%) e lipidi (12%) ed in misura minore carboidrati e minerali. Le proteine si trovano in tutte le componenti dell’uovo, mentre i lipidi quasi esclusivamente nel tuorlo, sotto forma di lipoproteine. Molte funzioni biologiche sono state attribuite alle uova nelle sue diverse componenti. Il bianco dell’uovo o albume rappresenta il 60% del peso dell’uovo, contiene acqua e proteine, tra cui l’ovalbumuna, l’ovotransferrina, l’ovomucina, il lisozima, la cistatina, l’ovostatina e la ovomucoide. Tutte sostanze fondamentali per la nostra salute. Vediamo perché.
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE Il bianco dell’uovo possiede numerose proprietà biologiche, non solo nutrizionali, ma anche farmacologiche infatti nell’uovo ha il ruolo di proteggere dagli attacchi esterni il tuorlo che contiene il DNA e l’embrione stesso in formazione L’ALBUME Il bianco dell’uovo possiede numerose proprietà biologiche, non solo nutrizionali, ma anche farmacologiche infatti nell’uovo ha il ruolo di proteggere dagli attacchi esterni il tuorlo che contiene il DNA e l’embrione stesso in formazione. Pertanto l’albume contiene sostanze antibiotiche, chelanti dei metalli e delle vitamine. Ad esempio, il lisozima, che è presente in piccola percentuale anche nelle lacrime e nella saliva umana, esercita una certa attività batteriostatica agendo sulla parete batterica fatta di peptidoglicano, andando ad indebolirla e provocando così la lisi delle cellule batteriche. Anche alcuni peptidi derivati dalla digestione dell’ovalbumina sono risultati attivi contro alcuni batteri come E. coli, Pseudomonas aeruginosa e numerosi altri. L’ovotransferrina invece è una proteina che lega il ferro, anche questa proteina potrebbe avere un ruolo nell’attività antibiotica ed antivirale dell’albume. L’albume ha inoltre dimostrato proprieta immunomodulatorie. Il sistema immunitario risponde alla stimolazione antigenica con un complesso sistema di eventi molecolari, che coinvolgono gli anticorpi, le cellule B, le cellule T, i macrofagi ecc. Le citochine sono sostanze che giocano un ruolo fondamentale nel regolare le risposte immunitarie, poiché mediano un certo numero di risposte difensive verso diversi stimoli esterni. Alcuni componenti dell’albumina hanno dimostrato di avere proprietà immunomodulatoria, ad esempio l’ovalbumina che induce il TNF-a (tumor necrosis factor alpha) una sostanza coinvolta nell’ infiammazione e nella morte cellulare di cellule
aberranti. Quindi si pensa che stimolando il rilascio di queste sostanze si possa fortificare la risposta immunitaria per esempio nei pazienti trattati con immunoterapia contro il cancro. Il lisozima, oltre ad avere attività enzimatica contro i batteri, è esso stesso immunomodulatorio, ed è stato studiato estensivamente come agente anticancro, poiché inibisce la crescita di alcuni tumori, incluso il tumore ai polmoni. È stato dimostrato che migliora l’attività dei medicinali chemioterapici, ed ha un effetto preventivo se somministrato agli animali da laboratorio. Il meccanismo non è stato ancora del tutto chiarito. Il peptide ovochina, derivato dall’ovoalbumina, ha proprietà antiipertensive, e vasorilassanti, è prodotto durante la digestione dell’uovo a livello intestinale. Inoltre il bianco d’uovo ha forti proprietà antiossidanti, e protettive del DNA.
Le uova di gallina sono formate dal 9.5% dal guscio, il 63% di albume e il 27.5% dal tuorlo. Per la composizione chimica la parte preponderante è occupata dall’acqua (75%), poi dalle proteine (12%) e dai lipidi (12%). In misura minore carboidrati e minerali
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE I fosfolipidi dell’uovo abbassano il livello di colesterolo nel sangue, migliorano la memoria, e aumentano i livelli di acetilcolina, un neurotrasmettitore che diminuisce molto nei casi di malattia di Alzheimer
IL TUORLO Il tuorlo è costituito principalmente da proteine e lipidi, presenti come lipoproteine. Similmente alla parte bianca dell’uovo, il tuorlo possiede una serie di sostanze con attività antiossidante e battericida, ad esempio l’immunoglobulina Y, che ha effetti simili all’immunoglobulina G presente nel siero umano e coinvolta nella difesa immunitaria. Inoltre, la presenza nel giallo dell’uovo di sostanze antiadesive, come gli oligosaccaridi, impediscono ai virus e a i batteri di aderire alle cellule dell‘intestino e iniziare l’infezione. Il tuorlo contiene molti lipidi circa il 60% in peso, divisi tra trigliceridi, fosfolipidi, e un 5% di colesterolo. I lipidi del tuorlo possiedono numerose proprietà nutrizionali e benefiche per la salute. Il colesterolo, è un importante componente delle membrane cellulari, è necessario per la crescita dei bambini, è un precursore dei sali biliari, necessari ad una buona digestione, degli ormoni sessuali e corticali. Supplementi di torlo d’ uovo si sono dimostrati molto efficaci nell’ alimentazione dei neonati e si è dimostrato che non si sono osservati aumenti del livello del colesterolo plasmatico. Inoltre si è visto che il tuorlo d’uovo nell’alimentazione degli anziani produce miglioramenti sulla flessi-
bilità delle membrane cellulari, e aumenta la risposta dei linfociti. I fosfolipidi contenuti nell’uovo contengono fosforo e glicerolo. L’alimentazione dei neonati con supplementi a base di uovo ha dimostrato di abbassare l’incidenza dell’enterocolite necrotizzante, poiché i fosfolipidi possono migliorare le funzioni intestinali ancora immature nei neonati. Gli stessi fosfolipidi dell’uovo, abbassano il livello di colesterolo nel sangue, migliorano la memoria, e aumentano i livelli di acetilcolina, un neurotrasmettitore che diminuisce molto nei casi di malattia di Alzheimer. Attualmente poi si è posta molta attenzione sul contenuto degli alimenti di acidi grassi omega-3. Gli effetti benefici sulla dieta ricca di grassi omega-3 è ben documentata, in particolare nella prevenzione dell’artrite, ipertensione, disordini autoimmuni, così come effetti preventivi verso alcuni tipi di cancro, e sono inoltre grassi essenziali per lo sviluppo cerebrale del feto. Questo ha portato anche alla produzione di uova particolarmente ricche di grassi omega-3. È stato testato infatti che il consumo di 4 uova arricchite di omega-3 al giorno per 3 settimane, non aumenta il colesterolo totale plasmatico in maniera rilevante, ma invece aumenta il colesterolo buono (HDL), abbassa i livelli di trigliceridi del sangue e diminuisce l’aggregazione piastrinica.
In conclusione, è chiaro che le uova contengono una serie di sostanze che potenzialmente hanno effetti benefici per la nostra salute. Tutte assieme queste proprietà fanno supporre agli scienziati che preparazioni nutraceutiche a base di proteine dell’uovo opportunamente formulate, potrebbero essere utili nel controllo di malattie cardiovascolari, nel rafforzare il sistema immunitario, e nel prevenire malattie metaboliche, croniche ed infettive.
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Macelleria
Molto di più di una macelleria
Marco Verza della sua professione ne ha fatto uno stile di vita, di più: un’arte Nei quarant’anni e più trascorsi dietro al bancone si è occupato di qualità, selezionando i migliori prodotti per la propria affezionata clientela. Marco Verza crede nel territorio e le carni che qualificano la sua offerta non arrivano mai da una distanza che supera i 50 chilometri. Del resto, conoscere personalmente gli allevatori è l’unico modo per garantire genuinità e tracciabilità a ciò che si vende. Così del bovino sa dare informazione anche del foraggio con cui è stato allevato, del maiale conosce i tempi di accrescimento e anche per le carni bianche decide lui quando è arrivato il momento giusto per farle diventare un alimento. È questo il lavoro di un professionista, oltre a quello di conoscere i tempi della frollatura, dare un destino ad ogni singolo taglio di carne e ovviamente saper assecondare i tempi che cambiano. Il vivere moderno, infatti, è sicuramente caratterizzato dal rapporto con il tempo. Non ce n’è mai. Neanche per cucinare, ma soprattutto per cucinare bene. La carne, tra l’altro, è un prodotto pregiato e delicato: poca cura molto spesso significa mortificare una spesa e avvilire un prodotto di qualità, per questo il suo acquisto dovrebbe essere accompagnato da una corretta informazione che vada ben oltre alle poche nozioni indicate nelle etichette della grande distribuzione. Marco oltre ai migliori prodotti, anche già pronti alla pentola, sa dare consigli e suggerimenti per renderli speciali, raccomandandosi pure: “di non perdere mai il piacere di cucinare”.
Per completare la spesa, tanti marchi d’eccellenza • Il riso del Delta • La Giardiniera di Morgan • Paste artigianali dei pastifici locali • Le migliori selezioni di formaggi • Conserve e prodotti per la dispensa
La Macelleria Le Carni di Borsea è aperta tutti i giorni dalle 8.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00 Chiuso il mercoledì pomeriggio e la domenica MACELLERIA LE CARNI via Savonarola, 60/C - 45030 Borsea (RO) - marcoverza@libero.it -
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IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo
Giardiniera
QUADRO POP DELLA BELLA STAGIONE E BRICOLAGE DA DISPENSA Ingrediente immancabile per pic-nic e merende all’aperto è uno dei sapori più tipici della primavera 30
IL PANORAMA GASTRONOMICO
C
on l’arrivo della bella stagione è difficile resiste alla voglia di stare all’aria aperta, di riconquistare gli spazi che l’inverno aveva ridotti alle solite camere della casa e dell’ufficio. E così il bisogno di evasione si fa forte insieme a quello di viverla fino in fondo questa ritrovata libertà, trascorrendo più ore possibili al crogiolo del sole e alle carezze dei venti leggeri. Compresa ovviamente l’ora di pranzo, che appunto, se campestre e turistica prende il nome di pic-nic, nome che ho sempre ritenuto fosse uno scherzo della fantasia e che invece scrivendo questo articolo ho scoperto derivare dal francese pique-nique. Ero rimasto a le Déjeneur sur l’herbe, sicuramente più poetico e artistico, ma tant’è; è comunque nell’accezione nostrana che voglio parlare di questo pasto frugale, per il quale forse è più giusto parlare di spuntino, di “spunciotto” o forse anche di merenda se l’antesignano di questo termine lo vogliamo cercare proprio nelle nostre campagne e all’ombra di qualche grande albero. Sì, insomma, erano i nostri braccianti che, miserabili com’erano, al suono della campana di mezzogiorno si stendevano sulla nuda terra e si rifocillavano con quel poco che era avanzato dalla cena della sera prima. Ristorava dal duro lavoro forse più la comoda frescura, offerta da qualche frasca, piuttosto che quello che usciva dalla gamella o dall’iconico piatto avvolto con uno straccio. Frittata con qualche erbetta, qualche uovo, salame chi l’aveva, magari un pezzetto di arringa o meglio il suo ricordo trattenuto in un intingolo oleoso, che i veronesi ancora chiamano “scopeton”, scopettato con la quotidiana polenta. Anche l’oca “sotto onto” poteva offrire qualche proteina, da spendere sui campi, e qualche altra la offriva il vino. Un vino parente stretto dell’aceto, acido e stantio. Senza fiato. Se questa frugalità la chiamassimo finger food, gli avi si offenderebbero. L’antica fame non accetta neologismi. I colori non sono gli stessi. Però il ricordo si sedimenta e forse esiste anche una memoria archeologica a qualche livello dell’inconscio perché nei moderni riti gastronomici dedicati agli spazi aperti, siamo soliti consumare più o meno gli stessi
Le nostre nonne la giardiniera la preparavano dalla primavera alla fine dell’estate per poi lasciarla riposare nel buio fresco della cantina prodotti. Certo: alludono a quelli, ma va rimarcato, i “colori” son diversi se non, forse, quelli della giardiniera. Il vasetto di vetro trasparente con il bianco della cipolla e del broccoletto, il rosso del peperone, l’arancione della carota, il verde del sedano o del cetriolo, tutto sommato è rimasto quello. La giardiniera del resto è pop anche nel nome. Giardiniera evoca immediatamente la Due sono gli elementi che freschezza e i colori degli ogni buona giardiniera orti che con i loro prodotti deve avere: la croccante di stagione assomigliano a consistenza dei pezzi di veri giardini. Giardini che verdura, tipica degli ortaggi appena colti, e la lumiperò rientrano, e a ben di- nosità dei loro colori ritto, nella grande tradizione italiana delle conserve in agrodolce, con il vantaggio di essere buone in ogni stagione. Le nostre nonne la giardiniera la preparavano dalla primavera alla fine dell’estate per poi lasciarla riposare nel buio fresco della cantina. Una pratica che gli esperti e i palati gourmet di oggi definirebbero “maturazione”, ovvero quel tempo necessario alle varie e personali conce acetiche di conserva, di cui ogni casalinga custodiva il segreto, di sposarsi indissolubilmente con ogni singolo pezzo di ogni singolo ortaggio. Rispettando pure le due note fondamentali che ogni giardiniera deve portare in dote: la croccante consistenza, tipica degli ortaggi appena colti, dei pezzi di verdura e la lumino-
Aprire il vasetto per trovarvi dentro la voglia di imprigionare, seppur per il tempo di qualche mese, tutta la vitalità delle belle stagioni
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IL PANORAMA GASTRONOMICO sità dei loro colori. È una poesia palesemente lontana dai più o meno anonimi vasetti su insulsi scaffali di una grande distribuzione che non ha certo il tempo di pensare al tempo o al buio come ingredienti indispensabili per la bontà. Nè per l’uno e nè per l’altro è previsto uno spazio in etichetta. Allora meglio tornare a prepararla in casa questa piccola delizia, aspettare il giusto tempo e poi aprire il vasetto per trovarvi dentro la “fatica” per imprigionare, seppur per il tempo di qualche mese, tutta la vitalità delle belle stagioni.
Eccovi una veloce ricetta alla portata di tutti i fornelli Difficoltà: bassa
Preparazione: Cottura: 15 minuti 15 minuti
INGREDIENTI • 1/2 litro di aceto di vino bianco • 1/2 litro di acqua • 700/800 g di ortaggi a scelta: carote, cimette di cavolfiore, zucchine, peperoni, sedano, cipolline borettane, finocchi • 10 g zucchero • 10 g sale grosso • qualche grano di pepe • una foglia di alloro (facoltativa) • olio evo q.b.
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LA GIARDINIERA Pelare le carote, spuntarle e tagliarle a rondelle e/o a filetti; spuntare anche le zucchine e tagliarle a filetti. Mondare i peperoni, eliminare i semi e i filamenti e tagliateli a quadrotti. Il sedano e i finocchi vanno ridotti a piccoli pezzetti togliendo la parte più dura e i filamenti. Le cipolline borettane vanno pelate mentre il cavolfiore va tagliato a cimette. Dopo averle lavate le verdure vanno fatte asciugare su un canovaccio. Per il liquido di cottura della giardiniera: in una pentola si versa l’aceto, l’acqua, lo zucchero e il sale, l’alloro e il pepe. Si mescola e si porta a bollore. Si comincia lessando insieme carote, sedano, finocchi per 2 minuti dalla ripresa del bollore. Poi si uniscono le cimette di cavolfiore e i peperoni; aggiungendo dopo altri 2 minuti, zucchine e cipolline. Cuocere per altri 1 o 2 minuti in ragione della consistenza che si vuole ottenere. Scolare le verdure e farle raffreddare. La cottura è fondamentale e il suggerimento per una giardiniera croccante è quello di non passare mai i 5 minuti di bollore.
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Una linea di prodotti per esaltare la primavera del territorio padovano Per lo storico marchio di Casalserugo la stagionalità e l’uso di materie prime locali sono elementi fondamentali della produzione. Alle farine 100% italiane della linea Due Passi del Consorzio Agricolo Nordest e alle uova di gallina allevate a terra, vengono unite le eccellenze agroalimentari del territorio, come gli asparagi bianchi di Pernumia o le erbe spontanee, per esaltare la genuinità e le tradizioni. Il legame con la terra è un valore importante quando si parla di qualità, di sicurezza alimentare e di fiducia
• Cappellacci con zenzero e rucola fresca • Cappellacci con asparagi freschi di Pernumia • Cappellacci con bruscandoli e carletti • Cappellacci con rosoline e pancetta • Cappellacci con agnello e zucchine fresche • Cappellacci al limone
TRA LE NOVITÀ ANCHE LA PASTA FRESCA ALLA CANAPA SATIVA PIACE, NUTRE E CONSOLA...
Contribuisce a una dieta sana, completa e bilanciata, aiutando a mantenere bassi i livelli di colesterolo. Consigliata per l’alimentazione sportiva, vegetariana e vegana
• Solo semola di grano duro selezionata 100 % Italiana • Solo farina di grano tenero 00 selezionata 100 % Italiana del Consorzio Agrario del Nord Est 2 Passi • Solo Uova fresche pastorizzate Allevate a Terra 100 % Italiane • Ricotta artigianale fresca con Latte 100% di filiera Italiana • Carni suine e bovine di origine Italiana provenienti da allevamenti locali • Formaggi freschi D.O.P • Verdure fresche I.G.P del territorio • Solo Parmigiano Reggiano
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Il Pastificio Artusi produce pasta secca, fresca all’uovo, pasta all’uovo ripiena e gnocchi di patate sia in atmosfera protettiva sia Surgelata in IQF per tutti gli esercizi commerciali attenti al rapporto qualità/prezzo. La distribuzione viene fatta anche in piccole quantità con propri automezzi PASTIFICIO ARTUSI via dell’Artigianato 60 - 35020 Casalserugo (PD) - Tel. 049 9126224 - Fax 049 9129112 info@pastificioartusi.com - www.pastificioartusi.com
Il Pianzio Una primavera di appuntamenti attorno al calice Il ritorno della bella stagione, la voglia di vivere il paesaggio e degustarne i frutti. La storica cantina apre i battenti per far conoscere il proprio lavoro e la sua terra
TUTTI GLI APPUNTAMENTI IN CUI DEGUSTARE I VINI DE IL PIANZIO
I mesi freddi dell’inverno sono stati dei vigneti. I lavori di preparazione, del resto, richiedono cure e attenzioni che poi a tempo debito troveranno ricompensa nella genero-
▶ 7 Aprile
sità della Natura. Ma con l’arrivo della bella stagione è la
Passeggiata lungo le strade del vino
cantina ad essere tornata protagonista: il centro del lavoro quotidiano della famiglia Selmin, dedicato ai loro vini, frutto della scorsa vendemmia, e all’incontro con coloro
▶ 7-10 Aprile
che vogliono conoscere da vicino questo angolo dei Colli
Vinitaly a Verona
Euganei, Il Pianzio, e degustarne i prodotti. Un territorio che proprio in primavera sa regalare il meglio di se, offrendo attorno agli scorci della Cultura e dell’Arte, come
▶ 25-28 Aprile
l’Eremo camaldolese del Monte Rua o i giardini incantati
Formaggio in villa a Santa Maria di Sala
di Villa Barbarigo, la bellezza del panorama e i sentieri che portano a quel paesaggio da vivere, ma anche da condividere, di cui la tradizione enologica di queste altu-
▶ 8-12 Maggio
re fa parte e alla quale la famiglia Selmin appartiene da
Salone dei Sapori Food Festival sotto il Salone di Padova
diverse generazioni. E allora la linea di arrivo di una bella scarpinata potrebbe essere proprio un buon bicchiere di vino e una chiacchierata tra amici, oppure una chiacchierata e un bicchiere di vino potrebbero essere l’inizio di un
▶ 19 Maggio
bel percorso, magari per visitare i vigneti della tenuta, i
Vulcanei Fattoria Frassanelle, villa Papafava
lavori in cantina e conoscere i profumi del vino e dell’olio extravergine prodotti con tanta cura. Basta prenotare. Oppure l’occasione giusta per incontrare i vini de Il Pian-
▶ 25-26 Maggio
zio potrebbe essere uno dei tanti appuntamenti che scan-
Cantine Aperte (sabato su prenotazione, domenica aperta a tutti)
diranno la stagione primaverile in cui le eccellenze di casa Selmin dialogheranno con gli altri prodotti del territorio.
IL PIANZIO di Selmin Soc. Agr. - Via Pianzio, 66 - 35030 Galzignano Terme (PD) - info@ilpianzio.it -
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Riserva DOC Colli Euganei “Eremo” Un vino austero ma non troppo, elegante, esprime un carattere autoritario e adatto a chi ama godere dei piaceri della vita. Il passaggio in piccole botti di rovere fanno dell’incontro del Merlot e del Cabernet Sauvignon un complesso bouquet: ampio ed etereo con sentori di vaniglia al naso per poi passare alle ciliegie sotto spirito, spezie, tabacco e calde note tostate in bocca. Si accompagna a carni importanti, brasati, selvaggina, formaggi piccanti e molto stagionati. Va servito a 18°C.
Serprino Frizzante DOC Colli Euganei Ottenuto da uve “Glera”, di colore giallo paglierino brillante. Aroma fine e delicato con note floreali di acacia e biancospino, fruttate di mela verde. Ha un sapore fresco ed asciutto con una bollicina fine e briosa che non stanca mai. Per la sua freschezza è il classico aperitivo o l’ideale accompagnamento per antipasti e cene a base di pesce. Da provare con il pollo fritto e la pizza. Va servito a 6°C. Da consumare giovane.
Fior d’Arancio DOCG Colli Euganei nella versione passito e spumante Il vitigno è il moscato giallo, Sirio, vino aromatico per eccellenza, presente nel territorio da tempi immemorabili. Di colore giallo paglierino brillante con aroma fine di notevole intensità e dal profumo persistente di zagara. Sapore dolce, fresco armonico con sensazioni retro olfattive tipiche dell’uva. Se passito, concentra il sole dell’estate, esprimendo sentori di miele ed arancia candita. Nella versione spumante si accompagna preferibilmente a dolci di pasta lievitata e focacce. Da provare nelle giornate estive come aperitivo con spiedini di frutta. Nella versione Passito rappresenta l’abbina-
Cabernet Sauvignon “Jenio” DOC Colli Euganei
mento ideale per la piccola
pasticce-
ria, non disdegna
Ottenuto da uve 100% di Cabernet Sauvignon,
formaggi erborina-
si presenta di colore rosso rubino intenso con
ti. Le temperature
riflessi granati. Dal profumo vinoso, erbaceo, di
di
frutta rossa e con una spiccata nota di pepe.
6-8 °C per lo spu-
Di gusto secco e tannico; è caldo, persi-
mante e 12 - 14 °C
stente, elegante e ben strutturato. Vino di
per il passito.
lunga vita. Dà il meglio di sè abbinato alle carni alla brace e formaggi stagionati. Da provare con “Torresano al forno e Polenta”. Va servito a 18° C. Vincitore del primo premio alla Venticinquesima selezione Concorso vini rossi Doc Colli Euganei
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sono
La versione Passito vinto la medaglia d’oro al Concorso Selezione del Sindaco di Cannelli, Asti
Tel./Fax 049 9130422 - Cell. 393 7699836 - www.ilpianzio.it - Seguici su Facebook
LA RECENSIONE di Renato Malaman
Boccadoro TRATTORIA NELL’ANIMA
Il locale di Noventa Padovana - creato nel 1974 da Renato Piovan e dalla sua famiglia - è stato antesignano nel recupero dei valori tradizionali della più schietta cucina padovana
?
PERCHÉ
Recensione
Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta
D
ici “Boccadoro” e pensi alle trattorie dei film. Quelle che per vocazione naturale poi diventano ristoranti, ma che non hanno mai perso, né tantomeno rinnegato, il loro originario spirito da trattoria vera. Dici “Boccadoro” e pensi a Renato Piovan, il suo fondatore. Uno che la passione per la cucina ce l’ha nel sangue tanto da ‘contagiare’ tutta la famiglia. Piovan è stato uno dei pionieri della nuova cucina padovana, quella della rinascita. E il suo ristorante, appunto il “Boccadoro” di Noventa Padovana, è uno dei luoghi dove maggiormente questa rinascita ha preso sostanza. Carattere sanguigno, indomito, Piovan spesso i discorsi in pubblico (è stato per due mandati anche presidente dei Ristorantori Padovani) li inizia in italiano e li termina inevitabilmente in dialetto, perché si infervora e le critiche ama esprimerle così, alla sua maniera. Perché di critiche - quando c’è difendere la cucina e i suoi valori - Piovan ne ha per tutti. Era il 12 maggio 1974 quando Renato Piovan, insieme alla moglie Loretta e alla cognata Bruna, iniziò l’avventura al ‘Boccadoro’ prendendo il timone della storica trattoria di Enzo e Beppina Paccagnella in centro a Noventa Padovana. Da allora il locale è cresciuto, è diventato ristorante. E’ cresciuto grazie a un impegno costante nel recupero dei piatti della tradizione e nel contempo promuovendo l’immagine di Padova anche fuori dal territorio. Con la sua “Gallina Imbriaga”, oggi piatto del Buon Ricordo del locale, Piovan come cuoco ha vinto il premio “Fogher d’Oro” e poi nel 1987 anche il “Cuoco d’oro”, con l’Oca alla Rosa di Chioggia. Nel 1989 è stato insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro. Poi tante esperienze all’estero, continuate dal figlio Paolo, che ha pure fatto parte della Nazionale Italiana Cuochi e che nel 2005 ha vinto il ‘Premio Montegrande’ come miglior cuoco Under 30 del Veneto. Le trattorie di lungo corso, quelle dove la tradizione si può tagliare a fette, si riconoscono dalle facce amiche dei collaboratori. Gli stessi da anni. Quelli a cui il cliente si affeziona. Per esempio Bernardino, per tutti Bicio, da 44 anni presenza familiare fra i tavoli del “Boccadoro”. In un momento in cui il lavoro in sala è penalizzato rispetto alla cucina, la squadra del “Boccadoro” insegna molto. Anche in termini di accoglienza.
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Il piatto della casa è la “Gallina Imbriaga”, con la quale Piovan ha vinto il premio “Fogher d’Oro”
LA RECENSIONE Un impegno costante nel recupero dei piatti della tradizione e nella promozione dell’immagine di Padova
La nostra visita. Prima sorpresa la copertina del menu: è ripresa da un’opera di Nelu Pascu, il pittore rumeno-padovano che spesso ritrae la storica “Specola” dal vicino ponte. I Piovan hanno impreziosito la sala anche con le sue opere, così ricche di colore e un po’ bohemienne... La cucina del “Boccadoro” è gioiosa sintesi di stagioni e territorio. Desta curiosità anche quando si entra distratti, magari con la testa ancora al lavoro. Il baccalà con polenta alla brace c’è sempre, come pure la pasta e fagioli secondo tradizione, i bigoli con broccoli, acciughe e formaggio Vezzena, il fegato alla veneziana o la famosa “gallina imbriaga”, simbolo del locale. In questo periodo ci sono la pure la piovra bollita e arrostita con il radicchio tardivo, il tortino caldo di carciofi, i paccheri con vongole e cavolo di Creazzo e il guancialino di vitello con finocchio gratinato. Fra i piatti del giorno (e a noi è capitato) ci sono pure gli scampi crudi, le ostriche o altre delizie del mare o della laguna. I piatti ordinati sono arrivati in tavola in tempi rapidi, alla giusta temperatura (anche dei piatti, nel caso di pietanze calde), composti esteticamente con cura del dettaglio. Sapori netti e ben definiti, messi in risalto dalla semplicità con cui il piatto viene pensato. Materie prime di qualità, anche se questo al “Boccadoro” lo si dà per scontato. La tecnica è evoluta e permette al talento di Paolo Piovan di esprimersi con sicurezza, senza ansie di sorta. Anzi, va detto che Piovan junior ha saputo riprendere con autorevolezza il verbo di papà, arricchendolo con il valore aggiunto di una leggerezza interpretativa particolare. Papà Renato per lui è stato ed è un maestro unico. Chi può dimenticare la sua presenza a numerosi eventi gastronomici anche fuori provincia? Andava perché voleva sempre tenersi aggiornato. Talvolta ha portato in tavola per un semplice assaggio prodotti sconosciuti, come è accaduto per il “Primaneve”, formaggio a pasta molle che il giorno prima aveva provato per caso al Caseificio del Pennar di Asiago, durante una breve vacanza. Piovan è sempre stato così: un ricercatore del gusto. Per passione pura. La carta dei vini del “Bocadoro” è adeguata allo spessore del locale. Mette in vetrina i prodotti dei Colli Euganei e veneti in generale, non disdegnando escursioni curiose in altre regioni italiane e all’estero, Francia in particolare. Una bella esperienza al “Boccadoro”, oggi come nel corso degli ultimi decenni. Bella e accompagnata da una piacevolezza complessiva che rimane nel palato e nella memoria. Come la maestria saggia e semplice dei Piovan.
La Pagella
di Con i piedi per terra
⊲ Uso di materie prime del territorio
⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività
Il giornalista Renato Malaman con la Famiglia Piovan e il personale del Ristorante Boccadoro
⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo
PREMIO “CUCINA - IDENTITÀ DEL TERRITORIO” di Giampaolo Venturato
La Montanella
MIGLIOR RISTORANTE 2018 Lo scorso 10 febbraio la nostra redazione ha consegnato alla famiglia Borin il premio Cucina identità del territorio. Il ristorante è stato quello che lo scorso anno ha meglio rappresentato la tradizione e i valori enogastronomici della Bassa Padovana, dei Colli Euganei e dell’area in riva all’Adige
È
stato il ristorante La Montanella di Arquà Petrarca ad aggiudicarsi la terza edizione del premio “Cucina - Identità del territorio” promosso dal nostro magazine. Abbiamo scelto lo storico ristorante, creato nel 1971 dalla famiglia Borin, dopo aver valutato i risultati delle “pagelle” delle recensioni redatte dal giornalista Renato Malaman nel corso del 2018. Il critico enogastronomico, da anni “firma” della nostra testata, ha visitato anche lo scorso anno alcuni ristoranti della Bassa Padovana e dei territori limitrofi per valutarne la proposta. A portare in alto il punteggio del ristorante La Montanella sono stati il largo impiego in cucina di materie prime locali (alcune prodotte in proprio), la stretta osservanza della stagionalità, la rielaborazione della tradizione secondo fantasia e creatività, l’accoglienza, l’abbinamento ai vini e - ovviamente - il rapporto qualità. Il ristorante è gestito da tre generazioni dalla famiglia Borin. Oggi
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Giorgio è affiancato in cucina dalla moglie Biancarosa Zecchin e - in sala - dai figli Giuseppe e Francesca. Quest’ultima è appena succeduta al padre alla presidenza dei Ristorantori Padovani. Il premio taglia dunque il traguardo della terza edizione. Le prime due targhe con l’Alberello - simbolo della testata - sono state messe in bacheca dal ristorante La Torre di Monselice e dall’Hostaria San Benedetto di Montagnana. Quest’anno è stata prevista anche una Gran Menzione, attribuita al ristorante Garibaldi di Chioggia per premiare un’altra storia familiare importante: quella di Nelson Meneghello, della moglie Bruna e della figlia Lorenza la cui attività rappresenta un presidio identitario a tutela della cucina tradizionale di mare e nella fattispecie chioggiotta.
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Villa Momi�s ristorante ∙ pizzeria
BEAUTIFUL DAY Villa Momi's è il luogo ideale per matrimoni, cresime ed ogni altro tipo di ricorrenza. Per gli sposi e i loro invitati è riservata un'ospitalità particolare, con aree e intrattenimenti privati. Villa Momi's permette anche cene e pranzi di lavoro, con la massima tranquillità e distensione per i propri colloqui d'affari. Alla sera i locali sono destinati anche a chi desidera un po' di intimità, con un armonia che solo il lume di candela riesce a creare Due sale separate in due piani. Giardino estivo. Oltre 300 posti a sedere Locale rustico in chiave moderna unico nel suo genere, immerso nel verde
Cavarzere (VE) Loc. Santa Maria, 3/B - Tel. 0426 53538 - Chiuso il Lunedì - www.villamomis.it
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TRA I PROTAGONISTI DI VINITALY Dal 7 al 10 aprile sarà presente al padiglione 5 - stand F7. Un’occasione per degustare e conoscere i vini delle alture padovane Dal 7 al 10 aprile rimarranno aperti i battenti di Vinitaly, l’evento dedicato al vino che da Verona è riuscito ad imporsi sull’intera scena nazionale ed internazionale. È qui, infatti, che i bicchieri si incontrano in un simbolico brindisi attorno alle più prestigiose etichette del mondo enologico. Un’occasione alla quale la Cantina Colli Euganei non può mancare per la promozione delle proprie bottiglie, ma soprattutto per instaurare rapporti commerciali a livello nazionale e con i paesi di mezzo mondo. Il 25% della produzione, infatti, viene destinato oltre i confini italiani trovando floridi mercati in tutti i Paesi Europei, compreso l’Est, il Giappone, la Cina, gli Stati Uniti e grandi attenzioni
vengono rivolte all’America Latina per raggiungere paesi come il Perù, la Colombia e il Brasile. Vini come il Prosecco e il Fior d’Arancio, del resto, hanno ormai assunto una riconoscibilità internazionale e anche i Colli Euganei vengono percepiti sempre più come una delle patrie del vino italiano di cui la Cantina Colli Euganei è la capitale, essendo qui che si concentra la maggior parte della produzione delle alture padovane. Ma è soprattutto la qualità che il mondo cerca e che qui trova raccolta nei 3 milioni di bottiglie della produzione annua, divisa tra i grandi vini della tradizione e i classici, leggeri o strutturati, pensati per incontrare davvero tutti i calici.
la vendita è anche on-line Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei
anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@cantinavo.it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere al acquisti e ricevere entro 48 ore il vino desiderato direttamente a casa. cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)
NOTTE DI GALILEO DOC,
COLLI EUGANEI, TERRA DI GRANDI VINI
Ciò che maggiormente caratterizza i vini della Cantina è ovviamente il territorio collinare, un ambiente unico visto che la combinazione di terreni di origine vulcanica e calcarea varia da pendio a pendio. Le due componenti minerali assecondano ed emancipano i sentori di frutta nei bianchi e nei rossi, oppure conferiscono corposità a seconda di come si trovano combinate nel terreno. I terreni a Sud sono più adatti ai rossi mentre quelli più a Nord si prestano maggiormente alla coltivazione dei bianchi. Un areale vasto quindi: circa 700 ettari di vigneti che annualmente producono 90.000 quintali d’uva, lavorati dalla Cantina Colli Euganei secondo le più aggiornate metodologie di vinificazione.
LINEA PALAZZO DEL PRINCIPE La linea Palazzo del Principe è una coppia di vini selezionati dalla storia e dalle caratteristiche molto differenti. Il Cabernet Sauvignon affinato in botti di rovere francese da 20 hl, e in barriques (20%) per una maturazione in legno di circa 9 mesi che ne esaltano i profumi fini e fruttati di frutti di bosco, come cassis e mora. Il Moscato Dolce. Dalla vendemmia tardiva di uve 100% moscato bianco si ottiene un nettare dal colore ambrato e dai riflessi oro zecchino. Il, profumo è quello della frutta esotica, mentre il sapore è dolce, ma non stucchevole: perfetto per accompagnarsi ai prodotti di pasticceria, ottimo l’abbinamento con il cacao.
I ROSSI • Cabernet DOC • Merlot DOC • Rosso DOC
I BIANCHI • Bianco DOC • Pinot Bianco DOC • Pinot Grigio DOC
LA PUNTA DI DIAMANTE DELLA CANTINA Sotto l’etichetta con lo “Zodiaco” si cela un vino prodotto con uve provenienti da aziende selezionate nella zona DOC Colli Euganei aderenti al Progetto Qualità attivato da Cantina Colli Euganei nel 1998. Si tratta di un “taglio bordolese” 60% Merlot e 40% Cabernet Sauvignon affinato per 15-18 mesi in barriques di rovere pregiato. Ne esce un rosso porpora con riflessi tendenti al granato, dal profumo ampio ed intenso con note speziate e di vaniglia. In evidenza i sentori di frutta rossa matura mentre il gusto è intenso e persistente, ma morbido ed avvolgente al palato con un’ottima persistenza retro-gustativa che ben si abbina a carni rosse, formaggi stagionati oppure anche dopo pasto, come vino “da meditazione”.
LE SELEZIONI Il fior d’Arancio e il vino “immagine” dei Colli Euganei. Brillante, inconfondibile per via delle suo spiccato aroma di fiori bianchi, di erbe aromatiche e di albicocca, spicca e stacca ogni altro vino moscato. Nella versione spumante l’abbinamento risulta perfetto con i prodotti di pasticceria e ovviamente per ogni brindisi, mentre il “secco” si sposa perfettamente con i risotti, i piatti a base di pesce e i formaggi a pasta molle.
FRIZZANTI • Pinello DOC • Serprino DOC • Raboso Veneto IGT • Marzemino Veneto IGT
SPUMANTI • Moscato Dolce DOC • Prosecco Extra Dry DOC • Serprino Brut DOC
tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@cantinavo.it
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Ristorante Pizzeria
tradizione e sapore a due passi dal mare Il meglio del pescato quotidiano incontra in cucina le primizie degli orti, per piatti da cerimonia o per quelli di tutti i giorni Con la Pasqua parte la stagione turistica a Chioggia e Sottomarina. Le lunghe passeggiate in spiaggia fino alla Diga e i primi bagni di sole sono diventati una tradizione di molti che spesso si completa con un pranzo o una cena servita con le delizie dell’Adriatico. Pesce, ovviamente, che lo chef Armido e Fabrizio insieme alle rispettive mogli, Daniela e Nadia, ristoratori di conclamata fama e di grande esperienza, scelgono fresco ogni giorno per abbinarlo alle altre eccellenze del territorio. Nascono così i piatti più richiesti nel menù di questa stagione nella più schietta ortodossia della tradizione chioggiotta, ma anche rivisti secondo estro e creatività. Dal menù non mancano le specialità di carne e per chi cercasse soluzioni più disimpegnate la carta delle pizze è in grado di assecondare qualsiasi palato grazie ad impasti: ottenuti dalle migliori farine, lievitati almeno 48 ore. Un ruolo importante nell’offerta hanno i dolci, sempre espressione della creatività del cuoco e non dell’industria alimentare, e ovviamente i vini: veneti, trentini e friulani per accompagnare ogni momento che si consuma a tavola, sia esso una cerimonia, il banchetto di Pasqua o semplicemente il pasto di un giorno qualsiasi in cui si è sentita l’esigenza di andare a fare due passi in riva al mare.
pasqua al ristorante minerva • menu’ di pesce •
• menu’ di carne •
Gran piatto di Catalana: crostacei e molluschi con verdure miste in salsa limone
Puntarelle di asparagi gratinati in camicia di pancetta Boccioli di carciofo in crema di burrata Fagottino di melanzana ripieno di tastasale Brasato con zucchine
Timballo di crepes gratinato con punte di asparagi e fasolari Strozzapreti all’astice e julienne di carciofi croccanti Filetto di branzino al forno su Verdure Trifolate Sorbetto al limone Colomba artigianale con Spumante
Millefoglie di asparagi Scrigni farciti con cacio e pepe al burro e salvia Costolette di agnello speziate ai ferri Spalla di vitello al forno in salsa di asparagi Pomodori gratinati Sorbetto al limone Colomba artigianale con Spumante
Entrambi i menù comprendono acqua, vino, caffè e liquori È gradita la prenotazione
I tavoli affacciano direttamente sul mare. Il ristorante è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle 12.00 alle 14.30 e dalle 18.30 alle 24.00 Lungomare Adriatico - Lato Nord, 30015 - Sottomarina Mob. 339 6684500 - Tel. 041 4965367 ristorante.minerva@libero.it - www.ristorantepizzeriaminerva.it - Seguici su Facebbok e Twitter
Seppie in umido ALLA CHIOGGIOTTA LA RICETTA DELLO CHEF di Armido Boscolo Camiletto
del ristorante Minerva di Sottomarina
I
l mare, si sa, dà i suoi frutti. Frutti che, come tutti i frutti, seguono la stagionalità. Il mare, insomma, funziona come un orto: certi prodotti sono disponibili in una parte dell’anno, altri lo sono in altre stagioni. E i primi mesi della primavera sono in realtà gli ultimi per la seppia e per questo propongo ai lettori di Con i piedi per terra una ricetta che ne consenta la preparazione secondo i sacri crismi della cucina chioggiotta. Il nostro cefalopode, infatti, è una vera a propria istituzione tra i fornelli, tanto da aver ottenuto il riconoscimento ufficiale di prodotto tradizionale con il Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ed è stato inserito nella “Quattordicesima Revisione dell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali” con il nome di “seppia bianca di Chioggia”, o “sepa de Ciosa”. Requisito fondamentale: che provenga esclusivamente dalla pesca locale e che l’eviscerazione e la spellatura sia effettuata rigorosamente a mano, per poi essere sottoposta a ripetuti lavaggi in acqua salmastra depurata sotto pressione. Il punti di forza di questo mollusco è la sua duttilità in cucina, un tempo veniva consumata anche essiccata dai nostri pescatori, ripulita dall’osso
Difficoltà: media
Preparazione: Cottura: 30 minuti 40 minuti
INGREDIENTI per 4 persone • 1,2 Kg seppie fresche medie da pulire • Mezza cipolla media • Uno spicchio di aglio in camicia • Un bicchiere di Vino bianco • Sale, pepe e olio e.v.o. quanto basta • Un cucchiaio da cucina di concentrato di pomodoro • Prezzemolo
e dall’inchiostro, infilzata su due stecchetti, che ne tenevano aperto l’ombrello che forma la testa, non era raro vederla sventolare alle brezze che attraversano le nostre calli. La ricetta che propongo io, invece, è in umido, facilissima da realizzare e con applauso, dei commensali, garantito.
LA RICETTA DELLO CHEF Pulire delle interiora e conservare 2/3 sacchettini di inchiostro, spellare le seppie, avendo cura di risciaquarle bene per evitare di trovare sabbia in cottura e lasciarle intere. A parte fare rosolare in un tegame la cipolla tritata e l’aglio in camicia che verrà tolto subito dopo aver rosolato a fuoco basso il tutto. Aggiungere le seppie, il vino, il concentrato di pomodoro e l’inchiostro, fare cuocere a fiamma moderata per 25/30 minuti. La seppia per essere cotta deve risultare molto tenera. Salare e pepare a piacimento. La ricetta andrebbe completata nel piatto servendo insieme alle seppie polenta morbida o abbrustolita, bianca, con una spolverata di prezzemolo fresco tritato.
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AD OGNUNO IL SUO CALICE… di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it
Cinque Bottiglie
STAGIONE CHE VAI, CALICE CHE INCONTRI
PER RICORDARSI CHE È PRIMAVERA
L’
arrivo della bella stagione non deve trovarci impreparati. Il tempo è uno degli elementi fondamentali del vino, ma anche del vinaiolo. Nelle cantine che sono andato ad incontrare nelle scorse settimane fervevano i lavori di imbottigliamento dei vini rossi, ormai pronti ad affrontare il mercato. A lungo ho riflettuto se occuparmi di questi, per la rubrica “Ad ognuno il suo calice”, poi invece ho deciso di assecondare la primavera, il suo arrivo, anche piuttosto anticipato quest’anno, mi sembra un valido motivo per festeggiare. Ecco dunque i calici da alzare al cielo della bella stagione, li ho cercati per tutte le
consonanze e le affinità che sono riuscito a trovare con questo nuovo tempo dell’anno: i fiori tra le note sensoriali, gli accompagnamenti con i pranzi campestri (salami, frittatine con le erbe e i sottaceti di spuntini e pic-nic pretendono i giusti compendi), la voglia di leggerezza che la possibilità di muoversi negli spazi aperti ti mette addosso. Tra le bottiglie selezionate ci sono veri e propri capisaldi dell’enologia veneta, ma anche alcune scommesse che dimostrano come le nostre aziende siano continuamente alla ricerca di nuovi vini con cui arricchire la loro offerta. Buon calice a tutti e buona primavera!
UN GRANDE CLASSICO (VALPANTENA - VR) SECCO-BERTANI 2014 VERONA IGT L’antesignano dei grandi vini veronesi Storico vino dell’Azienda Bertani prodotto fin dal 1870 sulle colline della Valpantena, sede storica aziendale. Prima interpretazione di un grande vino di qualità del veronese, considerato ancora oggi pietra miliare dell’enologia, di fatto rappresenta un modello di riferimento del buon bere veronese visto che l’Amarone, nasce solo negli anni ‘40 del secolo scorso. Prodotto con uve leggermente appassite di Corvina veronese, circa 80%, e di Merlot dopo la fermentazione viene affinato in botti rovere di Slavonia e piccole botti rovere francesi per almeno 18 mesi. Rosso intenso con riflessi violacei, con l’evoluzione riflessi granati intensi. Grande naso con sentori di ciliegia matura, frutta secca, erbe aro-
Grande naso con sentori di ciliegia matura, frutta secca, erbe aromatiche ed infine note di cacao amaro e cioccolato 44
matiche ed infine note di cacao amaro e cioccolato. Al palato si presenta con un grande equilibrio di tannini morbidi che apportano corpo, freschezza con retrogusto sapido e persistente. Grande versatilità in termini di abbinamento nelle varie portate di carne più o meno strutturate, in quanto grande bevibilità e complessità ne esaltano il valore della convivialità.
AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO NUOVO (CONA - VE) PROSECCO DOC EXTRA DRY CANTINA DI CONA Cenerentola tra le bollicine? Niente affatto… Nuova produzione per la Cantina di Cona (che gravita nella DOC Corti Benedettine del Padovano) con questo Prosecco da vendemmia 2018, con uve Glera 100%. Con sole 5000 bottiglie in cantina, in gran parte già prenotate dai clienti, è quasi una produzione di élite, ma soprattutto “è una novità”, come, afferma il presidente Tromboni senza nascondere la grande soddisfazione per il prodotto ottenuto. E devo dire che tanto compiacimento è giustificato. Dalla degustazione che ho fatto non posso che confermare la qualità di questo vino che di certo non ha nulla da invidiare ai più celebri Pro-
Essendo stato imbottigliato a fine febbraio il suo top lo raggiungerà tra marzo e aprile, giusto in tempo per accompagnare la primavera secchi di altre zone più rinomate. Si presenta giallo paglierino leggermente scarico con un perlage fine e persistente, spuma morbida. Al naso escono fiori di acacia, lievi note di glicine e note fruttate quali la mela, pesca e lievi note esotiche. In bocca è armonico e con buona persistenza, denota una certa eleganza. Da abbinarsi ad antipasti, primi piatti o a tutto pasto con pesce, frutti di mare e crostacei. Essendo stato imbottigliato a fine febbraio il suo top lo raggiungerà tra marzo e aprile (lieve riposo in bottiglia). Elegante e raffinata l‘etichetta, creata apposta, che ricorda le scritture e i caratteri dei testi storici della Corte Benedettina di Legnaro.
UN VINO SOCIAL (CAVAION VERONESE - VR) RONDON BARDOLINO CHIARETTO, AZIENDA AGRICOLA LE FRAGHE The light side of Amarone Azienda nata nel 1962 a Cavaion Veronese, nel cuore della zona del Bardolino. Le prime produzioni di questo straordinario rosato risalgono agli anni ‘80, ma solo di recente è entrato tra le pagine della guida Slow Wine di Slow Food. Segno dei tempi, caratterizzato dall’arrivo sulla scena dell’enologia di vini “social”, ossia leggeri, da aperitivo, conviviali. Una vera e propria nuova categoria nella quale noi di Con i piedi per terra facciamo rientrare questo eccellente vino prodotto da uve Corvina e Rondinella, quelle dell’Amarone per intenderci, vinificate separatamente con breve macerazione delle bucce per 6/8 ore. Successivamente segue la fermentazione a basse temperature e una volta terminata, il vino rimane in acciaio fino alla primavera successiva quando viene imbottigliato. Dal colore cerasuolo, si presenta al naso con una complessità di aromi freschi e fragranti. Le prime note ad uscire sono quelle delicate di rosa canina, seguono quelle di
fragoline di bosco e ribes che vanno a chiudere un gradevole quadro olfattivo al quale fa da compendio una sapidità e mineralità che sono tipiche di questo territorio. In termini di abbinamento, è adatto ad antipasti, piatti a base di carni bianche o pesce di mare o lago, zuppe di pesce, uova, formaggi freschi e ovviamente è un vino da happy hour.
Dal colore cerasuolo si capisce subito che è un vino dal carattere sociale amante dei riti giovani come gli happy hour 45
AD OGNUNO IL SUO CALICE… UN VINO RARO (VO’ VECCHIO - PD) TERRENI BIANCHI COLLI EUGANEI DOC BIANCO 2017, AZ. AGR. ALLA COSTIERA Un blend che esalta la Marzemina
La vendemmi 2018 andrà in bottiglia alla fine di marzo. C’è già da scommetterci che sarà un grande vino
La Marzemina bianca è un’uva autoctona, conosciuta anche come “Sciampagna” fin dal 1600, originariamente coltivata nella fascia collinare compresa tra la provincia di Pordenone e la zona di Breganze (Vicenza). È presente anche sulle colline padovane dove alcune aziende ne stanno seguendo
il recupero, come nel caso dell’Azienda Agricola Alla Costiera di Vo’ Vecchio, in piena DOC Colli Euganei quindi, che la utilizza nella vinificazione di Terreni Bianchi, in un blend che oltre alla Marzemina bianca prevede il Moscato bianco e la Garganega. La bassa acidità, infatti, impedisce la vinificazione in purezza. La prima vendemmia risale solo a qualche anno fa, mentre quella del 2018 andrà in bottiglia alla fine di marzo. E c’è già da scommetterci che sarà un grande vino, in virtù del suo colore giallo intenso con riflessi dorati, all’aromaticità prevalsa dai sentori di petali bianchi e alla buona mineralità, caratteristica apportata dalla formazione vulcanica dei terreni euganei. Va servito a 15 C.
UNA PROMESSA (BAONE - PD) BORGO DELLE CASETTE, CABERNET RISERVA 2015, AZ. AGR. IL FILÒ DELLE VIGNE Continuerà ad emozionare per decenni Che i bordolesi dei Colli Euganei siano una realtà ben consolidata lo dimostrano la buona produzione fatta da molte aziende e i riconoscimenti conseguiti nei decenni. Borgo delle Casette appartiene a questa confermata produzione, in virtù di una produzione ottenuta con le migliori uve Cabernet Sauvignon (70%), Cabernet Franc e Carmenère. La maturazione e l’affinamento di questo vino avviene in botti di quercia per 18/24 mesi al quale segue l’imbottigliamento senza filtrazioni. È un vino di grande armonia ed eleganza, ricco di polifenoli, finezza e potenza in una fusione quasi magica (pluripremiato in Italia e all’estero in alcune annate, citato nelle guide del Gambero Rosso e Slow Wine 2018 e 2019). Protagonista ormai nel panorama enologico nazionale, continuerà ad emozionare per decenni. Di colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, da giova-
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Alcune annate di questa bottiglia sono state pluripremiate in Italia e all’estero. È citata nelle guide del Gambero Rosso e Slow Wine 2018 e 2019 ne, poi granato. Al naso ampio, avvolgente, con sentori di mora, mirtillo, caffè, timo, sottobosco, vaniglia, liquerizia. Struttura potente con tannini morbidi. Si abbina con carni rosse, cacciagione, selvaggina e selezione di formaggi stagionati.
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UNA NUOVA STAGIONE ESTIVA VA AD INIZIARE
la nostra storia continua dal 1947
Le nostre Specialita'
• CREMINI • TORTE E COPPETTE SEMIFREDDO • GHIACCIOLI ARTIGIANALI
Il nostro gelato è prodotto con latte fresco di alta qualità prodotto nella nostra regione! Le nostre ricette sono equilibrate, con meno zucchero e prive di farine. Questo rende il nostro gelato e i nostri prodotti altamente digeribili e non creano fastidi alla digestione!
Le nostre Particolarita' • GELATO AL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP • GELATO ALLA ZUCCA
Una tradizione di oltre 70 anni per offrirti un ''brivido'' di piacere Strada Madonna Marina, 130 - SOTTOMARINA di Chioggia (VE) GIOVANNI 334 7176111 - ANNA MARIA 348 7907948 - gelateria.sottozero@libero.it Seguici su Facebook
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INGIROPIEDANDO di Alessandra Capato
SEGNALI DI FUMO
DAL PRIMO CIGAR CLUB IN POLESINE
Considerato storicamente, a differenza delle sigarette, più una passione che un vizio, fumare un buon sigaro è un vero e proprio piacere da intenditori, da gustare con calma, senza fretta. Ce ne parla Tiziano Boccato presidente del Bodeguita Cigar Club
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postandomi in lungo e in largo per la mia terra, il Polesine, sono molte le curiosità che incontro ogni giorno, dalla bellezza del paesaggio all’intraprendenza delle persone che vi abitano. Ma nelle scorse settimane è stata l’insegna del Bodeguita Cigar Club a catturare la mia attenzione. Non avevo mai visto nulla del genere da queste parti e la tentazione di saperne di più è stata troppo forte. Per questo ho scambiato due parole con il titolare, Tiziano Boccato, per chiedergli innanzi tutto come gli è venuto in mente di aprire un cigar club in provincia di Rovigo. “Io e mia moglie Chiara gestiamo l’omonimo negozio da sette anni e sentivamo l’esigenza di “buttarci” in una nuova avventura e ci siamo concentrati più sulla ricerca di prodotti di nicchia tipo i distillati, il cioccolato, la pasta. Avevamo tante idee. E Abbiamo trovato la combinazione e il giuTiziano Boccato, sto equilibrio” il titolare del Bodeguita Cigar Club
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Ma non deve essere stato facile “Ho avuto molte difficoltà a farlo partire, ma mi sono convinto dopo aver partecipato ad una degustazione al Botteghino di Bologna ed ho pensato che ci sarei riuscito anche io. All’inizio eravamo in quattro persone adesso già venticinque. In Polesine ci siamo solo noi. Ho anche fatto disegnare il logo che ci contraddistingue con i due sigari sovrapposti che rappresenta una B”.
Quindi è stato il locale a creare il gruppo? “Si, oggi ci unisce il piacere di stare insieme questa è la mia filosofia. Al gruppo si sono iscritte anche delle signore tutto è nato dalla passione che accomuna perché un sigaro è come un vino eccezionale e migliora con il tempo. Quando ci si trova è un momento socializzazione. Il sigaro è cultura e spesso per ap-
INGIROPIEDANDO prezzarlo non occorre nemmeno fumarlo, basta odorarne la fragranza nella sua naturalezza”. L’universo del sigaro è affascinante con il suo rituale poi si imparano anche gli aspetti più tecnici. È cosi? “La lentezza è il segreto. Sono sensazioni. Ogni foglia racchiude la perfezione. Non è come una sigaretta c’è un’enorme differenza. Non crea dipendenza. Con il sigaro si fuma di meno. Questo va detto anche per motivi di salute. Del resto la mia filosofia è semplice: sono le cose raggiungibili e condivise che mi rendono felice”. Quanto costa un buon sigaro? “Se si vuole iniziare a fumare bene per gli italiani si spendono a partire da dieci euro alla confezione. Al pezzo si passa intorno agli otto euro per gli habanos si parte dai quattro e si cresce. Poi ci sono le edizioni limitate e aumenta ancora”. La distinzione qual è? “Primo il colore indica il gusto: più è scuro e più è intenso. La gradazione è da forte, a medio forte, a medio fino ad arrivare a leggero. Poi esistono innumerevoli sfumature ma questa classificazione vuole essere solo un primo passo per orientarsi nella selezione”.
Qual è il sigaro più fumato? “Il cubano copre il settanta percento del mercato europeo mentre il toscano copre il novanta percento di quello italiano. Sta crescendo il mercato dei sigari del Nicaragua, Santo Domingo e Honduras anche se i più famosi rimangono i cubani. Gli appassionati hanno iniziato a capirne le particolarità”.
Per esempio un sigaro cubano può essere conservato in che modo? “Nella Walk-In ossia la stanza dei sigari e noi siamo i primi ad averla costruita. Devono mantenere una temperatura compresa tra i sedici e diciotto gradi e una umidità tra il 65 e 75%. E deve essere sempre costante. È l’aspetto più cruciale: se il sigaro è troppo umido non si accenderà e non potrà tirare. Se è troppo secco avrà un sapore piccante”. Mi spiega la tecnica per degustare? “A differenza delle sigarette non si inala il fumo ma viene in parte trattenuto in bocca per qualche secondo dolcemente e si lascia uscire anche dal naso per sentirne i profumi. Per un sigaro robusto l’ideale sono due “puffi” ovvero due tiri al minuto. Tutto molto lentamente. Si dovrebbe sorseggiare piuttosto che aspirare. Senza avidità per non correre il rischio di provocarne il surriscaldamento che potrebbe nuocere al gusto. La cenere poi si deve lasciar cadere da sola, preferibilmente su un posacenere”. Le foto a corredo di queste pagine sono state realizzate da Alessandra Capato
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Gastaldi Gabriele AZIENDA AGRICOLA VITIVINICOLA
Vini nel rispetto della tradizione Qui il tempo sembra trascorrere più lentamente perché è ancora quello della Natura, della tradizione e dell’amicizia
Quasi settant’anni di storia sono un tempo lunghissimo durante il quale la famiglia Gastaldi ha codificato i propri valori nella viticoltura e nella produzione di vino. La prima riguarda il rispetto dell’ambiente, perché, pur trattandosi di un’azienda che conduce un’agricoltura convenzionale, nei sei ettari e mezzo di vigneto si interviene con i fitofarmaci solo quando serve, si pratica il sovescio, per mantenere in equilibrio i fondi, e l’inerbimento dei vigneti, in modo da contrastare lo stress idrico anche con l’umidità stessa della campagna. I pali di sostegno sono ancora in legno per una questione di tradizione, e altrettanto tradizionale è la vendemmia, ossia manuale perché il buon vino, quello veramente artigianale, si inizia a fare quando ancora l’uva si trova in campagna. La selezione dei grappoli è fondamentale per avviare una buona fermentazione e la cura è sempre sinonimo di qualità.
La stessa cura che è leggibile già a partire dalle etichette. In tutte campeggia il duomo di Candiana, perché la famiglia Gastaldi ci tiene a far conoscere il proprio attaccamento al territorio. Con questi presupposti nasce tutta l’intera produzione che spazia dai vini rossi ai bianchi, dai fermi alle bollicine, realizzati tutti nella propria cantina e commercializzati in proprio. La vendita avviene direttamente in azienda, anche di vino sfuso, e una parte della distribuzione viene fatta anche a domicilio in un rapporto trasparente e di amicizia con l’intera clientela affezionata. Ed è proprio perché il rapporto con le persone è importante che ogni anno l’azienda organizza una grande festa: ogni seconda domenica di maggio, infatti, la cantina apre i suoi battenti e diventa un luogo di degustazione e d’incontro.
“Nelle nostre bottiglie il frutto del vigneto, ottenuto da una vendemmia a mano selezionata e da un lavoro in cantina condotto nel rispetto della materia prima. Perché siamo convinti che il vino buono si faccia nel vigneto… noi lo facciamo come una volta, come lo facessimo per noi…” Gabriele Gastaldi
AZIENDA AGRICOLA VITIVINICOLA GASTALDI GABRIELE Via Motte, 7 - Candiana (PD)
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12 MAGGIO: CANTINA APERTA La data di domenica 12 maggio è da cerchiare in rosso sul calendario perché ricorrono i 10 anni di Cantina Aperta, ossia la giornata che l’Azienda Agricola Vitivinicola Gastaldi Gabriele dedica a tutti coloro che vogliono conoscere da vicino come nascono i loro vini: dal vigneto alla bottiglia. La giornata, infatti, a partire dalle 16.00, offre la possibilità di passeggiate lungo i filari di vite, degustazioni in cantina con veloci spuntini, ma anche musica, commercio equosolidale e una lotteria i cui ricavi verranno devoluti ad una Onlus locale. Insomma una grande festa che avrà come protagonista il vino o meglio la sua capacità di accorciare le distanze e di creare rapporti che sfociano in sincere amicizie.
I NOSTRI VINI TIPICI IGT E DOC CORTI BENEDETTINE DEL PADOVANO ◆ RABOSO PASSITO “SILIO”: È un Raboso pas-
sito, quindi ottenuto da uve vendemmiate a novembre e conservate in cassettine fino a marzo. Ha un colore rosso granato al quale corrisponde un boccato caldo, morbido con note speziate. Ideale a fine pasto come vino da meditazione
◆ CABERNET DOC: Un grande classico dal buon
bere locale. Un vino di grande consistenza, asciutto, corposo che volentieri si sposa con carni, cacciagione e formaggi stagionati
◆ RABOSO FRIZZANTE IGT: Il raboso qui è nella sua terra di origine e in questa versione frizzante trova la sua natura più vivace. Un vino dalle note minerali, ideale con gli antipasti o la pizza
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PROSECCO DOC SPUMANTE EXTRA DRY: Giallo paglierino brillante con perlage fine e persistente. Gradevole, leggero, fresco ed armonico. Il calice perfetto per l’aperitivo
◆ PINOT GRIGIO IGT: Con il suo profumo di frutta matura e grazie al sapore morbido, strutturato e perfettamente equilibrato è un vino poliedrico che si accompagna a piatti leggeri
◆ MOSCATO SPUMANTE: È il nostro vino pensa-
to per accompagnare frutta e dolci. Ha uno straordinario spessore e allo stesso tempo è molto fresco e piacevole
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CHARDONNAY IGT: Un vino lieve e delicato con gradevole persistenza aromatica. Da il meglio di se negli aperitivi, con gli antipasti, i secondi a base di pesce o con le minestre Tel e fax 049 5349478 - ggastaldi@tiscali.it -
Azienda Agricola Gastaldi Gabriele
INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin
TABACCO VENETO, CINQUECENTO ANNI DI STORIA TRA MAGIA, ECONOMIA E STATUS SYMBOLS Come la patata trovò consumo solo molti anni dopo la sua introduzione dal Nuovo Mondo, ma la sua espansione fu molto veloce. La Serenissima Repubblica costituì il primo monopolio in Italia e ancora oggi il tabacco rappresenta una voce importante per il settore primario regionale
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hi sia stato il primo veneto ad accendersi un sigaro non è dato saperlo e nemmeno quando avvenne la prima boccata di fumo, di certo, però, fu molto tempo dopo che il tabacco venne introdotto in Italia, insieme a tutti gli altri prodotti che la colonizzazione dell’America aveva portato nel Vecchio Continente. Come per le patate, infatti, il suo uso rimase in forma sperimentale per diversi decenni. Malgrado esistessero resoconti piuttosto precisi sull’uso che ne facevano i popoli amerindi, cioè fumato in grossi cilindri di foglie secche dello stesso tabacco o trinciato per riempire i fornelli di imponenti pipe, come i calumet, se ne cercarono principalmente le implicazioni mediche. Non proprio come faremmo noi oggi, cercandone i risvolti negativi per il nostro corpo, ma piuttosto cercando di capire a quali effetti positivi poteva indurre il suo consumo. Di sicuro a motivare tanta curiosità deve essere stato il fatto che quelle originarie civiltà il tabacco lo usavano per i propri riti religiosi, come sostanza capace di aiutare stregoni a sciamani ad entrare in trance, per trovare contatti con l’aldilà e toccare tutti quei livelli che stavano fuori
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dall’intellegibile come le guarigioni miracolose. Anche in Europa la medicina era ancora figlia dei prodigi, il metodo scientifico arriverà di lì a qualche decennio e più che all’uomo verrà applicato alle stelle. Quelle di Galileo. Tanto per dire che la medicina non aveva basi solide, ma andava a tentoni e chiunque al tempo poteva dire la sua, anche un botanico. Per Pier Antonio Michiel, infatti, stimato veneziano studioso di piante della seconda metà del XVI secolo, il tabacco era utile per curare la cancrena, ma poi morì proprio di questo male nel 1576 e forse anche per questo le sue “intuizioni” mediche vennero messe in discussione. Se ne doveva comunque dedurre che il tabacco non fa bene? Per la cancrena no, ma usato in piccole prese e “fiutato” poteva essere un buon rimedio al mal di testa. Anche Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, dal quale deriverà più tardi il termine di nicotina, lo consigliava alla regina Caterina de’ Medici per le cure delle forti emicranie di cui soffriva il figlio Enrico III. Dunque passarono gli anni prima che il tabacco uscisse dai vasi degli speziali e diventasse quel genere di consumo di massa dei tempi contem-
INGIROPIEDANDO poranei. Ma, a dire il vero, non moltissimi. Solo una cinquantina d’anni dopo il re d’Inghilterra Giacomo I ne esecrava il consumo considerandolo “un’abitudine spiacevole per l’occhio, odiosa per il naso, nociva per il cervello, pericolosa per i polmoni, e che per le sue nere e puzzolenti esalazioni ricorda l’orribile fumo che proviene dal pozzo senza fondo dello Stige”. Ecco, in questo dibattito, a distanza tra teste coronate, è interessante considerare che per il re Giacomo il tabacco è un’abitudine, cioè è già quasi un vizio e anche piuttosto diffuso se già a quel tempo era riuscito a darne una rappresentazione così realistica sul piano medico. Lo testimonierebbe anche l’oggetto forse più popolare che connota il fumo nel nostro Veneto, ossia la pipa chioggiotta. La più antica, rinvenuta ad oggi, riporta stampigliata la data 1655, ma è certo che non fu la prima ad essere realizzata e che i fumatori avevano già iniziato a tenerla in bocca da molto tempo. Anche perché si fumava ancora prima dell’arrivo del tabacco. Ci sono dati molto più solidi, invece, per confermare la veloce penetrazione del tabacco nella nostra regione, ossia la sistematica messa a coltura che ne fece la Serenissima Repubblica sulle alture dell’Altipiano di Asiago e nei comuni della valle del Brenta, tra la Valstagna, Oliero, Campolongo, Campese e Valrovina. Per gli affari Venezia, indubbiamente, aveva fiuto ma in questo caso il tabacco, anche se ancora diffuso l’uso di inalarlo in piccole prese dalle narici, era quello da destinare al fuoco dei fiammiferi. Di quel tabacco (tra l’altro nella zona del Brenta esiste ancora una produzione di eccellenza con il nome di Nostrano del Brenta) ne fece il primo Monopolio in Italia. Quello del sale già lo aveva da secoli, con il commercio delle produzioni di Chioggia, e così forse nacquero anche i primi Sali&Tabacchi e tutto il contrabbando che segnò i secoli successivi. Palazzo Ducale, infatti, vietò la semina del tabacco con un decreto del 1654 su tutto il territorio veneziano ad esclusione delle zone Jean Nicot, ambasciatore francese autorizzate, vietò la in Portogallo, dal quale deriverà vendita privata e impopiù tardi il termine di nicotina, se un dazio su tutte le consiglio il tabacco alla regina foglie d’importazione. Caterina de’ Medici per le cure delle forti emicranie di cui soffriva Norme così stringenti il figlio Enrico III
Per Pier Antonio Michiel, stimato veneziano studioso di piante della seconda metà del XVI secolo, il tabacco era utile per curare la cancrena, ma poi morì proprio di questo male nel 1576 e forse anche per questo le sue “intuizioni” mediche vennero messe in discussione su una merce tanto remunerativa non poteva che dar luogo ad un commercio illegale parallelo, anche se la vigilanza era piuttosto stringente. Le cronache riportano episodi di particolare intraprendenza nel reprimere le col- Il re d’Inghilterra Giacomo I fu tra i primi ad t i v a z i o n i esecrare il fumo e forse ad intuirne i risvolti negativi per la salute. “Un’abitudine spiacevole abusive, ad per l’occhio - la definì - odiosa per il naso, nociva esempio un per il cervello, pericolosa per i polmoni” ispettore veneziano inviato a Bassano del Grappa per eliminare tutte le piantagioni non autorizzate, malgrado fosse stato aggredito quasi a morte dal montanaro autore dell’illecito, eseguì scrupolosamente l’incarico ricevuto sotto le percosse. Le cose non cambiarono nemmeno quando il Veneto divenne austriaco, Mario Rigoni Stern nel suo libro “Storia di Tönle” spiega bene quali fossero le attività che i pastori dell’Altopiano intraprendevano per arrotondare le magre entrate. Tönle Bintarn, infatti, è uno dei tanti abituati ad attraversare il confine italo-austroungarico nei boschi di Asiago con un zaino pieno di merce di contrabbando. Ma l’ottocento è anche il secolo in cui cambia il modo di fumare, iniziano a comparire i primi sigari proprio per sostituire tutta l’attrezzeria di cui la
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INGIROPIEDANDO cerca di mozziconi, per recuperare un po’ di tabacco, pipa aveva bisogno. Per fumare basterà tirare fuori divenne il principale passatempo dei soldati tra un atdal taschino del panciotto un mozzicone, cacciarlo in tacco e l’altro, mentre i sigari divennero sempre più bocca e accenderlo. Il fiammiferi avranno una prima ad appannaggio delle classi più alte. E furono proprio diffusione proprio per sostituire i complicati acciarini i numeri a dividere la storia dei due modi di fumare, che di lì in poi troveranno posto solo nei musei. La la guerra aveva portato a triplicare il mercato delle sigaretta, che pare sia stata inventata dai dai soldati “bionde” e un’ulteriore distacco avvenne quando armusulmani durante l’assedio di San Giovanni d’Acri, rivarono le prime fumatrici. Le donne negli Stati Uniti nell’odierno Israele, riempiendo di tabacco i tubetti iniziarono a fumare agli inizi del 1900, utilizzando le di carta svuotati dalla polvere da sparo usata per i sale d’attesa per signore delle stazioni ferroviarie, ma fucili, accelerò ancora di più le cose. Il fumo diventò dal 1917 il fumo divenne coil simbolo della modernità. La più antica pipa chioggiotta stume aperto tra il gentil Quello delle ciminiere e rinvenuta riporta stampigliata sesso anche in Italia. Sono dei treni fu uno dei simboli dell’industrializzazione, la data 1655, ma è certo che non fu gli anni in cui, proprio per effetto di questo consumo della velocità come sela prima ad essere realizzata gno della nuova epoca, al e che i fumatori avevano già iniziato di massa, anche altre aree quale fece da compendio a tenerla in bocca da molto tempo del Veneto vengono coinvolte nella produzione di quello di sigari e sigarette tabacco. Nel Veronese, per esempio, o nel Montain termini di status symbol, passando dalle bocche di gnanese la coltura trovò larga diffusione anche grazie tutti: dalla classe proletaria ai ricchi borghesi tracoalla grande presenza di acqua, ma soprattutto grazie tanti e oziosi, come quelli dipinti da Otto Dix e Georg alla grande disponibilità di manodopera. Il ricorso alla Grosz, fino alle donne che proprio del fumo fecero meccanizzazione, infatti, era ed è ancora piuttosto un simbolo della loro emancipazione. La medicina era complicato, sia per le lavorazioni in campo sia per le ancora lontana dall’individuarne gli effetti nocivi sulla successive fasi di essicazione e lavorazione. salute, anzi per gli effetti tonici della nicotina e un po’ Per un ettaro Kentucky ad esempio, usato per la fabper le antiche e presunte doti magico-taumaturgiche bricazione del sigaro toscano, occorrono circa 700 del tabacco, la sigaretta era considerata una sorta di ore lavorative che indubbiamente pesano sul costo doping per i soldati al fronte, così come il tabacco da finale del prodotto finito, ma si sa il fumo è un vizio e pipa era consigliato ai prelati come antidoto contro le si fa fatica a smettere. Tant’è che ancora oggi, in epotentazioni di tipo sessuale. I consumi, piuttosto, erano ca di “vaping” e sigaretta elettronica la produzione di stabiliti dalle macchine della rivoluzione industriale, tabacco in Veneto è pari a circa 26 mila tonnellate e impegnate a confezionare milioni e milioni di sigari rappresenta il 20% della produzione nazionale. Coltie sigarette. Nelle trincee della Grande Guerra la ri-
Il fumo fu un simbolo dell’emancipazione femminile. A cominciare dal 1917 anche in Italia le donne iniziarono a fumare in luoghi pubblici
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INGIROPIEDANDO vato su una superficie di oltre 7.300 ettari da parte di circa 500 aziende agricole, coinvolgendo quasi 9000 addetti, è oggetto di attività di prima trasformazione in una filiera caratterizzata da significativi processi di ammodernamento per i quali, negli ultimi anni, gli investimenti hanno superato i 125 milioni di euro. Sono due le aree di coltivazione e sono rimaste più o meno quelle storiche: il veronese, dove la varietà prevalentemente coltivata è la Virginia Bright, se ne producono circa 24 mila tonnellate, e l’area situata tra le provincie di Padova, Treviso e Venezia dove invece è prevalente la varietà Burley che raggiunge le 2 mila tonnellate di produzione ogni anno. Il tabacco veneto si caratterizzato per una qualità elevata ed è apprezzato dalle imprese manifatturiere multinazionali come la Philip Morris con cui tra il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha instaurato proficue intese programmatiche come l’innalzamento degli standard qualitativi della produzione tabacchicola e alla riduzione dei residui nel tabacco (nitrosammine). Il Tabacco è un prodotto oggi sotto la lente d’ingrandimento della medicina per le sue implicazioni sulla salute, ma che continua ad appassionare perché se è vero che il fumo fa male, la filosofia insegna che il piacere è uno degli stati dell’essere che l’uomo continua ad inseguire.
Durante la grande guerra la produzione mondiale di sigarette triplicò
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SCOPRIRE IL TERRITORIO a cura della redazione
DA FRATTA POLESINE AD ADRIA LA VIA DELLA STORIA LUNGO IL CANALBIANCO FRATTA POLESINE > FRASSINELLE POLESINE > BORSEA > BARICETTA > ADRIA Il percorso è molto semplice dal centro di Fratta Polesine basta imboccare via Basse in direzione del Canalbianco. L’intero itinerario, infatti, si sviluppa sulla sponda sinistra del grande corso d’acqua incrociando località come Frassinelle, Bosaro, Borsea, Baricetta o toponimi e località come Bosco del Monaco e Fenil del Turco.
38 Km
SEPTEM MARIA MUSEUM
ADRIA CHIESA DEL CRISTO ALLUVIONATO
BASILICA DI SANTA MARIA ASSUNTA “DELLA TOMBA”
VILLA BADOER
FRATTA POLESINE CASTELLO ESTENSE MULINO PIZZON
Villa Bader
Mulino Pizzon
LUNGO IL PERCORSO SI POSSONO INCONTRARE: Museo Archeologico Nazionale, Villa Badoer, villa Molin-Avezzù, Casa Museo Matteotti, Mulino Pizzon a Fratta Polesine; Cà Pesaro a Frassinelle Polesine; idrovora Bresparola a Bosaro; villa Torelli e Castello Estense ad Arquà Polesine; chiesa del Cristo Alluvionato a Lama Polesine; villa Menotti-Cervati a Gavello; idrovora Cengiaretto, idrovora Retratto, Septem Mària Museum all’idrovora Amolara, idrovora Cavanella, villa Grassi Baroni, villa Papadopoli, palazzi e chiese del centro storico ad Adria e Museo Archeologico Nazionale di Adria Chiesa del Cristo Alluvionato
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Basilica di Santa Maria Assunta “Della Tomba”
SCOPRIRE IL TERRITORIO
I PRINCIPALI SITI DI INTERESSE INTERCETTATI DAL PERCORSO CASTELLO ESTENSE di Arquà Polesine Eretto nel 1146 dai Marchesella, passato poi agli Estensi ed infine a Venezia nel 1482, è uno dei monumenti medievali più interessanti e meglio conservati del Polesine. Oggi possiamo ammirare la robusta torre merlata, suddivisa in tre piani e il corpo di fabbriche che dà su un ampio cortile interno, dove si aprono tredici mirabili arcate secentesche, le scuderie e un granaio.
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE di Fratta Polesine Raccoglie le importanti testimonianze dei villaggi della tarda età del bronzo sorti lungo l’antico corso del Po. Il nucleo principale dell’esposizione è costituito dai ritrovamenti di un complesso archeologico oggi ritenuto fra i più rappresentativi a livello europeo per l’età del bronzo finale (XII - X secolo a.C.), quelli del villaggio di Frattesina e delle sue necropoli, individuate nelle località Narde e Fondo Zanotto.
CASA MUSEO DI GIACOMO MATTEOTTI di Fratta Polesine Quella che un tempo fu la residenza di Giacomo Matteotti e della sua famiglia oggi è un moderno museo dotato di attrezzature multimediali che consentono al visitatore di avvicinare da molteplici punti di vista la figura del politico trucidato dal fascismo e l’ambiente in cui visse. Il visitatore, inoltre, può utilizzare un tavolo interattivo che permette di leggere tutti gli scritti di Matteotti, i suoi discorsi politici, numerose testate giornalistiche dell’epoca e documenti sulle condizioni del Polesine tra Ottocento e Novecento.
SEPTEM MÀRIA MUSEUM L’ex Idrovora Amolara conserva al suo interno il Septem Mària Museum, il nome cita la denominazione coniata da Plinio il Vecchio nel I sec D.C. per indicare la zona del Polesine caratterizzata da molti corsi d’acqua navigabili. L’esposizione conservata al suo interno infatti è dedicata ai fiumi e al rapporto degli abitanti con questo elemento naturale.
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE di Adria Il percorso museale si snoda attraverso le principali epoche antiche vissute dalla citta: dall’età etrusca, rappresentata dai vasellami di bronzo etruschi riferibili principalmente al VI e V sec.a.C, all’epoca ellenistica con straordinari reperti di ceramica attica a figure nere e rosse fino all’epoca romana.
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Gli “Estensi ”, LA MEMORIA DI CARTA
di Roberto Soliman
DA ESTE A LONDRA, PASSANDO PER LA GERMANIA E se fossero rimasti qui nella Bassa? Analisi storica, con ipotesi inverosimile, di una grande casata europea, venerata in Inghilterra e sempre presente nei giornali e TV di tutto il mondo
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in da bambino, curiosando nei settimanali ancora in bianco e nero allora in voga, comperati da mia zia Giuliana, mi informavo sulle vicende della Regina Elisabetta, sul principe Filippo e sul mio coetaneo principe Carlo. Questa famiglia ti entrava in casa attraverso la carta stampata e, nella fantasia di bambino, immaginavo Carlo giocare come me, vuoi a calciare una palla, a rincorrere una lucertola, a sparare con la pistola ad elastici a qualche ignaro animale da cortile. Leggevo che con la sua famiglia abitava a Corte; anch’io abitavo in una corte quella delle Grompe, ma non capivo perché lui fosse seguito e sorvegliato dalla governante giorno e notte, e sempre ben vestito! E anch’io ci stavo stretto nella corte delle Grompe che con le sue regole mai scritte soffocava un po’ i miei entusiasmi
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e sogni di bambino. A pensarci bene ora, io ero più libero di lui nella mia solitudine di bambino in una famiglia di grandi, anche se ero anch’io sorvegliato ma a distanza! Poi sono cresciuto e incominciavo a vedere nelle copertine finalmente a colori: Albano (e c’è ancora!), Sophia Loren, Soraya, Marilyn Monroe, Ranieri di Monaco e Grace, ed altri personaggi che si alternavano ai regnanti d’Inghilterra sulle riviste che passavano per casa. Da grande, sotto la guida del compianto Camillo Corrain, ho scoperto che gli attuali regnanti in Inghilterra hanno lontane origini Estensi! Ma, mi dissi, come hanno fatto ad arrivare al prestigioso Tr o n o Inglese e chi erano costoro quando erano a Este mille anni fa? E mi fu spiegato che tutto incominciò da Alberto Azzo II (1009 - 1097), conte
LA MEMORIA DI CARTA della Lunigiana, diventato marchese d’Este nel 1039, e considerato il capostipite del Casato degli Este o Estensi. Veniva dalla famiglia degli Obertenghi, signori di Milano e della Liguria orientale, ma anche principi del Sacro Alberto Azzo II (1009 - 1097), conte della Lunigiana, di- Romano Impero. Infatti ventato marchese d’Este nel Alberto Azzo II viene no1039, e considerato il capo- minato marchese di Este stipite del Casato degli Este o proprio dall’Imperatore Estensi. Veniva dalla famiglia di Germania. Era inoldegli Obertenghi, signori di Milano e della Liguria orien- tre conte di Genova e tale, ma anche principi del Tortona e aveva posseSacro Romano Impero. Infatti dimenti nel modenese, Alberto Azzo II viene nomina- ma anche in questa noto marchese di Este proprio stra terra oggi divisa tra dall’Imperatore di Germania. Era inoltre conte di Genova e Bassa Padovana e Alto Tortona e aveva possedimenti Polesine. Notizie certe anche nel modenese si hanno di una curtis a Merlara, dove oggi si trova villa Barbarigo, di alcune rocche forti sull’Adige, tra Masi e Badia Polesine, dette appunto Marchesane. A Este aveva costruito un castello sopra Calaone e disponeva di un grande esercito ed era proprietario di vasti e fertili terreni coltivati da contadini che, all’occorrenza, scendevano in guerra accanto al suo esercito. Verso il 1035 sposò in prime nozze Cunegonda (o Cunizza, 1020 - 1057), erede dei Guelfi di Altdorf, che portò in dote molti terreni siti in Solesino. Da questo matrimonio nacque Guelfo IV (1040 - 1101), che diventò duca di Baviera dopo essere stato adottato dallo zio materno Guelfo III di Carinzia e averne assunto il cognome dei Guelfi in via di estinzione maschile, e acquisito il potere alla morte dello zio. Trasferitasi in Baviera, questa discendenza ha dato origine a una delle famiglie più importanti della storia europea, i Guelfi, che da un ramo collaterale originò il Casato degli Hannover, salito al trono d’Inghilterra nel 1714 con Giorgio I, e ancora lo detengono con il nome di duchi di Windsor, acquisito nel 1917 (durante la Guerra) per distaccarsi dal passato germanico, accondiscendendo ai propri sudditi. Alberto Azzo II e i collaterali fecero fare notevoli opere di bonifica nel territorio di loro competenza e favorirono la nascita di monasteri, come quelli di Carceri e San Salvaro, ma in particolare quello della Vangadizza di Badia Polesine, situato in prossimità di un’importante strada di comunicazione e di trasporto di merci che è stato l’Adige. Infatti, alla morte di Cunegonda,
I reali d’Inghilterra discendono da un ramo collaterale dei Guelfi Bavaresi che prese il nome di Hannover. Salirono al trono nel 1714 con Giorgio I e tutt’ora lo detengono con il nome di duchi di Windsor, nome acquisito nel 1917 per distaccarsi dal passato germanico della famiglia le spoglie vennero sepolte nell’abbazia della Vangadizza di Badia, luogo in cui, più tardi, si aggiunsero quelle di Alberto Azzo II. Gli attuali regnanti in Inghilterra conoscono le loro lontane origini, e la Regina Madre pare mandasse ogni anno un mazzo di fiori ai sarcofagi degli avi, oggi situati nella piazza di accesso all’abbazia di Badia. Tornando ad Alberto Azzo II, egli si risposò con Gersenda, figlia del conte del Maine, e da questo matrimonio nacquero Folco I (marchese d’Este) e Ugo (conte del Maine). Folco I (1070 - 1136), continuò il ramo italiano degli Estensi, subentrando al padre e dando il via, con i successori, alla Signoria di Ferrara, città conquistata nel 1208 da Azzo VI d’Este, signoria che estese poi i suoi poteri a Modena e Reggio Emi-
L’erede al trono dell’impero Asburgico Francesco Ferdinando era un discendente per via femminile degli Este. Il suo assassinio a Sarajevo il 28 giugno 1914 divenne il pretesto per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale
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LA MEMORIA DI CARTA
Le tombe con le spoglie di Azzo II e Cunegonda si trovano nella piazzetta di accesso all’Abbazia della Vangadizza a Badia Polesine
lia, per limitarsi al solo ducato di Modena e Reggio Emilia dopo che papa Clemente VIII fece tornare Ferrara alle dirette dipendenze pontificie nel 1598. Modena divenne così sede del ducato, mentre gli Este, morto l’ultimo duca Ercole III d’Este, si imparentarono per via femminile con gli austriaci Asburgo-Lorena dando così inizio al ramo degli Asburgo-Este. L’ultimo duca, Francesco V d’Asburgo-Este fu deposto nel 1859 e il ducato fu annesso, nel 1860 con l’unità d’Italia, al Regno di Sardegna. Francesco V d’Asburgo-Este esiliò allora nel suo Castello del Catajo nel Veneto ancora Austriaco, ma nel 1863 si trasferì a Vienna, dopo aver sciolto il suo esercito di 3500 soldati a Cartigliano presso Bassano, e a Vienna morì nel 1875, estinguendo per linea maschile gli Asburgo-Este, che continuarono per via femminile generando anche l’Imperatore Francesco Giuseppe, il cui erede presunto dell’Impero Asburgico, Francesco Ferdinando, fu assassinato il 28 giugno 1914 a Sarajevo. Il fatto di sanL’ultimo duca, Francesco V d’Asbur- gue poi divenne go-Este con la moglie Aldegonda di Ba- il pretesto che viera. Fu deposto nel 1859 e il ducato fu diede avvio alla annesso, nel 1860 con l’unità d’Italia, al Guerra Regno di Sardegna. Esiliò al Catajo nel Prima Mondiale. ProtaVeneto ancora Austriaco
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gonisti della vecchia Europa a tutto tondo quindi! Non so se questa grande casata ha mantenuto proprietà in Italia, ma sappiamo come sono andate le cose da noi e non vorrei sembrare irrispettoso nel pensare alla vita che farebbero questi nobili se fossero rimasti qui, ma lasciatemi ipotizzare cose inverosimili! La vita a volte va irrisa e considerata con leggerezza, dal momento che ci riserva anche cose pesanti! Forse avrebbero mantenuto una proprietà sui Colli Euganei, con bosco, vigneto e agriturismo, avrebbero anche un maneggio, dato che il mio coetaneo Carlo con Camilla hanno passione dei cavalli. Elisabetta e il marito Filippo sarebbero impegnati tutto il giorno a fare “bìgoli col tòrcolo”, ad allevare animali da cortile, a seguire vigneto e cantina, ma Elisabetta sarebbe presente anche alla cassa dell’agriturismo, visto che è lei che comanda in casa! Carlo e Camilla a fare i camerieri a pranzo e cena e i fratelli di Carlo: Andrea, Edoardo e Anna in cucina a preparare galletti e braciòle; invece il principe William, che ha la passione di guidare gli elicotteri, forse condurrebbe lo scuolabus di Sant’Elena, e sua moglie Kate commessa all’Aliper di San Fidenzio. Henry, detto Harry, che sembra avere la passione per l’esercito, potresti incontrarlo a Solesino a fare il vigile e sua moglie Meghan, proveniente dal mondo del cinema e della moda, la troveresti come commessa in qualche boutique! Così va da noi, e per questo non ci pensano neanche un minuto a tornare nella Bassa; nel 1917 hanno cambiato cognome per non essere confusi con i tedeschi, figuriamoci se ci tengono a rimembrare le italiche origini; stanno troppo bene dove sono, anche con la Brexit!
I reali d’Inghilterra nel loro agriturismo sui Colli Euganei
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AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli
Colombi o Piccioni? Nomi diversi che tuttavia indicano animali che appartengono alla stessa specie, la Columba Livia
I
n clima di Pasqua non potevamo esimerci dal parlare di una specie alla quale si ispira un classico dolce del periodo: la colomba, che in ornitologia ha lo stesso significato di Piccione. Entrambi appartengono alla stessa specie, la Columba Livia. I piccioni sono sicuramente tra gli uccelli più facilmente identificabili, ma è necessario fare dei distinguo. Il Piccione di città deriva da un lungo processo di domesticazione, iniziato tra 5 e 10 mila anni fa, quando gli esseri umani cominciarono ad allevare giovani del Piccione selvatico. Nel corso dei millenni l’uomo ha allevato i piccioni, operando una selezione per alcuni caratteri quali le dimensioni, la prolificità, le caratteristiche delle carni, la capacità di orientamento e la bellezza portando all’origine di numerose razze. Le attuali popolazioni di Piccione di città hanno avuto origine da soggetti sfuggiti al controllo e da un punto di vista zoologico,
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il Piccione di città rappresenta un’entità particolare, che non sarebbe da assimilare né alla forma selvatica né a quella domestica. Si tratta infatti di un animale domestico inselvatichito che attualmente si comporta come un selvatico, avendo però le origini più prossime nella sfera domestica. Questo porta una difficoltà anche di tipo linguistico: piccione o colombo? Nelle pubblicazioni sono state impiegate 25 combinazioni diverse tra nomi in italiano e nome scientifico tra cui “Piccione urbano”, “Piccione torraiolo”, “Colombo urbano”. La nomenclatura ritenuta più valida dai ri-
Il Piccione selvatico è il capostipite di tutte le altre razze. In Italia la sua presenza è molto rara, esistono popolazioni solo in Sardegna e in alcune zone appenniniche
AMICI CON LE ALI Il Piccione domestico viene allevato fin dall’antichità con molte varianti, a seconda dello scopo. Tra queste il “viaggiatore”, selezionato per la sua abilità di tornare alla colombaia Cavità e cornicioni sono ottimi luoghi per costruire il nido
cercatori negli ultimi decenni è stata Colombo di città Columba livia forma domestica mentre recentemente, dopo attenta analisi della letteratura ornitologica e dei moderni criteri tassonomici, si è giunti alla conclusione che la definizione più corretta è Piccione di città Columba livia forma domestica. Le altre tipologie conosciute sono Piccione selvatico (specie selvatica rinvenibile in natura, capostipite di tutte le razze, con rare popolazioni che sopravvivono in Italia soprattutto in Sardegna e in alcune zone appenniniche), Piccione torraiolo (un Piccione selvatico che si è inurbato spontaneamente, situazione ancora presente fino all’inizio del 1900, ma oggi praticamente scomparsa), Piccione domestico (allevato dall’uomo fin dall’antichità con molte varianti a seconda dello scopo) tra cui il Piccione viaggiatore (razza di Piccione domestico, selezionata per compiere viaggi lunghi e per la sua abilità a tornare alla colombaia). Il Piccione di città depone due uova per covata e la stagione riproduttiva si estende per tutto l’anno, la durata della vita è abbastanza breve e raramente supera tre anni. Può essere confuso con altre due specie selvatiche: la Colombella e il Colombaccio. La Colombella è più piccola, occhi neri, becco minuto di colore rosso e giallo ed è relativamente rara: negli ultimi decenni in considerevole decremento, legato probabilmente alla progressiva scomparsa dei grandi alberi con
cavità che questo uccello utilizza per la nidificazione. Il Colombaccio è notevolmente più grande, con caratteristiche barre bianche sopra le ali e macchie bianche intorno al collo, spesso in grandi stormi e negli ultimi anni in espansione. Il Piccione di città entra spesso nelle cronache e nell’opinione pubblica dove si è diffusa la convinzione che porti malattie. In realtà la questione deve essere ricondotta ad un contesto di razionalità, considerando che qualsiasi animale può essere portatore di patologie, sebbene nel concreto la possibilità di trasmissione dipenda da un insieme piuttosto complesso di fattori, in cui si sommano circostanze ambientali più o meno favorevoli alla diffusione, caratteri propri dell’agente infettante e fattori predisponenti dell’ospite. La sua presenza numerosa può causare inconvenienti, dovuti soprattutto all’accumulo del guano, mentre le problematiche sanitarie restano perlopiù a livello di potenzialità. Gli interventi che si possono applicare per contenerlo si riconducono a un corretto comportamento evitando di spargere cibo e rifiuti, installando correttamente negli edifici i dissuasori di appoggio, riducendo le aperture di nicchie e fori in maniera selettiva, in modo che le specie più piccole quali rondoni, passeri e pipistrelli possano continuare a utilizzare questi siti di nidificazione e rifugio. Hanno una certa efficacia circoscritta l’uso di deterrenti ad azione ottica, acustica, integrata a cui però i piccioni si abituano rapidamente mentre i repellenti chimici dovrebbero avere componenti vegetali per non impattare sull’ambiente.
Varietà di piumaggi del Piccione di città
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AMICI CON LE ALI Deterrenti efficaci sono l’incremento dei predatori naturali: rapaci come il Falco pellegrino e l’Allocco si inurbano facilmente se c’è abbondanza di prede e quindi è suggerita l’installazione di nidi artificiali per questi uccelli. Ultrasuoni e gel repellenti al tatto non funzionano, efficacia ancora da studiare la distribuzione di antifecondativi selettivi mentre veleni e sistemi cruenti sono pericolosi, non efficaci e vietati dalla legge. Le esperienze effettuate in numerose città italiane ed estere hanno dimostrato molto chiaramente che le catture seguite da soppressioni di massa riducono le popolazioni solo momentaneamente e spesso portano in poco tempo ad un costante incremento delle stesse. Per chi vuole approfondire l’ar-
PICCIONE Rappresenta un’entità particolare che non sarebbe da assimilare né alla forma selvatica né a quella domestica. Si tratta, infatti, di un ex animale domestico che è tornato a comportarsi come una specie selvatica
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gomento consiglio di consultare un vero e proprio manuale per la gestione di questa specie: “Il Piccione di città. Strategie per la gestione” a cura di Marco Dinetti (Responsabile nazionale Ecologia urbana Lipu) che si può scaricare da www.lipu.it
COLOMBELLA È più piccola delle altre specie, ha occhi neri, becco minuto di colore rosso e giallo. Il suo numero è in decremento, forse a causa della progressiva scomparsa dei grandi alberi con cavità in cui nidifica
Documenti per la c on s e rv a z i one della natura
IL PICCIONE DI CITTÀ. STRATEGIE PER LA G E S T I O N E
COLOMBACCIO È notevolmente più grande delle altre due specie ed è facilmente identificabile grazie alle barre bianche sopra le ali e le macchie bianche intorno al collo. Spesso in grandi stormi, negli ultimi anni è in espansione
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