N. 26 - Febbraio - Marzo 2018 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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PANORAMA GASTRONOMICO
STORIA E DINTORNI
“Mettete dei fiori nei vostri cenoni”
La mostarda del pittore Bonatti
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EDITORIALE
25 APRILE 1945:
di Mattia De Poli
liberazione… da che cosa?
L
a festa della Liberazione è stata istituita prima della nascita della Repubblica italiana, nella primavera del 1946: la proposta del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi venne recepita da un decreto del principe Umberto di Savoia, luogotenente del Regno. La Seconda guerra mondiale era finita da meno di un anno. La data prescelta fu quella del 25 aprile: quel mercoledì del 1945, infatti, il Comitato di liberazione nazionale italiano aveva indetto uno sciopero generale a Milano. Lo aveva annunciato il comandante partigiano Sandro Pertini a Radio Milano Libera: “contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine”. Un modo per mettere i soldati tedeschi, che dopo l’8 settembre del 1943 si trovavano sul suolo italiano non da alleati ma da invasori, “di fronte al dilemma: arrendersi o perire” e per mettere fine a quella guerra nella quale l’Italia fascista era intervenuta con tante ingenue aspettative nel 1940. Il 25 aprile doveva celebrare la pace e, soprattutto, la “totale liberazione del territorio italiano”. Ma dal 1943, con la firma dell’Armistizio, la guerra non era solo una lotta contro lo straniero, che costringeva le “itale genti” ad un duro “servaggio” come nel Risorgimento e, in parte, ancora nella Prima guerra mondiale. Alleata della Germania nazista, Mussolini aveva fondato a Salò la Repubblica sociale italiana. Allora, in un Paese diviso tra due Stati, partigiani contro nazifascisti: italiani contro tedeschi ma anche contro altri italiani, come in una guerra civile. Il 25 aprile i tedeschi lasciano Milano, ma con loro se ne vanno anche i soldati della Repubblica di Salò. Quella data rappresenta la ricomposizione dell’unità nazionale, anche attraverso la sconfitta del Fascismo. IL FASCISMO E I NEO-FASCISMI La questione riemerge quando, il 1° gennaio 1948, entra in vigore il documento fondativo della Repubblica italiana: la 12° norma transitoria della Costituzione vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Ma cosa significa “sotto qualsiasi forma”? Riorganizzare il partito fascista vuol dire semplicemente fondare un partito con questo nome? No, il nome non è tutto. Le necessarie precisazioni arrivano quattro anni più tardi, nel 1952, con la “legge Scelba” che menziona “finalità antidemocratiche”, “violenza” agita o anche soltanto minacciata o esaltata come strumento di lotta politica, “propaganda razzista”, denigrazione della democrazia e delle istituzioni democratiche, soppressione delle libertà costituzionali. A completare il quadro, però,
c’è anche il disprezzo per i valori della Resistenza, l’esaltazione della memoria di uomini, fatti, metodi e principi del Regime fascista e qualsiasi manifestazione esteriore di carattere fascista. Vi si potrebbe leggere un inutile accanimento contro chi ha una visione politica particolare: un atteggiamento antidemocratico, illiberale, e proprio per questo motivo - paradossalmente - “fascista”. Sulla stessa linea sembra porsi il presidente della Repubblica Sandro Pertini, che in un’intervista ha dichiarato di essere socialista ma di rispettare e discutere la fede politica degli altri: unica eccezione, l’ideologia fascista. Perché? Perché il Fascismo nella sua realizzazione storica in Italia ha negato la libertà di opinione, opprimendo chi aveva un’idea diversa. Non ci fu solo l’errore dell’entrata in guerra. Le leggi razziali non furono solo un omaggio formale all’alleata Germania nazista. Ha costituito le squadre paramilitari delle camicie nere. Ha eliminato fisicamente avversari politici. Ha soppresso tutti i partiti diversi da quello fascista, tutti i sindacati e tutte le forme di associazionismo diversi da quelli controllati dal Regime. Chiunque oggi richiama l’attenzione sul fascismo deve fare i conti con questi fatti. NOSTALGIA E RETORICA La nostalgia è sempre una vana illusione: nulla di ciò che è passato è recuperabile integralmente e ogni tentativo è destinato ad essere frustrato. Ma parlare di nostalgia per qualcosa di estraneo dal proprio vissuto è addirittura insensato. Oggi come può un ventenne o anche un settantenne dirsi nostalgico del Fascismo? Forse può vagheggiare la grandezza nazionale, di cui il Fascismo si gloriava ai tempi dell’autarchia o dell’impero coloniale, ma a quale prezzo? Il sogno di una piena sovranità nazionale spazzerebbe via il lavoro politico svolto negli ultimi settant’anni sul piano diplomatico ed economico nell’orizzonte della sovranazionalità europea. Criticabile, correggibile ma non del tutto spregevole. A volte, la memoria del passato viene affidata al fascino della retorica e il Fascismo la seppe usare con singolare maestria: espressioni come “Vincere. E vinceremo!” o “Boia chi molla!” conservano una forte connotazione e spesso chi le pronuncia vuole ribadirla. Le parole hanno un significato proprio ma hanno anche un peso derivante dalla loro storia: conoscerla permette di non incappare in scivoloni involontari. La conoscenza permette di non inseguire vaneggiamenti impossibili ed è il presupposto indispensabile per un pieno esercizio delle libertà riacquistate grazie alla Liberazione.
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CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO
FINALMENTE UNA RETE IRRIGUA LIBERA DA PFAS Il Ministero ha dato via libera al progetto esecutivo presentato dal Consorzio di Bonifica Adige Euganeo. Attraverso il Piano Irriguo Nazionale sono stati messi a disposizione 45 milioni di euro, per evitare che in campagna venga impiegata l’acqua del Fratta Gorzone Il progetto consorziale per la realizzazione di una rete irrigua che permetta di evitare prelievi di acqua dal Fratta Gorzone ha ottenuto il via libera dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 febbraio. Il sostanziale “placet” è stato confermato dalla Regione, nella figura dell’assessore Giuseppe Pan, e dell’Associazione Nazionale dei consorzi, ma a rendere ancora più interessante la notizia è che il finanziamento messo a disposizione dal Ministero, attraverso il Piano Irriguo Nazionale, doppia quasi la cifra del progetto, 25 milioni di euro, stanziandone 45. “Sì - spiega il presidente del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo, Michele Zanato - si tratta di un grande risultato e per questo è importante ribadire il lavoro che il Consorzio ha svolto per risolvere la problematica dell’acqua inquinata del Fratta Gorzone in agricoltura. Il problema è serio. Quando ho visto che alcuni prodotti agricoli nei mercati e nei negozi venivano esposti con cartelli che indicavano la provenienza da aree non coinvolte dall’inquinamento del Fratta, mi sono reso conto che la nostra agricoltura stava per essere sfiduciata. Il lavoro dei nostri agricoltori, seppur condotto con grande perizia e competenza rivolte sicuramente alla qualità, stava per essere declassato, peggio:
denigrato, da evitare. E quindi sul finire dell’anno 2017 non ci abbiamo pensato un secondo ad investire i 350 mila euro risparmiati nel corso dell’anno, anche grazie alla scarsità di eventi piovosi, per rendere esecutivo un progetto per l’estensione della rete irrigua a servizio di quelle aree toccate dal problema dei Pfas”. Il tempismo forse è proprio uno di quegli elementi che hanno portato il progetto a godere di un’elevata considerazione sia in Regione che successivamente in Ministero, di fatto il progetto del Consorzio è stato l’unico ad arrivare in forma esecutiva sui tavoli istituzionali Stato-Regioni, l’altro è sicuramente l’urgenza di intervenire a fronte di un problema così grave, ma di certo c’è anche la determinazione del Consorzio nel riuscire ad avere strumenti e risorse per mettere
Zanato: “In poco più di tre mesi abbiamo impiegato oltre 350 mila euro in attività progettuali: possiamo proprio dire che per il Consorzio questo è un buon investimento” Consorzio di Bonifica Adige Euganeo • www.adigeuganeo.it ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054
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in campo una propria risposta. “Da quando il sottosegretario Giuseppe Castiglione ha presentato il Piano Irriguo Nazionale in Veneto - continua Zanato - era lo scorso luglio, ci siamo messi immediatamente all’opera presenziando, intervenendo ai vari convegni dedicati e facendo diversi viaggi a Roma. Del resto in tre mesi abbiamo impiegato oltre 350 mila euro in attività progettuali: è chiaro che per il Consorzio si tratta di un vero e proprio investimento, in quanto il Piano Irriguo Nazionale prevedeva risorse per circa 300 milioni di euro per l’intero territorio italiano, ossia solamente 20 milioni a regione. Ora per avere qualche chance di ottenere questo finanziamento, abbiamo deciso di puntare sul Consorzio Leb che come è noto è costituito oltre che dal nostro Consorzio, da quello dell’Alta Pianura Veneta e del Consorzio Bacchiglione. Così si giustifica anche l’importo maggiorato del finanziamento messo a disposizione del Ministero attraverso il Piano Irriguo Nazionale”. Un risultato importante per questo territorio se si pensa che gli ultimi significativi finanziamenti arrivati in queste aree hanno riguardato alcuni interventi irrigui e, ancor prima, la sistemazione della Botte di Lozzo. “E pensare - conclude Michele Zanato - che qualche difficoltà l’abbiamo incontrata anche al nostro interno. L’idea Il cartello che negozi e banchi di destinare i 350 mila al mercato espongono per rassicurare euro risparmiati nel la propria clientela sulla provenienza dei prodotti in vendita corso del 2017 alla
Fratta Gorzone
Gli ultimi significativi finanziamenti arrivati in queste aree hanno riguardato alcuni interventi irrigui di origine ministeriale e, ancor prima, la sistemazione della Botte di Lozzo realizzazione di un progetto esecutivo per l’estensione della rete irrigua non era piaciuta alla minoranza presente in Assemblea, che avrebbe preferito che questa cifra fosse destinata a contrastare le minori entrate dovute alle difficoltà di incasso dei contributi consortili. In realtà, già con il bilancio di previsione 2017 e poi con il bilancio di previsione 2018 l’Amministrazione di cui ho la responsabilità ha iniziato a fronteggiare questa situazione, stanziando in misura crescente delle somme che sterilizzano le minori entrate contributive. L’estensione della rete irrigua, invece, era ed è una delle urgenze da affrontare per il futuro della nostra campagna e il fatto che questa terra, spesso dimenticata dalle istituzioni, abbia trovato attraverso il Consorzio sensibilità, attenzioni e risorse non può che essere considerato un grande risultato”.
IL PROGETTO Una condotta sotterranea lunga 21 chilometri, in estensione al Leb, da Cologna Veneta a Masi e Castelbaldo, per l’alimentazione di una rete irrigua che permetterà di evitare i prelievi direttamente dal Fratta-Gorzone. Si concretizza in questo il progetto che qualche mese fa il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo ha presentato per essere inserito nel Piano Irriguo Nazionale. La cifra necessaria per completare l’iter progettuale, 350 mila euro, era stata messa a disposizione grazie al risparmio di energia realizzato lo scorso anno, quando a causa della siccità estiva le pompe idrovore non erano state azionate per diversi mesi. La rete in parte già esistente e in parte da eseguire ex novo, alimentata dai vari sifoni e capillarizzata nelle campagne attraverso canalette e condotte in cemento, garantirà la disponibilità di acqua a scopi agricoli a tutta la parte meridionale del territorio di competenza del Consorzio Adige Euganeo, acqua, va precisato, pulita e che quindi andrà a servire quelle aree attraversate dal Fratta Gorzone, dove un prelievo direttamente dal fiume rischierebbe di estendere il problema di inquinamento attraverso la rete alimentare.
Per tenerti informato sull’operatività del Consorzio di Bonifica Adige Euganeo e sui progetti che riguardano il territorio, iscriviti alla newsletter settimanale, basta entrare nel sito www.adigeuganeo.it, cliccare sul tasto “Contatti” e registrarsi
L’ELZEVIRO di Eliano Morello
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’IGNORANZA Capita sempre più spesso che alcune parole d’ordine del marketing diventino concetti ai quali l’opinione pubblica lega la salute o il benessere fisico. Non sempre è così
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ecentemente mi è capitata tra le mani una rivista che solitamente è in distribuzione gratuita presso le farmacie. L’occhio, guarda caso, mi è caduto su un articolo dal titolo sibillino: “Infertilità? Occhio a cosa mangiate”. Non desidero affrontare questioni di cui non ho la dovuta conoscenza, ma vorrei sottolineare soltanto un particolare: l’autrice dell’articolo è una biologa nutrizionista, non un medico (ginecologo/andrologo/ endocrinologo...), e sostiene che l’infertilità (insieme a tante altre “magagne” che colpiscono la nostra salute) sia causata da ciò che ingeriamo. L’articolo inizia con il famigerato IMC (“Indice di Massa Corporea”, noto in inglese con l’acronimo BMI), un dato biometrico espresso come il rapporto tra il peso corporeo
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e il quadrato dell’altezza di un individuo. In base a tale indice, i soggetti vengono raggruppati in classi: gravemente anoressico, anoressico, normopeso, sovrappeso, obeso e gravemente obeso. È da notare che tale indice non è quasi mai usato dai medici poiché non tiene conto di una miriade di altri fattori (oltre al peso e all’altezza), quali il sesso, l’età, la genetica, la densità ossea (che non è la stessa per tutti noi!), la percentuale di massa grassa e muscolare... Se non consideriamo tutto ciò, un pugile - peso massimo (ad esempio Mike Tyson con IMC di 30,86) rientrerebbe sicuramente nella categoria “obeso grave” dell’IMC, quando in realtà tutto ciò che possiede sono muscoli, non grasso! All’opposto una modella come Claudia Schiffer con IMC pari a 16,97 rientrerebbe nella cate-
L’ELZEVIRO IMC Indice di Massa Corporea
SOTTOPESO
NORMALE
SOVRAPPESO
IMC =
OBESO
Peso (Altezza)2
MOLTO OBESO
L’indice IMC considera tutti gli esseri umani come “scheletricamente sovrapponibili”, pertanto si tratta di un valore altamente discutibile mai usato dai medici
goria “visibilmente sottopeso” (55 kg per 180 cm di altezza) quando è fin troppo normale. Quindi, l’IMC considera tutti gli esseri umani come “scheletricamente sovrapponibili” (nessuna distinzione), pertanto si tratta di un valore altamente discutibile. Delegare a una calcolatrice o a un computer la nostra biologia è dunque azzardato e inverosimile. Come ben sappiamo i numeri vanno interpretati e capiti, ma se sono dati in pasto al comune cittadino senza un’adeguata descrizione dei limiti di tali indici, quest’ultimo potrebbe iniziare una dieta squilibrata solo perché l’IMC non lo fa rientrare nella categoria di coloro che possono vantare un peso ideale! A questo proposito vi rimando ad un bellissimo articolo (a mio personale giudizio) scritto da E. Djalma Vitali e pubbli-
In generale un’alimentazione sana depone sempre a favore di una vita sana, ma nessun ginecologo, andrologo o endocrinologo consiglia rimedi alimentari per aumentare la fertilità umana
cato su Sapere - Giugno 1996 pag. 83. Comunque, a parte questa piccola digressione (spero chiarificante per molti), torniamo al famigerato articolo, in cui la biologa nutrizionista sostiene che sia eccessiva magrezza che eccessivo peso corporeo possano influire su ovulazione, spermatogenesi e fertilità (maschile e femminile). Non solo, anche i cibi inquinati (come l’acqua con PFAS) e l’inquinamento ambientale in generale sembra possano incidere sulla produzione e azione degli ormoni sessuali (sono i famosi “interferenti endocrini”). In agricoltura, ad esempio, sono già stati limitati gli utilizzi di sostanze contenenti forforo, quali fosfiti e fosfonati di potassio. Dall’articolo però, pare che a farla da padrone nell’infertilità siano soprattutto le cattive abitudini alimentari e le diete squilibrate: per migliorare la qualità della vita e la fertilità occorre una sana alimentazione (cito testualmente) fatta di “verdura, in particolare crucifere (broccoli, cavoli, cavolo cappuccio, cavoletti di Bruxelles), frutta, in particolare agrumi e avocado, frutta secca, cereali integrali, legumi e uova, meglio se freschi, di stagione, biologici o non trattati, a km 0. Infatti, bisogna fare estrema attenzione agli inquinanti ambientali, spesso utilizzati nelle coltivazioni convenzionali, che possono fungere da interferenti endocrini”.
Esistono molte produzioni convenzionali che, adottando un particolare calendario di difesa, forniscono un prodotto senza residui (a residuo 0) Purtroppo, capita spesso che chi si avventuri a parlare di cose che non conosce faccia inevitabilmente brutta figura. La biologa qui ci è cascata in pieno perchè sostenere che i prodotti biologici non sono trattati è una fesseria grande come una casa. Essendo un modesto diplomato in agraria ve lo posso dire con una certezza del 110%: i prodotti biologici sono trattati con sostanze ad azione fungicida ed insetticida e molte di queste sono impiegate anche in agricoltura convenzionale (per chi volesse accertarsene personalmente, si può consultare l’elenco sulla banca dati di Federbio). Un’altra puntualizzazione: che cosa significa “a km 0”? Vuol semplicemente dire che ciò che mangiamo non dovrebbe aver percorso neanche un metro di strada dal luogo di produzione al luogo di vendita (cioè i due luoghi dovrebbero coincidere): in altre parole i consumatori dovrebbero andare (tutti) ad acquistare il prodotto in azienda dal produttore. Non
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L’ELZEVIRO al mercato contadino di Monselice, di Padova, di Cittadella perchè, altrimenti, non è più a km 0 (a meno che non sia solo una trovata pubblicitaria). Qualcuno poi dovrebbe convincermi del fatto che i produttori del “km 0” non effettuano trattamenti e che la fonte è certa e sicura. Stando a quanto scrive la biologa, il km 0 “ci aiuta a tenere a bada la presenza di queste sostanze [gli interferenti endocrini], soprattutto perché abbiamo modo di parlare direttamente col produttore per farci spiegare i metodi utilizzati per la produzione del nostro cibo”. A parte il fatto che la parola del contadino non sempre è una verità biblica (ce ne sono che, pur di vendere il loro prodotto, sarebbero disposti anche a vendere la loro madre!), ma mi sorprende che questa biologa nutrizionista (e tanti altri che parlano a vanvera di ciò che non sanno) non conosca la differenza tra una certificazione di qualità e una certificazione di processo. Lo ripeterò fino all’esaurimento perché pare che non sia mai abbastanza: il biologico NON è una certificazione di qualità! Queste parole indicano che l’autrice dell’articolo non ha ancora capito che cosa significa il termine “biologico” riferito all’agricoltura. Ecco perché dico che quando qualcuno parla (o scrive) di ciò che non sa, rischia di farlo a sproposito e spesso una brutta figura non gliela toglie nessuno. È chiaro che per essere obiettivi bisogna conoscere, dati alla mano (non credere di conoscere sulla scia delle simpatie o dei sentimenti). Pochi sanno, ad esempio, che molte aziende produttrici di alimenti
In agricoltura sono già stati limitati gli utilizzi di sostanze contenenti forforo, quali fosfiti e fosfonati di potassio
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Pochi sanno che molte aziende produttrici di alimenti per l’infazia spesso preferiscono orientarsi su prodotti frutticoli a residuo 0 piuttosto che biologici
per l’infazia (baby food) spesso preferiscono orientarsi su prodotti frutticoli a residuo 0 piuttosto che biologici (anni fa ho lavorato personalmente per un’azienda frutticola fornitrice della Plasmon e, a quel tempo, la multinazionale acquistava prodotti “controllati” e non lo nascondeva). Esistono infatti produzioni convenzionali che, adottando un particolare calendario di difesa, forniscono un prodotto senza residui (a residuo 0), dove tutti i principi attivi ricercati sono inferiori a 0,01 ppm - 10 ppb). Si tratta di dati dimostrabili: sono le analisi a parlare. Inoltre, se un’azienda è anche certificata GlobalGap, nelle analisi si ricerca (oltre la multiresiduale) anche il residuo di metalli pesanti quali rame, piombo e cadmio, e di zolfo. Nel mondo del biologico, le analisi multiresiduali sono compito e facoltà degli Organismi di Controllo (Enti Certificatori) e spesso si limitano a una multiresiduale. Questo per dire che il settore del biologico non è l’unico ad essere controllato: ci sono tanti produttori convenzionali che certificano “volontariamente” le proprie produzioni (pensate solo al prodotto ottenuto con la “difesa integrata”). Solo operando nel settore si può avere il sentore di come si lavora e quali sono le professionalità in campo. Spesso dove si registrano grandi numeri ci sono anche molti più controlli, grandi numeri, infatti, significano ingenti proventi, che possono essere destinati a sostenere le spese per le analisi della frutta e della verdura. Conosco aziende commercianti frutta che prima di comperarla da qualsiasi agricoltore sottopongono la merce ad analisi multiresiduale. Se il prodotto risponde ai requisiti richiesti viene acquistato altrimenti viene respinto. Fare di ogni erba un fascio è un grave errore. Specialmente per chi dovrebbe informare. Troppe persone hanno ancora, purtroppo, una visione “spannometrica” della realtà, o forse cercano solo di convicersi (e convincere gli altri) che le loro idee e opinioni sono valide. Ma i fatti sono ben diversi. Beata ignoranza.
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Vivai Lorin Maurizio,
esperienza e tradizione per impianti di sicuro successo Produzione e vendita barbatelle di viti e piante da frutto. Ampia gamma di varietà e selezioni clonali Quasi un secolo di esperienza qualifica l’offerta dei Vivai Lorin Maurizio di Arre nel padovano. Erano gli anni ‘30 del secolo scorso quando Pasquale Lorin, padre dell’attuale titolare, iniziò all’età di 13 anni l’attività di innesto delle viti in campo. Si trattava delle prime contromisure contro il flagello della filossera, il parassita che aggrediva le radici delle vigne facendole morire, per il quale pareva non esserci rimedio. La risposta invece fu trovata nella tecnica degli innesti-talea, un’ingegnosa applicazione di lotta biologica ottenuta innestando su un ceppo immune agli attacchi, come alcune varietà provenienti dalle Americhe, propaggini delle specie au-
toctone. Al tempo questa tecnica permise di salvaguardare l’economia viti-vinicola e un patrimonio genetico-vinicolo di inestimabile valore e tutt’ora permette una produzione di piante forti e dalle rese importanti attraverso il moderno vivaismo viticolo. Ancora oggi, infatti, questa esperienza viene portata avanti con successo dai Vivai Lorin Maurizio per una produzione orientata a restare al passo con le esigenze del mercato e a offrire un prodotto sempre migliore. Sono circa un milione le barbatelle di viti che ogni anno vengono preparate per essere destinate ai viticoltori del Triveneto, dell’Emilia Romagna, della Campania, della Toscana, dell’Abruzzo, del-
le Marche e della Puglia praticamente esaudendo ogni richiesta in termini di varietà (autoctone, antiche, da tavola) e di quantità. Quasi 17 ettari di campagna, infatti, sono destinati ad una produzione ancora artigianale che risponde ai parametri tecnico-qualitativi della normativa nazionale. Il materiale di propagazione deriva da portainnesti e gemmai controllati dal servizio fitosanitario regionale del Veneto e selezionati dall’azienda per garantire ottime rese e qualità di uve eccellenti. La stessa qualità viene estesa anche alle piante da frutto, di cui i Vivai Lorin curano la commercializzazione sia in vaso che a radice nuda, e alle piante da piccoli frutti.
Sono circa un milione le barbatelle che ogni anno vengono prodotte, selezionando circa 60 varietà per la produzione di uva da vino e 20 per le uve da tavola. Praticamente ogni richiesta può essere esaudita Vivai Lorin Maurizio via Campagnon, 21 - 35020 Arre (Padova)
I Nostri Servizi
• Rapporto diretto con la clientela • Assistenza tecnica nella scelta della varietà • Moltiplicazione di biotipi aziendali ritenuti interessanti • Conservazione delle barbatelle in cella frigo a temperatura e umidità controllate • Consegna delle barbatelle al momento dell’impianto • Possibilità di fornire il vigneto “chiavi in mano” • Disponibilità per l’effettuazione di eventuali analisi del terreno • Recupero e selezione di varietà antiche o minori
Ampia varietà di piante da frutto sia in vaso che a radice nuda
La tecnica degli innesti-talea
Si parte allevando in azienda portainnesti selvatici (come il Kober 5BB; l’So4, il 110 110 Richter; il 779 Paulsen; il 1103 Paulsen; il 420 A; etc, etc) i loro tralci vengono fatti sviluppare su una rete orizzontale. A dicembre/gennaio vengono tagliati per farne talee che verranno innestate nel periodo compreso tra febbraio e a aprile con gemme delle varietà desiderate. Vengono poi messe a germogliare in serre riscaldate una temperatura di circa 35 g° e successivamente trapiantate in vivaio. A novembre vengono tolte per essere confezionate e commercializzate. La grande esperienza dei Vivai Lorin Maurizio vale come garanzia per piante forti, resistenti e con ottime rese.
Alcune delle varietà prodotte dai Vivai Lorin Maurizio
Corniola
Chardonnay
Garganega
Glera
Italia
Black Pearl Turi
Cabernet Sauvignon
Fragola Nera Precoce
Francese Rosa
Lambrusco
Tel. e Fax 049 5389022 - Mob. 339 6414427
L ’ape STORIA E DINTORNI di Mauro Gambin
DA OPERAIA RISCHIA DI DIVENTARE SERVA Ormai vive solo in cattività, ossia negli apiari degli apicoltori che si occupano anche di sfamarle nei periodi in cui in campagna ci sono pochi fiori. Dall’inquinamento ai cambiamenti in campagna e dai pesticidi a base di neonicotinoidi alla presenza di insetti predatori, la loro vita è sempre più difficile
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areva un mondo perfetto quello delle api, organizzato in società così ben strutturate da superare per efficienza quelle umane e imperniato in una forma tale di simbiosi con il mondo vegetale, da assumere su di se la responsabilità della riproduzione di piante ed erbe, che pare inspiegabile la sua crisi. Eppure l’operoso insetto è in difficoltà. Nel silenzioso buio dell’alveare si sta consumando una tragedia che non è destinata a rimanere confinata in quel piccolo mondo ronzante, ma ad estendersi al nostro, visto che più di un terzo dell’alimentazione umana dipende dall’impollinazione delle api. Questi piccoli insetti, infatti, sono responsabili di circa il 70% della impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantendo circa il 35% della produzione globale di cibo. Senza api non c’è vita se è vero che Einstein era quel genio che si conosce e fosse davvero sua quella frase che quantifica in appena quattro
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anni la fine dell’uomo senza il suo prezioso alleato. Forse lo scienziato non sapeva nulla di api e forse la stima è piuttosto catastrofica, tuttavia bisogna iniziare a proteggere questo piccolo insetto oggi minacciato insieme a tanti altri insetti impollinatori. Gli apicoltori vedono di anno in anno ridursi i loro allevamenti e di conseguenza le loro produzioni, ma, come si è detto, la posta in palio va ben al di là del mercato del miele e dei suoi derivati. “Le api sono degli indicatori biologici straordinari spiega Ferruccio Buson, allevatore da ben 15 anni e responsabile per la zona del montagnanese di APAPAD, l’Associazione Patavina Apicoltori in Padova se la loro esistenza si sta facendo di anno in anno più difficile vuol dire che le stesse difficoltà sono nell’ambiente, ossia in quello spazio in cui viviamo anche noi, e sono riconducibili all’inquinamento, ai cambiamenti climatici e in parte anche a quel mondo
STORIA E DINTORNI
Le api sono probabilmente i meno conosciuti operatori nell’industria agricola. Sono le responsabili di circa il 70% della impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta, garantendo circa il 35% della produzione globale di cibo
dell’agricoltura che ha dimenticato l’importante ruolo svolto dai nostri insetti nelle produzioni. Sappiamo da autori come Plinio il Vecchio che i contadini romani erano quasi sempre anche degli allevatori di api, Virgilio nelle “Georgiche” tratta dell’organizzazione dell’apiario e delle flora apistica, ma oggi questa conoscenza è strettamente legata a qualche appassionato. Ed è questa distanza, secondo me, che ha portato con disinvoltura a cambiamenti drastici nelle nostre campagne, in totale non curanza di quelle conseguenze che spesso sono l’origine dei guai per le api”. Dalla scomparsa di quegli elementi della campagna che erano caratteristici, come le capezzagne o le siepi, fino all’impiego massiccio di pesticidi a base di neonicotinoidi, che fanno perdere l’orientamento alle api bottinatrici, o alle coltivazioni mono-varietali sempre più estese, come ad esempio i vigneti negli ultimi anni, tutto contribuisce a rendere più difficile la vita delle api. “Muoiono letteralmente di fame - continua Ferruccio - ormai mancano quasi del tutto quelle fioriture spontanee che fanno da ponte alle fioriture principali. Per la produzione di miele unifloreali del miele contano queste ultime, come il tarassaco, l’acacia, il tiglio o quelle da coltivazioni come la colza, il girasole o l’erba medica, ma tra queste servirebbero alle “bottinatrici” anche altre essenze come l’olmo o la sanguinella, un tempo diffuse tra le siepi, e oggi totalmente scomparse. Inoltre le siccità, quando iniziano già dalla primavera, come negli ultimi anni, compromettono l’esuberanza delle piante nelle fioriture e
riducono notevolmente la disponibilità di nettare per le api. Sicché le alimentiamo noi con della pasta di zucchero o degli sciroppi zuccherini, ma questo rende le “nostre amiche” un insetto destinato alla cattività”. Insomma da operaia, l’ape, rischia di diventare una schiava totalmente asservita alla produzione di miele, ma che cosa ne sarà degli altri insetti pronubi, cioè impollinatori come le farfalle, i sirfidi, i bombi, che non hanno la stessa capacità di produrre qualcosa di gradito all’uomo? “Basta guardare i cofani delle auto - continua Ferruccio - una volta c’erano una miriade di specie di insetti spiaccicati, oggi ci sono solo zanzare. Questo sta a significare che ci stiamo impoverendo di biodiversità, ossia quella condizione che garantisce equilibrio in natura e di conseguenza prosperità. La funzione di questi insetti è fondamentale anche per le piante, attraverso l’impollinazione contribuiscono agli incroci che le rendono più forti e resistenti. C’è poi un altro aspetto che li rende importanti, alcuni di questi collaborano con le api: è il caso del bombo che per i fiori di acacia (robinia) funge da “apriscatole”. Questa è una pianta che è stata portata qui 4-5 secoli fa, sembrerebbe autoctona, ma in realtà è originaria dell’America del Nord, ed essendo una presenza recente l’ape non si è ancora adattata ad aprirne i fiori per il prelievo del nettare, riesce ed entrare solo se prima è passato un bombo. In natura esistono delle collaborazioni che lasciano sbalorditi”. Tuttavia non è tutto rose e fiori neanche per le api, in questi anni
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STORIA E DINTORNI I dati indicano che negli ultimi inverni nella sola Europa abbiamo avuto perdite di colonie di api fino al 53% (fonte GreenPeace) si sono fatte dei veri e propri nemici, spesso spietati. “Non per colpa delle api - precisa Buson - se da una parte stiamo assistendo al progressivo impoverimento degli insetti autoctoni, dall’altra c’è un proliferare di altre specie, arrivate con la globalizzazione insieme ai prodotti provenienti da tutto il mondo, che contribuiscono nel rendere difficile la vita dei nostri operosi insetti. Per noi apicoltori si tratta di vere e proprie calamità, spesso dal nome soave come la “Vellutina” ma che in realtà è un vero killer. Questa è arrivata nel 2004, è una vespa asiatica appena più grande dell’ape che però la preda. Staziona davanti agli apiari come un elicottero da guerra, assale le api e letteralmente le sbrana staccando loro la testa e l’addome per cibarsi del torace dove risiedono i muscoli estremamente proteici. Le api sono terrorizzate da questa presenza, tanto da non uscire più dall’apiario e così l’intero alveare si trova a soffrire e a deperire. Non meno danni fa “l’Aethina Tumida”, presente soprattutto nelle regioni del Sud. Questa è un coleottero africano che si ciba della cera e del miele. Le larve scavano gallerie nei favi dove mangiano e defecano causando la fermentazione del miele e rendendo l’ambiente non più vivibile. C’è poi un parassita, la “Varroa Destructor” che succhia l’emolinfa, il sangue delle api, trasferendo malattie che indeboliscono l’intera colonia degli apiari”.
In alcune regioni, come l’Emilia, è stata introdotta la coltura “Phacelia”. È una pianta erbacea che ha una fioritura di 20 giorni in grado di fornire cibo alle api nei periodi in cui mancano le fioriture principali
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Questa vespa è arrivata in Italia nel 2004, è appena più grande delle api ma le assale e letteralmente le sbrana staccando loro la testa e l’addome per cibarsi del torace
Insomma il popolo delle api è in guerra per la sopravvivenza, ma c’è qualcosa che possiamo fare per aiutarle nella loro lotta? “Intanto prendere coscienza del problema - conclude Ferruccio Buson - ricordarci che esistono e che sono importanti per la nostra vita. Poi è importante non creare capri espiatori, nel senso di considerare le cause sempre lontane da noi. Creare un mostro per attribuirgli tutte le colpe è oltremodo sbagliato e contribuisce nel de-responsabilizzare ognuno di noi nel mettere in pratica delle piccole azioni che possono essere di grande aiuto per le api. Una potrebbe essere quella di pensare a loro quando si prendono delle piante per il giardino, scegliendo essenze che fioriscono nella primissima primavera come il Nespolo Giapponese, una pianta molto semplice da gestire e da riprodurre. Io stesso preparo diverse talee che poi regalo. Un’altra iniziativa che sta già dando i suoi frutti in Emilia è quella di destinare i campi incolti alla coltura della “Phacelia”, è una pianta erbacea, simile all’erba medica, che ha una fioritura di 20 giorni e contribuirebbe in modo significativo a fornire quel ponte alimentare verso le fioriture principali a cui accennavo prima. Il Gruppo apicoltori del Montagnanese, di cui faccio parte, ha inoltrato alla Regione la richiesta di inserire la coltura della “Phacelia Idrofila” anche in Veneto nel periodo di riposo dei campi, che va dal 1° gennaio al 1° di giugno. Dopo lo sfalcio, al termine della fioritura, è possibile un secondo raccolto seminando mais o soia. Per gli agricoltori potrebbe essere una opportunità, da un ettaro di fiori possono essere prodotti circa sei quintali di miele... che a conti fatti valgono ben più del mais”. Questa coltura non piace agli agricoltori che la considerano un’infestante, tuttavia la strada di colture che aiutino il nostro operoso insetto è una via obbligata se vogliamo continuare ad avere una campagna fertile, così come l’abbiamo conosciuta.
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SAPER RISPETTARE I RITMI I DELLA NATURA Allevamento di animali di bassa corte, da quarant’anni dalla parte della qualità delle carni
Le stagioni si susseguono e la primavera ormai alle porte. Ora iniziano al mattino presto le giornate all’Azienda Scudellaro di Candiana e i nuovi pulcini sono già arrivati, la nascita di una nuova generazione, nuove e meravigliose vite che verranno ad arricchire il pollaio, insomma nuove speranze e nuovi progetti da fare. Ci impiegheranno cinque mesi a diventare maturi, il loro naturale ritmo di accrescimento verrà rispettato, quando saranno più grandi potranno razzolare liberi e ruspare a piacimento. É con questa libertà che qui si continua ad allevare gli animali, pensando al loro benessere e alimentandoli con solo i prodotti che vengono coltivati in campagna. Da qualche mese è attivo il nuovo punto vendita. Il posto più sicuro in cui fare la spesa, perché solo la vendita diretta dei prodotti realizzati in azienda offre assoluta certezza in termini di tracciabilità del prodotto e garanzia sulla qualità delle carni. Il punto vendita è stato realizzato per andare incontro alle esigenze delle nuove famiglie, dove non è sempre facile coniugare il poco tempo a disposizione con il desiderio di portare in tavola piatti gustosi e saporiti come la tradizione pretende. Una linea di prodotti ogni giorno viene preparata dalle mani di abili chef che sanno preservare il valore delle carni Scudellaro con cotture a bassa temperatura, come nei migliori è più aggiornati ristoranti
Allevamento libero, all’aperto in grandi spazi verdi e ombreggiati Alimentazione con solo cereali ed erba medica prodotti in azienda Rispetto del naturale ciclo di vita, banditi stimolatori alla crescita Macellazione in azienda con attrezzature che preservano la qualità delle carni Nati da uova di prima categoria e dopo la prima fase di accrescimento, che comprende i 25 giorni di ciclo di vacinazioni, i pulcini sono pronti ad entrare nel tuo pollaio. Vendiamo animali con diversi stadi di accrescimento. AZIENDA AGRICOLA SCUDELLARO S.AGR.S. - VIA VALLI PONTECASALE, 16 - 35020 CANDIANA (PD)
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LA CARNE DI POLLO FA BENE, MA SE È DI POLLO RUSPANTE FA MEGLIO Mangiare sano significa mettere in tavola una porzione di carne, meglio se bianca, in 2 - 3 pasti alla settimana. Il pollo è senz’altro tra le scelte migliori: la sua carne è leggera e digeribile ed è adatta ad essere consumata a tutte le età. Apporta proteine di alta qualità, ossia ricche di amminoacidi essenziali, minerali e vitamine del gruppo B, soprattutto la B12. Una porzione del peso di 100 g di pollo Scudellaro contiene in media: 0,8 g di lipidi - 23,3 g di proteine - fornisce circa 100 kcal
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE del Prof. Adriano Mollica
L ’alveare,
UNA FARMACIA NATURALE Sono molti i “prodotti” che le api ci forniscono: miele, pappa reale, propoli, polline, tutti validissimi per il nostro benessere
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ra i prodotti più conosciuti realizzati dalle api c’è sicuramente il miele, ricercato per la sua bontà e per i principi attivi in esso contenuti, ma sono diversi i prodotti che un alveare può mettere a disposizione, quasi come fosse una farmacia. Tra questi c’è la pappa reale, la cera d’api, la propoli, il polline, e il veleno d’api. Tutti questi prodotti in qualche maniera sono stati usati dagli uomini come rimedio e con propositi curativi. Molte proprietà biologiche sono state indentificate e studiate nei prodotti delle api, da una serie di studi scientifici, che hanno identificato le proprietà terapeutiche e l’uso come nutraceutico e cosmeceutico. Molti tentativi di introdurre questi prodotti in terapia sono stati fatti, ma la standardizzazione dei principi attivi è molto difficile in quanto vi è un’altissima variabilità chimica della composizione del prodotto naturale, dovuta soprattutto alle specie vegetali ddisponibili in prossimità dell'alveare.. In ogni caso, molte classi di sostanze e composti bioattivi sono stati identificati e testati per il loro effetto farmacologico, suggerendo l’importanza dei prodotti delle api anche come fonte nuove sostanze bioattive da prendere a modello per lo sviluppo di nuovi farmaci.
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IL MIELE Il miele è prodotto dalle api che raccolgono il nettare dei fiori, e lo modificano attraverso numerosi passaggi di digestione e rigurgito. Il pH acido dello stomaco, insieme all’azione di diversi enzimi producono un prodotto acquoso che è saturo di zuccheri (circa l’80%) principalmente fruttosio e glucosio, con un minore contenuto anche di sucrosio, maltosio e altri zuccheri complessi. Inoltre sono presenti numerosi amminoacidi, quali la prolina, l’acido glutammico, l’alanina, fenilalanina, tirosina, la leucina, l’isoleucina. Sono di rilievo alcune proteine, dallo 0,1 al 3%, come ad esempio: la defensina-1, presente nella pappa reale, e altri enzimi, come la glucosio ossidasi, l’amilasi, la glucosidasi, la catalasi ecc. Non mancano diversi aromi provenienti dalle piante e questi ultimi dipendono dal tipo di specie vegetali visitate maggiormente dalle api, infatti nel miele possono essere presenti fino a 500 componenti volatili che conferiscono aromi particolari e caratteristici. Sono presenti inoltre numerosi polifenoli che conferiscono un’attività particolarmente importante come antiossidante. Il miele, ha proprietà antibatteriche contro vari microorganismi, e
ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE questa sua proprietà ha attratto molti ricercatori ad usarlo in applicazioni cliniche mediche, in alcuni Paesi ad esempio viene venduto un tipo speciale di miele medicinale chiamato Manuka, che viene reclamizzato per possedere una certa attività antibiotica. La sua azione antibiotica è stata principalmente attribuita alle diverse sostanze che sono presenti in questo miele, come la defensina-1, che è un peptide immunoreattivo, il metil gliossale, una sostanza antibatterica e altri enzimi capaci di interferire con la crescita dei microorganismi. Questi composti se isolati hanno una scarsa attività antibatterica, ma nel miele la loro miscela è più efficace suggerendo quindi un’azione sinergica. Altri effetti noti del miele sono quella antiparassitaria contro i parassiti dell’intestino, nematocida, e antiprotozoaria. Il miele è inoltre considerato un rimedio antiinfiammatorio, il miele italiano millefiori ad esempio, contiene una serie di flavonoidi che inibiscono alcune sostanze infiammatorie, tra le quali anche le principali sostanze responsabili della neuro infiammazione presente ad esempio nei malati di Alzheimer e Parkinson. Per questo in alcune culture il miele è considerato un coadiuvante alle terapie per le malattie neurodegenerative. Il miele viene inoltre usato per favorire la rimarginazione di ferite e scottature, esistono infatti prodotti farmaceutici che contengono miele purificato e standardizzato che viene usato per medicazione delle ferite, anche in virtù delle sue doti antibatteriche e stimolanti nella rigenerazione dei tessuti.
Nella storia la pappa reale è stata usata tradizionalmente come medicina, specialmente in Asia e nell’ antico Egitto. Oggi è impiegata nella produzione di prodotti cosmetici, come antiaging e come functional food per le sue numerose proprietà nutritive
PAPPA REALE La papa reale è una secrezione dell’ipofaringe delle api, e delle ghiandole salivari. Contiene acqua, zuccheri, proteine fino al 12%, sali, vitamine, grassi e sostanze polifenoliche. La pappa reale è usata dalle api per nutrire le larve in via di sviluppo per i primi 3 giorni di via, oppure per tutta la durata dello stato larvale nel caso delle regine. Dall’uomo invece la pappa reale è stata usata tradizionalmente come medicina, specialmente in Asia e nell’ antico Egitto. Correntemente è usata nei prodotti cosmetici, come antiaging e come functional food per le sue numerose proprietà nutritive, antidiabetiche, anti ipercolesterolemiche, per combattere la sindrome metabolica. Sono stati fatti numerosi studi sulla sua attività come antibatterico, antifungino, antivirale, ipotensivo, antitumorale, e antiinfiammatorio. Inoltre sono riportati effetti benefici sull’ ipertrofia prostatica e il piede diabetico. PROPOLI La propoli è una sostanza resinosa che le api producono attraverso la raccolta della resina dai boccio- La propoli è una sostanza resinosa che le api producono attraverso la raccolta li e da altri tessuti della resina dai boccioli e da altri tessuti delle piante, midelle piante, mischiandola con la cera e il polline per renderla malleabile, schiandola con compatta e viene usata come materiale la cera e il polli- di riparazione e protezione dell’alveare ne per renderla malleabile, compatta e viene usata come materiale di riparazione e protezione dell’alveare. La composizione chimica della propoli varia enormemente in base al tipo di flora visitata dalle api. La propoli grezza generalmente contiene più di 300 composti, per la maggior parte triterpeni, poi cere, sostanze volatili e polifenoli. Ha alta attività antiossidante, radical scavenger. È stato dimostrato da studi sia in vitro che
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ALIMENTAZIONE, SALUTE E TRADIZIONE viene mischiato al nettare e a secrezioni salivari di ape, questo rappresenta una riserva di cibo per la colonia. Il polline è costituito da carboidrati, proteine, amino acidi, lipidi, acidi grassi, polifenoli enzimi, coenzimi, vitamine e sali minerali. Anche in questo caso abbiamo una altissima variabilità di composizione, in quanto questa dipende dalla fonte vegetale, dal clima, dalla regione geografica e dalle condizioni pedoclimatiche che possono profondamente modificarne l’attività e le proprietà biologiche. Il polline è un cibo energetico che può essere consumato come supplemento anche dagli atleti. È usato inoltre nella medicina alternativa come cura per la prostatite, ulcera peptica, malattie infettive e prevenzione della paura dell’altezza. Ha proprietà antimicrobiche, antiossidanti, epatoprotettive, chemoprotettive, antiinfiammatorie, anti allergeniche, immunomodulatorie e antitumorali.
Alcuni studi sulla propoli sono in corso per studiarne l’efficacia contro il virus dell’HIV e dell’epatite C in vivo, che la propoli possiede attività antibatteriche verso lo streptococco, anche resistente ad altri antibiotici e all’Helicobacter Pylori. La sua attività è dovuta ad una serie di sostanze, alcuni polifenoli e ad altre sostanze che aumentano la permeabilità della membrana batterica provocandone la lisi o il malfunzionamento. Ha inoltre una spiccata attività antivirale, e può essere usata per combattere l’herpes. Studi sono in corso per studiarne l’efficacia contro il virus dell’HIV e dell’epatite C. Come gli altri prodotti delle api anche la propoli ha proprietà protettrici per la pelle e può essere usata per coadiuvare la guarigione delle ferite ed è spesso inclusa in prodotti cosmetici. POLLINE Il polline è impacchettato nell’alveare in “pellets” e messo da parte. Durante questo processo il polline
Il polline ha proprietà antimicrobiche, antiossidanti, epatoprotettive, chemoprotettive, antiinfiammatorie, anti allergeniche, immunomodulatorie e antitumorali.
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VELENO D’APE Le api producono anche una tossina, detta apitossina, è una miscela complessa di sostanze, secreta dalle ghiandole addominali delle api. Viene iniettata tramite un pungiglione, e provoca infiammazione locale, effetto anticoagulante, risposta immunitaria. Il veleno delle api è stato usato tradizionalmente in agopuntura e nella cosiddetta ape-terapia, consistente in iniezioni come analgesico nel caso di dolore cronico. In ogni caso il veleno di ape è un potente allergene e in alcune persone ipersensibili può arrivare a produrre shock anafilattico con conseguente coma e morte.
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Podere Villa Alessi nella Valle di Faedo buona cucina e cultura
Un vero agriturismo perché a fianco delle materie prime prodotte in azienda e delle ricette preparate con grande genuinità, diffonde anche la storia che è stata necessaria per produrle e tenerle coerentemente insieme al centro di un piatto Il tempo della Natura è un tempo circolare. Anche quando cambia la stagione, in realtà si tratta di un ritorno, un ritorno che porta ad un nuovo tempo: diverso e uguale. Diverse: sono le aspettative per una stagione che sta per iniziare, ma uguale qui, all’Agriturismo Podere Villa Alessi di Faedo, condotto da Ivano Giacomin insieme alla moglie Paola Zanovello e alle figlie Elisa e Alice; è il modo di sfruttare la ricchezza che la primavera mette a disposizione sui Colli Euganei. Uguale a cosa? Potrebbe essere legittimo chiedersi. La risposta che Ivano usa anche per qualificare il proprio lavoro è: tradizione. Ossia quell’osservanza all’ortodossia maturata e selezionata di generazione in generazione che permette di cogliere dalle stagioni il loro lato migliore. E non c’è alcun dubbio che il lato più saporito da portare in tavola, con il rinverdirsi delle colline, sia la miriade di erbette che nascono spontanee nei prati e sul limitar dei boschi. Asparagi selvatici, bruscandoli, pissacani, rosole, scrissioi, ortiche, bruschi: autentiche specialità a patto che si sappiano cogliere e preparare facendo conoscere anche la loro storia in cucina. Ecco è in questo che Villa Alessi è un autentico agriturismo, perché alle produzioni proprie e della Natura sa coniu-
PER IL GIORNO DI PASQUA Un menù ricco e appetitoso • Antipasto Pasquale • Lasagne al forno • Crespelle con “carletti” • Brasato al Deivo • Coscia di agnello al forno • Contorni di stagione cotti e crudi • Fantasia di dolci Pasquali
gare cucina popolare e cultura. Proprio perché il cibo è considerata materia preziosa è gradita la prenotazione; evitare inutili sprechi, infatti, fa parte della filosofia della casa ma in più, va detto, che qui è tradizione servire il buon cibo genuino con un bel contorno di calda ospitalità e ai proprietari va lasciato il tempo di preparare una storia, un racconto, un percorso da fare tra i boschi, insomma un viaggio nel passato e nel presente di questo luogo incantato, uno sfamare che va ben oltre la semplice alimentazione. Questo Agriturismo non è per chi cerca nouvelle cuisine, o l’abbuffata e l’anonima gran bevuta, ma per coloro che sanno apprezzare una cucina semplice senza troppi fronzoli, stagionale e legata alla tradizione contadina.
PODERE VILLA ALESSI È ANCHE UNA CANTINA, UN MUSEO DEL TERRITORIO, OFFRE ALLOGGIO, UN PANIERE DI PROPRI PRODOTTI ED È UNA FATTORIA DIDATTICA L’agriturismo è aperto prevalentemente su prenotazione, i locali vengono messi a disposizione anche per cerimonie e matrimoni
AGRITURISMO PODERE VILLA ALESSI - Via San Pietro, 6 - Faedo di Cinto Euganeo - PD Tel. 0429 634101 - Fax 0429 634009 - www.villalessi.it - info@villalessi.it
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La Cooperativa C.A.P.O. Nata agli inizi degli anni ’80 per la valorizzazione e la commercializzazione dell’asparago di Conche oggi è una punto di riferimento per la produzione orticola locale. A fianco dei 3000 quintali di bianchi turioni e ai 100.000 quintali di radicchi prodotti e commercializzati ogni anno, la cooperativa è impegnata anche nella coltivazione di pomodori da conserva, zucchine, patate, zucche, cappucci, cavolfiori, noci, angurie e meloni. Per tutte le produzioni il tratto distintivo è la qualità perché in tutti i suoi quasi quarant’anni di storia l’impegno della Cooperativa C.A.P.O. è stato rivolto nella selezione delle produzioni, all’innovazione tecnologica dei sistemi agricoli e di lavorazione dei prodotti, difendendone la riconoscibilità come nel caso della creazione del marchio ADC (asparago di Conche) che oggi designa la produzione a livello nazionale. La Cooperativa, inoltre, continua ad essere il punto di riferimento dei produttori: accom-
pagnandoli nella formazione, nelle scelte tecniche, nel mettere a disposizione dotazioni e attrezzature fondamentali per tenere l’offerta al passo della domanda. La C.A.P.O. ha ben chiaro in che direzione si sta spostando il futuro, puntando sull’innovazione tecnologica del lavorato, con una macchina che prepara gli asparagi bianchi pre-pelati pronti per la ristorazione, ma anche lasciando parte delle lavorazioni preliminari direttamente ai produttori, riconoscendo un valore aggiunto al loro apporto in termini operativi, qualitativi, di controllo del prodotto e allo stesso tempo abbattendo i costi. Molto del lavoro della Cooperativa, inoltre, viene condotto alla ricerca di sinergie e collaborazioni nel settore dell’enogastronomia oltre alle nuove forme della comunicazione e della commercializzazione per permettere a questi straordinari prodotti della terra di essere sempre più conosciuti ed apprezzati.
L’ASPARAGO DI CONCHE,
principe bianco tra i prodotti di primavera
L’asparago di Conche, senza togliere nulla ai cugini che vengono prodotti in altre zone del padovano e del Veneto, si distingue per le sue peculiari caratteristiche territoriali e per le proprietà pedologiche dei terreni di origine alluvionale ad alta salinità e ricchi di limo che rendono l’asparago di Conche un prodotto assolutamente unico e inconfondibile. L’asparago caratteristico di Conche è un bianco che, come tutti i bianchi, ha la peculiarità di essere meno
fibroso, più delicato e meno amaro delle altre specie. Inoltre può essere consumato pressoché interamente, mancando la parte legnosa che si origina con la presa di colore dovuta alla fotosintesi clorofilliana, e soprattutto ha il suo spiccato sapore: sapido, che arriva dal mare. Una vera specialità a patto però che lo si acquisti fresco. Un Conche appena colto ha la base del turione umida e di un bel colore giallo. L’apice, invece, è bianco. Se fosse di un colore giallino o peggio giallo intenso, l’asparago è già sicuramente degradato. Un asparago che rimane sul banco di vendita per più di due o tre giorni avvizzisce, si asciuga diventando fibroso, amarogno e privo delle sue piene caratteristiche nutrizionali I mazzi sono contrassegnati col importantissime da metlogo territoriale ADC, Asparago di tere sul piatto. Gli aspaConche e Asparagi Pelati
CAPO - COOPERATIVA AGR. PRODUTTORI ORTOFRUTTICOLI - Via Vallona, 83 - Codevigo (PD)
La cooperativa C.A.P.O. in trent’anni ha trasformato questa eccellenza della terra in un simbolo di questa terra. La Saccisica e soprattutto Conche sono nomi che ormai viaggiano in accoppiata con l’asparago ragi forniscono una buona quantità di sali minerali quali: calcio, fosforo magnesio e potassio e vitamine A, vitamina B1, vitamina B6, vitamina C, acido folico, amminoacidi, carotenoidi, rutina, che serve a rinforzare i capelli. Gli asparagi sono anche particolarmente adatti a tutte le diete ipocaloriche, in quanto contengono poche calorie (25 Kcal/100g) e sono poveri di sodio. Hanno proprietà depurative e diuretiche, rivestono un ruolo attivo nella diminuzione di casi di eczema, ma sono anche ricchi di acido urico, per cui è sconsigliato il loro consumo a coloro che soffrono di cistite, gotta ed infiammazioni generali ai reni. Gli asparagi contengono asparagina o acido aspartico, che conferisce all’urina il tipico odore; la comparsa dell’odore di asparagi nell’urina è associata all’efficienza del sistema renale.
LA FESTA DELL’ASPARAGO DI CONCHE, nei week end che precedono il 25 aprile a il 1° maggio
Buon cibo e promozione sono oggi anche le prerogative della Festa dell’Asparago di Conche, Promossa ed organizzata dal Gruppo Culturale e Ricreativo di Conche, da ormai quasi trent’anni anni. Il piccolo centro lagunare torna ad animarsi dal week end che precede il 25 aprile a quello successivo il 1° maggio, portando in piazza tantissima gente, circa un migliaio di persone ogni sera, e ben 10 quintali di asparagi che vengono preparati dai ristoranti del territorio in ricette sempre nuove e in combinazione con gli altri prodotti del territorio. Immancabile il risotto, gli asparagi in camicia “alla Conche”, gli asparagi e “zabajon” fino alle ricette della tradizione come gli ossetti con gli asparagi o le semplicissime ma sempre attuali uova e asparagi.
La punta è sempre chiusa e il gambo lungo circa 22 centimetri. Coltivato in pieno campo, evitando serre o altri espedienti che possano affievolirne le caratteristiche, deve provenire dall’area di Conche, Santa Margherita di Codevigo e Valli di Chioggia, come previsto dal disciplinare. Viene raccolto a mano da fine marzo fino ai primi giorni di giugno, rispetto alle altre specie, dunque, è più tardivo a causa delle terre fredde che caratterizzano le aree di laguna.
Tel. 049 5845293 - Fax 0499784014 - capo-conche@libero.it - www.capoconche.it
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per i prodotti Cooperativa C.A.P.O. Varietà e freschezza, dai campi direttamente al bancone di vendita. Tra l’offerta di stagione gli asparagi di Conche, l’eccellenza del territorio Negli spazi del magazzino di Conche è stato ricavato uno spaccio per la vendita diretta dei prodotti, coltivati dalle aziende afferenti alla Cooperativa C.A.P.O. Un’opportunità offerta alla clientela di accorciare ancora di più la filiera, garantendo sempre un prodotto di grande freschezza. Uno degli obbiettivi della Cooperativa, infatti, è quello di raggiungere i mercati all’indomani stesso della raccolta e in questo caso si è andati oltre, mettendo in diretta comunicazione il campo con il bancone di vendita. L’offerta, ovviamente, segue la stagionalità delle produzioni e tuttavia rimane vastissima: zucchine, patate, zucche, cappucci, cavolfiori, porri, noci, angurie, meloni ovviamente i radicchi, il rosso lungo, il Chioggia, il bianco, e in questa stagione gli asparagi, vera eccellenza del territorio. Aperto tutti i giorni lavorativi dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 19:00. Un altro punto vendita con i prodotti della Cooperativa C.A.P.O viene allestito durante il periodo aprile giugno presso il parcheggio del Ristorante da Toni sulla strada Romea, sempre nel comune di Conche. Per informazioni: 049 5845293
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STORIA E DINTORNI di Claudio Vallarini
Vecchie case rurali, IDENTITÀ STORICA E PATRIMONIO DA TUTELARE Ad aprile una mostra a Lendinara per ricordare che non si tratta di semplici abitazioni del passato povero di questa terra, ma di opere costruite con intelligenza e pragmatismo che oggi si avvicinano alla bioedilizia
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a molti anni il Parlamento europeo invita gli Stati membri a predisporre giornate di studio o manifestazioni tematiche su argomenti che caratterizzano le comunità delle nazioni aderenti. Il fine di tutto ciò è la salvaguardia dei valori o dei beni della cultura materiale nelle sue numerosissime realtà geografiche. L’argomento scelto quest’anno è “Il patrimonio culturale in Italia e non solo… Diversità e ricchezze da custodire e tramandare”. Il Centro Documentazione Polesano onlus di Salvaterra (Badia Polesine) e la Casa di Riposo di Lendinara, da anni
LA MOSTRA
hanno intrapreso un rapporto di collaborazione per far proprio l’argomento proposto ed allestire mostre itineranti, non solo per gli ospiti, ma anche per i visitatori e per chiunque vorrà richiederle. E quest’anno il soggetto della mostra sarà la “casa”, che declinata in forma di “ricchezza da custodire e tramandare” non poteva che essere una casa in via d’estinzione, ossia la casa dei contadini, o, come si udiva tempo fa, dei braccianti, coloro che lavoravano la terra “impastandola” con la fatica: l’abitazione che la storiografia recente ha inserito all’interno della civiltà contadina
La mostra, visibile alla Casa di riposo di Lendinara (in Via del Santuario) dal 21 al 29 aprile 2018, è curata da Remo Agnoletto e Claudio Vallarini del CDP, ed usufruisce dei contributi e delle immagini - oltre che dei curatori - dell’architetto fotografo Enrico Renai, coautore, con Gianfranco Scarpari e Gian Antonio Cibotto, del volume La casa rurale in Polesine, Marsilio, Venezia, 1980, e dello scultore Guerrino Lovato, autore del volume Sulle case, Lupi e Sirene, Venezia, 2012.
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STORIA E DINTORNI alla quale ormai, nel Veneto, sono dedicati numerosi musei. Un patrimonio storico importante, dunque, per il fatto che le abitazioni dei fittavoli e dei mezzadri costituirono un elemento caratterizzante dell’economia, della cultura e del paesaggio veneto, che dovrebbe essere oggetto di tutela al pari delle corti padronali per il fatto che, a differenza delle seconde che sono di fatto già tutelate, le prime sono sempre meno in tutto il territorio. Va detto innanzitutto che le normative regionali vigenti in materia edilizia ed urbanistica non vanno nella direzione della tutela di questi immobili, e ne promuoverebbero addirittura l’abbandono o la demolizione per riproporne solamente le volumetrie negli stessi luoghi, e così facendo il destino di questi edifici sembra segnato. A ciò aggiungasi il fatto che con la loro tipologia estremamente povera e legata ad un’economia scomparsa, quella appunto agricola che nasce tra la fine dell’Ottocento e il primo Dopoguerra, questi edifici vengono in genere oggi associati all’indigenza anziché ad una cultura ricca di antichi saperi.
Case che ricordano il passato povero del Veneto e forse per questo non più idonee a rappresentare la moderna immagine di regione locomotiva del Nord Est Lo scrittore Luigi Meneghello, autore del pregevole “Libera nos a Malo”, capolavoro della letteratura e giustamente celebrato anche per essere uno dei primi libri dedicati alla nostra civiltà contadina, sosteneva che i veneti hanno un grosso debito nei confronti del proprio passato, “un passato - sosteneva - che puzza di verza” e quindi di povertà e, dunque, non idoneo a rappresentare la moderna immagine del Veneto locomotiva del Nord Est. E soprattutto ormai, le vecchie case contadine paiono appartenere proprio a questo orizzonte. Tenute oggi in piedi per lo più come magazzini e depositi agricoli o come camere da destinare alla stagionatura dei salumi, grazie anche all’onnipresente focolare (unica forma di riscaldamento disponibile ai nostri recenti antenati), non
Modello costruttivo del Basso Polesine. In questo territorio in prossimità del mare vennero edificati edifici ad un solo piano a due vani, impiegati per alimentarsi e dormire, senza l’uso di scala per accedere al piano superiore. Erano arredate con sedie, un tavolo, cassapanche e poche suppellettili essenziali. Molti di questi edifici furono legati alla bonifica del territorio, e sorgevano nelle corti, isolati o in piccoli villaggi. Il camino presentava una dimensione maggiore rispetto a quelli alto polesani, padovani e veronesi per il fatto che, nel Basso Polesine, per il riscaldamento non veniva usata la legna ma la Canna palustre, che necessitava di una maggior ampiezza per la combustione. La sommità del camino era generalmente a dado. Questi edifici, posizionati sempre verso Sud per approvvigionarsi di luce e calore, nel Veneto erano esclusivi della zona deltopadana.
Modello costruttivo del Medio e Alto Polesine della fine del 1800. Edifici su 2 livelli ed a 2 vani realizzati su terreni generalmente concessi al salariato dal proprietario, realizzati da sé con materiale di fortuna o acquistato. La costruzione in 2 livelli era dettata dalla necessità di scaldare anche la zona notte, raggiungibile tramite una scala in legno, grazie al focolare sistemato in cucina. Questo modello trovò largo impiego edificatorio anche nel Basso veronese e nel Basso padovano. L’abitazione che compare nella fotografia è stata realizzata a Lusia nel 1948 sulla base del modello ottocentesco a due piani, e per la sua costruzione sono stati impiegati i materiali del Castello Morosini bombardato il 20 aprile 1945.
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STORIA E DINTORNI
Modello costruttivo degli inizi del 1900. Edifici a 2 livelli che presentano il primo elemento evolutivo nei confronti dei modelli precedenti grazie alla realizzazione di un vano centrale al piano terra, detto portego, che consente di ospitare 2 nuclei abitativi con una cucina per nucleo al piano terra e, soprattutto, un ulteriore vano notte al piano superiore. Un elemento nuovo è costituito da una porta sul retro con accesso diretto sui campi e con finalità di aerazione nel periodo estivo. In questo periodo cominciano a realizzarsi anche piccoli vani per il ricovero di animali e attrezzi.
Modello costruttivo degli anni 1920-1930. Edifici realizzati negli anni successivi alla prima guerra mondiale, costituiscono il modello più evoluto degli edifici rurali del Veneto meridionale, ancora abitati fino agli anni ‘90 del secolo scorso. Come primo elemento estetico si assiste alla nascita di nuovi vani ad uso di bassocomodo affiancati da una piccola stalla per ospitare alcune capre o una vacca e il porcile per il maiale. L’immancabile fienile era ubicato al primo piano, con un’ampia apertura ed un caratteristico gioco laterale di mattoni per l’aerazione del foraggio. Nei primi modelli di edifici il pavimento era n terra, mentre nei successivi era in mattoni. Ma in tutti, i servizi igienici erano assenti, e posizionati all’esterno. Le migliori condizioni economiche consentivano inoltre di ricorrere a materiali costruttivi di miglior qualità ed a maestranze più qualificate, così che molti di questi ultimi edifici sono tutt’ora abitabili, ovviamente apportando lievi modifiche e gli immancabili adattamenti alle necessità della vita moderna. L’abitazione nell’immagine è ubicata a pochi metri dal fiume Adige, in Località Bovazecchino a Badia Polesine.
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Questi immobili che caratterizzano il paesaggio veneto, ormai improduttivi a livello fiscale, potrebbero ritornare a vivere e quindi appetibili anche per le casse comunali, qualora, per incentivarne il recupero, venissero applicate loro l’esenzione degli oneri di urbanizzazione e delle imposte comunali per 5 anni avrebbero retto alle imposte municipali per le seconde case che le equiparano a quelle per la villeggiatura. E la scomparsa delle case contadine ha a che fare tuttavia anche con quanto diceva Meneghello: la casa è uno status symbol per il Veneto e deve rappresentare chi l’abita, ed è così che con il benessere si è deciso di dire addio alle stanzette, al solaio basso in travi e assi di legno, alle finestre volutamente piccole per lasciare fuori una volta il caldo e il freddo, per più ampi ed estranei openspace in cemento, alle vetrate lunghe una parete, ai tetti con sei-sette spioventi, alla montagnola rialzata con le palme davanti all’uscio e all’immancabile taverna, per finire con intonaci viola, azzurro o giallo, colore quest’ultimo sconosciuto nelle abitazioni rurali del passato, proposto oggi con il benestare di architetti e progettisti spesso poco sensibili alla “memoria di ieri”, e che si sta diffondendo quasi come unico colore nell’edilizia rurale. Indubbiamente ci siamo allontanati dal paesaggio, non solo offendendolo con costruzioni aberranti che meriterebbero di essere demolite, ma perdendo quella “razionalità” che i poveri e ignoranti uomini del passato avevano
STORIA E DINTORNI imparato ad usare in ogni circostanza. Stiamo parlando di “regole” dettate dalla natura di un territorio alle quali nessuno più fa caso, ma che un tempo erano state assimilate attraverso quell’essenzialità propria delle società rurali, dove la parsimonia veniva estesa dall’economia domestica anche al numero delle finestre, senza però rinunciare alla bellezza. Certe facciate, seppur modeste, presentano infatti una scansione di vuoti e pieni degni della “sezione aurea”, del suprematismo di Kazimir Malevič o del neoplasticismo di Piet Mondrian o, per rimanere in Veneto, dell’insuperato “architetto-non architetto” Carlo Scarpa, che gli edifici li amava e li faceva rivivere nel rispetto della loro essenza. Ma chi insegnò la grazia a quegli uomini che cuocevano da se i mattoni, recuperando d’inverno l’argilla dai letti dei fiumi? Probabilmente nessuno, probabilmente non era neppure una questione bellezza ma di un’estetica scaturita dalla necessità di fornire la migliore risposta alle sollecitazioni che provenivano dall’ambiente. Come per gli igloo, la forma è sostanza. Ecco perché questa estetica andrebbe preservata, perché dietro ad essa si nasconde la funzionalità, perché, come scrisse Manuela Zorzi nel suo fondamentale Abitare in Polesine: Caratteristiche architettoniche ed urbanistiche dei sistemi insediativi nella provincia rodigina [Ater, Rovigo, 2000, p. 87] “In questa varietà di distribuzione e di funzioni, la casa bracciantile ha finito per rappresentare non tanto una semplice “componente” dell’ambiente rurale polesano, sia pure fortemente caratterizzante, ma ne è divenuta la principale protagonista”. Perdendo queste abitazioni, perdiamo l’indicazione plastica di come l’uomo del passato si adattò al suo territorio. Questi edifici sono pure reperti “storici” estremamen-
te fragili, patrimonio di un museo diffuso che dovremmo sempre più imparare a tutelare anche perché quel vecchio modo di costruire oggi è tornato di attualità grazie alla bioedilizia che, per quanto all’avanguardia, non insegnerebbe assolutamente nulla a chi da secoli era abituato a costruire con quello che l’ambiente gli forniva in loco e aveva come bisogno primario la necessità di ottimizzare le risorse. Queste case erano un concentrato di intelligenza e di pragmatismo: potrebbero essere queste le peculiarità con il quale il cittadino veneto vorrebbe essere riconosciuto, e la mostra di Lendinara potrebbe indurci alla riflessione.
Le vecchie case rurali presentano tutt’ora un comfort abitativo notevole e anche un’estetica che sarebbe facile declinare in chiave moderna. I materiali di costruzione, totalmente naturali, le rendono molto vicine alla bioedilizia e la già buona coibentazione garantita dai muri perimetrali in mattoni pieni le rende estremamente economiche nella gestione del riscaldamento e della climatizzazione. Queste immagini mostrano un ottimo esempio di recupero abitativo di un edificio tradizionale. Per interventi su rustici o case d’epoca si suggerisce la lettura di “Cascinali di campagna”, Esterni ed interni rurali tra passato e contemporaneità, CASANTICA, agosto-settembre 2016, 3ntini editore, Argenta, www.3ntini.com Coloro che avessero sperimentato il recupero di edifici tradizionali possono scrivere a claudiovallarini@yahoo.it
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Littame`,
l'oca di altissima qualita` e presidio Slow Food Il corpulento pennuto viene allevato come una volta, commercializzato sottovuoto, bastano due minuti per portarlo a tavola Tra i sapori della civiltà contadina, quello dell’”oca in onto” forse è il più caratteristico. Un tempo le carni erano rare in tavola e quelle del corpulento pennuto addirittura preziose, venivano conservate sotto il loro grasso da ottobre a primavera, come scorta di cibo ad alto valore nutritivo che permetteva la ripresa del duro lavoro nei campi. “Le oche hanno sfamato il Veneto contadino”, spiega oggi Michele Littamé che il bianco animale di bassa corte continua ad allevarlo come una volta, per una produzione di carni di altissima qualità. Le oche di via Dosso a Sant’Urbano, infatti, sono una delle eccellenze del territorio, riconosciute anche con il marchio di presidio di Slow Food dal 2008. Gli animali sono nutriti con cereali prodotti direttamente in azienda
e le loro carni, pur rimanendo l’espressione più popolare della campagna, vengono lavorate e reinterpretate per essere adatte ai gusti della tavola moderna. Assolutamente è da provare la coscia in onto, mentre la tagliata di petto è addirittura da provare e riprovare, il collo ripieno è un’autentica specialità come le salsicce, le alette: tutto molto semplice da cucinare. Le carni, infatti, vengono preparate con lunghe cotture a bassa temperatura, per consentire ai vari tagli di per preservare intatto il sapore e i valori nutritivi, e commercializzate sottovuoto. Bastano due minuti nel microonde, meglio ancora se cinque minuti a bagnomaria, e la cena è pronta anche quando a tavola si vuole portare il gusto della tradizione.
Gli animali sono nutriti con cereali prodotti direttamente in azienda e le loro carni, pur rimanendo l'espressione più popolare della campagna, vengono lavorate e reinterpretate per essere adatte ai gusti della tavola moderna AZ AGR. LUCA E MICHELE LITTAMÉ via Dosso, 2 • 35040 Sant’Urbano (PD) tel. 0429 693292 • fax 0429 695091 • www.michelelittame.it • info@michelelittame.it • ildosso@virgilio.it
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La proposta riguarda una linea completa con 23 prodotti COSCIA O PETTO O ALETTE D’OCA IN ONTO Presidio Slow Food La carne viene preparata con il metodo del sotto “onto” con sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Per consumarla basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti.
TAGLIATA DI PETTO D’OCA carne d’oca, sale di Cervia, pepe, spezie, aromi naturali. Il prodotto è già cotto, basta affettarlo e servirlo freddo con olio d’oliva extra vergine.
PORCHETTA D’OCA Carne d’oca e di carne di maiale (sale, pepe, scorzette di limone, aromi naturali, spezie) cotte in bassa temperatura. La porchetta va affettata fredda o saltata in padella con aceto balsamico.
COLLO D’OCA RIPIENO carne di maiale, carne d’oca, fegato d’oca, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Per consumarlo basta riscaldare la confezione senza aprirla, in acqua calda per almeno 20 minuti
OCA FARCITA L’oca viene farcita con della carne di maiale, pane, formaggio grana, cipolla, aglio, sale, pepe, aromi naturale. Il prodotto è sottovuoto basta semplicemente riscaldarlo per consumarlo
PATÈ DI FEGATO D’OCA fegato grasso d’oca, lardo di maiale, vino di Porto, sale, aromi naturali. Va servito su crostini di pane
SALSICCIA D’OCA macinato d’oca, macinato di maiale, sale, pepe, aromi naturali. Per la preparazione può essere saltata sulla piastra, è ottima alla griglia, oppure può essere la base per risotto
SPECK DI PETTO D’OCA Il prodotto è stagionato, per servirlo basta affettarlo e servire con olio d’oliva extra vergine.
Feste e manifestazioni in cui degustare e acquistare i prodotti Littamé • DAL 7 ALL’8 APRILE Mostra-mercato “Sapori di Primavera 2018” di Padova • DALL’11 AL 13 MAGGIO Vulcanei presso il Castello di Lispida Monselice • DAL 25 AL 29 MAGGIO Sagra dei Bisi di Baone
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Salumificio macelleria
Caseificio Salvò,
qualità garantita a Km zero Il sapore della tradizione, dal produttore al consumatore
All’azienda agricola Renato Salvò di Maserà di Padova la genuinità è di casa, c’è chi viene qui perché trova una fornitissima macelleria, chi una provvista salumeria e chi ci viene per in raffinati formaggi prodotti dal caseifici, ma tutti vengono per lo stesso motivo: la qualità!
IL CASEIFICIO Dalle 20-25 pezzate rosse in lattazione si ottengono 5-6 quintali di latte ogni giorno che vengono trasformati immediatamente in diverse tipologie di formaggio: dai freschissimi come il mascarpone, la burrata, la stracciatella o il Verde prodotto con lo yogurt a formaggi di media stagionatura come le caciotte, cremose e speziate in mille varianti, agli stagionati e affinati. Dalla produzione è bandito qualsiasi ingrediente che non sia il caglio naturale e il sale.
SALUMIFICIO Un tempo i salami si facevano solo acconciando le carni di maiale con sale, pepe, aglio e all’azienda Salvò continuano ad essere fatti Salami, cotechini, salsicce, soppresse, pancette, ancora in questo modo. Quindi niente addensanti, niente conser- coppa, culatelli rigorosamente al naturale vanti o coloranti. Solo tanta passione che parte dall’allevamento degli animali, alimentati solo con il mais coltivato nei campi dell’azienda, seccato al sole e macinato con crusca e soia nazionale, e si concretizza nella realizzazione, perché nei salami Salvò ci finiscono tutte le parti del maiale, compreso il prosciutto.
MACELLERIA La lavorazione delle carni viene eseguita in maniera artigianale nel rispetto della tradizione, per fornire un’ampia gamma di tagli capaci di soddisfare anche la clientela più esigente, pur lavorando solo su ordinazione. Il nostro punto di forza è la straordinaria morbidezza delle carni di “sorane” razza “Blu belga” e “Pezzata rossa” ottenuta grazie a una frollatura minima di 40 giorni. I nostri tagli vengono confezionati sottovuoto per migliorarne la conservazione e il valore alimentare inalterato. I prodotti possono essere acquistati nel nostro punto vendita: Martedì e Giovedì dalle 15.00 alle 19.00 Sabato dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.30 Mercoledì: Mercatino di P.zza Borgato Soti di Saonara - Mercato del Contadino di Vigorovea Sabato: Mercatino di piazza Cuoco nel quartiere Guizza - Mercato del Contadino di Vigorovea Caseificio Salvò - 35020 Maserà di Padova, via Bolzani 28 mail: info.salvorenatoefigli@gmail.com mobile: Renato 328 1848171 - Michael: 345 5948062
INGIROPIEDANDO di Martina Toso
Bava di lumaca, UN CURIOSO ALLEATO DELLA BELLEZZA
Anche se può sembrar difficile pensare che le chiocciole che popolano il nostro giardino abbiano una bella pelle, in realtà la sottile scia traslucida lasciata al loro passaggio è un tonico sempre più ricercato come rimedio ai problemi della cute
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n un tempo in cui la frenesia è entrata a far parte della vita moderna, quasi come unico segno distintivo, il passo lento della lumaca potrebbe essere un esempio da imitare. Con i suoi 0,0099 km all’ora non è certo “un piè veloce” ma più che il piè, quello che ci interessa in questo articolo, è la sottile bava che la lumaca lascia dopo il suo lento passaggio. Sono pochissimi, infatti, quelli che conoscono il motivo di questa secrezione e forse ancora meno quelli che conoscono il suo valore in cosmetica. L’idea di mettersi sulla pelle questo lucido prodotto del nostro gasteropode potrebbe far rabbrividire, ma in realtà il suo impiego come rimedio terapeutico risale alla notte dei tempi. Dalla Grecia antica al Medioevo, la bava di lumaca è stata usata in medicina per problemi allo stomaco causate da ulcere e gastriti, cicatrizzare ferite e arrestare emorragie. Veniva impiegato, insomma, come “rimarginante”, diremmo oggi, e questo perché effettivamente le proprietà principali della bava sono quelle di ricostruire e rigenerare i tessuti. Il mucopolisaccaride, questo il nome tecnico della secrezione, per la chiocciola assolve a diverse necessità e per
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questo viene “prodotto” con diverse caratteristiche. Un primo tipo serve alla deambulazione del nostro gasteropode, la bava viene prodotta sotto l’unico piede, molto espanso sul quale poggia il suo intero corpo, a formare uno strato che gli permette di muoversi senza il contatto diretto con il piano d’appoggio e lo aiuta a strisciare su qualsiasi superficie. Una secrezione più viscosa serve, invece, per le salite più impervie: usata come una sorta di adesivo, consente alla lumaca di aderire ad una superficie irregolare e di aggrapparsi ad una parete verticale senza cadere. Anche nell’antichità erano conosciute le proprietà ricostruenti e rigeneranti della bava di lumaca. Con le secrezioni venivano preparate medicine per problemi allo stomaco causate da ulcere e gastriti, cicatrizzare ferite e arrestare emorragie
INGIROPIEDANDO La lumaca reagisce ai danni cutanei producendo una grande quantità di muco che la protegge con sostanze antimicrobiche e molecole che sollecitano il naturale processo di cicatrizzazione delle cellule e dei tessuti danneggiati La lumaca è dotata di un unico piede sul quale poggia il suo intero corpo. Alcune ghiandole poste alla base di questo piede secernono la bava per formare uno strato che le permette di muoversi senza il contatto diretto con il piano d’appoggio e l’aiuta a strisciare su qualsiasi superficie
Questi due fluidi sono chiaramente diversi per la loro caratteristica composizione proteica. Ma il muco serve anche per rivestire le parti molli della lumaca, allo scopo di mantenere il corpo sempre umido sulla superficie, prevenendo l’essicazione dei tessuti. Inoltre lo scivolamento costante della lumaca su superfici ruvide ed accidentate, nell’ambiente in cui vive, causa frequenti escoriazioni al cui rimarginamento provvede la funzionalità ristrutturante della bava, necessaria alla riparazione dei tessuti. La lumaca, infatti, reagisce ai danni cutanei producendo una grande quantità di muco, che la protegge con sostanze antimicrobiche e molecole che sollecitano il naturale processo di cicatrizzazione delle cellule e dei tessuti danneggiati. E sono, appunto, queste peculiarità della “bava” a renderla un prodotto molto interessante per la cosmesi. Ad accorgersene sono stati, nel 1980, i lavoratori di un’azienda che allevava lumache da destinare al mercato culinario francese. Questi si accorsero che le frequenti escoriazioni, dovute alla tipologia di lavoro, rimarginavano molto in fretta, senza andare incontro a infezioni o a cicatrici. Questo comportò ad ap-
La bava di lumaca è composta da varie sostanze, di cui alcune di grande interesse cosmetico come: • collagene • allantoina • acido glicolico • vitamine e proteine • peptidi • elastina
profondimenti, da parte del mondo scientifico, sulle caratteristiche del mucopolisaccaride delle lumache e dopo qualche anno si arrivò alla creazione di una crema che ne impiegava i principi. “Elicina” fu il nome attribuito a questo unguento, il marchio fu registrato nel 1995 a Ginevra e venne immediatamente introdotto nel mercato di diversi paesi. Attualmente, il mucopolisaccaride di lumaca è un ingrediente cosmetico abbastanza discusso e per questo oggetto di diversi studi scientifici orientati a dimostrarne la reale sua efficacia, tuttavia il suo impiego, come rimedio naturale, a molti problemi della pelle sta trovando sempre più consenso. E del resto passando in rassegna i “princìpi” di cui è costituita questa sostanza, ci si accorge che presentano grande affinità con quelli della nostra pelle. In essa sono contenuti l’allantoina, che stimola la produzione di collagene ed elastina, ossia i “mattoni” che danno la tonicità al tessuto, l’acido glicolico e l’acido lattico, diverse vitamine, che svolgono un effetto antiradicalico contrastando l’invecchiamento cutaneo, aminoacidi, fondamentali per l’ossigenazione dei tessuti. Sapientemente raccolta la bava, attraverso diversi metodi tra cui quello di far “camminare” le lumache su un tappetino rugoso, è entrata a far parte del campionario dei prodotti che aiutano a mantenere giovane e bella la nostra pelle. Insomma oltre che per il rapporto che la lumaca ha con il tempo, dovrebbe essere presa in seria considerazione anche per la capacità della sua bava di fermarlo proprio il tempo.
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Con l’arrivo della primavera sono pronte per essere stappate le bottiglie di Cabernet Doc, Merlot Doc, Rosso Colli Doc e liberare quei toni alti e intensamente profumati portati dalla vendemmia dello scorso autunno. Per accompagnare i dolci della Pasqua, invece, una selezione di spumanti rigorosamente ad immagine del territorio “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” recita il detto, ma per gli abitanti del territorio Pasqua significa soprattutto una gita sui colli Euganei. I ciliegi e i mandorli in fiore testimoniano il risveglio della natura, uno spettacolo appagante per il bisogno di aria aperta, di passeggiate, di visite ai borghi di pietra, di spiritualità nei tanti monasteri incastonati tra questi monti: Rua,Venda, Praglia, l’abazia di Monteortone. Sacro e profano, dunque, dove per profano non si intende qualcosa di empio o sacrilego, ma il semplice godimento proveniente da gusti e sapori altrettanto legati alla stessa tradizione: le erbe spontanee, madri di prelibati risotti e frittate, gli immancabili salami, protagonisti di scampagnate e picnic, i dolci, come la colomba, che il periodo richiama. Riti e consuetudini che richiedono altri sapori, quelli dei vini locali di cui protagonista è la Cantina Colli Euganei di Vo’ per essere quel fedele specchio liquido in cui si rinfrangono tanto i tratti somatici del paesaggio
collinare quanto i riti portati dalla stagione. La proposta è sempre vasta e variegata ma per accompagnare i cibi eletti della ritualità la risposta enologica non può che essere sullo stesso tono e rispondere con i vini della tradizione come il Cabernet Doc, il Merlot Doc, Il Merlot Rialto, affinato in botte grande per 3-4 mesi, il Rosso Colli Doc, ormai già pronti per essere stappati e liberare quei toni alti e intensamente profumati portati dalla vendemmia dello scorso autunno. Colori vivaci, rubini, brillanti ai quali si contrappongono i bianchi come il Pinot Grigio DOC delle Venezie, il Bianco Doc o il Pinot Bianco Doc e se si deve parlare di dolci primaverili: colombe, torte pasqualine o le immancabili ciambelle, l’orientamento non può che essere verso gli spumanti. Il Fior d’Arancio, tra questi, è sicuramente la bottiglia più rappresentativa per essere l’immagine enologica dei Colli Euganei e un vino che non può mai mancare nelle occasioni importanti.
cantina colli euganei s.c.a. via marconi, 314 - vo’ euganeo (pd)
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LA CANTINA IN NUMERI La Cantina Colli Euganei è una società cooperativa agricola fondata nel 1949, nata per volontà di un gruppo di viticoltori che si sono associati per poter raccogliere, vinificare e commercializzare il vino della zona Dop e Igp dei Colli Euganei. Oggi raggruppa circa 600 produttori, disseminati all’interno del territorio protetto dal Parco dei Colli. Per gli associati la cantina è un punto di riferimento quotidiano: consulenza enologica, assistenza tecnico-formativa per i viticoltori, grande attenzione alle scelte di qualità, in vigna come in cantina. È un’azienda certificata, che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. Aggiornamento costante, cultura tecnica e competenza caratterizzano lo staff che si impegna per dare la certezza di una filiera totalmente controllata, dal grappolo alla bottiglia. Con 8 milioni di chili d’uva raccolta, 6 milioni di litri di vino prodotto e 2,5 milioni di bottiglie distribuite la Cantina Colli Euganei è il maggiore produttore dell’area. Oltre ai punti vendita di Vo’, Limena e Selvazzano e Galzignano terme è possibile acquistare i prodotto della Cantina Colli Euganei anche on-line. Basta una mail all’indirizzo info@cantinavo.it per entrare in contatto con un operatore e poter accedere agli acquisti e ricevere entro 48 ore il vino desiderato direttamente a casa
I NOSTRI PUNTI VENDITA NON SOLO VINO
Nel Punto vendita della Cantina non è solo la rivendita delle bottiglie prodotte qui è, invece, un posto in cui si possono trovare le migliori eccellenze dell’agroalimentare nazionale: pasta, pomodori, olio, miele e ovviamente i dolci. È il posto giusto in cui cercare originali idee da regalare insieme alle bottiglie della cantina e alle pregiate grappe ottenute dalle vinacce delle uve lavorate qui come l’Acqua vite di Moscato, la Grappa di Fior d’Arancio e la barricata con il Notte di Galileo. • LIMENA via Buccia, 1 Tel. 049 8843803 - Fax 049 76 62 081 • CASELLE DI SELVAZZANO via Nazzario Sauro, 2 Tel. 049 8978378 • GALZIGNANO TERME via Valli, 55 Tel. 049 525384
tel. 049 9940011 - fax 049 9940497 - www.cantinacollieuganei.it - info@cantinavo.it
La ricotta LA FORMA DEL LATTE di Michele Grassi
DA PRODOTTO DEI POVERI AD ALIMENTO “LIGHT”
Ottenuta dal siero dal quale viene prodotto il formaggio, storicamente era considerata una sotto lavorazione casearia destinata la mercato popolare, nel tempo la sua leggerezza ed alta digeribilità l’hanno portata ed essere uno degli alimenti della tavola moderna
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i sa, il formaggio è il risultato principe della trasformazione del latte ed è, da sempre, l’alimento per tutti essendo consumato abitualmente e presente sempre sulle tavole degli italiani. Non ci sono dubbi, il formaggio è un alimento popolare, sia per il suo largo consumo sia per il suo costo accessibile, salvo qualche eccezione. Prodotto del popolo sin da quando lo si consuma anche se un tempo alcuni formaggi come il Monte Veronese Dop erano una prelibata merce di scambio. Se il formaggio si barattava con altre merci, ad esempio in Piemonte era scambiato con il sale che proveniva dalla Liguria, altri prodotti del lattiero caseario non avevano un commercio esteso ma del tutto locale, come la ricotta, il formaggio dei poveri. Ciò che veniva prodotto in caseificio era di duplice utilizzo, il formaggio per essere venduto, portava il ricavo alla bottega mentre la ricotta, considerata quasi uno scarto della lavorazione, era l’alimento destinato al mercato locale, a prezzo bassissimo e quindi accessibile anche ai più indigenti. Anche oggi la ricotta è un prodotto ambito da molti per ovvie e varie ragioni, è nutriente per il suo alto contenuto di proteine, molto digeribile anche per il basso contenuto di grassi e, a causa del suo sapore e dell’aroma delicati piace proprio a tutti. Ma cos’è la ricotta, quali sono le sue caratteristiche, si può conservare? Sono alcune delle domande che
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spesso mi vengono poste dal consumatore ma anche da chi della ricotta ne fa una fonte economica. Si pensi che il latte ha caratteristiche, chimiche fisiche e batteriologiche uniche, tali da consentire, misteriosamente, la sua trasformazione in formaggio. Una di queste caratteristiche è parte della sua composizione, ovvero l’alta concentrazione di proteine a loro volta rappresentate dalle caseine e dalle sieroproteine. Le prime, le caseine, possiedono una caratteristica fondamentale, sono sensibili agli enzimi contenuti nel caglio, che si sa serve a coagulare il latte, e di conseguenza rappresentano, dopo la formazione della cagliata, la parte solida del formaggio insieme con il grasso. Le sieroproteine viceversa, non sono sensibili e destabilizzate dal caglio, non coagulano e quindi non potendo essere “raccolte” dal casaro rimangono nella parte acquosa restante dopo l’estrazione della cagliata. L’acqua che rimane è detta siero e la sua componente più importante è determinata appunto dalle sieroproteine. Per un processo di riscaldamento del siero e sua conseguente acidificazione, le sieroproteine, essendo molto leggere, floculano, ovvero
La ricotta è nutriente per merito del suo alto contenuto di proteine, molto digeribile per il basso contenuto di grassi e piace a tutti grazie ad un sapore molto delicato
LA FORMA DEL LATTE salgono verso l’alto, formando uno strato che raccolto dal casaro rappresenta la ricotta d’affioramento. Questa fase produttiva denota un aspetto interessante perché ci fa comprendere che la ricotta non può essere considerata formaggio, essendo il risultato di una sottoproduzione del latte, è quindi definibile latticino e, a differenza del formaggio, non è un prodotto fermentato, ed è molto deperibile. Dopo questa dissertazione tecnologica è bene comprendere anche altri aspetti interessanti che a volte sono sottovalutati quando si acquista ricotta. La ricotta, quella vera, come ho già scritto è il risultato della lavorazione del siero che è composto prevalentemente da acqua e sieroproteine e, se il casaro ha lavorato con perizia, pochissimo grasso. La composizione del siero varia in funzione del formaggio che l’ha generato, sia per tecnica di trasformazione che per tipologia. Un formaggio a latte intero lascerà nel siero più grassi che un formaggio a latte parzialmente o totalmente scremato. In Veneto, in particolare sulle montagne, era uso fare formaggi a latte parzialmente scremato per poter produrre anche il burro, con conseguente scarsità di grasso residuo nel siero. Ciò consentiva al casaro di ottenere una ricotta di altissima digeribilità che poteva essere considerata davvero dietetica. Non si può discutere la qualità della ricotta in funzione del suo contenuto di grassi ma, certamente, il suo consumo può variare moltissimo proprio per le abitudini alimentari del consumatore. La ricotta da formaggio semigrasso, rimane in produzione in pochissime malghe dove, si sa, anche il formaggio tipico ormai sta scomparendo. Ma il fattore che stravolge la ricotta classica, è l’abitudine, ormai comune a tutti i caseifici, di aggiungere latte o addirittura panna, al siero prima della floculazione. Se leggete le etichette o meglio le schede dei prodotti, presenti in tutti i negozi, nella lista degli ingredienti sono quasi sempre parte del prodotto il latte o la panna, i quali rendono il latticino, magro per antonomasia, grasso. Le abitudini e i gusti del consumatore possono senz’altro condizionare le tecniche di produzione, ma avviene anche il contrario. La ricotta quindi è un prodotto che dev’essere consumato fresco, in pochi giorni, salvo che non vengano impiegati conservanti o venga essa stessa lavorata affinché la sua conservazione si prolunghi. Sono molte le tecniche naturali che consentono la conservazione della ricotta e sono indubbiamente condizionate dagli usi e dalle caratteristiche territoriali presso le quali vengono compiute. In Sicilia vengono sfruttate le caratteristiche climatiche e la presenza del mare che offre, a basso costo,
il sale, per conservare
Per la conservazione della ricotta in Sicilia si ricorre al sale, mentre in Veneto, soprattutto nelle zone montane, è diffusa l’affumicatura
la “ricotta infornata”, mentre in Veneto, soprattutto sulle montagne, per la presenza della rigogliosa vegetazione di conifere, e di conseguenza di legname, viene sfruttato il fuoco per l’affumicatura. Ricotta caratteristica e tipica, quella affumicata, tanto da essere inserita nella lista delle Pat, produzioni agroalimentari tradizionali del Veneto, che vede la sua massima produzione sulle montagne, e non manca mai nelle malghe, naturalmente nel periodo estivo. Questo metodo di conservazione veniva e viene ancora realizzato nei periodi in cui la ricotta non ha un grande smercio, nelle malghe il miglior periodo è quello che precede l’afflusso del turismo. Basta un pizzico di sale grosso, una lenta affumicatura, spesso con l’utilizzo di segatura che smorza, il calore della brace, e la ricotta assume consistenza, un po’ per essere consumata a tavola o, se più essiccata, per essere grattugiata su un piatto di pasta condita con burro fuso, di malga naturalmente.spuntano in modo alternato. Un attrezzo che la natura dona al casaro per rompere la cagliata. Il pastore che si occupava di fare formaggio non era a conoscenza di quanto, queste semplici attrezzature, fossero determinanti per le mutazioni che avvenivano al latte durante la trasformazione. Ma la scarsa, se non nulla, conoscenza delle azioni microbiche, impediva di capire il perché molto spesso i formaggi assumevano difetti, a volte irrimediabili, che forse
Uno dei piatti più tipici delle nostre montagne sono gli gnocchi conditi con il burro di malga e ricotta affumicata
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LA FORMA DEL LATTE Non può essere considerata formaggio perché è il risultato di una sottoproduzione del latte. Sarebbe più corretto definirla un latticino. Non è un prodotto fermentato ed è molto deperibile non erano considerati tali. Quindi le fermentazioni che s’innescavano nel latte potevano essere utili o dannose alla trasformazione casearia. Oggi, diversamente, conosciamo a fondo le implicazioni che gli attrezzi di legno possono portare durante la lavorazione e di conseguenza durante la maturazione del formaggio, causate da quella carica batterica originaria che promuove le fermentazioni nel latte. Non ci è data la possibilità di conoscere la qualità del formaggio ottenuto cent’anni fa, non c’eravamo e, sicuramente il metodo di giudizio era diverso da quello di oggi, che spesso è critico, costruttivo. Oggi, le differenze tecnologiche rispetto a 100 anni fa, o anche meno, sono molte e sono influenzate dalla consapevolezza delle mutazioni chimiche e fisiche che avvengono nel latte in caldaia, ma soprattutto dalla conoscenza della microbiologia, importante scienza che studia gli esseri viventi microscopici. Queste attuali cognizioni portano a considerare l’aspetto prioritario nelle trasformazioni alimentari e in particolare in quelle casearie, l’igiene. Il latte è sensibilissimo alle contaminazioni, sia esse positive, ovvero quelle che consentono corrette fermentazioni, che negative spesso anti casearie e, per fortuna molto raramente, patogene. Le fermentazioni anti casearie sono quindi le responsabili dei difetti dei formaggi e vanno contrastate per evitare, soprattutto nei formaggi a pasta molle freschi, l’insorgere di patologie. Tutto ciò non vuole essere allarmistico e non toglie che le normative vigenti consentano di lavorare latte crudo, ovvero quel latte che non subisce risanamento determinato dalla pastorizzazione. È propio qui il bello della conoscenza moderna, poter lavorare in sicurezza un latte dalle importanti caratteristiche nutrizionali, chimiche, e batteriologiche, proprio come si faceva tanti anni fa. Lavorare latte crudo oggi non è più un’azione affidata al caso, i controlli igienico-sanitari degli organismi di controllo consentono al pastore come al casaro artigianale o industriale, di trasformare la materia prima
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in formaggi dal sicuro risultato, sia organolettico sia sanitario. Sono tante le mutazioni tecnologiche avvenute negli ultimi anni, e sono sicuramente di grande importanza anche se spesso hanno portato all’abbandono delle tecniche antiche per quelle moderne soprattutto nelle attrezzature come le caldaie che un tempo erano riscaldate dal fuoco a legna o come lo spino di legno, oggi di acciaio. Queste mutazioni hanno determinato un profondo cambiamento delle caratteristiche organolettiche del formaggio, che in molti casi possono essere considerate del tutto migliorative. Per meglio comprendere quest’aspetto di cambiamento radicale legato alla trasformazione casearia, è bene sapere che la sua fase più importante è quella dell’innesto di batteri lattici nel latte, che è causa principale delle fermentazioni anche successive nel formaggio. Oggi abbiamo la capacità di operare direttamente in caseificio, con controllate azioni, per ottenere starter naturali come il “lattoinnesto” o il “sieroinnesto”, agenti microbici autoctoni, che emulano la carica batterica intrisa nello spino di legno, capaci di concedere fermentazioni utili e di conseguenza risultati positivi. Da tutto ciò si evince che le tecniche tradizionali antiche possono essere ancora attuate se il latte utilizzato detiene caratteristiche chimiche e batteriche di elevata qualità, magari con l’utilizzo d’innesti naturali e naturalmente con la capacità del casaro di guidare correttamente il processo di trasformazione. I valori di un tempo, le tradizioni, le tecniche antiche, insieme alla conoscenza che oggi abbiamo sia per ottenere latte di qualità che per trasformarlo, ci portano a considerare che è grande la responsabilità degli attuali operatore del settore caseario, in quanto non solo devono salvaguardare la tipicità dei formaggi tramandataci dai nostri padri, ma lasciare in eredità quelle tecniche che possono migliorare qualitativamente il formaggio, proprio per la consapevolezza di ciò che avviene durante la trasformazione. Tradizione, tipicità, conoscenza, non possono quindi viaggiare separati, il tempo l’ha dimostrato e proverà che anche lo spino di legno da sempre utilizzato può seguitare a concedere valori positivi ed elevate caratteristiche organolettiche al formaggio che, proprio per questi valori, continuerà a essere espressione della nostra storia.
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Caseificio AI PRÀ
Formaggi onestamente naturali Ogni giorno vengono lavorati 6-7 quintali di latte vaccino, trasformandoli in diversi tipi di formaggio, impiegando solo caglio naturale di vitello, fermenti e sale Il formaggio fa bene purché sia genuino e purché sia quello prodotto del Caseificio Ai Prà di Maserà di Padova dove alla genuinità del latte, ottenuto dalla mungitura quotidiana delle cinquanta mucche pezzate italiane allevate da Pier Giorgio, si aggiunge solo il lavoro e l’esperienza della “casara” Antonella. La filiera di produzione è cortissima e ha un nome, un volto e le mani di chi ama la campagna e per questo la sa rispettare. Parliamo di una produzione di eccellenza, realizzata con l’impiego di solo caglio naturale di vitello, fermenti e sale. Niente conservanti, niente acido citrico (nemmeno nelle mozzarelle), niente che non sia totalmente naturale rientra nel ciclo di produzione di formaggi freschi, stagionati e semi stagionati come le caciotte, vero punto di forza del caseificio per essere prodotte in mille aromatizzazioni: dalle noci al miele, e dalle vinacce alle erbe aromatiche. Ma non mancano le toselle, eccellenti
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anche grigliate, e i freschissimi come le mozzarelle o la ricotta. Tra gli stagionati spicca Il Nostrano, che qui viene affinato con il miele di castagno o in barrique di legno riempite di fieno, Il “Vecchio” con dieci mesi di stagionatura; Il celebrato Ai Prà dal sapore di latte appena munto, si scioglie in bocca liberando una nota dolce e lievemente acidula. Formaggi straordinari eccellenti da portare a tavola sempre, senza preoccuparsi troppo del colesterolo.
DOVE TROVARE I PRODOTTI DEL CASEIFICIO AI PRÀ
Il banco dei prodotti del caseificio Ai Prà si sposta durante la settimana: • Il martedì pomeriggio dalle 17.00 alle 20.00 in piazza di Due Carrare • Il mercoledì mattina al mercato di Conselve • Il venerdì è aperto tutto il giorno il punto vendita aziendale • Il sabato mattina in piazza Cannoni a Sottomarina al mercatino dei tipici • La domenica ai mercatini di Campagna Amica, o alle fiere promozionali del territorio
Azienda Agricola Ai Prà via Pratiarcati, 9 - 35020 Maserà di Padova (PD) www.aziendaagricolacaseificio.padova.it antbus973@gmail.com Azienda Agricola Ai Prà
Antico Molino trattoria
Di Pernumia,
GIOCO INTRIGANTE DI SAPORI Qui è ancora possibile alzarsi da tavola con una sensazione di festa, conquistati da quello che non è stato solo un pasto, ma un’esperienza La stagione assume forme e riti che vanno dove la natura e gli orti danno il meglio di se: cercate proprio all’interno dei ristoranti, perché carciofi, erbe spontanee, ovviamente i bianchi non c’è posto più adatto di una cucina per trovare asparagi di Pernumia che ogni giorno offrono lo i gusti e i sapori del calendario che cambia. E il spunto per rinnovare la carta e portare in tavola ristorante Antico Molino di Pernumia è il luogo nient’altro che la freschezza. Gode di buona fama perfetto per trovare quel preciso contrappunto il risotto ai germogli di ortica e Taleggio, altro tra scorci del paesaggio e prodotti che a buon piatto che va forte è “Il magnifico vegetariano”, diritto appartengono allo stesso panorama. piace l’accuratezza delle lavorazioni e i misurati Qui è ancora accostamenti di sapori. Per i vini: alla qualità si accompagna possibile alzarsi Il gioco con i palati, da tavola con l’abbondanza, tanto che la collocazione infatti, si fa intrigante una sensazione come in questo delle bottiglie è divisa in isole all’interno quando di festa, caso l’obiettivo è quello della sala, in rappresentanza di quasi conquistati da di valorizzare la materia quello che non prima per trasmettere tutte le regioni d’Italia è stato solo un piacevoli sensazioni pasto, ma un’esperienza. Un locale che unisce, di gusto. Per lo stesso motivo anche il pane è in una atmosfera calda e rilassante data dalla veramente quotidiano, trovandoci all’interno particolare location, si tratta di un molino del XVI di un mulino il piacere per le farine non poteva secolo perfettamente adattato all’accoglienza, che essere quello di darne lievitazione e cottura i piatti della tradizione più schietta a proposte ogni santa mattina insieme ai dolci anch’essi gastronomiche raffinate e interpretate con una figli della mano del cuoco e non dell’industria. creatività sempre nuova. La forza del menù Discorso a parte meritano i vini per i quali alla sono le carni di “fassona”, specialmente le qualità si accompagna l’abbondanza, tanto che cruditee come la tartare, le battute al coltello e i la collocazione delle bottiglie è divisa in isole carpacci, alle quali si accompagnano le verdure all’interno della sala, in rappresentanza di quasi che letteralmente trionfano in questa stagione, tutte le regioni d’Italia. “Diversamente sarebbe
Antico Molino Via Palù Superiore - Pernumia (PD) info&prenotazioni: Tel. +39 0429 779071 - info@anticomolino.it
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difficile trovarle – spiega il padrone di casa, Andrea Bergamasco – tra le cinquecento etichette che ho personalmente selezionato”. La Carta dei vini, infatti, è un vero campionario delle migliori aree del buon bere nazionale e internazionale, le alture euganee sono ben rappresentate, ma anche quei vini veronesi che vanno molto di moda
oggi, senza dimenticare i piemontesi, i toscani, i vini del sole del Sud e pure qualche etichetta estera. Il vino sfuso qui è stato bandito da decenni e il bicchiere serve per aggiungere “intrigo” e “accordo” con i sapori della cucina, per questo sono molto frequenti le serate e gli appuntamenti dedicati all’enologia.
Molino Catering
Il Molino offre anche il servizio di catering e banqueting su tutto il territorio del nord Italia. Il Molino catering garantisce efficienza nell’organizzazione di ogni evento: sport, spettacolo, cultura e business. Che si tratti di grandi eventi o di una piccola occasione, il cliente ha sempre la sicurezza dell’attenzione ad ogni dettaglio, grazie: alla selezione di chef qualificati e creativi, allo studio della location, all’attenzione alle esigenze di budget e logistica del cliente , alla scelta dei menù adeguati all’evento. Proponiamo cucina tipica veneta e storica, dai piatti classici alla più moderna formula finger food, reinventandoci ogni volta. Diamo la possibilità di completare i vostri meeting aziendali con la preparazione di colazioni di lavoro, coffe break & lunch.
Menù di Pasqua Per il giorno di Pasqua il Molino propone il suo menù: Antipasti
Battuta di Fassona in crosta d’asparagi su crema di burrata, zabaione salato e petali integrali Torta pasqualina con ovetto di quaglia servita su fondo di asparagi Puntine di asparago fritte
Primi piatti Risotto della riseria Grazia con asparagi, bouquet dei Colli e ricotta affumicata Millefoglie con carciofi, cubetti di barbabietola rossa e briciole di Patanegra
Secondi Piatti Capretto cotto lentamente e servito con il succo di cottura Bocconcini di vitello croccanti al mais pan
Dolce Sorpresa pasquale
Dalla cantina Bianco – Az. Simon di Brazzan Cabernet – Az. Ronco del Gelso Mosto parzialemente fermentato - Az. Pelissero
Il ristorante è aperto tutta la settimana, rimane chiuso la domenica sera e il lunedì
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Carni di maiale e insaccati di altissima qualità Animali allevati direttamente in azienda e prodotti genuini, realizzati secondo tradizione. In vendita anche suini vivi di tutte le taglie
Ciò che ci contraddistingue è il legame profondo con il territorio e con la tradizione veneta nel produrre insaccati di altissima qualità. Per garantire sapore e genuinità utilizziamo solo ed esclusivamente i migliori tagli di carni provenienti da suini allevati in azienda e una lavorazione senza utilizzo di conservanti o additivi, come richiede ora un consumatore attento alla qualità di ciò che consuma e alla sua salute. La lenta stagionatura e lo scorrere del tempo permettono poi al prodotto di maturare creando un perfetto equilibrio in bocca I migliori tagli del maiale e i nostri prodotti li puoi trovare nel punto vendita aziendale SCREMIN Via Fiume, 82 - Piazzola sul Brenta - Cell. 328 6642395 Oppure ogni domenica al mercatino rionale di Camisano Vicentino
IL PANORAMA GASTRONOMICO di Mario Stramazzo
“METTETE DEI FIORI NEI VOSTRI… CENONI” Con l’arrivo della bella stagione questi colorati prodotti della Natura possono diventare un grande alleato in cucina. Conoscerne i valori e l’impiego può essere un modo per aggiungere sapori inattesi ai propri piatti, ma attenzione: non tutte le specie sono edibili
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uando le prime frizzanti arie primaverili stimolano il ricorso a cibarsi di una miriade di erbette selvatiche che cominciano a far capolino sui campi, sui prati, ai margini dei boschi o ancora, lungo gli argini dei fiumi e dei fossi, può anche capitare il desiderio di piluccare pure qualche piccolo fiorellino, che al pari del verde cangiante di erbe e turioni, annuncia l’arrivo della stagione del rinnovamento, con il suo colore. I fiori del resto sono diventati assai di moda in cucina, grazie a vere e proprie tendenze create dagli chef più o meno blasonati. In realtà, l’utilizzo dei fiori in cucina, oltre che come elementi ornamentali per decorare il centro di tavole eleganti, risale alle antiche culture orientali. In Cina e in Giappone, ad esempio, l’uso di questi colorati prodotti della natura è assai diffuso fin dalla notte dei tempi. Tuttavia anche nel nostro continente l’uso dei fiori in cucina, e più in generale nell’alimentazione, è una pratica piuttosto consolidata da tempo. Gli antichi romani, per esempio, erano soliti aromatizzare le bevande con petali di rosa e violette, la stessa cosa
In Cina e in Giappone l’uso dei fiori in cucina è assai diffuso fin dalla notte dei tempi
avveniva con le essenze di garofano nel Medioevo per migliorare il gusto dei vino, al tempo non certo paragonabili per boccato agli attuali, ma è stato in seguito agli scambi commerciali che Olanda e Inghilterra instaurarono nel corso del XVI e XVII, attraverso le Compagnie delle Indie, proprio con l’Asia, che i fiori entrarono a far parte della tavola in modo più convinto. Ai tempi Shakespeare, infatti, rose e garofani, mescolati alle bevande, iniziarono ad essere servite durante gli spettacoli teatrali, oppure le primule iniziarono ad essere impiegate come elemento “colorante” per la macedonia di frutta o ancora le delicate vio-
Ai tempi di Elisabetta I i commerci marittimi iniziarono ad essere planetari e dalla Cina, otre al tè e alle preziose porcellane, venne importato l’uso dei fiori in cucina
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IL PANORAMA GASTRONOMICO lette, avvolte da numerosi veli di zucchero, divennero ingrediente speciale per golosi bon-bon. Dal dolce al salato il salto fu breve e arriviamo già ai giorni nostri con fiori che ancora sono al centro di ricette contemporanee: i fiori di zucca, che appunto in cucina non hanno certo bisogno di presentazioni, lo zafferano, ingrediente principe dell’ormai mondiale risotto alla milanese, glorificato dal compianto Gualtiero Marchesi, ma anche di altre preparazioni del bacino mediterraneo; come la “paella” in Spagna, o la “bouillabaisse” in Francia. Abbiamo citato due autentici principi nel bouquet dei fiori eduli, ma accanto a questi, Slow Food ne ha catalogati altri 40: un modo per promuoverne sempre più il consumo, ma anche per indicare quali possono essere realmente utilizzati in cucina senza incorrere in brutte sorprese. Non tutti i fiori sono commestibili, infatti, e non bisogna farsi intrigare dalla loro bellezza come, ad esempio, potrebbero fare i ciclamini, le azalee, gli iris, i fiori d’oleandro, il fiore del tabacco o il mughetto. Sono queste, solo alcune delle infiorescenze che hanno un effetto velenoso fra le centinaia che catturano lo sguardo. Chi invece volesse cominciare ad usarli in cucina, per impreziosire i propri piatti con gusti più originali, può cominciare dal fiore blu della borragine che ha un sapore che assomiglia al cetriolo ma non va assolutamente confusa con la mandragora. Fiore, quest’ultimo, che ha una inflorescenza similare ma è molto tossica. Buono, di contro, il gusto arancio e piccantino della calendula, ideale per insalate, zuppe, frittate, pasta e risotti. Da dire, che il fiore di calendula è anche conosciuto come lo “zafferano dei poveri” proprio per il suo caratteristico colore arancione; infatti, se viene essiccato, può essere un ottimo sostituto
Il fiore di calendula è anche conosciuto come lo “zafferano dei poveri” proprio per il suo caratteristico colore arancione e per essere un suo ottimo surrogato
dello zafferano. Il garofano, invece, dona ai piatti un gusto pepato e si adatta alla preparazione di risotti, pasta, dolci e liquori. Con i petali di geranio si fanno frittate, parfait e sorbetti mentre i petali di rosa sono notoriamente usati per la preparazione di marmellate e liquori, ma trovano anche piacevole impiego nella preparazione di risotti, dolci e insalate. La begonia, dal sapore acidulo e un po’ aspro, simile al limone, risulta ottima per sorbetti, gelati e macedonie mentre l’ibisco, dal sapore dolce e raffinato, che ricorda i frutti di bosco, ve bene per ottimi dolci. Intrigante pure il girasole che quando viene cotto a vapore sa replicare al palato il gusto di finocchio. E ancora, la viola, che sa di menta; il cerfoglio che sa di anice e che talora, con le sole foglie e i gambi apicali, viene usato al posto del prezzemolo. Altra star del panorama fiorito è il gelso-
Il garofano dona ai piatti un gusto pepato e si adatta alla preparazione di risotti, pasta, dolci e liquori
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IL PANORAMA GASTRONOMICO mino, usato per il tè o anche come alternativa alla lavanda. Fiore anche questo largamente utilizzato dagli chef, per molti dolci dal sapore anglosassone. Insomma un florilegio di fiori in cucina, gioco di parole permettendo, che mai come in primavera, stagione di Pasqua e resurrezione, non solo per lo spirito ma per tutta la natura, andrebbe incoraggiato e coltivato. E non solo per l’originalità di sapori ormai perduti nella corsa dei tempi moderni, che hanno abbandonato per strada le antiche sapienze del saper sfruttare ogni erba e ogni fiore per trarne nutrimento, ma soprattutto per fare proprie anche le molte virtù salutari e terapeutiche che la natura sa offrire. Ma questo, sulle specifiche prerogative che fanno bene alla salute, meglio lasciarlo agli erboristi e a quei pochi galenici che ancora sono rimasti. Per i sempre più numerosi neofiti ed emulatori dei grandi chef va ricordato ancora una volta di usare solo fiori che vengono coltivati e raccolti da esperti solo per uso alimentare. Evitare dunque di usare in cucina fiori provenienti da vivai e fiorai non specializzati a causa dei trattamenti ai quali sono sottoposti e li rendono incompatibili all’uso alimentare. Altro consiglio è quello di non raccogliere i fiori che si trovano ai bordi delle strade. Coltivarli sul balcone di casa può essere un’idea alternativa ma l’ubicazione della propria casa non deve essere certo avvolta dai fumi e dallo smog di città. In ogni caso vanno sempre sciacquati con attenzione e tamponati con un panno pulito perché la loro fragranza porti in tavola la freschezza della bella stagione.
Non bisogna farsi intrigare dalla loro bellezza, molti fiori sono tossici per il nostro organismo
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CONSELVE VIGNETI E CANTINE
VI ASPETTIAMO al Padiglione 4 Stand C1 per presentarvi il frutto del nostro lavoro
Conselve Vigneti e Cantine appuntamento a Vinitaly
Dal 15 al 18 aprile la selezione della storica cantina sarà in degustazione. Ambasciatore della produzione ovviamente il Friularo, vendemmia 2012 Negli anni ’50 la Cantina di Conselve è nata per soddisfare le esigenze di un territorio in cambiamento. Erano gli anni del dopoguerra e la viticultura da produzione per l’autoconsumo stava diventando un’attività redditizia, ma bisognosa di un centro per l’ottimizzazione della raccolta, la lavorazione dei grappoli, dei mosti e ovviamente la commercializzazione del vino, al tempo ancora venduto sfuso. Oggi il ruolo dello stabilimento di via Padova a Conselve non è venuto meno: le quantità e la qualità dei vini prodotti trovano un mercato anche all’estero sempre più ampio e sempre più pronto ad apprezzare le produzioni locali
Nei nostri punti vendita di via Padova a Conselve e via Borgo Botteghe a Piove di Sacco troverete l’intera offerta dei nostri vini e anche idee regalo Conselve Vigneti e Cantine S.C.A. - Via Padova, 68 - 35026 Conselve (PD) - Tel. 049 5384433 - FAX 049 9500844
Friularo Docg,
l’immagine del territorio Uva tipica della zona del Conselvano derivante da un biotipo di Raboso piave, può considerarsi oramai un autoctono della bassa padovana date le peculiari capacità espressive che esalta in questa zona. Frutto del lavoro certosino di 70 aziende partecipanti ad un progetto che da anni prende il nome di “Ambasciatore”, le uve vengono raccolte in piccole cassette da 2kg e riposte in fruttaio ad appassire, dalla fine di ottobre ai primi di gennaio, per ottenere un nettare di oltre 15%vol dai forti sentori di marasca, frutta rossa e piccoli frutti neri. La successiva maturazione in serbatoio e l’invecchiamento per oltre 3 anni in piccole botti di rovere ne ingentilisce il sapore, arrotonda il gusto, evolve i profumi fino ad ottenere un grande vino di spessore dalle caratteristiche uniche ed una durevolezza estrema data dalla freschezza originaria delle uve. ANNATA 2012 - COLORI E PROFUMI INTENSI Da quest’anno è in commercializzazione l’annata 2012 e si presenta di un colore rosso granato molto intenso, quasi impenetrabile, tonalità matura ma con ancora un tono di freschezza nell’unghia, caratteristica fondamentale del Friularo. Al profumo si presenta molto complesso, con una evidente nota di speziatura derivante dalla lunga permanenza in barriques da 225lt. Successivamente con l’evoluzione nel bicchiere si aprono sentori di cioccolato, vaniglia, cappuccino ed una certa balsamicità che porta a sentori di confettura, data dal parziale appassimento a cui sono sottoposte le uve. Caratteristica predominante di questa annata 2012 è la notevole complessità dei profumi evoluti dal legno che ben si amalgamano con le forti componenti dei profumi primari delle uve, tra cui risaltano la marasca e i frutti di bosco. Al sapore risulta pieno, molto voluminoso, con una leggera nota acidula ben armonizzata dall’abbondante contenuto in glicerolo dato dalla lunga e lenta fermentazione alle basse temperature di fine gennaio, e da un modesto residuo zuccherino da appassimento. ABBINAMENTI – UN VINO PER PIATTI IMPORTANTI È un vino dall’importante volume e di ottima armonia, con un palato pieno e molto lungo, ricco di persistenza e dalle sensazioni sempre in evoluzione. Vino da carni rosse robuste, arrosti o spiedi, ma che ben si accompagna a formaggi molto stagionati. L’esaltazione massima la si può avere se aperto circa una mezz’ora prima dell’uso e come vino da meditazione degustato a piccoli sorsi su bicchiere ballon dopo cena abbinato a cioccolato fondente o altro dessert a base di cioccolato.
www.cantinaconselve.it - info@cantinaconselve.it
LA RECENSIONE di Renato Malaman
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PERCHÈ
Recensione
EL FONTEGO DI CHIOGGIA DALLE FARINE AL PESCE
Renato Malaman, noto enogastronomo padovano, visita per la nostra rivista i ristoranti della Bassa Padovana, dell’area euganea e dei territori limitrofi più ricchi di tradizione, per raccontare storie, personaggi e piatti che nel tempo li hanno resi celebri. Esprimendo anche una sua valutazione sulla qualità attuale della proposta
Lo storico deposito dei prodotti del grano in riva al Canal Vena oggi è un accogliente ristorante dove trova espressione piena la cucina tradizionale di mare chioggiotta
C’
è la Chioggia delle origini al “Fontego”, quella che nel ‘300 ha persino osato rivaleggiare con la Serenissima. Dove oggi c’è il ristorante “El Fontego”, tempio della cucina di mare al cui timone c’è Sergio Pagan, anticamente (ovvero dal XIV secolo) c’era il Fontego delle Farine. E la storia traspare tutta in questo bel locale affacciato sulla pittoresca piazzetta XX Settembre. Traspare dalle sue pareti, dalle sue colonne, dall’atmosfera schiettamente popolare che vi si respira per quanto oggi sia un locale al passo con i tempi, sobrio ed elegante al tempo stesso. Lo spirito di allora si coglie anche d’estate quando nell’invitante plateatico allestito nella piazzetta si colgono gli echi inconfondibili e pittoreschi della Chioggia di tutti i giorni: dall’andirivieni di barche sul vicino canale della Vena allo struscio dei turisti lungo il corso del Popolo. Gli stessi rumori di un tempo, quando erano i mercanti ad affollare la piazzetta. Bello “El Fontego”, stimola ad entrare. Manco a dirlo è il pesce la proposta forte del ristorante fondato oltre mezzo secolo fa da Loredano Pagan, chioggiotto doc che dopo la scuola alberghiera si trasferì a Torino per affinare il mestiere. Per poi tornare a Chioggia e aprire il ristorante “Al Bersagliere”. “El Fontego” è lo step successivo di un percorso di crescita che ha trovato poi nel figlio Sergio un abile interprete. Sergio tornò da New York per dedicarsi al locale di famiglia. Tornò con il piglio deciso di chi finalmente aveva capito qual era la sua strada. “El Fontego” venne restaurato per diventare quello che è oggi. Dispone di ben 140 posti a sedere (200 d’estate) che nei fine settimana vanno a ruba. Cucina di pesce, si diceva. E ci mancherebbe altro! Chioggia è uno dei poli pescherecci della penisola. Lungo le sue calli l’aria è impregnata dai profumi del mare. In menù al Fontego c’è di tutto, con l’aggiunta di qualche piccola sorpresa quotidiana
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Sergio tornò da New York per dedicarsi al locale di famiglia
LA RECENSIONE Quindi il fritto di scampetti e calamaretti spillo: che fragranza
trovata al mercato da Sergio o dalla moglie Raffaella. E vorremmo sfatare anche un luogo comune: Chioggia è invitante anche d’inverno, stagione in cui il mare esprime il meglio dal punto di vista gastronomico. A tavola al Fontego non mancano i tradizionali “bussolà” di Chioggia, vera specialità dei forni locali. Poi arrivano tre prelibatezze cotte al vapore: la “granseola” nel suo guscio, le “canocie” e le “schie” su letto di polentina; seguono due morbide e gustose cappesante dell’Adriatico cotte alla brace (che differenza rispetto a quelle di provenienza asiatica), quindi il fritto misto di scampetti e calamaretti spillo (che fragranza). Una cena che si è rivelata un tuffo nella tradizione chioggiotta. Orfana dei primi semplicemente perché sarebbe diventata abbondante, ma va detto che il locale è famoso anche per i suoi spaghetti alle vongole veraci della laguna, per i tagliolini con radicchio di Chioggia e mazzancolle, per la zuppa di pesce alla chioggiotta. Fritture e grigliate hanno ampie sezioni dedicate nel menù e occhieggia anche una sezione di pesce al forno. Come pure, tra gli antipasti, una piccola vetrina dedicata ai crudi (oggi tanto di moda). Per chi non ha la fortuna di amare il pesce c’è qualche pietanza di carne. Se vogliamo trovare un comune denominatore per definire la cucina del “Fontego”, direi la schiettezza della materia prima e una certa coerenza con la tradizione chioggiotta. Carta dei vini che guarda soprattutto ai bianchi e alle bollicine per offrire un’ottima gamma di etichette da abbinare al pesce. Poi tanti tipi di sorbetti e di dolci fatti in casa. Buono il rapporto qualità - prezzo. Da consigliare i menù degustazione. Il “Fontego” ha sdoganato nella ristorazione anche la pizza andando a intercettare una fascia di appassionati (specie i bambini) che la prediligono alla cena. Nel complesso una bella esperienza al “Fontego” di cui abbiamo anche apprezzato l’accoglienza, schietta e mai sopra le righe. Di Sergio Pagan, discreto padrone di casa, è evidente il profilo professionale maturato all’estero. Specie con i clienti stranieri è Il giornalista Renato Malaman con Sergio Pagan una bella carta da giocare.
La Pagella
di Con i piedi per terra
⊲ Uso delle materie prime del territorio
⊲ Piatti in menù che seguono la stagionalità ⊲ Rielaborazione dei piatti della tradizione secondo fantasia e creatività ⊲ Accoglienza ⊲ Abbinamento vini ⊲ Rapporto qualità-prezzo
Premio
INGIROPIEDANDO di Mauro Gambin
“CUCINA IDENTITÀ DEL TERRITORIO” ALL’HOSTARIA SAN BENEDETTO DI MONTAGNANA Anche il 2017 ha avuto il suo vincitore: Il premio con il quale ogni anno la nostra testata designa la miglior cucina, nell’interpretazione dei prodotti del territorio, è stato assegnato allo storico locale della “Città Murata”
C
ucinare è un’arte, l’ospitalità un talento, ma promuovere il territorio attraverso queste due forme della ristorazione è un segno di alta Cultura, perché solo chi opera in questo modo dimostra di conoscere la terra in cui vive e lavora, di conoscerne le eccellenze, la storia, le tradizioni e di attribuire a queste un valore così alto da porle al centro della propria offerta rivolta al cliente. Ecco: chi fa questo si merita il nostro “alberello”, simbolo della testata. Un premio che abbiamo ideato proprio per rendere riconoscibili coloro che con il loro lavoro vanno nella direzione della custodia dei luoghi, della salvaguardia delle tradizioni, delle più alte “visioni” per andare oltre la logica della ricetta apolide, del protocollo seriale, della ristorazione come attività meramente commer-
ciale. Perché nella ristorazione è racchiuso il principio antico quanto nobile dell’ospitalità, quell’accoglienza che è fondamento della civiltà. E sono proprio questi i valori che abbiamo riconosciuto nell’offerta dell’Hostaria San Benedetto di Montagnana, attraverso il lavoro di selezione condotto dal giornalista enogastronomo Renato Malaman, tra i sei ristoranti visitati nel corso del 2017 per la nostra testata nelle aree della Bassa Padovana, del Basso Veneziano e del Polesine, evidenziandone la storia, valutandone i piatti e la proposta complessiva. A questo storico ristorante della “Città Murata”, dunque, il premio “Cucina Identità del Territorio”, un premio che ci auguriamo serva a mettere in luce chi ama la propria terra e attraverso il proprio talento ne esalta e ne diffonde il valore.
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PANORAMA GASTRONOMICO di Riccardo Ghidotti
Pietro Bonatti era originario di Adria dove nacque nel 1833, patriota e pittore, abitò a Padova ed infine a Monselice dove morì nel 1907. Di lui rimane la particolare e curiosa epigrafe, probabilmente, dettata dal figlio: “Alla veneranda memoria di Pietro Bonatti / Volontario nell’esercito piemontese / Uomo della democrazia / Artista pittore / Visse liberamente pensando / Libero pensatore si spense / nell’età di anni 74”.
Nella foto il manoscritto lasciato da Bonatti, la prima notazione risale al 1871, mentre l’ultima in ordine cronologico segna l’anno 1911. Le annotazioni, infatti sono proseguite dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 1907, per mano del figlio Arturo, che si occupò anche della rilegatura dei fogli in registro. Tra le pagine rimangono memoria dei lavori svolti come pittore e restauratore di opere d’arte, lo stato dei pagamenti e i proventi da altre attività, ma anche annotazioni di carattere più generale come consigli pratici per evitare che le patate germoglino, il riposizionamento attraverso delle leve di una trave ceduta, odi a Garibaldi e appunto la ricetta della vera mostarda euganea
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“Madonna con san Sabino patrono di Monselice” opera di Pietro Bonatti, conservata nel duomo nuovo di Monselice
PANORAMA GASTRONOMICO
mostarda euganea
NEL REGISTRO DEL PITTORE BONATTI LA RICETTA DELLA VERA
Dalle pagine di un vecchio registro, conservato al Museo Storico di Monselice della Collezione “Giuseppe Ruzzante”, le giuste dosi e il procedimento per la preparazione di una ricetta che più tardi è stata tra i prodotti di successo dell’industria dolciaria Dal Din
I
n prossimità del convegno che il prossimo 7 aprile sarà dedicato alla figura di Carlo Dal Din, storico imprenditore monselicense nel settore dolciario, tirar fuor dal cassetto un’antica ricetta della mostarda euganea potrebbe essere interessante. Lo è stato per me, anche per l’aspetto curioso della scoperta che ho fatto, perché proprio nei giorni in cui questo importante appuntamento dedicato alla storia di una delle più importanti fabbriche di Monselice, passata alla storia per le sue celebri scatole di latta, ma anche per la qualità delle confetture, delle caramelle, del torrone e appunto della mostarda, mi sono imbattuto in una ricetta che indica le dosi esatte di quest’ultimo prodotto e l’ho trovata, bizzarro a credersi, in un registro lasciato da un pittore monselicense della seconda metà dell’Ottocento. Nella continua ricerca d’archivio, infatti, mi sono imbattuto in una curiosa notazione in un manoscritto conservato presso il Museo Storico di Monselice della Collezione “Giuseppe Ruzzante” che dirigo. Si tratta del “Registro dei lavori di pittura di Pietro Bonatti e altre memorie” con titolazione autografa manoscritta. Il pregevole manoscritto è in sostanza un diario ordinato in sequenza cronologica. Sono annotate le opere di pittura eseguite da Pietro Bonatti nella sua lunga carriera artistica. Sono altresì vergate annotazioni che si rivelano preziose informazioni circa il soggetto delle opere, la
committenza, la spesa, la collocazione. Parimenti dicasi per le opere che sono affidate al La celebre illustrazione che decorava le pittore per scatole di latta con la mostarda Dal Din il restauro. Seguono altre memorie di svariato tipo: vanno dalle ricette culinarie locali, alle modalità di coltivazione degli ortaggi e delle frutta; dalle canzoni in onore di Garibaldi alle disposizioni legislative circa la prevenzione e il trattamento delle viti; da curiosità di vario tipo ad annotazioni delle rendite da campi affittati a terzi. Tra queste, curiosa è appunto la ricetta per fare la mostarda. La stessa che userà l’industria dolciaria Carlo Dal Din, come mi ha riferito personalmente, nel 2005 lo scrittore centenario Giovanni Soranzo. Grazie a questa impresa monselicense, la mostarda e altre prelibatezze hanno fatto conoscere in Italia il nome della Città della Rocca. Infatti la mostarda Dal Din a partire dal 1900 e per quasi 60 anni, ha fatto bella mostra nei caratteristici barattoli e latte che adornavano le mensole di nume- rosi negozi ed in particolare di rinomate offellerie e pasticcerie delle più importanti città italiane.
Sabato 7 aprile, ore 17.00 alla Loggetta di Monselice lo storico Simone Marzari presenta il suo saggio sulla Storia dell’industria dolciaria Carlo Dal Din (1900-1959) 57
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RISTORANTE VAL POMARO, UN MENÙ CHE CAMBIA INSIEME ALLA STAGIONE Lo storico ristorante di Arquà Petrarca: in cucina solo il meglio, in sala ospitalità e buon gusto Erbe ed erbette, la stagione trabocca e al ristorante Val Pomaro di Arquà Petrarca le primizie offerte dai Colli Euganei sono un vero e proprio cavallo di battaglia della cucina con il quale da sempre vengono preparati i piatti che accompagnano la Pasqua. Dagli antipasti come le “frittatine ai carletti” o agli “sformatini di erbette con Taleggio”, ai primi della tradizione come i risotti, gli gnocchi o i ravioli, rigorosamente fatti in casa, fino ai delicati contorni con gli immancabili asparagi di Pernumia, tutto è un inno alla primavera che incombe. Dal menù non sono escluse le pizze, ovviamente le 15 gourmet che il Gambero Rosso colloca tra le migliori d’Italia, croccanti, leggere e ad alta digeribilità, tra le quali è obbligatorio segnalare quella con raperonzolo e salame di casa e la pizza con le erbette nell’impasto, asparagi e “ossocollo”, perché sono la trasposizione lievitata di quei prodotti che da sempre accompagnano le tradizionali scampagnate da queste parti. Dall’offerta non manca mai il pesce e il piacere del palato è prolungato dalla carta dei dolci, che propone specialità come la “tenerella al cioccolato con spuma allo zabaione”, il gelato, il sorbetto e la colomba, autentica espressione della passione per le lavorazioni lievitate che contraddistingue il locale. Ottima la selezione dei vini: per buona parte espressione delle alture locali, ma delle grandi aree del buon bere nazionale.
PER IL GIORNO DI PASQUA il Ristorante propone un menù dedicato
ANTIPASTI Soppressa della casa Punte di asparagi bianchi stufati con musse di uova ristretto di Balsamico e scaglie di Grana Strudel di Sfoglia con funghi, zucca su vellutata di Asiago
PRIMI PIATTI Risotto Carnaroli alle verdure primaverili con wafer di parmigiano Panzerotti con asparagi verdi, ricotta di malga, ragù delicato profumato al timo e pomodorini semi conditi
SECONDI PIATTI Millefoglie di Angus con carciofi e petali di Parmigiano Capretto al forno ai sapori antichi
DESSERT La nostra colomba con gelato al gianduia
LA COLOMBA Un dolce goloso ma perfettamente digeribile. Il segreto della sua bontà? Farina biologica, lievito madre, uova, zucchero, burro, canditi, pasta d’arancia e le preziosissime bacche di vaniglia. E poi la lievitazione, per una colomba servono dalle 35 alle 40 ore di lavorazione prima di essere infornato. Il risultato è pura leggerezza intrisa di straordinari profumi e sapori
LE NOSTRE COLOMBE: • Vuota • Classica con i canditi • Albicocca e cioccolato bianco • Pesca e lavanda • Marasche e cioccolato • Del Petrarca con uvetta, noci, fichi e cioccolato
APERTO: a pranzo 12:00 - 14:30 e a cena 19:30 - 22:30
CHIUSO: lunedì tutto il giorno e martedì a pranzo
RISTORANTE VAL POMARO Via Scalette, 19 - Arquà Petrarca (PD) - Tel. 0429 718229 - Cell. 320 6650364 www.ristorantevalpomaro.it - valpomaro@gmail.com
A OGNUNO IL SUO CALICE… di Emanuele Cenghiaro
SOAVE
CHARDONNAY
ROSÈ
BONARDA
NERO D’AVOLA
MERLOT
PINOT NERO
PASSITO
PORTO
CHAMPAGNE PROSECCO
MOSCATO
CON L’ARRIVO DELLA BELLA STAGIONE
NUOVI VINI E NUOVE PROPOSTE Cinque etichette regionali da declinare in chiave pasquale e primaverile
T
orniamo a viaggiare per il Veneto con la nostra rubrica dedicata alla scoperta di etichette note e meno note, di vini da provare, di storie enologiche da conoscere. Dopo l’escursione natalizia tra le bottiglie delle feste, andiamo in cerca di qualche proposta più primaverile, ed ecco la Sincerità (un vino
bio nell’anima e non solo nella forma), l’Allegria (frizzanti e colorate bollicine), una Novità (qualcosa mai vista prima), una Tradizione (andiamo sul sicuro!) e per finire una Curiosità (una proposta originale). Ce n’è per tutti?
LA SINCERITÀ (PRAMAGGIORE - VE) LISON DOCG LE CARLINE, il simbolo di quella parte del Veneto che guarda al Friuli Bio è la parola d’ordine di questa azienda di Pramaggiore, terra veneta dai vini che guardano al Friuli. È va assaggiato il Lison docg, il simbolo dell’area, ovvero quel vino che non possiamo più chiamare tocai e che altrove viene chiamato tai bianco, e in Friuli friulano. La versione de Le Carline prevede macerazione dinamica delle
bucce e affinamento a contatto per alcuni mesi con la feccia fine attivata. Il colore paglierino carico e il profumo intenso e floreale invita ad assaggiarlo, ad esempio (ma non solo!) come accompagnamento a primi piatti alle erbe e frittate di stagione. Chi ama i rossi può provare il refosco dal Peduncolo rosso; ci sono anche una linea senza solfiti aggiunti e i due Resiliens, creati con vitigni resistenti alle malattie frutto di incroci tra piante del Nord Europa e antiche varietà autoctone.
Il colore paglierino carico e il profumo intenso e floreale invita ad assaggiarlo come accompagnamento a primi piatti alle erbe e frittate di stagione
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A OGNUNO IL SUO CALICE… L’ALLEGRIA (DUE CARRARE - PD) SUMMERTIME SALVAN, l’autoctono friularo ma in versione easy Primavera, tempo di aperitivi. Perché non con il colore delle rose? Potrebbe piacervi il Summertime, la proposta giovane e spigliata delle cantine Salvan di Due Carrare. È un vino che nasce da un’uva autoctona, la friularo, il cui mosto fiore rimane a contatto con le bucce solo per poche ore. Ne deriva un colore intrigante come i profumi delicati e fruttati. Il tocco in più sono le bollicine, frizzanti al punto giusto per solleticare naso e palato, così come per accompagnare quasi ogni tipo di antipasti. Una curiosità è l’etichetta, dedicata alla musica, che ha vinto l’Etichetta d’oro al concorso nazionale di Cupra Montana nel 2012. Parlando di Salvan, cantina storica dei Colli Euganei, non si possono dimenticare i rossi bordolesi e il Friularo di Bagnoli Docg in versione “come una volta”, con tutta la freschezza del raboso: per appassionati.
Un colore intrigante dai profumi delicati e fruttati. Il tocco in più sono le bollicine, frizzanti al punto giusto per solleticare naso e palato
LA NOVITÀ (PEDEMONTE - VR) AZIENDA FARINA: la linea Godò guarda ai giovani e ad esaltare i momenti piacevoli della vita Un omaggio ai tre nodi d’amore raffigurati sullo stemma araldico del casato, ma anche a tre uve il cui incontro è raro: merlot e teroldego leggermente appassite con il 65% di corvina fresca (l’uva base del Valpolicella). Ne nasce un calice originale e dai profumi intensi, le cui potenzialità sono ancora da scoprire: siamo di fronte alla prima annata di un prodotto che crescerà nel tempo. Ma è bello esplorare. Se si vuole andare sul classico, l’azienda Farina ha un’ampia offerta che deriva dalla caratteristica di cui va orgogliosa: essere una sorta di cantina sociale ma a carattere familiare, visto che possiede pochi ettari e la quasi
Un calice originale e dai profumi intensi, le cui potenzialità sono ancora da scoprire: siamo di fronte alla prima annata di un prodotto che crescerà nel tempo 60
totalità delle uve viene da conferitori storici che si presentano nel sito: www.farinatransparency.com. Tra i tanti vini, la linea Godò guarda ai giovani e ad esaltare i momenti piacevoli della vita.
A OGNUNO IL SUO CALICE… LA TRADIZIONE (MONTEBELLO VICENTINO) “IL DURELLO” DI CASA CECCHIN, dal 1978 il durello così com’è: vulcanico e senza filtri Durella e garganega, le due uve autoctone, sono il solo emblema di Casa Cecchin di Montebello Vicentino, una piccola cantina iniziata da Renato Cecchin nel 1973. E proprio di durella vogliamo parlare: non tanto di quella spumantizzata, che anche qui non manca (in metodo classico 36 o 60 mesi), ma di quella in versione ferma. Si chiama “Il Durello” la versione storica, prodotta dal 1978 sui terreni vulcanici della zona: il durello così com’è, senza filtri, con la sua freschezza a volte aspra che oggi stiamo tornando ad apprezzare. E che lo
rende vino da abbinare al pesce di fiumi e torrenti o al baccalà. Da non perdere le versioni speciali, quella non filtrata (Mandégolo) che termina di fermentare in bottiglia e si presenta con lieve effervescenza naturale, e la vendemmia tardiva (Pietralava) che rimane a contatto con le fecce fini per un anno e mezzo, più morbida e strutturata.
Vino da abbinare al pesce di fiumi e torrenti o al baccalà. Da non perdere le versioni speciali, quella non filtrata (Mandégolo) e la vendemmia tardiva (Pietralava)
LA CURIOSITÀ (MERLARA) PONTE AL MASERO, Malvasia d’Istria con e senza bollicine per festeggiare l’arrivo della primavera Una delle più piccole Doc d’Italia ma di antiche tradizioni viticole, come dimostrano le antiche mappe, è quella di Merlara, in provincia di Padova ai confini con Rovigo, tra Colli Euganei e Adige. Curiosamente, quest’area si caratterizza per la coltivazione della malvasia d’Istria, un’uva che dà vita a quei vini bianchi freschi e aromatici ben noti a chi frequenta le coste croate. E su quest’uva, raccolta a mano, punta l’azienda
Tre etichette che racchiudono vini bianchi freschi e aromatici per un aperitivo o un brindisi in compagnia con un vino diverso dai soliti
Ponte al Masero di Merlara, che la propone in varie versioni, con e senza bollicine, entrambe perfette per festeggiare l’arrivo della primavera. Per chi ama l’effervescenza ci sono Prima Luna, spumante charmat, e Folletto, leggermente frizzante: per un aperitivo o un brindisi in compagnia con un vino diverso dai soliti. Per il fermo c’è invece il Ricciolo, che alla malvasia istriana unisce un 30% di chardonnay e sosta 6 mesi sui lieviti.
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Oltre la cucina per trovare sapori veri che fanno bene Il celebrato ristorante di Torreglia è uno dei pochi, se non l’unico dei Colli Euganei, a proporre nel menù di tutti i giorni una selezione di piatti gluten-free, vegetariani e vegan
Se c’è un ristorante in cui la cucina non si ferma alla mera preparazione del cibo, questo è Al Pirio di Torreglia. Perché qui all’attenta scelta delle materie prime, rigorosamente del territorio Euganeo, viene intelligentemente associata una costante ricerca per assecondare il gusto moderno, senza rinunciare alla tradizione, e gli aspetti salutistici del “buon mangiare”. Un’attenzione particolare viene data alla cottura, sempre a basse temperature per non modificare i valori originali dei prodotti in termini di nutrienti, profumi e sapori, e all’offerta: inserendo sempre in menù, è questa è un’attenzione unica tra i ristoranti degli Euganei, una selezione di piatti gluten-free, vegetariani e vegan. Il piacere è prolungato dalla carta dei dolci, rigorosamente fatti in casa, e dalla lista dei vini in cui è contemplata ogni area di pregio enologico italiana ed estera.
TRATTORIA AL PIRIO SNC di Lionello Giuliano & C. Via Pirio, 10 - 35038 Torreglia (PD) tel. 049 5211085 - info@alpirio.com - www.alpirio.com
DIVINO PARLAR di Silvano Bizzaro - Sommelier s.bizzaro@alice.it
MALA VIA Veneto IGT Santa Colomba:
una nuova Malvasia nel firmamento dei Colli Berici!
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ecentemente sono andato a visitare Santa Colomba, un’azienda situata in zona Colli Berici, a Lonigo, Via San Fermo, 17. Posizione stupenda perché si trova praticamente in centro, ma lassù in alto, abbarbicata al fianco di una collina che raggiunge i 150-200m. s.l.m. Azienda giovanissima nata nel 2016, ma con le idee ben chiare tanto che la conversione al biologico è iniziata subito, i terreni non vengono minimamente sfiorati da diserbanti e prodotti fitosanitari, e oggi il disciplinare di riferimento è quello di VinNatur (Associazione viticoltori naturali) da dove sono banditi l’utilizzo di lieviti e la chiarificazione dei vini. Qui si è soliti dire che la fatica più grande è quella di non toccare il vino, ovviamente per lasciarlo il più naturale possibile, figlio dell’onestà della terra. E le figlie di questa parte dei Colli Berici intanto sono circa 12.000 bottiglie
(6000 per i bianchi e 6000 per i rossi, con bassissimo dosaggio di solforosa, sui 40 mg/lt) per quattro etichette di grande valore: il Principiante, una Garganega frizzante; Il Moro, un Cabernet Sauvignon e Merlot; il Gagà, un’altra bella Garganega e il Mala Via sulla quale mi soffermo per presentare a voi lettori le caratteristiche. Si tratta di Malvasia IGT, vol. 12,5%, quindi un vino importante dal punto di vista dell’alcolicità, di un bel giallo paglierino intenso; al naso note floreali di fiori bianchi ma soprattutto note fruttate intense dove spiccano la mela Golden, la pera, note esotiche con prevalenza di banana e ananas. Al palato è calda e avvolgente anche se non eccessivamente rotonda; secca. Buona la freschezza e la sapidità. In termini di abbinamento sicuramente più alla portata di primi piatti e secondi a base di carni bianche ma anche pesce.
La Scheda di Con i piedi per terra ⊲ ANALISI VISIVA
Colore giallo paglierino intenso, leggermente velato
⊲ ANALISI OLFATTIVA
Note floreali di fiori bianchi e note fruttate di mela Golden, pera, note esotiche (dall’ananas… alla banana); sentore di nota minerale
⊲ ANALISI GUSTATIVA
Vino secco, freschezza e grande bevibilità, discreta pulizia del palato; buona sapidità e mineralità. Sufficientemente equilibrato/leggermente disarmonico
⊲ RETROGUSTO
Sufficientemente persistente
⊲ ABBINAMENTO
Antipasti leggeri all’italiana a base di carni bianche, primi piatti leggeri, piatti estivi, risotti alle erbette, asparagi, antipasti e primi piatti a base di pesce. Formaggi freschi a pasta molle
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LA MEMORIA DI CARTA di Roberto Soliman
Ieri Sposi… Speranze, trepidanti attese, lungo fidanzamento, usanze, preparativi per la cerimonia senza Wedding planner, consapevolezza (per la sposa) di andare a vivere con suoceri e cognati e unione “... fin che morte non vi dividerà”
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ell’arco della propria esistenza l’innamoramento rappresenta un momento indimenticabile per tutti; ha sconvolto i sentimenti, ha fatto lievitare le più dolci sensazioni, ha creato trasformazioni sociali più delle guerre, ha mosso le speranze, anche le più ardite, dell’intera umanità, ha ispirato poeti, pittori, scrittori, registi, ha diviso però, soprattutto tra gli artisti, i profeti dell’amore sacro e dell’amor profano. Accanto alla gioia di quei momenti è sempre in agguato lo smacco per il rifiuto o per la lontananza del proprio bene, ma non voglio nomina-
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re gli eccessi odierni frutto di deviazioni che a volte portano a possessioni omicide. Mi basta pensare agli effetti dirompenti della sorda ostinazione di genitori che guardavano alla classe sociale della famiglia dell’altro soggetto. Ma alla fine, pur con grandi difficoltà, l’incontro si delineava. I primi approcci avvenivano di solito sul sagrato della chiesa, dopo le funzioni domenicali, i primi sguardi che sfuggivano ai genitori e che poi diventavano più intensi e complici, fino a che le amiche e gli amici, un po’ tra l’invidia e la condiscendenza, non carpivano questi segnali,
LA MEMORIA DI CARTA
La promessa sposa doveva completare la dote che aveva iniziato a mettere insieme ancor prima di “trovar moroso”, questa comprendeva 4-6 lenzuola, che di solito erano di canapa, 8 federe, 5-6 asciugamani, 2 coperte di lana, un copriletto, vestiti e biancheria personale, e non mancava quasi mai una tovaglia ricamata
dando forza al sentimento nascente. Allora gli incontri ravvicinati e quasi autorizzati agli occhi della gente, ma non ancora a quello dei genitori, avvenivano dal “latàro” o dal “casolìn” o alla pompa dell’acqua pubblica (el mato), dove “el toso” attendeva la “tosa mandà da ‘so mama a tor l’àcoa col sècio”. Ma sempre con discrezione e dandosi del “Lei”. E quando il giovane aveva deciso seriamente di fare la corte alla ragazza si recava dai suoi genitori a chiedere il consenso di “parlarle”. Ottenutolo, poteva recarsi sull’uscio di casa rigorosamente in giorni fissi che erano il martedì, il giovedì, il sabato e la domenica, ma sempre alla presenza di un fratellino o della sorellina della ragazza, “par farghe ciàro”.
Quando un giovane ragazzo aveva deciso seriamente di fare la corte alla ragazza si recava dai suoi genitori a chiedere il consenso di “parlarle” L’importante, per il ragazzo, era l’essere accettato dalla madre, infatti si diceva: “…se te vòi la tosa, ti pàrlaghe a ‘so mama!” I fidanzamenti e i matrimoni tra giovani di paesi diversi erano rari, e restavano quasi sempre nell’ambito paesano, fenomeno tanto più evidente quanto più piccolo era il paese. A volte i giovani di un luogo organizzavano veri e propri presidi, cacciando in malo modo i pretendenti del paese vicino. Le “tose” dovevano restare in paese, quasi per assicurarne la continuità! Dopo un periodo più o meno lungo di fidanzamento i giovani si preparavano alle nozze, ma intanto la promessa sposa doveva completare la dote che aveva iniziato a mettere insieme ancor prima di “trovar moroso”, e che comprendeva 4-6 lenzuola, che di solito erano di canapa, 8 federe, 5-6 asciugamani, 2 coperte di lana, un copriletto, vestiti e biancheria personale, e non
mancava quasi mai una tovaglia ricamata. Intanto lo sposo doveva farsi fare la camera da letto da un falegname locale e attendere il proprio turno, dopo che i fratelli maggiori e le sorelle si erano sposati liberando almeno una stanza della casa, per decidere la data del matrimonio. Decisa la data, che preferibilmente era di primavera prima che iniziassero i grandi lavori nei campi, si facevano le pubblicazioni e anche il prete lo annunciava per tre domeniche di seguito, alle messe. Ufficialmente, i promessi sposi diventavano “noìzzi” e in quel giorno si andava a pranzo in casa della “morosa” con i parenti stretti. In quell’occasione i noìzzi si scambiavano dei doni come “pegno”. Nella settimana prima del matrimonio veniva trasportata con il carretto la “dòta” in casa del “moroso” e, se lei stava bene di casa, anche una damigiana di vino buono. Nei giorni successivi i promessi passavano per le case di parenti e amici portando i confetti e l’invito
Il pranzo di nozze consisteva nel “risotto da sposi”, di regola con i “figadini”, seguivano i bolliti di gallina e di “soràna”, con due fette di “musetto sotto ònto”, e l’arrosto di faraona cotto dal fornaio del paese, con contorni di stagione e le immancabili patate in tutte le salse. Non poteva mancare la torta che molto spesso era una semplice Margherita
alle nozze. Subito dopo arrivavano nella casa degli sposi i regali che venivano esposti per il giorno della cerimonia, e che a volte erano oggetto di risentite valutazioni da parte dei parenti più stretti. Di regola il matrimonio avveniva il sabato mattino e i cortei degli invitati si recavano in chiesa a piedi; prima quello dello sposo accompagnato dalla mamma, per attendere la sposa, accompagnata dal papà, che entrava per ultima preceduta dai paggetti; intanto l’organista intonava la marcia nunziale! L’atmosfera che si creava era molto intensa e gli sposi così venivano investiti di attenzioni ma anche di responsabilità. Altra cosa è unirsi civilmente tra le fredde mura di un ufficio comu-
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LA MEMORIA DI CARTA nale, accompagnati dai soli testimoni e, non sempre, dai genitori! A cerimonia conclusa, poche foto, nessun lancio di riso ma solo qualche confetto in direzione dei bambini che si tuffavano a catturarne qualcuno anche a rischio di sbucciarsi le ginocchia. E poi ancora a piedi verso casa dove ad attendere sposi, parenti, testimoni ed invitati c’era il pranzo di nozze, improntato a canoni classici, preparato da un cuoco ambulante, che si portava da casa tutta l’attrezzatura necessaria come pentoloni, capienti casseruole, fuochi a gas e mestoli dal lungo manico. Per i tavoli, le sedie, i piatti e le tovaglie si andava a prestito dai vicini che a loro volta figuravano tra gli invitati. Per persone dalla fame atavica e abituate a pranzare a mezzogiorno in punto, il ritardo di un’ora diventava spasmodico, i bambini irrequieti e così il vociare si alzava a livelli da mercato, ma il silenzio ritornava con il “risotto da sposi”, di regola con i “figadini”. Si serviva prima al tavolo degli sposi e poi via via agli altri invitati, ma tutti attendevano il “buon appetito” dato dai nuovi coniugi. Dopo le prime forchettate di assaggio nel silenzio tombale, seguiva una pausa di consultazione tra vicini di tavolo che guardandosi negli occhi cercavano il primo che si esprimesse sulla bontà del risotto. Mentre il cuoco-ambulante era sulle spine, uno degli autorevoli commensali accennava a un: “Bòn!”, al che tutti ripetevano: “Bòn, bòn, ciò!” e partiva un applauso verso il tavolo degli sposi e verso il cuoco-ambulante, al grido: “Viva i sposi, viva el cuòco!” Il bis di risotto era la regola, il tris gradito. Il risotto era atteso perché lo si mangiava solo a nozze: nelle case contadine si mangiava quello che veniva prodotto a metri zero dal proprio pollaio o campo. Seguivano i bolliti di gallina e di “soràna”, con due fette di “musetto sotto ònto”, e l’arrosto di faraona cotto dal fornaio del paese, con contorni di stagione e le im-
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La meta del viaggio da nozze era Venezia, da raggiungere in treno, dove trascorrere pochi giorni in albergo, visitando chiese, San Marco per prima, calli e piazze viste fino ad allora solo nelle cartoline o nei libri di scuola
mancabili patate in tutte le salse. La torta margherita, per l’occasione, era ancora più alta e gialla di quella domenicale per il gran numero di uova usate per la ricetta. Il vino bianco dolce, servito nei calici con la torta, lo si teneva tutto un anno sotto scala, con le bottiglie nascoste dentro la sabbia, al fresco. La sposa con il vestito nuziale bianco e lo sposo confuso nel suo vestito nuovo passavano, al termine, a consegnare le bomboniere e a ringraziare gli invitati, ricevendo da questi gli auguri per i figli che sarebbero arrivati e che preferibilmente dovevano essere maschi, vere e proprie braccia da lavoro! La meta del viaggio da nozze era Venezia, da raggiungere in treno, dove trascorrere pochi giorni in albergo, visitando chiese, San Marco per prima, calli e piazze viste fino ad allora solo nelle cartoline o nei libri di scuola. Allora si pagava con carta moneta qualsiasi cosa, ma anche un tempo, nelle città, c’era il pericolo dei borseggiatori che puntavano questi giovani un po’ spaesati e identificabili dalla lucida fede. Quindi le rosse e gigantesche “Carte da Diésemila” venivano nascoste in una tasca cucita nel “panciotto” dello sposo, irraggiungibili! Infine le tante cose da raccontare trovavano sfogo al pranzo del “rabàlto”, giusto otto giorni dopo la nozze, con i parenti più stretti di entrambi gli sposi, dove venivano finiti gli avanzi del pranzo nunziale. Poi iniziava la nuova vita, che non era soltanto per due cuori e una capanna, ma con suoceri, cognati, nipoti, galline, maiali, stalla, campi, pazienza, figli, chiesa e lavoro! Fino alla “colonizzazione americana” del secondo dopoguerra, dove le separazioni e i divorzi erano cose da ricchi e da attori, quindi da raggiungere anche in Europa come disastroso segno di una agognata emancipazione sociale!
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VIGNE AL COLLE,
il momento giusto per i nostri rossi In queste settimane la storica cantina di Rovolon insieme alle etichette, per le quali è giustamente celebrata, propone i sui rossi giovani e quelli che hanno concluso il loro ciclo di affinamento Il vignaiuolo è un mestiere che all’azienda Vigne al Colle, di Rovolon, viene tramandato da padre in figlio da ben tre generazioni insieme alla conoscenza del territorio e a quelle pratiche che in cantina distinguono l’antica arte del fare vino da quelle del chimico industriale. Non a caso l’azienda è affiliata alla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, ossia la certificazione di una produzione ancora artigianale ed ecosostenibile. Del resto qui è proprio la terra che può dire la sua ad alta voce, ossia esprimere quella mineralità, proveniente da un suolo composto da antiche argille e rocce vulcaniche, che combinato all’esposizione dei vigneti a Nord dei Colli Euganei, garantisce rossi di altissimo rango. Le temperature basse e le forti escursioni termiche donano soprattutto a Merlot e Cabernet carattere, schiettezza e tannini eleganti. Ottimi come vini di annata ma che sanno regalare anche grandi sorprese nei lunghi affinamenti. Proprio in queste settimane patron Martino Benato propone dalla sua cantina il Colli Euganei Rosso, realizzato con 60% Merlot e 40% Cabernet Franc, e Colli Euganei Cabernet Franc, entrambi freschi di imbottigliamento e il Colli Euganei Merlot 2016 - Poggio alle Setole con il Colli Euganei Riserva 2015, realizzato con 40% Merlot e 60% Cabernet, che hanno concluso il loro periodo di affinamento. Il Merlot ha riposato in botte per un anno, mentre il Riserva ben tre.
GLI APPUNTAMENTI E LE OCCASIONI PER DEGUSTARLI DIRETTAMENTE IN CANTINA, INSIEME AL RESTO DELLA PRODUZIONE, NON MANCANO: 8 aprile - Caccia al tesoro lungo la Strada del Vino 15 aprile - A ssapora Rovolon, con degustazione del Fior d’Arancio DOCG abbinato ai dolci 12 -13 maggio - Vulcanei al Castello di Lispida, Monselice 19-20 maggio - Il Trenino dei sapori 26-27 maggio - Cantine Aperte - Movimento Turismo del Vino Ogni domenica mattina, inoltre, dalla metà di aprile ai primi di maggio, sarà possibile partecipare alle “Degustazioni con escursione”: 5/6 chilometri a piedi nella natura di Rovolon con assaggio finale dei vini della cantina in abbinamento ai raffinati “spunciotti” di cui è celebre, invece, la casa. (La partecipazione è possibile solo su prenotazione) AZIENDA VITIVINICOLA VIGNE AL COLLE DI BENATO MARTINO & C S.S. Via Palazzina, 98 - 35030 Rovolon (PD) info@vignealcolle.com - M. 348 0139109 - T. 049 5227009
NOVENTA PADOVANA, INCANTO ED EQUILIBRIO
UNA BELLEZZA DA SCOPRIRE LENTAMENTE
Le tante ville che sorgono sulle sponde del Brenta e del Piovego, i percorsi ciclabili tra natura e architettura e molti week end movimentati da un’attenta promozione di iniziative la rendono meta ideale per una visita o per la “villeggiatura” Con il ritorno della bella stagione torna a farsi pressante il desiderio di muoversi, di uscire, di fare piccole gite domenicali, magari per scoprire angoli suggestivi del nostro bel territorio. Noventa Padovana potrebbe rappresentare la destinazione ideale per soddisfare questo tipo di esigenza, in quanto luogo eletto per il buon vivere fin da quando l’aristocrazia veneziana scelse il tratto di Brenta, che collega Padova alla Laguna di Venezia, come luogo eletto per villeggiatura. Noventa Padovana, infatti, rappresenta proprio la porta d’ingresso alla “Riviera del Brenta”, conosciuta nel mondo per essere una “galassia” di straordinarie ville venete, esempio suntuoso del genio con il quale architetti del calibro di Palladio, Scamozzi e Frigimelica seppero interpretare quell’epoca della Serenissima Repubblica racchiusa tra il XV e il XVIII secolo. Una stagione che anche Carlo Goldoni contribuì a rendere celebre grazie a opere come la trilogia dedicata a Le smanie per la villeggiatura, ma che non possiamo considerare del tutto conclusa, in quanto di quell’incantato equilibrio, dato dalla bellezza naturale di una terra formata dai fiumi e resa ricca da una storia originale, seppero beneficiare più tardi anche il compositore Georg Friedrich Händel, il letterato Gasparo Gozzi, di lui rimangono molte lettere che ricordano il suo soggiorno, mentre il poeta Melchiorre Cesarotti probabilmente risedette qui nel 1789. Tra gli ospiti illustri va annoverato anche Napoleone Bonaparte, ma le presenze non si fermano alla storia, Noventa Padovana ancora oggi è “la casa” di figure di spicco come Nadia Fario e il celebre Alex Zanardi. Qual è dunque la magia che pervade Noventa Padovana? Sicuramente l’essere un paese tranquillo, disteso tra due fiumi, il Piovego e appunto il Brenta, dal quale dipartono percorsi ciclabili nel verde della
natura circostante e tra le meraviglie dell’architettura, normalmente movimentato nei week end grazie ad una attenta promozione di iniziative per vivere la città, merito delle 65 associazioni che si danno da fare. Le due ruote sono sicuramente uno dei mezzi più appropriati per conoscere da vicino Noventa Padovana e le sue meraviglie, Padova dista appena 8 chilometri e quindi diventa facilissimo coniugare attraverso gli argini la bellezze della città a questo angolo di campagna bucolica, ma altrettanto suggestivo è il burchiello, con il quale è possibile vedere la bellezza dei navigli dallo stesso punto di vista dei veneziani della villeggiatura, ossia dall’acqua, e magari farsi guidare dalle correnti per raggiungere la Laguna. Una visita la merita sicuramente la chiesa parrocchiale intitolata ai Santi Pietro e Paolo, completamente rimaneggiata nel ‘700 in gusto Neoclassico al suo interno conserva pregiate statue di Giovanni Bonazza e del suo allievo Pietro Danieletti, mentre importanti opere pittoriche portano la firma di Diego Varotari e di Girolamo Brusaferro. Capitolo a parte meritano le ville, ma per trovare un moderno contrappunto alla loro architettura un salto in Piazza Europa bisogna farlo. Questo grande spazio, ampio circa 10 mila metri quadrati, è stato disegnato e realizzato nel 2012 dall’architetto Maria Luisa Calimani riassumendo gli elementi caratteristici del paesaggio della Riviera e inserendo citazioni ai personaggi della città come Giovanni Santini, astronomo e docente all’università di Padova fino agli anni ’70 dell’Ottocento. La città infatti si lega a molti nomi illustri del mondo della scienza e soprattutto dell’arte come Andrea Urbani, Orlando Tisato, Sergio Rodella, Ruggero Pagnin o lo scrittore Matteo Righetto.
COMUNE DI NOVENTA PADOVANA Via Roma, 4 - tel. 049 8952123
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25 APRILE In Fornace - Noventana. Festa che coinvolge le associazioni del territorio e le famiglie con pic-nic , giochi all’aperto e attrazioni.
ALCUNE DELLE VILLE DI NOVENTA PADOVANA
OGNI TERZA DOMENICA DEL MESE Ogni terza domenica del mese, a partire da Aprile, Mercatino artistico in Piazza Europa. 2 GIUGNO Festa dello Sport e del Volontariato. Giornata dedicata alle attività di promozione e valorizzazione, a cura della “Consulta delle Associazioni” TERZO FINE SETTIMANA DI LUGLIO Noventa iniziò a festeggiare in modo autonomo il Redentore tra le due guerre mondiali, oggi è un appuntamento fisso dell’estate padovana all’insegna di balli, cucina e di uno spettacolo pirotecnico sempre originale. QUARTA SETTIMANA DI OTTOBRE Di origine antichissima è la Fiera di Noventa, detta anche “Sagra del Folpo”. La suo origine risalirebbe al 1776 come fiera legata all’agricoltura e al mercato del bestiame, ma era animata anche da attori girovaghi e dalle bancarelle con i prodotti gastronomici locali. Oggi è una delle fiere più conosciute in Veneto per essere un’importate vetrina dell’artigianato locale e per “folpari” ossia i venditori di polpi caldi, anch’essi figli della tradizione più schietta di questa parte della Riviera del Brenta. All’antica “Sagra del folpo” si lega l’omonimo amaro, nato da un’idea Lucaffé Shop e preparato dalle Antiche distillerie Mantovani secondo un’alchimia che miscela: genziana, rabarbaro, arancio dolce più qualche altro ingrediente top secret. Una bassa gradazione alcolica, 21 gradi, cosi da permetterne la somministrazione nelle feste in piazza.
Villa Giovanelli Colonna Affacciata sul Piovego e una delle più belle ville della Riviera, fu commissionata dal patriarca di Venezia Giovanni Maria Giovanelli e realizzata su progetto di Antonio Gaspari alla fine del XVII secolo. L’interno è decorato da affreschi di Giuseppe Angeli e Francesco Zanchi
Villa Grimani Vendramin Calergi Valmarana La villa sorge nei pressi della “Crosara di Noenta”, probabilmente sui resti di un “fortalizio” che nel ‘200 apparteneva ai Dalesmanini. La sua struttura di tipica casa veneziana di campagna, con sala centrale e stanze laterali, contiene al suo interno uno dei più importanti cicli di affreschi del pittore del settecento Andrea Urbani.
Villa Vendramin Cappello Collizzolli L’immagine usata per la promozione della Sagra è tratta da un quadro dell’artista Ruggero Pagnin esposto in biblioteca comunale. Alla stessa immagine si ispira anche la bottiglia de L’amaro del folpo.
L’edificio, di origine cinquecentesca, fu probabilmente rimaneggiato sul finire del ‘600 mentre gli interni assunsero l’aspetto definitivo in epoca neoclassica, come confermano gli affreschi attribuiti a Costantino Cedini. Ad arricchire l’incanto della villa concorre anche il rigoglioso giardino popolato da bellissime statue. www.comune.noventa.pd.it
VIAGGI TRA SPAZIO E TEMPO di Gloria Gallo
Villa Farsetti IL SOGNO INTERROTTO DI UN VIAGGIATORE A Santa Maria di Sala una villa che esce dalle frivolezze del “Rococò” e della “villeggiatura”
È
difficile spiegarne il perchè, ma ogni anno con l’arrivo della bella stagione il pensiero mi riporta alla Riviera del Brenta, ossia a qualla sfarzosa galassia di ville che ricordano il passato di “villeggiatura” dei paesi che ne fanno parte. Immagino le sponde del Brenta, il lento risalire contro corrente dei burchielli con le famiglie aristocratiche veneziane scortate da una processione di altre barche e barchette a loro volta caricate di servitù e masserizie per raggiungere la “villa”. Un andirivieni che era iniziato secoli prima, quando le ville ancora erano delle aziende preposte al controllo e alla gestione della campagna, ma che nel ‘700 divenne moda, anzi, “smania” per usare le parole di Carlo Goldoni. Autentiche delizie, case preposte ai passatempi, giochi, eccessi ed è strano come un termine oggi usato per definire il tempo dell’ozio (la villeggiatura) derivi da villa, che a sua volta prende il nome medievale della campagna, luogo del lavoro per eccellenza. Villeggiatura e villano, hanno la stessa radice semantica, ma quanta di-
stanza separa l’uno dell’altra. Forse fa parte del viaggio anche questo, perchè le distanze sono importanti quando uno decide di spostarsi e allora questa volta il viaggio potremmo farlo nel tempo e tornare nel 1760, quando l’aristocratico Filippo Farsetti decise di innalzare a Santa Maria di Sala la propria villa. Il luogo sappiamo tutti dov’è, il navigatore ci mette un attimo a individuarlo, ma l’epoca no…e allora bisogna fare uno sforzo di fantasia per capire che cos’era questo luogo allora. Beh la natura era rigogliosissima, Goldoni descrive la flora fluviale come esuberante, nelle sue opere, il fiume limpido e tutt’attorno paesi che erano poco più di villaggi. Un paesaggio che probabilmente si avvicinava molto al mito dell’Arcadia che al tempo andava molto di moda insieme al Rococò, tutto svolazzi e tinte pastello, di cui il massimo interprete è stato quell grande pittore veneziano che risponde al nome di Gianbattista Tiepolo e che proprio qualche anno prima aveva deciso di prendere casa anche lui in Riviera, in quel di Zianigo. Tra l’aristocrazia venezia-
Nella foto in alto villa Farsetti. La facciata di villa Farsetti conserva le 42 paraste in ordine dorico di marmo greco provenienti dal tempio della dea Concordia che l’abate aveva portato con se dal suo viaggio a Roma
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VIAGGI TRA SPAZIO E TEMPO na del Brenta l’artista era a suo agio, a Massanzago, nel padovano, affrescò il soffitto della villa dei patrizi veneziani Baglioni, e a Stra, sul soffitto del salone da ballo di Villa Pisani, qualche anno più tardi, lasciò la sua opera di addio a questa terra, prima di trasferirsi in Spagna con i figli per affrescare il Palazzo Reale. Filippo Farsetti invece era di tut’altra pasta: schivo, introverso, ma anche lui amante delle bellezza. La stessa terra, in cui più tardi piantò le fondamenta della sua villa, gli era costata un bel po’ di grattacapi. Ad acqustarla era stato suo padre, Antonfrancesco, nei primi del Settecento insieme ad un fondo di ben ottecentosessantadue campi padovani. Alla sua morte, Filippo ereditò l’intero patrimonio, ma dovette aspettare un bel po’ prima di goderne. Il suo rifiuto alla carica di Podestà di Feltre, ogni nobile veneziano doveva assumere delle cariche pubbliche dallo Stato, gli costò la messa al bando con divieto assoluto di rientrare a Venezia. Viaggiò. E terminato il periodo di bando, rientrò a Venezia per rifiutare ancora una volta delle cariche pubbliche, ma per non patire nuovamente l’allontanamento forzato, decise di prendere i voti e divenire abate. Gli spostamenti gli avevano consen-
L’unica parte della villa aperta al pubblico è quella che ospita la biblioteca, il resto degli interni è visitabile in occasione di eventi o durante le visite guidate. Il parco, invece, è fruibile tutti i giorni
Il primo esemplare di magnolia grandiflora che venne importato dal Nuovo Mondo andò ad impreziosire il grande parco della Villa
tito di crearsi un gusto internazionale, aveva visto Versailles, era stato a Roma per studiare la classicità, ed era riuscito a portarsi a casa addirittura dei souvenirs: ben 42 paraste di ordine dorico di marmo greco provenienti dal tempio della dea Concordia di Roma. Queste colonne, cedute dal Papa Clemente XIII Rezzonico, pure lui veneziano, divennero parte integrante della facciata della villa che di lì a poco andò a realizzare. E ancora sono lì, malgrado Napoleone avesse tentato di portarle in Francia durante gli anni della Repubblica Cisalpina, a dimostrare l’influenza e il lignaggio che Filippo Farsetti sapeva esercitare insieme alla forza economica che gli era provenuta in eredità. Per la villa sborsò una cifra enorme, circa un milione di ducati, ma non per aderire a quel cliché di sfarzo ed ostenzione che la moda della villeggiatura imponeva, come ricorda Goldoni nella sua Trilogia, ma per assecondare una delle sue tante passioni, la botanica. Da tutti i continenti fece arrivare piante sconosciute
Una recente mostra a villa Farsetti
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VIAGGI TRA SPAZIO E TEMPO
All’abate Farsetti la villa costò circa un milione di ducati, una cifra enorme che tuttavia non servì per aderire a quel cliché di sfarzo ed ostentazione che la moda della villeggiatura imponeva, ma per assecondare una delle sue tante passioni, la botanica come il primo esemplare di magnolia grandiflora, importato dal Nuovo Mondo. Per questo scopo, un edificio apposito era riservato allo studio teorico-pratico; addirittura c’erano elaborate serre con calidari, frigidari e tiepidari per le piante esotiche, una cedraia e una serra riscaldata per gli ananas. Era infatti volontà dell’abate, secondo lo spirito di mecenatismo tipico dell’epoca, contribuire al progresso della scienza botanica, cercando di dare una piega didattica alla sua passione. Passione che rimase lì insieme alla villa, incompiuta. Appena 14 anni dopo la morte venne a cercare l’abate e lo trovò. Del tempietto raffigurante le terme romane, dell’anfiteatro sagomato con filari di tassi, dei templi di Diana e di Giove Tonante, insomma di tutta quella summa di bellezza classica che aveva amato nei suoi viaggi romani e portato fin terra veneta resta oggi ben poco. Resta però, nei monumentali volumi della villa, quel gusto francese che privilegiava edifici sviluppati in larghezza, combinato con elemen-
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ti italiani, tetti a terrazza con statue e vasi, in modo da conferire all’edificio il massimo movimento e varietà, avvicinandosi nell’aspetto alle antiche ville romane. Ed è ancora questo a rendere la Farsetti la meno veneta tra le ville venete ed è qui che la mia fantasia corre a ogni primavera per completare almeno con l’immaginazione quell maestoso progetto figlio della libertà di un uomo che rinunciò alle cariche, amò la bellezza conosciuta nei sui viaggi forzati e perseguì la cultura insieme alla scienza in un tempo che pareva non ci fosse altro tempo che quello per le frivolezze.
Eventi in villa
La Villa è oggi proprietà del Comune di Santa Maria di Sala e ospita ogni anno diversi eventi. Il prossimo si terrà dal 28 aprile al 1° Maggio, con la settima edizione di Formaggio in Villa e Salone dell’Alta salumeria, un’importante vetrina che vedrà la presenza di molti rappresentati dei più importanti produttori e distributori di formaggi e di salumi, oltre a quella di chef, giornalisti e, ovviamente, appassionati. Oltre ai prodotti principali che saranno l’anima dell’evento, non mancherà uno spazio per altri prodotti tra cui vino e birra.
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SALUMIFICIO “BERTELLI” E TIGELLERIA “DA BERTELLI”,
PRODUZIONE E DEGUSTAZIONE DI AUTENTICHE ECCELLENZE Gesti antichi, profumi di spezie, sapori genuini per salumi di eccellenza prodotti come una volta
I salumi Bertelli sono un’eccellenza nel panorama gastronomico del territorio, da più di trent’anni la passione per la tradizione e il valore genuino delle “cose” ancora fatte a mano sono gli ingredienti speciali di una produzione vastissima di insaccati e stagionati: dai salami in diverse varianti, alle sopresse con il filetto e dalle coppe ai prosciutti, passando per pancette arrotolate, steccate e affumicate, guanciali, cotechini, zie e bondiole il comune denominatore è sempre la genuinità.
Il posto giusto per assaggiare i prodotti del salumificio Bertelli è Tigella Bella di Este, un originale locale dove in accompagnamento alle tradizionali tigelle e al gnocco fritto si può trovare una selezione dei prodotti della casa accompagnati da formaggi, salse salate, creme dolci e le famose Creme di Piera. Le vie della degustazione sono ben quattro: il menù Classico, il Selezione Bertelli, il Vegetariano e il Premium con tutti i salumi premiati del celebrato salumificio.
Il lardo è la vera specialità della casa. Qui si produce in diverse forme: da quello classico a quello da spalmare o da usare per condire verdure e arrosti, ma il vero “capolavoro” anche per l’occhio è quello arrotolato. Premiato a Expo 2015
Orari d’apertura: da mercoledì a domenica dalle 19:00 alle 24:00 BERTELLI SALUMI Montagnana (PD) via Frassenara, 39 Z.a.i Tel. 0429 82918 www.bertellisalumi.it - info@bertellisalumi.it
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50 anni di ITIS A.RIGHI
Chioggia festeggia insieme al suo Istituto Tecnico Industriale Due appuntamenti in cui vivere e rivivere il mezzo secolo di storia raggiunti dalla scuola che ha contribuito in maniera determinante alla formazione della classe dirigente della Città
Un anniversario così importante che proprio per sua estensione temporale ci impone di riflettere sulle trasformazioni economiche e sociali della città di Chioggia e sul modo in cui il mondo dell’istruzione le ha accompagnate ed assecondate non possono passare sotto traccia. Per questo, i 50 anni dell’Istituto Tecnico Industriale Statale Augusto Righi, offrono oggi l’opportunità alla Pro Loco, al Comune di Chioggia (attraverso il patrocinio), all’Albo Professionale dei Periti e degli Ingegneri di fissare questa data in modo indelebile nella vita cittadina grazie ad un calendario di iniziative che, in accordo con la dirigente dell'Istituto, professoressa Antonella Zennaro, permetta di riviverne la storia insieme agli studenti, ai docenti, agli ex diplomati e ai cittadini di Chioggia stessa, in modo aperto e piacevole, momenti di vita in mezzo alla gente, come del resto alla Città e al suo territorio è sempre stato rivolto il “Righi”. Tra l'altro le due date in programma hanno avuto anche il sostegno di CNA, Zambonin, Cam, UnipolSai, Asd Cavalli Marini, 1/6H e Original Marines, segno della vicinanza del tessuto produttivo e commerciale della Città al suo Istituto e alla lunga storia di cui è portatore nel territorio.
Qui si sono formati Sindaci, consiglieri Regionali, consiglieri provinciali, assessori, amministratori di società pubbliche, imprenditori e dirigenti dei Settori chiave del nostro territorio quali la pesca, l’agricoltura e il turismo
I.I.S. CESTARI-RIGHI Borgo San Giovanni, 12/A - 30015 Chioggia (VE) tel. 0414967600 - fax 0414967733 - veis02200r@istruzione.it
1968-2018, cinquant’anni di ITIS A.RIGHI di Chioggia
Ecco le date da ricordare: ▶14 APRILE - 50 RIGHI RUN
Marcia ludico motoria che attraverserà il Lusenzo, passerà dal Centro Storico cittadino per tornare al punto di partenza, ossia il Palazzetto dello sport adiacente all'Istituto.
▶11 MAGGIO - RIGHI 5.0
Studenti ed ex studenti, in un programma che partirà al mattino con un appuntamento presso il Teatro don Bosco che vedrà gli studenti dell’istituto esibirsi in rappresentazioni musicali, fotografiche ed artistiche legate al tema del cinquantesimo. Mentre alla sera saranno coinvolti i genitori, docenti, ex docenti ed ex studenti per ricordare e rappresentare questi cinquant’anni di presenza dell’ITIS A.Righi in città. Per saperne di più segui il Sito: ww.cestari-righi.gov.it
L’Istituto Tecnico Industriale Statale Augusto Righi di Chioggia nasce 1 ottobre del 1968. Porta la data di qualche mese prima, infatti, il telegramma con cui il Ministero della Pubblica Istruzione informava il Provveditorato agli Studi di Venezia, che l’allora sezione staccata del Pacinotti di Mestre, al tempo con sede a Chioggia, avrebbe avuto funzionamento autonomo. Il neo nato istituto poteva contare al tempo su 250 studenti e sul triennio di specializzazione in Telecomunicazioni al quale si aggiungerà dall’anno successivo il corso di Meccanica. Da allora il “Righi” di strada ne ha fatta parecchia, caratterizzandosi per la capacità di essere attento alle istanze del territorio e di essere una scuola aperta, un vero e proprio punto di riferimento per tutti. Negli anni si è trasformato adattandosi alle richieste del mondo del lavoro e all’evoluzione tecnologica, alle iniziali specializzazioni si è aggiunta nel tempo Edilizia e poi successivamente si è introdotto il corso di Informatica, presente anche al serale. L’ultimo corso di studi che si è aggiunto alla ricca offerta formativa è stato quello di Logistica Trasporti con indirizzo conduzione del mezzo navale che vedrà quest’anno i primi diplomati. Di certo saranno gli “uomini” della Chioggia di domani, come è sempre stato del resto: l’Istituto, nei decenni della sua lunga storia, ha contribuito in maniera determinante alla formazione della classe dirigente della Città. Qui si sono formati Sindaci, consiglieri Regionali, consiglieri provinciali, assessori, amministratori di società pubbliche, imprenditori e dirigenti dei Settori chiave del nostro territorio quali la pesca, l’agricoltura e il turismo, per questo l’Istituto Tecnico Industriale Statale Augusto Righi rappresenta un’immagine inscindibile da quella di Chioggia.
PRO LOCO CHIOGGIA Via Felice Cavallotti, 410 (già Calle palazzo) Chioggia info@prolocochioggia.org - www.prolocochioggia.org
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RIGONI metti il tuo
vigneto in buone mani TUTTI I SERVIZI • Rilievo in campo con sistema GPS ultima generazione • Studio e progettazione dell’impianto con sistema AutoCad • Messa a dimora delle barbatelle con trapiantatrice Wagner Champion a guida GPS • Distribuzione e impianto pali intermedi con piantapali cingolato leggero a guida a GPS • Allestimento testate, stesura e fissaggio fili, impianto e fissaggio tutori • Realizzazione impianti a goccia e subirrigazione con servizio di noleggio gruppo motopompa e filtri • Si eseguono potature verdi e secche • Lavorazioni interfilari con lama, dischi e stelle supportate da guida parallela centimetrica • Interventi fitosanitari • Vendemmia e trasporto
In campagna il segreto per una buona annata parte dall’organizzazione, per questo è opportuno avvalersi delle
migliori esperienze e dei più moderni macchinari per l’agricoltura
DOVE LA GOCCIA BAGNA LA VITE NON SOFFRIRÀ • Massimo beneficio da ogni metro cubo di acqua impiegata • Abbattimento dei costi • Soluzione tecnologiche per la riduzione dei costi idrici ed energetici • Utilizzo delle migliori marche
AZIENDA RIGONI FLAVIO Il vigneto dalla progettazione alla vendemmia Via Casolina, 129 - Maserà di Padova Tel. e Fax 049 8868014 - Cell 320 8734879 info@rigoniflavio.it - www.rigoniflavio.it
INGIROPIEDANDO di Alessia Crivellaro
la ciclovia più lunga d ’Italia Con i suoi 679 km di lunghezza collegherà Venezia a Torino, seguendo il corso del fiume Po. I primi cantieri potrebbero partire quest’anno dopo cinque anni di progettazione
I
n sella alla propria bicicletta, a spasso per viottoli e campagne, si ritrova il contatto con la natura e con se stessi, si impara la fatica dell’andata e la gioia del ritorno, ci si riempie gli occhi di una realtà autentica e non virtuale, si scoprono scorci mai visti e si ritorna bambini giocando a indovinare la forma delle nuvole. La ciclovia VenTo, che collegherà Venezia a Torino lungo l’asta del Po, vuole essere tutto questo, per questo chiamarla semplicemente “strada ciclabile” potrebbe essere riduttivo. VenTo, infatti, si propone di rigenerare un territorio rigenerando i suoi cittadini, riabilitando la bellezza di luoghi che diversamente sarebbero poco frequentati, promuove la
socialità, le buone pratiche sportive, la mobilità lenta e non ultimo il lavoro. Peccato che sia ancora solo un progetto, anche se il Politecnico di Milano, al quale va riconosciuta la paternità dell’idea, ci sta lavorando alacremente. L’iter è partito nel 2015 e attualmente dei 679 chilometri dell’intero percorso solo il 15% è già pedalabile in sicurezza, ovvero 102 chilometri, 284 non hanno ancora ricevuto lo status di ciclovia dagli enti preposti e altri 293 richiedono interventi strutturali più o meno complessi e quindi risorse. In parte VenTo ha già ottenuto 175 milioni di euro dal Governo Italiano attraverso la Legge di Stabilità del 2016, ma per arrivare a completare l’intera asta servirebbero
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INGIROPIEDANDO altri 129 milioni. Un importo che sulle prime sembrerebbe cospicuo, ma che tuttavia se dovessimo confrontarlo con il costo di realizzazione di un’autostrada, questo basterebbe appena per realizzarne 5-6 Km. Eppure questo progetto non nasce come realizzazione di una mera strada da percorrere in bicicletta, nasce invece con il presupposto di unire 4 regioni, 11 province, 180 comuni, località diverse, creando un continuum fra monumenti, città e cittadini. Dal Veneto al Piemonte, passando per l’Emilia-Romagna e la Lombardia, VenTo incontra luoghi che hanno storie da raccontare e sfida i cicloamatori a vivere il territorio senza alcuna fretta, a godere del turismo lento di visitazione e a degustare quei 370 sapori che queste terre tra cappellacci, agnolotti, panisse, tirot, testaroli e cozze sono orgogliose di offrire. Un percorso all’insegna del gusto, dunque, della bellezza che, passando per gli argini di città ricche di storia come Venezia, Ferrara, Pavia, Piacenza e Torino ha coinvolto anche un centinaio di associazioni. Sono state organizzate biciclettate ed eventi, escursioni e giornate all’aperto alla scoperta dei 1300 beni culturali tra chiese, castelli, parchi e aree naturali protette che la ciclovia incontra nel passaggio. Ma VenTo è anche un’opportunità di lavoro, è stato stimato che potrà intercettare circa 400 mila visitatori l’anno, e che questi potranno diventare il motore di nuove economie diffuse e soste-
Nel 2015 VenTo entra nella Legge di Stabilità, riconosciuto come una delle quattro ciclabili prioritarie insieme alla Ciclovia del Sole, alla Ciclovia dell’acquedotto pugliese e al Grande raccordo anulare delle biciclette di Roma, che faranno parte della Sistema nazionale delle ciclovie turistiche nibili ispirate alla green economy e al green job, nel quale rientrano anche le piccole aziende agricole, le trattorie, gli agriturismi e gli alberghi lungo il suo percorso, ai quali andrebbero aggiunti oltre 2.600 km di strade secondarie che diventeranno comunque parte della ciclovia. Un mondo da mettere in cammino, da organizzare, da rendere consapevole che il domani della nostra campagna, pensiamo al Polesine, passa anche attraverso questo tipo di opere. Quel che manca al progetto potrebbe essere la cultura a fruirne, il rischio è consistente e tangibile perché sono molte le opere completate la cui parola fine è iniziata proprio con il taglio del nastro. Finiti gli scatti per immortalare le strette di mano e le pacche sulle spalle tra i politici della perenne campagna elettorale, sulle strade non asfaltate di solito inizia subito a crescere l’erba dell’abbandono. Non sembrerebbe questo il caso, da quando esiste il progetto della Ciclovia, infatti, esiste
VENTO BICI TOUR 2018 - DAL 25 MAGGIO AL 3 GIUGNO 2018
DUE LUNGHI WEEKEND DI PEDALATA COLLETTIVA E TANTI EVENTI Dal 25 maggio al 3 giugno 2018 si terrà la sesta edizione di VENTO Bici Tour, per la seconda volta aperta al pubblico in due weekend lunghi di pedalata collettiva, ma non solo. Pedali, buon cibo e specialità locali, natura, bellezze e tanti eventi puntuali nell’anno del Patrimonio culturale. PROGRAMMA DI MASSIMA: 1° weekend di pedalata collettiva: partenza da Torino venerdì 25 maggio, arrivo a Pavia domenica 27 maggio Da lunedì 28 a giovedì 31 maggio, tanti eventi puntuali lungo il tracciato della futura ciclovia 2° weekend di pedalata collettiva: partenza venerdì 1° giugno da Mantova, arrivo a Venezia domenica 3 giugno
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INGIROPIEDANDO
La tabella indica lo stato di avanzamento dell’iter che porterà alla realizzazione della Ciclovia
anche un’iniziativa per promuoverne la fruizione e la conoscenza chiamata “VenTo Bici Tour”. Due week end organizzati senza alcun finanziamento e per questo anche quest’anno è stato organizzato un crowdfunding. Ossia una raccolta fondi alla quale è possibile contribuire attraverso il sito www.progetto.vento.polimi.it, necessaria per coprire le spese di realizzazione, che ammontano a 55 mila euro, e per attivare una borsa di studio di un anno (il 2018 è stato dichiarato dalla UE “Anno europeo del patrimonio culturale”), del valore di 25.000 euro, per censire i patrimoni presenti lungo VenTo e aiutare a decidere cosa farne. Nei giorni in cui questo articolo è stato scritto le donazioni ammontavano appena a poco più di 3.000 euro a fronte di un obbiettivo da raggiungere a quota 80.000. Lontani, lontanissimi, dunque, soprattutto in ragione del fatto che l’edizione di quest’anno partirà il 25 maggio e quindi il tempo per reperire le risorse è davvero molto poco. Eppure questo tipo di iniziative sono importanti perché ancora troppo spesso quando si pensa alle strade si associa l’asfalto, ma per i prodotti di questa nostra terra le vie più corrette da percorrere non sono solo quelle che portano altrove, sono invece quelle che portano qui e che permettono di conoscerli insieme alla campagna che li ha prodotti e alla cultura che li ha generati. Entro il 2018, tra l’altro dovrebbero partire i lavori per gli interventi strutturali che ancora mancano. Concluso il bando per l’assegnazione della progettazione, serviranno altri 180 giorni per progetto esecutivo e una volta trascorso questo termine, per il quale si ipotizza la fine di settembre, subito dopo potrebbero partire i primi cantieri.
Unirà 4 regioni, 11 province, 180 comuni e 1300 beni culturali tra chiese, castelli, parchi e aree naturali protette. Potrà intercettare circa 400 mila visitatori l’anno e diventare il motore di nuove economie diffuse e sostenibili ispirate alla green economy e al green job
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LA CHIANINA VENETA STANGHELLA NON HA NIENTE DA INVIDIARE ALLA TOSCANA
ALLEVAMENTO E VENDITA DIRETTA DI CARNI DI ECCELLENZA GARANTITE E CERTIFICATE CCBI, ANABIC ED ECCELLENZE ITALIANE 2017 Le carni di Chianina non si prestano solo per essere fatte alla griglia ma sono ottime per tutte le preparazioni, comprese quelle tradizionali per il menù di Pasqua. Bolliti, stracotti, arrosti dal basso contenuto di colesterolo e dall’alta presenza di Omega 3. Poi c’è tutto il valore di una carne elegante, dalla grana fine, la cui morbidezza è garantita da un grasso di superficie naturale favorito da un’alimentazione sana. La chianina è l’eccellenza delle carni e a Stanghella questo nobile bovino viene allevato dal 1999 con tecniche rispettose del benessere dell’animale e orientate al più alto livello di sicurezza qualitativa per il consumatore. Chianina Veneta, infatti, significa che è nata e allevata qui, ma soprattutto che l’alimentazione necessaria al suo accrescimento è stata prodotta in azienda. Il controllo della qualità infatti si estende dalla campagna alla stalla fino al bancone della macelleria da parte del Consorzio della Chianina, questo per il consumatore si traduce in qualità per la propria spesa e tracciabilità certa sulla provenienza della carni da portare in tavola. Al nostro bancone trovi tutti i tagli nobili dell’animale e la possibilità di farti servire dal macellaio carne freschissima. La macellazione avviene in stabilimenti selezionati e la frollatura in azienda, in modo da controllare nelle cinque settimane di procedimento la perfetta morbidezza delle carni
È quasi tutto pronto per la 7° edizione di “PORTE APERTE IN AZIENDA”, dedicata a chi vuol conoscere il nostro allevamento degustando le nostre grigliate in buona compagnia. Per conoscere la data seguici sul nostro nuovo sito e su Facebook
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AMICI CON LE ALI di Aldo Tonelli
La piccola Cinciallegra, UN CAMPIONE DI OPPORTUNISMO
Molto diffusa nelle nostre campagne è uno degli uccelli che meglio si sono adattati all’ambiente creato dall’uomo. Soprattutto per la nidificazione sa far suo ogni spazio a disposizione
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a primavera è arrivata e gli uccelli si apprestano alla nidificazione. Uno dei più eclettici nella scelta e costruzione del nido è la Cinciallegra, passeriforme abbastanza facile da riconoscere e che si osserva facilmente, vista la sua ubiquitarietà e la sua adattabilità a luoghi pesantemente trasformati e plasmati dalla mano dell’uomo, come i centri cittadini, dove frequenta giardini e viali alberati. La Cinciallegra è la più grande cincia in Europa, con una lunghezza di circa 15 cm e un’apertura alare di 22-25 cm per un peso che di solito non supera i 20 grammi. Presenta un piumaggio verdastro sul dorso, con coda e ali
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grigio-bluastre mentre il capo e la gola sono di colore nero lucido, con guance bianche. Il petto giallo è attraversato da una stria nera dalla gola all’addome, simile a una cravatta e che permette di riconoscere i sessi visto che nei maschi appare molto più pronunciata. Insetti, larve e ragni sono il suo cibo preferito ed è uno dei pochi predatori del temibile bruco della Processionaria, un lepidottero defogliante che periodicamente infesta i boschi. Non disdegna semi, frutta e bacche che vengono sminuzzate con il becco, tenendoli fermi con le zampe e accetta volentieri il cibo offerto dall’uomo nelle mangiatoie invernali.
AMICI CON LE ALI Il nostro piccolo passeriforme ha anche un lato “oscuro” mostrando abitudini aggressive e predatorie del tutto particolari, soprattutto quando le fonti di alimentazione sono precarie o quando deve trovare un sito di nidificazione
Volentieri nidifica anche nelle cassette nido artificiali, spesso scacciando altre specie che avessero già occupato questo ambito sito
Con il suo becco, può rompere noci e semi di girasole per estrarne l’interno ed è noto il suo comportamento nel rubare nei negozi di alimentari alcuni piccoli frutti e di utilizzare degli “strumenti” per estrarre le larve di corteccia, mentre in Gran Bretagna è stata osservata beccare il foglio di stagnola che chiude le bottiglie di latte lasciate fuori dalle porte e mangiare la panna in superficie. Ha anche un lato “oscuro” mostrando abitudini aggressive e predatorie del tutto particolari, soprattutto quando le fonti di alimentazione sono precarie o quando deve trovare un sito di nidificazione arrivando ad attaccare, uccidere e mangiare piccoli passeriformi o piccoli mammiferi. Sono
noti in letteratura scientifica casi in cui le cinciallegre hanno attaccato pipistrelli in letargo nelle grotte e uccelli catturati nelle trappole, nelle reti o nelle gabbie. Howard Saunders, noto ornitologo inglese, nel 1899 scrisse che “gli uccelli vengono attaccati dalla Cincia che poi apre il cranio con il becco per mangiare il loro cervello.” Le pressioni ecologiche, come le condizioni meteorologiche avverse combinate con l’opportunismo, possono portare gli animali ad avere un comportamento sorprendente, ma naturalmente questo non vuol dire che la Cinciallegra sia un uccellino “malvagio”. I suoi comportamenti sorprendenti e poco conosciuti sono solo un altro modo per assicurare la sopravvivenza della specie, soprattutto in inverno quando il clima rende difficile trovare il cibo abituale o integrarlo con proteine animali. Nidifica nelle cavità protette degli alberi, dei muri costruendo all’interno il nido con muschi, peli e piume. Depone le uova, normalmente 8-15, tra aprile e maggio: lisce, bianche con piccole macchie rosso scuro, sono covate dalla femmina per circa 15 giorni. I pulcini, bianchi alla nascita
Per la costruzione del proprio nido la cinciallegra è molto intraprendente, si adatta ad ogni circostanza. Sono noti casi stranissimi di nidi all’interno delle cassette della posta, in tubi anche verticali con l’interno cavo accessibile, su trattori o bulldozer anche usati per il lavoro, in serbatoi di auto abbandonate in cui il tappo mancava, in vani di contatori di luce e gas con almeno un piccolo foro dove poter entrare, riuscendo quasi sempre a portare al successo la riproduzione
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AMICI CON LE ALI
Maschio, femmina e giovane
e poi dai colori più tenui rispetto agli adulti, vengono accuditi da entrambi i genitori per circa 20-30 giorni dalla schiusa e poi seguiti per i primi tempi dopo l’involo. Frequenti sono le seconde covate, nuove o sostitutive, se il clima e le disponibilità alimentari lo permettono. Detta in dialetto parussoea, sperinsoea o serpignola, nidifica facilmente nelle cassette nido artificiali, spesso scacciando altre specie che avessero già occupato questo ambito sito. Sono noti poi casi stranissimi di localizzazione di nidi come all’inter-
Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato Cell. 373 5191679 e Mauro Gambin Cell. 373 5179581 Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) info@speakoutmedia.it www.conipiediperterra.it magazine “Conipiediperterra”
Hanno collaborato a questo numero: Silvano Bizzaro Emanuele Cenghiaro Alessia Crivellaro Mattia De Poli
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no delle cassette della posta, in tubi anche verticali con l’interno cavo accessibile, su trattori o bulldozer anche usati per il lavoro, in serbatoi di auto abbandonate in cui il tappo mancava, in vani di contatori di luce e gas con almeno un piccolo foro dove poter entrare, riuscendo quasi sempre a portare al successo la riproduzione: una strategia in cui la rapidità nell’adattarsi e sfruttare le risorse a disposizione permette alla Cinciallegra di affermarsi come specie vincente.
Gloria Gallo Riccardo Ghidotti Michele Grassi Renato Malaman Adriano Mollica Eliano Morello Roberto Soliman Mario Stramazzo Aldo Tonelli Martina Toso Claudio Vallarini
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La copertina è a cura dei laboratori della Cooperativa Sociale Giovani e Amici di Terrassa Padovana Titolo dell’opera: “Una stagione da fiori di testa” Autrici: Nicol Ranci e Elisa Venturato
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