Con i Piedi per Terra | 05. SACCISICA

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N. 5 - Giugno 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD

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arte storia e natura prodotti tipici

CORTI BENEDETTINE,

IL PIÙ ANTICO MODELLO DI INDUSTRIA AGRARIA

SPIAGGIA PADOVANA PATRIMONIO DELL’UNESCO

LA BOSCHETTONA,



Numero 5 - Giugno 2014

Direttore responsabile: Mattia De Poli Editore: Speak Out srl Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere - VE speakout@live.it

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Subsidenza, innanzi tutto che cosè? TERRITORIO

Hanno collaborato a questo numero: Mauro Gambin Loredana Pavanello Mario Stramazzo Aldo Tonelli Cristina Veronese Paola Zanovello Progetto Grafico: Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968 Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it Stampa: E-Graf srl via Umbria, 6 - Monselice (PD) grafica@e-graf.it Tel. 0429 73735 Giornale chiuso il 27 giugno 2014

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La mietitura tra il rito e il mito

TRADIZIONI

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Pontemanco, l’industria prima dell’industria

Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari) In copertina “La mia terra” di Mauro Gambin

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Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Sped. in abb. post. € 25,00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013

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“Redentore e sarde in saore” A

OL STORIA A TAV

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Tono Zancanaro, arte contro gli abusi edilizi

ARTERRA


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EDITORIALE

Con il denaro si può corrompere il cuore delle persone ma non il cuore della natura di Mattia De Poli

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che cosa non forzi i cuori degli uomini, maledetta fame dell’oro!”: se non fosse per la formulazione enfatica, queste parole potrebbero essere pronunciate da un qualunque italiano di oggi. Eppure, più di duemila anni fa, Virgilio le ha affidate - per sempre - alla bocca dell’eroe troiano Enea nel racconto di un evento tanto prodigioso quanto tragico. Una città è in guerra e la sorte è incerta. Il re vuole mettere in salvo almeno uno dei propri figli, il più giovane, e lo affida a un re amico. Alla fine la città viene conquistata e saccheggiata, il suo re e i figli uccisi. Solo il più giovane potrebbe salvarsi: il padre previdente gli aveva lasciato anche una considerevole ricchezza per potersi sostentare senza gravare sull’ospite e senza dover mendicare. Ma proprio quella ricchezza inizia a fare gola al re, non più amico, che lo uccide e si appropria dei suoi averi. Tutto potrebbe essere tenuto nascosto, il cadavere viene sotterrato, ma su quel terreno spunta un arbusto spinoso e da ogni ramo spezzato escono sangue e parole di ammonimento. Mille e trecento anni più tardi Dante Alighieri rielabora l’episodio e vi modella la punizione dei suicidi, testimoniata in particolare da un uomo molto vicino al vertice del potere, colpito dall’invidia altrui: Pier della Vigna. Ma il commento di Enea a proposito del gesto criminale compiuto da Polimestore nei confronti del giovane Polidoro è ripreso quasi alla lettera nel Purgatorio, nella cornice degli avari e dei prodighi. Il poeta latino Stazio, che ha appena terminato di espiare la sua colpa, riconosce alle parole scritte da Virgilio il merito di averlo ammonito contro un peccato segnato dal cattivo uso del denaro e della ricchezza. E oggi? Oggi qualcuno forse ricorda l’immagine

dell’arbusto che gronda sangue e fiato insieme. Qualcuno rimane impressionato dalla situazione singolare e inquietante di una natura mostruosa. Ma pochi notano e ricordano che proprio quella mostruosità è la conseguenza di un atto umano, dettato dalla logica del denaro e del potere. Ci stupiamo di eventi catastrofici. Ci lamentiamo delle disgrazie che capitano. Ma non poniamo attenzione alle responsabilità umane. Tartarughe e delfini che muoiono nel mar Adriatico, insolite schiume che si depositano sulle spiagge. E intanto fioriscono, neppure troppo lontano dalla costa, piattaforme per l’estrazione e la lavorazione di idrocarburi. Sarà solo una coincidenza? Forse. Intanto si moltiplicano le perizie dei tecnici, atte a dimostrare che l’opera dell’uomo non ha alcun impatto sull’ambiente e che certi impianti sono necessari per l’uomo e per lo stile di vita moderno. Eppure rimane il sospetto che anche le parole degli esperti possano talora subire qualche influenza: basta il 5 per cento e il responso oracolare sarà favorevole. Devono vincere i “soliti immobilisti”, quelli del “no, sempre e comunque”? No. Non si mette in discussione l’opportunità di fare, ma è importante “fare bene”: fare bene il proprio lavoro e la propria parte di cittadini. Anche se sarà più complesso. Anche se comporterà qualche rinuncia. Marco Lombardo, un altro uomo di potere presentato da Dante nel Purgatorio, ricorda che ci è stato dato il “lume” per distinguere il bene dal male e il “libero voler” per decidere: dobbiamo cercare di utilizzare queste capacità nel modo migliore possibile. Se non vogliamo che nel giardino di casa nostra cresca un arbusto mostruoso e inquietante, che ci rimproveri per le nostre colpe. Con il denaro possiamo corrompere il cuore delle persone ma non il cuore della natura.

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ELZEVIRO

La terra

CHE MANCA SOTTO I PIEDI Con la ripresa del dibattito sull’opportunità o meno di trivellare il fondo dell’Adriatico per l’estrazione del petrolio si è tornati a parlare di subsidenza… ma che cos’è? di Mattia De Poli

S

entire la terra che manca sotto i piedi non fa piacere a nessuno. Anche quando l’abbassamento del livello del terreno si verifica gradualmente, in un arco di tempo prolungato, l’effetto risulta comunque impressionante e viene spontaneo chiedersi come sia possibile. Il fenomeno spesso è più complesso di quanto ci si potrebbe aspettare. Gli abitanti del Polesine sono abituati a sentire già dalla scuola elementare che la subsidenza è causata dall’estrazione di gas dal sottosuolo ma, crescendo, talvolta si ha l’impressione che si tratti di una storiella per bambini, intesa a demonizzare lo sfruttamento degli idrocarburi presenti nel terreno. Paradossalmente si rischia di ottenere l’effetto contrario: nessuno prende più questa versione seriamente. In effetti si tratta di una semplificazione ma bisogna ricordare che certi processi naturali vengono davvero accentuati o accelerati dall’azione dell’uomo. E il problema non è limitato al Delta del Po ma interessa vaste aree della Bassa Padovana e della zona di Chioggia.

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SUBSIDENZA PER EFFETTO DI PROCESSI NATURALI L’abbassamento del terreno può essere causato da movimenti della crosta terreste, una realtà tutt’altro che immobile e stabile (anche se ce lo ricordiamo solo in occasione dei terremoti). I depositi alluvionali, inoltre, presenti in tutta la Pianura padana, subiscono un processo di compattamento, che è compensato solo in parte dall’accumulo di nuovi detriti, e, quando lo strato d’acqua sovrastante si riduce, sono interessati anche da un processo di ossidazione che ne riduce la massa. E non bisogna dimenticare che i corsi d’acqua compiono un’azione erosiva. Ad aggravare la situazione si può aggiungere l’intrusione salina nelle falde acquifere, che provoca una variazione della composizione chimica del terreno con conseguente collasso dello strato d’argilla superficiale. SUBSIDENZA PER EFFETTO DELL’AZIONE UMANA ESTRAZIONE METANO Certe variazioni naturali sono indipendenti dall’azione umana. Ma talvolta i fenomeni naturali sono indotti dall’intervento dell’uomo, soprattutto attraverso l’estrazione di liquidi dal sottosuolo: non solo petrolio e gas, ma anche acqua. Il pompaggio delle acque dolci sotterranee favorisce il processo di subsidenza in due modi: direttamente e favorendo la contaminazione salina del terreno. Un effetto analogo è provocato anche dalle bonifiche che attivano o accelerano certi processi naturali, non ultimo l’ossidazione dello strato superficiale del terreno con conseguente riduzione della massa.


ELZEVIRO Certi processi naturali vengono accentuati o accelerati dall’azione dell’uomo. Il problema interessa vaste aree della Bassa Padovana del Rodigino e della zona di Chioggia Nell’area della Laguna veneta nei primi decenni dell’Ottocento il suolo si abbassava per cause naturali al massimo di mezzo millimetro all’anno. La situazione è cambiata notevolmente tra il 1930 e il 1970: in particolare, tra il 1968 e il 1969 il terreno si è abbassato di 17 millimetri a Marghera e di 14 millimetri a Venezia. La situazione è stata causata dagli sfruttamenti delle acque sotterranee a Marghera per scopi industriali e al Lido per scopi turistici. I dati non sono molto diversi per l’area di Chioggia, dove l’estrazione di acqua dal sottosuolo è stata finalizzata all’attività agricola.

Un ponte costruito negli anni venti del ‘900 mostra la protrusione della sua fondazione di circa 150 cm. Questa subsidenza fu indotta dalla compattazione per ossidazione dei suoli torbosi e da pompaggi di acque sotterranee. Sullo sfondo il nuovo ponte, che risale agli anni settanta del ‘900, evidenzia un abbassamento del suolo di circa 50 cm avvenuto negli ultimi trent’anni

Se la subsidenza è un fenomeno che avviene in natura, l’uomo deve aver cura di non complicare certi processi che possono avere delle conseguenze indesiderate e incontrollabili. Incontrollabili ma non imprevedibili: le conoscenze attuali permettono di valutare con buona precisione gli effetti di un intervento. Alcuni interventi sono necessari ma le scelte devono essere ponderate, se non ci si vuole trovare in difficoltà. Se non si vuole vedere la terra che “evapora”. Se non si vuole che ci manchi la terra sotto i piedi. Dati ricavati da: L. Carbognin, L. Tosi, “Il progetto ISES per l’analisi dei processi di intrusione salina e subsidenza nei territori meridionali delle province di Padova e Venezia” (2003)

Bacino Zennare: condotta di collegamento sotterranea a mattoni costruita negli anni trenta del ‘900, attualmente sopra il livello dell’ acqua e sostituita inferiormente da due tubi di scolo in cemento, il più elevato dei quali già inutilizzabile. Raffigurazione della sezione della vecchia condotta secondo quella che doveva essere la sua ubicazione originale

PROGETTO ISES Ises è l’acronomo di “intrusione salina e subsidenza”. Il progetto è stato avviato nel 1999 ed è durato tre anni. E’ stato promosso dal Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto per lo studio della dinamica delle grandi masse, l’Assessorato alla protezione civile della Provincia di Venezia, l’Assessorato all’ambiente della Provincia di Padova e quello del Comune di Chioggia, il Magistrato alle acque per la Laguna di Venezia, i Consorzi di bonifica Adige-Bacchiglione, Aduge-Euganeo, Bacchiglione-Brenta, Delta Po-Adige, in collaborazione con l’Autorità di bacino del fiume Adige, il Consorzio di bonifica Adige-Po-Canal Bianco e il Consorzio Venezia nuova.

Bacino Zennare: una vecchia chiusa abbandonata, costruita negli anni trenta del ‘900 per controllare un canale di scolo, è oggi completamente protrusa sopra il piano campagna. Raffigurazione della sezione della vecchia fognatura secondo quella che doveva essere la sua ubicazione originale.

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messaggio pubbliredazionale

CONSORZIO DI BONIFICA ADIGE EUGANEO.

FRATTA-GORZONE, SI PONGA UN ARGINE AL RISCHIO È necessario ed improrogabile che vengano posti in atto interventi strutturali da parte della Regione del Veneto per evitare il ripetersi di situazioni di crisi e di emergenza su un territorio di quasi 120.000 ettari (che presenta oltre 15.000 ettari sotto il livello del medio mare e che è servito da 58 impianti idrovori); aumentando le capacità di portata dei Fiumi, creando bacini di laminazione e di invaso, realizzando opere di diversione idraulica e ponendo in essere ogni altra azione per potenziamento degli impianti e dei sistemi di bonifica Si sa che il pericolo è sempre in agguato e se esserne consapevoli può aiutare a vivere con meno sbigottimento il manifestarsi del pericolo stesso, sarebbe comunque meglio aiutasse ad evitare o a protrarre ogni sorta di azzardo. Questo è lo scopo con il quale il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo ha inviato a tutti ipolitici eletti in Veneto, ai membri del consiglio Regionale e agli enti locali una “Relazione sulle criticità” che ormai da anni perdurano sul parte del territorio servito, specificatamente quello che insiste sul sistema di bonifica Agno Guà Frassine Santa Caterina Fratta Gorzone, interessato negli ultimi anni da frequenti emergenze legate a precipitazioni atmosferiche. È dal 2008, infatti, che il sistema di bonifica entra in profonda crisi anche in presenza di precipitazioni modeste. Nel 2008 furono 1.800 gli ettari finiti sotto acqua, dopo che il Genio Civile di Padova aveva decretato il fermo degli impianti idrovori consortili per non mettere a rischio la tenuta degli argini del fiume Fratta. Le zone più depresse, solitamente quelle in prossimità degli impianti di bonifica, dei comuni di Casale di Scodosia, Merlara, Masi, Megliadino San Vitale, Santa Marghe-

rita e Vighizzolo finirono sotto acqua. L’anno successivo gli ettari interessati dall’alluvione, negli stessi comuni, salì a 2500. In buona parte ancora gli stessi comuni sono stati sommersi dalla rotta del Frassine nel 2010 e a dicembre dello stesso anno gli ettari allagati sono stati più di 2.800. L’elenco continua ad ogni fermo delle idrovore impartito del Genio Civile:

Le 39 idrovore possono spostare 108 metri cubi di acqua al secondo, il Fratta ne trasporta appena 60, quando è in piena 1800 nel 2011, altri 8.000 a marzo di quest’anno e ben 18 mila, in tutta l’area servita dal Consorzio di Bonifica, in seguito alle “bombe d’acqua” di fine aprile scorso. È evidente che non si tratta più situazioni straordinarie o di eventi rari ma di una costante per di più crescente che ha per causa la scarsa efficienza di scolo del Fiume Fratta Gorzone, non sufficiente nemmeno a sostenere i volumi d’acqua scaricati dalle idrovore. I 39 impianti a pieno regime, infatti, possono spostare 108 metri cubi di acqua al secondo, mentre il Fratta ne trasporta appena 60, quando è in piena. All’inadeguaConsorzio di Bonifica Adige Euganeo www.adigeuganeo.it

tezza scolante del Fiume Fratta Gorzone, si accompagna poi una fragilità degli argini sia del Fratta Gorzone che del Frassine, che costituiscono per il territorio circostante un pericolo di collassamento arginale e che spingono gli Organismi regionali preposti a gestire le crisi, a imporre cautelativamente livelli di guardia dei Fiumi relativamente bassi, con il conseguente fermo degli impianti idrovori. “È necessario ed improrogabile - scrive il Consorzio il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo nella Relazione delle criticità - che vengano posti in atto interventi strutturali da parte della Regione del Veneto per evitare il ripetersi di situazioni di crisi e di emergenza su un territorio di quasi 120.000 ettari (che presenta oltre 15.000 ettari sotto il livello del medio mare e che è servito da 58 impianti idrovori); aumentando le capacità di portata dei Fiumi, creando bacini di laminazione e di invaso, realizzando opere di diversione idraulica e ponendo in essere ogni altra azione per potenziamento degli impianti e dei sistemi di bonifica, oltre che prevedere provvidenze e forme di ristoro a sostegno delle aree frequentemente allagate.


PROBLEMATICITÀ DEL FRATTA

Il comprensorio del Consorzio di bonifica Adige Euganeo si estende su un’area di circa 119.000 ettari interessando il territorio di quattro province (Padova, Verona, Venezia e Vicenza) e comprendente in tutto o in parte 70 Comuni. La rete di scolo di competenza consorziale si estende per complessivi km 1.717 lungo i quali sono dislocati 58 impianti idrovori di sollevamento, con installate 160 pompe per una portata totale di 272,39 mc/sec grazie ai quali annualmente viene sollevato ed espulso un volume d’acqua stimabile in oltre 300.000.000 di metri cubi

I BACINI DI LAMINAZIONE DA SOLI NON BASTANO Tra gli interventi proposti dalla Regione del Veneto per la mitigazione del rischio idraulico, c’è l’aumento della capacità di invaso del Bacino di laminazione di Montebello; la realizzazione di un bacino di laminazione denominato Anconetta in Comune di Sant’Urbano” (opera già progettata e in fase di istruttoria VIA); la diversione idraulica del Fratta Gorzone con by pass della Botte Tre Canne in Comune di Vighizzolo d’Este. Ma questi interventi, pur essendo necessari, da soli non bastano per dare una concreta risposta a breve termine alla situazione idraulica. Basti pensare che i 3,2 milioni di metri cubi d’acqua, che dovrebbero essere aggiunti al bacino di laminazione di Montebello, con una spesa di 51 milioni di euro, potrebbero essere riempiti da una sola idrovora in poche ore. Quella del Vampadore, nel comune di Megliadino San Vitale, ad esempio scarica 2 milioni di metri cubi d’acqua al giorno. I bacini di laminazione del resto servono per gestire i passaggi di piena, non per gestire i fermi delle idrovore che sono arrivati a protrassi anche per otto giorni.

I SUGGERIMENTI DEL CONSORZIO ALLA GIUNTA REGIONALE • Interventi di manutenzione straordinaria del Fiume Fratta Gorzone con disboscamento e rimozione materiale arboreo e vegetale sia sul fondo che sulle sponde arginali del Fiume; rinforzi arginali nei tratti più deboli onde evitare infiltrazioni e fontanazzi • Escavo e risezionamento del Fiume Fratta Gorzone per assicurare una capacità di portata idonea • Realiazzazione di un sistema di diversione idraulica in grado di scaricare almeno 40 metri cubi al secondo • Adeguamento del sistema di pompaggio degli impianti idrovori a servizio di quei territori in cui esistono discariche, è il caso della Gea di Sant’Urbano e della SESA ad Este.

Il fiume Fratta ha origine da un piccolo rio denominato Acquetta che riceve le prime acque dalla roggia di Arzignano derivata dal torrente Chiampo e da risorgive, a cui si uniscono i contributi idrici della zona collinare compresa tra Costo di Arzignano e Trezze. Mantiene il nome di Fratta fino alla località “Tre Canne”, nel comune di Vighizzolo d’Este, dove sottopassa il canale Brancaglia‐ Santa Caterina per diventare poi Gorzone. Nel suo corso di valle, in località Pettorazza, il Gorzone scorre pressoché parallelo all’Adige; proseguendo poi verso nord per immettersi nel Brenta‐Bacchiglione in località Punta Gorzone a ridosso della foce in Mare Adriatico. Il punto debole dell’intera asta fluviale è la strozzatura in località “Tre Canne”, ossia lo storico intervento fatto dai veneziani alla metà del ‘500, per scolare le acque dell’imponete lago di Vighizzolo e far passare fiume Fratta sotto al letto del Santa Caterina-Frassine. Tale imbuto impedisce il funzionamento a pieno regime delle 11 idrovore poste a monte della Botte, basti pensare che a gennaio‐febbraio 2014, l’Arpav ha misurato una portata in transito all’altezza di Valli Mocenighe inferiore a 60 mc/sec, pur con livelli idrometrici del Fiume oltre i limiti di guardia.

ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054 CONSELVE Viale dell’Industria, 3 - Tel. 049 9597424 Fax 049 9597480


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Amare il mare:

i controlli ARPAV a tutela del mare Veneto Il bacino dell’Alto Adriatico è un ampio sistema unitario di interesse regionale, sovraregionale e transfrontaliero e in quanto tale fornisce una immagine riflessa della salute ambientale del territorio che vi si affaccia e delle pressioni che agiscono su di esso (scarichi, impianti di trattamento di reflui, zootecnia e agricoltura, porti e traffico marittimo, itticoltura, molluschicoltura, popolazione e attività turistiche). Le attività che hanno il mare come protagonista spaziano dalla tutela e sorveglianza dello stato di qualità alla pesca, dal turismo alle aree protette, ai porti e alle emergenze e costituiscono un sistema di complesse e delicate interazioni che rendono l’area costiera nord adriatica un ambiente altamente instabile e sensibile; in particolare la costa veneta, con circa 160 chilometri di estensione, per le sue caratteristiche sia fisiche che di pressioni (configurazione, alta sensibilità geomorfologica, numerosi sbocchi di bacini fluviali eterogenei per caratteristiche, presenza di scarichi, alta variabilità degli eventi meteorologici e idro-dinamici) rappresenta una tipologia di area costiera estremamente vulnerabile. In questo quadro l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV) è impegnata, a supporto della Regione, degli Enti locali e delle altre Amministrazioni competenti, a garantire la tutela dell’ambiente marino e costiero attraverso attività di monitoraggio per la tutela ed il controllo delle acque marino costiere venete garantendo anche il necessario trasferimento delle informazioni, in funzione delle diverse tipologie di utenze coinvolte (Comuni, Aziende di Promozione Turistica, cittadini ecc). In adempimento alle leggi vigenti, le attività principali effettuate da ARPAV sono relative al controllo sulle acque destinate alla balneazione, per la valutazione igienico sanitaria del sistema su tutto il litorale del Veneto ma anche nei principali laghi della regione, ai controlli sulla qualità ecologica e chi-

Invertebrati rinvenuti nei fondali sabbiosi dell’Alto Adriatico

mica dell’ambiente marino costiero entro le due miglia nautiche, alla verifica della efficacia delle misure adottate dalla Regione per ridurre l’impatto delle pressioni a monte; a ciò si aggiunge il monitoraggio della comparsa e della evoluzione di fenomeni anomali quali ipossie, fioriture algali, mucillagini, presenza di meduse, finalizzato alla attivazione di idonee misure di prevenzione e protezione dell’ambiente marino. Tali attività vengono regolarmente affiancate da una serie numerosa di altri studi e progetti implementati anche con il supporto e la collaborazione della comunità scientifica. Le informazioni acquisite tramite i monitoraggi non solo permettono una migliore conoscenza del sistema marino veneto ma costituiscono presupposto fondamentale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, la salvaguardia degli ecosistemi, la tutela della salute e la gestione sostenibile della risorsa idrica. ACQUE DI BALNEAZIONE: I CONTROLLI PER LA TUTELA DELLA SALUTE UMANA Dal 1999 ARPAV esegue sulle acque costiere del Veneto i controlli per la verifica dell’idoneità alla balneazione, previsti dalla vecchia normativa (D.P.R. 470/1982) fino all’anno 2009 e dalla nuova normativa dall’anno 2010 (D.Lgs 116/2008 e DM del 30 marzo 2010). Va precisato che il tema della balneazione delle acque si rivolge esclusivamente alla tutela della salute dei bagnanti, e non alla qualità ambientale dell’ecosistema marino. Per questo motivo vengono controllati i soli tratti di costa destinati alla balneazione: oltre il 90% nella provincia di Venezia e solo circa il 25% nella provincia di Rovigo per un totale di poco meno di 100 km sui 160 km complessivi di costa nella nostra regione. Tutte le zone di foce, le bocche di porto e l’area del delta padano sono infatti vietate alla balneazione.

Orizzonte marino con cirrostrati

Grossa medusa poco urticante (Rhizostoma pulmo)


Durante la stagione balneare, dal 15 maggio al 15 settembre, gli operatori dei Dipartimenti Provinciali ARPAV, coordinati dal Servizio Osservatorio Acque Marine e Lagunari, provvedono ad effettuare, su ogni punto di controllo, accertamenti ispettivi ed analitici al fine di verificarne l’idoneità alla balneazione secondo un calendario prestabilito. I punti di controllo (169 punti di cui 95 in mare, uno nello specchio nautico di Albarella, 65 nel lago di Garda e i restanti negli altri laghi balneabili della regione) sono distribuiti lungo la costa in rapporto alla densità turistico balneare ed alla presenza di potenziali sorgenti di contaminazione (foci fluviali, porti, impianti di trattamento dei reflui, ecc.). I dati ottenuti vengono inviati mensilmente al Ministero della Salute, mentre sul sito internet di ARPAV vengono diffuse tempestivamente le informazioni sulla balneabilità delle acque del Veneto e vengono pubblicati i dati rilevati. Al termine della stagione balneare, sulla base delle risultanze dei controlli eseguiti negli ultimi quattro anni e su proposta di ARPAV, la Regione Veneto provvede alla classificazione delle acque di balneazione per l’anno successivo. Dall’ultima classificazione di legge adottata dalla Regione, su proposta di ARPAV, sulla base dei risultati delle analisi effettuate negli anni 2010-2013, risulta che su un totale di 167 acque di balneazione in esame ben 164 sono risultate di classe “eccellente” e le restanti 3 di classe “buona”. In base alla normativa in materia, le acque di balneazione dovranno raggiungere almeno lo stato di qualità “sufficiente” entro la fine della stagione balneare 2014 ossia per l’inizio della stagione balneare 2015 e pertanto ne consegue che tale obiettivo risulta già raggiunto per il Veneto, a dimostrazione della efficacia dell’operato della Regione nella protezione dell’ambiente e nella tutela della qualità dell’acque in generale e di quelle di balneazione in particolare. Lo stato di qualità delle acque raggiunto dovrà comunque essere mantenuto e possibilmente aumentato attraverso un miglioramento dell’efficienza del sistema regionale di depurazione. LA QUALITÀ DELLE ACQUE MARINO COSTIERE L’approccio innovativo nella gestione europea delle risorse idriche, previsto dalla Direttiva 2000/60/CE (Direttiva Quadro sulle Acque), ha comportato profondi cambiamenti nel sistema di monitoraggio e classificazione delle acque superficiali, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti biologici. Di fatto lo «Stato Ecologico» ha assunto un significato più fedele al termine, rispetto all’uso che ne veniva fatto nella precedente normativa, diventando espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali. Anche la recente Direttiva europea 2008/56/CE sulla strategia marina individua come prioritario il mantenimento e la tutela della biodiversità e della vitalità di mari ed oceani affinché siano “puliti, sani e produttivi”, garantendo un utilizzo sostenibile dell’ambiente marino e salvaguardando il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future.

All’interno del quadro normativo citato, la Regione del Veneto e l’ARPAV, in collaborazione con i diversi Enti che operano sia nel proprio territorio sia nelle regioni limitrofe, sono direttamente impegnate nell’implementazione delle Direttive europee, anche attraverso la sinergia con i Distretti Idrografici di appartenenza, ovvero le unità territoriali di riferimento per la gestione integrata del sistema delle acque. In tale contesto ARPAV esegue controlli periodici sulle acque marine per valutarne lo stato di qualità e le eventuali alterazioni attraverso indagini su diverse matrici (acqua, sedimento, molluschi bivalvi, popolamenti del fondo marino). Il monitoraggio viene attuato attraverso la nuova rete regionale, attiva dal 2010, costituita da nove transetti perpendicolari alla linea di costa, distribuiti nei corpi idrici costieri e da alcune stazioni dislocate nei corpi idrici al largo, per un totale di 69 punti di controllo. La rete di stazioni è controllata attraverso campagne di analisi e misura sul campo, prelievo di campioni e successive analisi di laboratorio, secondo la prevista pianificazione triennale. Alle attività istituzionali continuative si affiancano approfondimenti su particolari tematiche di interesse quali lo studio di strutture rocciose, denominate Tegnùe, che emergono dai fondali veneti generalmente piatti e sabbiosi e che costituiscono ambienti particolarmente sensibili e di grande imporSonda per la misura dei tanza dal punto di vista biologico parametri fisico-chimici sulla e naturalistico. Dalle Tegnùe alle colonna d’acqua alghe, dalle tartarughe marine ai delfini, ognuno di questi è fondamentale per gli altri e per l’equilibrio dell’habitat marino. Dal 2011 le attività di controllo sul campo delle acque marine e di balneazione vengono effettuate in collaborazione con la Guardia Costiera - Direzione Marittima di Venezia con la quale ARPAV ha stipulato specifica convenzione; tale cooperazione ha consentito sia un’ottimizzazione delle risorse impiegate, sia un’utile interscambio di conoscenze tecnico scientifiche. Le collaborazioni istituzionali attivate dalla Regione e dall’ARPAV costituiscono la base fondamentale per la realizzazione delle attività previste dalla direttiva europea sulla strategia marina, che estende notevolmente le competenze sia in termini areali (fino a 12 miglia dalla costa) sia di matrici che di tematiche, e che ha come forza la sinergia tra i diversi attori, istituzionali e non, che operano su questo importante palcoscenico che è il nostro mare. Dott Carlo Emanuele Pepe - Direttore Generale Dott. Paolo Rocca - Direttore Area Tecnico Scientifica Dott.ssa Sara Ancona, Dott.ssa Anna Rita Zogno Servizio Osservatorio Acque Marine e Lagunari


PAROLA DI TECNICO

LA COESISTENZA DELL’UOMO E DELL’AGRICOLTURA di Eliano Morello

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a quando l’uomo ha abbandonato il nomadismo per diventare stanziale ha dovuto fare i conti con l’agricoltura (intesa come coltivazione di alimenti per sfamarsi). L’agricoltura ha fornito e fornisce tuttora gli elementi di cui ci nutriamo: non a caso, il tema dell’Expo 2015 di Milano è “Nutrire il Pianeta”. Ma perchè iniziare l’articolo con un’introduzione di questo tipo? Perchè a mio avviso la coesistenza tra mondo agricolo (agricoltura) e cittadinanza - specialmente quella che abita nelle immediate vicinanze del campo coltivato - si fa sempre più difficile. Il caso Montegalda. Un neoformato comitato per la salute dei cittadini, residenti in una zona peep limitrofa ad un frutteto, ha ritenuto legittimo e doveroso fare un

dal desiderio di limitare l’attività agricola ed evitare che essa (nella fattispecie la frutticola) si sviluppi a ridosso delle abitazioni e dei centri abitati per il pericolo di “avvelenarne” i residenti. Se l’iniziativa è lodevole e condivisibile da un lato, bisogna sottolineare che spesso i metodi utilizzati per sensibilizzare la collettività non lo sono altrettanto. Spesso e volentieri queste riunioni si svolgono in assenza di controparte, cioè senza contradditorio, rischiando quindi di dare solo a una delle due parti in causa la possbilità di avvalorare le proprie tesi, ma senza alcuno che le possa obiettare o controbattere (sembra azzeccato, in questo caso, il motto pubblicitario: “Ti piace vincere facile?”).

esposto al Comune, alla Procura della Repubblica, alla ULSS di Vicenza e al Giornale di Vicenza, per denunciare un frutticoltore “irresponsabile” che, a loro parere, sta avvelenando la zona e limitando fortemente la socializzazione del quartiere. Non soddisfatto della risonanza mediatica ricevuta, qualche tempo dopo il comitato cittadino di quel Comune del vicentino ha organizzato un incontro al quale sono stati invitati alcuni rappresentanti di una commissione per la salute dei cittadini della Val di Non (Trentino). Questi comitati spontanei nascono

Tuttavia quello che temo di più (e cioè una buona parte dei problemi che devo affrontare quotidianamente in qualità di agrotecnico) è la disinformazione, il tono eccezionalmente enfatico, il terrorismo che viene perpetuato ai danni delle persone comuni nella convinzione di possedere la Verità Assoluta. Si provi a far caso alla terminologia adottata in tali situazioni: se desiderassi creare panico utilizzerei termini quali pesticida, biocida o cancro, logicamente legati (a loro “esperto” parere) da un rapporto di causa - effetto. In alternativa potrei usare termini quali fitofarmaci, agro-

Agricola Lendinarese s.n.c. via Matteotti, 34 - Lendinara (RO) - tel. 0425 1684204 - agricolalendinarese@gmail.com


PAROLA DI TECNICO farmaci, insetticidi, fungicidi, battericidi, nematocidi. È paradossale che qualsiasi individuo in possesso di un qualunque titolo di studio o laurea si possa e debba sentire in diritto di esprimere opinioni (pontificare) in tema di agricoltura. Sovente intervengono in dibattiti quali quello del caso Montegalda medici e laureati che non hanno alcuna competenza e conoscenza del settore agricolo e di chimica generale, chimica organica, biologia evoluzionistica, entomologia e patologia vegetale. Nessuno del comitato promotore dell’esposto si è infatti degnato di informarsi su che cosa faccia realmente l’agricoltore di Montegalda incriminato di tali atrocità come “l’avvelenamento dell’aria stessa che

nonychus ulmi) - che per il suo controllo richiedeva fino a 6/8 trattamenti l’anno - risolto con la riduzione di alcuni fitofarmaci e la tutela dei predatori (acari fitoseidi). Quelli riportati sono solo alcuni esempi a dimostrazione del fatto che gli agricoltori sono ben felici, quando possibile, di ridurre gli interventi sulle coltivazioni (questo si traduce in un risparmio anche per loro, no?), ma non lo sono altrettanto quando si trovano “costretti” a difendere i loro raccolti e il loro lavoro dagli attacchi e dagli insulti indiscriminati di autentici ignoranti che pare godano nel mettere in difficoltà i lavoratori onesti. Gli agricoltori quindi non possono e non devono “lottare” anche contro le agressioni dell’opinione pubblica, spesso poco informata, o di giornalisti senza alcuna competenza.

Gli agricoltori non possono e non devono “lottare” anche contro le aggressioni dell’opinione pubblica

respira la sua famiglia e l’intera zona”! Nessuno gli ha chiesto perchè tratti il frutteto dopo una pioggia infettante, magari nel weekend perchè solo allora il tempo lo permette (ricordo, per chi non lo sapesse, che non è consono trattare quando la vegetazione è bagnata o c’è troppo vento). Non ci si informa se l’agricoltore adotti o meno tecniche particolari di coltivazione quali la difesa integrata, la difesa biologica e/o la confusione sessuale, o se utilizzi trappole a feromoni per il monitoraggio degli insetti. Personalmente sono trent’anni che mi occupo di agricoltura e frutticoltura e sono stato testimone il più possibile obiettivo e informato dei grandi cambiamenti avvenuti in questo settore. Il passaggio dalla difesa a calendario alla difesa guidata degli anni ‘80 per poi approdare alla difesa integrata degli anni ‘90 ha prodotto un cambiamento epocale nella mentalità di agricoltori, tecnici, rivenditori e organismi pubblici. Quello che purtroppo è mancato e sta continuando a mancare è un’adeguata e corretta informazione sui cambiamenti avvenuti. Non molti forse ricordano l’emergenza del cemistoma (Leucoptera scitella), flagello dei meleti degli anni ‘80 - che richiedeva anche 5/6 interventi l’anno - risolto con l’eliminazione di alcuni insetticidi e con il potenziamento dell’equilibrio biologico (predatore - preda), o del ragnetto rosso (Pa-

In sostanza, coesistere vuol dire vivere assieme e per fare ciò bisogna conoscere quello che fanno gli altri (per la cronaca l’azienda sopra citata è perfettamente in regola e adotta ogni sistema per ridurre l’inquinamento - risposta dell’ULSS competente), magari documentandoci adeguatamente, senza pregiudizi. Sarebbe utile coltivare sempre il dubbio di non avere necessariamente ragione a prescindere e a tutti i costi. Mi permetto infine di segnalare alcuni libri che ci potrebbero aiutare a comprendere il mondo che ci circonda. L’Agricola Lendinarese S.n.c. - di Lendinara (RO) - con i suoi tecnici, può sicuramente fornire un valido punto di riferimento per quanti avessero bisogno in termini di consulenza e assistenza tecnica in campagna, registro dei trattamenti, difesa integrata, difesa biologica, oltre alla fornitura di agrofarmaci e concimi utili al processo produttivo per una agricoltura responsabile e sostenibile.

Morello Eliano morello_eliano@libero.it - Cell. 328 3999365

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STORIA E TRADIZIONI

Tracce di agricoltura

tra protostoria e storia, tra reperti e documenti scritti testo di Paola Zanovello e didascalie di Mauro Gambin L’età del Bronzo I reperti archeologici più antichi emersi dal terreno della Bassa Padovana risalgono al paleolitico, ma è all’età del bronzo che si devono i ritrovamenti più interessanti per quanto riguarda l’agricoltura. In questo periodo della protostoria, infatti, fu maggiore la capacità degli uomini di incidere sull’ambiente. Le risorse agricole e forestali furono sfruttate in maniera più produttiva rispetto al passato, grazie innanzitutto all’utilizzo dell’aratro, di legno e successivamente di strumenti di bronzo quali le asce, impiegate per abbattere gli alberi, e i falcetti, che consentirono una maggiore efficienza per i raccolti. Questo fenomeno camminò di pari passo con la tendenza a occupare in modo stabile e prolungato gli stessi luoghi, portando così alla nascita di villaggi. Durante la media e recente età del Bronzo (tra 1600 e 1000 a.C.) nascono grandi centri abitati di pianura cinti da argini, come Montagnana, Borgo San Zeno, Monselice, Marendole ed Este. Il ritrovamento di un ripostiglio contenente pani di bronzo semilavorato e frammenti di falce deformata dal fuoco a Merlara (risalente all’atà del Bronzo recente, XII secolo a.C) testimonia il raggiungimento di un elevato livello tecnologico nella lavorazione del bronzo e il grado di ricchezza raggiunto dai gruppi di popolazione. I reperti in foto sono conservati al Museo Atestino di Este.

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S

oprattutto la voce degli antichi ci permette di immaginare come doveva presentarsi il territorio veneto oltre duemila anni fa: in particolare due autori, vissuti tra il I sec. a.C. e l’inizio del I d.C., Strabone (Geografia, V, 1, 4-5) e il padovano Tito Livio (Storia di Roma, X, 2, 4-5), descrivono ampi terreni, colline e campagne che l’abbondanza di acque rendeva fertili e popolose e dove si allevavano anche i pregiati e rinomati cavalli da corsa, già noti ad Omero. Con l’arrivo dei Romani, il territorio assunse l’aspetto regolare ed ordinato proprio delle divisioni agrarie centuriate: le terre intorno ai due principali poli urbani del territorio padovano, Padova ed Este, ne conservano ancora tracce visibili, particolarmente evidenti a nord lungo la via Aurelia (area del Graticolato romano intorno a Borgoricco), ma percepibili anche a sud, nella Saccisica, lungo la via Annia e nell’area a nord-ovest di Este, al margine dei Colli Euganei. Numerose iscrizioni, sia nell’agro atestino che in quello patavino, attestano l’organizzazione giuridica di proprietà private, con servitù di passaggio legate alla gestione delle terre e alla viabilità. Anche l’archeologia documenta l’esistenza nel territorio di terreni privati, fundi, e di abitazioni rurali, villae, in cui si svolgevano tutte le attività le-


STORIA E TRADIZIONI

L’olivo si maritava alla vite, unendo così due tra le specie arboree più presenti ancora oggi nel territorio euganeo gate all’agricoltura e all’allevamento; gli scavi hanno restituito sia resti organici che strumenti, come falci e roncole, zappe, asce, vomeri, macine. Si coltivavano in particolare frumento, orzo, miglio e avena, ma anche fave e lenticchie, viti, olivi, noccioli e castagni. Un’annotazione è riservata da Plinio (Storia Naturale, XVII, 122) proprio alla produzione di castagne: il cavaliere atestino Corellio, in occasione del suo trasferimento a Napoli, portò con sé un germoglio che innestò in una pianta campana, dando così origine ad una pregiata produzione, che da lui prese il nome di castanea Corelliana. Molto importante doveva essere la coltivazione della vite, presente nel territorio euganeo, come ricorda Marziale (Epigrammi, X, 93, 1-2), descrivendo “l’euganea terra patavina, con i suoi colli rossi di vigne”; qui le viti erano “maritate” ai salici e le vindemiae risultavano “profumate di salice” (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, XIV, 110; Columella, Agricoltura, V, 7, 1); di salice erano anche i legacci usati per fissare i tralci ai sostegni (Columella, Agricoltura, XI, 2, 92). Spesso, come ricorda Plinio, anche l’olivo si maritava alla vite, unendo così due tra le specie arboree più presenti ancora oggi nel territorio euganeo.

La civiltà atestina si è sviluppata tra la fine dell’età del bronzo (X-IX secolo a.C) e l’età romana (I secolo a.C.). Il nome deriva da Este che ne fu l’indiscussa capitale per ricchezza e cultura. L’economia era fondata sull’agricoltura, l’allevamento, la pesca in acqua dolce, ma sviluppato era pure il commercio. Importante testimonianza di questo periodo è la situla Benvenuti, del VII secolo a.C, conservata al Museo Atestino di Este. Si tratta di un vaso metallico, probabilmente usato in ambito cerimoniale come contenitore di acqua o sangue, oppure come vaso per le libagioni . Nella foto in alto sono riproposti i tre registri nei quali è suddivisa le decorazione. Il repertorio è pittosto vario, spaziando da immagini con animali reali e fantastici, scene rituali e di guerra. Nella fascia più alta è riprodotto anche un momento di vita rurale, un contadino è impegnato nel seguire il suo aratro trainato da un cavallo. Vicino a lui, una zappa è deposta a terra sotto un traliccio con dei secchi appesi. Questo tipo di rappresentazioni forniscono preziosissime indicazioni sulla vita di questa antica popolazione della Bassa Padovana, in contatto commerciale con la penisola balcanica e con il Mediterraneo.

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messaggio pubbliredazionale

Tenuta Civrana

prodotti di stagione e ospitalità nella natura L’estate è esplosa nei campi con i colori dei suoi prodotti: meloni, angurie, pesche. La stagione riserva i frutti più dolci dell’anno. Frutti che ovviamente non possono mancare al punto vendita della Tenuta Civrana, che con i suoi 365 ettari produce il meglio che la stagione può offrire. Pur trattandosi di una superficie vasta, la produzione non è estensiva ma punta decisamente sulla qualità, grazie ad una campagna che continua ad essere coltivata nel rispetto dell’ambiente e lasciando al verde spontaneo uno spazio decisamente importante. Accanto alle superfici coltivate, infatti, esistono ambienti naturali quali boschi planiziali, siepi e stagni, che svolgono un importante funzione di fitto depurazione. A tutto questo si aggiunga che anche per la commercializzazione dei prodotti “Tenuta Civrana” ha scomesso sulla “filiera corta”, ossia sul rapporto diretto tra produttore e consumatore che elimina alle radice i rincari di costo, dovuti ai rialzi degli intermediari, e problemi legati alla tracciabilità. Qui i prodotti sono a tutti gli effetti a chilometri zero.

L’agriturismo L’alternativa all’acquisto diretto dei prodotti è consumarli direttamente in azienda. L’agriturismo della Tenuta Civrana, infatti, propone menù abbinati alla stagione in un ambiente completamente rinnovato che rispecchia il paesaggio circostante. La semplicità e la genuinità sono le caratteristiche che contraddistinguono Tenuta Civrana anche a tavola, unite alla qualità dei prodotti ed un’ospitalità unica, in quanto al pranzo può essere abbinata una lunga passeggiata, a piedi oppure in bicicletta accompagnata da una guida, all’interno della campagna e del percorso attrezzato che permette la visita ravvicinata delle 171 specie di uccelli che hanno scelto come propria dimora i laghetti e i boschi planiziali che punteggiano l’immensa distesa coltivata dell’azienda. Specchi d’acqua, ponticelli in legno e altane per il birdwatching sono un’autentica attrazione per gli amanti del verde e degli animali. Ma gli uccelli non sono gli unici abitatori di questi luoghi incontaminati, l’incontro con anfibi e rettili non è raro. Inoltre la cospicua presenza della testuggine palustre è da considerarsi un ottimo indicatore biologico, visto che vive in acque salubri e altrove è completamente sparita. Si tratta di un’opportunità unica e suggestiva in quanto la Tenuta Civrana è l’unica azienda che ad una campagna dal sapore d’altri tempi coniuga il piacere della scoperta e del contatto con aree verdi inviolate. Pegolotte di Cona (VE), Via della Stazione 10 • Tel. 333 6662584 • Fax 0426.509075 • info@tenutacivrana.it


L´agriturismo della Tenuta organizza serate a tema oltre che ad essere disponibile nell´organizzare cene o pranzi per qualsiasi cerimonia come battesimi, cresime, matrimoni, lauree, compleanni. Per prenotazioni all’agriturismo e per chi fosse interessato alla visita guidata all’oasi con percorso attrezzato basta chiamare il numero:

347 2220023 Verrà organizzata un’escursione adatta a tutte le esigenze

TENUTA CIVRANA Il punto vendita della Tenuta Civrana è stato completamente rinnovato mantenendo invariata la qualità dei prodotti freschi ai quali si aggiungono le marmellate, autentiche specialità della casa. Meloni, angurie, pesche arrivano sui banchi direttamente dai campi, come del resto le orticole: fagiolini, fagioli, peperoni, melanzane e pomodori freschissimi, con i quali viene prodotta anche un’ottima passata, aggiungendo solo un pizzico di sale. La giardiniera in agrodolce, invece, è una vera esplosione di colori e sapori. ORARI DI APERTURA DEI PUNTI VENDITA • Pegolotte di Cona, Via della Stazione 10 (VE) Dal Martedí alla Domenica: 8.00 - 12.00 e 14.30 - 18.00 Lunedí: chiuso • Roncaglia di Ponte San Nicoló, Via Guido Rossa, 8 Roncaglia di Ponte San Nicoló (PD) Dal Lunedí al Sabato: 8.30 - 12.30 e 15.30 - 19.30 • Ortocorto, Padova - via Bosco Papadopoli, 4 Dal Lunedí al Sabato: 9.00 - 13.00 e 16.00 - 19.30 Lunedí mattina: chiuso

Punto vendita rinnovato CESTE DI VERDURA Vengono confezionate cassette di verdura fresca di stagione e ceste per un regalo originale, sempre gradito e di grande effetto anche su ordinazione telefonica UOVA FRESCHE É possibile acquistare uova prodotte in giornata dalle galline allevate libere in azienda PRODOTTI SOTTOLIO E SOTTACETO li ortaggi prodotti in azienda possono essere acquistati anche come sottoaceto e sottolio

Per iscriversi basta andare sul sito della tenuta all’indirizzo www.tenutacivrana.it e scaricare l’apposito modulo.


Jean-François Millet, Le spigolatrici. 1857. Parigi, Museo d’Orsay

STORIA E DINTORNI

Andiamo a mietere il grano, il grano... il grano La mietitura era la stagione dell’abbondanza e del lavoro, preceduta e accompagnata da una serie di riti propiziatori si concludeva con una grande festa sull’aia: la “ganzèga” di Mauro Gambin

I

nsieme alla vendemmia la mietitura del grano era uno dei grandi riti collettivi della campagna, fino all’avvento delle trebbiatrici. I campi biondi di spighe si riempivano di braccianti, avventizi che ogni giorno partivano con la loro falce da casa. Il “seghetto” o “zerciaro”, infatti, era uno strumento personale, non veniva fornito. Curvo come le schiene di chi lo impugnava, brillava alla luce del sole caldo di giugno. La mietitura era un lavoro massacrante, la durata della giornata lavorativa era variabile, di solito durava fin che c’era luce, eventuali dispense potevano essere decise dal “capo omani” che oltre all’organizzazione delle squadre dei braccianti si occupava di annotare le ore e faceva i conti con il proprietario. Malgrado tutto, però, la mietitura era un momento di gioia. I granai dei signori tornavano a riempirsi insieme alle speranze di ottimi guadagni e anche la madia dei più poveri si rinnovava di sapori e profumi, dopo che per mesi il pane era stato preparato con farine ammuffite ottenute da granaglie di scarto o mal conservate. La mietitura era anche il tempo del lavoro, le schiere di braccianti, rimaste inoperose per mesi, o gli uomini in distaccamento impiegati come scariolanti nelle

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imprese della bonifica tornavano ad essere impiegati anche se con modalità, talvolta, disparate. La durata dei contratti variava molto: andava dall’anno al giorno; di frequente era anche “la stagione”, la settimana, “il periodo del raccolto”, poteva insomma avere anche durata indefinita. La modalità di pagamento poteva essere a cottimo, a giornata o per campo, mentre il rapporto di lavoro poteva essere a salario, a compartecipazione al prodotto, o con diritti vari; le retribuzioni potevano essere corrisposte in generi, in denaro, miste, col vitto o senza, col vino o senza. Oltre a tutte queste differenze bisogna considerare che il corrispettivo variava molto a seconda del sesso e dell’età, del tipo di lavoro svolto e delle stagioni. Appunto quella estiva era la più remunerativa. Secondo i dati riportati nell’Inchiesta Jacini, promossa dalla Camera dei deputati il 15 marzo 1877 e passata alla storia con il nome del presidente della commissione d’inchiesta, appunto Stefano Jacini, che l’aveva fortemente caldeggiata per conoscere le condizioni dell’agricoltura in Italia verso la fine dell’Ottocento, gli uomini percepivano dai 60 agli 80 centesimi di lira al giorno nel periodo invernale, mentre potevano spun-


STORIA E DINTORNI tare paghe giornaliere che raggiungevano una lira e una lira e mezza d’estate ed era appunto nei periodi della mietitura che i salari raggiungevano gli importi massimi: anche tre lire al giorno. Tuttavia si trattava di un periodo molto breve, di solito 8 giorni. Il lavoro di donne e bambini veniva richiesto solo nei momenti di picco. Le donne ricevevano una paga compresa tra la metà e i tre quarti del salario di un uomo, mentre i bambini tra un quarto ed un mezzo. Erano queste opportunità, insieme ad altri lavori svolti dalle donne a domicilio, a integrare il bilancio famigliare. Il saldo del bilancio famigliare, quindi, era nella maggior parte dei casi negativo e appunto alla mietitura erano legate le opportunità di maggiore entrata.La necessità di eseguire con la massima rapidità certe attività agricole portava i proprietari terrieri a reclutare manodopera supplementare tra le fila dei braccianti, e tra questi ultimi la possibilità di spuntare un salario dignitoso, seppur per pochi giorni. Nell’Ottocento esistevano due diverse categorie di braccianti: quella dei salariati fissi (“obbligati” annui) e quella degli avventizi (“disobbligati” giornalieri). I primi poco numerosi potevano contare su un lavoro continuo che portava ad un tenore di vita migliore; la seconda categoria, invece, molto più numerosa, comprendeva braccianti che non riuscivano a lavorare tutto l’anno e vivevano quindi in condizioni più difficili, concentrandosi sulla ricerca di occasioni di impiego. Erano questi a distribuirsi in lunghe file lungo il fronte del campo e ad intonare ritmati canti per tenere lontana la fatica, un modo per distrarre il pensiero dallo sforzo corporeo, ma in realtà il loro disagio durava di anno in anno. La fame era una costante, e la morte per stenti non era un effimero spettro, aveva invece la concreta consistenza della realtà quotidiana. Soprattutto tra la popolazione più giovane. Non a caso proprio la falce è diventata uno dei simboli della lotta contro lo sfruttamentoe non a caso è proprio nelle zone di Mantova, Ferrara e Rovigo, nelle quali la presenza di braccianti è rimasta particolarmente alta anche nel Novecento, sono nati i primi moti di protesta o i moti contadini come quello de “La Boje” del periodo 1882-1885. Siamo all’inizio della nascita dei movimenti organizzati: nell’ultimo decennio del secolo i tentativi di organizzazione sindacale, cooperativa e politica andarono allargandosi e le idee socialiste cominciarono a far presa fra i lavoratori. I primi parziali successi e le esperienze di lotta compiute sul finire dell’Ottocento hanno avuto esito positivo soltanto nel secolo successivo. Durante l’età giolittiana, anche grazie al minor ricorso alla repressione aperta, si susseguirono ondate di scioperi, significative elaborazioni sindacali e conquiste in termini di salario, orario, condizioni di lavoro.

UNA VITA DI STENTI, bilancio famigliare dei braccianti Composizione della famiglia: un uomo, una donna, tre fanciulli

ENTRATE Giornate lavoro agricolo dell’uomo: 150 estive (1,10 lire) + 20 invernali (70 cent.)

180 Lire

Giornate lavoro agricolo della donna: 90 estive (80 cent.) + 10 invernali (50 cent.)

130 Lire

Lavoro al telaio (uomo)

28 Lire

Filatura a mano (donna)

15 Lire

• TOTALE ENTRATE 299 Lire •

USCITE Granoturco

160 Lire

Altre spese di alimentazione

102 Lire

Affitto casa

30 Lire

Vestiario e calzature

47 Lire

Consumo attrezzi

7 Lire

Medicine e spese straordinarie

5 Lire

• TOTALE USCITE 351 Lire• (Fonte: MAIC, Notizie intorno, cit. III, pp.624-625, 650-651, tratto da A.Lazzarini, Fra tradizione e innovazione…, cit.)

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STORIA E DINTORNI

IL RITO, LE DATE, LO SPIRITO DEL GRANO e dei suoi nuovi riti, la semplicità agreste ha dovuto La mietitura stava tra due santi: Antonio da Padova accontentarsi di spazi marginali come testimonianza e Rocco. Tra il 13 giugno e il 16 agosto, infatti, i laanacronistica di un mondo che non aveva più motivo vori nelle corti dovevano essere completati. Il giorno di esistere. Il calendario dei santi e delle processioni dopo la “messa dei mietitori”, a seconda della stagioperse d’importanza e insieme ad esse l’intero reperne, partivano i lavori in campagna che si sarebbero torio dei riti d’auspicio che per secoli erano stati il leconclusi con la “galzega”, “ganzèga”, “galdega” che a game che teneva stretto l’uomo alla terra e al cielo seconda delle provincie cambiava nome ma allo stescon trepidazione e rispetto, perché temendo entramso modo, con una cena oppure un pranzo, finiva tutti bi allo stesso modo, per eccessi e per carestie, al rito i lavori collettivi. Già nel ‘500 la “galzega” era prel’uomo affidava la sua ingenua ma profonda speranvista come diritto consuetudinario a favore dei lavoratori. Al proprieIl calendario dei santi za. Al lavoro, dunque, si coniugava il rito o il simbolo, volti entrambi a vintario era fatto obblie delle processioni cere gli influssi maligni e a tener longo di offrire il cibo perse d’importanza e tano tutto ciò che era indesiderato, a chiusura dei lavori in campagna. Non insieme ad esse l’intero magari anche solo fuori dai confini comunali, così come scongiuravano mancava che alle repertorio dei riti tradizionali pietanze d’auspicio che per secoli i partecipanti alla processione delle venisse offerto un salame erano stati il legame che “rogazioni” di San Marco (25 aprile) a tappe percorrevano i termini preparato e tenuto da parteneva stretto l’uomo che municipali, oppure fuori dal proprio te per l’occasione, battezalla terra e al cielo campo o orto grazie ai poteri apotrozato come fosse uno di paici conferiti alle “crocette” di legno portate a messa famiglia: la “zia” o la “nona” era una sorta dai bambini, benedette il 3 maggio e poi conficcate di cibo rituale, forse l’equivalente delle lisulle capezzagne. Il giorno dell’Ascensione (il giovedì bagioni dei riti pagani, tanto per rendere Il periodo della mietitura era l’idea di quanto lontana nel tempo sia l’odopo la 6° domenica di Pasqua), poi, si rinnovava in compreso tra rigine delle consuetudini agrarie. Questa quelle comunità attraversate dai fiumi l’alleanza con Sant’Antonio da l’acqua, per tenere distanti siccità e rotte paurose. sorta di diritto consuetudinario, tuttavia, Padova (13 giuDalla riva, oppure dalla barca, il curato benediceva nei primi anni del ‘900 andò progressivagno) e San Roce gettava una “palla di cera” in acqua a simbolo di co (16 agosto). Il mente sparendo e cessò del tutto con i giorno dopo la contratti agrari del ‘22. Rimase come traalleanza, di matrimonio, come del resto il doge di “messa dei mie- dizione fino all’avvento della meccanizzaVenezia faceva gettando tra le onde un anello d’oro titori”, a seconda nello “sposalizio con il mare”. Dopo la mietitura, gezione dei lavori in campagna, quando le della stagione, neralmente a luglio, si teneva la “festa del ringraziatrebbiatrici presero il posto dei mietitori e partivano i lavori mento”. Ogni “padrone” portava sulle spalle a messa la mietitura da lavoro rituale e collettivo un covone, affinché fosse benedetto. La popolazione divenne una delle tante faccende che un non contadina, che non aveva covoni, si ingegnava operatore sbriga da solo, seduto al vocon un mazzo di spighe guarnito con nastri e fiori e lante del proprio mezzo. La fine dei grandi poi messo sull’altare della Madonna. Era un modo per riti della campagna, infatti, arrivò con il fraingraziarsi la prosperità del raccolto anche per l’anstuono dei motori ma non solo con questi. La no successivo. I santi, insomma, tenevano a bada gli civiltà contadina e insieme ad essa tutto l’inspiriti che abitavano la campagna e a volte toccava sieme di riti che accompagnavano le fasi dei agli stessi uomini affrontare l’intangibile. Lo spirito del lavori in campagna sono stati rimossi anche grano, ad esempio, veniva ucciso ogni anno. Con il nell’intimo, a livello personale. Rigettati, taglio dell’ultimo mannello di frumento veniva accopforse per l’odore di profonda povertà che pato questo spirito che a seconda dei comuni aveva ricordavano o peggio ancora per la proforma di “cagna”, di volpe, di oca, di lepre, o di tacchifonda ingenuità di cui erano testimonianno. Su chi lo tagliava per ultimo ricadeva la sfortuna za. Nell’epoca dell’industrializzazione

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STORIA E DINTORNI Con il taglio dell’ultimo mannello veniva accoppato lo spirito del grano che a seconda delle provincie aveva forma di volpe, di cagna, di oca o di tacchino (pitona) e per questo in prossimità della conclusione dei lavori in un campo si ingaggiavano gare di velocità per evitare il triste primato. Ma l’ultimo c’era ogni anno e a questo veniva dato un fantoccio di paglia con le sembianze dello spirito, fornito di cipolle, simbolo della sfortuna che avrebbe portato su di sé per un intero anno. Contro la sfortuna funzionava anche la goliardia, gli scherzi avevano funzione iniziatica per i giovani lavoratori ma erano anche un espediente per tenere alto il morale della compagnia: capitava ogni tanto che a qualcuno, magari più sprovveduto di altri, venisse chiesta la cortesia di andare a prendere lo “strejapajari” e che il malcapitato invano girasse a vuoto in cerca di un qualcosa che invece era uscito dalla beffarda fantasia del guascone di turno, per il sollazzo di tutti. Questo articolo è stato realizzato grazie alla consultazione del libro “Ganzèga” e all’intervista dei suoi autori, Chiara Crepaldi e Paolo Rigoni

VITTORIO POZZATO: assassino dello spirito del grano di professione di Paolo Rigoni

Vittorio Pozzato, detto Lustro. Girovago. Di professione aveva fatto il paradore, il conduttore di bovini verso i mercati annuali di Rovigo, Ferrara, Adria… Poi, tramontata la sua professione era rimasto sulla strada dormendo in ricoveri di fortuna e vivendo di elemosina. Nella sua follia aveva assunto su di sé il ruolo di esorcista, di capro espiatorio, dell’ultimo mietitore colpevole di aver ucciso lo spirito del grano sotto forma di oca o tacchino. E infatti tutti lo apostrofavano quando passava per le strade con il grido di: “Lustro, mòla cl’òco!!! Lustro, mòla cla pitóna!!!”. Quando giungeva nella corte (morì nel 1986) improvvisava il solito rituale: intonava una strana nenia e contemporaneamente iniziava a battere vigorosamente su un recipiente di latta con lo scopo evidente di scacciare il male. Figura liminale, triste, sofferente, dolorosa. L’ho conosciuto personalmente. Non l’ho mai visto ridere.

Masi, la cerimonia dell’alleanza con l’acqua che si teneva il giorno dell’Ascensione, il giovedì dopo la 6° domenica di Pasqua

Foto di: Francesco Sprocatti, tratte da “Tempo di Festa”. Queste foto sono in mostra a Villa Badoer a Fratta Polesine fino al 27 luglio

La Gansèga

La Gansèga la ièra ‘ na roba granda! Quando che ca se fnéva de portar in corte le faje, ca se fasèa di cavaiuni élti come el campanile, in t’l’ultimo caro a s’ metea un faiolo de cana, un frescòn…‘ na strassa… in mancansa d’altro ‘ na camisa vecia, ca volèa dir che s’ iera finì. E po’ se tapava la trebia. Ma com’ c’ho dito la iera ‘ na roba granda parchè a gh’ièra dle sinquanta persone in corte tra omani, done e fiòi. A se tacava ala prima metà d’ giugno e se ‘ ndaseva ‘ vanti fin anca in agosto. E defati par la fiera de San Giacomo el vintisinque d’luio i sospendèa l’ultimo quarto parchè la gente la podéesse andare alla procession e po’ ala festa da balo. Finì de trebiare, a fasìvino bagolo… A s’ metìvino d’accordo: uno ‘na roba, uno n’ antra, uno’ st’ altra… vin clintòn, la pansèta, l’ossocòlo… a preparàvino sull’ara e magnàvino in compagnia. E po’ l’armonica e balare! Ma l’ièra vin più che altro… A s’ ciapava de cle simie che’ na volta el guardiàn ch’ el fasèva la guardia ale cavale de formènto sul sél’se el s’ è indormensà cargo com’ ch’ el ièra sul cassòn del camio e el s’ha desdrumissià la matina dopo ch’ el camio el ièra sa par strada. Attilio Lucchiari di Bellombra, tratto da “Ganzega, ritualità e alimentazione popolare nel Basso Veneto”, di Chiara Crepaldi. Intervista del prof. Paolo Rogoni

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Jean-François Millet, Pausa di mezzogiorno, 1866. Museum of Fine Arts, Boston

STORIA E DINTORNI

Il lavoro

Gli uomini si radunavano sulla grande aia, in attesa che il “capo omani” indicasse loro quale campo era da mietere. Il lavoro non partiva prestissimo, la guazza mattutina era già evaporata quando le falci iniziavano a mietere e l’ombra del grande cappello di paglia si allungava sugli steli che si presentavano alla mano. I piedi nudi venivano punti dalle stoppie e dagli insetti molesti. Davanti una distesa di spighe e steli da recidere e legare con i “balzi” (legacci in erba palustre) in covoni che venivano ammonticchiati in “crosette” o “faje” sempre in numero dispari e sistemate secondo un preciso ordine: quattro gruppi di tre covoni, in croce, più uno di cappello (el galo) che, in caso di pioggia avrebbe impedito all’acqua di penetrare e bagnare le spighe. Le “crosette” stazionavano anche 10 giorni in campagna prima di essere raccolte nel “cavajon” che più tardi si sarebbe trebbiato.

LA FALCE La falce è entrata a far parte della dotazione degli strumenti dell’uomo ben prima che venisse praticata l’agricoltura. Sembrerebbe una contraddizione ma si spiega con il fatto che l’uomo iniziò a cibarsi del grano ben prima di imparare a coltivarlo, quando semplicemente mieteva quello che nasceva spontaneo. Ovviamente con le prime rudimentali falci. I primi rinvenimenti di pale a falce risalgono al periodo epipaleolitico (18000-8000 a.C.): di varie forme, dalla lunghezza di 2 cm circa con un bordo frastagliato, fatto di selce, rettilineo e utilizzato in più di un movimento di taglio. Le falci più antiche sono in realtà dei coltelli messori (vale a dire usati per mietere). Il loro uso è testimoniato dal sickle gloss, la caratteristica lucentezza prodotta sul taglio della lama dallo sfregamento dei granelli di silice contenuti nello stelo dei cereali. I coltelli messori dritti o leggermente ricurvi, senza soluzione di continuità tra manico e corpo, compaiono per la prima volta in Palestina, in Egitto, in Mesopotamia e nei Balcani. La falce messoria a lama ricurva e impugnatura distinta è attestata in Mesopotamia fin dal V millennio a.C. e in Egitto dalla I dinastia (circa 3000 a.C.). Nell’Europa del Neolitico e dell’età del Rame predominano i coltelli messori con lama formata da un solo elemento in selce incastrato nella scanalatura e fissato con mastice. La falce è stata poi perfezionata nella manualità, fino ad arrivare al periodo del Bronzo in cui le falci avevano un loro manico.

IL MALE della FALCE: LA “VERTA” 1. Abduttore lungo del pollice 2. Estensore breve del pollice 3. Flessore radiale del carpo 4. Brachioradiale 5. Legamento anellare 6. Trapezio, osso del polso 7. Tendine dell’estensore lingo del pollice 8. Tendine dell’estensore breve del pollice 9. Base del metacarpale I 10. Abduttore breve del pollice (eminenza tenar) 11. Muscolo interosseo I, II 12. Adduttore del pollice 13. Lombricale, I 14. Polpastrelli delle dita, superficie palmare 15. Estensore comune delle dita 16. Estensore lungo del pollice 17. Osso uncinato del polso 18. Tendine dell’estensore comune delle dita 19. Tendine dell’estensore radiale breve del carpo 20. Tendine dell’estensore radiale lungo del carpo 21. Osso trapezoide del polso 22. Tendine dell’estensore dell’indice 23. Dita: primo, pollex (pollice); secondo index (indice); terzo, medius (medio);

Venti-venticinque giorni di mietitura, per diverse ore al giorno, inevitabilmente portavano a tendiniti o infiammazioni dei nervi del polso che genericamente tra chi ne era affetto venivano definite “la verta”; la cura era affidata ad una prassi abbastanza semplice quanto inefficace: il giorno di San Rocco veniva benedetto un laccio di color rosso (saso) da indossare al polso dolorante.


soluzioni creative


Nella cartina i comuni che fanno parte del Merlara Doc. Si tratta di Merlara, Montagnana, Casale di Scodosia, Urbana, Masi, Castelbaldo, in provincia di Padova, e di Terrazzo, Bevilacqua e Boschi Sant’Anna in territorio veronese

Una terra antica, la Sculdascia Montagnanese, antica eppur giovane perché continuamente tramutata e modellata dall’azione imprevedibile dei fiumi e della mano paziente dell’uomo. Ogni sortita dell’Adige o del Fratta dai rispettivi alvei è stata ricomposta dal lavoro incessante di migliaia di uomini, che per tutti i secoli della storia sono rimasti legati, allo stesso modo, sia alla sventura che alla fortuna di queste acque. Acque terribili quelle dell’Adige, che con la loro forza hanno sparso ad ogni rotta cumuli di sabbia, creando “motte” sulle quali sono nate città come “Motta Eniana”, l’attuale Montagnana. Anche più pericoloso il Fratta, detto “Rabiosa” per l’impeto della corrente, che proprio nelle terre della Sculdascia si impaludava dando luogo al grande lago di Vighizzolo. Eppure questa terra “retratta” ossia bonificata, lavorata continuamente di vanga per seppellire le sabbie dell’Adige con i limi e le argille del Fratta, è sempre stata vocata alla viticultura. Oggi è proprio questo antico passato a costituire il “terroir” della Doc di Merlara. Le rotte dei fiumi e il secolare lavoro di risanamento hanno creato un mix unico di suolo, anzi diverse tipologie di suoli che vanno, come struttura, dal sabbioso all’argilloso. Una terra estremamente fertile e generosa, diventata nel tempo culla di vini freschi, amabili, giovani e fruttati.

Merlara Doc, terra tra due fiumi e due vini: Malva MERLARA DOC, IL CONSORZIO DI TUTELA Il presente dell’enologia del territorio porta impresso Merlara Doc sull’etichetta delle bottiglie. Dal 2000 alle varietà autoctone e storicizzate è stata riconosciuta la Denominazione di origine controllata e nel 2001 è nato il Consorzio di tutela per la promozione, guidato dal presidente Luigino De Togni. “Alla Doc per il Merlot, il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Marzemino e la Malvasia, nel 2009 sono state aggiunte anche le varietà Pinot Grigio e Bianco, lo Chardonnay, il Riesling, il Refosco dal peduncolo rosso e il Raboso spiega De Togni - varietà che oggi ci portano a parlare con orgoglio dei nostri vini. Orgoglio che ci viene anche dai risultati che le nostre bottiglie stanno ottenendo alle rassegne a cui partecipano, non ultima la recente affermazione alla “Festa del prosciutto di Montagnana” con il Marzemino. È un risultato importante perché proviene dallo stesso nostro territorio e aiuta a sfatare l’idea, sbagliata, che la pianura non sia in grado di produrre ottimi vini. Questa terra deve solo abbattere il pregiudizio che ha su stessa e il Consorzio può essere determinate in questo senso”.

La foto dello sfondo è tratta dalla “Carta del Retratto del Gorzon”, XVI secolo, i puntini indicano le zone che al tempo erano coltivate a vigna


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asia e Marzemino Del resto i numeri già parlano chiaro. Il Merlara D.O.C. pur essendo la più piccola tra le 21 del Veneto, è sicuramente tra le più vivaci. Negli ultimi 3-4 anni, infatti, nella Sculdascia è stata quadruplicata la superficie coperta dai vigneti, coinvolgendo oltre agli storici soci, nuovi produttori e realtà giovani come l’azienda “Ponte al masero” che produce e imbottiglia una sua linea di vini marchiati Merlara D.O.C. Non c’è ombra di dubbio che la viticoltura rappresenta il domani per questa terra, dopo che ha conosciuto stagioni non certo esaltanti con la “frutticoltura”. Mele, pere e recentemente le pesche sono passate sull’orizzonte della Sculdascia con la velocità delle meteore, la legge del mercato non ha lasciato nemmeno il tempo che i frutteti andassero in produzione. Incisiva e rivoluzionaria è stata, invece, l’azione della D.O.C. che puntando con decisione su prodotti di grande qualità e coerenti con la natura del territorio ha stimolato un radicale e veloce cambiamento nei metodi di allevamento, portando ad un rapido ammodernamento degli impianti. “Tanto per fare un esempio - spiega Romano Saoncella, cantiniere responsabile della Cantina sociale di

Merlara - fino agli anni ‘90 in qualche vigneto del territorio si poteva ancora trovare il salice o l’olmo. Gli impianti non superavano le 500-600 piante ad ettaro. La vendemmia verde, o la selezione dei grappoli erano considerati e quindi ripudiati come peccati sacrileghi. Oggi la densità delle vigne raggiunge le 4.000 unità per ettaro e la qualità si fa con una produzione mirata e controllata in modo da assecondare le esigenze del mercato più esigente. La Doc Merlara è soprattutto Malvasia e Marzemino ma in generale si caratterizza per vini freschi, amabili, fruttati di pronta beva tra i quali meritano di essere menzionati il Merlara Bianco, il Merlara Tai , il Merlara Malvasia, il Merlara Chardonnay, il Merlara Pinot grigio, il Merlara Pinot bianco e Merlara Riesling che presentano un colore giallo paglierino a volte tendente al verdognolo, odore vinoso con profumo intenso e delicato, leggermente aromatico, sapore asciutto, di medio corpo, ma armonico, leggermente amarognolo, pieno e morbido. Tra i rossi invece il Refosco e il Raboso tendono all’amarognolo mentre il Merlara Rosso, il Rosso Novello ed il Cabernet Sauvignon presentano un colore rosso rubino, a volte con riflessi violacei, odore vinoso, intenso e delicato, sapore asciutto, di medio corpo e aromatico.

Consorzio per la tutela dei vini Merlara D.O.C. - Via Bindola, 593 - Merlara - www.ilmerlara.com - consorzio@ilmerlara.com


Collis Wine Group

“Ponte al masero”

Dal 2008 tutti gli asset produttivi della Cantina di Colognola ai Colli, della quale fa parte anche la Cantina di Merlara, e delle Cantine dei Colli Berici di Lonigo, Barbarano Vicentino e San Bonifacio vengono conferiti al Veneto Wine Group, ossia il Consorzio soggetto titolare degli stabilimenti e degli impianti di vinificazione e conservazione. Alle cantine il compito di presidio del territorio e il rapporto con i produttori: ricevono le uve dai propri soci e provvedono a conferirle immediatamente in Collis che invece si occupa della trasformazione e commercializzazione del prodotto finito. Resta comunque forte il radicamento territoriale di ogni azienda socia perché la qualità dei vini prodotti passa attraverso l’identità di ogni singola cantina. La via tracciata da Collis risponde alle sfide imposte dai mercati internazionali che richiedono qualità dei vini, concentrazione dell’offerta e tempi rapidi per la fornitura del prodotto. La qualità, intesa come risultato di grandi progetti di ricerca e frutto dell’amore per la vigna, resta la base di partenza su cui si innesta l’ambizioso progetto di Collis.

“Ponte al masero”, partner del Consorzio, è l’emblema dell’impresa giovane che crede nelle potenzialità del territorio. Il suo titolare, Manuel Bisin, finita l’Università di Enologia di San Michele all’Adige nel 2009, non ha avuto esitazioni e ha dato vita ad una propria linea di vini che imbottiglia direttamente nello stabilimento di via Malmercato a Merlara. “Il nostro spumante Malvasia Istriano si chiama “Prima luna” - prosegue Manuel - mentre “Folletto” è il nome del Malvasia frizzante. Produciamo inoltre il Ricciolo, ossia la variante “Ponte al masero” del Bianco Merlara Doc, ottenuto dal taglio di uve Malvasia e Tai. Il Tai aggiunge un profumo floreale che al Malvasia manca, mentre quest’ultimo caratterizza il vino con la complessità che è sua caratteristica”.

Collis Wine Group Cantina di Merlara Via Bindola, 63 - Merlara - Tel. 045 6108240

Azienda Agricola Ponte al Masero - Via Malmercato, 67 Merlara - Cell. 340 8425602 - info@pontealmasero.it

Malvasia e Marzemino Vino schiavo, vino di Cipro, vino di Malvasia. Sui tavoli delle commedie di Carlo Goldoni, settecentesco cantore della vita quotidiana tra le calli di Venezia, il vino è esotico, “foresto”, come nella commedia “La locandiera”. Vino veneziano? Poco, le piccole isole, con qualche filare che lottava sulla terra battuta dalla salsedine portata dalla Bora e dalle brezze, non erano adatte alla viticultura. Il vino, come quasi come tutto il resto, i Veneziani lo compravano. Erano commercianti e i loro empori spaziavano su tutto il Mediterraneo. Il vino arrivava dal litorale dalmata, da Cipro, da Candia, fino alla Morea meglio conosciuta come Peloponneso, la terra del Malvasia. Il nome deriva, infatti, da una città greca: Monenbasia, Monemvasia o Monovasia, che significava e ancora significa “porto ad una sola entrata”. La città per assonanza venne ribattezzata dai Veneziani “Malvasia”. E non solo questo. Con questo nome, infatti, i Veneziani indicavano anche tutti i vini dolci ed alcolici provenienti dalla parte orientale del Mediterraneo e poi anche i locali in Venezia nei quali se ne svolgeva il commercio. Da qui una certa generalizzazione che nel tempo ha portato a

un’attribuzione impropria del nome anche a vitigni che non hanno alcun legame con gli antichi grappoli della Grecia. Nella Bassa Padovana, il vitigno c’è arrivato sempre grazie ai Serenissimi, che una volta perso il predominio sui mari, a seguito della scoperta dell’America che spostò sull’Atlantico le rotte navali, dovettero convertire la propria economia da commerciale ad agricola. E probabilmente attorno alle grandi ville-aziende disegnate da Palladio, che da queste parti portano i nomi delle famiglie veneziane dei Barbarigo, dei Mocenigo, dei Pisani, dei Morosini, dei Grimani o dei Loredan, che i primi tralci di Malvasia hanno trovato sostegno maritandosi al salice oppure all’olmo. Magari in alternanza al Marzemino, visto che anche questo vitigno trova diffusione negli stessi anni sia nella provincia di Padova che nelle altre terre assoggettate al Leone di San Marco, come la zona di Brescia o in Friuli. Oggi è la natura stessa del terreno a premiere questo tipo di coltivazione. La salinità del terreno sabbioso, infatti, esalta i profumi e la freschezza varietale, di cui entrambi i vini sono pervasi, e l’acidità che ne garantisce la persistenza.


Le punte di diamante della Doc MARZEMINO FRIZZANTE Nelle terre argillose della Sculdascia oggi si produce il Marzemino, vino autoctono per antonomasia. Vivace brioso, di colore rosso vigoroso dal profumo intenso con ricordi di viola, presenta un corpo morbido e vellutato, è un vino che a tavola si intona ai prodotti del territorio come il Prosciutto di Montagnana e in generale con tutti gli antipasti a base di salumi. Con le crostate di frutta, tuttavia, trova il suo matrimonio perfetto. Va servito ad una temperatura di 6/8° C.

MALVASIA ISTRIANA L’unica malvasia Istriana del Veneto è quella prodotta dalla Doc Merlara. Vino dai profumi intensi di frutta tropicale: ananas, acacia e mandorla amara. Colore giallo paglierino, tende all’oro fino con bella intensità. La Malvasia si accompagna bene con gli antipasti, anche insaccati non troppo unti. Accompagna i primi piatti di pasta non troppo conditi. Ottima con le carni bianche da cortile ed il pesce di mare, da provare con la pasticceria secca. Si mesce a 8° C.

Il Punto Vendita

Alla cantina non manca il punto vendita per la vendita diretta di tutte le etichette del marchio Collis. Un ventaglio di una trentina di etichette, specchio dell’offerta locale con vini in rappresentanza della provincia di Padova, Vicenza e Verona, spaziando dai vini freschi agli invecchiati come l’Amarone o il Valpolicella Ripasso. Fiore all’occhiello del punto vendita sono le etichette marchiate “Sartori” per i prodotti di alta gamma, “Cielo e terra” con prodotti dedicata alla grande distribuzione e “Riondo” per la linea spumanti. Non manca la vendita dello sfuso, con i migliori vini della Cantina di Merlara.

Marzemino, il vino che a tavola s’intona ai prodotti del territorio. Da provare in abbinamento con il Prosciutto di Montagnana

Via Bindola, 593 - Merlara - Tel. 045 6108240 spaccio.merlara@collisgroup.it Orario di apertura: dal lunedì al sabato dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00

La recente visita alla Cantina di Merlara del vicepresidente della Commissione agricoltura alla Camera, Massimo Fiorio. Con il presidente di Collis Group, Pietro Zambon, e con il presidente del Consorzio tutela, Luigino De Togni, si è parlato della strategica importanza della viticultura nel territorio


STORIA E DINTORNI

Pontemanco

borgo medievale protoindustriale CANALI COME STRADE In sostituzione del poco funzionale percorso verso la laguna tramite il Roncajette prima e il Cagnola-Pontelongo poi, tra il 1189 e il 1201 venne realizzato il canale di Battaglia che consentiva di raggiungere Monselice ed Este, e, per mezzo del ripristinato canale Cagnola-Pontelongo, anche la laguna nei pressi di Chioggia. Nel 1204 fu realizzata la direttissima Padova-Venezia con lo scavo del Piovego che collegava la città al Brenta e quindi la laguna a Fusina. Per ovviare alla minaccia di rimanere senza acqua, minaccia messa in atto dai Vicentini che riuscirono a deviare a Lonigo le acqua del Bacchiglione nel Frassine, fu scavato nel 1314 il canale Brentella, da Limena a Volta di Brusegana, per far confluire parte delle acque del Brenta nel Bacchiglione e garantire sempre l’acqua ai canali cittadini. Attraverso i corsi d’acqua si trasportavano da Padova a Venezia i prodotti agricoli, cereali in particolare, e la trachite che veniva caricata nel porto di Lispida. Dalla laguna giungeva il sale, mentre da Venezia arrivavano passeggeri e prodotti esotici di lusso. Protagonisti della navigazione erano i barcari, riuniti in famiglie che garantivano diritti, doveri, norme di comportamento e avevano anche scopi di mutua assistenza. La prima fu quella di San Giovanni delle Navi, istituita a Padova nel XIII secolo. Le barche contro corrente venivano trainate dai cavalli che percorrevano l’alzaia condotti dai cavallanti, che non risultano invece riuniti in fraglie. La forza idraulica era sfruttata per azionare i mulini. Infinite e inevitabili erano le controversie e le liti tra i barcari e i mulinari, i cui interessi nel regolamentare il corso erano conflittuali.

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STORIA E DINTORNI La piccola borgata che sorge nei pressi di Battaglia Terme deve il suo nome all’antica mancanza del ponte e deve la sua fama alla posizione strategica nel sistema di navigazione interno, lungo la direttrice Venezia-Chioggia-Padova. La presenza di un salto di oltre tre metri lungo il corso d’acqua favorì la nascita di una florida attività di macinazione, cresciuta nel corso di sette secoli e cessata soltanto nel 1970, quando uno dei due grandi mulini fu distrutto da un incendio.

F

u un salto d’acqua a mettere in moto una ruota che a sua volta iniziò a macinare il grano e gettare le premesse di una prima rudimentale economia. Pontemanco è nato così, grazie alla presenza del canale Biancolino, diramazione del Canale di Battaglia. Deve il suo nome all’antica mancanza del ponte, e nel periodo di più fiorente sviluppo, deve la sua fama alla posizione strategica nel sistema di navigazione interno lungo la direttrice Venezia-Chioggia-Padova. La presenza di un salto di oltre tre metri lungo il corso d’acqua favorì la nascita di una florida attività di macinazione cresciuta nel corso di sette secoli e cessata soltanto nel 1970, quando uno dei due grandi mulini fu distrutto da un incendio.

Macinazione di grani e granaglie, cardatura della canapa, produzione di ghiaccio, taglio e lavorazione del legno furono le principali attività sostenute dall’energia idraulica del canale, oltre alle attività di artigianato, commercio e trasporto, che resero il Borgo di Pontemanco un vitale centro proto-industriale Le granaglie lavorate a Pontemanco venivano trasportate per mezzo di imbarcazioni a traino fino ai grandi punti di scambio. La più antica notizia dei mulini risale al 1338, quando vennero citati nel testamento di Marsiglio da Carrara. Nel 1405, con la caduta della Signoria Carrarese per opera dei Veneziani, i beni della famiglia furono messi all’asta e i mulini di Pontemanco furono ceduti ai fratelli Morosini in consorzio con Francesco Corner. Nel 1406 i mulini erano due, uno per ogni riva del canale, ciascuno con quattro

I MULINI Fino alla rivoluzione industriale l’unica forza motrice disponibile era quella che si poteva ricavare da cavalli e buoi, e dagli elementi naturali quali l’acqua o il vento. Dai tempi più antichi si cercò pertanto di sfruttare la forza idraulica per mettere in moto meccanismi che alleviassero la fatica degli uomini. Servivano in particolare per macinare granaglie, per azionare magli e seghe nella produzione delle stoffe o, come a Battaglia, della carta.

ruote e casa in muratura. Nel 1539 le ruote raggiunsero il numero eccezionale di dodici. Esistono due mappe, una del 1446 e l’altra del 1477 che, disegnate su pergamena, rappresentano il territorio di Pontemanco e la sua trasformazione urbanistica in un significativo borgo con case e casoni che diventano le abitazioni dei lavoratori dei mulini. Mulini così importanti necessitavano di attività indotte che impiegavano carpentieri, fabbri, maniscalchi che si insediarono gradualmente con le loro famiglie. Nel 1655 titolare dei mulini risulta essere la famiglia Pasqualigo - erede diretta dei Morosini - nel ‘700 la famiglia Grimani e, a fine ‘800, Antonio Maria Marcolini. Oltre ai mulini le proprietà veneziane erano costituite da molti altri immobili, parte a servizio degli impianti, parte ad uso

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STORIA E DINTORNI dei Grimani ottenne la riconferma della concessione di sfruttamento delle acque da parte della Repubblica Serenissima e diede nuovo impulso all’attività di macinazione potenziandola notevolmente attraverso la costruzione di due mulini in pietra e la regolazione idraulica del canale. All’intensificarsi dell’attività produttiva e degli scambi corrispose lo stabilizzarsi dell’impianto urbanistico cui i Grimani contribuirono decisamente, realizzando anche la rete strutturale e di servizio dell’attività economica. I Grimani completarono le casette in linea degli operai, dei maniscalchi dei cavallanti, dei barcaioli, ed ampliarono Villa Grimani, già Pasqualigo. Realizzò e si completò così un singolare modello insediativo funzionale intorno all’attività produttiva e di scambio. della popolazione locale. In data 24 marzo 1646 risulta che Vincenzo Pasqualigo possedeva “... in contrà di Pontemanco campi, case, molini, hostaria...”. Verso la fine del XVII secolo la famiglia patrizia veneziana

Fonte: Panajotti M.L., Vivianetti G., Pontemanco, storia di un territorio, comune di Due Carrare.

L’ORATORIO della Beata Vergine Maria Annunciata Sulla piazzetta di Pontemanco si affaccia l’Oratorio della Beata Vergine Maria Annunciata. Citata nella visita pastorale del 1595, viene censita come dotata di un unico altare, una croce, suppellettili, reliquie e di proprietà dei nobili veneti Pasqualigo, che risiedevano nella vicina villa. Nel visita del 1668, tuttavia, l’oratorio viene definito “oratorium publicum de jure n. h. virorum de Pasqualigo patriciorum venetianorum sub ecclesia Sancti Georgi villae Carrariae”. L’Oratorio dunque, pur essendo proprietà dei Pasqualigo e affidato alle loro cure, era pubblico, e perciò a tutti accessibile dalla strada, nonché provvisto di titolo, altare fisso, reliquie, campana. L’interno si presenta a tutt’oggi con il suo ricco apparato decorativo barocco, eccezionalmente integro, costituito da affreschi alle pareti, soffitto ligneo dipinto, stalli lungo tutto il perimetro interno, Via Crucis, altare marmoreo con pala e due bellissimi busti di marmo. Le pareti sono percorse da una fascia dipinta con motivi di finta ar-

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chitettura, a trompe l’oeil: in particolare, una serie di mediglioni intervallati da paraste di marmo rosso e da festoni vegetali sospesi a protomi leonine fanno finta di sorreggere la cornice dentellata del soffitto ligneo. Dietro brevi balaustre si notano due finestre: una chiusa, l’altra appena aperta. Da una terza finestrella, protetta da una grata di legno, un personaggio si affaccia con una corona del rosario in mano. I pezzi di qualità più alta sono senz’altro i due busti marmorei della Madonna e di Cristo, posti a fianco dell’altare. Le opere mostrano caratteri pienamente barocchi, e in particolare rimandano all’ambito di Giusto Le Court. L’ottima fattura fa anzi pensare a un diretto intervento del maestro, che, attivo in importanti cantieri veneziani, potrebbe essere stato richiesto per i due busti da qualcuno dei nobili Pasqualigo. Concorrono all’unità dell’ambiente anche gli eleganti stalli lignei classicheggianti e le fantasiose decorazioni di legno dipinto che incorniciano porte e finestre.


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La Mincana.

5 secoli di venezianità tra Dolfin e Fior d’Arancio Dopo anni di splendore, grazie ad una delle famiglie più potenti della Serenissima Repubblica, e anni di decadenza, il presente della villa porta il nome dei Dal Martello che recentemente hanno festeggiato qui i loro cento anni di storia A marzo inoltrato di ogni anno lungo le sponde del Canale di Battaglia salivano, lentamente, fino ai piedi dei Colli Euganei, le famiglie degli aristocratici veneziani. Scortati da una processione di burchielli caricati di servitù e masserizie, raggiungevano la “villa” per seguire da vicino il procedere dei lavori campestri. Dopo la scoperta dell’America, infatti, Venezia non era più la signora incontrastata dei mari e per sopravvivere dovette farsi “di terra”, convertendo in parte la sua economia da commerciale ad agricola. Qui a La Mincana fin dal 1528 una certa Marietta, figlia di Pietro Bragadin e consorte di F. Bondumier, possedeva presso la contrada di Carrara S. Giorgio “una casa con cortivo, orto, brolo e altre comodità per comodo di stanziar quando si va in villa”. Comodo stanziar, certo, perché il soggiorno si prolungava fino alla fine dei lavori agricoli, nel tardo autunno, e bisognava star comodi. Ma la casa della Bragadin era ancora niente! Continui ampliamenti, ristrutturazioni, abbellimenti portarono la Mincana nel corso dei secoli ad essere la magnifica dimora di una delle più potenti famiglie di Venezia: i Dolfin del ramo di Pantalon che alla Serenissima diede validi diplomatici e uomini di fede. Agli inizi del ‘700, non si sa con precisione chi dei Dolfin allora in auge, se il patriarca di Aquileia, Dionisio, o il fratello ambasciatore in Polonia e a Vienna, Daniele III, finanziò il progetto per il rifacimento dell’intero fabbricato. Nel 1721 alla villa vennero aggiunte la chiesetta palatina, la barchessa, la foresteria e le scuderie. Non era ancora tutto. Mancava il giardino. Anzi il giardino c’era, ma non all’inglese. A dire il vero non si sa quale giardino adornasse la villa, i progetti furono molti. Certo è che deve essere stato stupendo. Il proprietario di allora, un altro Daniele Dolfin, ma questo detto Andrea e ambasciatore alla Corte di Francia, spese molto per realizzarlo, malgrado in villa non ci andasse mai. Era uomo di mondo che girò il mondo, vide da vicino anche le vicende della Rivoluzione Americana. “Pronostico - scrisse - che con il favore del tempo il nascente Stato diventerà la potenza più formidabile dell’universo”. Indubbiamente era uno che vedeva lontano, la sua carriera invece si arrestò quasi subito. Alla corte di Luigi XVI, nel 1789, era scoppiata la “Revolution francaise” che spazzò via l’intera Corte e, coincidenza veramente unica, nello stesso anno un uragano spazzò via anche il suo prezioso giardino. Nel 1797 cadde Venezia, l’anno successivo lo stesso Dolfin ed insieme a lui tutta la dinastia del ramo di Pantalon. Per la stessa “Mincana” con l’Ottocento si aprì un secolo si spogliazioni e di progressivo degrado.

La Mincana - Viale Mincana, 52 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel. 049 525559 - Fax 049 525499


Dal Martello,

cento anni di-vini

Originari dell’Altipiano di Asiago, era il 1914 quando Artenio e Domenico riportarono in vita la storica villa. A Giovanni e Alfredo si devono i primi vigneti e oggi è ancora un Artenio a portare avanti la storia vitivinicola dell’azienda, puntando decisamente sulla qualità dei vini

Gossip in villa

Andrea e Giustina, un rapporto difficile Il contraltare della brillante carriera di diplomatico di Andrea Dolfin è stata la sua vita coniugale. Con la moglie Giustina Gradenigo, infatti, non legò mai, i caratteri dei due erano troppo diversi. Al rapporto di coppia non deve aver giovato nemmeno il suo incarico di ambasciatore alla corte di Francia, che lo portò ad intraprendere continui viaggi. Nel 1780 si trasferì Oltralpe, portando con se i due figli Bianca e Zanetto. La moglie invece restò a Venezia e alla Mincana tornò a rifugiarsi per diversi anni, nei momenti difficili del burrascoso matrimonio. La coppia deve aver vissuto l’apice della loro infelicità nell’anno 1782, quando, in circostanze rimaste ignote, perse entrambi i giovanissimi eredi.

L’amministratore

dei Dolfin

Chissà se a consolare la signora nelle lunghe assenze del marito ci pensasse l’amministratore dei Dolfin, Ballarini. In uno scritto lascia intendere che alla Mincana se la spassasse, anzi ne disponesse come fosse sua. “La villa è di sua Eccellenza - scriveva - ma oggi che sua eccellenza è lontano e chissà per quanto, chi è il vero padrone? Io Ballarini; ciò che si fa, si fa per ordine mio, per gusto mio…”

Il nuovo rampollo della “venezianità” di casa, a La Mincana, oggi si chiama Fior d’Arancio. Coltivato ai tempi dei Dolfin nei cosiddetti “broli” delle ville veneziane, le nobildonne, in particolare, pretendevano questo tipo di coltivazione perché le uve moscate potevano essere consumate sia come frutto fresco sia come succedaneo delle spezie. Naturalmente se appassite potevano dare dei vini dolci che all’epoca erano molto apprezzati e segno di agiatezza sociale. Ma il Fior d’Arancio è anche il simbolo dei Colli Euganei e uno dei vini della cantina La Mincana. Dal 1914, infatti, è la famiglia Dal Martello a tenere aperte le porte della storica villa. Il giardino della Gradenego è sparito, il suo posto è stato preso dai vigneti che ogni anno riempiono le botti stoccate nei locali della barchessa. L’antico lignaggio della villa oggi sta sulla bocca delle bottiglie che portano il nome proprio di Serprino, Chardonnay, Merlot, Cabernet Franc, Carmenere, Friularo (qui anche in versione rosata) e le Riserve fatte con invecchiamento in botti di rovere.

Colli Euganei Rosso 01/01 D.O.C. (Barrique) Primo premio lo scorso 4 maggio alla rassegna Candiana Vinum, il Colli Euganei Rosso 01/01nasce dalle migliori uve di Merlot, Cabernet Sauvignon e Franc scelte nei vigneti de “La Mincana”. L’abbinamento ideale è con gustosi piatti d’arrosto, selvaggina, e formaggi stagionati, oppure da solo... da provare e riprovare.

CABERNET “ALGIO” Doc FIOR D’ARANCIO D.O.C.G. (Barrique) 2011

Spumante Dolce

Le uve per ottenere ALGIO provengono da un impianto di Cabernet Sauvignon del 2002 con bassissima produzione per ettaro. La vendemmia avviene su uve surmaturate, cioè appassite in pianta. Dopo la diraspatura-pigiatura viene avviata la fermentazione a temperatura controllata di 26-27 gradi, la macerazione dura 10-12 giorni accompagnata da giornaliere operazioni di delestage che permettono di effettuare una parziale eliminazione dei vinaccioli. Dopo la svinatura e un ulteriore travaso viene messo a maturare in botti di legno da 225 lt per almeno 16 mesi. La stabilizzazione avviene naturalmente e non viene filtrato all’imbottigliamento. Algio è un vino maturo, generoso, che si abbina bene a selvaggina, piatti d’arrosto e formaggi stagionati.

Il Fior d’Arancio è l’orgoglio dei Colli Euganei e DOCG dal 2011. Il suo colore è brillante con riflessi dorati, il profumo intenso di agrumi, mela ed albicocca, il sapore dolce fresco e piacevolmente aromatico. Per preservarne una buona acidità viene vendemmiato anticipatamente. Alla Diraspatura-pigiatura segue un’immediata pressatura soffice. Dopo la decantazione segue la pulizia del mosto e successivo avvio di fermentazione che prosegue a 16°C. Al raggiungimento della gradazione ottimale e del giusto residuo zuccherino, il mosto-vino viene filtrato e preparato all’imbottigliamento. Il Fior d’Arancio è perfetto in coppia con dolci di pasta sfoglia, focacce e crostate di frutta. Temperatura di servizio 6°C.

www.lamincana.it - info@lamincana.it


STORIA E TRADIZIONI

Grazie al “Redentor” e alle “Sarde in Saor” Ogni terza domenica di luglio ricorre, quale ex voto, la festa per la liberazione della città dalla peste del 1577. Uno dei momenti più terribili della storia veneziana che fu combattuto anche grazie all’ingegno di cuochi rimasti sconosciuti, ma che con le “sarde in saor”, riuscirono a sfamare i superstiti alla malattia di Mario Stramazzo

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uando si parla della festa e della notte del Redentore, celebrazione voluta dal Senato della Serenissima Venezia, quale ex voto per la liberazione della città dalla peste sul finire del ‘500, che ancora oggi si rinnova ogni terza domenica di luglio, non si può non parlare delle “sarde in saor”. Piatto della tradizione veneziana e veneta che deve gran parte della sua popolarità proprio a questa ricorrenza, fra il sacro e il profano, che i veneziani ripetono con immutato fervore ogni anno nella terza domenica di luglio, pur se è passato qualche secolo dalla fine di quella pestilenza che tra il 1575 e il ’77 provocò la morte di 45 mila persone, tra cui quella del celebre pittore Tiziano Vecelio. Uno dei momenti più terribili

della storia veneziana che fu combattuto anche grazie all’ingegno di cuochi rimasti sconosciuti, ma che con le “sarde in saor” riuscirono a sfamare i superstiti alla malattia. Chiusi nelle loro case per non essere contagiati, usando calare dalle finestre appositi cestini per ricevere quella sussistenza alimentare che li tenesse in vita, nonostante l’isolamento forzato. Qui, secondo quanto riportato da antiche cronache, entrarono in campo anonimi cuochi, amministrati dal consiglio dei Dieci, che conoscendo il benefico

In questa pagina In alto: “La processione del redentore di Joseph Heintz il Giovane, XVII sec. Museo Correr di Venezia. A destra: Il “medico dea peste” e la sua maschera che veniva indossata in caso di epidemie. Il lungo naso conteneva una specie di filtro composto da sali ed erbe aromatiche disinfettanti: rosmarino, aglio, ginepro. Successivamente questa maschera acquistò, nel rituale del carnevale veneziano, un significato scaramantico ed esorcistico nei confronti di ogni malattia contagiosa.

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STORIA E TRADIZIONI La peste tra il 1575 e il 1577 provocò la morte di 45 mila persone, tra cui quella del celebre pittore Tiziano Vecelio valore nutritivo delle “sarde in saor” , piatto le cui origini risalgono al 1300, ne preparavano quantità industriali in cucine allestite nei punti strategici dei sestieri per essere distribuite per calli e campielli. Portando così agli affamati veneziani, la carica di corroborante nutrimento determinato dalle virtù dei singoli ingredienti: il pesce, per lo più sardine ma anche piccole sogliole o altro pesce; le cipolle, ortaggio usato abbondantemente proprio da pescatori e marinai d’allora per l’alto contenuto di vitamina C , contro lo scorbuto; i pinoli, frutta secca ricca di calorie e oli vegetali; l’uva sultanina, cui si attribuivano proprietà curative per nomea orientale. Infine, l’aceto. Derivato alcolico dell’uva da sempre conosciuto come ottimo disinfettante e antibatterico che entrava a far parte del piatto delle “sarde in saor”, seppure in ragione di un mezzo bicchiere. Come riporta la ricetta di questo tipico piatto che si gusta freddo e diventa ancor più saporito se lo si mangia dopo qualche giorno dalla sua preparazione. Che, per 4 persone, prevede l’uso di 700 g di sarde freschissime, 250 g di cipolle bianche, possibilmente degli orti di Chioggia e Sottomarina, farina 00 quanto basta, olio di semi, olio extra vergine d’oliva, sale, pepe, 1 cucchiaio di zucchero, mezzo bicchiere di aceto bianco, un paio di cucchiai di uvetta sultanina, 1 cucchiaio di pinoli. Si aprono le sarde per pulirle, eliminando testa, intestino e lisca ma lasciando la coda. Dopo averle sciacquate vanno richiuse come se fossero ancora intere e si friggono in abbondante olio di semi ben caldo dopo averle infarinate. Qualche minuto e si mettono ad asciugare su carta assorbente e regolate di sale. Intanto si affettano sottilmente le cipolle e si mettono a stufare con un po’ di olio extravergine d’oliva facendole cuocere molto lentamente fino a quando non appassiscono. Si aggiunge sale, pepe, si aggiunge lo zucchero e l’aceto che va fatto evaporare. A fine cottura, si unisce l’uvetta precedentemente ammollata in acqua ed i pinoli. A quel punto si versa il composto con le cipolle, ancora calde, sulle sarde sistemante in una pirofila o in una tipica terrina. Si fa riposare il “saor” per almeno 36-48 ore e l’agrodolce di pesce, questa una definizione più moderna, sarà pronto per essere degustato. Va ricordato che come diceva il gastronomo Bepo Maffioli il saor era comunque e sempre un “Cibo di

Diceva il gastronomo Bepo Maffioli:

“il Saor era comunque e sempre un cibo di marinai e scorta di terraferma”

Nel “Libro per Cuoco” del ‘400 il “saor” veniva indicato come metodo per la conservazione di “moeche” e “sfogieti” marinai e scorta di terraferma”, evidenziando la prassi di conservare il pesce durante i lunghi viaggi per mare. Lo cita persino il “Libro per cuoco” ricettario di un anonimo veneto del ‘400 quale “salsa agrodolce per il pesce” visto che, non avendo frigoriferi, il “saor” veniva indicato anche per la conservazione di pesci più piccoli, come le “moeche” e per gli “sfogieti”. Inoltre, serviva a togliere al pesce quel gusto di “vecchio”, soprattutto se la preparazione riposa almeno un paio di giorni e si insaporisce ancor di più . Ultima nota curiosa, se dopo aver gustato il saor e colto tutte le sue intriganti “tonalità”, si vuole esaltarne maggiormente il ricordo, si provi a bere un sorso di grappa bianca: offrirà un senso di fresco e di pulito al palato, e concluderà egregiamente un esclusivo momento gustativo.

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a Trattoria c i t n A

Ballotta

D’estate l’offerta si fa esclusiva, puntando decisa sul gusto Antica trattoria Ballotta, storie di strade e di antichi percorsi diventati una tradizione Una strada. È bastato aprire una strada nella valle che sta tra il campanile della chiesetta di San Sabino, sul Colle delle Mira, e le mura possenti dell’Eremo sul Monte Rua, per convincere i monaci agostiniani di Monteortone che per il vecchio stabile messo in piedi nel ‘600, sul fianco di via Carromatto a Torreglia, era arrivato il tempo di cambiare destinazione d’uso. Per secoli quel bel casamento con annessi e pertinenze era servito da magazzino al monastero, ma quella nuova strada che scollinava verso Vo’, Este e il resto della Padovana Bassissima poteva rappresentare una minaccia per il loro isolamento e anche se il secolo era il XVIII e del traffico nessuno ancora aveva sentito parlare, lo vendettero ad un taverniere che ne fece una locanda di posta, ossia uno di quei luoghi lungo le strade in cui era possibile cambiare i cavalli, pernottare e ovviamente rifocillarsi con i piatti semplici ma dal carattere genuino. Uno di quei luoghi in cui si annullavano le distanze e si appianavano le differenze di ceto e di borsa, la parola circolava con meno impaccio, rispetto ai protocolli abituali, e la tavola conviviale costituiva l’occasione per nuovi incontri. Erano queste, del resto, le strutture deputate ad ospitare i pionieri del “grand tour”, dai quali discendono i

turisti moderni. Goethe fu tra questi forse il più famoso, ma non l’unico a passare dal Carromatto. Anzi, la strada continuò a portare qui persone in carrozza o con le giardiniere, gente illustre, mentre la locanda ha perseverato nell’essere luogo di ristoro passando di mano in mano da taverniere a locandiere, dal passato ai giorni nostri. L’ultimo a tenere aperte le porte di quello che nel frattempo era diventato il suo albergo fu Toni Carta, alias Ballotta, nomignolo affibbiatogli per le sue pingui rotondità e rimasto come una tradizione legato ai muri che furono dei frati. A Ballotta, infatti, viene automatico associare i “torresani”, che venivano fatti cuocere su un grande spiedo in cucina mentre gli ospiti si intrattenevano in lunghe passeggiate sul Monte Rua, la gallina padovana o i “bigoli all’anatra”. Piatti tradizionali, usanze che sono entrate a far parte del paesaggio di questa parte dei Colli Euganei come le vecchie mura dei frati agostiniani. Un patrimonio oggi passato in eredità alla famiglia Legnaro che responsabilmente lo custodisce e valorizza come se i quattrocento anni trascorsi, dai tempi dei primi frati del Monteortone, non avessero mai imboccato quella strada che da tempo ormai porta oltre i Colli.

Torreglia “vatum locus”

IERI

Nicolò Tommaseo definì Torreglia “vatum locus”, ossia luogo dei poeti, e non a caso visto che le cronache informano che nella locanda di via Carromatto passarono uomini di lettere come Jacopo Facciolati, Goethe, Foscolo e D’Annunzio.

OGGI

Johann W. Von Goethe

Ugo Foscolo

Antica Trattoria Ballotta - Via Carromatto, 2 - 35038 Torreglia (PD)

Gabriele D’Annunzio


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In terrazza o in veranda,

ragionando su Goethe e Stendhal L’accoglienza estiva si fa in veranda o in terrazza all’Antica trattoria Ballotta: due luoghi della suggestione per bellezza e perché il passato è proprio passato di qui. La veranda era il luogo in cui un tempo venivano ricoverate le carrozze mentre la terrazza è stata recentemente oggetto di un preciso restauro filologico che ha riportato alla luce le antiche pietre posate dai frati più di 400 anni fa, quando il trecentesco glicine, che oggi campeggia al centro del poggiolo, era forse poco meno di un fuscello. L’Italia di allora era percorsa da scrittori come Goethe, Stendhal, Montaigne che nei loro taccuini riempirono le pagine di disegni e di annotazioni per lasciare un segno duraturo del loro viaggio e una forma esperibile del bello. Quell’atmosfera non è svanita, tutt’altro: si rinnova ogni volta che a tavola vengono portati quei

sapori che oltre a conciliarsi in modo pacato con la stagione estiva sfamano pure dal bisogno di nutrirsi di cultura e dal piacere di sentirsi bene. A proposito s’immagini un risotto in cui l’acidità fresca del Serprino gioca con il profumo del tartufo scorzone dei Colli Euganei, oppure il galletto fritto: vera tradizione locale. Oppure ancora la pizza gourmet, preparata con farina del mulino padovano Favero, che con le sue 40 ore di lievitazione evita ogni pesantezza nella digestione e non provoca attacchi di sete. Non possono mancare le verdure di stagione servite con formaggi freschi e i vini che arrivano dalla penombra piacevolmente fredda delle cantine dei Colli Euganei.

Il ristorante Antica Trattori Ballotta non chiuderà durante il periodo agostano ma il martedì rimarrà il giorno di riposo dei mattarelli e delle pentole

Ultimi ritocchi alla terrazza

Nella terrazza: “La breccia nel muro della memoria” e la pittrice Debora Spolverato mentre realizza il trompe-l’oeil sulla valle antica che circondava l’Antica trattoria Ballotta Tel. 049 5212970 - Fax 049 9933350 - www.ballotta.it - info@ballotta.it


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Agriturismo

Il filo d erba

la natura si vede‚si vive e si mangia Un ristorante davvero fuori dal comune, ricavato all’interno degli essiccatoi del tabacco di villa Correr a Casale di Scodosia, propone un menù biologico decisamente inatteso, giocato interamente sulle piante spontanee del territorio. Conoscere e sentire i profumi e intensamente i sapori, quelli veri, quelli propri delle cose, è un’esperienza che solo qui è possibile

Preservare la natura mangiandola. In prima battuta sembrerebbe un paradosso, invece all’Azienda biologica di Altaura è il filo rosso che unisce la cucina alla campagna. Del resto che cosa c’è di più buono della natura? Maria Dalla Francesca, titolare dell’azienda e ispiratrice di molte delle ricette proposte all’agriturismo, ha valide ragioni per sostenere la linea del suo ristorante. “A tavola - spiega - si sono consumate le sorti dell’umanità ed è in dubbio che al cibo ognuno di noi assegna un grande valore. Ecco, usiamo questo valore come uno strumento per far conoscere la natura e per farla apprezzare anche nell’impiego culinario. Non solo, penso alla cucina come a uno strumento per la diplomazia e per l’incontro tra popoli. Pensi che uno dei miei sogni sarebbe quello di creare nuovi legami tra ragazzi del bacino del mediterraneo che non si conoscono e forse per questo motivo a volte si fanno la guerra, siriani, libanesi, israeliani, tunisini ... italiani promuovendo tra loro incontri culinari. Il nostro punto di partenza e di arrivo è l’educazione alimentare a partire, appunto, dalla coltivazione sostenibile dei prodotti, al loro corretto utilizzo, alla cucina”. Insomma potremmo parlare di cibo per l’educazione e perchè no, forse di cibo per la pace, ma non è solo questo, perché anche sul sapore c’è da spiegare parecchio. Che i farinelli sono buonissimi, ad esempio, chi lo sapeva? Già, prima bisognerebbe partire da che cosa sono i farinelli... Chi ha un po’ di praticità con la terra, dovrebbe sapere che il farinello è una pianta infestate ai quali i nostri contadini hanno dichiarato guerra da sempre. Eppure qui si fanno dei ravioli con il farinello che sono un’autentica specialità. E che dire della borragine? Della piantaggine? Della malva? “Nella nostra cucina - continua Maria - usiamo sia le piante che i fiori spontanei della nostra azienda. I piatti seguono le stagioni, per sfruttare al massimo i valori nutrizionali delle materie prime ed evitare di conservarli, risparmiando la corrente del frigo”. Non si tratta di un ristorante vegetariano, pur essendolo veramente nel profondo, qui anche la carne ha un suo ricettario che si coniuga sempre con i valori della natura e del mangiar bene.

Parola di Maria Dalla Francesca

“I nostri piatti, preparati con i prodotti biologici della Fattoria e con le erbe spontanee che mani esperte hanno appena scelto e raccolto dalla terra, sono ispirati alle antiche tradizioni del nostro territorio... a volte ci divertiamo a inventarne, altre amalgamando esperienze e desiderio di nuovi gusti e sapori... seguono sempre il ritmo delle stagioni e li proponiamo “farciti” con informazioni di carattere nutrizionale, storico e da divertenti aneddoti, favole o fiabe. Particolarmente significativo è l’assaggio comparativo di piatti preparati con prodotti freschi delle Fattorie con altri, realizzati con le stesse ricette, ma con ingredienti provenienti da altre coltivazioni biologiche e non”. IL FILO D’ERBA - AZIENDA AGRICOLA BIOECOLOGICA ALTAURA E MONTE CEVA Via Correr, 1291 - Altaura - 35040 Casale di Scodosia (PD)


Che si mangia d’Estate? Qualche assaggio del menù fiorito

Menu’ ANTIPASTI Frittini di foglie di salvia e borraggine Palline di ricotta con fiori di timo

PRIMI Ravioli con il farinello Risotto con le foglie di borragine Linguine aglio, olio e alloro Pasta al pesto veneto, broccoli e nocciole

Erbario

FARINELLO ll farinello o “chenopodium”, per la forma delle sue foglie a zampa d’anitra, è della stessa famiglia degli spinaci e come tale può essere impiegato in cucina. Qui si preparano degli ottimi ravioli. BORRAGINE La borragine è una pianta molto diffusa nelle nostre campagne. Il nome deriva dal latino borra (tessuto di lana ruvida), per la peluria che ricopre le foglie. Sia le foglie che i fiori fanno parte degli ingredienti di molte ricette regionali. Qui, i fiori di questa pianta dal sapore di cetriolo, vengono serviti con lo joghurt come lo Zaziki greco. ANETO L’aneto, il suo nome significa “allontana i malori”, in riferimento alle proprietà medicamentose. Ricorda un po’ il finocchio, si usa in cucina per condire l’insalata, ma anche la carne e il pesce.

SECONDI Misticanza di polpettine di verdure (patate-melanzane- zucchine) Coniglio alle erbette

DOLCI Croccante con nocciole, petali di rose e miele Biscotti ai fiori di lavanda Gelato al sambuco, melissa oppure menta Gelato con nocciole e sciroppo di tarassaco Zucchero aromatizzato alle rose Se poi volete il caffè, avvisate per tempo, perché qui lo si fa con la moka

Il gusto non solo a tavola Potremmo definirla il parco in cui ci si svaga con la biodiversità. La Fattoria di Altaura, infatti, fa veramente rima con natura. Si tratta di 26 ettari coltivati con il metodo dell’agricoltura biologica. I campi sono incorniciati da lunghe siepi di rosa canina, sambuco, prugnolo e sono un’occasione da associare al pranzo. Infatti il dopo pasto può essere trascorso con una passeggiata in campagna, oppure, per i più piccoli, con lezioni e laboratori con la vita e i prodotti delle api, la conoscenza delle erbe, oppure giochi di tutti i tempi. Alle cene invece si associano serate dedicate alla conoscenza delle tisane, delle grappe o delle “bucce terapeutiche”. In fattoria si realizzano anche prodotti per la cosmetica: qui è di casa la certezza che dentifrici o creme per il viso, entrando in contatto con la bocca, debbano per forza essere commestibili.

Io sono un melograno che conserva la sua forma naturale perche´sono cresciuto senza essere mai potato. Guardata quanto sono esuberante ! E tanto tanto felice!

Tel +39 347 2500714 - Fax +39 0429 879063 dfmaria@libero.it - www.scuolafattoria.it


''Antichi sapori'', polli gourmet La tradizione è la via consolidata e sicura che porta sempre alla qualità. Basta arrivare qui per accorgersene L’industria avicola ha messo il pollo a portata di tutte le borse della spesa, un merito che va riconosciuto. A tavola però la differenza con gli allevamenti di polli ruspanti è evidente! La famiglia Scudellaro garantendo un’ottima esistenza ai propri animali, da anni ottiene una qualità dei prodotti che altrove è conseguita con la ricerca. Da ricercare, invece, non ci sarebbe un bel niente, come insegnano all’Azienda antichi sapori, la tradizione è la via consolidata e sicura che porta sempre alla qualità. Basta arrivare qui per accorgersene. L’azienda si trova a Candiana, in un angolo di campagna, appena discosto dalla Monselice-mare, immersa nel verde, con grandi alberi che ombreggiano i recinti all’aperto dove gli animali scorazzano liberi. L’alimentazione è rigorosamente a chilometri zero, nel senso che le materie prime che compongono il becchime vengono coltivate direttamente in azienda, ed è rigo-

rosamente bandito l’uso di “promotori della crescita”. Per questo lo sviluppo degli animali dura almeno 140 giorni per polli, 140 per faraone, 150 giorni per le anatre, 180 giorni per le oche, 240 giorni per i capponi e le Tacchinelle. Il risultato è che la salute degli animali diventa la qualità del prodotto finale. Una qualità che deve essere preservata anche negli stadi successivi la macellazione, per questo all’azienda Antichi Sapori lo spiumaggio avviene manualmente. Alle carni infatti, vengono evitati i colpi dell’azione meccanica dei rulli per lo spennamento. Una macchina industriale spiuma 80-90 mila capi in sei ore, nello stesso, tempo all’azienda Scudellaro, 6 persone spiumano 300 polli. Un lavoro aggiunto? Un costo extra? Per niente, all’azienda dei Scudellaro prima di tutto viene il rispetto degli animali e la qualità delle carni!

Le nostre produzioni La nostra attività è incentrata nel rispetto della salute dell’animale e dell’uomo • Vendiamo animali maturi e pulcini di pollo, gallina, faraona, anitra, oca, germani reali, capponi e tacchinelle • Macelliamo e vendiamo i nostri prodotti, pronti al consumo • Produciamo salami, culatelli, speck, salamelle, il tutto di anatra e oca

Azienda Agricola Scudellaro S.Agr.S. - Via Valli Pontecasale, 16 - 35020 Candiana (PD)


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D'’estate piatti veloci e saporiti grazie alle carni bianche D’estate mettersi ai fornelli è difficile, certo il caldo non aiuta e poi ci sono un sacco di cose da fare. Le giornate durano di più e di conseguenza gli impegni raddoppiano. Che fare per pranzo? E per cena? Servirebbe qualcosa di leggero e veloce. Il pollo è perfetto. Per quanto riguarda i menù veloci l’azienda “Antichi sapori” propone una “carta” per pranzi e cene rapide senza dover rinunciare al sapore o alla qualità degli alimenti.

- ANTIPASTO Pollo alla maggiorana su Gazpacho • 500 gr di pollo senza pelle • Un mazzetto di maggiorana fresca • Olio extravergine di oliva • Sale • Carta da forno Disossare il pollo ed eliminare la pelle, prendere 500 gr di pollo mettere un po di olio, sale e maggiorana, inserirlo in un cartoccio di carta da forno e cuocerlo a 150° per 30 minuti. Appena tiepido tagliare a filettine.

Per il Gazpacho • 300 g di pomodorini maturi • 150 g di cetriolo fresco sbucciato • 80 g di cipolla di Tropea • 1 spicchio d’aglio • 50 g di olio extravergine di oliva • 2 cucchiai di aceto rosso • 50 g di pane raffermo grattugiato • Sale Mixare tutti gli ingredienti del gazpacho fino ad ottenere una crema semiliquida, conservare in frigo. Servizio in tavola: distribuire nei piatti fondi il Gazpacho e mettere al centro i filettini di pollo, finire con un filo di olio e, se volete pepe bianco macinato.

- PRIMO (dose per 4 persone) Tortelli di Faraona con crema di Zucchini e fiori fritti

• 100 g di Olio extravergine • sale Mixare a immersione gli zucchini con il brodo e l’olio realizzando una crema verde fluida. Tenere in caldo.

Per i fiori fritti • 4 fiori di zucchine lavati e aperti • una pastella di acqua farina e sale q.b. per una consistenza simile alla panna liquida, conservata in frigo • olio per friggere Tuffare i fiori nella pastella e friggerli nell’olio caldo tenendoli ben aperti, scolare su carta assorbente. Servizio in tavola: coprire il fondo dei piatti piani con la crema di zucchine, distribuire sopra i tortelli appena cotti e scolati, coprire ogni piatto con un fiore fritto.

- SECONDO (dosi x 4 persone) Pollo alle Olive Taggiasche con tortino di Patate e Cipolla di Tropea • 1 Pollo disossato e salate q.b.1 • 200 g di olive Taggiasche sott’olio senza nocciolo, tritate finemente • due spicchi d’aglio spellato e tritato • qualche fogliolina di timo fresco • 100 g di pane grattugiato Mescolare tutti gli ingredienti e farcire il pollo richiudendolo strettamente (si può anche legare) e ponendolo in carta stagnola tipo caramella. Cuocere in forno a 150° il pollo per circa 50/60 minuti, far riposare per 10 minuti in forno caldo spento.

Per i tortelli

Per il tortino

• 400 g di un impasto per pasta fresca tirato in sfoglia sottile • 300 g di carne di faraona macinata cotta a fuoco basso per pochi minuti in casseruola con poco olio sale e rosmarino tritato • 80 g di Grana grattugiato • 50 g di pane bianco grattugiato Mescolare in un robot da cucina tutti gli ingredienti del ripieno dei tortelli aggiustando di sale. Farcire la sfoglia realizzando i tortelli. Tenere su un canovaccio infarinato.

• 500 g di Patate bollite intere con la buccia e poi spellate • 300 g di cipolla di Tropea tritata e saltata in padella per 5 minuti con poco olio e sale. • Erba cipollina fresca tritata • Un uovo intero • 50 g di Grana grattugiato Schiacciare le patate, unire tutti gli altri ingredienti ed amalgamare bene. Formare con le mani quattro tortini e cuocere in forno insieme al pollo.

Per la crema di Zucchini

Servizio in tavola: Mettere al centro dei piatti il tortino, estrarre il pollo dalla stagnola e tagliatelo a rondelle (conservando il succo di cottura dell’interno). Irrorarle col loro succo e un filo d’olio.

• 500 g di zucchine tagliate a dadini e bollite in acqua salata fino a tenere, scolate in acqua e ghiaccio, poi asciugate • 100 g di brodo vegetale

A cura dello chef stellato Pierangelo Barontini

Tel. 049 5349944 - Fax 049 9550942 - E-mail: info@scudellaro.it


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AZIENDA FONTOLAN dove la natura diventa qualità

Un’azienda a ciclo chiuso che pone al centro della sua attività la salute degli animali e l’alto valore nutritivo delle carni Da Bovolenta, percorrendo la strada sulla sponda del fiume Bacchiglione in direzione via argine sinistro, si scorgerà una bella azienda colorata di giallo, immersa in un angolo di campagna verde e rigogliosa. Qui Graziano Fontolan coltiva i suoi campi per produrre mais e frumento che vengono utilizzati per l’alimentazione degli animali in allevamento, creando così un ciclo chiuso che si pone a garanzia della salute degli animali e dell’alto valore nutritivo delle carni. Nelle stalle annualmente vengono allevati circa 600 charolaise francesi, maschi e femmine, una razza che dal punto vista organolettico rappresenta l’eccellenza della carne: tenera, dalla grana fine e con pochissimo grasso di copertura. Di questi, una parte, dopo la macellazione, viene destinata alla grande distribuzione mentre solo le femmine sorane/scottone (le vitelle giovani che non hanno ancora partorito) vengono destinate alla vendita diretta nel punto vendita aziendale, nel rispetto dei più severi parametri europei certificati da controlli periodici degli organismi di ispezione. ⊳ Chiesa

S. Loren

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Via Argine Sx, 61 Bovolenta

LA RAZZA CHAROLAISE FRANCESE La razza charolaise francese è originaria di una regione a sud della Francia. Un tempo impiegata nei campi come forza lavoro, oggi è selezionata per le sue doti di rusticità e per la produzione di ottima carne. Dal manto color bianco crema, testa piccola e fronte ampia con corna bianco-giallognole grazie alla sua facilità di acclimatazione ad ogni latitudine, oggi è una delle razze più allevate sia in Europa che nel mondo.

Tutto quello che fa parte della nostra alimentazione proviene dalla terra, rispettarla significa mangiare bene e soprattutto mangiare prodotti che ci fanno bene

AZIENDA AGRICOLA Pont

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FONTOLAN ORARI D’APERTURA VENERDÌ 15.30 - 19.30 SABATO 9.00 - 12.15 e 15.30 - 19.30

AZIENDA AGRICOLA FONTOLAN, Via Argine Sx, 61 - 35024 Bovolenta – (PD)


L’IMPORTANZA DELL’AMBIENTE L’ambiente non è solo il paesaggio ma è anche ciò di cui ci nutriamo. Tutto quello che fa parte della nostra alimentazione, infatti, proviene dalla terra, rispettarla significa mangiare bene e soprattutto mangiare prodotti che ci fanno bene. All’azienda Fontolan, il fattore ambiente viene al primo posto, evitando che gli scarti diventino sprechi o peggio: fonti di inquinamento. Per questo si insiste sul ciclo chiuso dell’azienda che trasforma le deiezioni solide e liquide dell’allevamento insieme al silomais ottenuto dalle coltivazioni aziendali, in energia pulita e un sottoprodotto detto “biodigestato”, il tutto grazie all’impianto di biogas e alle fermentazioni anaerobiche che avvengono dentro di esso. Il “biodigestato” successivamente ritorna nella terra come fertilizzante naturale. Inodore, concentrato, ha la stessa consistenza del terriccio ma è particolarmente ideale in orticoltura, floricoltura, disponibile per qualsiasi persona voglia concimare il suo piccolo appezzamento di terreno. Nel futuro di quest’azienda si vuole puntare alla vendita del “biodigestato”, eccellente fertilizzante naturale. L’azienda è dotata inoltre di un impianto fotovoltaico da 1 MWp (Megawatt di potenza) che annualmente produce l’energia che sarebbe necessaria per coprire il fabbisogno di 328 abitazioni. Ogni anno si evita la dispersione in atmosfera di 609.500 chilogrammi di anidride carbonica.

LA FAMIGLIA I seicento capi allevati in azienda non sono un numero a caso, rappresentano invece la scelta consapevole di rimane un’azienda a conduzione famigliare perché questa dimensione garantisce al cliente quella qualità che solo con il controllo diretto e personale di ogni fase può essere perseguita. Qui infatti viene gestita e controllata tutta la catena di produzione: dall’allevamento alla macellazione, dal sezionamento alla trasformazione, fino alla vendita al dettaglio del prodotto.

LA MACELLERIA La cortesia, tutta femminile, e la qualità qui sono di casa insieme all’amore per la terra e la passione per il buon cibo. Al bancone della macelleria, una delle prime per la vendita diretta dei prodotti dell’azienda di famiglia, infatti, ci sono Deanna e Ketty che, coadiuvate da due collaboratrici, oltre alla selezione dei migliori tagli della carni bovine si occupano della lavorazione di quelle suine, con la preparazione di salumi tradizionali e di qualità. Dall’offerta non mancano le carni di pollo e coniglio, allevati sempre in azienda e nel pieno rispetto del benessere degli anima-

“Siamo riusciti in tanti anni di esperienza, sia come produttori che come venditori, a raggiungere una grande competenza… oggi siamo lieti di metterla al servizio dei nostri clienti nel nostro ambiente famigliare, sempre cordiale” li perché lasciati liberi a terra e senza forzare il normale accrescimento. Per quanto riguarda la morbidezza delle carni la frollatura ha la sua importanza e le mezzene dell’Azienda Fontolan vengono lasciate riposare in ambienti controllati almeno 15 giorni dopo la macellazione per garantire un adeguato e graduale processo di maturazione che esalta le caratteristiche di tenerezza e gusto delle carni.

IL KIT FAMIGLIA I clienti del punto vendita possono acquistare al dettaglio e anche ordinare dei KIT- FAMIGLIA da 8kg, 10 kg, 15 kg, 20 kg, composti da vari tagli selezionati di arrosto/brasato, spezzatino, macinato, girello, filetto, osso buco, bistecche e costate.

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Centro Sportivo

Le Tre Piume

Al Centro Sportivo

“Le Tre Piume”, due appuntamenti da non perdere Il centro sportivo di Agna è una struttura all’avanguardia per l’offerta e per il livello di sicurezza dell’impianto. Oltre ad un servizio impeccabile troverete un ambiente famigliare, accoglienza e una cucina semplice ma ideale per chiudere una giornata tra amici all’insegna dell’allegria e dello sport. Ad agosto due eventi da non perdere: D.O.T. European Campionship in C.A.S. Wild West Rebels Club e 10° Trofeo Città della Speranza Definire il centro sportivo “Le tre piume” un poligono, oppure un centro di “tiro sportivo” è molto riduttivo. L’attività che viene svolta in via Costanze ad Agna, infatti, è ben più articolata e coniuga allo sport anche un servizio di ospitalità, con un ristorante che sforna piatti e offre vini della tradizione locale, e un’area riposo, che estende il piacere di una giornata all’aria aperta anche ai famigliari dei tiratori. Una piccola oasi verde e una piscina, infatti, possono essere lo svago perfetto per chi alle sagome o ai piattelli preferisce il relax di una giornata trascorsa in riva all’acqua. Insomma, è il posto giusto in cui passare le domeniche e ovviamente per chi ama lo sport con le “armi” è un vero e proprio parco divertimenti. Non mancano le attività agonistiche con allenamenti e corsi per imparare l’antica arte balistica e le occasioni di ospitare grandi appuntamenti internazionali con

i campioni delle varie discipline. In Europa una struttura così completa non esiste e non ne esiste una altrettanto sicura in Italia: infatti, è l’unica che può fregiarsi del marchio sicurezza Coni. CORSI PER IL TIRO AL VOLO Giovanni e Mario sono anche istruttori per il tiro al volo. Settimanalmente si tengono i corsi e gli allenamenti dei giovani sportivi che concorrono in vari campionati. Ma perché dei giovani dovrebbero iniziare a maneggiare delle armi? La risposta è semplice, non si tratta di armi ma di attrezzi sportivi come lo è il giavellotto oppure l’arco, non sono pericolosi se non vengono puntati contro qualcuno. Il tiro al volo è uno sport che implica grande consapevolezza di ciò che si sta facendo e in più sviluppa enormemente l’aspetto psicologico di chi lo pratica. Quando si scende in pedana la concentrazione è determinate per ottenere dei buoni risultati. Il grande campione Luciano Giovannetti, oro

CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)


nella specialità Fossa Olimpica alle Olimpiadi di Mosca nell’80, oro a Los Angeles nell’84 ed insignito dall’ISSF (International Shooting Sport Federation) quale atleta del secolo nella sua specialità, formatore di Giovanni e Mario, insegnava:”Diventerai un campione quando non riconoscerai i tuoi genitori tra il pubblico durante una competizione”. Per quanto riguarda il tiro dinamico con la pistola “Le tre piume” può contare sui migliori tiratori della “production”: infatti, sono i campioni italiani in carica. PROSSIMI APPUNTAMENTI AL CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” 6-9 Agosto: D.O.T. European Campionship in C.A­.S. Wild West Rebels Club Si tratta di un vero e proprio evento, unico in Italia. Dopo il successo dello scorso anno i pistoleri del vecchio West torneranno a sfidarsi a colpi di revolverate e winchester. Per tre giorni trecento tiratori in costume da cowboy, provenienti da 21 paesi del mondo, alcuni in arrivo dalla lontana Australia o dalla stessa America, trasformeranno la struttura di via Costanze in una città del Kansas o del Wyoming con saloon, banca, cimitero e assalto alla diligenza o al treno dentro ai quali sono nascosti i bersagli sui quali i contendenti dovranno scaricare i loro colpi. Le armi saranno repliche delle famose Colt, la pistola di Ringo, dei fucili winchester ma è possibile che tra i partecipanti qualcuno usi anche un’arma originale. Il clou della manifestazione si raggiungerà sabato 9 agosto, quando alle competizioni seguirà una serata di gala in costume con musica country e menù rigorosamente old-west. 30-31 Agosto: X Trofeo Città della Speranza A fine agosto prenderà il via la decima edizione del Trofeo dedicato alla Città della Speranza, la fondazione che finanzia il centro di oncoematologia pediatrica di Padova e contribuisce alla ricerca scientifica, alla quale sarà devoluto l’intero incasso della due giorni. Si tratta di una gara sperimentale aperta a tutti i possessori di “porto fucile”, giocata sulle discipline olimpiche (skeet - double trap) e non olimpiche (compact sporting fossa universale). Il trofeo viene assegnato alla migliore somma dei punteggi sui 50 piattelli per ognuna delle discipline ed è previsto, Mario e Giovanni con il Trofeo città della inoltre, un premio per ogni disciplina. speranza di quest’anno Il Trofeo Città della Speranza, tutta-

via, non è solo una competizione di tiro al volo, negli anni altre discipline sono entrate a far da cornice alla competizione con altri premi assegnati per il “tiro alla sagoma corrente”, “il tiro dinamico”, “il tiro lungo, 100200 metri”, e il “taglio del palo” disciplina dedicata a squadre di tre che con 60 colpi, per ciascun tiratore, devono spezzare appunto un palo di legno. A qualche settimana dalle competizioni a tutti i concorrenti alla competizione il centro sportivo “Le tre piume” offrirà una cena così da dare a tutti i partecipanti l’opportunità di integrare con un’offerta libera la somma raccolta durante la due giorni da devolvere alla Fondazione Città della Speranza.

Tutti i Campi a disposizione • 8 CAMPI DA TIRO AL VOLO • nel quale ci si può esercitare in discipline olimpiche come la “fossa”, lo “skeet” e il “double trap” oppure le non olimpiche come la fossa universale, il compact sporting o il trap americano e percorso caccia • 15 STAGE PER IL TIRO CON LA PISTOLA • sia statico che in movimento • LINEE PER IL TIRO AD AVANCARICA • con vecchi fucili dell’Ottocento • 23.000 m2 ATTREZZATI PER IL SOFT-AIR • Lo scorso 7 giugno è stato inaugurato il campo con 16 LINEE PER IL TIRO LUNGO, tiro con la carabina a canna rigata da 100 a 200 metri, pensata per gli appassionati delle armi ex ordinanza o per i cacciatori di ungulati. Si tratta di una delle poche strutture di questo tipo presenti in zona.

Orari Estivi TIRO A VOLO dal mercoledì alla domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00 mercoledi sera fino alle 23.00 TIRO CON ARMI RIGATE mercoledì pomeriggio dalle 14.30 alle 19.00 sabato e domenica dalle 8.30 alle 12.30 e 14.30 alle 19.00

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STORIA E DINTORNI

Correzzola

I Benedettini la estrassero dalle acque

SODOMA [G.A. Bazzi], Monaci benedettini al lavoro per l’edificazione di un monastero (1505-1507), affresco, particolare. Chiostro Grande dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Siena)

Era il 1129 quando Giuditta Sanbonifacio allienò i suoi beni della Corte di Concadalbero a favore dell’Abate del Monastero di Santa Giustina di Padova: in questo precario ed esteso fondo, i Monaci hanno dato l’avvio ad un millennio di prodigiosa bonifica e di organizzazione del territorio da cui è scaturita una terra fertile, razionalmente coltivata e un territorio estremamente ordinato di Cristina Veronese

I

una parentesi di rinascita, e si profilò un radicale caml nome Correzzola deriva dal latino “corrigium” che biamento in positivo per la vita delle piccole comunisignifica “sottile striscia di terra emersa dalle actà presenti nella fascia paludosa e valliva: è segnataque” ed anticamente e per molti secoli il territorio mente nel 1129 che la nobile famiglia Sanbonifacio, si presentava impervio ed inospitale per la presenza nella persona di Giuditta, vedova Manfredi ed erede di paludi e boschi: i toponimi delle varie frazioni (Villadell’esteso fondo, alienò suoi beni della Corte di Condelbosco e Concadalbero) ne sono una dimostraziocadalbero a favore dell’Abate del Monastero di Sanne significativa. Correzzola era un grande invaso tra ta Giustina di Padova. In questo precario ed esteso i fiumi Adige e Bacchiglione. Le origini di Correzzola fondo i Monaci hanno dato l’avvio ad un millennio di sono antichissime: in più punti del territorio (in particoprodigiosa bonifica e di organizzazione del territorio lare a Villadelbosco, nei pressi della Monselice-Mare) da cui è scaturita sono affiorate tracuna terra fertile ce di insediamenti e razionalmente romani e di epoca coltivata ed un paleoveneta, che si territorio estremapossono ammirare mente ordinato. alla Biblioteca CoE anche se più munale. volte nei secoDurante il perioli l’impegno dei do barbarico CorMonaci venne rezzola conobbe ostacolato da visecoli bui in cui fu cissitudini belliabbandonata alle che, carestie ed disastrose alluvioepidemie, l’opera ni del fiume Adige non si è mai esauche, a cominciare rita ed è ripresa dal 589 d.c., cancellarono l’opera di Nella cartina la posizione della Corte benedettina di Correzzola. La forma sempre con magcurvilinea del complesso è stata condizionata dall’ansa disegnata dal fiume giore determinabonifica già iniziata Bacchiglione: i monaci preferirono spezzare il corpo di fabbrica piegandone la zione e vigore. dai romani. Dopo forma al fiume, dimostrando grande rispetto e sensibilità per il territorio il mille iniziò però

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STORIA E DINTORNI I MONACI BENEDETTINI Le origini del monachesimo benedettino risalgono alla fondazione, attorno al 529, del cenobio di Montecassino a opera di san Benedetto da Norcia. La regola redatta da Benedetto per la sua comunità si caratterizza per l’obbligo dei monaci di dedicare le ore libere dal culto liturgico e dalla lectio divina allo svolgimento dei lavori manuali o intellettuali che l’abate assegna loro, in modo che essi possano contribuire con le loro capacità e le loro energie a soddisfare i bisogni della comunità. Al lavoro viene dato un grande valore anche sul piano ascetico: esso è considerato un mezzo di santificazione perché finalizzato all’edificazione della Civitas Dei nel mondo: da qui il motto Ora et labora. LA “CORTE BENEDETTINA” Agli inizi del 1400 i Monaci trasferirono il centro dell’amministrazione da Concadalbero a Correzzola. Qui, a ridosso di un’ansa del fiume Bacchglione, essenziale via di trasporto delle merci e famosa “Via del Sale”, diedero vita alla grandiosa “Corte Benedettina”, definita dallo storico padovano Andrea Gloria nel XIX secolo “il più grande complesso rurale del Lombardo-Veneto”. Il primo nucleo fu costruito tra il 1430 ed il 1450, e l’ultima consistente aggiunta fu deliberata tra la fine del 1500 ed i primi anni del secolo seguente, quando si decise di dotare la struttura di un appartamento abbaziale e di una foresteria, nonché di sopraelevare l’edificio originario di un piano portandolo così a tre livelli e dando vita alla parte denominata “mezzanino”. La forma curvilinea del complesso è stata condizionata dall’ansa disegnata dal fiume Bacchiglione (il cui corso fu successivamente deviato) e, anziché essere realizzata secondo una forma geometrica precisa, come imponevano i ca-

La Corte non era un centro religioso, ma era la “grande fabbrica”, come qualcuno la definì, dell’ordine benedettino di Santa Giustina, quindi la sua funzione commerciale, agricola e strategica era prevalente

noni architettonici rinascimentali dell’epoca, i monaci preferirono spezzare il corpo di fabbrica piegandone la forma e assecondandola al corso del fiume, dimostrando in tal modo grande rispetto e sensibilità per questo territorio. Nonostante le enormi dimensioni della Grande Corte, la presenza dei Monaci fu sempre piuttosto modesta: soltanto una decina erano mediamente i monaci che vivevano stabilmente nel complesso, perchè la Corte non era un centro religioso, ma era la “grande fabbrica”, come qualcuno la definì, dell’ordine benedettino di Santa Giustina, quindi la sua funzione commerciale, agricola e strategica era prevalente. LE ALTRE COSTRUZIONI BENEDETTINE La Corte Benedettina non fu certo l’unica testimonianza architettonica che i benedettini lasciarono a Correzzola: fu di certo la più rilevante, ma non l’unica. In ossequio al motto Ora et labora, i Monaci fecero costruire una novantina di case coloniche in mura- I Benedettini costruirono ben novantatré case tura, coperte di coppi, ed eccezio- coloniche in muratura, nalmente confortevoli per l’epoca, quando la soluzione visto che la soluzione abitativa più abitativa più diffusa per i diffusa per i contadini erano i caso- contadini erano i casoni di paglia: tutte le case erano ni di paglia. Tutte le case erano tito- titolate ad un Santo, di cui late ad un Santo, di cui nel portico nel portico si conservava si conservava l’immagine affresca- l’immagine affrescata. In questo caso san Felice ta. La più importante di queste costruzioni, ed anche la più originale dal punto di vista architettonico, è la “Grande Vanezza”, secondo centro per importanza dopo la Corte, costruita sul punto altimetricamente più elevato per rendere più agevole e razionale l’allevamento del bestiame: si tratta di un imponente edificio, composto di 15 arcate racchiuse al centro da due porzioni abitative che sopravanzano verso sud. La fluidità delle linee architettoniche, unita alla compattezza e al perfetto equilibrio dell’insieme, fa delle Vanezza un autentico gioiello di architettura rurale. Le fattorie monastiche venivano realizzate per soddisfare le esigenze di coltivazione, stoccaggio, lavorazione delle produzioni agricole: in ogni casa si distingueva una parte abitativa, la parte rustica con fienile al piano superiore e il portico di grandi dimensioni. La posizione di questi edifici era progettata con la facciata rivolta verso sud, e tutte le case disponevano di un’ampia aia detta “sèese” che serviva per stoccare e seccare le produzioni agricole.

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STORIA E DINTORNI

LA RIVOLUZIONE DEL TERRITORIO, LE “GASTALDIE” Ma la vera rivoluzione dei benedettini a Correzzola fu l’organizzazione del territorio: essi suddivisero l’ampia possessione in cinque “gastaldie” che, con buona approssimazione, corrispondono alle attuali frazioni del comune. Ciascuna gastaldia era affidata ad un gastaldo, che era una persona di fiducia del Monastero, e comprendeva la casa del gastaldo, più ricca e spaziosa rispetto alle comuni fattorie, le case dei lavoranti, un’aia, una stalla o boaria con fienile per i buoi, indispensabili per la lavorazione dei campi. Il territorio era poi ulteriormente suddiviso in possessioni, le quali consistevano in un numero non predeterminato di campi, che venivano date in affitto ai coloni, i quali vivevano nelle varie fattorie di riferimento. Nei periodi di difficoltà, causati da guerre, pestilenze o carestie, il Monastero per l’affitto si accontentava di una minore quantità di danaro o anche soltanto di qualche genere alimentare, possibilmente conservabile: la loro era per questo e per altri motivi un’amministrazione attenta e rispettosa dell’identità del contadino. Il lavoro di difesa dalle acque fu da sempre una costante nella gestione di questo territorio: da Correzzola provenivano la direzione e la progettazione delle opere, e dalla Corte due monaci cellerari, uno addetto alle semine e raccolti e l’altro sovraintendente alle bonifiche, guidavano la realizzazione dei progetti. Il territorio venne poi arricchito da una rete viaria benedettina, integrata dagli argini dei canali di bonifica che ancora oggi percorrono longitudinalmente tutto il territorio e, come gran parte del sistema viario storico questa rete, esiste ancora ed ha una sua fisionomia ben precisa, concepita secondo il principio per cui le strade, oltre ad essere mezzi di comunicazione, sono anche importanti componenti del paesaggio. Lungo questa rete viaria storica, composta da direttrici longitudinali, aventi la direzione dei canali di bonfica e del fiume Bacchiglione, e direttrici trasversali Nord-Sud di collegamento alle possessioni, sono stati studiati dei percorsi turistici da fare a piedi, in bici o a cavallo, che offrono la possibilità di godere del

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paesaggio verdeggiante e dei diversi corsi d’acqua, escludendo quasi totalmente strade trafficate e pericolose, e con la possibilità di ammirare le più interessanti fattorie benedettine: lo scenario che questi percorsi offrono allo sguardo archeologico del visitatore si coniuga con la notevole suggestione paesaggistica. NAPOLEONE POSE FINE ALL’“AVVENTURA” BENEDETTINA Nella primavera del 1797 si conclude a Correzzola la lunga “avventura” benedettina per mano di Napoleone, che successivamente nel 1807 nominò Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi e gli donò il latifondo di Correzzola: in tal modo la Corte ed il vasto possedimento passarono sotto la proprietà della famiglia lombarda che lo gestì fino al 7 ottobre 1919, quando la Duchessa Joséphine inizia la vendita frazionata del latifondo ai contadini residenti, per poi ritirarsi a Milano dove morirà nel 1923 all’età di 93 anni. I Melzi d’Eril continuarono l’opera iniziata dai Benedettini per la bonifica del territorio, avvianNapoleone do la costruzione delle importanti idrovore, e influirono anche dal punto di vista stilistico sulla Corte benedettina adattandola, per quanto possibile, alle esigenze di stile di una nobile famiglia, ma lasciando comunque inalterato il corpo di fabbrica.


A Conche di Codevigo

l’unica spiaggia padovana. Un luogo magico patrimonio dell’Unesco

N

on tutti sanno che la Provincia di Padova ha uno “sbocco sul mare”. Sono ancora meno quelli che sono stati in questo lembo di terra, che non è più terra, e mare, che non è ancora mare, nel Comune di Codevigo, in località Conche. Eppure, l’area della “Boschettona” recentemente è stata promossa patrimonio dell’Unesco. Non è facilissimo arrivarci, l’unica via di accesso transitabile è una stradina sterrata piuttosto stretta e un po’ dissestata, ma vale la pena percorrerla. Il posto è unico ed esclusivo: di certo non ci si trovano ombrelloni, ma è comunque attrezzata con strutture e passerelle che consentono di passeggiare sulla battigia, sospesi tra cielo e mare.

La “Boschettona”

è un paradiso

per gli amanti del

“Kitesurf” Per info e visite guidate è possibile contattare l’Associazione Serenissime Terre che organizza visite guidate, percorsi enogastronomici e sportivi alla scoperta di questo ambiente affascinante ma ancora poco noto. Associazione “Serenissime Terre” - Tel. 342 0965891 - info@serenissimeterre.it

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Doc Corti Benedettine,

tradizione millenaria per il vino

Nella terra delle Corti Benedettine la viticultura era già presente prima dell’arrivo dei monaci. All’epoca romana, infatti, risalgono le prime fonti che informano in modo preciso anche sul sapore di quegli antichi grappoli. Scrive in proposito Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia: “Mirevole è la natura della vite di assimilare sapori diversi ed è questo il motivo per cui l’uva raccolta nelle paludi intorno a Padova sa del salice cui è maritata”. Il cronachista romano oltre a dare un’informazione precisa sui “sentori” del vino che probabilmente veniva bevuto da queste parti al suo tempo, indica anche la natura del territorio: paludosa quindi ricca di limi e argille che ancora oggi sono responsabili delle armoniose rotondità dei vini prodotti. Il resto del sapore arriva dalla sapidità, in parte indotta dalla vicinanza al mare e in parte dai fondi sabbiosi del territorio: trattandosi di una pianura alluvionale che nell’avvicendarsi dei secoli ha conosciuto infinite rotte e tracimazione dei fiumi. Tuttavia furono i monaci benedettini i primi a dare un regime i corsi d’acqua e a bonificare il territorio inaugurando il più antico ed efficiente modello di industria agraria del tempo, la “Corte”. Tra le produzioni delle “Corti Benedettine” il vino era il secondo in valore dopo il frumento. Oggi la secolare tradizione di viticoltura prosegue grazie alla dedizione degli agricoltori, testimoni ed eredi di una tradizione vinicola di lunga e sapiente storia.

I soci del Consorzio Doc Conselve Vigneti e Cantine Nata negli anni cinquanta per rispondere alle necessità di coesione e di collaborazione tra i viticoltori del territorio, la Cantina Cooperativa di Conselve è oggi una delle realtà più strutturate e solide del Veneto e raccoglie i conferimenti di oltre mille agricoltori associati. La Cantina è dotata di strumentazioni moderne, grandi vasche in acciaio e cemento ed ha recentemente realizzato imponenti investimenti nel parco botti destinato all’invecchiamento del Raboso e del Merlot. Oggi la cantina è specializzata nella produzione di vini di territorio, proposti con successo nel mercato nazionale ed in quello estero. Zennato Augusto Produttore privato che ha fatto della viticoltura la propria vita e passione. La cantina si trova all’interno delle antiche strutture di un’antica casa colonica, dotata di corte e annessi rustici. I vigneti, curati con perseveranza e precisione, si trovano all’interno del comune di Due Carrare. Le uve sono interamente di produzione propria, la vinificazione e l’imbottigliamento hanno luogo all’interno delle strutture storiche. Vigne delle Rose L’azienda è di proprietà Salmaso, famiglia che dalla fine dell’ottocento prosegue una tradizione vitivinicola ormai centenaria. Si tratta di un’impresa familiare che cura l’intero ciclo produttivo, dalla coltivazione della

vite alla vinificazione. L’azienda possiede sedici ettari di vigneto, di cui parte collocati in pianura, parte in collina. I vini più robusti sono posti all’interno di grandi botti di rovere, dove svolgono un periodo di maturazione che ne arricchisce il patrimonio olfattivo e organolettico Gastaldi Gabriele Come si evince dal nome dell’azienda stessa, la famiglia dei produttori è da sempre legata alla storia viticola delle Corti Benedettine. L’azienda si trova, infatti, a poca distanza da una delle più grandiose e magnificenti Corti Benedettine: Il monastero di San Michele di Candiana. Tutti i membri della famiglia Gastaldi partecipano attivamente alle fasi della produzione, l’azienda si distingue quindi per essere una realtà partecipata, innovativa e vivace, ricca di energie e volge un entusiastico occhio al futuro. Cantina Sociale di Cona-Cavarzere Società Consortile per Azioni a Scopo Mutualistico: Si tratta di una cantina di vaste dimensioni, che raccoglie conferimenti di uve dagli agricoltori del padovano e del veneziano. All’interno della Cantina hanno luogo le operazioni di vinificazione, affinamento ed imbottigliamento, affidate alla cura di enologi professionisti. L’indirizzo produttivo è prevalentemente orientato alla dimensione internazionale, dove la Cantina realizza la maggior parte della propria commercializzazione.

Consorzio Tutela Vini D.o.c. CORTI BENEDETTINE DEL PADOVANO


La Doc

La Denominazione di Origine Controllata Corti Benedettine del Padovano, che ha ottenuto riconoscimento nel giugno del 2004, in realtà si estende ben oltre la provincia patavina, toccando la parte meridionale della provincia di Venez ia con i comuni di Cona e Cavarzere. Un’area molto vasta ed eterogenea unita dall’esperienza dei 500 produttori e unificata da un disciplinare che non lascia scampo all’improvv isazione. La Doc ricade sui diverse varietà di vini internazionali, che devono essere allevate esclusivamente a spalliera semplice e doppia all’interno del territorio dei comuni consorziati, così come pure le operazioni di vinificazione, compreso l’invecchia mento, è fatto obbligo che avvengano sempre nello stesso ambit o di appartenenza. Il resto lo fa l’abilità e la conoscenza dei produttori, figlia della millenaria esperienza diventata arte vinico la, capace di portare dentro la bottiglia sia i profumi o i sento ri primari come il gusto rotondo dei vini invecchiati in botti di rovere.

I VINI BIANCHI

I vini bianchi hanno una buona struttura, accompagnata da un’eccellente sapidità e da un finale fresco e vivace. L’affinamento in legno esalta le note di frutta secca e matura tipiche del vitigno a cui si seguono toni speziati e di vaniglia. Pinot Grigio La DOC Corti Benedettine prevede per il pinot grigio la vinificazione in bianco. L’uva caratterizzata dal colore rosa scuro conferisce al vino un corredo di profumi variopinto particolarmente gradevole. L’aroma è delicato e ricorda in particolare la pera william ed il fieno. La proposta ideale è con una gallina di corte, possibilmente bollita. Chardonnay La morbidezza, l’eleganza, la struttura fanno di questo vino il principe dei bianchi. Risalta il tipico profumo speziato della vaniglia, coronato da sentori di mela golden e fiori di tarassaco. Una proposta per lo Chardonnay è l’abbinamento ai funghi porcini.

L’EXPORT Oltre al mercato italiano, i vini della Doc Corti Benedettine del Padovano vengono esportati in tutto il mondo. Il mercato del Nord Europa può già essere considerato consolidato in virtù di richieste che spaziano dai vini bianchi e rossi. Stessa cosa per la Germania, dove la produzione è molto apprezzata. Ottimo anche il consenso oltre Oceano, dove la grande distribuzione di Canada e Usa rappresenta una solida opportunità commerciale per le bottiglie del consorzio. Un mercato crescente, invece, è quello della Cina che oltre alle quantità sta chiedendo sempre più qualità. Da una richiesta orientata sui vini bianchi, ultimamente la preferenza sta passando sui vini rossi, corposi, strutturati, con alte gradazioni alcoliche. Cabernet e Refosco sono le etichette più richieste, segno evidente che si stanno facendo un gusto.

I vini e le etichette

Le etichette dei vini della D.O.C. Corti Benedettine del Padovano, riportano impresse la storia di questo territorio. Ogni cartellino, infatti, riporta il disegno mappale di una delle “Corti” in cui i monaci suddivisero il territorio. Ogni possessione, era identificata con il nome di un santo e affidata alla cura di una famiglia di agricoltori.

I VINI ROSSI

Le uve rosse delle Corti Benedettine sono caratterizzate da una significativa presenza di zuccheri, tannini moderati e leggera acidità. Per questa ragione nei vini giovani si evidenzia la morbidezza. Il disciplinare prevede la produzione di vini mono-varietali o da uvaggio. Tutti i vini rossi possono essere invecchiati in legno al fine di aumentare la struttura e complessità olfattiva. Dopo due anni di affinamento i vini invecchiati possono fregiarsi della menzione “Riserva”. Merlot Porta sentori di viola mammola e fiori freschi, frutta rossa come la ciliegia e la mora. È morbido e vellutato, adatto ad abbinamenti con primi piatti conditi con ragù di carne rossa, non eccessivamente speziato. Cabernet Ricco ed intenso. La particolare nota erbacea, riconducibile al sentore di peperone verde e raspo di pomodoro, lo rende adatto ad abbinamenti ricercati con carne saporita di selvaggina come la lepre, l’anatra o il fagiano. Raboso Autoctono rappresentativo dell’areale, è il vitigno che esprime al meglio l’interazione tra pianta e ambiente. Denota un profumo marcato di marasca, prugna, e violetta. La freschezza è una caratteristica tipica e ben riconoscibile. I sentori forti lo rendono adatto ad abbinamenti importanti con carni rosse saporite e speziate, dove sia presente una rilevante parte grassa, come un bollito o uno spezzatino.

Prossimi appuntamenti

Oltre che allo spaccio aziendale che si trova nella sede della Cantina di Conselve, i prodotti della Doc Corti Benedettine del Padovano potranno essere degustati e acquistati anche in occasine di importanti eventi del territorio. Lo stand del Consorzio, infatti, sarà presente il prossimo 26-27 luglio alla Corte Benedettina di Corezzola in occasione della XIII edizione de “La Marcilliana”. A novembre invece l’offerta delle bottiglie marchiate “Corti Benedettine” sarà in Prato della Valle a Padova, in occasione di “Sapori d’utunno”. Per tutto il periodo autunnale, inoltre, sarà possibile la visita alle cantine del Consorzio prenotando allo 049 5384433.

Tel. +39.049.5384433 - Fax +39.049.9500844 - info@cortibenedettine.it


STORIA E DINTORNI

Historia de “La Marciliana in territorio padovano” La guerre per i confini tra Venezia e Padova durò per secoli, con gli eserciti ma anche con bolle e dinunzie

“L

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a Marciliana in territorio padovano trae ispirazione dal Palio della Marciliana della città di Chioggia che fa rivivere la vita medievale con la particolare storia della città lagunare legata al destino di Venezia. La storia si integra perfettamente con le vicende di Chioggia in ragione, soprattutto, delle dispute per i confini tra Padova e Venezia. Dopo la caduta dell’impero Romano, per secoli le terre di Correzzola vennero abbandonate ed intorno all’anno mille, quando nei documenti compaiono i primi toponimi ad indicare la presenza umana stabile (Conca, Villa Buschi, Civitade, Brentae, Corigium), selve, foreste, paludi e animali dominano il paesaggio e la vita. In quegli anni i primi feudatari della Curtis de Concadalbero, che arrivava fino all’Adige ed alla Torre di Bebbe, furono i Conti veronesi di San Bonifacio; ciò è spiegabile con l’importanza del fiume Adige e la necessità degli imperatori tedeschi di presidiarlo con famiglie fedeli. Con la donazione di Giuditta di San Bonifacio al monastero di Santa Giustina in Padova della Curtis

di Concadalbero (a.d. 1129), queste zone diventano padovane e per tre secoli furono teatro di scontri tra eserciti. Quando nei primi anni del 1400 Padova viene definitivamente sottomessa con l’eliminazione dei Carraresi, inizia la storia della Corte Benedettina di Corezola. Infatti il monastero portò il centro della proprietà nella Villa de Corezola in un’ansa del fiume Bacchiglione, all’epoca importante via di comunicazione, che collegava Padova con Chioggia. Nei primi decenni del 1400 iniziarono i lavori di costruzione di tutti i fabbricati della Corte e delle altre fattorie. Ma le dispute per i confini continuarono per altri due secoli, non più con scontri tra eserciti, ma con bolle e dinunzie nei confronti del monastero di Santa Giustina. I confini definitivi tra territorio padovano e Dogado vennero determinati il 26 luglio 1519. Venezia ridusse, rispetto ai vecchi confini del 1129, di quasi due terzi le proprietà dei monaci confiscando il Foresto.

Il giovane Antonino, originario da Concorezzo nel milanese, entra nella comunità monastica di Santa Giustina di Padova nei primi anni del 1400 durante l’abbaziato di Ludovico Barbo, insigne riformatore dell’Ordine Benedettino. Questi era stato inviato da Papa Gregorio XII per risollevare il monastero dalla profonda crisi spirituale ed economica in cui era caduto all’epoca della Signoria Carrarese. Antonino sottoscrive l’atto di professione religiosa l’8 giu-

gno 1415. Successivamente viene nominato cellerario della comunità e, in qualità di responsabile dell’economia del monastero, è inviato a migliorare le sorti del fondo benedettino della Corte di Concadalbero. La Repubblica di Venezia alla quale dal 1405 appartiene anche il Padovano, guarda vigile l’entroterra conquistato e sostiene i programmi dei monaci impegnati nel riordino dei loro fondi... Antonino stende un progetto di rinascita della Corte di Concadalbero e individua in Correzzola per la vicinanza del fiume, il nuovo centro amministrativo e direzionale dell’estesa proprietà monastica. In un’ampia area, compresa in un’ansa del Bacchiglione, comincia la costruzione dei nuovi edifici...


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REGIONE DEL VENETO

Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

Anno Domini 1415 Ludovico Barbo Dom Antonino da Milano - Cellerario Le cinque Gastaldie soggette alla Corte de Corezola di ragione del Monasterio di S. Giustina in Padoa Padre Abate

La Marciliana XIV edizione

in territorio padovano Antico Brolo della Corte, rievocazione storica al calar del sole

Sabato 26 e Domenica 27 luglio 2014 Coloni e cittadini del dogado e dei territori veneti sono chiamati all’evento Acqua, cibi, vinello e cervogia presso le hostarie, l’Ecclesia “San Leonardo” e la celleraria Dalla caneva vini de “Le Corti Benedettine del Padovano”

Comune di Correzzola

Info: Biblioteca Comunale Tel. 049.976.0011 Sede Municipale Tel. 049 5807007 /08 - www.comune.correzzola.pd.it Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007 - 2013, Asse IV - Leader • Organismo responsabile dell’informazione: Comune di Correzzola • Autorità di Gestione: Regione del Veneto - Direzione Piani e Programmi del Settore Primario.


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Cantina Colli Euganei, festa aspettando la vendemmia 2014

Quest’anno si prospetta una vendemmia anticipata, già dopo Ferragosto i grappoli saranno maturi e pronti per essere raccolti. Intanto alla Cantina di via Marconi aVo’ il prossimo 20 luglio si fa festa sclusiva area collinare, i 680 soci appartengono ad un La stagione promette bene. Le abbondanti piogterritorio vasto che ricopre buona parte della provinge, la primavera prolungata e temperata con scarse cia di Padova. Parliamo di 710 ettari di vigneti che anescursioni termiche durante la notte, hanno garantinualmente producono settantamila quintali d’uva. Il to un’ottima fioritura e se l’estate sarà calda, rese e fatto, però, che la cantina sia pura espressione di quequalità saranno garantite. Alla Cantina Colli Euganei sto territorio è una certezza supportata anche dai dati, di Vo’ si sta già valutando quello che sarà l’andamento nello specifico il 50% del totadelle produzioni della stagione Alla Cantina Colli Euganei le delle uve prodotte nella zona in corso: vigneto per vigneto, diVo’ si sta già valutando Doc Colli Euganei appartiene versante per versante, perché il “terroir” dei Colli è particolare, quello che sarà l’andamento alla Cantina di Vo, che una volta vinificate danno luogo a 50 anzi unico visto che la combidelle produzioni della nazione di terreni di origine stagione in corso: vigneto per mila ettolitri di vino, in parte venduto a grossisti ed imbottivulcanica e sedimentaria varia da zona a zona. Le due compo- vigneto, versante per versante gliatori e in parte direttamente etichettato negli stabilimenti di via Marconi. Bottiglie nenti minerali assecondano ed emancipano i sentori che oltre a trovare apprezzamento e riconoscimendi frutta nei bianchi e nei rossi, oppure conferiscono ti nei più prestigiosi concorsi enologici nazionali, da corposità a seconda di come si trovano combinate nel qualche anno hanno incontrato ottimo riscontro nei terreno. I terreni calcarei di Cinto, Baone, Este (a Sud mercati esteri. Giappone, Malesia, Russia, Sud Africa degli Euganei), sono più adatti ai rossi mentre quelle e Canada conoscono e apprezzano le produzioni dei più a Nord, (Vo, Teolo, Rovolon) si prestano maggiornostri dolci pendii. mente alla coltivazione dei bianchi. Tuttavia le uve conferite alla Cantina Colli Euganei non sono dell’e-

www.cantinacollieuganei.it - info@virice.it


“Stelle di vino” Brindisi in una notte di mezza estate

Aspettando che i grappoli maturino nei vigneti, la Cantina Colli Euganei si concede ancora un momento di festa. Dopo il Vinitaly e Cantine aperte, il calendario degli appuntamenti con il grande pubblico tornerà il 20 luglio con “Stelle di vino”, la serata di gala, con i vini prodotti in via Marconi, che lo scorso anno ha riscosso un grande successo. Ad accompagnare la cena sotto le stelle ci saranno le etichette più prestigiose della cantina: dal Serprino al Pinello, dal Fior d’Arancio al blasonato “Note di Galileo”, ma per i più esigenti non ci sarà limite di richiesta, qualsiasi bottiglia verrà messa in mescita. A far da corona alle preparazioni gastronomiche, ovviamente del territorio, e ai calici riempiti con i vini degli Euganei ci saranno le stelle, come recita il titolo stesso dell’iniziativa, e grazie alla presenza del gruppo astrofili sarà davvero possibile conoscerle ad una a una, approfittando della calda notte di mezza estate e dell’accompagnamento musicale del Gruppo Glen White e Jeiko. Per la cena è consigliabile prenotare telefonando allo 049 9940011, chiedendo di Roberto, Irene o Paolo.

La Cantina

La Cantina Colli Euga nei è una società cooperativa agricola fondata nel 1949, nata per volo ntà di un gruppo di vitico ltori che si sono assoc iati per poter raccogliere, vinificare e commercia lizzare il vino della zona Dop e Igp dei Colli Eu ganei. Oggi ragruppa circa 68 nati all’interno del terr 0 produttori, dissemiito dei Colli. Per gli assoc rio protetto dal Parco iati la cantina è un punt o di riferimento quotidian o: consulenza enologica, assistenza tecnico-fo rmativa per i viticoltori, grande attenzione alle scelte di qualità, in vig na come in cantina. E’ un ’azienda certificata, ch e impiega tecnologie all’av an della lavorazione. Aggio guardia in tutte le fasi rn tura tecnica e compete amento costante, culnza caratterizzano lo sta ff che si impegna per dare la certezza di una filier a totalmente controllata, dal grappolo alla bottigli a. Con 7 milioni di chili d’uv di litri di vino prodotto a raccolta, 5 milioni e distribuite la Cantina Co 2 milioni di bottiglie lli Euganei è il maggiore produttore dell’area.

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tivi dell’attività è instaurare un rapporto con il cliente che vada ben

riceve un costante feedback delle attività svolte e ciò gli consente

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1 2

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1

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1

pulizia preliminare con acqua calda

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2

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3

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per asportare la soluzione detergente e il sudiciume

Il sistema HACCP deve essere considerato come un approccio or-

4

disinfezione

per uccidere i microrganismi rimasti

ganizzato e sistematico in grado di costruire, mettere in atto o mi-

5

risciacquo finale

per eliminare ogni traccia di disinfettante

assicurare che questi mezzi siano messi in atto in modo efficiente

gliorare la garanzia di qualità microbiologica, fisica e chimica degli alimenti. Il sistema HACCP viene elaborato per un prodotto specifico, per la sua produzione e per i rischi che esso può comportare per il consumatore. Il sistema HACCP è esplicitamente prescritto nelle varie leggi italiane e regolamenti europei in:”Il responsabile dell’industria alimentare deve individuare ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP” I principi sui quali si basa l’elaborazione di un piano HACCP sono i seguenti: a) analisi dei potenziali rischi microbiologici per gli alimenti; b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per

Importante il risciacquo finale! 2

SANIFICAZIONE IN HACCP REGOLE PER UNA CORRETTA PULIZIA Indossare abiti appositi per le operazioni di pulizia,

Non compiere pulizie durante la preparazione dei cibi Rispettare sempre le dosi indicate sulle confezioni di detergenti e disinfettanti

Rispettare le temperature di utilizzo indicate sulle schede di detergenti e disinfettanti Molti prodotti sono tossici: il risciacquo è importantissimo 3

gli alimenti; c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici microbiologici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti; d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici; e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d’attività, dell’analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza.

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ARTERRA

Tra veduta e visione

Paesaggi d’acqua e immagini urbane in Tono Zancanaro Tono era conosciuto come l’artista che si recava nei luoghi, celebrato per la qualità documentaristica del segno, capace di fotografare la vita nella sua dimensione più dura e marginale: gli operai delle Reggiane, le mondine a Roncoferraro, i contadini della Calabria di Loredana Pavanello

N

el 1952 il primo premio per l’incisione alla del dramma: sconfinati orizzonti d’acqua segnati dal Biennale di Venezia spetta a Tono Zancanaro, profilo dei casoni abbandonati, senza giochi di riflesinterprete di un vigoroso neorealismo tradotsi, né profondità. Un paesaggio portato in superficie, to in una singolare produzione espressiva. evocato per segni essenziali attraverso il Spiccava nella prestigiosa rassegna il ratratteggio veloce, secondo la poetica del refatto paesaggio del Polesine, raccontato non finito: la resa en plein air in Tono non con sguardo quasi cinematografico in una corrispondeva affatto ad una mera pratica serie di incisioni dedicate all’alluvione avcronachistica, ma diventava invece una venuta l’anno precedente. potentissima occasione evocativa. Il ciclo nasceva a margine di un’esperienza Tono era conosciuto come l’artista che si diretta, che vedeva Tono nei pressi della recava nei luoghi, celebrato per la qualità rotta sull’argine del Po, come un reporter documentaristica del segno, capace di foimmerso nel suo lavoro in bianco e nero. tografare la vita nella sua dimensione più Con pochi, rapidi tratti a carboncino o chidura e marginale: gli operai delle Reggiana l’artista restituiva la spoglia grammatica ne, le mondine a Roncoferraro, i contadini Tono Zancanaro

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ARTERRA Nella pagina a fianco: In alto a sinistra: Le mondine a Roncoferraro Sotto: “Lacromae rerum volga”. Aspra la sua denuncia dell’Artista nei confronti della “lenta distruzione di Padova”, in un testo del 1980, dove l’artista depreca l’irreparabile danno subito durante le due guerre, ma più di tutto “l’inqualificabile” azione dei suoi stessi amministratori, autori di “distruzioni regolatrici”, che lasciano nel tessuto urbano ferite peggiori di quelle delle bombe, distruggendo bellezza e creando al suo posto anonime desolazioni In centro: Il Gibbo, il celebre ciclo di satira politica, dettato da una fede profondamente antifascista. Identificato presto con la caricatura morale e fisica di Mussolini, il “Gibbo” era un personaggio fantastico, un enorme animale deforme e lascivo, ispirato ad un film di John Ford visto alla metà degli anni ‘30. A destra: “In attesa”. I Ritratti di Tono si distinguono per la fissità monumentale, quasi metafisica

della Calabria. Letta con il filtro ideologico - Tono si iscrive a 36 anni, nel 1942, al partito comunista - la sua arte era riconosciuta più che altro in termini strumentali alla retorica di partito. Si elogiava in particolare il “realismo”, quasi d’ossequio alla posizione intellettuale dominante del momento, ma non sempre si coglieva la natura fortemente immaginifica della sua opera: si apprezzava, per così dire, la copertina senza sentire il bisogno di leggere il libro. Una più completa lettura critica ha invece posto in evidenza come l’intera produzione di Tono Zancanaro sia continuamente attraversata da una potente vena surreale e dissacrante, culminata nella celebre invenzione del Gibbo, il celebre ciclo di satira politica, dettato da una fede profondamente antifascista. Identificato presto con la caricatura morale e fisica di Mussolini, il “Gibbo” era un personaggio fantastico, un enorme animale deforme e lascivo, ispirato ad un film di John Ford visto alla metà degli anni ‘30. La prima creazione, un bestione dal muso nero, nata 1937, negli anni della guerra di Spagna, viene perfezionata l’anno successivo, sempre sotto forma di creatura naturalistica. Il vero capostipite della serie è tuttavia riconosciuto nell’Angelo, un lottatore di circo visto a Bolzano nel 1939, rielaborato poi negli anni ‘40, con la versione del ‘42 ideata nella stanza d’ospedale dove Tono era ricoverato e da cui sarebbero stati

Il Duomo di Padova

tratti migliaia di fogli. Il “Gibbo”, vertice di una prorompente vena creativa, rappresentava per molti la tronfia retorica del regime, il simbolo di una società inquieta, la paura che si faceva ossessione: un’allucinata metafora dell’Italia sotto il fascismo. Era il mostro della fantasia, una sorta di maschera apotropaica dal valore liberatorio, un modo infine per esorcizzare il male dandogli una fisionomia concreta, per non lasciarlo forse vagare nelle ombre. Anche nelle opere di “reportage” l’emozione sconvolge il semplice atto di registrazione tecnica: nel ciclo dedicato all’alluvione le figure dei barcaioli appaiono quasi caricaturali, così come i ritratti si distinguono per la fissità monumentale, quasi metafisica. Tono attinge i suoi soggetti dall’icastico fluire della vita quotidiana - mondine curve sulle risaie, miserabili pensionati, sinuose donne del Prà - per trasformarli nei lucenti protagonisti di uno spazio simbolico, articolato in modo essenziale dalla violenza del chiaroscuro. Tono sapeva coniugare la verità di figure e luoghi, dalla fisionomia sempre riconoscibile, ad una graffiante esigenza poetica. Mezzo espressivo d’elezione era, non a caso, quello grafico. Egli amava il segno duro, quasi aggressivo, padroneggiato con sicurezza in molteplici declinazioni: dal disegno a carboncino alla china acquerellata e, soprattutto, la tecnica dell’acquaforte, rigorosamente sperimentata nel variegato

Le cupole del Santo di Padova

Il Santo di Padova

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ARTERRA

repertorio di soggetti. Fra questi spiccano anche le nostre città murate, Este e Montagnana, presenti ad esempio nella collezione donata da Neri Pozza alla Fondazione Cini: vedute urbane mai pensate in termini di pura filologia, interpretate invece con acceso spirito visionario. Illuminazioni che andavano a fermarsi sulla carta, solo dopo che un’attenta riflessione l’aveva incisa e graffiata: il tratto segnico, così concepito, diventava un lavoro infinito della mente, essenziale atto di poesia. Il ritratto urbano è parte viva della produzione di Tono, grande viaggiatore, che si accosta al genere con spirito critico, testimone di un disfacimento compiuto sotto i colpi della “guerra moderna” e ancor più di un formalismo burocratico, totalmente cieco alla bellezza. Aspra è la sua denuncia nei confronti della “lenta distruzione di Padova”, in un testo del 1980, dove l’artista depreca l’irreparabile danno subito durante le due guerre, ma più di tutto “l’inqualificabile” azione dei suoi stessi amministratori, autori di “distruzioni regolatrici”, che lasciano nel tessuto urbano ferite peggiori di quelle delle bombe, distruggendo bellezza e creando al suo posto anonime desolazioni. La polemica si fa forte nei confronti del “mastodontico croccantone”: il Palazzo delle Debite, realizzato in stile eclettico da Camillo Boito nel 1874, simbolico avvio di una disarmonica metamorfosi che avrebbe caratterizzato l’urbanistica padovana per tutto il secolo successivo. Ai “professionali rinnovatori di città a tutti i costi” ricordava la contraddizione tra lo sviluppo

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di una riflessione sul patrimonio artistico, culminato nella nascita “scientifica” del museo, con la funzione di preservare i valori materiali del passato, e la contemporanea distruzione dei valori urbanistici ed architettonici della città, che a quegli stessi valori aveva dato origine. La sua non è certo una posizione passatista: Tono Zancanaro è “pittore di grande umanità”, come lo ricordava Mario Rigoni Stern, ma era anche uomo dalla sensibilità contemporanea, attento alle dinamiche sociali e alla qualità della vita. La graduale aggressione al tessuto storico in un centro che appare comunque a Tono fra i più originali e severi del territorio italiano, resta motivo di una forte tensione, per sempre irrisolta. In essa vi riconosce la dissoluzione, ancor più grave, di un preciso sostrato sociale, di abitudini secolari e memorie personali. Per raccontare lo sventramento non si affida - come ci si aspetterebbe da un “realista” tout court, all’occhio fotografico, impietosamente oggettivo, ma ad una pagina quasi surreale, fatta di accumuli, spazi vuoti, presenze misteriose. A Padova, nonostante tutto, non smette di dedicare intensi brani della sua produzione: immortalata in una serie infinita di disegni, incisioni, ceramiche, la vecchia città non perde fascino. La sintassi di portici antichi, palazzi lunari, gigantesche cupole permane nell’intera produzione di Tono, ma in una forma quasi trasfigurata, irreale, persa nella solitudine delle vie: la città perduta viene recuperata nella visione. In alto e sinistra: “In Prà” - 1953 A destra: “La me vecia casa”


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RUBRICA

Mani volanti: i pipistrelli e le notti d’estate

Per il semplice fatto di essere un animale notturno è poco conosciuto e dove non c’è conoscenza regna il sospetto. Ecco spiegate tante delle paure legate a questo mammifero volante, in realtà utilissimo all’uomo di Aldo Tonelli

E

state, le serate sono piacevoli e invitanti per ne che misura circa 7 cm di lunghezza, per un peso delle passeggiate, quando ad un tratto, mentre di una ventina di grammi. Durante il giorno dormoil sole è appena tramontato, un’ombra ci sorno appesi a testa in giù nelle cavità degli alberi, nei vola lungo il viale appena illuminato dai lampioni: un solai, tra le travi, nelle grondaie, negli anfratti delle pipistrello! case al riparo dalle correnti d’aria. Abbandona il rifuNiente paura, cerchiamo di conoscere meglio questi gio dopo il tramonto non allontanandosi mai per più animali della notte e di far chiarezza su alcune credi un chilometro da esso: il volo è lento e circolare denze. Cominciamo col dire che non sono uccelli ed avviene attorno ai 6-10 m dal suolo. Durante il pema mammiferi, anzi sono gli unici mammiferi capaci riodo invernale, la specie è solita andare in letargo: di volare veramente. Il loro corpo si è perfettamente non avendo abitudini coloniali, preferisce riposare in adattato al volo e le ali sono una membrana, detta solitudine o in gruppetti di 4-5 e se vengono disturpatagio, con ben visibili le ossa della loro mano con bati possono abbandonare il dormitorio e rischiano di lunghissime e sottili falangi: infatti l’ordine dei pipimorire in breve tempo per il gelo. Una caratteristica strelli viene detto dei “Chirottedei pipistrelli è quella di sapersi ri”, nome derivante da due pa- Nel mondo esistono oltre muovere e cacciare al buio, grarole greche “mano” e “ala”, che 1200 specie: il più grande zie ad un sistema che funziona significa “dalle mani alate”. come un vero e proprio sonar. ha un’apertura alare Nel mondo esistono oltre 1200 Un pipistrello emette brevi ulspecie: il più grande ha un’a- di due metri mentre il più trasuoni e ne ascolta l’eco di piccolo pesa 2 grammi pertura alare di due metri, menritorno: attraverso l’analisi di tre il più piccolo pesa 2 grammi ed è lungo 3 centimetri questa eco riesce a costruire ed è lungo 3 centimetri. In Italia un’immagine “sonora” di ciò che abbiamo più di una trentina di specie diverse. Uno lo circonda. Ad esempio, in base al tempo che l’eco dei più facili da incontrare nelle nostre zone, date le impiega a tornare, un pipistrello è in grado di stabilidiscrete dimensioni e la caratteristica di cominciare re a che distanza si trova la sua preda. I pipistrelli si a volare quando al tramonto il cielo è ancora un po’ sono adattati a sfruttare moltissime risorse alimentari. chiaro, è quello illustrato nelle foto: il Serotino comuAl mondo esistono specie che si nutrono di polline

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RUBRICA

Alegria de pipistrel xe segnal de tempo bel e nettare: questi pipistrelli sono quindi importantissimi impollinatori di molte piante che senza di loro non potrebbero riprodursi. Altre specie si nutrono di frutta e aiutano quindi a disperdere i semi delle piante di cui si nutrono attraverso i loro escrementi. Altre specie sono carnivore: si nutrono ad esempio di piccoli mammiferi, rane, piccoli uccelli o pesci, che catturano al volo. Ci sono poi pipistrelli che si nutrono di insetti, come quelli che vivono in Europa, che offrono all’uomo un ottimo servizio nutrendosi anche di insetti dannosi per l’agricoltura o fastidiosi come le zanzare. In ultimo ci sono i famosi “pipistrelli vampiro” che si nutrono di sangue, praticando minuscoli tagli sulla pelle di altri animali. Sono solamente 3 le specie al mondo che hanno questa dieta e vivono nei paesi del Centro e del Sud America. Sfatiamo ora qualche luogo comune. I pipistrelli non sono ciechi ma ci vedono come noi; essendo animali notturni, sfruttano però di più l’udito e non sono roditori come i topi ma sono molto più simili ai ricci. Le feci sono costituite da frammenti di insetti e quindi non comportano alcun problema sanitario, anzi il loro guano è un ottimo concime. I loro parassiti non si attaccano né all’uomo né agli animali domestici. Non

si allontanano con i cattivi odori, tipo aglio, citronella e naftalina: quest’ultima potrebbe addirittura avvelenarli e ucciderli, il che è punibile dalla legge, essendo i pipistrelli animali protetti a livello nazionale e internazionale. Non si attaccano ai capelli, anzi tendono a evitare il contatto con l’uomo. Quando volano, può capitare che entrino in un’abitazione: in questa circostanza è sufficiente spegnere la luce, chiudere la porta e spalancare la finestra. Non agitarsi e non gridare permetterà al pipistrello disorientato di localizzare l’uscita e allontanarsi. Per i Cinesi quando un pipistrello entra in casa porta con sé la fortuna e la loro presenza è di buon auspicio poiché implica che l’ambiente in cui viviamo conserva ancora qualche equilibrio e forse siamo ancora in tempo per migliorare anche la qualità della nostra vita. Rispettiamoli quindi e potremmo aiutarli conservando i loro rifugi invernali e magari posizionando cassette nido artificiali per sperare in una loro colonizzazione e averli alleati nella lotta alle zanzare: un pipistrello mangia insetti pari alla metà del suo peso al giorno! Per concludere ricordiamo un proverbio veneto dell’Istria dedicato a questi utili volatori notturni: Alegria de pipistrel - xe segnal de tempo bel.

Nelle foto una delle specie più diffuse dalle nostre parti: il Serotino comune, con un’apertura alare di 35 cm è lungo circa 7 cm per venti grammi di peso.

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Tel. 049 910.12.12

PERNUMIA - GALZIGNANO TERME - BATTAGLIA TERME - ARQUÀ PETRARCA

BATTAGLIA TERME: Appartamento di ca 75 mq in contesto di poche unità. Dispone di due camere da letto e due bagni, soggiorno separato dalla cucina abitabile. Finestre su tre lati. Al piano terra garage. Zona residenziale tranquilla. € 80.000

GALZIGNANO TERME: Appartamento in contesto di sole 4 unità. Dispone di soggiorno separato dalla cucina e due camere da letto matrimoniali. Terrazzo abitabile e giardino privato. In centro al paese. € 93.000

PERNUMIA: Appartamento al piano terra esposto a sud. Tutti i locali sono finestrati. Dispone di due camere da letto e la zona giorno seppur unita appare separata. Sito in pieno centro al paese. € 89.000

BATTAGLIA TERME: Appartamento di ca 95 mq al secondo e ultimo piano in palazzina storica. Completamente ristrutturato nel 2008, si caratterizza per la travatura e le pareti in pietra faccia vista. In zona centrale e comoda ai servizi. € 48.000

GALZIGNANO TERME: Casa accosta di 95 mq ca di nuova costruzione, disposta su due piani. Le finestre sono complete di scuri di castagno invecchiato e spazzolato. Dispone di un giardino di 300 mq ca, con possibilità di garage. Situato in zona panoramica tranquilla su strada chiusa. € 160.000

GALZIGNANO TERME: Casa singola disposta su due livelli, di 100 mq in posizione immersa nel verde dei Colli. Nel cortile di proprietà è ubicato il garage. Dispone di due ingressi indipendenti. Molto luminosa con vista panoramica. € 90.000

BATTAGLIA TERME: Unità abitativa di ca 85 mq situata al secondo ed ultimo piano, compleamente ristrutturata nel 2004. Il soggiorno è separato dalal cucina e è servito da un terrazzo verandato. La zona notte è composta da tre camere da letto. Si trova in una zona tranquilla ma centrale rispetto al paese. € 97.000

PERNUMIA: Rustico singolo di 135 mq ca, comprensivo di porticato e giardino esclusivo di 300 mq ca. Progetto approvato per ricavare 2 unità per un totale di 950 mc ca. Possibilità di recuperare alcuni materiali e spostare al centro del lotto la cubatura. Situato in centro paese. € 53.000

ARQUA’ PETRARCA: Rustico singolo di ca 240 mq rifinito esternamente in pietra faccia vista, particolarità che ritroviamo anche al suo interno. Uno dei tre saloni si presenta con caminetto e grandi vetrate che esibiscono circa 1000 mq di giardino. Al piano superiore si sviluppa la zona notte. Dispone inoltre di un garage e una stalla di 23 mq ca. Vista su Valsanzibio e Battaglia Terme. € 255.000

GALZIGNANO TERME: Soluzione indipendente di ca 200 mq sviluppata su due piani. L’abitazione è da ristrutturare. L’area di proprietà è di 336 mq. Sul fronte gode di una bella vista sui campi e sul golf club. Situata in zona di campagna lungo la strada che da Battaglia Terme conduce verso il centro del paese. € 80.000

BATTAGLIA TERME: Appartamento situato al piano rialzato in contesto a schiera. Il soggiorno è diviso dalla cucina da un arco con mattoni a vista e vi sono due camere matrimoniali. Sito in zona centrale, vicino alle scuole. € 70.000

GALZIGNANO TERME: Porzione d’angolo di un’abitazione formata da 3 unità di ca 60 mq, con ingresso indipendente. L’abitazione si sviluppa su due piani ed è completata da un garage di 28 mq al piano terra e un giardino disposto sui due lati liberi della casa di 50 mq ca. Situata in centro paese, vicino a tutti i servizi. € 65.000

BATTAGLIA TERME: Appartamento di 85 mq, con ingresso indipendente, in palazzina di 3 unità. Dispone di cucina abitabile e due terrazze. Giardino di proprietà. A 300 mt dal centro. € 128.000

GALZIGNANO TERME: Rustico d’angolo disposto su due piani, da ristrutturare. Possibilità di sfruttare la cubatura per edificare una porzione nuova. Dispone di garage privato e giardino di 200 mq ca. Zona residenziale in centro al paese. € 80.000

GALZIGNANO TERME: Appartamento al primo piano con ingresso indipendente e terrazzo panoramico. Soggiorno con cucina separata e quattro camere. Tutti i locali sono finestrati e prende luce da tutti e quattro i lati. Sito in pieno centro. € 125.000

BATTAGLIA TERME: Casa accostata con 400 mq di giardino privato. Portico di 45 mq. Tutti i locali sono travati a vista. Si trova in una strada chiusa, usata solo dai residenti, comoda al centro. € 175.000


Affiliato: ELLE 5 S.R.L. Via Roma, 24 - 35025 Cartura (PD) (a fianco ufficio postale)

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Tel. 049 95.56.602 DUE CARRARE - CARTURA - SAN PIETRO VIMINARIO - CONSELVE

DUE CARRARE TERRADURA. In contesto residenziale, porzione di quadrifamiliare sviluppata su due livelli, con giardino in due lati. Al piano terra ingresso con soggiorno con caminetto a vista, cucina abitabile, un bagno, ripostiglio e garage. Al piano superiore tre camere matrimoniali di cui una con cabina armadio, bagno con vasca idromassaggio e terrazzo. APE: Classe G ; IPE:251,34 kwh/m2anno. €239.000

DUE CARRARE - TERRADURA. Appartamento in un complesso residenziale al secondo e ultimo piano, mansardato. Ingresso, soggiorno con angolo cottura, bagno finestrato con vasca. Al piano mansardato possibilità di ricavare due camere e infine un bagno con doccia. Comodo a tutti i servizi. APE: Classe G; IPE: 175,9kwh/m2/anno. € 130.000

DUE CARRARE - CORNEGLIANA. Porzione di villetta trifamiliare disposta su piani sfalsati. Al piano interrato vi è un’ampia taverna con caminetto. Situata in un quartiere residenziale. Il giardino, la pavimentazione esterna e la rampa dei garage sono stati rifatti nel 2012. APE: classe E; IPE: 97,48 Kwh/m2/anno. € 186.000

ANGUILLARA VENETA - CENTRO. Abitazione indipendente ubicata in borgo storico. Dispone di tre camere, piccolo giardino e garage di 22 mq. Sono stati eseguiti alcuni lavori quali il rifacimento del tetto, la sostituzione della caldaia. ACE: classe G; IPE: 284,46 kWh/m2anno. € 45.000

CARTURA CENTRO. Palazzina di 17 unità. Appartamento al primo piano con soggiorno-cottura di 35 mq, disimpegno che conduce alla zona notte composta da camera matrimoniale, camera singola, due bagni di cui uno non finestrato. ACE: N. D.; IPE: N. D. € 79.000

CARTURA. Abitazione singola in vicinanza al centro del paese. Parzialmente da ristrutturare. Ingressi pedonale, carraio indipendenti, soggiorno con cucinotto, due camere matrimoniali, un bagno, un disimpegno d’arredare, e lavanderia. ACE: N.D.; IPE: N. D. € 79.000

DUE CARRARE - TERRADURA. Appartamento al piano primo in palazzina di nuova costruzione fornita di locali commerciali al piano terra. Soggiorno con angolo cottura e due camere da letto servite da bagno, disimpegno e ripostiglio predisposto per lavanderia. Terrazzo di ca. 40 mq, poggioli, garage al piano terra. ACE: classe A; IPE: 31,344 Kwh/m2/anno. € 119.000

DUE CARRARE - S.PELAGIO. Casa semindipendente, in zona tranquilla, suddivisa in due livelli. Ingresso, soggiorno, cucina abitabile, bagno con doccia e un ripostiglio. Al pino primo si trovano due camere matrimoniali con entrambe il climatizzatore e un terrazzo. ACE: N. D.; IPE: N. D. € 89.000

CARTURA VICINANZE CENTRO. Porzione di bifamiliare, sviluppata in due livelli, di recente costruzione di ca. 260 mq. Al piano terra un portico nella parte ovest che si trova l’ingresso, cucina soggiorno con caminetto, tre camere da letto, due bagni finestrati, lavanderia e garage. Al piano primo una mansarda open space, uno studio, un altro locale e un bagno con doccia. APE: classe B; IPE:75,22 Kwh/m2/anno. € 299.000

DUE CARRARE - CENTRO. Appartamento in palazzina di sole quattro unità, più due unità commerciali, sito al primo e ultimo piano. Ingresso con soggiorno, angolo cottura con uscita terrazzata, un disimpegno e bagno ceco. Al secondo piano si sviluppa una camera matrimoniale, una singola con uscita terrazzata e un bagno con doccia multifunzione. Accesso al sottotetto. ACE: Classe E; IPE:108,24 Kwh/m2anno. € 129.000

CARTURA. Proponiamo questo rustico indipendente, sviluppato su tre piani. L’abitazione sorge in zona centrale del paese. Ingresso indipendente, con negozio di ca 120 mq. al piano terra. ACE: N. D.; IPE: N. D. € 115.000

DUE CARRARE - MEZZAVIA. Palazzina di quattro unità, appartamento al secondo e ultimo piano. Ingresso, soggiorno con angolo cottura, camera matrimoniale, bagno finestrato e disimpegno. ACE: Classe E. IPE:126,42 Kwh/m2anno. € 40.000

CARTURA - CENTRO. Appartamento al primo piano, in palazzina in zona della piazza in centro del paese. Composto da soggiorno, cucina abitabile con entrambi l’ uscita sul terrazzo di ca 60 mq. Nel soggiorno è presente un disimpegno che porta al ripostiglio, bagno ceco con doccia, due camere di cui una matrimoniale e un’altra singola. ACE:Classe E; IPE:163,07 Kwh/m2anno. € 135.000

DUE CARRARE - TERRADURA CENTRO. Proponiamo questo negozio attualmente adibito ad uso studio medico, fronte strada. Lo stabile è sito in un contesto in centro di Terradura al piano terra con attività commerciali limitrofi. Già diviso con bagno di servizio per la clientela, sala d’attesa e ambulatorio medico. ACE: Classe D; IPE: 44,78 Kwh/m2anno. € 59.000

DUE CARRARE - CENTRO. Abitazione al Primo piano. Ingresso indipendente, soggiorno di 20 mq, cucina, disimpegno, due camere matrimoniali e uno studio. Dall’ingresso si accede ad un terreno di ca 200 mq. ACE: G; IPE: 232.92 kwh/m2 anno. € 129.000

AGNA - CENTRO. Appartamento al piano terra in un contesto residenziale. Ingresso che si può accedere al giardino/terrazzo, soggiorno con angolo cottura, due camere di cui una singola e una matrimoniale, bagno con doccia idromassaggio. Giardino privato. APE:classe G; IPE: 93.018kwh/ m2anno. € 99.000


CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA

MELANZANE Difficoltà: bassa

Preparazione: Cottura: 1 ora 30 minuti Ingredienti per 6 persone Tre melanzane 1/2 kg pomodori 300 grammi mezze penne 250 grammi mozzarella Aglio Uno scalogno Basilico Sale e pepe Olio di oliva

FARCITE

Preparazione Tagliate le melanzane a metà per il lungo senza sbucciarle; incidete la polpa con una serie di tagli, salatele e mettetele su una placca da forno capovolte, irroratele con un filo d’olio e infornatele per quindici minuti a 200 gradi. Riducete i pomodori in dadolata. Sfornate le melanzane e svuotatele della polpa. Tritate lo scalogno, fatelo rosolare nell’olio insieme all’aglio; unite il pomodoro e la polpa delle melanzane, aggiungete del sale e del pepe. Fate cuocere il sugo a fuoco vivo per circa 5 minuti. Prendete alcune cucchiaiate del sugo e mettetele sul fondo di una teglia da forno. Nel sugo rimasto aggiungete le mezze penne già lessate (molto al dente), fatele insaporire, unite i dadini di mozzarella e basilico e distribuitele nelle melanzane vuote. Fate gratinare nel forno a 200 gradi, il tempo necessario a far fondere la mozzarella.

TORTA MARGHERITA Difficoltà: bassa

Preparazione: Cottura: 40 minuti 15 minuti

Ingredienti per 8 persone 5 uova 250g di zucchero 250g di fecola di patate o frumina Mezzo bicchiere d’olio di semi 1 bustina di lievito per dolci Buccia grattugiata di limone

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DI NONNA SANDRA

Preparazione Mettete in un terrina 250g di zucchero, i tuorli d’uovo, la buccia di limone e sbatteteli fino ad ottenere un composto spumoso. Setacciate la farina con il lievito ed unitela all’impasto, unite anche l’olio a filo; montate ben sodi gli albumi e amalgamate il tutto. Imburrate una tortiera con coperchio e versatevi il composto. Mettete a cuocere la torta sul foro piccolo del fornello con il fuoco al minimo. Dopo circa mezz’ora verificate la cottura della torta inserendo uno steccone da spiedino negli appositi fori del coperchio. A tale scopo nonna Sandra usa un ferro per il lavoro a maglia più lungo dello steccone e sempre disponibile nel cassetto della cucina. A voler essere sofisticati, nonna Sandra consiglia di usare le uova delle galline “Meneiche” (verificare autenticità del nome) quelle rosse con il collo pelato che lei tiene nel suo pollaio.


messaggio pubbliredazionale

Volponi, dal 1950

a servizio dell’agricoltura L’azienda mosse i primi passi con le “bacinelle” per le stalle. Dopo qualche anno si specializzò nel campo dell’irrigazione La Ditta Volponi è presente nel mercato dei macchinari per l’agricoltura dal 1950. Olmes Volponi iniziò l’attività con le famose “bacinelle”per le stalle che rivoluzionarono il modo di abbeverare le mucche. I primi impianti prevedevano un motorino elettrico per la carica di un serbatoio che a caduta riempiva una condotta dove erano collegate una serie di abbeveratoi. Con questo sistema più capi bevevano allo stesso tempo, senza l’ausilio di un operatore. L’attività aziendale nel tempo si allargò il proprio campo di azione realizzando i primi impianti di irrigazione con tubi in plastica e pompe a cinghioli o gruppetti a petrolio. Dal 1995, a Olmes, è subentrato il figlio Gabriele che con nuove energie oggi continua l’attività di famiglia nel campo dell’irrigazione con diverse specia-

lizzazioni, tanto che qualsiasi esigenza del cliente viene soddisfatta. Fa parte della deontologia aziendale, insieme alla trasparenza e onestà che da sempre contraddistingue la professionalità della famiglia Volponi, la convinzione che il cliente deve sempre essere soddisfatto e consigliato nelle proprie scelte. L’offerta della ditta Volponi oggi spazia dai sistemi di irrigazione a bassa e alta pressione per agricoltura, gruppi motopompe, rotoloni , pompe per trattrice, irrigatori multi marche, batterie di filtrazione manuali e automatiche da vigneto e ortaggi, accessori e componenti vari per irrigazione. Tra le attrezzature agricole la disponibilità è praticamente illimitata, spaziando dagli erpici rotanti ai gruppi diserbo.

IRRIGAZIONI Volponi Gabriele

IRRIGAZIONI VOLPONI GABRIELE Via Fiume, 8 - 35020 Maserà Di Padova (PD) Cell. 348 1201334 - Fax 0498863921 - volponigabriele@gmail.com


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