N. 4 - Maggio 2014 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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arte storia e natura prodotti tipici
“NON CI SONO PIÙ LE MEZZE STAGIONI” UN TEMPO SI DICEVA:
ATLANTE STORICO della Bassa Padovana,
a cura di Francesco Selmin
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Numero 4 - Maggio 2014
Direttore responsabile: Mattia De Poli Editore: Speak Out srl Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere - VE speakout@live.it
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Battaglia del Castagnaro, 11 marzo 1387
Hanno collaborato a questo numero: Mauro Gambin Amos Tullio Previero Loredana Pavanello Mario Stramazzo Aldo Tonelli
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Quattro passi nella terra antica della Sculdascia
Progetto Grafico: Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968 Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it Stampa: E-Graf srl via Umbria, 6 - Monselice (PD) grafica@e-graf.it Tel. 0429 73735 Giornale chiuso il 28 aprile 2014 Tiratura: 5000 copie Diffusione: periodico bimestrale Sped. in abb. post. € 25,00
TERRA E DINTORN
PRIRE CITTÀ DA SCO
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La notte di San Zuanne, la notte della magia
TRADIZIONI
(più spese spedizione)
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Andar per erbe… a saper riconoscerle RITORIO
CUCINA E TER
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Rondini, ospiti che vanno e vengono
RUBRICHE
ELZEVIRO
IN TEMPO DI ELEZIONI “PENSIAMO AL VENETO”,
MA NON ALLA REGIONE: ALLA LINGUA “In sti ultimi tenpi, tusi, ma no so parché, go perso tuto el morbìn, go stralassà le me usanse, me sento cussì malmesso che a mi sta bela fabrica de la tera la me pare na scuàlida protuberanzsa… Sto ecelentissimo baldachìn de l’aria, tusi, sta maraveia de barchessa de ‘l firmamento cuà parsora, sto gran coerto ricamà de lucete de oro: ciò, a mi no la me pare gninte altro che na turbia e pestilenta congregassiòn de vapuri”.
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uigi Meneghello lo raccontava così l’Amleto di William Shakespeare, in dialetto. Diceva che è stato appunto attraverso il dialetto è perché era cresciuto imparando filastrocche come “potacio batòcio spuacio pastròcio / balòco sgnaròco sogato pèocio…” che era riuscito a padroneggiare la lingua anglosassone, tanto da diventare docente universitario a Reading e collaboratore della Bbc. Meneghello scrittore, lo conosciamo un po’ tutti, grazie a libri di successo come “Libera nos a Malo” o “I piccoli maestri”, ma quello che Meneghello ha dato alla “Cultura” con lo studio del dialetto veneto non andrebbe tralasciato. Il suo dialetto non è quello servito a certa politica per creare demarcazioni geografiche o etniche, differenze, ma la lingua attraverso la quale è possibile chiamare le cose con loro vivo nome, nella loro sostanza. Spiegava a proposito della differenza tra l’uccellino e l’”oseleto”: “Vedi, l’”uccellino” in italiano, con tutto il suo lustro, ha l’occhietto un po’ vitreo di un aggeggino di smalto e oro. Vuoi mettere la differenza con l’”oseléto” veneto? Annuncia la primavera e ha una qualità che all’altro manca: è vivo”. Per questo Meneghello non capiva le famiglie di un Veneto arricchito che si liberavano del dialetto o lo italianizzavano con snaturate declinazioni comiche. Come pure non capiva le madri che chiamavano i figli Kevin o Maicol, o addirittura a Chioggia, “Mongomericlif”, che nell’intenzione della madre sarebbe stato “Montgomery Clift Boscolo”. Cose che fanno morire dal ridere se non vogliamo piangere, dell’identità veneta, dal crepacuore. “È vero – scriveva Meneghello - che in questa rimozione c’entra anche, benché inespressa, un’altra preoccupazione molto più profonda: farla finita con ogni richiamo al mondo della povertà, delle strettezze e delle tribolazioni, sentite come “cose in dialetto. Ora
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che abbiamo cominciato a mutilare i bambini, bisogna rassegnarsi al pensiero che la nostra lingua morirà presto, non c’è niente da fare. E non perderemo solo una lingua ma “cose” che possono esser dette “solo” in quella lingua”. Ecco allora che in un periodo di elezioni, con 345 comuni veneti che andranno al voto, il prossimo 25 maggio, per eleggere il loro sindaco, leggendo nel programma elettorale di questi chissà quanti riferimenti alla tutela del territorio e dell’identità comunale, ricordare l’iniziativa di un comune veneto, che tra l’altro non andrà al voto, non comporterà una violazione delle regole della “par condicio”. Il Comune è quello vicentino di Malo, che diede i natali a Meneghello, infatti, insieme all’Istituzione Culturale Villa Clementi e al sostegno del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia e della Fondazione Maria Corti, ha dato alle stampe un quaderno ritrovato per caso del Meneghello scolaretto. Un gruppetto di fogli trattenuti da una copertina rossa, ristampato dal Comune uguale identico all’originale, comprese le pagine vuote, nel quale, pur tra strafalcioni e un mucchio di errori, caratteristico di chi pensa in dialetto e tenta di scrivere in italiano, è possibile sentire il Meneghello padre della letteratura veneta e glottologo illuminato: “Questa sera io non so cosa a scrivere e alora o fato queste parole domani di sera speriamo che ci Luigi Meneghello, Malo 16 febbraio 1922 suceda qual che Thiene 26 giugno 2007, è stato partigiano, cosa”. accademico e scrittore italiano.
EDITORIALE
L’uomo e l’aria:
l’eterna dialettica tra cielo e terra di Mattia De Poli
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embrerà strano ma ogni luogo ha la sua aria. L’aria è percepita come un insieme di profumi e di odori che dipendono dalle caratteristiche del territorio, dalla vicinanza del mare o di un bosco, di un campo coltivato o di un deserto, dalla vegetazione, dalla presenza animale e umana, dalle attività industriali e lavorative in generale. La natura dell’aria può variare ancora per temperatura e tasso di umidità. I chimici potranno analizzarne la composizione ma anche qualsiasi individuo dotato di un olfatto normalmente sviluppato si accorgerà che in Australia l’aria è diversa da quella del Veneto. Anche se la qualità dell’aria può essere analoga, si percepisce con chiarezza una differenza. E tutti, più o meno consapevolmente, sappiamo che l’aria non è uguale ovunque. Tutti, infatti, abbiamo pensato almeno una volta nella vita: “ho bisogno di cambiare aria”. Cambiare non sempre è possibile! O almeno non offre una soluzione immediata - obietterà qualcuno. Lo sapevano già i latini più di duemila anni fa. In una delle sue lettere Orazio scrive che per i marinai, che si affannano nell’attraversare il mare, muta il cielo sopra le loro teste ma non muta lo stato d’animo. E la stessa riflessione è ripresa poco tempo dopo in termini analoghi dal filosofo Lucio Anneo Seneca, che esorta il suo discepolo Lucilio a perseguire un cambiamento non del cielo ma dell’animo. Eppure, se cambiare aria non risolve i problemi, non pone fine alle angosce che ciascuno porta con sé, dentro di sé, di sicuro
apre nuove prospettive sulla realtà. Il confronto con altre persone e con altre situazioni consente di mettere a fuoco meglio la propria condizione, di definirla meglio. Come se guardassimo un’immagine ad alta risoluzione. L’aria è sinonimo di libertà, di movimento, di vita: il sogno di librarsi in alto, nel cielo, come un uccello, come una farfalla, è profondamente radicato nella natura umana. Per tutta la vita Leonardo ha studiato e progettato mezzi finalizzati a sollevare gli uomini da terra e a condurli in sicurezza attraverso l’aria. Secondo i miti antichi Dedalo e Icaro sono riusciti a fuggire dal labirinto del Minotauro proprio alzandosi in volo con ali di piume e cera. Ma l’aria è per l’uomo un ambiente instabile. Chi cerca di conquistare il cielo, è destinato a soccombere. Come Icaro, precipitato al suolo dopo che il sole aveva sciolto la cera e con essa le ali. Il destino dell’uomo è sulla terra: qui egli può realizzarsi pienamente e operare i cambiamenti desiderati, o almeno provarci con qualche probabilità di successo. Salire in alto, nell’aria, permette di adottare un punto di vista diverso, insolito. Le fotografie aeree hanno portato ad esempio a importanti scoperte archeologiche: paleoalvei di corsi d’acqua, nuclei abitativi, rete viaria. Attraverso appositi strumenti, la prospettiva aerea dà informazioni utili all’analisi della conformazione terrestre. Ma è qui, sulla terra, che l’uomo può provare a cambiare la sua realtà. Sporcandosi le mani con i piedi ben piantati per terra.
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messaggio pubbliredazionale
Inquinanti nell’aria: cosa si respira nella Bassa Padovana? LE CARATTERISTICHE DEL TERRITORIO L’area geografica compresa tra la catena Alpina, l’Appennino settentrionale ed il mare Adriatico, presenta caratteristiche omogenee dal punto di vista morfologico e climatico; le condizioni atmosferiche di elevata stabilità caratterizzate da una scarsa circolazione dei venti favoriscono la stagnazione al suolo degli inquinanti atmosferici. Così, la concentrazione in quest’area geografica di intenso traffico veicolare, attività produttive ed insediamenti umani, favoriscono situazioni critiche di qualità dell’aria, con superamenti dei valori limite ed obiettivo stabiliti dal Decreto Legislativo 155/2010, almeno per quanto riguarda le polveri sottili, il biossido di azoto, il benzo(a)pirene e l’ozono.
IL MONITORAGGIO DELLA QUALITÀ DELL’ARIA NELLA BASSA PADOVANA Relativamente alla qualità dell’aria, la Bassa Padovana è stato monitorato sin dal 1984, con il posizionamento di centraline fisse e mobili che negli anni hanno monitorato la presenza di inquinanti nell’aria derivanti dalle principali fonti di pressione antropica in quel territorio: il traffico e la presenza di siti industriali, come i cementifici della zona. L’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV) gestisce dalla sua nascita, la rete regionale di qualità dell’aria precedentemente gestita a livello locale da Province e Comuni. I singoli Dipartimenti ARPAV provinciali, coadiuvati dall’Osservatorio Aria e in collaborazione con province e comuni del territorio, pianificano l’attività di monitoraggio della
qualità dell’aria con i mezzi mobili. Annualmente, dal 2005, l’Osservatorio Aria di ARPAV produce una relazione che descrive la situazione rilevata, seguendo l’evoluzione nel tempo degli inquinanti misurati. Attualmente sono 2 le centraline fisse presenti nell’area della Bassa Padovana, collocate ad Este e a Cinto Euganeo. A queste si accompagnano i rilievi delle centraline mobili, che vengono spostate nel territorio a seconda di specifiche esigenze di monitoraggio. Gli inquinanti monitorati nelle centraline sono: Biossido di Zolfo (SO2), Ossidi di Azoto (NO, NO2, NOx), Monossido di Carbonio (CO), Ozono, PM10 e solo dal 2013, nella centralina di Este, anche PM 2.5, metalli e IPA (Benzo(a)pirene).
ALCUNI DATI SUGLI INQUINANTI MISURATI Nel quinquennio 2008-2012 (ultima relazione regionale) i dati relativi al Biossido di Azoto (NO2) sono ben al di sotto della soglia di valutazione
inferiore per la centralina di Cinto Euganeo, lontana da fonti emissive, mentre in quella industriale di Este i valori sono compresi tra la soglia di valutazione inferiore e superiore. I dati del 2012 risultano comunque in leggera flessione rispetto a quelli del 2011. Per il PM10 il 2011 è stato un anno nettamente sfavorevole alla dispersione degli inquinanti, mentre nel 2012 si è registrato un miglioramento anche se di non grande entità. Il PM10 è ancora l’inquinante più critico e non solo nella bassa Padovana. In entrambe le centraline si rilevano un numero di superamenti del valore limite giornaliero di 50 ug/m3 ben oltre i 35 consentiti in un anno, soprattutto nel periodo invernale, per cui non vengono a tutt’oggi rispettati gli standard imposti dalla Comunità Europea. Per il monossido di Carbonio, il biossido di Zolfo, il benzene e gli elementi in tracce (ossia i metalli laddove vengono misurati), la relazione annuale regionale evidenzia livelli inferiori ai rispettivi valori limite o valori obiettivo e quindi l’assenza di criticità per il territorio veneto, e quindi anche per la Bassa Padovana. L’aspetto positivo riguarda anche l’ozono che nel 2012 non presenta alcun superamento della soglia di allarme, ma con un diffuso incremento della soglia di informazione (180 ug/m3), fenomeno dovuto molto probabilmente al verificarsi di episodi prolungati di caldo intenso nei mesi estivi, che hanno favorito le reazioni fotochimiche di formazione dell’ozono. I livelli di benzo(a)pirene devono invece essere mantenuti sotto stretto controllo perché sono stati registrati superamenti diffusi del valore obiettivo, le cui concentrazioni medie annue sono in
crescita rispetto al 2011. Nel complesso il 2012 si è rivelato un anno meno critico rispetto al precedente, almeno per quanto riguarda inquinanti come il PM10, l’NOx, la cui diminuzione è stata almeno in parte condizionata dal fattore meteorologico. Il trend positivo complessivamente registrato negli anni precedenti, eccettuato il 2011, è proseguito anche nell’anno 2013; i dettagli potranno essere visibili nella relazione annuale della qualità dell’aria di prossima pubblicazione sul sito di ARPAV .
LA QUALITÀ DELL’ARIA IN SINTESI… Per quanto negli ultimi anni si sia registrato un calo nelle emissioni di buona parte degli inquinanti atmosferici, la qualità dell’aria risulta ancora critica, specialmente per quanto riguarda le polveri sottili, rendendo necessari ulteriori sforzi nella riduzione delle emissioni. L’esperienza maturata negli ultimi anni ha messo in luce la necessità di adottare politiche e azioni comuni a livello sovraregionale, al fine di affrontare il problema dell’inquinamento atmosferico a livello di intero bacino padano. In questo contesto, il 19 dicembre 2013, le Regioni e le Province Autonome del Bacino Padano (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Province Autonome di Trento e Bolzano) hanno sottoscritto un Accordo di Programma per l’individuazione e il perseguimento di misure comuni per la riduzione dell’inquinamento atmosferico nell’area del Bacino Padano. Carlo Emanuele Pepe ARPAV – Direttore Generale
Grafico che rappresenta l’andamento della concentrazione di ozono in atmosfera rilevato nelle ultime 48 ore nelle centraline indicate;
STORIA E DINTORNI
Venti di guerra, l’11 marzo 1387 ebbe inizio la cruenta battaglia del Castagnaro
L’ultima grande battaglia del Medioevo, venne combattuta tra le due potentissime signorie venete degli Scaligeri e dei Carraresi su un lembo di terra a margine dell’Adige tra le “basse” padovana e veronese, tra Castelbaldo e Villa D’Adige. Fu un evento che segnò la fine di un’epoca, il modo di concepire la politica e di combattere le guerre. Vinse l’esercito carrarese ma fu una vittoria di Pirro, dopo qualche anno Venezia fece definitivamente tramontare la stagione delle signorie, imponendo il leone alato per i successivi quattrocento anni su tutta la Repubblica, che divenne Serenissima.
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STORIA E DINTORNI
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elle prime ore del mattino dell’11 marzo 1387, il sonnolento discendere verso il mare dell’Adige a la tranquillità della campagna imbrunita dalle ultime rigidità dell’inverno, vennero lacerate “da grida altissime: Scala-Scala, carne-carne”, ritmate dal martellante frastuono delle spade picchiate sugli scudi. Quello in riva all’Adige era ancora il Veneto delle signorie, saldamente in mano a potentissime famiglie e ai loro eserciti. Quelli di Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova, e Antonio dalla Scala, signore di Verona, si erano rincorsi per mesi e ora erano l’uno di fronte all’altro perché l’uno per l’altro costituiva l’ostacolo sulla via del dominio del territorio. Entrambe le famiglie avevano nel grande fiume la strada dei loro interessi, entrambe volevano espandere il proprio dominio, ovviamente l’uno a spese dell’altro. Chi avesse vinto avrebbe vinto tutto, chi avesse perso avrebbe perso tutto, ad avere la peggio furono i Dalla Scala che, infatti, da Castagnaro non rientrarono mai più in Verona, sconfitti da un fuori classe della guerra, uno stratega e capitano di ventura inglese, la cui memoria è perpetuata dal cenotafio eseguito ad affresco da Paolo Uccello in Santa Maria del Fiore a Firenze con il nome di Giovanni Acuto. Quel campo di battaglia, che prese il nome dal diversivo dell’Adige e non dal comune di Castagnaro, è rimasto un campo e sulla terra imbevuta del sangue di migliaia di armati oggi cresce ad anni alterni il mais oppure il frumento, ma Andrea Gatari, uomo di corte dei Da Carrara, ne scrisse una cronaca riportandone la fasi salienti arrivate intatte fino ai giorni nostri così da poter immaginare fin nel dettaglio una delle battaglie più sanguinose del Medioevo, che vide annientarsi i dodici squadroni di armati veronesi contro gli otto padovani. Dire dodici o dire otto squadroni non significa granché ma dire che quella mattina in riva all’Adige c’erano quindicimila soldati a cavallo e migliaia di arcieri, fanti e balestrieri pronti ad uccidersi l’un l’altro, da l’idea dell’entità dello scontro
Il cenotafio eseguito da Paolo Uccello a John Hawkwood. Il capitano inglese, italianizzato in Giovanni Acuto da Macchiavelli, era nato a Sible Hedingham nel 1320 e morì a Firenze il 14 marzo del 1394. All’epoca della battaglia del Castagnaro era già quasi settantenne ma il suo valore come stratega è condottiero era di assoluto primo piano. Combatté per il suo re Edoardo III d’Inghilterra durante la guerra dei Cent’anni, per Papa Gregorio XI prese parte alla guerra degli Otto Santi, combattè per la Repubblica di Pisa e fu al servizio anche degli Angioini di Napoli.
La famiglia dei Carraresi, origina da un ceppo di uomini d’arme e feudatari di campagna di origine longobarda, iniziarono la loro ascesa nel territorio padovano dopo la stagione comunale della città del Santo. Signori di Pernumia, duchi di Anguillara arrivarono ad essere signori di molte città venete. A loro si devono le fortificazioni di Este, Montagnana e il castello di Lozzo Atestino. Regnarono a Padova dal 1318 al 1405, la loro fine venne per mano veneziana anche se non è chiaro come, alcune fonti parlano dell’esecuzione di Francesco Novello altre parlano di un cambio di cognome in Papafava, cognome ancora esistente. La famiglia della Scala o famiglia scaligera fu una dinastia che governò sulla città di Verona per centoventicinque anni, dal 1262 al 1387. Con Mastino la città veneta passò da Comune a Signoria. Con Cangrande raggiunse l’apice della sua importanza e fama.
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STORIA E DINTORNI
ESERCITO CARRARESE • Giovanni Acuto
500 cavalieri 600 arcieri (tutti inglesi)
ESERCITO SCALIGERO • Giovanni degli Ordelaffi
1000 cavalieri
• Ostasio da Polenta
1500 cavalieri
• Ugolino dal Verme
500 cavalieri
• Benetto da Marcesana
800 cavalieri
• ll conte di Erre
800 cavalieri
• Martino da Besizuolo
400 cavalieri
• Messer Francesco Sassuolo
800 cavalieri
• Marcoardo dalla Rocca
400 cavalieri
• Giovanni D’Azzo
1000 cavalieri
• Giovanni da Pietramala
1000 cavalieri
• Messer Ugolotto Biancardo
800 cavalieri
• Messer Francesco Novello da Carrara, figlio di Francesco il Vecchio signore di Padova
1500 cavalieri
• Messer Broglia Brandolino
500 cavalieri
• Messer Francesco Visconte
300 cavalieri
• Biordo e messer Antonio Balestruzzo
600 cavalieri
• Messer Taddeo dal Verme
600 cavalieri
• Filippo da Pisa
1000 fanti
• Giovanni dal Garzo e Ludovico Cantello
500 cavalieri
• Raimondo Resta e Frignano da Sesso
1800 cavalieri
• Giovanni da Isola
1000 fanti 1600 arcieri e balestrieri
IL CAMPO DI BATTAGLIA E LA STRATEGIA “Finite et ordinate le schiere, messer Giovanni Acuto, messer Giovanni D’azzo e messer Ugolotto Biancardo andarono insieme a sopravvedere e speculare il luogo alla campagna, e massime dalla parte in cui venivano i nemici, e dove si poteva offendere, e dove bisognava offendere. E considerata a vista la natura del luogo, onde venivano i nemici, trovarono questo essere largo, e che veniva stingendosi verso levante in quella parte, ove si veniva a passare l’Adese, e dall’altra parte di detta campagna era una fossa larga 6 piedi (2 metri) fatta apposta per iscolare le acque di campagna, e con un capo cominciava all’argine e andava finire allo paludo. Il sapiente messer Giovanni Acuto, fece passare il campo oltre la detta fossa spianata per gli gustatori del campo carrarese, e diede la detta spianata in guardia a Cermisone da Parma, il quale li fece forte in quel luogo, e prese l’argine
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per la sua sicurezza. Mise i suoi provvisionati al passo (ossia alla spianata appena ottenuta con l’interramento della fossa) e sopra l’argine aveva messa una pavesata (alti scudi a protezione dalle frecce) con circa 600 balestrieri, i quali difendevano, ovvero avevano da difendere quel passo”. In questo modo il capitano inglese tolse ai veronesi la possibilità di un attacco frontale che sarebbe stato
STORIA E DINTORNI deleterio per le sue truppe, vista la forza d’urto imponente dalla cavalleria avversaria che da sola contava 9400 armati. I veronesi dunque furono costretti a cambiare strategia. PROMESSE RICCHEZZE PER ESORTARE I SOLDATI ALLA BATTAGLIA “Il signor Giovanni degli Ordelaffi (dell’esercito scaligero) ordinò che tutte le sue schiere smontassero da cavallo e che ognuno si sforzasse di passare quel fosso, dicendo con grandissime esortazioni quello essere il giorno, che ognuno doveva acqustar honore e gloria immortale, aumentando e facendo maggiore la gloria e Stato del signore Antonio della Scala, e tutti farsi ricchi, perché la maggior parte dell’esercito carrarese erano cittadini padovani de’ più ricchi, e che erano assai manco di loro, stanchi, e lassi per fame; et eglino essere freschi e potenti”. (Per esortare i suoi alla battaglia Giovanni degli Ordelaffi fa notare le minori dimensioni per numero dell’esercito padovano composto, per lo più, da ricchi cittadini. Dietro tali affermazioni si nasconde la possibilità di una facile vittoria e l’incameramento dei beni dei possidenti soldati padovani). Dall’atra parte del campo il benigno et honorato Francesco Novello da Carrara urlava alle sue genti paga doppia e mese compiuto. INIZIA LA BATTAGLIA. “SCALA-SCALA, CARNE-CARNE” “Si levarono allora, tra i veronesi, gridi altissimi di “Scala-Scala, carne-carne”. E già il sole aveva trapassato le due parti del viaggio suo del giorno (due ore dopo l’alba) quando il sollecito capitano signor Giovanni degli Ordelaffi spinse al fosso sei delle sue battaglie contro tre delle carraresi, ove si diede principio ad un crudelissimo assalto, urtando e facendo uno contro l’altro con crudelissimo impeto rumori, e gridi alti e spaventevoli in ogni parte si sentivano. Dipoi il conte d’Erre (alleato ai dalla Scala), il quale aveva odio grande et antico con messer Giovanni D’Azzo (tra le forze Carraresi), insieme con messere Taddeo del Verme (alleato ai dalla Scala) s’attaccarono con sue genti a battaglia, facendo di sua persona meravigliose pruove per passare il fosso.
Era Messer Giovanni D’Azzo smontato a piedi alla difesa, e faceva provisioni grosse, tendo i nemici al largo e valorosamente combattendo. Et all’incontro del magnifico signore messer Francesco novello da Carrara s’erano presentati Ostasio da Polenta e Benedetto Marcesana e con grandissima furia et impeto l’assaltarono, credendo di averlo prigione; e Francesco Buzzacarino con una lancia fu ferito in un fianco, di modo che fu forzato per tal colpo a cadere nel fosso. E tanto era furiosa e stretta la battaglia, che di una ghiavarina (era un tipo di lancia introdotta dai barbari Germani durante il periodo romano. Montata su un’asta relativamente corta e pesante, presentava una punta metallica a losanga, caratterizzata dai “lug”, altrimenti dette ali, atti a bloccare la lama tra le carni) fu ferito nella spalla Giacomo da Carrara, di modo che si reculò due passi indietro, ma subito dal conte da Carrara suo fratello fu soccorso, e cavata la ghiavarina dalla spalla, si fecero gagliardamente all’incontro de’ nemici, ove era la maggior furia, che tentava di passare il fosso per avere messer Francesco Novello co’ i suoi fratelli. Nel terzo luogo a difesa del fosso era l’animoso Giovanni da Pietramala (esercito carrarese), ove si era presentato messer Francesco da Sassuolo (esercito scaligero) il quale era stato ributtato dalla battaglia (spinto indietro) dalle valorose genti del Pietrmala. Ma il capitano della Scala al suo soccorso mandò Ludovico Cantello, e messer Giovanni dal Garzo; e così in tre parti era crudelissima battaglia; ma maggiore, e con maggiore furia si faceva all’incontro del signor Francesco Novello e molto la sua schiera era affannata; onde messer Giovanni Acuto mandò in soccorso messer Ugoletto Biancardo con la sua potente et animosa squadra, la quale messe gran spavento a i nemici; e con suo mezzo si cavò messer Francesco Buzacarino del fosso quasi morto, e fu portato alle bandiere del campo”. FRANCESCO NOVELLO E QUASI IN TRAPPOLA, VICINA LA VITTORIA DEI VERONESI “Mancò poco che messer Francesco Novello non andasse prigione, perché molti de’ nemici si buttarono con fassine al fosso, di modo che egli non potea fuggire”. Se Francesco Novello fosse caduto prigioniero dei veronesi la battaglia per i padovani sarebbe
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STORIA E DINTORNI
stata persa, in quanto figlio del signore di Padova e comandante di un esercito costituito in larga parte da mercenari che immediatamente avrebbe disertato. “Ma messer Ugolotto Biancardo, Conte e Giacomo da Carrara, Pattaro Buzzacarino, e molti altri cittadini padovani con azze (mazze) in mano ammazzavano quelli, che dal fosso volevano salir sulla ripa. La qual cosa vedendo Bernardo de gli Scolari, andò da messer Giovanni Acuto, e da messer Giovanni D’Azzo, e lor disse, come messer Francesco Novello era in grandissimo pericolo, perché tutto il campo dei nemici gli era all’incontro e che meglio saria stato farlo levare di quel luogo e mandarlo a Castelbaldo. Allora i due capitani andarono a vedere, e fecero addimandare il signore messer Francesco Novello, e il fecero mettere a cavallo, pregandolo strettamente, che andasse a Castelbaldo; ma furono le preghiere vane, che egli rispose, che essendo stato al principio, voleva ancora stare alla fine del ballo. E subito torno alla battaglia e andò dove era Cermisone da Parma (il comandante dei fanti a presidio del passo sul fosso) e da lui tolse 200 de’ suoi fanti, 100 balestre, et alcune bombardelle, e con quelle tornò al suo primo luogo per respingere li nemici”. LA SVOLTA, SCATTA LA SECONDA PARTE DEL PIANO ACUTO Il comandante inglese, a questo punto della battaglia, confida al suo comandante in seconda Giovanni D’Azzo la seconda parte del suo piano, ossia l’intenzione di far sfilare il suo personalissimo esercito di inglesi dietro le truppe carraresi a presidio del fosso, di risalire lo stesso oltre le linee nemiche e prenderle alle spalle, eseguendo un accerchiamento completo e mettendo l’intero esercito scaligero nel “sacco”. “E finite le parole lasciò il comando del campo a Giovanni D’Azzo, passò con la sua schiera il fosso, ove era la spianata con 500 de’ suoi cavalieri, 500 arcieri e 500 balestre di Cermisone e con quelle si cacciò alle spalle dei nemici e comandò a messer Broglia, a messer Antonio Balestrazzo e a Biordo che con Cremisone (capitano della fanteria) andassero alle bandiere scaligere, e quelle per forza rompessero”. (Le squadre padovane dopo aver condotto tutta la battaglia sulla difensiva a presidio del passaggio sul fosso,
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dunque, ora vanno alla carica, spingendo indietro i nemici verso il loro campo, già accerchiato dai soldati dell’Acuto, per chiuderli in un sacco. L’azione dei carraresi si fa incalzante: attaccano le linee frontali di Giovanni D’azzo, attaccano le linee laterali dei fratelli da Carrara con i fanti di Cermisone oltrepassando il fosso, attacca il capitano John Hawkwood (Giovanni Acuto) con i suoi soldati inglesi da dietro alle spalle del campo scaligero. Il fronte di Giovanni D’azzo spinge indietro i soldati scaligeri che trovano sul fianco l’assalto dei fratelli Carraresi, assalto spinto tanto in profondità da tagliare in due la ritirata veronese che tuttavia rimane senza scampo in quanto la sua parte più avanzata è comunque destinata ad incappare nelle squadre inglesi che avevano già iniziato l’avanzata verso il centro del campo). L’EPILOGO, CADONO LE INSEGNE CON LA SCALA “Il sole avendo già fornito il suo corso del lume allora il signore messer Francesco novello cavalcando in quel luogo (dove ancora resisteva Giovanni D’Isola), et amorevolmente fattogli dire che si volessero rendere (arrendere) come avevano fatto gli altri, e di non voler mettersi egli e tutte quelle genti (i 4 mila villani della fanteria, le truppe degli appiedati venivano fornite dalla campagna) al pericolo; e dal detto Giovanni da Isola fu risposto di volersi difendere fino alla morte; allora il signore da Carrara disse di voler dare fine alla spedizione a que’ fanti restati de’ nemici; e così la sua dolcezza quasi rivolse in crudele operazione”. Il Virgolettato è tratto da “Cronaca di una battaglia” articolo pubblicato sul periodico a cura del Gruppo Bassa Padovana “l’Adese” N.2 del dicembre 2004. Le immagini sono state fornite da Roberto Ghedini e Giulia Grigoli, oltre che di Gabriele Gaino e sono state scattate lo scorso 9 marzo, durante la rievocazione storica della celebre battaglia alla quale hanno partecipato circa 250 figuranti appartenenti a diverse compagnie d’arme provenienti da: Veneto, Emilia, Lombardia, Friuli, Marche e Alto Adige. Ideatore dell’iniziativa è stato Giorgio Gaino, della compagnia li Squarzacoje di Saletto (PD), ma fondamentali per la riuscita dell’evento sono stati i ragazzi della compagnia Doppiosoldo di Verona.
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GAL PATAVINO E GAL BASSA PADOVANA,
progetti per il Turismo Rurale Aziende agricole ed agrituristiche, Enti locali, Consorzi di promozione turistica sono stati i principali destinatari dei contributi assegnati dai due GAL per finanziare progetti per aumentare l’attrattività dei luoghi di elevato interesse, garantendone la fruibilità attraverso la valorizzazione dei percorsi o itinerari con particolare attenzione a quelli enogastronomici, agrituristici e ambientali
T
utelare un territorio non significa solo preservarne gli aspetti peculiari, ma anche valorizzarne le potenzialità e accompagnarne la crescita. In un periodo come quello attuale, caratterizzato da una crisi senza precedenti che in pochi anni ha letteralmente smontato alcune certezze legate all’economia e allo sviluppo, tornare a parlare di Agricoltura e Turismo è una frontiera che solo ora pare essere presa veramente in considerazione. Dunque merito in parte della crisi.Il merito certo, invece, è quello che va riconosciuto ai GAL, che con la loro azione hanno tradotto in vere opportunità linee e misure del Psr, ossia del Piano di Sviluppo Rurale. Come dire: dalla carta alla concretezza, anche grazie ai fondi destinati allo scopo dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (Feasr) che sono stati assegnati proprio dai GAL attraverso bandi. Si tratta di cifre importanti: 6.379.019,24 di euro per quanto riguarda il GAL Patavino e altri 5.330.258,33 gestiti dal Bassa Padovana, entrambi protagonisti nel quadrilatero di provincia i cui apici vanno da Veggiano ad Agna e da Castelbaldo ad Anguillara Veneta. I fondi sono stati stan-
ziati attraverso bandi e hanno finanziato progetti inerenti all’agricoltura, al turismo, all’artigianato a e alla promozione dei prodotti tipici locali e del territorio, all’interno di una programmazione che come periodo va dal 2007 al 2014.
I DESTINATARI DEI CONTRIBUTI Diversi sono stati i destinatari dei contributi assegnati dai due GAL: Aziende agricole ed agrituristiche, Enti locali, Consorzi di promozione turistica, privati. I contributi hanno finanziato progetti, rivolti ad aumentare l’attrattività dei luoghi di elevato interesse, garantendone la fruibilità attraverso la valorizzazione dei percorsi o itinerari con particolare attenzione a quelli enogastronomici, culturali e ambientali. Consolidare questi progetti significa migliorare la qualità della vita nelle zone rurali attraverso una diversificazione delle attività agricole e la promozione dei prodotti e dell’offerta più generale del territorio.
AZIENDE Sono state destinate risorse alle aziende agricole che in questi anni hanno investito
per migliorare la competitività e accorciare la filiera, mediante la trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Altro ambito d’investimento scelto dal GAL Patavino ha riguardato la promozione dei prodotti a marchio riconosciuto finanziando il Consorzio Doc Vini Euganei, che ha promosso l’eccellenza del Fior d’Arancio. Il GAL Bassa Padovana, invece, ha rivolto la sua azione a sostegno del miglioramento, delle produzioni della cantina di Conselve, del Mulino Quaglia di Vighizzolo e del Consorzio agrario del Nordest. A quest’ultimo, in particolare, per migliorare la produzione della “Farina due Passi”, prodotta dalle aziende agricole del territorio di Padova e Venezia. Importanti risorse (oltre 2,3 milioni di euro) hanno permesso ai due GAL padovani di finanziare progetti inerenti la multifunzionalità delle aziende agricole, sia in direzione delle fattorie didattiche che di quelle sociali o quelle che si sono strutturate per un servizio di ospitalità. Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007-2013, Asse IV Leader Organismo responsabile dell’informazione: GAL Patavino e GAL Bassa Padovana Autorità di Gestione: Regione del Veneto Direzioni Piani e Programmi del Settore Primario
GAL PATAVINO SCARL - Via S. Stefano Sup., 38 - 35043 Monselice (PD) - Tel. 0429 784872 - Fax. 0429 784972 info@galpatavino.it - www.galpatavino.it - www.facebook.com/galpatavino
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ITINERARI La riqualificazione e messa in rete di itinerari naturalistici è uno degli obbiettivi perseguiti dai GAL padovani, al fine di intercettare le direttrici dei flussi turistici, come quelli legati al benessere dei centri termali o alla fede del “Santo” a Padova, convogliando i visitatori verso le aree rurali. Ciò permette di ottenere due proficui risultati, da una parte l’aumento dell’attrattività attraverso la tutela del paesaggio e la maggior fruibilità dei luoghi, e dall’altro la differenziazione dell’economia a beneficio di un’offerta legata alla cultura, all’ospitalità e ancora ai prodotti tipici. Per raggiungere tali obiettivi il GAL Bassa Padovana e il GAL Patavino hanno finanziato con oltre 700 mila euro, la Provincia di Padova per la riqualificazione e messa in rete di percorsi ciclo pedonali che realizzeranno l’itinerario “Anello delle Città Murate” (che collegherà i Comune di Este con quello di Montagnana interessando anche Urbana, Merlara, Megliadino S. Vitale, S. Margherita d’Adige, Vighizzolo d’Este e Carceri). Questo itinerario, inoltre, trova il naturale punto di congiunzione con l’Anello dei Colli Euganei nel Comune di Este. Ed è proprio quest’ultimo ad essere stato finanziato, dal GAL Bassa Padovana, con 77.069 mila euro per la realizzazione di un percorso ciclo pedonale che servirà a collegare, attraverso il canale Restara, l’Anello delle Città Murate con con l’Anello dei Colli Euganei, valorizzando nel contempo il Parco Restara: 92.000 m2 di verde con 15.000 mila essenze autoctone. Spostandoci verso l’area più a nord del territorio dei GAL, sempre la Provincia di Padova è stata finanziata per la realizzazione di un altro importante collegamento tra l’Anello dei Colli Euganei e l’antica Via del Sale e dello Zucchero. Tale intervento, che interessa i Comuni di Due Carrare e Cartura, permetterà di valorizzare l’importante borgo di Pontemanco - frazione di Due Carrare- e gli scorci della campagna intatta di Cartura, ma soprattutto collegherà i Colli Euganei a Chioggia. A completamento degli interventi di valorizzazione e messa in rete dell’offerta di turismo rurale, i GAL hanno finanziato la Provincia di Padova per l’installazione, in ognuno dei 53 comuni dell’area target di competenza, di monitor touch- screen, al fine di facilitare il turista/visitatore nell’accesso delle informazioni utili per fruire dell’offerta del territorio.
Tali monitor saranno collegati ad un unico sistema informativo, scaricabile anche su tablet e smartfone, che permetterà di ottenere in modo immediato le informazioni geo referenziate relative a eventi, itinerari, accoglienza, ristorazione, etc. Sempre legato alla valorizzazione di percorsi di mobilità lenta lungo i corsi d’acqua è stato finanziato il progetto “Tur Rivers” che ha coinvolto, oltre ai due GAL padovani, il GAL Antico Dogado, i due GAL polesani e un GAL Emiliano. Il progetto permetterà di collegare itinerari che da Cervia, passando per il Po, l’Adige e il Bacchiglione arriveranno fino alle zone del basso veronese.
PROGETTI TURISMO Un’altra strada percorsa dal GAL Patavino, capofila e dal GAL Bassa Padovana, partner assieme ai GAL Antico Dogado, della Pianura Veronese, Terra Berica, Montagna Vicentina e un GAL Finlandese, per aumentare il turismo nei centri minori, è il progetto “Rural Emotion”. Il progetto è rivolto sia alla valorizzazione e promozione degli itinerari attraverso la realizzazione di punti di informazione e accoglienza turistica, con l’installazione di totem touch-screen, sia alla realizzazione di nuovi itinerari culturali. Rural Emotion crea un collegamento tra i territori partner di progetto grazie ai personaggi illustri che vi sono nati, vissuti o che vi hanno soggiornato, lasciandone testimonianza nelle loro opere e nei loro scritti. Allo stesso progetto è legata la realizzazione e promozione di eventi di “geocaching”, una caccia al tesoro “high-tech” in cui i partecipanti, detti “geocacher”, attraverso l’utilizzo di un ricevitore GPS ricercano oggetti di differenti tipologie e dimensioni, chiamati “cache”, nascosti lungo percorsi o itinerari ma vicini ai “tesori” rurali. Il primo di tali eventi, gratuito e aperto a tutti, sarà realizzato proprio a Monselice sabato 14 giugno 2014. Nel corso del 2014 saranno inoltre impiegati oltre 1,3 milioni di euro per la concretizzazione di progetti finalizzati alla promozione e commercializzazione dell’offerta di turismo rurale, realizzati da: Consorzio di Promozione Turistica di Padova; Consorzio Terme Euganee; Comune di Este, capofila del progetto “Eidos” che vede coinvolti i comuni di Anguillara Veneta, Bagnoli di Sopra, Carceri, Conselve e Pernumia; Comune di Villa Esten-
se, capofila del progetto “Pechète” che vede coinvolti i comuni di Sant’Elena e Sant’Urbano nella valorizzazione del bosco dei Lavacci con il coinvolgimento dei bambini delle scuole; Comune di Abano Terme, capofila del progetto “Euganei da assaporare” che vede coinvolti anche i comuni di Torreglia, Montegrotto, Battaglia Terme e Teolo nella valorizzazione di eventi esistenti in particolare in ambito enogastronomico ed infine il progetto della Strada del Vino dei Colli Euganei che con il suo progetto “Vivere i Colli Euganei” andrà a realizzare, tra le altre, un documentario sui prodotti enogastronomici che contraddistinguono i Colli Euganei. La messa in rete di tali progetti permetterà di completare un processo virtuoso che intende fare delle aree dei due GAL padovani vera e propria destinazione turistica al pari delle città d’arte, del turismo balneare e di montagna.
OPEN MARKET L’obiettivo generale del progetto di cooperazione, di cui il GAL Bassa Padovana è capofila, è di sostenere l’offerta turistica rurale dei territori partner attraverso la calendarizzazione dei mercati rionali e contadini e degli eventi correlati. In tal modo i mercati rionali e contadini diventeranno eventi e l’insieme di essi costituirà l’itinerario attraverso il quale gli abitanti ma soprattutto i visitatori potranno scoprire i tesori dei territori interessati dal progetto. Obiettivo secondario, ma non di minor importanza, è rappresentato dalla riqualificazione dei mercati che negli ultimi tempi hanno appiattito la loro offerta e, conseguentemente, la loro attrattività.
BORSA DEL TURISMO RURALE GAL PATAVINO È stato confermato che in autunno del 2014 si terrà a Monselice la Borsa del Turismo Rurale, importante iniziativa che permetterà agli operatori del turismo dei territori GAL di incontrare, far conoscere e proporre i nostri pacchetti turistici ai Tour Operator nazionali ed esteri e ai giornalisti della stampa specializzata. La Borsa del Turismo nasce dal progetto REM e coinvolge cinque Consorzi di promozione del Veneto ma intende aprirsi a tutta la Regione, per diventare la vera e propria Borsa del Turismo Rurale del Veneto.
GAL BASSA PADOVANA - Via Santo Stefano Superiore, 41 - Ca’ Emo 35043 MONSELICE (PD) - Tel. 0429 784688 Fax 0429 784972info@galbassapadovana.it - www.galbassapadovana.it - www.facebook.com/galbassapadovana
CONOSCERE LA CITTÀ
Montagnana storica e storie di Montagnana Montagnana val bene una Pienza e di Sabbioneta è almeno il doppio, questo per dire che qui, per storia, arte e bellezza, non manca proprio niente
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anche se, a dire il vero, la certezza della genesi del lcuni Papi e i grandi di dinastie nel loro masnome rimane un sfuggente interrogativo. Paradossalsimo splendore hanno immaginato e realizzamente di certezze, per Montagnana, si può parlare to città ideali: Pienza è stata il sogno di Papa solo a cominciare dai secoli più incerti e burrascosi Enea Silvio Piccolomini, Pio II, e la mantovana Sabbiodella storia, quelli che seguirono le calate dei barbari neta quello realizzato dagli ingegneri dei Gonzaga. in pianura con avvicendamenti continui tra Franchi e Montagna pur non nascendo da un disegno archiLongobardi e Longobardi e Franchi con buona pace tettonico d’unico insieme è città perfetta. Malgrado il di quest’ultimi che nel territorio hanno lasciato poco profilo sia quello merlato delle città belliche, l’equilipiù che niente. Dei longobardi invece e rimasto un brio raccolto attorno alla sua piazza e al Duomo, colnome, Sculdascia o Scodosia ossia un distretto rurale locato di tre quarti per inserirsi nel migliore dei modi del quale Montagnana è stata senpossibili nel nodo di portici che Malgrado il profilo sia quello za dubbio capitale. Dal X secolo le occhieggiano sul liston, è pura armerlato delle città belliche, notizie hanno iniziato a farsi certe, monia rinascimentale di linee e di l’equilibrio raccolto attorno alla il 1° settembre 906 il nome compapieni attorno ai vuoti. Città bellica, sua piazza e al Duomo, è pura re per la prima volta. È in questo Montagnana, città strategica ancoarmonia rinascimentale di linee periodo che da rurale la “cittadina” ra prima che nel tardo Medioevo e di pieni attorno ai vuoti inizia ad essere castello, centro forla potente famiglia dei Carraresi tificato e riparo per gli altri borghi del contado. Niente decidesse di cingerla con una corona di mura, per a che vedere con quanto esiste oggi attorno alla città, difenderla dalle incursioni delle città stato. Verona in si trattava di spalti in terra e legname, ma abbastanza primis e Venezia che degli stessi Carraresi è stata il sicuri da respingere il primo assalto del terribile Ezzedefinitivo “de profundis”. Ma Montagnana non è solo lino Da Romano, non il secondo però: quello che ai medievale, l’archeologia ha restituito tracce molto più montagnanesi costò la città. Al sedicente distruttore antiche. Le prime sembrano essere quelle dei piedi e torturatore vicario dell’Imperatore Federico II, però, nudi degli Euganei che in epoca paleoveneta scenMontagnana deve un castello, fonti incerte vogliono devano i colli per raggiungere i posti più sicuri della che sia quello di San Zeno, eretto dal sanguinario nel pianura. Sicuri perché sopraelevati rispetto ad un pia1242, insomma pare che fu lui a dare il via alla cortina no campagna periodicamente alluvionato, costantedi mura che ai Carraresi, toccò ultimare fra il 1360 e mente in balia dell’Adige e dei suoi spostamenti su 1362. Ma si sa che comprare quattro mura è anche letti pensili, “amache” sabbiose che in epoca romana un po’ comprare la tristezza di chi ci abitava, così agli potevano benissimo chiamarsi Monta(ta) An(ne)iana, stessi Carreresi non toccò destino migliore di quello ossia vie sopraelevate (come le varie Levà o Montà di Ezzelino, con il volgere del secolo volsero anche attestate dal Medioevo) che in accostamento al tole loro fortune. Nel 1405, infatti, il leone di San Marco ponimo Anneianum (o Eniano/Aneiano), ad indicare era già sopra la colonna nel centro cittadino con la un fondus oppure una zona di sosta, fanno apparire sua potente zampa sul grosso libro. come da un rebus l’origine del nome Montagnana,
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Disegno di Leone Parolo tratto da Montagnana Maraviglievole
CONOSCERE LA CITTÀ
QUATTRO PASSI Servono davvero quattro passi per scoprire ogni bellezza della città, dalla Rocca degli Alberi a Castel San Zeno la storia che è passata tutti i giorni da porta a porta è diventata parte integrante del centro. Oltre che per le mura, infatti, il fascino della città deriva anche dai suoi palazzi, come l’elegante Valeri, sulla piazza cittadina o l’antico Monte di Pietà. In via Matteotti sta il palazzo Magnavin-Foratti, in raffinato stile gotico-veneziano, che si dice sia stata la residenza di Jacopa, moglie del condottiero Erasmo da Narni detto il Gattamelata. In via Carrarese si trova il Municipio, opera attribuita all’architetto veronese Michele Sanmicheli (1532). A fianco di Porta Padova c’è il museo che custodisce il passato antico, romano, moderno e contemporaneo della città con una sala dedicata ai due giganti della musica lirica: Giovanni Martinelli e Aureliano Pertile. Ancora due passi, fuori porta Padova e si trova villa Pisani, un capolavoro del Palladio. Poco oltre Porta Vicenza, invece, parte un bellissimo percorso naturalistico, il Parco Fiumicello, costeggiato dall’omonimo corso
Attorno alle due principali porte cittadine si snodana la cortina muraria di quasi 2 chilometri, intervallata da 24 torri, la cui altezza varia dai 6,5 agli 8 metri
d’acqua che un tempo alimentava il fossato delle mura. Punteggiato da boschetti, laghetti è un luogo particolarmente suggestivo, specialmente di sera... visto che l’intero percorso è illuminato. Altra particolarità è l’avio superficie che oltre ad essere immersa in un piccolo paradiso terrestre è una scuola di volo, un museo e periodicamente ospita manifestazioni con aerei d’epoca.
Foto di Kama
Foto di Dal Prà
DENTRO E FUORI LE PORTE CITTADINE
Villa Pisani
Palazzo San Micheli
Palazzo Valeri
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CONOSCERE LA CITTÀ
Il duomo (1431-1502), Eccentrico per le sue cuspidi gotiche che sormontano una facciata rinascimentale nel quale è incastonato un capolavoro “di portale” del Sansovino. Dentro, le pareti sono preziose per via delle tante mani che vi hanno lasciato impresso o appeso qualcosa, le mani del Veronese nella Trasfigurazione dell’altar maggiore, quelle del Giorgione nella controfacciata con un David e una Giuditta ai lati dell’ingresso o il pugno del Buoconsiglio che ha firmato un imponente ciclo di affreschi. Foto di Piero Dal Prà
LA CITTÀ E IL PROSCIUTTO Ricorrere al sale per conservare il cibo è tradizione antica, lo conferma un documento dell’epoca romana, il “De Agricoltura”, datato II secolo avanti Cristo, in cui l’autore, Catone, parla di tecniche di conservazione della carne suina tramite il sale e il prosciugamento, molto simili a quelle dei giorni nostri. Altre fonti appena posteriori indicano i Galli come i maggiori esperti nella lavorazione delle carni suine. Con le successive invasioni barbariche il suino diventò una delle risorse più importanti dei villaggi, e prosciutti, spalle, pancette si trasformarono addirittura moneta di scambio. Nel Medioevo il pascolo dei
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maiali aveva tale valore, che i boschi erano misurati in base alla loro capacità di nutrire i suini. A Montagnana è più o meno nello stesso periodo che risalgono le prime leggi che ne regolarono la presenza all’interno delle mura, la lavorazione e il commercio. Al maiale, infatti, lo statuto del 1366 dedica ben cinque capitoli, segno evidente che la sua presenza era tutt’altro che sporadica. Risale al 18 aprile 1634, invece, un documento che comprova l’esistenza del prosciutto di Montagnana, che a quanto pare già all’epoca veniva venduto affettato e a un prezzo piuttosto contenuto, 14 lire la libbra. Costava di più la sopressa il cui valore
UN PERCORSO
CONOSCERE LA CITTÀ
TRA CHIESE, CONVENTI E HOSPITALI
Montagnana oltre ad un percorso storico offre un viaggio all’interno della spiritualità, un modo diverso per farsi conoscere anche sotto un altro punto di vista CONVENTO DI SAN FRANCESCO Lo stile romanico indica un’edificazione precedente al ‘300, più tardo è il campanile, risalente all’anno 1429, molto pregevole anch’esso dal punto di vista architettonico, con la cella campanaria a bifore gotiche e la copertura conica a pigna. All’interno, sopra la porta un elegante loggiato accoglie un prezioso organo settecentesco, opera del Callido. Di pregio, tra le decorazioni, la Madonna con Bambino di Palma il Giovane, bellissimi affreschi quattrocenteschi, una tela raffigurante S. Agata del figlio di Paolo Veronese, Carletto Caliari (1572 - 1596). LA CHIESA MONASTERO DI SAN BENEDETTO Agli inizio del ‘500 ospitava le suore benedettine, che si assunsero il compito di educare le giovani. La tradizione proseguì fino al 1807, quando il governo napoleonico soppresse il convento per sostituirlo dal 1811 con un Collegio Femminile di Stato che sussiste ancora (Educandato Statale S. Benedetto). La chiesa attuale fu costruita nel 1771 in un elegante tardo barocco.
LA CHIESA DI SAN ANTONIO ABATE È la più antica chiesa di Montagnana, della cui esistenza si tramandano notizie almeno dal dodicesimo secolo. Eretta in un romanico povero ma dignitoso, apparteneva ad un antico convento, retto dai cosiddetti frati del Tau o Antoniti, in quanto seguaci dell’antico eremita egiziano, dediti alla cura dei pellegrini e dei malati, soprattutto degli affetti dal “fuoco di Sant’Antonio”. Pare che fosse usato il grasso di maiale per lenire i dolori dei malati sofferenti e a questo proposito si noti la curiosa cimasa al di sopra della piccola abside della cappella laterale a forma di ghianda. Negli anditi della chiesa di Sant’Antonio si celano i misteri della presenza dell’ordine templare (di cui si conservano le banderuole segnavento e l’acquasantiera a guisa di elmo rovesciato con le croci dell’ordine), che avrebbero qui infuso la sua arte nel posizionamento dell’edificio: alla nona ora del 17 gennaio, festa del dedicatario della costruzione, un raggio di luce attraversa il rosone e si proietta sull’altare maggiore. (Fonte: Borghi e Castelli: tra Padova e Verona. Itinerario attraverso la storia)
LA CHIESA DI SAN ZENO L’esistenza di una chiesa titolata a San Zenone è documentata fin dal 1073. La chiesa che vediamo oggi, tuttavia, probabilmente risale agli inizi del ‘400, come attestano brani di affresco. Oltre a questi ad impreziosire l’interno concorrono gli affreschi ottocenteschi della cappellina con l’urna di San Cesareo e la statua barocca della Vergine del Carmelo, attribuita alla settecentesca bottega padovana del Bonazza.
LA MADONNA DI FUORI Un po’ isolata ma in felicissima posizione, la chiesetta della Madonna di fuori è quanto rimane di un complesso molto più grande. L’edificio, infatti, fu ricavato dalla Cappella laterale sinistra di un’antica chiesa un tempo annessa al convento dei Frati Minori Osservanti. Notevole l’espressiva “Pietà” in pietra, altorilievo databile XV secolo. Rimane ancora un’idea di campanile, con la sua unica campana.
SAN GIOVANNI DEI BATTUTI Erano circa una trentina gli appartenenti alla Confraternita dei Battuti che agli inizi del ‘400 reggevano la chiesetta dentro alle mura. I Battuti erano gli appartenenti a diverse confraternite di laici attive dal medioevo. Il nome deriva inizialmente dalla penitenza della flagellazione, infatti nel giorno del Corpus Domini accompagnavano la processione fustigandosi.
IL PIO OSPEDALE DELLA NATIVITÀ L’antico Ospedale cittadino della Natività in via Dei Montagnana, che a prima vista può sembrare una chiesa convento, offriva in realtà assistenza medica ai poveri e ospitalità alle persone abbandonate. Nonostante una parte degli affreschi sia stata strappata e portata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia, rimangono interessanti tracce di opere del Buonconsiglio.
Foto di Piero Dal Prà
ammontava a 18 lire la libbra, mentre i “saladi” venivano venduti 12 lire la libbra, poco più delle candele di sego che invece venivano acquistate a 10 lire la libbra. I primi dati certi sulla consistenza del patrimonio suinicolo della città murata risalgono a una indagine compiuta il 12 settembre 1807 condotta dal daziario Luigi Perazzolo che attestò la presenza di 600 maiali allevati. Alla fine dell’800 iniziarono a diventare noti i primi nomi proprio grazie alla lavorazione delle carni dei maiali. Girolamo Badiello e Angelo Monzardo furono tra questi e il figlio di Angelo, Enrico, nato nel 1823, con la sua bottega di via Alberi è da considerarsi tra i pionieri dei moderni prosciuttifici. Seguirono ai primi del ‘900 i nomi di produttori rimasti ancora attuali come Soranzo seguiti nel dopoguerra da Fon-
tana e poi Tosetto fino alla storia recente che ha visto nascere nel 1971 il Consorzio Tutela Prosciutto Veneto Berico - Euganeo, al quale negli anni ’90 l’Unione Europea ha riconosciuto la Denominazione di Origine Protetta. Questo articolo è stato redatto con i dati tratti dal libro di Antonio Borin “Note di storia montagnanese”
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CONOSCERE LA CITTÀ
Eventi TUTTO L’ANNO Non c’è stagione per una visita a Montagnana, ogni giorno è buono per conoscerne la storia e la ricchezza artistica della città murata. Tuttavia ci sono giorni in cui oltre alla scoperta del patrimonio cittadino si può vivere un giorno di festa, di grande festa. Un calendario di ricorrenze fisse, infatti, scandisce la vita del “borgo” facendone riassaporare sia il suo passato storico che il suo legame alla ruralità ⊲ OGNI TERZA DOMENICA DEL MESE, si tiene in città il mercatino dell’antiquariato e del collezionismo
NELLA CITTA MURATA, ARTIGIANATO E PRODOTTI TIPICI Montagnana non è solo la città del prosciutto, anche il suo più naturale accompagnamento, il melone, è tra le eccellenze del territorio. Alla produzione locale, ogni anno, viene dedicata una sagra con degustazioni e menù che lo vedono assoluto protagonista, come nell’ormai specialità montagnanese del risotto con melone e prosciutto. Sempre legata alla terra merita una visita la fattoria didattica di Lorenzo Bello, uno scorcio della campagna di un tempo e dei suoi mestieri. A fianco dei prodotti della terra ci sono quelli dell’artigianato con lavorazioni del vetro e del ferro che raggiungono risultati artistici, nei sottoportici cittadini alcune botteghe espongono i loro prodotti arricchendo l’offerta rivolta ai visitatori. Il territorio, poi, è famoso per il mobile in stile, qui valorizzato da una scuola di decorazione del mobile che sta diventando una vera peculiarità locale.
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⊲ IN PIENA ESTATE, tra la fine di giugno e gli inizi di luglio, ogni anno si tiene in città Il Concorso lirico dedicato alla memoria dei due grandi tenori veneti, Martinelli e Pertile, noti in tutto il mondo per le eccelse virtù vocali ed artistiche. Il Concorso è internazionale ed è aperto alla partecipazione di cantanti lirici di qualsiasi nazionalità. ⊲ I L 15 AGOSTO, SAGRA DELL’ASSUNTA, patrona della città con mercatino dei prodotti tipici, lunapark ed esposizioni dell’artigianato locale ⊲L A PRIMA DOMENICA DI SETTEMBRE si corre il Palio dei 10 comuni, la rievocazione storica del Medioevo della città: dal periodo della tirannide di Ezzelino da Romano al successivo periodo Carrarese. Dal mattino in città si tiene l’antico mercatino dell’artigianato e vari spettacoli con a tema il Medioevo. Dal pomeriggio prende il via la manifestazione vera e propria con un’imponente sfilata con oltre mille figuranti in costume e la corsa dei cavalli. ⊲L A PRIMA DOMENICA DI OTTOBRE, si tiene “Montagnanese in fiera” che insieme ad altri eventi legati all’autunno e ai suoi prodotti, come Sapori d’Autunno o la Festa del Fuoco, richiamano la vocazione rurale della città. Per un intero sabato e domenica il vallo delle mura e l’intero centro cittadino si riempiono di bancarelle con i prodotti agricoli, oggetti e lavorazioni della tradizione popolare, macchine agricole, degustazioni dei prodotti tipici, piante, fiori e ovviamente tanti animali. Insieme al Palio è uno degli eventi che richiamano in città il maggior numero di presenze.
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Hostaria Zanarotti, in centro a Montagnana una cucina moderna che sa di tradizione
Il prosciutto è di casa all’Hosteria Zanarotti di Montagnana, da qui infatti è uscito il primo “schissotto”con il prosciutto dolce di Montagnana, oggi un’ autentica specialità della città murata. Ma i Zanarotti non sono solo un forno, al pane Arturo ha associato il vino, ritagliando a fianco della storica bottega di famiglia un’enoteca dove insieme alle etichette più rinomate del panorama vinicolo ci sono anche i vini del territorio. A completare l’offerta mancava l’ospitalità... mancava, appunto, perché oggi Zanarotti è anche un originale ristorante. Un tempo l’ospitalità era legata alla casa. Si ospitava in casa, infatti. In tinello quando la visita era di pochi minuti, in sala da pranzo o in cucina quando l’ospite si intratteneva per il pranzo o la cena. È questo antico rito che Arturo Zanarotti si è ispirato per dare forma al proprio ristorante. Pochi posti, 25-30, per un menù della tradizione ma rivisto con ricette gourmet per appagare la cultura e la cultura del mangiare. Le cotture dei cibi sono lente, come un tempo lentamente andavano i pentolini sulla piastra della stufa a legna, quando più che cuocere gli alimenti “pipavano” in un sommesso brontolio. Insomma in “sala” da Zanarotti predomina la distensione, il tempo reale delle cose, qui viene servita quella dimestichezza che allontana l’imbarazzo di quando ci si sente fuori posto perché sulla tavola ci sono troppi bicchieri e non si sa quale sia quello per il vino o tra le posate non si riesce ad individuare la forchetta per il pesce. Ospitalità significa sentirsi come a casa, in più qui la casa è bella e mangiare bene significa cibarsi di prodotti sani ma anche preparati correttamente, ossia cotti con le giuste temperature che ne preservano le caratteristiche nutrizionali e i sapori originari. Il pane e i dolci, compreso il celebre “schissoto”, e la pasta fatta in casa completano l’offerta “nostrana”, come del resto la carta dei vini parla del territorio, pur non mancando le grandi etichette.
HOSTARIA ZANAROTTI • via Matteotti, 3 • 35044 Montagnana (PD) • Tel. 0429 800383
LA MAGIA DEL PROSCIUTTO “Il mio prosciutto ha una particolarità - spiega Arturo - è aromatico. Non basta che un prosciutto sia dolce, io ritengo che il profumo sia fondamentale per il prosciutto, quando questo ha una vocazione identitaria per un territorio. Infatti, una volta le cosce di maiale venivano riposte su delle mensole di abete per la stagionatura e il legno, come succede per il vino nelle barrique del resto, conferiva un particolare aroma. Io seleziono personalmente i prosciutti per il ristorante e di solito cerco quelli con questo straordinario profumo che trovo s’intoni perfettamente con la storia di questa città”.
sarà presente alla
FESTA DEL PROSCIUTTO di Montagnana
Una delle serate in programmazione dal 16 al 25 maggio sarà all’insegna di un menù a base di prosciutto curato da Arturo Zanarotti e dallo chef Simone Camellini
OLTRE L’ENOTECA E IL RISTORANTE L’Hosteria Zanarotti non è solo un’enoteca e un ristorante, è anche un luogo conviviale nel quale incontrarsi per parlare di vino o di cibo. Oppure di entrambi. Le occasioni non mancano. L’Hostaria è la sede dell’associazione “Vino veritas” che periodicamente organizza serate di degustazione di vini alla ceca, con produttori locali e esperti dell’Ais e appassionati. Partiranno i corsi di cucina con l’intervento di uno chef stellato (Simone Camellini del Montecchia Golf Club di Galzignano). Per le esercitazioni verrà usato un forno identico a quelli di casa, così da non alterare i risultati tra la teoria e la pratica. Inoltre i locali dell’enoteca e del ristorante ospiteranno per qualche mese le opere di Girolamo Dalla Guarda, pittore vicentino e saranno a disposizione per ospitare qualche altro artista in futuro. Chi è armato di tavolozza e pennello si faccia avanti!
GNOCCHI ALLA MONTAGNANESE • 200 gr semolino • 700 gr latte • noce moscata • 25 gr burro • 2 tuorli Formare una polentina, lasciarla raffreddare un po’, poi aggiungere i tuorli, distendere la pasta e formare i gnocchi con il copapasta mettere su teglia con fiocchetti di burro e formaggio grana padano a gratinare. Impiattare qualche gnocco con un filo d’olio d’oliva e appoggiarvi sopra il prosciutto DOP finissimo.
arturo@zanarotti.it • www.zanarotti.it •
Hostaria Zanarotti
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DeterSan Group S.r.l.
Igiene professionale e attrezzature per comunità e industria
Vent’anni di esperienza in materia di igiene e merceologia
L’azienda non è una semplice “Fornitrice di Prodotti” ma un “Partner di Servizi” attenta alle esigenze del cliente e di tutti i suoi operatori, capace di condurre analisi dettagliate delle modalità operative, sia per i prodotti da utilizzare che per le attrezzature da impiegare, ed esperta nella consulenza tecnica che sviluppa con corsi specifici ed aggiornamenti periodici sui prodotti, sulle norme, sulle leggi e sui decreti La qualità dei prodotti dipende da molti
per le attrezzature da impiegare, ed esperto nella consulenza tecnica
fattori. I metodi di produzione sono deter-
che sviluppa con corsi specifici ed aggiornamenti periodici sui pro-
minanti per il risultato finale, come pure
dotti, sulle norme, sulle leggi e sui decreti.
l’accurata scelta delle materie prime ma di certo non può essere sottovalutato
IL METODO DETERSAN GROUP
l’aspetto sanitario nel quale avvengono le
Il metodo DeterSan Group si basa
lavorazioni. Sanificazione, disinfezione e
prima di tutto su un concetto ca-
disinfestazione, infatti, sono procedimen-
tegorico, “Non ci possono esse-
ti che entrano a pieno titolo nella qualifi-
re alibi in materia di pulizia”. La
cazione del prodotto, come di qualità, garantendo al consumatore
qualità dei prodotti da destinare
finale la certezza di una merce sana. La padovana DeterSan Group
al consumatore finale, infatti, non
srl si pone tra le aziende leader del settore della sanificazione, gra-
può prescinde dai requisiti di si-
zie ad un’esperienza ventennale condotta nelle principali aziende del
curezza igienica degli ambiti in cui avvengono le lavorazioni.
Triveneto. Che si tratti di settori della Comunità o dell’Industria, o
Sul “campo”, invece, il metodo si struttura in una serie di inter-
di specifiche aree quali quelle alberghiere, sanitarie, della ristorazio-
venti, obbligatoriamente concordati con il cliente a cominciare dal
ne, dell’alimentare o sportiva e zootecnica, DeterSan Group mette a
programma di lavoro, specificando le modalità di esecuzione e la
disposizione oltre 250 prodotti basati sui più importanti e utilizzati
frequenza delle operazioni di intervento, ossia se giornaliere, setti-
principi attivi, tra i quali varie referenze “ECOLABEL” e a marchio
manali o mensili. Il risultato è sempre garantito in quanto durante le
PMC (presidio medico-chirurgico), oltreché apparecchiature tec-
fasi del processo produttivo è possibile verificare se i risultati siano
nologicamente avanzate per ogni tipo di impiego. Tuttavia l’azione
conformi alle specifiche di qualità ed eventualmente intervenire tem-
dell’azienda padovana non si limita a questo, anzi, uno degli obbiet-
pestivamente per riportare ai livelli richiesti le prestazioni. Il cliente
tivi dell’attività è instaurare un rapporto con il cliente che vada ben
riceve un costante feedback delle attività svolte e ciò gli consente
oltre al puro aspetto commerciale. DeterSan Group non è un sempli-
una verifica immediata dell’esecuzione dei servizi, le migliori con-
ce “Fornitore di Prodotti” ma un “Partner di Servizi” attento alle esi-
dizioni per affrontare la corretta applicazione del piano HACCP e di
genze del cliente e di tutti i suoi operatori, capace di condurre analisi
conformarsi alle norme GMP che attengono alla buona fabbricazione
dettagliate delle modalità operative, sia per i prodotti da utilizzare che
dei prodotti.
DETERSAN GROUP SRL Via A.Volta, 4 – Brugine (PD) Tel. 049 580 6813 - Fax 049 580 6996
SANIFICAZIONE IN HACCP riduzione della contaminazione batterica OBIETTIVI
eliminazione completa dei germi patogeni
Un corretto sistema di pulizia si articola in due momenti
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detersione disinfezione
rimozione dello sporco distruzione dei microrganismi patogeni
La disinfezione sarà tanto più efficace quanto più accurata sarà stata la detersione
L’IMPORTANZA DELLA SANIFICAZIONE PER L’ADOZIONE DEL SISTEMA HACCP
1
SANIFICAZIONE IN HACCP SUCCESSIONE DELLE OPERAZIONI
L’HACCP (Hazard Analysis Critical Control Points) sono i sistemi di autocontrollo che mirano a identificare ed analizzare i danni associati ai differenti stadi del processo produttivo di una derrata alimentare e definire quali mezzi sono necessari per neutralizzarli ed
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pulizia preliminare con acqua calda
per eliminare lo sporco più evidente
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applicazione di una soluzione detergente riscaldata 50°C
elimina i residui di sporco
ed efficace.
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lavaggio intermedio a caldo
per asportare la soluzione detergente e il sudiciume
Il sistema HACCP deve essere considerato come un approccio or-
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disinfezione
per uccidere i microrganismi rimasti
ganizzato e sistematico in grado di costruire, mettere in atto o mi-
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risciacquo finale
per eliminare ogni traccia di disinfettante
assicurare che questi mezzi siano messi in atto in modo efficiente
gliorare la garanzia di qualità microbiologica, fisica e chimica degli alimenti. Il sistema HACCP viene elaborato per un prodotto specifico, per la sua produzione e per i rischi che esso può comportare per il consumatore. Il sistema HACCP è esplicitamente prescritto nelle varie leggi italiane e regolamenti europei in:”Il responsabile dell’industria alimentare deve individuare ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP” I principi sui quali si basa l’elaborazione di un piano HACCP sono i seguenti: a) analisi dei potenziali rischi microbiologici per gli alimenti; b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per
Importante il risciacquo finale! 2
SANIFICAZIONE IN HACCP REGOLE PER UNA CORRETTA PULIZIA Indossare abiti appositi per le operazioni di pulizia,
Non compiere pulizie durante la preparazione dei cibi Rispettare sempre le dosi indicate sulle confezioni di detergenti e disinfettanti
Rispettare le temperature di utilizzo indicate sulle schede di detergenti e disinfettanti Molti prodotti sono tossici: il risciacquo è importantissimo 3
gli alimenti; c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici microbiologici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti; d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici; e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d’attività, dell’analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza.
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STORIA E DINTORNI
Nella
I
IN BICI LUNGO GLI ARGINI DEI CANALI O LE CAPEZZAGNE ALBERATE CHE COSTEGGIANO I CAMPI, ALLA SCOPERTA DI UNA CAMPAGNA DAL NOME ANTICHISSIMO
Terradella
l termine Sculdascia deriva dal periodo longobardo e un tempo indicava una circoscrizione territoriale retta, appunto, da uno sculdascio. Oltre al nome di tale epoca non è rimasto altro, tuttavia la zona ha conservato quasi integralmente il suo aspetto rurale. Corsi d’acqua, idrovore, antiche pievi sono sparse in un fazzoletto di terra il cui fascino in questa stagione è notevole. I tratturi che insieme ai filari di alberi trapuntano la campagna o gli argini dei canali della bonifica sono percorsi ideali per raggiungere città storiche come Este o Montagnana, le distanze non sono notevoli un’oretta di bicicletta separa l’una dall’altra, lungo il corso del Frassine. Ma per tornare alla Sculdascia, il punto di partenza ideale per un’escursione su due ruote è villa Correr, un po’ più a sud dell’abitato di Casale di Scodosia. La villa veneziana, infatti si trova al centro della Sculdascia e nei pressi sorge la fattoria con agriturismo Altaura che oltre al pranzo o la cena è l’ideale per il pernottamento, nel caso che qualcuno volesse trattenersi per qualche giorno nel silenzio e nella pace della campagna della Bassa Padovana. Dalla villa sono diversi i percorsi che possono essere intrapresi, scendendo verso via Altaura si possono raggiungere le valli e proseguire alla scoperta del territorio attraverso uno dei tanti canali della bonifica e magari raggiungere l’idrovora Vampadore sulla sponda sinistra del Fratta. Il percorso poi può proseguire sulla sommità arginale del fiume, svoltando a destra si raggiungerà in questo modo un vecchio ponte Beiley. Il nome deriva dal suo ideatore, Donald Beiley, che progettò questo tipo di strutture durante la seconda guerra mondiale, per sostituire i ponti distrutti dalle operazioni belliche. Nella fattispecie prima di trovarsi qui era sull’Adige, a Masi dove il ponte venne bombardato la notte del 23 aprile 1945. Proseguendo ancora sulla sinistra del Fratta, la prima discesa porta a via Dolza, nella frazione di Minotte del comune di Merlara. La strada, tutta in asfalto, costeggia un piccolo corso d’acqua oltre il quale si schierano diverse case coloniche con tanto di silos. Raggiunto l’abitato di Minotte, svoltando in via Perarolo e girando ancora a destra al “ponte dei ladri” si tornerà su via Altaura e quindi alla Correr.
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Sculdascia
STORIA E DINTORNI VILLA CORRER Eretta verso la fine del XVII secolo fu la dimora estiva dei Correr, la nobile famiglia veneziana, infatti, possedeva cospicue proprietà nel sud-est del paese. La villa è emblema significativo dello splendore veneziano che risale ai tempi della sua dominazione, dagli inizi del 1400 alla fine del 1700. Costruita con materiali recuperati dalla precedente abitazione rustica del 1500, ad oggi mantiene ancora immutato il suo giardino, le decorazioni su intonaco in terra naturale e le finestre a medaglioni di Murano.
MONASTERO DI SAN SALVARO Oggi il complesso monastico ospita il Museo delle antiche vie, una mostra permanente degli oggetti e dei lavori che un tempo si svolgevano lungo le strade ma un tempo era un luogo strategico posizionato sul corso del fiume Fratta, a presidio del confine padovano dalle tentazioni espansionistiche della vicina Verona. Nato intono all’XI secolo come “scola sacerdotium” conobbe floridezza a cominciare dal 1181 quando divenne un satellite dell’importante abazia di Carceri, al tempo retta dagli agostiniani, passò ai camaldolesi nel 1407. Dal 1690 iniziò il suo declino quando dai monaci la proprietà passò alla potente famiglia veneziana dei Carminati che trasformarono il monastero in un’azienda agricola per sfruttare i tremila campi comprati insieme alle sacre mura. Da visitare la piccola chiesa che seppur rimaneggiata nei secoli conserva dietro all’altare un’immagine del Cristo Pantocratore, racchiuso nella mandorla con iscrizione “Ego sum lux mundi” di epoca tardo medievale. Si tratta di una delle opere di maggior pregio che rimangono dell’epoca. ABAZIA DELLA VANGADIZZA L’abazia della Vangadizza a Badia Polesine fu il centro operativo degli Estensi, infatti prima di diventare i signori di Ferrara, gli Este, furono i signori incontrastati della Bassa Padovana e del Polesine. L’abbazia risale al X secolo e per diversi secoli ha rappresentato il fulcro di questo territorio, potentissima, seconda solo al Polirone di San Benedetto Po, dipendeva direttamente dal Papa con privilegio di “nullius diocesis”. Come si diceva la sua edificazione risale ai primi anni del X secolo, quando il Marchese di Mantova, Almerigo, dispose l’edificazione di un tempietto lungo il corso dell’Adige in località Vangadizza. Successivamente il territorio passò al Marchese di Toscana ed infine agli Estensi. Come per Carceri, anche a Badia gli Estensi donarono possedimenti e finanziamenti per l’insediamento di monaci Benedettini. Alla Vangadizza, nel 1200 ai Benedettini succedettero i monaci Camaldolesi. Il XV secolo è il periodo di massimo splendore, l’abbazia ha giurisdizione su vastissimi territori polesani ed anche bolognesi, veronesi e padovani. IL MUSEO CIVICO A.E. BARUFALDI Il Museo si trova nel centro di Badia Polesine, (davanti al municipio) nelle sue tredici sezioni contiene reperti di varie epoche, a partire dal periodo romano fino al periodo risorgimentale, degna di nota la quadreria con l’esposizione dell’Ultima Cena del Bonsignori.
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Il filo d ' erba
Fattoria Altaura fa rima con Natura Potremmo definirla il parco in cui ci si svaga con la biodiversità, oppure l’angolo verde perfetto per le famiglie: insomma il posto ideale per chi ama stare all’aria aperta e alla natura vuole coniugare il buon cibo. Alla Fattoria Altaura funziona tutta la settimana un ristorante, dove insieme ai menù, preparati in stretta osservanza della stagionalità, la domenica viene offerta la possibilità di conoscere dal vero la vita dei campi, gli animali della fattoria e le tradizioni contadine; ma attenzione non è un museo, qui tutto è vivo e respira il presente come se il passato non fosse mai andato via. La località Altaura di Casale di Scodosia potrebbe essere il posto giusto dove trascorrere un giornata all’aria aperta. Vicino alla bellissima Villa Correr di Casale di Scodosia, nel verde della campagna circostante, c’è un punto verde che è ancora più verde del verde circostante. Punto per modo di dire: sono 26 ettari che la Fattoria Altaura coltiva con il metodo dell’agricoltura biologica, nel rispetto delle tradizioni e nella tutela del paesaggio. Infatti qui la natura si vede, si vive e si mangia. Lungo i campi incorniciati da lunghe siepi di rosa canina, sambuco e prugnolo è possibile conoscere le campagna e la sua storia, nei suoi colori e abitata dai suoi protagonisti. Gli asini e le mucche hanno i loro recinti sotto alle paulownie, anche l’ovile delle pecore si trova sotto a maestose piante, mentre galline, oche, anatre e conigli scorrazzano liberi tra aie e barchesse. Il bosco domina con i suoi 9 ettari e una passeggiata tra così tanti alberi potrebbe indurre a ritenere di trovarsi da tutt’altra parte, perché il verde è quello che altrove non si vede ormai più da anni. Ma vedere non basta, qui alla Fattoria Altaura si mangia e si mangia eccellentemente. I menu seguono la stagionalità e i piatti sono preparati con grande cura e serviti insieme ai vini del territorio. Se poi volete il caffè, avvisate per tempo, perché qui lo si fa con la moka.
A Tavola La tavola è elegante, preparata con cura come in un cerimoniale: nelle brocche d’acqua galleggiano petali di rosa o foglie di menta. La bocca del vaso trasparente è coperta con una cuffietta all’uncinetto: un gesto di educazione o di igiene... come mettere la mano quando si sbadiglia... Se è vero che il pranzo inizia con la “mise en place”, alla Fattoria Altaura è facile capire che nessuna delle portate che arriveranno dalla cucina sarà qualcosa di ordinario. I piatti sono semplici ma è proprio questa semplicità ad essere fuori dal comune, sentire i profumi e intensamente i sapori: quelli veri, quelli propri delle cose.
ANTIPASTI Spirali di piantaggine con ricotta profumata alla melissa Sformatino di carletti su passatina di ceci PRIMI Risotto con fiori di sambuco Tagliatelle al sugo di coniglio e rucola selvatica SECONDO Involtini di foglia di vite con pecora e aromi o polpettine di bovino al timo CONTORNO Cruditè di erbette di campo con fiori e semi Patate al forno con rosmarino GOLOSERIE Focaccia all’erba madre Biscottini alla lavanda Acqua e mokacaffè
IL FILO D’ERBA - AZIENDA AGRICOLA BIOECOLOGICA ALTAURA E MONTE CEVA Via Correr, 1291 - Altaura - 35040 Casale di Scodosia (PD)
“PAROLA DI CUOCA”
LA DOMENICA, MANGIO UN FIORE
“I nostri piatti, preparati con i prodotti biologici della Fattoria e con le erbe spontanee che mani esperte hanno appena scelto e raccolto dalla terra, sono ispirati alle antiche tradizioni del nostro territorio... a volte ci divertiamo a inventarne, altre amalgamando esperienze e desiderio di nuovi gusti e sapori... seguono sempre il ritmo delle stagioni e li proponiamo “farciti” con informazioni di carattere nutrizionale, storico e da divertenti aneddoti, favole o fiabe. Particolarmente significativo è l’assaggio comparativo di piatti preparati con prodotti freschi delle Fattorie con altri, realizzati con le stesse ricette, ma con ingredienti provenienti da altre coltivazioni biologiche e non”.
“Che domenica bestiale - cantava Fabio Concato - ogni tanto mangio un fiore... come è bella la natura...”, eccetera, eccetera. In effetti, le domeniche trascorse all’aria aperta sono quelle in cui le famiglie tornano ad essere tali e le domeniche all’aria aperta sono anche tra le proposte che alla Fattoria Altaura hanno più successo. Visite agli animali, laboratori e giochi verranno proposti con un preciso calendario per tutta la primavera ed estate.
... è possibile “affittare”: Quest’anno, consapevoli delle difficoltà economiche che aggravano il nostro paese, abbiamo pensato di ribassare i prezzi per dare la possibilità a più persone di conoscere e vivere le esperienze autentiche della nostra fattoria. Un modo per diffondere l’autenticità, l’unicità e la bellezza della Natura. Oltre alle attività proposte, abbinabili a servizio di ristorazione e di pic-nic... • una pianta da frutto e raccogliere la PROPRIA frutta • una piccola porzione di orto perraccogliere la PROPRIA verdura • un barbecue per cucinare la PROPRIA grigliata all’aria aperta. ... è possibile scegliere ed acquistare, tra le tante piante spontanee che nascono nei terreni della Fattoria, piccole piante da frutto ed ornamentali da piantare nel PROPRIO orto e giardino.
TUTTI I PRODOTTI DELLA FATTORIA L’azienda vende i seguenti prodotti di produzione propria certificati ICEA: miele di acacia, castagno e millefiori, farina tipo 0 e 2, succhi di actinidia, confetture varie, polli, galline, capponi, anatre mute, oche, conigli (puliti e curati), salami, cotechini, pancette, ossocolli ed è possibile prenotare 1/8 di vitello (o vitellone) di razza Romagnola o di maiale che vengono venduti già ridotti in porzioni singole. Chi è interessato all’acquisto dei prodotti può farne richiesta via mail a: dfmaria@libero.it o telefonare ai riferimenti aziendali.
IL PROGRAMMA MAGGIO 2014: Rose, lucciole, ciliegie e piselli Domenica 4: alla scoperta dei fiori della campagna, collane di margherite e fiori di tarassaco, l’orologio dei fiori. Pesca nei fossi e costruzione della zattera. Passeggiata notturna tra trilioni di lucciole (prenotazione separata)! Domenica 11: il terrario. Sono pronti i piselli: possiamo raccoglierli e portarli a casa ad un prezzo molto conveniente. Giochi tra le balle di fieno. Pesca nei fossi e costruzione della zattera. Aspettiamo l’imbrunire per ammirare le lucciole e le loro danze amorose. (prenotazione separata) Domenica 18: mangiamo le succose ciliegie della fattoria. Costruiamo la “ziliera“ per portare il fieno agli animali. Aspettiamo l’imbrunire per ammirare le lucciole e le loro danze amorose. (prenotazione separata) Domenica 25: fiorisce l’actinidia, sarà più bello il fiore della pianta femmina o del maschio? Giochi tra le balle di fieno. Troveremo l’uscita del labirinto in mezzo al bosco? GIUGNO 2014: Fiori, frutta, confetture Domenica 1: fiorisce l’actinidia, sarà più bello il fiore della pianta femmina o del maschio? Giochi tra le balle di fieno. Troveremo l’uscita del labirinto in mezzo al bosco? Lunedì 2: Grande caccia la tesoro su tutta l’estensione della fattoria. Premi ai primi tre classificati.Domenica 8: i nuovi nati, asinello, vitellini, capretti e agnelli, non hanno ancora un nome... concorso per il nome più bello!confetture di more bianche e nere del gelso. Caccia al tesoro. Domenica 15: il microscopico mondo degli insetti, andiamo in esplorazione con retini, lenti…Raccogliamo le noci per fare il nocino. Domenica 22: Giochi in mezzo al bosco. Pesca nei fossi e costruzione di una zattera. Raccolta delle amarene. Impastiamo la farina con la rugiada per fare la pasta madre per il pane. Domenica 29: esploriamo i fossi. Animali e piante che li popolano: che bello pescare una rana con il “fiocco” e liberarla… LUGLIO 2014: Festa della Trebbiatura e Sagra di Altaura Domenica 6: trebbiatura a mano del frumento. Domenica 13: impariamo a fare diversi tipi di pane: giornata del pane ”multietnico” (nella vicina Villa Correr: Festa della Trebbiatura e gara di aratura, da confermare). Domenica 20: cerchiamo e raccogliamo le foglie più curiose: la filloteca. Nella “camera verde” del bosco, staremo tutto il giorno in “santa pace” (nella vicina Villa Correr: Sagra di Altaura). Domenica 27: 6 km di camminata tra campi, argini e vecchi rustici.
Tel +39 347 2500714 - Fax +39 0429 879063 dfmaria@libero.it - www.scuolafattoria.it
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SCACCO
Mozzarelle di bufala a chilometri zero
Dal ‘96 l’azienda di Arzerello prepara nel suo caseificio una produzione di eccellenza alla quale affianca la vendita di carne di bufala: wuster, mortadella, bresaola e ovviamente tutti i tagli di carne per fettine o spezzatino La storia dell’Azienda agricola Scacco ha attraversato diverse stagioni ma si può dire sia stata quella degli anni ‘87-‘88 a determinarne il futuro. Fino a quel periodo infatti era un’azienda come tante altre, specializzata nella produzione di latte, e come per tante altre aziende, quelli, furono gli anni delle famigerate “quote” latte: quelle a disposizione erano poche e non permettevano di prospettare un avvenire per la famiglia Scacco. Al tempo ci fu chi decise di sforare i parametri di produzione imposti dalla Comunità Europea, non Giuseppe Scacco che invece decise di convertire l’azienda ad allevamento di bufale, acquistando i primi 150 capi. Non si trattò certo di una scelta semplice, i derivati dalla lavorazione del latte di bufala non erano tra i prodotti richiesti al tempo: mozzarelle, caciotte, ricotte, scamorze, erano più che altro prodotti diffusi al Sud d’Italia, decisamente sottoutilizzati nella tradizione alimentare
del Nord. I primi dieci anni di attività tuttavia sono trascorsi senza grandi sconvolgimenti, il latte prodotto veniva consegnato ad un caseificio locale che lo trasformava in prodotto finito. La nuova svolta risale al ‘96, quando l’azienda ha dovuto iniziare a fare tutto da se, realizzando un nuovo investimento per la realizzazione di un proprio caseificio e iniziando la propria produzione. A fianco di Giuseppe c’era la moglie Ariella e i figli Simone ed Emanuele, per tutti era una situazione nuova. Una mestiere, quello del casaro, che prima di tutto doveva essere imparato. Tuttavia la determinazione della famiglia ha vinto sugli eventi, anche quelli avversi, e oggi la loro azienda si pone come attività di eccellenza nel panorama delle produzioni di mozzarella di bufala e derivati del latte, oltreché per le lavorazioni della carne.
Da latte a mozzarella
Come diventa mozzarella il latte? Il ciclo completo della lavorazione dura una decina di ore e mette in fila una serie precisa di passaggi. Si parte dalla pastorizzazione a 72 g°, al latte vengono aggiunti i fermenti lattici e il processo incontra la prima pausa di circa un’ora - un’ora e mezza che consente l’acidificazione del latte. Dopo questa sosta viene aggiunto il caglio e da latte l’impasto assume la consistenza di un budino. A questo punto viene fatta la prima rottura della cagliata e dopo una quindicina di minuti ne segue una seconda con la quale viene separata la cagliata dal siero. Tuttavia la pasta dovrà maturare sotto siero ancora per qualche oretta, almeno fino a quando l’impasto non avrà raggiunto un ph attorno al 5.0. A questo punto la cagliata viene fatta filare con acqua calda a 85 g° e dalla filatura si passa alla formatura, ossia nell’ottenimento della pezzatura della mozzarella che viene subito fatta raffreddare in acqua a 20 g°. Il periodo che segue è una breve stagionatura, per altre due ore, infatti, la mozzarella resterà immersa in una soluzione salina per acquistare sapidità… a questo punto la mozzarella è pronta o per essere consumata oppure confezionata. Soc. Agr. SCACCO di Scacco Giuseppe & Figli Via Porto 47/B - 35028 Arzerello di Piove di Sacco – PD
LE QUALITÀ DELLA MOZZARELLA DI BUFALA Valori medi per 100 g di prodotto • Valore energetico: 246,4 Kcal • Proteine: 16,2 g • Carboidrati: 0,4 g • Grassi: 20 g • Fosforo: 320 mg (45% RDA - Razione Giornaliera Raccomandata) • Calcio: 245mg (35% RDA - Razione Giornaliera Raccomandata) La mozzarella di bufala è un formaggio facilmente digeribile, con un ridotto contenuto di lattosio e di colesterolo, è un’ottima fonte di proteine ad elevato valore biologico, a cui si accompagna un moderato apporto di grassi. Inoltre, il formaggio fornisce elevate quantità di Calcio e Fosforo, di vitamine idrosolubili quali la B1, B2, B6 e Niacina; è infine, una buona fonte anche di vitamina E e Zinco, sostanze che contribuiscono a contrastare l’azione negativa dei radicali liberi. L’apporto decisamente basso di sodio, la rende preferibile a altri tipi di formaggio notoriamente ricchi di questo minerale, in tutte le situazioni patologiche che implicano la restrizione di questo minerale (ipertensione).
NON SOLO MOZZARELLA L’azienda Scacco alleva circa 400 capi, tra femmine, maschi e vitelli, per una produzione di latte che si aggira tra i 400-500 litri al giorno, destinati alla trasformazione. Durante i periodi invernali, quando la richiesta di mozzarelle sensibilmente cala a causa del cambio delle abitudini alimentari stagionali, vengono prodotte anche ricotte, scamorze, caciotte e tra i prodotti da consumare freschissimi non manca lo yogurt e il gelato. E’ Simone oggi ad occuparsene mentre mamma Ariella si occupa della vendita diretta dei prodotti nello spaccio di via Porto ad Arzerello. Ogni giorno viene allestito un banco con i diversi sottoprodotti del latte e con quelli ottenuti dalla lavorazione della carne di vitello di bufalo. Si tratta anche in questo caso di prodotti eccellenza in quanto per l’allevamento non vengono impiegati mangimi, ma materie prime in parte prodotte direttamente in azienda e in parte da altre aziende, comunque sempre del territorio. Ecco così che trovano un sapore nostrano anche prodotti che non ci si aspetterebbe dalla lavorazione delle carni di bufalo, come il wuster, per esempio, o la mortadella o ancora la bresaola e ovviamente tutti i tagli di carne per fettine o spezzatino.
ACQUISTI CON VISITA I prodotti dell’azienda Scacco possono essere acquistati direttamente allo spaccio aziendale di via Porto, di Arzerello. Il punto vendita è aperto tutti i giorni dalle 8.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.30, domenica mattina compresa. Chi di solito compra si ferma anche per una visita: l’allevamento è uno dei più grandi del Nord Est e l’azienda occupa edifici rurali di pregio in uno degli angoli più verdi e suggestivi del territorio. La mozzarella o la carne di bufala possono essere acquistati anche il sabato mattina al mercatino del contadino di Vigorovea, lungo la Statale Piovese.
Tel. 049 9775788 - agricolascacco@alice.it
Latte d’asina,
buono e rimedio per molte malattie La storia racconta che Cleopatra si faceva il bagno per preservare la sua bellezza, ma il latte d’asina non fa bene sono alla pelle, infatti contenendo straordinarie proprietà cura e protegge dall’insorgenza delle malattie
IL LATTE D’ASINA PROPRIETÀ
Mai sentito parlare di latte d’asina e delle sue proprietà? In via Boschi di Camisano Vicentino opera una giovane azienda pronta a soddisfare ogni vostra curiosità. L’allevamento non è facile da trovare ma contattando telefonicamente l’azienda sarà più facile arrivare e scoprire un mondo che per molti non è ancora conosciuto. Appena arrivati prima di conoscere il latte d’asina si incontra la famiglia Bizzotto, persone allegre e rasserenanti. Qui le cose le fanno bene, anche perché Filippo è uno di quelli che aveva un sogno, l’ha rincorso ed è riuscito ad acciuffarlo. E pensare che aveva già un lavoro, ed era anche ben inserito in azienda, insomma non rischiava il suo posto di lavoro come accade, purtroppo, per altri molti suoi coetanei. Però il sogno era importante, anche perché rispecchiava in pieno uno stile di vita che sentiva suo: a contatto con la natura, occupandosi degli animali e di una tradizione che in passato era stata della sua famiglia. Il suo sogno era quello di rimettere in moto l’azienda agricola del nonno. Circa tre anni fa, il sogno è diventato realtà. Presa la decisione, acquistò i primi asini e avviò le pratiche per ottenere tutte le certificazioni sanitarie, diventando così uno dei pochissimi produttori certificati di latte d’asina in Veneto. Oggi il suo sogno è una pionieristica e avviata attività, che conta ben 40 asini, osservante dei cicli naturali e del
rispetto che si deve agli animali. La gestione dell’azienda, infatti, pur non essendo biologica, è come se lo fosse. Negli otto ettari di campagna viene fatto uso essenziale e controllato di diserbanti e i concimi utilizzati sono solamente naturali. Gli asini godono di spazi coperti e di ampio paddock per il movimento. L’azienda, inoltre, è a ciclo chiuso e dalla produzione del foraggio, per l’alimentazione degli animali, alla mungitura fino alla vendita del prodotto finito, tutto viene svolto qui in via Boschi. La vendita avviene sempre su prenotazione, può essere on-line sul sito www.latteasinino.it ma contattarli di persona è tutta un’altra cosa. Fidatevi! L’ASINA NON È LA FABBRICA DEL LATTE La mungitura parte dopo un mese dal parto, in modo da lasciare al piccolo tutto il latte di cui necessita per crescere forte, e dura per un periodo di 6 mesi. Un’asina può produrre al massimo un litro un litro e mezzo di latte al giorno e non avendo una cisterna mammaria come le mucche, secernere il latte all’istante ed essere tranquilla per essere munta.
PER IL CONSUMO DI LATTE CRUDO IL LATTE DEVE ESSERE SCALDATO FINO ALLA TEMPERATURA DI 65 C° E POI PUÒ ESSERE BEVUTO Le qualità del latte d’asina sono conosciute fin dai tempi più antichi. Le puerpere che non riuscivano ad allattare i propri pargoli ricorrevano al latte d’asina per farli crescere sani e robusti. Perché? Perché il latte d’asina è quello più simile a quello umano. È l’ideale per i bambini con allergie ed intolleranze, per le persone che hanno problemi di colesterolo, e di inestetismi come gli eczemi atopici. Ideale per le diete degli sportivi e persone debilitate. I risultati sono sorprendenti! Il latte d’asina oltre a principi attivi e a pochi grassi contiene infatti un antibiotico naturale, il “lisozima” che potenzia il sistema immunitario così da curare e proteggere dall’insorgere delle patologie. È presente nella quantità di 1 g per litro nel latte d’asina, mentre in quello uma-
no la percentuale scende nell’ordine dello 0,1 g per litro, in quello di mucca è presente solo in tracce. Il gusto delicato lo rende gradevole e ben accetto. Una volta munto il latte d’asina ha una durabilità di 4 giorni mantenuto in frigorifero. Insomma il latte d’asina è una sorta di medicina naturale.
ASINA
MUCCA
DONNA
1,20% per litro
3,50% per litro
3,38% per litro
Proteine 1,75% per litro
3,43% per litro
1,64% per litro
Lattosio 6,23% per litro
4,71% per litro
6,69% per litro
Grassi
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LATTE E COSMESI È rimasta leggendaria la bellezza di Cleopatra. Una bellezza che curava quotidianamente con prolungati bagni in vasche ricolme di latte d’asina, infatti, la sapeva lunga la regina d’Egitto in materia di cosmesi e conosceva bene le straordinarie proprietà del latte d’asina per la cura della pelle. Proprietà che anche l’azienda di Filippo Bizzotto sta valorizzando con una linea di prodotti ottenuti con l’impiego di latte crudo aziendale, quindi non liofilizzato come per la produzione industriale; prodotti di alta qualità che hanno ottenuto la certificazione di “prodotti naturali” e la certificazione europea per la vendita. Il latte d’asina contiene un miscela di principi attivi dalle straordinarie proprietà cosmetiche: • Vitamine A, B, C, D ed E: proteggono la cute dalle aggressioni esterne come gli effetti climatici o il foto invecchiamento • Acidi grassi e in particolare gli Omega-3 ed Omega-6: abili riparatori della barriera cutanea • Minerali: demineralizzanti e stimolanti del metabolismo cellulare • Proteine: esplicano la loro proprietà probiotica e protettiva Queste virtù lo rende valido per la cura di tutti i tipi di pelle. È ideale per le pelli sensibili perché protegge e dona sollievo, è ideale per le pelli normali perché dona nutrimento e idratazione, è ideale per le pelli senescenti perché contrasta gli effetti dell’invecchiamento cutaneo. I cosmetici al latte d’asina non contengono Peg, perché possono essere irritanti, Parabeni, conservanti con azione battecicida/funghicida ma che chimicamente sono assimilabili agli estrogeni, Siliconi, sostanze artificiali, assolutamente non biodegradabili, bloccano la corretta traspirazione, rovinandone lo stato di salute e contribuendo ad aumentare secchezza e disidratazione della pelle, oli minerali, composti ricavati dal petrolio per distillazione. Nel settore cosmetico (o anche per le pomate ad uso farmaceutico): sono usati come agenti filmanti ma questo “film” è una sottile pellicola sintetica che compromette la naturale traspirazione cutanea, e alcol in quanto secca e inaridisce la pelle.
CREMA VISO Ricca di un’elevata percentuale di latte d’asina che le conferisce particolari proprietà emollienti, nutrienti e protettive. La sua speciale formula sfrutta le particolari proprietà elasticizzati dell’olio di mandorle dolci e del burro di karitè per una pelle del viso più compatta e vellutata. Si avvale dell’effetto protettivo del foto invecchiamento della polvere di corallo naturale. CREMA MANI La crema ha una profumazione calda e avvolgente ricca di un’elevata percentuale di latte d’asina che le conferisce particolari proprietà nutrienti, protettive e riparatrici. Protegge e ripara grazie all’elevato contenuto in acidi grassi e in particolare Omega-3 e Omega-6 del latte d’asina (presente nell’ordine del 10% del peso) che sostengono la barriera cutanea contro gli attacchi esterni. Nutre grazie all’olio di germe di grano e idrata grazie alla glicerina vegetale. Consigliata per tutti i tipi di pelle BAGNO DOCCIA Bagno doccia ricco di latte d’asina. Speciale formula cremosa in grado di contenere il 12,5% di latte d’asina e il 12% di olio di sesamo sostanze dalla straordinaria efficacia emolliente. Deterge la pelle del corpo con la sua soffice schiuma rispettando il film idroacidolipidico. Dona setosità e morbidezza in pochi istanti lasciando una piacevole profumazione. BAGNO DOCCIA BABY Bagno doccia ricco di latte d’asina ideale per la pelle delicata dei più piccoli. La sua speciale formula contiene il 12,5% di latte d’asina e il 12% di olio di sesamo e deterge la pelle del corpo con la sua soffice schiuma rispettando il film idrolipidico. POMATA LENITIVA Crema per bambini ad elevata percentuale di latte d’asina che protegge e dona nutrimento. Grazie al suo contenuto in ingredienti naturali ad effetto lenitivo quali latte d’asina, ossido di zinco, amido di riso ed olio di calendula lo rendono ideale per trattare le parti più sensibili colpite da momentanea sensibilizzazione da fattori esterni, come il pannolino e la pipì. La sua formula waterproof crea una barriera protettiva persistente.
DOVE TROVARE I PRODOTTI I prodotti dell’azienda Bizzotto, oltre che nel punto vendita aziendale di via Boschi, 52 a Camisano Vicentino, si possono trovare al mercato della domenica mattina di Camisano. Il punto vendita si trova in via Fogazzaro davanti alle poste. I prodotti, inoltre, possono essere acquistati on-line sul sito www.latteasinino.it Tel. 349 1474410 - info@latteasinino.it
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Azienda ''Antichi sapori'',
stessi riti per sapori moderni A fianco dell’allevamento tradizionale con gli animali liberi e senza l’impiego di “promotori della crescita”, una linea di prodotti che si coniuga con le esigenze della cucina moderna e i tempi portati dalla bella stagione L’arrivo dei nuovi pulcini è sempre il momento più alto no allevati nell’azienda Scudellaro, basta pensare che dell’allevamento: la nascita di una nuova generazione, se normalmente gli animali destinati ad essere vennuove e meravigliose vite che verranno ad arricchire duti non macellati viene fatto un solo vaccino per la il nostro pollaio (e anche a far dannare un po’!), bronchite infettiva, qui, prima insomma nuove speranze della vendita, viene compleè ro la el ud Sc a e nuovi progetti da fare. tato l’intero ciclo di 6 vaccini nd ie az All' L’azienda avicola Antichi antinfluenzali così che il tasri l'uso di ''promoto o it nd ba sapori di Candiana agli a so di mortalità tra i pulcini della crescita'', prima dell inizi degli anni ‘80 diede e molto basso e l’acquisto to ta le mp co inizio così alla sua lunga può dirsi davvero sicuro. e en vi vendita, storia, Dionigi proprio con i l' intero ciclo di 6 vaccin i pulcini e con la vendita degli animali vivi fece crescere l’azienda della famiglia Scudellaro fino ai tempi NON TUTTI SANNO CHE... recenti. Oggi l’azienda “Antichi sapori” è un alleva• Tutte le anatre discendomento dai solidi numeri dove tutto, però, viene manno dal Germano reale dato avanti come una volta: gli animali vengono alle(Anas plathyrhynchos L.) vati senza forzare i loro ritmi naturali di accrescimento • La domesticazione dell’ae in grandi spazi aperti, mentre per l’alimentazione natra è antichissima: già il becchime viene prodotto direttamente in azienda. 2000 anni fa in Cina si alleAll’azienda Scudellaro, infatti, è bandito l’uso di “provavano per la produzione di carne e di uova. motori della crescita” e per questo lo sviluppo degli • In Europa l’arrivo dell’anatra è precedente a quello animali dura almeno 140 giorni per polli, 140 per faradei polli: infatti Marrone (I secolo a. C.) e Columelone, 150 giorni per le anatre, 180 giorni per le oche, la (I secolo d.C.) hanno scritto dettando le norme 240 giorni per i Capponi e le Tacchinelle. Il risultato è dell’allevamento dell’anatra e illustrando l’esistenza la qualità del prodotto finale e la salute degli animali, di diverse razze. che soprattutto per la vendita del “vivo” rappresenta • I Cinesi hanno elevato l’anatra a simbolo di fedeltà un valore aggiunto per un acquisto sicuro. Tanto per coniugale. dare qualche informazione di come gli animali vengoAzienda Agricola Scudellaro S.Agr.S. - Via Valli Pontecasale, 16 - 35020 Candiana (PD) Tel. 049 5349944 - Fax 049 9550942 - E-mail: info@scudellaro.it
POLLI Sono tre le razze in vendita e disponibili tutto l’anno • Il bianco ad accrescimento veloce • Il rosso, di corporatura più pesante e più lento nell’accresciemento • Il Kabir, razza a lento accrescimento, ruspante. Le femmine raggiungono 2.8 - 3.0 kg di peso mentre i maschi i 3.5 - 4kg Pollo collonudo, altra razza a lento accrescimento e di grande qualità grazie ad una pelle sottile e ad un petto arrotondato e poco grasso Gallina ovaiola, razza livornese a manto bianco che matura in 6/7 mesi arrivando ai 2 kg di peso FARAONA • Razza Gallor, una specie francese dal piumaggio un po’ più scuro, matura in 5-6 mesi raggiungendo i 2,2 2,3 kg di peso.
ANATRA La disponibilità di animali arriverà fino a luglio • Muta, francese di piumaggio completamente bianco la femmina raggiunge i 3,5 kg di peso mentre il maschio arriva a 5 kg • Mullard, anche questa è una razza francese e completamente bianca, ma arriva a un peso superiore ed è un po’ più grassa. Per questo le sue carni vengono usate per i sughi • Germano reale, raggiunge 1,2 - 1,5 kg la sua carne è ottima per l’arrosto e per chi ama il sapore della selvaggina. OCA La disponibilità di animali arriverà fino a luglio • Bianca Romagnola, di manto ovviamente bianco raggiunge i 5 kg • Tolosa, è l’oca grigia la più pesante, raggiunge i 7/8 kg di peso •O ca cigno, anche questa di color grigio raggiunge i 4 kg di peso
ARRIVA L'ESTETE, MENÙ VELOCI SENZA RINUNCIARE AL SAPORE O AL BENESSERE La stagione primaverile non è solo un periodo di rinascita, è anche un periodo in cui tendiamo a cambiare la nostra alimentazione perché: da una parte c’è l’esigenza di eliminare i chiletti messi su durante l’inverno, dall’altra trovare ricette più veloci per sfruttare al massimo le ore di sole messe a disposizione dalla bella stagione. Le carni bianche, in questo senso sono l’ideale, in quanto, è caratterizzata da un basso contenuto di grassi, da un equilibrato contenuto in acidi grassi saturi e insaturi, e da un elevato contenuto proteico, che è indispensabile per rinnovare i tessuti e per la formazione degli ormoni, degli enzimi, degli anticorpi. Per quanto riguarda i menù veloci l’azienda “Antichi sapori” ha una linea di prodotti che permette cene rapide senza dover rinunciare al sapore o alla qualità degli alimenti. È il caso degli insaccati, 4 prodotti per quattro ricette da portare in tavola per mangiare con gusto rimanendo in forma.
RICETTE A TUTTO PASTO PER 4 PERSONE
ANTIPASTO Salame d’Oca con Asparagi e Uova sode - 200 g di salame d’oca affettato - 400 g asparagi verdi bolliti e freddati - 150 g di insalatina di campo - 4 uova sode sbucciate e tagliate in quattro - alcune fettine sottili di pane seccate in forno - olio e limone con sale Disporre nel piatto gli asparagi, le uova sode e l’insalatina, condire con olio e limone. Sistemare sopra le fette di salame d’oca e il pane spezzato con le mani. PRIMO PIATTO Salamella d’Oca con crema di Zucchine - 200 g di salamella d’oca affettata - 500 g di zucchine pulite e tagliate a rondelle - 500 g di brodo vegetale - 200 g di formaggio casatella - olio extravergine di oliva due cucchiai - sale Far bollire in un tegame il brodo vegetale e buttare gli zucchini, cuocere fino a teneri e frullare tutto al mixer con l’olio aggiustando di sale. Mettere nei piatti fondi aggiungendo sopra la casatella e le fette di salamella. SECONDO PIATTO Petto di Pollo al cartoccio con Speck d’oca - 200 g di speck d’oca affettato - 2 petti di pollo puliti e divisi in due (quattro pezzi) - sale e pepe bianco - carta stagnola - una insalatina condita olio e limone Salare leggermente i quattro pezzi di pollo, coprirli di speck d’oca e avvolgerli in carta stagnola . Cuocere a 100 gradi in forno per circa 30 minuti. Togliere dalla stagnola, affettarli e servirli nei piatti con una insalatina condita.
STORIA E DINTORNI
In Nomen Omen
Già nel mondo antico era in corso l’uso di attribuire un nome ed un cognome alle persone, pensiamo alla “tria nomina” dei Romani, tuttavia la fissazione di un cognome ereditario si è avviata nel tardo medioevo ma solo per caste nobiliari o borghesi e con più varianti, mentre i popolani hanno dovuto attendere il Concilio di Trento Articolo tratto da “Nomi di luogo e di persone a Granze” di Roberto Valandro
Q
uando nascono i cognomi? E che cosa indicano? L’onomastica è una disciplina storico linguistica che indaga l’origine dei nomi nella loro straordinaria complessità. Già nel mondo antico era in corso l’uso di attribuire un nome ed un cognome alle persone, pensiamo alla “tria nomina” dei Romani con tre nomi, appunto, a designare l’identità di una persona. Il “prenome”, non obbligatorio, il “nomen”, denotante il gentilizio d’appartenenza e il “cognomen”, destinato appunto a eliminare le omonimie e a trasformarsi nei nostri cognomi. Tuttavia la fissazione di un cognome ereditario si è avviata nel tardo medioevo ma solo per caste nobiliari o borghesi e con più varianti, mentre i popolani hanno dovuto attendere il Concilio di Trento (1545-63), uno spartiacque di assoluta importanza per il controllo morale e sociale degli individui: basti pensare che da questo periodo è stato introdotto come obbligatorio, per i parroci, la registrazione dei nominativi dei parrocchiani in appositi registri divisi tra battesimo, matrimonio e morte. In realtà nelle aree rurali e per i ceti bassi cittadini i cognomi stabilizzati sono comparsi assai più tardi,
spesso graficamente incerti quando con l’epoca austro-napoleonica si sono realizzate le prime anagrafi pubbliche. E, a proposito di battesimo è opportuno rammentare che all’antico compleanno si sostituì nel medioevo la ricorrenza battesimale, della (ri) nascita alla vita cristiana, tanto è vero che ancora nell’Ottocento qualcuno dichiarava d’essere nato il giorno in cui era stato portato al sacro fonte, accompagnato da genitori e padrini. Il ritorno del compleanno si manifestò con l’Illuminismo (XVIII secolo), con l’età della prima industrializzazione e della Rivoluzione francese, quando al tempo ripetitivo e immutabile delle stagioni e del rituale liturgico cattolico, si contrappose il “tempo aperto”, la visione progressiva degli anni individuali e collettivi, l’accumulazione perenne del vissuto proprio e del mondo… I cognomi, dunque, hanno epoche diverse e derivazioni diverse. L’onomastica li divide in diverse categorie. La prima comprende i nomi usati dapprima come patronimici (derivati cioè dal nome del padre o dell’avo) di tradizione religiosa letteraria e, specie nella Bassa, di origine Germanica: visigoti, longobar-
In quest pagina: Con il Concilio di Trento (1545-63) è stato introdotto come obbligatoria per i parroci la registrazione dei nominativi dei parrocchiani in appositi registri divisi tra battesimo, di matrimonio e morte
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STORIA E DINTORNI di, frànconi, etc, etc. Appartengono a questo gruppo cognomi come BALDINO, BALDO, BALOTTA, BANDINO, BANZATTO, BEDO, BILLO, BULGARELLO, CARDINO, CONTIERO, DELLI ALOISI, DELLI BALDI, DELLI FERRIGHI, FERRIGO, FERRON, FERRONI, FRANCHINO, FRANCHIN, GUGLIELMO, LUCHIARO, MANFRIN. Le etimologie parlano di battaglie e di spade, di bandiere, di gloria evidenziando il carattere bellicoso dei conquistatori barbarici come per esempio Ferrighi, dal personale Federigo accanto a Federico, attestati nella forma Frithurik, composto da frith (pace) e rikja (ricco) vale a dire potente nella pace, dopo naturalmente la vittoria. Sempre allo stesso ceppo appartengono i cognomi di origine “religiosa”, molto diffusi sono quelli ispirati al Vecchio Testamento: DANIELI, LAZZARIN, MARCHIORO, MARITAN (da sa-maritano) MATTIOLO, SIMONELLO, ZANARDO, ZANELLATO, ZANGIROLAMO, MELCHIOR, quest’ultimo evidentemente ispirato ad uno dei tre magi o maghi, come vuole l’etimologia del termine, e tal proposito non va dimenticato MAGON, nel senso di stregone piuttosto che di savio, (dal latino magus: indovino) un personaggio che è entrato con il suo magico bastone nelle storie stregonesche, quando ai filò invernali ci si radunava nelle tiepide stalle delle fattorie, vere e proprie scuole di contrada tenute dai più anziani a vantaggio di chi cresceva dovendo imparare in fretta le dure regole della vita. Tuttavia l’origine del nome MAGON è possibile ricondurla anche ad una parola germanica (mago: stomaco) a indicare gravezza di stomaco: “el magon”. La seconda categoria di cognomi, invece, individua luoghi di provenienza: BERGAMIN, BERGAMO, BERGANTIN, CASTELLARO, COSTATO, FELTRIN, FURLAN, LEGNARO, MANTOAN, ROCCA, SPIGOLON, TREVISAN, VISENTIN. La terza categoria è caratterizzata da cognomi in genere augurali o vezzeggiativi col proposito di trasferire nella denominazione il voto augurale con cui sembrava doveroso accogliere nella comunità i giovani, immaginando almeno per loro un futuro meno avaro di quello sperimentato troppo spesso dai genitori. Scopriamo così che BEIO è vezzeggiativo di Basilio; che BENETAZZO, si rifà al nome augurale Benedetto,
così come DELLI VIALI trae origine dell’aggettivo latino “vitalis”: che da vita, pieno di vita; che GUZZON si salda con Guzzo ipocoristico di Arriguzzo; che MIATELLO O MION rimandano a Mio, vezzeggiativo di Bartolomio (Bartolomeo); che ZAGOLIN è l’addolcimento sorridente di Zago, dal latino “diàconus”, che nel dialetto corrente si traduce appunto in “zaghetto” o in italiano chierichetto. Nella quarta categoria sono raccolti i cognomi che indicano mestieri. BATTIZZOCCO (legnaio domestico), BOARETTO (bovaio) Bruscain (potatore, legato sia a brusca = fuscello che a brusco = pungitopo), BUSINARO (idraulico, da bùseno = tubo per acquedotto), CRIVELLARO (chi costruiva o lavorava con i crivelli per la pulitura dei cereali), FAVARO (fabbro), MARIGO (capo del comune o della villa, messo comunale da màtrica = registro), MARANGON (falegname), PILOTTO (conduttore di barche ma anche, uomo melenso balordo), PIVA (suonatore di piva, cornamusa), SACCARDIN (facchino, da saccardo = trasportatore di bagagli, in passato al seguito degli eserciti pronto a saccheggiare e quindi sacheggiatore), STURARO (fabbricante di stuoie, da stora = stuoia), TESSARO (tessitore, dal latino texarius), TRIVELLATO (trivellatore, abile nell’uso di strumenti come il succhiello in dialetto “trivelin”. Ci sono poi i nomi che derivano da piante o da animali. Appartengono a questa categoria: BARINO (ciuffo di canni palustri, dal gallico barros), POMARO (da “pomo” - melo) ROSSETTO (dal tardo latino russus per rubeus) VIGNATO (vignaiuolo), SCARABELLO (dal veneto caravelo = una specie di granchio). Nella sesta, e ultima, categoria la fantasia creatrice si è sbizzarrita, muovendo da difetti fisici volti a insistere su qualità esteriori che potevano essere identificative di un tal soggetto, si è originata una lunga serie di cognomi. BAZZATO (da bazza = mento sporgente), BORELLA (da borra = cosa rotonda), FUREGATO (in questo caso non si tratta di aspetti fisici ma del carattere o particolari indoli, nella fattispecie furegare, ossia frugare), GOBBO, MAZZUCCATO (dal veneto mazuco = testone), MORO O NEGRELLO (dal colore della pelle), RIZZO O RIZZATO (da riccioluto), ZANCANELLA (mancino), VEDOVATO (figlio della vedova).
Al centro: lapide romana. La traduzione: “Caio Cesio, figlio di Lucio, iscritto alla tribù Pollia, con suo testamento fece erigere (questa tomba) al padre Lucio Cesio, figlio di Spurio, - alla madre Gemina quinta, figlia di Lucio, - al fratello Marco Cesio, figlio di Lucio, - al fratello Quinto Cesio, figlio di Lucio, - alla figlia Cesio Seconda, figlia di Caio, - alla moglie, ancora vivente, Macia Rufa, figlia di Marco”.
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Salvan Vigne del Pigozzo Se pensate che ci sia “più tempo che vita”… fermatevi un po’. Sarete accompagnati tra le vigne ed in cantina. Vi saranno presentati vini che parlano della terra e delle stagioni, delle storie della gente e dei loro cibi. Porterete con voi ricordi ed emozioni da vivere a casa… sorseggiando con amici. È l’invito che ogni anno la famiglia Salvan rivolge agli Enonauti l’ultima domenica di maggio, giornata di Cantine Aperte. È un’occasione unica per incontrare i vignaioli, per conoscere il vino là dove nasce, per conoscere la terra, la cultura, i cibi, la storia.... per diventare amici. Cantine Aperte è l’evento più importante ed “imitato” dedicato al turismo del vino. Ideato nel 1993 da Donatella Cinelli Colombini coinvolge quasi mille cantine ed è frequentato da milioni di appassionati. Il Movimento Turismo del Vino propone anche Cantine Aperte in Vendemmia. festa tra le vigne a inizio settembre, Cantine
Aperte a San Martino quando l’aria è ancora impregnata dal “ribollir dei tini” e Cantine Aperte per Natale per chi pensa di far conoscer agli amici un vino che ama. Quest’anno il tema sarà Wine Story. Assaggeremo vini prodotti con antichi vitigni come Turchetta, Marzemina, Recantina, Corbina, Pataresca.. e, perché no, il “Bagnoli Friularo” DOCG.
Az. Agr. Salvan Via Mincana, 143 - 35020 Due Carrare (PD) - Tel 049 525841
Domenica 25 Maggio 2014 ore 10-18 L’invito a Cantine Aperte: “Vieni e vedi cosa bevi” non è solo un invito alla trasparenza, ma alla conoscenza... Per conoscere un vino è necessario andare tra le vigne dove nasce, essere curiosi, mettersi in ascolto cercare di capire. Grave errore è affrontare una degustazione cercando di indovinare che vino è, cercando di classificare, inquadrare, costringere... il vino deve essere lasciato libero di esprimersi... con calma. Occorre silenzio, attenzione: per poterlo “sentire” occorre lasciarlo parlare. Troppo spesso non lo capiamo perché non lo ascoltiamo, non gli lasciamo il tempo o lo spazio per farlo. Quanti vini vengono massacrati da
assaggi frettolosi, da abbinamenti azzardati, da roteazioni parossistiche... Il vino vi è grato se non lo sbattete come in una centrifuga! Il vino merita rispetto... e altrettanta attenzione meritano gli enoappassionati che vanno per cantine.
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TRADIZIONI
“La note de San Zuanne destina mosto, sposalizi, gran e pane”
Leggende, RITI E SANTI PER INGRAZIARSI UN BUON RACCOLTO Il periodo del solstizio d’estate è molto importante per la stagione agricola. In queste date ricorrono riti ancestrali in parte legati sia alla magia che al potere dei Santi
L
a campagna ha i suoi riti perché ha una sua prossimano al solstizio d’estate, ossia il periodo in cui fede, una fede che tuttavia travalica le stagioni il Sole rimane per più ore in cielo. Solstizio, infatti, dereligiose, perché la natura stessa è divina e soriva da Sol (Sole) e Stat (rimanere, fermarsi). È questo vrannaturale è la forza con la quale governa, insieme il periodo in cui il grano matura e pure l’uva si trova in al caso, sia l’abbondanza che la carestia. Ecco appununa fase delicata della sua maturazione, basta questo to la carestia, allontanarla è un atto di fede al quale per riempire il periodo di aspettative a prescindere tutti gli agricoltori si sono votati, “Sogno di una notte di da quale latitudine del mondo ci si dall’età del bronzo ad oggi, ingraCredenze che la notte di San mezza estate”, di William trovi. ziandosi a seconda dei secoli le diGiovanni destini mostro, matrimoShakespeare è ispirata ni e grano, infatti, appartengono a vinità dell’Olimpo o quelle del Paradiso. In tempi lontanissimi ogni alla notte di San Giovanni, varie zone d’Italia ma anche fuori il 23 giugno elemento naturale aveva come dai confini nazionali la notte del “tutore” un dio rimasto tale anche nella stagione cri23 giugno lascia immaginare magie e viaggi onirici, stiana, sebbene con un altro nome e ridimensionato basta pensare che la celebrata opera di William Shaal ruolo in protettore. Poco importa se questo dio foskespeare “Sogno di una notte di mezza estate”, prose prima pagano e poi cristiano, l’importante è che prio alla notte di San Giovanni è ispirata. Anche per le svolgesse bene la sua funzione. San Giovanni è tra celebrazioni del 29 giugno il culto affonda le sue raquesti, oppure San Pietro ai quali sono legate molte dici nel lontano passato, nell’antica Roma in tale data credenze e superstizioni proprio in virtù del periodo si commemorava Quirino, divinità sabina, assimilata in cui ricorre la loro celebrazione, giorni assai impora Romolo, con cerimonie sul Quirinale. La solennità tanti per la stagione agricola. La notte di san Giovanni quindi ricordava i due gemelli fondatori dell’Urbe. I ricorre il 23 giugno, San Pietro il 29. Date che si apcristiani s’ispirarono a tale festa, trasfigurandola nel-
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TRADIZIONI la commemorazione dei due apostoli (Paolo e Pietro) considerati i fondatori della nuova Roma che in questo giorno si vuole abbiano subito il supplizio sul colle Vaticano, durante la persecuzione di Nerone. Il culto di San Pietro venne poi diffuso nel Medioevo nel territorio lombardo-veneto dai monaci benedettini che lo consideravano giorno di “feria festivo” ma non era solo questo a renderlo particolarmente straordinario, a renderlo singolare sono state le leggende. Nell’Ottocento, ad esempio, si riteneva che nel giorno di San Pietro debba seguire temporale, perché il diavolo promette alla di lui madre di uscire dall’inferno per quell’anniversario. I temporali erano attribuiti anche a crisi di nervi della suocera o della moglie di San Pietro. Diffusa in tutto il lombardo veneto, poi, è il rito della così detta “barca di san Pietro”: la sera della vigilia veniva riempita d’acqua un grosso contenitore di vetro (una caraffa o un secchiello) e vi veniva aggiunto l’albume di un uovo, riposto il tutto in un luogo isolato e buio (in casa oppure nell’orto) con il fresco della notte, l’albume si rapprendeva galleggiando, assumendo così la forma di una barca con vele e alberi maestri.
La barca di San Pietro veniva interpretata come auspicio per l’ agricoltura; i presagi dipendevano dalla forma e dal numero delle vele. Si credeva che nella casa dove l’albume avesse formato una barca con vela, la sposa avrebbe avuto un figlio e la zitella avrebbe trovato marito
Un tempo per la notte di san Giovanni venivano stesi teli sui prati per raccogliere la rugiada. All’indomani le gocce d’acqua venivano convogliate in un recipiente attraverso un foro nel telo e con le stessa rugiada veniva impastato il lievito Madre. Il lievito ottenuto, opportunamente re-impastato e conservato, sarebbe servito per la panificazione dell’intero anno.
Un’usanza molto diffusa era anche quella della raccolta delle erbe di San Giovanni: si diceva che bagnate dalla rugiada di questa notte avessero funzioni farmacologiche: un proverbio ricorda “la sguazza de San Zuàn la guarisse da ogni malàn” (la rugiada di San Giovanni guarisce tutti i mali). Si riteneva addirittura che chiunque si bagnasse con la rugiada durante questa magica notte si dotava di una barriera in grado di difendere da ogni tipo di corruzione. Con l’utilizzo di erbe si preparavano talismani con la convinzione che la singolare posizione degli astri concorresse a caricarli di virtù. Tra le erbe di San Giovanni usate come talismani possiamo menzionare: • L’IPERICO DAI FIORI GIALLI, da tenersi sul corpo tutta la notte per proteggere dalle sventure, e garantire sonni sereni, o fuori dalle porte per proteggere le famiglie; • L’ARTEMISIA contro il malocchio; • LA RUTA per le proprietà curative, e come scaccia diavoli, data la sua forma a croce; • IL ROSMARINO che, appeso con iperico e ruta alle porte delle case, teneva lontani diavoli e streghe; • L’AGLIO, potentissimo talismano, se raccolto prima del sorgere del sole era particolarmente forte contro la stregoneria; • L’ARTEMISIA, preservava dai fulmini ed era amuleto protettivo contro il malocchio; • LA LAVANDA, riposta a mazzetti nei cassetti e negli armadi, proteggeva la biancheria e per estensione anche tutta la famiglia; • LA FELCE, donava capacità divinatorie, forze soprannaturali e sapienza (secondo le credenze il suo fiore si schiude solo la Notte di San Giovanni, resta visibile per un attimo e può essere raccolto solo dopo aver lottato con il diavolo); • L’ERBA CARLINA, che serviva ad impedire il passo malefico della strega; se inchiodata alla porta di casa infatti, costringeva la strega a contarne con esattezza tutti i capolini. Con queste piante era possibile fare l’”acqua di San Giovanni”; se raccolte nella notte fra il 23 e il 24 giugno, messe in un bacile colmo d’acqua lasciato fuori casa per tutta la notte aveva il potere di aumentare la bellezza, preservare dalle malattie ma nello stesso tempo difendere dal malocchio, l’invidia e le fatture, soprattutto quelle pronunciate contro i bambini.
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Il Pianzio: famiglia, azienda, vino, olio e incanto Il Pianzio è un pianoro, una piccola spianata tra le pendenze dei crinali degli Euganei che si trova sul versante meridionale del monte Rua, nel comune di Galzignano Terme. Si tratta di uno dei luoghi più belli dei Colli, dove da ben quattro generazioni la famiglia Selmin coltiva i suoi campi. Ben 15 ettari, in parte terrazzati, un tempo destinati a colture diverse, dal ’99, invece, destinati in modo prevalente alle viti e agli ulivi. L’azienda è una famiglia della quale fanno parte Guglielmo e Vittorio e le rispettive mogli: Marzia e Mariagrazia e ovviamente i fondatori dell’azienda, Eugenio e Norma, che tuttora contribuiscono attivamente nel lavoro quotidiano. Al Pianzio, il passato e il presente non è solo una questione generazionale ma è la filosofia attorno alla quale gira tutta l’azienda. Passato e presente, infatti, possono essere declinati anche in tradizione e ricerca, ossia il massimo rispetto del territorio e delle caratteristiche originali dei prodotti, senza perdere il passo con le nuove tendenze del mondo enologico.
La Cantina: “Il vino si fa nel vigneto” I vini del Pianzio sono quelli del territorio. In primis Il Fior d’Arancio, prima DOCG dei Colli Euganei nelle tre versioni: secco - spumante (per ben 5 anni consecutivi la versione spumante ha ricevuto dei prestigiosi riconoscimenti al Vinitaly) passito e il Colli Euganei Serprino, altra eccellenza locale. Non mancano i rossi tra i quali si distinguono il Colli Euganei Rosso, il vino degli Euganei e lo “Jenio”, in onore del capostipite della famiglia (Eugenio) che significa “nato bene” ed infatti il vino ha rispettato in pieno le attese, tanto che la guida Il Golosario di Paolo Massobrio lo ha annoverato subito tra i migliori vini d’Italia. Ogni vino ha alle sue spalle un progetto, e prima di essere presentato al pubblico deve avere l’approvazione di tutta la famiglia. Per entrare nella filosofia della cantina Vittorio sovente propone ai visitatori una passeggiata tra le vigne prima di completare qualsiasi giudizio. La personalità di un vino deriva
dal territorio e dalle sue caratteristiche, qui ad esempio i vini bianchi sono giovani e ad hanno il brio e la disinvoltura degli adolescenti. A tanta impertinenza, però fanno da contraltare i rossi, più maturi e giudiziosi. L’occasione giusta per degustarli potrebbe essere il prossimo 25 MAGGIO quando anche
IL PIANZIO PARTECIPERÀ ALLA GIORNATA DI CANTINE APERTE, appuntamento ormai storico per tutti gli enoturisti indetto dal Movimento Turismo Veneto Il tema di questanno è Wine Story! ... colori, profumi, sapori... racconti in cantina!!! Sarà una festa dedicata a raccontare il vino e il territorio che il Pianzio esibisce entrambi con orgoglio. Oltre alle degustazioni delle migliori etichette, la giornata proporrà l’esibizione del coro “Monte Venda”, storica cantoria di Galzignano Terme che ha superato i 45 anni di attività e recentemente è diventato ambasciatore nel mondo del C.E. Fior d’Arancio. Inoltre, a cornice dei calici ci saranno i salumi d’oca dell’azienda Littamé. A partire dalle prime ore del pomeriggio potrete anche raggiungere accompagnati da una guida i vigneti storici del Pianzio posti sulle pendici del Monte Rua, all’ombra dell’Eremo dei Camaldolesi ed ammirare il bellissimo panorama della vallata. Il programma dettagliato è consultabile sul sito dell’azienda www.ilpianzio.it o su facebook “Il Pianzio”
IL PIANZIO di Selmin Soc. Agr. - Via Pianzio, 66 - 35030 Galzignano Terme (PD)
Colli Euganei Cabernet Sauvignon “Jenio” Il nome di questo vino è un omaggio a nostro padre Eugenio che, con il sudore del suo lavoro e la dedizione alla vigna, ha saputo trasmetterci la passione per la “Buona Terra”. Ottenuto da uve 100% di Cabernet Sauvignon, si presenta di colore rosso rubino intenso con riflessi granati. Dal profumo vinoso, erbaceo, di frutti di bosco e con una spiccata nota di pepe. Di gusto secco e tannico; è caldo, persistente, elegante e ben strutturato. Abbinamenti e temperatura di servizio: questo cabernet da il meglio di sè abbinato alle carni rosse e ai formaggi stagionati. Va servito a 18° C. NOTE DI PRODUZIONE Vigneto: di 15 anni, situato a Nord-Est in zona collinare a 50 m s.l.m. nel Comune di Galzignano Terme, con produzione limitata di 70 - 75 q. uva/ ha. Vinificazione ed affinamento: Fermentazione con macerazione sulle bucce mediamente lunga. Malolattica naturale durante l’affinamento in botti di acciaio per 8 mesi.
Strada del Vino Colli Euganei
L’olio è buono quanto ha le caratteristiche del territorio L’olio è una produzione recente per i Colli Euganei, anche se non si può dire la stessa cosa per gli ulivi. Ne esistono di centenari nell’azienda dei Selmin e se un tempo venivano usati per delimitare le proprietà oggi producono un’eccellenza per l’intero territorio collinare. Con le olive degli oltre 250 alberi che punteggiano la proprietà viene prodotto un “blend”, spremuto a freddo, che volentieri nella saletta delle degustazioni la famiglia Selmin offre in assaggio su crostini di pane. Un olio delicato, di bassa acidità armonioso nel gusto, che in gioventù sa da erba appena sfalciata e poi prende un gradevole sentore di carciofo Fruttato di media intensità che non copre il sapore delle pietanze. Caratteristiche uniche, dovute al particolare clima dei colli Euganei e alla presenza di un terreno vulcanico che conferisce ricchezza al prodotto finale.
A sinistra: Mariagrazia che vendemmia A destra: La famiglia Selmin. Da sinistra Guglielmo che in azienda si occupa dei lavori di campagna, a fianco la moglie Marzia che con la cognata Mariagrazia si occupano dell’accoglienza dei clienti e delle degustazioni guidate mentre Vittorio è l’esperto cantiniere. Sotto: Le etichette dei vini dell’azienda
Tel./Fax 049 9130422 - Cell. 393 7699836 - info@ilpianzio.it - www.ilpianzio.it
STORIA E DINTORNI
Museo del Volo, una storia sospesa per aria Il Castello di San Pelagio dal 1980 raccoglie le principali eventi e reperti riguardanti la conquista dell’aria da parte dell’uomo. Al via dal 4 al 25 maggio, “Let’s event 2.0”, una caccia al tesoro interattivo di Padova Eventi
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a Castello a villa e “Museo del volo”. L’edificio che oggi ospita il museo di Due Carrare risale al XII secolo, più volte rimaneggiato sino alla definitiva veste risalente al 1775 oggi è conosciuto anche come Villa Zaborra o meglio ancora come “Museo del volo”, inaugurato nel 1980 grazie all’impegno della proprietà e di Maria Fede Caproni. Il percorso espositivo si divide in due sezioni, una esterna con diversi velivoli e sistemi bellici esposti e nel giardino interno della villa e uno interno con 38 tra sale e salette espositive dove a fianco dell’originale arredamento trova spazio l’intera storia del volo umano facendo perno sull’impresa dannunziana; a tale volo è dedicata la parte principale del museo con le stanze abitate dal poeta nel periodo 1917-1919. Fanno da “contorno” le sale dedicate a Leonardo, ai Montgolfier, ai Wright, a Ferrarin, a Lindbergh, a Nobile, a Balbo, a Forlanini, a Gagarin e Armstrong. GABRIELE D’ANNUNZIO E IL VOLO SU VIENNA Il Castello di San Pelagio è un luogo cruciale della vita di Gabriele D´Annunzio. E´ da qui infatti che partì e tornò dal “folle” volo su Vienna nel 9 agosto 1918, in pieno primo conflitto mondiale: “non siamo venuti se non per la gioia dell´arditezza” le sue parole dopo l´impresa che lo vide sorvolare la capitale del nemico austroungarico come maggiore dell´87° squadriglia
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“La Serenissima”. Nelle stanze del poeta pescarese tutto è rimasto come allora perchè voi possiate rivivere quei momenti e ripercorrere la storia del volo umano, mirabilamente raccontata nel Museo dell´Aria. IL PARCO, UN INCANTEVOLE GIARDINO STORICO Il giardino storico del Castello è un luogo incantevole tutto da vivere e visitare, passeggiando tra le rose e i suoi labirinti. Dal 1970 il parco è stato oggetto di un accurato restauro con il censimento di tutte le specie botaniche tutt’ora presenti; i due giardini della villa, nelle loro differenti tipologie, sono stati arricchiti di nuove piante e soprattutto di migliaia di rose che, specie a maggio, ne fanno un grande spettacolo! Tra le piante più antiche una Lagestroemia Indica del 1700, un Populus Alba del 1800 e molti Carpinus betulus centenari. Nel 2000 è stato creato un labirinto verde di 1200 mq, per raccontare il mito del volo di Icaro, senza dimenticare la funzione dei labirinti delle ville venete. Nel 2007 è sorto un secondo labirinto per sottolineare il concetto dannunziano di “doppio”. Essendo uno dei parchi più belli di tutto il Veneto e per il suo valore storico, il giardino del Castello è meta ideale per visite e gite a Padova. Le informazioni sono state tratte dal sito www.castellodisanpelagio.it
STORIA E DINTORNI
A SAN PELAGIO - DUE CARRARE - DOMENICA 4-11-18-25 MAGGIO PARTECIPA a let’s event 2.0 inquadrando il QR Code qui a fianco con il tuo smartphone! Il primo appuntamento con let’s event 2.0, il nuovo gioco interattivo di Padova Eventi, si svolgerà al Museo dell’Aria e dello Spazio, all’interno del Castello di San Pelagio, dove verranno posizionati vari QR Code con domande e risposte multiple, aventi come filo conduttore la storia del volo umano raccontata attraverso le gesta di quei personaggi che si sono distinti nel corso della loro vita. Let’s event 2.0: il QR Code a servizio dell’arte e della cultura Let’s event 2.0, il nuovo format di Padova Eventi, è un gioco interattivo che ha come scopo quello di valorizzare e riscoprire la bellezza e la storia dei nostri musei, ville e città attraverso degli eventi in cui la tecnologia si mette a servizio dell’arte e della cultura attraverso il QR Code. Inquadrando con il proprio cellulare il codice QR che verrà posizionato all’interno e all’esterno del museo e si vedrà apparire sullo schermo la domanda con quattro risposte delle quali solo una è corretta... e parte il gioco! Anche i bambini parteciperanno alla scoperta di personaggi ed oggetti reali, i quali rimarranno impressi nella loro memoria proprio perché attraverso il gioco vivono una nuova esperienza imparando. Fantastici premi per tutti! Per i primi tre classificati di ogni domenica sono previsti fantastici premi. • I° premio: buono omaggio per profumo a scelta alla Luxury Room di Padova • II° premio: ingresso esclusivo al Parco Natura Viva di Bussolengo • III° premio : ingresso esclusivo alle Piscine Preistoriche di Montegrotto Terme
Inoltre per tutti i partecipanti buoni sconto del 10% da spendere alla Luxury Room - Farmacity e al Risto Pizza & Music Re di Mezzo di Due Carrare! E per finire... aperitivo a buffet! Infine, non può mancare l’aperitivo a buffet che potrete sorseggiare e gustare all’ombra della vegetazione e nel rilassante giardino. Il giusto finale per una giornata all’insegna della cultura, della storia e del divertimento. Inizio dell’evento dalle ore 14.00 Ultima registrazione in loco entro le ore 17.00 del giorno dell’evento Dalle ore 18.00: aperitivo a buffet per tutti i partecipanti! CONTRIBUTO DI PARTECIPAZIONE • Adulto singolo (uno smartphone abilitato): € 4,50 • Coppia (2 persone con 2 smartphone abilitati): € 7,50 • Famiglia (genitori e bambini con 2 o più smartphone abilitati): € 8,00 • Gruppi (da 3 persone in su con un smartphone a testa abilitato): € 3,00 pp Residenti del Comune di Due Carrare: 1,00 € sconto Soci dell’Ass. Reitia e bambini sotto i 12 anni: gratuito Il contributo di partecipazione, da versare presso il punto di benvenuto il giorno dell’evento, comprende la partecipazione al gioco e l’aperitivo a buffet finale. L’ingresso al Museo si intende in aggiunta ai prezzi sopra indicati. Possono essere previste promozioni “last minute” e pacchetti speciali destinati a gruppi e famiglie.
Informativa sulla Privacy L’Associazione Culturale Reitia, in qualità di Titolare del Trattamento, informa che i dati personali forniti saranno utilizzati esclusivamente per scopi connessi all’iniziativa e per l’invio di comunicazioni promozionali su eventi ed iniziative organizzate e/o promosse da Reitia. Si potranno esercitare i diritti previsti dall’art. 7 del D. Lgs. 196/2003 ed in particolare chiedere all’Associazione Culturale Reitia, in qualsiasi momento, l’accesso ai dati personali nonché la cancellazione, l’aggiornamento o la modifica degli stessi inviando una richiesta all’indirizzo e-mail info@reitia.org.
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Agriturismo Ca’ Esa
di Boccon, in contatto con la natura Via Venda a Boccon è un incanto di alberi, di fiori e di profumi, lì la famiglia Ambrosi ha il suo ristorante e la sua azienda che continua a condurre nel rispetto della tradizione e del paesaggio Arrampicandosi lungo via Venda a Boccon di Vo’ si arOSPITALITÀ IN CASA AMBROSI riva al paradiso terrestre. Da qua su, si domina la valle La stagione inizia con i primi clienti che dopo l’invered è uno spettacolo di verde, di vigneti di alberi con i no telefonano per chiedere: “Avete aperto?” Quanloro profumi, in questa stagione. Non è una zona isolado la criniera del grande ipocastano, che da sempre ta, tutt’altro si può dire sia un borgo dislocato lungo ad presidia la porta dell’agriturismo, è folta, ecco quello una strada, con le vecchie corti rurali, con le vecchie è il momento in cui la cucina ricomincia a mettersi in case strette e lunghe dove fino a non molto temIl nonno Alfonso aveva funzione e i tavoli ad espo fa vivevano famiglie numerose. Qui, dove oggi me sso a dimora le vigne sere imbanditi con tutti i l’agriturismo Ca’ Esa da’ ospitalità e ristoro, c’era che ora il figlio Osvaldo prodotti di stagione. Assoil barbiere. Ca’Esa, però, è continua a far produrre lutamente da assaggiare è soprattutto azienda agricola seguendo la tradizione la pasta fatta in casa con i dove il nonno Alfonso aveva “bruscandoli” o con i “carmesso a dimora le vigne che letti” mentre è annoverata tra le specialità ora il figlio Osvaldo continua la grigliata. a far produrre seguendo la ,Il cibo è semplice come le erbe di campo, tradizione. Il primo vino imma raffinato nell’intensità dei sapori e dei bottigliato della zona è stato profumi e solido nella sua rustica corposità messo sotto vetro proprio alla quale fanno da “pendant” le primizie, qui, con un rito che di anno in anno coinvolgeva tutta la siano esse: ciliegie, albicocche o fichi, con i quali venfamiglia Ambrosi in un lavoro a catena che iniziava con gono preparati i dolci. Il massimo è la crostata di mele. il lavaggio delle bottiglie. Pinot, moscato, chardonnay, Su tavoli non manca mai l’olio, ovviamente prodotto prosecco e garganega sono i bianchi che continuano sempre in casa grazie agli ulivi che fanno da corona ai ad essere messi sotto vetro mentre tra i rossi, i vini delvigneti sui versanti del grande Monte Venda, il più alto la tradizione: cabernet, merlot e raboso, sono l’orgoglio di tutti gli Euganei. di Osvaldo. Si tratta di una produzione limitata, appena cinque mila bottiglie, mentre il resto del vino viene venÈ gradita la prenotazione al numero 049 9940795. duto sfuso oppure ai tavoli dell’agriturismo.
Agriturismo e Azienda agricola Ca’ Esa, via Venda, 1976 - Boccon di Vo. Per il servizio di agriturismo è gradita la prenotazione al numero 049 9940795
Una passeggiata sul tetto degli Euganei L’agriturismo Ca’Esa è il luogo ideale per un’escursione sul monte Venda. Imboccata l’omonima via, infatti, è possibile arrivare in pochi minuti alle pendici dell’alto colle oppure alla sua sommità. Lungo il percorso si possono osservare suggestivi panorami, boschi di castagno e alcuni maronari secolari di enormi dimensioni, un laghetto effimero con pioppi e carpini bianchi e i resti di carbonili per la produzione del carbone dolce, individuabili in numerose piazzole dove la terra conserva ancora il colore nerastro. Sul versante settentrionale una breve salita porta a un bivio dove si può scegliere di salire lungo un sentiero al monastero degli olivetani, si tratta di un luogo di grande suggestione, una sorta di San Galgano dei colli Euganei, con le pareti del grande romitorio eretto nel 1229 ancora in piedi e la navata della chiesa completamente scoperchiata, proprio come l’abazia senese che conserva la spada nella roccia del cavaliere che dismise le armi per diventare eremita.
Monastero degli Olivetani Nel 1197 i primi documenti scritti parlano di un testamento in favore di quelli del Venda e della presenza di un ordine religioso fondato da un certo Adamo di Torreglia, che insieme al suo fedele servitore si insediò sulla cima più elevata. Nel 1207 Alberico e Stefano, due monaci benedettini di S. Giustina, decisero di risalire il colle in cerca di pace e tranquillità per poi fondare il monastero secondo le regole di San Benedetto; costruirono gli alloggi, il chiostro e la Chiesa di San Giovanni Battista grazie anche alle sovvenzioni dei nobili Maltraversi di Castelnuovo di Teolo. Alcuni anni dopo il 1330, il monastero, sotto indicazione del Vescovo di Padova, fu consegnato agli Olivietani, nota congregazione aristocratica, e ingrandito per mezzo dell’intervento e protezione della famiglia dei Carraresi. Il periodo di splendore si concluse nel 1771 quando la Repubblica di Venezia decise di chiudere il monastero trasferendo i monaci e mettendo all’asta tutti i possedimenti che divennero di proprietà della famiglia Erizzo. Nell’arco degli anni il complesso costituì riparo per i pastori, ma non si riuscì a evitarne il degrado; recentemente un’opera di restauro ha interessato i resti del monastero che ha contribuito alla storia di questa zona. Fonte www.collieuganei.it
Cantina Colli Euganei, 24-25 maggio degustare sarà un obbligo Un consiglio: al formaggio o al prosciutto Berico Euganeo abbinate un calice di “serprino brut”, assaggerete un pezzo importante di questo territorio
Approfittando dell’impareggiabile bellezza che i Colli Euganei raggiungono in questa stagione e delle prime vere giornate calde e piene di sole, una passeggiata tra i boschi e le strade bianche di sasso di queste parti potrebbe tradursi in una irrinunciabile opportunità di conoscere da vicino anche il mondo del vino e l’interprete principale del mondo enologico euganeo. La Cantina dei Colli Euganei, infatti, aprirà i battenti dei suoi spazi interni, quelli nei quali il pubblico non è permesso negli altri giorni, gli ambienti della lavorazione e quelli dell’affinamento, come la barricaia. Il 24 e il 25 maggio, dunque la cantina di Vo’ si farà scoprire, grazie a visite guidate per gruppi di massimo 25 persone che ogni ora e mezza verranno accompagnati nella rivela-
zione di quel miracolo che trasforma il mosto in vino. Ovviamente guardare non basta, bisognerà assaggiare, anzi degustare. A volersi fidare, la proposta della cantina sarà rivolta ai vini del territorio come il merlot o il cabernet, entrambi Doc dei colli, o il raboso, ma per i più esigenti non ci sarà che l’imbarazzo della scelta: la cantina potrà esaudire ogni richiesta compreso un bicchiere di “Notte di Galileo” il vino punta dell’enoteca di via Marconi a Vo’. Ancora un consiglio, anzi due: al formaggio o al prosciutto Berico Euganeo abbinate un calice di “serprino brut”, degusterete un pezzo importante di questo territorio e se durante la famosa passeggiata dalla quale siamo partiti vi attarderete sulla via del ritorno, alla Cantina dei Colli Euganei, fermatevi lo stesso vi offriranno un aperitivo.
www.cantinacollieuganei.it
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Cantine Aperte
è l’evento enoturistico più importante in Italia
Serprino Brut La presenza di fossili marini nel territorio dei Colli Euganei testimonia la loro origine vulcanica. I rilievi separati da fresche vallate, l’esposizione solare ed il rimescolamento dei depositi alluvionali con le rocce vulcaniche, determinano nelle uve intensi caratteri qualitativi. Grazie a queste peculiarità i vini spumanti spiccano per profumi fruttati, talvolta aromatici e per piacevole briosità. Il Serprino brut è tra questi, prodotto con l’uva Serprina (Glera) in purezza 100% conferita da soci e provenienti da vigneti situati nell’area DOC del parco naturale dei Colli Euganei, si caratterizza per il colore giallo paglierino, il perlage fine e persistente e schiuma evanescente. Il profumo è fine con sentori di frutta, il sapore asciutto e di buon equilibrio. E’ un perfetto aperitivo, si sposa benissimo con gli antipasti, ma può anche essere servito a tutto pasto.
Dal 1993, l’ultima domenica di maggio, le cantine aprono le loro porte al pubblico, favorendo un contatto diretto con gli appassionati di vino. Cantine Aperte è diventato nel tempo una filosofia, uno stile di viaggio e di scoperta dei territori del vino, che vede, di anno in anno, sempre più turisti, curiosi ed eno-appassionati avvicinarsi alle cantine, desiderosi di fare un’esperienza diversa dal comune. Oltre alla possibilità di assaggiare i vini e di acquistarli direttamente in azienda, è possibile scoprire i segreti della vinificazione e dell’affinamento. Protagonisti di Cantine Aperte sono giovani, comitive e coppie, che contribuiscono ad animare le innumerevoli iniziative di cultura gastronomica ed artistica che fioriscono attorno all’evento in tutto il Paese, su iniziativa degli stessi vignaioli. Cantine Aperte ha riscosso nel tempo un successo crescente, anche grazie ad una maggiore consapevolezza dei produttori, che hanno visto svilupparsi potenzialità di accoglienza inattese.
Gli altri appuntamenti con la cantina 18 maggio 2014 “Vo’ Gustando”,
passeggiata eno-gastronomica all’interno del Parco Regionale dei Colli Euganei, a cura dell’Associazione Da Vadum a Curtis, in collaborazione e con il patrocinio del Comune di Vo’
A luglio
CANTINA COLLI EUGANEI s.c.a. Via Marconi, 314 - Vo’ Euganeo (PD) Tel. 049 9940011 - Fax 049 9940497
info@virice.it
2° ed. “Stelle di vino”,
serata estiva organizzata dalla stessa cantina dei Colli Euganei, con degustazione di vini e di prodotti del territorio
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Centro Sportivo
Le Tre Piume
Sport, amicizia e divertimento l centro sportivo di Agna è una struttura all’avanguardia per l’offerta e per il livello di sicurezza dell’impianto. Oltre ad un servizio impeccabile troverete un ambiente famigliare, accoglienza e una cucina semplice ma ideale per chiudere una giornata tra amici all’insegna dell’allegria e dello sport. Definire il centro sportivo “Le tre piume” un poligono, oppure un centro di “tiro sportivo” è molto riduttivo. L’attività che viene svolta in via Costanze ad Agna, infatti, è ben più articolata e coniuga allo sport anche un servizio di ospitalità, con un ristorante che sforna piatti accompagnati da vini della tradizione locale, e un’area riposo, che estende il piacere di una giornata all’aria aperta anche ai famigliari dei tiratori. Una piccola oasi verde e una piscina, infatti, possono essere lo svago perfetto per chi alle sagome o ai piattelli ama il relax di una giornata trascorsa in riva all’acqua. Insomma, è il posto giusto in cui passare le domeniche è ovviamente per chi ama lo sport con le “armi” è un vero e proprio parco divertimenti. Non mancano le attività agonistiche con allenamenti e corsi per imparare l’antica arte balistica e le occasioni di ospitare grandi appuntamenti internazionali con i campioni delle varie
discipline. Una realtà cresciuta in fretta - spiegano Giovanni e Mario, che si occupano del centro - tutto questo nel 1998 era un’azienda faunistica venatoria, nella quale gestivamo il ristorante per i cacciatori. Tutto è nato dal primo circolo Aics (Associazione italiana coltura e sport) sorto attorno a un campo di tiro che non era altro che una macchina lancia piattelli e 5 ombrelloni per tenere all’ombra i tiratori. Con il passare del tempo la struttura ha cominciato a cambiare aspetto e oggi praticamente riesce a soddisfare ogni esigenza che riguarda lo sport del tiro al volo e non solo visto che esistono piazzole per il tiro statico e in movimento per la pistola, piazzole per il tiro con avancarica, 16 linee per il tiro lungo (con la carabina a 250 metri) e un’area attrezzata per il soft-air”. In Europa una struttura così completa non esiste e non ne esiste una altrettanto sicura in Italia, infatti, è l’unica
CENTRO SPORTIVO “LE TRE PIUME” via Costanze, 8 - 35021 Agna (PD)
che può fregiarsi del marchio sicurezza Coni. Ed è l’unica nella quale oltre ad un servizio impeccabile troverete un ambiente famigliare, accoglienza e una cucina semplice ma ideale per chiudere una giornata tra amici all’insegna dell’allegria e dello sport. CORSI PER IL TIRO AL VOLO Giovanni e Mario sono anche istruttori per il tiro al volo. Settimanalmente si tengo i corsi e gli allenamenti dei giovani sportivi che concorrono in vari campionati. Ma perché dei giovani dovrebbero iniziare a maneggiare delle armi? La risposta è semplice, non si tratta di armi ma di attrezzi sportivi come lo è il giavellotto oppure l’arco, non sono pericolosi se non vengono puntati contro qualcuno. Il tiro al volo è uno sport che implica grande consapevolezza di ciò che si sta facendo e in più sviluppa enormemente l’aspetto psicologico di chi lo pratica. Quando si scende in pedana la concentrazione è determinate per ottenere dei buoni risultati. Il grande campione Luciano Giovannetti, oro nella specialità Fossa Olimpica alle Olimpiadi di Mosca nell’80, oro a Los Angeles nell’84 ed insignito dall’ISSF (International Shooting Sport Federation) quale atleta del secolo nella sua specialità, formatore di Giovanni e Mario, insegnava:”Diventerai un campione quando non riconoscerai i tuoi genitori tra il pubblico durante una competizione”. Per quanto riguarda il tiro dinamico con la pistola “Le tre piume” può contare sui migliori tiratori della “production”, infatti, sono i campioni italiani in carica.
Prossimi Appuntamenti 25 MAGGIO - Gara provinciale Rovigo federcaccia eliche 15 GIUGNO - Gara provinciale Rovigo federcaccia eliche 22 GIUGNO - Coppa dei campanili gara provinciale Rovigo federcaccia eliche 5/6 LUGLIO - FITAV finale campionato italiano compak DA NON PERDERE 19 LUGLIO - CNDA gara tiro a volo fucili ad avancarica 3-9 AGOSTO - D.O.T. European Campionship in C.A.S. Wild West Rebels Club, un vero spettacolo western, con ambientazioni da film di Sergio Leone. Dopo il successo dello scorso anno la manifestazione con i Cowboy promette grandi numeri 30-31 AGOSTO - X TROFEO DELLA SPERANZA, manifestazione di beneficienza il cui incasso sarà devoluto alla Fondazione città della speranza
Orari Estivi
TIRO A VOLO dal mercoledì alla domenica 8.30 -12.30 e 14.30 -19.00 mercoledì sera fino alle 23.00 TIRO CON ARMI RIGATE giovedì pomeriggio 14.30-19.00 sabato e domenica 8.30 - 12.30 e 14.30 -19.00
Tutti i Campi a disposizione 8 CAMPI DA TIRO AL VOLO nel quale ci si può esercitare in discipline olimpiche come la “fossa”, lo “skeet” e il “double trap” oppure le non olimpiche come la fossa universale, il compact sporting o il trap americano e percorso caccia 15 STAGE PER IL TIRO CON LA PISTOLA sia statico che in movimento PIAZZOLE E BERSAGLI PER IL TIRO CON L’ARCO LINEE PER IL TIRO AD AVANCARICA, con vecchi fucili dell’Ottocento 23.000 m2 ATTREZZATI PER IL SOFT-AIR Sono in allestimento 16 LINEE PER IL TIRO LUNGO tiro con la carabina a 250 metri Tel. 049 9515388 - Fax 049 9519308 - info@letrepiume.it - www.letrepiume.it
STORIA E DINTORNI
Stagione che vai, “erbette”che trovi Un tempo alimenti poveri che integravano la scarsa mensa dei contadini, oggi sono state riscoperte per il loro valore nutrizionale e per i sapori che qualificano la primavera Tesori gastronomici perduti proprio per colpa dall’agricoltura e dalle grandi macchine che hanno cambiato il profilo delle campagne e che per muoversi non devono avere ostacoli come alberi, siepi e rovi, piccoli fossi e canali
Annibale Carracci “Il Mangiatore di fagioli”, Galleria Colonna (Roma)
di Mario Stramazzo
I
l proverbio popolare veneto riferito al consumo alimentare che si faceva dei diversi ortaggi, “Più erbe se magna, più bestie se deventa”, più che negare il valore dei prodotti orticoli e delle erbe spontanee mangerecce, era legato al fatto che poveri piatti di verdura, insieme a poche altre cose, erano le uniche cibarie sulle tavole popolane e non erano espressione di opulenza ma di quasi bestiale, povertà. Con l’arrivo della bella stagione però, quasi a voler riconoscere l’importanza dell’apporto nutrizionale che le verdure offrono, ecco che la saggezza popolare ribalta la questione coniando il “No xe erba che varda in sù che no gabia ea so virtù”, nobilitando di fatto alimenti semplici ma ricchi di sostanze che garantivano sempre e con poca spesa, un sano mangiare a pranzo e
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a cena. Il tutto con l’ulteriore ruolo di rappresentare l’arrivo della primavera e della sua freschezza rinnovatrice di cui non c’è organismo che può fare a meno. Col passare dei tempi e degli stili di vita, le nostre sensibilità sono andate scemando ma, per gli amanti della buona tavola e di valori culturali non ancora del tutto cancellati, la stagione delle primizie era ed è una fra le più ghiotte. A cominciare da quelle che si trovano camminando per i campi. Sempre più rare vista la cementificazione selvaggia che si mangia la terra e l’habitat ideale per le erbe spontanee e dei piatti che si possono preparare. Dai bruscandoli, i germogli del luppolo, che crescono sul limitare dei terreni incolti o in mezzo ai rovi e che sono i più attesi per risotti o golose frittate, al più robusto crescione, pianta parente
TARASSACO STRIDOLI O CARLETTI BARBE DI FRATE ORTICHE ROSOLE
dei broccoli che cresce in prossimità delle rive o nelle anse dei piccoli corsi d’acqua che, per il suo aromatico “piccantino”, diventa insuperabile ingrediente per insalate o zuppe con pane raffermo e uovo. C’è poi il tarassaco, o dente di leone, pisciacane, o “brusaoci”, per via del suo fiore giallo intenso, che in primavera vien chiamato anche “radiceto pedoco”, da consumarsi in misticanza, mentre, più avanti con la stagione, diventa “radicio” per essere prima lessato e poi saltato in padella con ciccioli di lardo. Seguono i ricercati raperonzoli, con le loro radici che sembrano piccole rape, ideali per minestre, zuppe e risotti anche se, come altre varietà spontanee, in molte parti d’Italia sono specie protetta ed è bene informarsi prima di raccoglierli. E ancora, la pianta detta silene, chiamata anche con il nome di stridoli o carletti, molto ricercata in quanto considerata fra le migliori erbe commestibili, anche se per il solo periodo prima della fioritura. Dopo, le foglie basali diventano troppo coriacee e perdono tutta la loro fragranza, va mangiata sia cruda che cotta o in risotti, minestre, ripieni e frittate e ha un sapore dolce, delicato e meno robusto di quello delle barbe di frate. Conosciute, queste ultime, anche come agretti che, proprio per la loro forza, si prestano sia all’uso più semplice, bolliti e mangiati con un giro d’olio extravergine, sia per condire un risotto o un piatto di spaghetti. Altra pianta spontanea tutt’altro che da evitare, anche se per raccoglierla è meglio indossare dei guanti, è l’ortica, usata per risotti e frittate quando le foglie di fine aprile sono più tenere. Nel panorama poi non possono mancare le rosole, figlie della pianta propriamente chiamata rosolaccio, riconoscibile in mezzo ai campi per i suoi fiori rossi, i papaveri, ormai pressoché scomparsi dai campi di grano per via dei diserbanti. I papaveri del rosolaccio non sono da confondere con quelli da cui si ricava una delle droghe più temibili, ma contengono comunque delle piccolissime quantità di alcaloidi dal vago effetto rilassante e soporifero. Per la qual cosa, secondo antiche dicerie popolari, con i semi di papavero era d’uso preparare dei biscottini per sedare l’irrequietezza di bambini troppo vivaci. In realtà, specie nella cucina orientale, i semi venivano impastati con la farina per dare più sapore al pane e creare sulla sua superficie una crosta croccante, come vien fatto ancor oggi da qualche fornaio. Un consiglio gastronomico, infine: quando si prepara la base per un risotto con le erbe, evitare la la cipolla, meglio un leggero profumo di aglio o scalogno, così si esalterà il gusto delle erbe spontanee di primavera.
BRUSCANDOLI
STORIA E DINTORNI
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di BAONE
FESTA PER
UN’ECCELLENZA Dal 30 maggio al 3 giugno la festa dei sapori primaverili con assaggi, approfondimenti culturali, serate a tema di degustazione nei ristoranti e nei locali del territorio, concorsi di piselli, che sono già stati seminati e che stanno crescendo sotto lo sguardo attento dei coltivatori I piselli di Baone sono un’eccellenza del territorio euganeo, coltivati da tempi antichissimi e apprezzati dalla Serenissima Repubblica, come ingrediente fondamentale per la ricetta veneziana per antonomasia “Risi e bisi”, venivano scelti, oltre che per le loro qualità, per fatto che per la data del 25 aprile, giorno di San Marco patrono della città lagunare, erano già pronti per essere serviti insieme alla celebre minestra, in virtù della particolare esposizione a sud dei colli che ne permetteva la raccolta anticipata. La tanto pregiata cultura è stata riscoperta di recente, proprio grazie alla festa. Era il 1999, infatti, quando Stefano Zambon, propose la prima edizione: un convegno sui piselli, un concorso per gli agricoltori e una degustazione di lasagne furono le premesse per il successo di un evento del territorio che da allora non ha mai smesso di crescere
e di attirare visitatori, accreditandosi come principale festa enogastronomica in territorio Euganeo. La festa infatti ha il suo indotto e oggi sono diversi i coltivatori o i semplici hobbisti che si dedicano alla coltivazione dei piselli. Oltre all’indotto ci sono poi le ricadute positive per il territorio, in quanto le coltivazioni si prestano per il recupero dei terreni marginali, non destinati alle viti, e quindi impediscono l’inselvaticamento dei colli. Da qualche anno, inoltre, è partita una sperimentazione per individuarne le migliori qualità e una progressiva ricerca per perfezionare l’impiego in cucina con nuove ricette messe a punto da esperti chef dei ristoranti locali. Insomma se il nome di Baone è sempre più conosciuto nella gastronomia nazionale è perché in cucina viene preceduto da “Bisi”.
L’ASSOCIAZIONE Bisi&Bisi L’associazione Bisi&Bisi è parte integrante del progetto che ha come obbiettivo il rilancio della prduzione dei piselli a Baone. Con questo scopo, infatti, nel 2009 è nato un primo sodalizio di 16 persone che nel corso degli anni è salito a 26, comprendendo volontari, appassionati e 15 aziende produttrici. Negli anni l’associazione ha lavorato duramente per la valorizzazione delle produzioni di piselli, indicando come via maestra da seguire la qualità. La superficie coltivata, infatti, non è estesissima: poco più di sei ettari che in questi anni sono stati condotti nella pro-
duzione delle migliori varietà, insomma “bisi” di eccellenza rivolti soprattutto al mondo della ristorazione e a quel settore della gastronomia che in cucina sa coniugare ai valori delle materie prime la cultura del territorio. Proprio per preservare questa esclusiva preminenza, negli ultimi anni è nato un marchio, collegato al Parco dei Colli Euganei, e recentemente un disciplinare di produzione. I Bisi di Baone sono solo quelli che esibiscono il marchio, essendo prodotti a Baone o Acquà Petrarca con metodi tradizionali ossia prossimi all’agricoltura biologica.
www.festadeibisi.it - bisiebisi@alice.it
Per informazioni Stefano Zambon 329 1591760
TUTTI I GIORNI ⊲ ESPOSIZIONE E VENDITA DI PISELLI FRESCHI E PRODOTTI LOCALI ⊲ STAND GASTRONOMICO TUTTE LE SERE ORE 19.30 - domenica e lunedì anche a mezzogiorno
Venerdì 30 Maggio 2014 19.30 Apertura della festa e dello stand gastronomico 20.00 In piazza: apertura dell’enoteca con degustazione dei vini locali e dell’Isola del gusto con i piatti dei ristoratori a base di Bisi 21.30 Serata danzante con l’orchestra “ILARIA VERONESE”
Sabato 31 Maggio 2014 16.30 MERCATO DEI PISELLI E DELLE PRODUZIONI LOCALI 21.30 Musica dal vivo con JOE DIBRUTTO Musica anni ‘70
Domenica 1 Giugno 2014 9.00 Mostra-mercato di prodotti tipici e hobbysti (per tutto il giorno) 10.00 RIEVOCAZIONE ANTICHI MESTIERI a cura dall’Ass.ne Culturale “La Corte Medioevale” di Valle San Giorgio (per tutto il giorno) 10.00 ESPOSIZIONE dei “BISI” IN CONCORSO 10.00 LABORATORI PER RAGAZZI a cura del Bacino PadovaTre 10.00 BUONGIORNO BAONE! Presentano Laura Ferrari e Fred Ospite d’eccezione: BRUNO PIZZUL Saluto delle Autorità PREMIAZIONI DEI CONCORSI • LE MIGLIORI QUALITÀ DI PISELLI 16a edizione • SPAVENTAPASSERI, L’AMICO DEI CAMPI 12a ed. •C AMPIONATO DI SGRANATURA DEI BISI con la telecronaca in diretta di BRUNO PIZZUL 12.30 Stand gastronomico e degustazioni in piazza 16.30 Animazione musicale con WONDERBRASS STREET BAND 21.00 Grande serata di cabaret con TANTO PAR RIDARE SHOW
Lunedì 2 Giugno 2014 9.00 Mostra-mercato di prodotti tipici e hobbysti (per tutto il giorno) 10.30 Animazione musicale in piazza 16.00 Musica dal vivo con DUO DAVIDE E LAURA 18.00 Cabaret con il ritorno di Paolo Franceschini 21.00 Esibizione spettacolo con la scuola di ballo A PASSO DI DANZA
Martedì 3 Giugno 2014 21.30 Orchestra spettacolo PAPAYA SHOW con ballo in piazza
Mostre & esposizioni permanenti • Esposizione velocipedi d’epoca LA BICI NEL TEMPO… CON NOI! • SPAVENTAPASSERI • ARTIGIANATO E HOBBISTICA • RICAMO E CUCITO
GIROGUSTANDO Collaterale alla Festa dei Bisi è l’iniziativa di Confesercenti Padova, Girogustando, ossia una rassegna di serate in ristorante con menù, ovviamente, a base di piselli. Alla proposta hanno aderito 10 chef che nei propri locali presenteranno, attraverso la voce del noto giornalista eno-gastronomo Mario Stramazzo, e i propri piatti nuove soluzioni per l’impiego dei “bisi” in cucina.
RISI, BISI E DOGI Il 25 aprile, giorno di San Marco, patrono di Venezia e della Serenissima Repubblica, il Doge, rappresentante la maestà della antichissima Repubblica, raccoglieva intorno a sé i procuratori di San Marco, i patrizi del maggior Consiglio, gli uomini d’arme amministratori dello Stato, le personalità delle ambasciate straniere, in un convito in palazzo Ducale, nella fastosa sala dei Banchetti addobbata per la circostanza. Un rito solenne, un pranzo onorato da cibi ricercati, da vini sopraffini, ma anche da una certa semplicità in quanto il banchetto si imperniava sulla tradizionale minestra veneziana dei “risi e bisi”, il riso con i primi piselli della primavera. Questo piatto aveva anche una valenza emblematica: festa della rinascita della natura dopo il lungo e grigio periodo dell’inverno.”Risi e bisi” erano celebri in tutti i territori della Serenissima, talchè risi e bisi o rizi e bizi sono proposti ancora nei menù di tutte le città dell’Adriatico orientale, della Grecia e persino della Turchia, così come risi-bisi è il piatto che gli Austriaci, nel 1866, si portarono in patria, dopo l’abbandono di Venezia, come bottino gastronomico!
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“Il Prato del Re”,
dove l ’erba voglio cresce ed è sempre più verde L’azienda “Il prato del re” di Maserà di Padova è specializzata nella produzione di prati in rotolo e propone un servizio che parte dalla consulenza e accompagna tutte le fasi di realizzazione di un impianto: dalla progettazione, alla posa in opera Primavera, stagione di risvegli e di sensazioni istintive come la voglia di camminare scalzi sull’erba di un prato…e sul prato di casa? Tanto trascurato da mettere solo tristezza? D’altro canto gli impegni di lavoro, la cura dei figli, i tempi sempre più avari ostacolano la realizzazione di desideri che spesso sembrano irraggiungibili. Stabilire i tempi opportuni, sistemare la terra, seminare, concimare, curare con sfalci e diserbi, tutti lavori che nel loro susseguirsi possono durare anche un anno, e ciò dissuade la volontà da ogni buona intenzione. La soluzione più semplice ed economica? Il prato in rotolo che in 15 giorni dà un risultato perfetto. Per l’attecchimento dell’erba in rotolo bastano 5 giorni di annaffiature e il trapianto è possibile in qualsiasi mese dell’anno. Mantenere il risultato è più facile che ottenerlo. Che aspettare?
L’azienda “Il Prato del Re” di Rigoni Giacomo da dieci anni è specializzata nella coltivazione e nella vendita del prato in rotolo. I 10 ettari di vivaio in via Casolina a Maserà di Padova sono interamente coperti di erba, ottenuta da essenze certificate e di prima scelta, da destinare alla messa a dimora del prato pronto, così da poter garantire la disponibilità immediata del prodotto a prescindere dalle dimensioni della richiesta. Il servizio dunque è tempestivo ed efficace anche perché seguito in ogni sua fase con disponibilità a consulenze. L’offerta può soddisfare sia la richiesta di rotoli standard (40 x 125 cm) che quella di big-roll (120 cm x lunghezza a piacere). IL PRATO DEL RE di Rigoni Giacomo - www.ilpratodelre.it - info@ilpratodelre.it Via Casolina, 129 - 35020 Maserà di Padova (PD) - Tel. 049 8868014 - Cell 340 0626262
COME AVVIENE LA POSA
Il terreno va preparato in anticipo, lavorandolo fino a 10/15 cm di profondità, questo permetterà di stendere il nuovo prato il giorno stesso dell’acquisto. L’erba infatti, una volta asportata dal vivaio grazie ad un taglio orizzontale alcuni centimetri sotto al terreno, deve essere messa a dimora nel più breve tempo possibile, rimanendo arrotolata potrebbe soffrire ed ingiallire.
COME VIENE FORNITO
Il tappeto erboso viene fornito in rotoli singoli o accatastati su bancali. Ogni bancale può portare un numero di rotoli utili a coprire fino a una superficie di 50 metri quadrati, per un peso di circa 10 quintali.
COME IMPIEGARE IL PRATO IN ROTOLO
Il prato in rotolo offre un impiego poliedrico, si parte dall’aiuola, dal giardino, dagli impianti sportivi fino ad allestimenti temporanei come fiere, vetrine di negozi, feste matrimoniali e infine per impieghi artistici come opere di design.
LE VARIETÀ DI ERBA PIÙ USATE Festuca arundinacea
Poa pratensis
Lolium perenne
Le varietà più usate nella preparazione di prati in rotolo sono la Festuca Arundinacea, la Poa Pratensis e il Lolium Perenne, questo in virtù della loro resistenza e della loro presenza naturale nella fascia mediterranea.
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BONIFICA
SIGNIFICA GESTIRE L’IMPORTANZA E IL FASCINO DELL’ACQUA Il prezioso elemento serve alle colture, serve ai paesi, serve al paesaggio: insomma serve per la qualità della vita Qualcuno è ancora convinto che il clima negli ultimi anni non sia cambiato, che le estati siano sempre state calde e le primavere piovose. In parte è vero: d’estate l’arsura s’è sempre fatta sentire e le precipitazioni in primavera sono sempre state abbondanti, solo che non sono mai state così abbondanti. Negli ultimi anni, passata l’emergenza siccità è iniziato il rischio alluvionale. “Non si può certo dire che gli ultimi episodi siano figli di eccezionalità - spiegano al Consorzio di Bo-
Negli ultimi anni, passata l’emergenza siccità è iniziato il rischio alluvionale
al paesaggio: insomma serve per la qualità della vita. LA MANUTENZIONE DELLA RETE Immaginate un lago tagliato a fette, se queste strisce le mettessimo l’una davanti l’altra otterremmo un unico fiume lungo 1.717 chilometri. Questa è la rete che il Consorzio di Bonifica Adige Euganeo ha in gestione, un dedalo di collettori che oltre a servire per lo scolo delle acque meteoriche è indispensabile per approvvigionare i canali per l’irrigazione. Opere create dall’uomo, in larga parte alle fine dell’800 e che da allora non hanno mai smesso di essere efficienti. Le
nifica Adige Euganeo - le fasi di emergenza si susseguono con una certa costanza. Fin troppa. E questo ha fatto cambiare il modo in cui gestire la risorsa acqua. Un tempo era compito dei Consorzi far uscire l’acqua dal territorio il prima possibile, oggi al contrario la si trattiene nei canali fino a quando questa non rappresenta un pericolo, perché la richiesta di acqua è in continuo aumento. L’acqua serve alle colture, serve ai paesi, serve
Consorzio di Bonifica Adige Euganeo www.adigeuganeo.it
canalizzazioni di bonifica sono fatte in terra e quindi devono essere periodicamente sottoposte al taglio delle erbe in accesso nell’alveo e nelle scarpate. Anche qui le misure sono titaniche, la superficie da tenere in ordine complessivamente è di 24 milioni di metri quadrati, dove oltre al taglio periodicamente sono da approntare i lavori di scavo degli alvei e il ripristino
La superficie da tenere in ordine complessivamente è di 24 milioni di metri quadrati delle sponde che presentano cedimenti. In totale 120 mila metri cubi di terra che vengono spostati ogni anno. Come detto si tratta di interventi necessari per la funzionalità della rete, ma sono anche indispensabili per la cura del paesaggio. Le sommità arginali e le strade bianche sulle sponde dei canali, proprio a partire da questa stagione rappresentano i percorsi più interessanti per le scampagnate in bicicletta e insieme alle idrovore elementi di fascinazione paesaggistica sui quali si imperniano le proposte per il turismo rurale e quello slow.
fitto depurazione dell’acqua, macchine che servono a ripulire i fiumi prima che arrivino al mare. Il primo addirittura è servito da prototipo per un progetto che avrebbe dovuto trattare l’impianto di Fusina e oggi aree di estrema bellezza, gestite grazie ad una convenzione da associazioni ambientaliste, utili per la didattica delle scolaresche e fondamentali per lo studio delle nuove frontiere della depurazione. A Codevigo ci sono ben le università europee che vi conducono i propri studi.
DUE ESEMPI DI AMBIENTI DI BONIFICA DIVENTATI LUOGHI DI FASCINO Molto del fascino del nostro territorio dipende dall’acqua, quando il verde rigoglioso della campagna incontra i placidi specchi sfuggiti all’ordine degli argini, è come se il territorio si mostrasse nel suo originale aspetto: selvatico, florido e impenetrabile.
Il territorio quando mostra il suo originale aspetto è selvatico, florido e impenetrabile E questa la sensazione che prova chi per la prima volta si trova all’Oasi di Ca’ di mezzo a Codevigo, oppure all’area umida di Monselice, eppure, in realtà sono, degli impianti per la
circa 34 mila ettari viene garantita una quantità d’acqua soddisfacente mentre su altri 42 mila viene garantita una irrigazione di soccorso, tesa a mitigare lo stress idrico delle colture. Complessivamente, ogni anno, vengono garantiti 70 milioni di metri cubi di acqua per la stagione irrigua ma iniziano ad essere pochi, e per questo l’attività del Consorzio è incessante nella ricerca di finanziamenti soprattutto
IL BISOGNO D’ACQUA Il bisogno di acqua in agricoltura è crescente. Negli ultimi 20 anni è già raddoppiata la disponibilità, da 26 milioni di metri cubi immessi nella rete adduttrice ad uso irriguo nella stagione primaverile-estiva,si è passati a 50 milioni, realizzando nuove derivazioni irrigue, allargando l’alveo dei canali, rendendone sinuoso il corso oppure
La disponibilità di acqua ha raggiunto i 21 metri cubi al secondo, presi dall’Adige oppure dal L.E.B con sbarramenti per alzare il livello dell’acqua. Oggi la disponibilità di acqua ha raggiunto i 21 metri cubi al secondo che vengono presi dall’Adige oppure dal L.E.B le cui acque vengono immesse nel Fratta, nel Lozzo, nel Frassine, nel Bisatto e nel Bacchiglione che a loro volta alimentano 112 chilometri di canalette irrigue e impianti tubati a bassa pressione sparsi su una superficie agricola in cui su
per la realizzazione di impianti tubati a bassa pressione che garantiscono un servizio migliore e un sostanziale risparmio d’acqua. L’ultimo impianto realizzato in questo modo verrà inaugurato a giugno in località Monastero, tra il comune di Montagnana e quello di Bevilacqua, è costato quattro milioni di euro e prendendo acqua dal Frassine servirà un’area agricola di circa 400 ettari.
ESTE Via Augustea, 25 - Tel. 0429 601563 Fax 0429 50054 CONSELVE Viale dell’Industria, 3 - Tel. 049 9597424 Fax 049 9597480
L’acqua dove serve
TRENT’ANNI DI ESPERIENZA per progettare e realizzare il futuro dell’agricoltura L’azienda Irrifert ha sede a Lusia, Rovigo, la terra degli orti e del rinomato Consorzio dell’insalata Igp, specializzata nei rami dell’irrigazione e della fertirrigazione propone un servizio che parte dalla consulenza e accompagna tutte le fasi di realizzazione di un impianto: dalla progettazione del miglior sistema di irrigazione, in ragione a colture e tipo di terreno, alla posa in opera, accompagnando il cliente anche nelle fasi di individuazione del miglior periodo e delle quantità di acqua da impiegare. IL DOMANI AFFIDATO AD UNA GOCCIA La terra dell’Adige è una terra strana, prima di tutto perché non è terra ma sabbia e poi perché ha un cattivo rapporto con l’acqua: o ce n’è troppa oppure non ce n’è affatto. Questa tuttavia è stata la terra perfetta per Irrifert, qui sono maturate esperienze che sono diventate conoscenze per l’impiego e l’utilizzo della risorsa acqua. Conoscenze che oggi sono strategiche per permettere all’agricoltura di superare le difficoltà legate alle estati siccitose e ai muri imposti dalla concorrenza nel mercato. I prodotti, infatti, oltre che la qualità devono avere prezzi concorrenziali, il segreto per avere entrambi sta in una goccia d’acqua. Gli impianti a goccia oggi offrono le soluzioni giuste ai tempi che la campagna sta vivendo: praticità nel condurre le operazioni di irrigazione, dispendio minimo di risorsa impiegandone solo il necessario e risparmio energetico grazie all’impiego di pompe a bassa pressione.
IRRIFERT S.r.l. Via Martiri della Libertà, 475 - Lusia (RO)
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L’IRRIGAZIONE A GOCCIA, L’UNICA A GARANTIRE QUALITÀ, QUANTITÀ E RISPARMIO Comunemente conosciuta anche come “irrigazione localizzata” o anche “microirrigazione” somministra lentamente acqua alle piante, sia depositandola sulla superficie contigua pianta o direttamente alla zona della radice riducendo al minimo il dispendio di acqua. Questo tipo di irrigazione inoltre rimedia anche alle necessità di concimazione. Spesso la somministrazione del concime alle piante diventa inefficace in quanto il momento in cui questo può essere distribuito non coincide il periodo in cui le piante hanno massima necessità di nutritivi. Il modo per ovviare a questi inconvenienti è distribuire il concime, opportunamente disciolto in acqua, nell’impianto d’irrigazione a goccia/microirrigazione.
L ’azienda Irrifert propone soluzioni con tutti i marchi di impianti sia per il sistema tradizionale, con tubi e ali gocciolanti in superficie del terreno, sia per la subirrigazione (con impianti annuali che decennali) che per la microirrigazione seguendo le fasi di progettazione, pompaggio, filtraggio, condotta, automazione fino alla goccia che arriva alla pianta IMPIANTO ANNUALE Anche per il mais il sistema di irrigazione più funzionale risulta essere quello a goccia. Fino a qualche anno fa i campi venivano irrorati con il sistema di “getto mobile”, ma l’alto costo di carburante necessario per questo tipo d’intervento, la costipazione del terreno oltre che l’inutile spreco di acqua, fanno propendere oggi per un intervento più mirato e preciso. In questo tipo di coltivazioni il modello d’impianto consigliato è quello annuale con manichette che vengono rimosse a fine stagione. IMPIANTO PLURIENNALE L’impianto a goccia può essere impiegato in tutti i tipi di situazione: dal pieno campo, nelle orticole, nei vigneti, nei frutteti e oggi anche nelle coltivazioni di cereali. Impianto microirrigazione su orticole
impianto microirrigazione frutteti e vigneti.
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PAROLA DI TECNICO
LA DIFESA DELLE PIANTE
Ornamentali di Eliano Morello
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on l’arrivo della primavera molti di noi escono, per così dire, dal letargo autunno-invernale. Tante persone, in campagna, possiedono un piccolo giardino, un orticello oppure qualche vaso con il quale ravvivare, con un pò di colore, la propria casa. Non dimentichiamo la “rivalità” tra vicini per avere il giardino migliore, l’erba più verde, le piante più belle: in sostanza il pollice più “verde”. Non è solo questione di passione o amore per la natura: le piante, di qualsiasi dimensione e specie, hanno bisogno
poco pomodoro, poche patate, poche melanzane, pochi fagioli, ma non è accettabile quando si tratta di belle e importanti piante di parchi, ville storiche o semplicemente da giardino, piante da appartamento e bonsai. In generale per occuparsi di piante bisogna conoscere le loro esigenze e ricordarsi bene che esse non parlano ma utilizzano altri metodi e modi per comunicare la loro sofferenza, ad esempio con i colori. Quindi terreno, concimazione (macro e micro elementi),
FOTO 1: Cydalma perspectalis - Bruco
FOTO 2: Cydalma perspectalis - Adulto
di cure e di protezione da attacchi di malattie e parassiti. Per esempio, nell’ultimo articolo di questa rubrica, è stata segnalata la presenza di un nuovo fitofago (la piralide del bosso, foto 1 e 2) che attacca la pianta del bosso. Ebbene: la larva di questo insetto, che sverna come tale, ha ricominciato a cibarsi delle foglie del bosso senza che nessuno “quasi” se ne accorgesse. È opinione diffusa che fare l’agricoltore, occuparsi di giardini, coltivare piante da orto o allevare animali siano cose da tutti. Questo accade perchè le conoscenze e l’umiltà di riconoscere i propri limiti sono molto scarse, se non del tutto assenti. Per tale motivo “seminiamo” molto ma raccogliamo poco. Questo “poco” ci può bastare se si tratta di raccogliere, dal nostro orto,
acqua, luce e difesa (da insetti, funghi e virus) sono elementi che se ben combinati determinano il successo della nostra passione o del nostro hobby preferito. Tra le malattie causate da funghi, ricordo la Ticchiolatura che non colpisce solo le piante da frutto (melo e pero) ma riguarda la rosa, il nespolo (vedi foto 3), ecc. In successione poi segnalo l’Oidio che si manifesta come un pruina (polverina) bianca sulla parte superiore delle foglie (vedi foto 4) di rosa, lauro ceraso, evonimo, melo, vite, pesco, nettarine e orticoli (zucca, zucchino, cetriolo, bietola da costa). Le Ruggini invece interessano i Gerani e i tappeti erbosi.
Agricola Lendinarese s.n.c. via Matteotti, 34 - Lendinara (RO) - tel. 0425 1684204 - agricolalendinarese@gmail.com
PAROLA DI TECNICO I danni causati da insetti sono molteplici poiché tante sono le specie che attaccano sia le piante ornamentali, sia le piante da orto e da frutto. Possiamo partire da fine inverno e proseguire lungo tutte le stagioni: la natura non ci fa mancare nulla. Le Cocciniglie (foto 6) sono presenti tutto l’anno e interessano moltissime
FOTO 3: Ticchiolatura su rosa
FOTO 4: Oidio
piante tra cui Ficus beniamino, Tronchetto della felicità, Alloro, pittosporo. Con l’inizio della primavera si risvegliano i temibilissimi Afidi (foto 7 e 8) che “succhiano” la linfa di molte piante e contemporaneamente iniettano virus che possono causare la morte degli ospiti, come il pomodoro. Qualsiasi germoglio verde è un ottimo obiettivo per gli afidi, basti osservare gli apici delle
FOTO 6: Cocciniglie
rose, per rendersene conto. I nostri orti, infine, possono essere interessati da Grillotalpa (foto 5), Lumache, Limacce, arvicole (piccoli topi di campagna) e tanti altri insetti che per spazio non possono essere qui elencati. L’Agricola Lendinarese S.n.c. - di Lendinara (RO) - con
FOTO 5: Grillotalpa i suoi tecnici, può sicuramente fornire un valido punto di riferimento per quanti avessero bisogno in termini di consulenza e assistenza tecnica in campagna, registro dei trattamenti, difesa integrata, difesa biologica, oltre alla fornitura di agrofarmaci e concimi utili al processo produttivo per una agricoltura responsabile e sostenibile.
FOTO 7: Afide in fase di parto
FOTO 8: Colonia di afidi
Morello Eliano morello_eliano@libero.it - Cell. 328 3999365
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ARTERRA
Non ci sarebbe
Gesù senza Maria e Maria senza Gesù Maggio è il mese mariano, ossia dedicato a Maria madre di Gesù. L’immagine della Vergine si fissa nella tradizione figurativa solo fra III e IV secolo, e in modo più deciso da quando il primo Concilio di Nicea (325 d.C.) stabilisce il dogma della duplice natura di Cristo, umana e divina, permettendo così la rappresentazione della vita “umana” di Gesù, nei suoi tratti salienti. Tratti che riguardavano i “momenti forti” della liturgia e che si intrecciavano indissolubilmente con la storia di Maria La Vergine del tipo Odighitria nel catino absidale della Basilica di Santa Maria Assunta di Torcello, la basilica
A
di Loredana Pavanello
rmoniosa visione celeste, pensosa madre dallo sguardo dolce e avvolgente, svettante icona nel firmamento divino: l’immagine della Vergine Maria attraversa l’intera arte occidentale sin dai primi secoli del Cristianesimo, offrendosi alla devota contemplazione in infinite varianti iconografiche. Fra I e II secolo, in verità, mancava una definizione dell’immagine mariana: fedele al divieto biblico, la prima arte cristiana non prevedeva la raffigurazione esplicita della divinità, secondo un fondamentale passo dell’Esodo. L’arte paleocristiana si esprimeva solo attraverso i simboli, concentrandosi su alcune selezionate metafore, prima fra tutte quella del Buon Pastore, e, ancor più, su “immagini-segno” sinteticamente codificate: il sole da sempre simbolo del divino, il pesce che racchiude nel nome greco ichthys l’acronimo di “Gesù Cristo figlio di Dio, il Salvatore”, il pavone della rinascita spirituale, l’agnello allusivo al sacrificio, per citare solo gli esempi più diffusi. Un posto per la Vergine si fissa nella tradizione figurativa solo fra III e IV secolo, e in modo più deciso da quando il primo Concilio di Nicea (325 d.C.) stabilisce il dogma della duplice natura di Cristo, umana e divina, permettendo così la rappresentazione della vita “umana” di Gesù, nei suoi tratti salienti. Tratti che riguardavano i “momenti forti” della liturgia e che si
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intrecciavano indissolubilmente con la storia di Maria, madre del Salvatore e mediatrice per eccellenza tra Dio e gli uomini. In questa veste la riconosciamo nei dipinti delle catacombe di Priscilla a Roma, fra le prime e più importanti testimonianze della nuova iconografia cristiana. Maria qui come altrove riveste tuttavia un ruolo subalterno, meramente funzionale alla storia sacra: non stringe mai il suo Bambino in petto come una reale madre della terra né tracce di trasporto alterano il rigido cerimoniale della narrazione. Domina, anzi, il silenzio degli affetti. Un silenzio che permane anche nella produzione artistica dei secoli successivi, quella che avrà in Costantinopoli, l’antica Bisanzio, il centro di massima vitalità. Nella sfolgorante metropoli sul Bosforo, capitale del Cristianesimo ed erede di Roma, si dà avvio dal IV secolo ad una nuova forma d’arte - l’arte bizantina, radicalmente stroncata da Vasari nel 500, e rivalutata a fatica solo nel 900 - che parla di nuovo per simboli, in modo complesso e sofisticato: il suo oro, quello che fa della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli il “più alto cerchio del Paradiso”, è meravigliosa metafora del divino, non l’abusata formula di lusso e decadenza richiamata dagli esteti di fine 800, stigmatizzata poi dall’ideologia di regime. Simbolico è anche il silenzio tra Madre e Bambino,
ARTERRA
Il silenzio tra Madre e Bambino fa parte del linguaggio dell’arte bizantina, in quel tempo c’era bisogno di concentrarsi sulla figura del “Dio fatto Uomo”. Quel distacco così esplicito intendeva confermare il dogma della divinità di Cristo, in un contesto di forti scontri dottrinali, tra ortodossia cattolica e l’eresia ariana, che riconosceva la sola natura umana di Gesù, subordinato alla figura del Padre
quel distacco di sentimento e gesto tipico del linguaggio iconico. Ma con quale significato? In quel tempo c’era bisogno di concentrarsi sulla figura del “Dio fatto Uomo”. Quel distacco così esplicito intendeva confermare il dogma della divinità di Cristo, in un contesto di forti scontri dottrinali, tra ortodossia cattolica e l’eresia ariana, che riconosceva la sola natura umana di Gesù, subordinato alla figura del Padre. Il busto del Salvatore benedicente - il “Pantocrator” che si staglia contro innumerevoli cieli di absidi e cupole, come accade ad esempio a Padova, nel battistero decorato da Giusto de’ Menabuoi - ne è la traduzione iconografica più chiara. Per convenzione infatti la parte superiore del corpo di Cristo, fino all’ombelico, ne rappresenta la divinità, quella sotto l’umanità. Si tratta di un simbolismo che perdura nei secoli, soprattutto perché, contrariamente all’idea moderna di arte, dove a fare la differenza è l’invenzione, nell’idea bizantina la qualità
risiede nella fedeltà al prototipo: le prime icone sono infatti acheropite, ossia “non dipinte da mano umana”: fatte da Dio. Per questo la produzione iconica deve essere il più rassomigliante possibile al modello, senza alcuno scarto, fino all’età moderna, quando da Costantinopoli il genere si diffonde anche altrove, dai Balcani alla Russia, ma anche a Creta, posta sotto il dominio veneziano dal XIII al XVII secolo. Qui l’eredità orientale si corrobora con le novità occidentali, dando vita alla pittura di icone cretese veneziana: l’arte dei madonneri, di cui conserviamo una singolare testimonianza nell’icona della Theotokos Hodegetria, la Madre di Dio nella variante di “colei che mostra la via”, della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Este. La Vergine ritratta a mezzo busto contro un fondo oro e avvolta nel sinuoso mantello rosso, il maphorion, tiene fra le braccia il Bambino, presentandolo come colui che
L’icona, attribuita ad Andrea Rizo da Candia, è di scuola cretese e risale alla seconda metà del XV secolo. Anche in questa immagine Maria non ha nulla di terreno e di sensuale: il suo corpo è ricoperto da ampie vesti, il capo dal velo abituale per le donne orientali che coprono i capelli come segno di modestia. Quello che ci colpisce subito è il volto che, come in tutte le icone, è caratterizzato da labbra piccole, occhi grandi, naso allungato: segni tutti di profondità spirituale, di raccolta contemplazione, di bontà. Il bambino che ha in braccio non ha il visetto di un infante, ma il volto serio e maturo di una persona adulta: Egli è l’Eterno, Cristo è il re e il suo trono è la Madre
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ARTERRA Il 21 settembre 1468 la vergine apparve a Giovanni Zelo, un barcaiolo di Ponso che da padova stava ritornando a casa. Raggiunta Este sul far della sera, l’uomo s’era fermato a dormire in barca sotto il ponte del Borini. verso mezzanotte fu svegliato da una voce femminile che per tre volte lo chiamò. L’uomo vide due belle Signore che gli ingiunsero di seguirle. Trovato stranamente abbassato il ponte levatoio della città, si incamminarono verso la campagna dove, in località Tresto, una delle due Signore si sedette sulla riva di un fosso e disse all’altra di andare a prenderle un grappolo d’uva; quindi chiese a Giovanni se la conoscesse. Alla sua risposta negativa ella soggiunse che era Maria, la Madre di Dio, invitandolo poi a non bestemmiare e ad adoperarsi affinché su quel luogo le fosse edificata una chiesa secondo il disegno e le misure che le illustrò.
è appunto “via, verità e vita”. La sacra icona, del XV secolo, fu oggetto di un culto che contribuì a trasformare in un prestigioso santuario mariano l’antico edificio consegnato ai domenicani, secondo la volontà espressa nel testamento del marchese Taddeo d’Este nel 1468. Ciò avviene in un momento particolarmente favorevole per la devozione mariana, dovuto soprattutto alla spiritualità degli ordini mendicanti. Nello stesso anno la leggenda vuole che la Vergine sia apparsa al barcaiolo Giovanni Zielo, di Ponso, per indicare il luogo dove sarebbe stato fondato un nuovo santuario: quello che ancora oggi vediamo in località Tresto, presso Ospedaletto Euganeo, dove a settembre la nota fiera rende omaggio alla tradizione. Anche il Tresto, come ogni santuario, ha la sua immagine di culto: una tavola attribuita a Jacopo da Montagnana, che ritrae la Vergine dietro una balaustra su cui si appoggia il Bambino, ritratto in piedi su un cuscino bianco. Dietro, un cielo azzurro striato di leggere nuvole denuncia la rivoluzione avvenuta nell’arte veneta del 400, attraverso la poesia naturale di Giovanni Bellini, sospesa tra cielo e terra. L’arte di Jacopo non è tuttavia immemore della tradizione bizantina: le forme sono an-
cora rigide, come un Cristo in Maestà, ad esprimere la sacralità della rappresentazione. Non manca inoltre la citazione teologica. Il parapetto, il cuscino e le stesse espressioni assorte e malinconiche ricordano che il tema della Madonna con il Bambino non è una semplice scena di maternità, ma la meditazione sulla futura Passione di Cristo, già nota ai protagonisti della scena. Ora, tuttavia, ai teologi non interessa più difendere la divinità di Cristo dagli attacchi ariani del IV secolo, oltre che dalla riluttanza giudaica e dallo scetticismo pagano. Interessa invece difendere la teologia incarnazionale: la discesa di Dio nell’umanità, come testimonia la produzione esegetica del tempo. Ecco allora che nella tavola di Jacopo il viso del Bambino si avvicina a quello della Madre, fino quasi a sfiorarla dolcemente, nel più naturale ed umano dei modi. Il modo che trionfa con Giovanni Bellini, diffuso nel padovano da singolari interpretazioni, prime fra tutte le due Madonne con il Bambino di Cima da Conegliano di Este, oggi al Museo Atestino, e quella di scuola belliniana del Santuario di Santa Maria delle Grazie a Piove di Sacco, da alcuni ricondotta alla mano stessa del Maestro. Il tempo del silenzio è ormai finito: anche per il Figlio di Dio si apre la partita con la vita, nel tempo naturale del mondo.
I due fratelli Sanguinazzi, alla morte dei genitori si erano divisi l’eredità trovando accordo su tutto, ma quando dovettero decidere a chi spettasse un’immagine della Vergine col Bambino di singolare bellezza e alla quale erano particolarmente legati giunsero al punto di sfidarsi a duello; proprio mentre si accingevano allo scontro un bambino di un anno che assisteva alla scena in braccio alla madre parlò e disse: “Fermatevi da parte di Dio”. E li esortò affinché portassero l’oggetto della contesa in una cappella poco fuori il Castello di Piove. Il tempo del silenzio è ormai finito: anche per il Figlio di Dio si apre la partita con la vita, nel tempo naturale del mondo.
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ARTERRA
“Ero e Leandro”
storia d’amore finita in tragedia Il piatto dipinto verso la metà del XVI secolo dal rodigino Francesco Xanto Avelli sarà il pezzo forte dell’esposizione dedicata al Rinascimento al Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo di Mattia De Poli
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odigino o rovigoto? Lui si firmava “rovigiese”. In questo modo Francesco Xanto Avelli intese sottolineare il suo legame affettivo con la città di Rovigo, dove probabilmente nacque. Non sono note molte notizie relative alla nascita e alla morte dell’artista: di certo si sa che nella prima metà del Cinquecento lavorò ad Urbino, al tempo del duce Francesco Maria della Rovere e con le sue opere, anche dopo la morte, ha contribuito a diffondere il nome del capoluogo polesano nel mondo. Pittore di piatti, coppe e piastre, ha realizzato opere che oggi sono conservate presso i musei di tutto il mondo, da Boston a Melbourne, e ne danno testimonianza anche il museo del Louvre a Parigi, il British Museum di Londra, l’Ermitage di Sanpietroburgo, la National Gallery of Art di Washington e il Metropolitan Museum di New York. Nella lista presto comparirà effettivamente anche il Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo, dove il piatto di “Ero e Leandro” costituirà il pezzo forte della nuova sezione dedicata al Rinascimento. Xanto è un artista per certi aspetti singolare: non era usuale in età rinascimentale che il pittore di maioliche firmasse il piatto decorato. Xanto è anche un artista colto, che trae ispirazione per le sue opere dai testi di autori latini, come Virgilio e Ovidio, e italiani, come Petrarca e Ariosto, oltre che dalla Bibbia. Proprio dai versi delle “Heroides” di Ovidio egli sembra aver tratto lo spunto per la scena dipinta sul piatto realizzato nel 1540, quando era all’apice della sua carriera,
ma allo stesso tempo l’iscrizione apposta sul retro è una citazione dei “Trionfi” di Petrarca: “Leandro in mare et Ero a la finestra” (Trionfo d’Amore, II, v. 21). Il giovane Leandro è innamorato della bella Ero: li separa la stretto dell’Ellesponto ma tutte le notti lui nuota da Abido a Sesto – le due città si trovano sulle sponde opposte dello stesso braccio di mare – per raggiungere l’amata che lo aiuta ad orientarsi tenendo accesa una lanterna. Una notte di tempesta la fiamma si spegne e la mattina seguente la giovane donna trova il corpo dell’amato senza vita, disteso sulla spiaggia. Presa dal dolore Ero si suicida, gettandosi da una torre. Ed è questo il momento che Xanto sceglie di rappresentare, quello carico della massima tensione. Sul bordo esterno dominano quattro figure: in basso il cadavere di Leandro con il volto immerso nell’acqua; in alto una disperata Ero che si getta dalla finestra; a destra un piccolo Eros, dio dell’amore, che ha gettato l’arco e le frecce e si tiene la testa fra le mani per la disperazione; a sinistra un gruppo di tre figure piangenti, che ricorda le scene del compianto di Cristo morto. La gestualità intensa si accompagna all’uso di colori vivaci: il giallo, il verde e soprattutto l’azzurro. L’acqua in primo piano sfuma nelle montagne che si stagliano sullo sfondo e svettano verso il cielo, ormai quasi del tutto sgombro di nubi. Il capoluogo polesano ha ritrovato, grazie alla fondazione Banca del monte di Rovigo, un gioiello che potrà offrire un motivo in più per visitare la città.
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STORIA E D’INTORNI
Aria di eresia
TRACCE DI ANABATTISMO IN UN DIPINTO SCAMPATO ALLA DISTRUZIONE DELLA GUERRA Qualche anno fa dal magazzino di un restauratore venne ritrovata una tela dedicata a San Bartolomeo, era quanto rimaneva della povera pieve di Masi bombardata il 23 aprile 1945. Perfettamente restaurata è tornata alla comunità ma il suo linguaggio è parso alquanto ambiguo di Amos Tullio Previero
I
giorni attorno al 25 aprile 1945 furono per paesi del Montagnanese forse i più sanguinari dall’inizio del conflitto. La disperata ritirata dell’esercito tedesco, infatti, lasciò dalle nostre parti gli stessi lutti e gli stessi pianti patiti con l’occupazione, crudeltà alla quale si associò la non meno deleteria azione degli alleati che per ragioni di guerra non mancò di colpire anche bersagli civili. E’ il caso del bombardamento del ponte sull’Adige che divide il Padovano dal Polesine, tra Masi e Badia. Il ponte venne atterrato da azioni aree e le stesse granate oltre alla passerella in ferro sul grande fiume distrussero anche la vicina chiesa del piccolo comune padovano. Ciò che non fecero le bombe, lo fece la decisione di non ricostruire più la chiesa con le stesse fattezze e nemmeno nello stesso posto. Tra le macerie, del resto, era poco
il salvabile: il Crocifisso rimasto miracolosamente al suo posto, appeso alla parete, qualche brandello della lapide che riportava in onciali gotici i titolari della fondazione della pieve alla metà del XIV secolo (i fratelli Beldomando e Tomaso dei Beldomandi) e un pala d’altare con la raffigurazione di San Bartolomeo del XVI secolo, patrono del piccolo comune rivierasco. Dimenticato per diverso tempo nel magazzino di un restauratore, si deve all’attuale parroco don Giuseppe Pertegato il ritorno dell’antico dipinto alla comunità qualche anno fa. Dipinto che fatto discutere la piccola comunità, in quanto è apparso fin da subito che qualcosa di ambiguo era rimasto a memoria di un passato molto più antico del secondo conflitto mondiale, anche se paradossalmente legata ancora ad una guerra con protagonisti i tedeschi. La pala, infatti sembrerebbe rimandare a temi eretici, diffusi verso la metà del ‘500 proprio nelle zone della Bassa Padovana e del Polesine. L’attribuzione della pala è difficile, oggi mancano documenti che ne attestino la mano, sappiamo da una lapide, il cui contenuto è stato registrato durante una visita pastorale, che venne commissionata dal parroco di Masi di allora, Don Guido Previero, presente tra il 1571 e il 1580 ma non sapDopo il bombardamento del 23 aprile, malgrado la chiesa venne quasi del tutto atterrata, il Crocifisso rimase miracolosamente al suo posto, appeso alla parete
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STORIA E D’INTORNI piamo a chi. In passato la paternità era stata attribuita a Varotari ma è potrebbe anche essere di un artista locale, tal Armanio o Armano sepolto a Este: era un aiutante di Battista Franco, che lavorò A Roma, Urbino, pittore in odore di eresia morto a Venezia nel 1561 la cui biografia è stata scritta da Massimo Firpo che accenna ad un Armano in un documento di un processo per eresia. Armanio è anche il pittore della tela di Fratta secondo un documento del 1576. Tela che presenta notevoli analogie con quella di Masi. E per tornare all’anabattismo, va ricordato che a Badia Polesine, forse vista la presenza dell’Adige che metteva capo al Brennero e quindi nei luoghi della Riforma, predicarono i più importanti capi dell’anabattismo veneto e italiano, tra questi Benedetto d’Asolo che finì sul rogo nel febbraio del 1552 a Rovigo, oppure Francesco della Sega che invece venne condannato a morte per annegamento nel 1562 dal tribunale dell’inquisizione di Venezia.
Pala d’altare
LETTURA ICONOGRAFICA DELLA PALA DI SAN BARTOLOMEO La collocazione di un apostolo in trono è a dir poco rara. Normalmente un seggio così importante spetta a Cristo o alla Vergine, insomma ai vertici dell’empireo celeste. Raramente ai sodali. Stupisce anche l’uso degli attributi che rendono riconoscibile il Santo, Barlomeo nella maggior parte dei casi viene rap-
presentato con il coltello ossia, come avviene per quasi tutti i santi, con lo strumento del suo martirio. San Bartolomeo è stato scuoiato. Nella tela di Masi, invece, compare anche la pelle, tenuta per una manica come fosse un soprabito. Questo secondo tipo di rappresentazione è abbastanza raro, pur avendo un precedente importante nel San Bartolomeo dipinto da Michelangelo. Audace è anche la costruzione dell’immagine. In questo caso a tradire il canone normalmente usato da pittori è la scelta di collocare l’apostolo Bartolomeo più in alto di San Pietro (la pietra su di cui Cristo ha posato la sua Chiesa) e addirittura più in alto del Battista (simbolo del battesimo sul quale si fonda tutta la vita cristiana). Va ricordato che questo tipo di immagini costituivano una sorta di “didattica” per i fedeli, visto che il leggere o lo scrivere erano tra le capacità di pochi e la messa era in latino. Le “sacre conversazioni”, come nel caso della pala di Masi, costituivano appunto una sorta di messaggio reso attraverso esempi. I Santi, insomma, venivano interpretati come exempla, ossia esempi di fede e moralità, campioni di vita retta e fonte d’ispirazione per i fedeli. Bene, guardate la distanza di atteggiamento dei Santi della nostra tela. Osservate San Pietro. Così, appoggiato al plinto della colonna, mentre cincischia con le chiavi del Paradiso, sembra più l’avventore di un bar in attesa del suo caffè che un campione di moralità. Tutt’altra connotazione invece per il Battista, colto in un atteggiamento di protezione dell’Agnello Sacrificale mentre si rivolge allo spettatore con lo sguardo. Da l’esempio di difendere Cristo. Ma da chi? La crepa sullo scalino che funge da basamento dei due Santi, forse lascia intendere qualcosa. Va ricordato che San Pietro rappresenta la Chiesa e il Battista il sacramento iniziatico del Cristianesimo. Dunque può essere casuale che tra i due un pittore, proprio verso la metà del ‘500, vi abbia collocato una crepa? Certo può esserlo! Ma Come si presentava l’interno della chiesa prima di essere distrutta se non lo fosse, quella crepa starebbe ad indicare che tra la Chiesa e il Battesimo c’è una frattura. Un solco profondo. Magari proprio quello aperto solo qualche anno prima da Martin Lutero, appendendo le 95 tesi al porta del duomo di Wittemberg.
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RUBRICA
La Rondine:
i proverbi e le stagioni di Aldo Tonelli
L
a Rondine comune (nome scientifico Hirundo rustica = Rondine della campagna) è da sempre legata alla vita dell’uomo e ai lavori dei campi poiché è stata associata al cambio delle stagioni e la tradizione popolare la cita spesso nei proverbi e nei modi di dire. Passa l’inverno nel Sud dell’Africa e ai primi di marzo intraprende un viaggio lungo migliaia di chilometri verso l’Europa e in circa quattro settimane arriva in Italia. Alcune possono arrivare anche prima, correndo il rischio di incontrare maltempo, per riuscire ad occupare “Per l’Annunziata la i territori migliori, da qui Rondine è ritornata, il noto prose non è arrivata e per verbio “Una strada o è malata” Rondine non fa Primavera”. Anche in francese si dice “Une hirondelle ne fait pas le printemps” mentre sia in inglese “One swallow doesn’t make a summer” che in tedesco “eine Schwalbe macht noch keinen Sommer” la Rondine non fa primavera ma estate forse perché nel Nordeuropa arrivano più tardi. Il passaggio del mare Mediterraneo è ricordato da “Per San Gregorio Papa la Rondine passa l’acqua, se non l’ha passata vuol dire che nel mare è annegata”. Un altro proverbio indicante la migrazione è “San Giuseppe antico: torna la Rondine e migra il Beccafico”, altro passeriforme migratore, comunque “Per l’Annunziata la Rondine è ritornata, se non è arrivata è per strada o è malata” e anche “Per l’Annunciazione torna la Rondine e il Rondone”. Generalmente le Rondini occupano lo stesso edificio in cui fanno il nido anno dopo anno e per “San Benedetto la Rondine sotto il tetto”. Dopo qualche giorno dal suo arrivo comincerà la costruzione o la ristrutturazione del tipico nido a coppa, costituito da fango e pagliuzze. Le uova ven-
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gono deposte nel piumino che imbottisce il nido in aprile e covate per due settimane. I piccoli lasciano il nido a 20-25 giorni dalla nascita e continuano ad essere alimentati dai genitori per altri venti giorni, quindi divengono indipendenti e i genitori possono dedicarsi ad un’eventuale seconda covata. Capita di vederle cacciare insetti volando basse sopra l’acqua o i campi e quindi per il tipo di nido e il cibo è probabile che si trovino più facilmente in campagna piuttosto che in aree urbane. Il grande poeta Giovanni Pascoli la descrive così con pochi tristi versi: Ritornava una rondine al tetto:/ l’uccisero: cadde tra spini:/ ella aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini. “Da San Bartolomeo la Rondine va con Dio” e “Per San Rocco la Rondine fa fagotto” indicano l’avvicinarsi della partenza delle Rondini e quindi dell’arrivo dell’autunno. A fine settembre si organizzano per intraprendere il lungo volo verso sud concentrandosi sui fili della luce e quando decidono di partire viaggiano di giorno e si riposano di notte nei canneti delle zone umide e “A San Nicola di Bari la Rondine passa i mari” per raggiun“Per San Rocco gere i quarla rondine fa fagotto” tieri africani dove passerrà “A San Nicola di Bari la l’inverno. Purrondine passa i mari” troppo negli ultimi decenni si è avuto un declino graduale delle Rondini nelle zone europee dovuto alla perdita di habitat e all’intensificazione agricola con uso di pesticidi che entrano nel loro ciclo alimentare, cosa che avviene ancor
RUBRICA
Una Rondine mentre raccoglie fango e pagliuzze per la costruzione del caratteristico nido
Le uova vengono deposte nel piumino che imbottisce il nido in aprile e covate per due settimane
più marcatamente nei quartieri di svernamento. Un vecchio detto dice “Una Rondine e un ospite recano fortuna in casa”: ci auguriamo sia d’auspicio per il ritorno di questa specie così utile all’uomo.
Altri uccelli possono essere scambiati per Rondini ma appartengono alla famiglia degli Apodiformi.
Ci sono altre specie simili alle Rondini che appartengono alla famiglia degli Irundinidi. Il Balestruccio arriva con le Rondini ma ha la coda più corta e una caratteristica macchia bianca sul groppone sempre ben visibile. Nidifica in colonie sotto le grondaie delle case, sotto i ponti o strutture simili e predilige quindi aree urbane. I nidi sono fatti di fango raccolto ai bordi delle pozze, ruscelli e stagni e hanno la struttura a palla con una piccola entrata. Rimangono fino al tardo autunno e possono fare fino a tre covate. La Rondine montana è bruna con piccole macchie bianche sulla coda. Unica ‘rondine’ presente anche d’inverno predilige ambienti rupestri ma ha trovato un ambiente simile nelle città del Veneto e si possono vedere per esempio presso le mura di Cittadella e alla Specola nella città di Padova. Il Topino deve il nome al colore bruno e alle piccole dimensioni, caratteristico è il collarino bruno sulla gola. Lo si trova sempre in prossimità di fiumi o vicino l’acqua dove scava dei piccoli cunicoli nell e rive per deporre le uova. Durante la migrazione spesso si accompagna alle Rondini.
La Rondone comune è tra i visitatori più tardivi, arrivando in Italia dall’Africa Centrale nella prima decade di aprile quando l’aria è piena di insetti che mangiano in volo. Sono perfettamente adatti alla vita aerea: mangiano, bevono, dormono, si accoppiano e raccolgono materiale per il nido mentre volano. Le coppie stanno insieme tutta la vita e possono nidificare nello stesso sito per oltre quindici anni. Non si posano quasi mai tranne quando entrano nel loro nido sui campanili delle chiese, in fori nelle mura e torri delle città o nell’interstizio tra grondaia e tetto degli edifici più alti. Con le ali a falce sono velocissimi e i loro richiami sono noti a tutti, specie all’imbrunire dove li si vede volteggiare in veloci caroselli di gruppo con picchiate a sfiorare le mura degli edifici. I giovani raggiungono la maturità dopo diversi anni e così è possibile che rimangano perennemente in volo fino a cinque anni! A fine luglio già ripartono poiché la provvista aerea degli insetti è ancora sufficientemente abbondante da sostenerli durante il viaggio e prima che le notti diventino troppo fredde. Questo viene ricordato in un proverbio veneto: “A Sant’Ana el rondon se slontana”. Il Rondone maggiore è la più grande e mostra una grande macchia bianca sul ventre separata dalla gola bianca per mezzo di una banda scura. Predilige ambienti montani e rocciosi ma anche su costruzioni imponenti.
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CON I PIEDI SOTTO LA TAVOLA
RISOTTO Difficoltà: bassa
Preparazione: Cottura: 25 minuti 40 minuti Ingredienti per4 persone 1 mazzetto di bruscandoli 300 gr. di riso vialone nano 1 porro 1/2 bicchiere di vino bianco brodo vegetale q.b. sale e pepe q.b. una noce di burro grana grattugiato
COI “BRUSCANDOLI” Preparazione Lavate accuratamente i “bruscanzoli” o bruscandoli e affettatene finemente le cime. Fate appassire un trito di porro in olio extravergine. Aggiungete i bruscandoli, sale e pepe, e fate rosolare per una decina di minuti. Unite il riso facendolo tostare per pochi secondi, poi irrorate col vino bianco che lascerete sfumare. Aggiungete a poco a poco il brodo bollente e cucinate per circa 18 minuti. A fuoco spento aggiungete una noce di burro, aggiustate di sale e pepe se necessario, lasciate riposare per 2 minuti. Servi con abbondante grana grattugiato.
FRITTATA Difficoltà: bassa
Preparazione: Cottura: 20 minuti 40 minuti
Ingredienti per 6 persone Asparagi non molto grossi 800 gr 6 Uova 1 Porri piccolo Pepe macinato q.b. Scamorza affumicata 150 gr Erba cipollina tritata 1 cucchiaio (o prezzemolo) 40 gr Burro Olio extravergine 3 cucchiai Grana grattugiato 3 cucchiai Sale q.b. La frittata di asparagi è un classico piatto primaverile, stagione in cui queste verdure crescono spontaneamente; può essere servita come antipasto, tagliata a piccoli quadretti, oppure come secondo piatto in porzioni più abbondanti è ottima anche se fredda; per questo è adatta per scampagnate e pasti all’aperto
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DI ASPARAGI
Preparazione Legare gli asparagi a mazzetto e lessateli (per circa 15 minuti) ponendoli in piedi in acqua salata dentro ad una pentola stretta e alta dove possano fuoriuscire solo le punte (che si cuoceranno con il vapore). Quando saranno cotti scolateli e tagliateli a pezzettini. Tagliare a fettine sottili il porro dopo averlo mondato delle foglie più coriacee e fatelo appassire nel burro. Salare pepare e aggiungete gli asparagi a pezzetti; fate cuocere il tutto per qualche minuto. In un recipiente sbattete le uova, aggiungete il pepe macinato, il formaggio grattugiato, le verdure tiepide, la provola affumicata tagliata a dadini, e l’erba cipollina (o il prezzemolo); amalgamate bene gli ingredienti tra loro. In una padella antiaderente, ponete l’olio e scaldatelo, aggiungete poi il composto di uova e cuocete la frittata per 2-3 minuti a fuoco allegro ma non alto, poi ponete un coperchio sopra la padella e abbassate leggermente la fiamma in modo che anche l’interno della frittata si cuocia in modo uniforme.
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