Inserto al N. 20 - Dicembre 2016 - Gennaio 2017 - Periodico bimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/PD
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RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP Il Principe Rosso
Magazine “Conipiediperterra”
Non basta essere rosso e tondo per chiamarsi Radicchio di Chioggia IGP
IL VERO RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP LO RICONOSCI DAI MARCHI COMUNITARI Iniziativa “Radicchio di Chioggia IGP, il Principe Rosso”
RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP, da un importante passato a un futuro sempre migliore
Il radicchio tondo rosso può essere definito una vera creazione degli ortolani locali. Infatti, furono i nostri nonni che, quasi un secolo fa tornando col proprio battello dal mercato di Rialto a Venezia portarono con sé un pugno di semi di incerto radicchio variegato, dal quale diedero vita a questa nuova creatura. Nei nostri terreni sabbiosi litoranei con falda freatica sottosuperficiale e clima mite per l’influsso del mare, queste piante trovarono un loro habitat ideale di sviluppo. Inoltre, brezze e venti dominanti, in particolare la bora, che rimescolando i bassi strati dell’atmosfera evitavano ristagni di umidità permettendo il mantenimento di uno stato fitosanitario ottimale. Nello stesso tempo però il vento spingeva anche granelli di sabbia che si insinuavano tra le foglie di queste nuove verdure. Fu forse per ovviare a questa problematica che quegli ortolani, partendo da piante di radicchi verdi e aperti, selezionarono per il seme cespi sempre più serrati e compatti, mentre per differenziare il loro prodotto scelsero quelli con screziature rosse sempre più diffuse ed estese, ottenendo attorno agli anni cinquanta quella caratteristica forma tondeggiante di colore rosso violaceo, quel radicchio a palla rossa che oggi porta il nome di Chioggia in tutto il mondo. E cinquant’anni dopo furono i nostri padri che, stimolati dall’apprezzamento universale per questo radicchio, prodotto come gli altri nei mesi autunno-invernali, abbinando una mirata selezione basata sull’utilizzo del seme ricavato da piante di anno in anno più precoci all’impiego di agili e semplici strutture protettive, riuscirono a costituire dalla seconda metà degli anni settanta, un nuovo ecotipo disponibile al consumo già dal mese di aprile e fino a luglio inoltrato. Questo ci permette anche oggi di gustare il radicchio di Chioggia durante tutto l’anno. È, infine, merito della nostra generazione aver intuito che, per affrontare la problematica della globalizzazione della coltivazione bisognava agganciare fortemente il prodotto al tessuto territoriale d’origine. Una identità che l’Unione Europea, pur dopo travagliate vicende, ci ha riconosciuto nell’ottobre 2008 con l’attribuzione dell’Indicazione Geografica Protetta al Radicchio di Chioggia. Da allora si possono fregiare di questa denominazione esclusivamente le produzioni ottenute dal seme autoctono tramandato e custodito dalle famiglie degli ortolani locali, che le coltivano in aziende certificate secondo un rigido disciplinare,
Giuseppe Boscolo Palo
nelle fertili terre litoranee che vanno dalla Laguna Sud di Venezia fino al Delta del Po. Nel 2009 è stato costituito tra produttori e confezionatori quel Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia Igp, che sta oggi sviluppando continue iniziative per promuovere il Radicchio di Chioggia ed il suo territorio, e che finalmente, nell’aprile 2016, ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dal Ministero per le Politiche Agroalimentari e Forestali, il quale gli ha conferito anche l’incarico di tutela e vigilanza per la denominazione “Radicchio di Chioggia Igp”. È un impegno di gratitudine da assolvere nei confronti dei nostri nonni e dei nostri padri ed è un dovere da compiere per il futuro dei nostri figli. Giuseppe Boscolo Palo Presidente Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia Igp
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La città di Chioggia è una delle poche realtà nazionali che ha la fortuna di avere un prodotto agricolo che porta il proprio nome: Il Radicchio di Chioggia Igp. È indubbiamente un’importante risorsa agricola e culinaria che gli agricoltori in questi quasi cento anni di storia hanno saputo seminare, coltivare e per ultimo commercializzare, il tutto con immensa passione. Il primo pensiero che mi viene in mente è un: Grazie! Un sentimento di riconoscenza verso le migliaia di agricoltori che hanno Patrizia Trapella saputo valorizzare un ortaggio che, grazie alla posizione della campagna di Chioggia tra la laguna e il mare, ha dimostrato per le proprie caratteristiche organolettiche e salutistiche di essere un prodotto unico ed irrepetibile, ormai conosciuto in tutto il mondo. Questo non deve essere però un punto di arrivo… l’istituzione dell’Indicazione Geografica Protetta è stato il primo passo per la valorizzazione del prodotto, adesso però occorre sostenere questo sforzo che il Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia IGP sta portando avanti, con tenacia, perseveranza e competenza. Anche il mercato Orticolo di Chioggia dovrà essere il motore di una nuova progettualità, con la creazione di soluzioni logistiche adeguate alle sfide commerciali che i mercati richiedono. Sarà la “mission” dei prossimi anni, riportare la nostra realtà agricola ad essere protagonista e pronta alle sfide dei nuovi mercati mondiali che ancora non conoscono il nostro ortaggio, questo sarà possibile attraverso azioni condivise, consapevoli che l’unione tra mondo agricolo, commerciale ed istituzionale non dovrà essere solo un bel progetto ma concreta realtà. Per tale motivo avanti insieme e ..lunga vita e successi al “Nostro Radicchio di Chioggia Igp” !
Avv. Patrizia Trapella Assessore alle Politiche Agricole del Comune di Chioggia
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In questi ultimi anni l’agricoltura si trova su una strada non priva di difficoltà e mai come ora bisogna saper cogliere nuove sfide e fare delle scelte adeguate per far fronte alle esigenze del consumatore, alla sostenibilità ambientale e in questo gli agricoltori sono sempre più i garanti della qualità dei prodotti agroalimentari. All’agricoltura dobbiamo riconoscere sempre più il ruolo fondamentale per la conservazione delle proprie risorse e la tutela del territorio. Le esigenze dei consumatoStefano Gazzola ri e le richieste del mercato impongono alle aziende di rivedere il loro modo di fare impresa, purtroppo ad oggi non ci sono molti giovani nel campo agricolo ma dobbiamo nobilitare questo lavoro e assicurare un giusto livello di reddito. L’impareggiabile ricchezza di risorse naturali deve essere considerata come una grande opportunità per la valorizzazione del nostro straordinario territorio. Il Radicchio di Chioggia ha un forte legame col suo territorio d’origine garantito dal 2008 dal marchio europeo della Indicazione Geografica Protetta, prodotto creato sapientemente dagli ortolani locali, che attraverso una minuziosa selezione sono arrivati a creare quel radicchio a palla rossa che oggi tutti conosciamo con i suoi infiniti usi culinari. L’agricoltura oggi può avere ancora un ruolo cruciale per lo sviluppo dei nostri territori... basta crederci fermamente!. Stefano Gazzola Assessore Agricoltura e Ambiente del Comune di Rosolina
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Questa pubblicazione è una guida preziosa, un “assaggio” dei nostri prodotti, di ciò che nasce qui, in Polesine e in particolare nel Delta del Po, terra di acqua e di fertile campagna. Un modo per accendere la curiosità verso le eccellenze agroalimentari che contraddistinguono un territorio ricco di bellezze naturali, di storia e tradizioni. Dal pesce azzurro alla cozza di Scardovari Dop, dal melone al riso del Delta Igp, sono tutte produzioni locali che si caratterizzano per il loro sapore genuino, il profuClaudio Bellari mo inconfondibile e la qualità eccelsa. Non è un momento roseo per la nostra economia, le difficoltà si toccano con mano e il settore agroalimentare risente di questa situazione, minacciato anche dal fenomeno della contraffazione, da una pirateria che offende il lavoro e l’impegno di tante persone, che credono ancora nel valore della genuinità e della qualità. Questa pubblicazione vuole invitare tutti a crederci, perché su questo si basa il futuro, lo sviluppo sostenibile, la crescita economica. Su questo dobbiamo investire, con la collaborazione di tutti, dai consumatori alle Istituzioni, passando per le associazioni di categoria e per gli operatori che ogni giorno dedicano tempo e passione a mettere sul mercato prodotti di alta qualità, come quelli presentati in queste pagine. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato a questo progetto di valorizzazione del radicchio di Chioggia IGP, a cui aderiamo con entusiasmo per difendere il patrimonio di tipicità che ci appartiene e che vogliamo condividere e diffondere, insieme a tutte le “bellezze” che rendono unico questo territorio. Un ringraziamento speciale a chi quotidianamente si adopera perché le tradizioni polesane non si perdano nel tempo e, a tutti coloro che sfoglieranno con passione queste pagine l’augurio di poter ammirare dal vivo la nostra terra e di poterne gustare le sue specialità. Claudio Bellan Sindaco del Comune di Porto Tolle
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Per un prodotto ortofrutticolo l’origine geografica è un importante fattore di differenziazione, se si riesce a comunicare e valorizzare in modo adeguato i contenuti di questa origine. Per non rischiare però di ridurre l’origine geografica a una sterile comunicazione burocratica, oltre che evidenziare ai consumatori le caratteristiche pedoclimatiche della zona di coltivazione che possono conferire al prodotto qualità di pregio, va spiegato anche che nell’area vi sono dei posti che meritano di essere Giuseppe Fedalto visitati, con una loro storia degna di essere raccontata, una tradizione e una cultura nella quale vale la pena di immergersi. Storia, tradizioni, cultura, gastronomia e ambienti specifici di questi luoghi possono quindi costituire, assieme alle caratteristiche del prodotto, un insieme unico non rintracciabile altrove, oggettivo e verificabile. Caricata di questi contenuti e adeguatamente comunicata, l’origine geografica, oltre che l’indicazione della provenienza del prodotto, diviene un concreto fattore differenziante per lo stesso e può costituire nel contempo un forte richiamo ai luoghi di provenienza e ai loro elementi d’attrazione. Tutto questo, che si può sintetizzare nello slogan “Il prodotto promuove il territorio”, rappresenta quindi il motivo per il quale la Camera di Commercio di Venezia e Rovigo Delta Lagunare sostiene questa iniziativa del Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia Igp, rientrando l’iniziativa pienamente tra le finalità istituzionali dell’Ente camerale. Valorizzare il Radicchio di Chioggia, oltre a perseguire l’obiettivo di consolidare il reddito degli imprenditori agricoli, contribuisce anche a costituire una straordinaria offerta di “turismo del territorio” che genera valore nella misura in cui le tipicità, globalmente intese, quali l’orticoltura, la pesca, le attrattive turistiche, il patrimonio artistico e culturale, il paesaggio e le tradizioni, unitamente alla Città di Chioggia e al territorio tra la Laguna di Venezia e il Delta del Po interagisco fortemente tra loro. Così espressa, quindi, l’origine geografica protetta, oltre che una garanzia della provenienza del prodotto, diventa un reale fattore differenziante per lo stesso e costituisce un forte richiamo al luogo d’origine e ai suoi elementi d’attrazione. Giuseppe Fedalto Presidente Camera di Commercio Venezia e Rovigo Delta Lagunare
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“La Pro Loco di Chioggia da anni lavora a fianco del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia Igp, abbracciando la filosofia che “Il prodotto promuove il territorio” perché lo scopo comune è proprio questo: far conoscere la nostra terra e le nostre eccellenze, che sono davvero tante. E sono proprio queste a fornire parte della nostra identità, perché dietro ad un prodotto c’è una cultura che è fatta di decenni, a volte di secoli, in cui l’uomo ha cercato il miglior modo di sfruttare la propria terra, che nel nostro caso è anche il mare, per realizzare delle colture di successo, uniche e originali. Questi secoli di lavoro di impegno costante nel miglioramento sono anche la nostra storia, un patrimonio, ed appunto attraverso l’immagine dell’operosità Marco Donadi della nostra città che vogliamo farci conoscere nel mondo. Ogni anno sono moltissime le iniziative a cui partecipiamo o direttamente organizziamo per promuovere storia, folclore, cultura anche attraverso i nostri prodotti tipici come la pesca, millenaria professione chioggiotta, o i prodotti della terra. Un lavoro costante fatto da tante persone che offrono il proprio tempo e il proprio lavoro per la valorizzazione e la promozione della propria città. Un lavoro sempre più fondamentale e prezioso, visto che tra i temi dell’economia locale sta rientrando con sempre maggiore consistenza quel turismo di visitazione che basa le proprie prerogative proprio sull’offerta dei “luoghi” nel loro essere testimonianza di una civiltà. Con grande consapevolezza, dunque, unitamente all’impegno di altre istituzioni e associazioni del territorio, sentiamo che il nostro scopo sta proprio nel far conoscere tutti quegli aspetti che trasformano un luogo comune in un posto pieno di fascino.” Marco Donadi Presidente Pro Loco Chioggia
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Il Consorzio per lo Sviluppo del Polesine da tempo valorizza le eccellenze del proprio territorio, al fine di promuovere la conoscenza, il gusto vero e autentico, valorizzando le specificità dei prodotti e rappresentare il meglio del settore agroalimentare del Delta del Po, dare visibilità alle eccellenze agroalimentari per far crescere i prodotti polesani sul mercato nazionale e internazionale. Il nostro territorio vanta ancora un enorme potenziale, da scoprire, valorizzare rendere visibile sempre di più. “L’unico modo per essere forti sul mercato è lavorare assieme, in collaborazione, ormai ne siamo tutti consapevoli. - afferma Angelo Zanellato, Presidente di Consvipo - Questo non significa rilanciare slogan inutili, significa davvero e concretamente Angelo Zanellato lavorare insieme con altri soggetti pubblici e privati del territorio Siamo in grado di garantire qualità e affidabilità e dunque abbiamo tutte le possibilità per arrivare ovunque”. Dalla presenza al Vinitaly a Verona alla presenza all’Expo di Milano, alla promozione dei prodotti locali in numerosissime iniziative locali, nazionali ed internazionali quali strumento e mezzo di promozione dell’intero settore del turismo, il Consvipo valorizza i “Capolavori del Polesine” tra i quali non poteva mancare il Radicchio di Chioggia IGP. Dalla predisposizione di una applicazione per dispositivi mobili “Polesine” o del sito “Polesinetourism”, all’organizzazione di manifestazioni enogastronomiche, il legame tra le promozione dei prodotti tipici locali ed il territorio nell’ottica della crescita del turismo - sostiene Zanellato - è il fil rouge di tutta la progettazione del Consvipo. Angelo Zanellato Presidente Consvipo
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ORTOMERCATO DI CHIOGGIA, la storia continua L’orticoltura clodiense ha una storia millenaria, praticata su terreni contesi alle acque, di paludi, fiumi, laguna e mare. E sulle vie d’acqua questa orticoltura ha anche costruito le sue fortune. Infatti, il primo mercato di ortaggi citato da fonti bibliografiche fu nel nucleo abitativo di Sottomarina, costituito prevalentemente da famiglie dedite al lavoro dei campi. Collocato a nord dell’attuale ponte che collega la località litoranea a Chioggia, lungo le rive del Lusenzo, in esso si potevano trovare “innumerevoli corbe di patate, fra cumuli di cipolle dai riflessi dorati, di rosse barbabietoline, di verdi piselli, tra le ceste di fagioli, tra le cataste di zucche”. Dagli orti viciniori la merce veniva qui portata su carriole o carri trainati da animali, mentre dalle zone di coltivazione verso il Brenta e l’Adige arrivava via fiumi e canali, su piccole imbarcazioni. Da qui ripartivano burchi, bragozzi e peàte, che via laguna portavano le verdure a Venezia e fin’anche a Trieste. Nel secondo dopoguerra il mercato venne trasferito in Campo Cannoni, ma poi il forte sviluppo del settore orticolo dei primi anni sessanta, unitamente a quello urbanistico che aveva progressivamente “inglobato” anche quest’area mercantile, rese necessaria una nuova collocazione, accanto alla statale Romea. La Centrale Orticola di Brondolo divenne operativa nel 1972, in pieno “periodo aureo” dell’orticoltura locale. Qui veniva conferita da circa 1500 aziende una discreta gamma di prodotti, in particolare radicchio e carote; gamma che andò progressivamente riducendosi, via via che le aziende concentravano la loro at-
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tenzione sul radicchio, portando alla specializzazione della struttura, che ormai ad esso resta indissolubilmente legata. Una radicale riorganizzazione della struttura, circa un decennio fa acquisita e ristrutturata dall’Amministrazione comunale, e quindi dal 2010 affidata alla gestione di Chioggia Ortomercato del Veneto, è avvenuta nel giugno 2016. Da quella data, infatti, la società di gestione è a maggioranza privata a seguito della ricapitalizzazione nella quale si è rafforzata la partecipazione di Opoveneto e CAPO e dimezzata quella di SICO e della parte pubblica costituita da SST, società totalmente partecipata dal Comune di Chioggia e proprietaria dell’intero compendio. Questa riorganizzazione rappresenta una importante svolta gestionale per la struttura, avviata ad una governance diretta del mercato con una visione aziendale unitaria e prospettica, non solo della gestione ma anche nella riorganizzazione del sistema locale, per arrivare ad un’unica regia in grado di gestire unitariamente i Mercati di Rosolina e Brondolo con un progetto che ne ridisegni anche l’operatività, orientata ad evolvere l’Ortomercato alla funzione di Polo Agroalimentare e logistico. In questo contesto il Radicchio di Chioggia Igp è un brand forte già conosciuto e apprezzato sulla scena internazionale, che potrà essere rafforzato portando nella struttura di Brondolo anche tutti i Radicchi Veneti a marchio Igp, creando un sistema forte con i Consorzi di tutela e le Organizzazioni dei Produttori, aggregando produzione, distribuzione e promozione.
AZIENDA SPECIALE PER I MERCATI ORTOFRUTTICOLI DI LUSIA E ROSOLINA, da più di quarant’anni al servizio dei produttori Il Polesine vanta un’agricoltura tra le migliori del Veneto per quantità, qualità e varietà di produzioni; tra queste si distinguono gli ortaggi del polo produttivo degli orti di Rosolina e comprensori delle province adiacenti. Per dare sviluppo a questa tipologia di produzioni, nel lontano 1965, la Camera di Commercio di Rovigo, pensò di costruire il Mercato ortofrutticolo di Rosolina. Oggi la struttura, si tratta di circa 40.000 mq. con una superficie coperta di 3.500 mq., continua ad essere di proprietà della Camera di Commercio di Venezia Rovigo Delta Lagunare e il Mercato è gestito dall’Azienda Speciale per i Mercati Ortofrutticoli di Lusia e Rosolina istituita dalla Camera di Commercio nel 1973. Il Mercato, sostanzialmente alla produzione, anche se dal 2000 gli operatori presenti possono operare come grossisti, è oggi un riferimento importante per i produttori di un bacino produttivo che va oltre la provincia di Rovigo (Padova, Ferrara e Venezia), offrendo prodotti ormai affermati e riconosciuti tra cui il Radicchio di Chioggia IGP, l’Aglio Bianco Polesano DOP, il radicchio rosso tondo (prodotto prevalente), quello rosso lungo, la patata lunga, varie tipologie di zucche, e così via per un numero complessivo di referenze commercializzate attorno alle 10/15 a seconda della stagione. L’Azienda Mercati è inoltre impegnata a promozionare le produzioni del territorio polesano sia mediante partecipazione diretta a fiere del settore alimentare e specifiche del settore, sia mediante la collaborazio-
ne con le Associazioni di categoria e la Camera di Commercio nell’organizzazione di eventi volti a far apprezzare i prodotti della terra ed il loro utilizzo. L’Azienda con il Mercato di Rosolina opera per garantire un corretto rapporto fra i produttori ed i commercianti che vi convergono. In esso si cerca di far coniugare le caratteristiche dei mercati all’ingrosso con la dinamicità propria dei mercati alla produzione. L’autonomia gestionale ne assicura l’aggiornamento costante dei servizi e delle strutture. La disponibilità di attrezzature ed impianti e le fasce orarie di funzionamento (mattino e pomeriggio), permettono una costante disponibilità di ortaggi freschi di raccolta. MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI ROSOLINA Via Po Brondolo, 43 - 45010 ROSOLINA Tel. e Fax 0426 664037 Direzione 0426 664029 Amministrazione 0426 340261 info@mercatorosolina.it www.mercatorosolina.it La carta d’identità dell’Azienda Proprietà: Camera di Commercio di Rovigo Gestione: Azienda Speciale per i Mercati di Lusia e Rosolina, costituita nel 1975 Sede: Piazza G. Garibaldi, 6 45100 Rovigo Tel. 0425 426530 Fax 0425 426531 azienda.mercati@dl.camcom.it
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Numero 20
Direttore responsabile: Mauro Gambin Editore: Speak Out srl di Giampaolo Venturato e Mauro Gambin Piazza della Repubblica, 17/D Cavarzere (VE) - speakout@live.it
Hanno collaborato a questo numero: Claudio Bellan Luciano Bellemo Francesco Bonivento Daniela Boscolo Berto Giuseppe Boscolo Palo Pietro Cigna Marco Donadi Giuseppe Fedalto Paolo Fontana Mauro Gambin Stefano Gazzola Stefano Milan Paolo Sambo Umberto Tiozzo Ambrosi Aurelio Tiozzo Canella Patrizia Trapella Angelo Zanellato
Progetto Grafico:
Think! soluzioni creative Piove di Sacco (PD) think.esclamativo@gmail.com Tel. 049 5842968
13 STORIA
Dalla Laguna al Delta del Po, tra storia miti e leggende
TERRITORIO
I Dieci comuni dell’Igp, tra terra, acqua e cielo
47 RADICCHIO
Il Principe Rosso, l’assoluto protagonista della campagna
Vendita spazi pubblicitari: Speak Out srl speakout@live.it
Giornale chiuso in redazione il 28 gennaio 2017 Inserto al n° 20 di “Con i piedi per terra” - Tiratura: 5000 copie Diffusione: congiuntamente al n° 20 di “Con i piedi per terra” Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 23644 del 24.06.2013 Iscrizione al tribunale di Padova n. 2329 del 15.06.2013 Iscrizione del marchio presso Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (U.I.B.M.) n. PD 2013C00744 del 27.06.2013 Tutti i diritti sono riservati. Gli articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano esclusivamente gli autori. Dati, caratteristiche e marchi sono generalmente indicati dalle case fornitrici (rispettivi proprietari)
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CONSORZIO
Stampa: Stampe Violato snc Bagnoli di Sopra (PD) Tel 049 9535267 www.stampeviolato.com info@stampeviolato.com
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Quasi vent’anni di lavoro nel segno della qualità e dell’identità
103 TURISMO
Una terra che non è già più terra e un mare che non è ancora mare
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RADICCHIARIO
Un prodotto per tutti i palati, dall’antipasto al dolce
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Dalla Laguna di Venezia al Delta del Po ATTRAVERSO STORIA, MITI E LEGGENDE
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mmersa nella laguna di Venezia, vicinissima al Deldelle città di mare che custodiscono la vita di tutti i ta del Po, Chioggia oggi si presenta agli occhi del giorni fin dai tempi della mitica fondazione. Chioggia, visitatore come un ambiente veramente unico, cainfatti, ha una storia ben più lunga di Venezia. Seconrico com’è di attrattive turistiche, storiche e culturali: do la leggenda le origini sono da ricercarsi in quel II lunghissime spiagge, borghi marinari ricchi di fascino, millennio a.C. in cui trova la genesi anche l’intero pocucina di mare impreziosita dai prodotti della terra, polo dei Veneti Antichi, condotto qui dall’Asia Minore su tutti il radicchio di Chioggia da Antenore dopo la sconfitta IGP, e soprattutto tanta natura Secondo la leggenda le origini della Guerra di Troia. La diadi Chioggia sono da ricercarsi spora portò sulle coste Adriaa pochi chilometri, in auto o in barca, dalla magica Venezia. in quel II millennio a.C. in cui tiche anche Aquilio, fondatore E come Venezia, Chioggia, trova la genesi anche l’intero di Aquileia, e Clodio al quale si estende su diverse isole il nome di Chioggia ancora popolo dei Veneti Antichi “cucite” insieme dai ponti. La si legherebbe pur storpiato principale di queste è il cuore antico dove nelle mutazioni linguistiche successive, pasi palazzi del potere e dell’antica aristocrasando da Clodia in Cluza, nei secoli dell’Alto zia si fondono con i simboli della città, del Medioevo, e poi successivamente in Clugia lavoro operoso, del mare: le botteghe, il e quindi Chiozza, per arrivare infine all’attuaporto, il mercato del pesce, affacciati tutti le toponimo. L’antico mito fondativo si trova su Corso del Popolo, l’arteria cittadina che anche nelle insegne cittadine: il rosso leone l’attraversa longitudinalmente, dal quale, rampante, infatti, ricorderebbe l’antica città proprio come da una lisca di pesce, dipardistrutta da Ulisse e dai suoi compagni. tono le colorate calli, i quartieri caratteristici
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• IL MITO • FETONTE parla della ricchezza portata dall’Ambra Chioggia geograficamente si colloca al termine di una vasta pianura, racchiusa ad Est dalla rete d’acqua in cui si divide il delta del Po e ad Ovest dai verdi crinali dei Colli Euganei. Una terra antica, fertilissima e per questo popolata fin da Fetonte per far vedere ad Epafo quando l’uomo abbandonò che Apollo era veramente suo la caccia per farsi agricol- padre, lo pregò di lasciargli guidare il carro del Sole; ma, a causa tore e quindi stanziale. È della sua inesperienza, ne perse dall’Età del Rame (3500- il controllo, i cavalli si imbizzarri2300 a.C.) che le società rono e corsero all’impazzata per iniziano a strutturarsi in la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un tratto villaggi permanenti, da qui del cielo che divenne la Via Latil perfezionamento delle tea, quindi scesero troppo vicino tecniche agricole, con l’in- alla terra, devastando la Libia che divenne un deserto. Gli abitroduzione dell’aratro. Con tanti della terra chiesero aiuto a la metallurgia le società Zeus che intervenne per salvainiziarono a cambiare in re la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, il quale ragione delle nuove attivi- cadde alle foci del fiume Eridano tà artigianali, aumentò la richiesta di beni di prestigio, come l’ambra, si sviluppò una produzione specializzata determinando una divisione del lavoro e dunque le prime forme di differenziazione sociale, basate sul controllo dei beni e la circuitazione delle merci e delle idee. Nacque con esse il commercio e, durante la successiva età del bronzo, i primi centri artigianali nonché le prime città emporio affacciate sull’Adriatico. Queste ultime spesso in mano ad etruschi o greci. E saranno soprattutto questi ultimi a lasciare testimonianze importanti, miti e leggende impresse nelle forme artistiche dei grandi vasi a figure rosse e nere dei quali l’aristocrazia locale aveva fatto uno status simbol. Molte di queste leggende sono proprio ambientante in questi luoghi, la folle corsa di Fetonte con il carro del Sole, ad esempio, si conclude alle foci dell’antico Po, l’Eridano il fiume che la dea Teti generò dallo sposo Oceano, mentre le sorelle del malcapitato dio vengono trasformate in pioppi e condannate in eterno a piangere lacrime d’ambra. Oggi sappiamo che dai pioppi non proviene la preziosa resina fossile, tuttavia la leggenda ci restituisce un’immagine realistica dell’antico paesaggio dominato dalla presenza dei pioppi e dalla ricchezza garantita dell’ambra, proveniente dalle regioni dei Baltico e smerciata verso le potenti città dell’Egeo proprio dai porti dell’Adriatico. Anche Omero, nell’Odissea, lascia testimonianza dell’importanza dell’ambra come materiale per gioielli principeschi mentre Nicia, sempre a proposito dell’ambra, racconta che è il succo o l’essenza del sole che tramonta congelato nel mare, gettato sulla riva.
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DALLA PREISTORIA ALLA PROTOSTORIA Rispetto al mito e alle leggende, le vere origini della città andrebbero ulteriormente retrodatate probabilmente alle prime comunità della protostoria nel II millennio a.C. Una presenza dei Veneti Antichi, nelle isole formate dai grandi fiumi della Pianura Padana, è confermata da un gran numero di reperti archeologici e si giustifica con la facilità di trovare riparo da incursioni di altri popoli, cibo (grazie alla caccia e alla pesca) e un ambiente con una vegetazione che metteva a disposizione i materiali necessari per costruire case e ripari: legno; canne palustri; erbe secche; fango, secondo tipologie architettoniche rimaste invalse fino al secolo scorso, testimoniate dai “casoni veneti” di cui il territorio conserva ancora qualche esempio. Caratteristica era la copertura fatta con la “pavìra”, il carice. Ma fu con la colonizzazione greca, prima ancora di quella etrusca, che il territorio di Chioggia iniziò a configurarsi come importante scalo mercantile. Fin dall’epoca micenea (XII-XVI secolo a.C.) i greci avevano cominciato a frequentare le coste dell’Adriatico. La serie di lagune presenti anticamente lungo tutta la costa settentrionale, dalle foci del Po fino a Grado, rendeva sicura la navigazione delle navi. Il fulcro delle navigazioni di quei tempi, nell’alto Adriatico, era sicuramente il complesso deltizio formato da Po,
È difficile stabilire quando i casoni fecero la loro comparsa in queste terre, è certo però che, sin dall’epoca tardo-romana nella regione c’era l’usanza di costruire ricoveri e magazzini utilizzando frasche e paglia, ma la loro evoluzione definitiva avvenne probabilmente dopo le conquiste della Serenissima. La terraferma, infatti, divenuto il “granaio” di Venezia, doveva far fronte al crescente fabbisogno alimentare della capitale e dell’esercito, allorché c’era bisogno di costruire rapidamente molti ricoveri per famiglie numerose, che rappresentavano la manodopera del tempo
fossa più tardi prenderà il nome di Chioggia. Dunque per tutta l’età classica Chioggia non rappresenta solo un semplice porto marittimo, uno dei tanti visto che Adria e Altino erano altrettanto efficienti, ma un vero e proprio snodo attraverso il quale la navigazione poteva continuare lungo i fiumi verso la capitale dei paleoveneti, ossia l’area euganea tra Este e Padova. Una testimonianza in tal senso viene offerta da Tito Livio che concedendosi una pagina di cronaca locale ci informa dello sbarco, nell’anno 301 a.C, del greco Cleonimo sul litorale della odierna isola del Lido o di Pellestrina. Questi entrò in laguna attraverso una bocca di porto costituita dall’antica foce del Brenta, cioè del Medòaco, il cui nome si perpetua nell’odierno toponimo di Malamoco, e procedette la sua navigazione verso Padova, avendo ben segnata la direzione dall’orizzonte in cui campeggiano i Colli Euganei. Cleonimo non si presentò in laguna per scopi pacifici e dai padovani venne ricacciato in mare, Adige e dall’antico fiume Tartaro (un ramo settentrioma nulla toglie che i greci furono i primi a sfruttare nale del Po a tratti ancor oggi identificabile nel Canalle potenzialità commerciali di questa rete di lagune bianco). L’area fu oggetto anche di interventi umani e fiumi, lungo i quali iniziarono a circuitare un gran con l’escavazione di canalizzazioni, dette fosse, per numero di merci: ceramica, manufatti di ogni tipo ma permettere una migliore circuitazione delle imbarsoprattutto l’ambra. Il commercio dell’ambra, infatti, cazioni fino all’entro terra padano. Due di queste: la era attivo da tempi antifossa Massanica e la fossa Per tutta l’età classica Chioggia chissimi: si può consideraPhilistina, sono indicatrici di chi progettò e realizzò l’in- non rappresenta solo un semplice re una delle prime attività transnazionali d’Europa. La tervento. Infatti, trattandosi porto marittimo, ma un vero di nomi artificiali, devono e proprio snodo attraverso il quale preziosa resina fossile veniva raccolta nell’area del essere ricondotti all’ambito la navigazione poteva continuare mare Baltico e varcava le culturale e politico di coloro lungo i fiumi verso la capitale Alpi attraverso il passo del che tali opere hanno reaBrennero. Poi, sfruttando il lizzato. Quindi in entrambi dei paleoveneti, ossia l’area corso degli affluenti del Po, i casi all’unico nucleo di euganea tra Este e Padova giungeva nell’area del Delcoloni ellenici esistente nel ta. Qui la materia prima veniva lavorata e poi veniva delta padano, quello dei Siracusani. Ciò è pienamensmerciata verso tutto il bacino del Mediterraneo. Le te confermato dall’evidenza toponomastica: la fossa testimonianze più antiche della fiorente industria loPhilistina riconduce al personaggio storico di Filisto, cale di lavorazione provengono da un insediamento e quindi all’ambiente dei tiranni siracusani; la fossa venetico, Frattesina, (nelle vicinanze dell’attuale FratMessanica alla città di Messina e quindi ancora all’amta Polesine, in provincia di Rovigo) probabilmente il bito dei greci siciliani. Plinio il Vecchio, inoltre, più tarcentro di lavorazione dell’ambra più importante della di ci informa che il sistema idroviario padano, scandiValle Padana dall’Età del Bronzo fino all’Età del Ferto dalle fossae terminava nella laguna di Venezia là ro (IX secolo a.C.). La presenza di greci ad Adria aprì dove la fossa Philistina e la fossa Clodia (quest’ultima la Val Padana, dal secondo quarto del VI secolo, alle estensione di epoca romana della stessa Philistina) esportazioni egee, soprattutto ceramica fine, in camformavano il porto di Edrone, che da quest’ultima
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bio di bestiame e prodotti agricoli. Dai mercati adriatici partivano per la Grecia: oro; schiavi; bestiame; pelli; oltre all’ambra del Baltico e ai metalli delle molte miniere del Norico (Austria) e della Pannonia (Ungheria) e, soprattutto, il grano delle terre padane. Tra tutti questi prodotti, i due principali ambiti dei greci erano il grano e i metalli (ferro e bronzo). All’inizio del IV secolo a.C. La crisi conseguente alle guerre del Peloponneso causò un ridimensionamento notevole della presenza greca nella Valle Padana. I rinvenimenti archeologici ci confermano che verso la metà del secolo la ceramica attica scomparve dagli empori alto-adriatici.
IL TERRITORIO SOTTO ROMA E BISANZIO La straordinaria fertilità di questa parte della Pianura Padana, la presenza di grandi fiumi navigabili attorno ai quali erano già nate città potentissime, come Este, Padova, Adria fu l’origine dell’interesse di Roma. Non si trattò tuttavia di una dominazione, come accadde
in altre regioni, con i Veneti più che altro si trattò di una convivenza nata dalla reciproca necessità di contenere le scorribande dei barbari all’interno dei territori dell’Impero. I veneti erano fieri guerrieri, leali, ma anche straordinari allevatori di cavalli e ottimi agricoltori. Dell’abbondanza delle loro coltivazioni ci informa nel II secolo a.C. Polibio che le ritiene superiori a quella di qualsiasi altra regione del mondo a
SONO MOLTI GLI AUTORI CLASSICI CHE NELLO STILARE LE LORO OPERE SI SONO SOFFERMATI SU QUESTA PARTE DEL VENETO PER DECANTARNE IMPORTANZA E RICCHEZZA
Strabone
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Geografo e storico greco antico vissuto tra il 60 a.C e il 24 d.C.. Nella sua opera più importante, la Geografia, si soffermò nella descrizione del Veneto Adriatico, indicando anche quali erano le merci per il quale queste zone erano famose. Oltre che per la lavorazione dell’ambra, infatti, i veneti antichi erano famosi per i cavalli, tanto che lo stesso Dionisio di Siracusa, il tiranno vissuto al tempo delle guerre greco-puniche, circa trecento anni prima di Strabone, si procurava qui i migliori esemplari da corsa. Inoltre il geografo precisa: “Della bontà di questi luoghi sono prova la densità della popolazione, la grandezza delle città e la ricchezza, tutte cose per cui i Romani qui residenti superano il resto d’Italia”. Dopo la generica indicazione dell’abbondanza e varietà dei frutti che la terra coltivata produce, il primo fattore caratterizzante registrato sono le grandi foreste di querce, le quali forniscono una tal quantità di ghiande “che i maiali qui allevati costituiscono la principale fonte di approvvigionamento per Roma”.
Egli celebra poi l’abbondanza del vino che deduce dalle botti che “qui sono di legno e più grandi delle case”.
Plinio il Vecchio Caio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio, 23-79 d.C. è stato uno scrittore, ammiraglio e naturalista romano. Del territorio ci ha lasciato una descrizione del fiume Po: “che scorre dal seno del Monte Vesulo (Monviso), uno dei punti più elevati della catena delle Alpi, nei territori dei liguri Vagienni, da una sorgente che merita di essere vista, e poi si nasconde in un canale sotterraneo e torna di nuovo a salire nel paese dei Forovibiensi, non inferiore in fama a nessuno tra i fiumi, noto ai Greci come Eridano e famoso per la punizione di Fetonte, al sorgere della costellazione del Cane è gonfio per le nevi sciolte, ma si dimostra più furioso nel suo corso per i campi adiacenti che per le navi che sono su di esso. E nessuno altro fiume in così breve tragitto aumenta di tanto le sue correnti. Infatti è so-
vraccarico di una quantità di acque e, pesante per la terra, scava canali profondi nel suo corso, anche se è diviso in fiumi e canali tra Ravenna e Altino per uno spazio di 120 miglia; tuttavia, nel punto in cui si scarica la massa più vasta delle sue acque, si dice che formi sette mari. Il fiume Po si mescola con le acque dei suoi affluenti, ed attraverso questi si scarica in mare, e la maggior parte degli scrittori riporta che esso forma tra le Alpi e la costa del mare una figura triangolare di 2000 stadi di circonferenza, simile al triangolo formato dal Nilo in Egitto”.
Giovanni Diacono Giovanni Diacono o da Venezia (940/945-dopo il 1018) è ritenuto l’autore del “Chronicon Venetum”, la più antica opera di storiografia veneziana. Giovanni fu cappellano del doge Pietro II Orseolo (991-1008) e ambasciatore presso Ottone III mentre questi si trovava per la terza volta in Italia. L’imperatore incaricò Giovanni di comunicare al doge la sua intenzione ad incontrarlo; fu quindi organizzata una visita che coinvolse lo stesso Diacono, il quale ebbe il compito di incontrare l’imperatore all’abbazia di Pomposa per condurlo per mare a Venezia via Chioggia. Bella è la descrizione delle isole veneziane che fa attraverso alcuni scritti raccolti nella “Istoria Veneticorum”: “Ora però è necessario descrivere convenientemente le diverse isole. La prima tra queste è chiamata Grado, la quale possiede alte mura e molte chiese adornate e ricche di corpi di Santi, proprio com’era, nell’antica Venezia, Aquileia, cosicché essa è generalmente nota come la capitale e la metropoli della nuova Venezia. La seconda isola, invece, è detta Bibione. La terza, poi, è nota come Caprola: il vescovo di Concordia, giungendo qui assieme ai suoi, atterrito dalla violenza dei Longobardi, vi trattenne la sua sede episcopale, con l’autorità di Papa Adeodato, accingendosi ad abitarvi. Vi è poi la quarta isola, nella quale fino a poco tempo fa c’era una grandiosa città costruita dall’imperatore Eraclio, ma rovinata dal tempo, che i Venetici hanno ora ricostruito più piccola. Infatti, dopo che la città di Opitegio venne presa dal re Rotari, il vescovo di quella città si diresse con l’autorità di papa Severino qui ad Eracliana, dove volle porre la propria sede. La quinta isola è detta Equilo. Sulla sesta isola si trova invece Torcello, la quale si distingue per il fatto che sia possibile non tenervi per nulla mura cittadine, essa infatti, trovandosi circon-
data dalla difesa delle altre isole, governa sicurissima nel mezzo. La settima isola è nota come Mureana. Ovviamente nell’ottava isola di Rivoalto, nella quale infine è confluito ad abitare il popolo, la quale risulta difatti famosissima ed onorata e nella quale non solo si ostenta la ricchezza delle case e delle chiese, ma si vede trovarvisi la dignità del Ducato e della sede vescovile. La nona isola è chiamata Metamauco, nella quale pure non è necessaria nessun’altra difesa cittadina, ma che è invece cinta dovunque da un bel litorale e dove è abitudine che il popolo abbia, con autorità apostolica, una propria sede vescovile. C’è poi la decima isola, Popilia. L’undicesima è detta Chioggia Minore, nella quale è il bel monastero di San Michele. Nella dodicesima isola si trova Chioggia maggiore. Vi è inoltre un castello al confine della Venezia, che è detto di Capo d’Argile. In realtà, comunque, vi sono in quella provincia numerosissime altre isole abitabili”.
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Nacque a Squillace nel 490 d.C., fu uomo di eccezionale cultura, un politico, uno storico, un letterato di prima grandezza e un funzionario del regno ostrogoto. Ed è forse grazie a questo incarico che acquisì una certa familiarità nel trattare coi Veneziani. Nel 537 infatti scrive una lettera ai Tribuni marittimi Veneziani, firmandola come prefetto pretorio del Re Ostrogoto Vitige, per incaricarli del trasporto marittimo del raccolto di vino e olio avvenuto in Istria verso Ravenna, capitale del Regno Ostrogoto. Dalle sue parole apprendiamo che a quel tempo erano chiamati Veneziani gli abitanti delle paludi costiere da Ravenna a Grado e che essi erano famosi come navigatori e costruttori di navi. Il Prefetto lascia intendere che la fama e la nobiltà di questo Popolo sono notorie sin dall’antichità. “Pari a quella come navigatori è la stima che i Veneziani meritano dal punto di vista morale, unico Popolo che non conosce il vizio dell’invidia perché tutti gli abitanti, ricchi o poveri, vivono nella medesima tipologia di abitazioni, si nutrono del medesimo cibo, il pesce, e sono dediti alla principale occupazione del produrre e commerciare il sale. La loro patria è l’acqua, ed essi quindi si sentono nel loro Paese ovunque le navi li possono portare”.
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lui conosciuto. Ancora un secolo più tardi autori latini come Strabone, Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, indicano per la regione Transpadana “summa abundantia” che nella fattispecie si traduceva nella coltivazioni di vari cereali (farro, frumento, panico, avena), di legumi, di viti (negli ambienti paracostieri altinati, nelle paludi patavine e nei colli veronesi, dove si produceva il famoso vinum raeticum), di alberi da frutto e di foraggio fresco di qualità. L’ampiezza della pianura permetteva inoltre la conservazione di ampie distese di terreni non coltivati, utilizzati come pascolo per accrescere le potenzialità dell’allevamento. Questo costituiva un altro settore economico vissuto in simbiosi con quello agricolo. Molto noto era quello dei suini al quale si accompagnava quello degli ovini, legato alla produzione della lana che aveva a Padova e Altino i suoi centri principali di produzione. Le pratiche di allevamento legate alle pecore possedevano un carattere non solo stanziale, ma anche migratorio e transumante che fruiva delle notevoli risorse di pascoli nel settore prealpino e alpino. La caduta dell’Adriatico in mani barbare precede di qualche decennio la fine dell’Impero Romano d’Occidente del 476 d.C. L’intera costa conobbe il terrore portato da Attila e gli Unni con le conquiste di Aquileia, Concordia e Altino ed è, appunto, in questi anni che le popolazioni dell’entroterra cercarono riparo dai barbari sulle
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isole, creando le premesse per la nascita anche di Venezia. Dopo sessant’anni di dominio Goto l’intera area veneta venne conquistata dal generale bizantino Narsete nel 555 d.C., ma non durò a lungo, l’avanzata longobarda capeggiata da re Alboino portò alla suddivisione di un Veneto marittimo, in mano ai bizantini (che prima in Aquileia e poi a Grado collocarono il loro potente esarcato), e un Veneto continentale controllato militarmente in rigide “gastaldie” dai secondi. Una divisione che tuttavia conservava qualche eccezione in Abano e nell’agro patavino che continuarono a gravitare in area adriatica, grazie al sistema idrografico e lagunare che continuò a permettere navigazioni per via fluviale. Nelle forme di governo e controllo del territorio la stagione bizantina lasciò un prezioso contributo nell’affermazione della successiva stagione Serenissima. È dai tribuni di epoca esarcale che nasceranno i governatori dei centri del territorio, una carica che andò progressivamente consolidandosi nelle mani di aristocratici e trasmessa per via ereditaria fino a formare il primo nucleo della nobiltà veneziana che, di fatto, costituì l’oligarchia che guidò per dieci secoli la Repubblica Marciana. Il gruppo scultoreo risalente al III-IV secolo d.C., collocato all’esterno sul cantone del tesoro di San Marco a Venezia, rappresenta l’abbraccio dei quattro regnanti ossia l’unione tra la pars Orientis, bizantina, e la pars Occidentis, italica, dell’Impero Romano
I MONASTERI BENEDETTINI IN LAGUNA VENETA
San Michele a Brondolo
Durante la guerra gotico-bizantina 536-555 d.C. in Italia nacquero luoghi del romitorio in cui attuare la regola del silenzio, della preghiera e del lavoro. Un lavoro che in buona parte era destinato alla terra ma che in parte riguardava la ricerca, attraverso le erbe officinali, di cure per la salute. Un racconto di Giovanni Francesco Ferrari, arciprete della cattedrale di Senigallia, ci informa, anche se attraverso parabole miracolistiche, che uno di questi centri della salute fosse il monastero di San Michele a Brondolo o cumunque che la storia ospedaliera cittadina inizi proprio da qui. “Alla morte di Arioldo divenne il figlio Sergio il nuovo Principe di Senigallia, ma non avendo questi eredi, a cui lasciare il potere a sua volta, sempre pregava o faceva pregare Dio per avere figlioli. Ma Iddio, perché fosse di esempio a tutti i posteri, oltre alla sterilità gli diede anche la lebbra, di modo che come nel caso del pazientissimo Giobbe non c’era un posto, dalla testa ai piedi, che fosse sano. Né per questo mancò di ringraziare Dio di tutto quello che gli dava, pregandolo anche che gli desse la pazienza”. Al 18 ottobre dell’anno 802 (come descrive Pietro de Natalibus vescovo aquilino) gli apparve l’arcangelo Michele che gli disse: “Sergio, se desideri recuperare la salute alzati e vai al monastero dedicato al mio nome nel luogo chiamato Brentolo e subito riceverai la salute. “Sergio, alzatosi, al mattino fece adunare tutta la sua corte e narrò la sua visione, chiedendo dove fosse la località di Brentolo. Poiché nessuno sapeva dargliele notizia, con digiuni e orazioni pregava Dio che gli volesse mostrare il luogo dove doveva recuperare la salute. Ma ecco che, mentre stava pregando, gli venne una voce dal cielo che gli disse: Sergio, se
desideri la salute piglia una barchetta senza alcuna persona e senza ornamento alcuno; sali in essa con chi vorrai e lasciala andare da sola; essa ti condurrà nel luogo che ti ho già detto e la gente del posto ti mostrerà dove devi andare e dove dovrai ricevere la salute”. Il mattino dopo Sergio, fatta trovare la barca vi salì con alcuni dei suoi, lasciando la cura della città al magistrato. Quando la barca si fermò, scese e dagli abitanti fu accompagnato fino al luogo detto San Michele da Brentolo. Appena appoggiato il piede sulla soglia della porta, Sergio si trovò guarito; entrato rese infinite grazie a Dio tornò allo stesso modo dove era partito. Consegnata la città a un magistrato, tornò allo stesso monastero con la moglie e lì finirono santamente la loro vita. Il corpo fu poi portato a Venezia nella chiesa dedicata al suo nome, dove Dio tuttora dimostra miracoli infiniti”.
Un monastero benedettino della Santissima Trinità e San Michele era già esistente in tale località, vicino alla foce del fiume Brenta, nel 724, ma dopo circa cinque secoli la sua disciplina monastica era talmente decaduta che papa Gregorio IX decise che fosse abbandonato. I monaci bianchi arrivarono nell’estate del 1229 e con essi il monastero si consolidò e acquistò sempre maggiore importanza. Nel 1379 fu distrutto dai soldati e marinai genovesi, nel corso di una delle battaglie della guerra di Chioggia tra Venezia e Genova. Fu in seguito deciso, da parte del Senato Veneto, di riconvertirlo in castello militare e, di conseguenza, nel 1409 i monaci cistercensi dovettero trasferirsi nel monastero di Santo Spirito, situato in una delle piccole isole raggruppate presso Venezia.
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L’INVASIONE FRANCA
Pipino il breve
TRA MEDIOEVO E RISORGIMENTO Negli ultimi secoli dell’Alto Medioevo Chioggia subì due distruzioni: una ad opera di Pipino, re dei Franchi (810) e un’altra ad opera degli Ungari (902). Negli anni a seguire per Chioggia ci fu un periodo di prosperità, intervallato da qualche piccola guerra con i rivali Padovani e Trevigiani e dall’arrivo del Barbarossa che nella città firmò il “trattato Clodiano” nel 1177, preliminare di quello di Venezia che sancì un breve periodo di pace fra Impero e Comuni italiani. Dal punto di vista politico ed amministrativo, si passò dai tribuni al podestà, un messo della città di Venezia rappresentante della Repubblica venne collocato nelle città più importanti, ciò segnò l’inizio della supremazia di Venezia sulle politiche interne delle altre città venete. Più o meno contemporaneo al “Trattato clodiano” è l’elezione di Chioggia a sede vescovile, vennero trasferite qui le reliquie dei Santi patroni Felice e Fortunato da Malamocco, che a sua volta le aveva ereditate da Aquileia. Clugia Major (Chioggia) e Clugia Minor (Sottomarina) divennero in seguito l’XI e la XII isola della Serenissima, sottoposte all’autorità del dogado veneziano. In periodo medioevale la città divenne famosa anche per la produzione del pregiato “sal Clugiae”. Chioggia, infatti, era importante soprattutto per le sue saline. Nonostante ai giorni nostri non vi siano più saline in funzione, in antichità la produzione di sale era l’attività più importante per l’economia della città che impegnava quindi gran parte della popolazione e delle forze a disposizione. Nelle acque del circondario vi erano fino a 72 recinti acquei, detti “fondamenti di salina”, che andavano dal porto della città alle rive adiacenti ai domini Padovani, che riuscivano a produrre circa 216 volte il bisogno dell’intera popolazione per un anno. Il sale prodotto infatti era
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L’invasione franca della Venezia fu un conflitto combattuto negli anni 809-810 tra i Franchi del re d’Italia Pipino e il Ducato di Venezia, supportato dall’Impero Bizantino. La successiva incoronazione a imperatore del Sacro Romano Impero, era figlio di Carlo Magno, diede luogo ad una forte reazione dell’Impero Bizantino, che si definiva unico erede legittimo dell’Impero Romano, creando forti tensioni all’interno della già difficile politica del Ducato di Venezia. Si andarono così a formare un partito filo-franco, con base a Eracliana, e un partito filo-bizantino, rappresentato dalla capitale Malamocco. Nell’809 la flotta bizantina tornò in laguna guidata dal duca di Cefalonia, Paolo. Dopo aver tentato, inutilmente, di stipulare un nuovo armistizio con Pipino, Paolo ritirò la flotta e questi invase il Ducato. Chioggia, Cavarzere e i lidi veneti vennero distrutti (questi fatti vengono ricordati anche da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso) e solo con il patto di Pavia dell’840 fra l’imperatore Lotario e il doge Pietro ci sarà il ritorno a Chioggia dei suoi abitanti (Et hoc stetit de Clugiensibus, ut revertant per loca sua ad habitandum). Verso l’estate dell’810 la notizia del nuovo approssimarsi della flotta bizantina di Paolo e di fronte al diffondersi di malattie dovute all’aria malsana, i franchi decisero di forzare la situazione di stallo. A questo punto le sorti del conflitto si capovolsero: durante lo scontro finale, avvenuto nelle acque lagunari alle spalle di Malamocco, la flotta franca, impacciata nelle manovre tra gli intricati intrecci lagunari di canali e bassifondi, fu facile preda delle agili imbarcazioni veneziane; gli invasori furono annientati e, secondo la tradizione, il massacro fu tale da lasciare il toponimo canal Orfano presso il luogo dello scontro. Diversa, e certamente più attendibile, la versione degli annali franchi: secondo i quali riuscirono a sconfiggere i Veneti senza difficoltà e ad occupare il Ducato, ma preferirono ritirarsi con il ritorno della flotta bizantina. L’unico vero sconfitto fu il doge Obelerio, compromesso a causa del suo comportamento altalenante. Mentre Franchi e Bizantini concludevano un nuovo accordo, il doge e il suo coreggente venivano arrestati e consegnati ai Greci: il primo fu esiliato a Costantinopoli, l’altro venne confinato a Zara, dove morì entro la fine dell’811. In quello stesso anno veniva eletto il nuovo doge Angelo Partecipazio. Con lui i Veneti rinnovarono la loro lealtà verso Bisanzio, vedendo in cambio garantiti i loro vecchi privilegi e le antiche autonomie conquistate, cosicché le città adriatiche non furono incluse nel nuovo sistema burocratico bizantino fondato sui themata.
Gli Ungari Nell’anno 899 dall’antica provincia della Pannonia, a causa della forte pressione dei Bulgari, si mosse una grande ondata guerriera, un popolo delle steppe, di razza mongolica: gli Ungari. Dilagarono nell’Italia del nord e misero a ferro e a fuoco molte città. Pavia, Milano, Bergamo, Brescia, Padova, Treviso, Vicenza conobbero i loro assedi e la rovina che portarono nel territorio. In laguna nell’897 si era già provveduto ad erigere una forte muraglia che sbarrava l’accesso alle principali isole “rialtine”. Mura e canali incatenati, era la difesa del governo ducale contro questa sciagura. Ma tutte le difese furono insufficienti a contenere la violenza dell’impatto con gli Ungari che infatti saccheggiarono e distrussero molti centri del litorale, Cittanova-Eraclea, Jesolo (Equilo), Cavarzere e Chioggia.Da Chioggia gli Ungari si mossero per risalire il lido. Posero il loro campo base presso l’isola di Albiola e per circa un anno risalirono la laguna e si prepararono per lo scontro finale con le forze venetiche del governo di Rialto. Ma i valenti cavalleggeri non erano avvezzi alla costruzione di navi e si limitarono a costruire una flottiglia di piccole barche ricoperte di pelli. Malgrado questo costituivano comunque una minaccia terribile. Il dogato dovette per forza prendere l’iniziativa e preparare lo scontro, che avvenne proprio davanti all’isola di Albiola dove le fragili imbarcazioni degli Ungari furono rovesciate e distrutte nella loro quasi totalità dal naviglio venetico. La vittoria venetica fu così totale e la sconfitta fu così grave per gli Ungari che questi non ebbero più il coraggio di farsi vedere in laguna. Le loro scorrerie nel nord Italia cessarono però solo molti anni dopo per iniziativa dell’imperatore Ottone I. Venezia, o almeno le isole che facevano capo al governo di Rialto, si scoprì comunque indifesa, aveva vinto sul mare, ma la laguna era un territorio aperto e le isole non disponevano di difese paragonabili alle mura e alle torri delle città della terraferma. Occorreva un ripensamento di tutta la strategia difensiva per tutta l’area lagunare e anche per la terraferma.
indispensabile per i commerci e il suo pregio permetteva agli abitanti di poter acquistare qualsiasi altra merce difficile da reperire nelle terre lagunari. Il “Sal Clugiae”, sale di Chioggia, era considerato un bene dello Stato, che porterà la confederazione veneziana a combattere numerose volte contro Padovani, Ferraresi, Romagnoli e Bolognesi, in quanto imposto come unica merce di scambio per i commerci, a discapito di altri tipi di sale meno rinomato. Tuttavia fu la Nel 1379 la Guerra guerra contro di Chioggia mise a dura i genovesi del prova la popolazione. 1379 a mettere La città resistette alle corde l’antica Clodia, ma per undici giorni non fu il sale all’assedio genovese, la causa dello senza ricevere aiuto scontro, piuttodalla vicina Venezia sto l’acerrima rivalità che consumava le due repubbliche marinare, appunto Genova e Venezia, per la supremazia sui mari. Bastò un futile pretesto per dare fuoco alle polveri. Uno screzio, una banale questione di precedenze, tra il console genovese Paganino Doria e il bailo veneziano Marino Malipiero (entrambi invitati al banchetto per l’incoronazione del nuovo re di Cipro, Pietro II di Lusignano) accese una disputa così aspra che alla fine del convito i veneziani, passati dalle parole ai fatti, con l’aiuto dei nobili ciprioti sopraffecero i genovesi, scagliandoli da una finestra. In breve i tumulti si estesero dalla capitale, Famagosta, in tutto il resto dell’isola e più tardi fin sotto la costa clodiense. La flotta genovese si presentò davanti a Chioggia il 6 agosto 1379 e, aiutata dalle milizie del signore di Padova, si impadronì di Chioggia Minore (Sottomarina) e pose l’assedio a Chioggia Maggiore, difesa dal podestà Pietro Emo e da 3000 uomini. Pur sapendo di non poter ricevere aiuti da Venezia, la guarnigione resistette per undici giorni contro gli assedianti otto volte superiori e cedette solo il 16 agosto. Ci impiegò un anno Venezia per riprendersi il suo territorio, l’assalto finale venne sferrato il 23 giugno 1380 da Carlo Zeno, facendo prigionieri 4.200 genovesi, 300 padovani e 19 galee. L’ultimo focolaio di resistenza genovese, presso la Torre di Bebbe, all’interno della quale Ambrogio Doria si era rifugiato attendendo invano l’aiuto degli alleati, si spense nella notte. Per celebrare la vittoria il doge Contarini entrò trionfante nella città liberata il 24 giugno insieme al principale artefice dell’impresa, l’ammiraglio Vettor Pisani. Questo stesso momento viene rivissuto in occasione del Palio della Marciliana, la manifestazione storica che a giugno di ogni anno
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riporta in piazza un pezzo di quel mondo grazie ad oltre seicento figuranti che concludono un programma di tre giorni con spettacoli, feste e tenzoni proprio con l’entrata trionfale del doge in città. La vittoria della potenza veneziana tuttavia non cicatrizzò le ferite in fretta, ne seguì un lungo periodo di crisi che si protrasse per tutto il ‘400 e il ‘500 con pestilenze e carestie. Del periodo Rinascimentale degna di nota è la fondazione nel 1438 di quello che è ritenuto il primo cantiere navale del mondo, il Cantiere Camuffo, trasferito poi nel corso dell’Ottocento a Portogruaro. Il resto della storia di Chioggia si mischia e sovrappone a quella di Venezia, venendo coinvolta diverse volte nelle feroci guerre di conquista intraprese da Venezia verso gli altri territori, soprattutto verso il vicino stato Estense. È il caso della “Guerra del sale” iniziata il 2 maggio 1482 proprio contro Ferrara e conclusasi solo due anni più tardi con la pace di Bagnolo del 7 agosto 1884. Fu quella una guerra tremenda soprattutto per le campagne del Padovano e del Polesine dove il taglio degli argini dei fiumi venne
usato come strategia di guerra creando alluvioni per fermare l’avanzata dei fanti veneziani, e non fu nemmeno risolutiva, alcune questioni rimasero sospese e furono il pretesto per riaprire le ostilità qualche anno più tardi nella guerra della Lega di Cambrai, del 1509. Con la guerra del 1482, infatti, Venezia aveva fatto suo l’intero Polesine, ad eccezione di Adria, questa rapacità della Serenissima Repubblica mise sulla difensiva Papa Giulio II che infastidito dal fatto che il Leone di San Marco fosse arrivato a ridosso dello Stato Pontificio non ci pensò due volte a mettere in piedi una “crociata” per dare una dura lezione ai serenissimi. Praticamente si trattò di Venezia contro il resto del mondo, e l’esercito veneto non poté che andare incontro a una terribile sconfitta. Il territorio padovano e rodigino venne messo a ferro e fuoco, i ponti vennero distrutti, la campagna ancora una volta inondata dal taglio dei fiumi e la stessa Padova venne messa sotto assedio. Le schiere alleate del Papa arrivarono fin quasi alle “ripe salse di San Marco: ai veneziani, dopo la sconfitta di Agnadello, l’unica terra buona da calpestare era rimasta solo quella delle proprie isole. Venezia si salvò solo grazie al ritiro di alcuni eserciti della Lega e al cambio di fronte del Papa, accortosi che l’andamento della guerra stava portando ad esiti ben peggiori delle premesse dalla quale era partita. Ma guerra e cristianità continuarono ad essere elementi anche della storia successiva, Venezia fu intensamente coinvolta in una lotta perpetua contro i Turchi e con la Battaglia di Lepanto, nel 1571, forse raggiunse il punto più alto della sua fama internazionale, prima di
El vero Gato de Ciosa
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Ronaldino da Padova, 1200-1276, figlio di notaio, dopo aver studiato a Bologna, alla scuola del fiorentino Boncompagno, fu maestro di grammatica e retorica nello studio di Padova e notaio del comune. Scrisse la “Cronica in factis et circa facta Marchie Trevixane”, riguardante il periodo compreso tra la fine del secolo XII e il 1262, dove, con amore per la libertà comunale e fede nella giustizia divina, ma con qualche gonfiezza retorica, si narrano le vicende del comune di Padova, in particolare nel duro periodo delle lotte contro la signoria di Ezzelino da Romano. Di quei giorni lo storico racconta che per occupare Padova da Porta Altinate, i crociati partiti dalle Bebbe al comando del vescovo di Ravenna, dopo la conquista di Piove di Sacco e di Conselve, costruirono un Gatto (in latino vinea), sotto cui difendere gli assalitori. Dalle mura di Padova gli uomini di Ezzelino da Romano gettarono olio, carni porcine, zolfo sul gatto che divenne un rogo. Gli assalitori allora misero il gatto davanti alla porta di legno detta Altinate e pure questa prese fuoco ed alla fine il giorno 11 giugno 1256 le truppe crociate e venete al grido di “Croxe di San Marco” con alla testa le truppe di Chioggia conquistarono Padova e da allora i chioggiotti ricordarono per secoli di aver conquistato Padova col Gatto. Nel 1380 sempre loro col gatto assalirono gli ultimi genovesi asserragliati nella Torre delle Bebbe e la conquistarono.
imboccare un lungo declino che la porterà a capitolare nel 1797, inchinandosi all’astro di Napoleone Bonaparte. Dopo il trattato di Campoformio nel 1798, Chioggia come il resto del Veneto passò agli Austriaci, ma ancora una volta i chioggiotti si dimostrarono tenaci nel non accettare la dominazione. E infatti reagirono, seppur invano, con la storica “Sollevazione del Cristo” del 20 aprile 1800. I governi francesi e austriaci si alternarono per un’altra cinquantina d’anni, ma importante fu il contributo di Chioggia alla causa risorgimentale, tanto da ottenere la medaglia d’oro. Chioggia divenne italiana il 15 ottobre 1866. La prima guerra mondiale fece sentire le sue terribili conseguenze, anche perché Chioggia, soprattutto in seguito all’arretramento del fronte sulla linea del Piave, divenne proprio l’immediata retroguardia dove vennero allestiti molti ospedali militari negli istituti civili e religiosi della città. Anche durante le fasi della liberazione dell’alta Italia, durante la seconda guerra mondiale, Chioggia ebbe un’importanza strategica perché nei piani degli alleati era considerata il luogo di un possibile sbarco che avrebbe consentito l’occupazione delle numerose fortificazioni del litorale e in seguito del Veneto nel suo complesso. Epica fu la sera della liberazione, il 27 aprile 1945, quando la città si illuminò a giorno per evitare l’annunciato bombardamento dell’aviazione alleata, decisa a domare in questo modo la mancata resa dei tedeschi.
SOTTOMARINA Anticamente l’abitato di Sottomarina era costituito da una stretta lingua di terra compresa tra il porto di San Felice e la foce del Brenta, tra il mare Adriatico, la parte più meridionale della laguna e la campagna veneta. In seguito alla sua totale distruzione nel corso della guerra di Chioggia, Sottomarina rimase disabitata, senza più difese a mare subì continue inondazioni. La mancata ricostruzione, impedita dalla stessa Serenissima, si protrasse fino al 1700, quando per difendere l’intero bacino lagunare vennero costruiti i “Murazzi”, un’imponente diga che permise la rinascita del vecchio borgo, caratteristico per la serie di calli strette, abitate dai discendenti di due ceppi familiari: i Boscolo e i Tiozzo. Qui per evitare frequentissime omonimie è stato necessario ricorrere in modo ufficiale a soprannomi (a volte anche buffi) che si trasmettono al pari del cognome di padre in figlio: caso unico in Italia. Sottomarina oggi gode di una spiaggia che si prolunga oltre le foci del Brenta, fino a quelle dell’Adige, in quella di Isolaverde, rinomata area, come del resto tutto il territorio clodiense, per il terreno sabbioso che si è rilevato particolarmente adatto per la produzione orticola e oggi cuore della produzione del radicchio di Chioggia.
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LA TORRE DI BEBBE La Torre di Bebbe (o Bebe) oggi è un sito archeologico posto tra i vecchi confini dei territori di Venezia e Padova. Una lapide di marmo, posta su di un rudere, illustra la sequenza storica. La Torre fu edificata per volere di Teodato (o Diodato), che era un magister militum a Heraclia. Era stato eletto console per procedere al trasferimento della nascente Repubblica di Venezia a Malamocco. I veneziani lo gratificarono con il titolo di Doge, accompagnato da Ipato (console) e dagli storici è ricordato come il doge Teodato Ipato. Nel IX secolo, dopo il vuoto lasciato dal potere dei Longobardi, scesero schiere di soldati normanni in lotta con l’Impero d’Oriente e milizie ungheresi capitanate dal loro re Ladislao, che si affrontarono con i veneziani. Successivamente arrivarono i soldati di Ravenna e di Adria mettendo in pericolo Chioggia e Venezia, ma nel 1075 il doge Domenico Selvo, dopo aver aiutato Alessio, imperatore d’Oriente, sconfisse il conte di Giovinazzo. Al doge Selvo, per aver riconquistato la Torre, venne conferita una particolare dignità di protosevasto. Per secoli la zona fu sempre presidiata dalle guarnigioni militari di Venezia e di Padova perchè, oltre ad essere territorio di confine, c’erano le rispettive saline e perchè presso la Torre passava la linea di transito della navigazione attraverso le foci di un ramo del Brenta, il vecchio Medoacus Minor, che andava a sboccare in laguna. Nel 1199 i padovani avevano conquistato e
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distrutto il castello di Onara degli Ezzelini. Ezzelino il Monaco, dopo essere stato nominato podestà di Verona e Vicenza, decise, il 14 maggio 1214, di umiliare i signori di Padova utilizzando il pretesto dei giochi
Ai tempi “de Marco Caco” Si sente dire spesso “robe che se usava ai tempi de Marco Caco!”, il detto è usato per indicare il lontano passato o per alludere a tempi remoti e si riferisce a quel Marco Cacamo, storpiato il nome, che si comportò valorosamente nell’anno 1214 nella guerra tra i veneziani e i padovani alla Torre delle Bebbe. Appunto in tale guerra il valore di quel Cacamo o Marco Caco si dimostrò così grande da rendere proverbiale quel tempo.
indetti tra i nobili: il cosiddetto “castello d’Amore”. Lo storico padovano Cappelletti riporta che, in quella occasione, i signori di Treviso invitarono i nobili delle città venete di Belluno, Feltre, Venezia, Verona e Vicenza ai giochi indetti nel castello d’Amore, giochi che vedevano coinvolte e protagoniste le più belle donne della nobiltà. In quella occasione Ezzelino il Monaco e il suo figliastro Iacopo decisero di utilizzare i giochi per aprire le ostilità. Il gioco di quel giorno si trasformò in offesa, perchè i giovani di Padova avevano calpestato il vessillo di San Marco; di fronte a questa provocazione i veneziani reagirono con le armi. Si susseguirono una serie di reciproche accuse e provocazioni, con la conseguenza che il territorio di Venezia fu invaso e saccheggiato da parte dei trevigiani e padovani. La battaglia finale si combattè presso la Torre di Bebbe. I veneziani, guidati dal doge Pietro Ziani, riuscirono a batterli ed imposero la pace il 21 aprile 1216. Nel 1256, dalla Torre delle Bebbe partirono i Confederati, come riporta la targa, ovvero i crociati (crocesegnati) del Papa Alessandro V per liberare Padova da Ezzelino III da Romano, vicario di Federico II. Il Papa aveva ordinato al vescovo di Ravenna Filippo Fontanesi di convincere Venezia a partecipare alla Crociata; Venezia affidò il comando delle sue truppe a Marco Badoer. Nel 1375 Francesco Carrara, signore di Padova, iniziò la guerra con Venezia. Contemporaneamente attorno al presidio clodiense c’erano: gli ungheresi che si erano accampati a nord dei territori dell’Abbazia Sant’Ilario di Venezia, il rio dei Moranzani, i genovesi che avevano già occupato la città di Chioggia e i padovani che erano arrivati dal Bacchiglione. Anche questa battaglia, ricordata dalla targa, fu vinta nel 1380 dai veneziani, guidati da Vettor Pisani e Carlo Zen. Dopo questa data la zona della Torre delle Bebbe perse il suo ruolo strategico.
Federico �� di Svevia a Chioggia Federico II Hohenstaufen di Svevia è passato alla storia come “stupor mundi”. L’imperatore del Sacro Romano Impero era dotato di una personalità poliedrica e af fascinante, fu promotore della cultura e delle arti, lui stesso parlava sei lingue. Il suo regno, durato dagli anni venti del 1200 fino alla morte avvenuta nel 1250, fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Federico stesso fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Dalla Cronica (1121-1178) (…) Al che il Papa Alessandro, consigliatosi co’legati del Re di Sicilia e co’Lombardi rispose così: “A noi piace moltissimo che l’Imperatore ne venga con pochi de’suoi a Chioggia, la quale per quindici miglia dista da Venezia, ma con questa condizione, che voi facciate giurare sull’anima vostra che giunto colà non procederà oltre, senza nostro ordine e licenza”. Prestato un tal giuramento, l’Arcivescovo di Colonia con alcuni altri venne all’Imperatore in Cesena, e fino a Chioggia lo condusse co’suoi. Alcuni Veneti popolani, conosciuto l’arrivo dell’Imperatore, fattiglisi dappresso cominciarono a suggerirgli con arte di entrar francamente in Venezia senza ordine e licenza del Papa, fermamente promettendo che mediante il loro consiglio e soccorso avrebbe composta a suo piacere la pace con la Chiesa, non che co’Lombardi (…).
La targa della torre di Bebe
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La curiosità PAPAFAVA, il nome di una potente famiglia padovana si lega a Chioggia I Papafava sono stati una famiglia importante nella storia padovana, in quanto discendenti diretti di nientepopodimeno che i Carraresi. Il loro nome è curioso, curioso quanto la storia che porta con sé. Albertino da Carrara, fratello del più famoso Jacopo da Carrara, ebbe tre figli: Agnese, Jacopo e Marsilio. Ebbene Jacopo, il secondo figlio, fu il primo che venne soprannominato “Papafava”. Nonostante il più autorevole storico della famiglia, l’abate Pietro Ceoldo, che nel suo “Albero della famiglia Papafava” sostiene che non si sappia come sia nato questo soprannome, altri cronisti padovani suoi contemporanei raccontano una versione più interessante. In “Cronaca carrarese” si legge che nel 1215 a Padova ci fu la peste e Albertino trasferì i tre figli piccoli presso un parente vicino a Chioggia, l’abate di Brondolo, raccomandandosi di dargli da mangiare molta verdura, abbondante nel territorio clodiense. I fratelli Agnese e Marsilio, presto si accorsero che il fratello Jacopo non vedeva l’ora che arrivasse il lunedì, perché quel giorno a pranzo c’era sempre minestra di fava. Fu così che gli diedero il soprannome di Papafava, che portò per tutta la vita e anche oltre, visto che lo trasmise anche a tutti i suoi discendenti avuti con Adelmanta Maltraversi. Le cronache dell’epoca così definiscono la sua passione: “Dimorando adunque i ditti garzoni da Carrara con l’abate di Brondolo, e da lui essendo molto onorevolmente serviti (…) ogni die de la setemana ne la menestra de legume, cioè el luni fava, el marti faxuolli, el mercore le ciesere, la zuobia i pizuolli (…) era uno (Jacopo) de questi putti da Carara desideroso tanto de questa fava, che mil’ani gli parea a gionziere al luni (…) perchè tra gli altri putti el era da tuti chiamato Papafava, e per simille i desendenti de questo furono chiamati i talli”.
Vittore Carpaccio, Caccia in laguna - 1490-1495 Vittore Carpaccio Vittore, Caccia in laguna - 1490-1495 Conservato al Getty Museum di Los Angeles Conservato al Getty Museum di Los Angeles
Pietro Longhi, Caccia all’anatra - 1760 Pietro Longhi, Caccia all’anatra - 1760 Conservato alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia Conservato alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia
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Archeologia di tutti i giorni LE PALLINE DI TERRACOTTA E LE “SCOASSE” NEGLI ORTI DI CHIOGGIA terracotta” (le palline!), mentre per i calibri più grandi È storicamente provato che molte “scoasse” (immongli ossi di pesca, normalmente utilizzati per lo schiopdizie) dei Veneziani sono giunte negli orti di Chiogpo, denominato in dialetto “schioppeton”. gia. Erano gli stessi ortolani marinanti che venduta la Il fucile, che assomigliava molto all’archibugio, lunverdura nei mercati veneziani, caricavano le barche go fino a 2,70 metri veniva posizionato e ben legato dell’umido e lo utilizzavano come fertilizzante “inalla prua della barca, aveva un avancarica con una grassando le tere”. Oggi di quelle scoasse non rimagrossa canna, all’estremità era a tromba con l’accenne niente, ciò nonostante ogni tanto emergono dalla sione a miccia o a pietra focaia. Per caricarlo serviva terra monete, pipe e palline di terracotta. polvere nera e poi una grande quantità di proiettili Dare una spiegazione di questi ritrovamenti potrebo di terracotta, o noccioli di ciliegia o di pesca, o di be essere semplice per le pipe di terracotta perché sassi. Il suo sparo era micidiale per il bersaglio a pelo un tempo si faceva grande uso di questo strumento d’acqua. Dalle descrizioni storiche con un colpo di per fumare e i campi potevano essere area di “smalschioppeton ben mirato si poteva uccidere un intero timento” oltre di utilizzo anche da parte degli stessi stormo di anatre, arrivando a raccogliere da un miniortolani, e così pure per le monete per il vissuto stomo di quindici ad un massimo di trenta volatili. rico e produttivo di questo territorio. Ma anche in alcuni dipinti di epoche diverse sono Un po’ meno per le palline di terracotta. raffigurate scene di caccia A cosa servivano? Ai bamLe palline di terra cotta servivano dove c’è l’esclusivo utilizzo bini per giocare? Ai grandi come pallottoliere per per la caccia in laguna, con queste come proiettili delle palline di terracotta, ma l’arma contare? O a che cosa? venivano caricati gli archibugi questa volta è l’arco. L’oA dirci cos’erano ci vengooppure gli archi pera di Vittore Carpaccio no in aiuto alcuni scritti e (Caccia in valle, 1493-1495) dipinti, ma su come sono è interessante per l’eleganza degli archi che vi sono arrivate negli orti di Chioggia lo possiamo solo derappresentati, ma soprattutto per il fatto che non vi durre. A Venezia era molto diffusa la caccia in laguna, sono frecce, né sugli archi tesi, né sulle barche. Infatper cui gli archibugi erano largamente utilizzati da ti, è qui testimoniata l’antica caccia in palude, pratiricchi e poveri. L’unica differenza tra le due categocata con archi che scagliavano pallottole, per evitarie era il costo del piombo: i nobili e ricchi potevano re l’onere delle frecce disperse in acqua. La corda acquistare le “palle di piombo” dei vari calibri per le dell’arco ha al centro un cappuccio simile a quello pistole, gli schioppi a pietra focaia ad avancarica e delle fionde, e il polso ritorto dell’arciere ruota l’arco per i moschetti. lateralmente per evitare di essere colpito. Le armi ed i proiettili venivano acquistati presso le Mentre la tela di Pietro Longhi (Caccia in laguna, “Armerie” controllate dalla “Quarantia Criminal” e 1760) mostra come a Venezia la caccia con archi che registrati come acquisto di proprietà individuale: scagliano pallottole fosse ancora praticata nel Setdurante il periodo di caccia, visto il largo consumo, tecento. I proiettili di terracotta sono collocati in un i nobili potevano far colar il piombo per le munizioni, cestino vicino ai piedi del cacciatore, mentre la posicontrassegnandole con un apposito stampino persozione alta della presa sulla corda fa in modo che, in nale. Ma i poveri, che ben potevano ricavare dalla caso d’errore, il proiettile non colpisca la mano, ma caccia, venuti in possesso di un’arma da fuoco, ma eventualmente l’arco in un punto protetto. non avendo la possibilità di acquistare le munizioni E allora se le palline di terracotta erano pallottole e si ingegnarono alla grande: ebbero la geniale idea di servivano per la caccia in laguna si può pensare che creare proiettili dai noccioli di ciliegia, ben puliti ed insieme alle scoasse con gli avanzi di cucina siano idonei per “calibro” ad essere utilizzati con la polvere arrivate nei nostri orti. La terra tutto ciò che riceve lo da sparo. Il nocciolo molto duro della ciliegia divenne rende, anche in forma di “pillole” di storia. quindi il più economico ed il meno controllabile da parte della Quarantia Criminal. Per la caccia in laguna si crearono quindi noccioli di ciliegia e “proiettili di
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I DIECI COMUNI DELL’AREA A INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA DEL RADICCHIO DI CHIOGGIA, LA BONIFICA, I FIUMI
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l territorio clodiense e il suo circondario sono stati modellati e modificati nel corso dei secoli dagli eventi naturali e dall’opera dell’uomo. Il Po, l’Adige, il Brenta e i loro affluenti hanno portato dalle Alpi fino all’Adriatico un miscuglio di rocce arenarie, formazioni moreniche, terreni alluvionali e sabbie, poi lavorate dalle mareggiate, nei vari stadi di avanzamento della linea di costa, e infine restituite al continente. Per millenni questa è stata una terra che non era ancora terra e un mare che non era già più mare, sospesa nella sua forma ha dovuto attendere l’intervento dell’uomo per trovare peso e sostanza. Ossia una serie infinita di bonifiche e di interventi che come abbiamo visto nei capitoli precedenti è iniziata dei secoli più remoti della storia, ha raggiunto il mas-
simo della sua rilevanza con gli ingegneri veneziani e si è conclusa appena un secolo fa con l’arrivo delle idrovore a vapore. Conclusa per modo di dire, perché la bonifica in realtà è una perpetua azione per la manutenzione e l’efficientamento di un complesso sistema fatto di canali scolmatori, tagli, chiuse vinciane e moderne pompe, messo insieme con diversi secoli, al quale si affianca lo studio delle risposte necessarie per affrontare le emergenze moderne. Comunque questa oggi è una terra fertile, generosa accarezzata dalle brezze marine e talvolta sferzata dalla Bora: l’habitat perfetto, e per questo irriproducibile, del Radicchio di Chioggia Igp, la terra più estesa in Veneto per la coltivazione del radicchio e la più rilevante per le quantità di produzione.
Nella foto: Campi Coltivati con Torretta di Dissette Rino
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Sono dieci i comuni coinvolti, di tre provincie diverse:
VENEZIA, PADOVA E ROVIGO Oltre a Chioggia sono due i comuni dell’Igp nel veneziano CONA Già il nome ricorda la presenza dell’acqua. L’etimologia del toponimo, infatti, si rifà alle caratteristiche ambientali della laguna veneta e del delta padano (“cona” come spazio d’acqua della laguna chiuso da argini e paludi) dove nei secoli non sono mancate nemmeno frequenti inondazioni a causa degli straripamenti dell’Adige. Tuttavia l’antropizzazione della zona in cui oggi si trova il comune veneziano è avvenuta in epoche molto lontane, i diversi reperti archeologici rinvenuti fanno ritenere che la zona fosse già abitata nell’età romana, tanto da essere attraversata da una via consolare: la via Annia, che collegava l’antica Adria a Padova. Nel suo territorio ebbero possedimenti la Repubblica di Venezia, la famiglia padovana dei Da Carrara e i padri benedettini di Santa Giustina. La compresenza delle due provincie cessò nel 1519, quando il Consiglio dei Dieci fissò il confine tra Venezia e Padova e il territorio di Cona venne incluso in quello veneziano, pur trovandosi attorniata da comuni padovani. CAVARZERE Anche il comune di Cavarzere è un punto di confine, le due provincie interessate in questo caso sono quelle di Venezia e Rovigo. Molto antiche sono pure le origini di questo comune: “Caput Aggeris”,
ad esempio, figura nel diploma di Lotario dell’840 d.C e nei trattati fra Venezia e i re longobardi dove viene attestato che il territorio della Serenissima si estendeva da Cavarzere a Grado. La strategicità della sua posizione venne difesa con una fortificazione, un castello eretto probabilmente tra il VI e VII secolo che divenne importantissimo per Venezia nel tenere a bada le mire espansionistiche delle vicine Padova e Ferrara. La sua posizione di frontiera tornò ad essere emblematica dopo la caduta di Venezia nel 1797. Con il trattato di Campoformio, infatti, il paese venne diviso in due: la parte destra venne accorpata ad Adria, soggetta alla Repubblica Italiana (alle dipendenze della Francia) e quella sinistra passò sotto il dominio austriaco. In epoca contemporanea la posizione non gli giovò miglior fortuna, le piene dell’Adige furono spesso una minaccia come pure quelle del Po nella terribile rotta del 1951. La popolazione, per lo più impegnata nei lavori agricoli, come bracciantato, conobbe tra Ottocento e Novecento una povertà endemica che spesso la portò all’emigrazione verso l’America. Oggi è un centro economicamente rilevante e interessante anche per una visita: dell’antico passato rimangono le tracce del castello, interessante è il seicentesco duomo intitolato al patrono San Mauro, la cappella gentilizia di Ca’ Beadin che ospita sculture attribuite a Giovanni Bonazza, il Teatro Comunale “Tullio Serafin”, dedicato al celebre direttore d’orchestra: si tratta dell’unico esempio di struttura tardo ottocentesca miracolosamente rimasta in piedi a Cavarzere dopo i bombardamenti del 1945.
Provincia di Padova CORREZZOLA Il territorio dell’attuale comune di Correzzola sembra aver avuto una sua identità sin dall’epoca Romana, visti i numerosi ritrovamenti archeologici nella zona. Documenti certi si hanno però solamente più tardi, attorno al 950, e successivamente attorno al 1070. Si tratta per lo più di atti di donazione di beni. Molto più importante è l’atto di acquisto del 1129 da parte dei monaci benedettini di Santa Giustina di Padova dell’esteso fondo sito a Concadalbero dalla contessa Giuditta Sambonifacio. Da allora il territorio venne in-
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teressato da una profonda opera di bonifica seguita da un’organizzazione del lavoro. Nel 1300 a causa di alcune calamità, prima fra tutte la peste nera, i monaci benedettini non furono più in grado di presiedere e curare i loro possessi e così si passò alle investiture feudali di interi paesi a favore di nobili famiglie padovane. Dal ‘400 in poi, i monaci, in un clima di maggiore tranquillità, riuscirono a riorganizzare i progetti di bonifica del territorio, fu studiata una nuova rete idrica formata da un sistema di canali e argini per difendere i terreni
dalle inondazioni, il territorio fu diviso in possessioni e l’amministrazione di queste fu affidata a cinque gastaldie, ognuna delle quali provvista di una propria Corte che a tutti gli effetti potremmo paragonare ad una moderna azienda agricola. A metà Seicento la crisi agricola europea e la peste segnarono la decadenza della Corte di Correzzola e con essa, a causa della scarsa attenzione per la rete idrica, le inondazioni furono numerose e portarono ad una riduzione delle produzioni e della popolazione. Questo fu favorito anche dai continui “passaggi” della proprietà dei territori di Correzzola, sequestrati dagli Austriaci. Verso il 1820, il nuovo proprietario dei terreni (avuti da Napoleone Bonaparte nel 1807), il duca Francesco Melzi d’Eril, ritentò il risanamento della zona liberandola dall’acqua stagnate, migliorando le attività agricole e l’allevamento. Si introdusse il baco di seta. Molto quella famiglia fece per la valorizzazione del territorio, addirittura intervenne affinché Francesco Melzi d’Eril la ferrovia per Adria passasse per Correzzola. Della plurisecolare ed intensa opera benedettina di trasformazione del territorio sono rimaste tracce molto significative sia nell’architettura che nell’ambiente: Correzzola, parte del Comune di Cona e di Agna presentano segni tangibili dell’opera benedettina. Si tratta delle stesse fattorie benedettine, uniche ed inconfondibili che punteggiano tutto il territorio. Delle novanta originarie, ne sono rimaste poco meno di settanta che oggi, oltre per la loro importanza storica, si prestano ad essere punti di un itinerario percorribile sia via terra che via acqua.
Agli inizi del 1.400 i Monaci trasferirono il centro dell’Amministrazione da Concadalbero a Correzzola, qui, a ridosso di un’ansa del fiume Bacchglione, essenziale via di trasporto delle merci e famosa “Via del Sale”, diedero vita alla grandiosa “Corte Benedettina”, definita dallo storico padovano Andrea Gloria nel XIX secolo “Il più grande complesso rurale del Lombardo-Veneto”. Il primo nucleo fu costruito tra il 1.430 ed il 1.450, e l’ultima consistente aggiunta fu deliberata tra la fine del 1.500. Nonostante le enormi dimensioni della Grande Corte, la presenza dei Monaci fu sempre piuttosto modesta: soltanto una decina erano mediamente i monaci che vivevano stabilmente nel complesso, questo perché la Corte non era un centro religioso, ma era la “grande fabbrica”, come qualcuno la definì, dell’ordine benedettino di Santa Giustina, quindi la sua funzione commerciale, agricola e strategica era prevalente.
La corte Benedettina Con il motto “Ora Et Labora” i Monaci Benedettini fecero costruire una novantina di case coloniche in muratura coperte di coppi, eccezionalmente confortevoli per l’epoca in cui la soluzione abitativa più diffusa per i contadini erano i Casoni di paglia. Tutte le case erano titolate ad un Santo, di cui nel portico si conservava l’immagine affrescata, la più importante di queste costruzioni, ed anche la più originale dal punto di vista architettonico è la “Grande Vanezza”, secondo centro per importanza dopo la Corte di Correzzola (oggi sede municipale). La fluidità delle sue linee architettoniche, la compattezza e il perfetto equilibrio dell’insieme fanno delle Vanezza un autentico gioiello di architettura rurale. Le fattorie monastiche venivano realizzate per soddisfare le esigenze di coltivazione, stoccaggio, lavorazione delle produzioni agricole: in ogni casa si distingueva una parte abitativa, la parte rustica con fienile al piano superiore e il portico di grandi dimensioni. La posizione di questi edifici era progettata con la facciata rivolta verso sud, e tutte le case disponevano di un’ampia aia detta “seese” che serviva per stoccare e seccare le produzioni agricole
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CODEVIGO Il primo documento ufficiale in cui appare il nome è del 988, si tratta di un atto di donazione in cui tal Domenico dei fu Roberto, dona al Monastero della S.S. Trinità di Brondolo dei beni in “loco et fundo Caput de Vicco”. In un altro atto notarile del 1026 il nome è già mutato in Caput de Vico e successivamente diventa Caput de Vigo per attestarsi, più tardi, nell’attuale Codevigo. Nel XIV secolo, il territorio era sotto il dominio dei Carraresi, signori di Padova, e confinava con il territorio della Serenissima Repubblica di Venezia. Dopo la sconfitta dei Carraresi da parte dei Veneziani, questi iniziarono una serie di opere idrauliche per salvaguardare la laguna dall’interramento. Una di queste opere fu il taglio della “Brenta Nova” che provocò nella zona numerose alluvioni rendendo il territorio acquitrinoso e malsano.
Valle Millecampi La Valle Millecampi è una grandissima distesa palustre dalla forma sinuosa e irregolare, frutto di un plurisecolare lavoro di bonifica iniziato a partire dal 1500 ad opera di Alvise Cornaro, ricco mecenate e possidente veneziano. Questo suggestivo luogo, si trova ai confini di Padova e Venezia, diviso a metà dal Comune di Codevigo e da quello di Campagna Lupia, confina con altre valli minori dai nomi a volte evocativi e toponimici, come nel caso di Morosina o Ghebbo, ma non mancano denominazioni decisamente più inquietanti, come nel caso di Valle Sette Morti. Le suggestioni più forti tuttavia arrivano direttamente dal paesaggio lagunare: ghebi, grandi laghi salsi, aree a canneto si scontrano con linee decise di argini, fiumi e canali e con le regolari geometrie di terreni bonificati; il territorio è composto di barene, cioè isolotti bassi e pianeggianti che vengono sommersi dall’acqua con l’alta marea e riaffiorano con la bassa. L’equilibrio tra terra e acqua è un filo fragile a rompersi, l’ecosistema, molto delicato e peculiare, grazie ad una flora e una fauna rigogliose, è qualcosa di unico, tanto da meritare la prestigiosa classificazione di patrimonio mondiale dell’umanità, attribuito dall’Unesco. Insomma una terra che sa sorprendere per i suoi colori, per profumi intensi e per i suoni antichi, propri dei luoghi selvatici. Stupisce sempre, anche chi la frequenta assiduamente, in quanto ad ogni stagione la Valle si traveste, muta e si tramuta.
LA SPIAGGETTA DELLA BOSCHETTONA Recuperata solo qualche anno fa grazie ai lavori finanziati da parte del Consorzio Venezia Nuova è un posto unico ed esclusivo: di certo non vi si trovano ombrelloni, lettini, servizio bar in spiaggia, musica ed intrattenimento, ma qui si può assaporare la suggestione ed il fascino di una natura è anche una meta prediletta per gli amanti del Kay Surf
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Angelo Beolco DETTO IL RUZANTE “Parchè el magnare è la pì bela legrazion che possa far l’omo” sosteneva Angelo Beolco, detto il Ruzante, nella suo opera più celebrata, “La moscheta”. L’illustre drammaturgo, attore nonché scrittore padovano era solito passare molta parte del suo tempo a Codevigo, ospite nel palazzo dell’amico Alvise Cornaro, e indubbiamente conosceva bene il valore del cibo. Le sue opere sono così ricche di riferimenti al mangiare che è proprio attraverso questa primitiva necessità che viene tratteggiato l’identikit della gente della sua terra. Per i suoi personaggi niente è più desiderabile quanto il mangiare, un piacere che supera di gran lunga ogni altro e che pervade tutti i sensi. “Quando le regie sente dire de magnare, le se dreza, le se distende; il naso, poi, che sente el saore, tira el fiò, el reghigna, el galde de quel saore…”. Sapore è sintomatico di terra nell’”Orazione”, commissionatagli dal Cornaro, il Pavan è terra dove c’è tutto e il Ruzzante si diverte nel passarla in rassegna declamando l’abbondanza, la bellezza, la perfezione dei suoi prodotti concludendo ogni sequenza: In tel Pavan, an?
Provincia di Rovigo ARIANO NEL POLESINE Il territorio di Ariano nel Polesine si situa tra i due maggiori rami del Po, il Po di Venezia e il Po di Goro. Consegnato nel 1194 da Enrico IV agli Estensi, Ariano ottenne un proprio statuto nel 1328 da Bertoldo d’Este. Nel XV secolo, quando l’interramento alluvionale del porto di Loreo fece sparire i confini tra Ferrara e Venezia, Ariano fu oggetto della questione che portò alla guerra tra le due città, così come accadde quando il paese nel 1598 passò sotto lo Stato della Chiesa. Tra l’autorità papale e quella veneziana, Ariano optò per quest’ultima, ma la questione tra i due Stati giunse a una soluzione solo nel 1749 quando il confine venne segnato da pilastri che ancora si trovano nelle campagne di Mazzorno e Cà Vendramin. Nella terza guerra d’Indipendenza Ariano fu la prima cittadina a liberarsi dall’oppressione austriaca e il tricolore della sua municipalità figurò come cimelio del Risorgimento all’Esposizione di Torino del 1882. Del passato medievale di Ariano rimane la chiesa-convento nella frazione di San Basilio, fresca di restauro conserva immutato lo spirito di austerità e semplice compostezza, caratteristica dello stile Romanico, del quale deve avere beneficiato anche il
Chiesa di San Basilio
benedettino Guido d’Arezzo durante la sua visita e successivamente Dante, di passaggio da queste parti per rientrare a Ravenna dopo essere riuscito a scongiurare l’ipotesi di guerra tra Venezia e Ravenna nata da tensioni per il commercio del sale. Nel vicino Centro Turistico Culturale sono inoltre esposti reperti di epoca romana e ora sono visitabili i resti di antichi magazzini, sempre della stessa epoca, di servizio all’antico porto. Oggi il mare è molto lon-
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tano da qui, ma in epoca etrusca, tra la fine del VII e il V secolo a.C., l’area rivestiva già una grande importanza strategica per i commerci via acqua. L’antica linea di costa è oggi documentata dalle dune fossili, un lungo cordone di sabbia che un tempo si estendeva da Bosco Nordio, nei pressi di Chioggia, attraversava Rosolina, Porto Viro, Taglio di Po e San Basilio fino a proseguire in Emilia Romagna. Oggi questa fascia di dune fossili è stata in gran parte smantellata a causa dell’escavazione della sabbia, del miglioramento fondiario a scopo agricolo e, in parte, della realizzazione di veri e propri insediamenti urbani. LOREO Durante l’Alto Medioevo il territorio, bagnato dal mare, fu sottoposto al governo bizantino, ma in seguito fu considerato dal Ducato Veneto, a tutti gli effetti, sua proprietà: la comunità era rappresentata dal gastaldo (funzione civile) e dal pievano (funzione spirituale). Nell’ottobre 1094, grazie al patto militare veneto-loredano che accordava particolari privilegi a Loreo in cambio della difesa perpetua del confine meridionale del Ducato Veneto con il Ducato Ferrarese, la popolazione aumentò e furono erette numerose abitazioni con le caratteristiche calli, all’uso veneziano. L’impronta architettonica della Serenissima è ben presente osservando gli edifici porticati sulle riviere del canal Naviglio e le calli (Calle Lunga, Calle Pistoria, Calle Moja, Calle dei Cento Culi, Calle Confraternita) che portano a Piazza del Longhena, dove si affacciano palazzi istituzionali (vecchia pretura) e padronali in parte rimaneggiati. Anche il Seicentesco duomo si affaccia sulla stessa piazza, a cui si deve anche la facciata, come pure l’Oratorio della Santissima Trinità che al suo interno conserva una tela che porta la firma di Domenico Campagnola, raffigurante la “VerLOREO E IL DOGE “Un obbligo al quale erano sottoposti i Loredensi era d’inviare una gondola al servizio ai dogi, pagare tre polli e tre denari tre volte all’anno per ogni famiglia al fisco, ricevere il gastaldo ducale, pagare la decima delle anguille pescate nelle loro valli e servire il doge nella caccia. Un vasto bosco stava vicino a Loreo, qui chiunque poteva praticare la raccolta della legna o la caccia a patto, però, che la testa e le zampe degli animali abbattuti venisse inviata al doge”.
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gine col Bambino e Sant’Anna in gloria e quattro santi”. L’edificio è sede dell’antica “Scuola dei Fradei”, la Confraternita della Santissima Trinità (detta anche dei Battuti o Flagellanti) che ancora oggi, ogni anno, si riunisce per la celebrazione di un antico rito, in parte segreto, alla vigilia della festa della Santissima Trinità. Tra l’architettura civile, invece, per bellezza e importanza storica, si segnalano Villa Papadopoli-Pelà e Villa Vianelli e di epoca contemporanea il Teatro Zago con la sua bella facciata decorata in stile Liberty. PORTO VIRO Il comune di Porto Viro nasce il 1° gennaio 1995 dalla fusione di Donada e Contarina, già uniti nel passato, nel 1929, e ridivisi nel 1938. L’unificazione dei due municipi è stata dettata dal fatto che i territori delle due cittadine sono uniti anche a livello urbanistico, tanto che tra i due centri non c’è soluzione di continuità. Porto Viro prende il nome dalla località in cui Venezia operò il taglio del Po, nel 1604. Nel 1484 il territorio era passato sotto il dominio della Serenissima e diverse famiglie veneziane come i Contarini, i Donà delle Rose, i Capello e altri, avevano preso possesso delle terre lasciandovi il proprio nome: Contarina e Donada ne sono un esempio. Al centro esatto tra Contarina e Donada si apre piazza della Repubblica realizzata, come il Palazzo del municipio, nel 1933. Interessanti per la fede popolare le chiese comunali dedicate rispettivamente a San Bartolomeo, San Pio X, alla Visitazione di Maria mentre al museo della Corte, realizzato utilizzando gli spazi di un complesso seicentesco, la Corte dei Cappello, è possibile conoscere da vicino l’antica civiltà contadina, grazie alla ricostruzione di alcuni ambienti domestici tipici del tempo. ROSOLINA Il territorio di Rosolina è di recente origine, ad eccezione del cordone delle dune di sabbia che risale all’epoca romana. Le terre ad est del cordone dunoso sono emerse intorno al 1152 e furono vendute all’asta dalla Repubblica di San Marco alle famiglie patrizie Morosini, Mocenigo, Venier, Segreda che diedero il proprio nome a campagne, valli e lagune. Una parte considerevole di terra andò ai Sanudo che formarono la prima piccola comunità di terraferma: Cà Senudo. Il nome Rosolina divenne ufficiale nel 1835 quando il paese fu incorporato nel Regno lombardo-veneto. Degno di nota è il Casone di Valle Venier la cui fama è legata al fatto di essere stato per un breve periodo dimora di Giordano Bruno, ospite di Giovanni Mocenigo. Questo “paese dei laghi e delle dune” ha nelle
risorse naturali le sue fonti primarie di economia: pesca, mitilicoltura, coltivazione orticola e turismo. Il turismo balneare ha fatto un notevole balzo in avanti negli ultimi anni grazie a Rosolina Mare e ad Albarella, suggestive località ben servite. Tra le bellezze paesaggistiche va segnalata la vasta pineta che per nove chilometri va dalla foce dell’Adige a Punta Caleri. Qui a fianco: Il Giardino botanico litoraneo di Porto Caleri
Porto Caleri
C’è una ricchezza ancora tutta da scoprire nel litorale veneto che va dalla laguna di Chioggia al delta del Po: il paesaggio, con la sua flora e la fauna. Piatte distese di campi, strappati al mare nell’entroterra e conservati asciutti grazie a un sapientissimo sistema di canali e di idrovore, compongono orizzonti che non annoiano, cambiano aspetto a ogni ora del giorno e propongono inaspettati incontri con uccelli selvatici e marini, tra argini e golene, campi coltivati, canali e valli da pesca. A valorizzare la ricchezza ambientale di queste terre e di queste acque ci prova il Giardino botanico litoraneo di Porto Caleri, non lontano dalla località balneare di Rosolina Mare, creato nel 1991 e posto al confine settentrionale del Parco regionale del Delta del Po. Il sito, realizzato dal Servizio Forestale della Regione Veneto e ampio circa 24 ettari, ha lo scopo di proteggere e conservare un ambiente naturale unico e irripetibile, di notevole importanza scientifica per la
varietà di habitat ma anche di interesse turistico per la rigogliosa vegetazione che offre, in ogni stagione di apertura, splendide fioriture. Percorrendo uno dei tre diversi possibili itinerari interni, di diverse lunghezze, attraverso passerelle in legno e ponticelli, si possono osservare diversi ambienti che, con i propri microclimi, danno vita a una grande varietà di piante e ospitano numerose specie animali. Una splendida terrazza panoramica permette di rendersi conto della bellezza e varietà del sito.
TAGLIO DI PO ziani si impadronirono Taglio di Po è il nome del territorio e, scavato che prese la zona a lo Scolo Veneto, tracdestra del Po di Veciarono con questo un nezia all’inizio del XVII nuovo confine sull’Isola secolo, in ricordo del di Ariano. Nel 1797, con più grande intervento la caduta della Repubdell’uomo nel Polesine blica di Venezia, Taglio in tutti i tempi: la diverdi Po, venne annesso sione del corso del Po alla provincia di Ferradi Venezia, allora Po ra; successivamente di Corbola o Po del passò sotto la dominazione austriaca e nel Mazzorno, nella Sacca di Goro, scavando un 1866 entrò a far parte canale di 7 chilomedel Regno d’Italia. Un Le paludi e le isole formate dalle alluvioni del Po secondo una carta tri. I primi ad insediarsi sito che si segnala per del 1570, circa trent’anni prima del Taglio di Porto Viro la sua importanza storinell’area furono, nel ca e documentaristica è l’idrovora di Ca’ Vendramin, 1630, i pescatori, i cacciatori e i pastori fedeli a Veoggi Museo Regionale della Bonifica. nezia e contrari allo Stato Pontificio. Nel ‘700 i vene-
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La bonifica nel Veneto: UN PO’ DI STORIA
L’attività di bonifica indubbiamente ha accompagnato lo sviluppo delle civiltà: da Babilonia, agli Egizi, a Roma, con i suoi grandi acquedotti, per continuare anche nel Medioevo, ma soprattutto tra XV e XVII secolo che l’iniziativa rivolta alla tutela del territorio si fa importante sotto la pressione dell’incremento della popolazione e dello sviluppo dei centri urbani. La difesa idraulica come l’approvvigionamento idrico divenne in questo periodo la premessa per il rifiorire di una nuova civiltà, concetto che sottendeva al termine di Rinascimento, che in Veneto coincideva con la potenza di Venezia che proprio in quegli anni aveva iniziato una politica espansionistica verso la terra ferma. Terra che in parte, in realtà, era ancora acqua e che quindi doveva essere “retratta” per ospitare le nuove colture portate dalla Serenissima: riso e canapa. Gli interventi in cui gli ingegneri veneziani si dimostrarono abilissimi, per buona parte hanno riguardato appunto i “retratti” ma anche opere di idraulica che prevedevano l’intervento sui fiumi per evitare l’interramento della Laguna a causa del continuo apporto di detriti. Circa duecento anni della sua storia, Venezia, li dedicò a far fare un salto di letto a: Piave, Sile, Muson, Brenta, Bacchiglione, portandoli lontano dal bacino di San Marco e non meno ne dedicò alla campagna, dimostrando di ben saper coniugare agli interessi dello stato quelli dei privati cittadini. Tale atteg-
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giamento fu la chiave del sostanziale successo delle iniziative intraprese. Con la realizzazione di “tagli”, di nuovi canali, di chiaviche, di ponti canale, di “botti” e di “porte vinciane” nelle zone geologicamente più depresse della pianura, Venezia realizzò un grandioso sistema idraulico, una infrastruttura che garantì il diffondersi dell’insediamento in terraferma ed il progresso civile. Dopo la caduta di Venezia, l’operazione di una più estesa opera di bonifica venne intrapresa negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando alle opere di ingegneria idraulica iniziarono ad essere affiancate le prime pompe meccaniche a vapore. Un’iniziativa che portò certo una nuova tecnologia a servizio della causa ma poggiando solo sull’iniziativa privata non fu sufficiente a smuovere una realtà agraria povera di risorse economiche. Una svolta ben più marcata si ebbe, invece, con il Regio Decreto n. 215 del 1933, la legge Serpieri. Essa recuperò quel concetto che Venezia aveva già utilizzato, ossia di ricondurre l’interesse pubblico all’interesse privato, introducendo il contributo pubblico per la realizzazione delle opere. Inoltre, la legge Serpieri, inserì il concetto di “bonifica integrale” e l’istituzione dei Consorzi obbligatori che ancora oggi si occupano di garantire la sicurezza idraulica, la disponibilità di approvvigionamenti per l’irrigazione, la salvaguardia dell’ambiente e del territorio.
I GIGANTI
DAI POLMONI A VAPORE Ancora oggi la bonifica rappresenta uno dei tratti somatici di questo territorio. Alle opere di epoca rinascimentale, ancora a loro posto e funzionanti, si associano le grandi idrovore otto-novecentesche le grandi idrovore otto-novecentesche, vere opere di ingegneria idraulica che conservano anche un certo fascino grazie ad un’estetica dal sapore vagamente vittoriano. Gli alti camini delle ciminiere che davano sfogo alle caldaie a vapore non fumano più, ma restano, come torri cilindriche, a testimoniare quell’ormai lontana stagione razionalista e positivista con la quale l’uomo seppe piegare gli eccessi della natura e creare qui il luogo del lavoro. La fornace di mattoni di Piove di Sacco, lo zuccherificio di Pontelongo, le numerose idrovore di Correzzola, Santa Margherita di Codevigo e Campagna Lupia formano una sorta di museo territoriale diffuso, assieme alle chiese, alle fattorie, alla corti benedettine, ai casoni di paglia, alle ville venete disseminate nel territorio. L’IDROVORA DI CÀ VENDRAMIN L’idrovora di Cà Vendramin è un museo a tutti gli effetti. Dopo un passato di grande importanza per l’area deltizia del Polesine, oggi le vecchie sale ospitano il Museo della Bonifica e un centro culturale per studi e ricerche nelle discipline tecnico-scientifiche relative alla bonifica, al territorio e all’ambiente. Il complesso di Cà Vendramin è luogo di aggregazio-
ne di interessi civili, sede di riunioni, di convegni, di corsi di studio, avamposto culturale delle Comunità del Delta del Po. In definitiva è una sorta di ecomuseo, il primo in Veneto, una struttura cioè che si inserisce in un ambiente che diventa poi parte integrante del museo stesso. Cà Vendramin può rappresentare così la prima porta di accesso per tutti i visitatori del più pregiato ambiente deltizio. L’IDROVORA BUSIOLA L’idrovora Busiola a Sant’Anna di Chioggia è il nodo principale per la bonifica e l’irrigazione di un territorio, che si estende dalla riva sinistra dell’Adige a quella destra del Brenta e fino a Isola Verde, vocato da sempre all’orticoltura e principalmente, oggi, alla produzione del radicchio di Chioggia, ma anche, in minore densità alle coltivazioni tradizionali. Il Consorzio di bonifica Delta Po è riuscito negli anni a garantire la sicurezza idraulica e portare l’acqua dolce in territori agricoli dove mancava o l’unica fonte era il pozzo artesiano. L’idrovora, con l’aggiunta, negli ultimi anni, di altre due pompe, ha ora una capacità di sollevamento di 12.600 litri al secondo e agisce su un territorio di 2.400 ettari. I recenti interventi di riassetto della bonifica si sono concentrati, oltre che sull’ammodernamento e sul potenziamento dell’idrovora, anche sul risezionamento dei canali principali, sulla razionalizzazione ed estensione dell’irrigazione e la realizzazione della messa in sicurezza con il rinforzo e il rialzo delle arginature del canale Busiola. Ca’ Vendramin fu una delle prime idrovore a vapore in Italia, ma con lo scoppio della Grande Guerra il costo del carbone schizzò alle stelle e le caldaie iniziarono ad essere alimentate con legname e canna palustre con risultati trascurabili. Nel 1921 venne elettrificata una parte dell’impianto e dopo i fenomeni di subsidenza che hanno interessato l’area tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento l’idrovora perse gradualmente la sua funzionalità fino alla totale sostituzione con l’impianto idrovoro di Goro
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L’IDROVORA DI CÀ BIANCA L’idrovora di Ca’ Bianca si trova nel territorio di Chioggia e fu la più grande d’Italia e la seconda d’Europa per portata. Grazie al sollevamento di 45-50 metri cubi di acqua al secondo era ed è in grado di tenere asciutto un territorio di quasi 25 mila ettari. La sua realizzazione risale agli anni ’20 del Novecento, quando prese avvio il progetto di costruire un doppio impianto idrovoro a Cà Bianca di Chioggia per il doppio sollevamento meccanico delle acque: una prima volta l’acqua viene tolta dai terreni per essere gettata nel canale dei Cuori ed una seconda dal canale dei Cuori alla laguna di Chioggia.
Idrovia di Cà Bianca
L’IDROVORA DI SANTA MARGHERITA Nei terreni bassi e paludosi che si estendevano tra il Brenta, il Bacchiglione e lo scolo Fiumicello, le opere di bonifica iniziarono dal 1887, quando fu intrapreso un progetto di deflusso delle acque verso il bacino
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di raccolta in località Santa Margherita Calcinara da cui dovevano essere sollevate meccanicamente per defluire a mare. Nel 1886 fu installato un impianto idrovoro con quattro caldaie, una motrice e una ruota idraulica “a schiaffo” del diametro di 11 metri e larga 2,80, che avrebbe funzionato a 2.275 giri al minuto. Il complesso prevedeva anche la costruzione di un alloggio per il macchinista ed il fuochista e un altro per il deposito del carbone. Pochi anni dopo l’impianto, che pareva già titanico si rilevò insufficiente, quindi nel 1898 vennero aggiunte due turbine in grado di sollevare 1.700 litri di acqua al secondo. Nuovi lavori di adeguamento si resero necessari nel 1910, quando si costruì un nuovo impianto a pompe centrifughe alimentate a gas povero, che fu elettrificato nel 1917. L’ultimo ampliamento risale al 1930 quando, demolita la prima ruota a schiaffo, vennero installate due pompe centrifughe con motore diesel della portata di 3000 litri al secondo ancora funzionanti. I nuovi motori “Franco Tosi” furono collocati al posto di quelli a vapore, le caldaie demolite e convertite in cisterne per gasolio. Nel 1934 un fulmine colpì la ciminiera dimezzandola, ma senza tuttavia intaccarne la funzionalità, tanto che non venne mai riparata. Oggi la vecchia sala macchine, ancora perfettamente funzionante, svolge funzione quasi museale, anche se all’occorrenza viene attivata per ragioni di governo delle acque.
I Fiumi
COMPRESI TRA LAGUNA DI VENEZIA E DELTA DEL PO IL BACCHIGLIONE Il Bacchiglione è un fiume lungo 118 km, nasce da alcune risorgive nei comuni di Dueville e di Villaverla, prendendo inizialmente il nome di Bacchiglioncello e scorre nelle province di Vicenza e di Padova, prosegue quindi in un alveo canalizzato prendendo anche il nome di canale di Pontelongo e confluisce presso la località di “Ca’ Pasqua” nel fiume Brenta a pochi chilometri dall’Adriatico. Significativa è stata, nei secoli, la conflittualità tra Padova e Vicenza per avere la supremazia sulla gestione del fiume. Basti pensare che attraverso la costruzione di vari canali i vicentini potevano arrivare a Chioggia senza passare da Padova. Nel corso del XII secolo Vicenza chiese alla città di Padova un permesso per transitare lungo il Bacchiglione per poter stabilire una rotta commerciale con il mare, essenziale per il rifornimento di generi di prima necessità. Il permesso venne elargito intorno all’anno 1115 per essere successivamente revocato al pari del permesso di transito per via terrestre. Per ritorsione, i Vicentini nel 1145 deviarono le acque del Bacchiglione nel canale Bisatto con uno sbarramento lungo il corso del fiume presso Longare lasciando quindi Padova all’asciutto. Per ritornare in possesso di questo prezioso bene, Padova dovette giocoforza occupare a forza Longare e ripristinare la situazione idrografica naturale. Questo fu il primo passo di una serie di guerre tra le due città, ma anche di interventi importanti dei Padovani nella costruzione di canali
(Piovesella, Piovego, Brentella) per portare le acque del Brenta fin sotto alle mura e di manufatti come lo sbarramento mobile (Colmelloni) antesignano dei moderni sostegni a Limena. A protezione di tale manufatto fu eretto sulla riva destra un castello; castello e Colmelloni vennero però distrutti dall’imperatore Massimiliano nel 1509 durante la guerra della Lega di Cambrai. Nei secoli successivi l’assenza di qualsiasi regolazione comportava numerosi disagi nella parte bassa di Padova con frequenti straripamenti; si dovette aspettare fino al 1775 quando la Repubblica di Venezia pose mano alla ricostruzione dei Colmelloni. Il nuovo sostegno, tuttora esistente, è costituito da due fabbricati posti a ponte sopra al canale; sono provvisti da panconi mobili che, nel caso, possono scendere scorrendo nei gargami per bloccare, parzialmente o totalmente, il flusso d’acqua regolando di conseguenza la portata nel Brentella. Infine si realizzò una briglia fissa, anch’essa tutt’oggi presente, lungo il corso del Brenta qualche centinaio di metri a valle dell’incile del Brentella. Questa briglia fu dotata anche di una conca per la navigazione, abbandonata nel XIX secolo e demolita all’incirca nel 1880. Nella seconda metà del XIX secolo, per evitare i danni delle alluvioni, venne costruito il canale Scaricatore che, partendo dalla località Bassanello, permette di riversare le acque in eccesso oltre la città di Padova, in località Voltabarozzo.
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IL BRENTA Se il Bacchiglione è il fiume di Padova città, il Brenta è il fiume della campagna padovana e vicentina, interessando pure la laguna veneziana, essendo questo, insieme al Piave, il principale responsabile della sua origine. Le origini del nome sono piuttosto controverse, perché se in epoca classica il termine che ne designava il corso era Medoacus (letteralmente in mezzo a due laghi, forse i due bacini più settentrionali della laguna di Venezia) in epoca medievale ha iniziato a comparire il nome di “Brintesis”, forse tratto dal termine latino che significa rumoreggiare, e riferito alle ricorrenti devastanti inodazioni, a causa delle quali il fiume mutò completamente percorso. Tuttavia, altre ipotesi indicano l’origine del nome in termini molto più antichi, evidentemente nella lingua popolare l’antico termine non era mai stato dimenticato oppure era stato assunto dalle popolazioni ‘barbare’, ed emerge al declino della lingua e della dominazione latina. Brenta potrebbe derivare quindi da antichi termini del ceppo germanico quali “Brint” (fontana) o “Brunnen” (scorrere dell’acqua) e già allora era trattato al femminile, la Brinta per l’appunto e ancora oggi per indicare una gran quantità d’acqua esiste il termine dialettale di Brentana. L’attuale alveo, tuttavia non rispecchierebbe l’antico corso, in epoca alto medievale cambiò il suo “letto” (Medoacus Major) in seguito a grandi alluvioni, come del resto successe ad altri tre fiumi: lo stesso Bacchiglione invase l’alveo della Brenta, l’Adige fu disalveato e vagò decine di chilometri più a sud di Este, il Cismon cambiò perfino bacino fluviale passando da affluente del Piave al Brenta, e di con-
La Brenta Nuova o della “Cunetta” è il ramo principale delle diverse diversioni idrauliche degli alvei del fiume compiute in sette secoli di lavoro ed ultimate ai primi anni del 1900. Questo ramo inizia da Stra, prosegue per Vigonovo, Corte di Piove di Sacco, Codevigo, Valli di Chioggia. Le acque del Brenta si intersecano con quelle del Bacchiglione in località Cà Pasqua di Chioggia alle quali si aggiungono appena più a valle quelle del Canale Gorzone-Fratta in località Punta Gorzone e del Canal di Valle in località Punta Molin, generando un grosso alveo molto largo; i due fiumi passando per la località di Brondolo di Chioggia, sfociano assieme nel Mar Adriatico presso l’attuale località turistica del Bacucco ovvero Isola Verde, a sud di Chioggia
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I primi documenti dell’interesse della Repubblica di Venezia per i problemi del controllo delle foci del Brenta sono del 1229. Nel 1330 lo storico veneziano Alvise Cornaro definì il problema del governo delle acque del delta del Brenta (insalubrità, sedimentazioni, alluvioni) come “questa mala visìna” (questa cattiva vicina) che la Signoria il Doge doveva, secondo la sua opinione, “portarla un poco più in là”
seguenza numerosissimi altri torrenti minori e rogge dovettero inventarsi nuovi percorsi. Quello che non fece la natura lo fecero i veneziani nel corso degli ultimi quattrocento anni della sua storia, per mantenere efficiente l’estremamente complesso e delicatissimo equilibrio idraulico del territorio. Importanti opere di canalizzazione portarono lo sbocco del Brenta, del Bacchiglione e del Piave e del Sile, fuori dalla laguna in mare aperto. Un primo canale deviò il Brenta da Mira Porte con il taglio di Brenta o Canale Nuovissimo lungo la strada Romea. Il Brenta vecchio divenne una importantissima via di transito, regolata da numerose chiuse, dalla città lagunare a Padova e alla campagna veneta, oltre ai trasporti di materiale (burci) e legname (legato a formare zattere), serviva per il transito delle imbarcazioni private dei vari signorotti che poterono “conquistare” la campagna veneta impiantandovi spettacolari ville per la villeggiatura ed il diletto, specialmente il tratto compreso tra Fusina e Stra, la così detta Riviera del Brenta, è una delle mete più suggestive per il turismo moderno.
IL BRENTA E GLI ARGINI PADOVANI
nelle parole di Dante Nel Medioevo era fondamentale il controllo dei percorsi fluviali. Per questo motivo il Brenta fu il principale oggetto delle battaglie tra le città di Padova e di Venezia perché, a causa del delta del fiume, i territori sotto il controllo della Serenissima non erano ben definiti e accettati. Padova, dal canto suo, per contenere le esondazioni nell’area urbana aveva innalzato delle poderose arginature del fiume presso l’antico Vicus Aggeris (Vigodarzere) tanto grandi da sorprendere Dante Alighieri in viaggio come ambasciatore dei Da Polenta, signori di Ravenna. L’ADIGE L’Adige nasce presso il Passo Resia (1550 m s.l.m) nell’alta Val Venosta e dopo aver attraversato mezza Pianura Padana sfocia nel Mar Adriatico presso Cavanella d’Adige a sud di Chioggia. Con i suoi 410 km di lunghezza è il secondo fiume italiano dopo il Po. Fiume di straordinaria importanza fin dall’epoca protostorica, tanto che la capitale dei Veneti Antichi si trovava proprio lungo il suo corso, Este il cui nome deriverebbe da Athesis, il nome latino dell’Adige. La cittadina rimase in auge anche durante l’età classica e decadde proprio in seguito dello spostamento dell’alveo dell’Adige verso Sud in epoca altomedievale, lasciando il suo posto, di guida di questa parte di pianura, a Padova, altra città legata ai fiumi. Alle acque di questo importante corso si lega anche la successiva storia Medievale locale, l’epopea della famiglia Estense (che proprio dalla cittadina euganea mutueranno il nome), più tardi celebrata come potente signoria di Ferrara, nasce non dalle acque del Po, come si sarebbe portati La Foce dell’Adige presso Cavanella d’Adige a credere, ma a sud di Chioggia proprio a quelle dell’Adige. Nei primi secoli del XI secolo infatti, l’Adige costituiva la via più diretta tra le terre dell’Imperatore a quelle del Papa, una via dunque estremamente ricca di opportunità che gli Estensi seppero ben sfruttare per ritagliarsi un posto di rilievo nella politica territoriale del tempo. Opportunità che al tempo si chiamavano traffici fluviali che, oltre a permet-
“E quale i padovan lungo la Brenta per difender lor ville e lor castelli anzi che Chiarantana il caldo senta (…) a tale immagin eran fatti quelli tutto chè né sì alti né sì grossi qual che si fosse lo maestro felli” (inferno, canto XV)
LE ZATTERE SULL’ADIGE
Nel passato le vie di comunicazione e commercio maggiormente praticate erano i fiumi. L’impiego delle zattere era già diffuso in tempi antichi, ma non è facile documentarlo con reperti in quanto venivano costruite per il trasporto del legname e, una volta giunte a destinazione, smontate per utilizzare il legno a fini commerciali. Il percorso permette di approfondire il tema della fluitazione del legname sul fiume Adige. L’Adige ci racconta una storia ormai dimenticata fatta di dogane, porti, attracchi, zattieri e zattere, burchi (antiche imbarcazioni fluviali), strade alzaie. La fluitazione di natanti partiva dal porto di Bronzolo, presso Bolzano, attraversando San Michele all’Adige, Trento, Borgo Sacco (nelle vicinanze di Rovereto), Pescantina, Verona, per sfociare infine a Porto Fossone, nei pressi di Chioggia. Imponenti zattere trasportavano tronchi per le segherie del veneziano, mentre la risalita delle merci avveniva grazie a burchi trainati da cavalli. Quando le condizioni di navigabilità lo rendevano possibile era previsto il trasporto di passeggeri che.
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co ramo deltizio del fiume Po e prende il nome di “Po di Levante” ed ha una lunghezza fino alla foce di 17 km. Il fiume è navigabile per 113 km, dalla confluenza del canale Fissero, con il quale costituisce l’idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco, fino alla foce in Adriatico. Si collega inoltre alla linea navigabile “Po-Brondolo” che dalla laguna di Chioggia permette di raggiungere Venezia. Sbocca nel mare in località Porto Levante del comune di Porto Viro, all’altezza dell’isola di Albarella.
tere collegamenti con i principali centri del tempo, garantivano ottime rendite grazie alla riscossione del toloneo, la tassa per i trasporti, oggetto dell’interesse anche di altre dinastie e città. Ed è proprio lungo le rive di questo fiume che nel 1387 si consumò la battaglia tra le due superpotenze di terraferma del tempo: Padova e Verona, quest’ultima rappresentata dalla dinastia dei Dalla Scala e sconfitta al Castagnaro uscì dalle dinamiche del Veneto, legandosi alla Lombardia Viscontea. Ma a fianco dell’Adige portatore di ricchezza e di vita esisteva un sinonimo che invece era portatore di morte. Le sue frequenti e rovinose piene, sono state una minaccia costante per le genti rivierasche, alcune cronache riportano che dal 589 (anno in cui presumibilmente il fiume si attesterebbe nell’attuale corso) e il 1882 (anno dell’ultima rovinosa rotta), siano state addirittura 149 le rotte accertate. In tempi recenti per ridurre il pericolo delle inondazioni è stato costruito un tunnel che congiunge l’Adige, in località Mori, con il lago di Garda e che è in grado di convogliare le acque in eccesso dal fiume al lago. A causa della notevole differenza di temperatura e qualità delle acque, si fece ricorso al travaso molto raramente, soltanto se strettamente necessario. Il tunnel fu usato infatti soltanto due volte, in occasione delle piene del 1966 e del 2000. FIUME TARTARO-CANALBIANCO-PO DI LEVANTE Il Tartaro-Canalbianco-Po di Levante è un fiume in buona parte artificiale, nel senso che è stata la mano dell’uomo a scavarne l’alveo. Solo la prima parte è naturale. Da Povegliano Veronese, qualche chilometro più a sud del Lago di Garda, il corso è quello scavato dalle acque, mentre il tratto intermedio è costituito da un canale artificiale che prende il nome di “Canalbianco” fino alla conca di Volta Grimana ed è lungo 78 km. Il tratto finale è stato ricavato da un anti-
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IL FIUME PO E IL SUO DELTA È il più grande fiume d’Italia. Nasce ai piedi del Monviso e attraversa l’intera pianura Padana fino a dividersi in un maestoso Delta che divide il Veneto dall’Emilia Romagna. Come per l’Adige il suo corso nel bene e nel male ha fatto la storia del territorio garantendo fertilità e ricchezza ma anche distruzione e morte. Le prime alluvioni documentate risalgono al periodo romano l’ultima appartiene alla storia contemporanea, con la disastrosa rotta del 1951 che confinò il Polesine ad area depressa. Oggi tuttavia si legano al Po e al suo delta le speranze di rinascita del territorio rodigino, agricoltura, pesca, turismo sono le principali voci dell’economia e anche i principali settori che richiamano investimenti. Soprattutto il turismo ha grandi margini di crescita legandosi ad un ambiente deltizio incontaminato (il territorio del Parco è stato recentemente proclamato Riserva della biosfera Unesco) e a una flora e a una fauna deltizia che rappresenta una grande attrattiva soprattutto per i turismo naturalista e di visitazione. Il grande delta formato dal Po di Levante, il Po di Maistra, il Po di Pila, Il Po delle Tolle e i due rami emiliani di Gnocca e Goro, formano la più grande area umida d’Europa, una zona che mantiene inalterata la sua primitiva bellezza, carica di suggestioni e di antichi riti, altrove scomparsi. Il Delta veneto, infatti, si estende per 8.000 ettari di valli da pesca arginate,
quasi 11.000 ettari di lagune, 4.000 ettari di rami del Po (comprese lanche, golene ed isole fluviali) e altre migliaia di ettari di coltivi, con canali di bonifica, risaie, dune fossili sabbiose e abitati. Il Po, o meglio i suoi rami, sfociano in mare dando origine a valli e lagune circondate da vaste estensioni di canneto, oggi utilizzate per l’allevamento del pesce e la caccia agli acquatici. Sono tutte private, con concessione ad aziende faunistico-venatorie. Tra le più conosciute,
grazie a posizione e ricchezza faunistica, vanno ricordate le Valli: Ca’ Pisani, Scanarello, Chiusa, Ripiego e Ca’ Zuliani. Le lagune, ad acqua oramai piuttosto salata, sono difese dall’azione del mare da isole sabbiose sottili ed allungate dette “scanni”, dieci in tutto che si estendono per decine di km, cingendo come una corona tutto il Delta; questa situazione fa dell’area veneta interessata il tratto di costa italiano meno antropizzato.
Rosolina, valli, lungo Po di levante - foto Roberto Marangoni
IL PARCO REGIONALE
del Delta del Po del Veneto
È stato istituito con L.R. dell’8 settembre 1996, n°36. Fa parte del Parco Interregionale costituito assieme al Parco regionale dell’Emilia Romagna. Si estende dal corso del Po di Goro fino al fiume Adige e comprende il territorio dei nove comuni di Rosolina, Porto Viro, Loreo, Adria, Papozze, Ariano Polesine, Corbola, Taglio di Po, Porto Tolle, tutti in provincia di Rovigo. Il Parco del Delta del Po possiede la più vasta estensione di zone umide protette d’Italia. La flora è estremamente varia tanto da includere circa un migliaio di specie diverse (questo grazie alla varietà di ambienti che il Parco include). Lo stesso dicasi per quanto riguarda la fauna con oltre 400 specie differenti tra mammiferi, rettili, anfibi e pesci. La presenza di uccelli è talmente rilevante (oltre 300 specie, nidificanti e svernanti), da fare del Delta del Po la più importante area ornitologica italiana ed una delle più conosciute d’Europa per gli amanti del Birdwatching.
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LA SPAVENTOSA ROTTA DEL PO NEL 1951
cora del tutto dispiegata, specie nel Basso Polesine, Alle ore 19,45 del 14 novembre, l’argine maestro del con il perdurare di ampie aree ancora a latifondo e fiume Po ruppe a Vallone di Paviole, in comune di Cauna scarsa distribuzione della proprietà agraria, ponaro nel Ferrarese. Alle 20,00 si verificò una seconda chi polesani emigrati a seguito dell’alluvione trovarorotta in località Bosco in comune di Occhiobello in no un valido motivo per fare ritorno alle proprie terre provincia di Rovigo. La terza falla si produsse poco d’origine. Altro fattore fondamentale nel processo di più tardi, alle ore 20,15 circa, in località Malcantone spopolamento che ha interessato il Polesine a seguidello stesso comune. La massa d’acqua che si riverto dell’alluvione fu senza dubbio il rapido processo sò con furia sconvolgente sulle terre del Polesine fu di meccanizzazione che in quegli anni investiva il immane. In pratica, circa i 2/3 della portata fluente, settore agricolo. In una provincia come quella di Roche fu stimata in quell’occasione in circa 12.800 mevigo, dove la percentuale della popolazione ancora tri cubi al secondo, anziché proseguire la sua corsa impiegata in agricoltura era molto alta e il braccianverso il mare uscì dagli argini del fiume, si riversò tato molto diffuso, la brusca riduzione del fabbisogno sulle campagne e sui paesi. Ebbe quindi inizio una di manodopera, in questo settore, fu particolarmente catastrofe di enormi proporzioni le cui ripercussioni impattante sul piano economisi riflettono sino ai giorni nostri, co e sociale. segnando per sempre la storia Una massa d’acqua, pari La curva dell’andamento dedel Polesine. Fu questa infatti, ai due terzi della portata del Polesine vide nel in termini di estensione delle del fiume, anziché proseguire mografico 1951 il punto massimo, con l’interre allagate e per volumi d’acla sua corsa verso il mare, versione del trend positivo che qua esondati, la più grande alluvione a colpire l’Italia in epoca uscì dagli argini per allagare l’aveva caratterizzata nel lungo periodo precedente. Solo nel contemporanea. campi, case e vite umane decennio 1951-1961 la popolaA fronte di una situazione così zione del Polesine si ridusse di oltre 80.000 unità. Lo disastrosa e di una altrettanto disastrosa gestione spopolamento, iniziato nel 1951, si è protratto sino ai della piena e del periodo immediatamente succesnostri giorni, più esattamente, la popolazione della sivo all’apertura delle rotte da parte delle istituzioni provincia di Rovigo nel censimento del 1951 risultava preposte (Genio Civile, Prefettura e Amministrazione pari a 357.963 unità a fronte delle sole 242.538 preProvinciale), il prosciugamento delle terre rappresensenti nel 2001, con un decremento complessivo del tò invece un capitolo positivo del dopo emergenza 32%. Circa un abitante su tre lasciò il Polesine dopo e consentì di recuperare a coltura in tempi record la l’inondazione anche se non esclusivamente a causa maggior parte delle terre colpite. di questa. Nel 2007 la popolazione residente era pari Se le conseguenze a breve poterono essere affrona 246.255, con il primo aumento registrato in 50 anni. tate con buon esito grazie alla rapidità con la quale Una alluvione che indubbiamente ha lasciato il sesi rimise a coltura la maggior parte delle terre, grazie gno, nel territorio e nei cuori delle genti della “piccola anche all’abbondanza degli aiuti giunti da tutta Italia, Mesopotamia” tra l’Adige e il Po, ma che con grande ma anche dall’estero, quelle a lungo termine furono forza identitaria hanno saputo “riemergere dalle acpiù pesanti. que”. Moltissime delle famiglie polesane sfollate non fecero più ritorno. Complice una riforma agraria non an-
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DELTA DEL PO
la terra più giovane della Pianura Padana
La storia del Delta del Po racconta la mutevolezza di un paesaggio in cui i confini tra l’emerso ed il sommerso sono continuamente cambiati, a causa dei processi di sedimentazione ed erosione esercitati dal Po e dal mare, dalle variazioni climatiche e dalla subsidenza. Nello spazio compreso tra le catene alpina e appenninica, che milioni di anni fa era un golfo marino, il Po è divenuto il principale costruttore della successiva pianura alluvionale; questa si è progressivamente sviluppata soprattutto durante il Pleistocene, il primo periodo del Quaternario compreso tra 2,58 milioni e 11.700 di anni fa, che ha visto l’alternarsi delle grandi glaciazioni. Una pianura che in certi periodi, come al tempo dell’ultima glaciazione, si estendeva assai più di quella attuale. Anche il periodo geologico attuale, l’Olocene (ultimi 10.000 anni) ha visto alternarsi fasi climatiche fredde e calde, anche se assai meno pronunciate di quelle pleistoceniche. Ad intervalli di alcuni secoli di clima più freddo e piovoso, caratterizzato dalla tendenza dei fiumi ad intasare i loro alvei e straripare, delle paludi ad estendersi e dei delta fluviali ad accrescersi rapidamente, si sono succeduti secoli più caldi, caratterizzati dall’abbassamento degli alvei, da una relativa stabilità della rete fluviale, erosioni delle coste e invasioni di acque marine nelle aree litoranee. Questa evoluzione è stata complicata dalla subsidenza, che ha favorito il seppellimento con nuovi sedimenti anche di strutture morfologiche importanti, come alvei fluviali abbandonati e antichi cordoni dunosi. Grande importanza ha avuto infine l’azione dell’uomo, che ha disboscato, semplificato la rete fluviale e, innalzando argini, l’ha stabilizzata, bonificando gli ambienti umidi ad acque dolci e ad acque salmastre. Più gli sbocchi a mare sono stati allontanati, più sono accresciuti i depositi, sia per il raffreddamento del clima (piccola era glaciale storica 1600-1850) sia perché per lunghi tratti il Po e i suoi affluenti erano ormai muniti di argini. Se prima del 1600 il Delta si espandeva di circa 53 ettari l’anno dal 1604 al 1840 si è passati a 135 ettari l’anno. D’altro
canto la realizzazione del Taglio di Porto Viro, oltre a sottrarre acqua e materiali in sospensione alla laguna Veneta, impedendone l’interramento, ha accentuato le difficoltà idrauliche del Po di Volano. Attualmente il Po di Volano e il Po di Primaro non sono più rami del Po, ma (dal punto di vista della funzione idraulica) sono canali di bonifica. Nei territori pontifici tale opera ha determinato l’interramento della chiavica dell’Abate e ha peggiorato le condizioni di scolo delle acque della bonifica, provocando l’impaludamento di oltre 20.000 ettari di terreno bonificato dagli Estensi, nonché l’interramento parziale della Sacca. Il cambiamento del clima con un accentuato riscaldamento dal 1850 ha contribuito alla riduzione del trasporto solido nei fiumi, che ha portato, a partire soprattutto dal 1959, all’arresto della crescita del delta a al prodursi di diffusi fenomeni di erosione costiera. Tra le curiosità possiamo annotare il ritrovamento a 5 km al largo di Ravenna i resti sommersi di un molo in muratura risalente all’epoca medioevale, a testimonianza delle forti modifiche alla linea di costa. Il progressivo spostamento verso nord del delta del Po è un fenomeno naturale dovuto al maggiore apporto di sedimenti degli affluenti appenninici rispetto a quelli alpini. Gli affluenti alpini depongono parzialmente i materiali in sospensione nei laghi alpini e conferiscono acque meno torbide. Altri fenomeni che favoriscono la tendenza allo spostamento verso nord del delta del Po sono la migrazione verso nord dell’Avanfossa appenninica e la deriva verso nord dei sedimenti litoranei, causata dalla particolare frequenza, nell’Adriatico, dei venti di sud-est. Altri fattori sono intervenuti nel XX secolo, rallentando la formazione di nuove terre: la subsidenza artificiale ed il prelievo dagli alvei di materiali inerti per le costruzioni. In particolare la subsidenza provocata dalle estrazioni di acque metanifere da giacimenti quaternari (piuttosto superficiali), praticate soprattutto nel 1938 e 1960, hanno provocato forti abbassamenti del terreno, che oggi ha, in alcuni punti, quote anche di 4,5 metri sotto il livello del mare.
Foto di sfondo: Sacca di Scardovari di Giada Milan
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SERRATURE SARDE A SOTTOMARINA di Aurelio Tiozzo Canella
Cercavo una serratura dei Casoni degli Ortolani de Marina, ma nei negozi di ferramenta o di prodotti agricoli sono introvabili. La maggior parte non sa nemmeno di cosa parlo. Uno di questi negozianti mi dice rispondendo alla mia ennesima richiesta: “Si chiamano serrature Sarde”.
Lo ammetto, non sapevo e non avrei mai immaginato che i Casoni degli Ortolani, fatti prima con “scorsi” e dopo con le “piere” utilizzavano per chiudere i portoni serrature Sarde. Non si finisce mai di imparare! E comunque dove potevo trovarne una? Dove potevo trovarne una completa di chiave e funzionante? Certo è vero, questo tipo di serratura non è più usata per chiudere i ricoveri degli attrezzi degli ortolani, anzi, oggi di vecchi “casoni” integri ce ne sono pochi perchè molti sono stati abbandonati, altri ridotti a cumuli di macerie o legname arso, già chi non ricorda i “marinanti brusa casoni”. Tempi passati, oggi i casoni non sono più ricovero di carriole, di “grasiole” e pali, gomme, tubi e funghetti per bagnare, ma sono ricoveri per trattori, pompe per irrigare con cannoni potenti, atomizzatori e vangatrici, e tanti altri mezzi agricoli oggi indispensabili per fare l’ortolano, e hanno le porte in ferro. Casoni, quindi, trasformati in ricoveri attrezzi per gli ortolani che ancora continuano con coraggio a fare
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questo mestiere e a perpetuare la Civiltà Marinante, la nostra gloriosissima quanto mitica cultura orticola. Mi dico: il mondo va avanti, ma spero che quel tempo venga ricordato e tramandato ai posteri...e spero di trovare questa benedetta serratura. Finchè un giorno trovo un amico che mi dice: “Vai da Sassariolo, quello che fino agli anni ‘90 teneva ferramenta e prodotti per gli ortolani”. Rintraccio Angelo, ormai ultraottantenne, ma ancora lucido e al corrente di queste serrature. Mi conferma che si chiamavano “Serrature Sarde” perché erano state ideate e costruite in Sardegna. Mi dice che negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale, gli anni belli dell’orticoltura a Sottomarina, a Chioggia c’era un fabbro sardo di nome Pappone che le costruiva e le forniva a loro e a Zambonin e che a loro volta le vendevano agli ortolani. La bellezza di queste serrature consisteva nel fatto che erano molto semplici, lineari nella loro estetica con la caratteristica di non avere alcun punto di saldatura. Erano infatti solamente rivettate e tenute legate tra la piastra e la molla da semplici battiture dei rivetti. C’era in quel periodo chi imitava le serrature Sarde, era un fabbro locale di nome Enea Pittoni che le vendeva a prezzi inferiori, ma non erano all’altezza delle mitiche serrature che uscivano dal “buso” (officina) del Sardo. Angelo e Salvatore Sassariolo si trovarono in crisi quando Pappone andò in pensione e tornò in Sardegna. E crisi fu anche per Zambonin. E allora come si poteva soddisfare la forte richiesta di Serrature Sarde da parte dei Marinanti per i loro casoni? Nessun problema. Angelo Sassariolo prese l’aereo e andò in Sardegna. Trovato chi le produceva riprese il commercio di questi accessori con una attività di “importazione” permettendo ai marinanti ortolani (fino agli anni ‘70) di poter chiudere i nuovi casoni di pietra con le validissime Serrature Sarde.
IL RADICCHIO MODERNO Tutte le cultivar sono figlie di selezioni che discendono da un radicchio introdotto in Europa nel XV secolo
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econdo la maggioranza degli studiosi, è verosimile che tutte le cultivar di radicchio attualmente coltivate derivino da individui a foglie rosse, riconducibili al “Rosso di Treviso” che, introdotto in Europa intorno al XV secolo, ha iniziato ad interessare le zone tipiche del Veneto nel corso del secolo successivo. A partire da questa pianta, in seguito ad interventi di miglioramento genetico operati nel tempo dagli stessi produttori con metodi che non fanno certo riferimento alle moderne tecniche di breading alle quali si ispirano i genetisti attuali, si è riusciti ugualmente a ottenere i tipi oggigiorno conosciuti e coltivati, caratterizzati da aspetti morfo-biologici e organolettici ben definiti e che con sempre maggiore intensità stanno interessando produttori e consumatori di tutti i continenti. Dalla selezione massale, praticata dagli ortolani
di Chioggia, è derivato anche il “Rosso di Chioggia”. Come erba selvatica, dovette avere un impiego sicuramente molto antico, anche Plinio il Vecchio nel suo trattato naturalistico la Naturalis historia scritto tra il 23 ed il 79 d.C., descrisse la cicoria come un cibo per poveri, soffermandosi soprattutto sulle virtù medicinali del succo, usato contro il mal di testa, i dolori al fegato e alla vescica e delle radici, una sorta di panacea efficace contro il mal di stomaco, la gotta, la prostata, l’insonnia ecc. Il radicchio è povero di calorie e ricco di vitamine e sali minerali, in particolare potassio, calcio e fosforo, contiene, inoltre, i polifenoli come le anticianidine e antocianine, che contribuiscono ai valori antiossidanti contenuti nelle foglie, determinando pure la loro colorazione rossa. Il contenuto di proprietà antiossidanti è notevolmente superiore a quello delle lattughe.
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Il radicchio
Il radicchio è la principale forma orticola della comune cicoria, un’erba selvatica diffusa in tutta Europa di cui si possono utilizzare le radici, un tempo impiegate come succedaneo del caffè, o le foglie da consumarsi crude o cotte Le forme coltivate di radicchio e cicoria derivano tutte da un’unica specie: Cichorium intybus. I radicchi appartengono alla famiglia delle Asteraceae, tribù Cichoriae, genere Cichorium, che secondo alcuni botanici comprende 7 o 8 specie tra le quali, sotto il profilo orticolo, rivestono particolare importanza la Cichorium Endivia e la Cichorium Intybus; a quest’ultima appartengono tipi con piante a foglie verdi, variegate o rosse che si ritiene derivino dalla varietà Silvestre Bishoff. Allo stato spontaneo, le cicorie presentano comportamento perennante o biennale, formando, nella fase iniziale di crescita del primo anno, una rosetta di foglie e al secondo lo stelo. Nella pratica comune, i radicchi sono coltivati come piante annuali, con semine e/o trapianti che interessano buona parte dell’anno (all’aperto o in ambiente protetto). Le foglie sessili hanno forma e colori diversi a seconda dei tipi, con margine intero o finemente dentato. Le radici, fittonanti con funzione di riserva, hanno forma conica o fusiforme e si approfondiscono per 30-50 cm. Nei grumoli commerciali il fusto è molto corto da 2 a 5-6 cm, carnoso; su di esso si inseriscono le foglie in numero variabile in relazione dei diversi tipi. Dopo una fase iniziale in cui le foglie sono disposte generalmente a rosetta e di colore verde, in alcuni tipi queste diventano più o meno embricate tanto da avvolgere completamente la foglia precedente e assumono la
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Sino al 1800, i testi di agricoltura sono piuttosto sibillini circa la differenza tra il radicchio e la cicoria. Prendiamo per buona la distinzione relativa al luogo ove le verdure si coltivano e crescono, che ne fa l’agronomo Agostino Gallo: “Quantunque la cicoria sia dissimile ne i fiori al radicchio, è però di natura una medesima cosa; eccetto che ella è havuta per selvatica, et egli domestico” (A. Gallo - Le dieci giornate della vera agricoltura, 1565). È infatti, poiché “gli spetiali hanno il radicchio e la cicoria per una medesima herba”, gli autori continueranno per molti anni ad indicare l’uno e l’altra con termine genericamente comprensivo di “cicorie” (cfr.S. Ripori - Diario dell’agricoltura, 1702). Resta comunque assodato che nell’economia gastronomica del Basso Veneto, le “radichelle” selvatiche, le “radicine”, e i radicchi coltivati nell’orto costituivano alimento fondamentale: d’inverno si consumavano cotti, soffritti con aglio e cipolla; in Quaresima contornavano l’aringa dell’astinenza e del digiuno; in primavera erano degno corollario di frittate e dei primi salumi affettati; d’estate, sempre in insalata, si univano a cetrioli per divenire piatto ambito e salutare durante gli ardori della mietitura. La radice stessa, tagliata a pezzetti, si acconciava cruda con aglio; lessata in acqua, serviva quale insalata o era buona nelle zuppe.
DI SEGUITO LE CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI DEL RADICCHIO ROSSO TRATTE DALLE TABELLE DI COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI (INRAN) 100 GRAMMI DI PRODOTTO CONTENGONO: Acqua
94 %
Potassio
240 mg
Caloria
13 Kcal
Calcio
36 mg
Proteine
1,4 g
Ferro
0,3 mg
Lipidi
0,1 g
Tiamina
0,07 mg
Glucidi
1,6 g
Riboflavina
0,05 mg
Fibra alimentare 3,0 g
Niacina
0,3 mg
Fosforo
30 g
Vitamina C
10 mg
Sodio
10 mg
Vitamina A
Tracce
Come vediamo il radicchio è un alimento poco calorico, ricco di acqua, con una discreta quantità di fibre e buona fonte di sali minerali. Il radicchio per il suo contenuto in acqua e sali ha proprietà diuretiche e la presenza di fibre ne fa un buon regolatore intestinale e delle funzioni epatiche. Elevato il contenuto di vitamina C, indispensabile per lo sviluppo e il mantenimento della struttura ossea, dei denti e dei vasi sanguigni e necessaria per favorire l’assorbimento del ferro da parte dell’organismo. Le vitamine del complesso B contenute nel radicchio garantiscono un corretto funzionamento dell’apparato nervoso e, tramite l’acido folico, un’importante azione sulla sintesi del DNA. Le antocianine e gli acidi fenolici contenuti nel radicchio forniscono un valido contributo all’assunzione giornaliera di antiossidanti (1g), prevenendo l’invecchiamento cellulare e alcune patologie ad esso collegate.
loro colorazione tipica (variegate o rosse). La nervatura centrale è sempre molto appariscente, anche se di forma diversa: schiacciata e larga nei tipi di Chioggia, spessa e continua per tutta la lunghezza della foglia in quelli di Treviso e Verona. Lo stelo, che porta i fiori, è molto ramificato e raggiunge altezze che, in casi particolarmente favorevoli di coltura superano i 200 cm. La fioritura inizia in maggio-giugno, si protrae per oltre un mese ed è scalare nell’ambito della pianta, a partire dalla base. I fiori ermafroditi sono raggruppati in capolini, solitari peduncolati o ascellari in gruppi di 2-3, che ne contengono da 15 a 25. La corolla è formata da 5 petali di colore azzurro più o meno intenso. L’ovario monoovulare è infero; lo stilo, coperto di peli, è molto lungo e termina con uno stigma bifido che si apre in due lobi; questi costituiscono la porzione ricettiva, a forma di lingue ben divaricate e che tendono ad arrotolarsi su se stesse. I capolini si schiudono al mattino presto e restano aperti per alcune ore anche se, in condizioni di cielo nuvoloso e temperature basse, possono rimanere aperti per tempi decisamente più lunghi, favorendo la possibilità di visite di insetti pronubi. Il radicchio è pianta tipicamente allogama che male sopporta l’autofecondazione poiché presenta spesso fenomeni di auto-incompatibilità di tipo sporofitico. I semi Le colture da seme devono quindi essere dislocate considerando un adeguato isolamento spaziale tra le diverse tipologie o altre specie di Cichorium. L’impollinazione è prevalentemente entomofila, pertanto quando si effettuano colture da seme in zone povere di pronubi, è consigliabile disporre alveari dislocati nelle immediate vicinanze delle stesse, al fine di favorire una più intensa impollinazione. Il seme è un achenio, di forma obovatopiramidale con un pappo rudimentale ridotto a scaglie disposte sulla base; il colore varia dal bianco crema al marrone scuro, con presenza o meno di screziature di diversa intensità. Il peso di 1000 semi varia da 1,1 a 1,5 g (un grammo ne contiene circa 800).
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Chioggia e la sua vocazione orticola
orti lagunari ricavati nelle sabbie conquistate al mare. La vocazione orticola della zona di Chioggia è docuMentre è ancora più preciso in materia lo studio del mentata fin dal 1700 attraverso le mappe della “Villa 1935, gli “Orti sperimentali di Chioggia” (a cura del Episcopale” e le statistiche di Alessandro Ottolini, riConsiglio Provinciale dell’Economia Corporativa Veguardanti le scuole del “Podestà di Chiozza”, dove nezia, relazione del 1935), in cui si riscontrano studi la “scuola di San Giovanni di ortolani” con 544 allievi sulle nuove varietà di ortaggi e cicorie con particolare era seconda solo ai pescatori. La coltura degli orti si riferimento al radicchio. evince anche dai “costumi del popolo del Regno ItaliInsomma le prime esperienze degli ortolani chiogco” (Rigoli - Savarese, Bulzoni Editor). giotti con il radicchio debbono essere fatte risalire Mentre la dedizione al lavoro e la capacità di rendere agli anni ’30 del secolo scorso, quando riuscirono a fertili anche i terreni sabbiosi, ricavandone un reddito procurarsi del seme di “Radicchio Variegato di Cacon la coltivazione ortale, è stato argomento di relastelfranco”, varietà non ben definita, di colore variazione da parte di Francesco Tagliapietra, presentata bile dal rosso al variegato, e ad iniziare a costruire un nel 1559 al senato della Serenissima (relazione dei mercato legato a questo prodotto partendo da VeneRettori Veneti Podestaria di Chioggia, Giuffrè 1982). zia, con tre viaggi settimanali su “batei” che avevano Ma bisogna arrivare a tempi più recenti per inconuna portata di 300 quintatrare il nostro radicchio Un aspetto caratteristico li e venivano trainati con in documenti storici. Più del Radicchio di Chioggia IGP barche a motore. Potremprecisamente è opporè rappresentato dalla produzione mo partire proprio da qui tuno arrivare agli anni immediatamente succes- del seme, attività eseguita dai singoli per raccontare questa storia, anche se nel temsivi alla Grande Guerra. produttori che perseguono po le cose sono evolute La povertà endemica del attraverso questo metodo in modo sostanziale, a tempo portò alla realizil “senso” vero della tradizione, cominciare dal radicchio zazione di diversi studi che da allora la selezione delle zone di produzione della tipicità e dell’originalità ha portato e risultati origialimentari italiane, e uno nali. Infatti è stato solo attraverso un’intensa attività di questi: dell’Istituto Federale di Credito per il Risorrivolta a selezionare come “porta seme” soltanto le gimento delle Venezie (Pitotti-Belli, Premiate Officine piante con spiccata propensione alla formazione di Grafiche Ferrari 1923), del marzo 1923, riscontra che a un grumolo con foglie centrali strettamente embricaChioggia il radicchio era stato inserito nella rotazione te”, che si è ottenuto il “Radicchio Variegato di Chiogagraria insieme ad altri ortaggi. Ulteriore conferma è data in “Cenni di economia orticola” di Pagani-Gallimgia” dal quale, in tempi successivi, selezionando le piante con screziature rosse sempre più diffuse ed berti (Officine Grafiche Ferrari 1929) dove viene indiestese, si è differenziato, intorno al 1950, il “Radicchio cata la tecnica colturale del radicchio ottenuto negli
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Agli inizi del ‘900 vicino al “Campo Traghetto” nacque il primo mercato ortofrutticolo, la riva della laguna del Lusenzo infatti garantiva un’ottima mobilità delle merci, visto che i carichi al tempo viaggiavano quasi esclusivamente su barche e battelli. Nel 1943 il mercato venne trasferito in Campo Cannoni, nell’allora periferia sud dell’abitato di Sottomarina; un’area più ampia e attrezzata, sempre prospiciente la laguna del Lusenzo. Qui il conferimento dei prodotti veniva effettuato con carri trainati da cavalli e piccoli camioncini, con le carote divenute all’epoca uno dei principali ortaggi della produzione locale. Infine, nel 1972, il forte sviluppo commerciale delle carote e il crescente interesse verso il radicchio rosso portarono a costruire una più grande e funzionale struttura mercantile nel cuore degli orti a Brondolo, in posizione strategica tra la viabilità stradale nazionale (la Romea) e quella fluviale (il Brenta).
Rosso di Chioggia” (Ferdinando Pimpini, Cattedra di Orticoltura e Floricoltura Università di Padova). Sino al 1940 si coltivavano a Chioggia pochi ettari di questo ortaggio, poi lentamente, nel 1946, si arrivò a coprire circa 50 ettari, con sole produzioni tardive da gennaio a marzo. Gli ortolani di Chioggia in questo periodo incominciarono a mostrare un maggiore interesse alla tendenza del radicchio a chiudersi a palla ed a colorarsi di un rosso uniforme, constatato che il prodotto con queste caratteristiche incominciava a essere maggiormente richiesto dagli operatori del mercato e meglio remunerato. Negli stessi anni l’evoluzione dei trasporti, anche per via terra, iniziò la sua favorevole influenza a cominciare dal vicino Polesine, dove fin dall’Ottocento veniva coltivata una particolare varietà di radicchio a foglie verdi, lunghe e tondeggianti, ottenuto attraverso imbianchimento, nei mesi di novembre e dicembre, in modo da assumere un discreto valore commerciale. In effetti si trattava di un prodotto lavorato già con sistemi moderni: i grumoli erano posti in cassette di legno nelle cantine o nelle stalle, ricoperti di sabbia e tenuti in perenne umidità. Divenute le foglie tenere e bianche, col nome di “zarmoi” erano venduti nei centri urbani, ma il mercato di questo radicchio polesano non resse all’arrivo del rosso, detto “ciosoto”, ed entrò in crisi. Il rosso, invece, proprio in questi anni iniziò a conoscere la sua popolarità diffondendosi sulla mensa delle masse rurali, come sottolinea una canzone popolare: “Coss’ala magnà la sposa la prima sira? I radici co’ l’aseo da magnare a scotadeo” (Archivio del Centro Etnografico Adriese). Infatti secondo la tradizione il radicchio aveva il potere di indurre fortuna, amore e soddisfacimento del desiderio, come confermava già molti anni prima Giovanni Maria Bonaldo (nella Miniera del mondo del 1585): “Quei che son onti col succo della cicoria, cioè radichi, incorporato con aglio hanno assai favore e impetrano facilmente ciò che vogliono e sono amati”. Nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso con l’introduzione della tecnica della forzatura per sfidare i rigori dell’inverno, associata ad una mirata selezione basata sull’utilizzo del seme che gli ortolani chioggiotti ricavavano dai cespi di anno in anno più precoci, è stato costituito un nuovo ecotipo disponibile al consumo già dal mese di aprile fino a estate inoltrata: il “rosso di Chioggia precoce”. Visto lo sviluppo nella zona delle produzioni orticole e il concentrarsi delle stesse a Sottomarina, l’allora Ente Delta Padano si fece promotore della costruzione dell’attuale mercato orticolo di Brondolo inaugurato nel 1971, sito indubbiamente più idoneo per la commercializzazione del radicchio rosso soprattutto
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per gli anni successivi. Infatti la quantità di prodotto commercializzato a Brondolo è stata sempre crescente, dai 99.825 quintali del 1974 ai 441.380 quintali del 1990, mantenendo questi valori quantitativi di conferimento fino al 2000, però assieme al mercato di Rosolina. Oggi i conferimenti nei due mercati non raggiungono i 200.000 q.li, ma la produzione nell’area a IGP è ancora sostenuta ed è stimata appena sotto i 600.000 quintali, più della metà di tutto il radicchio rosso tondo prodotto in Italia (750.000 quintali in Veneto). Un aspetto caratteristico del Radicchio di Chioggia IGP è rappresentato dalla produzione del seme, fase tipicamente eseguita dai singoli produttori che perseguono attraverso questo metodo il “senso” vero della tradizione, della tipicità e della originalità di questo magnifico prodotto. La tecnica è stata razionalizzata e per poter praticare la produzione del seme i produttori selezionano in coltura le piante con le migliori caratteristiche morfologiche, che estirpate e private del solo apparato fogliare, vengono conservate in appositi contenitori in ambiente protetto. Nella primavera successiva, quando le condizioni climatiche lo consentono, tali fittoni vengono trapiantati in pieno campo, sotto isolatori per evitare combinazioni di incrocio non desiderate. La raccolta del seme avviene recidendo le piante dopo circa 60 giorni dall’inizio della fioritura; queste vengono lasciate essiccare per alcuni giorni per facilitare l’estrazione del seme. La costante attività di miglioramento genetico, effettuata a partire dagli anni trenta, ha consentito la selezione e la diffusione di due tipologie, le quali, caratterizzate da un diverso periodo di maturazione, permettono di coprire il mercato per l’intero arco dell’anno. “All’inizio dell’anno, non appena il tempo si fa più clemente, vediamo le villanelle accorre, con loro utile, con quantità di cicoria, quale tenera per le passate nevi, mortificata da ghiacci, con un dito di radichetta, e però radicchi le chiamano, portano a vendere per gratissima insalata” (V. Tanara - L’economia del cittadino in villa, 1761). Ne “L’economia del cittadino in villa” del 1761 il marchese bolognese Vincenzo Tanara riporta un passo in cui viene messo in evidenza il termine “radicchio” distinguendolo dalle generiche cicorie. Lo stesso testo è importante, in quanto è forse tra i primi a raccontare una nuova visione dell’agricoltura, non votata alla sola sussistenza, ma alle esigenze di mercato e ai calcoli di profitto.
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Il Radicchio di Chioggia IGP si produce nella specifica area geografica di 10 comuni compresi nelle provincie di Venezia, Padova e Rovigo. Quello “tardivo” si produce in tutti i 10 comuni: Chioggia, Cavarzere, Cona, Codevigo, Correzzola, Rosolina, Loreo, Porto Viro, Taglio di Po e Ariano Polesine.
Mentre il “precoce” viene prodotto esclusivamente all’interno dei comuni litoranei di Chioggia e Rosolina, grazie alle particolari caratteristiche pedoclimatiche: terreno particolarmente sabbioso, maggiore vicinanza al mare che determina una differenza di temperatura media di qualche grado superiore rispetto all’entroterra, maggiore ventilazione, costanza di disponibilità idrica grazie ad una falda freatica molto superficiale di acqua dolce, che storicamente veniva prelevata scavando le tipiche “buse”. I terreni dove si coltiva il Radicchio di Chioggia, il più sapido di tutti i radicchi coltivati nel mondo. Tale sapidità ha origine dai materiali che il Po, l’Adige, il Brenta e i loro affluenti hanno portato dalle Alpi fino all’Adriatico, un miscuglio di rocce arenarie, formazioni moreniche, terreni alluvionali, sabbie e dune fossili. La zona di produzione, quindi, è caratterizzata da terreni argillosi e sciolti (sabbiosi). Le precipitazioni medie annue si collocano attorno ai 700 mm con punte massime di 1000 e minime di 430 mm. Il clima è fortemente influenzato dalla vicinanza del mare, che consente una ridotta escursione termica giornaliera, e raramente, durante l’anno, la temperatura massima supera 31-32° e la minima scende sotto 0° gradi. La presenza di brezze e venti dominanti, in particolare la “Bora”, contribuisce a rimescolare i bassi strati dell’atmosfera e quindi a evitare ristagni di umidità che influirebbero negativamente sullo stato fitosanitario della coltura. I produttori aderenti alla certificazione si attengono a rigide regole stabilite nel disciplinare di produzione, il cui rispetto è garantito da un organismo di controllo (il CSQA di Thiene). I loghi, quello blu comunitario e quello del prodotto, posti nelle confezioni contraddistinguono l’autentico Radicchio di Chioggia IGP dalle imitazioni e contraffazioni.
Pratiche Agronomiche PER LA PRODUZIONE
Le attività che seguono fanno riferimento essenzialmente alla produzione del Radicchio di Chioggia IGP, ottenuto nel comune di Chioggia su terreni litoranei quindi sabbiosi PREPARARE LA TERRA
La lavorazione dei terreni destinati alla coltivazione del radicchio inizia prima ancora dell’aratura con la livellatura del campo, questa operazione permette di evitare, laddove ci fossero degli avvallamenti, ristagni d’acqua che comporterebbero perdita di produzione e comunque una non omogeneità del prodotto. Di norma l’aratura viene effettuata in estate e in autunno, quando sono trascorsi un paio di mesi dall’ultimo raccolto e mancano 7/10 giorni al trapianto o alla semina a pieno campo. Sarebbe, infatti, controproducente arare prima: essendo il terreno sabbioso questo risulterebbe troppo secco per la fase successiva. Infatti questo procedere è utile perché permette di avere un terreno sufficientemente fresco e umido, in grado di accogliere meglio il seme o la piantina e comunque permette di fare meno irrigazione post trapianto o semina. Dopo l’aratura si procede con la sarchiatura del campo per rompere le zolle e rendere più omogeneo il terreno, pronto quindi per la concimazione. Di norma
per le produzioni autunno invernali si interviene con: 8/10 q.li/ettaro di azoto (12/14%), potassio (17/20%) e fosforo (10/15%); se necessario per particolari situazioni atmosferiche che sono intervenute si integra durante la fase di sviluppo della pianta con un paio di q.li/ettaro di azoto (13%) e potassio (46%). Per le produzioni precoci vi è un ulteriore apporto di sostanza organica con circa 300 q.li/ettaro di letame. Questa viene immessa nel terreno dopo l’aratura per quei terreni liberi dalla produzione tardiva (autunno-invernale) per i trapianti del precoce (primaverile) oppure dopo il raccolto del tardivo senza una ulteriore aratura. La vangatura la si fa con una profondità di 30/35 cm per rendere morbido e più omogeneo il terreno e si utilizza un rullo per compattare la parte superficiale per facilitare il trapianto e la semina. Il diserbo si effettua dopo che si è provveduto a irrigare il campo vangato, così facendo si ha una maggiore efficacia con dosi ridotte di erbicidi utilizzati (normalmente pentimentalin e stompaqua).
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IL TRAPIANTO È ormai prassi comune utilizzare per il trapianto piantine allevate (passano normalmente 30 giorni dalla semina al trapianto) presso vivai attrezzati dove i produttori portano il seme autoprodotto (chi è certificato IGP deve obbligatoriamente per disciplinare attenersi a ciò) oppure utilizzano seme commerciale ibrido. Si utilizzano macchine trapiantatrici, ma ancora oggi sui terreni sabbiosi si fa largo utilizzo del trapianto manuale adoperando per fare i fori, dove vanno riposte le piantine, delle ruote munite da spuntoni collocati a distanza. La distanza tra le file varia dai 30 cm per quello primaverile, ai 35 cm per quello autunnale e i 40 cm per l’invernale mantenendo le stesse distanze sulla fila tra le piantine. Sostanzialmente le pratiche adottate rimangono tali sia per le produzioni del radicchio precoce che per il tardivo, va comunque precisato che per quest’ultimo e soprattutto nell’entroterra si semina direttamente a pieno campo utilizzando circa 600 g di seme ponendolo ad una distanza tra i 4 e i 7 cm con la necessità di intervenire successivamente per diradare le piantine fino a portarle alla distanza desiderata.
protraggono fino a fine marzo con cadenza settimanale, per permettere di avere il tempo utile sia per la fase del trapianto che, poi, per il raccolto. Da metà marzo gradualmente si inizia la scopertura dei tunnel, permettendo al radicchio di prendere colore, e lo smantellamento degli archi e degli archetti.
IL TARDIVO Per il tardivo le semine e i trapianti avvengono da inizio estate fino ai primi giorni di settembre tenendo conto della tipologia del radicchio e della collocazione dei campi: esiste una grande differenza climatica dal litorale permettendo per la stessa tipologia una semina e un trapianto posticipato per queste aree rispetto all’entroterra. Subito dopo il trapianto e la semina è necessario irrigare. Anche in questo caso determinante per la frequenza e per la quantità d’acqua è l’ubicazione dei campi: se si trovano sulla fascia litoranea, quindi sabbiosi, e con la pratica dell’aratura avvenuta pochi giorni prima serve molta meno acqua a differenza dei terreni di medio impasto dell’entroterra. Ovviamente non c’è una regola fissa perché molto dipende dalle condizioni atmosferiche.
I FITOSANITARI
IL PRECOCE Per le produzioni precoci, va precisato, che le lavorazioni del terreno iniziano dalla metà di ottobre e si protraggono fino a tutto dicembre e gradualmente man mano che si prepara il terreno vengono costruiti dei tunnel (con archi in ferro e per le coperture vengono utilizzati due film di nailon) pronti per ospitare da metà gennaio le piantine che gioco forza saranno trapiantate manualmente dall’ortolano che procederà rimanendo in ginocchio. Da febbraio invece la protezione delle piantine avviene attraverso dei tunnel utilizzando archetti, quindi con cubature nettamente inferiori a quelli con gli archi, e infine con pacciamature dopo che si è provveduto a creare dei solchi sul letto di trapianto. Il paesaggio degli orti nei mesi invernali diventa surreale e suggestivo anche perché disegna geometricamente una parte importante del territorio dei comuni di Chioggia e Rosolina che va da nord prima del Brenta a sud oltre l’Adige. Ovviamente le semine che iniziano da metà dicembre si
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Gli interventi vengono eseguiti quando è necessario e comunque molto meno del passato. Le recenti analisi sulla “Caratterizzazione ambientale” effettuata su diverse aziende del territorio a Indicazione Geografica testimoniano la salute dell’ambiente produttivo del radicchio di Chioggia. Principalmente si interviene per combattere il ragnetto rosso e il tripide (soprattutto sulle semine), la piralide e la nottua (il bruco). A volte, se ci si trova in presenza di nematodi, è necessario intervenire preventivamente disinfettando il terreno utilizzando fitosanitari adeguati. Anche se la nostra area di produzione è interessata spesso da venti che rimescolano l’aria si è costretti quando persistono nebbie mattutine ad intervenire con prodotti antioidici e prenosporici.
LA RACCOLTA Il radicchio maturo si deve presentare compatto e con un colore rosso acceso, elemento questo che lo contraddistingue da uno non ancora pronto per la raccolta. Comunque sia, in linea generale il periodo di maturazione del radicchio precoce avviene da aprile a giugno e per quello tardivo da settembre a febbraio, in entrambi i casi la raccolta deve avvenire nel pieno rispetto dei tempi di carenza dei prodotti fitosanitari utilizzati.
IL RICONOSCIMENTO COMUNITARIO
del Radicchio di Chioggia a Indicazione Geografica Protetta (IGP)
25 FEBBRAIO 1999, AGLI ALBORI DELL’IGP
L’ottenimento della certificazione da parte del radicchio di Chioggia, ha nel convegno tenutosi all’auditorium cittadino di San Nicolò il 6 marzo 1999, organizzato dalle tre associazioni professionali di categoria, Coldiretti, Confederazione italiana agricoltori e Unione provinciale agricoltori, in collaborazione con il Comune di Chioggia e la Provincia di Venezia, con il patrocinio della Regione Veneto e della Camera di Commercio di Venezia, una sorta di pre-audizione nel “processo” di riconoscimento della Indicazione Geografica Protetta al Radicchio Rosso di Chioggia, il cui iter fu avviato ufficialmente il 25 febbraio 1999, con la sottoscrizione nella sala maggiore del municipio clodiense della istanza di registrazione del “marchio” al Ministero per le Politiche Agricole. Il convegno aveva come titolo “Il Radicchio Rosso di Chioggia verso l’IGP per un’orticoltura di qualità” e fu aperto dall’intervento di Giuseppe Boscolo Palo allora presidente di Coldiretti Venezia.
• “È solo la prima tappa di un lungo percorso, ma sicuramente siamo nella giusta direzione per raggiungere l’ambita meta: il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta, la famosa IGP, al nostro Radicchio Rosso di Chioggia”. • “La macchina ormai è partita. Giuseppe Boscolo Palo Da oggi potremo solo regolare l’andatura, spingere sull’acceleratore o sul freno, assumendo ciascuno piena e cosciente responsabilità nelle azioni e nelle scelte”. • “I nostri nonni settanta anni fa, tornando col battello dal mercato di Venezia, avranno probabilmente sperato che quel pugno di semi di incerto radicchio variegato, che portavano con sé, potesse costituire
Esposizione del radicchio
una buona risorsa per l’economia delle loro famiglie. Certamente non potevano immaginare, però, che la loro paziente fatica avrebbe travalicato i confini aziendali, arrivando a incidere fortemente sullo sviluppo dell’intero tessuto economico e sociale di quest’area. I nostri padri ci hanno consegnato una tecnica di coltivazione e un ortaggio, cui hanno attribuito identità e riconoscibilità. A noi spetta il compito di far conseguire al radicchio quella dignità e quel riconoscimento istituzionale, che, integrandosi sempre più con gli altri settori economici, accentueranno la sua azione di volano nello sviluppo dei nostri territori, facendoli evolvere da aree di coltivazione a zone di lavorazione. In sostanza, trasformando una semplice coltivazione in un prodotto completo, trasparente ed affidabile per il consumatore”.
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LE TAPPE VERSO L’IGP 1995
1996
1997
1998
1995 La produzione del radicchio va in crisi, i prezzi del mercato scendono in picchiata. Negli stessi anni un regolamento comunitario aveva aperto la strada per la tutela e la valorizzazione delle produzioni tipiche europee. Il Cogemo (il consorzio per la gestione del mercato orticolo, sorto dalle ceneri dell’Apos) costituì un primo comitato di studio per il riconoscimento dell’IGP alla zona di Chioggia
1996
Primi incontri con gli esperti dell’Ente di Sviluppo Agricolo per i contenuti tecnici e con la Provincia e la Regione per i sostegni economici ed istituzionali
Fine del 1996
Un quotidiano locale, riferendo di un incontro tra organizzazioni dei produttori ed istituzioni, titolava “Grandissimi produttori, pessimi venditori”
Luglio 1997 Coldiretti, insieme alle due consorelle associazioni di categoria, Cia e Unione, costituisce un comitato tecnico presso l’Esav in comunione di intenti con le Camere di Commercio e le Amministrazioni delle tre provincie confinanti Luglio 1998 Dopo mesi di intenso lavoro viene definita un’area di coltivazione il cui radicchio potrà fregiarsi della “IGP Rosso di Chioggia”. Ma ancora mancava l’Associazione dei Produttori, specifica forma di aggregazione, prevista dai regola-
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1999
2000
2001
menti comunitari per la gestione del prodotto agricolo
Fine 1998 Le tre associazioni di categoria siglano un protocollo d’intesa per presentare al Ministero per le Politiche Agricole la domanda di riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta al Radicchio Rosso di Chioggia e ad accompagnare questo ambizioso progetto fino al suo compimento
6 marzo 1999 Si tiene all’auditorium San Nicolò il convegno, organizzato dalle tre associazioni professionali di categoria, Coldiretti, Confederazione italiana agricoltori e Unione provinciale agricoltori, in collaborazione con il Comune di Chioggia e la Provincia di Venezia, con il patrocinio della Regione Veneto e della Camera di Commercio di Venezia, una sorta di pre-audizione nel “processo” di riconoscimento della Indicazione Geografica Protetta al Radicchio Rosso di Chioggia 11 marzo 1999 Cinque giorni dopo il convegno, il Ministero per le Politiche Agricole comunica l’inizio dell’istruttoria a Coldiretti Venezia e chiede alla Regione Veneto, anch’essa destinataria della richiesta di registrazione, di esprimere il circostanziato avviso 13 gennaio 2000 Sempre l’Ufficio del Ministero chiede l’invio della documentazione di registrazione sottoscritta dalla maggioranza dei produttori e sollecita la Regione ad ottemperare la richiesta già espressa l’11 marzo ‘99. Pertanto se la documentazione richiesta non fosse pervenuta entro trenta giorni alla Direzione Generale del Ministero, l’istruttoria doveva ritenersi “conclusa in senso negativo”
UN PERCORSO DURATO 13 ANNI 2002
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2 febbraio 2000 Le tre Organizzazioni Professionali inviano l’elenco dei produttori aderenti alla domanda di registrazione e associati
23 ottobre 2000 La Regione trasmette il suo positivo parere tecnico, il disciplinare di produzione corretto ed integrato a seguito dell’incontro pubblico che era stato indetto dalla stessa Regione il 6 aprile e le due relazioni tecniche, illustrativa ed economica 22 novembre 2000 Primi problemi: il Ministero fa presente che, “alla luce della circolare ministeriale il soggetto legittimato a fare richiesta di registrazione sono i produttori e/o i trasformatori (art. 5 del regolamento comunitario) e che, pertanto, non è sufficiente l’adesione alla domanda. Agli atti, quindi, mancano ancora: la domanda in bollo del soggetto legittimato, lo Statuto e atto costitutivo dell’associazione richiedente l’IGP conformi alla circolare, la delibera assembleare e la carta d’Italia che evidenzi la zona interessata alla IGP 5 febbraio 2001 Ultimatum del Ministero: “Non essendo giunta alcuna risposta la pratica verrà archiviata”
21 febbraio 2001 Coldiretti Venezia invia la “Richiesta di sospensione, archiviazione e prosecuzione dell’iter istruttorio di riconoscimento” chiedendo il
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tempo necessario affinché i produttori di tre provincie possano completare le necessarie fasi di verifica e di concertazione per la costituzione di un comitato. Anche la Regione Veneto, sollecitata da Coldiretti, si attivò verso il Ministero per scongiurare l’archiviazione, impegnandosi perché il perfezionamento dell’istanza medesima si realizzasse nel più breve tempo possibile
26 marzo 2001 Il Ministero conferma che la pratica non verrà archiviata Nel corso del 2002 Subito dopo i “lavori di pubblico accertamento” indetti dal Ministero ad aprile, arriva il “Riconoscimento transitorio” che permette la tutela del prodotto nel solo territorio nazionale
Novembre del 2004 Finalmente si costituisce il Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia
Dicembre del 2004 Ormai la strada verso la certificazione era spianata. Bastò attendere che l’iter dell’Istruttoria in Commissione Europea si concludesse positivamente
17 ottobre 2008 Il “Radicchio di Chioggia” ottiene l’ambito riconoscimento europeo di Indicazione Geografica Protetta, registrata con Regolamento (CE) n. 1025/2008
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IL LOGO DEL RADICCHIO Il logo del Radicchio di Chioggia IGP è formato da uno scudo accartocciato con fondo bianco, bordatura gialla, fianco marrone e profilo nero, contenente il leone di colore rosso di epoca medioevale recante l’iscrizione cerchiata in caratteri maiuscoli di colore rosso “RADICCHIO DI CHIOGGIA I.G.P.”. Sui contenitori deve essere apposta l’etichetta con il logo indicante, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture “Radicchio di Chioggia IGP, con specifico riferimento alla tipologia “precoce” o “tardivo” confezionata. Il tipo di carattere, il campo di dimensione del carattere e del diametro della cerchiatura, le specifiche dei colori sono contenute nel disciplinare di produzione.
I prodotti agroalimentari tipici I prodotti a Denominazione d’Origine DOP e Indicazione Geografica IGP
Solo nei prodotti a Denominazione d’Origine DOP e Indicazione Geografica IGP viene riconosciuto, sulla base di un regolamento dell’Unione Europea, l’esistenza di un legame tra il prodotto e la zona geografica di produzione, comprensiva di fattori geografico ambientali, storici e umani. Nel caso delle DOP tali fattori peculiari incidono fortemente sulle caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto e pertanto, per garantire tali caratteristiche, il prodotto non può essere ottenuto al di fuori di tale zona. Nel caso dei prodotti IGP invece i fattori storici, ambientali e umani della zona incidono su almeno una delle caratteristiche del prodotto, compresa la rinomanza; per l’IGP pertanto alcune fasi del processo che non incidono sulle peculiarità del prodotto, come ad esempio il confezionamento di un ortaggio o la lavorazione e l’imballaggio del riso, possono essere effettuate al di fuori della zona definita. Il legame del prodotto con la zona geografica di origine deve essere dimostrato dai produttori attraverso una approfondita documentazione che viene valutata dalla Regione e dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e, successivamente, dalla Commissione europea. Ottenuto il riconoscimento con la registrazione della DOP o IGP, il prodotto viene periodicamente verificato da appositi organismi di controllo e certificazione, al fine di garantire ai consumatori il rispetto della disciplina di produzione e delle caratteristiche specifiche. La registrazione di una DOP o IGP da parte dell’Unione Europea, significa quindi che quel prodotto può essere ottenuto totalmente (per la
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DOP) o parzialmente (per l’IGP) in quella determinata zona che influenza le peculiarità del prodotto; tale riconoscimento pertanto crea giuridicamente un vantaggio competitivo riservato solo ai produttori che operano all’interno di quella zona nonché una tutela legale al prodotto e quindi al produttore, nei confronti di chiunque in Italia, in Europa o nel Mondo, cerchi d’imitare tale bene o usurparne il nome protetto. Il riconoscimento della DOP o IGP permette quindi al consumatore di identificare con certezza un prodotto di riconosciute peculiarità, avente origine in un particolare territorio, seguendo ferree regole di produzione e di controllo che determinano e garantiscono le peculiarità, rispetto ai prodotti indifferenziati e globalizzati di provenienza incerta.
Il Consorzio di Tutela
DEL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP Anche se nel 2004 praticamente non c’erano più ostacoli sulla via dell’iter dell’istruttoria in Commissione per l’ottenimento dell’Igp, molto tempo era trascorso dai primi entusiasmi e l’interesse dei produttori era andato scemando, anche perché coinvolti in una crisi persistente con prezzi all’origine che spesso non riuscivano a coprire i costi di produzione. A questo va aggiunto che il Consorzio non aveva avviato ancora una minima attività promozionale. L’importante risultato ottenuto, seppur in un tempo così lungo, rischiava di non dare alcun frutto, non riuscendo a rendere percepibile il grande valore del prodotto e il suo territorio di produzione. Serviva una scossa che arrivò, ma molto più tardi. Sulle ceneri del primo Consorzio, l’11 novembre del 2009, si è costituito un nuovo Consorzio con l’obbiettivo principale della promozione e della tutela del prodotto. Purtroppo si continuò, per vari motivi, a
Giuseppe Boscolo Palo con i conduttori di Linea Verde
fare pochissimo e male con il forte rischio di chiusura definitiva non solo del Consorzio, ma anche dell’Indicazione Geografica Protetta. C’era bisogno di un immediato rilancio e nel febbraio 2013, con il rinnovo del C.d.A. si è avviata una forte attività promozionale che ha finalmente dato visibilità al prodotto e dignità riconosciuta al Consorzio da parte del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Il Consorzio iniziò ad essere presente ai più importanti eventi fieristici nazionali e mondiali dedicati al settore orticolo, come Fruit Logistica a Berlino o il Macfrut di Cesena/Rimini, e a quelli dedicati ad altri settori, come Vinitaly, Fiera Cavalli, Expo, oltre che alle Campionarie: da Padova a Caorle. Iniziò, inoltre, a partecipare a tantissime manifestazioni territoriali e a sviluppare la propria azione all’interno della GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Nel corso degli ultimi anni sono stati avviati progetti con le scuole, organizzati concorsi enogastronomici dedicati al Radicchio di Chioggia, e l’informazione dedicata ad esso ha iniziato a crescere anche all’interno di “format” televisivi dedicati ai prodotti agricoli, come Linea Verde e Linea Verde Orizzonti, solo per citare quelli trasmessi da Rai 1. Il Riconoscimento Ministeriale ottenuto a settembre 2015 e ratificato con l’adozione del nuovo Statuto, assieme alle “Proposte di modifica del Disciplinare di Produzione”, da parte dell’Assemblea del Consorzio il 16 dicembre 2015 hanno segnato storicamente, alla pari del Riconoscimento Comunitario, la vita stessa del Consorzio, dei soci (produttori e confezionatori) e del prodotto. Continua a pag 63
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DISCIPLINARE DI PRODUZIONE Articolo 1 - NOME DELLA DENOMINAZIONE L’Indicazione Geografica Protetta “Radicchio di Chioggia”, sia nella tipologia “precoce” che in quella “tardiva”, è riservata al radicchio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente di-sciplinare di produzione. Articolo 2 - DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Presentazione del prodotto Il Radicchio di Chioggia è una pianta con lamine fo-gliari rotondeggianti, strettamente embricate tra loro che formano un grumolo di forma sferica; tali foglie hanno colore rosso più o meno intenso con nervature centrali bianche. Le colture destinate alla produzione della Indicazione Geografica Protetta “Radicchio di Chioggia” nelle due tipologie “precoce” e “tardiva”, devono essere costitui-te da piante della famiglia delle Asteraceae genere Ci-chorium specie intybus varietà silvestre. Principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbio-logiche, organolettiche del prodotto All’atto dell’immissione al consumo, il “Radicchio di Chioggia I.G.P.” deve presentare le seguenti caratteristiche: A) Radicchio di Chioggia I.G.P. - tipologia precoce: Aspetto: grumolo ben chiuso, corredato da mo-desta porzione di radice tagliata in maniera net-ta sotto il livello del colletto Colore: foglie caratterizzate da una nervatura principale di colore unicamente bianco che si dirama in molte piccole penninervie nel lembo fogliare notevolmente sviluppato di colore caratteristico dal cremisi all’amaranto Sapore: foglie di sapore dolce o leggermente amarognolo e di consistenza croccante Calibro: peso del grumolo da 200 a 600 grammi B) Radicchio di Chioggia I.G.P. - tipologia tardiva: Aspetto: grumolo molto compatto, corredato da modesta porzione di radice recisa in maniera netta sotto il livello del colletto Colore: foglie caratterizzate da una nervatura principale di colore unicamente bianco perla che si dirama in molte piccole penninervie nel lembo fogliare notevolmente sviluppato di colore amaranto carico Sapore: foglie di sapore amarognolo e di consistenza mediamente croccante Calibro: peso del grumolo da 200 a 600 grammi
Articolo 3 - ZONA GEOGRAFICA DELIMITATA La zona di produzione del “Radicchio di Chioggia”, tipologia tardivo, comprende nell’ambito delle province di Venezia, Padova e Rovigo, l’intero territorio dei seguenti comuni: • provincia di Venezia: Chioggia, Cona e Cavarzere • provincia di Padova: Codevigo, Correzzola • provincia di Rovigo: Rosolina,Ariano Polesine, Taglio di Po, Porto Viro, Loreo Il “Radicchio di Chioggia”, tipologia “precoce”, viene prodotto all’interno dei comuni litoranei di Chioggia (Venezia) e Rosolina (Rovigo) dove le particolari condizioni pedo climantiche consentono di esaltare le peculiari caratteristiche della tipologia precoce. La fase di seconda toelettatura e confezionamento può avvenire nei centri aziendali oppure in centri di lavorazione e confezionamento situati anche al di fuori della suddetta zona. Articolo 4 - ORIGINE DEL PRODOTTO Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna, gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, dei produttori e dei confezionatori, la tenuta di registri di produzione e di confezionamento nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi sono assoggettate al con-trollo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal re-lativo piano di controllo. Articolo 5 - METODO DI OTTENIMENTO DEL PRODOTTO Un aspetto caratteristico della coltura è rappresentato dalla produzione del seme, fase tipicamente eseguita dai singoli produttori i cui terreni ricadono nella zona di produzione definita all’art. 3. La costante attività di miglioramento genetico, effettuata a partire dagli anni trenta, ha consentito la selezione e la diffusione di due tipologie di radicchio, la precoce e la tardiva, le quali, caratterizzate da un diverso periodo di maturazione, permettono di coprire il mercato per l’intero arco dell’anno. Le tecniche di produzione delle due tipologie di “Radicchio di Chioggia” si differenziano per alcuni aspetti caratteristici, come schematizzato nella seguente tabella:
FASE
TIPOLOGIA PRECOCE
TIPOLOGIA TARDIVA
Periodo di semina
Dal 1 Dicembre al 30 Aprile in semenzaio. Dai primi di Marzo direttamente sul campo.
Dal 20 Giugno al 15 Agosto in semenzaio e direttamente sul campo.
Trapianto
Dopo 30 gg dalla semina in semenzaio, ciò consente il trapianto fino al 31 Maggio. Per questa tipologia la tecnica del trapianto è prevalente rispetto alla semina diretta.
Dopo 30 gg dalla semina in semenzaio, ciò consente il trapianto fino al 15 Settembre. Per questa tipologia la tecnica del trapianto e della semina diretta sono impiegate in eguale misura.
Densità colturale
10 - 14 pian-te/mq
8 - 12 pian-te/mq
Altre tecniche peculiari
Eventuale uso di protezioni in teli sostenuti da archi che formano serre o tunnel di maggiore cubatura per i trapianti suc cessivi; le protezioni vengono gradualmente rimosse, previa acclimatazione delle piante.
Periodo raccolta
1 Aprile 15 Luglio
1 Settembre 15 Marzo
Quantità massima per ettaro, dopo la toelettatura in campo o centro aziendale
35 ton
35 ton
Quantità massima per ettaro di prodotto controllato dopo la toilettatura nel centro di confezionamento
28 ton
28 ton
Periodo di commercializzazione
Dal 1 Aprile al 31 Agosto
Dal 1 Settembre al 31 Marzo
Per entrambe le tipologie, l’intervento di raccolta si pratica recidendo la radice sotto l’inserzione delle fo glie basali del grumolo, in genere 2-3 centimetri appena sotto la superficie del terreno, quando le foglie si sono embricate in modo da formare un grumolo più o meno compatto secondo della tipologia, asportandone quelle più esterne di colore verde o anche rosso non uniforme. Questa prima toelettatura può essere eseguita sia sul campo che nel centro aziendale purché situati nell’areale definito all’art. 3, ottenendo così un prodot-to “idoneo” per essere confezionato come radicchio di Chioggia IGP. Esso può essere portato al centro di confezionamento che può trovarsi anche fuori dell’areale definito all’art. 3. Ancora oggi nei campi, la toelettatura viene effettuata quasi sempre con coltellini tradizionali ricurvi, detti “roncole”. Articolo 6 - LEGAME FRA IL PRODOTTO E LA ZONA DI PRODUZIONE a) Fattori geografici, ambientali, storici e umani. La zona di produzione è caratterizzata da terreni ar-gillosi e sciolti. Le precipitazioni medie annue si collo-cano attorno ai 700 mm con punte massime di 1000 e minime di 430 mm. Il clima è fortemente influenzato dalla vicinanza del mare, che consente una ridotta escursione termica giornaliera e raramente, durante l’anno, la temperatura massima supera 3132°C e la minima scende sotto 0° gradi. La presenza di brezze e venti dominanti, in particolare la “bora”, contribuisce a rimescolare i bassi strati dell’atmosfera e quindi ad evitare ristagni di umidità che influirebbero negativamente sullo stato fitosanitario della coltura. Tale clima è particolarmente adatto al radicchio tardivo che si è diffuso in tutta la zona prevista nell’art. 3; esso infatti favorisce la coltivazione di questa tipologia sulla quale temperature troppo elevate non permette-rebbero la chiusura del cespo e indurrebbero una fiori-tura precoce. La tecnica di produzione precoce si basa sull’impiego di specifiche selezioni di seme ottenuto sull’intero terri-torio delimitato all’art. 3, di apprestamenti produttivi di varia cubatura e sulla rigorosa programmazione del ciclo di coltivazione. Sul quaderno mensile dell’Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle Venezie, del marzo 1923, si riscontra che il Radicchio era stato inserito nella rota-zione agraria insieme ad altri ortaggi. Ulteriore conferma è data dal “cenni di economia orticola” di Pagani-Gallimberti dove viene indicata la tecnica colturale del radicchio ottenuto negli orti lagu-nari. In uno studio del 1935, gli “orti sperimentali di Chioggia”, si riscontrano studi sulle nuove varietà di ortaggi e cicorie con particolare riferimento al radic-chio. Successivamente l’inserimento del radicchio nel-la normale rotazione agraria è documen-
tato dall’“Orticoltura litoranea e lagunare nella zona di Chioggia”. La maggiore disponibilità di materiale da riproduzione e la scelta massale nei periodi più idonei, nonché l’anticipazione delle semine di due/ tre giorni all’anno (con seme proveniente dalla produzione di testa), hanno permesso di ottenere delle popolazioni sempre più precoci e di migliorare la colorazione anche delle specie tardive. b) legame causa-effetto La coltivazione della tipologia “precoce” è possibile solo nei comuni litoranei di Chioggia e Rosolina, grazie alle particolari caratteristiche pedoclimatiche: terreno particolarmente sabbioso, maggiore vicinanza al mare che determina una differenza di temperatura media di qualche grado superiore rispetto all’entroterra, mag-giore ventilazione, costanza di disponibilità idrica grazie ad una falda freatica molto superficiale di acqua dolce, che storicamente veniva prelevata scavando le tipiche “buse”. Tale tipologia viene ottenuta mediante l’utilizzazione di una tecnica di produzione definita attraverso una spe-rimentazione ventennale, la quale ha consentito di ampliare il tradizionale periodo di coltivazione autun-novernino, tipico della coltura tardiva. Studi dimostrano che è fondamentale, per il “Radic-chio di Chioggia”, impedire il verificarsi di stress di varia natura ascrivibili prevalentemente alle forti escur-sioni termiche e/o a drastiche variazioni del contenuto di umidità del terreno. La tessitura sabbiosa della fascia litoranea ricadente nei comuni di Chioggia e di Rosolina, unitamente alle peculiari caratteristiche climatiche di questi areali, sono risultati ottimali per garantire la condizione ideale per la produzione di questo prodotto. In tali situazioni, infatti, non si evidenziano stress tali da pregiudicare la qualità dello stesso. Studi effettuati dimostrano che in qualsiasi altro ambiente, si sono rilevate gravi perdite di produzione riconducibili a percentuali di prefioritura che hanno talora raggiunto livelli superiori al 50-60%, associate ad una drastica riduzione di colorazione del cespo che perde le caratteristiche dell’ideotipo. Articolo 7 - ORGANISMO DI CONTROLLO II controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli articoli 36 e 37 del Regolamento UE n. 1151/2012. Tale struttura è: CSQA Certificazioni Via S. Gaetano, 74 - 36016 Thiene (VI) Tel: +39 0445 313011 Fax: +39 0445 313070 Email: csqa@csqa.it
Articolo 8 - ETICHETTATURA Il trasferimento del prodotto, verificato idoneo, ai centri di confezionamento avviene utilizzando contenitori adatti e aventi dimensioni di base consentite dalle vigenti normative in materia. Per l’immissione al consumo i radicchi che si fregiano della denominazione “Radicchio di Chioggia IGP” devono essere confezionati in appositi contenitori, purché il peso netto non ecceda i kg 15. Tali confezioni dovranno avere caratteristiche tali da permettere una buona conservazione del prodotto evitandone il depe-rimento e la rottura. Nel caso di prodotto destinato all’industria di trasfor-mazione questo potrà essere commercializzato anche all’interno di adeguati contenitori (bins), purché non eccedenti il peso netto di 250 kg. Su ciascun contenitore potrà essere apposta una copertura sigillante tale da impedire che il contenuto non possa venire manomesso. In alternativa ogni confe-zione dovrà comunque essere dotata di un sistema di rintracciabilità attraverso l’apposizione di numero di lotto. Sui contenitori deve essere apposta l’etichetta con il logo indicante, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture “Radicchio di Chioggia I.G.P.”, con specifico riferimento alla tipologia “precoce” o “tardivo” confezionata. Tale logo è formato da uno scudo accartocciato con fondo bianco, bordatura gialla, fianco marrone e profi-lo nero, contenente il leone di colore rosso di epoca medievale recante l’iscrizione cerchiata in caratteri maiuscoli di colore rosso “RADICCHIO DI CHIOGGIA I.G.P.”. Tipo di carattere: “Garamond”. Campo dimensione carattere: massimo 50 e minimo 10. Campo diametro della cerchiatura: massimo 15 e minimo 3. Colore logo: • Rosso = Magenta 95% - Yellow 80% • Giallo = Magenta 7% - Yellow 85% • Marrone = Cyan 12% - Magenta 60% - Yellow 95% • Nero = Black 100% (legenda: Cyan = Ciano; Magenta = Magenta ; Yellow = Giallo: Black = Nero). Il logo “Radicchio di Chioggia I.G.P.”, già apposto sui contenitori, non potrà essere riutilizzato. Sui medesimi contenitori devono essere altresì riportati gli elementi atti ad individuare: • Nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo od associato e del confezionatore. • Peso netto all’origine e la categoria. • Nonché eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. • In ogni caso le indicazioni diverse da “Radic-chio di Chioggia I.G.P.” dovranno avere dimen-sioni significativamente inferiori a quelle utiliz-zate per la predetta Indicazione Geografica.
Obiettivo: che tutto il Radicchio prodotto nell’area IGP sia a marchio, per meglio identificarlo dalla produzione globale e dare reddito alle imprese di tutto il settore orticolo Continua da pag 59
Era necessario, quindi, avere le idee chiare su come operare qualora si fossero realizzate quelle condizioni basilari per il raggiungimento dell’unico obiettivo veramente utile per i produttori in funzione di una Indicazione Geografica: che tutto il Radicchio che viene prodotto nell’area IGP sia a marchio per meglio identificarlo dalla produzione globale e dare reddito alle imprese di tutto il settore orticolo. Infatti, ancor oggi il Radicchio di Chioggia IGP rappresenta una percentuale minima rispetto ai volumi complessivi di prodotto generico commercializzati, tuttavia già nel 2012 il prof. Corrado Giacomini dell’Università di Parma, nella sua ricerca “Mercati di consumo del Radicchio di Chioggia” indicava come problematica ostativa per il possibile successo del radicchio di Chioggia IGP, la mancanza di una “governance” efficace ed efficiente del prodotto, individuando, quale candidato per questo ruolo, il Consorzio di Tutela per la sua funzione, appunto, di tutela, ma anche per quella di valorizzazione e promozione, legando la possibilità di
successo al consenso e al supporto della produzione organizzata. Era necessario avere un progetto nel cassetto e quando Venezia Opportunità sul finire del 2014 commissionò uno studio al Consorzio chiedendo una analisi sul “Potenziale economico delle produzioni orticole nell’areale del Radicchio di Chioggia IGP; sulla Riorganizzazione del sistema locale di commercializzazione finalizzato alla valorizzazione delle produzioni orticole tipiche; sulla Compatibilità con la normativa nazionale e regionale in materia di mercati”. La risposta fu immediata il 6 marzo 2015 la proposta per strutturare il comparto orticolo nell’area a Indicazione Geografica Protetta fu presentata alle Camere di Commercio delle tre province di competenza (Venezia, Rovigo e Padova), alle amministrazioni comunali di Chioggia e Rosolina e ai rispettivi mercati ortofrutticoli, alle Organizzazioni Produttori (Opoveneto e CAPO-APO V.F.), presenti nella società di gestione del mercato di Brondolo. Trovando da parte di tutti grande disponibilità e condivisione al progetto.
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ORGANIZZAZIONE e MARKETING,
il futuro passa da qui… (Dallo studio del Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP)
Una qualsiasi ipotesi di riorganizzazione del sistema locale, legato quindi alle realtà oggi operanti nel territorio (i due mercati, le cooperative e le organizzazioni dei produttori, i privati e i commercianti del settore ortofrutticolo, il Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia IGP), non può prescindere che questa non sia il punto di partenza per raggiungere l’obiettivo di un equo reddito lungo la filiera, attraverso una idonea strategia del valore. Una strategia del valore per il Radicchio di Chioggia IGP in particolare e più in generale per le produzioni a DO (Denominazione d’Origine) poggia su pochi ma significativi pilastri: • capacità di caratterizzare non solo le produzioni ma anche l’ambiente/territorio di produzione (produzioni di qualità in ambienti di qualità); la DGR 2860/2013 “Caratterizzazione qualitativa dei principali prodotti ortofrutticoli veneti e del loro ambiente di produzione” è il segno di una sensibilità istituzionale che va sfruttata ed implementata. • capacità di creare nel bayer l’idea di valore degli attributi medesimi (la comunicazione, fuori e sempre più dentro il punto vendita, serve a questo). • capacità di governare la produzione anche attraverso la gestione della programmazione produttiva con l’ausilio dei fascicoli AVEPA (c’è però la necessità di modificare l’attuale partecipazione delle aziende al sistema delle DO); gestione integrata tra Consorzio di Tutela ed O.P. • capacità di governare il valore nel sistema dei prezzi: punto debole di un sistema che si basa sulla micro-impresa e sulla estrema frammentazione competitiva (quasi autolesionista); la costruzione di forme collettive di negoziazione degli scambi di mercato è un must, condizione fondante per la capacità di governare i prezzi. • promozione gestita attraverso integrazioni tra Consorzio di Tutela ed Organizzazioni dei Produttori
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deve divenire un fatto ordinario e perseguito fortemente dalle istituzioni e dagli attori di filiera. Prodotto, promozione, prezzo e distribuzione sono le quattro leve del marketing mix: è evidente che possono avere successo sul mercato soltanto se vengono gestite in modo coordinato e sinergico tra loro. È quindi fondamentale avere un “nome e cognome” da esporre perchè ciò permette al consumatore di fare un acquisto consapevole riconoscendo nel Radicchio di Chioggia IGP un prodotto che esprime nell’origine certa un grande valore storico partendo dall’essenza intrinseca del seme autoctono e dagli ambienti di coltivazione, per continuare con le qualità nutrizionali, nutraceutiche e sensoriali. E’ altresì fondamentale raccontare tutto per diffondere l’importanza dell’interrelazione tra la qualità dell’ambiente e quella del prodotto, la biodiversità e il paesaggio, la cultura, la cucina, la salute e il benessere fisico. Sarà ancora di più fondamentale il ruolo dei due Mercati, delle Organizzazioni dei Produttori che operano nell’area a Indicazione Geografica Protetta e del Consorzio di Tutela nella costruzione del “sistema” per pianificare una politica di “marca” per far sì che il consumatore, il turista, il cliente fruitore percepisca che “Rosa di Chioggia” o “Principe Rosso” sono sempre “Radicchio di Chioggia” in grado di affiancarsi al “marchio” e di affermarsi indipendentemente dal segno distintivo territoriale. Cioè, è necessario che si formi quella che in marketing si chiama “brand equity”, vale a dire che deve depositarsi nel vissuto del potenziale cliente un patrimonio di storia, di riconoscibilità e di apprezzamento del prodotto che se ne fregia e questo non può non essere altro che frutto della reputazione che riesce a conquistare chi ha la proprietà di quel bene. Ancora una volta emerge con tutta evidenza che il successo sul mercato del Radicchio di Chioggia, ma anche delle altre produzioni presenti nel territorio, è collegato alla organizzazione della fase produttiva,
all’efficienza logistica, alla reputazione del sistema: si aprono spazi importanti se si sarà in grado di vendere vera credibilità in quanto meritata sul campo e in grado di presentare fatti concreti in termini di qualità, anche sovrastrutturale. Per fare tutto questo, per sviluppare nuove idee, progetti ed attività comuni, per la salvaguardia e lo sviluppo del settore è necessario legare tra loro le imprese, pubbliche e private, insomma fare squadra, anzi, costruire una squadra. Serve una regia unica. Va verificata la disponibilità degli attori del settore alla sua istituzione, coinvolgendo in primis le Organizzazioni dei Produttori, il Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP e i Mercati di Brondolo e di Rosolina. Come pure, in un quadro comune di collaborazione tra le proprietà, va verificata l’eventualità della gestione dei Mercati da parte della “Regia” stessa valutandone gli effetti di efficacia ed efficienza che si possono generare. Un Mercato collocato in un territorio IGP deve esprimere l’essenza della “Eccellenza” che lo rappresenta e si dovrebbe “Caratterizzare” in tal senso, in tutto: non si può prescindere che la “Governance” non abbia poteri gestionali nel regolare direttamente l’attività operativa del Mercato se si vuole costruire una strategia del valore con azioni improntate al raggiungimento di obiettivi qualitativi sui prodotti e sull’ambiente, sulla programmazione della produzione, sul governo dei prezzi, sulla promozione e comunicazione, per correggere le distorsioni evidenziate dalla ricerca compiuta dal prof. Giacomini nel 2012 e ancora presenti perché sembra che niente sia stato fatto, per utilizzare tutte le opportunità previste dall’OCM ortofrutta per le O.P., non ultima la possibilità di recuperare risorse attraverso i fondi di esercizio e esercitare l’azione dell’erga omnes se si raggiunge una rappresentatività dei 2/3 dei produttori della circoscrizione. È innegabile che si acquisirebbe ulteriore ruolo “politico” e “peso contrattuale” come sistema non solo sotto l’aspetto commerciale e/o il diventare l’interlocutore privilegiato verso le istituzioni a tutti i livelli, ma anche in grado di essere presente in forme di governo del settore ortofrutticolo più ampie e/o di favorirne la costituzione quali le “circoscrizioni economiche” previste dell’OCM ortofrutta e soprattutto nella Organizzazione Interprofessionale del prodotto “Radicchio” per avere ancora di più la possibilità intervenire per regolare le diverse fasi della produzione. Una “caratterizzazione” che operativamente si traduce, per un Mercato nel vissuto quotidiano, nell’assicurare un elevato grado di protezione della salute umana e degli interessi dei consumatori nonché la sicurezza e la qualità dei prodotti e degli approvvi-
gionamenti agroalimentari con servizi destinati ad agevolare la vendita dei prodotti attraverso laboratori di analisi, controlli di qualità e di rintracciabilità dell’origine, valorizzazione del confezionamento e dell’etichettatura, schede dei prodotti, la selezione e la lavorazione dei prodotti, la logistica, al trasporto della merce a domicilio del cliente, la vendita diretta con spazi dedicati, oltre alle eccellenze locali e regionali, anche a quelle nazionali attraverso esclusive sinergie tra produttori in una sorta di vetrina permanente. Il Mercato deve sviluppare oltre alla valorizzazione delle tipicità regionali, ovviamente in primis il Radicchio di Chioggia IGP, nuove funzioni economiche per ridurre i costi di transazione e/o le divergenze territoriali di prezzo mediante sistemi di vendita telematica che utilizzano in tempo reale le informazioni sui prezzi e sulla disponibilità del prodotto sino alla costituzione di una vera e propria “borsa merci regionale” per quanto riguarda il prodotto “radicchio”. Si deve pensare ad un Mercato con spazi riservati a sede operativa per i Consorzi di Tutela, per una Piattaforma, un Cash & Carry, una Logistica, ma anche centro di formazione e punto di informazione, sede di un Centro Elaborazione Dati (in mancanza oggi di un catasto stabile a valenza pubblica delle superfici investite a radicchio per la conoscenza e la gestione attraverso la denuncia ai rispettivi Consorzi di Tutela anche delle superfici destinate entro l’area delimitata dal disciplinare alle stesse produzioni anche se non interessate al riconoscimento) e per finire nel diventare sede di convegni tematici e di mostre mercato. Un Mercato che deve diventare una sorta di “cittadella dell’orticoltura motivato dalla necessità di un riposizionamento del settore nel più complesso panorama nazionale e per aspirare ad essere riconosciuto come “Capitale del Radicchio”. Ciò non deve sembrare una utopia o una richiesta remota e senza senso, al contrario è una richiesta che il nostro territorio può avanzare supportata da dati produttivi oggettivi perché oltre il 50% di radicchio prodotto in Veneto proviene da questa area. Il Chioggia, il Verona, il Treviso e il Castelfranco hanno ottenuto tutti il riconoscimento europeo, come pure altri prodotti del Polesine. Questo particolare ed importante obiettivo raggiunto va utilizzato, e la riorganizzazione del sistema, obbligatoriamente necessaria - pena l’implosione e il declino - deve avere obiettivi importanti e di alto spessore, non limitandosi a correttivi minimali, che sortirebbero probabilmente solo l’effetto di allungare di poco l’agonia del comparto.
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RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP,
il buono che fa bene
Nell’ambito del progetto regionale sulla “Caratterizzazione della qualità dell’ortofrutta veneta e dell’ambiente di produzione” (2013), l’Università degli Studi di Padova è stata coinvolta come partner esterno per la caratterizzazione qualitativa e salutistico-nutrizionale dei principali prodotti orticoli tipici della regione Veneto. A tale proposito è stato coinvolto il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Paolo Sambo afferente al dipartimento DAFNAE (Department of Agriculture, Food, Natural resources, Animals and Environment). Questa la “carta d’identità” nutrizionale del Radicchio di Chioggia IGP misurata dalla Università di Padova 66
“Il Radicchio di Chioggia IGP è un ortaggio che si distingue per l’elevato contenuto di antiossidanti legati alla tipica colorazione rossa delle foglie e al caratteristico gusto leggermente amaro. La capacità antiossidante totale fornita da una porzione di radicchio di Chioggia IGP risulta mediamente superiore del 65% e del 60% rispetto ai contenuti medi di pomodoro e lattuga. Sono inoltre presenti composti che migliorano ulteriormente le potenzialità salutistiche del Radicchio di Chioggia IGP rappresentati dall’acido clorogenico che presenta importante azione antibatterica, antiossidante e dell’acido cicorico che ha funzione anti-tumorale, riduce l’insorgenza di obesità e diabete e possiede proprietà antivirali. Molto interessante anche il contenuto di composti amari di questo prodotto. Tali sostanze infatti oltre a contribuire alla formazione del gusto particolare del Radicchio esplicano una funzione antinfiammatoria, vaso protettiva e coleretica (con stimolo delle secrezioni biliari), con i conseguenti effetti depurativi ed epatoprotettivi, infine presenta anche effetti positivi per la memoria. La caratterizzazione qualitativa del Radicchio di Chioggia IGP precoce ha messo in evidenza il buon contenuto di minerali e la maggiore presenza di potassio
(+8%) e vitamina C (+46%) rispetto ai valori presenti nei database nazionali (INRAN). Tra gli altri aspetti è importante mettere in evidenza come, sempre rispetto ai valori nazionali di riferimento precedentemente citati, il Radicchio di Chioggia IGP precoce presenti un tenore di zuccheri disponibile superiore (maggiore dolcezza) e valori di fibra inferiori del 50% a giustificazione della particolare croccantezza di questo prodotto. La tipologia “tardivo” presenta caratteristiche molto simili a quanto descritto per il “precoce” anche se questo prodotto risulta influenzato in parte dal diverso periodo di coltivazione (semina in estate e raccolta a partire da settembre). Si notano infatti un maggiore contenuto di sali minerali che ne conferiscono un sapore leggermente più marcato e un contenuto di sostanze antiossidanti (polifenoli e antociani) più elevato. Leggermente inferiore invece risulta essere il contenuto di sostanze amare. Nei confronti degli altri radicchi IGP campionati (Treviso Tardivo, Verona tardivo e Variegato di Castelfranco) quelli di Chioggia si caratterizzano per la minore fibrosità e il gusto più marcato, cui sono associate molte delle caratteristiche salutistiche”.
Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio Didascalia per schede radicchio
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La biodiversità
E IL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP Il protocollo Biodiversity Friend (BF) considera gli impatti ambientali delle attività agricole sulla qualità degli ecosistemi e sulla biodiversità. BF ha l’obiettivo di definire un quadro completo delle interazioni di un prodotto o di un servizio con la diversità biologica del territorio. Il nuovo standard suggerisce, inoltre, strategie operative per migliorare la qualità ambientale, con lo scopo di rendere minimo l’impatto delle attività agricole sugli agrosistemi e sulla loro biodiversità.
ISOTOPI DEL CARBONIO E AZOTO, LE IMPRONTE DIGITALI DEL RADICCHIO DI CHIOGGIA IGP Tracciabilità isotopica: indagini in ambito ambientale ed ecologico
che sul sedimento in cui è cresciuto il Radicchio di Chioggia IGP e i valori dei rapporti isotopici del carbonio e dell’azoto sono risultati simili, oscillando tra il 38,6 e 40,7% il primo e con qualche punto percentuale in più il secondo, forse a causa dei fertilizzanti usati nel terreno. Si può supporre, quindi, che l’isotopo del carbonio e dell’azoto possano essere utilizzati per confermare l’origine della provenienza del prodotto, dando il giusto riconoscimento ai prodotti tipici come il Radicchio di Chioggia IGP ed evitando le eventuali frodi agroalimentari.
Le tecniche di analisi isotopiche sono state sviluppate all’inizio degli anni ‘80 in Francia, presso Università di Nantes, rappresentano una tecnica di indagine versatile ed innovativa i cui campi di applicazione sono molto vasti, spaziando dagli studi geologici ed idrogeologici, di carattere ambientale o legati alla valutazione di diversi tipi di inquinamento, fino alla individuazione delle sofisticazioni alimentari. In poche parole attraverso delle misurazioni degli isotopi è possibile identificare la natura originale di un prodotto, fissandone una sorta di carta d’identità grazie alla quale poi diventa riconoscibile un prodotto originale dalla sua riproduzione. Nel caso del radicchio di Chioggia IGP le analisi isotopiche sono state condotte sia sulle piante Lo studio condotto nel 2014 e 2015 dall’associazione WBA (World Biodiversity Association) onlus sulla “Caratterizzazione qualitativa degli ambienti di coltivazione dei prodotti ortofrutticoli del Veneto” (DGRV n. 2860 del 30/12/2013) ha messo in evidenza che la conservazione della biodiversità nei territori di produzione del Radicchio di Chioggia IGP avrà sempre maggior importanza nel futuro dell’agricoltura veneta
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“La diversità della Vita intorno a noi è una delle risorse fondamentali per l’Uomo, come le risorse idriche e quelle energetiche. Il mantenimento di un’elevata biodiversità nell’ambiente deve rappresentare un obiettivo irrinunciabile per le attività produttive, soprattutto nel settore primario. L’agrosistema, cioè un ambiente controllato dall’uomo e caratterizzato dalla stretta convivenza tra specie vegetali e animali che allacciano rapporti stabili tra loro, non può essere considerato un vero ecosistema; tuttavia, rappresenta la migliore delle soluzioni possibili per garantire, nel contempo, qualità dell’ambiente e qualità delle produzioni. L’agricoltore moderno deve, quindi, porsi il problema di come favorire la biodiversità in azienda e gestire i rischi di una sua possibile riduzione, in quanto è stato accertato lo stretto rapporto tra qualità biologica dell’ambiente e qualità dei prodotti. Il ricorso a tutte le “buone pratiche Paolo Fontana agronomiche” che garantiscono la conservazione della fertilità dei suoli, la corretta gestione delle risorse idriche, il controllo delle infestanti e dei parassiti attraverso metodi a basso impatto ambientale, contribuisce al mantenimento della biodiversità negli agrosistemi. E proprio nell’ambito del nostro studio sulla qualità degli ambienti di produzione, finanziato dalla Regione Veneto, abbiamo potuto analizzare la qualità biologica di suolo, acqua e aria di molte aziende che compongono il territorio di produzione del Radicchio di Chioggia IGP. Partendo da studi precedenti e attraverso il riconoscimento direttamente in campo di bioindicatori (organismi viventi come alcuni tipi di insetti terrestri o acquatici, oppure i licheni epifiti) siamo riusciti a verificare che, nel complesso, anche i territori agricoli che presentano una tessitura data prevalentemente da sabbia presentano valori mediamente sufficienti o buoni, con alcuni valori sia molto alti, ma anche con alcuni valori molto bassi. Abbiamo riscontrato che aziende che garantiscono al proprio interno delle aree di rifugio (come capezzagne e fossi) e applicano pratiche agricole rispettose (come le rotazioni o il ridotto uso di agrofarmaci) sono molto frequenti e fungono da vere e proprie “isole ecologiche”. Detto questo, permetteteci di concludere con un doveroso “Grazie” agli agricoltori, primi “custodi” della tutela del territorio. Paolo Fontana
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RADICCHI
Veneto
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I Radicchi Veneti IGP
Sono cinque gli alfieri veneti tra i radicchi IGP: il Chioggia, il Verona, Il Rosso di Treviso tardivo, il Rosso di Treviso precoce e il Variegato di Castelfranco IL RADICCHIO ROSSO DI TREVISO IGP TARDIVO È localmente noto come “radicio spadòn”, spadone, cioè a forma di spada. Questa caratteristica regale non è seconda all’altra, quella del colore porpora vivo tendente al viola, che contribuisce in egual modo a stimolare la sua fama nel mondo. Il Radicchio Rosso di Treviso IGP Tardivo è il re dei radicchi. Prima di raggiungere le tavole dei gourmet che sanno apprezzarlo, richiede settimane di pazienti lavorazioni manuali. Per essere l’autentico Radicchio Rosso di Treviso IGP deve provenire dall’area tipica posta tra le provincie di Treviso, Padova e Venezia e deve essere ottenuto secondo la tradizionale tecnica della forzatura ed imbianchimento durante la quale i mazzi, dopo la raccolta - che avviene normalmente a partire dai primi di novembre e comunque dopo due brinate - vengono posti in vasche riempite con acqua corrente di risorgiva alla temperatura di circa 11°C, immersi fino in prossimità del colletto. In tali condizioni essi formano nuove foglie che, in assenza di luce e quindi prive o quasi di pigmenti clorofilliani, evidenziano la colorazione rosso intensa della lamina fogliare perdendo la consistenza fibrosa. Dopo
circa quindici giorni, cioè una volta ottenuti i nuovi germogli, si procede alla toelettatura, lavaggio e confezionamento. Una volta pronto, all’aspetto, si presenta nella tipica forma lanceolata, con germogli regolari e compatti che tendono a chiudersi all’apice. Il lembo fogliare si presenta di colore rosso intenso con una nervatura principale di colore bianco, il cespo è corredato di una porzione di radice fittonante perfettamente toelettata e di lunghezza proporzionale alla dimensione del cespo, comunque mai superiore a 6 cm. La sua forma inconfondibile lo rende oltremodo regale nell’aspetto, unico nel sapore con quel gusto adulto, gradevolmente amarognolo e croccante.
Il Radicchio Rosso di Treviso IGP è un ortaggio a foglia ottenuto da piante della famiglia delle Composite, della specie Cichorium intybus L., varietà Silvestre che comprende i tipi Tardivo e Precoce
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RADICCHIO ROSSO DI TREVISO PRECOCE Nella tipologia Precoce, già in pieno campo, i cespi vengono legati al fine di inibire il normale processo di fitosintesi, per il tempo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione. Nella fase successiva, i cespi vengono liberati dalla legatura e mondati dalle foglie esterne non idonee e quindi si effettua la toelettatura del colletto e del fittone. Il Radicchio Rosso di Treviso IGP Precoce è caratterizzato da un cespo voluminoso e ben chiuso. Le foglie sono di colore rosso intenso, con una nervatura principale molto accentuata di colore bianco. Il sapore è leggermente amarognolo e la consistenza mediamente croccante. RADICCHIO VARIEGATO DI CASTELFRANCO IGP L’origine del Radicchio Variegato di Castelfranco IGP non è nota ma la sua storia e la sua tradizione sono strettamente legate a quella del Radicchio Rosso di Treviso tardivo. Deriva infatti quasi certamente da un incrocio di quest’ultimo con la scarola, ottenuto proprio nella zona di Castelfranco Veneto: alla scarola appartiene sicuramente la caratteristica foglia larga, spessa e di colore bianco-crema, mentre dal rosso tardivo sembra derivare la colorazione intensa e brillante delle variegature e la naturale predisposizione alla forzatura ed imbianchimento. Il prodotto che ne deriva, oltre che delizioso al palato, è tanto bello da aver suggerito per lui il nome di “rosa di Castelfranco” o “fiore che si mangia”. Il Radicchio variegato di Castelfranco IGP si presenta, a maturazione, con cespo bello di forma e splendido di colori, con diametro minimo della “rosa” di 15 cm; partendo dalla base del cespo si ha un giro di foglie piatte, un secondo giro di foglie un po’ più sollevato,
Il Variegato di Castelfranco deriva certamente da un incrocio tra il radicchio rosso di Treviso con la scarola, ottenuto proprio nella zona di Castelfranco Veneto: alla scarola appartiene sicuramente la caratteristica foglia larga, spessa e di colore bianco-crema, mentre dal rosso tardivo sembra derivare la colorazione intensa e brillante delle variegature e la naturale predisposizione alla forzatura ed imbianchimento
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Storia del Tardivo
Il radicchio cominciò la sua storia in Italia nel XVI secolo nella provincia di Treviso. Divenne dapprima alimento per la povera gente, ma successivamente si guadagnò uno spazio importante su tavole molto più nobili. Il Tardivo è un prodotto unico e inimitabile, espressione della tipica cultura rurale del Trevigiano tanto che sono molte le leggende sulla sua origine. È dall’Ottocento che si hanno notizie certe della sua produzione. Ne l’Agricolo, Almanacco per il 1862, sta scritto che fra i vari lavori del mese di dicembre... “si rincalzano i cavoli ed i broccoli, s’imbiancano, nella terra coperta di foglie secche, i radichi bianchi e rossi”. Sembra questa la prima notizia ufficiale di un radicchio rosso imbianchito sotto foglia. La tecnica, peraltro nota da secoli in Veneto e suggerita dalla stessa natura, fu presto perfezionata tanto che pochi anni dopo (1870) si legge, da un’inchiesta del Consorzio Agrario di Treviso, che “...Nella stagione invernale, specialmente, si fa un importante commercio del radicchio rosso, il quale ha già acquistato buona rinomanza in tutta Italia per la sua bellezza (che somiglia ad un fiore) e pel suo gusto...”.
un terzo giro ancora più inclinato e così via fino ad arrivare al cuore. Il fittone è proporzionato al cespo e non più lungo di 4 cm. Le foglie sono spesse con bordo frastagliato e lembo ondulato, di forma rotondeggiante e colore bianco-crema con variegature distribuite in modo equilibrato con tinte dal viola chiaro al rosso violaceo e al rosso vivo. Il loro sapore va dal dolce al gradevolmente amarognolo, molto delicato. Il tradizionale processo di lavorazione del prodotto inizia con la forzatura-imbianchimento, è l’operazione che consente di esaltare i pregi organolettici, merceologici ed estetici del radicchio Variegato di Castelfranco IGP. Si realizza ponendo i cespi in condizioni di formare nuove foglie che, in assenza di luce, sono prive o quasi di pigmenti clorofilliani, mettono in evidenza la variegatura sullo sfondo della lamina fogliare, perdono la consistenza fibrosa, assumono croc-
mento del fittone in misura proporzionale al cespo. In tavola la tradizione locale lo vuole utilizzato soprattutto crudo, semplicemente in insalata, ciò non toglie che lo si possa utilizzare in moltissime altre maniere: come base per insalate arricchite da altri gusti o condite in modo più sofisticato, oppure come ingrediente per risotti, minestre, cotture e persino fritture.
Storia del Radicchio di Verona
“Cicoria rossa”, così venivano chiamati i primi radicchi coltivati nell’alta pianura veronese negli interfilari delle piante da frutto e della vite e presenti già alla fine del Settecento nei “broli” (orti cittadini), l’inchiesta agraria Jaccini del 1882 ne ricorda la presenza. La coltivazione si specializzò con l’introduzione della tecnica dell’imbianchimento, importata in Italia alla fine del XVIII secolo dal belga Francesco Van Den Borre. Le prime vere coltivazioni di Radicchio di Verona, destinate al mercato, iniziano ai primi del Novecento.
cantezza ed un sapore gradevolmente amarognolo. La forzatura avviene immergendo i cespi verticalmente in acqua sorgiva a circa 11 °C fino alla prossimità del colletto, per il periodo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione, oppure, in ambienti riscaldati o anche direttamente in pieno campo, garantendo un giusto grado di umidità all’apparato radicale, riducendo l’intensità della luce e favorendo lo sviluppo dei germogli in ogni cespo. Infine seguono le operazioni di toelettatura con le quali si asportano le foglie deteriorate o con caratteristiche non idonee, si esegue il taglio e lo scorteccia-
RADICCHIO DI VERONA IGP Dalla forma ovale allungata, foglie compatte di colore rosso scuro intenso abbellite da una nervatura principale bianca, molto sviluppata, il Radicchio di Verona IGP può essere di tipo precoce” e “tipo tardivo”. Le due tipologie si differenziano esclusivamente per il periodo raccolta che, nel caso del tardivo, inizia dal primo di ottobre. Dopo l’espianto dal campo viene sottoposto alla pratica dell’imbianchimento: viene collocato all’aperto e posizionato in cumuli, poi ricoperti con un telo di nylon opaco o con la paglia; viene lasciato così al buio per 20 giorni in modo da far ripartire l’attività vegetativa e l’assorbimento delle sostanze nutritive dalle radici. In questo modo, nelle nuove foglie, la costolatura acquisisce il colore bianco perlato e la tipica croccantezza, riducendo contemporaneamente l’amaro. Questa fase avviene a basse temperature, sotto i 10°C (con temperatura ottimale attorno a 0°C). In seguito, i cespi vengono sottoposti a toelettatura, in cui si eliminano le foglie esterne, si riducono le radici a 3-5 cm per finire con il lavaggio. Il Radicchio di Verona IGP ha foglie sessili, intere, con margine privo di frastagliature e piegate a doccia verso l’alto. Le foglie sono di colore rosso scuro intenso e, addossandosi le une alle altre, danno al cespo la forma di tipico grumolo compatto. La nervatura principale del radicchio, molto sviluppata, è di colore bianco e il gusto è croccante e leggermente amarognolo. In cucina è molto versatile, si può consumare crudo o cotto, nelle insalate o come ingrediente principale di numerose ricette tradizionale della cucina veneta. È ottimo nei risotti, ma preparato in pinzimonio, ai ferri e saltato in padella accompagna egregiamente anche piatti di carne e formaggi.
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I prodotti DOP e IGP Polesani
La terra del Polesine, soprattutto quella del Delta del Po, è uno degli ambiti di produzione del radicchio di Chioggia, ma ha anche produzioni specifiche di eccellenza certificate Dop o Igp L’Insalata di Lusia IGP è un ortaggio a foglia larga allo stato fresco appartenente alla famiglia della Asteracee, genere Lactuca, specie Sativa, nelle due varietà: Capitata (denominata Cappuccia) e Crispa (detta Gentile). L’Insalata di Lusia IGP ha fusto corto, molto carnoso, sul quale si inseriscono le foglie di numero, forma, dimensione e colore variabile in base all’andamento climatico; le foglie sono morbide per l’assenza di fibrosità, accompagnata dalla turgidità che permane anche dopo 10-12 ore dalla raccolta. Al gusto è fresca, croccante e sapida, tanto da non richiedere sale
da cucina nel condimento, particolarità riconducibile alla ricchezza di sali minerali nei terreni di coltivazione. In cucina si accompagna a secondi piatti a base di carne o pesce, ma può essere un gustoso piatto unico abbinata ad altra verdura cruda, legumi, cereali, tonno, formaggi e quant’altro secondo i gusti personali.
Un po’di Storia
Alla fine del 1800 i terreni di Lusia e dei comuni limitrofi furono ricoperti da uno spesso strato di sabbia riversato dall’alluvione del fiume Adige. La formazione di un nuovo suolo molto permeabile costrinse gli abitanti ad abbandonare le colture tradizionali (grano e mais). Ma già dai primi anni del 1900 fecero la loro comparsa le colture orticole che, grazie alle caratteristiche del nuovo terreno e l’abbondante disponibilità di acqua derivata dall’Adige, consentivano delle produzioni di qualità. Negli anni ‘30 su alcuni quaderni manoscritti da produttori della zona compariva il termine di insalata che si utilizzava per indicare in modo generico sia le lattughe sia le indivie e, nel 1933, la dicitura “latuga” o “salata” che indicava la lattuga Cappuccia. La prima documentazione statistica risale agli anni ‘50 e nei dati del 1956, le “insalate” risultano essere il secondo prodotto, per quantità, transitato per il mer-
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cato locale, dopo la patata. Negli anni ‘60 alcuni commercianti della zona, grazie agli scambi commerciali con il mercato ortofrutticolo di Verona, notarono la lattuga Gentile. Questa insalata fu presto introdotta nelle aziende locali che, grazie alle favorevoli condizioni pedo-climatiche e alla selezione genetica varietale, hanno raggiunto ottime produzioni qualitative e quantitative.
Il Riso del Delta del Po IGP va conservato in luogo fresco e asciutto, al riparo da luce e fonti di calore; presenta una particolare sapidità ed aroma che permette di distinguerlo da quello prodotto in zone non salmastre. Queste caratteristiche sono legate al territorio che consente al riso di raggiungere un levato tenore proteico, maggiori dimensioni del chicco che determinano una buona resistenza alla cottura tali da essere preferito per esaltare i risotti più pregiati. AGLIO BIANCO POLESANO DOP L’Aglio Bianco Polesano DOP è una pianta appartenente alla specie Allium sativum L., caratterizzati da bulbi di colore bianco brillante uniforme, di forma regolare e compatta, leggermente appiattiti nel punto di inserimento dell’apparato radicale. Le foglie, lanceolate e strette hanno una colorazione verde azzurra. La DOP è ottenuta a partire da ecotipi locali nonché dalla varietà Avorio che è stata selezionata partendo dagli stessi ecotipi. L’Aglio Bianco Polesano DOP si conserva al meglio se posto in luogo fresco, asciutto e ben areato. Se consumato fresco se ne apprezzano tutte le caratteristiche organolettiche e le innumerevoli proprietà benefiche. In cucina può essere utilizzato in modi diversi, a crudo, intero o sminuzzato, secco in polvere o spremuto, regalando ad ogni preparazione un sapore unico; è ingrediente ideale per molti piatti, dagli spaghetti aglio, olio e peperoncino alle zuppe e negli stufati.
RISO DEL DELTA DEL PO IGP Il Riso del Delta del Po IGP si riferisce al prodotto ottenuto dal cereale appartenente alla specie Oryza sativa L., sottospecie Japonica, nelle varietà: Carnaroli, Volano, Baldo e Arborio. Il Riso del Delta del Po IGP presenta un chicco grande, cristallino, compatto, con un elevato tenore proteico e può essere bianco o integrale; ha grande capacità di assorbimento, poca perdita di amido e buona resistenza durante la cottura.
COZZA DI SCARDOVARI DOP La Cozza di Scardovari, appartenente alla specie Mytilus galloprovincialis, è un mollusco bivalve dalla conchiglia nero-violacea di forma allungata. Le valve sono bombate, uguali, di forma quasi triangolare con sottili striature concentriche. Dalla conchiglia escono filamenti bruni assai robusti, chiamati “bisso”, mediante i quali il mitile si fissa alle reti dette “reste” o ad altri sostegni. La Cozza di Scardovari DOP può essere utilizzata per la preparazione di ottimi antipasti, primi e secondi piatti; rientra anche tra gli ingredienti dell’insalata di mare, degli spaghetti allo scoglio e del risotto ai frutti di mare. Può essere consumata da sola, spruzzata con succo di limone, sale, pepe e prezzemolo. La prima Cooperativa di pescatori locali della Sacca di Scardovari è del 1936. La trasformazione del territorio nel secolo scorso è stata molto rapida, sia grazie alla mano dell’uomo, sia per effetto di fattori naturali tanto che la configurazione attuale della Sacca di Scardovari si raggiunge dopo l’alluvione del 1966. È a partire da questo momento, che venne iniziata la sperimentazione dell’allevamento di mitili in piccoli vivai all’interno della Sacca, come alternativa alla pesca in mare.
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Un po’di Storia
Erica da Ponte - Natura morta con aglio
L’AGLIO I primi accenni di tale coltura risalgono ai Romani, presenti nell’area tra il I e V secolo d.C., che operando interventi di centuriazione e bonifica hanno fortemente influito sulla conformazione e assetto idrogeologico del territorio. Le prime descrizioni della sua coltivazione sono reperibili in pubblicazioni dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, risalenti al XVI secolo: “... Le campagne di Rovigo producono soprattutto frumento, granoturco, barbabietole da zucchero ed uva...Notevole importanza per la zona di Selva assumono gli erbai, i prati avvicendati, le patate e l’aglio...”. La zona di Selva comprende gli attuali Comuni di Pontecchio Polesine, Crespino e Ceregnano. Attorno a tale prodotto si creò un’attività di commercio tale da far sì che la piazza di Rovigo, nei secoli, fosse punto di riferimento. Già negli anni ‘60, l’Aglio Bianco Polesano era famoso per le ricercate caratteristiche commerciali e la capacità di fornire valori elevatissimi di produzione lorda vendibile, e già allora veniva esportato nei mercati di Cuba, Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Francia; questo ortaggio è così diventato un elemento di sviluppo economico tale da essere definito “l’oro bianco del Polesine”.
Ettore Tito - Mondine in Polesine (1885)
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IL RISO Pochi decenni dopo la diffusione del riso nella pianura Padana (1450) compaiono le prime documentazioni sulla presenza di coltivazioni in Polesine, in particolare nel territorio del Delta del Po: infatti questa coltura era strettamente legata alla bonifica che permetteva di accelerare il processo di utilizzazione dei terreni salsi da destinare poi alla rotazione colturale, come testimoniato da una legge della Repubblica Veneta del 1594 che proibisce la concessione dell’acqua a questa coltura e dà la possibilità di coltivare il riso solo “per valli ed altri luochi sottoposti alle acque, stimati impossibili di asciugarli in tutto e di rendersi ad alcuna coltura”. Verso la fine del ‘700 ad opera di alcuni patrizi veneziani iniziò la sistematica coltura del riso nei territori bonificati, che si diffuse così tanto da influenzare la cultura locale e lo sviluppo sociale dell’area. L’isolamento e la particolare natura del
terreno emerso e il suo continuo espandersi per le torbide dei rami del Po nel corso dei secoli XVI e XVII, hanno fatto del Polesine una terra eletta per il riso, in quanto l’isolamento impediva la diffusione delle fitopatologie come il “brusone”, e la disponibilità di terre nuove consentiva la risaia avvicendata anche in presenza di terreni stanchi. Quando il prezzo del riso, tra il 1825 e il 1835, supera il prezzo del grano, con incrementi che si protraggono per oltre un decennio, in Polesine la risaia supera gli 11.000 ettari d’investimento. Sul finire dell’800 si riduce ai 6.900 ettari a causa del crollo del prezzo del riso per la concorrenza del riso orientale, la cui penetrazione commerciale è facilitata dall’apertura del Canale di Suez e dalla riduzione dei suoli. La crisi così innescata prosegue nel 1900 e riduce l’investimento a circa 2.500 ettari nelle sole marine; oggi le risaie del Delta del Po coprono circa 9.000 ettari di territorio.
DOP e IGPin simbiosi
con il Principe Rosso di Chioggia Per varie ragioni (storiche, geografiche e affettive), alcuni prodotti DOP e IGP hanno un legame con il territorio del Radicchio di Chioggia IGP. Lo hanno sicuramente i vini DOP dei Colli Euganei, i formaggi Piave DOP e Montasio DOP e il Pomodoro di Pachino IGP
COLLI EUGANEI DOP Il Colli Euganei DOP comprende le seguenti tipologie di vino: Bianco, Rosso, Spumante e Novello (solo con indicazione da vitigno). La Denominazione include anche numerose specificazioni da vitigno. Il Colli Euganeo DOP Bianco ha un colore che va dal giallo paglierino con riflessi verdognoli all’ambrato; il profumo è mediamente intenso con note di fiori e fruttato leggero; in bocca è da snello a pastoso, da vivace a ben strutturato, sapido. Il Colli Euganei DOP Rosso ha un colore che varia dal rosso rubino a tonalità più intense e cupe; i profumi sono di frutti di bosco, di frutti rossi, ricchi, nelle varie tipologie, di erbaceo, liquirizia, tabacco o cacao; il sapore è asciutto, da poco a mediamente tannico. Può presentare la menzione Riserva se sottoposto a un affinamento di almeno 24 mesi a decorrere dal primo
novembre dell’anno di produzione delle uve. Il Colli Euganei DOP Spumante è di colore giallo con riflessi dorati e spuma evanescente; il profumo è delicato ed elegante. Il Colli Euganei DOP Novello con menzione del vitigno ha caratteristiche organolettiche tipiche delle uve e del terroir di provenienza. L’uvaggio del Bianco e dello Spumante: Garganega minimo 30%, Tai e/o Sauvignon minimo 30%, Moscato bianco e/o Moscato giallo %-10%, da soli o con aggiunta di uve a bacca di colore analogo provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito dell’area interessata fino ad un massimo del 30%. L’uvaggio del Rosso (anche Riserva): Merlot 40-80%, Cabernet Franc e/o Cabernet Sauvignon e/o Carménère 20-60%, Raboso Piave e/o Raboso Veronese massimo 10%.
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il Colli Euganei DOP può presentare le specificazione dei vitigni sotto indicati. • Da vitigno bianco: Serprino (sinonimo locale del vitigno Glera, anche Spumante, Frizzante), Tai, Sauvignon, Chardonnay, Garganega, Moscato (anche Spumante), Pinello (anche Spumante, Frizzante), Pinot bianco, Manzoni bianco, ciascuno minimo 85%, da soli o con aggiunta di uve a bacca di colore analogo provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito dell’area interessata fino ad un massimo del 15%; per il Moscato, ottenuto da Moscato giallo, minimo 90%, da solo o con aggiunta di uve a bacca di colore analogo provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito dell’area interessata fino ad un massimo del 10%.
• Da vitigno rosso: Cabernet (da Cabernet Franc e/o Cabernet Sauvignon e/o Carménère, anche Riserva), Cabernet Franc (anche Riserva), Cabernet Sauvignon (anche Riserva), Merlot (anche Novello, Riserva), Raboso (da Raboso Veronese e/o Raboso Piave anche Riserva), Carménère (anche Riserva), ciascuno minimo 85%, da soli o con aggiunta di uve a bacca di colore analogo provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito dell’area interessata fino ad un massimo del 15%. Le caratteristiche di colore, profumo e gusto di ciascuna specifica sono quelle tipiche del vitigno e del terroir di provenienza.
Vini dei Colli Euganei DOP
Trenta milioni di anni fa gli Euganei non esistevano. Non esisteva neppure la Pianura Padana al posto della quale c’era un estesissimo mare. Il fondo del mare era formato dal depositarsi di fanghi, argille, materiali sospesi e organismi marini che al termine del loro ciclo vitale cadevano a picco. Tutto ciò andò a formare strati di rocce sedimentarie. Ad un certo momento, sotto a questi strati di roccia iniziò una certa inquietudine: eruzioni sottomarine, colate di lave, sorde esplosioni di tufi. Dall’interno della crosta terrestre, come attraverso siringhe con l’ago puntato all’insù, viscosissimi magmi iniziarono ad essere estrusi da possenti pressioni capaci di sollevare il fondo del mare. In alcuni punti i magmi inarcano le rocce sedimentarie, in altri si infilano tra uno strato e l’altro, in altri ancora li rompono fuoriuscendo in forma di coni. Non si tratta di vulcani come l’Etna, lo Stromboli, il Vesuvio. Si tratta piuttosto di corpi eruttivi che formano bolle, le maggiori delle quali finiscono con l’emergere addirittura dal pelo dell’acqua, esattamente come isolotti. Ecco, sono questi isolotti all’inizio gli Euganei. I magmi sono ciò che poi chiameremo trachite, riolite,
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latite - a seconda del variabile contenuto in silice che l’uomo userà per lastricare, costruire, edificare. Le rocce sedimentarie sollevate dal magma sono ciò che poi chiameremo la scaglia rossa, il biancone, la marna, dalla cui degradazione verranno suoli adatti alle colture di viti ed olivi (oltre che la materia prima con cui verrà fatta la calce e il cemento). Il pendio che si eleva scattando è quello che poi garantirà microclima inattesi, tali da ospitare la macchia mediterranea nei versanti rivolti a sud (erica, ginestra, corbezzolo) e quella quasi alpina nei versanti rivolti a nord (bucaneve, giglio rosso, elleboro verde). Quando i detriti dei grandi fiumi formarono la Pianura Padana, restringendo le dimensioni del mare a quelle dell’Adriatico, questa zona restò per migliaia di anni una palude di acque sgrondanti dalle Prealpi rispetto alla quale le gobbe Euganee offriranno un approdo sicuro ai primissimi uomini: gli Euganei e poi ai Veneti. Verranno così costruiti insediamenti ai loro piedi e sui loro pianori, e monasteri e castelli sul colmo dei corpi eruttivi che oggi danno i nomi ai principali vini di questi unici declivi.
Il Colli Euganei Fior d’Arancio DOP comprende le seguenti tipologie di vino: Bianco, Spumante e Passito. Il Colli Euganei Fior d’Arancio DOP Bianco presenta un colore giallo paglierino di variabile intensità; al naso offre sensazioni aromatiche e caratteristiche; il sapore è intenso e spazia dal secco al dolce.
Il Colli Euganei Fior d’Arancio DOP Spumante ha un colore che va dal giallo paglierino al giallo con riflessi verdolini, la spuma è morbida e consistente; il profumo è persistente, intenso e tipico dell’uva che ricorda profumi citrini, la pesca bianca matura, i fiori di zagara, il biancospino, la salvia; il suo sapore è dolce ed equilibrato, piacevolmente aromatico con persistente freschezza, ammandorlato, con finale di agrumi. Il Colli Euganei Fior d’Arancio DOP Passito è di colore che varia dal giallo paglierino al giallo dorato talvolta ambrato; il profumo è complesso, intenso e caratteristico; al palato si offre dolce, aromatico e persistente. Non può essere immesso al consumo prima di un periodo di maturazione e affinamento di almeno un anno a decorrere dal primo novembre dell’anno di produzione delle uve. Durante tale affinamento, che precede la messa in bottiglia, il vino passito può compiere una lenta fermentazione che si attenua nei mesi freddi.
Il Bianco, Spumante e Passito devono essere ottenuti dalle uve del vitigno Moscato giallo per almeno il 95%, possono concorrere, fino ad un massimo del 5%, le uve di altri vitigni di varietà aromatiche, a bacca di colore corrispondente, presenti nei vigneti in ambito aziendale, idonei alla coltivazione nell’area interessata. FORMAGGIO PIAVE DOP Il nome del formaggio Piave deriva dall’omonimo fiume che caratterizza e attraversa tutto il territorio bellunese, la cui sorgente si trova sul monte Peralba in Val Visdende, nel territorio del Comelico, la parte più settentrionale della provincia di Belluno. La Denominazione di Origine Protetta “Piave” è riservata al formaggio di forma cilindrica, a pasta cotta, duro e stagionato. L’intero processo di produzione avviene nel territorio della provincia di Belluno. Qui, la sapiente opera dell’uomo contribuisce a conferire le specifiche proprietà organolettiche, poiché tradizionalmente utilizza nella trasformazione, latto- innesto e siero-innesto specifici, prodotti in loco rispettivamente da latte vaccino raccolto nel territorio montano della provincia di Belluno (ottenuto almeno per l’80% dalle razze bovine italiane Bruna, Pezzata Rossa e Frisona) e da siero di lavorazione. Il Piave DOP viene proposto nelle tipologie “fresco” (stagionatura 20-60 giorni), “mezzano” (stagionatura 60-180 giorni), “vecchio” (stagionatura oltre 6 mesi), “vecchio selezione oro” (stagionatura oltre 12 mesi), “vecchio riserva” (stagionatura oltre 18 mesi). Il sapore, in particolare nella tipologia fresco e si riscontra ancora nel mezzano, è inizialmente dolce e lattico. Procedendo con la stagionatura prevale una maggiore sapidità e diventa progressivamente intenso e corposo, mai piccante anche nelle stagionature più avanzate. Tutte le fasi del processo di produzione
Un po’di Storia
La produzione del formaggio Piave è stata tramandata di generazione in generazione nel bellunese e le sue origini risalgono alla fine del 1800 con la fondazione delle prime latterie turnarie montane d’Italia. Le prime produzioni “codificate” con il nome Piave risalgono al 1960, epoca in cui i cento quintali di latte al giorno, conferiti alla Latteria Sociale Cooperativa della Vallata Feltrina, venivano per un terzo destinate alla produzione di Piave e Fior di latte.
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hanno un’importanza fondamentale nella determinazione delle caratteristiche peculiari del formaggio Piave DOP, anche se a monte operano altri fattori che sono la qualità del latte, determinata dalle razze bovine, dalle modalità di allevamento e dalle zone di provenienza, oltre che, dalla composizione della ricetta, frutto della tradizione casearia locale. Il Piave DOP va conservato in luogo fresco e asciutto, fino al momento del consumo. La tipologia Piave DOP fresco è ideale se fatta fondere, con lasagne e crespelle o in zuppe di ortaggi; il mezzano è ottimo tagliato a dadini, a riccioli o a scaglie; il Piave DOP vecchio si abbina con tartine e risotti, viene impiegato anche come formaggio fritto, con polenta e crauti, prendendo il nome di “formai frit” tradizionale della cucina bellunese.
Gli allevamenti che forniscono latte ai fini della trasformazione in Formaggio Montasio DOP e i caseifici che lo producono, nonché gli stabilimenti di stagionatura devono essere ubicati nella zona di produzione. Le razze principalmente allevate sono la Bruno alpina e la Pezzata Rossa Italiana e la Pezzata Nera. L’alimentazione delle bovine, oltre ai cereali, soprattutto mais e orzo, si basa soprattutto su foraggi verdi e secchi (prati polifiti e medicali), e sugli insilati (prevalentemente mais). Il latte destinato alla DOP Montasio deve provenire dalla munta serale e da quella della mattina, fino ad un massimo di 4 mungiture consecutive e deve essere lavorato entro 30 ore dalla raccolta. La naturale presenza di una flora microbica termofila, nei prati/pascoli dell’area di produzione, permette di ottenere un prodotto unico nel panorama caseario, da consumare fresco ma anche stagionato, oltre 36 mesi senza alterarsi, ma cambiando nel tempo caratteristiche organolettiche. Ha sapore delicato e dolce da fresco, gradevole e piccante dopo la stagionatura, è comunque sorprendente in ogni momento della sua evoluzione. È ottimo a pasto, abbinato in ricette di primi e secondi piatti, o per la realizzazione di stuzzichini accompagnati da un calice di vino bianco o rosso. Viene usato da grattugia quando la stagionatura ha raggiunto almeno dodici mesi.
FORMAGGIO MONTASIO DOP La zona di produzione della DOP “Montasio” comprende l’intero territorio del Friuli-Venezia Giulia; in Veneto l’intero territorio delle provincie di Belluno e Treviso e parte del territorio di Venezia.
Un po’di Storia
Il Formaggio Montasio DOP nasce probabilmente intorno al 1200 grazie alla capacità casearie dei monaci dell’Abbazia di Moggio Udinese che ne diffusero la tecnica di produzione e deve il suo nome all’altopiano su cui sorgeva l’Abazzia: l’Altopiano di Montasio. La sua produzione si diffuse lungo le vallate delle Alpi Giulie e Carniche, per giungere poi nella pianura veneta e friulana; la sua espansione fu favorita anche dalla vicinanza con il “Canale di Ferro”, importante strada di comunicazione e di traffici mercantili fin dall’epoca romana.
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Documenti storici testimoniano che nel 1259 si contavano oltre 5.000 ovini nelle malghe del Montasio; una citazione precisa di questo formaggio, definito “Montasio vero”, risale al 1773, quando compare su un prezziario calmierato imposto ai “Botteghieri” dai Deputati della città di Udine. Da allora, tale nome risulta costantemente nei documenti mercantili che attraversano l’Italia nord-orientale a dimostrazione che di tale prodotto si faceva già commercio e quindi non era destinato solo l’autoconsumo.
Il Pomodoro di Pachino IGP Tondo Liscio a grappolo è costituito da bacche rotonde di colore rosso acceso mentre in quello a frutto singolo le bacche sono di colore verde tendente al verde scuro, il gusto è molto marcato. La varietà Costoluto ha frutti di grande dimensioni, di colore verde scuro intenso e brillante, che vira al rosso nel corso della maturazione. La polpa è soda ed è caratterizzata da un elevato contenuto zuccherino.
POMODORO DI PACHINO IGP Il Pomodoro di Pachino IGP è un ortaggio della specie Lycopersicum esclulentum Mill, che si distingue in tre varietà: Tondo Liscio (a grappolo o a frutto singolo), Costoluto e Cherry o Ciliegino. La coltivazione del pomodoro avviene in ambiente protetto, in serre e/o tunnel coperti. Durante il periodo estivo è possibile utilizzare anche reti anti-insetto. Il trapianto viene eseguito nel periodo agosto-febbraio, con l’eccezione della tipologia Cherry per la quale può essere effettuato tutto l’anno. La forma di allevamento è in verticale: si eseguono la potatura verde e, secondo necessità, anche la cimatura. L’irrigazione viene effettuata utilizzando acque di falda provenienti da pozzi situati nel territorio di produzione. La raccolta è manuale, di solito ogni 3-4 giorni.
Un po’di Storia
Le prime coltivazioni del Pomodoro di Pachino IGP risalgono al 1925 ed erano localizzate lungo la fascia costiera, in aziende che potevano disporre di acqua per l’irrigazione proveniente da pozzi freatici. A partire dagli anni Cinquanta si assistette ad un’ampia diffusione del pomodoro che proseguì fino ai giorni nostri, dovuta in particolare all’avvento delle prime serre, in forma di capanne artigianali, e alla profonda crisi che investì la viticoltura di queste zone negli anni Sessanta. Questo portò alla nascita delle prime forme associative che iniziarono la commercializzazione del prodotto sia sui mercati nazionali che esteri.
La varietà Ciliegino si caratterizza per il suo aspetto a ciliegia su un grappolo a spina di pesce, con frutti tondi, piccoli dal colore rosso molto acceso. Le condizioni pedoclimatiche della zona di produzione, caratterizzata da temperature elevate, estesa radiazione globale, tessitura dei terreni e qualità dell’acqua di irrigazione, conferiscono al Pomodoro di Pachino IGP le sue caratteristiche organolettiche distintive, fra cui il sapore dolce, la consistenza e croccantezza della polpa, la lucentezza del frutto, nochè la serbevolezza. Una delle peculiarità del Pomodoro di Pachino IGP è il suo periodo di conservazione che supera quello delle altre varietà di pomodori. Per assaporare al meglio il suo caratteristico sapore dolciastro è ideale consumarlo crudo. Può essere comunque utilizzato anche in cottura per condire, esaltare e decorare i piatti della cucina mediterranea. Fresco è ottimo ingrediente nelle insalate miste, nelle paste fredde e per insaporire minestroni o primi piatti. È perfetto nella pizza. Antiche tradizioni siciliane prevedono l’essiccazione del pomodoro e la sua conservazione in olio extravergine di oliva. In questo modo viene utilizzato negli antipasti e sulle tartine, nei paté, in abbinamento a carni lesse e per la preparazione di panini e tramezzini. La varietà datterino. La denominazione di pomodoro Pachino Igp ora comprende anche il datterino che è una varietà di piccole dimensioni dalla forma allungata, ogni grappolo di pomodoro datterino ha una forma a di lisca di pesce. Ha un grado zuccherino più elevato rispetto ad altre tipologie di pomodoro e questo lo rende particolarmente gustoso da un sapore aromatico molto intenso. Il pomodoro datterino è ricco di sali minerali, vitamina A e vitamina C ad azione riparatrice e rigeneratrice su tutte le cellule dell’organismo.
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Chioggia:
I SUOI PRODOTTI, LA SUA IDENTITÀ, IL SUO ENTROTERRA In un momento cruciale della nostra storia in cui la globalizzazione rappresenta, oltre ad innegabili opportunità, anche un rischio reale per l’appiattimento delle culture locali e dell’identità dei luoghi e dei sapori, il Radicchio di Chioggia IGP è un prezioso valore aggiunto della storia umana di questo territorio. Ma non è il solo: anche altri prodotti ortofrutticoli tradizionali vengono coltivati o prodotti nell’areale a Indicazione Geografica Protetta del Radicchio di Chioggia ZUCCA MARINA DI CHIOGGIA La diffusione della coltivazione di diverse varietà di zucche sul territorio nazionale è dovuta alla notevole adattabilità e rusticità di questa orticola. Il Veneto è una delle regioni italiane dove l’ortaggio si è meglio acclimatato ed è coltivato in maniera intensiva per un consumo abituale. La Zucca Marina di Chioggia grazie alle doti di buona conservabilità del frutto era un ortaggio sempre presente nelle mense più povere nel periodo invernale, quando
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scarseggiavano altri prodotti dell’orto. L’influenza del mare sul clima di Chioggia e dintorni ha certamente contribuito al diffondersi di questa cucurbitacea che non ama le temperature basse e ha elevate esigenze termiche sia per la germinazione sia per la crescita (tra i 25 e 30 °C). Si presenta a tralcio lunghissimo con un frutto caratteristico e di immediata riconoscibilità, grosso, rotondo e schiacciato ai poli con evidente ombelico simile ad un turbante. Gli spicchi sono molto marcati, mentre la buccia ha una colorazione variabile dal verde scuro al grigio, ed è molto bitorzoluta. La pasta si presenta spessa e di colore giallo arancione, è zuccherina e molto saporita, mentre il peduncolo è lungo, grosso e consistente. Grazie alla particolarità della polpa, spessa, turgida, farinosa e priva di fibrosità la Zucca
Marina di Chioggia si può consumare lessata, al forno, in umido, fritta in fettine sottili, in zuppe, creme, minestre, minestrone, risotti e gnocchi. BARBABIETOLA ROSSA DI CHIOGGIA La barbabietola come la rapa, è alimento umile e antichissimo. Coltivata regolarmente e con continuità in tutta Europa già dal XVI secolo, ha trovato nella zona di Chioggia il luogo ideale per una produzione primaverile di particolare precocità, che ne consente una seconda produzione autunnale, mentre altrove è ortaggio solo estivo. Un tempo era molto conosciuta, apprezzata e largamente consumata e non è certo un caso se nella statistica del Mercato Ortofrutticolo di Chioggia dell’anno 1975 sono riportati ben 791 tonnellate annue di “erbette” commercializzate, una quantità quindi notevolmente più elevata quella degli ultimi anni. Un tempo il seme era prodotto solo in azienda ed era d’uso comune indicare la tipologia locale più pregiata come “erbetta del Doge”. La Barbabietola Rossa di Chioggia è una radice di aspetto fresco, colorazione esterna rosso brillante, più cupo a completa maturazione, di pasta bianca con evidenti caratteristici anelli rossi e succosi. La forma tipica è conico-rotondeggiante appiattita al colletto e deve presentarsi intera, liscia, senza lesioni o ammaccature, turgida e priva di odore o sapore estraneo; le dimensioni ottimali sono comprese tra 5 e 8 cm di diametro. Si consuma prevalentemente lessata e con poco condimento, anche saltata in padella, al forno, o tradizionalmente sotto la cenere (metodo di non facile realizzazione, ma sicuramente adatto a garantire il mantenimento di tutte le sue proprietà nutrizionali), ma si può consumare anche in gustose insalate miste e magnifiche vellutate. Le foglie e gli steli fogliari (manici) sono utilizzabili come qualsiasi altra verdura cotta. CAROTA DI CHIOGGIA Conosciuta già dai Greci e dai Romani, la carota ha trovato, durante il periodo della Serenissima terreni adeguati alla sua coltura nella zona meridionale della laguna veneziana, dove è stata a lungo coltivata per
autoconsumo negli orti domestici o per essere commercializzata nei mercati della città di Venezia. È solo negli anni sessanta del secolo scorso che questo ortaggio comincia ad avere un’importanza economica e diventa velocemente la produzione dominante e trainante di tutto il comparto orticolo della zona. È la particolare stagionalità e qualità della produzione a permettere la conquista di una larga quota di mercato nel Nord Italia e, negli anni successivi, nei mercati di tutta Europa. Tale è l’importanza della carota a Chioggia negli anni sessanta che Venezia viene indicata per prima in un elenco delle provincie nazionali in cui la produzione del prodotto è maggiormente praticata. L’influenza positiva del mare, il continuo rimescolamento dell’aria, i terreni leggeri che si riscaldano precocemente permettono un anticipo di produzione che consente alla Carota di Chioggia di essere la migliore e la più fresca disponibile sul mercato nel mese di maggio e nella prima metà di giugno. Il terreno fortemente sabbioso, inoltre, facilita molto le operazioni colturali e permette di raccogliere radici lisce, vivamente colorate e pulite. La carota è ricca di vitamina A, calcio e fosforo, è molto nutritiva, mineralizzante e diuretica. Si può consumare in infiniti modi: cruda al naturale, in insalate, lessata, in purea, in minestre, zuppe, creme, condimenti, sughi o in succhi. Può inoltre venire usata per preparare sfornati, dolci e torte. CIPOLLA BIANCA DI CHIOGGIA La cipolla è originaria dell’Asia del nord e della Palestina, da qui si è diffusa prima in Egitto e successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Le varietà coltivate sono numerose e differiscono per forma, stagionalità e colore. Tra queste, una delle più diffuse è la Cipolla Bianca di Chioggia. Chioggia è sinonimo di pesce e cipolla e quest’ultima era tradizionalmente usata dai pescatori per conservare il pesce nei casi di pescate abbondanti. Il clima mite di Chioggia permette un buon anticipo per le produzioni più precoci che si raccolgono già a maggio ed è la prima vera “tonda” ad apparire sui mercati. Mentre le estati calde, assolate ed asciutte consentono la perfetta maturazione di un’ottima produzione tardiva “agostana”, di qualità elevata e anche ben conservabile. La “agostana” si semina a marzo-aprile,
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Un po’di Storia
Nel Veneto la patata viene per la prima volta piantata nell’orto botanico di Padova. Molti agronomi, geologi e botanici si interessano alla sua coltivazione che rimase, in quegli anni, solo oggetto di curiosità del mondo accademico. In laguna, un’interessante prova di coltivazione si svolse nell’isola della Giudecca nel 1816 a opera di un veneziano, P.A. Zorzi, che, per conto del governo austriaco di Venezia, sperimentò positivamente l’adattabilità della coltura al nostro ambiente. Nonostante le prove di coltivazione e l’interesse degli austriaci alla diffusione della “solanacea”, alla patata nelle campagne in quell’epoca viene ancora preferita la semina del mais da polenta, alimento base della dieta veneta dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Grazie alle storiche tradizioni orticole della zona litomentre quella di “maggio” normalmente la si semina in semenzai a fine agosto per essere trapiantata tra ottobre e novembre. La cipolla la si consuma in infiniti modi: cruda al naturale in insalate miste, lessata, al forno e grigliata. È usata per preparare frittate, sughi, zuppe, minestre, salse, sotto aceti e sotto olio, non ché per i due famosissimi piatti della tradizione veneziana: il fegato alla veneziana e le sarde in “saor”. PATATA DI CHIOGGIA Le patate coltivate nella zona appartengono a tre varietà che si differenziano sia dal punto di vista merceologico, sia per la diversità di resistenza e produttività. La varietà “Bea” precoce ma delicata, ha buccia gialla, liscia e sottile, pasta giallo chiaro e tuberi di forma allungata e regolare. La varietà “Primiura” medio precoce, presenta buccia gialla, di medio spessore, liscia o finemente rugosa, pasta gialla e tuberi di forma allungata con le estremità leggermente tozze
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ranea di Chioggia, la Patata di Chioggia ha assunto nel tempo una notevole importanza; la sua coltivazione ha origini storiche certe, anche se elementi documentali risalgono solo alla fine degli anni ‘70 e si riferiscono ai dati statistici rilevati dal Mercato alla produzione di Brondolo. La varietà “Lisetta”, medio precoce, esteriormente simile alla “Bea” ma meno delicata e più produttiva, con buccia giallo chiaro, di medio spessore, liscia, pasta gialla e tuberi di forma ovoidale. Le patate si consumano in infiniti modi a seconda degli usi e dei gusti: lessate, in umido, fritte, arrosto, in purea, o per la preparazione di minestre, minestroni, zuppe sfornati, gnocchi e anche torte. PERE DEL VENEZIANO La coltivazione del pero nella Venezia Orientale viene introdotta massicciamente negli anni tra il 1920 e il 1930. L’innovazione e la diversificazione produttiva verso la frutticoltura è allora guidata dalle grandi aziende dell’epoca originate dalla bonifica degli inizi del secolo. Iniziatori di una realtà ancora oggi vitale ed economicamente interessante furono i conti Frova e poco dopo i conti Marzotto nelle Valli Zignago. Nelle statistiche ufficiali degli anni Cinquanta nella provincia di Venezia già si indicavano circa 750 ettari investiti nella coltura del pero. Le varietà coltivate erano in parte molto diverse da quelle attuali (basti pensare che forte era la presenza di “Passacrassana”), ma ciò dimostra comunque la tradizione e la consistenza della coltura nel luogo di originario insediamento che, via via si diffuse anche nel cavarzerano ove ci fu sicuramente anche l’influsso dei vicini e importanti bacini produttivi di Rovigo e Ferrara.
Le varietà maggiormente coltivate nel veneziano, a partire dagli anni 1970-75, sono la “William” e le “William Rosse”, la “Kaiser” e la “Conference”. Sono inoltre presenti anche la “Abate Fetel” e “Decana del Comizio” tra le medio tardive e anche cultivar precoci come “Precoce Morettini” e “Santa Maria”. L’ambiente tipico, vista la vastità del territorio considerato e quindi le possibili diversità costitutive del suolo, è caratterizzato in alcuni luoghi da terreno sciolto, leggero, di origine sedimentaria dolomitica, mentre in altri è sabbioso. Si avverte forte l’influenza del mare e nelle zone più esposte ciò determina anche qualche elemento di precocità. La particolarità del suolo e il microclima asciutto e ventilato permettono produzioni di buona qualità ed elevato grado zuccherino con ottime caratteristiche organolettiche e gustative e buona conservazione del prodotto. Le Pere del Veneziano vengono consumate normalmente al naturale ma, soprattutto le varietà autunnali, possono anche venire cotte in forno o in sciroppo di zucchero. Sono inoltre ampiamente utilizzate dall’industria alimentare per la preparazione di succhi, sciroppi, marmellate, canditi e ingredienti per dolci e torte.
NOCE DEI GRANDI FIUMI In passato la produzione di noci in Italia era sostanzialmente limitata alla regione Campania. Le difficoltà di meccanizzazione e l’abbattimento di molti alberi, venduti per il legno, ha fatto crollare tale produzione, cosicché l’Italia, un tempo tra le prime produttrici mondiali ed esportatrice di noci, è divenuta importatrice per oltre la metà del suo fabbisogno. La coltura del noce da frutto non ha grandi tradizioni nel Veneto in quanto è sempre stato diffuso il noce da frutto e legno di tipo domestico. Nella zona a cavallo tra le provincie di Treviso, Venezia e Rovigo la noci-coltura è rimasta per anni a livello di silvicoltura, piuttosto che evolversi in frutticoltura specializzata. Oggi nel comune di Cona sono presenti importanti coltivazioni di noceti che rendono questa area produttiva la più interessante del Veneto. La Noce dei Grandi Fiumi deriva da varietà con epo-
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che di germogliamento tardive che riescono ad evitare attacchi di batteriosi. Sono innestate su porta innesti vigorosi (Junglans regia) o incroci interspecifici. Le noci maturano in autunno; già in settembre, tuttavia, il loro guscio legnoso ha raggiunto una definitiva solidità. Dopo la raccolta le noci dovranno essere esposte al sole per un periodo di 10-12 giorni per l’essiccamento. Come tutta la frutta secca, la noce ha un alto valore energetico essendo ricca di calorie e di sali minerali. Si possono utilizzare in svariati modi, oltre che direttamente nella preparazione di sughi, secondi piatti e soprattutto in pasticceria; si possono inoltre utilizzare prima ancora che raggiungano la piena maturazione, in giugno e in luglio, per ottenere confetture, o un liquore chiamato “nocino”.
Un po’di Storia
Cason delle Sacche - Codevigo, al centro dell’area di produzione dell’asparago bianco di Conche
L’asparago (Asparagus officinalis), dal greco aspàragos, è una pianta che secondo alcuni studiosi arriverebbe dall’Asia, mentre secondo altri è originaria della Mesopotania. Già gli antichi egiziani, così come un po’ tutti i popoli del bacino mediterraneo, la conoscevano come prelibatezza culinaria, ma anche per le sue proprietà farmacologiche. Per secoli l’ortaggio in questione venne impiegato come afrodisiaco, probabilmente per la forma fallica della parte edule. Infatti i Romani, oltre che apprezzarlo come ortaggio, di cui erano ghiotti, lo utilizzavano come pianta medicinale. In cucina gli asparagi entrano alla grande nella sfarzosa cucina rinascimentale con il bolognese Bartolomeo Scappi (1500-1570), detto Platina, maestro di conviti e lodato definendolo “erbaggio prezioso” dal grande Pellegrino Artusi (1820-1911), scopritore della cucina borghese e regionale e autore dell’opera “La scienza in cucina e l’Arte di Mangiar bene”. Oggi l’asparago è conosciuto per essere un ortaggio molto diffuso e apprezzato. Oltre alle specie selvatiche, ci sono vari cultivar che si distinguono per l’aspetto, la tipologia di coltivazione e per il particolare sapore, anche se la composizione nutritiva resta sostanzialmente invariata. Per i cultori del gusto tuttavia le differenze ci sono... eccome. Esistono poi le varietà più adatte alla produzione di quello verde e le varietà più adatte a produrre gli asparagi bianchi.
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ASPARAGO DI CONCHE A Conche nel comune padovano di Codevigo, oggi, si coltiva una pregiata varietà di asparago. In queste lande a due passi dalla laguna, estremo lembo di territorio della provincia di Padova, la coltivazione dell’asparago inizia, com’è memoria radicata nel territorio, ai primi anni sessanta del secolo scorso quando alcuni produttori, non senza grandi difficoltà e circondati da qualche scetticismo, iniziarono un nuovo modo di produrre. Nel 1982 una quindicina di operatori agricoli sentono l’esigenza di costituirsi in cooperativa, dando vita alla C.A.P.O., Cooperativa Agricola Produttori Ortofrutticoli, per soddisfare la necessità di conferire il prodotto al mercato ortofrutticolo di Padova. Oggi la C.A.P.O. gestisce e commercializza direttamente circa 3000 quintali/anno di asparago, contrassegnato con logo territoriale ADC (Asparago di Conche), che viene prodotto da un centinaio di soci su una superficie di circa 80 ettari nelle zone di Conche, Santa Margherita di Codevigo e Valli di Chioggia. Grazie al loro coraggio il successo raggiunto dalla qualità dell’Asparago di Conche è sotto gli occhi e al palato di tutti e rappresenta senza alcun dubbio una delle grandi realtà gastronomiche nazionali soprattutto per quanto riguarda l’asparago bianco. L’Asparago di Conche, senza togliere nulla ai cugini che vengono prodotti in altre zone del padovano e
del Veneto, si distingue per le sue peculiari caratteristiche territoriali e per le proprietà pedologiche dei terreni di origine alluvionale ad alta salinità e ricchi di limo che rendono l’Asparago di Conche un prodotto assolutamente unico e inconfondibile. Per la sua tenerezza, l’Asparago di Conche, lo si può gustare in tutta la sua lunghezza e per il suo profumo particolarmente sapido è adatto a molteplici usi in cucina. Può essere consumato crudo in insalata, oppure cotto al vapore accompagnato da uova, sale e pepe, olio e aceto. Gli asparagi si possono saltare al burro, cuocere in minestre, zuppe e creme e sono ottimi per risotti, oppure destinati come condimento saporito e raffinato per la pasta, frittate, saporiti sfornati e in elaborate ricette. BOSSOLÀ DI CHIOGGIA Il Bossolà di Chioggia è un pane biscotto mono dose, molto fragile, dalla caratteristica forma arrotolata. Il termine “bossolà” deriva dalla sua forma rotonda, imbossolare significa arrotolare, avvolgere. È considerato il pane dei pescatori; si tratta di un pane secco, a lunga conservazione che non ammuffisce con il clima marino. Per questo era alimento tradizionalmente portato nelle barche dai pescatori quando si allontanavano per le battute di pesca e rimanevano lontani da casa diversi mesi. La tradizione infatti vuole che la sua forma arrotolata sia dovuta proprio al fatto che veniva posto sullo scalmo della barca per essiccare ed essere pronto al consumo. La caratteristica del prodotto nel suo gusto originale è rimasta la stessa per centinaia di anni. Il Bossolà di Chioggia è fatto completamente a mano; vengono utilizzate le così dette farine deboli, condite
Un po’di Storia
con grassi animali e vegetali. Gli ingredienti utilizzati sono farina, lievito, acqua e sale. Creato l’impasto, detto “bastardo” in quanto ha una consistenza né dura né tenera, ma media, lo si lascia riposare per 15 minuti. Con la pasta si procede a creare un cilindretto della consistenza di un grissino, lo si chiude ad anello, poi viene effettuato un taglio longitudinale per permettere l’asciugatura del prodotto e la sua conservazione. Infornato per trenta minuti a una temperatura di circa 170 °C, a fine cottura, vengono aperte le valvole del forno per permettere all’umidità di uscire favorendo l’essicazione del prodotto. Una volta raffreddato, il Bossolà di Chioggia viene confezionato; il prodotto ha una conservazione di circa tre mesi. Può essere consumato sia con i dolci (marmellate, cioccolate, ecc.), sia con il salato (salumi, formaggi, ecc.). È usato anche come pane da colazione, al posto dei biscotti, con il caffè, il latte o il tè.
La tradizione di questi biscotti, nel territorio di Chioggia, è attestata da fonti scritte che risalgono alla metà del Seicento. I bussolài sono citati in un documento di una visita pastorale effettuata l’11 maggio 1644 presso il monastero di San Francesco: “Non si dà fuori farina se non per far i buzzolai per il convento che si fanno di Pasqua e de Nadale, et qualche altra volta si fa qualche torta che ordina la Madre Abbadessa...” (ACVC, Serie Visite Pastorali, volume 95, carta 218). Sicuramente vi sono altri documenti ma la ricetta del Bossolà di Chioggia è tramandata da padre in figlio già dai tempi della Repubblica della Serenissima.
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LE NOBILI DELIZIE ALLA CORTE DEL PRINCIPE ROSSO Tanti modi per gustare il Radicchio di Chioggia Igp • Tortelloni Radicchio di Chioggia Igp e Speck - Le Selezioni Fini. Il sapore inconfondibile del Radicchio di Chioggia si sposa con il gusto intenso dello Speck per un accostamento ideale, leggero e saporito, avvolto in una preziosa sfoglia trafilata al bronzo, speciale per trattenere il condimento ed esaltare le caratteristiche del suo ripieno • Radicchio di Chioggia Igp essiccato, innovazione brevettata proposta dall’azienda agricola Taflo • La Rossa di Chioggia. La birra artigianale di San Gabriel al Radicchio di Chioggia Igp • Torta Ciosota, specialità a base di Radicchio di Chioggia e carote, prodotta dagli Artigiani Pasticceri di Chioggia • Gelato al Radicchio di Chioggia Igp, prodotto dalla gelateria artigianale “Sottozero” di Sottomarina
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CHIOGGIA
Brenta
Adige Rosolina Mare
ROSOLINA
alli el l e V Via d
Laguna Caleri
Po di Levante
Po di Maistra
PORTO VIRO
Po di Pila
PORTO TOLLE
Po di Tolle
Po di Gnocca
Po di Goro
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Un percorso
tra Chioggia e il Polesine
IN UNA TERRA CHE NON È GIÀ PIÙ TERRA E UN MARE CHE NON È ANCORA MARE Valli, boschi e giardini litoranei dove la presenza dell’uomo è discreta e a farla da padrona è la Natura L’azione incessante delle maree e l’instancabile lavoro di deposito di grandi fiumi, Gorzone, Brenta, Adige e Po, hanno creato un ambiente unico, perfetto per il radicchio di Chioggia IGP, ma straordinario anche da visitare. Si tratta di una terra tutto sommato giovane e solo in parte addomesticata dall’uomo, una terra che vive la complicata simbiosi tra l’afflusso delle acque dolci dei fiumi e quelle salse che per sei ore crescono e per sei ore calano sotto la forza delle maree, creando isole, scanni e barene, mentre nell’entroterra le valli si espandono e si contraggono come in un profondo respiro. Una terra che conserva intatta la sua bellezza primigenia, e un habitat perfetto per una flora e una fauna altrove completamente scomparse.
Ecco è questo il fascino dell’area litoranea dell’Adriatico compresa tra l’antica Clodia e Delta Polesano, un percorso ricco di storia e di fascino che potrebbe iniziare direttamente dal Corso del Popolo di Chioggia, di fronte alla settecentesca basilica di San Giacomo Apostolo, per prendere la prima via di uscita disponibile, ossia Porta Santa Maria, e inoltrarsi verso la campagna lungo la ciclopedonale che costeggia la laguna del Lusenzo, area che offre indimenticabili scorci grazie a pescherecci, briccole, riflessi sull’acqua e vele variopinte. Oltrepassata la frazione di Brondolo, che ospita l’Ortomercato, ci si trova già in riva al Brenta. Il ponte, che consente il suo attraversamento, si trova nei pressi della foce imboccando la
Porta Santa Maria risalente al 1530, è quanto rimane dell’antica cinta muraria che cingeva la città. Al tempo questo era l’unico accesso disponibile per chi vi giungeva dalla terraferma
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Oggi Bosco Nordio è una riserva naturale di 113 ettari ed è quello che resta di un bosco molto più esteso che circa mille anni fa, quando il mare giungeva fino a lì (ora la spiaggia di Rosolina è a quasi cinque chilometri), stava proprio alle spalle del litorale, tanto che ancora oggi cresce su delle dune fossili. La caratteristica più interessante della riserva è forse proprio il bosco di leccio, molto esteso e probabilmente il più settentrionale di tutta la costa adriatica, il quale si intermezza al querceto e ad alcune zone di pineta
SS 309 Romea e permette di raggiungere, lungo via San Giuseppe, gli stabilimenti balneari di Albachiara Beach, e successivamente, lungo via delle Nazioni Unite la frazione di Ca’ Lino. Siamo nelle terre del Radicchio di Chioggia IGP: lunghe distese di campi dove è intensiva la coltivazione del tipico prodotto locale. La strada ora prosegue verso l’Adige, confine naturale tra la provincia di Venezia e quella di Rovigo, che costeggiamo per una decina di chilometri percorrendo
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via Lungo Adige. Oltrepassando l’abitato di Sant’Anna e possibile visitare l’interessante Riserva Naturale integrale del Bosco Nordio, relitto di bosco planiziale dove tra i lecci e i pini marittimi vivono tassi, faine e numerosi uccelli come il falco di palude e il verzellino. Effettuata la visita al Bosco Nordio, si prosegue dritti fino al ponte che consentirà di attraversare il fiume sulla statale Romea (SS 309), strada che lasceremo immediatamente piegando a sinistra e immettendoci lungo l’argine destro dell’Adige, arrivando fino alla
foce, area attrezzata per la balneazione. La spiaggia è libera, e i grandi massi che contengono la sponda davanti al mare sono un luogo ideale per prendere il sole. La vegetazione è rigogliosa e qualche anno fa è stata costruita una torre che consente di vedere il paesaggio circostante e le acque del grande fiume che diventano mare. Non siamo lontani dalla rinomata cittadina balneare di Rosolina Mare e in zona si trova anche il Giardino Botanico Litoraneo di Porto Caleri, un’importante oasi naturalistica di circa 24 ettari, nata per conservare e per far conoscere da vicino la particolarissima flora dell’area litoranea. Piante come lo zigolo, il vilucchio marittimo il paleo, la vedovina delle spiagge crescono sulle dune fossili che caratterizzano l’Oasi. Per riprendere il nostro percorso litoraneo è opportuno uscire dall’abitato di Rosolina Mare di qualche chilometro, lungo la stessa strada dalla quale siamo venuti, fino ad imboccare Via Valli, una stradina asfaltata che ci conduce in un’ambiente prezioso, unico e rarefatto. Il percorso infatti si inoltra nelle valli popolate da folaghe, aironi, fenicotteri rosa e altre specie. È un vero spettacolo! Una dopo l’altra incontriamo valle Boccavecchia, valle Canelle, valle Passarella, valle Spolverina, valle Segà, valle Capitania, valle Veniera, valli deputate all’allevamento di anguille, orate, branzini e cefali. La stradina asfaltata si snoda per una quindicina di chilometri fino ad accostarsi al Po di Levante e giungere (Via Po di Levante) nei pressi dell’isola di Albarella, formatasi grazie all’accumulo di sedimenti portati dalle acque e oggi esclusiva località turistica. Qui per attraversare il fiume dobbiamo imbarcarci sull’apposito traghetto e arrivare nella località di Porto Levante; si prosegue quindi ancora per la via delle valli, su quell’impercettibile confine tra acqua e terra, in un ambiente naturalistico unico. Ci troviamo all’interno del vasto Parco Regionale Veneto del Delta del Po. La stradina, stretta ma perfettamente asfaltata, scorrevole, zigzaga tra questi grandi specchi di acque lucide: valle Bagliona, valle San Leonardo, laguna Vallona, arrivando alla frazione di Barchessa Ravagnan e successivamente all’Oasi Val Pisani, sull’argine del ramo del Po di Maistra. Si segue con decisione il corso di questo ramo, fino al ponte di barche, oltrepassato il Po di Maistra si arriva a Boccasette, e le sue spiagge incastonate tra il verde delle valli. Oltre ai lidi attrezzati per la balneaLa foce dell’Adige è una zona balneare molto bella, la spiaggia è libera, e i grandi massi che contengono la sponda davanti al mare sono un luogo ideale per prendere il sole. La vegetazione è rigogliosa e qualche anno fa è stata costruita una torre che consente di vedere il paesaggio circostante e le acque del grande fiume che diventano mare
Giardino Botanico Litoraneo di Porto Caleri, un’importante oasi naturalistica di circa 24 ettari, nata per conservare e per far conoscere da vicino la particolarissima flora dell’area litoranea. Piante come lo zigolo, il vilucchio marittimo il paleo, la vedovina delle spiagge crescono sulle dune fossili che caratterizzano l’Oasi. La visita del Giardino Botanico Litoraneo del Veneto dà modo di capire come cambiano gli ambienti e come varia la vegetazione mano a mano che ci si allontana dal mare. Camminando lungo un percorso che si snoda tra la pineta, le dune profumate di elicriso e piccoli stagni d’acqua dolce, si raggiungono prima la spiaggia con le piante pioniere e poi la laguna che, con l’alternarsi delle stagioni, cambia i suoi colori. Nei pressi si trova anche una bellissima spiaggia libera dove al posto degli ombrelloni, per proteggersi dal sole, si usa approntare dei ripari con i pali portati dal mare
zione, spostandoci verso Ca’ Zuliani ci si trova in riva al maestoso corso del Po di Venezia, la zona offre come aree di interesse l’isola di Scano Boa (raggiungibile solo in barca) un vero eden attorniato da mare e lagune, dove Gian Antonio Cibotto ha ambientato il suo libro dedicato ai pescatori di storioni; il Villaggio dei pescatori di Pila, il giro della Sacca di Tramontana, l’Oasi di Volta Vaccari e la grande Sacca del Canarin. Siamo nella terra delle Idrovore, simbolo della bonifica meccanica iniziata ai primi del Novecento. Le numerose idrovore garantiscono ancora la sicurezza
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idraulica, permettendo ai canali di bonifica di riversare le acque in mare. L’ambiente circostante è rarefatto e isolato dove i rumori sono ovattati, la luce si specchia nell’acqua e la brezza marina trasporta l’intenso profumo di salsedine. Per riprendere il nostro viaggio sarà necessario oltrepassare il Po di Venezia, il ponte si trova nella vicina Porto Tolle. Oltrepassata la riva costeggeremo questo grande braccio del Po per dirigersi verso Scardovari, dove ha inizio la grande Sacca omonima. A una delle estremità di questa si trovano le spiagge di
Rosolina, valli, lungo Po di levante. Foto di Roberto Marangoni
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Via Valli è una stradina asfaltata che parte appena qualche chilometro prima di raggiungere la località balneare di Rosolina mare. Si nota appena ma è una via di straordinari bellezza che ci conduce in un’ambiente prezioso, unico e rarefatto. Il percorso infatti si inoltra nelle valli popolate da folaghe, aironi, fenicotteri rosa e altre specie. È un vero spettacolo! Una dopo l’altra incontriamo valle Boccavecchia, valle Canelle, valle Passarella, valle Spolverina, valle Segà, valle Capitania, valle Veniera, valli deputate all’allevamento di anguille, orate, branzini e cefali. La stradina asfaltata si snoda per una quindicina di chilometri fino ad accostarsi al Po di Levante e giungere (Via Po di Levante) nei pressi dell’isola di Albarella, formatasi grazie all’accumulo di sedimenti portati dalle acque e oggi esclusiva località turistica
Barricata, mentre costeggiandola nell’altra direzione, verso l’oasi di Ca’ Mello, si raggiunge il confine con l’Emila Romagna, ovviamente fermandosi per una visita al Biotopo di Valle Bonello, ultima testimonianza del paesaggio vallivo ed oggi zona umida di elevato valore naturalistico, e la Pineta di Cassella. Il confine tra Veneto ed Emilia è rappresentato da Po di Gnocca, o Po’ della Donzella, alla cui foce troviamo l’ultima area di interesse di questo percorso: si tratta dell’Isola del Bacucco, o dell’Amore. Siamo ancora nel comune di Porto Tolle e si tratta di un angolo incantato di spiaggia nei pressi della quale svetta il grande faro, l’unica costruzione che sorge in questo angolo di territorio dove la terra non è già più terra e il mare non è ancora mare.
La Sacca di Scardovari è la più grande laguna del Delta, vasto specchio d’acqua compreso tra le foci del Po di Gnocca e del Po delle Tolle, habitat ideale per molluschi come cozze e vongole, che trovano proprio qui uno dei luoghi di più intenso allevamento. Percorrendo la strada che costeggia la Sacca si possono osservare da vicino le varie fasi dell’acquacoltura. Dall’altra parte si può lanciare lo sguardo sulle immense terre di bonifica, punteggiate dai ruderi dei casoni, interrotte qua e là da residue zone umide, come il Biotopo Val Bonello e l’Oasi di Ca’ Mello. Foto di Roberto Marangoni
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L’isola si Scano Boa (raggiungibile solo in barca) un vero eden attorniato da mare e lagune, dove Gian Antonio Cibotto ha ambientato il suo libro dedicato ai pescatori di storioni
Il confine tra Veneto ed Emilia è rappresentato da Po di Gnocca, o Po’ della Donzella, alla cui foce troviamo l’ultima area di interesse di questo percorso: si tratta dell’Isola del Bacucco, o dell’Amore. Siamo ancora nel comune di Porto Tolle e si tratta di un angolo incantato di spiaggia nei pressi della quale svetta il grande faro, l’unica costruzione che sorge in questo angolo di territorio
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alla tavola
DALLA TERRA Il Radicchio di Chioggia IGP è sovrano di tutte le stagioni ed eccellenza in tavola come nelle ricette che vengono proposte nelle pagine seguenti
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I ristoranti e gli agriturismi che espongono questa targa propongono gustose ricette nelle quali il Radicchio di Chioggia Igp è protagonista. L’insegna è assegnata anche ai laboratori artigianali che impiegano il Radicchio di Chioggia Igp nelle loro preparazioni e agli esercizi commerciali che vendono il Radicchio di Chioggia Igp o prodotti alimentari che lo contengono.
ANTIPASTI
CREMA DI MAIS al Radicchio di Chioggia con mazzancolle in saore di Radicchio INGREDIENTI per 4 persone Farina di mais Radicchio di Chioggia Aglio Mazzancolle sgusciate Aceto bianco Olio e.v.o. Sale e pepe
g 250 2 cespi 1 spicchio 20 1 bicchiere 1 bicchiere q.b.
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 15 minuti
Il Tavernino RISTORANTE
Ristorante Il Tavernino Viale Veneto, 35 - Chioggia (VE) Tel. 338 2349577 Fax 041 5500822
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AZION DIC E IN
PREPARAZIONE Mazzancolle in saore di radicchio: tagliare a fette fini un cespo di radicchio, versarlo in una padella con un piccolo soffritto d’aglio e olio e.v.o. e cuocere a fuoco medio per 10 minuti coprendo con un coperchio e mescolando ogni tanto; aggiungere il sale e aceto bianco e farlo sfumare per 5 minuti. Cuocere le mazzancolle a vapore per 5 minuti, quindi in un contenitore preparare un letto col radicchio cotto precedentemente, aggiungere le mazzancolle e coprire con rimanente radicchio, lasciare riposare in frigo per 1 giornata. Crema di mais al radicchio: versare la farina istantanea in un litro d’acqua bollente salata, mescolare per 3 minuti e spegnere il fuoco. In una padella a parte soffriggere l’aglio in olio e.v.o., aggiungere un cespo di radicchio tagliato a fettine; cuocere per 10 minuti, aggiungere un pizzico di sale e scolare il tutto in un passino per eliminare eventuali residui d’acqua; aggiungere il radicchio nella polenta e mescolare per 3 minuti. Impiattamento: Versare la polenta nel piatto e aggiungere sopra le mazzancolle in saore di radicchio.
Con questa ricetta il ristorante Il Tavernino si è aggiudicato il titolo di “Ambasciatore del Radicchio di Chioggia IGP 2015”. Artefice del piatto lo chef Luigi Bissacco, che è stato premiato anche con una successiva trasferta a Berlino, ospite nello stand del Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP nella fiera internazionale dell’ortofrutta Fruit Logistica 2016. Qui con il suo staff ha preparato il piatto “Paccheri al radicchio e pomodorini” per celebrare il patto di amicizia tra i Consorzi del Radicchio di Chioggia e del Pomodoro di Pachino.
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PRIMI PIATTI
Difficoltà: media
TAGLIOLINI CON FASOLARI e Radicchio di Chioggia INGREDIENTI per 4 persone
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 3-4 minuti
Tagliolini Fasolari sgusciati Cipolla tritata Radicchio di Chioggia Olio e.v.o. Pepe Prezzemolo
350 g 250 g 40 g 100 g q.b. q.b. q.b.
Minerva RISTORANTE
Con questa ricetta il ristorante Minerva ha partecipato alla gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP nella quale il Radicchio di Chioggia Igp doveva essere l’ingrediente caratterizzante, che in questa preparazione è stato abbinato ai “fasolari”, molluschi pescati a poche miglia dalla costa nell’Alto Adriatico, il mare sul quale il locale si affaccia. Ristorante Minerva Lungomare Adriatico Lato Nord 30015 Sottomarina (VE) Tel 339 6684500 - 041 4965367 www.ristorantepizzeriaminerva.it
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AZION DIC E IN
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PREPARAZIONE Sgusciare circa 1,3 kg di fasolari, raccogliendo l’acqua contenuta al loro interno e battere con un piccolo batticarne il muscolo rosso. In una padella far soffriggere la cipolla tritata per un paio di minuti, versare la polpa battuta e l’acqua dei fasolari, aggiungere il pepe e cuocere per 3-4 minuti. Unire il radicchio tagliato a listarelle e continuare la cottura per altri 3-4 minuti. Cuocere al dente i tagliolini in abbondante acqua salata, versarli nel sugo e spadellarli per un paio di minuti finché il tutto non sarà ben amalgamato. A fuoco spento aggiungere un filo d’olio extravergine d’oliva e il prezzemolo tritato. Servire la pasta ben calda. Il fasolaro (Callista chione) è un mollusco bivalve unico nel suo genere. La sua distribuzione sul fondo del mare è limitata a dossi isolati di sabbia di alcune centinaia di metri di diametro che emergono dai fondali fangosi dell’Alto Adriatico a oltre 8 miglia dalla costa e a una profondità superiore a 12 metri. Vivendo al largo lontano dagli apporti di acque dolci in zone con le acque di mare più salate, acquisisce una concentrazione salina particolarmente apprezzata.
PRIMI PIATTI
RAVIOLI con Radicchio di Chioggia, fonduta di capesante e olio d’oliva al Radicchio, sentore di limone
Preparazione: 20 minuti
Per la salsa: Capesante Cipolla tritata Aglio Olio e.v.o. Vino bianco Prezzemolo tritato
8 frutti 1 1 spicchio 1 bicchiere 1 bicchiere q.b.
350 g 200 g 50 g q.b. 1 cespo 1 bicchiere
Cottura: 3-4 minuti
Per l’impiattamento: Limone 1 Radicchio di Chioggia ½ cespo Parmigiano grattugiato 1 cucchiaio Olio e.v.o. 1 cucchiaio
PREPARAZIONE Per i ravioli: tagliuzzare e cuocere il radicchio a bassa temperatura col vino rosso, scolarlo e lasciarlo raffreddare, quindi metterlo nell’impasto con tutti gli ingredienti (ricotta, parmigiano grattugiato, sale e pepe). Stendere la pasta molto finemente e tagliarla a dischi col coppa pasta, farcire i dischi e coprirli con la stessa pasta. Lasciare riposare per qualche ora in frigorifero. Per la salsa: rosolare nell’olio e.v.o., la cipolla e l’aglio, aggiungere le capesante leggermente tritate, tostarle e bagnare col vino bianco; aggiungere un cucchiaio di prezzemolo tritato finemente. Finitura del piatto: Mettere del radicchio tagliuzzato in infusione in olio extravergine d’oliva a 60°. Cuocere i ravioli in abbondante acqua salata, scolarli e saltarli in padella con la salsa precedentemente preparata; aggiungere un cucchiaio di parmigiano grattugiato. Adagiare i ravioli nel piatto, condirli leggermente con l’olio e.v.o. al radicchio e grattugiare sopra della scorza di limone.
Zafferano RISTORANTE
Con questa ricetta il ristorante Zafferano, che si trova nel cuore del Parco del Delta del Po, ha partecipato alla gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP nella quale il Radicchio di Chioggia Igp doveva essere l’ingrediente caratterizzante, interpretando gli abbinamenti secondo la tradizione della buona cucina polesana. Ristorante Zafferano via Gorghi, 46 45014 Porto Viro (RO) Tel. 0426 633075 Fax 0426 6330075 zafferanoristorante@tiscali.it
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INGREDIENTI per 4 persone Per i ravioli: Pasta all’uovo Ricotta Parmigiano grattugiato Sale e pepe Radicchio di Chioggia Vino rosso
Difficoltà: media
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PRIMI PIATTI
Difficoltà: media
TROFIE ALLA CARBONARA di Radicchio di Chioggia INGREDIENTI per 4 persone
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 5-6 minuti
Trofie Radicchio di Chioggia Pancetta affumicata Uova Pecorino stagionato Panna Sale e pepe
400 g 300 g 100 g 4 tuorli 40 g 100 cl q.b.
RISTORANTE
La Tavolozza Con questa ricetta il ristorante La Tavolozza ha partecipato alla gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP nella quale il Radicchio di Chioggia Igp doveva essere l’ingrediente caratterizzante, dimostrando che il “Principe Rosso” trova abbinamenti anche al di fuori dell’area clodiense, infatti, rientra nella lista degli ingredienti delle cucine euganee dove i prodotti di qualità sono di casa e interpretati secondo quell’ortodossia culinaria che abitualmente chiamiamo tradizione. Ristorante La Tavolozza via Boschette, 2 35038 Torreglia (PD) Tel 049 5211063 www.latavolozzatrattoria.com
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AZION DIC E IN
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PREPARAZIONE Sbiancare il radicchio in acqua calda, poi rosolare la pancetta tagliata a dadini e brasare il radicchio tagliato a listarelle, aggiustare di sale. Cuocere le trofie in abbondante acqua salata, quindi scolarle e spadellarle col radicchio e la pancetta assieme al pecorino grattugiato. Miscelare i tuorli d’uovo e la panna e aggiungere l’appareil alla pasta. Impiattare senza far asciugare troppo con una spolverata di pepe a piacere.
PRIMI PIATTI
RISOTTO al Radicchio di Chioggia con salsiccia e gorgonzola
Difficoltà: media
INGREDIENTI per 4 persone Preparazione: 20 minuti
Cottura: 17 minuti
PREPARAZIONE Preparare del brodo vegetale col sedano, le carote e alcune cipolle. Guarnizione: tagliare a pezzi il radicchio, lavarlo e quindi scegliere la parte a coste bianche delle foglie, aggiungere sale e pepe, avvolgerle con la pancetta e rosolare gli involtini in forno con una spolverata di grana. Risotto: sbriciolare la salsiccia e farla rosolare. Tagliuzzare la rimanente parte più rossa delle foglie di radicchio a strisce sottili, tritare finemente le cipolle rimanenti e farle soffriggere, unire il radicchio e lasciare appassire il tutto. Aggiungere il riso, farlo tostare e versare un po’ di vino bianco, fare evaporare l’alcool e procedere aggiungendo un po’ alla volta il brodo vegetale continuando a mescolare. A metà cottura unire la salsiccia rosolata. Spegnere il fuoco un paio di minuti prima di finire la cottura, aggiungere gorgonzola, grana e mantecare. Impiattamento: versare il risotto nei piatti mettendo sopra gli involtini, del radicchio tagliato alla julienne e del prezzemolo tritato.
AGRITURISMO
Tenuta Civrana
Con questa ricetta l’agriturismo Tenuta Civrana si è cimentato nella gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP. Qui il Radicchio di Chioggia Igp, che doveva essere l’ingrediente caratterizzante, è stato abbinato con prodotti volutamente semplici del passato, ispirati al pranzo delle domeniche di un tempo, dove oltre al gusto conta la genuinità, forniti da una dispensa di quasi 400 ettari, ossia la campagna della Tenuta, da dove arrivano tutti i prodotti impiegati in cucina. Ristorante Zafferano Via della Stazione, 10 Pegolotte di Cona (VE) Tel. 333 6662584 Agriturismo 347 2220023 info@tenutacivrana.it www.tenutacivrana.it
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AZION DIC E IN
Radicchio di Chioggia 1 cespo Riso 320 g Salsicce con aglio 2 Sedano 3 coste Cipolle 5 Carote 3 Pancetta fette sottili 4 Gorgonzola Dop q.b. Grana Padano Dop q.b. Vino bianco q.b. Prezzemolo q.b.
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SECONDI PIATTI
Difficoltà: media
RANA PESCATRICE con Radicchio di Chioggia glassato INGREDIENTI per 4 persone
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 20-25 minuti
Rana pescatrice 1,5 Kg Radicchio di Chioggia 4 Kg Pancetta 8 fette Brodo vegetale ½ litro Porri 4 Fagioli cannellini 1 Kg Sale e pepe q.b. Zucchero e miele q.b. Brandy e vino rosso q.b. Molluschi misti q.b.
TRATTORIA
Veronese da Gian Con questa ricetta la Trattoria Veronese da Gian ha partecipato alla gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP. Qui il Radicchio di Chioggia Igp, è preparato miscelando tradizione e innovazione, mare e terra, pesce e carne regalando un piacevole momento di gusto. Trattoria Veronese da Gian Località Valcere Dolfina 45/A Cavarzere (VE) Tel. 0426 319037
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AZION DIC E IN
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PREPARAZIONE Dai cespi di radicchio levare 8 foglie intere e metterle da parte. Tagliare in quarti i cespi di radicchio, adagiarli su una teglia e condirli con sale, pepe, zucchero, miele, brandy e vino rosso, quindi cuocere in forno a 150-160° per 20-25 minuti. Preparare la crema facendo stufare con olio extravergine d’oliva i cannellini già cotti e porri per 20-25 minuti, aggiungendo ogni tanto brodo vegetale. Tagliare la coda di rospo già privata della testa e pulita in 4 tranci uguali, foderarli con le fette di pancetta e le foglie di radicchio, scottare gli involtini in padella con olio e.v.o. e finire la cottura in forno per 15 minuti. Assemblare i piatti con la crema di porri e cannellini a specchio, adagiarvi sopra la coda di rospo, guarnendo col radicchio glassato e molluschi, a piacere, fatti precedentemente aprire in un tegame con leggero soffritto.
SECONDI PIATTI
IL RE D’ALASKA e il principe rosso di Chioggia
Difficoltà: media
INGREDIENTI per 4 persone Salmone affumicato 300 g Gamberi sgusciati 300 g Pasta phillo 2 fogli Radicchio di Chioggia 1 cespo Mozzarella di bufala 250 g Noci 12 Olive nere 100 g Grana Padano q.b. Olio e.v.o. q.b. sale e pepe q.b.
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 15 minuti
Villa Momi’s RISTORANTE
Ristorante Villa Momi’s Località Santa Maria, 3/B Cavarzere (VE) Tel. 0426 53538 www.villamomis.it
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AZION DIC E IN
PREPARAZIONE Stendere la pasta sfoglia phillo e metterla nelle forme in forno a 180° per 15 minuti. Tagliare il radicchio alla jullienne e spadellarlo con olio extravergine di oliva, la mozzarella di bufala tagliata a dadini e i gamberi sgusciati; spruzzare con un velo di Grana Padano grattugiato e aggiungere delle noci tritate, mescolando il tutto per 5 minuti. Aggiustare di pepe e sale, tritare le olive e aggiungere un po’ di olio extravergine per creare la crema. Rivestire con 3-4 fettine di salmone affumicato “Alaska Red King” le forme di pasta sfoglia sfornate, quindi riempirle con i gamberi e in crema di radicchio e mozzarella di bufala.
Con questa ricetta il ristorante Villa Momi’s ha partecipato alla gara gastronomica indetta dal Consorzio di Tutela del Radicchio di Chioggia IGP. Qui il “Principe Rosso” è proposto in tavola assieme ad un altro prodotto “nobile”. Un accostamento dal sapore intenso e genuino degno della migliore tradizione veneta.
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RISTORANTE
El Gato
Difficoltà: media
FILETTI DI SGOMBRO con Radicchio di Chioggia sfumato al vino bianco INGREDIENTI per 4 persone
Preparazione: 20 minuti
Sgombri Radicchio di Chioggia Cipolla bianca Olio di mais Olio e.v.o. Aceto Sale e pepe
4 2 cespi 2 250 ml 4 cucchiai 4 cucchiai q.b.
Cottura: 5 minuti
PREPARAZIONE Pulire ed eviscerare gli sgombri, sfilettarli e ricavarne 4 filetti, quindi infarinarli e friggerli in abbondante olio di mais. Nel frattempo, lavare e tagliare finemente il radicchio, preparare una dadolata di cipolla e far appassire il tutto in una padella con un po’ d’olio e.v.o., sale e pepe. A fine cottura aggiungere due cucchiai di aceto e farli evaporare. Impiattare i filetti di sgombri sovrapponendoli a sandwich con la farcia di radicchio.
DALL’ANTIPASTO AL DOLCE… radicchio è salute in tavola Il Ristorante el Gato ha ospitato l’evento enogastronomico “Radicchio è salute” prima azione informativa e di degustazione col Radicchio di Chioggia IGP organizzato dal Consorzio di Tutela, proponendo un menù completo nel solco della tradizione chioggiotta dove i prodotti di terra e di mare si sposano in tavola. Ristorante El Gato Corso del Popolo, 653 30015 Chioggia (VE) Tel 041 400265 info@elgato.it - www.elgato.it
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Difficoltà: media
STROZZAPRETI CON CAPESANTE e Radicchio di Chioggia INGREDIENTI per 4 persone
Preparazione: 20 minuti
Pasta fresca Radicchio di Chioggia Capesante Olio e.v.o. Aglio Sale e pepe Vino bianco
Cottura: 8 minuti
PREPARAZIONE Tagliare finemente il radicchio e le cappesante, mettere il tutto in una padella a soffriggere con un po’ d’olio evo e aglio, aggiustare di sale e pepe, infine sfumare col vino bianco. Cuocere gli strozzapreti in abbondante acqua salata, scolare dopo circa 8 minuti e unirli al sugo preparato. Spadellare e quindi impiattare, guarnendo con foglie di radicchio e guscio di cappasanta.
360 g ½ cespo 4 frutti 1 cucchiaio 1 spicchio q.b. ½ bicchiere
SPIEDINO DI PESCE DELL’ADRIATICO con radicchio spadellato
Difficoltà: media
INGREDIENTI per 4 persone Fetta di tonno 1 Coda di rospo 1 Gamberoni 4 Scampi 4 Seppie piccole 4
Capesante Radicchio di Chioggia Olio e.v.o. Aglio, sale e pepe Vino bianco
4 1 cespo q.b. q.b. 1 bicchiere
PREPARAZIONE Ricavare dal tonno 4 cubetti, procedere analogamente con la coda di rospo; sgusciare i gamberoni e gli scampi, pulire le seppie e le cappesante; infilare in 4 spiedini uno dopo l’altro tutti gli ingredienti, terminando con la seppia. Ungere gli spiedini con olio aromatizzato con aglio, pepe e sale, metterli nel forno preriscaldato a 180° e cuocere per 10 minuti. Tagliare finemente il cespo di radicchio e spadellarlo per 5-6 minuti con olio, sale, pepe, aglio; infine sfumare col vino bianco. Impiattare lo spiedino contornandolo col radicchio spadellato.
TORTA AL RADICCHIO DI CHIOGGIA su crema di carote INGREDIENTI Per la torta: Uova 5 Farina 00 200 g Zucchero 200 g Burro 150 g Mandorle tritate 100 g Radicchio di Chioggia 200 g Carote 200 g Lievito 1 bustina
Estratto liquido naturale di vaniglia Zucchero a velo
1 cucchiaino q.b.
Per la crema: Carote Latte Zucchero Vaniglia e cannella Burro
250 g ml 250 1 cucchiaio 1 pizzico 30 g
PREPARAZIONE Per la torta: Tritare finemente il radicchio, saltarlo in padella con un po’ di zucchero e poi farlo raffreddare. Sbattere i tuorli con lo zucchero e il burro morbido finché il composto diventa chiaro e cremoso, unire la vaniglia, le mandorle, la farina miscelata con il lievito, le carote grattugiate e il radicchio, amalgamando bene il tutto. Infine incorporare gli albumi montati a neve, mescolando dal basso verso l’alto. Versare il composto in uno stampo a cerniera e infornare a 180° per circa 45. Dopo la cottura, cospargere con zucchero a velo. Crema di carote: frullare le carote, versare la purea ottenuta in una casseruola, unendo vaniglia e cannella. Cuocere a fuoco bassissimo per 30 m. mescolando fino a che il latte sarà evaporato. Incorporare il burro fuso e lo zucchero. Impiattamento: Servire la torta a fette adagiate su crema di carote stesa a cucchiaiate.
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 10 minuti
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 45 minuti
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ANTIPASTI
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 5 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Radicchio di Chioggia Besciamella densa Tuorli d’uovo Uovo intero Pane grattato Burro, sale, pepe Olio e.v.o., olio mais
Difficoltà: media
400 g 2 2 1 200 g q.b. q.b.
Preparazione: Cottura: 20 minuti 8-10 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Radicchio di Chioggia Formaggio a fette Speck Pasta sfoglia Sale, pepe, olio e.v.o
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400 g 150 g 70 g 280 g q.b.
CROCCHETTE al Radicchio di Chioggia PREPARAZIONE Cuocere il radicchio con burro e olio e.v.o., aggiustare di sale e pepe. A cottura avvenuta, sgocciolare e quindi tritare il tutto. Mettere in una terrina il radicchio tritato, aggiungere la besciamella e i due tuorli d’uovo amalgamando il tutto; quindi stenderlo in una placca e lasciar raffreddare. Suddividere in dadini di 3 cm, quindi passarli nell’uovo intero sbattuto e poi nel pan grattato. Friggere in abbondante olio e servire caldi.
SFOGLIATINA al Radicchio di Chioggia PREPARAZIONE Tagliare il radicchio a spicchi e cuocerlo alla griglia. Stendere la pasta sfoglia e tagliarla a dischi del diametro di 10 cm., quindi disporre i dischi su una placca e mettere in forno per 5 mimuti a 150°. A passaggio avvenuto, guarnire la pasta con il radicchio grigliato e ricoprilo con una-due fette di formaggio, quindi rimettere in forno per 8-10 minuti. Prima di servire aggiungere lo speck e alcune gocce di olio extravergine d’oliva.
PRIMI PIATTI
RISOTTO CON CAPESANTE e Radicchio di Chioggia
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 17 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Riso 320 g Capesante 10 frutti Radicchio di Chioggia 200 g Cipolla bianca 1 Fumetto di pesce 2 litri Vino rosso ½ bicchiere Vino bianco 1 bicchiere Olio e.v.o. ½ bicchiere Prezzemolo q.b. Sale e pepe q.b. PREPARAZIONE Preparare un fumetto di pesce con lische di branzino e verdure miste (sedano, carote, cipolle). A parte fare un soffritto di cipolla, unire il radicchio tagliato a listarelle e stufare con vino rosso. Preparare un altro soffritto di cipolla bianca in olio e.v.o., tostare il riso e sfumare con vino bianco; unire il radicchio stufato. Portare a cottura e al termine mantecare con burro, olio e.v.o. e aggiungere le capesante tagliate a pezzettini. Servire subito e spolverare con una macinata di pepe al mulinello.
LINGUINE AL PESTO di Radicchio di Chioggia PREPARAZIONE Brasare il radicchio con il porro, l’aglio la carota e il guanciale; a cottura ultimata mettere a sgocciolare. Frullare il tutto aggiungendo un po’ di olio d’oliva extravergine in modo da ottenere il pesto. Sbucciare la patata e tagliarla a fiammifero, quindi appassirle in una padella con olio. Scolare la pasta, metterla in una terrina aggiungendo la patata appassita e il pesto di radicchio, amalgamare il tutto con montasio grattugiato. Servire in piatti caldi.
★R icetta del Ristorante Mano Amica - Chioggia
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 7 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Radicchio di Chioggia Linguine Guanciale Montasio stagionato Porro, carota e patata Aglio Sale, pepe, olio e.v.o.
1 cespo 350 g 80 g 80 g 1 1 spicchio q.b.
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PRIMI E SECONDI PIATTI
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 17 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Radicchio di Chioggia 1 cespo Riso 320 g Burro 40 g Montasio grattugiato 80 g Scalogno 1 Sale e pepe q.b. Olio e.v.o. e cannella q.b. Brodo vegetale q.b.
Difficoltà: media
Preparazione: 10 minuti
Cottura: 40 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Mazzancolle
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Per il flan: Besciamella 250 g Radicchio di Chioggia 200 g Parmigiano 50 g Uovo intero 1 Tuorlo 1 Vino rosso 1/2 bicchiere Per la fonduta: Asiago Dop Latte Roux bianco Burro e sale
250 g 250 g 50 g q.b.
★R icetta del Ristorante Pizzeria Medievo - Rosolina
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RISOTTO AL RADICCHIO DI CHIOGGIA con formaggio Montasio e Merlot PREPARAZIONE Tagliare lo scalogno e appassirle nell’olio e.v.o., aggiungere il radicchio tagliato a listelli, il vino rosso, sale, pepe e cannella. Cuocere il tutto, ottenendo così la base, aggiungere il riso tostandolo per qualche minuto, quindi proseguire la cottura aggiungendo via via il brodo vegetale. A cottura ultimata, togliere dal fuoco e aggiungere il burro, il Montasio grattugiato e mantecare
FLAN AL RADICCHIO DI CHIOGGIA con fonduta e mazzancolle PREPARAZIONE Per il flan: tritare il radicchio a julienne, cuocerlo con uno spicchio di aglio in camicia aggiungendo mezzo bicchiere di vino rosso e sale quanto basta. Preparare una besciamella, aggiungere il radicchio cotto, il Parmigiano e le uova nella besciamella, mescolare il tutto, versare nei pirottini. e cuocere in forno a 160° per 40 minuti. Per la fonduta: mettere a stemperare lentamente nel latte il formaggio, aggiungere il roux bianco, salare e portare a cottura mescolando lentamente. Sgusciare le mazzancolle, staccare la testa e tagliarle a pezzi. In una padella scaldare un goccio di olio e cuocere le mazzancolle per un paio di minuti. Assemblare il tutto nel piatto.
PIATTI UNICI E DOLCI
PIZZA CON RADICCHIO DI CHIOGGIA e quaglie PREPARAZIONE Preparare il solito impasto per la pizza e lasciarlo riposare per 24 ore coperto con un canovaccio. Prendere le quaglie metterle in una teglia, salarle, ungerle con olio extra vergine di oliva, coprirle con le foglie di alloro e cuocerle in forno a 180° per 40 minuti. Tagliuzzare finemente a listarelle i cespi di Radicchio di Chioggia, saltarne 1/3 in padella con un po’ d’olio per 5 minuti, quindi frullare fino ad ottenere una crema. Dividere la palla di pasta precedentemente lievitata in 4 parti e stenderle in 4 dischi. Aggiungere la salsa di pomodoro e la mozzarella, tuffare i pezzettini di quaglia nella crema di radicchio e disporli sulle pizze. Infornare a 250° per circa 8 minuti. Dopo la cottura guarnire con radicchio tritato e condito con sale e olio e scaglie di Parmigiano Reggiano Dop.
TORTA DI RADICCHIO DI CHIOGGIA e mandorle PREPARAZIONE Montare le uova con lo zucchero, unire il burro morbido e la farina. A parte, mondare lavare e tritare il radicchio rosso di Chioggia e farlo asciugare in una padella fino che abbia perso la sua acqua, aggiungendovi anche qualche cucchiaio di zucchero. Lasciar raffreddare il radicchio, quindi metterlo nell’impasto e unire anche le mandorle tritate, poi il lievito e un bicchiere di latte. Lavorare il tutto fino ad ottenere un impasto cremoso, versarlo in una teglia di 20 cm di diametro, imburrata e infarinata, e cuocere in forno a 150°-170° per un’ora circa. Tolta la torta dal forno, lasciarla raffreddare, quindi spolverizzarla con zucchero a velo. Servire la torta a fette con una crema leggera alla vaniglia e una pallina di gelato alla crema.
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 8 minuti
INGREDIENTI per 4 persone Base pizza 600 g 800 cl 1 pizzico 1 pizzico 1 cucchiaio
Farina grezza Acqua Sale Lievito Olio e.v.o.
Farcitura Passata pomodoro 150 cl Mozzarella 100 g Quaglie disossate n. 8 Radicchio di Chioggia 3 cespi Parmigiano Reggiano 200 g Sale q.b. Olio e.v.o. q.b. ★R icetta del Ristorante Facecook - Sottomarina
Difficoltà: media
Preparazione: 20 minuti
Cottura: 60 minuti
INGREDIENTI Radicchio di Chioggia 500 g Uova 2 Zucchero 200 g Farina 00 220 g Burro 100 g Mandorle tritate 150 g Latte 1 bicchiere Lievito 1 bustina
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Radicchio ESSICCATO essiccato RADICCHIO
100% “Radicchio 100% “RadicchiodidiChioggia Chioggia IGP” I.G.P” Il Radicchio di Chioggia IGP essiccato è un’innovazione brevettata che rende disponibile tutto l’anno questo “principe rosso”. Grazie alla sua prolungata di conservabilità, può infattiessiccato essere gustaRadicchio Chioggia I.G.P Azienda to in tutte le stagioni. Il Radicchio di Chioggia IGP essiccato viene ottenuto partendo da radicchio fresco altamente selezionato e controllato, creando unun’innovazione prodotto facile brevettata da usare, che Proponiamo checonserva renderà L’azienda agricola Taflo AROMY® è tutto l’anno questo “principe rosso”. specializzata nellail valore lavorazione ed e disponibile pressoché inalterati nutrizionale le caratteristiche organolettiche del prodotto fresco. di molti vegetali, tra i si usaGrazie alla sua nel prolungata potràpronto infatti Il essiccazione Radicchio di Chioggia IGP essiccato direttamente piatto daconservabilità, preparare, perché quali il rinomato “radicchio di essere gustato anche fuori stagione. all’uso e non necessita di essere reidratato. Essiccato, in polvere o a pezzi, viene utilizzato nella Chioggia I.G.P”, ottenuto da Partendo da radicchio fresco preparazione di risotti edialtri importanti mentre come spezia peraltamente insaporire selezionato carni e pecultivar selezionate alto pregio primie piatti; controllato, otteniamo un prodotto essiccato facile sce e nella preparazione di confetture. qualitativo. da usare, che conserva pressoché inalterati il valore Attraverso la nostra filiera corta, dal nutrizionale e le caratteristiche organolettiche del seme alNews prodotto essiccato, prodotto fresco. Azienda garantiamo standard produttivi di Si usa direttamente nel piatto dabrevetto preparare perché Molti Mastri birrai d’Europa Il Radicchio di Chioggia IGP essiccato è un dell’Azienaltissima qualità. pronto all’uso e non necessita di essere reidratato. stanno proponendo con sucda Agricola Taflo AROMY®, che è specializzata nella lavorazioIl radicchiodidimolti Chioggia I.G.P. essiccato, polvere cesso la “Birra al Radicchio ne ed essiccazione vegetali. Attraverso unainnostra filie-o News pezzi, viene utilizzato nella preparazione di risotti e altri di Chioggia” impiegando il ra corta, dal seme al prodotto essiccato, garantisce standard importanti primi piatti, come spezia per insaporire Radicchio di Chioggia IGP es- stanno produttivi di altissima qualità. Molti Mastri birrai d’Europa carni e pesce e nella preparazione di confetture. siccato, che conferisce allala “birra proponendo con successo bevanda un particolare co- I.G.P. al radicchio di Chioggia essiccato” presenta un lore ambrato eche un piacevole particolare colore ambrato e un gusto pieno e intenso. Autorizzato da Organismo riconosciuto dal MIPAAF gusto pieno e intenso.
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PRODOTTO BREVETTATO
Made in ITALY
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DAL CAMPO AL MERCATO NEL SEGNO DELLA QUALITÀ
La storia dell’azienda inizia negli anni ’70, raccogliendo l’eredità di una famiglia da generazioni dedita all’agricoltura. Oggi si occupa della coltivazione, della raccolta e della lavorazione propri prodotti orticoli di origine controllata, del confezionamento di radicchio e carote e della commercializzazione dei prodotti nel mercato europeo Consideriamo di grande importanza la qualità del prodotto offerto ai nostri clienti” “Per garantire un prodotto salubre e genuino, lavoriamo esclusivamente ortaggi di origine controllata, il cui 80% proviene direttamente dalle nostre coltivazioni; utilizziamo sementi di origine propria (radicchio) o seme acquistato OGM Free Lavoriamo e confezioniamo i nostri prodotti in uno stabilimento attrezzato con impianti specifici per la mondatura, la cernita e il confezionamento di radicchio e carota Crediamo che un elevato livello qualitativo sia legato anche alle tecnologie di lavorazione: per questo investiamo costantemente in impianti e macchinari sempre più all’avanguardia, e metodi di coltivazione innovativi e a basso impatto ambientale. Dal 2003 lavoriamo con certificazione di qualità Global G.A.P., standard per un’agricoltura rispettosa di uomo e ambiente. Con queste prerogative, puntiamo a promuovere sul mercato nazionale ed internazionale i prodotti tipici del litorale veneto, contraddistinti dal nostro marchio “Società Agricola F.lli Garbin s.s.”.
Società Agricola F.lli Garbin s.s. Via Valgrande, 27 - 30015 S. Anna di Chioggia (VE) Tel. 041 4950284 - Fax 041 4950578 - amministrazione@agricolagarbin.it - www.agricolagarbin.it
S.I.C.O.
S.r.l.
SocietĂ di intermediazione commercio ortofrutticolo Ufficio: Mercato della Produzione - 30015 Brondolo di Chioggia (VE) Tel. 041 490733 - 490407 - Fax 041 5541819 - sicomercato@libero.it Sede Legale: Viale Verona, 7 - 30015 Chioggia (VE)
ALBINO FERRO Coltivazione ortaggi e vendita frutta e verdura all’ingrosso In via Romea Vecchia a Chioggia tutta l’esperienza di chi sa condurre il lavoro negli orti e la qualità dei prodotti sempre freschi
COLTIVAZIONE DI ORTAGGI Lavoriamo ortaggi in foglia, a fusto, a frutto, in radici, bulbi e tuberi in piena aria e ovviamente il pregiato Radicchio di Chioggia Igp 116
PUNTO VENDITA Vendiamo frutta e verdura all’ingrosso, distribuiamo il radicchio di Chioggia nel Nord Italia
Via Romea Vecchia, 285 - 30015 Chioggia (VE) - Tel. 041 4950243 - Mob. 329 4384440
SUPERMERCATI TFM
Assortimento, Cordialità e Giusto Prezzo I SUPERMERCATI TFM SONO APERTI DAL LUNEDI AL SABATO CON I SEGUENTI ORARI: 08:00 - 13:00 E 16:00 - 19:30 - DOMENICA CHIUSO
Supermarcati TFM di Tiozzo Fiammetta Pezzoli Viale Venezia, 13/D - Sottomarina di Chioggia (VE) - Tel. 041 401724 - Fax 041 5507050
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Pesca, commercio e promozione di un prodotto esclusivo del nostro mare La sede legale dell’Organizzazione è a Chioggia, dove è anche presente, nei pressi del Mercato Ittico, il Centro Spedizioni Molluschi: il prodotto è controllato, eventualmente confezionato, e successivamente smistato. Tutto il prodotto che giunge a terra viene qui veicolato e da qui spedito presso i principali mercati italiani ed esteri
Una rete di imprese: associati tutti i pescatori veneti e friulani specializzati nella pesca del “fasolaro” L’esclusiva di un prodotto nostrano: la flotta è composta da un numero consistente di pescherecci attivi nei principali porti dell’Alto Adriatico: Grado, Marano Lagunare, Caorle, Cavallino-Treporti e Chioggia
Una pesca amica dell’ambiente: il prelievo avviene esclusivamente in relazione alla quantità di prodotto richiesta dal mercato Freschezza Sempre garantita: L’organizzazione e la filiera garantiscono tempestività nello smistamento del prodotto pescato e un prezzo di vendita stabile
Tra le attività istituzionali di O.P., oltre all’organizzazione dei mercati e all’ottimizzazione dei sistemi di produzione delle attività di pesca, c’è la promozione del prodotto e il suo corretto consumo in cucina O.P. I Fasolari ha uffici a Marano Lagunare (UD), Caorle (VE) ma la sede legale è a Chioggia in Via Maestri del Lavoro, 50 tel. 041 403317 fax 041 404185 - info@fasolari.it - www.fasolari.it O.P. I Fasolari è un’Organizzazione di Produttori riconosciuta ai sensi della normativa comunitaria, Reg. CE 104/2000, da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con proprio decreto del 27 marzo 2003
DA 35 ANNI A FIANCO DEI PRODUTTORI Con oltre 150 soci si occupa della valorizzazione e della commercializzazione di asparagi, radicchio e non solo
La Cooperativa Agricola Produttori Ortofrutticoli (C.A.P.O.) è nata nel 1982. Da allora non ha mai smesso di essere a fianco dei produttori accompagnandoli nella formazione, nelle scelte tecniche, nel mettere a disposizione dotazioni e attrezzature fondamentali per tenere l’offerta al passo della domanda. Con oltre duecento soci, tra fornitori e produttori, si occupa della valorizzazione e della commercializzazione una vasta gamma di prodotti orticoli, tra cui i principali sono gli asparagi e il radicchio rosso, attraverso i propri punti vendita all’ingrosso (la sede Conche di Codevigo, l’ortomercato di Brondolo, il mercato ortofrutticolo di Padova e la Cooperativa La Nuova di San Pietro di Cavarzere), puntualmente rifornisce i commercianti che poi si occupano della distribuzione nei punti vendita al dettaglio. DUE SONO I PRODOTTI DI PUNTA DELLA COOPERATIVA: • L’asparago di Conche, di cui vengono commercializzati circa 3.000 q l’anno • Il radicchio rosso nelle varietà “lungo” e “tondo” di cui vengono distribuiti circa 100.000 q l’anno
CAPO - COOPERATIVA AGR. PRODUTTORI ORTOFRUTTICOLI Via Vallona, 83 - Conche di Codevigo (PD) - Tel. 049 5845293 - info@capoconche.it - www.capoconche.it
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VONGOLE DI MARE, VERACI E FASOLARI
dal mare alla tavola
Una tradizione antica come il mare, tanta passione e rispetto per il prodotto pescato, queste sono le armi vincenti della cooperativa Sciabica di Chioggia, formata da una decina di soci, 4 imbarcazioni e attiva da più di due lustri nella pesca di fasolari e vongole di mare e l’allevamento di quelle veraci in laguna. Qualità è la parola d’ordine, in quanto la pesca avviene in acque di categoria A (acque aperte), e dunque non necessitano di depurazione, la cernita e il lavaggio vengono fatti rigorosamente a mano evitando stress ai bivalve, sempre a mano anche il confezionamento in sacchetti di 15 kg prima del conferimento al Centro di spedizione molluschi per la distribuzione.
I PRODOTTI DELLA COOPERATIVA SCIABICA,
LUCIO PERINI E ROBERTO PREDEN, PESCATORI OGGI “Essere pescatori oggi - spiegano Lucio Perini e Roberto Preden, figli di generazioni di pescatori - significa rispettare il mare e i suoi prodotti. Dopo anni in cui il prelievo è stato fatto smodatamente, oggi il nostro lavoro deve essere portato avanti con il rigore dell’etica. Da una parte sono le leggi stesse ad imporre il fermo pesca di almeno due mesi, ma dall’altro è la cultura che anima la nostra cooperativa a puntare sulla gestione della risorsa mare. La pesca, in buona sostanza, deve essere sostenibile, i cicli di accrescimento delle specie deve essere rispettato con la turnazione delle zone di pesca e anche con le quantità di prelievo. Oggi noi possiamo pescare un massimo di 3,5 quintali di fasolari al giorno, con un prelievo che può avvenire su 3-5 giorni la settimana, e 24 quintali di vongole di mare la settimana, tuttavia non ci avviciniamo mai a queste quantità, lavoriamo sulla richiesta, in modo che il pescato appena tolto dal mare sia già venduto, garantendo in questo modo il rispetto degli stock e la freschezza del prodotto”.
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coopsciabica@gmail.com Cell. 348 645 7142
PREPARATI DALLE ABILI MANI DEGLI STESSI PESCATORI, POSSONO ESSERE DEGUSTATI IN OCCASIONE DELLE TANTE INIZIATIVE RIVOLTE ALLA PROMOZIONE DEL MARE ADRIATICO
Strada Madonna Marina, 130 SOTTOMARINA di Chioggia (VE) TURRIDDU 349 6048898 GIOVANNI 334.7176111 ANNA MARIA 348.7907948 gelateria.sottozero@libero.it Seguici su Facebook
La ditta F.lli Frasson srl opera nel settore dell’ortofrutta da più di un secolo con 4 generazioni ed ha allargato sempre più la globalità dei prodotti offerti; dalle colture primarie della zona tipica di produzione (Delta del Po, litorale Veneto ed Emiliano Romagnolo) quali radicchio (di tutte le tipologie), cipolla bianca, patata e carota fino ad arrivare alla commercializzazione di meloni, angurie, zucche, aglio e frutta. L’azienda ha anche creato un marchio proprio denominato “PRODOTTO DELTA POLESANO” riportato in tutta la propria documentazione. La F.lli Frasson srl è una ditta commissionaria operante all’interno del Mercato Ortofrutticolo di Rosolina (RO) nel posteggio n. 01 con circa 150 mila quintali di prodotti ortofrutticoli freschi movimentati; il prodotto più importante in termini di quintali è il radicchio (circa il 65-70 %) di diverse tipologie (rosso tondo di Chioggia IGP, convenzionale e lungo) seguito da: patata, cipolla bianca, zucche, aglio, mele, pere e drupacee in genere; a completare la gamma tutti gli altri prodotti ortofrutticoli definiti “minori” del territorio. L’azienda per migliorare la propria competitività dispone di celle frigo automatizzate adibite a condizionamento e stoccaggio del prodotto; inoltre la ditta a completamento della propria struttura si avvale di centri di raccolta distaccati in provincia di Padova per le colture di maggiore importanza (radicchio in particolare); da alcuni anni l’azienda a completamento della filiera commerciale ha un settore adibito alla vendita al dettaglio di tutti i prodotti ortofrutticoli e con la possibilità di fornire ai propri clienti il Radicchio rosso di Chioggia IGP.
L’azione dell’azienda è quella di tenere rapporti commerciali e produttivi legati tra loro in grado di soddisfare le reali esigenze del consumatore finale, particolare attenzione viene posta alla rintracciabilità delle produzioni a mezzo di un servizio tecnico a supporto dell’azienda agricola, questo garantisce trasparenza nelle produzioni con la conseguenza di migliorare la competitività commerciale nelle sinergie di filiera. L’attività svolta e riconosciuta della ditta è “Commissionario Ortofrutticolo” e consiste nel ricevere il prodotto in conto commissione dalle aziende agricole e lo venderlo per mezzo di asta (radicchio e patate) o a trattativa privata. Dal 2008 la ditta ha scelto la strada della certificazione GLOBAL GAP - Opzione 2 per il radicchio tipologia tondo di Chioggia e lungo “Spadone” al fine di garantire sia il cliente commerciale che il consumatore finale di un prodotto ottenuto rispettando le normative vigenti. Dal 2009 la ditta è riconosciuta e registrata nell’ elenco del CSQA al n° 20433 in qualità di “Commissionario Ortofrutticolo” con campo di applicazione di “Accettazione Radicchio idoneo e vendita al confezionatore”. La ditta opera in sinergia con il Consorzio dell’IGP per mezzo di aziende agricole produttrici situate nei territori dove viene coltivato il Radicchio rosso di Chioggia tipologia precoce IGP ovvero nei comuni di Rosolina (RO) e Chioggia (VE) e nei territori del Radicchio rosso Tondo tipologia tardiva IGP nei comuni riconosciuti delle provincia di Rovigo, Venezia e Padova.
F.lli FRASSON S.r.l. - Commissionari Ortofrutticoli / Posteggio n° 1 - MERCATO ORTICOLO ROSOLINA (RO) Via Po Brondolo, 43 - 45010 ROSOLINA (RO) - Tel. 0426 664434 - Fax 0426 1903771 - fratelli.frasson@gmail.com
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Dal 1981 offriamo supporto per la consulenza e la progettazione ad amministrazioni pubbliche, imprese a enti di vario tipo Spazio Verde srl fornisce supporto nella progettazione ad amministrazioni pubbliche, imprese, pubbliche e private, a enti di vario tipo. Le attività di consulenza e di produzione vera e propria coprono un ampio spettro di tematiche: • politiche di sviluppo locale: supporto a enti locali e territoriali e a soggetti anche privati per progetti, PSR e PSL, riguardanti le politiche ambientali, sociali, culturali, di promozione, anche turistica, del territorio e dei prodotti locali e di efficienza energetica. Il servizio di consulenza concerne tutte le fasi progettuali, dallo sviluppo delle idee all’assistenza tecnica nella progettazione fino al collaudo tecnico-amministrativo degli interventi • comunicazione: organizzazione di eventi sia di conoscenza culturale e scientifica che di promozione di prodotti o inseriti nella comunicazione di progetti di valorizzazione del territorio, nazionali ed europei • efficienza energetica: partecipazione a programmi di ricerca e sviluppo in ambito nazionale ed europeo e consulenza a enti pubblici e imprese per progetti di efficienza sostenibili dal punto di vista scientifico, tecnico, ambientale ed economico • produzione di energia da fonti rinnovabili, in particolare in
agricoltura, consulenza per l’utilizzo di biomasse e di altre fonti rinnovabili sostenibili • politiche comunitarie: monitoraggio dei finanziamenti comunitari per progetti nei settori agricolo, ambientale, culturale e formativo; assistenza tecnica per la redazione e presentazione dei progetti; • stesura di piani di sviluppo aziendali e business plan, perizie di stima, supporto alla mediazione creditizia e al finanziamento d’impresa: assistenza tecnica per aziende del settore agricolo ma non solo • servizi informatici: progettazione e realizzazione di software in ambiente Windows e Linux con architettura client/server, basati su web, per applicazioni specialistiche nei settori ambientale, territoriale, a servizio di imprese agroindustriali per la conversione digitale nei rapporti con gli enti regolatori e la pubblica amministrazione • opere multimediali, CD-Rom, banche dati: realizzazioni per la promozione di progetti ed enti, divulgazione scientifica e culturale • supporti cartografici, elaborazioni statistiche, modelli matematici
SPAZIO VERDE SRL Via U. De Boso, 11 - Padova - tel 049 8808770 - spazioverde@sverde.it - www.sverde.it
GREENPLANT
selezionatore di semi per il radicchio di Chioggia Igp di domani Da venti anni al servizio dei produttori per rispondere a tutte le variabili connesse alla produzione Emanuele Baldin per tanti anni tra i produttori di radicchio, oggi si occupa della selezione del seme del radicchio rosso di Chioggia Igp per produrre piantine pronte al trapianto. La sua società, Greenplant 2 S.S. è uno degli alleati principali dei produttori Greenplant è nata nel 2005 in società con Simone Porzionato, sostituendo una precedente società individuale attiva dal 1996, assorbendo un po’ tutta quella che è stata la mia storia professionale fino a quel momento e devo dire che la mia esperienza di produttore è stata fondamentale per i risultati che stiamo ottenendo per il radicchio di Chioggia Igp. Non ci occupiamo solo di questo, tra Veneto, Emilia Romagna e Trentino produciamo piante di pomodori, porri, cavoli, zucche, insalate, o anche altre varietà di radicchio, come il Treviso, ma il radicchio rosso Igp è il nostro prodotto di casa e stiamo lavorando sodo per distinguerlo sempre più dal generico rosso, qualificandolo per qualità e duttilità, in modo che anche il lavoro dei produttori sia sempre più semplice. Nello specifico di che si tratta? Dietro al radicchio di Chioggia Igp non c’è la ricerca chimica genetica, c’è invece un lavoro che viene portato avanti da un secolo, generazione dopo generazione, manualmente, proprio nella selezione del seme migliore. Un seme che possa portare ad un prodotto finale rispondente alle esigenze del consumatore. Partiamo dalla forma, dal colore, dalle costolature in modo che siano standardizzate per arri-
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vare alla pezzatura: più piccola per il mercato, più gande invece per la quarta gamma. Il mercato non premia le produzioni disomogenee. Lavoriamo per produrre un radicchio che resista di più e meglio al tempo che si frappone tra la raccolta e il banco di vendita. Ma poi da risolvere ci sono tutte le varianti legate ai terreni di coltivazione.
Emanuele Baldin e Simone Porzionato, i due titolari di Greenplant
Perché l’ambito di coltivazione del radicchio di Chioggia è molto vasto e presenta aspetti chimici del suolo a volte anche molto diversi, influenzati dalla composizione minerale, dalla materia organica e dai fattori ambientali del terreno Esattamente. I terreni più fertili producono radicchi meno amari, in quelli sabbiosi crescono prima e poi ci sono le stagioni: gli inverni sono sempre meno freddi e le estati sempre più calde e siccitose. Tutte queste variabili si gestiscono con la selezione del seme. In che modo? Direttamente in campo, attraverso una cernita e la raccolta dei semi di quelle
piante che paiono rispondere meglio alle caratteristiche che di volta in volta risultano vincenti per la produzione e per il mercato. Poi nel nostro orto sperimentale lavoriamo sulla piantina, la rendiamo più forte, adatta a resistere anche al trapianto meccanico. Perché la piantatrice crea uno stress maggiore della semina manuale… Sì, è così, perché una pianta adatta a un’operazione meccanica ha bisogno di un ciclo di produzione più lungo, di conseguenza più è invecchiata, più ci mette a ripartire. Al contrario una pianta giovanissima attecchisce subito. È per questo che ai nostri clienti forniamo piantine più giovani possibili, perché questo, inoltre, permette di gestire meglio anche le fasi della raccolta. Piante giovani, dunque, ma forti. Le teniamo per un certo periodo in serra, poi in ombrario, in modo che al tempo del trapianto siano già acclimatate al campo. Quanto ci impiega una piantina per essere pronta al trapianto? In genere circa 35/40 giorni per il trapianto meccanico, ma noi riusciamo a produrre piante pronte per l’attecchimento in 25 giorni, subito pronte a diventare il migliore Igp sul mercato. Quanti produttori rifornite? Circa 150, e per ognuno creiamo la piantina più adatta alla loro campagna, forniamo assistenza per la gestione del prodotto durante la crescita in modo che alla raccolta non ci siano brutte sorprese.
Soc. Agr. Greenplant 2 S.S. - via Pegorina, 73 - 30015 S. Anna di Chioggia (VE) Tel e Fax 041 4950 978 - Cell. 335 6194329 - 334 6635577 - greenplant2ss@gmail.com
Ambra Rossa, quando il luppolo incontra il radicchio! La birra al Radicchio di Chioggia Igp, creata dal Birrificio artigianale San Gabriel di Ponte di Piave
Specialità autoctona, versatilissima in cucina. Degustata alla temperatura di 8-10°C in un calice aperto esprime tutta la sua fragranza. Colore rosso ambrato con schiuma persistente, delicati sentori caramellati e vegetali, corpo rotondo e maltato in sintonia con il nobile amaro del Radicchio. Lievemente frizzante, retrogusto erbaceo e morbido. Gradazione alcolica: 5.5° Abbinamenti: carni bianche, selvaggina, formaggi a pasta molle, eccezionale con il pesce
Birrificio San Gabriel - Birrificio veneto Srl Via della Vittoria, 2 - Levada di Ponte di Piave 31047 TREVISO tel. 0422 202188 - fax 0422 0247384 info@sangabriel.it - www.sangabriel.it
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30019 SOTTOMARINA DI CHIOGGIA (Venezia) Mag.: Viale Mediterraneo, 472 - Tel. e FAX: 041 55 43 261 Cellulare: 348 53 12 655 - Abitazione: 041 49 25 01
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