Nuova luce alla Madonna delle Grazie

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Parrocchia del Duomo

Città di Chieri

NUOVA LUCE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE

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Parrocchia del Duomo

CittĂ di Chieri

NUOVA LUCE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE Restauri e riscoperta del progetto vittoniano


NUOVA LUCE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE Restauri e riscoperta del progetto vittoniano Chieri settembre 2010 Duomo di Santa Maria della Scala Una produzione: Associazione La Compagnia della Chiocciola Onlus a cura di Cesare Matta Roberto Toffanello Michelangelo Varetto

Ottimizzazione e coordinamento dell’edizione Giovanni Franchino Cesare Matta Roberto Toffanello

con la collaborazione di Luca Emilio Brancati Daniele Codebò Giovanni Franchino Giuliano Pallaro Lorenzo Savio Daniela Vignetta

Contributi iconografici Archivio Storico Città di Chieri Archivio Consorzio San Luca - Torino Archivio Studio Gaidano&Matta - Chieri Studio Gallina - Chieri Michelangelo Varetto - Chieri

contributi di Claudio Bertolotto Camilla Botto Poala Elena Canaparo Antonio Franceschi Simona Gallina Giorgio Garabelli Silvia Gazzola Maurizio Gomez Serito Marina Locandieri Antonio Mignozzetti Edoardo Piccoli Luigi Salerno Vincenzo Tedesco Luca Toschino Michelangelo Varetto Fotografie Cesare Matta Ideazione grafica e impaginazione Studio Gaidano&Matta - Chieri (Angelo Gaidano - Xavier Narduzzi)

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Elaborati Grafici Studio Gallina - Chieri Organizzazione segreteria e ufficio stampa Loriana Verbena Si ringrazia per la collaborazione Pinuccio Brigante Case Manolino srl Stefania Costa Ferruccio Ferrua Angelo Gilardi Massimo Manolino Alberto Matta Gaspare Napoli Guido Vanetti Stampa Tipolitografia Edigraph - Chieri

COPYRIGHT - Associazione La Compagnia della Chiocciola Onlus - 2010


Indice

Presentazione Don Dario Monticone 5 Francesco Lancione 7 Agostino Gay 9 La Fondazione CRT per il Duomo di Chieri 11 La cappella della Beata Vergine delle Grazie: dal solenne voto agli ultimi restauri Silvia Gazzola 13 La vicenda della Cappella delle Grazie: tra disegni e documenti Vincenzo Tedesco 19 Nota biografica su Bernardo Antonio Vittone Vincenzo Tedesco 25 Un architetto, due scultori e un pittore per la cappella della Vergine delle Grazie di Chieri Claudio Bertolotto 29 Pietro Botto di Savigliano Antonio Mignozzetti 43 L’architettura e i materiali Maurizio Gomez Serito, Edoardo Piccoli 45 Rilievi e ricerche documentali a supporto della conoscenza e del restauro Simona Gallina 55 La riscoperta dei colori vittoniani Giorgio Garabelli, Marina Locandieri, Michelangelo Varetto 83 Una nuova luce Elena Canaparo, Antonio Franceschi 95 Bibliografia 96

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Ripenso ai primi giorni dell’ottobre scorso in cui la Madonna delle grazie fu collocata provvisoriamente nella cappella di S. Tommaso per poter dare il via ai restauri e rivedo i volti sorpresi di molti che sembravano smarriti e chiedevano dove fosse. Quasi un sacrilegio averla tolta dal suo posto abituale. Ebbene, già solo questo fatto la dice lunga sulla bellezza, sull’importanza, sull’affetto che i più hanno per la Madonna delle Grazie. È vero che non è stata lei ad essere restaurata, bensì la cappella, con i suoi affreschi e i suoi marmi, quella cappella che fa non solo da “contenitore”, ma aiuta a far convergere lo sguardo al centro, perché nessuno possa distoglierlo da ciò che conta. È su questo aspetto che vorrei fermare l’attenzione, altri illustreranno i lavori eseguiti e la parte storica. Davanti alla Madonna delle Grazie ci si ferma fissando lo sguardo, come assorti in una intimità unica ed esclusiva e anche se c’è qualcuno al tuo fianco spesso è come se non ci fosse. Conti tu e lei. Davvero non si può fare solo turismo religioso davanti a lei. Prova per un momento a pensare alla moltitudine di volti che lì si sono soffermati in questi secoli e un brivido d’emozione percorre il tuo corpo. Uomini e donne senza distinzione di sorta, santi e peccatori, colti e ignoranti, poveri e ricchi, conosciuti e anonimi tutti con il loro carico di umanità, di dolori, gioie, fatiche e richieste e tutti certi di essere ascoltati e capiti perché di fronte ad una MADRE! Tutti uguali, come uguali sono quelle candele che ardono per essere segno di devozione, di preghiera e della tua presenza anche quando ti allontani. E come sono uguali i figli per una madre, che mantiene intatto il suo affetto proprio anche quando si allontanano. Maria vive pienamente la sua maternità perché radicata nel suo essere madre di Gesù e come ha generato e cresciuto quel corpo così porta avanti per sempre la crescita di tutti coloro che di quel corpo sono le membra. Non dimentichiamoci poi che la mediazione materna Maria l’ha ricevuta sotto la croce e che la devozione alla Madonna delle Grazie è nata in un periodo atroce di sofferenza come quello della peste, in cui era immersa Chieri nel 1630 L’immagine della cappella ripulita e restaurata diventi allora simbolo di quella trasparenza che Maria ci insegna amandoci gratuitamente, senza distinzioni, come Madre. don Dario Monticone Parroco di Santa Maria della Scala di Chieri

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Ordinato del 27 luglio 1630. Archivio Storico Comunale di Chieri

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È sempre un piacere condividere un esempio positivo di collaborazione collettiva, quale è stato il progetto di restauro della cappella della Madonna delle Grazie, patrona della città, sita nella Chiesa Collegiata di Santa Maria della Scala. Come semplice cittadino prima e come rappresentante della Città dopo, ho sempre apprezzato il ricco patrimonio artistico culturale chierese, quindi mi unisco con entusiasmo alla sensibilità collettiva dimostrata nei riguardi di un bene storico. È nostro compito ringraziare e sostenere chi, accomunato dalla volontà di consolidare nel tempo le nostre radici, si adopera per restaurare e conservare opere che costituiscono la memoria identitaria della città di Chieri. La cappella della Madonna delle Grazie non possiede solo un valore storico attribuibile alla data della sua creazione, il 1630, ma anche e soprattutto un valore simbolico. Fu voluta ad opera dei canonici e delle autorità civili del tempo per fronteggiare l’epidemia della peste che aveva piegato inesorabilmente la popolazione. Oggi, dopo quasi 400 anni, è stata nuovamente elemento di coesione perché riacquistasse il suo splendore minato dal trascorrere del tempo. Un’importanza simbolica che, grazie all’intervento di restauro, continuerà ad essere tramandata. Un ringraziamento sentito ai fedeli della parrocchia e alla Fondazione CRT che, insieme all’ Amministrazione Comunale, hanno partecipato e condiviso il progetto nell’interesse della collettività. Un riconoscimento particolare al Consorzio San Luca per l’impeccabile ed attento lavoro di restauro e alle ditte che hanno collaborato: la Manolino Angelo srl per il ponteggio e Antonio Franceschi per l’illuminazione. La conclusione degli interventi sulla cappella della Madonna delle Grazie suggella il rilancio delle ricchezze artistiche di Chieri, una città che notoriamente possiede un’impronta culturale di rilievo nello scenario piemontese, che abbiamo il dovere di tutelare. Francesco Lancione Sindaco della Città di Chieri 7


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Chieri 2005, processione della Beata Vergine delle Grazie


Mi fa un certo effetto scrivere di avvenuti restauri, come presidente della Compagnia della Chiocciola. Era nell’ordine delle cose che, terminato il mandato amministrativo, avrei vissuto queste situazione da spettatore. Quando l’amore per la città ti entra dentro, però, quando il desiderio di veder continuata l’opera di valorizzazione del suo patrimonio storico rimane vivo, non puoi fare a meno di ricercare nuovi spazi di impegno. È stata, dunque, la voglia di continuare a dare un contributo diretto, a portare me ed un gruppo di amici a costituire una nuova associazione culturale; la voglia di essere ancora parte attiva nel processo di valorizzazione della città intrapreso verso la metà degli Anni Novanta. La vera novità, tuttavia, non è stata la nascita dell’associazione in sé, di associazioni, infatti, Chieri ne aveva fin troppe. La novità è stata l’adesione di numerosi Chieresi e contemporaneamente la disponibilità di tanti, che nel settore erano già impegnati, a decidere di collaborare in modo più coordinato. Ed eccoci ad iniziare la nostra avventura. Una vera e propria sfida, considerata la posta in gioco. È anche per questo che abbiamo voluto avviarla con un’iniziativa dal forte connotato simbolico, come la presentazione dei restauri della Cappella della Madonna delle Grazie in Duomo. Non è il primo intervento che viene portato a termine nella Collegiata della città, né il più importante dal punto di vista strettamente artistico. Ma la cappella della “Madonna”, come viene familiarmente chiamata dai Chieresi, è un’altra cosa. Fin da quando la Città la coinvolse nel tentativo di arrestare l’ennesima pestilenza che stava decimando la popolazione, la Madonna delle Grazie è il primo riferimento religioso dei Chieresi. Ora l’inaugurazione davanti all’intera comunità cittadina, che potrà ritornare ad ammirarla e, nel caso dei numerosi credenti, a venerarla. Per me che avevo contribuito a reperire, nel bilancio comunale, i fondi necessari per l’intervento, è fonte di soddisfazione assistere al completamento dei lavori di restauro; mentre per la Compagnia della Chiocciola è fonte di orgoglio iniziare la sua attività con la promozione di questo importante intervento di salvaguardia. L’augurio è che questa segni anche la riconferma dell’impegno cittadino per il recupero del patrimonio storico artistico che versa ancora in situazione di degrado. La promessa è che La Compagnia della Chiocciola svolgerà il suo compito fino in fondo, nella speranza di trovare lungo la strada tanti compagni di viaggio. Agostino Gay Presidente Associazione La Compagnia della Chiocciola

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Il Voto (particolare), Giuseppe Sariga, 1759

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La cappella della Beata Vergine delle Grazie: dal solenne voto agli ultimi restauri Silvia Gazzola1

La cappella votiva dedicata alla Beata Vergine delle Grazie è la quarta cappella della navata sinistra del Duomo di Santa Maria della Scala a Chieri e rappresenta, oltre che un’importante testimonianza storico-artistica del barocco piemontese, anche il luogo centrale della devozione mariana della popolazione non solo chierese. La cappella infatti nasce come Voto alla Vergine a seguito della grande epidemia di peste bubbonica che si diffuse sul territorio nella prima metà del XVII secolo. La pestilenza era stata importata dai contagi che dilagavano in Europa oltre che, in Piemonte, dalle soldatesche mercenarie straniere sopraggiunte in occasione della guerra dichiarata alla Francia, nel 1629 da Carlo Emanuele I, per la contrastata successione ai ducati di Mantova e del Monferrato. Tra le numerose epidemie che flagellarono il nostro territorio è da considerarsi senz’altro la più conosciuta e ricordata, sia per merito indiscusso di Alessandro Manzoni, che la scelse quale cupo sfondo alle vicende narrate nei Promessi Sposi, sia soprattutto per il tragico numero di morti che lasciò dietro di sè. Anche questa epidemia come le precedenti, non arrivò improvvisamente, bensì si sviluppò lentamente ma inesorabilmente dando le prime avvisaglie molti mesi prima in Europa e fece la sua terribile comparsa in Piemonte nel 1630. Nel mese di giugno la peste mieteva le prime vittime a Chieri; una città già piegata da una annata di grande siccità e di carestia nei raccolti. Al fine di sovvenire ai bisogni degli indigenti venne eletta una Commissione detta dei Conservatori della Sanità, composta da cittadini chieresi, come organo preposto alla tutela della salute dei cittadini. È quindi in questi terribili frangenti, nell’estate del 1630, che la Commissione fece un solenne Voto alla Beata Vergine Maria affinché l’epidemia cessasse, impegnandosi a costruire una cappella in onore della Vergine, all’interno della chiesa della Collegiata di Santa Maria della Scala. L’Ordinato del 27 luglio 1630, ratificato la settimana successiva il 2 agosto, riporta con precisione il volere dei signori Conservatori: “ (…) una Cappella con suo altare, dedicandola sotto il titolo della Madonna delle gratie et dotandola convenientemente per mantenere un messa parata con musica ogni primo giorno del

mese di settembre ogni anno in perpetuo alla sera si debbono cantar le Littanie della Madonna con li dovuti luminari (…) adornando la Cappella di stucco et oro proporzionato con la sua vedriata per la mezzaluna o finestra (...)”. La cappella doveva essere provvista inoltre di “ (…) suo altare con una statua della Madonna santissima et due Angeli convenientemente et secondo l’arte lavorati dipinti et dorati (...)” e di tutti i paramenti sacri oltre che di“ (…) Candellieri et Lampadario di lottone, cussini et altre forniture sollite convenienti e necessarie et opportune alla qualità del votto (...)”. Il sacello sacro fu quindi realizzato, tra notevoli difficoltà economiche, fra il 1632 ed il 1636, all’interno di parte della preesistente cappella dedicata a S. Giuliano, appartenente alla nobile famiglia chierese Valimberti. I lavori della cappella proseguirono lentamente. La realizzazione fu affidata allo stuccatore Bartolomeo Rusca. In corso d’opera i lavori subirono però una sospensione in quanto, l’Amministrazione Civica, contattò l’architetto Carlo di Castellamonte per predisporre un progetto più grandioso. Il nuovo progetto, che prevedeva tra le altre cose la demolizione di alcune cappelle esistenti, venne però abbandonato in quanto eccessivamente oneroso. Solo nel 1636, si può ritenere che la cappella fosse conclusa, infatti in quell’anno, venne consultato lo scultore Pietro Botto di Savigliano per la realizzazione della statua della Beata Vergine con il Bambino, anche se l’incarico sarà deliberato solo anni dopo, nel 1642 . Successivamente al Voto, la sensibile diminuzione del contagio, a causa del quale perì oltre un terzo della popolazione, fu attribuita alla bontà e alla potenza della Beata Vergine, verso la quale si consolidò la devozione del popolo chierese. Non un miracolo improvviso quindi, ma una grazia che a poco a poco risparmiò i due terzi della popolazione. E se nel Duomo “ fu fabricata a spese della Comunità una Capella” è segno che i nostri antenati vollero adempiere al Voto perché ebbero prova “della pietosa misericordia con preservar questa Città et tutto suo territorio, soi Cittadini et habitanti”. L’incessante pellegrinaggio dei fedeli che seguì fece sì che, qualche anno prima che si celebrasse il terzo Cinquantenario dalla liberazione della peste, il Comune vagliò l’ipotesi di ampliare la cappella affidando il progetto all’architetto Bernardo Vittone.

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Ordinato del 27 luglio 1630, (particolare),Archivio Storico Comunale di Chieri

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A questo fine il prevosto della Collegiata Giuseppe Antonio Buschetti, permise che si ampliasse la cappella, prolungandola nel giardino della prevostura. Allo stesso Buschetti si deve l’ideazione della inferriata che chiude il sacello, realizzata da Antonio Carrera di Chieri. Un primo pagamento all’architetto Vittone per il “disegno” risale al 28 maggio del 1757, seguirà poi un primo sopralluogo il 6 luglio dello stesso anno. Tuttavia, nel leggere la sequenza dei pagamenti, si può ipotizzare che i lavori iniziarono tra l’aprile e il maggio 1758 e terminarono nel 1771, dopo alcuni anni di sospensione. L’architetto progettò la cappella movimentando lo spazio con linee spezzate, grandi superfici curve e l’abile distribuzione della luce proveniente dal cupolino e dalla finestra. Ad accrescere il valore della cappella contribuì inoltre l’utilizzo e la varietà dei marmi impiegati. Nel corso dei secoli la cappella consolidò definitivamente l’immagine e soprattutto l’uso di luogo di culto, tuttavia, le opere che vennero ivi eseguite - possiamo oggi affermare con sufficiente certezza a seguito degli ultimi risultati del restauro - furono fortunatamente opere limitate quasi esclusivamente alla manutenzione ordinaria del bene, atta a garantirne l’ordine, l’efficienza e la pulizia. Possiamo quindi affermare, ad eccezione di alcuni limitati interventi, che la cappella conserva ancora oggi le forme e le linee generali del progetto vittoniano. Ad eccezione di alcuni lavori di restauro, nel 1701 una ripitturazione e nel 1721 la posa di una cancellata a delimitazione dell’ingresso, che però si riferiscono ancora alla prima cappella seicentesca, non sono stati rivenuti documenti significativi circa le opere di manutenzione effettuate dopo il progetto di Vittone. I restauri successivi al progetto di ampliamento della cappella si possono quindi solo ipotizzare ponendo in relazione la scarsità di documenti conservati, le fotografie storiche rinvenute e le analisi stratigrafiche preliminari al progetto di restauro. Dagli ordinati municipali sappiamo che il Consiglio deliberò un intervento di abbellimento della cappella nel 1840. Tali opere, come indicate dal Valimberti, avrebbero compreso, oltre che la doratura del simulacro della Vergine anche la sostituzione del pavimento originale vittoniano con un altro pavimento “alla veneziana”.

Duomo di Chieri, finestra lato ovest.

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La pavimentazione della cappella fu sicuramente l’intervento più significativo e invasivo effettuato a danno del progetto vittoniano. Sappiamo infatti che fu nuovamente sostituita con quella che vediamo oggi in riquadri di marmo con stelline, intorno agli anni Sessanta del Novecento. Di tale intervento non sussiste traccia negli archivi consultati tuttavia -in occasione di questo restauro- è stata rinvenuta, applicata a un gradino sulla sinistra dell’altare, una targhetta con inciso il nome della famiglia Gilardi e l’indicazione della data 1960. Dalla sequenza degli strati di ridipintura emersi sulla volta della cappella attraverso i saggi stratigrafici effettuati prima di quest’ultimo restauro, oltre le stesura pittorica grigia alla calce con frammenti di nero carbone che potrebbe risalire alla prima cappella Seicentesca, alla stesura di pennellata azzurro chiaro costituita da carbonato di calcio ascrivibile al periodo Vittoniano compare un terzo strato pittorico realizzato con particelle di oltremare artificiale disperse in carbonato di calcio. Si potrebbe pertanto ipotizzare che, in occasione dell’intervento di abbellimento a metà Ottocento, fosse stata eseguita anche la ridipintura della cappella oltre che gli altri interventi precedentemente citati . Analogamente, la presenza di una quarta stesura pittorica azzurra alla calce, realizzata con un insieme di particelle di bianco titanio, oltremare artificiale, blu e ocra rossa potrebbe invece consentire un parallelo con le opere eseguite in occasione dei lavori di metà Novecento. A conferma di tale ipotesi la presenza di discrete percentuali di resina sintetica di natura vinilica, in uso nelle pratiche di restauro di quegli anni. Un limitato intervento di manutenzione della cappella, il quale incluse, tra le altre cose, la ritinteggiatura della volta con un film pittorico blu, ritrovato come ultimo strato pittorico, risale invece a tempi recenti (1991). Rimane infine ancora da chiarire con precisione l’esecuzione del tamponamento di parte della corona posta al di sopra della trabeazione, e le motivazioni che determinarono tale scelta, considerato che tale otturazione limitò sostanzialmente il passaggio di luce. Da una fotografia pubblicata sul Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti del gennaio-giugno 1924, la cappella ha ancora l’apertura completamente libera dalla quale scaturisce un raggio di luce che filtra e irraggia appieno la statua della Beata Vergine sottostante, in pieno accordo con le peculiarità e volontà progettuali del Vittone.

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Si verrebbe pertanto a confermare l’ipotesi che l’apertura fosse completamente libera sino al 1924 e che la chiusura, di parte della luce in corrispondenza della corona, avvenne solo negli anni successivi, forse in occasione dei restauri sopraccitati ascrivibili a metà Novecento. La totale assenza di documentazione in merito a quest’ultimo intervento non consente di individuare le motivazioni che spinsero a ridurre la luce della apertura, con conseguente menomazione del progetto vittoniano. Tale questione ha rimandato, a studi e analisi statiche più approfondite, la scelta di riaprire totalmente la luce. Si è concordata tuttavia nel corso di quest’ultimo restauro l’eliminazione dell’assito di legno, posto alla base della corona che contribuiva ad occludere anch’esso il passaggio di luce, in modo tale da consentire di nuovo ai raggi solari di filtrare e irraggiare la statua della Madonna. Differentemente invece trattasi della tamponatura della finestra circolare, che si intravede ancora in traccia sul paramento esterno della cappella. In una lettera datata 9 maggio 1757, si legge che, in fase progettuale, l’architetto intendeva illuminare di luce naturale la statua della Beata Vergine: “pensai di introdurvi il lume alla Bernina, acciò essa statua non resti in un nicchio chiuso, oscuro e poco visibile ai divoti”. Tuttavia, in fase esecutiva, le intenzioni dell’architetto cambiarono. Pur non essendo note le ragioni che spinsero a ridurre la dimensione della finestra, forse dovute a un eccessivo ingresso di luce, si può presupporre che Vittone, presumibilmente in occasione di una sua visita in cantiere per “collaudazione dell’altare, e per altri lavori da farsi” il 3 settembre 1758, ne prescrisse la chiusura. A conferma di questo, due mesi dopo il 27 novembre 1758, il pagamento “per mattoni 425 essi mattoni per otturare la finestra della cappella”.

1 Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli. 2 Ringrazio infine Roberto Toffanello, Curatore dell’Archivio Capitolare del Duomo di Chieri, per la grande disponibilità dimostrata, che con competenza e preparazione ha contributo a fornire tutte le notizie indispensabili alla stesura di questo testo. Un ringraziamento va anche al restauratore Michelangelo Varetto per le utili informazioni tecniche atte a ricostruire le fasi e le sequenze dei restauri effettuati nella Cappella.

Particolare trabeazione.


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Progetto della Cappella della Beata Vergine delle Grazie, Bernardo Vittone, 1757.

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La vicenda della Cappella delle Grazie: tra disegni e documenti Vincenzo Tedesco1

Poco sappiamo della seicentesca Cappella delle Grazie prima dell’intervento vittoniano. Possiamo immaginare si trattasse di uno spazio simile a quello delle adiacenti cappelle, segnato dalla particolare devozione molto intensa che la cittadinanza riponeva sulla seicentesca statua della Madonna a ricordo delle tragiche vicende della peste del 1630, conclusesi con la miracolosa cessazione del morbo nel settembre di quell’anno nefasto. Il risultato del progetto di Vittone fu così altro che nel 1878 Antonio Bosio lo attribuiva a Filippo Juvarra2. La cappella era considerata di proprietà della Città di Chieri, come risulta dalle formule usate nelle diverse sedute del Consiglio comunale nel XVIII secolo. Dopo circa un secolo dalla sua costruzione, la Cappella doveva risultare bisognosa di interventi radicali di manutenzione, ma il Consiglio cittadino volle approfittare nel 1756 di alcune “persone divote, quali si sono offerte di contribuire per detti abbellimenti in qualche somma ragionevole”. Il Consiglio a tale proposito delega, per la scelta del disegno da seguire e per la sua esecuzione, Giuseppe Quaglino e Giuseppe Silvestro, i quali probabilmente furono gli intermediari dei rapporti con l’architetto Bernardo Antonio Vittone. A dire il vero, fu una misteriosa circostanza a rendere possibile la scelta di un progettista affermato e di materiali così preziosi: nella seduta del 23 marzo 1756 il sindaco Annibale Carlevero riferisce che il canonico Bonaudo ha individuato una “persona benemerita”, la quale offre una “ragionevole somma per l’ingrandimento e l’ornamento della Capella”, ma questa desidera essere seppellita nella cappella medesima. Il Consiglio, visti i benefici promessi, accorda il permesso. Segno di una reale capacità di decisione del Comune sulle sorti della cappella. L’arrivo dell’architetto nel 1757 si pone come momento di grande ammodernamento dell’impianto, richiesto dal prevosto della collegiata Giuseppe Antonio Buschetti, ma reso possibile solo grazie alle persone generose a cui sopra si è accennato. Il contributo di devoti del Duomo era già servito nel 1701 a realizzare abbellimenti vari, approvati dal Comune, mentre nel 1721 il Capitolo della Collegiata aveva chiuso lo spazio sacro con una cancellata, ancora a spese di una persona pia, purché non si apponesse alcuno stemma privato nella

cappella municipale3. L’ampliamento della cappella verso il giardino pare anteriore all’intervento di Vittone, come si evince dal disegno pubblicato da Portoghesi, nel quale sono colorati in nero i muri progettati da Vittone, mentre restano in grigio i muri preesistenti, come l’abside curva protesa verso il giardino. Esistono due lettere interessanti ed esemplificative dei rapporti di Vittone con i canonici della Collegiata4. La prima lettera di Vittone al canonico Onorato Leotardy, citata dal Valimberti5, rivela un’alta consapevole scelta formale di Vittone nell’erigere la cappella: la nicchia della statua si ispira alle nicchie poste nella navata maggiore di San Giovanni in Laterano di Roma, ed il lume sovrastante è da lui definito “alla bernina”. Dunque, Gian Lorenzo Bernini è l’illustre modello artistico cui si guarda il nostro per risolvere il problema della nuova Cappella. Una seconda lettera inviata da Vittone al canonico, datata 7 agosto 1757, riferisce che i ritardi lamentati dal canonico sono dovuti all’inesperienza e lentezza del “signor Coarino”, che è da identificarsi con l’apprendista Mario Quarini, allora ventenne e non ancora abilitato in architettura, il quale al tempo risiedeva in Torino per completare gli studi, e compiva il suo apprendistato presso lo studio del Vittone. Nel settembre 1757 Mario Quarini scriveva al canonico a riguardo dei “partiti”, cioè dei capitolati proposti da alcuni impresari per la Cappella delle Grazie, trasmettendogli i relativi fogli (a noi non pervenuti). I disegni della cappella furono pubblicati almeno due volte. La prima volta da Eugenio Olivero, uno dei primi a occuparsi delle architetture del Vittone, nel 19246. La seconda pubblicazione si deve a Paolo Portoghesi nel 1966. Lo storico ed architetto si proponeva di illustrare l’intera opera di Vittone, nella quale la cappella è piccola cosa, ma rientra perfettamente nella “poetica della luce”, o meglio, nella predilezione di Vittone per soluzioni architettoniche che consentissero di inondare di luce quegli elementi che il cultor richiedeva, oppure l’intera navata di una chiesa.. Molti disegni di Vittone per altari simili al nostro dimostrano che la riflessione sul tema non si esauriva in pochi episodi. Tutte le chiese di Vittone presentano cappelle che necessitano di luce, quindi in esse vengono applicati gli

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insegnamenti di Filippo Juvarra, che possiamo ammirare nella chiesa del Carmine principalmente ed in altre. Anche la juvarriana cappella di San Giuseppe nella chiesa di Santa Teresa di Torino presenta un’architettura grandiosa che ci suggerisce un ardito confronto: l’apparato architettonico lì serve ad esaltare un trionfo di nuvole attorno alla statua del Santo, che viene inondata dalla luce “mistica” proveniente dal finestrone retrostante, occultato dall’arcone con fastigio, motivo in seguito tipico sia di Juvarra, sia di Vittone7. Nel disegno vittoniano della Cappella8 si nota a sinistra l’attenzione dell’architetto per le venature dei marmi da utilizzarsi, nel complesso l’aderenza rispetto al realizzato9. I dettagli decorativi in stucco sono un po’ differenti, ma la volontà di sottolineare la luce con raggi “concreti” esemplifica la preoccupazione massima per questo aspetto progettuale10. In alcune cappelle della chiesa di San Francesco d’Assisi di Torino, parzialmente riplasmata nel 1761 dal nostro architetto con la collaborazione di Mario Quarini, troviamo sfondamenti della parete atti a illuminarle attraverso le finestre termali rivolte verso i vicoli laterali, ma la forma dell’apertura è ricondotta a forme più vicine al gusto settecentesco. In particolare, la cappella di Sant’Antonio da Padova avrebbe presentato anche un cupolino progettato da Quarini, sulla scorta dell’esperienza del maestro, mai il progetto non fu realizzato11. La grafia dei disegni della Cappella, effettivamente, risulta di Mario Quarini. Come spesso è accaduto, purtroppo, i disegni già conservati presso l’Archivio Capitolare di Santa Maria della Scala sono scomparsi (come lamentava il canonico Valimberti già nel 1928), vittime della rapacità di studiosi ed oggi irrecuperabili. Le cupole del Vittone sono determinate, evidentemente, dalla volontà di inondare di luce gli edifici sottostanti: i cupolini come quello delle Grazie sono semplici e non sono ornati come alcune delle realizzazioni vittoniane. Prendiamo ad esempio quello della cappella della Villa Radino detta “Il Cipresso”, sempre a Chieri, di fattura molto lineare, oppure quello della chiesina di Santa Lucia, attigua al Duomo di Chieri. L’avanzamento della cappella nell’area del giardino rompe in parte l’armonia della grande costruzione quattrocentesca, ma l’argomento della coerenza con le preesistenze era assolutamente estraneo al secolo XVIII, durante il quale si eressero senza problemi costruzioni addossate alle chiese antiche (vedansi le cappelle da destra del prospetto di Sant’Eustorgio a Milano).

L’interno della cappella dovette anche essere studiato per ospitare le due tele di Giuseppe Sariga, realizzate nel 175912, contenute nell’apparato marmoreo appositamente tagliato con cornici mistilinee. Le due tele, rappresentanti la peste di Chieri e il voto della Città alla Madonna, sono perfettamente inserite nel contesto e stanno entrambe al di sotto della statua di Maria, centro focale della cappella. Le strutture della volta sovrastante la statua sono in parte coperte di nuvole realizzate in stucco. Le aperture verso le cappelle laterali per consentire il culto potrebbero essere posteriori all’intervento di Vittone, ma al momento l’ipotesi non pare documentata. A dire il vero, le cornici che le caratterizzano paiono molto coerenti con l’intervento vittoniano. L’importanza del culto alla Vergine ha, comunque, reso necessario l’ampliamento a destra e a sinistra dello spazio dedicato ai fedeli. La statua è contornata da tre colonne per lato, che dilatano la prospettiva del riguardante, la sormontano un trionfo di angeli e nuvole e di volute decorate. La discesa della luce sulla statua è sottolineata, come nella chiesa di San Bernardino, dai raggi in legno, un tempo celati da tessuti ornamentali. L’apertura delle cornici è tipica della cultura architettonica dell’epoca, che cerca di ampliare gli spazi oltre la misura costretta dalle preesistenze e a simulare dimensioni non reali. La veduta dal basso proposta da Portoghesi ben evidenzia la capacità di far penetrare la luce facilitata dallo sfondamento dell’arco a baldacchino sopra la statua. La concavità e la convessità sono distribuite in maniera consueta allo stile settecentesco, in conformità con simili soluzioni adottate da Guarini (Palazzo Carignano), già presenti in Bernini (Progetti per il Palazzo del Louvre di Parigi). Vittone aveva sperimentato le possibilità scenografiche della struttura nella facciata della parrocchiale di Cambiano, del 1740 circa. L’utilizzo di marmi di differenti colori, al posto degli stucchi precedenti, dei quali vediamo apparati simili nelle cappelle adiacenti (del Carmine, delle Anime Purganti) è una concessione alla ricchezza dell’apparato ed un’indulgenza al lusso dei materiali piuttosto inconsueta rispetto alle possibilità delle cittadine della provincia piemontese nel Settecento. La volta a lacunari esagonali dipinti riprende numerose soluzioni juvarriane, in Sant’Uberto, nella chierese Sant’Antonio e molte altre.

Chiesa dei santi Bernardino e Rocco, Chieri.

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L’arco che sovrasta la statua è una citazione dalla torinese chiesa del Carmine, di Filippo Juvarra, poi ripresa da Vittone stesso e dal Quarini (nella cappella dell’Ospizio di Carità di Chieri). Interessante il confronto con un progetto del 1749 conservato presso i Musei Civici di Torino13, dove l’architetto pensa ad una sorta di mensola da applicare ad una macchina d’altare per ospitare una statua della Madonna, come a Chieri. Una corona sovrasta la figura, il cui capo è attorniato di finti raggi di luce in stucco. Anche per il San Francesco di Torino Vittone studia la collocazione di un gruppo statuario14. In Santa Maria di Piazza a Torino, Vittone celebra il gruppo situato sull’altare maggiore con una profusione di incorniciature. I lavori per la Cappella delle Grazie durarono dal 1757 al 1771, quando troviamo l’ultimo ordinato della Città ad essi relativo15, nel quale leggiamo l’esito finanziario dell’onerosa iniziativa: Sovra la rappresentanza quivi in voce fatta dal molto illustre e molto reverendo signor canonico coadiutore don Casimiro Calossio uno de signori direttori degli ornamenti stati fatti dalla pietà di devoti alla cappella della Vergine Santissima sotto il titolo delle Grazie propria di questa città esistente nella insigne chiesa colleggiata della medesima che per riddurre gli ornamenti d’essa cappella al perfetto suo stato et col decoro necessario non esser stati sufficienti le contribuzioni state fatte da persone divote, abbenché di somme considerabili rilevanti à quella di lire cinquemila circa onde per compire gli necessari ornamenti di detta capella essere a medesimi signori direttori ancor necessaria di lire millecinquecento, quali non è più sperabile di poter avere dalle suddette persone divote attese le egreggie contribuzioni da esse come sovra fatte, il che tutto rappresentare al conseglio affinché il medesimo provvedi come crederà più conveniente à maggior gloria di Dio, e della Vergine illustrissima delle Grazie. Il consiglio sentita la rappresentanza suddetta, e premendo che gli ornamenti di detta capella venghino quanto prima perfezionati, ha mandato, come manda pagarsi à detti signori condirettori la somma suddetta di lire mille cinquecento da imporsi, però ripartitamente nel causato tanto dell’anno corrente, che venturo 1760; et perciò metà in cadun anno il tutto mediante l’approvazione dell’illustrissimo signor intendente dal quale si spera che verranno gli suddetti imposti approvati per trattarsi d’opera, che non solo riddonda à maggior gloria di Dio e della sua madre, ma anche à decoro del pubblico di cui resta propria la capella suddetta. Romengo rettore e sindaco Giuseppe Talpone Giseppe Raschieri Michele Angelo Baudo Carlo Giovanni battista Vacherii Loia giudice Talpone segretaro16

Nel linguaggio ridondante dell’amministrazione dell’epoca leggiamo la preoccupazione per la devozione dei cittadini e per il pubblico decoro. Notiamo anche la procedura centralistica, che prevede l’approvazione dell’intendente, cioè del capo della provincia di Torino. Il “causato” è il bilancio annuale. A dispetto di quanto leggiamo nel documento qui riprodotto, ancora nel 1771 si organizzavano lotterie a premi per cercare di ripianare le spese della costruzione!17

1 Vincenzo Tedesco, responsabile dell’Archivio Storico Comunale di Chieri 2 Bosio 1878, p. 82. 3 Valimberti 1928, pp. 14-16, passim. 4 Ringrazio il conservatore dell’Archivio Capitolare della Collegiata di Chieri, Roberto Toffanello, per avermi mostrato le lettere una dozzina di anni fa, quando mi accostai agli studi su Vittone e Quarini. 5 Valimberti 1928, p. 147 6 Olivero 1924. 7 Vedansi foto e disegni in G. Gritella 1992, vol. 2, pp. 384-398. 8 Portoghesi 1966, dis. 39. 9 Vedansi gli studi di Maurizio Gomez Serito su questa stessa pubblicazione. 10 Il disegno, realizzato da Mario Quarini ma firmato dal Vittone, si è conservato fino ai nostri giorni, presso i Musei Civici di Torino: Museo Civico di Arte Antica e Palazzo Madama. 11 Bertagna 2005, p. 192. 12 Bosio 1878, p. 81, con un errore circa la data di realizzazione delle due tele 13 Portoghesi 1966, fig. 17. 14 Portoghesi 1966, fig. 280. 15 ASC Chieri, art. 58, par. 2, vol. 54, c. 13, seduta del Consiglio del 1° settembre 1759. 16 Nella trascrizione si normalizzano le maiuscole e si sciolgono le numerose abbreviazioni. 17 Valimberti 1928, p. 152.

Chiesa di Santa Chiara, Bra, (da Richard Pommer, 2003).

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Parrocchiale di Santa Maria Assunta, Riva presso Chieri, (da Guido Vanetti, 1992).

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Nota biografica su Bernardo Antonio Vittone Vincenzo Tedesco L’architetto Bernardo Antonio Vittone nacque a Torino dal mercante in stoffe cambianese Nicolao e dalla torinese Francesca Maria Comune il 19 agosto 1704 in contrada dei pasticceri e morì a Torino nel proprio studio-abitazione il 16 ottobre 1770. Studiò architettura probabilmente sotto l’influsso dello zio, architetto Gian Giacomo Plantery (1680-1756), e si perfezionò a Roma presso l’Accademia di San Luca nel 1731. Vittone si dichiara allievo di Filippo Juvarra (1736), l’architetto che dal 1720 per una quindicina di anni diede un grandissimo impulso ai progetti dei Savoia di ingrandire la capitale e di migliorarne la qualità edilizia. La formazione romana impresse ai due architetti solide basi classiche sulle quali impiantare una particolare sensibilità verso la cura dei dettagli e delle soluzioni per la luce. Le opere di Vittone in Piemonte sono numerosissime, il suo studio molto affermato e frequentato da parecchi allievi, come Giovanni Battista Borra (1713-1786), Mario Quarini (1736-1808). Gli epigoni di Vittone, da Carlo Andrea Rana (1715 -1804) a Filippo Castelli (1738-1818) e molti altri edificarono in Piemonte una quantità di costruzioni religiose e civili di alta qualità diffusa in tutta la Regione, che le conferisce il carattere di laboratorio sperimentale di fantasiose soluzioni progettuali. Opere principali di Bernardo Vittone Pecetto Torinese: parrocchiale di Santa Maria della Neve Torino: chiesa di Santa Chiara, di Santa Maria di Piazza, facciata di San Francesco d’Assisi (con Mario Quarini), interventi nel palazzo dell’Università Bra: chiesa di Santa Chiara, palazzo civico Corteranzo: chiesa di San Luigi Gonzaga Carignano: Santuario del Vallinotto, Ospizio di Carità Cambiano: facciata della parrocchiale dei SS Vincenzo e Anastasio Chieri: cappella delle Grazie, chiesa di Santa Lucia, Villa Morelli poi Radino detta il Cipresso, refettorio della chiesa di Sant’Andrea di Chieri (e forse anche il campanile: opere distrutte), monastero delle Orfane Riva presso Chieri: parrocchiale dell’Assunta, Palazzo Grosso di Brozolo (Municipio) Foglizzo: chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena Vercelli: chiesa di Santa Chiara

Alba: chiesa della Maddalena (incompiuta) Asti: coro e abside della cattedrale Rivarolo Canavese, chiesa parrocchiale di san Michele San Benigno Canavese: chiesa e palazzo abbaziale di Fruttuaria Grignasco: chiesa parrocchiale Borgo d’Ale: chiesa parrocchiale Mondovì: cupola della chiesa dei SS. Pietro e Paolo Pinerolo: Palazzo dei Catecumeni, detto palazzo Vittone Valcasotto: certosa poi palazzo dei Savoia Villanova Mondovì: chiesa di Santa Croce E ancora opere a Beinasco, Chivasso, Sant’Ambrogio di Torino, Asti, Buttigliera d’Asti ed altre località, dove erige chiese, altari, organi, mobili da sacrestia e fornisce pareri tecnici idraulici e di altro genere. A Nizza in Francia troviamo la sua chiesa di San Gaetano. Vittone realizzò perlopiù edifici ecclesiastici per piccole comunità del Piemonte centrale e settentrionale (nel Piemonte meridionale, da Racconigi verso Sud, predominava la figura di Francesco Gallo di Mondovì ), ma non bisogna sottovalutare i progetti e le realizzazioni civili, prima tra tutte l’edificio del Collegio delle Province (Torino, piazza Carlo Emanuele II, oggi Caserma Bergia), luogo di insegnamento e di soggiorno destinato agli allievi dell’Università degli Studi di Torino provenienti dalle lontane province piemontesi. Le chiese presentano studiati punti di accesso e diffusione della luce, entro strutture spesso a pianta centrale, definite “strutture aperte” da Richard Pommer negli anni Sessanta del Novecento. Vittone fu anche trattatista. Anzitutto nel 1737 si occupò di pubblicare il saggio di Guarino Guarini L’architettura civile. In seguito, nel 1760 pubblicò a Lugano le Istruzioni elementari per l’indirizzo de’ giovani allo studio dell’architettura civile, e nel 1766 ancora a Lugano, le Istruzioni diverse concernenti l’officio dell’architetto civile, di recente ristampate a cura di Edoardo Piccoli. Nei sui saggi sono molte le tavole firmate dai suoi allievi incisori, primo fra tutti il chierese Mario Quarini. Per la biografia, si vedano Paolo Portoghesi 1966, ma soprattutto Pasquale Cantone 1989 (con ulteriori precisazioni negli anni successivi: egli chiarì definitivamente luogo e data di nascita, a lungo incerti). Una corposa “Cronologia di Bernardo Vittone” pubblicata da Walter Canavesio nel 2005 in coda al volume di aggiornamento Il voluttuoso genio

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dell’occhio. Importante, in quella sede, il punto della situazione relativa alle varie attribuzioni imprudenti e non documentate di opere al Nostro. Straordinario documento resta l’inventario dei mobili contenuti nell’appartamento del Vittone alla sua morte, pubblicato integralmente da Paolo Portoghesi nel 1966 (si tratta di un atto notarile conservato presso l’Archivio di Stato di Torino). Per comprendere le opere, fondamentali quelli di Eugenio Olivero nel 1920, di Albert Erich Brinkmann nel 1931, di Giacomo Rodolfo nel 1933, di Paolo Portoghesi nel 1966, gli atti del Convegno di Torino del 1970, gli studi comparativi di Richard Pommer, quelli di Rudolf Wittkower negli anni Sessanta, i continui proficui ritorni sull’argomenti di Augusta Lange, Amedeo Bellini, Augusto Cavallari Murat, Vittoria Moccagatta, Walter Canavesio, Bruno Signorelli, Guido Vanetti, Umberto Bertagna, Giuseppe Dardanello, Rita Binaghi, la sintesi di Richard Buser. Il convegno di Torino del 1970, intitolato “Bernardo Vittone e la disputa fra classicismo e barocco nel Settecento”, i cui atti vennero pubblicati dall’Accademia delle Scienze nel 1972, fece il punto su molti aspetti dell’opera vittoriana, inserita in un ampio contesto europeo. Una bibliografia aggiornata al 2005 si deve ancora una volta a Walter Canavesio, nel suo volume del 2005; interessante anche, a testimonianza della diffusione europea dell’interesse per l’architettura piemontese, lo studio di Richard Buser intitolato Bernardo Vittone – Planen und Bauen im Piemont des 18. Jahrhunderts, disponibile sul web all’indirizzo http://www. bauforschungonline.ch/dissertation.

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Parrocchiale di Cambiano

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Un architetto, due scultori e un pittore per la cappella della Vergine delle Grazie di Chieri Claudio Bertolotto1

I documenti conservati presso l’archivio del Duomo di Chieri, messi a disposizione dall’archivista Roberto Toffanello (che ringrazio per la grande disponibilità), ci consentono di rievocare la genesi degli ornamenti pittorici e scultorei settecenteschi della cappella della Madonna delle Grazie, attraverso la viva voce, per così dire, dei protagonisti. Il primo a intervenire sull’argomento è ovviamente l’architetto Bernardo Antonio Vittone, che il 9 maggio 1757, scrivendo al priore Giovanni Onorato Leotardi, così si esprime sull’opportunità di arricchire con ulteriori sculture la statua seicentesca della Vergine, realizzata da Pietro Botto di Savigliano: “siccome il lume primario della Capella viene da dietro dell’altare…pensai ad introdurvi il lume alla Bernina, acciò essa statua non resti in un nichio chiuso, oscuro e poco visibile ai divoti. Starà pur bene portata da Angiolini, e non collocata così alla commune, come tutte le statue sul piano della nichia, ancorachè gli angioli siano di color bianco”. Il Vittone cita inoltre il noto disegno per l’altare (ora presso i Musei Civici di Torino), che aveva già inviato al Leotardi, “non avendo io fatto verun altro disegno per il di lei altare, senonchè qualche abosso per aver luogo a sciegliere l’idea migliore, onde può star certa non esservi altro da inviare”. A tale disegno fa riferimento poco più di un anno dopo, il 9 giugno 1758, lo scultore Ignazio Perucca, quando dichiara “d’essere obligato a fare tutte le figure che esistono nel disegno dell’Altare della V. S.ma delle grazie di Chieri, stato spedito dal Sig.r Vittone, et sotoscritto dalli Sig.ri D. Onorato Leotardij, et Amedeo Rizzi; consistenti esse figure in tutto ciò si vede espresso in d.o dissegno, a riserva della Statua della V.S.ma, et della testa di puto, che esiste in mezzo dell’architrave, et queste cose date terminate, bianche e lustrate in opera fra tutto il mese di luglio, et ciò tutto mediante la somma di lire novanta; in conto di quali lire 90 Confessa d.to Sig.r Perucha d.o avere ricevuto la somma di lire trenta sotto il giorno d’oggi et per mani del Sig.r Giachino di Chieri”. Il documento, redatto a “Torino li 9 giugno 1758”, reca in calce il “Segno del Sig.r + S. Ignazio Perucha Illi.to”, ossia “illitterato”.

Apprendiamo dunque da queste parole, e dal segno della croce tracciato dall’artista, che questi era analfabeta2. Il Perucca si esprimeva però con grande efficacia nel linguaggio della scultura, come provano appunto le figure angeliche realizzate per la cappella di Chieri, ultimate entro il 10 agosto 1758, quando vengono pagate “al Sig.r Perruca per saldo delle figure di legno L. 60, e per maggiori travagli L. 4.10”. Lo scultore torinese realizza dunque, secondo il progetto del Vittone, i due grandi angeli inginocchiati sulla trabeazione, i cherubini ai lati dell’apertura triangolare che doveva irraggiare su di essi e sugli angeli maggiori una parte del “lume alla bernina” (ispirato all’idea della fonte luminosa nascosta dell’Estasi di Santa Teresa del Bernini), e infine i due “angiolini” voluti dal Vittone per dare slancio alla statua della Vergine (mentre l’angelo che regge il cuscino su cui siede il Gesù Bambino non è del Perucca, come scritto dal Bosio e accettato fino ad anni recenti, ma dello stesso Pietro Botto, autore della statua seicentesca, che infatti è esclusa nella dichiarazione del Perucca)3. Il recente restauro ha consentito di ritrovare la laccatura bianca originale delle sculture, rimuovendo anche un’incongrua recente coloritura degli angeli maggiori e degli angioletti ai piedi della Vergine, voluti “di color bianco” dal Vittone, come tutti gli angeli scolpiti dal Perucca, per simulare delle sculture in marmo, coerentemente inserite nel ricchissimo apparato marmoreo della cappella. Infatti, come si è visto, lo scultore torinese si impegna a consegnare le statue “terminate, bianche e lustrate in opera”. Tali sculture, tra le non molte documentate al Perucca (numerose quelle motivatamente attribuite), rivelano un particolare impegno dell’artista, anche per non deludere le aspettative del Vittone, che molto probabilmente aveva suggerito il suo nome (come dovette avvenire per vari altri cantieri vittoniani, da quello della Madonna degli Angeli di Cuneo, a quello di S. Ignazio a Lanzo, a quello torinese di Santa Maria di Piazza, nei quali il Perucca realizzò gli apparati scultorei)4.

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Si osservi ad esempio la figura dell’angelo di sinistra, particolarmente felice sia per la delicata espressività del volto, sia per l’eleganza del gesto delle braccia protese, forse memore dei bellissimi angeli realizzati dal Plura, su progetto di Juvarra, per il modello ligneo di un altare laterale di Sant’Uberto a Venaria (il modello, in scala al vero, si trova ora nella parrocchiale di Agliè5. Gli angeli scolpiti dal Perucca per la cappella delle Grazie di Chieri presentano i caratteri tipici dell’artista, che si esprime con un intaglio spesso semplificato e quasi scabro, sia nella costruzione dei panneggi, sia nella modellazione delle membra e dei volti. Vi è tuttavia nei gesti e nei visi un’espressione dei sentimenti convincente e istintiva, meno raffinata di quella, ad esempio, del Clemente, ma proprio per questo talvolta più affascinante. Un altro grande scultore in legno che opera per la cappella chierese è Giuseppe Antonio Riva. I documenti conservati nell’archivio del Duomo attestano vari suoi interventi, alcuni dei quali particolarmente significativi. Anzitutto c’è il pagamento di lire 9.15, il 1 luglio 1758, “al Sig.r Scultore Riva per l’usciolo del tabernacolo, cioè scoltura e indoratura”. Si tratta senza dubbio della porticina del tabernacolo in legno intagliato e dorato tuttora in loco, con la raffinata rappresentazione del pellicano che nutre i figli col proprio sangue, simbolo di Cristo, e di due cherubini negli angoli superiori . Il 26 agosto il Riva è pagato lire 5.20 “per aver indorato il bordo delli assetti che coprono il tabernacolo, e gradini dell’altare”. Il 6 gennaio 1759 lo scultore riceve lire 6.10 “per aver indorato due piccoli raggij ed il contorno della fodra d’assi posta su l’alto cornicione per conservazione de marmi, e per difenderli dalli oltragiamenti delle scale”. Ancora il 16 agosto 1762 saranno pagate lire 37.20 “allo scultore Riva per un piedistallo dorato” mentre il 18 agosto 1763 l’artista riceverà lire 12.10 “per suplemento di pag.to di n.6 piramidi dorate convenuto in L. 95” Anche il Riva, come il Perucca, era uno scultore di fiducia del Vittone, ed è quindi naturale che sia stato lui a completare l’arredo ligneo della cappella. Come osservò per primo Guido Gentile, “Altro elemento che pare accomunare la situazione culturale e la fortuna professionale

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dei Riva, in particolare di Giuseppe Antonio, e del Perucca è un significativo rapporto con Bernardo Antonio Vittone, di cui concorrono a realizzare e ad integrare alcuni progetti plasticoarchitettonici. Il Riva maggiore nel 1741 entra in contatto con il Vittone, come rappresentante della confraternita del Nome di Gesù di Chieri per la ricostruzione della chiesa di questa e tra il 1743 e il ’45 cura, con propri disegni, il compimento dell’opera nell’apparato decorativo”6 Ultimate e messe in opera le sculture lignee del Perucca, e mentre procede la realizzazione delle suppellettili intagliate affidata al Riva, si dà incarico a un pittore, Giuseppe Sariga, di completare l’ornamento della cappella delle Grazie, dipingendo due tele e affrescando il cupolino della nuova abside creata dal Vittone. Le tele, rappresentanti il Contagio del 1630 e il Voto fatto alla Vergine in tale circostanza, dovevano essere incastonate in due stretti riquadri ai lati dell’altare. Sull’argomento vi è anzitutto una lettera inviata dal Sariga al canonico Casimiro Callossio, datata “Torino li 8.del 1759”, dove il mese, non indicato, è probabilmente gennaio, dato che nella convenzione per l’esecuzione dei dipinti, sottoscritta dall’artista l’8 febbraio 1759, si cita una lettera inviata al pittore il 7 gennaio 1759. Rispondendo a tale lettera, l’artista così si esprime in merito alla commissione del quadro del Voto e di quello del Contagio: “Ricevo la sua gentil.ma con la comissione che V.S. si compiace d’offerirmi dei due quadri, dove sonno a dirle che l’idee sonno molto proprie e concetose, ma quella del primo è molto sogetta e faticosa dovendo esprimere tutti quei carateri di persone. Già supongho che il corpo della Cità cioè li Sindaci andaranno vestiti con togha, perciò dovendo fare tutte quelle divise, come quelle de Religiosi, Monache e Confratelli, resta molto d’impegno e Sogetto; tanto più che la misura d’essi quadri è asai bislongha, che vi resta poco sito in larghezza per situare tutta quella gente”. Il pittore chiede per i due quadri 300 lire, e assicura “che è farli a prezzo molto tenue per non dir vile riguardo alla fatica e sogezzione, che vi è massime nel primo”. Il Sariga promette di andare a Chieri “quando che si contenteranno d’accordarmi ciò che domando, cioè quando saremmo aggiustati, che è sollo per veder il sitto e il lume per potermi regolare circa il tono che si hanno da tennere”.


Particolare degli angeli dopo il restauro.

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In merito ai due dipinti, aggiunge che “per quello del contaggio, tutto che faticoso, pure essendo in arbitrio del Pittore, ed essendovene molti da vedere come quello che V.S. accenna del Pozzi, e diversi altri, facilita assai, ma quello del votto bisogna ricavarlo intieramente d’idea e d’invenzione con quella sugezzione di tutti quei carateri. Se averò la sorte di poterli servire che è mio impegno di non tralasciar fatica per farmi onore, non tanto per me quanto per chi mi propone” (sembra ovvio che si tratti del Vittone, progettista dei lavori della cappella, che fra l’altro, come vedremo, si recherà a Chieri accompagnato dal Sariga al momento della consegna dei quadri). Nella convenzione fra il pittore Sariga, Giovanni Onorato Leotardi e il canonico Casimiro Callossio, sottoscritta a Chieri l’8 febbraio 1759, l’artista “si obliga di fare e di dar finiti li due quadri in altezza secondo il dissegno dalle parti sottoscritto…fra e per tutto Giugno or venturo colla maggiore attenzione e vivezza possibile di colori fini e permanenti e ripastati à oglio … secondo l’idea espressa in lettera inviatali li 7 gennaio 1759…”. Il Sariga dichiara di ricevere in quello stesso giorno, l’8 febbraio, centocinquanta lire in contanti di anticipo, mentre in calce alla stessa convenzione il 1 agosto il pittore accuserà ricevuta di “altre lire cento e cinquanta quali somme per saldo de due quadri soprannominati”. In effetti, dallo “Scaricamento” del “Conto tenuto dal Sig. D. Giuseppe Dom.co Collo” risulta un pagamento del 31 luglio 1759 “per porto dei due quadri latterali da Torino”, un altro pagamento di lire 4.10 “per la vettura del Sig. Sariga da Torino a Chieri in compagnia del Sig. Ingegnere Vittone”, mentre il 1° agosto sono pagate 30 lire “al Sig. Ingegnere Vittone per due vacazioni”, ovvero sopralluoghi al Duomo di Chieri. Nello stesso mese di agosto fu completata la decorazione pittorica della cappella, con gli affreschi del cupolino, come attesta il pagamento di ben 130 lire, il 22 agosto 1759, “Al Sig. Sariga per la pittura del cupolino”. Probabilmente il pittore, dopo aver collocato le tele e riscosso il saldo per le medesime il 1 agosto 1759, si fermò a Chieri per eseguire gli affreschi, come sembra indicare un pagamento di 1.10 lire, il 3 agosto “alli fachini per aver scaricato marmi et per una sechia bianco, e di 12.6 centesimi “per un settaccio per il pittore”.

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Dopo il restauro dei due quadri relativi alla peste del 1630, effettuato nel 1987 dal laboratorio Mastrotisi, il recente recupero degli affreschi a cura del Consorzio San Luca ci consente di apprezzare ulteriormente l’arte del Sariga, anche come pittore ad affresco. Se nelle due tele si poteva già rilevare la capacità dell’artista di costruire le figure e i volti con tratti sicuri ed espressivi, negli angeli affrescati del cupolino possiamo ora apprezzare le stesse doti, più evidenti grazie alla tecnica dell’affresco, realizzato con l’uso di colori puri e di un chiaroscuro luminoso reso con un tratteggio colorato. Purtroppo alcune figure sono state gravemente danneggiate dall’umidità e in passato ridipinte, ma altre, perfettamente integre, come quelle degli angeli musicanti, rivelano le doti del pittore, che delinea con sicurezza figure angeliche piene di naturalezza e affabilità. Forse proprio questa leggerezza e cordialità delle immagini affrescate dal Sariga indusse il Vittone a suggerire il nome dell’artista per la realizzazione degli ornamenti pittorici delle sue architetture, così come aveva fatto per il Guala, pittore dall’arte spumeggiante ed egualmente cordiale, dai tempi della cappella del Vallinotto, presso Carignano, alle successive collaborazioni, fino al momento in cui l’artista casalese si era trasferito a Milano nel 1756, morendovi l’anno successivo. La collaborazione del Sariga col Vittone è attestata, dopo l’impresa chierese, dagli affreschi, purtroppo assai danneggiati, realizzati per la cappella di Sant’Antonio da Padova nella chiesa torinese di San Francesco d’Assisi, chiesa su cui il Vittone intervenne a partire dal 1761. Segno del prestigio raggiunto dal Sariga fra gli artisti torinesi fu l’elezione a priore della Compagnia di San Luca, nel 1764. Merita tuttavia ricordare che il Sariga era originario del Canton Ticino, così come la dinastia dei pittori Torricelli, della quale fanno parte i fratelli Giuseppe Antonio e Giovanni Antonio, nati a Lugano nel 1710 e nel 1719 e operosi prevalentemente in Svizzera e in Lombardia, e i fratelli Rocco e Antonio Maria, già confusi con i precedenti, attivi a fine Settecento nelle imprese decorative di Palazzo Grosso a Riva presso Chieri e degli appartamenti dei Duchi d’Aosta nel Castello di Rivoli.


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Le cordiali, luminose immagini create da Rocco e Antonio Maria Torricelli (il primo figurista, il secondo prospettico) in queste due dimore storiche sembrano in certo modo prefigurate dai bellissimi angeli affrescati dal Sariga nella cappella delle Grazie, forse per via delle comuni fonti di cultura pittorica e di sapienza tecnica proprie dell’ “arte dei laghi”, alle quali sia il Sariga sia i Torricelli poterono attingere7. Nel titolo di questo contributo ho fatto cenno a due scultori attivi per la cappella delle Grazie, il Perucca e il Riva. In realtà vi è un terzo scultore, ed è colui che realizza le belle teste di cherubini di marmo bianco che ornano le trabeazioni sui lati lunghi del prezioso ambiente creato dal Vittone. Potrebbe trattarsi di quello stesso Amedeo Rizzi a cui è affidata l’esecuzione dei rivestimenti e degli ornamenti marmorei della cappella, e che sottoscrive il citato disegno del Vittone per l’altare, impegnandosi appunto a realizzarlo per le parti che lo riguardano. Alcuni ornamenti in marmo, come viene chiarito dagli studi pubblicati in questo stesso volume, provengono dall’allestimento seicentesco della cappella. Fra questi potrebbe esservi anche il cherubino inserito nella trabeazione che sovrasta l’altare, ovvero la “testa di puto che esiste in mezzo dell’architrave”, che il Perucca, come abbiamo visto, esclude dalle sculture che gli spettano. Si tratta in effetti di una scultura dai caratteri più seicenteschi, che il Vittone potrebbe aver evocato nel suo disegno, volendo recuperarla nel nuovo allestimento. Senza dubbio settecenteschi sono invece i due cherubini che ornano le trabeazioni laterali della cappella, armoniosamente inseriti nei decori marmorei e caratterizzati da raffinati giochi chiaroscurali (grazie anche all’uso del trapano nelle capigliature), che rimandano a una cultura rocaille che sembra già partecipe del rinnovato interesse per l’arte classica. Benchè nei documenti di pagamento al Rizzi reperiti da Roberto Toffanello non si faccia cenno specifico di tali sculture, sembrano tuttavia significative in proposito alcune annotazioni riportate nelle Schede Vesme alla voce “Amedeo Rizzi”. In un verbale del Consiglio dell’Università di Torino del 28 agosto 1806 (Torino, Archivio di Stato), si cita “Le sieur Amé

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Rizzi, artiste de l’Ecole de sculpture, agé de 73 ans, servant depuis 53 ans, jouissant du traitement de 660 francs”, essendo stato nominato il 7 agosto “Garçon de sculpture” nella stessa scuola. Il 14 maggio 1807, più tristemente, si registra un pagamento di lire 42,75, ossia un dodicesimo del suo trattamento, “A un employé de l’Université, le sieur Rizzi, ayant 54 ans de service et périssant de misère”.

1 Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte. 2 Come confermano ad esempio i documenti per lavori alla Cappella dei Nobili e Avvocati di Torino, reperiti da Franco Monetti e Arabella Cifani e citati in F. Gualano, Ignazio Perucca scultore torinese. Documenti, opere inedite e percorso, in “Bollettino S.P.A.B.A.” 2001-2002, pp. 152-153. 3 Cfr. A. Mignozzetti, Artisti nel Duomo di Chieri, Chieri 2007, pp. 60-61. 4 Cfr., anche per i riferimenti bibliografici, F.Gualano, cit. 5 Cfr. la scheda di G. Dardanello in I Trionfi del Barocco. Architettura in Europa 16001750, a cura di H. Millon, catalogo della mostra di Stupinigi, Cinisello Balsamo 1999, pp. 563-564; cfr. inoltre la scheda dello scrivente su un paliotto della parrocchiale di Costigliole d’Asti, attribuibile a Plura su disegno di Juvarra, in Il Teatro del Sacro. Scultura lignea del Sei e Settecento nell’Astigiano, catalogo della mostra di Asti, a cura di R.Vitiello, Cinisello Balsamo 2009, pp. 192-193. 6 cfr. G.Gentile, Sculture e apparati liturgici, in Per i quattrocento anni della Misericordia 1579-1979. Indagini e documenti sulla storia di Cavallermaggiore, Cavallermaggiore 1980, p. 87. 7 sui Torricelli, cfr. C. Bertolotto, I Torricelli dal Palazzo di Riva al Castello di Rivoli: gli appartamenti decorati per i duchi d’Aosta, in Palazzo Grosso a Riva presso Chieri. Le camere delle meraviglie e il giardino pittoresco di Faustina Mazzetti, a cura di F. Dalmasso, Riva presso Chieri 2008, pp. 6-23, in partic. nota 39 a p. 22.


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Il Contagio, Giuseppe Sariga 1759.


Il Voto, Giuseppe Sariga, 1759.

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A sinistra: Portina del tabernacolo di Giuseppe Antonio Riva, Cappella della Beata Vergine delle Grazie, Chieri.

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A destra: (in bianco e nero) Chiesa dei santi Bernardino e Rocco, apparato dei candelieri e particolare del tronetto per l’ esposizione del santissimo. Opere di Giuseppe Antonio Riva. (a colori) putti alati in marmo nelle pareti laterali della Cappella della Beata Vergine delle Grazie.


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Pietro Botto di Savigliano Antonio Mignozzetti

Il 24 gennaio 1636 i sindaci Carlo Robbio, Lelio Tana e Giacobino Borgarello annunciavano al Consiglio comunale di Chieri la conclusione dei lavori di costruzione della cappella votiva dedicata alla Madonna delle Grazie, e sottoponevano alla sua approvazione la “scrittura d’accordo et capitullazione” stipulata tra loro “et il signor Pietro Botto di Savigliano scultore in Torino residente per conto della fatura della statua di legno da porsi nella Nichia di detta Capella et li due Angeli pur di legno da reporsi nelli fianchi di detta Capella, per la qual capitullazione et come per essa si lege si sono promessi per la fattura di dette statue al detto signor Botto Ducatoni sessanta cinque effettivi o loro vero vallore da pagarsi al presente Ducatoni vinti cinque et li restanti quaranta Ducatoni al fine dell’opera...”. Il Consiglio approvava, disponendo che il tesoriere della città Mario Quarini sborsasse “li sudetti Ducatoni vinti cinque o loro vero vallore per farne il detto primo pagamento al sudetto signor Botto…” (Libro degli Ordinati del 1636). Non si sa per quale motivo, quel contratto rimase lettera morta per sei anni. Il 23 maggio 1642 ne fu firmato un secondo, che questa volta il Botto onorò regolarmente. Il primo settembre, infatti, giorno della festa votiva, il gruppo scultoreo era nel posto che i fratelli Rusca gli avevano preparato, e che nei sei anni precedenti aveva provvisoriamente ospitato un’altra statua, forse proveniente dalla cappella campestre di Santa Maria in Betlem. Di Pietro Botto, originario di Savigliano in provincia di Cuneo, non si conosce la data di nascita. Ma poiché risulta che nel 1607 aveva già trasferito la sua bottega a Torino dove godeva di una certa notorietà, e quindi doveva avere almeno trenta- trentacinque anni, la si può collocare attorno al 1570. Morì a Torino fra il marzo e l’ aprile del 1659. È la figura più in vista di una dinastia di intagliatori che per quasi un secolo prestò i suoi servigi ai duchi di Savoia, da Carlo Emanuele I, a Vittorio Amedeo I, a Madama Cristina, a Carlo Emanuele II. I principi Maurizio e Tommaso di Savoia lo nominarono “Gentiluomo di Artiglieria”, con lo stipendio e i privilegi connessi con quel titolo. Carlo Emanuele II lo remunerò come “primo scultore in legno di S.A.R.”. Pur lavorando per i duchi, non disdegnava le commesse provenienti da confraternite, conventi e parrocchie. Dopo

il 1630, in particolare, furono innumerevoli gli ordini che gli piovvero addosso da parte di comunità che, come quella di Chieri, intendevano tener fede ai voti fatti per scampare alla peste. Nella sua bottega lavorarono anche i figli Bartolomeo e Carlo Amedeo. Recenti studi di Elena Ragusa hanno dimostrato l’esistenza di un suo lungo sodalizio e reciproche influenze con lo scultore astigiano di origini fiamminghe Michele Enaten. Infatti, se la statua della Concezione della Collegiata di Carmagnola (1636-37) costituisce un chiaro episodio di dipendenza dell’Enaten dal Botto, che gliene fornì il disegno, nel gruppo della Madonna delle Grazie di Chieri è l’artista di Savigliano ad ispirarsi ad opere dell’astigiano, come la Madonna dei Boschi di Boves (1628) e i puttini-cariatide onnipresenti nelle sue macchine d’altare. Per il Duomo di Chieri eseguì anche il leggìo del coro e, forse, due confessionali e il grande armadio-archivio della sacrestia. Per la chiesa di San Domenico scolpì un magnifico altar maggiore oggi scomparso, un tabernacolo e due confessionali ancora in loco e, forse, le decorazioni in legno della cappella del Crocifisso. Fu definito “scultore egregio” (Francesco Voersio) e “uno dei primi scultori in legno, che in ordine ai tempi fiorissero in Torino” (Francesco Saverio Bartoli). La lunga collaborazione con il pittore Bartolomeo Caravoglia e con l’architetto Giovenale Boetto (la triade Boetto-Botto-Caravoglia resistette per più di venti anni) e l’essere richiesto da personaggi come Francesco Cairo e Giacomo Francesco Arpino danno la misura della stima di cui godeva non solo fra i committenti ma anche all’interno dello stesso mondo artistico piemontese. Nelle sue opere “l’intaglio è ricchissimo e quasi sempre di elevata qualità tecnica, l’invenzione decorativa appare continuamente variata sulla base di tutti gli elementi del repertorio ornatistico classico: gli esiti sono fra i più rappresentativi, se non i principali, dell’arte dell’intaglio ligneo piemontese nel secolo XVII”1.

1 Barbara Antonetto, I Botto. Una famiglia di intagliatori nel Piemonte del secolo XVII, Torino 1994, p. 7.

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Tassello di pulitura


L’architettura e i materiali Maurizio Gomez Serito1, Edoardo Piccoli2

L’idea Migliore Nel maggio 1757 Bernardo Antonio Vittone, autore del progetto per la realizzazione di un nuovo altare nella cappella della Beata Vergine delle Grazie di Chieri, è messo sotto accusa. La committenza teme - probabilmente a torto - che l’architetto abbia consegnato agli scalpellini, che hanno iniziato a produrre delle stime di costi assai elevate, un progetto diverso da quello inizialmente approvato. Vittone, nella replica, si scagiona e rilancia: «(…) non avendo io fatto verun altro disegno per il di lei altare, senonchè qualche abosso per aver luogo a sciegliere l’idea migliore, onde può star certa non esservi altro da inviarle, e se vi fosse mi glorierei presentarglielo di tutto cuore».

Fa quindi pesare il suo bagaglio culturale e insieme il titolo di Accademico di San Luca:

«La Vergine Santissima in detto disegno sta in una nichia non fatta secondo la commune, ma sul modello di quelle] che sono nella navata maggiore di S.to Gioa[nni] Laterano in Roma, e perché resti godibile e maestosa la statua, che in essa va collocata (…) pensai ad introdurvi il lume alla Bernina (…)»

Entra infine nel merito dell’architettura, dei materiali, del cantiere:

il combinare poi colonne picciole, e grandi, marmi vecchi e nuovi, è cosa di qualche impegno a ben riuscire; pure, colla fatica penso aver [supe]rata tal difficoltà, e che di tutti i di lei marmi pochi ne resteranno di avanzo, e quindi m[i] sovrapprende [sic] alquanto la dimanda fattali dal Sig Parodi in L.2700 per li marmi da aggiungersi [di] nuovo, intanto l’assicuro, che nel eseguirlo [si] cangerà qualche cosa solo a rispetto alle proporz.ni, e del finimento, e nel resto non so cosa farli di meglio, non giugnendo il mio debole talento a tutto ciò, che vorrei per soddisfarla, mottivo per cui la prego di benigno compatimento, e di credermi quale immutabilm.te mi costituisco di V. S. M.to Ill.o e M.to Rev.o, Dev.mo, ed obb.mo Serv. Ing Bernardo Vittone Torino li 9 maggio 1757»

«Di tutti i di lei marmi, pochi ne resteranno di avanzo» La lettera vittoniana ci ricorda, innanzitutto, un dato pratico, materiale. Compito dell’architetto era di sostituire l’altare seicentesco con uno nuovo, senza disfarsi però dei materiali più preziosi che lo adornavano: marmi, elementi scultorei, colonne. «Di tutti i di lei marmi, pochi ne resteranno di avanzo»: operazione quasi scontata, in un contesto in cui delle demolizioni si reimpiegano persino i mattoni, e

ricordata da Vittone anche nel testo dedicato agli altari nelle Istruzioni Diverse del 17663. Ebbene, anche sotto questo aspetto, il modello evocato, di «Santo Gioanni» in Roma, è appropriato. Borromini, a San Giovanni in Laterano, aveva dovuto confrontarsi anche lui con «marmi d’avanzo»: preziose colonne in verde antico provenienti dalla vecchia basilica, che aveva rimontato come supporti di eleganti edicole ellittiche, ognuna ospitante una statua di grandi dimensioni. Le colonne, tuttavia, erano «picciole», sottodimensionate, ed era stato necessario innalzarle su dei piedestalli. La mano felice di Borromini4 aveva risolto questa necessità con una svasatura, un elegante rigonfiamento nella parte superiore del piedestallo, che trasformava l’elemento architettonico in oggetto plastico dotato di una propria autonomia, e quasi inflesso sotto il peso della colonnina. La citazione di questo elemento di supporto, a Chieri, è letterale, come anche la ripresa della nicchia ellittica; questa è illuminata «alla Bernina» - riferimento ovvio, la Cappella Cornaro in S. Maria della Vittoria, ma non solo5 - con tanto di raggi dorati cadenti e una trabeazione continua e alta, che nasconde la fonte di luce agli occhi dei fedeli. Ma anche l’applicazione del rosso di Francia, marmo così amato da Vittone nell’abbinamento col bardiglio di Valdieri grigio, è probabile citazione dei primi impieghi romani che proprio Borromini e Bernini6 proposero rispettivamente per i pavimenti di San Giovanni in Laterano e per le portine binate della cappella Cornaro nel quinto decennio del secolo precedente. Tutto confermato, dunque: Bernini e Borromini riuniti, nella materia come nella forma; anche se, in realtà, il vero convitato di pietra, di cui non si pronuncia il nome, è Filippo Juvarra. Vittone, com’è noto, gli deve quasi tutto, negli altari non meno che nell’architettura. E in effetti, anche i pensieri di Juvarra per l’altare maggiore di Superga, dedicato alla Vergine, certamente noti a Vittone, sono ripresi a Chieri con naturalezza, come da un discorso interrotto7. D’altro lato, è noto come Vittone elabori sull’architettura juvarriana (che ha contribuito a disegnare, tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta) la sua sensibilità per i colori, la sua conoscenza dei materiali, e l’arte di combinare architettura e scultura: così, nel caso qui in esame, le soluzioni di

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forma e colore per la trabeazione, l’articolazione a gradini dell’altare, e il bilanciamento tra gli elementi dell’ordine e le figure sono altrettanti elementi che all’eredità juvarriana (tre esempi: i rivestimenti della chiesa della Trinità, l’altare di San Giuseppe in Santa Teresa e il maggiore della Consolata) possono essere facilmente ricondotti. È un rapporto che si chiarisce anche attraverso riscontri puntuali relativi alle varietà di marmi: alla Consolata, ad esempio, lo sfondo dell’esedra è rivestito da una grande campitura di marmo verde, come il nostro; questa è affiancata da fasce verticali in «macchiavecchia svizzera» di reimpiego come le colonne seicentesche di Chieri; a legare marmi vecchi e nuovi corrono in entrambi i casi cornici in marmo giallo di Verona. Al di là del riferimento a Bernini, anche per la questione della luce si può ripartire da Juvarra. Vittone aveva appreso dall’architetto messinese (si pensi ancora agli altari torinesi in Santa Teresa) i modi di combinare l’illuminazione indiretta e quella diretta, senza privilegiare del tutto la prima sulla seconda: sarebbe stato il corso del sole a determinare le variazioni giornaliere nel rapporto tra le due forme di luce. Così accadeva anche a Chieri, dove l’illuminazione indiretta dell’edicola della statua si doveva combinare con quella data da un grande finestrone a ventaglio, direttamente visibile dai fedeli (e poi in gran parte tamponato, come si specifica altrove in questo stesso volume), di fronte al quale si stagliavano in controluce i due angeli del Perucca a grandezza naturale, le terminazioni ondulate del baldacchino, e il contorno, di stelle, teste di cherubini, e raggi dorati. Derivazioni, citazioni, nient’altro? Da un lato, è così. L’esercizio chierese di Vittone - e del giovane Mario Ludovico Quarini, da poco alle sue dipendenze - brilla per scioltezza del disegno, si distingue per alcune soluzioni virtuosistiche (la sequenza di ordini architettonici di tre diverse grandezze riuniti in pochi decimetri quadri e sotto la medesima cornice) e per l’eccellente e inedito disegno di alcuni particolari (in particolare, il coronamento delle cornici delle due tele di Sariga), non per «originalità» nella composizione del tutto, qualità del resto non ricercata dall’architetto piemontese nei suoi progetti di altari. Anche per quanto riguarda i materiali, soltanto l’inserimento del bardiglio di Valdieri aggiorna le decorazioni marmoree vittoniane rispetto a quelle di Juvarra; le cave furono infatti avviate fra il 1739 e

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l’anno successivo per il cantiere alfieriano dello scalone delle Segreterie di Stato8. L’uso di questo materiale può peraltro qui essere legato alla speranza di ottenere un donativo reale, che giungerà in effetti nel 1765, in tempo per il terzo lotto. In questa occasione, insieme a ingenti quantità di bardiglio, i documenti relativi9 riportano della fornitura di quattro elementi in bianco di Valdieri, marmo veramente raro, non tanto per la sua preziosità quanto, al contrario, per la sua imperfezione10. La cappella e il suo pubblico

«(…) che gli ornamenti abbiano della leggiadria, e del fasto; ma siano insieme per la gravità, e decenza loro maestosi, e divoti; sicchè in un col diletto eccitar vagliano ne’ Riguardanti e pietà, e venerazione. (…) Che il tutto in somma disposto, ed aggiustato sia in maniera, e con accordo tale, che standosi nel mezzo della Chiesa, o sia nel punto principale di essa, intiero goder si possa di tali Macchine (…) l’aspetto»11

Per Vittone, un progetto come quello di Chieri doveva soprattutto rispondere in modo efficace a una serie di esigenze devozionali e simboliche. Egli stesso contribuisce a renderle esplicite, dichiarando che la statua della Vergine, non solo immagine, ma vero e proprio oggetto di venerazione, doveva risultare godibile e maestosa. Parole non scelte a caso; ad esse aggiungeremmo che l’effetto del tutto doveva risultare proporzionale rispetto alla spesa, che alla fine dei lavori sarà consistente (oltre 9.800 Lire contabilizzate), paragonabile a quella necessaria per la costruzione di un piccolo edificio. Per una volta, al di là della committenza istituzionale, il pubblico interessato da questo tipo di operazione può essere descritto. La registrazione delle offerte e dei proventi delle tre lotterie per la cappella nel libro dei conti, conservato nell’archivio parrocchiale, ci offre un panorama sociale estremamente diversificato. Intorno alla coppia di manzi e ai gioielli (ma anche a un «fazzoletto di seta», vero premio di consolazione!) messi in palio nelle lotterie si muovono, acquistando biglietti o donando denaro, speziali e contadini, capimastri e nobili, suore, preti, medici, vedove, avvocati… i legami di ceto, familiari, istituzionali che si intravedono sono molti e diversi e offrono uno spaccato articolato di una società non solo di chieresi (e dunque, il patrocinio municipale non limita il «pubblico» ai confini del comune), che vede nel modello della cappella, portato per le strade e dentro le case, una buona ragione per fare un’offerta,


e per dichiararsi parte di una, o forse molte e diverse, comunità. Di fronte a questo pubblico - che non è quello sofisticato di un collegio di gesuiti, e neppure quello esclusivo di una cappella di corporazione o confraternita -, la soluzione vittoniana di una «macchina d’altare» immediatamente comprensibile, che sposta più in alto e illumina meglio la statua seicentesca, affiancandole delle immagini di peste e di guarigione non mitiche, ma realistiche, incorniciate da marmi colorati (decine e decine di metri quadri, in un connubio di quantità e qualità dove davvero si «toccava con mano» la spesa, la ricchezza dell’opera, ma anche il suo carattere permanente, da sempre associato al marmo), sembra una risposta adeguata al programma. «Pietà e venerazione», dunque; ma anche una sapiente messa in scena delle colonne dell’ordine, o meglio, dei tre ordini digradanti in altezza, per accentuare l’effetto di profondità ed elevazione, apprezzabile da chiunque stia - come Vittone raccomandava di fare per gli apparati delle Quarant’ore - «nel mezzo della Chiesa, o sia nel punto principale di essa». Un ridisegno in tre tappe La documentazione superstite non sembra in grado di fornire informazioni precise sullo stato dell’altare della Vergine prima del 1757. Appare però probabile che, dato il patrocinio continuo del comune, e dopo essere stata impiantata - con un altare già in marmo, e una volta a botte - intorno al 1633-1634, la cappella sia stata integrata e modificata, a intervalli regolari, fino all’intervento risolutivo di Vittone. Dal disegno vittoniano in pianta, sottoscritto dallo scalpellino Amedeo Rizzi il 5 settembre 1757, e relativo alla prima fase dei lavori12, sappiamo con certezza che Vittone non prevedeva di modificare in modo significativo i muri della cappella, e che questi, disegnati in un colore grigio chiaro che li qualifica come esistenti, erano appena intaccati dal nuovo progetto. La cappella si presentava pertanto già come una nave rettangolare dotata di una terminazione in curva, emergente con un volume prismatico dal corpo di fabbrica del Duomo; questo vano, verosimilmente già coperto prima del 1757 con un cupolino e una lanterna, era decorato all’interno da un ordine architettonico a grandi lesene murarie, puntualmente registrate dal disegno di Vittone. È possibile che vi fossero anche delle aperture preesistenti, ma non è dato sapere dove e a quale quota queste si trovassero. Per trasformare e unificare questo spazio,

investendo sull’ipotesi di un generale rivestimento lapideo delle pareti, coordinato con quello dell’altare, Vittone e la committenza puntano a un cantiere che sia possibile dividere in più fasi, per ridurre la spesa iniziale, e per distribuire la raccolta di fondi - stanziati dalla municipalità, ma anche sborsati da tanti devoti cittadini, a cui non si poteva chiedere troppo in una volta sola! - in stagioni successive. E così, l’altare, con l’edicola della statua della Vergine (intorno a cui si addensa ogni genere di «segno» a dichiararne l’importanza: colonne, angeli, raggi, ma anche il lussuoso pannello sul fondo della nicchia in marmo verde di una varietà diversa dal verde di Susa degli zoccoli, già impiegata da Guarini a San Lorenzo e quindi elemento forse recuperato dalla nicchia del vecchio altare), costituisce il primo lotto. È anche la parte in cui si concentrano le questioni legate al reimpiego di elementi architettonici provenienti da precedenti altari: marmi in lastre, ma anche intere colonne in macchiavecchia, così comuni negli altari seicenteschi e non più previste in area torinese a partire dai cantieri di Juvarra (salvo i reimpieghi sempre possibili, come nei finestroni del tamburo della cupola di Superga); nel nostro caso, il lotto di quattro colonne del precedente altare fu integrato da due mezze colonne realizzate per l’occasione nel medesimo marmo. E ancora capitelli e basi: di prezioso statuario piemontese di San Martino quelli seicenteschi, e di Carrara quelli di nuova fornitura. Rispetto agli scalpellini, le altre maestranze giocano un ruolo davvero di comprimari: il serragliere e il capomastro da muro, ad esempio (il «mastro da muro Carlo Giuseppe Isabella», presente in altri cantieri chieresi del periodo) operano non su appalto ma «in economia», il che è indice del carattere subordinato e anche del costo decisamente minore, del loro lavoro rispetto all’impresa dei marmi. Più importante ai nostri occhi è il contratto firmato con l’intagliatore Ignazio Perucca, che si impegna a fornire le sculture lignee «come dal disegno» di Vittone, tutte tranne una testa di angelo già esistente, da riconoscere verosimilmente in quella in marmo di Carrara posta in alto al centro della trabeazione sopra la nicchia. Ma anche l’importo finale dei suoi lavori, di 94.10 Lire di Piemonte, ammonta a meno del 5% del costo dello scalpellino nello stesso periodo. I lavori, appaltati allo scalpellino Amedeo Rizzi nell’estate

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Bernardo Vittone, pianta della cappella della B. V. della Grazie, particolare del disegno per il contratto del 1757 (Torino, Musei Civici).

del 1757, iniziano in Chieri nel mese di maggio del 1758, quando i mastri da muro iniziano a «calare i marmi» della vecchia cappella. Molti dei nuovi materiali, se non già l’intero altare, dovevano essere già stati lavorati nel corso dell’inverno, e le operazioni procedono molto rapidamente, concludendosi nel corso di una sola stagione. Intanto, si procede con la raccolta di fondi e con l’appalto del secondo lotto: questo è composto dai due «laterali», cioè dagli splendidi rivestimenti murari delle pareti in curva, caratterizzati dalle articolate cornici disegnate per le due tele, affidate al pittore Giuseppe Sariga. I pannelli, impreziositi da alabastro di Busca e persichino di Roccarossa, sono a loro volta inscritti in una campata completa dell’ordine maggiore: due coppie di lesene ioniche in bardiglio con specchiatura in «seravezza di Firenze», oggi breccia di Seravezza nelle Apuane lucchesi, e il cornicione in bardiglio e giallo veronese. I lavori impegneranno la stagione successiva, del 1759. Anche in questo caso, gli interventi murari sono assai limitati, e si concentrano sullo scavo, nelle pareti laterizie, delle rientranze necessarie per installare le tele del Sariga a filo con il sottile rivestimento marmoreo (l’operazione, indicata sui disegni, è stata confermata dallo stato della parete retrostante ai quadri, rimossi durante l’ultimo cantiere).

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Completata - con il ridisegno degli stucchi e l’esecuzione dei nuovi affreschi della cupola - la metamorfosi del sacello in curva, per unificare lo spazio non restava che proseguire l’opera di «impellicciamento», ovvero di rivestimento, sull’insieme delle pareti. È quanto viene proposto già nel 1760, ma il cantiere viene procrastinato per anni, fino a che nell’aprile del 1765 si riescono a ottenere, con una donazione del materiale («S. M. accorda il marmo addomandato, salvo però l’importare della spesa della condotta d’esso che si dovrà pagare in Tesoreria Generale») da parte di Sua Maestà, 35 pezzi, per circa 31 «carra» di peso (una carra = 553 kg), di marmi sbozzati provenienti dalle cave reali di Valdieri «che ai soliti prezzi importerebbero la somma di L.1406.2.3.»13. Inspiegabilmente, passano però altri 5 anni prima che, nel 1770, si riapra il cantiere: eseguiti i lavori senza incidenti, dai medesimi scalpellini, mastri da muro, e serraglieri già attivi nei lotti precedenti, nel 1771 il rivestimento marmoreo anche di questi ultimi «laterali» viene collaudato da Mario Ludovico Quarini, da aiutante, diventato sostituto di Vittone, morto nell’ottobre del 1770. Dopo Vittone Se il restauro appena eseguito ha consentito di chiarire molte vicende riguardo allo stato della cappella, altre questioni restano aperte. Allo stato attuale, l’impronta vittoniana e settecentesca è ancora quella dominante, ma numerosi interventi successivi hanno interessato la struttura. A riguardo, tuttavia, la documentazione non sempre è esauriente, e da essa emergono questioni talora chiare, talora ancora aperte, e vicende assai poco lineari. Ad esempio, la pavimentazione attuale risale con ogni probabilità al 1960, data rinvenuta sul pavimento al termine della pulitura. Non è chiaro tuttavia quali fossero le intenzioni settecentesche: nel 1758-1771 non si registravano spese in merito, mentre alla Restaurazione (1818) la Municipalità valuterà la possibilità di impiegare altri marmi - 11 «carra» del solito «Bardilio di Valdieri»14 - donati dal Sovrano nel 1798 e da allora conservati presso il marmorista Francesco Parodi, per comporre una balaustrata e un pavimento marmoreo, realizzando però quest’ultimo solo nel 1840, e «alla veneziana». Ma l’attenzione va anche sulle grandi aperture architravate dei «laterali». Questi grandi strappi nella muratura, che interessano gran parte della


Bernardo Vittone, disegno esecutivo per i ÂŤlateraliÂť in curva della Cappella della B. V. delle Grazie a Chieri, 1758. Torino, Musei civici.

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navata laterale sinistra del Duomo, non corrispondono a una soluzione consueta nell’architettura storica, per l’ovvia difficoltà di affidare a degli imponenti architravi/piattabande in mattoni il compito di sostenere la parete - e le volte - superiormente impostate. È probabile che questo particolare assetto del sistema delle cappelle segni una «sopravvivenza» dell’originale sistema a cinque navate della Collegiata15. Va però rilevato - al di là della probabile presenza di archi di scarico celati nella muratura - che l’introduzione di un sistema di volte a botte, nel corso del Seicento, non appare congruente con la conservazione di grandi aperture riquadrate, come quelle attuali. Ma dato che le aperture rettangolari sono correttamente rappresentate in una sezione longitudinale della chiesa del 183016, e che la presenza dei marmi settecenteschi del rivestimento sembra riportare l’intero assetto delle pareti laterali del vano rettangolare della cappella al 1770-71 (in particolare, il marmo delle quattro mensole è quel bianco di Valdieri, lavorato solo nella seconda metà del Settecento, acquisito al cantiere nel 1765), la questione deve per ora rimanere aperta. Il disegno un po’ legnoso di alcuni dettagli della grande cornice, lontano dalla morbidezza che contraddistingue i «laterali» in curva del 1758-59, potrebbe derivare da un intervento di Quarini, o anche solo di un’esecuzione semplificata rispetto ai disegni vittoniani. Quali marmi Come distinguere, infine, i marmi in opera? Riassumendo qui i principali punti fermi della mappatura (su cui si vedano anche le tavole a p.66, e il documento trascritto qui di seguito in appendice) ne riconosciamo di due categorie: di recupero e «nuovi». Questa prima classificazione è possibile grazie al fatto che la maggior parte dei materiali impiegati nel XVII secolo non lo furono più dopo l’arrivo di Juvarra in Piemonte. Tra quelli dell’altare sono verosimilmente di recupero: - 4 fusti di colonna in breccia di Arzo (o «macchiavecchia svizzera»); - alcune fasce in rosso di Arzo sopra e sotto la specchiatura di fondo della nicchia; - il marmo verde della specchiatura di fondo della nicchia; - 4 capitelli e altrettante basi in marmo bianco di San Martino;

- alcune fasce in marmo bianco di Venasca sopra ai capitelli delle colonne; - alcuni elementi in marmo nero di Frabosa che fanno da sfondo alle colonne più grandi; - un paio di elementi in marmo nero di Como (elementi ricurvi sui fianchi della nicchia). In compenso, molti nuovi marmi sconosciuti nel Seicento sono entrati in uso nel secolo successivo. Tra questi è inoltre utile distinguere quelli provenienti da cave reali e quelli liberamente reperibili o di importazione. Per i primi era necessaria una concessione regia che a seconda dei casi poteva costare un prezzo pieno, o uno scontato oltre al costo del trasporto dalle cave quasi sempre a carico del richiedente. Nei tre lotti della cappella i materiali di questa categoria sono ridotti al minimo, ad eccezione del bardiglio di Valdieri, concesso, come è confermato dalla documentazione, in quantità significativa. Sia il verde di Susa che il persichino di Roccarossa sono presenti in quantità limitate. Con la pietra di Gassino oltre che lo zoccolo intorno alle pareti della cappella è stata realizzata la struttura interna dell’altare, su cui sono stati incollati («impellicciati») i più preziosi marmi colorati tagliati in lastre sottili. Marmi piemontesi di cava regia presenti nella cappella: - bardiglio di Valdieri (CN); - bianco di Valdieri (CN); - verde di Susa (TO); - persichino di Roccarossa (CN). Marmi piemontesi non di cava regia: - pietra di Gassino (TO); - alabastro di Busca (CN). Marmi di importazione: - bianco statuario di Carrara; - giallo di Verona; - libeccio antico, o diaspro tenero di Sicilia (TP); - seravezza di Firenze, o breccia di Seravezza (LU); - rosso di Francia.

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Appendice - Il capitolato vittoniano del 1758 per i «laterali» I fondi archivistici relativi al cantiere settecentesco dell’altare sono eccezionalmente ricchi, anche se non del tutto completi. Purtroppo, il capitolato di Vittone del 1757 riguardante il primo lotto dei lavori è andato disperso, forse in epoca antica. Più recente, dato che il documento è segnalato in bibliografia nel 1928 (Bartolomeo Valimberti, Spunti storicoreligiosi sopra la città di Chieri, vol.I, Chieri 1928, p. 147), è la dispersione di un capitolato firmato da Vittone, e datato 21 novembre 1759, probabilmente relativo alla terza fase dei lavori. Resta tuttavia il sintetico, ma eloquente, capitolato del 1758 preparato per il secondo lotto, ovvero per i «laterali» in curva, che si trascrive qui di seguito. Il documento, nella nitida grafia di Mario Ludovico Quarini, collaboratore di Vittone allora agli inizi della sua carriera, è conservato in due copie nell’archivio della Collegiata (ora parrocchiale), riordinato e conservato da Roberto Toffanello, che ringraziamo per la preziosa assistenza. Un disegno acquerellato dei «laterali», non firmato né datato, ma sicuramente autografo di Vittone o Quarini, e pienamente corrispondente sia al capitolato sia all’opera realizzata, è conservato tra i disegni vittoniani dei Musei Civici di Torino. Nel medesimo fondo si conserva anche il ben noto disegno di pianta e prospetto dell’altare, datato 5 settembre 1757 e firmato sia dalla committenza sia dallo scalpellino Rizzi in occasione della stipulazione del contratto relativo alla prima fase dei lavori. Chieri, Archivio Parrocchiale della Collegiata della Madonna della Scala, Istruzioni per i «latterali» della cappella della madonna delle Grazie, 22 aprile 1759. 1 foglio piegato. «[c.1r] Instruzione delli marmi da impiegarsi dal Sig.r Amedeo Rizzi nella construzione ed impellicciamento de’ laterali della Capella della B.ma Vergine delle grazie in conformità del dissegno rimessoli. Il zoccolo si farà di marmo di Gassino di color unito. La base attica, e li capitelli jonici saranno di marmo bianco di S. Martino ben lavorati, ed’intagliati, come anche le due palmette, ed’arcella à pellame sovra il quadro. Le lezene saranno di bardiglio di Valdieri, intavolate di saravezza di Firenze contornate da cornicieta di gialdo di Verona, e listino di nero di Como il tutto di machia bella, ed’unita. La p.ma fascia della cornice architravata, e membri di finimento

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compreso lo scuciolatore saranno di d.o gialdo, ed’il rimanente della cornicie di bardiglio sud.o, e come sovra. Il vivo attorno al panello inferiore, ed’attorno al quadro sarà di marmo di Busca di machia chiara, ed’uguale, ed’il panello inferiore sarà di mischio di Francia, contornato da cornice di gialdo, e listino di nero sud.o, ed’il fondo frà detto vivo, e panello, sarà mezz’oncia più addentro del vivo, sarà questo di verde con listino di nero, ed’il fondo frà detto vivo, e cornice del quadro sarà pure fondato una mezz’oncia, e contornato come avanti, e di persighino. La cornice del quadro, ed’ultima fascia corniciata, e cartocij, che aggrupano li fogliami del finimento, e sostegni de due orecchioni, e fascia corniciata sotto al quadro, e superiormente al panello superiore saranno di d’o gialdo, ed’il fondo frà essi sarà di d.a saravezza, come sovra. Il tutto si opererà secondo le sagome portate dal dissegno, o sia di quelle, che già sono alle lesene gia in opera. E quanto al prezzo, ed’altri patti si osserverà il disposto nella capitulazione oggi seguita. La colaudazione sarrà fatta a’ spese de sig.ri condirettori dal si.r Ing.r Vittone, quale venendo à ritrovare, che siasi contravenuto al dissegno, o alla presente instruzione, con li diffetti, che potessero occorrere per non aver ogni cosa fatta secondo porta l’arte, cioè non ben [pollita], comessa e lustrata, oppure li marmi non [c1v.] scielti, e di machie non belle, ed’unite e senza che si vedino le commissure, ò il mastico ne tasselli, ò le chiavette, ò altri qualsisia diffetto, che potesse ritrovarsi, in questo caso la collaudazione, ed’altri danni e spese saranno, à carico di d.o sig.r Rizzi. [seguono le firme: Arciprete Giovanni Battista Talponi, Canonico Casimiro Callossio, Don Giovanni Onorato Leotardi, Giambattista Oppezzi, Amedeo Rizzi, Robbio Testimone, P.e Giuseppe Domenico Collo Testimone]»


1 Politecnico di Torino - Dipartimento di Ingegneria del Territorio,dell’Ambiente e delle Geotecnologie. 2 Politecnico di Torino - Dipartimento di progettazione architettonica e disegno industriale. 3 dove si accenna alla «necessità d’aversi a servire di vecchie colonne», p.193 4 vedi Augusto Roca De Amicis, L’opera di Borromini in San Giovanni in Laterano, Roma 1995, p. 74-75. 5 su questo tema vedi Irving Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Roma 1980, p.3538. 6 già celebrato per i suoi «marmi loquaci», cioè significanti per forma e colore; cfr. Fabio Barry, «I marmi loquaci: Painting in Stone», Daidalos, Giugno 1995, p.106-120. 7 si vedano in proposito i testi di Giuseppe Dardanello in Sculture nel Piemonte del Settecento, Torino 2005; per la diffusione in Piemonte dell’iconografia della Vergine innalzata su nembi e circondata da angeli, vedi i testi di Elena Ragusa e Franco Gualano, in Il teatro del sacro. Scultura lignea del Sei e Settecento nell’Astigiano, Cinisello Balsamo 2009, a c. di Rossana Vitiello, p. 41-75. 8 vedi i testi di Maria Carla Visconti e Paolo Venturoli, in Il restauro dello scalone di Benedetto Alfieri, Torino 1999, a c. di Paolo Venturoli, p. 21-58. 9 Archivio di Stato, Torino, Relazioni a Sua Maestà, anno 1765. 10 su questo tema vedi il testo di Maurizio Gomez, in L’Armeria Reale nella Galleria Beaumont, Torino 2008, a c. di Paolo Venturoli, p. 97-102 11 Bernardo Vittone, Istruzioni diverse, 1766, p.196-7. 12 Torino, Musei Civici 13 Archivio di Stato, Torino, Riunite, Azienda Fabbriche e fortificazioni, Relazioni a Sua Maestà, 1765. 14 Chieri, Archivio storico del comune, cat.VII, f.13 15 in proposito, vedi Carlo Tosco, «Da Milano a Chieri: architettura e progetto nel Duomo», in Giovanni Donato ( a c. di) La collegiata di Santa Maria della Scala in Chieri. Un cantiere internazionale del Quattrocento, Torino 2007, pp.23-29. 16 Chieri, Archivio storico del comune.

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Fig. A La cappella della Beata Vergine delle Grazie è ubicata nella navata nord-ovest della Collegiata di Santa Maria della Scala di Chieri. Fu realizzata nel corso dell’

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ampliamento quattrocentesco della fabbrica del Duomo ed in origine si configurava come un locale destinato a cappella funebre privata per le nobili famiglie chieresi.


Rilievi e ricerche documentali a supporto della conoscenza e del restauro Simona Gallina1

Un uomo che vuole la verità diventa scienziato; un uomo che vuole lasciare libero gioco alla sua soggettività, diventa magari scrittore; ma che cosa deve fare un uomo che vuole qualcosa di intermedio fra i due? Robert Musil Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro che è l’attesa. Sant’Agostino 1 – Criteri E Aspetti Generali La cappella della Beata Vergine delle Grazie è ubicata nella navata nord-ovest della Collegiata di Santa Maria della Scala in Chieri (cfr. fig. A). Fu realizzata nel corso dell’ampliamento quattrocentesco della fabbrica del Duomo ed in origine si configurava come un locale, al pari di quelli contigui, destinato a cappella funebre privata per le nobili famiglie chieresi. Originariamente in patronato della famiglia Valimberti, già dal XVII sec. fu da costoro ceduta al Comune di Chieri onde costituire una cappella civiente persiste nell’immaginario affettivo dei chieresi2; affrontarne il restauro, per dei chieresi, significa dunque, in primis, abbandonarne l’immagine archetipa, i suoi aspetti culturali e devozionali e guardarla con gli occhi dello studioso che si appresta ad analizzare oggettivamente un manufatto3. La netta percezione del profondo radicamento nell’immaginario collettivo di tale spazio devozionale, poneva, da subito non pochi dubbi circa l’orientamento che dovessero avere recupero e conservazione. Nel rispetto dell’immaginario collettivo4, e non già per timore dell’opinione del pubblico, fin da subito si è palesata in noi la precisa volontà di evitare qualsiasi senso di straniamento per l’osservatore che paragonasse l’ambiente restaurato a quello ante lavori. Da qui, le scelte progettuali ultime, talvolta radicali5, sono state operate, di volta in volta, con grande cautela e solo a seguito di un accurato e minuzioso supporto scientifico e documentale. Dall’epoca dei lavori vittoniani, la cappella subì, in effetti, pochissimi interventi i quali furono essenzialmente intesi

alla manutenzione necessaria al mantenimento del decoro richiesto dalla sua funzione. Al di là di rari mutamenti di immagine ottenuti essenzialmente attraverso i tessili della Vergine ed il passaggio dall’illuminazione naturale a quella artificiale, si può dire che la cappella appare nella struttura essenzialmente la stessa della configurazione settecentesca. È stato solo per fattori legati alla naturale obsolescenza dei materiali, ai depositi superficiali dovuti alla costante fruizione della chiesa e ad alcune infiltrazioni di acque piovane e di risalita che si è reso inevitabile il restauro6. È convinzione di chi scrive che la natura intrinseca al “restaurare”7 un’architettura non vada confusa con il mero “conservare”8 il manufatto edilizio. L’oggetto del restauro come qui inteso, è inevitabilmente filtrato e trasformato dagli indirizzi culturali degli operatori: diviene “altro” da quel che era prima; ne consegue che, seppure nell’ambito di un intervento che a prima vista non richiedeva particolari mutazioni della forma storicizzata, si è optato per una metodologia di lavoro di natura filologica9, avendo pur sempre chiaro che, comunque, ‹‹Un’adeguata filologia dei testi architettonici, può nascere solo da un terreno culturale in cui la conoscenza dell’architettura sia anche approfondita sotto l’aspetto tecnico-scientifico››10. Ogni decisione di carattere operativo è stata ricondotta ai risultati della preliminare analisi oggettiva, analisi di natura necessariamente interdisciplinare per la quantità di apporti che devono tenersi in considerazione e la cui summa va a costituire l’insieme di dati utili al processo decisionale che sottende scelte circostanziate e responsabili. Il rilevamento per il restauro che sta alla base di tale metodo, com’è noto, non può ridursi alla mera misurazione del manufatto ma deve arricchirsi di tutti quegli altri strumenti di indagine che possono e debbono far assumere alla ricerca carattere di completezza e precisione scientifica. La fase preliminare di conoscenza del manufatto preesistente, tanto spesso trascurata dalla normativa e dai professionisti stessi, assume, nel caso particolare del restauro, una valenza decisiva nell’esame critico della gestione del cantiere. È fondamentale, in fase preliminare, il cosiddetto “progetto di rilievo”, che ‹‹consiste nella progettazione e nella successiva

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esecuzione, operata da un responsabile del rilievo dell’edificio da ristrutturare, di tutti gli interventi volti alla conoscenza dell’edificio stesso, sia sul piano spaziale morfologico, che su quello della stratificazione storica, che su quello strutturale e dello stato di conservazione››11. Nell’ambito di tale orientamento culturale, il restauro della cappella della Beata Vergine delle Grazie si prestava, per le ridotte dimensioni, per i riferimenti culturali all’architettura locale nonché per la nota abbondanza di documentazione storica degli archivi del Comune di Chieri, ad un’esperienza didattica di particolare interesse da svolgersi nell’ambito degli stages del Politecnico di Torino. Gli studenti partecipanti al progetto erano messi in condizione di indagare sotto molteplici aspetti le problematiche connesse al rilevamento a fini di restauro e contestualmente di seguire un cantiere di restauro dall’ideazione alla riapertura al pubblico. Ne è risultato un lavoro che ha veramente il requisito della accuratezza dal punto di vista analitico, descrittivo ed interpretativo e che ha potuto condurre progettisti, restauratori ed operatori della tutela alla conoscenza consapevole del manufatto con la produzione di elaborati che costituiscono documento descrittivo dello stato dei luoghi prima e durante il restauro12. Il gruppo di lavoro, partendo da una indagine preliminare a carattere interdisciplinare, ha concentrato le proprie ricerche sui filoni che parevano fondamentali per giungere ad una sintesi della conoscenza del manufatto: rilievo architettonico, indagine storico-archivistica, individuazione della matrice geometrico-proporzionale, individuazione dei materiali, analisi del degrado13. Rilievo architettonico morfologico14: è stato eseguito un rilievo metrico diretto in due fasi, la prima, preliminare, ha permesso di individuare la morfologia misurata del manufatto al fine di progettarne la cantierizzazione, quantificare gli aspetti logistici di intervento e effettuare una prima indagine economica; un secondo rilievo più dettagliato ha permesso di definire con maggiore precisione gli aspetti economici e documentare nel dettaglio lo stato di fatto della cappella prima e durante i lavori, con particolare attenzione allo stato di avanzamento dei lavori, alla morfologia ed ai caratteri tipici del progettista15. Indagine storico-archivistica16: è stata effettuata la raccolta,

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l’identificazione e la lettura storica critica di tutti i documenti presenti presso l’Archivio Storico del Comune di Chieri, l’Archivio Storico Capitolare e la letteratura scientifica; è stata verificata la presenza di altra documentazione presso altri istituti; di particolare interesse scientifico sono stati il ritrovamento dell’elenco dei materiali utilizzati, di una lettera autografa dell’architetto circa la realizzazione delle aperture, ed infine del disegno originale del Vittone che si credeva perduto. Tale documentazione ha consentito nel dettaglio di produrre una tavola tematica storica17 che non solo ricostruisce lo stato di fatto della cappella in epoca vittoniana ma ne testimonia la quasi totale aderenza allo stato attuale giustificando la scelta dell’equipe di restauro di riportare a quell’epoca il manufatto. Individuazione della matrice geometrico-proporzionale18: un’accurata lettura della trattatistica vittoniana ha permesso di formulare ipotesi attendibili circa le intenzioni progettuali dell’autore, inducendo uno studio più accurato nel merito della forma dello spazio, delle proporzioni e delle aperture che furono funzionali ai giochi di luce. In effetti è proprio questo l’unico aspetto della cappella che oggi è perduto: l’effimera architettura della luce. Per ragioni sia statiche che economiche l’intervento attuale non permette la rimozione di una pur modesta e recente tamponatura successiva; tale tamponatura impedisce l’ingresso della luce naturale alla cappella; si perde l’architettura della luce sulla quale era basato il progetto vittoniano; tuttavia essa può essere conosciuta e virtualmente ricostruita attraverso lo studio delle geometrie formali della cappella; di più, dalle geometrie formali discende l’acquisizione dell’immagine archetipa storicizzata dalla tradizione chierese e che nelle nostre intenzioni il restauro non avrebbe dovuto coinvolgere19. Individuazione dei materiali: il ritrovamento del manoscritto che elenca i manufatti originali ha consentito di verificare la bontà delle supposizioni iniziali, cioè che i materiali attualmente presenti fossero in buona parte gli stessi della costruzione vittoniana, alcuni addirittura da Vittone stesso recuperati dalla conformazione seicentesca. L’analisi dei materiali apre anche un interessante capitolo sulla storia dei marmi, della loro provenienza, delle mode che porta ad importanti confronti con costruiti analoghi.20


Analisi del degrado: è stata condotta un’analisi puntuale del degrado e dei dissesti sotto il profilo della tipologia, dell’ubicazione, dell’estensione. Tale indagine, combinata a fattori quali livello di falda, tipologia di inquinamento dell’aria, microclima dell’ambiente ed altri, permette agli specialisti di individuare con accuratezza le cause che concorrono all’obsolescenza del costruito. Individuate le cause è possibile predisporre il recupero mirato delle diverse porzioni del manufatto, individuare le modalità di protezione nel futuro e programmare la manutenzione. Èormai dimostrato che tale metodologia di intervento e monitoraggio ha ricadute positive nella riduzione dei costi degli inevitabili interventi manutentivi futuri21. Tali filoni di indagine, differenti ma tutti generosi di dati, si sono rilevati ricchi di intrecci e sovrapposizioni; la sinergia delle informazioni apportate ha consentito di raggiungere l’auspicato obbiettivo di qualità descrittiva degli elaborati grafici risultanti. La raccolta del materiale, ‹‹la singola tavola grafica, il fondo archivistico di disegni, la serie iconografica studiata e selezionata›› non solo ‹‹vengono utilizzate per ricostruire, verificare, completare››22 la storia del monumento, ma, nel nostro caso particolare, rivelano un’architettura mai modificata dall’epoca della metamorfosi vittoniana e trasformano lo stesso manufatto architettonico in documento attendibile dell’attività del progettista. Attraverso la sistematizzazione di tutto il materiale raccolto ed elaborato si consegna dunque all’istituzione un SIT in nuce ed è mio fervido augurio che si voglia cogliere quest’opportunità non come punto di arrivo di un lavoro di rilievo e progettazione per il restauro ma come punto di partenza verso la costituzione di un archivio sistematico informatizzato e multidisciplinare dei Beni Culturali chieresi.

AREE DI INDAGINE OPERATIVA Luca Toschino, Camilla Botto Poala, Luigi Salerno

2 – La riscoperta del bene23 2.1 – Il rilievo metrico ‹‹Rilevare un monumento, in modo completo e scientifico, è come rintracciare in un immaginario archivio un importante e spesso risolutivo documento, riguardante specificatamente la costruzione o il complesso che si sta studiando. Il rilievo scientifico, da questo particolare punto di vista, è quindi una tecnica sofisticata capace di far affiorare, da una compagine muraria spesso illeggibile a prima vista, un’eccezionale specie di documenti, tutti di garantita autenticità››24. La fase preliminare di un intervento di restauro contempla in maniera inequivocabile gli interventi di rilievo dell’edificio, finalizzato alla conoscenza delle sue forme e delle sue geometrie. Il rilievo degli spazi interni della cappella della Beata Vergine delle Grazie iniziò nel novembre 2008 e in tale occasione si fece ricorso al rilievo metrico diretto, cioè operato avvalendosi di strumenti quali doppio metro, bindella e distanziometro laser; la scelta di tale tecnica di rilievo è stata operata in ragione delle dimensioni contenute dell’edificio (9,34 m di profondità e 5,64 m di larghezza). Le operazioni di misura richiedono sempre una grande attenzione operativa, reiterando le misure e facendo ricorso alla trilaterazione di dettaglio, tecnica che permette di individuare con esattezza la posizione di un punto non conosciuto partendo da due punti noti ovvero di determinare l’andamento sghembo di due murature: in tale modo, è stato inoltre possibile misurare le pareti concave della cappella appoggiandosi agli spigoli delle lesene (cfr. fig. 2.1)25. Per il rilievo delle volte e degli archi delle sezioni si è reso necessario ricorrere al cosiddetto “metodo delle ascisse e delle ordinate”: data una quantità discreta di punti individuati a intervalli costanti con l’ausilio di un doppio metro o di una rotella metrica sul piano del pavimento sottostante le volte o gli archi, in corrispondenza di tali punti è stata misurata l’altezza che sussiste tra essi ed i loro omologhi sull’intradosso della volta e dell’arco (cfr. fig. 2.2). Assimilando le misure

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Fig. 2.1 Esempio di applicazione delle trilaterazioni di dettaglio della cappella della Beata Vergine delle Grazie.

Fig 2.2 Esempio di applicazione del “metodo delle ascisse e delle ordinate”.

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rilevate in cantiere (indicate in fig. 2.2 dai segmenti rossi e verdi) a delle coordinate cartesiane si collocano sul piano del disegno i punti misurati e, unendoli tra loro con un arco di circonferenza, è possibile disegnare l’andamento dell’intradosso degli archi e delle volte26. Eseguendo un numero esuberante di misure, poi, è stato possibile controllare gli errori che si accumulano progressivamente sulle letture parziali, garantendo una precisione maggiore e contenendo gli errori all’interno della tolleranza che per una scala 1:50 è calcolabile in massimo 2 cm27. La scala di rappresentazione al 50, inoltre, permette di ottenere già un buon livello di precisione e rappresentazione perché consente di disegnare tutto quanto sulla carta abbia dimensioni maggiori uguali a 0,5 mm e che nella realtà sia quindi maggiore uguale ai 2,5 cm: a questa scala si può dunque rappresentare con sufficiente completezza un ambiente articolato qual è l’interno della cappella della Beata Vergine delle Grazie. Questa scelta non depone solo a favore di una maggiore e completa rappresentazione del costruito, ma permette anche di fornire un elaborato utile per la successiva realizzazione delle tavole tematiche per il restauro con l’indicazione dei materiali, dei degradi e degli interventi da attuare. La fase grafica ha poi richiesto numerosi ragionamenti per permettere una maggiore comunicabilità del disegno: grazie alla tecnologia informatica, oggi è possibile restituire gli elaborati grafici avvalendosi delle tonalità di grigio e di un’ampia varietà di spessori di linea, consentendo di esaltare i differenti piani e la ricchezza decorativa degli interni dell’edificio, gli aspetti che maggiormente caratterizzano il bene oggetto di studio (cfr. fig. 2.3). 2.2 – La conoscenza del bene: occasione di riscoperta dell’opera e di confronto interdisciplinare ‹‹[…] nella premessa che i beni propri del patrimonio architettonico e ambientale hanno una loro unicità e che attraverso la complessità delle operazioni progettuali ed esecutive di restauro ne vengono identificati i caratteri e gli aspetti meno conosciuti […]. La “conoscenza”, il “restauro” […] sono quindi le fasi di un percorso, nel quale l’interpretazione del bene architettonico e ambientale, nei suoi valori di storia, di forma e di linguaggio, di contenuto e di materialità, si identifica con i momenti di studio e di analisi dei


Fig. 2.3 Rilievo metrico della cappella della Beata Vergine delle Grazie originale scala 1:50 (Simona Gallina, Camilla Botto Poala, Luigi Salerno, Luca Toschino, 2008 – integrazione 2010)

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nessi che definiscono il costruito in tutta la sua consistenza, nella previsione di un intervento che attraverso il restauro […] lo valorizzi, contribuendo alla sua conservazione››28. La “fase della conoscenza” rappresenta sempre un’occasione per acquisire informazioni finalizzate al progetto di conservazione ma anche un’occasione importante per meglio comprendere il bene oggetto di intervento. L’esperienza del cantiere di restauro della cappella della Beata Vergine delle Grazie si è rivelata straordinariamente interessante ed emblematica in quanto i risultati ottenuti hanno di gran lunga superato i risultati attesi. 2.2.1 – Il confronto interdisciplinare Nel mese di ottobre 2008 si intrapresero i primi studi finalizzati al supporto dell’intervento di restauro della cappella della Beata Vergine delle Grazie di Chieri e successivamente venne iniziata la cosiddetta “fase della conoscenza”, nel corso della quale si procedette al rilievo metrico dell’edificio ed alla lettura critica dell’oggetto architettonico in quanto primo documento di sé stesso. In un secondo tempo, poi, fu condotto uno studio accurato sulla documentazione inerente la cappella conservata presso l’archivio comunale e l’archivio parrocchiale, all’interno dei quali è stata reperita una ricca ed articolata quantità di informazioni relative alle fasi costruttive della cappella nel periodo compreso tra il XVII ed il XVIII secolo. L’anno successivo è stato poi avviato il cantiere di restauro e, usufruendo del ponteggio interno, si è approfondito lo studio della parte alta della cappella, provvedendo anche a rilevare e a restituire graficamente la pianta dell’edificio ad una quota maggiore rispetto alla precedente, in maniera tale da rappresentare anche l’ancona all’interno della quale è custodita la statua della Vergine (cfr. fig. 2.3). Si sono poi rivelati determinanti per interpretare, per leggere criticamente ma soprattutto per implementare le conoscenze acquisite sino a quel momento gli apporti forniti dai funzionari di zona delle Soprintendenze competenti e di un esperto di materiali lapidei e del loro impiego nell’architettura civile e religiosa dei secoli passati. Il confronto intrapreso ha permesso di suffragare ed operare precise scelte in fase di esecuzione dei lavori, le quali hanno consentito di giungere ad una corretta e completa lettura dell’opera nella sua complessità. Fig 2.4 Rilievo del 1702 di una nicchia della basilica di San Giovanni in Laterano (Fonte: elaborazione dell’autore da Augusto Roca De Amicis, Elisabeth Sladek, op. cit, p. 226)

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2.3 – Riferimenti all’architettura barocca romana nella cappella della Beata Vergine delle Grazie di Chieri Dalla lettura dei documenti autografi di Bernardo Antonio Vittone custoditi nell’Archivio Capitolare della Collegiata di Chieri emerge chiaramente che per il progetto della cappella egli si richiamò ad alcuni modelli mutuati dalle architetture romane del XVII secolo. Nel periodo della sua formazione presso l’Accademia di San Luca (1732 – 1733)29, infatti, Vittone si dedicò con passione alla conoscenza degli edifici barocchi della capitale pontificia, dedicando grande attenzione allo studio delle opere di Francesco Borromini e di Gian Lorenzo Bernini. Nella lettera ad Onorato Leotardij30 l’architetto scrisse di aver disegnato l’ancona della Madonna traendo ispirazione dalle nicchie presenti all’interno della navata centrale della basilica di San Giovanni in Laterano a Roma (cfr. figg. 2.4 – 2.5), disegnate dal Borromini31. L’andamento convesso della nicchia si contrappone alle superfici concave dell’emiciclo del presbiterio, movimentandone e dilatandone lo spazio come suggerito, su più ampia scala, dalle architetture di Guarino Guarini. Certamente poi uno degli aspetti di maggiore interesse dell’architettura vittoniana è rappresentato dalla commistione tra le forme architettoniche e la luce. Come riferito nella lettera citata in precedenza, Vittone disegnò la cappella della Beata Vergine delle Grazie impiegando il ‹‹lume alla Bernina››32 (cfr. fig. 2.6), progettando cioè un’ampia apertura sulla parete di fondo della cappella in grado di permettere l’ingresso della luce naturale all’interno della nicchia che custodisce la statua della Vergine. Per realizzare questo modello compositivo Vittone si ispirò agli altari illuminati da aperture celate parzialmente o in maniera totale alla vista, il cui massimo esempio è rappresentato dalla celebre “Estasi di Santa Teresa” di Gian Lorenzo Bernini che domina la cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria a Roma (cfr. fig. 2.7). Sebbene in fase di realizzazione dei lavori la grande finestra sia stata sostituita da una apertura di dimensioni più ridotte, l’architetto si servì della luce naturale filtrata attraverso il baldacchino per esaltare scenograficamente la scultura lignea e per smaterializzare lo spazio dell’ancona33. Tale Fig 2.5 La navata centrale della basilica di San Giovanni in Laterano (Fonte: Richard Bösel, Christoph L. Frommel (a cura di), op. cit., p. 173)

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Fig 2.6 Lettera autografa di Bernardo Antonio Vittone a Onorato Leotardij con indicazioni relative alle scelte stilistiche e progettuali per la cappella della Beata Vergine delle Grazie (Fonte: ACCC, B.V.G., fasc. 2, Lettere)

suggestione oggi non risulta però più percettibile: un intervento di consolidamento del coronamento34 - risalente ai primi anni del Novecento - limita l’ingresso della luce nella nicchia e, di conseguenza, non permette di leggere l’opera così come concepita dalla fantasia e dall’estro dell’architetto Bernardo Antonio Vittone. 3 – Le fonti per il restauro35 «[…]Poiché inoltre poi sono le composizioni d’Architettura suscettibili di freddezza, di vivacità, di regolarità e disordine, così fa di mestieri d’un talento, che non riposando su ogni apparente bellezza, sappia rendersi avvezzo a nulla ammetter per buono se non se esaminato al peso della Critica, e della Ragione. Deve per tanto il genio dell’Architetto esser libero, e per quanto bene possano aver pensato, e saviamente nelle cose loro operato gli preandati valenti Architetti, non deve credersi, che colpito abbiano in tutto il meglio: onde rimasto ne sia attraverso a’ successori loro l’adito a migliori produzioni. No, non v’ha ragione, che ci persuada, che migliorare in qualche modo non si possano i loro pensieri; no, non è credibile, che il fonte dell’invenzione chiuso trovisi per gli nuovi Moderni e loro Posteri.»36 3.1 – La conoscenza del bene: le indagini storico-archivistiche Contemporaneamente all’analisi diretta dell’oggetto architettonico è stata intrapresa la ricerca delle informazioni conservate all’interno delle fonti archivistiche, bibliografiche ed iconografiche attinenti alla cappella della Beata Vergine delle Grazie. La bibliografia compilata ha indirizzato il ritrovamento delle fonti iconografiche ancora esistenti e, nel contempo, ha fornito lo stimolo per rintracciare quei documenti che era necessario analizzare, in modo da ricostruire le vicende relative alle fasi costruttive della cappella a partire dal XVII secolo. Il ritrovamento di specifiche informazioni reperibili all’interno degli Ordinati Comunali seicenteschi - numerose sono le note spesa relative alla costruzione della cappella, essendo la committenza formata dalla comunità chierese - ha permesso di valutare in una nuova ottica determinate porzioni dell’apparato decorativo, arrivando a formulare un’ipotesi secondo la quale nella riformulazione dello spazio sacro il Vittone riutilizzò parte dei marmi e delle membrature architettoniche originarie del primo altare seicentesco. Fig 2.7 “Estasi di Santa Teresa”, cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria (Fonte: Franco Borsi, op cit., p. 168)

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Le diatribe per i pagamenti delle forniture e del trasporto dei materiali, le doti e «[…]l’ellemosina et mercede»37 necessarie per il reperimento dei fondi e per le copiose celebrazioni votive che si svolgevano contemporaneamente alla costruzione della cappella, delineano l’intento determinato e risoluto di tutta la comunità chierese, laica e canonica, di portare a termine i lavori della fabbrica nel più breve tempo possibile. Nonostante il periodo di carestia e di povertà, causate prima dall’epidemia di peste e poi dalla guerra contro i francesi, i delegati comunali Tana e Borgarello sollecitano, in ogni loro nota, l’impresario Bartolomeo Ruscha a portare a compimento un’opera in cui dovevano essere ricercate qualità e perfezione38, espressione dell’urgenza e dell’interesse mostrati dall’Amministrazione per l’adempimento del voto pronunciato nel 1630. Un’interessante testimonianza dell’impegno che la comunità chierese intendeva adoperare nella realizzazione della cappella votiva risiede nella decisione di interpellare l’Ing. «Sig. Conte Carlo Castellamonte», affinché fornisse un parere sul costruendo altare39. Castellamonte, a seguito della visita al cantiere, presenta alla Comunità uno studio per una nuova conformazione dello spazio sacro, incorporando nel disegno le cappelle limitrofe esistenti40; tale progetto viene però rifiutato dal Consiglio comunale dopo pochi mesi41. Il Castellamonte viene pagato per i suoi servigi con «[…] lire quattrocento»42, e la costruzione della cappella prosegue secondo il disegno originario, sotto la direzione del Mastro Ruscha. Le note redatte dai Consiglieri comunali negli anni compresi tra luglio 1630 – mese in cui fu pronunciato il voto da parte dei Conservatori della Sanità della Città43 – e gennaio 1636 – termine dei lavori eseguiti nella cappella –, permettono di descrivere alcuni elementi architettonici e materiali impiegati nell’ opera. Viene citata la costruzione di un altare con ancona, al di sotto di una volta44 con finitura in stucco ed oro; la collocazione di «[…]una statua della Madonna Santissima e due Angeli convenientemente et secondo l’arte lavorati et dipinti»45; erano inoltre presenti delle aperture ed una inferriata in ottone a delimitazione dello spazio interno46. I materiali descritti spaziano dai più poveri, quali «[…] mattoni, calzina e gesso47», ai più nobili, necessari all’edificazione del contraltare: «che si debba far detto ornam.to dell’Ancona con

collone e forniture di marmo»48. Le note riguardanti la fornitura ed il trasporto dei marmi costituiscono le informazioni più interessanti per la formulazione dell’ipotesi di permanenza nella cappella vittoniana di materiali preesistenti: in una nota dell’inverno 1633 emerge la descrizione delle difficoltà inerenti il trasporto e la messa in opera di alcuni «[…] marmi negri per essa Capella destinati e necessari»49 a « […]dar principio all’Ancona»50, e, sebbene non siano presenti descrizioni puntuali riguardanti la composizione formale di tali marmi, l’indicazione cromatica potrebbe farli corrispondere ad alcune partiture che formano le modanature architettoniche delle porzioni più interne dell’altare come lo osserviamo ancora oggi. (cfr. fig. 3.1) Il successivo confronto tra i documenti seicenteschi e quelli corrispondenti alle spese ed alle istruzioni dettate dal Vittone51 a partire dal 1757, possono portare alla conferma di tale ipotesi. (cfr. fig. 3.2) Oltre alle precise descrizioni che il Vittone redige, le numerose offerte inviate da vari appaltatori torinesi a seguito dell’emissione del disegno progettuale di Vittone52, permettono di comprendere come fosse richiesto l’utilizzo e la lavorazione di nuove partite di marmo, insieme al riutilizzo, previa una nuova lavorazione, dei vecchi marmi presenti nel precedente altare53, che possono quindi in parte essere ricondotti alle predette specchiature in marmo nero. Ulteriore conferma può essere fornita dall’elenco delle tipologie marmoree stabilite dal Vittone all’interno della sua Istruzione54, che descrivono con precisione tutti i marmi realmente impiegati nella cappella, tranne il nero che forma le superfici delle nicchie. Le testimonianze autografe dall’Architetto non lasciano dubbi in proposito: «[…] il combinare poi collonne picciole e grandi, marmi vecchi e nuovi è cosa di qualche impegno a ben riuscirne pure colla fatica penso d’aver nota tal difficoltà e che di tutti i di lei marmi pochi ne resterebbero di avanzo».55 Viene scelto come esecutore delle opere marmoree lo scalpellino Amedeo Rizzi di Torino, con cui Onorato Leotardij stipula la convenzione del contratto d’appalto56. Rizzi indica le lavorazioni che sarà suo interesse eseguire ed in particolare descrive come soli elementi di nuova realizzazione «[…] due mezze colonne dietro alla nicchia con suoi capitelli compositi e basi attiche corrispondenti a quelli che esistono»57; ciò suggerisce la possibilità che il Vittone abbia anche riutilizzato quattro

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Fig 3.1 Particolare della conformazione architettonica delle nicchie piÚ interne dell’altare, durante i lavori.

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colonne in Macchiavecchia, posizionandole nella porzione più aggettante dell’altare. Ulteriore conferma di tale ipotesi deriva dallo studio dei capitelli. Si possono riscontrare infatti due epoche differenti di lavorazione: i capitelli corrispondenti alle quattro colonne anteriori sono riconducibili al XVII secolo, mentre quelli delle colonne addossate al muro terminale presentano un foggia ed una lavorazione più moderna, oltre ad avere il lato posteriore appena abbozzato, così come il retro delle rispettive colonne. Queste informazioni hanno spinto ad ulteriori indagini sulla realtà compositiva della cappella. Il rilevamento del disassamento tra i capitelli compositi delle colonne mediane e la cornice superiore, la presenza di bucature verticali nei fusti delle colonne sovra descritte - rappezzate in un secondo momento - , la rotazione delle basi delle colonne non rappresentata nel disegno di progetto (cfr. fig. 3.3) sono tutti dati che fanno presupporre l’inserimento da parte del Vittone nel progetto settecentesco di elementi e materiali che da più di un secolo erano oggetto di devozione da parte dei fedeli. L’originaria attenzione verso il massimo decoro e la grandiosità del risultato atteso permane anche nella seconda rimodellazione. Lo scalpellino propone infatti, nelle prime lettere di presentazione del contratto d’appalto, la decorazione delle porzioni più interne e nascoste dell’altare, lontane dagli occhi dei fedeli, solamente «[…] di stucco o pitturato per ornamento interno»58, mentre la realizzazione finale sarà accurata nei minimi dettagli, con l’utilizzo di marmi pregiati anche nelle porzioni non visibili all’osservatore. Relativamente alla finestra presente nel muro terminale della cappella, sono stati messi a confronto l’esame della soluzione realizzata, il disegno vittoniano di progetto ed i documenti relativi alle spese dell’autunno 1758. La differenza sostanziale tra il progetto raffigurato e la realizzazione59 risiede nella creazione di una finestra pentagonale a terminazione triangolare60 al posto della grande vetrata composita che seguiva l’andamento a conchiglia61 della porzione sommitale del muro nord-occidentale, visibile nel documento. (cfr.fig. 3.4) Dalla nota spese si può dedurre62che la grande finestratura originaria fosse stata effettivamente realizzata, e che venne smantellata in seguito ad una visita al cantiere da parte del Vittone: al suo posto fu ridotta l’apertura

e probabilmente creata la soluzione architettonica oggi visibile63. Tale variante in corso d’opera dell’originario intento progettuale può essere stata motivata da una propensione del Vittone ad inserire simbologie64 geometriche nascoste alla visione diretta dell’osservatore, mediate dall’utilizzo scenico della luce incidente65 che irradia dalla finestra interamente non apparente, enfatizzata e materializzata dai raggi dorati che incorniciano la nicchia dove si innalza la statua della Beata Vergine delle Grazie. 3.2 – Le fonti come strumento del progetto di restauro Per mezzo del confronto tra le informazioni ottenute dalle indagini archivistiche e la composizione architettonica rilevata in situ, è stato possibile integrare le conoscenze pregresse sulla fabbrica con nuovi spunti ed interpretazioni, utili alla comprensione dell’estensione dell’intervento vittoniano e necessarie per determinare la gestione del progetto di restauro. Le scelte metodologiche che hanno permesso di determinare l’intervento atto a restituire la facies della cappella allo stato di fatto conseguente l’operato di Bernardo Vittone sono state supportate dalle informazioni reperite nella documentazione raccolta: le dettagliate note dei documenti di epoca vittoniana avvalorano la tesi per cui la maggior parte delle superfici e dei materiali si è conservata come nell’impianto settecentesco, permettendo quindi di indicare con precisione il periodo storico verso il quale si sono indirizzati i lavori di restauro. Proprio l’Istruzione riguardante i marmi66 necessari per l’impiallacciatura della cappella si è dimostrata utile strumento per l’integrazione del rilievo delle componenti materiche delle superfici. Si può notare come tale mappatura dei materiali, eseguita sulla scorta documentale delle testimonianze sopracitate, corrisponda quasi perfettamente alla realtà indagata in situ (cfr. fig.3.5). Le fonti archivistiche ed iconografiche sono state ancora una volta di supporto alle scelte progettuali, consentendo di riportare la cromia delle statue lignee raffiguranti i due angeli maggiori ed i vari cherubini67 al bianco della stuccatura originale. Tale decisione è stata infatti validata, oltre da fotografie precedenti alla loro pitturazione, eseguita nella

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seconda metà del Novecento, da precise note reperite nei documenti conservati all’interno dell’Archivio Capitolare del Duomo68, che portano a pensare come tale colorazione volesse essere, verosimilmente, a foggia di marmo scultoreo. (cfr.fig.3.6) Il ritrovamento di un’immagine fotografica che ritrae la cappella negli anni Trenta del Novecento69 dimostra come il supporto in conglomerato cementizio che tampona lo spazio compreso tra i due bracci posteriori della corona marmorea a terminazione della nicchia, riducendo l’ingresso della luce, sia stato inserito in epoca recente ed è quindi da ritenersi non storicizzato. (cfr.fig.3.7) L’illuminazione naturale, prima dell’intervento di restauro, veniva ulteriormente modificata dalla presenza di un assito ligneo posto al di sotto della corona marmorea, all’interno della nicchia ellittica. Anche questo elemento è da considerarsi non storicizzato, in quanto esso non appare in immagini fotografiche della seconda metà del Novecento, considerazione che ne ha legittimato la rimozione. Le fonti iconografiche sopracitate hanno posto l’attenzione sulle problematiche dell’illuminazione naturale dello spazio sacro: al fine di una maggiore e più approfondita comunicazione della progettualità del Vittone sarebbe possibile realizzare rappresentazioni e simulazioni della cappella in cui la luce possa penetrare all’interno della nicchia senza alcuno schermo.Le fonti iconografiche relative all’altare assommate ad alcuni particolari emersi durante le fasi di restauro, contribuiscono ad una maggior comprensione in merito alla posizione all’interno dell’ancona della statua raffigurante la Beata Vergine. Confrontando il disegno del Vittone con le fotografie reperite, e grazie ad alcune testimonianze dirette, si può affermare che l’ultima posizione dell’effige sia stata modificata in altezza rispetto alla sua conformazione originale. In cantiere infatti si sono potute osservare una coppia di staffe metalliche tagliate, incastrate nel muro di fondo e passanti nel suo spessore, che in passato sorreggevano la statua lignea, sospendendola così al di sopra della sommità dell’altare. Questi ritrovamenti sono tutti spunti utili ad una riflessione sulla collocazione della Statua, in relazione all’originario posizionamento pensato dal Vittone, raffigurante la manifestazione della Beata Vergine sorretta da nuvole e putti nell’atto di recare la grazia alla comunità chierese.

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Fig 3.2 Elaborazione grafica dell’ipotesi del riutilizzo di alcune componenti architettoniche dell’altare seicentesco. In blu sono evidenziati gli elementi preesistenti che probabilmente vennero inseriti nel progetto di Vittone.(Elaborazione personale da Paolo Portoghesi, op.cit., tav.39. Originale presso Palazzo Madama, Museo Civico di Arte Antica Torino)


Fig 3.3 Particolare dell’orientamento delle basi delle colonne minori, che dimostra la differenza esistente tra il costruito e il disegno progettuale.

4 - Geometrie latenti70

Risultato di un rilievo architettonico è una rappresentazione del manufatto come noi oggi lo vediamo, quasi mai dell’oggetto nel suo aspetto originario. Ovviamente questo è dovuto non solo ad eventuali rimaneggiamenti intervenuti in fasi successive al compimento dell’opera, ma anche al naturale trascorrere del tempo che sovente lascia segni, talvolta vere deformazioni, nella materia. Può quindi diventare difficile tentare una lettura della forma originaria e ricercare i principi che hanno portato l’artefice dell’opera a seguire una determinata idea progettuale. Se la documentazione rintracciata si è rivelata uno strumento formidabile per sciogliere alcuni punti interrogativi legati al percorso progettuale probabilmente seguito dal Vittone, ciò non è comunque bastato ad indicare in modo univoco le scelte operate dall’architetto. Per tentare di avvicinarsi il più possibile al processo creativo da lui seguito (o almeno ad uno dei possibili percorsi) si è scelto di far uso della teoria delle geometrie formali71, che, elaborata dal Prof. Arch. Attilio De

Bernardi agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso, permette di individuare «[…]l’essenziale di una forma [nel nostro caso quella della cappella della Beata Vergine delle Grazie] priva di qualsiasi commento figurale inutile al fine del suo inequivocabile riconoscimento»72. In altre parole si sono andate a rintracciare le geometrie alla base della costruzione del disegno dell’intera cappella. Tale lavoro, eseguito semplicemente con l’ausilio della riga, del compasso e della matita, gli strumenti usati anche dal Vittone, è stato svolto facendo uso di tre piani di proiezione, poiché il procedimento permette di configurare l’oggetto di studio nella sua matericità e quindi nelle tre dimensioni. Operativamente le geometrie formali rintracciate si sviluppano a partire da una sfera, ente geometrico più semplice alla base del procedimento73 (intorno ad essa e su di essa si inseriscono infatti gli assi che definisco i piani di proiezione), e con una serie di costruzioni sequenziali (uso di piani sezione, intersezioni tra solidi) si arriva alla definizione di una figura che potremmo definire ‘a fil di ferro’, rappresentazione di quello che poteva essere stato il progetto vittoniano nelle sue essenziali componenti di forma. Di seguito esponiamo i passaggi che hanno portato alla definizione delle geometrie formali presenti nella cappella della Beata Vergine delle Grazie. Con a sono indicati i piani orizzontali, con b quelli di profilo, g individuano quelli di fronte mentre con s i piani sezione. I piani h sono perpendicolari a p1 e inclinati di 45° rispetto a p2. Alla sfera G1 vengono tracciati i piani tangenti 1a 2a, 1b 2b e 1g 2g. Con l’inserimento dei piani sezione s1, s2, s3 si determina il sistema di assi cartesiani x y z. Si individuano così i punti di tangenza dei piani: 1a 2a, 1b 2b e 1c 2c. (cfr fig. 4.1) Si introducono le sfere 2G e 3G. La prima ha centro in 1b e raggio pari a 1b-z, la seconda ha centro in 2b e raggio pari a 2b-z. 1G, 2G e 3G hanno dunque uguale dimensione. Si tracciano poi i piani 1h e 2h passanti per l’origine degli assi cartesiani. I due piani sono perpendicolari a p1 e inclinati di 45° rispetto a p2. I punti di intersezione tra la sfera 1G e i piani h permetteranno di tracciare una sfera (4G) di diametro minore sulla cui circonferenza, in pianta, giacciono quattro delle sei colonne della cappella. (cfr fig. 4.2) La sfera 4G, di diametro 3b 4b così costruita, determina sul piano 2a (che coincide con il piano p1), all’intersezione con i piani 1h 2h,

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Fig 3.4 Particolare dell’apertura nella parete nord-ovest della Cappella della Beata Vergine delle Grazie: confronto tra il disegno di progetto e la realizzazione (elaborazione da PAOLO PORTOGHESI, Op.Cit., tav.39. Originale presso Palazzo Madama, Museo Civico di Arte Antica, Torino.

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Fig 3.5 Mappatura dei marmi desunti dall’analisi della documentazione storica e visiva. Sezione CC’ (Camilla Botto, Simona Gallina, 2009)

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Fig 3.6 Elaborazione che raffigura lo statuario ligneo prima e dopo l’intervento di restauro (Elaborazioni dell’autore da PAOLO PORTOGHESI, Op.Cit., tav.39. Originale presso Palazzo Madama, Museo Civico di Arte Antica, Torino)

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i punti 1d 2d, corrispondenti agli assi delle colonne su piedistallo ai lati dell’altare. L’intersezione tra le sfere 2G e 3G e la sfera 4G determina invece i punti 3d e 4d che sul piano 2s individuano la giacitura di imposta delle colonne anteriori della nicchia. Questo piano corrisponde al ripiano orizzontale dell’altare al di sopra del tabernacolo. (cfr fig. 4.3) I punti 3d 4d, oltre che della sfera 4G, sono parte anche dell’ellissoide 1S. La costruzione di questo si determina a partire dai punti 3d 4d, segmento che costitisce la base di un triangolo equilatero attraverso il quale è poi possibile disegnare l’intera figura dell’ellissoide. (cfr fig. 4.4) Si introduce a questo punto la sfera 5G, il cui diametro è pari ad un terzo di quello della sfera 1G. In tal modo i piani sezione 4s e 5s, passanti per i punti 5d 6d (intersezione dei piani 1h e 2h con la sfera 5G) determinano sull’ellissoide 1S i punti di innesto delle colonne posteriori della nicchia, 7d ed 8d. (cfr fig. 4.5) A partire dalla sfera 5G è possibile individuare il piano sezione orizzontale 6s passante per il punto 6a. Tale piano, corrispondente al ripiano dell’altare al di sopra del tabernacolo, costituisce il punto di imposta delle colonne i cui assi verticali passano per 1d e 2d. Si inserisce ora la sfera 6G, di dimensione pari alla 1G, con centro in 7a e dunque tangente in 5a alla sfera 5G. Il piano sezione orizzontale 7s costituisce il piano di imposta della copertura voltata. Il vano circolare, generato in pianta dalla sfera 1G, risulta così essere coperto da una calotta emisferica (6G). (cfr fig. 4.6) Il sistema di volte è però costituito, oltre che dalla semisfera, anche da un ellissoide di rotazione che si compenetra nella sfera 6G. Ciò è dovuto alla presenza della nicchia ellittica generata da 1S. L’ellissoide 2S, di centro in 7a e diametro minore pari a quello della sfera 6G, è tagliato dal piano sezione 3g tangente all’ellissoide 1S. In questo modo si genera la lunetta semicircolare che inquadra la finestra triangolare. Questa sembra l’unica soluzione geometrica possibile per realizzare la copertura della nicchia. Infine si inserisce il lanternino a terminazione emisferica, il cui diametro è pari a quello della sfera 5G e si innesta all’intersezione tra la sfera 6G ed il piano sezione orizzontale 8s. L’elemento architettonico ha uno sviluppo in altezza pari a due volte e mezzo il diametro della sfera 5G a partire dal punto 8a, tangenza tra la sfera 6G e la sfera minore 7G. (cfr fig. 4.7) Il procedimento seguito ha consentito di delineare quelle che sono le linee essenziali della cappella. Si indica come ultimo elemento fondamentale il piano sezione 4g che determina il taglio netto delle

sfere 1G e 6G e dell’ellissoide di rotazione 2S. Tale piano costituisce il punto di innesto tra il progetto vittoniano e la cappella seicentesca. (cfr fig. 4.8) Le geometrie formali rintracciate hanno permesso di individuare la probabile costruzione geometrica seguita anche da Bernardo Vittone nel suo processo inventivo. Questa ipotesi sembrerebbe trovare fondamento nelle relazioni intercorrenti tra le geometrie e il rilievo architettonico eseguito, nella presenza all’interno della cappella di alcuni aspetti ricorrenti nell’architettura vittoniana ed infine dalla lettura dei trattati dell’architetto – le Istruzioni Elementari e le Istruzioni Diverse –, strumenti questi che hanno rivelato una stretta aderenza tra la teoria geometrica e la realtà costruttiva. In particolare il legame esistente tra elementi architettonici e decorativi e le geometrie compare più volte. Sovrapponendo infatti al rilievo realizzato il disegno delle geometrie risulta evidente come l’architettura sia imprescindibilmente legata alla semplicità delle linee formali che verranno poi ‘vestite’ dalla materia che compone la cappella (cfr fig. 4.9). Lo stesso vale se la sovrapposizione viene realizzata con il disegno originario di progetto del Vittone (cfr figg. 4.10 – 4.11), con cui la straordinaria attinenza risulta anche più evidente per la presenza sulla pianta di segni che lasciano pensare al tracciamento di costruzioni geometriche necessarie alla realizzazione dell’intero disegno e compatibili con quelle da noi identificate74. Tuttavia sottolineiamo il fatto che laddove i segni geometrici si distaccano dalla rappresentazione del rilievo questo è dovuto al naturale errore insito nel processo di misura, mentre le differenze presenti nel disegno di progetto sono dovute in larga parte alle eventuali distorsioni dell’immagine da noi utilizzata. Nel dettaglio possiamo comunque notare che (cfr fig. 4.9): - il piano sezione 6s, equivalente ad un terzo del diametro della sfera base, delimita l’altezza dell’altare e costituisce l’imposta delle colonne libere di ordine composito poste ai lati di questo, nonché il piano di appoggio dei piedistalli delle colonne della nicchia; - Il piano sezione 2s, equivalente al diametro della sfera base, individua il piano di spiccato delle colonne libere poste nella nicchia ellittica; - Il piano di profilo 1a corrisponde alla chiave dell’arco che introduce alla nicchia, cioè alla cornice in marmo giallo

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La ricerca delle geometrie formali

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Fase 1

Fase 2

Fase 3

Fase 4


Fase Fase 51

Fase 6

Fase 7

Fase 8


di Verona e bardiglio di Valdieri. In pianta la trabeazione presenta in questo punto un’andamento ellittico che combacia esattamente con quello dell’ellisse 1S per la cui costruzione geometrica si sono seguiti i passi indicati dal Vittone nelle Istruzioni Elementari75. - Il piano sezione 7s, allo stesso livello del diametro della sfera 6G, individua il piano di imposta delle volte e, sulla nicchia, quello su cui appoggia la grande corona a volute affrontate in mischio di Francia. - Nella copertura voltata costituita dalla calotta emisferica i piani 1h e 2h sono ancora leggibili nelle costolonature, naturale prosecuzione delle membrature verticali. Dall’analisi visiva e dal rilievo eseguito si denota poi come le basi delle colonnine anteriori della nicchia presentino una giacitura che non segue la curvatura dell’ellisse su cui sono impostate in quanto convergono verso un punto comune giacente sulla sfera 1G (il punto che nello studio delle geometrie è chiamato 1c). Legando tale punto alle basi si viene a disegnare, parallelamente a p1, un triangolo equilatero76. Questo rappresenta solo la ‘punta’ di un triangolo equilatero maggiore inscritto nella circonferenza di base (la sfera 1G) e che nei punti in cui tocca il circolo individua la superficie delle paraste ioniche allineate con il piano sezione 4g. Se si effettua una traslazione del triangolo verso p2 portando il vertice in tangenza di 1S appare invece che 4g costituisce la base stessa della figura. Possiamo poi constatare come il diametro della sfera 1G è circa pari alla profondità del vano della cappella precedente, dove gli interventi di Vittone si sono limitati alla decorazione marmorea delle superfici. Questo può essere sintomo di un certo ‘rispetto’ della preesistenza, che da ‘limite’ è diventato spunto per la progettazione costituendo il modulo alla base dell’intera costruzione. Se questi elementi rappresentano una prova che le geometrie rintracciate costituiscono il possibile percorso progettuale seguito dal Vittone, elementi a favore di tale ipotesi ci giungono anche dal raffronto con altre opere dell’architetto torinese. Ad esempio l’aver disposto le colonne libere lungo una circonferenza, nel nostro caso quella determinata dalla sfera 4G, è una soluzione che ritroviamo anche nei disegni del progetto della chiesa di Santa Chiara ad Alessandria77

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(cfr fig. 4.12). Ancora, come accennato poco sopra, lo sviluppo planimetrico mostra la presenza di un triangolo equilatero e questo è un caratteristico segno vittoniano, che spesso impostava la struttura planimetrica dei suoi progetti su figure triangolari o stellari78. Infine anche la conformazione delle murature perimetrali della nicchia che ospita il simulacro della Vergine trovano riscontri geometrici in altri edifici del Vittone, come nelle nicchie della cappella di San Luigi Gonzaga a Corteranzo Monferrato79 (cfr fig. 4.13). Se quanto esposto ci permette di stabile che le geometrie individuate sono effettivamente quelle studiate dal Vittone, allora siamo riusciti ad ampliare il bagaglio di conoscenze legato alla cappella della Beata Vergine delle Grazie, già ricco grazie alla documentazione storica esistente e rintracciata. Pertanto lo studio svolto getta nuova luce sulla prassi progettuale seguita dall’architetto per il compimento dell’opera chierese, di certo non la più nota tra i lavori del Vittone, ma comunque tassello di un percorso compositivo che egli condenserà poi nella pubblicazione dei trattati di architettura80.


Fig. 4.9 Geometrie formali e rilievo architettonico

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1 Simona Gallina: architetto, libero professionista, progettista e direttore lavori. 2 M. Belpoliti, Doppio Zero, Einaudi, Torino, 2003 ‹‹Lo spazio può essere misurato in relazione alla sua lunghezza, come distanza che separa, o come area, l’estensione territoriale; può essere espresso in unità geometriche, … ma anche in unità economiche…; e certo esiste anche uno spazio che può essere “misurato” in termini affettivi: familiarità o paura» 3 Scriveva Marcel Proust: «L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere occhi nuovi». 4 M. Belpoliti, Doppio Zero, Einaudi, Torino, 2003 «Prima di partire per l’Australia… Chatwin si reca a Parigi per acquistare una scorta di vrai moleskine… al negozio apprende dalla proprietaria che… l’azienda è stata venduta: “Lei si tolse gli occhiali e con un’espressione quasi luttuosa, annunciò “Le vrai moleskine n’est plus». 5 La monocromia sul bianco, ritrovata in sede di esame stratigrafico e proposta per la statuaria lignea si giustifica, nella specie, sulla base di un documento autografo del Vittone. 6 Rimando all’articolo Consorzio San Luca. 7 «Restaurare = rimettere nelle condizioni originarie un manufatto o un’opera d’arte,mediante opportuni lavori di riparazione e reintegro» G. Devoto, G.C. Oli, Nuovo Vocabolario illustrato della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1967. 8 «Conservare = mantenere qualcosa che non subisca alterazioni», idem. 9 «Filologia = la disciplina relativa alla ricostruzione ed alla corretta interpretazione dei documenti letterari di un ambiente culturale definito… Il complesso di studi e ricerche, basato sull’esame di testi, documenti e testimonianze, necessario ad inquadrare un fenomeno storico, letterario, artistico, o ad attribuire senza dubbi la paternità ad un’opera d’arte…» idem. 10 P. Marconi, Il Recupero della Bellezza, Skira, Milano, 2005. 11 C. Mezzetti, E. Guglielmini, S. Santuccio, Normazione degli elaborati di progetto negli interventi di restauro e di riuso di un edificio, in La Normazione nella rappresentazione dell’edilizia – Atti del Convegno, Roma 22 - 24 settembre 1994, Kappa, Roma, 2000. 12 M. Docci, D. Maestri, Manuale di rilevamento architettonico ed urbano, Laterza, Roma – Bari, 1994 «…è noto che la complessità del fenomeno architettonico è tale che difficilmente può essere colta e graficizzata nella sua totalità, prima che vengano compiuti interventi sull’opera medesima». 13 E. Giangreco, G. Faella, Il rilievo nell’analisi e nella diagnostica strutturale, in La normazione nella rappresentazione dell’edilizia op. cit. «Le indagini devono pertanto essere finalizzate ad un rilievo del manufatto in tutto il suo complesso ossia al rilievo delle sue dimensioni geometriche, alla definizione delle caratteristiche di resistenza dei materiali, all’individuazione delle tecniche costruttive ed al rilievo stesso dei dissesti. Possono quindi sintetizzarsi le seguenti fasi: Rilevo storico – Rilievo geometrico-dimensionale – Rilievo tecnologico – Rilievo prestazionale – Rilievo diagnostico». 14 Rimando al contributo “Il rilievo metrico” di Luca Toschino. 15 M. Docci, D. Maestri, op. cit. «Per quanto il rilevamento di un edificio sia stato eseguito razionalmente e con cura, si deve dunque prevedere la necessità di un certo numero di verifiche e precisazioni, durante l’esecuzione dei lavori di restauro o nella fase preparatoria di essi, derivante da ritrovamenti, novità nella conoscenza delle strutture, individuazione di fenomeni in un primo tempo non percepiti. L’osservazione e la cognizione di tali fatti, possono appunto portare a rettifiche di quanto in precedenza graficizzato». 16 Rimando al contributo “Le fonti per il restauro” di Camilla Botto Poala. 17 G. Carbonara, D. Fiorani, Analisi, descrizione e interpretazione storico-critica nel disegno a fini di restauro in La normazione nella rappresentazione dell’edilizia op.

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cit. «Le indagini condotte in queste carte tematiche si basano sul rilievo e ne rappresentano al tempo stesso il superamento; esse si fondano infatti sui dati scaturiti dalla preliminare conoscenza materiale del manufatto valutata ed arricchita di tutte le informazioni raccolte, tanto di natura “intrinseca” (presenza di decorazioni ed elementi mobili, epigrafi, incisioni etc) quanto “estrinseca” (di carattere letterario, iconografico, archivistico, storico-documentario, stilistico, etc)». 18 Rimando al contributo “Geometrie latenti” di Luigi Salerno 19 A. De Bernardi, Forma, spazio e percezione, Giardini, Pisa, 1974 «Io ritengo… che la componente funzionale nell’architettura sia sempre ponderante e le componenti decorative e statiche ne siano diretta conseguenza. È dalla strutturazione funzionale che trae origine l’immagine archetipa dell’oggetto destinato ad un determinato tipo di fruizione ed è da quella che lo si riconosce. … Per quanto riguarda le proporzioni… riscontriamo quanto la ricerca di esse sia finalizzata alla funzionalità dell’edificio: sia di proporzione ancorata alla musica il cui rapporto con l’architettura sollecitò smisurati interessi… sia di proporzioni ancorate ai numeri di chiara ispirazione pitagorica». 20 Rimando all’articolo di Maurizio Gomez Serito. 21 E. Giangreco, G. Faella, Il rilievo nell’analisi e nella diagnostica strutturale, in La normazione nella rappresentazione dell’edilizia op. cit. «obiettivo principale di tale rilevamento è la chiara individuazione delle cause che hanno prodotto i fenomeni di degrado e/o di dissesto caratterizzanti l’attuale stato di conservazione del manufatto». 22 V. Vola, Il disegno per la storia è la storia per il disegno, in Trenta anni di Disegno nelle Facoltà di Architettura e Ingegneria, Kappa, Roma, 2001. 23 Luca Toschino: architetto, dal 2008 collaboratore a contratto dei corsi di Topografia/ Rilievo e Metodologie del Rilievo presso la II Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. 24 Giovanni Carbonara, Avvicinamento al restauro, Liguori, Napoli, 1997, p. 472. 25 Come indicato nello schema in fig. 2.1, per misurare una superficie concava si utilizzano due punti noti A e B dei quali si conosce la distanza reciproca e si scelgono almeno tre punti – appartenenti alla superficie da rilevare –, misurando successivamente le distanze tra i due punti di base A e B ed i punti incogniti (cfr. figg. 2.1a e 2.1b). Tracciando in A e B delle circonferenze di raggio pari alle misure rilevate (rappresentate dalle linee rosse e verdi) sarà possibile, per intersezione a due a due delle stesse, determinare la posizione dei punti ignoti (cfr. fig. 2.1c); unendo infine tali punti con un arco di circonferenza sarà possibile disegnare la superficie muraria concava (cfr. fig. 2.1d). Cfr. a tale proposito Mario Docci, Diego Maestri, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Laterza, Roma – Bari, 2009, pp. 76, 80. 26 Il metodo di misura adottato è assimilabile ad un sistema di assi cartesiani: ad un dato valore misurato sull’asse delle ascisse (rappresentato dalla bindella o dal doppio metro) corrisponde un valore sull’asse delle ordinate che esprime la distanza tra il pavimento ed il punto stesso sulla superficie dell’intradosso. Cfr. a tale proposito Mario Docci, Diego Maestri, op. cit., pp. 92 – 93. 27 La tolleranza (o massimo errore ammissibile) è correlato alla scala di rappresentazione dell’oggetto; infatti, esso è uguale a 0,4 mm moltiplicato il valore nominale della scala di rappresentazione. 28 Mario Dalla Costa, Il progetto di restauro per la conservazione del costruito, Celid, Torino, 2000, p. 21. 29 Nel maggio del 1732 Vittone vinse il primo premio al Concorso clementino dell’Accademia di San Luca di Roma. Cfr. Richard Pommer, Architettura del Settecento in Piemonte, Le strutture aperte di Juvarra, Alfieri, Vittone, Allemandi, Torino, 2003, p. 82 e, inoltre, Walter Canavesio (a cura di), Il voluttuoso genio dell’occhio, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Torino 2005, pp. 219 – 220.


Fig. 4.10 Geometrie formali e progetto vittoniano. Prospetto dell’altare. (Elaborazione dell’autore da Paolo Portoghesi, Op.Cit., tav.39).

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Fig.4.11 Geometrie formali e progetto vittoniano. Pianta. (Elaborazione dell’autore da Paolo Portoghesi, Op.Cit., tav.39). 30 «Oggi ho richiesto il Sig. Marchiando che è quello che li fece vedere in casa mia, et in mia assenza l’altare, che essa suppone diversa dal consegnato al Sig. Parodi, et assicura essere lo stesso, e med.mo qui [sopra] designato e che ella ora ritiene, non avendo io fatto nessun altro disegno per il di lei altare, senonchè qualche abbozzo [per] aver luogo a scegliere l’idea migliore, [parer] onde può star certa non esservi altro da inviarle, e se mi […] glorierei presentarglielo di tutto cuore. La Vergine Santissima in detto disegno sta in una nicchia non fatta secondo la commune, ma sul modello di q[uelle] che sono nella navata maggiore di S. Gioa Laterano in Roma, e perché resti godibile e maestosa la statua, che in essa va collocata tan[to] più che verrà chiusa da vetriata d’avanti e [siccome] il lume primario della cappella viene da di […] dell’altare, perciò per rendere comme […] statua dal di sopra del nicchione pensai da introdurvi il lume alla Bernina, acciò essa statua non resti in un nicchio chiuso, oscuro e poco visibile ai divoti. Starà pur bene portata da angiolini, e non collocata così alla commune come tutte le statue sul piano della nicchia, ancora che gli angioli siano di colore bianco; il combinare poi collonne picciole e grandi, marmi vecchi e nuovi è cosa di qualche impegno a ben riuscirne pure colla fatica penso d’aver nota tal difficoltà e che di tutti i di lei marmi pochi ne resterebbero di avanzo, e quindi [mi] [sovr]apprende alquanto fattogli del Sig. Parodi in l. 2700 per li marmi da aggiungersi nuovi, intanto la assicuro che nel seguito si cambierà qualche cosa solo rispetto alle proporzion.ti; dal finimento e nel resto non so cosa fargli di meglio non giungendo il mio debole talento a tutto ciò che vorrei per soddisfarla motivo per cui la prego di benigno compatimento e di credermi quale immutabile mi costitu[ito]. Torino li 9 maggio 1757». Archivio Capitolare della Collegiata di Chieri (d’ora in avanti ACCC), B.V.G., fasc. 2, Lettere. 31 Le nicchie furono realizzate nel corso dell’intervento di restauro della basilica costantiniana ad opera di Francesco Borromini; destinate ad accogliere in un primo tempo le statue raffiguranti i Padri e i Dottori della Chiesa, nel Settecento vi verranno collocate le statue degli Apostoli. Augusto Roca De Amicis, Elisabeth Sladek, San Giovanni in Laterano, in Richard Bösel, Christoph L. Frommel (a cura di), Borromini e l’universo barocco, Catalogo della mostra, Roma dicembre 1999 – febbraio 2000, Electa, Milano, 2000, vol. II, p. 212. Si noti la similitudine tra il disegno delle nicchie

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della basilica lateranense con quello dell’ancona che custodisce la statua della Beata Vergine delle Grazie di Chieri. 32 «La definizione di “luce alla berlina o alla bernina” ricorre frequente senza spiegazione e sta per indicare un tipo di illuminazione paragonabile a quella che si verifica all’interno del sedile di una carrozza o di una portantina nella quale le fonti di luce sono laterali e defilate alla percezione dell’osservatore; luce indiretta rispetto all’osservatore ma diretta e radente rispetto all’oggetto colpito dalla luce. O anche contrapposizione tra luce diffusa (derivante da sorgenti piccole o poste in alto o a raggiera nell’ambito della centralità e quindi suscettibile di variazione durante la giornata), e luce precisamente gettata su di un oggetto, membro architettonico, per metterlo in evidenza, per dargli una importanza maggiore, per attribuire una gerarchia di significati. La cappella Raymondi in San Pietro in Montorio, attribuibile agli anni Trenta, costituisce il primo esperimento in tal senso con la sporgenza del vano dell’altare rispetto ai muri di contenimento della chiesa e quindi con la possibilità di illuminare l’altorilievo da sinistra in alto, ma forse in origine anche da destra; una luce che partecipa e modella il rilievo scultoreo in un clima di sovrannaturalità tra luce reale e luce figurale e che poi riverbera, come conseguenza, per le pareti della cappella cui la chiarità del marmo e la sottigliezza dei rilievi consentono un cauto peregrinare». Franco Borsi, Bernini architetto, Electa, Milano, 1980, p. 162. 33 Un ulteriore richiamo di Vittone all’architettura berniniana è riscontrabile all’interno della nicchia, laddove per esaltare la ‹‹luce guidata berniniana›› l’architetto inserì i ‹‹raggi imitanti la luce››. Si confrontino a tale proposito Richard Pommer, op. cit., p. 87 e, inoltre, David Watkin, Storia dell’architettura occidentale, Zanichelli, Bologna, 2003, p. 255. 34 Tamponamento che si auspica di poter rimuovere in un futuro prossimo. 35 Camilla Botto Poala, studentessa presso la seconda facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, laureanda del corso di laurea magistrale in Architettura per il Restauro e la Valorizzazione. All’interno dell’A.A. 2009/2010 ha svolto il tirocinio curricolare presso lo studio Arch. Gallina in Chieri. 36 Bernardo Antonio Vittone, Istruzioni elementari per indirizzo dei giovani allo studio dell’architettura civile divise in libri tre, e dedicate alla Maestà infinita di Dio Ottimo Massimo, Lugano presso gli Agnelli della Suprema Superiorità Elvetica, 1760, pp. 412-413. 37 Archivio Storico Comune di Chieri (d’ora in avanti ASCC), Ordinati Municipali, n. 58. Fasc.1, vol.43, 6 dicembre 1631 38 «[…] et essendo mente della commun.za che tall’ornam.to et capella venghi a perpetua memoria honore e gloria di detta vicina maesta» ASCC, n.58, fasc.1, vol.43, 16 Aprile 1632.; «[…]che il tutto venghi fatta con quella prontezza che li potra et con la magior perfettione parim.ti possibile il tutto a honore et gloria di detta Vicina Maestra della glorioss.ma vergine Maria delle gratie», ivi; « […]SS.i et Conseg.i comes. Congre. Informati della visita fatta per esperti et di loro rellatione circa la qualita et opera è perfettione della Capella vottiva della Carit. nella Chiesa della Mad.na della scala per quanto spetta a M. Bartolomeo Ruscha Impresario di detta Capella li marmori e stuccho essa opera lanno lodata e lodano esso Impresario degno d’ogni premio» ASCC, art. 58. Fasc.1, Ordinati Municipali, vol.46, 24 gennaio 1636; «[…] sino alla perfettione Intera dil votto qua si ordina doversi far con quella Pompa e Maesta che richiede la gratia di questa cita et votto solenne come sopra fatto et al benefittio grande a Intercessione della Madonna Santissima dalla sua divina Maesta ottenuto della libera.ne dal contagio et Influssi della guerra». ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.45, 22 Dicembre 1633. 39 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.43, 16 aprile 1632. 40 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.45, 14 luglio 1634.


Fig. 4.12 Progetto per la chiesa del monastero di Santa Chiara ad Alessandria. Pianta e costruzione geometrica. (Elaborazione dell’ autore da Bernardo Antonio Vittone, Istruzione diverse, tav.LXXI)

41 «[…] seguri tal dissegno porta longhezza di tempo per le difficulta che fanno di par. Interesati et patroni delle Capello ove si dovea Conforme al detto dissegno rinovar la giad.ta Capella vottiva et che la reputazione della Consu.ta porta che piu in longo non si afferischi la perfettione di detta Capella vottiva si è qui ordinato et ordina che si eseguisca et compisca la gia detta Capella ove si ritrova principiata et alla cui capacita sono di gia deputati et elletti sopra la tal Impresa di farla seguire et finire conforme al primo dissegno» ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.46, 3 Settembre 1634. 42 «[…]il parere coll accordata M. Conte Carlo Castellamonte quali fece venire per parte della cita espressam.te per veder l’opera gia principiata et haver il suo parere circa la sua perfettione da pagarseli esse lire quattrocento». ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.46, 3 Gennaio 1635. 43 «[…]voto solenne di far fabbricare a spese della Comunità e nella chiesa della Collegiata di questa Citta con il beneplacito però dei Molto Reverendi Signori Canonici et Capitulo di essa chiesa una Cappella con suo altare, dedicandola sotto il titolo della

Madonna delle Gratie». ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.43, 27 Luglio 1630 44 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.4, 21 Giugno 1631; «[…] insieme al dissegno che si farà della forma di detta volta con stucho et oro» ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.45, 22 dicembre 1633; ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.45, 20 Aprile 1634 45 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.43, 27 Luglio 1630 46 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.43, 16 Aprile 1632 47 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.43 , 19 gennaio 1632 48 Ibidem 49 ASCC, Ordinati Municipali, n.58, fasc.1, vol.45, 22 Dicembre 1633 50 Ibidem 51 ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi. 22 aprile 1759 52 ACCC, B.V.G., faldone 9, Marmi. 53 «[…]per marcare le pezze de loro vecchij marmi che travagliarsi», ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi, Amedeo Rizzi, Torino 25 maggio 1757; «[…] li marmi d’aggiunta a detto Altare». ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi,Onorato Leotardij, Torino 9 Settembre 1757; «[…] si dichiara che spetteranno al d.to Sig. Rizzi tutti li marmi avanzati dalla demolizione dell’alltare vecchio, che attualmente si ritrovano nell’ospedale maggiore di questa città». ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi,Onorato Leotardij, Chieri, 22 aprile 1759; «[…] per trasporto de marmi dall’hospedale in casa Bons per travagliarli» ACCC, B.V.G., faldone 1, 1757, Maria Mater Gratie – Conto presentato dal M. D. Onorato Leotardij di […] per la costruzione della cappella della Beata Vergine delle Grazie, 26 giugno 1756; «[…]provedere quei marmi che mancano per il sud.o altare e t accomodare li altri che vi saranno p venderli abili al sud. Disengo et lavorarli a tutta perfezione del arte come prestare la mia asistenza alla metitura in opera di detti marmi vecchi quanto delli novi». ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi.Gerolamo Aprile, 31 agosto 1757; «[…] tute le pietre che si provederanno di novo come di vede dalla istruzione» ACCC, B.V.G., fald.9, Gio Battista Parodi, 22 Aprile 1757 54 Vedi nota 51 55 ACCC, B.V.G., fald.2, Lettere, Bernardo Vittone, Torino 9 maggio 1757. 56 ACCC, B.V.G., fald.9, Marmi. 9 settembre 1757 57 ACCC, B.V.G., faldone 9, Marmi. 58 ACCC, B.V.G., faldone 9, Marmi, Amedeo Rizzi, Torino 25 maggio 1757 59 L’epoca di costruzione della finestra è confermata – grazie alle analisi in laboratorio eseguite dalla ditta di restauro- di fattura settecentesca e quindi si deduce essere un intervento coevo al’intervento di Vittone. 60 Il triangolo, che, nel nostro caso, forma la terminazione sommitale della finestra, è più volte raffigurato sulla sommità di altari o cappelle inserite nelle tavole delle Istruzioni Diverse, e da esso si diramano i raggi di luce divina: ad esempio nel secondo altare della tavola XC; in un altare di Santa Maria Maddalena ad Alba, tav. LXXIV; in una cancellata raffigurata nella tav. XXVIII; in un fonte battesimale della tav. C; sulla sommità della prima corona della tav. XCVII; Bernardo Antonio Vittone, Istruzioni Diverse concernenti l’officio dell’ architetto civile, ed inservienti d’ elucidazione, ed aumento alle Istruzioni Elementari d’ Architettura già al pubblico consegnate, ove si tratta della misura delle fabbriche, del moto, e della misura delle acque correnti, dell’ estimo de’ beni, del miglio comune d’ Italia, dei ponti, e di pressoché ogni sorta di fabbriche, ed ornamenti d’ architettura civile, Francesco Prato, Torino 1797. 61 La forma a conchiglia è presente nelle raffigurazioni di dettagli architettonici raccolte nelle Istruzioni Diverse, come nelle Istruzioni Elementari, dove è frequentemente usata nella tavola dei blasoni. All’interno della cappella della Beata Vergine delle Grazie, una conchiglia in marmo giallo di Verona è posta al di sopra della trabeazione,

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in asse con la testa del putto stretto tra le due volute, con andamento spirale aureo, che formano l’andamento mistilineo della nicchia racchiudente la statua. 62 ACCC, B.V.G., faldone 1, 1757, Maria Mater Gratie – Conto presentato dal M. D. Onorato Leotardij […] per la costruzione della cappella della Madonna delle Grazie, Novembre e Dicembre 1758. 63 «[…] calcina forte per otturar della capella retro»; «[…] al vairo per mattoni (425) essi mattoni per otturare la finestra della capella»; «[…] per il telaro della vitriata»; «[…] per porto della grande vitriata levata dall’(altare) e portata da casa d’Aijmary in casa 5 Raffele»; «[…] scalini e lose per coprire la muraglia finestra dietro la capella e per difendere dalle aque». Quest’ultima nota sembra descrivere accuratamente le lose presenti sulla strombatura orizzontale esterna della finestra esistente, a guisa di davanzale di protezione dalle acque meteoriche. ACCC, B.V.G., faldone 1, 1757, Maria Mater Gratie – Conto presentato dal M. D. Onorato Leotardij […] per la costruzione della cappella della Madonna delle Grazie, Novembre e Dicembre 1758. 64 Per ulteriori approfondimenti sull’uso della simbologia in particolare correlata all’utilizzo della luce, consultare il saggio: Marcello Fagiolo, L’universo della luce nell’idea di Architettura del Vittone, in Bernardo Vittone e la disputa fra classicismo e Barocco nel Settecento, Atti del convegno, 21-24 settembre 1970, Accademia delle Scienze di Torino, Torino, 1972, pp.117-156. 65 Paolo Portoghesi, Bernardo Vittone: un architetto tra Illuminismo e Rococò, Edizioni dell’Elefante, Roma 1966, p. 106, 136 66 « Instruzione delli marmi da impiegarsi dal Sig. Amedeo Rizzi nella costruzione ed impiallicciamento de laterali della Capella della B. Vergine delle grazie in conformità del disegno rimessoli. Il zoccolo si farà di marmo di Gassino di color unito. La base attica e li capitelli ionici saranno in marmo bianco di S.Martino ben lavorati ed intagliati come anche le sue palmette e d’arcella a pellame sovra il quadro. Le lezene saranno di bardiglio di Valdieri intavolate di Seravvezza di Firenze contornate da cornicetta di giallo di Verona e listino di nero di Como il tutto di macchia bella ed unita.La prima fascia della cornice architravata e membri di finimento compreso lo scultiolatore saranno di d.to giallo ed il rimanente della cornice di bardiglio sud.to e come sovra. Il vivo attorno al panello inferiore ed attorno al quadro sarà di marmo di Busca di macchia chiara ed uguale ed il panello inferiore sarà di mischio di Francia contornato da cornice di giallo e listino di nero sud.to ed il fondo sarà di detto vivo e panello sarà mezzoncia più addietro del vivo, sarà questo di verde con listino di nero, ed il fondo fra detto vivo e cornice del quadro sarà pure fondato una mezz’onica e contronato come avanti e di perschino.Cornice del quadro ed ultima fascia scorniciata e cartocij che aggrapano li foliami del finimento e sostegni de due orecchioni e fascia scorniciata sotto al quadro e superiormente al panello superiore saranno di d.to giallo, ed il fondo fra essi sarà di dt. Seravezza e come sovra. […]» ACCC, B.V.G, faldone.9, Marmi, 22 Aprile 1759. 67 Queste sculture lignee, opera di Ignazio Perruca, sono poste sulla sommità della trabeazione. 68 ACCC, B.V.G., faldone.6, Statue Perruca; Eugenio Olivero, Sopra alcune architetture di Bernardo Vittone. La cappella della B.V. delle Grazie nel Duomo di Chieri, in S.P.A.B.A., Anno VIII, n.1-2, Torino, gennaio-giugno 1924, p. 18. 69 Idem, Tav. VIII 70 Luigi Salerno, studente presso la seconda facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, laureando del corso di laurea magistrale in Architettura per il Restauro e la Valorizzazione. All’interno dell’A.A. 2009/2010 ha svolto il tirocinio curricolare presso lo studio Arch. Gallina in Chieri.

71 Attilio De Bernardi, Due esempi di geometria euclidea, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa – classe di Lettere e Filosofia, serie III, vol. XXIV, Pisa 1994, pp. 467-489, tavv. CXXIV-CXXXII. 72 Mauro Luca De Bernardi, Disegno e geometria nel Barocco in Piemonte. Un’esperienza di rilievo architettonico di un edificio barocco, in Rappresentazione dell’architettura e dell’ambiente: principi costitutivi del progetto tra artificio e natura, Vol. III, Rappresentazione dell’ambiente: città e territorio, Ministero della Ricerca Scientifica e tecnologica, Roma 1997, p. 243. 73 Paolo Bertalotti, Disegno e geometria nel Barocco in Piemonte. Complessità e sintesi nelle geometrie, in Rappresentazione dell’architettura e dell’ambiente: principi costitutivi del progetto tra artificio e natura, Vol. III, Rappresentazione dell’ambiente: città e territorio, Ministero della Ricerca Scientifica e Tecnologica, Roma 1997 p. 236. 74 Sul disegno della pianta è perfettamente visibile una circonferenza assimilabile a quella identificata dalla sfera 1G. 75 Bernardo Antonio Vittone, Istruzioni Elementari, lib.I, art. I, cap. IV, problema XI, pag. 70, tav. III fig. 2. 76 La presenza di questo triangolo ha permesso di disegnare l’ellisse alla base della costruzione dell’ellissoide 1S. 77 Bernardo Antonio Vittone, Istruzioni Diverse, Tav. LXXI. 78 Nel caso della cappella della Beata Vergine delle Grazie tale soluzione sembra voler accentuare nella pianta l’importanza della nicchia nella quale dovrà essere collocata la statua della Madonna. Per l’uso di elementi triangolari in pianta si vedano il progetto per Santa Chiara ad Alessandria, la cappella di S.Luigi a Corteranzo, in Alda Panizza (a cura di), S.Luigi Gonzaga di Corteranzo, Istituto di elementi di architettura e rilievo monumenti, Torino 1970, p. 8. e la cappella della Visitazione del Vallinotto, in Paolo Portoghesi, op. cit., p.98, solo per citare alcuni esempi. 79 La forma della nicchia è molto simile anche a quella che il Vittone utilizza in una cappella della chiesa dell’Ospedale di Carità di Casale Monferrato, si veda Paolo Portoghesi, op. cit., p.99. Per la costruzione di questa tipologia di curva ellittica sembra valido il metodo proposto nei disegni di Carboneri per due tavole per il catalogo della mostra di Vercelli del 1963, in Alda Panizza, op. cit., p. 9. 80 Si tratta dei testi già citati, le Istruzioni Elementari e le Istruzioni Diverse.

Fig. 4.13 Cappella di San Luigi Gonzaga a Corteranzo Monferrato. Pianta e costruzione geometrica (Elaborazione dell’ autore da Alda Panizza, op. cit., p.8)

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La riscoperta dei colori vittoniani Giorgio Garabelli, Marina Locandieri, Michelangelo Varetto1

L’intervento di restauro conservativo della cappella della Beata Vergine delle Grazie si è rivelato un’importante occasione di studio e di analisi sia degli aspetti tecnici e artistici, ad oggi non documentati, che dell’intero arredo decorativo costituito da dipinti murali, decorazioni a stucco, rivestimenti in marmo, legno policromo e dipinti su tela. Delle principali vicende storico-artistiche della cappella molto è già noto ed ampiamente documentato:“In conclusione l’opera del Vittone2 fu eseguita negli anni 1757, 1758, 17593; l’allievo Quarino4 , fece le copie dei disegni; Ignazio Perucca5 scolpì le statue di legno; Giuseppe Colla cesellò le opere in bronzo; Giuseppe Sariga6 dipinse i quadri laterali; Amedeo Rizzi fu lo scultore e appaltatore del lavoro marmoreo7”. Di quanto documentato, però, prima del restauro erano percepibili solo i volumi, mentre i dati di superficie, le policromie e i partiti decorativi erano occultati da rifacimenti e ridipinture del passato. Le diverse tipologie di materiale di cui è composta la decorazione della cappella, presentavano delle differenze conservative dovute ai differenti interventi di “restauro” subìti nel passato. Le pitture murali8 dei riquadri laterali e del cupolino, illeggibili in quanto ricoperti da una diffusa patina biancastra dovuta alle efflorescenze saline sovrapposte a polvere e ridipinture, erano in precario stato di conservazione per quanto riguardava la pellicola pittorica, mentre erano in buono stato di conservazione i vari strati di costituzione. La decorazione della volta a botte eseguita a cassettoni esagonali in stucco si trovava nel suo complesso ben conservata, ma ricoperta da vari strati di scialbo e ridipinture9. La doratura originale eseguita “a mecca”10 presentava in molte parti della superficie rifacimenti con materiali oleosi, ripassature e ritocchi a porporina in gran parte alterata. L’adesione alla muratura delle lastre di marmo, che ricoprono le pareti della cappella, si presentava in buona efficienza tranne in qualche zona dove erano presenti piccoli distacchi. Tutta la superficie era ricoperta da uno spesso strato uniforme di polvere grassa, così come in alcune aree erano presenti delle ridipinture e rifacimenti in gesso.

Per quanto riguarda le opere lignee policrome, a causa di vicissitudini diverse, interventi precedenti e mancata manutenzione, erano di fatto scomposte e ciascuna opera costituiva elemento separato e differente da un altro. Quasi tutte queste opere erano ricoperte da una ridipintura molto sottile ed omogenea, che nascondeva la policromia originale eseguita su gesso-colla ad imitazione del marmo.11 I dipinti ad olio su tela non presentavano problemi di conservazione relativi al supporto: la tela manteneva una tensione adeguata e il telaio, solo lievemente deformato, era ancora funzionante. Si rilevavano invece piccoli danni alla pellicola pittorica con alterazione dei ritocchi e della vernice.12 In via preliminare si è proceduto al reperimento del maggior numero d’informazioni in merito alle stratificazioni degli intonaci e delle decorazioni sottostanti quelle visibili. I saggi stratigrafici hanno rilevato che sotto le ridipinture, sia acriliche che a tempera, si celava la tavolozza pensata da Vittone. Le ridipinture avevano di fatto ripreso con tinte più “sorde” la pittura antica, caratterizzata da una trasparenza e brillantezza superiore. Queste considerazioni hanno suggerito di riportare alla luce la pittura originale, eliminando le stratificazioni successive. Sulle pitture raffiguranti gli angioletti, eseguite con tecnica “a bianco di calce”, la prima operazione è consistita nel ristabilimento dell’adesione tra i diversi strati d’intonaco e nella rimozione delle efflorescenze saline con l’applicazione di carta giapponese e acqua demineralizzata. Quindi la pulitura è stata eseguita con applicazione di AB57, una miscela di solventi e tensioattivi in gel13, previa interposizione di carta giapponese. I ritocchi pittorici più consistenti sono stati rimossi con acqua e ammoniaca in soluzione al 3%. Per la decorazione a stucco, la prima operazione è consistita nel ristabilimento dell’adesione tra i diversi strati di intonaco utilizzando, come per gli affreschi, una malta premiscelata di calce idraulica naturale. La pulitura è stata eseguita seguendo criteri di selettività e gradualità nell’assottigliamento delle sovrapposizioni a partire dalla porporina e dalle ridipinture oleose. Per la

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Particolari della Cappella della Beata Vergine delle Grazie prima dell’ intervento di restauro.

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Particolari degli affreschi prima e dopo l’ intervento di restauro.

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Particolari degli affreschi prima e dopo l’intervento di restauro.

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Particolare della volta prima e dopo il restauro.

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Tavola riepilogativa della successione stratigrafica delle cromie presenti sulla volta a botte.

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rimozione delle resine si è percorsa la via della pulitura chimica, dopo aver individuato opportuni solventi volatili, con successiva rifinitura meccanica mediante l’ausilio del bisturi. Le piccole parti di intonaco mancanti sono state reintegrate con stuccature eseguite con calce e sabbia simile all’originale (in percentuale 1:2), in modo da ricreare una superficie simile all’intonaco dell’affresco originale, mentre sono state utilizzate calce e polvere di marmo a granulometria fine (1:3) per le superfici in stucco. La reintegrazione delle lacune degli affreschi e degli stucchi è stata eseguita a velatura, con colori non alterabili e legante reversibile14, correggendo leggermente le abrasioni e facendo rientrare cromaticamente le stuccature realizzate. Con il recupero degli affreschi, si è provveduto al restauro dell’intonaco dipinto del lanternino, degradato a causa delle infiltrazioni d’acqua dai serramenti, e della pittura OttoNovecentesca nel cupolino a base circolare, raffigurante lo Spirito Santo in veste di colomba bianca con il ramoscello d’ulivo. Per quanto riguarda l’apparato lapideo, l’operazione di pulitura dei marmi è stata eseguita con acqua demineralizzata additivata con un leggero tensioattivo; le sigillature degradate, gli adesivi invecchiati, le tracce di silicone sono state eliminate meccanicamente e ripristinate. Per fare ciò è stata impiegata la tecnica del marmo artificiale15, particolarmente efficace nell’ottenere sigillature piccolissime, nelle differenti tonalità e sfumature di colore, superficialmente lucide e prive di screpolature. Per la protezione finale, trattandosi di un ambiente interno, non è stato necessario utilizzare prodotti idrorepellenti ad alto potere protettivo, ma è stata sufficiente una lucidatura con cera microcristallina. Il restauro dei manufatti lignei policromi è iniziato con l’esecuzione di tasselli stratigrafici che hanno consentito di individuare le distinte fasi di policromia. L’intervento di rimozione degli strati non pertinenti ha permesso in alcuni oggetti di mettere in luce una stesura pittorica a tempera, molto fine e sottile (particolarmente efficace nella resa della finzione di materiali marmorei) segnata da un lieve ingiallimento e dai segni dell’assorbimento della polvere e fuliggine, interessata

da piccole lacune di spessore molto esiguo, e caratterizzata da una consistenza materica molto resistente. Alle discrete condizioni dello stato di conservazione della materia pittorica originale ha contribuito anche la più che soddisfacente qualità del supporto ligneo, interessato ovviamente da minimi attacchi di insetti e solo localmente reso friabile da erosioni, ma ciò nonostante ancora molto compatto. È indispensabile ricordare tutte le operazioni di restauro, condotte con scrupolosa attenzione, inerenti il supporto: la disinfestazione preventiva, il consolidamento, l’eliminazione di elementi non congrui o non pertinenti, l’isolamento di elementi metallici ossidati, la rimozione di protettivi superficiali alterati nonché della polvere sedimentata e inglobata, il fissaggio ed il consolidamento degli strati pittorici e della preparazione originali, l’integrazione di parti di supporto mancanti in corrispondenza di erosioni o di mancanze dai contorni certi, l’eliminazione di elementi inseriti precedentemente in fessure naturali di assestamento del legno, l’assemblaggio di parti distaccate o pericolanti. Attraverso approfonditi confronti con i funzionari delle Soprintendenze è stata elaborata una tecnica di integrazione pittorica unitaria per gli oggetti lignei, in grado di permettere la lettura di quegli elementi originali ancora presenti sulla superficie delle opere. L’integrazione pittorica delle sculture è avvenuta mediante più stesure uniformi di velature di colore, sufficiente ad armonizzare le superfici di tutte le opere e riproporre l’unitarietà originale e permettendo altresì di individuare agevolmente, ad una visione ravvicinata, le tracce di cromia di originali ancora presenti. Il restauro della cappella è stato completato con la manutenzione dei due dipinti ad olio, che è stata essenzialmente di carattere estetico: l’intervento si è proposto di restituire la corretta leggibilità delle opere, ritrovando la cromia e i volumi della pittura offuscati dalla vernice superficiale e dai ritocchi pittorici alterati. La pulitura è stata eseguita selettivamente: dopo una serie di test, per la rimozione delle resine delle vernici superficiali si è optato per una miscela di solventi organici, alcool e acetone, dispersi in emulsione cerosa. Le prime prove sono state effettuate in corrispondenza di zone chiare per una valutazione ottimale; si

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Tasselli di pulitura delle statue marmoree (sopra) e lignee (sotto).

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Particolare di una statua lignea dopo l’ intervento di pulitura.

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è quindi proceduto con l’apertura di tasselli di pulitura più ampi in corrispondenza di zone diverse per colore o stato di conservazione, bilanciando la rimozione in base a queste caratteristiche. Dopo una prima pulitura generale si è proseguito con la rifinitura di alcune zone precauzionalmente sospese come i verdi della vegetazione o le ombre delle architetture, quindi si è passati alla rimozione dei ritocchi a vernice alterati. Come previsto la fascia inferiore del dipinto raffigurante Il Solenne Voto si è dimostrata interessata da un numero elevatissimo di lacune e sono emerse le linee verticali di giunzione dei teli del supporto. Sono state mantenute le stuccature precedenti ritenute ancora valide per la successiva integrazione pittorica. Dopo una leggera verniciatura realizzata a pennello con resina acrilica in unica mano16, si è proceduto all’integrazione pittorica con la stessa volontà di equilibrio e minimo intervento che ha guidato la pulitura. Le lacune di dimensioni minime sono state integrate a tono, mentre le zone abrase della pellicola pittorica sono state abbassate con leggere velature. Le lacune di dimensioni più importanti sono state integrate con tratteggio verticale riconoscibile. La protezione finale del dipinto è stata ottenuta con resina acrilica applicata a spruzzo,in due successive stesure.

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1 Restauratori di beni culturali, direttori tecnici del Consorzio San Luca per la cultura, l’arte ed il restauro di Torino. I lavori, proseguiti da ottobre 2009 a maggio 2010, sono stati diretti dall’arch. Simona Gallina sotto l’alta sorveglianza del dott. Claudio Bertolotto della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte e dell’arch. Silvia Gazzola della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte. Si desidera ringraziare le imprese chieresi: Angelo Manolino srl per la sponsorizzazione delle opere provvisionali e la ditta Franceschi Antonio per la nuova illuminazione. Infine un grazie a tutti gli operatori che hanno concorso alla riuscita del lavoro: Alice Arvieri, Fabio Didedda, Maria Giordanetto, Giuseppe Letizia, Mariana Paletta, Manuela Sigalotti, Luana Tomassoli e, non certo ultimi, un ringraziamento speciale a Davide Bianco e Marco Massazza per la professionalità sempre dimostrata. 2 Bernardo Antonio Vittone nacque a Torino nel 1704. Escludendo il periodo di studio a Roma, visse sempre nella città natale, in un appartamento di via Arsenale messogli a disposizione dal suo ricco mecenate, il marchese Ferrero d’Ormea, segretario per gli affari interni di Carlo Emanuele III. Vi morì il 19 ottobre del 1770. In Mignozzetti 2007 p. 99. 3 “Questo è quello che è scritto da sempre, ma guardando bene i documenti si apprende che l’opera venne conclusa solo nel 1771, perché per le rifiniture laterali l’opera subì prima un arresto poi un dilungamento”: così in una comunicazione verbale ha espresso il suo parere Roberto Toffanello, conservatore dell’archivio della Collegiata Chierese, al quale rivolgiamo un particolare ringraziamento per la disponibilità, la passione e l’attenzione nel mettere a nostra conoscenza i documenti riguardanti la cappella della Vergine. 4 Maria Ludovico Quarini (1736-1803 circa), Architetto Regio dal 1785, autore prolifico in numerose località del Piemonte e nella natia Chieri. Precocemente stabilitosi a Torino dopo gli studi universitari conclusi nel 1759, fu collaboratore di Vittone per circa dieci anni. In Tedesco 2001, p.10. 5 Ignazio Perucca, le date di nascita e di morte si possono ricostruire solo approssimativamente con l’aiuto di qualche documento d’archivio. Poiché nel 1742 compare nello “stato de’ negozianti e artisti” alla voce “scultori e intagliatori”, in quell’anno non deve essere più giovanissimo, ma avere almeno 25-30 anni. Se è così, deve essere nato fra il 1712 e 1720. E poiché da altri documenti risulta attivo almeno fino al 1775, è dopo quella data che va collocata la sua morte. Cfr. Antonio Mignozzetti, Artisti nel Duomo di Chieri, 2007 pag. 104. 6 Giuseppe Sariga, considerato e chiamato “torinese” perché nella capitale del Piemonte visse a lungo e morì (1782), in realtà era nato nei dintorni del lago di Lugano: perciò è l’ultimo dei luganesi, in ordine di tempo, ad intervenire nel Duomo di Chieri. Fu pittore di successo: lo dimostra il fatto che il Vittone lo abbia scelto come suo collaboratore per la cappella della Madonna delle Grazie, lo conferma la sua elezione, nel 1764, a priore della Compagnia di San Luca. Cfr. Mignozzetti, ibid., p. 103. 7 in Eugenio Olivero, Sopra alcune architetture di Bernardo Vittone. La Cappella della B.V. delle Grazie nel Duomo di Chieri, 1924, 1-2. 8 “È una pittura a “mezzo fresco” perché l’artista, dopo aver proceduto secondo le fasi di esecuzione del supporto pittorico come per l’affresco, opera su intonaci in uno stadio estremamente avanzato di carbonatazione. É possibile in questo caso ottenere una pellicola pittorica sufficientemente legata dal carbonato di calcio se si usano colori stemperati in latte di calce, che funziona quindi da legante: si parla perciò di pittura a calce.”: in Guido Botticelli, Metodologia di restauro delle pitture murali, 1992, pag. 29. 9 Analisi chimico-stratigrafiche su frammenti di pellicole pittoriche allo scopo di verificare le sequenze stratigrafiche e caratterizzare i materiali costitutivi. Sono state eseguite dal laboratorio TSA s.r.l. di Padova

10 La doratura “a mecca” è ottenuta utilizzando argento in foglia trattato con vernice gialla ad imitazione della foglia d’oro. 11 “Il gruppo d’angioletti che forma sostegno al simulacro della Vergine, come pure quelli soprastanti al cornicione, e le tre testine alate sotto la stella terminale, sono opera egregia in legno verniciato, dello scultore Ignazio Perucca.”: in Bartolomeo Valimberti, Spunti Storico-Religiosi sopra la città di Chieri, 1928, pag.147. 12 Restauro eseguito dal laboratorio Mastrotisi di Novara nell’anno 1987. 13 AB57 è una miscela di solventi per la pulitura formulata dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma, composta da acqua deionizzata, carbonato di ammonio, carbonato di sodio, Desogen (prodotto tensioattivo), carbossimetilcellulosa (gel supportante), EDTA (sale bisodico). 14 Sono stati utilizzati colori ad acquarello prodotti dalla Windsor & Newton, e terre naturali stemperate nella calce. 15 Per la tecnica del marmo artificiale si impiegano scagliola, colla forte e terre colorate: la colla è diluita con acqua in base ai tempi di essiccazione (più il pigmento è scuro più impiega ad asciugare); quindi si lucidano e rilucidano le stuccature con pietra pomice sempre più fine fino a rendere la superficie lucida. 16 Surfin, prod. Lefranc-Bourgeois.

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Una nuova luce Elena Canaparo, Antonio Franceschi1

Le scelte illuminotecniche Un luogo così ricco di storia e d’importanza emotiva ha richiesto un’attenta analisi del rapporto: luci/ombre e luogo di culto posto all’interno di un più sontuoso e austero luogo, il Duomo di Chieri. La soluzione non è stata tanto il calcolo illuminotecnico dei livelli d’illuminamento quanto quello scenografico dove ogni particolare, per il suo ruolo, poteva essere importante e determinante nella fruizione totale del significato della Cappella stessa; ma, nell’illuminare le ricchezze artistiche ed architettoniche non si deve mai perdere di vista quella che è la principale destinazione d’uso della cappella, ossia la lettura dei fedeli e del celebrante. Si è quindi curata con molta attenzione la scelta degli apparecchi. Il progetto si è prefissato inoltre di curare con molta attenzione l’inserimento degli elementi all’interno dell’ambiente al fine di evitare una eccessiva invasività e presenza degli stessi, anche quando spenti. Gli apparecchi di illuminazione sono stati posati al di sopra del cornicione e solo alcuni sono parzialmente a vista per non compromettere la resa illuminotecnica. La sorgente utilizzata è stata quella a Led. Infatti un altro importante aspetto che ha caratterizzato l’intervento è stato quello di fornire agli utilizzatori finali: un impianto a bassissimo consumo energetico vista la complessità e la grandezza di tutto l’edificio (i LED ad alta emissione arrivano a circa 50.000 ore di funzionamento consecutivo); un impianto che non avesse una grande manutenzione quindi la quasi assenza dei costi; una flessibilità dell’installazione degli apparecchi vista la miniaturizzazione dell’oggetto finale; la grande efficienza luminosa nell’illuminazione dei colori saturi; il funzionamento in sicurezza perché a bassissima tensione. Per la precisione sono stati usati: per l’illuminazione generale della volta della Cappella con presenza di colore oro si sono usati Miniflux a luce calda così

da dare un’uniformità totale d’illuminazione e un ottimo livello d’illuminamento a terra per luce riflessa. Per la necessità tecnica delle “funzioni” si sono utilizzati tre fari SMA Spot da 18 watt cadauno (orientabili a 360°) con lenti concentranti per gli officianti e diffondente per i fedeli. Per la nicchia e la statua della Madonna: Miniflux a luce fredda sul fondo in marmo per far spiccare in avanti il volume della statua, apparecchi Stick da 3 watt l’uno con lenti da 60° per l’illuminazione d’accento generale sul mantello e parte dei volti della Madonnina e del Bambino. Apparecchi Flexled da 3 watt direzionabili con lenti da 60° per l’illuminazione solo di alcuni punti salienti dei loro visi. In conclusione con l’uso di una sola fonte luminosa il LED, diversificato per luce calda o fredda, siamo riusciti a unire la solennità e l’importanza del significato della “Madonna” con la fruizione della cappella stessa, senza mai perdere l’importanza di ogni singolo elemento che per contrasto (luce-ombra) si rappresenta sempre nella sua pienezza.

1 Progetto impianto elettrico e domotica: per. ind. Marco Sacco – Pavarolo (TO); progetto impianto illuminazione arch. Elena Canaparo – studio di architettura ecplus associated architects – Torino; impresa installatrice Antonio Franceschi – Chieri (TO). Apparecchi d’illumianzione ILTI Luce S.r.l. - Torino

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Bibliografia Archivio Capitolare del Duomo di Chieri, Fabbrica - Cappella Municipale della Beata Vergine delle Grazie. W. Bertagna, Disegni e documenti inediti per Bernardo Antonio Vittone, 2005. Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, n. 1-2, Anno VII, gennaio-giugno 1924. A. Bosio 1878, Memorie storico-religiose e di belle arti nel Duomo ed in altre chiese di Chieri, Torino 1878. G. Botticelli, Metodologia di restauro delle pitture murali, Centro Di, Firenze 1992. G. Botticelli, Tecnica e restauro delle pitture murali, Polistampa, Firenze 1980. A. Cavallari Murat, Antologia Monumentale di Chieri, Istituto Bancario di Torino, Torino 1969. Canavesio, Il voluttuoso genio dell’occhio. Nuovi studi su Bernardo Antonio Vittone, Torino 2005. C. Danti - M. Matteini - A. Moles (a cura di), Le pitture murali, tecniche, problemi, conservazione, Centro Di, Firenze 1990. G. Gritella, Juvarra. L’architettura, Modena 1992. C. Maltese, Le tecniche artistiche, Mursia, Milano 1987. M. Matteini - A. Moles, Scienza e restauro. Metodi di indagine, Nardini, Firenze 1984. M. Matteini - A. Moles, La chimica nel restauro, Nardini, Firenze 1989. A. Mignozetti, Artisti nel Duomo di Chieri, Associazione Carreum Potentia, Chieri 2007. L. Mora - P. Mora - P. Philippot, La conservation des peintures murales, Editrice Compositori, Bologna 1977. E. Olivero, Le Opere di Bernardo Antonio Vittone, architetto piemontese del secolo XVIII, Torino 1920. E. Olivero, Sopra alcune architetture di Bernardo Vittone. La Cappella della B.V. delle Grazie nel Duomo di Chieri, estratto da “Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, Anno VIII (1924) 1-2, Tipografia Giuseppe Anfossi, Torino 1924. G. Perusini, Il restauro dei dipinti e delle sculture lignee. Storia, teorie e tecniche, Del Bianco Editore, Udine 1989. P. Portoghesi, Bernardo Vittone. Un architetto tra illuminismo e rococò, Roma 1966. U. Procacci - L. Guarnieri, Come nasce un affresco, Bonechi, Firenze 1975.

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Parrocchia del Duomo

Città di Chieri

NUOVA LUCE ALLA MADONNA DELLE GRAZIE

cop libro madonna delle grazie.indd 1

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