Archi Linen

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ISSN 2038 5617 - "Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n° 46) art.1 comma.1 - CN/BO”

ARCHI LI E

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L’Opera di Zaha Hadid a Guangzhou

Grimshaw & Partners rinnovano la Newport Station in Galles

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LA SEMPLICITÀ COME ARMA DI SUCCESSO

ARCHILINE Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 8109 del 13 ottobre 2010 Anno 1 numero 1 marzo 2011

QUANDO UN BITRAVE CLASSICO MUTA, INTEGRANDOSI PERFETTAMENTE IN UN NUOVO AMBIENTE

Direttore Editoriale Alessandro Marata Direttore Responsabile Maurizio Costanzo Caporedattore Iole Costanzo Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli Art Director Laura Lebro Responsabili Marketing Mario Pompilio, Zenon J. Wojciechowski Comitato Scientifico Walter Baricchi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Reggio Emilia) Benito Dodi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Piacenza) Vittorio Foschi (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Forlì-Cesena) Claudio Gibertoni (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Modena) Alessandro Marata (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Bologna) Gianni Pirani (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Ferrara) Roberto Ricci (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Rimini) Alessandro Tassi Carboni (Presidente Ordine Architetti P.P.C. della provincia di Parma) Redazione Alessio Aymone, Lorenzo Berardi, Antonello De Marchi, Silvia Di Persio, Enrico Guerra, Angela Mascara, Marcello Rossi, Alessandro Rubi, Carlo Salvini, Federica Setti, Paolo Simonetto, Gianfranco Virardi Hanno collaborato Manuela Garbarino, Marilena Giarmanà, Emilia Milazzo, Marco Zappia Stampa Cantelli Rotoweb - Castel Maggiore (Bo) www.cantelli.net

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interior design

sommario EDITORIALE

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La sostenibile leggerezza dell’abitare di Alessandro Marata

VISUAL SCREEN

12 Schermatura innovativa NUOVA SEDE DELLA MODULA, CORRIDONIA, MACERATA Progetto di Mario Montalboddi e Michele De Angelis

14 Monolite dorato a Milano NUOVO CENTRO DIREZIONALE DELLA FIERA, MILANO Progetto di Studio 5+1 AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo con Jean Baptiste Pietri Architectes

16 Deutsche Bank è più verde DEUTSCHE BANK , FRANCOFORTE Progetto di Mario Bellini

18 Nuovo giardino per il MAXXI “WHATAMI”, ROMA Progetto di Studio stARTT

20 Centro sociale Noivoiloro CENTRO SOCIALE, ERBA Progetto di If Design di Franco Tagliabue Volontè e Ida Origgi

22 Il parco affacciato sul mare CITY PARK, HONG KONG Progetto di Norman Foster

24 Alberi artificiali a Boston

BOSTON TREEPODS INIATIVE, BOSTON Progetto di Influx Studio

26 Un museo dedicato al ‘900

CONCORSO, A NEW MUSEUM FOR A NEW CITYINFLUX STUDIO, VENEZIA Progetto di Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton


ARCHITETTURA

36 Architettura morfologica GUANGZHOU OPERA HOUSE, GUANGZHOU, CINA Progetto di Studio Architettura Zaha Hadid

50 Geometria = estetica ORANGE CUBE, LIONE, FRANCIA Progetto di Architetti Jakob + MacFarlane Architects

58 Strutture spiraliformi NEWPORT STATION RENOVATION, NEWPORT, GALLES Progetto di Grimshaw & Partners

70 Facciate luminose, facciate mediatiche di Katia Gasparini

74 Strutture trasparenti: evoluzione / ricerca di Maurizio Froli

78 Processi creativi - nuove tecnologie di Alberto Meda

80 Vibrante effetto optical LABORATORIO DI RICERCA, GRONINGEN, OLANDA Progetto di UNStudio

88 Tra luce e natura NUOVA ALA DELL’ART INSTITUTE DI CHICAGO, CHICAGO, STATI UNITI Progetto di Renzo Piano Building Workshop

DA VEDERE

99 Conoscere architettura e design

MUTAZIONI

107 La dialettica costruttiva è il futuro della domotica Intervista a Gabriele Tassoni


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editoriale

LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ABITARE Light Contruction Nel 1995 al MoMa di New York Terence Riley fu il curatore di una bella mostra intitolata Light Construction, una interessante selezione di progetti attraverso i quali richiamava l’attenzione sulle nuove libertà sintattiche e formali che l’impiego di certi materiali e di nuove soluzioni tecnologiche consentivano. Dove volesse arrivare è, del resto, esplicitato nel titolo dell’esposizione. Oggi il dibattito teorico sull’argomento vede due scuole di pensiero contrapposte, anche se nella realtà gli stessi protagonisti della disputa realizzano opere a volte anche molto simili; come è noto, la teoria e la pratica spesso non procedono con la stessa velocità. Alcuni sostengono il fatto che l’architettura lavora a gravità, per cui le attuali tendenze del free form design, che tendono ad annullare la tradizione formale e la logica statico-costruttiva, non hanno ragione di esistere. E ancora sottolineano come la fissità geografica e la pesantezza della materia siano veri e propri nuclei ontologici che costituiscono l’architettura come arte specifica. Questa resistenza alla perdita progressiva della massa in favore di una smaterializzazione dell’architettura e all’utilizzo di soluzioni che, grazie all’innovazione tecnologica, sfidano il buonsenso strutturale e formale è, ovviamente, condivisibile. Ma le ragioni a favore della leggerezza sono in teoria altrettanto condivisibili e, nella pratica, maggiormente sostenibili dal punto di vista ambientale e delle risorse. La richiesta di una sempre maggiore efficienza in termini tecnologici, impiantistici, energetici e di comfort porta inevitabilmente sulla strada della leggerezza. Minor peso significa meno materiale, meno inquinamento, maggiore velocità di costruzione, più sicurezza sul lavoro. I termini light e leggerezza sono così diventati di uso comune all’interno del dibattito architettonico, tecnologico, ambientale e della comunicazione di massa. Eco Favole Socialmente Leggere Da quando il termine light è stato vietato per legge, poiché ingannevole in termini pubblicitari, i creativi di tutto il mondo, uniti, si sono concentrati e hanno identificato altre due parole importanti per veicolare spesso il nulla, invadendo il mercato della comunicazione globale. I termini bio ed eco sono

così tanto utilizzati che verrebbe da suggerirne l’uso inverso: si potrebbe davvero identificare ciò che è nonbio e non-eco. Forse si farebbe prima. All’interno del mercato della sostenibilità, altro termine di cui si abusa di continuo, le parole hanno preso spesso il sopravvento sulla sostanza. Gli ambiti merceologici di questo mercato spaziano, poi, nei settori più vari: dall’alimentare all’abbigliamento, dall’arredamento all’architettura, dall’industria del vizio a quella automobilistica. Dal bioyoghurt alle ecobioalghe, dalle ecopietre alle bioscarpe, biobottiglie, ecoaperitivi, bioecopiatti. Su internet sono stati anche avvistati un incoraggiante ecoreggiseno solare ed uno stupendo ecowater, inteso come tazza per il gabinetto sostenibile del futuro. Sarebbe veramente bello che fossero biodegradabili, ed anche alla svelta, tutti coloro che, in spregio ai comportamenti etici, tanto di moda, a parole, ai nostri giorni, contribuiscono a trasformare la cosiddetta aria fritta in messaggi economically correct. Corretti, però, solamente per loro. HI-RI-LI-TECH. High Right Light Tecnology Forse il termine light potrebbe essere in qualche modo impiegato con correttezza nel campo sia dell’edilizia che in quello dell’architettura. Quale differenza c’è tra edilizia ed architettura? Con l’edilizia si costruisce lo spazio per vivere e lavorare, ma è l’architettura che ci fa stare bene in quegli spazi. L’edilizia è la tecnica del costruire un fabbricato, l’architettura ne è l’arte. È la stessa differenza che possiamo individuare tra il concetto di corretta alimentazione e i valori dell’alta gastronomia, di qualsiasi luogo essa sia: tra nutrirsi e mangiare, tra un panno per coprirsi e indossare capi d’abbigliamento, tra uno scooter per spostarsi ed una motocicletta Ducati. La realtà del mondo? Una stragrande maggioranza di fabbricati e di scooter; una quantità modesta di architetture e motociclette. Lightness Quasi tutte le cose del mondo moderno tendono alla leggerezza. Le automobili, non solo quelle di formula uno, sono meno pesanti possibile, ovviamente in relazione alle loro caratteristiche. Devono pesare meno per andare più veloci, ma soprattutto per consumare meno carburante e quindi produrre un inquinamento minore. Uno dei principali problemi delle automobili a

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editoriale propulsione elettrica è costituito dal grande peso degli accumulatori e delle parti metalliche necessarie alla loro collocazione all’interno del veicolo; se ne possono mettere pochi elementi e quindi l’autonomia è limitata. L’industria automobilistica, per risolvere almeno in parte il problema ed ottimizzare i pesi, sta studiando sistemi per integrare le batterie con il telaio. Parallelamente l’innovazione tecnologica continua senza sosta nella sua evoluzione, realizzando batterie sempre più efficienti e quindi, di conseguenza, più leggere. Le biciclette per professionisti hanno come principale requisito la leggerezza e quelle che si sollevano con un dito costano come una motocicletta. Chi di noi, andando a sciare, indosserebbe un pittoresco pesante maglione di lana al posto di una soffice felpa di pile? È più comoda una opprimente giacca a vento cerata da due chili oppure una tuta di goretex da tre etti? Le valigie sono pubblicizzate come piume: meno peso, meno fatica. E sull’aereo si possono trasportare più cose. Il concetto di leggerezza è quindi associato a quelli del risparmio di carburante, benzina o energia muscolare, e della minor fatica, di un componente meccanico o di una persona. In sintesi, maggiore leggerezza equivale a maggiore risparmio di energia e ad un più elevato livello di comfort. Nell’alimentazione il concetto di leggerezza light è associato ad un cibo meno calorico: in questo caso, infatti, meno capacità calorica, quindi, a rigore di logica, meno qualità nutrizionale, equivale ad un cibo migliore perché fa ingrassare meno. Si paga di più per avere meno. Per i fumatori light significa, significava, una sigaretta che fa meno male, più sana! Con questa interpretazione un “piccolo” cannoncino da venti millimetri, a confronto di una grande cannoniera, può essere considerata un’arma light. Pimby In tutto il mondo, con diverse convinzioni ed obbiettivi, e quindi con diverso grado di efficacia, il motore economico dell’ecologia si sta muovendo. È infatti opportuno rimarcare come siano i problemi e le prospettive economiche e il denaro, e non tanto i valori etici, i veri propulsori nella ricerca della sostenibilità. L’uomo sta volgendo alcuni dei suoi pensieri all’ecologia sostenibile solo perché ne è obbligato, non perché sia giusto farlo. Naturalmente ci sono un gran numero di eccezioni, che come si dice, confermano la regola. Una eccezione estesa territorialmente è rappresentata dai paesi nordici, che da sempre hanno un atteggiamento verso la natura più rispettoso ed intelligente. Copenhagen si sta preparando ad essere una delle città più virtuose del mondo e, con il progetto Environmental Metropolis 2015, si prefigge obiettivi molto ambiziosi. Qualche

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esempio? Nel nuovo Teatro Reale di Posa l’energia termica provocata da spettatori e riflettori viene riutilizzata per l’impianto di riscaldamento, mentre con l’acqua di mare si realizza parte del raffrescamento. Il virtuosismo raggiunge poi livelli di complessità e perversione ecologica rimarchevole: alcuni direttori d’albergo acquistano alla Borsa, per conto dei clienti, le azioni che i produttori di energia non pulita, gli “inquinatori”, superando il tetto definito dal protocollo di Kyoto, sono obbligati a comprare per compensare le loro cattive azioni. Poi le buttano via per immobilizzarne l’utilizzo e farne aumentare il valore rendendole meno convenienti per chi inquina. Il discutibile meccanismo dei certificati verdi ancora peggiorato da azioni assurde che hanno come unico obiettivo quello di “pulire le coscienze”. A volte la realtà può superare la fantasia. Ma torniamo a fatti più concreti. Uno degli obbiettivi urbanistici del comune di Copenhagen è quello di rendere raggiungibile a piedi, in meno di quindici minuti, un’area verde, per tutti gli abitanti della città. Un altro obiettivo è quello di rendere disponibile cibo biologico in quantità superiore al novanta per cento; i ristoranti vengono ogni sei mesi certificati Greenkey o Swankey. Anche la birra è caduta nel mondo del bio! Sono state inventate le birre “okologist”. Potenza del mercato bio-economico. È già una realtà che un cittadino su due usi la bicicletta per spostarsi sulle bellissime piste ciclabili, delle vere superstrade con corsie larghe fino a tre metri per ogni senso di marcia. E anche la riduzione delle emissioni di CO2 scese da sette a cinque tonnellate per abitante. Gli edifici della radiotelevisione danese sono abitati quotidianamente da duemila lavoratori i cui uffici sono climatizzati da oltre mille metri quadrati di collettori solari e celle fotovoltaiche, dalle acque sotterranee (ogni anno in estate viene pompato un milione di metri cubi di acqua a sei gradi la cui temperatura, raffreddando gli ambienti, viene elevata a venti gradi per essere conservata e riutilizzata in inverno per riscaldare gli edifici) e dal recupero di calore degli impianti elettrici ed elettronici. L’acqua corrente è ricavata da quella piovana per oltre il settanta per cento. Il grandioso impianto termovalorizzatore di Amagerforbraending converte oltre quattrocentomila tonnellate di rifiuti, ovviamente non riciclabili, all’anno; in questo modo fornisce calore ed elettricità a circa settantamila abitazioni. Certo la situazione non assomiglia a quella italiana; lì la sindrome nimby (not in my backyard) eccellentemente applicata nel nostro paese, è stata sostituita da quella pimby (please in my backyard). Che invidia! di Alessandro Marata



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SCHERMATURA INNOVATIVA

NUOVO RIVESTIMENTO FRANGISOLE REALIZZATO CON LA TECNO - SUPERFICIE DUPONT™ CORIAN® La nuova sede della Modula può vantare un nuovissimo rivestimento frangisole dal design affascinante. Gli architetti Mario Montalboddi e Michele De Angelis hanno progettato per la sede di Corridonia, in provincia di Macerata, un innovativo rivestimento frangisole realizzato con la tecno-superficie DuPont™ Corian®, materiale ad alte prestazioni protagonista mondiale nell’architettura e nel design. Costituito da 266 pannelli di DuPont™ Corian® di colore bianco, il frangisole è una soluzione affascinante in termini estetici e altamente funzionale in termini di schermatura della luce. Il rivestimento frangisole è stato fabbricato dalla stessa Modula, azienda specializzata nella lavorazione di DuPont™ Corian® e tipico caso di eccellenza made in Italy, basato sulla combinazione di orientamento all’innovazione, capacità tecnologiche e flessibilità operativa. Il frangisole della nuova sede di Modula (che accoglie uffici e showroom) attira lo sguardo già da lontano: la disposizione dei pannelli in DuPont™ Corian® gioca sulla decostruttività, creando tagli che si intersecano in maniera dinamica e irregolare. Elementi bianchi lineari dalle geometrie spesso asimmetriche e mai uguali fra loro generano un gioco di pieni e vuoti, di chiari e scuri con gli intervalli lasciati fra loro. Nasce così un rivestimento ricco di tensione e dinamicità emotiva, rafforzato dall’illuminazione scelta per le ore serali e notturne della facciata. Il progetto illuminotecnico esalta la particolare traslucenza della tecno-superficie. Luci colorate che alternano la loro tonalità in maniera ritmata colpiscono la superficie, trasformando l’edificio in un’affascinante presenza 12 ARCHILINE

Nelle foto: esterni della nuova sede di Modula. La superficie è mutevole allo sguardo, mentre la dinamicità è rafforzata dall'illuminazione che la colora in maniera diversa nelle ore serali e notturne

luminosa. La diversità dei 266 pannelli e la lieve inclinazione della superficie di rivestimento hanno reso necessaria una costruzione di supporto ad hoc: una struttura a traliccio metallica grigia che offre le necessarie caratteristiche di semplicità, modularità e sicurezza e si inserisce in maniera armoniosa nel progetto. I 266 pannelli sono stati fissati con viti autofilettanti siliconate a protezione da eventuali rumori e dell’ossidazione dei fori. Gli investimenti continui di DuPont nella ricerca e tecnologia hanno reso la tecno-superficie DuPont™ Corian® uno strumento di design che offre eccezionale versatilità nello sviluppo di soluzioni di alta qualità tecnica ed estetica, affidabili per ambienti residenziali, pubblici e contract, tanto in interni che in esterni. (di Cristiana Zappoli)


Da oltre vent’anni il nostro studio collabora con amministratori e professionisti del territorio. Siamo convinti che solo integrando i diversi saperi professionali si possa realizzare il migliore paesaggio possibile per vivere. La nostra filosofia si fonda quindi sullo spirito di squadra che consente di affrontare e risolvere le situazioni più complesse in ambito estetico-architettonico, impiantistico, agronomico ed eco-paesaggistico. Ogni aspetto della progettazione e della realizzazione viene analizzato nei minimi dettagli per garantire al cliente finale il migliore rapporto tra estetica, funzionalità, bassa manutenzione e convenienza economica dell’opera a verde. Lo Studio Tecnico Paesaggistico offre agli studi professionali di architettura i seguenti servizi: • • • •

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“… il giardino è il luogo di sensazioni ed emozioni, piante e fiori, vitali e mutevoli… interpretare le attese… i desideri, tradurli in realtà…”

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MONOLITE DORATO A MILANO

INAUGURATA LA NUOVA STRUTTURA DIREZIONALE DEL QUARTIERE ESPOSITIVO DELLA FIERA DI MILANO

Due corpi di fabbrica gestibili in modalità autonoma uno dall'altro, un unico complesso compatto e monolitico, 13 piani, un’altezza massima di 54 metri e una superficie lorda di pavimento di 21mila metri quadrati. La Struttura Direzionale del Quartiere Espositivo di Fiera Milano, costruita per le dieci società consociate che compongono il Gruppo Fiera Milano, porta la firma dello studio 5+1 AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo con Jean Baptiste Pietri Architectes. L'edificio è una torre orizzontale stratificata, composta da tre elementi: il basamento, l’elevazione e il coronamento. Il primo strato, il basamento, rialzato rispetto al piano della strada, accoglie e separa i flussi di persone in una successione di spazi tra cui il foyer a tutta altezza. L’elevazione, il secondo strato, è caratterizzata da un taglio orizzontale a doppia altezza che crea una sospensione formata da trasparenze e riflessi ottenuti con 1.700 mattoni di vetro dalla particolare forma piramidale asimmetrica nati dalla collaborazione tra i progettisti e Seves glassblock. Mentre il coronamento consiste in un giardino verticale e in una piattaforma da eliporto. Planimetricamente il complesso si sviluppa lungo l'asse est/ovest, per una lunghezza complessiva di 133 metri, e ha una larghezza di 16,65 metri. Le facciate, proprio perché l’edificio segue la direzione est/ovest, sono diverse tra loro: quella dotata di brise soleil esposta a sud est, e l’altra completamente chiusa e monolitica esposta a nord

Copyright© Ernesta Caviola

Copyright© Ernesta Caviola

A destra: particolare della struttura frangisole esterna realizzata con pannellature color bronzo/oro Sotto: il nuovo centro direzionale, destinato ad ospitare le società del Gruppo Fiera Milano, visto dall’esterno

ovest. L’edificio si sviluppa su dodici piani complessivi, con un interpiano di circa 3,70 metri, così come gli ambienti al piano terra e al quinto dove sono collocate le sale per le conferenze. Quest’ultimo piano è quello destinato a ospitare le sale riunioni private, non a caso in copertura è stata realizzata una elisuperficie circolare del diametro di 25 metri per l’atterraggio di elicotteri di grandi dimensioni, e un giardino pensato per dare maggiore comfort climatico all'intero edificio. La struttura portante, di tipo misto, è stata realizzata con elementi di acciaio PLANIMETRIA GENERALE


composti e bullonati in opera e solai prefabbricati alveolari mentre i corpi scala sono stati tutti costruiti in calcestruzzo armato. Sul fronte della sostenibilità ambientale, le soluzioni adottate hanno non solo lo scopo di ridurre i consumi d’acqua ed energia, impiegando al massimo le fonti rinnovabili - difatti l’edificio rientra in classe energetica A - ma anche di migliorare le condizioni di benessere dal punto di vista termico, acustico e visivo. La scelta di creare un unico organismo articolato in due edifici separati permette di raggiungere in maniera soddisfacente tutti gli obiettivi richiesti dal bando in termini d’efficienza distributiva, gestionale e anche energetica. È sulle facciate che è stato fatto uno studio più approfondito. Il sistema è stato realizzato secondo tre tipologie costruttive: quella a facciata vetrata continua, con specchiature di colore grigio, che è protetta esternamente da brise soleil a struttura metallica con lame in vetro stratificato e temperato di colore oro o con lastre di rete metallica dorata. Questo sistema prevede anche una passerella di camminamento esterna, interposta tra la facciata e il sistema di frangisole, per la pulizia e la manutenzione. L’altra facciata è quella a vetrata continua a moduli orizzontali e specchiature, in parte di colore oro ed in parte in vetro stratificato con rete metallica interposta. È protetta dall’irraggiamento solare, solo dove è necessario, attraverso l’installazione di un sistema di oscuramento posto esternamente. Il terzo tipo è una facciata ventilata in fibrocemento con pannelli piani e serramenti in alluminio. La soluzione tecnologica prevista per le facciate dell'edificio consente un buon illuminamento naturale medio degli ambienti durante l'arco del giorno, anche nei mesi invernali, con considerevoli vantaggi sul benessere psico-fisico dei fruitori. L’utilizzo di vetrate con un buon indice di resa del colore concorrono alla buona percezione visiva globale all’interno degli ambienti adibiti a uffici. E quando le condizioni dell'aria esterna lo consentono è possibile utilizzare direttamente la ventilazione naturale, aprendo i serramenti interni, poiché dei sensori provvedono a disattivare gli impianti interni di climatizzazione, consentendo un considerevole risparmio energetico e permettendo alle persone di "vivere" il clima esterno, situazione che garantisce un’elevata percezione di benessere. Dal punto di vista cromatico, le architetture sono definite dal colore dell’oro: la facciata ovest è totalmente rivestita di lastre dorate scelte proprio perché la tonalità rimanderà la luce naturale, mentre i frangisole, che si diradano procedendo da sud a nord, alternano trasparenze e opacità, specchiature e semitrasparenze che rivestono la struttura con le variazioni della luce solare, percepibili in particolar modo all’alba e al tramonto con la luce radente. Il Centro Direzionale del Quartiere Espositivo di Fiera Milano è una lama monolitica formata da due corpi e corredata anche di spazi esterni movimentati da rampe, scalinate e piani inclinati che costituiscono il basamento su cui poggia l’intera struttura. Non solo il basamento ma anche il foyer è di marmo del tipo “Nero Michelangelo” ed è ad esso che si innestano le scale bianche, rifinite in travertino. Gli spazi esterni trattati prevalentemente a verde sono anche illuminati da un sistema a grappolo che differenzia i percorsi pedonali da quelli automobilistici. (di Gianfranco Virardi)


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DEUTSCHE BANK È PIÙ VERDE

ECOLOGICA, TRASPARENTE E FUNZIONALE. MARIO BELLINI TRASFORMA LA SEDE DELLA BANCA TEDESCA La Deutsche Bank ha un nuovo quartier generale nella sua sede storica di Francoforte. A firmarlo è l’architetto milanese Mario Bellini che ha radicalmente rinnovato e trasformato le due torri dopo aver vinto, nel dicembre 2006, un concorso internazionale a inviti. «Quando è possibile, ristrutturare invece di ricostruire non è solo una forma di architettura più sostenibile, ma un’occasione intelligente per preservare il tessuto urbano». Spiega Bellini stesso. «Come ho già fatto e sto facendo per altri progetti (sia essa la National Gallery of Victoria di Melbourne o il più grande Convention Center in Europa che verrà realizzato a Milano) “ristrutturare” significa non solo interpretare le nuove funzioni, ma anche incarnare nuove aspirazioni. In poche parole significa dare nuova vita». La Deutsche Bank, secondo l’amministratore delegato Josef Ackermann, è «il principale simbolo della città ma anche un preciso punto di riferimento della finanza internazionale». Per Bellini, quindi, si è trattato di affrontare un’ennesima sfida assolutamente complessa, vista la valenza, anche simbolica, del complesso architettonico. Noto in Italia e all’estero come designer e architetto, Mario Bellini ha vinto 8 Compassi d’Oro ed è membro del Moma che nel 1987 gli ha dedicato una mostra monografica e che conta 25 sue opere nella collezione

permanente. Dal 1986 al 1991 è stato direttore di Domus e nel 2004 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la Medaglia d’oro per la diffusione del design e dell’architettura nel mondo. Fra i suoi lavori più importanti: l’Arsoa Headquarters a Yamanashi, in Giappone (1996-1998), il Natuzzi

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A destra: un’immagine dal basso del quartier generale della Deutsche Bank. Un edificio di centomila metri quadri su 35 piani

Sotto: la sfera di 16 metri di diametro per 35 tonnellate, formata da 55 anelli in acciaio intrecciati, che rappresenta simbolicamente la vitalità della banca tedesca

Americas Headquarters, in North Carolina (1996-1998), il Tokyo Design Center a Tokyo (1988-1992), lo Yokohama Business Park, sempre in Giappone (19871991), il Centro Internazionale Congressi ed Esposizioni di Villa Erba a Cernobbio, in provincia di Como (19861990). A metà del 2012 verrà inaugurato il Museo delle Arti Islamiche nell’ambito del complesso monumentale del Louvre a Parigi, realizzato da lui e nel 2001 ha vinto il concorso per il nuovo Centro Culturale di Torino, ora in attesa di apertura del cantiere. Nel 2009 ha vinto il concorso per la riqualificazione del complesso monumentale della Pinacoteca di Brera, il completamento dell’intervento è previsto per il 2015. Il progetto di Bellini per la Deutsche Bank è all’insegna della funzionalità e dell’essenzialità, dove non è il lusso ad essere protagonista bensì la bellezza. E dove l’egualitarismo trionfa: tutto con pochissime differenze di status (ad eccezione dei piani del consiglio di amministrazione, che dovevano essere necessariamente di rappresentanza), a cominciare dalle sedie, disegnate da Bellini per Vitra, uguali per tutti ed ergonomiche. Le due torri, da sempre landmark di Francoforte e della finanza mondiale, sono diventate ora una nuova icona di architettura contemporanea. Una sorta di piccola città alla quale si accede attraversando un grande por-


tale, che ricorda un po’ le storiche porte urbane. «Le torri – conferma l’architetto Mario Bellini - sono da sempre un punto di riferimento per il centro finanziario di Francoforte e sono parte integrante dello skyline della città. Questa è stata una sfida enorme per noi architetti, che abbiamo dovuto dare alla banca un edificio radicalmente nuovo modificando il meno possibile la sua immagine esterna». Una volta entrati ci si trova subito in una vasta hall, che, proprio come una piazza, è un luogo-chiave, grande e luminoso, alto 22 metri, penetrato in continuità dalle torri visibili attraverso un soffitto trasparente di 18 metri di diametro. Le torri, per di più, sono connesse tra loro grazie alla magia di una sfera di 16 metri formata da 55 anelli di acciaio, che sovrasta la piazza e che si attraversa camminando lungo due ponti. «L’interno del foyer - prosegue Bellini - si può vedere dall’esterno dell’edificio: la sfera, i ponti, la parte inferiore delle torri. Questa nuova piazza-foyer è diventata una parte delle torri, così come il foyer è diventato una parte della città. Siamo riusciti a collegare città e torri. L’ingresso effettivo è ora cinque volte le dimensioni originarie con un portale trasparente che misura 14 metri in altezza. Entrando nell’edificio i visitatori possono vedere una sorprendente sfera sospesa che collega le due torri che si innalzano attraverso un soffitto rotondo di vetro del diametro di 18 metri. Per me questo è il cuore del nostro progetto». Una sfida artistica, e di ingegneria, destinata a diventare il nuovo simbolo dinamico della Deutsche Bank. Una banca che ha ottenuto le massime certificazioni per quanto riguarda il risparmio energetico e il rispetto dell’ambiente: LEED platinum (americana) e DGNB Gold (tedesca). Grazie ad un investimento di 200 milioni e ad una serie di soluzioni tecnologiche di grande impatto ambientale, le due torri (chiamate dai francofortesi Debito e Credito) sono diventate assolutamente “verdi”. Il 98% del materiale rimosso è stato riciclato, e il nuovo edificio ha portato ad una riduzione del 90% di emissioni CO2, un risparmio energetico per riscaldare di quasi il 70% e per l’energia elettrica di oltre il 50%. I vetri esterni si aprono automaticamente quando la temperatura supera i 20° per assicurare il massimo comfort ai quasi 3000 dipendenti. L’edificio comprende un Art Cafè che ospiterà le opere d’arte di proprietà della banca (tra gli artisti: Tobias Reherberg, Neo Rauch, Cai Guo-Qiang, Wangechi Mutu, Zohra Bensemra, Paola Pivi e Adrian Paci) e gli spazi comuni di ogni piano sono studiati per essere una sorta di piccole pinacoteche dove vengono esposti i lavori dei migliori esponenti emergenti dell’arte contemporanea mondiale. Questo è un successo che trasforma la sede della Deutsche Bank in un modello esemplare di architettura. «La sfera con i due ponti che l’attraversano, come un’installazione d’arte, sono il nuovo centro dell’intero complesso», spiega Bellini. «Rappresentano un flusso infinito di energia, proprio come in una galassia varie forze ruotano attorno ad un centro. Questa è una metafora per descrivere la Deutsche Bank di oggi: nulla è statico, nulla è simmetrico: tutto esprime dinamismo». (di Cristiana Zappoli)


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NUOVO GIARDINO PER IL MAXXI

UN ARCIPELAGO IMMAGINARIO DI COLLINE ARTIFICIALI NELLA GRANDE PIAZZA DEL MUSEO ROMANO Alla prima edizione del concorso YAP Maxxi, il concorso intitolato Young Architects Program, svoltosi nel museo romano, è stato annunciato come vincitore lo studio stARTT. A scegliere il progetto sono state due giurie formate da rappresentanti del MoMA e del MAXXI, che in un primo momento hanno selezionato una rosa di cinque finalisti per ciascun museo, per poi premiare lo studio stARTT a Roma, mentre a New York lo studio di Brooklyn Interboro Partners ha vinto con il progetto Holding Patterns. Entrambi i progetti saranno realizzati e inaugurati a giugno 2011, insieme ad una mostra dedicata a tutti i progetti finalisti. YAP (Young Architects Program) è rivolto a giovani progettisti (neolaureati, architetti, designer e artisti). È un’opportunità per realizzare uno spazio temporaneo, per eventi live estivi, nel cortile del MoMA a New York e nella piazza del MAXXI a Roma. Il concorso richiedeva progetti innovativi che tenessero conto dei temi ambientali quali sostenibilità e riciclo. Il progetto italiano parte da una suggestione: un arcipelago verde di isole mobili che si dispongono liberamente nella piazza del MAXXI a seconda delle necessità e degli usi. E lo studio stARTT lo ha chiamato WHATAMI, termine che nasce, come lo stesso studio ha dichiarato, dalla corruzione di “What am I”, declinazione industriale del primo puzzle inventato nel ‘700 a scopo ludico-didattico da John Spilsbury, che si smontava lungo i confini geografici delle terre emerse e delle catene

In questa pagina: alcune foto del progetto “Whatami”, vincitore della prima edizione di YAP Maxxi. Un arcipelago verde di isole mobili, creeranno un’area verde sul playground costituito dalla piazza del museo

montuose. Un gioco compositivo che è anche un omaggio alle mappe geografiche di Alighiero Boetti, l’artista italiano contemporaneo a cui è dedicato il piazzale del MAXXI. La collina è stata pensata per risolvere la gradonata presente nella piazza del museo e poterla così trasformare in un luogo destinato al relax e alla sosta, fatto di superfici morbide e continue. Su di essa sono stati posizionati dei papaveri, che hanno doppia funzione, quella di garantire l’ombra durante il giorno e l’illuminazione nelle ore notturne. Il risultato è un paesaggio onirico fatto di linee geografiche che galleggiano su un mare solido di cemento bianco e che sostengono i grandi fiori artificiali. L’allestimento prevede un doppio processo di riciclo: gli elementi naturali che comporranno la completa realizzazione temporanea torneranno alle loro sedi d’origine (paglia, acqua, prato), mentre gli elementi ad alto contenuto tecnologico sono stati progettati per essere ricollocati in altri luoghi della città come strutture di arredo fisso. Questi luoghi prescelti rientrano nelle zone della città che ne abbiano bisogno, come i parchi limitrofi delle disagiate periferie romane. (di Mercedes Caleffi)



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CENTRO CIVICO NOIVOILORO

A ERBA UN POLIEDRICO CENTRO SOCIALE, CON RISTORANTE, TEATRO E UNO SPAZIO PER GRANDI FESTE Noivoiloro, ad Erba, è una onlus per la cura dei disabili ma anche un vero e proprio centro sociale in cui si svolgono diverse attività: dall’assistenza alle attività lavorative alle feste all’aperto. Comprende residenze temporanee e uffici di riabilitazione al lavoro, uffici grafici, un bar/ristorante, un teatro. È il più importante centro sociale del comprensorio. A causa dell’assenza di finanziamenti pubblici, l’80% del lavoro è organizzato per sostenere il 20% delle attività che sono quelle per cui Noivoiloro esiste: cioè l’assistenza sociale. La costruzione è stata pensata a lotti distinti per un totale di circa 2.600mq complessivi, con una grande flessibilità programmatica e come una sorta di patchwork con differenti materiali, in funzione dei contributi di aziende amiche che hanno fornito i prodotti per la costruzione. Nel 2003, anno europeo delle persone con disabilità, l’Amministrazione Comunale di Erba ha concesso a Noivoiloro, in diritto di superficie, un terreno di circa 10.000 mq. I lavori di costruzione del nuovo centro si sono conclusi nel 2010 e il progetto è stato studiato dallo studio milanese If Design, di Franco Tagliabue Volontè e Ida Origgi, ed è candidato per il Premio Mies van De Rohe 2011. Il centro si trova in un contesto difficile, a vocazione prevalentemente industriale, che si affaccia su una “strip del loisir” con nuove funzioni urbane. Il terreno di scavo è mantenuto nell’area e la sua modificazione diventa fondativa per il progetto, disegnando due grandi spazi aperti per le feste estive e diventando dune verdi come barriere acu-

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Nelle foto: alcuni esterni del centro sociale di Erba. La copertura produce una piega che si ripete in tutti gli edifici: in ogni parte assume differenti significati e differenti misure

stiche e visive per nascondere le industrie circostanti e ospitando gente durante i concerti. Intorno a queste dune si collocano gli edifici che sono condizionati dalla loro posizione. Le corti influenzano gli edifici, tanto da non renderli necessari, permettendo la “visione completa” anche durante le fasi di costruzione e prima delle addizioni future. Gli edifici hanno grande complessità programmatica, in equilibrio tra il concetto di privacy e di comunità. Ogni singola struttura ha una forma primaria compiuta. Allo stesso tempo esiste un comune denomina-


IMPIANTI FOTOVOLTAICI Chiavi in Mano

SEZIONE LONGITUDINALE B-B

SEZIONE LONGITUDINALE A-A

tore, una sorta di DNA che restituisce l’idea di familiarità tra le parti. La copertura produce una piega che si ripete in tutti gli edifici: in ogni parte assume differenti significati e differenti misure. Così, nel teatro è la rottura del suono per forma, nel ristorante rettifica la differenza di livello del pavimento, in altre parti restituisce il carattere domestico delle residenze temporanee per diventare alla fine la forma tradizionale degli shed dei laboratori. Il masterplan si sviluppa su tre giaciture planimetriche che si deformano nella terza dimensione. Nel tetto del teatro ogni linea di colmo e conversa è differente e non ortogonale, né in pianta, né nella terza dimensione, eccetto che per quella di mezzo. Il palcoscenico apre tre volte, una all’interno e due verso lo spazio aperto. Nella parte che si affaccia alla pista da ballo, l’edificio - sotto la facciata ventilata in vetro retro smaltato, come in alcuni edifici del Rinascimento - ospita una lunga panca scavata nel volume di facciata, per la seduta delle “dame” in attesa dell’invito dei “cavalieri” al ballo liscio, come nella tradizione delle feste di questo tipo di ballo. In questo gioco tra nascondersi ed apparire, l’interfaccia con la “strip del divertimento” sulla strada principale, è un’immagine che produce relazioni mutevoli. Appare e scompare con il riflesso della luce sulla parete di UGLAS nelle differenti ore del giorno. Si genera in relazione al movimento delle automobili che corrono sulla strada. La grande scritta si muove nelle viste trasversali, frontalmente sompare. Cambia colore (rosso-su-bianco, bianco-surosso) dipendentemente dal senso di marcia. Nella notte non esiste, ma le luci delle automobili abbagliano i giunti catarifrangenti, facendola apparire come un lampo nel buio.

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IL PARCO AFFACCIATO SUL MARE Lo studio Foster + Partners è stato selezionato, a seguito di un concorso internazionale con consultazione pubblica, per la progettazione del masterplan di City Park. Quaranta ettari destinati principalmente alla cultura e alle arti musicali, sceniche e visive, con spazi pubblici pensati per la cultura cinese. È lo stesso Foster a dire: “City Park farà da catalizzatore per la trasformazione della città sia a livello locale che regionale, perché il nostro progetto è radicato nella città di Hong Kong”. L’operato dello studio Foster+ Partners è incentrato sulla tecnologia, e non solo per ciò che concerne l’aspetto strutturale ma anche per l’espressività del progetto stesso. Gli interessi dello studio Foster+ Partners non sono indirizzati unicamente verso le costruzioni high o low tech. Si muovono anche nel campo dei piani programmatici e strategici, i masterplan, pensati e previsti per controllare e motivare la crescita di una città. Lo studio Foster conosce molto bene la città di Hong Kong e il suo impianto urbano proprio per l'esperienza che negli ultimi 31 anni lavorativi ha maturato in questa città. Il masterplan di City Park, previsto nella punta sud-occidentale della penisola di Kowloon, di fronte al Victoria Harbour, prevede 30.000 metri quadrati di strutture per le arti. Il parco avrà una magnifica vista sul porto e Hong Kong Island, e il suo terreno fittamente piantumato porterà la campagna di Hong Kong fino in città. Vi saranno una serie di terrazze

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Photo Foster + Partners

A HONG KONG NORMAN FOSTER PROGETTERÀ UN GIGANTESCO QUARTIERE CULTURALE

Arte, verde e shopping sono le tre parole chiave della proposta, intitolata "City Park", a firma di Norman Foster

all'aperto e passeggiate che collegheranno gli edifici al lungomare. Il masterplan ovviamente ha un’impostazione sostenibile, avendo previsto per City Park un sistema di infrastrutture a basso consumo, il riciclo delle acque grigie, sistemi di recupero per acque reflue, il riciclaggio, un sistema di rifiuti-energia e la produzione di energia elettrica a basso tenore di carbonio e quella solare ed eolica. La finalità principale di questo ma-


sterplan è quella di assottigliare i confini tra vita, lavoro e gioco, cioè fare in modo che la qualità della vita urbana sostanzialmente migliori tanto da far diventare il nuovo distretto una pietra miliare sulla mappa culturale del mondo. Sono tre i punti salienti di questo mega programma: il Grande Parco, un'oasi di verde e costruito, 23 ettari, di cui 19 destinati unicamente a parco offrirà spazi per eventi informali e mostre temporanee e viste spettacolari sulla baia e su di Hong Kong; the Avenue, la spina centrale con direzione est/ovest che dalla Grande Opera House, ai margini del parco, va al Black Box Torre e Canton Road Plaza Gateway. Collega tutti i diversi elementi insieme e sarà caratterizzata da un mix dinamico di luoghi di interesse culturale, negozi, gallerie private, studi di artisti e appartamenti residenziali. All'estremità occidentale del viale, un ponte, Austin Bridge, condurrà al centro commerciale e alla metro di Kowloon, mentre all'estremità orientale, si collega direttamente alla stazione ferroviaria. Al centro del viale, Xiqu Plaza è stata pensata come il fulcro del quartiere. È su questa piazza che affaccerà il Teatro Cinese, con il suo ampio tetto sporgente, sotto al quale sono stati previsti ristoranti e caffetterie. Accanto alla Grande Opera House è prevista la Scuola d'Arte con al livello superiore una scuola di musica e sui livelli più bassi il teatro. La Sala Concerto invece si caratterizzerà per la sua terrazza pubblica rialzata che offrirà al pubblico la possibilità di godere di spettacoli aventi come sfondo la stessa Hong Kong. Il Knowledge Centre, una biblioteca del 21° secolo, sarà un importante centro per l'apprendimento e la letteratura che offrirà ai visitatori e alla comunità locale un luogo dove studiare, incontrarsi e trascorrere il tempo libero. All’interno vi saranno anche sale computer con wi-fi e mostre riguardanti la storia, la letteratura e la cultura locale. Ma il centro nevralgico per l’arte moderna sarà M+, il Museo accessibile dall’Avenue e costruito a pochi passi dal Kowloon Park Bridge. L’edificio avrà all’interno due cortili dedicati alla scultura e avrà spazi espositivi flessibili, compresi gli spazi per installazioni di grandi dimensioni, e sarà corredato anche di funzioni aggiuntive, quali aule, un archivio per la pittura cinese e aule per l'arte e la conservazione. Sul tetto giardino vi sarà realizzato un ristorante. La Plaza Canton Road e la Torre di Black Box fanno da testata all’Avenue nella sua estremità orientale. La torre ospiterà un negozio di libri aperto 24 ore su 24 al livello inferiore e ai piani superiori altri tre teatri. Il piano prevede anche una rete di collegamenti impostata per incentivare l’integrazione tra il nuovo distretto City Park, la città di Hong Kong e il resto della Cina. Sono previsti anche terminali per traghetti pensati per collegare l’est della Cina e una stazione ferroviaria. Non mancheranno le piccole reti di collegamento interno: una flotta di minibus e un sistema di trasporto automatico collegheranno tutti gli edifici più importanti, mantenendo al minimo le distanze a piedi. Ovviamente il piano sarà realizzato in più fasi, la prima è prevista nel 2015. (di Gianfranco Virardi)


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ALBERI ARTIFICIALI A BOSTON

PROGETTATI DA INFLUX STUDIO SONO “MICRO-INFRASTRUTTURE PER LA PURIFICAZIONE DELL’ARIA”

Il progetto Boston TREEPODS Iniative punta a riprodurre, e migliorare artificialmente, la caratteristica biologica più importante degli alberi: la loro capacità di purificare l’aria, assorbendo CO2 e rilasciando ossigeno. È condotto dall’atelier parigino Influx Studio e dall’organizzazione ecologica SHIFTBoston, con l’obiettivo di rispondere alle ambizioni in materia di sviluppo sostenibile della città di Boston, in particolare per la riduzione delle emissioni di gasserra. Influx Studio è stato fondato da Mario Cáceres, architetto e urbanista cileno, e Christian Canonico, archi-

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Sopra e sotto: foto dei Treepods, gli alberi artificiali il cui sistema di ramificazioni e la posizione dei bulbi si ispira alle strutture bronchiali e alveolari dei polmoni

tetto e ingegnere italiano. Dal 2008 il loro lavoro è focalizzato sulla ricerca in una vasta gamma di settori: dall'architettura al paesaggio, dall’urbanistica alla progettazione industriale. La ricerca di Influx Studio implica la creazione di strategie di design innovativo e ibrido, sviluppate da nuove condizioni culturali e dalla fusione di diversi aspetti dell'ambiente umano. Con una particolare attenzione per le questioni riguardanti la sostenibilità, il lavoro di Influx Studio è indirizzato ad una nuova società transculturale, e in realtà è basata essenzialmente nelle competizioni internazionali, come un modo per garantire il flusso libero delle idee, e permettendo l'emergere di un nuovo tipo di realtà progettata. TREEPODS non si impone come la soluzione per risolvere i problemi di riscaldamento globale che non hanno altra soluzione che un paradigmatico cambiamento del nostro stile di vita e dell’economia mondiale. Si propone, in maniera più realistica, come mezzo per alleviare i danni della nostra cattiva condotta, in attesa di una seria presa di coscienza che faccia passare da questa economia «fossile» all’economia del rinnovabile. I TREEPODS sono macchine a elevato contenuto tecnologico che lo staff di Influx Studio definisce come “micro-infrastrutture per la purificazione dell’aria”. In alcun modo bisogna considerare i TREEPODS come concorrenti dei veri alberi, che hanno caratteristiche estetiche e biologiche ineguagliabili e insostituibili. Sono piuttosto un aiuto che si vuole fornire alla natura, là dove l’uomo ha compromesso le condizioni per un suo sano sviluppo: cementificazione, impermeabilizzazione del suolo, occultamento della luce ad opera del denso tessuto costruito, inquinamento atmosferico. Attualmente sono disponibili diverse tecnologie per la cattura di CO2, ma tra di esse la più innovativa ed efficace è quella ideata dal dottor Klaus Lackner, direttore del centro per le energie sostenibili della Columbia University, che ha messo a punto un processo rivoluzionario chiamato “humidity swing”. Il principio di funzionamento del dottor Lackner potrebbe riassumersi in tre tappe: gli alveoli sono imbevuti di una resina che reagisce con l’aria as-


sorbendone il carbonio e lasciando libero l’ossigeno; poi, una volta che la resina è giunta a saturazione, gli alveoli vengono inondati d’acqua con lo scopo di dissolvere la resina indurita e la trasportano sotto forma di soluzione liquida alla base; qui, infine, il carbonio viene separato e la resina “lavata” è pronta per essere re-iniettata negli alveoli per ricominciare un nuovo ciclo. TREEPOD è stato concepito secondo i principi della biomimetica, ossia ispirandosi alle forme naturali e ai processi biologici, come modelli di perfezionamento delle tecnologie umane. La forma dei TREEPODS si ispira a quella della Dracaena Cinnabari (nota come Drangonblood Tree) che minimizza la resistenza al vento (permettendo all’aria di scorrere tra i suoi rami compatti e spogli nella parte bassa) e ottimizza la captazione di luce solare con una chioma che è concentrata nella parte alta in forma d’ombrellone. Questa conformazione risponde bene ai bisogni di funzionamento del TREEPOD: la libera circolazione dell’aria tra i bulbi di scambio gassoso e la presenza di una protezione superiore, che possa nel contempo integrare i pannelli solari. Il sistema di ramificazioni e la posizione dei bulbi si ispira alle strutture bronchiali e alveolari dei polmoni, i dispositivi di scambio gassoso per eccellenza. L’intenzione è quella di realizzare i rami dei TREEPODS con del materiale riciclato e riciclabile. Si sta esplorando la possibilità di impiegare il polietilentereftalato (PET), il costituente delle comuni bottiglie in plastica. Questo presenta molteplici vantaggi: è disponibile in grandi quantità come materia prima riciclata, può assumere diverse colorazioni e diversi gradi di opacità o trasparenza, può essere facilmente formato per ottenere pezzi dalle forme complesse e, infine, ha delle eccellenti proprietà meccaniche. È tuttavia necessaria la messa a punto di soluzioni per ridurre gli effetti degli UV che porterebbero ad un degrado accelerato. Influx Studio ha in mente la creazione di una rete di TREEPODS diffusa su tutta la città di Boston, con installazioni mirate in quei punti in cui gli alberi naturali avrebbero difficoltà a vivere. Per esempio, la grande arteria autostradale che attraversava la città è stata recentemente interrata per lasciare spazio ad un lungo parco, una “spina verde”: in questo caso lo scarso spessore di terra riportata è insufficiente alla crescita d’alberi ad alto fusto e i TREEPODS potrebbero integrarsi con la vegetazione bassa e l’arredo del parco. Grazie alla loro modularità, basata sulla pianta esagonale, i TREEPODS possono essere assemblati per formare spazi coperti più o meno estesi. Si tratta di spazi flessibili, di cui appropriarsi e da vivere. I TREEPODS avranno un ruolo sociale nella comunità cittadina, offrendo dei punti di incontro e di gioco completamente inediti. Alla base saranno integrati dei dispositivi per giocare (altalene) o per fare sport (cyclettes); questi permetteranno di recuperare l’energia cinetica dei fruitori per farli cosi partecipare in maniera diretta (sebbene simbolica) alla causa ecologica. (di Cristiana Zappoli)

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UN MUSEO DEDICATO AL ‘900

SAUERBRUCH E HUTTON PROGETTERANNO UN NUOVO POLO CULTURALE NEL CUORE DI VENEZIA A sinistra: l’architetto tedesco Matthias Sauerbruch. Con il suo studio ha vinto il concorso, A New Museum for a New City, organizzato dalla Fondazione di Venezia per costruire il nuovo museo M9. Nelle altre foto: alcuni particolari del progetto

La Fondazione di Venezia, per la costruzione del nuovo museo M9, ha invitato al concorso internazionale, A New Museum for a New City, solo sei studi d’architettura: Massimo Carmassi (Italia), David Chipperfield Architects (Gran Bretagna/Italia), Pierre-Louis Faloci (Francia), Luis Mansilla e Emilio Tuñón (Spagna), Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton (Germania), Eduardo Souto de Moura (Portogallo). Sei grandi nomi chiamati a progettare il nuovo polo culturale che sorgerà nel cuore di Venezia-Mestre. I sei gruppi sono stati invitati a riflettere su un nuovo contenitore che, oltre a doversi relazionare e integrare con un edificio storico, dovrà anche adeguarsi a tre distinte funzioni: quella museale, quella commerciale (che sarà ospitata nel corpo preesistente) e quella terziaria. L’M9 dovrà rispondere a un’esigenza e a un’aspirazione da anni condivisa dai cittadini delle quattro municipalità della terraferma veneziana: avere uno spazio museale e un centro di produzione culturale in linea con le più innovative esperienze europee. La struttura ospiterà il Museo del ’900, dedicato alle grandi trasformazioni sociali, economiche, urbanistiche, ambientali e culturali occorse nel XX secolo e sarà anche luogo di apprendimento e di confronto per le idee e gli stimoli ricevuti dalle esposizioni interattive, gli allestimenti multisensoriali, le conferenze e i convegni. Vi sarà uno spazio espositivo per mostre temporanee e servizi didattici e formativi dedicati ai settori emergenti dell’economia e della creatività come la foto-

grafia, l’architettura e il design, la grafica, il cinema, la comunicazione e la pubblicità. Sono anche previsti una mediateca del ’900 in cui sarà possibile consultare archivi fotografici, audiovisivi e radiofonici in formato elettronico e un auditorium per organizzare convegni e conferenze. Le diverse risposte progettuali sono state tutte esposte, nei mesi scorsi, come evento collaterale, alla Mostra Internazionale d’Architettura - la Biennale di Venezia. E lo scorso agosto la commissione ha scelto il vincitore. Ad essere premiato è stato il gruppo tedesco Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton. Il loro progetto propone un edificio che integra la propria volumetria con l’impianto urbano di Mestre e rivitalizza il centro storico. Al fine di creare una connessione pedonale tra piazza Ferretto e via Cappuccina coinvolgendo l’ex caserma, il progetto prefigura uno spazio detto “piazzetta del museo”


ed un passaggio trasversale che invita i visitatori ad attraversare l’intero complesso. Da questa prima decisione dipendono le scelte progettuali successive e in particolare quella di dividere il lotto, secondo la diagonale, in due parti triangolari di dimensioni diverse. Il triangolo maggiore, su via Brenta Vecchia, accoglierà l’edificio del museo, mentre l’altro corpo di fabbrica, il più piccolo, occuperà la porzione dell’area su via Pascoli. Il progetto configura la ristrutturazione dell’ex caserma come spazi dedicati al commercio. L’intero complesso rivitalizzerà anche l’area attraversata da calle Legrenzi e il passaggio esistente al piano terra sarà allargato, secondo un angolo aperto, verso la “piazzetta del museo”. Pertanto l’attenzione dei visitatori che si avvicineranno a piedi al museo sarà catturata dai volumi diagonali dei due nuovi corpi di fabbrica. Al primo e al secondo piano le aree espositive sono concepite come flessibili “scatole nere” di circa 1.150 mq ciascuno. Tutti i livelli espositivi sono progettati a partire da una griglia di 9x12 m e qualora si optasse per una configurazione “classica” la galleria sarebbe formata da ambienti di 6x9 m con una superficie di 54 mq, nel caso dei moduli più piccoli. Grazie a questo sistema tutti i piani del museo possono essere configurati come un’infilata di “gabinetti”, oppure come un unico spazio continuo. Al secondo piano è stato progettato un unico ambiente, illuminato da ampi lucernari, in cui esporre le informazioni relative alle mostre temporanee che si terranno all’ultimo piano, il terzo, l’unico che riceverà dalla copertura a sheds un’illuminazione naturale e filtrata dai singoli elementi appositamente rivolti a nord. A differenza di quanto avviene nei piani destinati all’esposizione permanente, da questo piano sarà possibile, attraverso le ampie aperture vetrate, godere di un nuovo panorama sulla città vecchia. L’edificio esternamente sarà riconoscibile per il suo rivestimento in ceramica policroma il cui accordo cromatico, che recepisce e interpreta le modulazioni di colore dell’ambiente circostante, sarà il segno che caratterizzerà il nuovo museo. L’aspetto del museo mira a interpretare l’eredità artistica del XX secolo e condivide con il Futurismo italiano la fascinazione per il movimento e la velocità. Mentre con l’arte (e l’architettura) moderna condivide l’uso mirato del colore come mezzo di percezione spaziale. Appartiene invece al XXI secolo la consapevolezza del valore della “continuità sostenibile” che il progetto interpreta in particolare con la sua concezione urbanistica. (di Cristiana Zappoli)


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TEKNOSOUND

La ditta opera dal 1984 a Torino e dal 1998 anche in Emilia e precisamente a Cento. È specializzata nel settore delle rifiniture d'interni ed esterni. Eseguiamo controsoffittature in cartongesso e metalliche, soffitti tesi, pareti in cartongesso, mobili ed attrezzate. Siamo specializzati in isolamenti termici a cappotto, decorazioni interne ed esterne e recuperi di pregio, stucchi veneziani e velature. Eseguiamo strutture antincendio e protezioni acustiche secondo le nuove norme vigenti. Alcune nostre referenze: Galleria d’arte moderna Torino, palazzo dei congressi Stresa (VB), Casinò de la Vallée Saint Vincent (AO).

sala riunioni CNA di Bologna

AIELLO SILVANO - FALEGNAME

La ditta di Falegnameria di Silvano Aiello si occupa da molti anni della produzione di arredo per la casa creando mobili su misura, in grado di trasformare gli interni in ambienti assolutamente personali. Realizza, mettendo al servizio del cliente la propria e esperienza e professionalità, armadi, cabine armadio, librerie, mensole, cucine, arredo bagno, il tutto con infinite possibilità di personalizzazioni a seconda dei gusti e per ottimizzare al meglio gli spazi. Tutti i materiali usati sono biologici, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente che ci circonda. Via G. Turri, 31 - 42100 Reggio Emilia Cell. 345.9243995

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ARCHITETTURA

a cura di Iole Costanzo

Jakob + MacFarlane

Zaha Hadid

UNStudio

Grimshaw & Partners

Renzo Piano



ARCHITETTURA MORFOLOGICA

Photo Christian Richters

GUANGZHOU OPERA HOUSE / Zaha Hadid


Photo Christian Richters


Photo Christian Richters

GUANGZHOU (CINA). In ritardo rispetto al cronoprogramma iniziale che ne prevedeva l’inaugurazione per i Giochi Asiatici del 2010, l’Opera House, progettata da Zaha Hadid a Guangzhou, ha aperto le porte al pubblico. Durante i lavori di costruzione i due edifici, dalla forma levigata, sono stati denominati “le pietre gemelle, the twin boulder” proprio perché devono la loro forma a una poetica suggestione, avuta dall’architetto, rievocante dei sassi di fiume erosi e modellati dall’acqua. Il design dell’Opera House è dunque un’evoluzione del suggestivo gioco che può nascere tra l’architettura e la natura. È l’immagine, rielaborata da programmi di modellazione 3D, di quei piccoli eventi naturali che segnano e plasmano il paesaggio. La morfologia di Guangzhou Opera House è stata influenzata dalla vicinanza di uno dei letti fluviali del Pearl River che scorre a pochi passi, e con cui però la struttura non ha alcuna relazione diretta, bensì un rapporto filtrato e mediato da una fascia di verde di nuova progettazione e soprattutto da un asse stradale a scorrimento veloce. Guangzhou è una città, conosciuta con il nome di Canton, dalla vocazione commerciale e industriale. È il più importante porto cinese per i traffici con l’Occidente, che posto a nord del delta del Zhujiang (Pearl River) è considerato la porta meridionale della Cina. E l’Opera House sembra abbia funzione di getaway, di catalizzatore per Zhujiang New Town, il nuovo quartiere sorto sul lungofiume della città e in cui sono stati realizzate le torri disegnate da Wilkinson Eyre Architects e Arup, il “Children’s Activity Center” costruito già nel 2006 su progetto dello studio inglese Bradley Architects Steffian, e il “Guangdong Museum” di Rocco Yim completato nel 2010. Il complesso Guangzhou Opera House consta di 70mila metri quadrati e di due volumi differenti che hanno funzioni diverse tra loro: il primo corpo, quello di dimensioni più grandi, dotato di 1800 posti a sedere, ospita il Gran Teatro; il secondo edificio, invece, è sede di un auditorium polifunzionale da 400 posti progettato per performance d'arte e concerti. Tutta la struttura è morfologicamente legata al terreno sottostante e tra le linee morbide del sito e le pieghe del piano di calpestio sono stati inseriti la biglietteria e la caffetteria. Separato da loro e dagli accessi presenti in piazza vi è un altro ambiente progettato, sempre tra le pieghe della struttura, per ospitare le attività commerciali, di ricerca e ricreative. Le linee avvolgenti e levigate definiscono tutti gli spazi al-

A sinistra: la superficie “levigata” di uno dei fianchi degli edifici. A destra: tre immagini dell’Opera House vista da angolazioni diverse. Con il calare della sera, all’accensione delle luci interne, la struttura cambia aspetto e rivela la trama sottile su base triangolare che sembra sfidare le leggi della geometria e della gravità ARCHILINE 39


Photo Iwan Baan

In queste foto: alcuni interni dell’Opera House. Sono le tinte chiare, messe a contrasto con la superficie scura del pavimento, a dominare. Sono chiare sia le controsoffittature morbidamente sagomate della sala prova progettata per la danza sia i percorsi che, con andamento a zigzag, collegano tra loro i diversi ambienti

l’esterno e all’interno della Guangzhou Opera House e creano sinuosi percorsi che evocano la forza modellante delle correnti fluviali. Percorsi scavati e lisci che fanno scivolare e penetrare la luce naturale, attraverso il vetro presente nella maglia strutturale, fin negli spazi più interni. I due edifici devono la loro forma a un telaio, una sorta di tela di ragno le cui maglie, dalle diverse direzioni, sembrano sfidare le leggi della geometria e della gravità. Realizzati secondo i principi tecnici e statici delle Grid Shell, cioè secondo una trama sottile su base triangolare in acciaio che crea una superficie discreta a curvatura plurima. Sono rivestiti esternamente da un’altra maglia triangolare, dalle ridotte dimensioni, realizzata o in vetro o in pannelli di malta, pur sempre triangolari, ma di piccole dimensioni. La griglia metallica, grazie ai nodi-incroci che sono stati impostati così da essere somiglianti a giunti di derivazione lavorati singolarmente in officina con antiche e rivisitate tecniche di fonderia, acquisisce morbidezza e capacità di modellazione. La stessa maglia che all’interno, per conseguire corpo e completezza, è stata trattata con il GFRG, il glass fiber reinforced gypsum, una malta di fibro di vetro di colore bianco. Le caratteristiche che Zaha Hadid normalmente richiede ai materiali, appositamente scelti per la loro peculiarità di poter essere portati sempre al limite delle prestazioni, è proprio la flessibilità e la dinamicità che questi assicurano ai suoi spazi. Opera House presenta così una fluida morfologia fatta di compenetrazione e continuità percettiva tale da creare inaspettate connessioni visuali cangianti anche con il solo variare della luce. All’interno la percezione spaziale non varia, le torsioni delle scale e dei balconi accompagnano il pubblico dal piano rivestito di nero granito presente nel foyer all’auditorium, l’asimmetrica sala acustica, tecnologicamente innovativa ed estremamente versatile. Dal punto di vista dell’acustica la sala è stata progettata e curata dalla Harold Marshall Day Acoustics, lo studio che ha sviluppato una serie di strumenti di alta qualità per prevedere il giusto isolamento di pareti, pavimenti, soffitti e finestre. Il programma stima la perdita di trasmissione, mentre con un software che prevede le prestazioni di assorbimento dei sistemi porosi hanno stabilito l’andamento morfologico dei rivestimenti perforati adottati. E in un ambiente acusticamente critico come l’Opera House, il risultato raggiunto è la realizzazione di un’ampia sala adatta sia per l’opera lirica occidentale sia per l’opera cinese.

40 ARCHILINE


Photo Christian Richters


Photo Iwan Baan


Photo Iwan Baan

Le superfici di tamponamento sono realizzate secondo i principi delle Grid Shell: una trama sottile su base triangolare che crea una superficie discreta a curvatura plurima rivestita da un’ulteriore maglia triangolare realizzata o in vetro o in pannelli di materiale opaco. La griglia metallica si sostiene grazie ad alcuni nodi che sono stati lavorati con antiche e rivisitate tecniche di fonderia

CREDITI Studio Architettura Zaha Hadid Cliente The Guangzhou Municipal Office Luogo Zhujiang Xi Road, Zhujiang New Town, Tianhe, Guangzhou, China Area lotto 42,000 m2 Superficie complessiva 73,019 m2 Auditorium Volume 15,000 m3 Piani Sopraterra, 7 livelli; sottoterra, 4 livelli Sala Opera 1800 posti Sala multifunzionale 440 posti Partner locale Guangzhou Pearl River Foreign Investment Architectural Designing Institute Struttura SHTK Pearl River Foreign Investment Architectural Designing Institute Facciate KGE Engineering (Zhuhai, China) Acustica Marshall Day Acoustics Illuminotecnica Beijing Light & View Co.,Ltd Inizio progetto 2003 Fine lavori 2011 ARCHILINE 43


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Photo Virgile Simon Bertrand

Photo Christian Richters


SEZIONE LONGITUDINALE

SPACCATO LONGITUDINALE IN 3D

SEZIONE TRASVERSALE

SPACCATO TRASVERSALE IN 3D

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PLANIMETRIA GENERALE

PIANTA LIVELLO 0.00

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10 8 4 2 3 2 16

1 1

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12 13

14

1. Piazza; 2. Foyer; 3. Sala vip; 4. Auditorium; 5. Palcoscenico; 6. Laboratorio di scena; 7. Ingresso staff; 8. Deposito scene; 9. Cucina; 10. Ristorante; 11. Caffetteria; 12. Biglietteria; 13. Negozio souvenir; 14. Centro ricerche; 15. Sala stampa; 16. Accesso parcheggio

PIANTA LIVELLO +5.00

PIANTA LIVELLO +11.00

3 4 8

6 5

6

5 7

2 7 2

4 3 2 2

2 2

1

1

1

1. Piazza; 2. Foyer; 3. Guardaroba; 4. Auditorium; 5. Vuoto sul palcoscenico; 6. Vuoto sul laboratorio di scena; 7. Sala multifunzionale da 400 posti

1. Auditorium; 2. Area ristoro; 3. Ristorante; 4. Cucina; 5. Vuoto sul palcoscenico; 6. Vuoto sul laboratorio di scena; 7. Vuoto sulla sala multifunzionale; 8. Uffici

PIANTA LIVELLO +16.00

PIANTA LIVELLO +20.50

6

3

2

5

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8

1

1. Auditorium; 2. Ristorante; 3. Sala attori e musicisti; 4. Vuoto sul palcoscenico; 5. Sala prove danza; 6. Sala prove opera; 7. Studio di registrazione; 8. Vuoto sulla sala multifunzionale

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1. Vuoto sul palcoscenico; 2. Vuoto sulla sala prove danza; 3. Vuoto sulla sala prove opera; 4. Vuoto sullo studio di registrazione; 5. Sala prove orchestra; 6. Sala attori e musicisti


Photo Iwan Baan



Photo Iwan Baan


GEOMETRIA = ESTETICA ORANGE CUBE / Jakob + MacFarlane


Tutte le foto Nicolas Borel



LIONE (FRANCIA). Un cubo di colore arancione, come lo stesso nome, Orange Cube, evoca senza mezzi termini. È stato costruito su progetto dello studio parigino Jakob + MacFarlane a Lione, la terza città più grande della Francia. È il quartier generale di una società immobiliare che cura la totale riconversione dell’area portuale dismessa, di cui lo stesso Orange Cube fa parte, in una nuova area residenziale variamente attrezzata e chiamata La Confluence, proprio perché si sviluppa sulla penisola che si genera alla confluenza tra i fiumi Saône e Rodano. Lione, capoluogo della regione Rodano-Alpi, sorge tra questi due importanti fiumi che negli anni sono stati teatro dell’economia portuale e industriale della città. Situazione che, ovviamente, nel tempo ha subìto diversi cambiamenti sia per l’evoluzione economica sia per i progressi ottenuti dai mezzi di trasporto via terra. Oggi questi docks, fatti di capannoni quali la Sucrière, divenuta nel 2003 un famoso centro per l’arte contemporanea, la Dogana, o Les Salins che si trovano proprio accanto a Orange Cube, la Capitaneria, le gru e altri elementi legati al lavoro sul fiume, sono territorio di sperimentazione e ricerca al fine di creare un nuovo paesaggio pensato come legame tra il fiume, la vecchia città e le colline circostanti. L'ambizione di questo progetto, La Confluence, proposto dalla Rhône Saône Développement - il Centro Demaniale per la valorizzazione del Rodano e del Saône - è quello di legare l’aspetto urbanistico alla ricerca architettonica, tecnologica e sostenibile, recuperando un patrimonio industriale dismesso e portando sulle banchine di Lione una migliore qualità della vita fatta di principi architettonici contemporanei, cultura e complementarietà delle attività lavorative. E proprio perché la sostenibilità è uno degli obiettivi da raggiungere, particolare importanza è stata data sia alla gestione del ciclo delle acque, necessaria per assicurare un ri-

sparmio di acqua potabile, sia alla preservazione della biodiversità realizzata adottando un’oculata progettazione degli spazi verdi e privilegiando come modalità di trasporto le biciclette e la pedonalità. Orange Cube, anche se ai margini dell’area La Confluence, rientra nei canoni dei piani presentati. È stato concepito come un semplice volume ortogonale in cui per sottrazione sono stati ricavati dei vuoti che lo studio Jakob + MacFarlane ha pensato come una serie di “perturbazioni” volumetriche di rotazione. Oltre che essere pura ricerca geometrico-formale ed estetica le sottrazioni (“perturbazioni”) rispondono alla necessità di garantire una funzionale illuminazione all’interno dell’edificio e un’adeguata areazione pensata sopratutto per confermare un basso consumo di CO2. Le cosiddette perturbazioni in totale sono tre: una attraversa orizzontalmente il volume (29 x 33m) in corrispondenza del terzo, quarto e quinto piano fino a giungere al cuore di Orange Cube dove si genera la seconda, un vuoto verticale che collega la precedente al terrazzo superiore da cui ammirare il panorama di tutta Lione, la Fourvière e La Confluence. La prima “perturbazione”, di base ellittica, rompe la regolarità statica della struttura portante, i 5 livelli in calcestruzzo poggianti su pilastri, e partendo dall’angolo a nordovest, che si affaccia sul fiume, genera nella profondità del volume un atrio su cui affacciano i corridoi che conducono agli uffici, escamotage che sposta il piano della facciata all'interno e crea una geometria dinamica godibile dal fruitore da diverse posizioni. La terza perturbazione invece è una vera e propria erosione realizzata sull’attacco a terra, proprio sullo spigolo che affianca Les Salins, l’edificio esistente a tre arcate, recentemente riattato a Concert Hall. Un’erosione che diventando atrio, hall d’accesso, amplifica le relazioni tra la nuova struttura, i suoi utenti e il luogo circostante, e genera all’interno nuovi spazi a doppia al-

A sinistra: il prospetto principale dell’Orange Cube, con accanto l’edificio preesistente, Les Salins: una struttura a tre arcate recentemente riattata a Concert Hall

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Le due fotografie riprendono l’interno della “perturbazione” più importante, quella che trasversalmente attraversa la struttura e porta nel cuore dell’edificio, la facciata esterna e con essa l’areazione e l’illuminazione naturale. Questa erosione penetrando si collega alla seconda “perturbazione” pensata per condurre all’interno la luce zenitale proveniente dal solaio di copertura


PLANIMETRIA GENERALE

CREDITI Architetti Jakob + MacFarlane Architects Luogo Porto Quai Rambaud, Lyon, France Cliente Dipartimento per la valorizzazione del Rodano e del Saône Programma Terziario e commerciale Illuminotecnica Alto Ingénierie Acustica Avel Acoustique Strutture RFR GO+ Progettazione 2007 Superficie totale 6,300 mq Cronologia 2005–2011

SEZIONE TRASVERSALE

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PIANTA TERZO PIANO

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PIANTA QUARTO PIANO


A sinistra: uno degli uffici progettati all’interno della struttura. In alto: la terrazza, presente all’ultimo piano, tra le due diverse facciate. Sotto: il prospetto principale visto dall’altra sponda del fiume

tezza appositamente organizzati per ospitare uno show room, avente una lunga parete porosa con 60 "alveoli": rielaborazione tridimensionale della facciata, al cui interno sono stati collocati famosi pezzi di design. Le facciate, che a distanza caratterizzano l’edificio, più delle stesse “perturbazioni”, hanno una doppia pelle: quella interna con gli infissi e quella esterna in pannelli di alluminio, con funzione di brise soleil, perforati secondo dei patterns pixelati che da vicino rievocano l’immagine delle gocce d’acqua su un piano, mentre da lontano finiscono per suscitare un effetto di fluidità che richiama il fiume che vi scorre a pochi passi. L'uso del metallo e del colore, l’arancio, sono citazioni del passato industriale del sito: l’alluminio, infatti, è presente in molti docks e il colore arancio cromaticamente ripropone la tipica vernice al minio adoperata nelle strutture portuali. L'efficienza energetica dell’edificio è garantita anche dall’installazione di una pompa di calore geotermica, con recupero di calore, in grado di fornire il riscaldamento e il raffreddamento, sfruttando la temperatura relativamente costante del fiume. L’ impianto fotovoltaico posizionato sul tetto fornisce, invece, il 10% del fabbisogno di energia elettrica necessaria a tutta la struttura.

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STRUTTURE SPIRALIFORMI

Foto Ken Price

NEWPORT STATION RENOVATION / Grimshaw & Partners


Foto Grimshaw


Foto Ken Price

Sopra: il percorso in quota che collega i due atri. La torre rivestita di alluminio colorato è quella contenente l’ascensore. A sinistra: le scale che conducono dagli atri al ponte di collegamento. I materiali usati per questa leggera struttura sono l’acciaio, l’alluminio e l’ETFE, un polimero usato al posto del vetro

zione di distribuzione sul territorio dei turisti che il nuovo programma amministrativo tenta di incentivare, hanno la stessa impostazione formale e tecnologica. Lo studio Grimshaw & Partners è molto conosciuto nell’United Kingdom. Nel campo delle strutture dei trasporti detiene un buon primato e tra i loro progetti si annovera anche quello della internazionale Stazione Sud di Londra, la “Porta verso l’Europa” pensata per accogliere e smistare le migliaia di viaggiatori provenienti dalla Francia attraverso il Channel Tunnel. Lo studio, rinomato per le soluzioni higth tech e low tech e organizzato con più sedi in tutto il mondo, quali Londra e New York, Sidney, Melbourn, con la stazione di Newport, finanziata dalla Network Rail, ha voluto dotare la città di una nuova gateway, una nuova porta d’ingresso nel Galles, per avviare la città a risorse economiche alternative. Difatti la stazione è stata volutamente completata in concomitanza dell’inizio del Ryder Cup, l’evento più prestigioso del golf, che ha portato il nome della città di Newport in auge e che a sua volta ha trasformato, dal punto di vista mediatico, la nuova stazione, la prima stazione del Galles che si in-

Foto Ken Price

NEWPORT (GALLES). La città di Newport si attrezza di una nuova stazione ferroviaria. L’intervento ha un’area di sedime maggiore di quello occupato dalla vecchia stazione e su progetto dello studio londinese Grimshaw & Partners coinvolge e lega le due diverse parti di città che la precedente stazione aveva invece urbanisticamente diviso. La morfologia dell’intervento nasce da diverse valutazioni: il luogo, i diversi movimenti di flusso e la negazione dell’impostazione ad un unico terminale che l’impianto ferroviario precedente aveva. La nuova struttura, nascendo da una ricerca distributiva e da uno studio sia dei flussi dei treni che degli utenti in transito, si divide letteralmente in due corpi. Due ampie sale-terminali spiraliformi, dalle forme quasi anatomiche, aventi funzioni diverse e collegate tra loro da un percorso in quota rispetto ai binari sottostanti. Il nuovo progetto - fa parte di un masterplan che coinvolge l’intera città di Newport - non potendo annullare la divisione storicizzata della città in un certo senso la conferma e la rinforza con i due corpi volutamente progettati e realizzati ai due lati della fascia dei binari, rispettando le due porzioni di città che si presentano anche con un proprio distinto carattere. Sia il terminale Nord, pensato per rispondere alle esigenze dei cittadini pendolari, che quello Sud, proteso verso la parte commerciale della città e avente fun-

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Foto Ken Price

Foto Grimshaw


contra lungo il tragitto Londra-Cardiff, un’icona della città. Tutta la struttura, compresi i due terminali, le due spirali poste agli estremi, è rivestita di alluminio e di ETFE, l’etilene tetrafluoroetilene, un polimero plastico che per le sue caratteristiche prestazionali sta rivoluzionando l’architettura moderna. Offre, infatti, un’elevata resistenza ad altissime temperature: è trasparente, pesa 99% in meno del vetro ed è autopulente e riciclabile. Ma la caratteristica più affascinante di questo polimero è che appartiene alla famiglia degli auxetici, cioè aventi una struttura molecolare rientrante che a sollecitazione a trazione, e quindi anche alla stessa estrusione, risponde con un rigonfiamento delle stesse fibre e non con il solito assottigliamento. L'uso di un involucro di ETFE sopra una struttura d'acciaio non solo genera uno spazio molto luminoso e aerato ma staticamente richiede una struttura portante molto esile vista la leggerezza del materiale. Una struttura che rievoca una “birdcage”, una gabbia di uccello e che lin-

guisticamente non distingue ciò che è copertura da ciò che è struttura portante, perché la scelta dello studio in questo caso è stata quella di legare il tutto rendendolo omogeneo grazie agli stessi trattamenti materici prescelti e alla rigorosa attenzione posta nei dettagli. I due ambienti sono stati costruiti secondo una struttura a recinto radiale, con funzione di resistere a compressione, su cui scarica la struttura estrusa che supporta l’esile copertura. Il ponte di collegamento, invece, scarica in modo del tutto indipendente sulla struttura portante dell’ascensore, formando con essa una trave reticolare a T su cui si aggancia la connessione che porta alla piattaforma sottostante. La copertura dei diversi collegamenti è sempre in ETFE e alluminio curvato che si aggancia alla struttura reticolare celata dal corrimano. La luminosità presente in questi due spazi è dovuta anche all’“oculus” che è stato progettato nella parte di chiusura delle due superfici che formano i due volumi. Due oculi che strutturalmente, con la

Foto Grimshaw

A sinistra: nelle due foto è possibile scorgere la parte alta della struttura dei due atri posti agli estremi del percorso aereo. Sotto: un particolare esterno della nuova stazione ferroviaria di Newport. L’intera struttura rievoca una “birdcage”, una gabbia di uccello e in quanto tale è impostata così da avere una continuità formale e materica tra ciò che è copertura e ciò che è struttura portante o di tamponamento

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Foto Grimshaw


CONCEPT

Il design della stazione è stato concepito pensando ai movimenti che i possibili fruitori possono fare, considerando anche il fatto che sarà la stessa stazione l’elemento di ricucitura tra le due diverse parti in cui è divisa la città. La forma a spirale dell’intera struttura rispecchia i movimenti che vengono intrapresi all’interno della stazione ed è stata pensata appositamente per guidare istintivamente i passeggeri dal piano terra fino al ponte di collegamento e di nuovo giù sulle banchine. C’è poca distinzione fra l’edificio e il ponte, entrambi offrono ai passeggeri un percorso continuo tra l’atrio e la banchina. La fluidità di questo movimento è rappresentata dallo sviluppo dei nastri continui di ETFE e dalla leggerezza stessa della struttura di metallo. L’esperienza del passeggero in questa stazione è caratterizzata internamente da una serie di forme spaziali uniche ed esternamente da una “quinta facciata” che da tetto, nel suo senso più tradizionale, diviene essa stessa parete. Una parete avvolgente che è il risultato della progettazione dell’edificio come un oggetto in 3D e come risposta morfologica alla topografia della zona circostante. Durante la notte la stazione viene illuminata dall’interno e, grazie alla sua forma, assume un aspetto etereo.

CONDIZIONI AMBIENTALI

La stazione è stata costruita secondo i nuovi principi del consumo energetico e della sostenibilità. Il design infatti incorpora soluzioni a bassa produzione di carbonio, e per ridurre al minimo il consumo di energia il riscaldamento degli ambienti è stato inserito solo nelle aree in cui è previsto un cospicuo afflusso di viaggiatori e passanti. Gli ambienti rivestiti in mattoni sono serviti da caldaie a condensazione a bassa emissione che alimentano il riscaldamento a pavimento. Gli atri posti a nord e a sud del ponte di collegamento non sono riscaldati proprio perché pensati come luoghi di transito. La necessità di spazi con aria condizionata è stata oggetto di riflessione e anche in questo caso è stato deciso di installarla solo in un ristretto numero di ambienti. In altri settori l’aria viene aspirata da un sistema sotterraneo che facilita il preriscaldamento e il preraffreddamento. La ventilazione naturale nell’atrio e sul ponte avviene attraverso alcune feritoie dimensionate e posizionate secondo le indicazioni suggerite da un software di modellazione termica. Per quanto riguarda la raccolta dell'acqua piovana il progetto ha previsto serbatoi incorporati nella struttura.

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Foto Grimshaw

In questa foto: la stazione di Newport di sera. Sotto: il particolare dell’aggancio d’acciaio pensato per fissare le ampie superfici vetrate presenti alla base della struttura

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CREDITI Progettazione Grimshaw & Partners Progetto Newport Station Renovation Luogo Newport, South Wales Cliente Network Rail Struttura Atkins Project area 1000 mq Project year 2009 - 2010

Foto Ken Price

loro compressione bloccano il movimento di apertura delle due superfici sottostanti, che proprio come le cupole necessitano di una cerchiatura che assicuri il perfetto funzionamento membranale. La forma a spirale della stazione rispecchia i flussi presenti e contribuisce a smaltire il traffico guidando i passeggeri dal livello del piano terra fino al ponte che collega i due corpi di fabbrica e quindi le due parti di città. Il disegno della stazione è stato elaborato affinché riflettesse il senso, la direzione, il verso in cui i viaggiatori, i daytrippers e le persone disabili, si muoveranno attraversandolo. La maggior parte delle funzioni accessorie presenti nella stazione sono contenute all'interno di semplici strutture lineari, pensate per esaltare le forme sinuose dell’involucro e inserite nella forme a spirale. Rivestiti di mattoni vetrificati blu, resistenti agli atti vandalici, questi elementi matericamente ripropongono un’immagine mutuata dalle vecchie stazioni vittoriane. Ovviamente essendo Newport Station un’opera dello studio Grimshaw, noto per la sua filosofia sostenibile, le attenzioni poste a riguardo non sono legate solo alla struttura ma anche alla manutenzione stessa dell’edificio. Il design di tutta la stazione incorpora soluzioni impostate sul basso tenore di carbonio, cioè mirate a ridurre le emissioni di anidride carbonica e ad abbassare i consumi di energia e a garantire spese ridotte. Proprio per questo il riscaldamento degli ambienti è stato previsto attraverso delle caldaie a condensazione e una distribuzione del calore a pavimento. L’approvvigionamento di aria fresca avviene attraverso un sistema a scambio termico sotterraneo, strutturato così da facilitare il preriscaldamento e il preraffreddamento delle forniture d'aria sia d’inverno che durante la stagione estiva.



FACCIATE LUMINOSE FACCIATE MEDIATICHE L’interazione dell’architettura con la città

Katia Gasparini Architetto, PhD in Tecnologia dell’architettura. Insegna Tecnologia dell’Architettura presso l’Università IUAV di Venezia

Sotto: Grand Hotel Wagner, Palermo. Progetto e realizzazione di illuminazione artistica della facciata. Il progetto di illuminazione, a cura del lighting designer Gianni Ronchetti, è stato realizzato da Evolight srl (foto ©Michele Ceo)

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Dall’antichità fino al XVIII secolo gli uomini disponevano solo di due sorgenti luminose: una naturale e l’altra artificiale, ovvero la luce naturale del giorno e, dall’età della pietra, la fiamma come sorgente luminosa artificiale. Questi due tipi di illuminazione hanno condizionato per lungo tempo la vita e l’architettura. L’invenzione dell‘illuminazione a gas e, in seguito, delle sorgenti luminose elettriche, ha segnato l’inizio di una nuova epoca. Trascurando le sporadiche installazioni luminose dei primi anni dell’elettrificazione, nell’epoca compresa fra le due guerre mondiali è riscontrabile un periodo di fiorente sviluppo degli impianti di illuminazione spinti da dominanti esigenze di natura prettamente funzionale. Elettrificare significava prolungare l’attività umana, aumentare la produzione e il benessere assicurando nel contempo spostamenti rapidi e sicuri nelle ore notturne. All’inizio la scena è dominata dagli impianti a “corrente impressa”1 funzionali a coprire distanze elevate con conduttori nudi e di modesta sezione impiegando lampade a filamento del tipo “serie”, molto robuste e durature. Negli anni Sessanta del Novecento fa capolino la progettazione illuminotecnica finalizzata alla percezione, che inizia a considerare l’essere umano come fattore attivo della percezione e non più come semplice recettore di un ambiente visivo. Di conseguenza, il progettista analizza quale valore di posizione possedessero le singole aree oggetto di intervento e le rispettive funzioni. I primi approcci a una nuova filosofia dell’illuminazione si riscontrano, sempre nel secondo dopoguerra, negli Stati Uniti. Integrando la fisiologia dell’apparato visivo alla psicologia della percezione sono stati presi in considerazione tutti i fattori dell’interazione tra il percettore, l’oggetto e la luce come mezzo di comunicazione. Da questo momento la progettazione illuminotecnica finalizzata alla percezione non si fonda

più solo su principi quantitativi di illuminamento o distribuzione della luminanza, ma inizia a prendere in considerazione anche i fattori qualitativi. Negli anni Cinquanta del secolo scorso Richard Kelly (1919-1977), pioniere della progettazione illuminotecnica qualitativa, elaborò una distinzione fra tre funzioni: Luce per vedere, Luce per guardare, Luce per osservare (ambient luminescence, focal glow, play of brilliants). Con queste nuove tecniche collaborò insieme a Philip Johnson nella Glass House e con Mies Van de Rohe nel Seagram Bulding. Un altro pioniere interessante dell’illuminotecnica può essere considerato William Lam (1924). Lam ha contribuito a dare origine alla professione del lighting designer come è conosciuta oggi. Pioniere nel campo del lighting design, Lam vanta una carriera cinquantennale come progettista, consulente di architetti, docente e autore di interessanti pubblicazioni (fra queste: Perception and Lighting as Formgivers for Architecture nel 1977 e Sunlighting as Formgiver for Architecture nel 1986). Lam lavora integrando l'illuminazione con l'architettura e la progettazione urbana. Il suo approccio al progetto illuminotecnico si fonda sul concetto che l'illuminazione è parte integrante dell'architettura. Come si evince, quindi, il periodo post bellico, dalla seconda metà del Novecento all’inizio degli anni Novanta, è segnato da un’autentica evoluzione tecnologica nel settore delle sorgenti luminose, stimolata anche dalla crisi energetica degli anni Ottanta2. Dal punto di vista produttivo le sorgenti ad incandescenza di breve durata e bassa efficienza luminosa sono state gradualmente sostituite da nuove tipologie più efficienti basate sul principio della scarica nei gas. Sono poi comparse le lampade a fluorescenza, quelle a vapori di mercurio finalizzate a impieghi quasi esclusiva-


mente stradale e con efficienze mediocri (circa 50 lm/W), lampade a vapori di sodio a bassa e alta pressione e lampade ad alogenuri metallici. Lo sviluppo e successiva diffusione sul mercato di fonti luminose come i LED ha consentito di andare oltre al progetto della luce impiegando solo fonti di luce bianca o dorata e di introdurre il colore nell’illuminazione della città e dell’architettura. La facilità poi di controllare e gestire questi nuovi sistemi tramite software dedicati ha spinto l’evoluzione del progetto illuminotecnico: dall’illuminazione di tipo statico a quella di tipo dinamico, in cui colori e traiettorie possono cambiare continuamente creando giochi di luci, colori e interferenze luminose che sfociano nell’immaterialità e virtualità della percezione. Proiezioni, display digitali e grandi affissioni Teorie e dibattiti inerenti l’uso della luce e del colore nell’architettura hanno origini remote e frastagliate, da scelte di ordine estetico a necessità sociali o politiche fino a mere esigenze di tipo economico. In un’epoca in cui centri di ricerca, facoltà di architettura, architetti e urbanisti si impegnano a studiare e predisporre piani del colore o normative per la gestione luminosa dell’ambiente urbano nelle maggiori regioni e città italiane, viene da chiedersi quale ruolo possono assumere le tante proiezioni architetturali che si stanno diffondendo e quale sarà il contributo dell’architetto in questa trasformazione che sta investendo l’architettura e la città. Sembra che l’architettura stessa e il paesaggio stiano assumendo sempre più conformazioni temporanee, a solo scopo informativo. L’impiego di software dedicati e display digitali applicati alle facciate degli edifici, siano esse in vetro, plastica o metallo, sta cambiando radicalmente l’immagine e il significato dell’architettura. Tendono infatti a prevalere il fattore informativo e commerciale su quello progettuale, emergono nuove, diverse figure di architetto che si stanno incaricando della configurazione del volto urbano. Fra queste addirittura le agenzie di advertising e i produttori di sistemi di comunicazione. Lighting o multivision designer sono alcune denominazioni di nuovi specialismi e specialisti che intervengono nel progetto dell’immagine urbana. Un aspetto da non sottovalutare questo, che in realtà sembra strettamente connesso alla specifica professione dell’architetto. Il fatto che il dibattito, la ricerca e le applicazioni riguardanti l’architettura si stanno sviluppando ai margini e spesso fuori del suo campo d’azione dovrebbe far riflettere. Sotto la spinta di un fenomeno le cui potenzialità potrebbero cambiare radicalmente il modo stesso in cui percepiamo la realtà, come evolverà l’aspetto delle città, degli edifici e delle abitazioni? Quali saranno i nuovi volti, materiali, colori che assumeranno le superfici architettoniche nel prossimo futuro? Soprattutto, quali sono gli strumenti e i sistemi più idonei o più diffusi per realizzare questi risultati?

Le proiezioni luminose sono un semplice strumento, ma d’effetto, per realizzare facciate mediatiche. È possibile trasmettere per mezzo di una serie di proiettori sistemati a un’adeguata distanza filmati su una vasta superficie verticale. L’utilizzo dei proiettori ad alta definizione collegati in serie e gestiti da un computer consente la realizzazione di immagini e video di grande formato dove la superficie di proiezione - se è vetrata - sembra rappresentare il confine fra il mondo reale e il mondo virtuale: l’immagine reale dietro il vetro si fonde con quella delle proiezioni in primo piano, dando luogo a quella che Virilio definisce “stereorealtà”. La tecnologia delle proiezioni urbane si è evoluta in primo luogo più all’esterno degli edifici legandosi a specifici eventi e sfruttando per esempio le superfici di edifici storici, realizzando così l’interazione fra immagini proiettate ed elementi architettonici. Si possono realizzare proiezioni di immagini fisse utilizzando foto o contenuti grafici, tramite l’integrazione di sistemi di proiezione meccanici ed elettronici, incidendo le immagini da proiettare con sistemi laser su vetrini (che cor-

Sopra: Concorso di Idee “Hatehol Kyrkje”, 2009, concorso per la costruzione di una chiesa in Norvegia. Il progetto “imMEDIAte Kyrkje” ha previsto per le superfici verticali un involucro che fosse percepibile sia all’interno che all’esterno. Quando il portale della chiesa è chiuso, l’edificio appare come un parallelepipedo che trasmette immagini verso l’esterno, con il portale aperto la comunicatività si apre verso la città, trasmettendo anche le immagini dell’interno. Gruppo di progettazione: P.Zennaro, K.Gasparini, A.Premier, A.Dehò, P.Giovanelli. (disegno ©A.Dehò) Sotto: Kubik 555, progetto e installazione (foto © Urbanscreen, Bremen)

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Sopra: Concorso di Idee per la riqualificazione ambientale dei fabbricati di proprietà dell’ATER di Verona. Realizzazione di una facciata mediatica attraverso un rivestimento con pannelli in lamiera stirata e proiezioni multimediali. Progetto: prof. P.Zennaro, Arch. Katia Gasparini, Arch. Alessandro Premier (disegno © A.Premier, K.Gasparini). Sotto: Crown Fontaine, Chicago, Krueck+Sexton Architects. Dettaglio all’interno dell’involucro: illuminazione mediatica tramite blocchetti Led (foto © Krueck+Sexton Architects).

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rispondono alle meno recenti diapositive in acetato). Con l’integrazione di opportuni accessori attualmente sembra sia possibile proiettare fino a 6 immagini contemporaneamente o realizzare semplici effetti dinamici come, per esempio simulare la caduta della neve. Per questo sistema si impiegano tipologie di proiettori a potenza diversa, per esempio fino a 2500 Watt di potenza per una distanza dalla parete di proiezione di 1500 metri. Secondo l’estensione della superficie di proiezione si possono mettere in serie più proiettori e gli obiettivi sono intercambiabili in funzione della distanza. Con i videoproiettori è possibile visualizzare l'immagine video con dimensioni fino a decine di metri di diagonale (metodo di misura delle dimensioni dei mo-

nitor), quindi anche di gran lunga superiori a quelle di un monitor o di un televisore. La luminosità dell'immagine video visualizzata dipende in gran parte dalla luminosità dell'ambiente, tanto che è possibile ottenere una buona qualità dell'immagine solo in un ambiente oscurato. In base alla tecnologia utilizzata per realizzare il videoproiettore, si distinguono attualmente sei tipi di videoproiettori: CRT (tubo catodico), LCD (cristalli liquidi), DLP (a microspecchi), LCoS, DILA, SXRD, ESLP. In questo caso è interessante il progetto 555 KUBIK di Daniel Rossa che, realizzato sulla superficie della Amburgo Kunsthalle di Ungers nel 2009, ha richiesto la realizzazione di una proiezione della dimensione di 2048 x 768 pixels, della durata di 16 minuti. Per lo studio e realizzazione del filmato tridimensionale sono stati utilizzati programmi come Adobe Photoshop, Illustrator, After Effects, Premiere, 3D Studio MAX, MXWendler e la collaborazione di più operatori con competenze diverse relative a direzione artistica, animazione grafica, direzione tecnica, operatori 3D e sound designer. Invece i sistemi luminosi impiegati per la realizzazione di facciate mediatiche e urban screen in genere si basano su pannelli digitali realizzati attraverso l’impiego di tecnologia Led oppure sulla realizzazione di superfici illuminate da lampade fluorescenti, al neon o di altro tipo. La scelta dell’una o dell’altra tecnologia realizza una percezione fondamentalmente diversa della superficie mediatica. La tecnologia Led consente la realizzazione di schermi ad alta risoluzione, in cui la percezione dell’immagine è immediata anche a distanza relativamente breve dello spettatore rispetto lo schermo. In queso caso si possono realizzare schermi di piccole dimensioni composti esclusivamente da Led, oppure sistemi a blocchetti attivi come quelli utilizzati per la realizzazione della Crown Fontaine di Chicago (foto a destra), Krueck+Sexton Architects (foto sotto), sistemi integrati come nel caso dei sistemi Mediamesh®, Illumesh® e Lamellae® dell’azienda tedesca Ag4, di cui il Mediamesh® è stato per lungo tempo installato a Milano in Piazza Duomo. La realizzazione di superfici luminose con lampade dotate di sorgenti di diverso tipo conduce alla realizzazione di schermi a bassa risoluzione, in cui la percezione e definizione delle immagini è possibile solo a grandi distanze. In questo caso si può parlare di immagini in bianco/nero perché realizzate tramite la sincronia dell’on/off delle lampade. Solitamente questi ultimi sistemi sono utilizzati per realizzare superfici estese, veri e propri schermi architettonici mediatici. Per le grandi affissioni esistono poi i noti rivestimenti pubblicitari montati sui ponteggi dei cantieri o su strutture appositamente calcolate e costruite. I tipi di tessuto impiegati per la realizzazione di questi teli decorati devono essere predisposti per la stampa già in fase di produzione e presentano su uno o su entrambi i lati una spalmatura e una successiva laccatura della superficie per render-


la adatta a trattenere i colori di stampa. Nei teli sottoposti a illuminazione notturna, come spesso accade, è esposta la superficie opaca in modo che l’illuminazione non possa creare abbagliamento, situazione deleteria sia dal punto di vista pubblicitario che della sicurezza rispetto la guida di mezzi nelle zone limitrofe. Nella realizzazione di allestimenti pubblicitari esterni e temporanei, come per esempio sfilate di moda o installazioni fieristiche, possono essere usati tessuti che solitamente sono impiegati in ambienti interni come cotone o poliestere ignifughi, opportunamente trattati per la stampa con una doppia spalmatura in resina acrilica per assicurare la tenuta dei colori e una maggiore resistenza del tessuto. La stampa sui teli pubblicitari per grandi affissioni è realizzata con i metodi di stampa digitale e con inchiostri idonei al supporto. Su supporti a base polimerica (PVC) si ricorre all’impiego di inchiostri a solvente che usano pigmenti che aderiscono maggiormente al supporto, evitando il processo di laminazione. Esistono poi gli inchiostri UV, soluzione economicamente più conveniente dell’uso dei solventi. La realizzazione dell’immagine che sarà stampata deriva da un progetto di advertising realizzato con programmi di grafica (come per esempio Adobe Photoshop, Illustrator, In Design, ecc.). In conclusione, nel progetto di una superficie mediatica, per passare dalla fase preliminare a quella esecutiva è necessario operare uno studio minuzioso delle ricerche e applicazioni esistenti non solo nel settore delle costruzioni, ma soprattutto di quelle in essere in altri ambiti disciplinari, operando un’accurata riflessione sugli strumenti disponibili per l’analisi, la formulazione e l’esecuzione di qualsiasi ipotesi applicativa. L’analisi e la realizzazione di una superficie mediatica approntata mediante l’utilizzo di criteri sperimentati e propri di altri ambiti scientifico-tecnici è un tema complesso che merita di essere affrontato e approfondito. Allargare il campo di ricerca tramite l’ausilio di strumenti già consolidati in diverse realtà disciplinari costituisce un primo passo per affrontare l’argomento, che potrà essere perfezionato non solo dal punto di vista prettamente costruttivo, ma anche applicativo tramite un approccio ai temi dell’illuminazione, dell’inquinamento visivo e acustico, oppure dei Piani del Colore, fino alla definizione di specifici regolamenti a integrazione di quelli edilizi e basati su nuovi principi tipologici, estetici, ambientali. Contributi interessanti di ausilio alla progettazione potrebbero derivare dalla stesura di manuali operativi con indicazioni specifiche sulla scelta delle applicazioni e delle tipologie in funzione dell’ambito di applicazione designato. Un primo approccio alle tecnologie in uso e ai sistemi costruttivi per la realizzazione delle facciate mediatiche è stato affrontato dalla sottoscritta in “Design in superficie” libro edito nel 2009 (Franco Angeli editore) e in diversi paper presentati e pubblicati in con-

vegni internazionali. Ultimo di questi, l’International Conference “Color&Light in Architecture” che si è svolto a Venezia (11-12 novembre 2010) presso l’Università IUAV. Tuttavia l’argomento è stato trattato dal punto di vista progettuale, sociologico e artistico anche da autori e ricercatori di fama internazionale, oltre che da aziende del settore che hanno pubblicato cataloghi e realizzazioni.

Sopra: Crown Fontaine, Chicago, Krueck+Sexton Architects. Immagine delle fontane con superficie in blocchetti di vetro e illuminazione Led (foto © Hedrich Blessing photographer).

NOTE 1

In un impianto a corrente impressa le lampade sono collegate in serie fra loro e percorse dalla stessa corrente, erogata da un particolare trasformatore regolatore nel quale la tensione in uscita può raggiungere alcune migliaia di volt. Gaulard e Gibbs proposero il primo impianto di questo tipo, con generatore Siemens a Londra nel 1883 (Atti del Convegno Internazionale “La luce tra natura e artificio. Illuminare Venezia e le città d’arte?”, © Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed arti, Venezia, 2005). 2 Fellin L., “Introduzione” in La luce tra natura e artificio. Illuminare Venezia e le città d’arte?, op.cit., pp.9-24

BIBLIOGRAFIA

Haeusler M.Hank, Media Facades. History, Technology, Content. Avedition. Lowther C., Schultz S., Bright. Architectural Illumination and Light istallation, Frame Publisher, Amsterdam, 2007. K.Gasparini, Design in superficie. Tecnologie dell’involucro architettonico mediatico, FrancoAngeli, Milano, 2009. R.Venturi, D.Scott Brown, J.Izenour, Imparare da Las Vegas, ed. It. Quodlibet, 2010 (ed.or. Learning from Las Vegas, MIT, 1972).

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STRUTTURE TRASPARENTI: EVOLUZIONE / RICERCA

Maurizio Froli Dipartimento di Ingegneria Civile - Sezione Strutture, Università di Pisa (www.mauriziofroli.it)

Sotto: vista interna del prototipo TVTβ

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INTRODUZIONE La capacità di far passare i raggi luminosi, la relativa durezza, la resistenza alle aggressioni chimiche unite al fascino dei riflessi e delle rifrazioni, hanno decretato l’ingresso e l’inarrestabile ascesa del vetro in campo architettonico praticamente sin dalla sua scoperta. È tuttavia solo negli ultimi anni che l’utilizzo del vetro in architettura ha subito un’accelerazione enorme sotto la spinta esercitata da molti architetti contemporanei desiderosi di ridefinire l’idea stessa della demarcazione tra spazi interni ed esterni. Il concomitante perfezionamento di tecnologie tradizionali, quali i trattamenti di tempera e la stratificazione, e lo sviluppo di tecnologie innovative hanno nel contempo reso possibile l’impiego di questo materiale in campo strutturale ben al di là delle tradizionali applicazioni di tamponatura e delimitazione degli spazi. Sulla scia del percorso creativo tracciato da Mies van der Rohe improntato come noto ad una progressiva smaterializzazione della costruzione, iniziano a comparire le prime realizzazioni totalmente in vetro strutturale che rendono concreta una visione antica, descritta ripetutamente in letteratura e fantasiosamente rappresentata in pittura. Elementi strutturali principali quali colonne e travi hanno iniziato ad essere costruite, ai confini delle attuali possibilità tecniche, utilizzando esclusivamente vetro. Tuttavia è noto che tempera e stratificazione non riescono da sole a sopperire del tutto alla intrinseca fragilità del materiale, consistente nel fatto che la lunghezza critica di propagazione instabile di una fessura è di pochi microns senza apprezzabili meccanismi di interruzione spontanea. Per poter progettare vere e proprie costruzioni in vetro dotate di adeguati livelli di sicurezza si è reso perciò indispensabile e urgente approfondire il livello delle conoscenze partendo dalla comprensione e previsione a livello microscopico del comportamento meccanico del materiale per passa-

re quindi alla realizzazione e verifica sperimentale di campioni di strutture vitree in vera grandezza e giungere infine alla vera e propria ideazione di nuovi sistemi costruttivi “tagliati sulla misura” delle specifiche proprietà statiche di questo affascinante quanto bizzarro e impaziente materiale. Questo percorso conoscitivo, che verrà delineato nel seguito, è stato intrapreso dall’autore a partire circa dal 2004 presso il Laboratorio per le Esperienze dei Materiali da Costruzione dell’Università di Pisa annesso alla Sezione Strutture del Dipartimento di Ingegneria Civile . LE RICERCHE TEORICHE I principi teorici del “Fail Safe Design” La intrinseca fragilità del vetro impone che le strutture realizzate con questo materiale siano concepite in modo tale da scongiurare il pericolo di collassi catastrofici. Questo obiettivo si raggiunge applicando, sin dalla fase dell’ideazione di un sistema costruttivo in vetro, i due principi fondamentali del Fail Safe Design: gerarchia e ridondanza. Il primo principio sancisce che gli elementi resistenti del sistema debbano essere disposti in ordine gerarchico, ossia in modo che la rottura di un ordine preceda necessariamente quella dell’ordine superiore. Il secondo principio stabilisce a sua volta che ciascun ordine gerarchico sia costituito dalla disposizione in parallelo di almeno due elementi resistenti cosicché, se l’elemento di un ordine cede, esso possa essere sostenuto dagli elementi gemelli, sia pur con ridotte ma ancora sufficienti riserve di sicurezza. Nuovi metodi di verifica teorica della resistenza del vetro La peculiare sensibilità del vetro alle imperfezioni superficiali anche microscopiche, l’assenza di plasticità e fenomeni quali la cosiddetta “fatica statica” ossia la minore resistenza offerta dal materiale nei confronti di carichi di lunga durata, impediscono l’impiego dei tradizionali metodi di calcolo dimostratisi validi per altri materiali da costruzione. Anche i metodi di verifica standard specificamente destinati alle vetrazioni da finestra non possono essere utilizzati perché sviluppati per far fronte a condizioni di carico di breve durata quali tipicamente le raffiche di vento. Di conseguenza è sorta la necessità impellente di sviluppare per questo materiale specifici e affidabili metodi di verifica teorica della sicurezza statica che rendano possibile la progettazione e la previsione delle prestazioni meccaniche di strutture in vetro pur nella mancanza attuale di una base di dati sperimentali sufficientemente estesa su strutture in vera grandezza. Prime


ricerche teoriche hanno condotto alla formulazione di un metodo di grande rigore concettuale ma che si è rivelato inadatto, a causa della sua complessità matematica, ai correnti impieghi della progettazione. Al contrario, un metodo di verifica che si è dimostrato al contempo sufficientemente rigoroso e di pratico impiego è stato sviluppato di recente e denominato Metodo della Fessura di Progetto o Design Crack Method (DCM). Pubblicato interamente sulla Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro è stato presentato con successo a livello internazionale nel simposio ISAAG 2010 di Monaco di Baviera. LE RICERCHE SPERIMENTALI Piastre di solaio in vetro stratificato irrigidite mediante cavi inox Presso il nostro Laboratorio sono stati sottoposti a indagini teoriche e sperimentali due prototipi di pannelli rettangolari di solaio aventi ciascuno dimensioni di 3200x2000 mm, realizzati mediante stratificazione di due lastre da 10 e 8 mm con interposto uno strato di PVB da 1.56 mm. Un campione è stato temperato termicamente, l’altro chimicamente. Ciascun campione è stato poi vincolato ai quattro vertici con attacchi a “borchia” e “armato” all’intradosso mediante due cavi longitudinali con puntoncini pre-sollecitati in modo da limitare la freccia massima e conferire alla struttura un appoggio intermedio elasticamente cedevole. I campioni provati sotto cicli crescenti di carico uniforme fino al collasso hanno rappresentato una prima assoluta in campo nazionale soprattutto in relazione alle loro dimensioni ma anche per la tipologia dei vincoli, per la presenza delle funi metalliche e per la diversità dei trattamenti di tempera. I risultati sperimentali, oltre a mettere in luce il diverso comportamento post-critico di lastre temperate termicamente e chimicamente, hanno consentito la taratura di procedimenti numerici di analisi FEM volti alla formulazione di previsioni teoriche attendibili da utilizzare poi in ambito progettuale. Giunzioni di testa fra travi vitree stratificate di grosso spessore Nelle tipologie di collegamento fra elementi vitrei attualmente esistenti si ricorre quasi sistematicamente alla foratura delle lastre. Forare lastre di vetro comporta però, inesorabilmente, una forte limitazione della re-

A destra: fotografia della centrale elettrica trigenerativa Diamante Sotto: lastra temperata chimicamente dopo il collasso. Si nota la non trascurabile capacità post-critica di portare carico

sistenza degli elementi a causa delle concentrazioni nocive degli sforzi di trazione attorno ai fori dipendenti dal diametro del foro e dalla tecnica di foratura. Grazie alle prestazioni sempre più elevate offerte dai moderni collanti si può in alternativa giuntare due travi vitree mediante incollaggio diretto, ma simili collegamenti fra travi vitree presentano lo svantaggio di non essere reversibili. Al fine di evitare questi inconvenienti è stato studiato e messo a punto nel nostro Laboratorio un prototipo innovativo di giunzione di testa a secco fra travi laminate in vetro di grosso spessore che non prevede fori. Ciascuna delle due parti da unire viene munita di profili inox ad U incollati durante il processo di laminazione in scanalature longitudinali poste ai lembi superiore e inferiore. In corrispondenza della zona di contatto reciproco due bulloni a filettatura contrapposta che si avvitano su speciali inserti saldati alle scanalature consentono di realizzare il collegamento e il serraggio reciproco di montaggio. Successivamente, nelle scanalature vengono inseriti cavi inox la cui pre-trazione pone in forte compressione reciproca le due parti realizzando un collegamento completamente a secco, reversibile ma capace di ripristinare completamente la continuità materica della trave, come hanno dimostrato i risultati delle prove di carico. Travi modulari in vetro armato precompresso: le Travi Vitree Tensegrity Per sostenere piastre di solaio del tipo visto in precedenza su luci considerevoli è stato ideato un sistema costruttivo di travi miste in vetro e acciaio presollecitato capace di aggirare a livello meso - e macrostrutturale la intrinseca fragilità del vetro. La concezione inventiva, brevettata dall’autore per l’Università di Pisa, è quella di fare assorbire alle lastre di vetro quasi unicamente sforzi di compressione, nei confronti dei quali il vetro è molto resistente, e di sfuggire agli sforzi di trazione. A tale scopo le parti in vetro vengono precompresse da tiranti in acciaio disposti ARCHILINE 75


Sopra: rendering di una scala a chiocciola integralmente vitrea, capace di superare un dislivello di oltre tre metri con uno sviluppo angolare in pianta di 180° Sotto: rendering di una passerella pedonale in sistema combinato e ibrido arco funicolare - arco ribassato in acciaio

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secondo lo schema di una trave Warren e quindi le trazioni nel vetro vengono assorbite in fase di esercizio principalmente per progressiva decompressione e, una volta raggiunta e superata la soglia della totale decompressione, dai tiranti metallici stessi. Questa linea di travi è progettata in modo da raggiungere in fase di esercizio carichi elevati con piccole deformazioni e, al contrario, di sviluppare in fase post-critica una considerevole duttilità come necessario per le applicazioni in zona sismica. Dal punto di vista costruttivo le travi TVT sono realizzate assemblando, senza forature, due piani paralleli di pannelli triangolari in vetro realizzati attraverso un doppio sistema di tiranti metallici pretesi che confluiscono, in prossimità dei vertici degli elementi vitrei, in nodi di acciaio. I pannelli sono composti da due strati di vetro temperati e laminati mediante PVB. Il principio della ridondanza è applicato nelle TVT in modo duplice: a livello di stratificazione dei singoli pannelli e per il fatto che la trave è a doppia parete. Il principio di gerarchia è rispettato dal fatto che l’armatura è dimensionata in modo tale da plasticizzarsi prima che il vetro giunga a rottura per compressione. La eventuale rottura di un pannello non implica la rovina della trave né la sua sostituzione integrale essendo relativamente semplice sostituire solo il pannello danneggiato. Il sistema costruttivo si presta, grazie alla sua modularità, ad una elevata industrializzazione. Infatti i pannelli triangolari equilateri sono tra loro uguali e sono necessarie solo tre tipologie di nodo metallico che non cambiano al variare delle dimensioni (altezza e luce) della trave grazie alla forma triangolare equilatera dei pannelli di vetro. Simulazioni numeriche e recenti prove di laboratorio statiche, cicliche e dinamiche hanno confermato le previsioni intuitive che hanno guidato l’invenzione del sistema e hanno anche messo in luce non trascurabili proprietà di dissipazione dell’energia attribuibili probabilmente agli scorrimenti con attrito in corrispondenza dei nodi e a scorrimenti viscosi nel materiale plastico. Questa proprietà inattesa, unita alla duttilità in fase di collasso, rende le TVT paradossalmente idonee ad impieghi in regioni sismiche. Se poi si pensa che nell’interstrato dei pannelli vitrei possono essere alloggiati filamenti fotovoltaici, si potrebbe concludere che queste travi sono in grado di produrre energia utile e di dissipare energia nociva. Il secondo dei due prototipi provati (modello TVTβ) è lungo 3300 mm, alto 500mm e largo 190mm, pesa complessivamente 125 Kgm e ha raggiunto un carico di rottura PR di 5000 daN, pari a circa 40 volte il suo peso. Le travi

TVT si sono classificate al primo posto del Premio Vespucci 2009 nella categoria Ricerca. Allo stato attuale è stato completamente ingegnerizzato il prototipo TVTγ capace di raggiungere una luce di 12 metri e la sua implementazione in un più vasto sistema modulare nel quale le TVT possono essere congiunte tra loro in serie così da formare travi a ginocchio e telai. LE RICERCHE PROGETTUALI Una scala ad elica integralmente vitrea In questo progetto è stata ideata una scala a chiocciola integralmente vitrea capace di superare un dislivello di oltre tre metri con uno sviluppo angolare in pianta di 180°. La struttura portante è composta da due nervature gemelle in vetro presollecitato mediante cavi pretesi in acciaio inox che sostengono la successione dei gradini, anch’essi vitrei. Ciascuna nervatura è composta da tre segmenti di lame elicoidali laminate a quattro strati. Il collegamento mutuo tra i segmenti di ciascuna nervatura è assicurato da speciali dispositivi di attacco di testa sviluppati ad hoc. La centrale elettrica trigenerativa Diamante Diamante è il nome evocativo attribuito ad un prototipo di mini-centrale capace di trasformare l’energia solare in energia elettrica per mezzo di pannelli fotovoltaici inseriti in pannelli di vetro stratificato disposti sulla superficie di una sfera reticolare icosaederica in acciaio inox sostenuta ad una certa altezza dal suolo da colonne tubolari realizzate con lo stesso materiale. L’energia elettrica prodotta può essere usata subito o accumulata sottoforma di idrogeno in tre sfere sospese all’interno della sfera icosaedrica durante i periodi di assenza o insufficienza della radiazione solare. L’opera è scaturita dalla collaborazione instaurata sin dalla fase di concezione generale all’interno di un gruppo di ricerca composto da un nucleo di Ingegneria Elettrica ed Energetica di Enel Ricerche coordinato dall’Ing. Gennaro De Michele con Project Manager l’Ing. Cecchini; da un nucleo di Architettura del quale è stato responsabile scientifico il Prof. Ing. Pierluigi Maffei della sede di Architettura del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Pisa e da un nucleo di Ingegneria Strutturale, al quale si deve la concezione geometrica e costruttiva della struttura, con responsabile scientifico lo scrivente, coadiuvato dall’Ing. Gerardo Masiello, progettista delle strutture. Una passerella pedonale in sistema combinato arco funicolare


in vetro - arco ribassato in acciaio inox Questo progetto scaturisce ancora una volta dalla aspirazione di superare ostacoli naturali con la minima invasività ottica ossia rendendo la struttura portante il più possibile eterea e trasparente. L’unica possibilità di superare in sicurezza luci dell’ordine dei 30 metri utilizzando vetro è cercare di sviluppare una “macchina statica” capace di selezionare per questo materiale solo sforzi di compressione delegando sollecitazioni di Taglio e Flessione ad un sistema parallelo realizzato con acciaio. L’idea che ne è scaturita è l’accoppiamento in parallelo di due tipi di arco: un arco inferiore totalmente vitreo realizzato mediante aste incernierate tra loro e un arco superiore ribassato in acciaio inox collegato al precedente mediante puntoni in vetro. La particolarità di questo schema statico è che sotto qualsivoglia disposizione dei carichi le aste dell’arco in vetro sono sistematicamente sollecitate solo a compressione così come i puntoni di collegamento. I principi del Fail Safe Design sono rispettati in quanto le aste di vetro dell’arco funicolare sono doppie e ciascuna di esse è realizzata mediante doppia stratificazione. Inoltre, un sistema di cavi diagonali pretesi assicura alla struttura una sufficiente capacità anche nel caso di collasso completo di un’asta dell’arco di vetro. Grid Shells In collaborazione con la società di progettazione RFR, sede di Parigi, è stata condotta una ricerca teorica attorno al problema della ottimizzazione della forma, sia sotto l’aspetto statico che quello costruttivo, di coperture a guscio trasparenti con struttura a griglia, dette Grid Shells. Il punto di partenza del processo di ricerca formale è stato la hybrid Grid Shell a doppia curvatura che copre la corte principale dell’Abbazia di Neumunster, realizzata nel 2003 da RFR. Nello studio, una volta definita la trama anisotropa della griglia di base, sono stati eseguiti due processi di Form Finding a griglia imposta con l’obiettivo di definire geometrie a doppia curvatura per superfici vetrate di area paragonabile a quella della originaria copertura di Neumunster che superassero le singolarità nelle zone angolari della superficie di partenza. La soluzione, che realizza la ottimizzazione strutturale e geometrica della copertura, ruota attorno alla adozione della relativamente nuova tecnologia di curvatura a freddo di pannelli di vetro per realizzare settori di cono che costituiscono le “scaglie” con le quali tamponare la mesh ottimizzata e apparentemente irregolare delle nervature metalliche. Conclusioni Questo breve escursus mostra come il campo delle costruzioni in vetro strutturale e acciaio apra nuovi percorsi e opportunità per un approccio sinergico architettonico- strutturale- energetico alle costruzioni moderne e del futuro. Ritengo che questo particolare ambito consenta ai progettisti di riconquistare il ruolo e l’attidudine di dare risposte diversificate, innovative e

proiettate verso un’intelligente e vantaggiosa interazione energetica, ma non solo, tra guscio-struttura e ambiente naturale. La visione rivoluzionaria di superfici continue vetrate con qualità che raggiungano obiettivi collocati oltre la semplice trasparenza risale già agli anni 20 ma è ancora ben lontana dall’essere compiutamente esplorata. Vale quindi la pena di investire in questa direzione, sulla base di una sinergia indispensabile tra progettazione, produzione e ricerca.

Sopra: rendering della nuova copertura ottimizzata per l’Abbazia di Neumunster

Ringraziamenti Lo scrivente rivolge un ringraziamento ai numerosi giovani allievi che hanno collaborato con lui. Le ricerche descritte hanno potuto essere realizzate grazie al sostegno finanziario di due programmi ministeriali PRIN, della Vitarelli Vito S.p.A. e della Regione Toscana.

BIBLIOGRAFIA

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PROCESSI CREATIVI NUOVE TECNOLOGIE

Alberto Meda Industrial designer. Collabora con varie aziende: Alias, Alessi, Arabia-Finland, Ideal Standard, Cinelli, Colombodesign, Italtel Telematica, JcDecaux, Mandarina Duck, Luceplan, Kartell, Omron Japan, Philips, Vitra Olivetti

L’attività di progettazione non è un processo lineare, non è possibile pianificarla. È una attività complessa, simile ad un processo di natura reiterativa, quasi caotica. Avanti-indietro, destra-sinistra, immaginando una soluzione. Provando, fallendo, eliminando, finalizzando… spesso con molte omissioni. Ma proprio per questo è affascinante e misteriosa. Il progettista pesca negli ambiti più disparati, ciascuno nel proprio mondo di riferimento, in cui cerca suggestioni creative. A me interessa il mondo della tecnologia, perchè mi sembra l'espressione contemporanea della capacità immaginativa dell'uomo, della sua ingegnosità, alimentata dalle sue conoscenze scientifiche. C’è il rischio che lo sviluppo tecnologico proceda in modo ipertrofico, senza legittimarsi, senza preoccuparsi del significato delle sue scelte, perciò bisogna tentare di addomesticare la tecnologia all'interno di cose che hanno un rapporto il più possibile semplice con l'uomo, rifiutando la concezione dell'oggetto industriale, "determinato" dalla tecnologia, indipendentemente da bisogni umani e da razionalità comunicativa. Parto da un’idea costruttiva e non ho un repertorio formale fisso. Durante lo svolgimento metto in forma l’idea, appoggiandomi a una fisicità, a un materiale o una tecnica, ma la forma non esiste all’inizio, si rivela strada facendo. Spesso è una suggestione strutturale o di funzionamento tecnico o tecnologico a far scattare quel pensiero attorno a cui poi cresce l’oggetto, e col disegno e la ricerca di una soluzione “elegante” arrivo alla sua forma, in un certo senso in modo inconsapevole. Cerco di impiegare tecniche contemporanee che comportano una tendenza all’integrazione delle funzioni e

Sotto: Vitra chair, sedia per ufficio

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alla riduzione delle parti componenti, come le plastiche o i metalli di fusione. Il mio tentativo di semplificazione è già inscritto nelle possibilità delle tecniche che di volta in volta impiego. Lo scopo è di ottenere oggetti con un’immagine semplice, unitaria, “quasi organica”. Perché la mia attenzione non è rivolta, a priori, al fatto formale, ma alle “relazioni” tra le parti componenti e tra gli oggetti e chi li usa. È fondamentale il contatto con il mondo scientifico e tecnologico. Un’idea, perché possa essere messa in forma, si deve appoggiare su una fisicità, e la tecnologia e i nuovi materiali rappresentano la tavolozza delle possibilità fisiche, in continua evoluzione. Può sembrare un paradosso ma la tecnologia più è complessa e più è in grado di produrre oggetti con un’immagine semplice, unitaria, "quasi organica", in cui l’insieme non è la semplice somma delle parti, perché ciascuna parte integra anche la relazione con le altre. Le tecniche a cui alludo hanno tutte a che fare con materiali leggeri, con peso specifico da 1 a 2,8. La leggerezza è importante per vari motivi: in senso fisico, perché riduce le componenti accessorie e produce soluzioni inaspettate, e in senso visivo, per sottrarre la materia al suo ingombro e per dare alle cose un aspetto "lieve". Progettare un oggetto leggero significa lavorare sul terreno della levità e della discrezione. La levità indica una qualità dell’oggetto, cioè la consistenza, la struttura resistente… la discrezione suggerisce la relazione con l’ambiente. L’oggetto discreto sfugge alla logica dell’immagine, della semplice visibilità. Non è vistoso, non si scopre di colpo, ma batte la strada della non invadenza, della miniaturizzazione. L’oggetto discreto è tutt’altro che evanescente, è definito in tutti i suoi particolari come lo è un’ala di farfalla.


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1. Serie “FRAME” - Alias, sedute per interno e per esterno. Una idea costruttiva che parte da una ipotesi di integrazione armoniosa di due differenti tecnologie dell’alluminio (pressofusione – estrusione) e l’idea di integrare nello stesso pezzo il fissaggio del tessuto a rete e la connessione strutturale per ridurre il numero delle parti e ottenere una struttura leggera e solida. 2. Giunto + gamba finale di MedaMorph, System–Vitra. 3. Vitra chair, una sedia per ufficio con “confort flessibile”, cioè che segue il movimento del corpo. Semplicità meccanica e strutturale, leggerezza visiva, sforzo di eliminare meccanismi complessi integrando il cinematismo nella struttura stessa di alluminio presso fuso. Non c'è nessun meccanismo misterioso che la fa muovere, esprime una forma chiara, 5

facilmente intuibile. 4. Lampada “TITANIA”, in lamiera di alluminio tranciato, leggera e manovrabile. La gabbia poteva essere fatta a palla o a cubo ma la tecnologia ha consentito di pensarla a forma ellittica. La gabbia ha la funzione di riflettere i raggi luminosi evitando l’abbagliamento e lasciando respirare la lampadina. Questo scheletro in alluminio, simile a un’ala di aeromodello, senza il computer non si sarebbe neanche potuto immaginare di strutturarlo a forma ellittica. In questo senso la tecnologia (qui nei suoi aspetti soft ) è un magazzino di suggestioni creative. 5. Libreria “PARTNER”- Kartell. Esempio di soluzione ibrida, collaborazione di resina policarbonato / alluminio per costruire una mensola robusta e leggera.



VIBRANTE EFFETTO OPTICAL

Tutte le foto Christian Richters

LABORATORIO DI RICERCA DELL'UNIVERSITÀ DI GRONINGEN / UNStudio



GRONINGEN (OLANDA). È un volume unico avvolto in un involucro realizzato con singole doghe di alluminio ripiegate tra loro così da creare un effetto plissettato e cangiante. Il Laboratorio di Ricerca dell'Università di Groningen progettato da UNStudio si trova a pochi passi dalla Facoltà di Scienze Mediche al Groningen University Hospital ed è anche collegato con essa. L'edificio storico dell’Antonius Deusinglaan, risalente al 1972, non era più adatto ai nuovi requisiti richiesti per gli ambienti scientifici che praticano ricerche di microbiologia. Da qui la necessità di costruirne uno ex novo che rispondesse pienamente alle nuove esigenze e progettarlo secondo un approccio integrato che valutasse i vari aspetti geometrici, spaziali e tecnologici. Il nuovo laboratorio Antonius Deusinglaan di Groningen ha una posizione centrale rispetto all’impianto universitario e rientra pienamente nel masterplan redatto dallo studio urbanistico KCAP che prevedeva in merito un edificio pensato solo per la ricerca. Di risposta UnStudio ha creato un edificio discreto e privo di aperture verso l’esterno. Lo ha corredato di un involucro così dettagliato da riuscire a dare un senso sia alla funzione interna che allo stesso piano urbano. La luce entra direttamente dalla quinta facciata, il solaio di copertura, per mezzo dei due vuoti di forma tronco-conica che in posizione inversa tra loro, cioè specchiata, hanno funzione di diffusori della luce oltre che di tromba per le scale. La luce penetra profondamente nei vari piani dell’edificio e illumina in particolar modo gli spazi centrali destinati al collegamento. Le due scale elicoidali, diversamente gemellate e comunque tra loro collegate, distribuiscono gli spostamenti all’interno dei sei livelli di cui uno è ipogeo e due, aventi altezze diverse, sono stati organizzati così da rispondere a prestazioni tecniche richieste. Le funzioni tra i livelli, per esigenze igienico – scienti-

fiche, sono strettamente separate: al livello più basso vi sono le aree definite di supporto, comprendenti anche la zona reception, al piano terra invece stoccaggio e spedizione e un apposito ingresso per i veicoli di trasporto di piccole dimensioni che possono consegnare e ritirare le merci. Accoglienza e gestione si trovano al secondo piano, quello collegato attraverso un camminamento in quota con il vecchio edificio, mentre gli altri livelli dedicati ai laboratori sono divisi in tre sezioni microbiologiche, poste strettamente a regime con un proprio programma di accessibilità e spazi screening per l’igiene. I singoli laboratori sono posizionati lungo il perimetro del volume e le aree centrali illuminate sono adibite ai collegamenti tra i singoli ambienti. La scelta dei materiali impiegati all’interno dei laboratori e anche negli spazi circostanti è stata guidata da un prestabilito programma tecnico che prevede l’uso di sostanze facilmente pulibili e igienizzabili. I pavimenti sono infatti realizzati con materiali omogenei e per le pareti sono stati scelti quelli a base di poliuretano. Così come all’esterno, anche all’interno è importante l’uso del colore sia per i piani orizzontali che per quelli verticali. Per il livello più basso, quello potenzialmente con poca luce, come colore è stato scelto il giallo, mentre ai piani superiori i colori vanno dall’arancione al rosso. Per gli spazi di relazione la selezione cromatica ha tenuto conto degli studi tecnici realizzati sulla luce e il colore negli ambienti interni e sugli effetti che essi hanno sui fruitori degli spazi. All’esterno tutto cambia, la scelta del colore è spesso legata all’intorno e al paesaggio circostante. Infatti UnStudio per il nuovo laboratorio Antonius Deusinglaan di Groningen ha scelto come colori per l’interno delle lame, morbidamente ripiegate, una gamma di colori che, sfumando, passano dal giallo al verde acceso quasi psichePLANIMETRIA

A sinistra: particolare di una delle due scale elicoidali progettate nel cuore dell’edificio e poste all’interno di due tronco-coni tra loro specchiati e completamente rivestiti di vetro, aventi funzione di pozzi di luce. In alto a destra: uno schema della struttura portante delle scale

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3. Hall; 4. Camera oscura; 8. Laboratorio; 9. Ufficio; 12. Ufficio spedizione; 15. Stoccaggio

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3. Hall; 4. Camera oscura; 7. Tromba della scala; 8. Laboratorio; 15. Stoccaggio

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1. Entrata; 2. Reception; 3. Hall; 4. Camera oscura; 5. Uffici; 6. Aula; 7. Tromba della scala; 8. Laboratorio; 13. Spogliatoi; 15. Stoccaggio

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3. Hall; 4. Camera oscura; 7. Tromba della scala; 8. Laboratorio; 15. Stoccaggio

CREDITI Progettisti UNStudio / Cliente Università di Groningen / Piano urbanistico redatto dallo studio KCAP, Rotterdam Struttura Deerns, Installatietechnische ingenieursbureau, Rijswijk / Luogo Groningen, Olanda Superficie costruita 7.497 m² / Volume costruito 2.3792 m3 / Area lotto 1.093 m² / Funzione Laboratorio di ricerca per la Facoltà di Medicina dell’Università di Groningen / Realizzazione 2008/9

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SEZIONE

16.275+ T2

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A sinistra e in basso: la facciata realizzata con assi di alluminio sinuosamente deformate secondo la stessa direzione e al cui interno è stato intodotto un colore dalla nuance giallo-verde. L’effetto plissettato smaterializza la parte centrale dell’involucro e anche gli spigoli del volume

delico per associazione al parco Oostersinge che vi sta a pochi passi. Le facciate così trattate hanno quasi un effetto optical dovuto proprio all’inserimento del colore tra le alette di alluminio verticali sinuosamente ritorte. Effetto che alimenta le vibrazioni prospettiche dell’edificio, rendendolo suscettibile alle variazioni di illuminazione, di posizione e distanza da cui si guarda e si percepisce. La progettazione di quest’edificio richiedeva una logica prestazionale e quindi anche formale che tenesse conto della posizione centrale, rispetto al contesto urbano, essendo completamente mancante di connessioni con l’esterno. UNStudio ha pertanto progettato un involucro a secco che non denunciasse la mancanza di legame con le cosiddette condizioni al contorno, bensì diventasse testimone di nuove prestazioni ottico-formali, ottenute con una texture ricavata con la modellazione di materiali tradizionalmente usati. Una pelle che, oltre a separare l’esterno e l’interno, riduce le possibili dispersioni termiche e attenua le variazioni di temperatura stagionali. UNStudio ha puntato sul ruolo del colore in ambiente urbano, pensando all’involucro come un’opportunità cromatica-percettiva adatta a quegli edifici con funzione di attivatori urbani e la cui progettazione, ovviamente tecnologica, rielabora elementi quali la distanza, la scala, le condizioni di luce e le variazioni di tonalità o di saturazione del colore come parametri per influenzare la percezione dell’oggetto nello spazio. ARCHILINE 87


TRA LUCE E NATURA NUOVA ALA DELL’ART INSTITUTE DI CHICAGO / Renzo Piano


Foto Nic Lehoux


Foto Shunji Ishida

Il terzo piano si collega direttamente al Millennium Park attraverso il nuovo Bridgeway Nichols, un ponte pedonale a sbalzo, lungo un ottavo di miglio, che con la sua forma arrotondata bianca degrada dolcemente dal Modern Wing al Millennium Park passando a 30 piedi sopra Monroe Street


Foto Shunji Ishida

CHICAGO (STATI UNITI). Il Chicago Tribune la definì “tempio di luce”. È la nuova ala dell’Art Institute of Chicago, il nuovo Modern Wing progettato da Renzo Piano per ospitare le collezioni d’arte del XX e del XXI secolo e completato nella primavera del 2009. Grazie a questa nuova struttura, il Modern Wing è diventato il secondo più grande spazio museale per l’arte degli Stati Uniti. Costruita tra la Michigan Avenue e la Columbus Drive la nuova struttura di Renzo Piano si trova in una delle zone più in vista della città: all’interno del rinomato Millennium Park, un ampio parco del centro di Chicago, progettato nel 1997 e definitivamente completato nel 2004. Il nuovo edificio è attorniato da molti esempi di architettura contemporanea: il Jay Pritzker Pavilion progettato da Frank Gehry; "Il Fagiolo", la scultura d’acciaio opera del famoso artista Anish Kapoor e situata nella piazza Cloud Gate; la Crown Fountain di Jaume Plensa che si compone di due torri alte 15 metri, con due schermi sui quali compaiono delle immagini video e aventi alla base una vasca d’acqua di circa 70 m. E ancora il Lurie Garden, un giardino disegnato da Kathryn Gustafson e il Pedestrian Bridge, un sinuoso ponte pedonale che collega il Jay Pritzker Pavilion con il Gran Park. L’ingresso del Modern Wing, posto sulla Monroe Street, è stato appositamente pensato per poter connettere attraverso la nuova Griffin Court, un lumino-

so ambiente a doppia altezza che collega visivamente il Pritzker Pavilion al Pritzker Garden, il giardino del museo, il Millennium Park, al cuore della vecchia struttura. I padiglioni che Renzo Piano ha progettato intorno alla Griffin Court si collegano alla vecchia struttura attraverso i loro tre piani variamente strutturati: il padiglione a est oltre agli spazi dedicati alla fotografia, film e video, ospita il Ryan Education Center, il centro inondato di luce naturale che ha arricchito l’Art Institute of Chicago di ben 20mila piedi quadrati, il doppio della struttura precedente. Organizzato in cinque aule, tre laboratori, una camera di orientamento familiare, un negozio speciale per bambini e un ingresso dedicato per i gruppi scolastici, il Ryan Education Center è completamente cablato e dispone di sale computer per l’apprendimento con pannelli interattivi, smartboard e monitor a parete. Al secondo piano il padiglione è strutturato in modo da ospitare nuove gallerie per la collezione permanente del museo di arte contemporanea, mentre al terzo, subito sotto la particolare copertura, lo spazio per le esposizioni è completamente illuminato dalla luce naturale. Nel padiglione ovest, quello a destra della Griffin Court, il primo piano è invece organizzato per ospitare un nuovo punto shop del museo, alcuni servizi per i visitatori e le gallerie per esporre l’arte moderna e contemporanea. Al secondo piano la galleria è interamente dedicata all’architettura e al design,

In alto: facciata principale della nuova ala dell’Art Institute of Chicago, il nuovo Modern Wing. Intorno parte del grande giardino progettato dall’architetto paesaggista Guthrie Nichol Gustafson, impostato in modo da essere minimalista e rilassante, con essenze semplici e profumate. Sotto: sezione dell’edificio con studio del soleggiamento

SEZIONE

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Foto Campbel, The Art Institute of Chicago


Foto Nic Lehoux

Foto Nic Lehoux

mentre il terzo si caratterizza per il collegamento al Millennium Park attraverso il nuovo Bridgeway Nichols, un ponte pedonale a sbalzo, lungo un ottavo di miglio, che con la sua forma arrotondata bianca degrada dolcemente dal Modern Wing al Millennium Park passando a 30 piedi sopra Monroe Street. Il terzo piano del padiglione ovest è anche quello dove è stato organizzato il Bluhm Family Terrace, una terrazza all'aperto che ospita mostre di scultura contemporanea, si affaccia sul Millennium Park e dalla quale è possibile godere dello skyline della città e dell’ariosa vista sul magico lago Michigan. Realizzato con più di trecento milioni di dollari, il Modern Wing, una leggera e diafana struttura d’acciaio, vetro e pietra calcarea dell’Indiana ha una copertura di metallo soprannominata “tappeto volante”. Consiste in un reticolato di lame di alluminio modellate e gestite da un innovativo sistema automatico di oscuramento che consente di controllare l’ingresso della luce naturale all’interno dello spazio espositivo e mettere a punto una perfetta illuminazione. Tutto ciò è reso possibile grazie ai sistemi fotosensibili che sono stati inseriti all’interno della maglia di copertura e che sono in grado di regolare le diverse variazioni della luce a seconda dell’ora del giorno, della stagione e delle condizioni meteo e di far passare la luce proveniente da nord e filtrare quella da sud. Oltre alla luce l’altro elemento chiave del progetto è la sostenibilità. L’edificio è stato, infatti, premiato con il livello d’argento della certificazione LEED e a far raggiungere tale scopo ha sicuramente contribuito il sistema di doppia pelle delle pareti che permette, nelle gallerie, di ottimizzare l’isolamento, determinando un risparmio sostenuto di energia. Non a caso l’uso dell’energia stimata per la parte moderna è pari alla metà del consumo energetico dell’edificio esistente. C’è da ribadire comunque che durante la costruzione il cantiere è stato impostato così da ottenere il maggior recupero dei materiali di risulta. E la maggior parte del riscaldamento e raffrescamento è stato ripensato in funzione dei massimi sistemi di efficienza e risparmio, tant’è che l’anidride carbonica emessa dal campus del museo è stata ridotta del 9,6%. Contribuisce a tutto ciò anche il fatto che il 21% dell’area del lotto intorno al Modern Wing è terreno verde. Un verde progettato seguendo delle linee essenziali che creano un'oasi di 12mila metri quadrati pensati per il riposo e la contemplazione. Un giardino dotato di una zona con pietrisco e terrazzi d’erba, con comodi posti a sedere all'aperto per il riposo e il benessere dei nuovi fruitori del museo. Perché il museo non è più solo un contenitore, bensì un luogo dove sostare e trascorrere l’intera giornata. All’interno del giardino è alloggiata la più grande opera, realizzata dall’artista Ellsworth Kelly White Curve, su commissione di Jim Cuno in onore del predecessore James Wood, direttore dell'Istituto dal 1980 al 2004 e che ha avviato il progetto del Modern Wing.

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Foto Nic Lehoux


Una delle sale espositive del secondo piano appositamente progettate per ospitare l’arte del XX e del XXI sec. e da cui è possibile godere di un’ampia vista sullo skyline della città di Chicago. La sala, pur avendo uno studiato impianto di illuminazione artificiale, è stata progettata proprio per un uso diretto dell’illuminazione naturale e per offrire al fruitore l’arte esposta con lo sfondo dell’architettura contemporanea


Foto Nic Lehoux

PLANIMETRIA Sopra: sala del secondo piano. In alto, a destra: schizzo per lo studio della bioclimatica. A destra: una delle sale dell’ultimo piano avente come copertura il particolare sistema a fotocellule detto “tappeto volante”, che è in grado di regolare le diverse variazioni della luce a seconda dell’ora del giorno, della stagione, delle condizioni meteo e di selezionare la luce proveniente da Nord

CREDITI Progettista Renzo Piano Building Workshop Paris, France Realizzazione 2005/2008 Committente Art Institute of Chicago Studio Associato InterActive Design, Chicago Struttura Ove Arup & Partners, Londra Progetto del paesaggio Gustafson Guthrie Nichol, Seattle, Washington

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Foto Nic Lehoux


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da vedere

Conoscere architettura e design

CONCORSO “CARLO SCARPA, UNO SGUARDO CONTEMPORANEO” La Regione Veneto e il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, in collaborazione con MAXXI Architettura, bandiscono la prima edizione del concorso fotografico “Carlo Scarpa: uno sguardo contemporaneo”. Da tempo ormai Carlo Scarpa è una icona dell'arte del Novecento, non più solamente un beniamino degli architetti. La sua opera ha ispirato Orozco in una famosa installazione alla Biennale di Venezia del 2003 ed è da tempo una musa per fotografi e video makers. Questo concorso ha come obiettivo quello di allargare il mondo degli appassionati di Scarpa, ed è rivolto a fotografi under 35, chiamati a proporre una lettura critica originale di una o più architetture di Carlo Scarpa: un progetto visivo che, al di là di un singolo scatto “fortunato”, mostri coerenza stilistica ed espressiva. Le domande di partecipazione e il progetto fotografico dovranno pervenire alla segreteria organizzativa del concorso dal 1° marzo 2011 ed entro e non oltre l’8 maggio 2011. In base alla propria sensibilità, i giovani fotografi potranno scegliere di ritrarre una o più delle seguenti opere: il complesso monumentale Brion a

San Vito di Altivole (Treviso), il Museo di Castelvecchio e la facciata del Banco Popolare a Verona; a Venezia il sito monumentale dedicato alla Partigiana, il ponte della Fondazione Querini Stampalia, l’ingresso dell’Istituto Universitario di Architettura, gli esterni del negozio Olivetti, il Camping Fusina; a Vicenza il condominio in contrà del Quartiere e casa Gallo; il monumento in ricordo delle vittime di piazza della Loggia a Brescia, la facciata del negozio Gavina a Bologna. Entro la fine di maggio la Commissione selezionerà 11 finalisti e assegnerà, fra questi, 3 premi del valore di 1.500 euro (primo classificato), 1.200 euro (secondo) e 1.000 euro (terzo). Dal mese successivo le stampe fotografiche dei finalisti, e uno slide show di tutti gli scatti pervenuti al concorso, saranno presentati in una mostra allestita al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio che sarà corredata da un catalogo. I 3 vincitori saranno annunciati il giorno dell’inaugurazione.

gli sviluppi terrestri; applicare il pensiero strategico allo sviluppo urbano; valutare l’impatto urbano dei cambiamenti economici; analizzare come gli sviluppi infrastrutturali rafforzano le relazioni tra città e territori; riflettere sul ruolo della programmazione europea per lo sviluppo coeso del territorio comunitario; smart planning: l’impatto della innovazione tecnologica e culturale sullo sviluppo urbano. L’INU, Istituto Nazionale di Urbanistica, in collaborazione col PIWP, il gruppo di lavoro internazionale permanente delle Biennali, e con l’ECTP/CEU, Consiglio Europeo degli Urbanisti, sono impegnati a garantire la partecipazione attiva degli urbanisti europei.

Vicenza, maggio 2011

Genova, 14-17 settembre 2011

IX BIENNALE DELLA CITTÀ E DEGLI URBANISTI EUROPEI

TRIESTE E IL LIBERTY

La 9a edizione della Biennale ritorna in Italia 14 anni dopo la Biennale di Roma del 1997. I grandi cambiamenti intercorsi in Europa e nel mondo richiamano la nostra attenzione sul ruolo che le città possono svolgere a sostegno della competitività del continente europeo. Gli urbanisti intendono riflettere sul contributo che le discipline territoriali offrono allo sviluppo competitivo e coeso del continente europeo. Ecco i temi principali della manifestazione: dalle città porto, storici punti di contatto tra l’Europa e il mondo, alle città che oggi svolgono il ruolo di porte di accesso; considerare come la dimensione marittima influisce su-

In una città che all’alba del ’900, gli anni dell’esplosione della modernità, è al crocevia culturale, artistico ed economico tra l’Impero asburgico, a cui era soggetta, e l’Italia, da cui si sente fortemente attratta, la forte crescita demografica ha come conseguenza la costruzione di nuovi edifici abitativi, commerciali e di rappresentanza, in parte connotati dal tradizionale stile storico, di sapore classicista, ancora imperante, in parte aggiornati sulle novità di uno stile nuovo e moderno: il Liberty. Quello che rende assolutamente unico il “caso Trieste” è la coesistenza, non sempre facile, delle più diverse declinazioni del Liberty, che nell’architettura locale vede convivere lo stile floreale

“all’italiana” con presenze della Secession austriaca e del tedesco Jugendstil, e che si apre nel contempo al manifestarsi di un’anima “protorazionale”, anticipatrice di nuove espressioni. Il nuovo stile non si limita, come accade altrove, a diffondersi nell’area di un preciso quartiere, in ambiti circoscritti, ma permea la città intera: è proprio questo carattere diffuso all’interno del tessuto cittadino a renderlo forse più difficile da cogliere ma sicuramente più affascinante da scoprire. Di qui una mostra frutto di un’ampia ricognizione - ove sono stati censiti quasi 250 edifici – che intende fare il punto sul Liberty a Trieste, come paradigma, punto di riferimento e confronto con ciò che negli stessi anni accade in altre città italiane ed europee. La mostra, con sede nel Salone degli Incanti dell’Ex Pescheria, si propone di indagare i modelli culturali che si sono affermati in città all’inizio del XX secolo e sulle modalità con cui sono stati importati, scegliendo come filo conduttore il tema del costruire e dell’abitare, illustrato attraverso una vasta serie di preziosi documenti d’archivio – disegni e progetti, fotografie d’epoca, plastici – utili a descrivere non solo il percorso progettuale ma anche quello formativo di professionisti e maestranze. Ad emergere sono innanzitutto le vicende intellettuali: storie di architetti di matrice culturale italiana o centro-europea che in città esprimono, con convinzione, idee diversissime. Sono anche gli anni in cui i nuovi

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da vedere materiali, e in primis la pietra artificiale, consentono di modellare facilmente ciò che fino a quel momento richiedeva l’attività di scultori e lapicidi e tempi molto più lunghi e quindi costi infinitamente maggiori. Accanto al bianco e al grigio degli austeri edifici del potere si assiste all’esplosione di tinte pastello e di apparati decorativi tendenti ad animare le facciate degli edifici, creati per i ceti imprenditoriali e professionali, con effetti disegnativi che soppiantano le tradizionali strutture classicheggianti. È comunque un “nuovo” mediato dalle istituzioni preposte ad autorizzare la costruzione di nuovi edifici – le Commissioni delle fabbriche e dell’ornato - che spesso si mostrano prudenti, se non passatiste. Lo stile secessionista, per le sue caratteristiche di rottura, è infatti guardato con diffidenza dai poteri costituiti. Di conseguenza, per gli edifici a carattere pubblico e istituzionale – come le stazioni

ferroviarie e le sedi delle istituzioni, collocati nel centro della città vengono chiamati gli architetti più fedeli e vicini alla volontà autocelebrativa dell’impero asburgico. Quindi è nel progetto della casa di abitazione che si reperiscono le espressioni più aperte alla sperimentazione formale e materica e che si assiste a una maggiore libertà compositiva, aperta ai nuovi linguaggi.

Trieste, fino al 19 giugno 2011

MOA CASA Si rinnova l’appuntamento con l’eccellenza nazionale dell’arredo e del design a Moa Casa Primavera 2011. Presso la Nuova Fiera di Roma torna la mostra mercato dell'abitare organizzata dalla Cooperativa Moa, con la collaborazione della CNA e della Provincia di Roma. La manifestazione si estenderà su 3 padiglioni dedicati all'arredamento, con l’esposizione di prodotti di qualità per ogni

ambiente della casa, dal classico al moderno, proposti nelle più variegate soluzioni in termini di stile e design. Moa Casa partecipa ai festeggiamenti per i centociquant’anni per l’Unità d’Italia con uno spazio museo dedicato ad esclusivi pezzi unici che hanno arredato le più importanti case nobiliari della nostra nazione. Con questa singolare ed esclusiva mostra, Moa Casa vuole rendere omag-

gio al 150esimo dell’Unità d’Italia, raccontando la storia del nostro Paese attraverso pezzi d’arredo importanti del 1861, accostati ad altrettanti pezzi di design moderno. E sempre in tema di eccellenze, torna per il quinto anno Moa Gustibus, la mostra enogastronomica, reallizata in collaborazione con la Regione Lazio, dove i visitatori potranno intraprendere un gustoso viaggio tra nuovi e

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antichi sapori riscoprendo i cibi tipici della cucina italiana. Nella ricostruzione della celebre Campo de’ Fiori saranno tutti invitati ad assaggiare, degustare e acquistare diverse specialità enogastronomiche. Dai sapori di una tradizionale piazza Campo de’ Fiori, ai colori della futuristica Piazza Doppio Senso: l’Atelier Design Trasparente e Michele Fanfulli Studio nuovamente insieme per offrire ai visitatori di Moa la possibilità di toccare con mano il momento creativo del design. Al padiglione 2, all’interno di Piazza Doppio Senso, andranno in scena oggetti di design e case histories di bloggers ed aziende. Tra conversazioni intorno a tè, caffè e pasticcini sul tema del “fare rete” e workshop vari, si cercherà di capire insieme cosa significhi essere Artigiani/Designer 2.0 e come realizzare il proprio businnes, sfruttando al meglio i nuovi mezzi di comunicazione sociale. Gli artigiani/designers

di Doppio Senso, oltre al talento artistico, dimostreranno anche la loro capacità di fare networking sfruttando i social networks e cercando di raggiungere in maniera più semplice e diretta il consumatore/individuo. Quest’anno Moa Casa dedicherà molto spazio ai rivestimenti per i pavimenti e le pareti. Per chi sta pensando di ristrutturare la propria abitazione, sarà presente un’ampia scelta di piastrelle e parquet realizzati con materiali innovativi, presentati dalle aziende più qualificate e rappresentative. Per un arredamento che diventa sempre più personalizzato e rispecchia la personalità di chi lo vive, la scelta del dettaglio, delle linee e degli oggetti diventa fondamentale. È per questo che Moa Casa, attentissima alle richieste più esigenti, offre sempre ai propri visitatori le ultimissime tendenze in fatto di stile e design.

Roma, 30/4 - 8 maggio 2011

DESIGN CONTEST Cristalplant®, il materiale poliedrico e tecnologicamente avanzato a base di cariche minerali naturali, e MDF Italia, celebre marchio del design italiano sono partner nella 3a edizione del concorso Cristalplant® Design Contest, dedicato alla ricerca di progetti innovativi di tavoli, tavolini e complementi d’arredo realizzati in Cristalplant® e ispirati allo stile di MDF Italia. Il tema del concorso, che si è chiuso in gennaio, era Emozioni da toccare, pay off che unisce l’estro creativo di MDF Italia alle sensazioni tattili che scaturiscono dal Cristalplant®. Il Design Contest era rivolto ai giovani creativi nati dopo il 01/01/1971,

che hanno potuto presentare uno o più progetti. La premiazione dei vincitori si terrà in occasione di un anniversario importante e di grande attesa da parte di pubblico e stampa, il 50° Salone del Mobile di Milano: Cristalplant® Design Contest troverà spazio nel contesto del fuori Salone presso Superstudio Più di via Tortona 27. I progetti, selezionati a giudizio insindacabile di una giuria, saranno presentati a pubblico e stampa durante la premiazione del 13 aprile 2011 e inseriti nel catalogo di MDF Italia. La giuria sarà composta dai vertici di MDF Italia, Isidoro Fratus e Umberto Cassina rispettivamente Presidente e Vicepresidente, dal responsabile Ricerca e Sviluppo di MDF Italia Luciano Bon, dal responsabile marketing Cristalplant® Vittorio Pavarin e da illustri esperti nei settori dell’architettura e del design: Gilda Bojardi, avvocato, dal 1994 è direttore responsabile del Sistema Interni e

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da vedere da quest’anno del mensile Grazia Casa; Xavier Lust, laureato all’Istituto St. Luc di Brussels nella sezione Interior design; Enrico Morteo, architetto, ha collaborato con numerose riviste e case editrici, fra cui Domus, Abitare, Modo, Interni, Utet, Garzanti, Electa; Marco Romanelli, architetto, progettista e critico; Marva Griffin Wilshire, venezuelana ma milanese d’adozione, è curatrice dalla prima edizione, nel 1998, del SaloneSatellite; Anna Yudina, progettista grafico, nata a Mosca, vive e lavora a Parigi. Nel 2000 è co-fondatore di Monitor Magazine, rivista internazionale di architettura e progetto, di cui attualmente è deputy editor. I membri della giuria selezioneranno i progetti appartenenti alle due categorie in gara (tavoli e tavolini; complementi funzionali d’arredo) ed eleggeranno un progetto vincitore e un massimo di cinque menzioni speciali per ciascuna delle due categorie. MDF

Italia è l’azienda milanese di design, progettazione e produzione di mobili e complementi d’arredo che ha saputo distinguersi nel panorama internazionale grazie a collezioni di grande identità, i cui progetti interpretano in modo innovativo le necessità del villaggio globale. “Il concorso, oltre a valorizzare un materiale eccellente afferma Umberto Cassina, vice Presidente di MDF Italia - ha l’obiettivo di far emergere nuovi volti del design. Da sempre l’azienda ha svolto un ruolo di talent scout, selezionando prodotti sia di giovani e sconosciuti creativi, sia di affermati nomi dello scenario internazionale del design; tra questi il belga Xavier Lust il cui tavolo S Table, realizzato in Cristalplant® è stato insignito del riconoscimento ADI Design Index 2009 e concorre alla XXII edizione del Premio Compasso d’Oro ADI 2011”.

Milano, 13 aprile 2011

ORTOFABBRICA Ortofabbrica si ripresenta per la terza volta al Fuorisalone di Milano. Il riconoscimento da parte degli addetti ai lavori, dal pubblico e soprattutto dai media ha permesso di trasformare questo evento in un momento atteso. Grazie allo stile, all’originalità e alla raffinata presentazione, questo progetto, ideato, realizzato e promosso da Angelo Grassi, si distingue e si caratterizza nel-

l’ambito della settimana internazionale dedicata al design. La location si sposta in Via Savona 52: gli oltre 800 mq di spazio esterno e interno, saranno trasformati per ospitare Ortofabbrica, la manifestazione che si dedica con qualità al fare creativo. Design, artigianato, architettura, arte e moda collaborano ad un modello condiviso di eco-sostenibilità, recupero e stile. L’idea resta quella di allestire nel pieno


centro di Milano uno spazio dove diverse forme creative si riconoscono in una serie di valori condivisi: la semplicità e la funzionalità delle cose, l’importanza del passato per il recupero di un sentire autentico, la saggezza della natura nell’innovazione del presente, il gusto e la bellezza di ciò di cui ci circondiamo. In tale nuovo spazio Angelo Grassi proporrà la sua nuova linea e dal momento che ogni orto che si rispetti è composto da più prodotti, anche Grassi si farà affiancare da altri creativi che sono stati invitati per unirsi a lui creando insieme, ognuno per la propria specialità, lo scenario rappresentativo e armonico che ormai conosciamo ed attendiamo. Designer, architetti del paesaggio, decoratori del verde, artisti, artigiani tessili, stilisti e creativi che hanno in comune il pieno rispetto verso l’ambiente, la determinazione di recuperare metodi autentici e di riutilizzare materiali e prodotti per destinarli ad un se-

condo uso. In quest’occasione verranno inoltre presentati i tre vincitori della prima edizione del Contest Ortofabbrica tenutasi in Ottobre 2010 nella sede di Fabbrica a Gambettola (FC).

Milano, 12-17 aprile 2011

FESTARCH Festarch, Festival Internazionale di Architettura, giunto alla sua 3a edizione, sbarca a Perugia e Assisi. Ideato da Stefano Boeri, direttore del mensile Abitare, il Festival trasformerà Perugia e Assisi nell’epicentro planetario dell’architettura, del design e delle riflessioni sul futuro delle società urbane. Per quattro giorni, nelle piazze e nei luoghi più rappresentativi di Assisi e Perugia, si succederanno performace e incontri con alcuni degli architetti, progettisti e pensatori più importanti della scena internazionale. Tra gli ospiti alcuni protagonisti dell’architettura planetaria, come i pre-

mi Pritzker Kazuyo Sejiima e Tom Mayne; grandi maestri dell’architettura del ‘900 come Peter Eseinman, Peter Cook e Yona Friedman e alcuni dei progettisti più interessanti dell’attuale scena internazionale, come Bjarke Ingels, Dillier & Scofidio, Michael Maltzan, Giancarlo Mazzanti, Francois Roche, Benedetta Tagliabue e Bernard Khoury. Oltre a William McDonough, progettista cult delle più avanzate tendenze dell’architettura sostenibile. Ac-

canto a loro, i protagonisti della didattica e dei media dell’architettura internazionale come Mohsen Mostafavi, Preside della Graduate School of Architecture di Harvard; Kurt Forster, direttore della 9a Biennale di Architettura; Ole Bauman, direttore del NAI di Rotterdam, Joesph Grima direttore di Domus e Geoff Manaugh, autore di un notissimo blog di architettura. Ma Festarch non è solamente architettura. È anche dialogo sul futuro delle nostre città con esponenti di altre discipline, come quelle del design. Con interventi, tra gli altri, di Jasper Morrison, Enzo Mari, Alessandro Mendini e dell’arte contemporanea, rappresentata a Festarch da presenze come quelle di Maurizio Cattelan e di Hans Ulrich Obrist, codirettore della Serpentine Gallery di Londra. Festarch è anche ricerca, sperimentazione, radicamento nel territorio.

Perugia/Assisi, 2-5 giugno ‘11

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La progettazione di cucine per i locali è un’attività che richiede cura ed esperienza. Ma non solo. Richiede un’approfondita conoscenza di tutte le soluzioni più innovative che il mercato può offrire. Emmepi srl dal 1947 produce questo tipo di soluzioni a supporto della moderna ristorazione e del vivere “fuori casa”, consentendo a designer e architetti di perseguire le forme e i concept più moderni senza rinunciare a elevati standard tecnologici e performance di altissimo livello. La ricerca su materiali e tecnologie produttive è costante e permette a Emmepi di proporre soluzioni che assicurano qualità e confort, senza trascurare l’estetica e proponendo quindi un design pulito ed elegante pensato per le persone che nelle cucine devono lavorare. L’azienda è sempre rimasta, dalla sua fondazione ad oggi, nelle mani della famiglia Mantelli, che ha voluto mantenere lo stile, la trasparenza e la qualità che da sempre l’hanno caratterizzata. Tra le linee prodotte dall’azienda con sede a Gerbido di Mortizza in provincia di Piacenza, “Bar System” è una gamma completa di funzioni modulari e arredabili che permettono di soddisfare ogni esigenza di moderne caffetterie, cocktail bar e di tutte le varianti del complesso mondo della ristorazione veloce. Nell’ampia gamma di funzioni modulari troviamo piani unici continui completi di vasche e accessori, celle refrigerate in ogni possibile soluzione, stazioni barman, banchi di spillatura birre e drink, espositori e vetrine refrigerate e calde, ogni soluzione di moduli attrezzati neutri e speciali. Il lavoro dell’architetto si può così facilmente concentrare sulle scelte di design, certo di ritrovare poi nella

vasta gamma “Bar System” la miglior arredabilità, nonchè ogni funzione specialistica dedicata ai nuovi modelli della ristorazione veloce. Diversi piani su misura e una vasta gamma di basi refrigerate, espositori, vetrine da incasso, funzioni specialistiche e centinaia di accessori, rappresentano l’ingegnoso “dietro le quinte” di Emmepi srl a servizio di designer e, ovviamente, di barman. L’azienda offre, inoltre, importanti servizi. Mette a disposizione degli studi di architettura una completa libreria di file tridimensionali, archivi di impiantistica elettrica e idraulica, materiale tecnico e commerciale. Presso la sede di Piacenza è sempre disponibile un ufficio tecnico pronto a sviluppare la progettazione degli impianti seguendoli sino alla fase di realizzazione. Con le sue strutture tecniche, inoltre, Emmepi si rende disponibile ad eseguire i lavori di installazione su tutto il territorio, sia nazionale che internazionale.


L’HOTEL SELECT di Riccione è un Italy Family Hotels con servizi specializzati per famiglie e bambini. Non viene però trascurato il servizio per il business. L’HOTEL SELECT offre molti vantaggi e strutture dedicate ai soggiorni di lavoro;è infatti possibile organizzare piccoli meeting nel business office da 25 persone o cene aziendali. L’ultima novità riservata ai clienti è l’esclusivissima “Le Ninfe SPA”, 250 mq di centro benessere con piscina, zona relax con tisane, percorso kneipp, bagno turco, sauna finlandese, grotta del sale e doccia emozionale. Viale Gramsci, 89 - 47838 Riccione - Tel. 0541.600613 www.hotelselectriccione.com


F.lli Vellani CONTROTELAI PER PORTE E FINESTRE - PORTE INTERNE TELAI IN LEGNO - TELAI LEGNO E ALLUMINIO La Ditta F.lli Vellani ha studiato un nuovo tipo di profilo per falsitelai, finestre e balconi ponendo attenzione alla certificazione per conduttibilità termica ed isolamento acustico dei controtelai sia del tipo in alluminio + legno che di quello in legno-legno. Sono stati raggiunti ottimi e soddisfacenti risultati e, alla data odierna, siamo già in possesso della certificazione dei vari modelli di falsitelai tipo L (legno-legno e alluminio-legno), con varie tipologie di muri con e senza isolamenti. Sarà, perciò, possibile dimostrare i notevoli vantaggi di questi profili in confronto agli altri cosiddetti normali o in lamiera zincata. I falsitelai della Ditta F.lli Vellani, in legno-legno come in alluminio-legno, vengono montati con una gomma autoespandente sia sul lato interno che sul lato esterno, e con listello per taglio termico anch’esso con gomma autoespandente. Sul lato esterno del falsotelaio viene applicato un particolare trattamento affinché la calce riesca a fare presa, e sulla tavola spessore del muro viene incollata una rete in modo che resti sotto l’intonacatura e che permette che non si creino distacchi fra la calce e il legno, cosa, invece, che accadeva precedentemente. La Ditta effettua qualsiasi tipo o modello di falsotelaio per finestre, anche per PVC, metallo e finestre in legno.

Tra pochi giorni saranno inseriti anche sul nostro sito internet i vari disegni sotto descritti, con varie tipologie di costruzioni di muri. SPAZIO PREDISPOSTO PER INSERIMENTO GOMMA AUTOESPANDENTE 95 mm cm 100

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Trattamento particolare per il fissaggio della tavola in legno al muro nel riempimento con cemento o calce

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mutazioni

LA DIALETTICA COSTRUTTIVA È IL FUTURO DELLA DOMOTICA BISOGNA CONSIDERARE LA DOMOTICA COME UNA VERA E PROPRIA SCIENZA INTERDISCIPLINARE. SERVONO OPERATORI SPECIALIZZATI CHE FACCIANO DA UNIONE FRA I DISTRIBUTORI, GLI INSTALLATORI, I COSTRUTTORI E L’UTENTE sentirsi a proprio agio nel pensare alla casa come alla “propria casa”, senza provare sensazioni spiacevoli di poca usabilità e senza avere paura di tecnologie percepite come aliene. Soprattutto deve potersi fidare del professionista che segue l’evoluzione del suo abitare, e sentirsi libero di non subire questa “evoluzione” ospitando in casa e venendo sopraffatto, da dispositivi, sistemi e soluzioni non adatti alla situazione. Analizzando la vita di tutti i giorni, occorre porsi sempre almeno queste domande: • Mi metterei in casa il sistema che sto proponendo a questo cliente? • Che punti deboli ha? Avete mai fatto studi di usabilità e vivibilità dell’impianto che state per progettare per una casa? Dal punto di vista delle soluzioni architettoniche sono sicuro di sì, ma molto spesso l'interazione con chi si occupa dei sistemi tecnologici è, da mia esperienza, molto sottovalutato e comporta sempre, in fase realizzativa, problemi di difficile soluzione che alienano l'impianto dalla regola d'arte a cui in fase progettuale si tende naturalmente. La domotica può anche non vedersi per forza e dare comunque una sensazione di maggiore controllo, comfort e sicurezza. Ecco quindi emergere una nuova professionalità, fondamentale in questo campo che, anche solo come consulente per chi progetta o propone e installa le soluzioni scelte, può dare nuova linfa e nuove opportunità di lavoro: il consulente di domotica o di integrazione, una persona che ha una visione a 360° di queste tecnologie e del mercato e che sa guidare chi poi si occuperà dell’installazione vera e propria, nella scelta delle giuste soluzioni. Se questo meccanismo entrasse in gioco in sinergia con l'architetto che si occupa della progettazione, sarebbe molto più semplice raggiungere l'idea e l'ideale che muove ogni progetto ispirato. Le soluzioni, quindi, non possono prescindere da alcuni punti fermi. Se vogliamo che la clientela cresca e con essa cresca il mercato, il primo traguardo sono gli standard, perché la giungla di possibilità indiscriminate, senza un filo condut-

Gabriele Tassoni è ingegnere, socio fondatore della Taris srl, azienda che opera negli ambiti di ingegneria del software, sistemi informativi, domotica, SOA, migrazioni verso standard aperti e formazione. Si occupa di integrazione e controllo nella domotica e insegna all’Università di Urbino questa stessa materia. Nella propria azienda si occupa della direzione tecnica, progettazione e sviluppo di nuove soluzioni.

Domotica è una parola su cui negli ultimi anni si sono concentrate molte speranze e aspettative, ma a dirla tutta, il nuovo mercato che da essa è stato generato, non appare ancora ben sviluppato e “sano”. Questa affermazione, che può apparire molto forte, deriva dall’osservazione diretta e sul campo dei processi decisionali, progettuali e delle metodologie implementative che, negli ultimi dieci anni, i player di questo settore e i clienti dello stesso, si sono trovati a imporre o subire. Se teoricamente dovremmo essere tutti noi, operatori, a decidere la direzione che questo mercato deve prendere, mi sento anche di dire che le decisioni prese finora non hanno sempre favorito la creazione di un sottobosco fertile per la sua crescita. L’obiettivo di questo articolo è proprio condividere con voi, partendo da questa visione un po’ pessimistica, alcune considerazioni e provocazioni che portino ad instaurare un dialogo costruttivo per la crescita della domotica nel nostro Paese. Negli anni ho notato che spesso, chi già opera in questo mercato, si interroga sul perché questa disciplina, potenzialmente remunerativa e interessante per vari aspetti, stenti a decollare. Un secondo aspetto può essere individuato nel fatto che si continuano a usare gli stessi metodi di lavoro di sempre, senza preoccuparsi della diversità endemica di questo campo che non può essere considerato, come molti vorrebbero, una semplice estensione del mercato elettrico o dell’audio/video, ma un vero universo tecnologico che apre nuove sinergie per essere meglio progettato, installato e mantenuto. In altre parole non appare sufficiente riproporsi e riciclarsi, ma è necessario riuscire ad approcciarsi ad una vera scienza interdisciplinare, complessa, nata anche, ma non solo, dalle due branche citate in precedenza e che di fatto racchiude forti competenze anche nei campi dell’informatica e della trasmissione dati. Appare inoltre completamente rivoluzionato il rapporto umano che si instaura col cliente, in genere molto limitato negli impianti tradizionali, ma centrale in questo nuovo campo che deve permettere all’utente di

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mutazioni 1. Appartamento di pregio, domotica e tecnologia studiate integrate nell'architettura 2. Particolare dello stesso appartamento di pregio, l'installazione tecnologica e la scelta dei materiali convivono nel creare un ambiente piacevole e vivibile

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tore è un fattore di sconforto per i clienti che si sentono troppo legati da soluzioni che li obbligano per la vita a sposare un marchio piuttosto che un altro, ostaggi di soluzioni non sempre sagge, proposte da lavoranti che, invece di conoscere il mercato e le soluzioni possibili, si fanno impacchettare preventivi dai commerciali delle aziende produttrici, non andando al di là del singolo prodotto e perdendo tutta la potenzialità e la flessibilità di una soluzione che integri le migliori tecnologie al servizio delle esigenze del cliente. Spesso, in questo campo, una soluzione che preveda per tutti gli aspetti fondamentali dell’abitare (comfort, sicurezza e svago) un solo marchio, tende a non rispondere adeguatamente alla domanda: “il sistema che propongo lo metterei a casa mia? Ha qualche punto debole?” Certo che lo avrà, non esistono applicazioni che da sole fanno tutto e bene, ogni sistema ha la sua forza in alcuni ambiti ed è meno adatto in certi altri; sta a questa nuova figura professionale guidare le scelte di integrazione tecnologica che devono portare a proporre la soluzione che maggiormente risponda alle esigenze del cliente. Un esempio classico, tratto da esperienze vissute in cantiere, lo propongo ai miei studenti, con cui tratto la distinzione fra sistemi centralizzati e distribuiti: un appartamento, se so che cosa sto proponendo, non lo vorrò mai fare con solo domotica di tipo centralizzato, troppo inaffidabile, con quel concetto di “single point of failure” imperante, che da sempre nelle reti dati si cerca di evitare, come non sogno nemmeno di pensare che un sistema distribuito sia la soluzione migliore per domotizzare una sala conferenza in tutti i suoi aspetti: in un ambiente in cui è così importante l’interazione con i dispositivi audio e video, nessun sistema distribuito sarà mai così intelligente da poter gestire le informazioni complesse che regolano l’uso di apparecchiature per l’intrattenimento. Viene quindi da sé che, la soluzione migliore sia quella mista, individuando così quale soluzione adattare per ogni problema che viene posto. Tutto ciò per dire che, se vogliamo che il clien-

te non si spaventi, chiudendo il mercato, facendo spargere incontrollate voci di costi esorbitanti per il servizio ottenuto (perché non è mai una questione di costi assoluti, ma sempre relativi alla soddisfazione che l’utilizzatore trova nel suo investimento), non si può improvvisare la domotica, proponendo soltanto rigide soluzioni già pronte “tutto in uno”, ma sviluppare integrazioni che possono diventare soluzioni chiavi in mano e scalabili in base alle richieste che il cliente, nel tempo, proporrà al proprio riferimento. Questo si realizza mettendo in comunicazione sistemi centralizzati per gestire comandi complessi, ma non fondamentali per la vita della casa, con sistemi distribuiti più affidabili nell’uso quotidiano. Questi spunti di riflessione spero inneschino quella dialettica costruttiva che manca in questo campo. Molte altre considerazioni possono essere fatte, ma la principale è sicuramente il fatto che servono operatori specializzati nella domotica, che si pongano anche semplicemente come consulenti verso le aziende e i professionisti che storicamente progettano e queste ultime devono avere la saggezza di comprendere che, se non conoscono questo mercato, piuttosto che continuare a legarlo a scelte sbagliate e soddisfazioni incerte dei clienti, devono chiedere aiuto a figure formate e appassionate di questo mondo, in modo da evitare loro la giungla e le trappole che fino ad ora hanno minato il percorso di crescita di questo mercato. A questo punto, dopo considerazioni forse nuove nella domotica, vediamo di porre le basi comuni per un dialogo. Innanzitutto, cos’è la domotica? La risposta che mi viene più naturale è: scienza dell’abitare. Lasciando perdere definizioni più accademiche, quello che interessa è che questa disciplina sia nata decisamente in ritardo rispetto alle tecnologie sulle quali si basa e per questo motivo si è faticato moltissimo ad arrivare ad uno standard riconosciuto. In più, la frammentazione degli standard crea vere e proprie guerre fra le aziende produttrici per impedire la diffusione dei dispositivi dei concorrenti, fortunatamente la sua crescita in questi anni sta avendo un ritmo esponenziale e il mercato ha obbligato vari produttori ad unirsi in consorzi di dimensioni sempre maggiori, favorendo lo sviluppo di standard multi marca che riportano in mano al cliente e al professionista oculato, l’arma della scelta. La domotica nasce per rispondere alle più disparate esigenze degli utilizzatori di un’abitazione. Le sue sfide possono essere riassunte in alcune categorie principali: • Risposta all’accresciuto fabbisogno di sicurezza: è certamente la prestazione più richiesta ad un sistema domotico, sia esso domestico o industriale. I sistemi di sicurezza sono in genere costituiti da una centrale a cui sono collegati vari tipi di sensori che rilevano la presenza di persone, di fumo, di acqua e gas. In caso di allarme, la centrale interviene per gestire le situazioni di pericolo. • Risparmio energetico: questo aspetto diventa quanto mai importante nella building automation, in un’epo-


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3. Calore e asetticità convivono con l'ideale sparizione di ogni riferimento tecnologico 4. Living room moderna, tecnologia in vista, ma senza perdere armonia

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ca in cui il fabbisogno energetico e l’inquinamento ambientale hanno raggiunto livelli preoccupanti. Grazie alla domotica è possibile ottimizzare l’utilizzo delle risorse e limitare gli sprechi, ad esempio: spegnendo luci inutili, quando le stanze sono vuote, in grandi edifici come scuole e uffici pubblici apporterebbe già un notevole risparmio per gli enti statali che devono pagare per tali servizi, nonchè una sensibile diminuzione dei bisogni energetici. • Consentire la comunicazione da e verso la propria abitazione: gli impianti domotici, essendo costituiti da componenti elettronici programmabili, si prestano molto bene al controllo a distanza. Ciò permette di offrire numerosi servizi quali la ricezione di comandi dall’esterno, l’invio di messaggi in caso di allarmi, la programmazione in remoto. In questo modo è possibile “comunicare” con l’edificio senza essere presenti, consentendo di monitorarne continuamente tutti i parametri e di sentire la propria abitazione sempre vicina. • Miglioramento della qualità della vita delle persone: oltre ad offrire innumerevoli servizi accessori a chi abita un qualunque edificio, la domotica mira a rendere più gradevole la permanenza degli individui nell’edificio stesso, sia esso di tipo residenziale, sia di tipo lavorativo, controllando costantemente i parametri di illuminazione e riscaldamento. La domotica aiuta inoltre tutti quei soggetti disabili o con debilitazioni, cercando di diminuirne le difficoltà e aumentare le possibilità di accesso a servizi altrimenti irraggiungibili, più in generale aumentandone l’autonomia. Come preannunciato nella prima parte dell’articolo, esistono una molteplicità di fattori che influenzano negativamente lo sviluppo del mercato domotico. Essi derivano dai fattori più svariati e possono essere riassumibili con il seguente elenco: • Mancanza di cultura tecnologica da parte dell’utente finale, spesso usata impropriamente come arma da operatori del settore che mirano a creare il proprio orticello, a discapito del mercato generale. È ancora molto improbabile trovare oggi una persona di età matu-

ra favorevole ad una innovazione di questo tipo nella propria abitazione. Nell’ottica di questa classe di persone la tecnologia invece che semplificare la vita tende ad alienare la propria esistenza. Computer, cellulari, bancomat sono dispositivi automatizzati con cui non si può stabilire un dialogo, pertanto sono visti come nemici. Pensare di dotarsi di dispositivi simili a questi nella propria abitazione sarebbe l’ultimo dei desideri. • Per molto tempo c’è stata una totale assenza di uno standard condiviso. • Carenza di preparazione da parte degli operatori professionali: in genere l’installatore tende ad utilizzare la soluzione più semplice considerate le proprie competenze, piuttosto che la più adatta all’utente finale. • Incapacità, da parte dei player di questo mercato nel far capire pienamente all’utente finale quali sono le potenzalità di questa tecnologia. Pensare al risparmio energetico e alla semplificazione della vita dell’utente finale è un atteggiamento virtuoso. Pensare solamente alla visceralità delle soluzioni attuabili è un atteggiamento che troverà terreno fertile in un’utenza di alto livello, ma una pessima idea per un’utenza più comune. • Incapacità di progettare interfacce veramente pensate per l’utente. L’interazione uomo-macchina dovrebbe essere una materia cardine della disciplina, se si vuole che tutti gli utenti apprezzino a pieno le potenzialità di questa tecnologia. • Mancanza di predisposizione per la domotizzazione futura negli edifici. Inserire un impianto domotico in un edificio significa dover inserire nuovi dispositivi nella parete, spesso cambiare il quadro elettrico e stendere nuovi cablaggi. Nel caso in cui un edificio non abbia canaline interne della sufficiente grandezza, nonchè scatole elettriche facilmente raggiungibili e su cui sia possibile operare diventa pressochè impossibile inserire e collegare dispositivi intelligenti. Soluzioni completamente wireless sono ancora costose e relativamente poco affidabili a causa della presenza di batterie di alimentazione prone alla scarica, alloggiate sui dispositivi. È da notare come tutta questa disamina si appoggi sul concetto di modularità delle soluzioni proposte, concetto mai abbastanza approfondito in fase di progettazione, che può concorrere ad aprire il mercato, abbassando i prezzi e a migliorare l'esperienza abitativa. Proprio per queste motivazioni è nata la figura del consulente di integrazione, evoluzione del system integrator, il quale non si deve occupare della stesura degli impianti, bensì della loro scelta e della progettazione delle soluzioni ai problemi esposti in precedenza. Si tratta della figura che, per competenze e ruolo all’interno del mercato può divenire il punto di unione fra i distributori, gli installatori, i costruttori e l’utente. Proporre soluzione domotiche non significa solo distribuire tecnologia in una abitazione, ma concertare questa potenzialità con tutti gli aspetti dell'abitare per creare valore.






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