Paura e criminalità a Firenze.Metodo per lo studio dei due fenomeni e delle loro correlazioni cor

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SCUOLA DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA IN PIANIFICAZIONE DELLA CITTÀ DEL TERRITORIO E DEL PAESAGGIO

PAURA E CRIMINALITÀ A FIRENZE PROPOSTA METODOLOGICA PER LO STUDIO DEI DUE FENOMENI E DELLE LORO CORRELAZIONI

RELATORE: Prof. Iacopo Zetti LAUREANDO: Claudio Catapano

Anno Accademico 2018/2019


SCUOLA DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA IN PIANIFICAZIONE DELLA CITTÀ DEL TERRITORIO E DEL PAESAGGIO

PAURA E CRIMINALITÀ A FIRENZE PROPOSTA METODOLOGICA PER LO STUDIO DEI DUE FENOMENI E DELLE LORO CORRELAZIONI

RELATORE: PROF. IACOPO ZETTI

LAUREANDO:

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CLAUDIO CATAPANO

ANNO ACCADEMICO 2018-19

INDICE INTRODUZIONE.................................................................................6 CAPITOLO 1 – PERCEZIONE D’INSICUREZZA IN CITTÀ....................................................................................................... 10 1.1 PAURA, RISCHIO E INSICUREZZA.........................................................10 1.2 VALUTAZIONE DEL PERICOLO ED EFFETTO COPING............................13 1.3 SOGGETTIVITÀ E COLLETTIVITÀ DELLA PAURA....................................21 1.4 IMPREVEDIBILITÀ DEL CRIMINE...........................................................27 1.5 ATTACCAMENTO AI LUOGHI.................................................................30 1.6 IL DIVERSO.......................................................................................... 36 1.7 LE INCIVILTÀ........................................................................................ 47

CAPITOLO 2 – DATI STATISTICI...........................................54 2.1 PREOCCUPAZIONI PRIORITARIE DELLA SOCIETÀ..................................54 2.2 EVOLUZIONE DEI CRIMINI....................................................................58 2.3 DISTRIBUZIONE TERRITORIALE...........................................................74

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2.4 INCIDENZA DEGLI STRANIERI..............................................................85 2.5 POSSIBILI CAUSE DELLA MAGGIORE PROPENSIONE ALLA CRIMINALITÀ DEGLI STRANIERI...................................................................................... 93 2.6 APPROCCIO DEI CITTADINI ITALIANI..................................................107

CAPITOLO 3 – DILATAZIONE E CONTRAZIONE DELLA PERCEZIONE D’INSICUREZZA..........................115 3.1 LA PROLIFERAZIONE DELLA PAURA IN SEGUITO AI DETTAMI DELLA CARTA DI ATENE E LA NASCITA DEL MODERNISMO ARCHITETTONICO....115 3.2 GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE SUL SENSO CIVICO E L’APPARTENENZA TERRITORIALE............................................................125 3.3 IL BUSINESS DELLA PAURA................................................................130 3.4 IL RUOLO DEI MASS MEDIA...............................................................136

CAPITOLO 4 – FEARSCAPES: URBAN SPACE AND THE LANDSCAPES OF FEAR SECONDO SIMONE TULUMELLO..................................................................................... 152 4.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO...........................................................152 4.2 ENCLOSURE...................................................................................... 154 4.3 BARRIER............................................................................................ 163 4.4 POST-PUBLIC SPACE..........................................................................173 4.5 CONTROL.......................................................................................... 183 4.6 CONCLUSIONI SULLO STUDIO...........................................................194

3


CAPITOLO 5 – PROPOSTA METODOLOGICA............197 5.1 ELABORAZIONE DEL METODO DI ACQUISIZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE..................................................................................... 197 5.2 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI CRIMINI ............................................................................................................... 199 5.3 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA PAURA E SULL’INSICUREZZA..............................................................................201 5.4 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE DENSITÀ ABITATIVE.................................................................................205 5.5 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE POSSIBILI AREE AFFETTE DA SEGREGAZIONE TERRITORIALE.................206 5.6 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI TESSUTI URBANI................................................................................................... 210 5.7 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI FLUSSI TURISTICI................................................................................................ 212 5.8 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE AREE AFFETTE DA FENOMENI DI ABBANDONO.................................................214 5.9 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE

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ENCLOSURE GENERATE DALL’IMPERMEABILITA’ SOCIO-SPAZIALE DELLE RETI INFRASTRUTTURALI PRINCIPALI.......................................................216 5.10 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA DISTRIBUZIONE DELLE TELECAMERE DI VIDEO-SORVEGLIANZA A GESTIONE PUBBLICA............................................................................... 223 5.11 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA DISTRIBUZIONE DELLA RENDITA IMMOBILIARE.......................................225 5.12 INTERPOLAZIONE GEO-STATISTICA DEI DATI ACQUISITI – CALCOLO DEI MATCH.............................................................................................. 227 5.13 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI STATISTICHE RICAVATE DALL’ANALISI DEL REPORT DI RICERCA...................................................231

CONCLUSIONI................................................................................. 234 REPORT DI RICERCA – QUESTIONARIO ONLINE. .240 BIBLIOGRAFIA................................................................................ 247 SITOGRAFIA..................................................................................... 264

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INTRODUZIONE Alla base dello studio effettuato vi sono i temi della paura e della criminalità. In particolare, si pone l’attenzione sulla percezione d’insicurezza espressa dai cittadini del Comune di Firenze e la distribuzione geografica di un campione di reati penali commessi all’interno dei confini amministrativi. Le motivazioni di questo studio sono legate alla necessità d’indagare le cause dei due fenomeni e le loro possibili interrelazioni, in un contesto storico viziato da una fitta coltre di paura, alimentata dai toni del dibattito politico nazionale ed internazionale e nella quale troppo spesso vengono individuati

dei

capri

espiatori,

dovuta

allo

scontro

tra

l’insicurezza

ontologica di cui tratta Giddens (legata al peso della perdita di valori, certezze e riferimenti culturali ed il relativo smarrimento identitario) e una recrudescenza del senso del territorio e delle micro-identità locali già

6


preconizzata dal futurologo Naisbitt. L’obiettivo è quello di dotare i vari soggetti coinvolti nel governo e nella tutela delle città e del territorio, di uno strumento che al netto delle dovute approssimazioni relative alla scala di lavoro, sia in grado di individuare le cause alla base della formazione del sentimento d’insicurezza in città, di decifrare le dinamiche criminali e di estrapolare eventuali correlazioni tra i due fenomeni. Dopo aver condotto un’indagine sulla percezione d’insicurezza in città mediante un questionario distribuito online ed ottenuto la possibilità di mappare 200 crimini penali archiviati, compiuti all’interno del Comune di Firenze, sono state approfondite una serie di teorie riguardanti la paura e il crimine, grazie ad ognuna delle quali è stato possibile estrapolare e sviluppare dei dati statistici, geostatistici oppure entrambe le tipologie di dati. Le elaborazioni così ottenute sono state infine confrontate, mediante la metodologia che sarà illustrata più avanti, con le aree ritenute insicure e con quelle affette da criminalità. La tesi è articolata in 5 capitoli: Nel primo capitolo vengono descritti i concetti di paura, rischio e insicurezza, le modalità con le quali insorgono e i

7


fattori che contribuirebbero a generarli. Nel secondo capitolo vengono esposti dati statistici riguardanti le preoccupazioni prioritarie della società, l’evoluzione dei crimini e la loro distribuzione territoriale, l’incidenza degli stranieri e le possibili cause della loro maggiore propensione alla criminalità ed infine l’approccio dei cittadini italiani rispetto alla multiculturalità e alla competizione sul mercato del lavoro. Nel terzo capitolo sono analizzati quei fattori in grado di operare una dilatazione e/o contrazione della percezione d’insicurezza. Nel quarto capitolo viene approfondito uno studio effettuato dal Prof. Simone Tulumello, Ordinario dell’Università di Lisbona, riguardante alcuni processi spaziali coinvolti nella proliferazione della paura. Nel quinto ed ultimo capitolo infine, vengono descritti la metodologia applicata per lo studio dei due fenomeni ed il confronto tra di essi, le elaborazioni statistiche ricavate dalle risposte del questionario e quelle geostatistiche ricavate dalle varie teorie approfondite. La metodologia applicata, nonostante l’esiguo numero di procedimenti penali messi a disposizione dalla Dott.ssa Marilena Rizzo e dal Dott. Giuseppe

Creazzo,

rispettivamente

Presidente

e

Procuratore

della

Repubblica del Tribunale di Firenze, ha consentito comunque di analizzare diversi fattori legati alla paura e al crimine che saranno dettagliatamente esposti nelle conclusioni finali della tesi.

8


1. FLUSSO DI LAVORO

9


CAPITOLO 1 – PERCEZIONE D’INSICUREZZA IN CITTÀ 10


1.1 PAURA, RISCHIO E INSICUREZZA La paura nasce in un corpo a forma di mandorla situato nel lobo temporale mediale

dei

due

emisferi

cerebrali,

l'amigdala,

il

nostro

database

emozionale. La sua attivazione in seguito a segnali paurosi stimola il rilascio di ormoni come l'adrenalina, dopamina e noradrenalina ed attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l'intestino al fine di prepararci al meglio all'eventuale combattimento o alla fuga. Mentre quindi le nostre pupille e i nostri bronchi si dilatano, il respiro e il battito cardiaco diventano piĂš frequenti, la pressione sanguigna e l'apporto di glucosio ai muscoli scheletrici

aumentano,

l'ippocampo

(implicato

nei

processi

di

apprendimento e memoria) e la corteccia prefrontale sfogliano i sistemi mnemonici alla ricerca di ogni informazione utile per rispondere alla situazione di paura nella quale ci troviamo. La paura oltre ad essere stata essenziale nel percorso evolutivo del genere umano, ha istaurato un rapporto costante con esso e con i luoghi del suo vivere, le cittĂ . Dagli innumerevoli templi eretti dai greci in onore delle divinizzazioni del timore (Deimos) e della paura (fobos) alle mura romane, dalle fortezze arabe alle torri medioevali, la paura ha sempre plasmato la morfologia degli insediamenti urbani imponendosi come elemento perpetuo nella storia umana.

11


Per Amendola1, verrebbe avanzata da più studiosi l'ipotesi secondo la quale, l'attuale paura della criminalità e del senso d'insicurezza in città, sarebbero semplicemente le nuove forme specifiche della paura in quanto tale del periodo storico che viviamo. Secondo la tesi, in seguito all'evento catastrofico della seconda guerra mondiale e al periodo che gli è succeduto, segnato da una sconfinata fiducia, dallo sviluppo economico-demografico e dal benessere psico-fisico assicurati dai nascenti Welfare State in tutta Europa, la paura, si sarebbe ripresentata con nuova forza assumendo le forme dell' insicurezza urbana e di un futuro reso incerto dalle fluttuazioni economiche, dalle crisi delle istituzioni democratiche e dal progressivo affievolimento di forti valori di riferimento. Se prima la paura e la percezione d'insicurezza erano saldamente ancorate in pericoli realmente effettivi e alle esperienze dirette di vittimizzazione dei soggetti coinvolti, dagli anni '70 la domanda di sicurezza ha subito un forte aumento

diventando

un

fenomeno

collettivo

capace

d'indirizzare

2

l’”organizzazione della vita sociale" . "Dopo mezzo secolo circa di illusioni e di sicurezza, la nostra capacità culturale

di

convivere

con

l'incertezza

e

la

paura

sembra

essersi

1 Amendola G. (2003). Paure in città – Strategie ed illusioni delle politiche per la sicurezza urbana. Liguori Editore, Napoli 2 Ibidem.

12


enormemente affievolita. Il rischio ed il diffuso sentimento di insicurezza sembrano costituire addirittura il tratto caratterizzante della nostra epoca" 3. In concomitanza con questa "collettivizzazione della paura" (confermata da una diffusa uniformità degli indici di paura ed insicurezza tra diversi paesi e città occidentali) ed al vistoso strappo nel precedente parallelismo tra percezione d'insicurezza ed effettiva incidenza dei crimini penali commessi, si sta registrando secondo Giddens 4 una crescente "individualizzazione" della società,

causa dell'incremento delle difficoltà di traduzione di quei

sintomi alla base della percezione d'insicurezza, sempre più rilegati alla sfera della soggettività. Una volta appurata l'indipendenza tra paura del crimine e andamento reale dei reati, approfondiremo quindi, sia la suddetta incongruenza attraverso dati statistici oggettivi che il sentimento d'insicurezza e la percezione di rischio e pericolo ben confluiti nel termine crime complex mediante il quale l'Amendola descrive la sindrome del pericolo della criminalità che ha ormai infettato la quotidianità dei cittadini della gran parte dei paesi occidentali comportando gravissime "conseguenze sociali e psicologiche" 5. In questo senso, sono molti i ricercatori a sostegno della tesi secondo la quale l’insicurezza inciderebbe pesantemente nei processi d'insorgenza

3 Ibidem. 4 Giddens A. (1990). The Conseguences of Modernity. Polity Press, Cambridge. 5 Santinello M. & P. Gonzi & L. Scacchi (1998). Le Paure della Criminalità. Aspetti Psicosociali e di Comunità. Giuffré, Milano.

13


dell’ansia e dello stress6.

Si rende necessaria prima di proseguire, un ulteriore distinzione tra il concetto di rischio e quello di paura che ci è data dalla natura statistica del primo.

A

differenza

della

paura

infatti,

al

rischio

attribuiamo

una

quantificazione probabilistica, esprime infatti la probabilitĂ di risultare vittima di un attacco criminale rivolto alla propria persona, a persone terze a noi vicine o ai propri beni materiali in un determinato contesto spaziotemporale.

6 Si veda ad esempio: Norris F.H. & K. Kaniasty (1991).

The Psychological Experience of Crime. In "Journal of Social and Criminal Psychology", 58, Pag. 538-547.

14


1.2 VALUTAZIONE DEL PERICOLO ED EFFETTO COPING Secondo l'approccio psicoanalitico, la paura è il sentimento cardine dell'adattamento della specie umana all'ambiente e conseguentemente della

sua

sopravvivenza.

Ad

ogni

stimolo

l'organismo

rielabora

le

informazioni in suo possesso e valuta la reazione comportamentale più appropriata alla situazione decodificata. Ad orientare l’azione, non sono quindi gli eventi in sé, ma la loro traduzione mentale attraverso schemi innati continuamente riplasmati da processi di strutturazione di ordine socioculturale e in generale da ogni esperienza di vita alla quale veniamo esposti. Tra le teorie psicologiche che studiano il fenomeno, esistono quelle identificate con il termine appraisal. Esse sostengono che l'insorgenza di ogni emozione derivi da un processo, come dice la stessa traduzione letterale, di valutazione. In questo senso, Scherer ha approfondito il tema rilegando a questo complesso processo di valutazione una sequenzialità suddivisibile in 5 stadi di controllo dello stimolo7: 7 Scherer K. (1986). Vocal Affect Expression: A Review and a Model for Future Research.

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1) Valutazione della novità dello stimolo: In questa prima fase, stabiliamo le possibili incongruenze dei nuovi stimoli con gli schemi e le chiavi di decodificazione che possediamo. L' incoerenza e l'eterogeneità degli stimoli che quotidianamente sollecitano la nostra percezione nelle città della società contemporanea, stanno in questo senso, rendendo sempre più difficoltoso, l'assorbimento progressivo di quei codici interpretativi necessari a non consentirci di essere preda di inquietudini pronte a tramutarsi in paure ingiustificate. 2) Valutazione della qualità emozionale provocata dallo stimolo: In questa fase, nella quale collaborano modalità innate di studio e associazioni apprese attraverso l'esperienza, si rende necessaria una classificazione di questi stimoli bene delineata dal Mela 8: a) Specifici segnali universalmente recepiti come pericolosi: A riguardo, numerose ricerche9 evidenziano come anche qui ci sia una netta differenza numerica tra i soggetti che dichiarano di essere stati direttamente coinvolti in questo tipo di episodi e tutti coloro che affermano di provare paura in ambienti urbani. Il processo di vittimizzazione sembra quindi pressoché Psychologial Bullettin, 99, Pag. 143-165. 8 Alfredo Mela (2003). Le paure e gli spazi urbani. In Paure in città – Strategie ed illusioni delle politiche per la sicurezza urbana. Liguori Editore, Napoli 9 Si veda ad esempio: Carrer F. (1998). L'anziano e il suo habitat. Sicurezza e qualità della vita. Ediesse, Roma.

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indipendente da stimoli diretti ma al contrario sembra essere alimentato da associazioni indirette dovute alle informazioni circolanti della comunità di riferimento e dai mezzi di comunicazione di massa. b) Specifici segnali indirettamente associati al pericolo: È il caso delle incivilities, atti di inciviltà socio-ambientali che possono essere percepiti come pericolosi in quanto testimonianza della probabile presenza di attività criminose. c) Segnali a-specifici ancor più indirettamente correlati al pericolo: Si tratta di configurazioni socio-spaziali (intese come determinati spazi associati alle relative modalità di frequentazione) che possono evocare sensazioni di disagio pur non contenendo tangibili segnali di pericolo come nel caso di piazze o locali sovraffollati e parchi o sottopassi scarsamente frequentati. Occorre di nuovo precisare che la sola configurazione morfologica non è in grado di operare un tale stimolo. Questo è infatti il frutto della connessione tra la forma e l'associazione socioculturale operata dall'intricata rete di esperienze immagazzinate attraverso la nostra interazione con l'ambiente 10. 3) Valutazione della coerenza tra gli effetti dello stimolo e i bisogni o scopi del soggetto: Il Mela sostiene che "l'esistenza di finalità ben definite 10 E' interessante osservare come la quasi totalità degli stimoli paurosi non derivi da capacità innate sviluppate nel corso dell' evoluzione ma al contrario siano dipendenti dall'interazione ambientale e dalle influenze culturali. Segnalo in proposito il seguente articolo: https://edition.cnn.com/2015/10/29/health/science-of-fear/

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dell'agire può accentuare la capacità dell'attore di far fronte allo stimolo e l'attitudine a controllare l'insicurezza con comportamenti adeguati" 11. Una volta calcolato il rischio, chi possiede un obiettivo concreto sarebbe quindi maggiormente

incline

a

superare

l'ostacolo

frapposto

fra

lui

e

il

raggiungimento di tale obiettivo, sconfiggendo o comunque alleviando il sentimento di paura. Il fatto è che data la natura spesso casuale delle finalità dell'agire umano in città (molto spesso ci lasciamo guidare dal flusso stimolante dello spazio urbano verso le molteplici opportunità o situazioni nelle quali possiamo imbatterci), non è sempre possibile recepire lo stimolo pauroso come un semplice ostacolo da superare e quindi spesso finisce per dissuaderci dagli usi non mirati dello spazio pubblico urbano, da quella preziosa libertà di errare così profondamente radicata nel legame tra uomo e ambiente. 4) Valutazione da parte del soggetto delle capacità che possiede per far fronte alle potenziali conseguenze dello stimolo pauroso: Essa gioca un ruolo chiave in quanto tira in ballo la "vulnerabilità" dei soggetti. Essa dipende da fattori come sesso, età, appartenenza socioeconomica ed è quindi correlata alla percezione di possedere o meno gli strumenti necessari per interpretare correttamente gli stimoli e per reagire in modo congruo alle plausibili conseguenze. Secondo alcuni studi empirici in merito 12, la vulnerabilità sociale è il fattore 11 Mela, op. cit. 12 Evans D. e Flatcher M. (2000). Fear of crime: testing alternative hypotheses. In

18


maggiormente correlato alla presenza di un elevato livello di paura del crimine e ciò spiega i diffusi timori di essere vittima di episodi di microcriminalità proprio nei gruppi svantaggiati del sottoproletariato 13. 5)

Valutazione

della

coerenza

tra

gli

stimoli

e

le

norme

socio-

comportamentali diffuse nel contesto nel quale veniamo stimolati e da noi interiorizzate:

Se

da

una

parte

il

pluralismo

etico

delle

metropoli

culturalmente eterogenee della società contemporanea dovrebbero a rigor logico assottigliare sentimenti di disagio o in casi estremi di paura di fronte all'osservazione di comportamenti recepiti come in contraddizione con le norme sociali, la realtà dei fatti evidenzia la persistenza di soggetti, nella maggior parte dei casi privi di risorse culturali, che recepiscono anche azioni semplicemente distanti dai loro schemi comportamentali nel modo di vestire e socializzare, come segni di rifiuto delle norme sociali o addirittura come comportamenti aggressivi e potenzialmente minacciosi. Un' altra teoria da prendere in considerazione, sempre di stampo cognitivista, è quella del coping. Ad ogni ostacolo o problema che si frappone fra noi e il regolare fluire della nostra quotidianità, ogni individuo reagisce mediante le strategie di coping che Moos suddivide in 4

Applied Geography, 20, Pag. 395-411. 13 Will J. e Mc Grath J. (1995). Crime, neighborhood perceptions, and the underclass: the relationship between fear of crime and class position. In Journal of Criminal Justice, 23, 2, Pag. 163-176.

19


categorie14: 1) Cognitivo-attiva: Analisi logico-introspettiva del problema e ricerca delle soluzioni. 2) Comportamentale-attiva: Ricerca di sostegno sociale e di consigli per la risoluzione del problema. 3) Cognitivo-passiva: Distrazione ed evitamento cognitivo che si traduce in accettazione e rassegnazione rispetto al problema. 4) Comportamentale-passiva: Scarico emotivo attraverso la ricerca di vantaggi secondari. In linea generale, oltre ad essere molto più probabile la risoluzione di problemi o situazioni di stress attraverso l'utilizzo di strategie attive di coping, pare che da queste si possa trarre in alcuni casi anche dei vantaggi. Il maggiore utilizzo di queste sembra infatti correlato ad incrementi della fiducia in sé stessi e alla riduzione di disturbi depressivi di origine posttraumatica15. È il caso ad esempio delle misure precauzionali di difesa adottate da coloro che subiscono una violenza o un furto. In questo senso è curiosa la relazione evidenziata dal Barbagli 16, tra una

14

Moos R. (1993). Coping Responses Inventory: Adult Form Manual. Psychological Assessment Resources, Odessa. 15 Moos R. (2002). The Mystery of Human Context and Coping: An Unraveling of Clues. In "American Journal of Community Psychology", 30, Pag. 67-88. 16 Barbagli M. (1998). Reati, Vittime, Insicurezza dei Cittadini. Istat, Roma.

20


determinata precauzione e la classe sociale che sceglie di avvalersene. Lo studio ha infatti evidenziato come i dispositivi di allarme siano preferiti dalla classe media, al contrario delle armi e dei cani da guardia prediletti dalle famiglie a basso reddito. Fra

le

strategie

passive

di

coping,

queste

al

contrario

implicate

tendenzialmente in ripercussioni psico-fisiche sul soggetto che le adotta, risulta essere di particolare rilevanza per il nostro studio, quella di tipo comportamentale messa in atto attraverso ad esempio la decisione di non frequentare determinati luoghi o situazioni. Questa tipologia di risposta è infatti alla base, come avremo modo di approfondire in seguito, del progressivo abbandono ed impoverimento dello spazio pubblico e delle conseguenti strategie, anch' esse di tipo passivo, di privatizzazione e fortificazione dei tessuti urbani delle città contemporanee. Emerge quindi che il sentimento d'insicurezza e di paura nello spazio urbano possa essere anche alimentato dalla tipologia di strategia adottata per attenuarlo. La relazione pare confermata da diversi studi, come quello relativo

alla

continuamente

proliferazione nel

raggio

dei

sistemi

visivo

dei

antifurto, cittadini,

i

quali, sembra

ponendosi possano

costantemente ricordargli del pericolo di subire furti o qualsiasi altro genere di violenza17.

17

Si veda ad esempio: Taylor R.B. & S.A. Shumaker. (1988). Local Crime as a Natural Hazard: Implication for Under Standing the Relationship between Disorder and Fear for

21


1.3 SOGGETTIVITÀ E COLLETTIVITÀ DELLA PAURA Abbiamo

già

visto

come

la

percezione

d'insicurezza

non

sia

necessariamente correlata all'esistenza di pericoli oggettivi e al contrario, di come essa si plasmi in base alle caratteristiche del soggetto ed in particolare, rispetto alle capacità che possiede per far fronte alle potenziali conseguenze delle azioni violente che potrebbe subire nel contesto nel quale prova tali sentimenti d'insicurezza. Questa vulnerabilità si articola naturalmente

in

funzione

delle

appartenenze

di

genere,

dell'età,

dell'appartenenza socioeconomica, del grado di attaccamento al luogo in cui si vive e del senso di appartenenza alla comunità nella quale siamo inseriti. La percezione della propria vulnerabilità fisica e/o sociale di fronte alla minaccia di vittimizzazione incentiverebbe quindi l'aumento di tensioni e Crime. In "American Journal of Community Psychology", 18, Pag. 619-641. Si veda ad esempio: Liska A.E. & A. Sanchirco & M.D. Reed. (1988). Fear of Crime and Constrained Behaviour: Specifyng and Estimating a Reciprocal Effects Model. In "Social Forces", 66, Pag. 827-837.

22


paure soprattutto nei soggetti per i quali l'evento costituirebbe un evento altamente impattante sulle loro vite. Numerosi studi individuano nelle donne, negli anziani e nei giovani maschi che abitano le grandi città i soggetti più inclini a provare senso d' insicurezza e paura, specificando inoltre che queste sensazioni risultano più intense nei ceti medio-bassi e in coloro che appartengono alle minoranze sociali. Soprattutto nei primi due soggetti, donne ed anziani, si riscontrano in coerenza con il fenomeno definito da Skogan e Maxfield del "paradosso della paura"18, elevati livelli di percezione d'insicurezza e di paura di essere oggetto di vittimizzazione nonostante siano quelli che hanno minori probabilità di essere vittime effettive di episodi di criminalità 19

20

.

Queste tesi vengono confermate anche dall' Istat che rivela come la paura della

criminalità

sia

un

sentimento

diffuso

soprattutto

all’interno

dell’universo femminile con una percentuale rispetto alla totalità del campione che si aggira attorno al 40% di donne che hanno paura, contro la

18 Skogan W.G. e M.G. Maxfield (1981). Coping whit Crime: Individual and Neighborhood

Reactions. Beverly Hills, California, Sage. 19 Taylor R.B. (1995). The Impacts of Crime on Communities. In "Annals of the American Academy of Political and Social Science", 539, Pag. 28-45. 20 Perkins D.D. & R.B. Taylor (1996). Ecological Assessment of Community Disorder: Their Relationship to Fear of Crime and Theoretical Implication. In "American Journal of Community Psychology", 24, Pag. 63-107.

23


percentuale di gran lunga più contenuta emersa tra gli uomini che si attesta al 17%21. Pitch e Ventimiglia, hanno inoltre evidenziato come gli uomini considerino le loro città abbastanza sicure al contrario delle donne, molto vulnerabili rispetto

soprattutto

alla

possibilità di

risultare

vittime

di

potenziali

aggressioni sessuali22. Anche in questo caso emerge l'incongruenza tra le concrete esperienze di vittimizzazione e la proliferazione del sentimento d' insicurezza rispetto al tema delle aggressioni. È tristemente noto infatti che sono di gran lunga più numerose le minacce e le violenze che avvengono all'interno delle mura domestiche rispetto a quelle che avvengono nello spazio pubblico per mano di estranei 23. L'incoerenza si riflette anche nel diverso rapporto vittimizzazione / paura della criminalità espresso dai due sessi. Le donne infatti, nonostante siano meno (o ugualmente) vittimizzate, esprimono rispetto agli uomini timori e preoccupazioni in modo molto più intenso24. Le motivazioni di questo timore diffuso tra le donne, incoerente con i dati reali di vittimizzazione, andrebbero cercate secondo Madriz 25, nei limiti, 21 Barbagli M. (1998). Reati, Vittime, Insicurezza dei Cittadini. Istat, Roma.

22 Pitch T. & C. Ventimiglia. (2001).

Che Genere di Sicurezza: Donne e Uomini in Città. F. Angeli, Milano. 23 Ivi. 24 Santinello M. & P. Gonzi & L. Scacchi. op. cit. 25 Madriz E. (1997). Nothing Bad Happens to Good Girls. University of California Press, Bekerly.

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imposti dalla società, "alle azioni delle donne” e nella pretesa da parte della collettività, di "adeguati comportamenti femminili" che spingerebbero le donne, ad adottare comportamenti di autocensura per non correre quei rischi dai quali sono state messe in guardia fin dalla tenera età. Il movimento femminista, secondo Alfredo Mela 26, tra i più attivi nella ricerca delle motivazioni alla base delle discriminazioni ai danni di soggetti titolari di identità sociali minoritarie o subordinate e delle contromisure da adottare per ristabilire l'eguaglianza, denuncia come lo spazio urbano non sia neutro rispetto alle variabili di genere. Secondo il movimento, l'organizzazione spaziale delle città genererebbe dei gendered spaces, ovvero spazi strutturalmente contrassegnati dal genere, espressione dei rapporti iniqui tra uomini e donne ed elemento di rinnovamento dello squilibrio stesso27. Figurano tra questi, tutti quei luoghi nei quali, a causa dell'elevata percezione d'insicurezza e la paura di subire violenze, che le donne tendono ad evitare soprattutto in specifiche fasce orarie, con maggiore regolarità rispetto agli uomini, perché non molto frequentati e poco illuminati28. La seconda categoria di soggetti maggiormente vulnerabili è appunto quella 26 Alfredo Mela (2008). Sociologia delle città. Carrocci Editore S.p.A., Roma. 27 Spain D. (1992). Gendered Spaces. The Univesity of North Carolina Press, Chapel HillLondon. 28 Valentine G. (1992). Image of Danger: Women's Sources of Information about Spatial Distribution of Male Violence. Area, 24, Pag. 22-29.

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degli anziani. Essi, nonostante siano i soggetti meno esposti al rischio (per la minore mobilità e la maggiore attenzione che rivolgono alla scelta di luoghi ed orari nei quali si sentono sicuri e al riparo da ogni possibile rischio) e con un tasso di vittimizzazione inferiore a tutte le altre fasce di età rispetto alla gran parte dei reati compresi quelli predatori, esprimono una "forte e pressante domanda di sicurezza" che secondo l'Amendola, non può essere additata solamente alla loro fragilità psico-fisica 29. La loro vulnerabilità infatti, oltre ad essere naturalmente connessa a deficit psico-fisici derivanti dall'invecchiamento e dalla sempre più diffusa condizione d' isolamento e di marginalità sociale nella quale si vengono a trovare, andrebbe cercata anche nell'indebolimento dei legami familiari, nella crisi dei rapporti di vicinato e nell'amplificazione delle violenze subite dagli anziani operata dai mass-media. "Chiedendo assistenza in nome della sicurezza, gli anziani reclamano anche attenzione e socializzazione. Spesso i servizi di accompagnamento e di protezione per ritirare la pensione in banca o all'ufficio postale predisposti da comuni come, per esempio Firenze e Bologna, sono richiesti dall' anziano, come egli stesso confessa, principalmente per poter avere compagnia" 30. Gli anziani inoltre, avendo solitamente una conoscenza molto più profonda della realtà urbana nella quale sono cresciuti e della quale hanno potuto 29 Amendola, op. cit. 30 Ivi.

26


osservare negli anni l'evoluzione, hanno sviluppato un’osservazione più sensibile rispetto alla media verso vari aspetti delle incivilities e verso le varie forme di inquinamento ambientale rispetto alle quali formulano spesso giudizi più severi31. Occorre infine ricordare, se ce ne fosse ancora bisogno, che il fenomeno della paura della criminalità non può essere studiato come un fatto puramente individuale. Questo tipo di percezione è infatti, come abbiamo visto in precedenza, inserito in un contesto innanzitutto territoriale, poi socioculturale ed infine familiare ed assume quindi una connotazione "sociale". Fursetnberg in merito, identifica due aspetti della paura della criminalità: la paura personale (il timore di essere personalmente vittima di un crimine) e la paura sociale (preoccupazione generale per ciò che concerne la criminalità)32. In questo contesto, Warr ha aggiunto inoltre anche un’altra dimensione, l'altruistic fear, cioè la paura che qualcosa possa capitare ai propri legami affettivi33. La multidimensionalità del sentimento d' insicurezza è stata confermata 31 Leonardo Chiesi (2003). L'ipotesi delle inviciltà - La non ovvia relazione tra

manutenzione urbana e senso di insicurezza. In Il governo della città sicura – Politiche, esperienze e luoghi comuni di Giandomenico Amendola. 32 Furstenberg F.F. (1971). Public Reaction to Crime in the Streets. In "American Scholar", Pag. 601-610. 33 Warr M. (1992). Altruistic Fear of Victimization in Households. In "Social Science Quarterly", 73, Pag. 723-736.

27


anche da Amerio e Roccato34. Dal loro studio sulle relazioni tra gli elementi oggettivi d' insicurezza e il sistema di valori e credenze degli individui è emerso come questo sentimento sia favorito da fattori come criminalità e degrado urbano, che incidono direttamente sulla vivibilità del luogo, come da altri di carattere psicosociale quali la disgregazione delle comunità e gli atteggiamenti d'indifferenza civile.

1.4 IMPREVEDIBILITÀ DEL CRIMINE La convinzione che la criminalità sia divenuta un fattore cardine del condizionamento della nostra percezione e del modo in cui interagiamo con lo spazio urbano è capillarmente diffusa e ben radicata, anche se con possibili lievi variazioni, almeno in tutto il mondo occidentale. L'idea

34

Amerio P. e M. Roccato (2001). Structure Multi-facettée du Sentiment d’Insécurité. "Comunicazione presentata al 5éme Colloque International de Psychologie Sociale Appliquée", Paris, 9-10 novembre. Pag. 47-70.

28


peculiare

di

questo

paragrafo,

è

che

quella

contro

cui

dobbiamo

quotidianamente confrontarci sia una nuova ed inedita forma di criminalità contraddistinta dal suo carattere imprevedibile. Le ragioni alla base di questa ipotesi sono da ricercare in due punti tra loro connessi: 1) Casualità ed irrazionalità del crimine 2) Assenza di norme o codici dell'azione criminale Ciò che spaventa maggiormente le persone, è infatti l'idea di poter rimaner vittime in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo di azioni violente ad opera di soggetti che agiscono in modo del tutto gratuito e casuale. Questa nuova forma di violenza, denominata random crime, atterrisce in quanto la scelta della vittima, e in alcuni casi il fine ultimo da raggiungere attraverso il suo compimento, sono difficilmente prevedibili e risulta quindi quasi impossibile acquisire contromisure per tempo. Nella città contemporanea possiamo quindi rimanere uccisi investiti a causa di un guidatore distratto dal cellulare come in una rissa in discoteca scoppiata per avere solamente guardato la ragazza di qualcuno, a causa di un sasso lanciato dal cavalcavia di un'autostrada come per una coltellata sferrata per pochi spiccioli in un parco, a seguito di uno scontro tra tifoserie all'uscita dallo stadio come ad un concerto sotto i colpi di un kalašnikov sparati da un invasato che crede di agire in nome di un dio.

29


"Nessuno è più sicuro perché nessuno può proteggersi dalla casualità. La morte violenta può arrivare da qualunque parte senza logica alcuna, tranne quella assolutamente stocastica del caso" 35. Il secondo motivo di disorientamento di questo nuovo tipo di crimine è dato dalla totale assenza di quelle norme o consuetudini che regolavano, almeno in parte, il comportamento criminale. Nella cultura collettiva, espressioni come "la mafia non uccide donne e bambini" o "i ladri d' appartamento non agiscono se ci sono persone in casa" per fare qualche esempio 36, rassicuravano le persone, magari in minima parte, consentendogli di ritenere in qualche misura il crimine prevedibile e il rischio ponderabile di conseguenza. Oggi per usare un'altra espressione dell'Amendola, "la mancanza di norme diventa la norma"37, e il cittadino rimane offuscato da un alone di incertezza dal quale rifugge o nel quale cerca di discernere con ogni mezzo il male, il pericolo, un nemico dal quale difendersi e contro cui lottare. Per concludere il paragrafo, De Seta e Le Goff, evidenziando il rapporto che intercorreva

tra

l'imprevedibilità

e

le

città

medioevali,

ci

offrono

l'opportunità di creare un parallelismo con la città contemporanea 38. Le mura merlate degli insediamenti urbani del medioevo oltre a svolgere 35 Amendola, op. cit.

36 Ibidem. 37 Ibidem. 38 De Seta & Le Goff (1989). La città e le mura. Laterza, Bari.

30


funzioni meramente difensive, solcavano il limite fisico e concettuale tra prevedibilità ed imprevedibilità del pericolo. All'interno delle mura infatti, le violenze erano praticamente all'ordine del giorno ma la città era comunque relativamente sicura grazie all'esistenza di norme giuridiche e soprattutto agli schemi e ai modus operandi di un crimine che si poteva prevedere ed evitare o quantomeno combattere. Nella realtà contemporanea il crimine, come spiega anche l'FBI 39, sembra muoversi in modo assolutamente casuale rievocando "le immagini della grande falciatrice, la morte della peste nera medioevale, che prende senza alcuna prevedibilità o criterio selettivo"40.

1.5 ATTACCAMENTO AI LUOGHI Alla radice dell’attaccamento ai luoghi vi è sempre una forma di dipendenza 39 Best, nell'articolo pubblicato nel 1999 presso il giornale della Berkeley in California e

denominato Random Violence – How We Talk About New Crimes and New Victims, riporta gli estratti di un documento del 1994 dell' FBI, nel quale l'agenzia sottolinea come "oggi ogni americano ha la concreta possibilità di rimanere vittima di un omicidio in considerazione del carattere casuale assunto dal crimine". 40 Amendola, op. cit.

31


dall’ambiente che ognuno di noi sperimenta a partire dall' età natale attraverso le prime interazioni sensoriali con ciò che ci circonda. La teoria di John Bowlby41

42

, elaborata tra gli anni '70-'80 e strutturata sui

principi cardine dell’evoluzione e della selezione naturale, spiega come il tipo di legame istaurato tra il neonato e la madre, fondamentale per la sopravvivenza del piccolo, incida fortemente sulle sue future relazioni sociali. In età adulta infatti, l’individuo tende a riprodurre sia nelle sue relazioni affettive che nell' esplorazione dell'ambiente, uno dei tre modelli di attaccamento sperimentati nell’infanzia43: 1) Sicuro, quando il bambino è in grado di separarsi temporaneamente dalla madre riaccogliendola poi con tranquillità dopo la separazione. 2) Insicuro-ansioso ambivalente, quando il bambino, in assenza della madre, si dimostra poco attivo nell’esplorare l’ambiente e al suo ritorno manifesta sia desiderio di riavvicinamento a lei sia resistenza. 3) Insicuro-ansioso evitante, quando il bambino mostra indifferenza alla presenza della madre come alla sua assenza. La qualità della prima relazione con la madre risulterà quindi altamente condizionante, secondo questa teoria,

nell'istaurazione di legami

(o

41 Bowlby J. (1969). Attachment and Loss, vol. I, Attachment. Basic Books, New York. 42 Bowlby J. (1973). Attachment and Loss, vol. II, Separation: Anxiety and Anger. Basic Books, New York. 43 Ainsworth M.D.S. & Blehar M.C. & Waters E. & Wall S. (1978). Patterns of attachment: A psychological study of the Strange Situation. Psychology Press, London.

32


attaccamenti) come quelli con il proprio futuro partner, con il quale si avrà un rapporto di tipo sicuro, insicuro ansioso-ambivalente o insicuro-ansioso evitante44. Da diversi studi condotti negli ultimi due decenni è emerso che la tipologia di attaccamento istaurata durante l’infanzia si ripercuote anche sul rapporto con i luoghi. Secondo Giuliani 45 ad esempio, sarebbero molte le analogie tra l’attaccamento affettivo alle persone e l’attaccamento ai luoghi, come la ricerca di vicinanza, l’unicità e insostituibilità della persona e del luogo di attaccamento primario e il senso di perdita in seguito all’allontanamento. Secondo Gallino46, l’attaccamento ai luoghi può assumere diverse forme. Il legame più saldo è quello emotivo-familiare che, come abbiamo già accennato, è il legame che instauriamo con i luoghi della nostra infanzia o che sono stati teatro di avvenimenti importanti con una forte carica emotiva. Un secondo tipo di legame è quello estetico, e si esplicita verso quei luoghi capaci di trasmetterci fascino estetico per la loro straordinaria bellezza, indipendentemente dalla loro frequentazione.

44 Baroni M.R. (2008). Psicologia ambientale. Il Mulino, Bologna. 45 Giuliani M.V. (2004). Teoria dell’Attaccamento e Attaccamento ai Luoghi. In Bonnes M. & M. Bonaiuto & T. Lee, Teorie in Pratica per la Psicologia Ambientale, Cortina, Milano, Pag. 141-240. 46 Gallino T.G. (2007). Luoghi d’attaccamento. Raffaello Cortina Editore, Milano.

33


Il terzo tipo è quello funzionale, legato cioè a quei luoghi che offrono opportunità pratiche per la soddisfazione dei nostri bisogni di studiare, lavorare o svagarsi (per fare alcuni esempi pratici). Il quarto tipo è invece di ordine socio emotivo ed è riferito a tutti quegli ambienti in cui abitualmente socializziamo. Il quinto ed ultimo tipo può essere definito cognitivo-culturale e fa riferimento al legame con quei luoghi immaginari dei romanzi, del cinema o delle rappresentazioni teatrali. L’attaccamento ai luoghi varia invece in funzione dell’età e dalla tipologia e intensità di sentimenti collegati, attraverso il filo del ricordo, ad ogni singolo individuo. Tra i vari fattori che concorrono a determinare questo legame, giocano un ruolo predominante la disponibilità di risorse atte a rispondere ai bisogni dell’individuo, il grado di libertà ad esso concesso (di restare o meno nel luogo) e l'effettivo grado di mobilità che può esercitare nell’ambiente, oltre naturalmente alle sue caratteristiche individuali 47. È necessario sottolineare infatti come questi bisogni, si siano strutturati secondo le opportunità e le carenze di quel determinato territorio, che in un continuum temporale si trasforma, e plasmandosi, genera delle nuove risorse e delle nuove limitazioni sulle quali si costruiscono i bisogni di chi lo abita e le loro identità, profondamente interconnesse alla Place identity48. 47 McAndrew F.T. (1993). Environmental Psychology. Pacific Grove, Books/Cole, California. 48 Proshansky H.M. & A.K. Fabian & R. Kaminoff (1983). Place-Identity: Physical World Socialization of the Self. Journal of Environmental Psychology, 3, Pag. 57-83.

34


Come ci conferma Hull49, l'immagine che abbiamo di noi stessi, quella relativa all'ambiente nel quale viviamo e la congruenza tra essi (il legame che intercorre tra i due), sono la sintesi dei valori, dei significati e dei ricordi accumulati durante l'appagamento dei nostri bisogni biologici, sociali e culturali che l'ambiente nel quale ci siamo adattati ci ha elargito. Essendo l’ambiente fisico spesso percepito solamente come la scenografia delle

quotidiane

attività

umane,

la

Place

identity

è

un

elemento

caratterizzante della quale però non siamo pienamente consapevoli e in alcuni casi ne prendiamo coscienza solo nel momento in cui viene minacciata50. L’interruzione di una relazione di attaccamento per l’allontanamento o il trasferimento in un altro luogo, seppur nella maggior parte dei casi, rappresenti almeno nella fase iniziale, un evento difficile, nel caso non sia volontaria, può causare gravi ripercussioni psico-fisiche. Come per i legami sociali, la rottura improvvisa di una relazione di attaccamento ad un luogo è caratterizzata infatti da un periodo di forte

49 Hull

R.B. (1992). Image Congruity, Place Attachment and Community Design. Journal of Architectural and Planning Research, 9, Pag. 181-192. 50 Giuliani M.V. (1991). Towards an Analysis of Mental Representation of Attachment to the Home. The Journal of Architectural and Planning Research, 8 (2), Pag. 133-146.

35


stress psicologico nel quale l’individuo deve necessariamente far fronte alla perdita, creandosene, in molti casi, delle nuove 51. In merito alle possibili ripercussioni precedentemente citate, alcune ricerche hanno dimostrato l'esistenza del legame tra il trasferimento di abitazione e la propensione ad ammalarsi, anche gravemente. Per fare alcuni esempi, si registra una maggiore incidenza di disturbi coronarici nei lavoratori maschi, depressione nelle mogli dei lavoratori trasferiti e mortalità negli anziani. Esiste quindi una forte relazione tra il tasso di mobilità e la probabilità di contrarre patologie psico-fisiche che però, viene mediata e mitigata da una serie di fattori fra i quali la capacità di adattamento dell’individuo, il motivo del trasferimento e la propensione che ha verso l’esplorazione, oltre naturalmente al fattore tempo. La rottura di una relazione di attaccamento ad un luogo non avviene solo attraverso l’allontanamento (forzato o meno) dell’individuo, ma anche a causa di trasformazioni fisiche e sociali dell’ambiente, legate ad esempio al livello di sicurezza che viene soggettivamente percepito 52. Al contrario, possono esistere invece soggetti che proprio in virtù del loro forte

51

Brown B.B. & D.D. Perkins. (1992). Disruptions in Place Attachment. in Altman I. & S.M. Low. Place Attachment: Human Behaviour and the Environment, Plenum Press, New York, vol. 12, Pag. 63-86. 52 Baroni, op. cit.

36


attaccamento, abbiano sviluppato una forma di resilienza 53 agli impedimenti e ai pericoli delle loro città, consentendogli di dotarsi per tempo delle risorse per affrontarli e di non lasciarsi quindi sopraffare dalla paura o dallo stress. Un altro fattore molto interessante ci è offerto dalla relazione che spesso s' instaura tra un forte grado di attaccamento ai luoghi e la propensione a curarli, difenderli e personalizzarli. Coloro che sviluppano forti legami con i luoghi del loro vivere, risultano infatti più vigilanti e difensivi, mettono in atto con maggiore frequenza comportamenti diretti alla salvaguardia dell’ambiente (come la raccolta differenziata dei rifiuti) ed infine personalizzano l’ambiente 54, contribuendo a generare forti valori identitari e cementificando il senso civico.

1.6 IL DIVERSO

53 In ecologia, la resilienza è la capacità con cui una comunità apprende le caratteristiche del fattore di disturbo e si adatta di conseguenza. 54 Costa M. (2010). Psicologia ambientale e architettonica - Come l'ambiente e l' architettura influenzano la mente e il comportamento. Franco Angeli, Milano.

37


"La diversità è l'elemento determinante di struttura, dinamismo e stabilità degli ecosistemi, non meno di quanto lo siano la composizione specifica, i fattori di disturbo, il clima, il suolo e cicli materiali" 55. Negli ultimi tempi, gran parte degli italiani sembrano aver dimenticato come il loro straordinario patrimonio culturale, così eterogeneo e temporalmente distribuito in ogni epoca storica, derivi proprio dalla coevoluzione tra le variegate caratteristiche geografico-climatiche distribuite lungo l’intera estensione latitudinale del nostro Paese e le varie popolazioni che nel tempo si sono succedute, lasciando le loro impronte culturali. L' eterogeneo mosaico di habitat che compone lo stivale, data la posizione geo-strategica che assume nel bacino del Mediterraneo, è sempre stato il crocevia di consistenti flussi migratori, il luogo d'incontro e di scontro tra le differenti popolazioni portatrici di bagagli socioculturali che in Italia si sono mescolate generando una complessità ampiamente riconosciuta in tutto il mondo56. Le varie popolazioni che si sono alternate (dagli etruschi ai latini, dai romani ai greci, dai longobardi agli arabi per poi passare dai domini stranieri ad opera degli imperi francese, spagnolo ed austriaco, per citarne alcune), 55 Tilman D. (1999). The ecological consequences of changes in biodiversity: a search for general principles. Ecology (5). Pag 1455-1474. 56 Con i suoi 54 siti, l' Italia è la nazione a detenere il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.unesco.it/it/PatrimonioMondiale/Index

38


adattandosi alle diverse pressioni selettive alle quali sono state esposte nel corso della storia e strutturando progressivamente le nostre città, il nostro territorio ed il nostro paesaggio, oltre ad averci lasciato incommensurabili eredità materiali ed immateriali (alle prime saldamente legate attraverso il filo dell' identità culturale), risiedono nel nostro tratto genetico, l' unità base dell' esistenza. Secondo

la

ricerca

Linguistic,

geographic

and

genetic

isolation:

a

collaborative study of Italian populations 57, realizzata dai ricercatori dell' Università La Sapienza di Roma e condotta dall'antropologo Giovanni Destro Bisol in collaborazione con gli atenei di Bologna, Cagliari e Pisa, l'Italia risulta il Paese geneticamente più ricco di tutta Europa, con valori di eterogeneità genetica, dai 7 ai 30 volte maggiori rispetto a quelli registrati in Portogallo e in Ungheria, geograficamente agli estremi del continente. Lo studio, che ha preso in considerazione ben 57 popolazioni presenti nel territorio italiano, ha evidenziato una forte correlazione tra le seppur lievi variazioni genetiche e quelle decisamente più marcate della cultura. Minoranze linguistiche58 come Ladini, Cimbri e Grecanici, comunità paleogermanofone delle Alpi ed alcuni gruppi sardi ad esempio, hanno talvolta evidenziato differenze genetiche ancor più consistenti rispetto a quelle tra 57

Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://download.repubblica.it/pdf/2014/scienze/jass-reports.pdf 58 Per eventuali approfondimenti sulle minoranze linguistiche presenti in Italia si rimanda a: http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/minoranze/ Toso_quali_quante.html e https://it.wikipedia.org/wiki/Minoranze_linguistiche_d%27Italia

39


popolazioni appartenenti a Stati differenti come Spagna e Romania 59. Prima di continuare, è necessario sottolineare immediatamente come ogni ecosistema, nel tragitto che lo porterà al climax (lo stadio finale del suo ciclo evolutivo, caratterizzato da oscillazioni attorno alla stabilità, verso cui tende), necessita di una progressiva interrelazione tra le diversità. "Partendo da substrati poco evoluti (cioè rocciosi, superficiali e poveri di nutrienti), col tempo e con il contributo della vegetazione il suolo può maturare, nel senso di un aumento di ricchezza di minerali, di profondità e di disponibilità idrica. Il tragitto da fasi iniziali (pioniere) a fasi successionali mature fino al climax, è in realtà assimilabile a una sorta di viaggio che il suolo, la vegetazione e la componente animale compiono assieme, in intimo collegamento, sotto il controllo del clima"60. Come abbiamo già ampiamente discusso, ogni epoca storica è quindi caratterizzata

dalla

compresenza

e

dall'interrelazione

tra

soggetti

eterogenei, che con il tempo, portano ad un equilibrio dinamico altamente complesso capace di generare elementi patrimoniali. A seguito però di questa nuova fase evolutiva delle società occidentali, sta diffondendosi

la

percezione

che

l’interrelazione

tra

differenti

realtà

59 Agnese Fioretti (2014). Gli italiani sono il popolo con la varietà genetica più ricca d'

Europa. Pubblicato sul Portale Online di La Repubblica, 9 Gennaio 2014. 60 Marco Paci (2011). Ecologia forestale. Elementi di conoscenza dei sistemi forestali applicati alla selvicoltura. Edagricole – Edizioni agricole de Il sole 24 ore Spa, Milano.

40


socioculturali sia più un male che una risorsa, divenendo, per dirla alla Mela, una "questione centrale per la cultura urbana contemporanea" 61. Il forte incremento delle differenze socio-culturali che si è registrato nell' ultimi anni a seguito dei crescenti flussi migratori (generati nella maggior parte dei casi da povertà, guerre e limitazioni delle libertà personali) e della frammentazione e conseguente dispersione degli squilibri sociali (a causa della dissoluzione della gerarchia sociale di stampo fordista che sta lasciando spazio ad una "costellazione in continua espansione di condizioni ineguali sotto molti profili"62), che prepara il terreno ad un pluralismo di aggregati sociali che in tempi meno recenti sarebbero stati considerati sostanzialmente omogenei, sta fomentando il rifiuto e in molti casi l' odio, per il diverso. Questa triste e pericolosa tendenza che sta prendendo campo nelle società occidentali, sembra infatti essere dovuta a due fenomeni profondamente radicati nell' uomo, l'auto collocazione dell’individuo all' interno della gerarchia sociale e il tribalismo. Gerarchia sociale Hyman, il primo ad aver evidenziato la pesante influenza della soggettività durante il meccanismo di auto-collocazione all'interno della gerarchia 61 Mela 2008, op. cit. 62 Ibidem.

41


sociale, sostiene che la consapevolezza della posizione sociale occupata ed il ventaglio di

sentimenti ad

essa collegati, come le

speranze

di

miglioramento o il timore di regredire nella scala sociale, non siano solamente il risultato di una misurazione razionale di alcuni parametri oggettivi come reddito, titolo di studio e rapporto con i mezzi di produzione, ma al contrario, che derivino da un processo di comparazione con la propria cerchia di riferimento63. Questo confronto, nel quale sembrano intervenire almeno tre fattori, quali l'intensità dei legami con la propria cerchia di riferimento, la percezione di sé ed infine la comparazione con la cerchia, può portare secondo la differente combinazione di questi elementi, instabili identificazioni capaci di escludere o includere altri individui e di generare al contempo, gravi implicazioni legate alle possibilità di adeguare il proprio status alla percezione sociale di riferimento64. In quest’ottica, i venti progressisti della globalizzazione, fluidificando le 63 Hyman H.H. (1942). The Psychology of Status, in «Archives of Psychology», n. 269. Pag 5-91. 64 Le ricerche condotte da Stouffler, che miravano ad analizzare i sentimenti dei soldati americani durante il secondo conflitto mondiale, evidenziarono come i soldati di colore si percepissero in una condizione di vantaggio sociale rispetto alla popolazione civile di colore ma in posizione di inferiorità rispetto ai bianchi di pari grado sociale, identificando nell' intensità del legame con il gruppo sociale di appartenenza, la causa principale dello scontento all' interno delle truppe sia in ambito militare che in altri settori della società. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: Stouffer S.A. (1949). The American Soldier, Princeton University Press. New York.

42


opportunità individuali e dotandoci di una miriade di scelte possibili, hanno di fatto comportato un'espansione del pluralismo identitario, che consente sì di identificarci in moltissime categorie differenti, ma rischia d’incatenarci in una percezione fortemente individualistica e di annientare con buona probabilità qualsiasi visione comunitaria dell'esistenza umana. Ed è proprio nel turbinio di questo relativismo identitario che l'instabilità e l'incertezza diventano la norma, favorendo la proliferazione di quei processi di differenziazione ed esclusione che si nutrono dell' instancabile ricerca di capri espiatori, di quei soggetti che, mediante considerazioni spesso avulse da qualsiasi tipo di sostegno scientifico, vengono etichettati come coloro che potrebbero incentivare lo smarrimento sociale e mettere a repentaglio i vari personalissimi status sociali della popolazione ospitante. "La concentrazione di immigrati in alcune realtà urbane rivela ai vecchi abitanti

l’instabilità

della

loro

auto-percezione

sociale

ed

innesca

meccanismi di rifiuto che tendono ad identificare negli stranieri la fonte delle preoccupazioni collettive"65. L' individuazione dell'agnello sacrificale, che catalizza su di sé ogni possibile negatività, assolve alla funzione di mantenimento del precario equilibrio di 65 Paolo Masella (2010). Metodologia di analisi dei processi di percezione sociale

nell'ambito della sicurezza urbana. Tesi di Laurea Magistrale. Università degli studi di Trieste.

43


un sistema prossimo all' implosione, o per dirla alla Girard, è il sacrificio di un

innocente

che

rappresenti

la

salvezza

della

società

dal

caos,

66

legittimandone l’espiazione . Vedremo in seguito, nel Capitolo 3 - Dilatazione e contrazione della percezione d'insicurezza, come in questo contesto, recitino un ruolo determinante i mass media, che spesso, focalizzando l'attenzione pubblica su determinate categorie di soggetti, possono generare vere e proprie ondate di panico collettivo, accrescendo l’ostilità nei confronti di coloro che appaiono come veri e propri folk devil, soggetti altamente pericolosi capaci di mettere a repentaglio l’ordine sociale67. Tribalismo Come abbiamo precedentemente discusso, ogni stimolo sensoriale, viene filtrato dal proprio background culturale, consentendoci di elaborare le nuove

informazioni

precedentemente

attraverso

analisi

immagazzinate.

comparate

Secondo

Merry

con in

le tal

esperienze senso 68,

le

differenze etniche e razziali diverrebbero un serio problema a causa dell'umana incapacità di comprendere ed interpretare i comportamenti degli 66 Girard R. (1987). Il Capro Espiatorio. Adelphi, Milano.

67 Cohen S. (1972). Folk Devils and Moral Panics: The Creation of the Mods and Rockers. McGibbon and Kee. London. 68 Merry S.E. (1981). Urban Danger: Life in a Neighbourhood of Strangers. Temple University Press, Philadelphia, Pag 94-122.

44


individui

appartenenti

a

differenti

gruppi

culturali

senza

lasciarsi

condizionare aprioristicamente dalle lenti della cultura di appartenenza. "Lo straniero è colui che ci mette in crisi poiché non si riconosce nel modello culturale della vita di un gruppo sociale" 69. Quella che Merry definisce come "incapacità" di leggere in modo razionale colui che appartiene ad una cultura differente dalla nostra è per altri, l'elemento cardine della sopravvivenza dell'Homo sapiens nell'ambito di un percorso identitario che gli ha permesso di acquisire un vantaggio evolutivo ed imporsi sulle altre specie del genere Homo, il tribalismo. Con il passaggio dal nomadismo della caccia alla stanzialità dell’agricoltura e dell'allevamento, l’uomo divenne costretto ad istaurare connessioni sociali stabili (profondamente radicate al proprio luogo di nascita mediante le prime narrazioni condivise e la trasmissione di tradizioni rituali), che vennero saldate, secondo questi principi, in clan o tribù. Producendo l'effetto di sottrarre queste primordiali comunità sociali dalla competizione, il tribalismo ha facilitato la sopravvivenza e l’incremento demografico di intere comunità umane. Come sottolineano alcuni studi neurologici 70, esistono nel nostro cervello 69 Schutz A. (1979). Saggi Sociologici. Utet, Torino.

70

Per

eventuali

approfondimenti

45

si

rimanda

a:


circuiti specifici che si attivano, generando sensazioni negative in risposta ad informazioni che contraddicono i valori della propria tribù di riferimento Queste sensazioni stanno confluendo negli ultimi decenni un po’ in tutto il mondo

occidentale,

negli

immigrati,

veicolando

il

malessere

delle

popolazioni ospitanti in una paura verso soggetti che sempre con maggior frequenza vengono associati al crimine e al degrado urbano, amplificando secondo alcuni71, in un circolo vizioso del pregiudizio, l'effetto stesso della percezione di insicurezza e della paura della criminalità. In questo senso, la ricerca condotta da Pitch e Ventimiglia 72, risulta essere molto

esplicativa,

evidenziando

come

nell’immaginario

collettivo,

gli

immigrati siano orami diventati i principali indicatori del degrado urbano. È ora appurato come non sia per niente scontata l'egemonia della ragione sull'istintività in determinate battaglie ideologiche e alla luce di quanto appena detto, risulta fondamentale ristabilire il corretto ordine di causaeffetto in merito alla formazione dell’ideologia stessa. In assenza di informazioni certe e verificate, l’ideologia tende infatti, soprattutto negli ultimi tempi, a dare forma ai fatti, invece che il contrario. https://www.nature.com/articles/srep39589 71 Lane J. & J.W. Meeker (2000). Subcultural Diversity and the Fear of Crime and Gangs. In "Crime and Delinquency", 46. Pag 497-521. 72 In questa ricerca gli autori analizzano come i soggetti immigrati non siano una fonte di disturbo se chiusi nei luoghi di lavoro e di come al contrario, questi vengano vissuti con fastidio quando si riuniscono vicino alla stazione, nei giardini pubblici e nelle piazze. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: Pitch T. & C. Ventimiglia. (2001). Che Genere di Sicurezza: Donne e Uomini in Città. F. Angeli, Milano.

46


È il rischio al quale siamo stati esposti con il progressivo decadimento dell'imparzialità giornalistica (compromessa dai legami politico-finanziari) e l'avvento delle nuove tecnologie, che hanno dato la possibilità ad ognuno di esprimere concetti ed elargire informazioni che possono avere forte peso sull'opinione pubblica anche senza aver nessuna attinenza con la realtà. Le derive di questa visione tribù-centrica secondo la giornalista Silvia Kuna Ballero, sono ormai all'ordine del giorno: "dal razzismo, per cui la nostra etnia è migliore della loro, ai genitori che disconoscono i propri figli se questi fanno coming out o se sposano un individuo che professa una variante diversa della stessa religione, per arrivare alla negazione delle evidenze scientifiche sui cambiamenti climatici, sull’evoluzionismo o sui vaccini, se queste mettono in discussione le credenze tribali, siano esse rappresentate da una linea politica, da una fede religiosa o da una teoria del complotto" 73. Conclusioni Alla luce dei fatti enunciati si rende quindi necessaria, un’inversione di tendenza, che dovrà probabilmente esplicitarsi in tempi molti lunghi, duranti i quali l'uomo è chiamato a riconoscere e controllare questi due processi irrazionali della gerarchia sociale e del tribalismo che rischiano di far crollare le fondamenta della nostra società. 73 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.stradeonline.it/scienza-erazionalita/3007-il-nuovo-tribalismo-da-dove-viene-dove-ci-portera

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L'unica via percorribile è quella dell’apertura alla diversità, al confronto e alla mediazione, "finalizzata alla definizione di principi condivisi e di regole vincolanti per tutti"74. È infatti fondamentale sottolineare come questo processo debba svolgersi sia nel pieno rifiuto di qualsiasi pretesa di superiorità della cultura occidentale che in quello rivolto a tradizioni o comportamenti in confitto con le norme della cultura autoctona, messi in atto "in nome di un diritto di ciascuna etnia al mantenimento delle proprie tradizioni" 75. Non deve infatti verificarsi quello che Aime chiama un "eccesso di cultura" 76, che oscuri come la vitalità di una tradizione dipenda proprio dalla sua capacità di evolversi, plasmandosi rispetto alle varie influenze alle quali è soggetta, senza logorare l'identità degli individui che ne sono portatori. "L' importante è non dubitare mai del fatto che gli "esotici" rappresentano una fonte di ricchezza. Si pensi che fra le specie esotiche c'è anche il cipresso (introdotto dal Vicino Oriente), albero che Plinio il Vecchio chiamava "esotico" già nel I secolo d.C. Forse qualcuno si cura oggi di sapere se si tratti di un immigrato o meno?"77.

74 Mela 2008, op. cit. 75 Ivi. 76 Aime M. (2004). Eccessi di culture. Einaudi, Roma. 77 Paci, op. cit.

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1.7 LE INCIVILTÀ In ogni società e in ogni cultura esistono una serie di regole che vanno dal sistema dei valori e delle consuetudini alle norme aventi cogenza giuridica, dalle quali dipende l’intera macchina sociale e di conseguenza l'esistenza stessa di quella determinata comunità, che su di esse si è costruita ed insieme ad esse, si è gradualmente evoluta, adattandosi al progresso. Questo insieme di regole, sono quindi gli elementi portanti che assicurano la convivenza nello spazio pubblico e la cura e la tutela del territorio. Secondo questa logica, le invicilities sono quegli atti o segni che, nonostante oscillino sul filo della legalità, non andando mai oltre quelli che gli anglosassoni definiscono soft crimes (reati minori nell'ordinamento italiano) e ponendosi nella maggior parte dei casi come "semplici casi di cattiva educazione e di mancanza di rispetto per gli altri" 78, violano quell'apparato 78 Chiesi, op. cit.

49


di standard

comportamentali

ampiamente

riconosciuto dalla società,

alimentando la percezione d'insicurezza e la paura del crimine nei suoi abitanti79, che le interpretano come possibili minacce. Sensazioni che in questo caso, secondo Hunter, risulterebbero direttamente correlate con i tassi di delinquenza: "laddove le inciviltà sono più diffuse sono compiuti più frequentemente atti devianti e criminali" 80. Le due tipologie di inciviltà presenti nei nostri centri urbani, che tendono spesso a combinarsi amplificando i rispettivi effetti, sono le seguenti: 1) Inciviltà fisico-ambientali, che riguardano il deterioramento delle strade e dei marciapiedi (mancata manutenzione e presenza dei rifiuti), il degrado degli edifici e relativi lotti abbandonati, il danneggiamento delle facciate degli edifici (murales e graffiti non autorizzati ed incuria strutturale), il danneggiamento dell’arredo urbano (panchine, cassonetti e fermate del bus) e la scarsa manutenzione degli spazi pubblici (illuminazione). 2) Inciviltà sociali, che si esplicitano nelle violazioni del codice della strada (guida pericolosa, parcheggi non autorizzati e vetture abbandonate), negli schiamazzi e nei forti rumori emessi soprattutto nell'orario notturno ed infine in comportamenti antisociali o aggressivi ad opera di alcuni gruppi di persone e di singoli soggetti.

79

Taylor R.B. (1988). Human Territorial Functioning. Cambridge University Press, Cambridge. 80 Hunter A. (1978). Symbols of Incivilities. Annual Meeting of the American Society of Criminology. Dallas, Texsas.

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E' lecito presupporre in questo caso, come l’esplosione dell'eterogeneità culturale che ha colpito la gran parte dei nostri centri urbani, abbia contribuito ad un aumento delle inciviltà sociali, o per lo meno, di tutti quei comportamenti che attraverso il filtro culturale della società ospitante, vengono erroneamente interpretati come minacciosi, alimentando di fatto, una spirale discendente di paura ed insicurezza nei cittadini. Le inciviltà sociali inoltre, fungendo da moltiplicatore, contribuiscono a generare ulteriori inciviltà fisico-ambientali e sociali, in un processo, ben descritto dalla Teoria dei vetri rotti81, che tende ad autoalimentarsi, ma che, a differenza del modello di Hunter, non incide in modo diretto sull’aumento della criminalità. La diffusione delle inciviltà contribuisce infatti ad alimentare nei cittadini la percezione di insicurezza e la paura del crimine, determinando il progressivo abbandono degli spazi pubblici e contestualmente, il "decadimento del sistema sociale del vicinato"82 e il senso di attaccamento al luogo. Questi fattori concorreranno poi nella riduzione della cura e del controllo sociale informale esercitato dai cittadini sul territorio (attraverso l’attitudine che Jane Jacobs chiama "degli occhi sulla strada" 83) e, di conseguenza, nel tacito

81

Wilson J.Q. & G.L. Kelling. (1982). Broken Windows. The Police and the Neighbourhood Society. The Atlantic Monthly, 279, 3, Pag. 29-38. 82 Chiesi, op. cit. 83 "La prima cosa da capire è che l'ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere

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riconoscimento (amplificato dall' assenza di risposte istituzionali) della possibilità di trasgredire prima e di delinquere poi. Ciò che sembra però incidere in modo preponderante nell'amplificazione di questo fenomeno di formazione indiretta del senso d'insicurezza, legato alle inciviltà, è dato dalla loro portata e dalla loro continuità temporale. Wilson e Kelling evidenziano infatti come i segni di inciviltà diventino un serio problema solamente con il passaggio di questi, da eventi sporadici a routinari, rispetto ai quali, in seguito alla stratificazione della paura e della rassegnazione,

oltre

come

abbiamo

visto,

alla

diminuzione

della

frequentazione degli spazi pubblici, nessun membro della comunità risulta disposto o attrezzato (perché isolato) a difendere i beni collettivi ed altrui, da furti o da atti vandalici. Sempre secondo i due autori, che si avvalgono di un interessante esperimento condotto dallo psicologo Philip Zimbardo, il disordine, un po’ come un agente patogeno, senza le dovute precauzioni e contromisure, sarebbe altamente contagioso e si diffonderebbe molto velocemente. Zimbardo ha infatti "condotto un interessante esperimento nelle strade di due città americane, lasciando un’auto, senza la targa posteriore e con il necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi". In Jacobs J. (1961). The Death and Life of Great American Cities. Random House, New York.

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cofano alzato, incustodita nel Bronx e a Paolo Alto. Nel Bronx, dopo dieci minuti che l’auto è stata abbandonata, una famiglia si è avvicinata all’auto e ha cominciato a prenderne pezzi. Nel giro di ventiquattro ore l’auto è stata «disossata», facendone rimanere soltanto la carcassa. A Palo Alto, invece, in California, per una settimana non è successo niente, nessuno ha toccato l’auto. Allora Zimbardo con una mazza ha provveduto ad infrangere alcuni vetri dell’auto. All’ottavo giorno dopo l’intervento dello psicologo, è avvenuto anche a Paolo Alto esattamente ciò che è accaduto nel Bronx, con una settimana di ritardo: tutti i pezzi della macchina sono stati presi" 84. Ricollegandosi alla teoria di Wilson e Kelling, Amendola ne approfondisce un aspetto, o quantomeno ci fornisce una chiave di lettura interessante, perfettamente coerente alla spirale discendente del fenomeno innescato dalle inciviltà, sull' origine dell'insicurezza dei cittadini. Secondo lo studioso, l'insicurezza avrebbe origine sia dalla percezione "di restare vittime in un futuro prossimo di un attacco alla propria persona ed ai propri beni" che dal "timore di non ricevere, in caso di attacco, aiuto o assistenza dalle istituzioni (polizia, servizi locali, ecc.) o dalla gente (vicini, passanti, amici) da cui ci si aspetta spesso solo educata indifferenza" 85. La sensazione di non essere soccorsi, oltre a dipendere dal dilagante fenomeno della "diffusione della responsabilità", ovvero la credenza che 84 Barbagli M. (1999). Egregio Signor Sindaco: Lettere dei Cittadini e Risposta dell’Istituzione sui Problemi della Sicurezza. Il Mulino, Bologna. 85 Amendola, op. cit.

53


sarà qualcun altro ad assumersi la responsabilità di fornire aiuto alla vittima, è correlata appunto al perdurare di quei segni di assenza di controllo da parte delle istituzioni, che concorrono nel determinare la continuità temporale

delle

inciviltà

ed

inducono

il

potenziale

trasgressore

ad

interpretare le aree macchiate dal degrado, come quelle che secondo la teoria dell' opportunità criminale 86, soddisfano le condizioni di razionalità dell' obiettivo. In questo senso, è doveroso precisare che in realtà, "nonostante la verosimiglianza di questa ipotesi" 87, nessun dato empirico ha mai dimostrato la relazione diretta tra inciviltà e crimini. Sampson e Raudenbush in particolare, dopo un'estesa e raffinata rilevazione effettuata in 196 quartieri di Chicago 88, hanno dimostrato l’influenza che hanno sulla pressione criminale delle caratteristiche strutturali come la povertà e come questa, in particolar modo, determini l'insorgere delle inciviltà. In seguito a questa analisi è emersa quindi una sola correlazione, seppur lieve, tra le inciviltà e l'incidenza del reato di furto in abitazione. Alla luce della portata del fenomeno e delle sue ripercussioni, dirette o meno, sulla percezione d' insicurezza e sull' andamento dei crimini, le inciviltà necessitano di essere affrontate sia attraverso un' oculata gestione del territorio (intesa come tutela e ripristino/riqualificazione delle aree 86 Marcus Felson (1994). Crime and Everyday Life. Insight and Implications for Society. Thousands Oaks: Pine Forge Press, California. 87 Chiesi, op. cit. 88 Sampson R.J. & Raudenbush S.W. (1999). Systematic Social Observation of Public Space: A New Look at Disorder in Urban Neighborhoods. American Journal of Sociology, 105, 3, Pag. 603-651.

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degradate dell' ambiente urbano) ad opera delle istituzioni locali che mediante lo studio e la pianificazione di risorse ed opportunità alternative che consentano ai soggetti più inclini alla trasgressione e alle inciviltà a convogliare i loro malesseri, o semplicemente i loro bisogni di identità e relazione, verso progetti creativi capaci di favorire la coesione sociale e di rivitalizzare l'attaccamento ai luoghi, tornando ad una frequentazione collettività dello spazio pubblico. Questi progetti devono mirare alla creazione di segni di civiltà, quei segni cioè che "manifestatamente indicano le attività di un vicinato urbano vitale ed efficiente"89, profondamente radicato al territorio. Come abbiamo già avuto modo di vedere nel paragrafo sull' attaccamento ai luoghi, sono numerose le ricerche che in questo senso, confermano la tendenza ad essere percepite come sicure, di quelle aree nelle quali evidenti segni di personalizzazione indicano la presenza di un forte senso di comunità90. All' aumentare quindi dei marcatori territoriali, aumenta nella percezione dei residenti e non solo, una valutazione positiva dell’area in termini di sicurezza, indipendentemente dalla reale incidenza del crimine 91. La riqualificazione dell’edilizia economico-popolare e lo sviluppo del suo tessuto sociale attraverso la personalizzazione degli spazi pubblici sono gli 89 Chiesi, op. cit. 90 Si veda ad esempio: Santinello M. & Gonzi P. (1998). Le paure della criminalità. Aspetti psicosociali di comunità. Giuffrè, Milano. Si veda ad esempio: Prezza M. & Santinello M. (2002). Conoscere la comunità. Il Mulino, Bologna. 91 Chiesi, op. cit.

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elementi cardine dell’esperimento Big City Life92, che ha portato alla realizzazione, ad opera di 22 artisti provenienti da 10 Paesi differenti e con l'attiva partecipazione degli abitanti del quartiere, di 22 opere murali sulle facciate degli edifici di proprietà Ater, nel lotto 1 di Tor Marancia, nella periferia Sud di Roma. Il progetto, ideato dall' Associazione Culturale 999 e realizzato con il sostegno del Municipio VIII e del Comune di Roma, cerca attraverso l'arte, di modificare il quotidiano dei cittadini, incentivandoli nella creazione di una comunità che nelle opere si rispecchia e si identifica.

CAPITOLO 2 – DATI STATISTICI 2.1 PREOCCUPAZIONI PRIORITARIE DELLA SOCIETÀ L’indagine sulle preoccupazioni prioritarie della società, pubblicata sul Rapporto annuale dell'Istat del 2012 93, consente d' indagare la rilevanza di alcuni fenomeni socioeconomici a livello di percezione soggettiva e la loro coerenza temporale rispetto a determinati eventi del Paese.

92 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.bigcitylife.it/ e

http://www.la7.it/dimartedi/video/street-art-a-tor-marancia-09-05-2018-241128 93 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.istat.it/it/files/2012/05/Rapporto-annuale-2012.pdf.

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Nel periodo che va dal 1998 al 2010, per le persone maggiori di 14 anni, la disoccupazione è stato di gran lunga il problema più sentito e la criminalità il secondo. L’importanza attribuita alla criminalità raggiunge il picco massimo nel 2001, quando il 65,8 % delle persone la considera il problema prioritario del Paese ed è proprio in questo anno che si assumono interventi normativi di largo impatto su alcuni reati specifici come lo scippo e il furto in abitazione, che si esplicita in un aumento delle pene. Dopo il 2001, la preoccupazione per la criminalità diminuisce fino a raggiungere nel 2003 il 48,8 %, per poi aumentare nuovamente e raggiungere nel 2008 un livello di importanza vicino a quello attribuito alla disoccupazione (61,3 % contro il 60,5 della criminalità). Tra il 2008 e il 2010 si è ridotto nuovamente in corrispondenza della crisi economica, che rifocalizza l’attenzione collettiva sui problemi derivanti dalle ripercussioni sul mondo del lavoro che vede la progressiva riduzione delle opportunità di impiego. L’immigrazione extra comunitaria e l’inefficienza del sistema sanitario rappresentano, rispettivamente, la terza e la quarta preoccupazione fino al 2003, anno in cui è la povertà a divenire il terzo problema. In merito alla prima, il picco viene raggiunto in seguito all' approvazione della Legge

57


189/2002 (la cosiddetta Bossi-Fini) e al Decreto-legge n. 195 del 9 settembre 2002 mediante il quale, recependo le istanze di vari imprenditori, si consentì, a chiunque fosse titolare di un' impresa, sia in forma individuale che societaria, di regolarizzare i contratti di lavoro e quindi di consentire il rilascio dei permessi di soggiorno agli stranieri che nel trimestre precedente all’entrata in vigore della norma avessero lavorato per lui 94, attraverso una semplice dichiarazione di emersione alla Prefettura e il pagamento di un contributo forfettario di 700 euro presso gli uffici postali. Il rapporto di lavoro da regolarizzare poteva essere a tempo indeterminato oppure a tempo determinato, in quest’ultimo caso di durata non inferiore a un anno 95. Nel 2003 mentre a livello nazionale l’immigrazione extra comunitaria è appunto indicata come il terzo tema in ordine di importanza, nel Nord-Est essa risulta tra i problemi prioritari del Paese (44,7 %) sostanzialmente al pari

della

disoccupazione

e

della

criminalità.

Anche

questo

è

presumibilmente additabile alle conseguenze della combinazione data dalla Bossi-Fini e dal Decreto 195/2002, che fu applicata in larga parte ad opera delle imprese delle regioni settentrionali ed in particolare proprio in quelle del Nord-Est dello stivale. Dopo il valore minimo raggiunto nel 2005, attestato al 24 %, cresce nuovamente la quota di italiani che avverte una preoccupazione elevata per 94 L’ Istat stima che tra il settembre 2002 e il dicembre 2003 grazie al provvedimento del Governo siano stati regolarizzati ben 247.525 lavoratori immigrati. 95 Si rimanda a: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/decreti/02195d.htm

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l’immigrazione extra comunitaria. Nel 2009 in particolare, questo aspetto torna ad occupare il terzo posto nella graduatoria, raggiungendo una percentuale molto vicina a quella del 2003, forse in seguito all'ondata immigratoria che nel 2008, secondo dati del Ministero dell'Interno 96, registrò 36.951 sbarchi sulle coste italiane. La flessione del 2010, verificatasi anche per la criminalità, risente secondo l'Istat dello spostamento di attenzione rivolta verso la disoccupazione e la povertà in seguito all' esplosione della crisi economica e forse, secondo lo scrivente, della drastica diminuzione degli sbarchi, in seguito al controverso Trattato di Bengasi97 firmato dall' allora dittatore libico Gheddafi e dall' ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che si attestarono attorno ai 9.573 del 2009 e ai 4.406 del 2010, il numero più contenuto dal 1997 ad oggi. Nel 2016, anno dell'ultima rilevazione Istat disponibile in merito, contenuta nel Report La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita 98, le famiglie italiane considerano molto o abbastanza presenti le seguenti problematiche: Rischio di criminalità (38,9%), inquinamento dell'aria (38,0%), traffico (37,9%), difficoltà di parcheggio (37,2%), sporcizia nelle strade (33,0%), difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (32,9%) e presenza di rumore (31,5%). 96 Cruscotto statistico al 31 dicembre 2016 (PDF), Ministero dell'Interno. 97 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.ilpost.it/2011/02/27/cosadice-il-trattato-tra-italia-e-libia/ 98 Per eventuali approfondimenti si rimanda https://www.istat.it/it/files//2016/11/Report-soddisfazione-cittadini.pdf.

59

a:


Rispetto al 2015, risultano in aumento problemi come la presenza di sporcizia nelle strade (era al 31,6%) e le difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (30,5%). Cala anche la quota delle famiglie che dichiarano di percepire un forte rischio di criminalità (l'anno precedente era al 41,1 %). Infine, al Centro le preoccupazioni delle famiglie sembrano concentrarsi soprattutto sul rischio connesso alla criminalità, sul traffico e sulle difficoltà di parcheggio e al Nord le famiglie segnalano come problema soprattutto quello relativo all’inquinamento dell'aria (42,0%) e solo a seguire la criminalità. Traffico e parcheggio sono segnalati anche dalle famiglie del Mezzogiorno (rispettivamente 37,9% e 38,7%), dove però ha un peso molto rilevante la difficoltà di collegamento attraverso i mezzi pubblici (37,6%).

2.2 EVOLUZIONE DEI CRIMINI Così come per l’indagine sulle preoccupazioni prioritarie della società i dati sulla criminalità sono stati analizzati in serie storica al fine di far emergere il loro andamento temporale. In questo caso si rende però necessaria una premessa. I dati qui trattati, nella maggior parte dei casi ricavati da studi e rapporti dell’Istat, rappresentano i soli delitti denunciati dai cittadini alle

60


Forze dell’ordine e quelli emersi dall’azione investigativa delle Forze di polizia e non possono rappresentare quindi, un quadro completo del fenomeno della criminalità nel nostro Paese. Se nel caso degli omicidi, infatti, esclusi eventuali corpi non rinvenuti, si tratta di una rilevazione abbastanza esaustiva, per gli altri reati i dati possono essere pesantemente influenzati dalla propensione delle vittime a denunciare il reato subìto, che assume proporzioni differenti in relazione alla tipologia del reato, all'impatto psicologico sulla vittima e all' estrazione geografica e socioculturale di quest' ultima. Presa coscienza di questo tipo di distorsione, si renderà necessario ad esempio, confrontare i dati sulla violenza verso le donne (uno dei tre temi maggiormente impattanti sulla percezione di sicurezza dei cittadini insieme agli omicidi e alla categoria comprendente furti e rapine) con un' indagine condotta dall' attuale Presidente dell' Istat Giorgio Alleva 99, mediante la quale è emerso uno scarto sensibile fra il numero di intervistate che riferiscono di essere state vittime di aggressioni, minacce e violenze sessuali e il numero di coloro che dichiarano di avere denunciato i fatti alle autorità competenti. Omicidi 99

L'indagine, qui consultabile: https://www.istat.it/it/files//2017/09/Audizionefemminicidio-11-gennaio-2018.pdf , è stata redatta in vista della Comissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, nel settembre 2017.

61


Secondo i dati rilevati dallo studio Istat Delitti, imputati e vittime dei reati 100, il tasso degli omicidi e, seppur con un andamento più oscillante, quello dei tentati omicidi, in Italia sono costantemente diminuiti nel tempo. Dalle drastiche riduzioni registrate dopo il 1991, quando il tasso raggiungeva il picco dei 3,4 omicidi ogni centomila abitanti (1.916 omicidi totali), nel 2014 sono scesi allo 0,8 ogni centomila abitanti, registrando un ulteriore diminuzione rispetto all' 1,0 ogni cento mila abitanti del 2010. Nel 2014, in Italia, sono infatti stati commessi 475 omicidi volontari (per la prima volta il numero scende sotto le cinquecento unità) con un decremento del 10,0 % rispetto al 2010 e del 5,4 % rispetto al 2013 mentre i tentati omicidi sono stati 1.250, anch' essi al minimo storico dal 1985. Tra le tipologie di omicidio considerate, quelli di tipo mafioso, pari a 45 nel 2014, sono diminuiti di 24 casi rispetto al 2010, mentre quelli a scopo di furto o rapina, 27 nel 2014, di 8 casi. Questa tendenza discendente coinvolge la gran parte dei paesi dell’Unione Europea, ma è proprio in Italia che appare negli ultimi anni più accentuata: prendendo a riferimento il 2009, il dato disponibile più recente per un confronto internazionale, sia per l’omicidio che per le rapine e i furti in

100

Per eventuali approfondimenti si rimanda https://www.istat.it/it/files/2017/10/Delitti-imputati-e-vittime-dei-reati.pdf

62

a:


abitazione, i valori dell’Italia risultano inferiori a quelli della media UE27 101. Per quanto concerne l'omicidio in particolare, il nostro paese registra il tasso più basso dopo Austria, Spagna, Lussemburgo, Paesi Bassi e Polonia, che presentano valori compresi tra 0,47 e 0,74 omicidi ogni 100 mila abitanti 102. Furti e rapine Nel 2014 sono stati denunciati circa di 1 milione e mezzo di furti e 39 mila rapine. Per entrambi si registra un consistente aumento dal 2010 al 2014 (rispettivamente con un incremento del 18,7 e del 16,2 %) sebbene nell’ultimo anno il trend stia rallentando (+1,2 % per i furti e -10,3 % per le rapine).

Questo

andamento

però,

risulta

altamente

diversificato

e

temporalmente oscillatorio e per questo verrà ordinato secondo la diffusione e l'incidenza della tipologia dell'atto predatorio 103 al 2014, anno più recente 101 I risultati del nostro Paese appaiono positivi anche se paragonati a quelli delle principali economie europee: rispetto all’Italia, difatti, solo la Germania mostra valori costantemente inferiori della criminalità, laddove Francia e Regno Unito si posizionano sempre al di sopra, situazione questa molto diversa da quella dagli anni Ottanta, quando il valore italiano era tra i più elevati dei paesi occidentali. 102 Nonostante l’elevata diminuzione dei tassi di omicidi anche nei tre Stati membri baltici (Lituania, Estonia e Lettonia), il numero di omicidi ogni centomila abitanti in questi Paesi è rimasto più elevato rispetto a tutti gli altri Stati membri. 103 Il furto, è disciplinato dall' articolo 624 del codice penale ed è il reato commesso da “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”. Ne è una aggravante la “destrezza” che consiste nell’abilità da parte dell’autore del furto di eludere, in qualche maniera, l’attenzione della vittima alla custodia della cosa, ad esempio urtando la vittima stessa, distraendola verbalmente o approfittando dell’affollamento dei luoghi, modalità tipiche del cosiddetto "borseggio". L’articolo 624bis, introdotto nel 2001, definisce invece i furti con strappo (chiamati nel gergo comune "scippi") e i furti in abitazione, cui corrispondono pene più

63


del quale abbiamo i dati. I furti con strappo seguono, dal 1991, anno del loro valore massimo, un trend fortemente discendente e se nel 1992 erano quasi il doppio delle rapine (100 scippi ogni 100.000 abitanti contro 55 rapine), nel 2010 la situazione risulta completamente ribaltata, con queste ultime che superano i primi (55 contro 23) nonostante scendano per la prima volta sotto la media UE27

(104,4

rapine

ogni

100

mila

abitanti).

L’andamento delle rapine dopo il trend ascendente tra il 1995 e il 2007, ha fatto infatti un netto balzo all'indietro e proprio nel 2010, è sceso ulteriormente a 79,4 rapine ogni 100 mila abitanti mantenendoci comunque saldamente al comando dell' Europa per il numero di rapine in banca. Per quanto riguarda invece i furti in abitazione e i borseggi, i loro trend nel periodo considerato, evidenziano una curiosa percorrenza parallela che si interrompe tra il 2003 e il 2007, frazione nella quale i loro valori quasi si equivalgono. Anche da una lettura sommaria del grafico decritto a pagina 18 dello studio citato 104, si evince infatti, come i furti in abitazione siano mediamente traslati verso valori più alti rispetto ai borseggi di circa 100 reati ogni 100 mila. Entrambi i valori raggiungono due picchi, nel 1990 (con gravi del semplice furto. La rapina è disciplinta dall' art. 628 del codice penale e pur appartenendo ai reati contro il patrimonio per il sistema penale italiano, è un furto realizzato mediante l’uso o la minaccia di uso della forza che si colloca quindi tra i reati violenti. 104 Studio Istat Delitti, imputati e vittime dei reati, op. cit.

64


quote rispettivamente di circa 375 e 265 ogni 100 mila abitanti) e nel biennio 1999-2000 (con quote che vanno da 440 a 410 ogni 100 mila abitanti per i furti in abitazione e da 275 a 300 ogni 100 mila abitanti per i borseggi) e, in seguito alla frazione coincidente tra il 2003 e il 2007, nella quale raggiungono entrambe (nel 2004) il picco minimo prossimo ai 180 reati ogni 100 mila abitanti, risalgono col solito parallelismo durante gli anni segnati dagli effetti catastrofici della crisi economica fino al 2014, anno nel quale i primi toccano quota 430 (sfiorando il picco massimo del 1999) e i secondi 300 borseggi ogni 100 mila abitanti (toccando la quota massima registrata). Il trend relativo ai furti di autoveicoli 105, registra dal 1991 (anno del picco massimo con i suoi 650 furti ogni 100 mila abitanti) un comportamento molto oscillatorio ma complessivamente a ribasso. In seguito ai picchi dei trienni 1996-99 e 2004-2007 si è registrato poi una progressiva diminuzione che ha portato, nel 2014, al superamento del picco minimo del 1986 attestandosi a poco meno di 300 furti ogni 100 mila abitanti. Negli ultimi 5 anni di rilevazione (quinquennio 2009-2014), in conclusione, l'andamento si presta nuovamente a letture comparate ed emerge che, tra i furti, aumentano del 51,3 % quelli in abitazione, del 55,4 % quelli con 105 Dal 2004 comprende: furti di autovetture, motocicli, ciclomotori, automezzi pesanti trasportanti merci.

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destrezza, del 34,2 % gli scippi e del 17,5 % quelli negli esercizi commerciali; al contrario invece, sono in diminuzione i furti di veicoli (in linea con il trend discendente precedentemente discusso), in particolare dei ciclomotori (-35,9 %). Tra le rapine risultano invece in fortissimo aumento quelle in abitazione (63,6 % nel quinquennio 2009-2014) e nello stesso periodo, seppur in misura minore, quelle in strada (+21,7 %) e negli esercizi commerciali (+5,2 %), diminuiscono le rapine negli uffici postali (-14,1 %) e soprattutto quelle in banca, che si sono ridotte del 42,9 % dal 2009 e del 69,0 % negli ultimi 10 anni (2004-2014). Considerato il 2013 come l'anno dal quale si registra un abbassamento generale del numero dei reati, si sta forse delineando una nuova fase di miglioramento, che chiaramente solo il tempo potrĂ sancire come reale diminuzione o come al contrario mera fluttuazione, i furti che possono essere letti in netta controtendenza con questo ipotetico nuovo trend positivo, sono quelli con destrezza (+8,1 % tra il 2013 e il 2014), e quelli eseguiti sulle auto in sosta (+4,3 %). Risultano invece stabili i furti negli esercizi commerciali e in quelli ancor piĂš sentiti nelle abitazioni. Truffe e frodi informatiche Il reato che sembra svincolarsi totalmente dal trend appena descritto

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sembra quello della truffa, che complice l'innovazione tecnologica, sta mutando nella modalità d'esecuzione 106 ed aumentando di numero ed efficacia. Le truffe e le frodi informatiche sono infatti aumentate del 38 % rispetto al 2013 e addirittura raddoppiate in dieci anni (erano 66.294 nel 2004, 96.442 nel 2010 e 133.261 nel 2014). I delitti informatici sono invece quasi raddoppiati negli ultimi 5 anni (+82%) e decuplicati dal 2004 (erano 966 nel 2004, 5.973 nel 2010 e 10.846 nel 2014). Reati contro la persona: Lesione, minaccia, ingiuria e violenza sessuale Tra i reati contro la persona l'Istat pone l'attenzione 107, sui reati denunciati di

106 Si tende a sfruttare appieno le innovazioni tecnologiche e soprattutto le modifiche nel sistema di circolazione del denaro, sempre di più costituito da moneta virtuale nelle sue varie forme, anziché da denaro contante. Come conseguenza si è avuta l’introduzione di nuove forme di truffa: la clonazione di carte di credito e bancomat, le truffe telefoniche, il phishing attraverso cui accedere ai servizi home banking della vittima o a prestiti on line personali e finalizzati all’acquisto di beni e servizi. 107 Studio Istat Delitti, imputati e vittime dei reati, op. cit.

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lesione108, minaccia109, ingiuria110 e violenza sessuale111. Tutti questi hanno in comune una dimensione sommersa molto elevata, sono molto pochi infatti gli aggressori denunciati dalle vittime, come verificabile dai bassi tassi di denuncia che emergono nell’ambito delle indagini sulla popolazione che trattano il tema.

108 L’art. 582 del codice penale definisce il reato di lesione: "chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni". Questa definizione inquadra due eventi distinti, la lesione e la malattia, il secondo dei quali è necessario per distinguere il delitto di lesioni volontarie da quello, meno grave, di percosse, che può verificarsi con modalità analoghe, ma che non ha come conseguenza l’insorgere della malattia. 109 Il delitto di minaccia è identificato dall’art. 612 del codice penale: "chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa (…) (o con la reclusione, se la minaccia è grave)". Questo reato si configura come un reato di pericolo, in quanto non è necessario che quanto minacciato si realizzi nei fatti, ma è sufficiente che il male prospettato intervenga a menomare la sfera di libertà morale di un individuo 110 Commette il delitto di ingiuria (594 c.p.): "chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente (…) o mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa". E’ un reato previsto per tutelare, in senso generale, il rispetto e la stima dovuta alla persona. E’ circostanza caratterizzante la presenza della vittima stessa (per estensione che le comunicazioni siano dirette a essa), situazione che distingue questo reato da quello di diffamazione. Se nell’ingiuria si ravvisa un’origine discriminatoria, di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, essa assume una connotazione punibile in modo più severo (legge n. 205 del 1993). 111 Il principio fondamentale della legge è contenuto nell’art. 609 bis: "Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona". La legge è composta da più articoli, riguardanti le violenze sessuali contro i minori o di gruppo. Nel 2013, con la legge n.93 del 14 /8/2013, è stato introdotto l’aggravante, in caso la violenza sia compiuta da un partner o un ex-partner.

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L’indagine sulla sicurezza dei cittadini del 2008-2009 112 rileva ad esempio, un tasso di denuncia per le aggressioni subite negli ultimi dodici mesi precedenti all’intervista pari al 19 % e quello delle minacce al 27,6 %, mentre da un'altra indagine sempre effettuata dall' Istat sulla sicurezza delle donne nel 2014 è emerso un tasso di denuncia degli stupri o tentati stupri subiti da un partner pari al 17,5 % e al 4,3 % per gli stupri e i tentati stupri subiti da un uomo diverso dal partner (parenti, amici, colleghi di lavoro, conoscenti, sconosciuti). L' istituto, tiene a precisare che nonostante l'incidenza del sommerso su questi reati sia molto rilevante, le analisi dei dati delle denunce possono essere comunque estremamente utile per i confronti spaziali e temporali. Non considerando i reati di violenza contro le donne, che verranno analizzati separatamente per la loro peculiarità e la forte ripercussione che dimostrano di avere sulla percezione d'insicurezza e il conseguente utilizzo dello spazio pubblico da parte del genere femminile, le lesioni volontarie risultano l’unico reato presente, tra i tre analizzati in questo paragrafo, nelle rilevazioni dei Delitti denunciati dalle Forze di polizia all’Autorità Giudiziaria sia nella sua prima edizione (1955)113 sia nella seconda (1983). Dal 1985 le lesioni 112 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.istat.it/it/archivio/5689. 113 L’indagine dei delitti denunciati dalle forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria ha avuto inizio nel 1955, successivamente è stata modificata nel 1983 e nel 2004, quando ha assunto la veste attuale. il modello cartaceo n.165 che raccoglieva le denunce dei reati è stato informatizzato dal ministero dell’interno, che ha predisposto un sistema operativo di indagine (SDI), da cui vengono estratti anche i dati statistici.

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mostrano una crescita consistente soprattutto verso la fine degli anni Novanta, ed hanno come picco massimo raggiunto in questa frazione il 2004, anno in cui la rilevazione subisce un'importante interruzione di serie storica

in

seguito

all'

informatizzazione

della

stessa.

Dopo

quindi

un'impennata nel biennio 2004-05 dovuta probabilmente al cambio appena citato, il trend delle lesioni ha ripreso con lievi variazioni lo stesso percorso ascendente che lo ha portato a registrare il suo punto di massimo in corrispondenza del 2012. Un andamento simile si registra anche per le minacce e le ingiurie (presenti nelle statistiche del database delle Forze dell’Ordine “SDI”, a partire dal 2004) che mostrano costanti incrementi, con punte significative rilevate nel biennio 2008-09 e in quello 2011-12, anno dal quale hanno rallentato la crescita. Reati di violenza sulle donne Prima di procedere ad analizzare le dinamiche temporali e l'incidenza (più vicina alla realtà) dei reati di violenza contro le donne mediante l’integrazione

del

sommerso,

si

rende

necessario

un

ulteriore

approfondimento. La legge sulla violenza sessuale del 1996 ha infatti, completamente modificato non solo l’assetto giuridico di questo reato ma Per eventuali approfondimenti si rimanda alla Rilevazione dei delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria: i delitti, le vittime e gli autori su: http://schedefontidati.istat.it.

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anche l'approccio socioculturale del Paese a riguardo. Per la prima volta, grazie alla modifica normativa, i delitti inerenti alla sfera sessuale sono diventati da delitti contro la morale pubblica e il buon costume a delitti contro la persona ed in particolare contro la libertà sessuale. Questo

passaggio,

secondo

l'opinione

del

sottoscritto,

segnò

un

cambiamento radicale nella mentalità retrograda di un Paese, che fino al 1981, concedeva attraverso il matrimonio, l'estinzione speciale del reato sessuale attraverso l' articolo 544 del Codice Penale (il quale disponeva che “il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”) e disciplinava attraverso l'articolo 587 del Codice Penale 114 l’omicidio d’onore, che consentiva la riduzione della pena a chi avesse ucciso la moglie (o il marito, nel caso a essere tradita fosse stata la donna), la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". Prima del 1996 inoltre, in merito alla sfera sessuale venivano considerati sia il reato di violenza carnale sia il reato di atti di libidine violenti. Ora, entrambe queste tipologie ricadano nella sfera di azione della legge sulla 114 Il dettato originario della norma diceva: "Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella".

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violenza sessuale che considera qualsiasi violazione contro la libertà sessuale, a prescindere dalla sua gravità, dalla molestia sessuale allo stupro. Questo importante mutamento socioculturale che si accompagnò a quello giuridico, oltre appunto alle citate incongruenze giuridico-statistiche, non consente quindi di effettuare dei confronti temporali con un buon grado di affidabilità. Per offrire un esempio dei suoi effetti, avendo indotto inevitabilmente ad una maggior propensione alla denuncia da parte delle vittime, ha condizionato le analisi in merito all'effettivo aumento dei reati. Il maggior numero di denunce non è imputabile infatti, se non parzialmente, ad un aumento del fenomeno della violenza. La violenza contro le donne, come abbiamo preannunciato, è un fenomeno di difficile misurazione, in quanto si sviluppa principalmente negli ambienti familiari, quelli dove qualsiasi persona dovrebbe sentirsi più sicura e dove invece purtroppo, può accadere che si trovi ad affrontare in solitudine una situazione che la vede contrapposta a familiari o persone a lei care. Le ragioni per le quali questo fenomeno rimane in ampia misura sommerso, oltre alle pesanti ripercussioni psico-fisiche, sono proprio da ricercare nella prossimità con l’autore dei crimini, che, in tre quarti dei casi, è il partner o un familiare. Le indagini Istat sul tema rilevano infatti, uno scarto sensibile fra il numero di intervistate che riferiscono di essere state vittime di aggressioni, minacce

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e violenze sessuali e il numero di coloro che dichiarano di avere denunciato i fatti alle autorità competenti. Questo ha indotto l'istituto ad accompagnare all’elaborazione dei dati di fonte giudiziaria, indagini ideate con l'obiettivo di raccogliere direttamente dalla rispondente la sua esperienza, consentendoci di arrivare ad una ricomposizione più verosimile dell’entità e delle caratteristiche del fenomeno. Da un primo sguardo alla dinamica temporale degli omicidi si evince immediatamente una netta differenza di genere. La costante riduzione del numero di omicidi registrata negli ultimi decenni infatti, ha riguardato principalmente gli individui di sesso maschile. Mentre questi sono passati ad essere vittime di omicidio da 4 a 0,9 ogni 100 mila (tra il 1992 e il 2015, secondo i dati dell’indagine Cause di morte per la quale l'Istat dispone di una serie storica lunga), per le donne il tasso è sceso da 0,6 a 0,4. Sebbene, quindi,

per i maschi l’incidenza degli omicidi si

mantenga tuttora

nettamente maggiore (circa doppia) rispetto alle donne, il positivo trend discendente in corso per il sesso maschile non si riflette in quello opposto, per il quale registra ritmi molto più lenti ed è riconducibile ad una riduzione del numero di vittime da autore ad essa sconosciuto o non identificato piuttosto che a un calo delle vittime in ambito familiare. La prima indagine interamente dedicata alla violenza sulle donne (Indagine sulla sicurezza delle donne) è stata condotta dall' Istat nel 2006 con il

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contributo

finanziario del

Ministero per le pari

opportunità,

l’attiva

collaborazione progettuale dei centri antiviolenza ed il supporto di alcune donne vittime di violenze. L’indagine è stata poi ripetuta nel 2014 ed ulteriormente arricchita di informazioni come quelle relative alle donne disabili e alle straniere. I risultati, come avremo modo di approfondire di seguito, evidenziano una diminuzione complessiva delle violenze (tranne gli stupri) che però aumentano di gravità. I dati aggiornati dell'Indagine sulla sicurezza delle donne 115, diffusi nel 2015, hanno mostrato come poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5 %), abbiano subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale116. Per quanto riguarda, in particolare, la violenza sessuale, si stimano 4 milioni e mezzo di donne vittime di una qualche forma (realizzata o tentata) di violenza sessuale nel corso della propria vita. In più di un milione di casi inoltre (1 milione e 157mila) si è 115 L' intero Report congiunto Dipartimento pari opportunità / Istat e le rispettive tavole sono disponibili a questo indirizzo https://www.istat.it/it/archivio/161716 e rispetto allo stalking i dati sono rintracciabili nel report all’indirizzo https://www.istat.it/it/archivio/5348. 116 Per l’Istat la violenza fisica e sessuale si identifica con episodi in cui la donna è minacciata di essere colpita fisicamente o con le armi; è spinta, afferrata o strattonata, colpita con oggetti, schiaffeggiata, presa a calci, a pugni, a morsi; è vittima di tentato strangolamento, soffocamento, ustione o di altre forme di violenza fisica. Alla violenza sessuale si riconducono tutti gli episodi in cui la donna è costretta, contro la propria volontà, ad attività sessuali degradanti e umilianti, ad avere rapporti sessuali con terzi o rapporti non desiderati perché vissuti come violenza, a subire molestie fisiche sessuali, tentati stupri, stupri, ad essere vittima di altre forme di abusi sessuali.

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trattato delle forme più gravi come lo stupro (3,0 %; 652mila) e il tentato stupro (3,5 %; 746mila). I partner attuali o gli ex partner sono nella maggior parte dei casi gli autori delle violenze più gravi. 2 milioni ed 800mila donne sono state vittime delle loro violenze: si tratta di poco più del 5 % delle donne con un partner attuale (5,5 %, 855mila) e di quasi il 20 % delle donne che hanno avuto un partner nel passato (18,8 %, 2 milioni e 44mila) e nel dettaglio, sono gli autori del 62,7 % degli stupri e più in generale del 90,6 % dei rapporti sessuali indesiderati vissuti dalla donna come violenza. Il 10,6 % delle donne dichiara invece di aver subìto una qualche forma di violenza sessuale prima dei 16 anni ed è purtroppo in aumento la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3 % al 64,8 % tra il 2006 e il 2014) e di quelli che sono stati direttamente coinvolti nelle violenze (dal 15,9 % al 23,7 %). La tremenda gravità di questo aspetto è testimoniata dalla relazione esplicita

tra

la

vittimizzazione

vissuta

e

assistita

da

piccoli

e

il

comportamento violento sviluppato negli anni successivi alla violenza: il tasso di violenza subita dal partner attuale passa dal 5,2 % delle donne con un partner che in passato non ha assistito alla violenza del padre sulla madre al 21,9 % delle donne che al contrario frequentano partner che sono

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stati testimoni della violenza. La percentuale diventa ancora più impietosa (35,7 %) nel caso di donne che subiscono violenze da parte di un partner che ha subito in passato violenza fisica da parte dei genitori ed in particolare dalla madre. Da un confronto, sempre effettuato dall'Istat, fra le stime del 2014 e quelle del 2006 emergono alcuni segnali incoraggianti, come la complessiva riduzione di tutte le forme di violenza subite e la maggiore propensione ad intraprendere percorsi d’uscita dalla spirale della violenza, ed altri, purtroppo, fortemente negativi. Restano infatti stabili le quote di donne vittime di violenze estreme come stupri e tentati stupri e delle forme più efferate di violenza come l'uso o la minaccia di uso di pistole o coltelli (rispettivamente all’1,2% e 0,4%). Aumentano inoltre, e anche questo è un dato che deve far riflettere, la gravità delle violenze sessuali e di quelle fisiche. Reati di violenza sulle donne straniere In generale, la quota di straniere che dichiara di aver subito violenza fisica o sessuale è pressoché identica a quella delle donne italiane, 31,3 % del totale delle donne straniere residenti in Italia (pari a 644 mila unità) contro il 31,5 % sul totale delle donne italiane (pari a 6 milioni 144 mila unità). Si attestano sopra la media le donne moldave con il 37,3%, seguono le romene

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con il 33,9 % e le ucraine con il 33,2%. Le percentuali sono invece più basse della media fra le donne marocchine (21,7 %), albanesi (18,8 %) e cinesi (16,4 %)117. Le forme più gravi di violenza sessuale sono invece più spesso riportate dalle donne straniere (7,7 % di stupri/tentati stupri contro il 5,1 % delle italiane) e più frequentemente sono commesse da partner attuali o precedenti (68,3 % degli stupri e 42,6% dei tentati stupri). Nella maggior parte dei casi, la violenza subita da parte del partner, attuale o precedente, è iniziata nel Paese di origine (69,2%), mentre per il 19,6 % è relativa ad una relazione iniziata in Italia. Le donne straniere mostrano infine più elevati livelli di denuncia (il 17,1 % contro l’11,4 % delle italiane) e di richiesta di aiuto presso i centri antiviolenza e servizi simili (6,4 % contro 3,2 %). Questo è presumibilmente additabile, per l'Istat, alla minor consistenza e solidità della rete di sostegno sociale delle donne straniere rispetto alle italiane, che le costringerebbe alla ricerca di forme di aiuto nei servizi offerti dallo Stato. 117 L’indagine del 2014 ha estratto un campione rappresentativo di donne straniere residenti in Italia (3.797). In particolare sono rappresentate le prime sei cittadinanze di donne dai 16 ai 70 anni, cioè le donne provenienti da Romania, Albania, Ucraina, Marocco, Cina, Moldavia. L’indagine è stata condotta in gran parte tramite la tecnica di rilevazione CATI (telefonicamente con l’ausilio del computer) per le 21.044 intervistate italiane e 297 delle intervistate straniere. Le altre 3.420 donne di cittadinanza non italiana selezionate sono state intervistate con tecnica CAPI (incontri faccia a faccia con il supporto di un pc portatile).

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2.3 DISTRIBUZIONE TERRITORIALE Omicidi Tra le regioni, sempre secondo i dati dello studio Istat Delitti, imputati e vittime dei reati118, le differenze sono in generale molto marcate. Rispetto agli omicidi, la Calabria ha valori doppi rispetto alla media nazionale, 1,6 omicidi contro 0,8 ogni cento mila abitanti (ne aveva il triplo nel 2013), ed è seguita a distanza dalle altre regioni del Mezzogiorno, come la Sardegna (1,4 omicidi consumati ogni cento mila residenti), la Campania (1,1), la Sicilia e la Puglia, alle quali si aggiungono infine, la Basilicata (1,2) e il Lazio. I valori regionali più bassi, dopo quello della Valle d’Aosta, nella quale nel 2014 non ci sono stati omicidi, si registrano in Friuli-Venezia Giulia, TrentinoAlto Adige (entrambi pari a 0,1 ogni centomila abitanti) e in Veneto (0,3). La diminuzione più forte dal 2010 al 2014 si attesta al Sud, soprattutto in Calabria e in Puglia, nel Nord-ovest, con particolare riguardo al Piemonte e alla Liguria, e nel Nord-est. Diminuiscono gli omicidi anche in Sicilia. Risultano in controtendenza invece, il Centro (dovuto in gran parte al Lazio) e la Sardegna.

118 Studio Istat Delitti, imputati e vittime dei reati, op. cit.

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Sono circa 60 le province in cui si registra un tasso di omicidi superiore alla media nazionale, se pur con grandi differenze. Le province che presentano il più alto tasso di omicidi sono Nuoro, con un tasso pari a 5 ogni centomila abitanti (quasi raddoppiato rispetto al 2010) e Crotone (3 ogni centomila abitanti). Per quanto concerne i tentati omicidi invece, la regione con la più alta incidenza è ancora la Calabria (3,5 ogni cento mila abitanti contro 2,1 della media italiana), seguita da Puglia, Liguria, Sardegna, Basilicata e Molise, con valori compresi tra 3,1 e 2,9 ogni centomila abitanti, accompagnate da Campania (2,8) e Sicilia (2,7). Valori di poco superiori alla media anche per il Lazio. Come per gli omicidi, i tassi dei tentati omicidi sono minimi, invece, in Friuli-Venezia Giulia, nelle province di Bolzano e Trento ed in Veneto. I tentati omicidi sono diminuiti del 4,5 % rispetto al 2010, ma, tra le regioni, solo l’Emilia-Romagna, il Lazio e l’Umbria mostrano un continuo trend discendente a partire dal 2011 e la Calabria dal 2012. Tra le provincie, 41 hanno valori sopra la media, la prima è Isernia (4,6 tentati omicidi ogni centomila abitanti), seguita da Siracusa e Foggia (entrambe con un tasso pari a 4,4 ogni centomila abitanti), Reggio Calabria (4,3) e Genova, Oristano e Crotone che hanno tassi pari al 4 ogni cento mila abitanti.

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Per quanto riguarda invece, gli omicidi volontari commessi nei grandi comuni119, si può facilmente notare come i tassi ogni centomila abitanti siano al di sopra della media nazionale (pari a 0,8) in quasi tutti i grandi comuni, sebbene con notevoli differenze. I valori piĂš elevati si riscontrano nel 2015 a Napoli e Bari (circa 3,0 e 2,5 ogni100 mila abitanti), seguiti da Palermo (1,5) e Catania (1,3), mentre a Milano e Roma è stato commesso, nel 2013, un omicidio ogni 100 mila abitanti. Alcune grandi comuni sono invece raramente teatro di omicidi, in particolare Genova, Verona e Firenze hanno fatto registrare tassi nell’ordine di 0,3-0,5 omicidi ogni 100 mila abitanti, risultando ampiamente sotto la media nazionale. Dal 2010 al 2014, Torino, Genova e Bologna hanno avuto tassi di omicidi costantemente in diminuzione, cosa non riscontrabile rispetto ai tentati omicidi, soprattutto per Genova, che nel 2014 ha avuto un picco per questi delitti pari a 5,4 ogni centomila abitanti, seconda solo a Bari (6,2 ogni centomila abitanti). Al terzo posto della graduatoria dei tentati omicidi troviamo Napoli con un tasso pari a 5, mentre si distanziano, ma sempre con valori superiori alla media, Torino e Milano. Valori minimi per i tentati omicidi si riscontrano di nuovo a Verona (1,2) e Bologna (1,3), seguite da Venezia (1,5), nonchĂŠ Catania e Palermo (con 1,9 ogni centomila abitanti), che si collocano al di sotto della media italiana (2,1 ogni centomila abitanti). 119 Si tratta dei comuni con una popolazione superiore a 250 mila abitanti: Torino, Genova, Milano, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania.

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In ultimo, come emerge dalle rilevazioni, si registrano nei comuni di Catania, Torino e Genova, valori inferiori rispetto all'insieme degli altri comuni della provincia, contraddicendo la credenza che vorrebbe a parità di contesto geografico, la grande città più inclini a fare da sfondo ai reati gravi come gli omicidi.

Furti e rapine Anche per questo tipo di reati, l’Italia appare geograficamente molto diversificata e senza una netta omogeneità territoriale: - I furti con strappo, i cosiddetti scippi, di cui in precedenza aveva l’esclusiva il Sud, sono più diffusi oltre che nel Mezzogiorno, nelle Isole e nel Nordovest, con Sicilia (53,4), Campania (51,7) e Lazio (41,8) in vetta. - I furti con destrezza (o borseggi) sono più frequenti al Centro e al Nordovest, soprattutto nel Lazio (597,9), in Liguria (575,6) e in Piemonte (449,8), seguiti dal Nord-est, con punte in Emilia-Romagna (464,5). - I furti in abitazione e negli esercizi commerciali caratterizzano soprattutto il Nord e di nuovo il Centro, con la prevalenza dei tassi in Piemonte (638,9), Emilia-Romagna (618,9), Lombardia (588,4) e Toscana (509,2); - I furti di veicoli avvengono prioritariamente nell’Italia meridionale ed insulare e al Centro, soprattutto, quest’ultima ripartizione, per i ciclomotori e

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i motocicli. - Le rapine in strada sono più frequenti al Sud e al Nord-ovest, il primato per queste spetta alla Campania (96,9), seguita dal Piemonte (41,1). - Le rapine in abitazione nelle Isole o più precisamente in Sicilia (7,2). Per i furti e le rapine in generale, le regioni che presentano tassi sotto la media, sono le regioni più piccole come la Valle d’Aosta, le province autonome di Trento e Bolzano, il Molise, la Basilicata e l’Abruzzo, ma anche le Marche, il Friuli-Venezia Giulia e la Sardegna. A queste si possono aggiungere pure la Calabria e la Puglia, fatta eccezione per i furti di autovetture rispetto ai quali presentano valori più alti, soprattutto la Puglia. I grandi comuni costituiscono un polo di attrazione per la criminalità di tipo predatorio anche se non nella stessa misura e non per tutti i tipi di delitto appartenenti a questa categoria. Tra i dodici comuni considerati esiste una differenza Nord-Sud rispetto ad alcune tipologie di furto: A Bologna, Milano, Venezia e Torino, seguite da Firenze, Roma e Genova, sono stati denunciati in misura maggiore i furti con destrezza, mentre a Napoli, Catania e Bari i furti con strappo. Entrambi sono aumentati tra il 2009 e il 2013 con incrementi più accentuati per quanto riguarda gli scippi a

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Palermo, Bologna e Torino (dove sono circa raddoppiati) e per i borseggi a Venezia (+152 %) e Roma (+127 %). Per quanto concerne i furti in abitazione, si registrano picchi nelle grandi città del Nord, in particolare Torino (763 ogni 100 mila abitanti), Milano (713), Firenze (638) e Bologna (554). Per i furti di veicoli la situazione varia a seconda del mezzo considerato: - Per i furti di autovetture, la tendenza dal 2009 al 2013 è stata in diminuzione in tutti i grandi comuni, fatta eccezione per Palermo e Napoli (con incrementi del 45,3 e dell’11,5 %) e per Bari e Catania in cui l’incidenza è rimasta costante ma elevatissima, soprattutto nella città siciliana, dove si registra un tasso pari a 1.751 ogni100 mila abitanti. - I furti di ciclomotori e motocicli nel loro complesso sono più frequenti a Catania, Napoli, Bologna, Palermo e Genova. Le rapine in banca crescono solo a Catania e Palermo. Le rapine negli esercizi commerciali sono quasi raddoppiate a Genova e a Bologna, ma diminuiscono di un terzo a Napoli, Firenze e Verona. Napoli ha invece il triste primato di città con il più alto tasso di rapine in strada (300 ogni 100 mila abitanti, pari a 2.925 rapine denunciate), un tasso

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che è circa il doppio rispetto a Milano, Torino e Catania e che sta drasticamente aumentando a Firenze e a Bari (rispettivamente dell'82 % e del 75 %). Truffe e frodi informatiche Tra le ripartizioni vi è una considerevole disomogeneità per le denunce delle truffe e delle frodi informatiche: in vetta spiccano il Nord-ovest (235,7 ogni centomila abitanti contro i 219,2 della media italiana) e il Sud a 230,5, seguono il Nord-est ed il Centro e da ultime giungono le Isole con 188,0. Coerentemente, tra le regioni spiccano la Valle d’Aosta (280,3), la Liguria (277,3) e il Piemonte (263,7) al Nord-ovest, ma anche l’Emilia-Romagna e il Friuli-Venezia Giulia al Nord-est e la Campania (278,1) al Sud, unica regione meridionale con valori sopra la media. Sono 33 le province italiane che si collocano sopra la media per le truffe e le frodi informatiche. La graduatoria è molto disomogenea: i tassi spaziano dai 321 ogni centomila abitanti della provincia di Savona, all’88,8, di Monza e della Brianza. Solo un quarto delle province del Sud inoltre, ha tassi sopra la media. In cima alla classifica dopo Savona, seguono le province dei grandi comuni come Napoli (318), Milano (300), Bologna e Torino, poi Imperia, Rimini, Trieste, Aosta e Genova.

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Sono in realtà i grandi comuni capoluogo (tutti con tassi sopra la media nazionale) che trascinano le posizioni in graduatoria delle rispettive province. Il comune di Bologna ha un tasso di truffe e frodi informatiche pari a 448 e quello di Napoli e Torino rispettivamente di 438 e 433,7 ogni centomila residenti, seguiti da Milano, Firenze, Genova e Bari, tutti sopra i 300 per centomila abitanti. In fondo alla graduatoria Palermo e Catania con valori pari a 246 e 237 ogni centomila residenti. Le denunce per delitti informatici sono diffuse soprattutto al Centro e al Nord-ovest con tassi decisamente piÚ elevati (rispettivamente 24,8 e 23,9 contro 17,8 ogni centomila abitanti della media italiana). Il Nord-ovest deve la sua posizione di spicco soprattutto al comportamento della Liguria (85,3) e della Valle d’Aosta (66,2). Tra le province liguri, tutte ampiamente sopra la media, spiccano La Spezia (143,2), Savona (98,9), Genova (75,5). Al Centro Italia, con valori minori emergono la Toscana (27,9) e il Lazio (26,4), in particolare per le province di Massa Carrara (55,0), Arezzo (32,6), Viterbo (29,5) e Siena (26,2), nonchÊ le province dei capoluoghi di regione, Firenze e Roma. Elevato anche il dato di Isernia (82,7), Pescara (28,2) e Campobasso (27,8).

85


Tra i grandi comuni, oltre a Firenze e Genova che hanno tassi pari a 100 ogni centomila abitanti, spiccano Bologna (63,9) e Milano (52,2). Ultimo in graduatoria, sebbene lievemente sopra la media italiana, il comune di Napoli con i suoi 19,4 ogni 100 mila abitanti. Reati contro la persona: Lesione, minaccia, ingiuria e violenza sessuale Le lesioni denunciate sono maggiormente diffuse in Valle d’Aosta (135,5 ogni centomila abitanti contro i 108,9 della media italiana), Emilia-Romagna (124,5), Liguria (123,2) e Toscana (120,5), seguite a distanza dalla Sicilia (118,8). Le minacce sono più frequenti al Sud e nelle Isole, con in testa la Calabria (198 contro i 140,2 della media nazionale), la Sardegna (181,1), la Basilicata (176,8) e la Sicilia (166,1). Le ingiurie sono invece di nuovo equamente presenti al Nord, con picchi in Valle d’Aosta e in Piemonte, e nel Mezzogiorno, soprattutto in Sardegna, Basilicata e in Abruzzo. Le violenze sessuali raggiugono i valori più consistenti nel Nord del Paese (7,8) e i minimi al Sud (5,6). Tra le regioni, quasi tutte del Nord, emergono

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l’Emilia-Romagna (9,2), il Trentino-Alto Adige (8,6), il Lazio (8,2), il FriuliVenezia Giulia (8,1) e la Liguria. Tassi sotto a 6 ogni 100 mila abitanti in Campania, nelle Marche, in Puglia e in Basilicata. Il minore numero di denunce al Sud può anche essere sintomo di una maggiore ritrosia verso la denuncia e/o importanza attribuita agli stereotipi e alla paura per la vittimizzazione secondaria120. Per le lesioni, i valori sopra la media caratterizzano circa il 50 % delle province. Tra queste, con tassi fortemente sopra la media, emergono Trapani (174,7), Imperia (171,2) e Rimini (164,6), con a seguire, Caltanissetta, Massa Carrara, Pescara, Savona, Parma, Siracusa e Ravenna con tassi superiori a 140 ogni centomila abitanti. Tra le prime venti province che presentano i più elevati tassi di minacce, coerentemente con i dati regionali, si annoverano circa il 70 % delle province del Mezzogiorno, fatta eccezione per Biella, Imperia e Novara, che occupano rispettivamente il secondo, il sesto e il decimo posto della graduatoria. In testa Vibo Valentia, Biella, Catanzaro, Caltanissetta e Sassari. Per le ingiurie, le province di Verbania-Cusio-Ossola, Biella, di nuovo al 120 Per vittimizzazione secondaria ci si riferisce a quelle situazioni in cui la vittima, al momento della denuncia o in sede processuale, è indotta a ricordare la violenza con una modalità tale da riviverne il dramma.

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secondo posto, Novara e Isernia che si presentano ai vertici della graduatoria con tassi superiori ai 180 ogni 100 mila abitanti. In merito alle violenze sessuali, Bologna e Trieste hanno tassi doppi rispetto alla media (14 contro 7 ogni 100 mila abitanti) e sono seguite da Milano, Forlì-Cesena, Firenze, Piacenza, Rimini e Trento, con tassi che variano intorno alle 10-11 violenze ogni 100 mila abitanti. Le lesioni denunciate, le minacce e le ingiurie sono più frequenti nella maggior parte dei grandi comuni del Nord, come Torino e Milano, e a Firenze e a Bari e dalle analisi sui dati delle province di questi grandi comuni emerge chiaramente che la maggior parte di questi reati vengano denunciati nell’area urbana e non nelle residuali realtà di provincia. I tassi risultano invece minimi a Palermo e a Roma. Per quanto concerne le violenze sessuali infine, i tassi dei grandi comuni sono invece decisamente maggiori, basti pensare che Bologna e Firenze superano di tre volte il valore della media nazionale (rispettivamente con 25,2 e con 20,6 violenze ogni 100 mila abitanti). A Milano il tasso è pari a 18,3 ogni 100 mila abitanti, a Torino 12,6 e a Napoli, Verona e Palermo assume valori al di sotto della media. È necessario in questo caso sottolineare come secondo l'indagine condotta

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dall’Istat nel 2014, siano soprattutto le molestie sessuali (cioè la forma piĂš lieve delle violenze sessuali) a verificarsi nelle aree metropolitane. Proprio nel 2014, sono state il 21,9 % delle donne di etĂ compresa tra i 16 e i 70 anni e residenti nei grandi centri urbani ad avere subito molestie sessuali rispetto al 15,6 % della media nazionale.

89


2.4 INCIDENZA DEGLI STRANIERI Il peso della componente straniera, ovvero delle persone maggiori di 18 anni nate all’estero che si sono macchiate di reati, secondo il Rapporto annuale dell'Istat del 2012121, è in crescita a partire dagli anni Novanta, periodo prima del quale il fenomeno era pressoché trascurabile. Se nel 1990 gli stranieri erano pari al 2,5 % degli imputati, nel 2009 rappresentano il 24 % del totale degli imputati. Guardando alle nazionalità degli stranieri che commettono reati, emerge che molte comunità non contribuiscono al fenomeno se non in misura del tutto trascurabile. Infatti, nel 2009 le prime 10 comunità rappresentano il 68,2 % del totale degli imputati stranieri (erano il 71,8 % nel 1992) e le prime tre nazionalità (Romania, Marocco e Albania) ne rappresentano il 38,1 % (erano il 47,1 % nel 1992). La componente femminile nata all' estero, incide invece ancor meno delle donne italiane. Nel 2009 rappresentano infatti l’11,5 % del totale degli imputati nati all’estero contro un valore pari al 17 % delle donne italiane 121

Per eventuali approfondimenti si https://www.istat.it/it/files/2012/05/Rapporto-annuale-2012.pdf.

90

rimanda

a:


imputate rispetto al totale degli imputati nati in Italia nello stesso anno. Da uno studio del 2016 condotto da Francesco Palazzo 122, ordinario di Diritto penale all’università di Firenze, emerge che al 30 settembre 2016 nelle carceri italiane, erano ospitate 54.465 persone, 18.462 delle quali straniere (il 33,8 % del totale). Il dato, osservando le analisi Istat del 2012, che registravano l'incidenza della componente straniera nel 36,7 % dei detenuti presenti in carcere e nel 32,6 % del totale dei condannati, risulta quindi in diminuzione, ma continua ad avere un forte peso se confrontato con la percentuale degli stranieri residenti in Italia rispetto alla popolazione complessiva, siamo infatti attorno all’8 % del totale dei cittadini. La maggiore concentrazione di detenuti stranieri è probabilmente additabile alla minore capacità di difesa durante l'iter processuale (non potendo permettere in molti casi un avvocato diverso da quello assegnato da ufficio) e alla maggiore difficoltà che hanno ad accedere alle misure alternative al carcere. A volte non dispongono infatti di abitazioni ed impieghi lavorativi stabili, condizioni necessarie per ottenere misure che non prevedano la reclusione in carcere. In questo senso, nella prima metà del 2016 sono stati approvati in tutto 19.128 affidamenti in prova ai servizi sociali, di cui solamente 2.722 a detenuti stranieri (circa il 14 %) e, nello stesso periodo, la detenzione domiciliare è stata concessa a 14.136 detenuti italiani contro le 3.306 122 Si rimanda a: https://www.penalecontemporaneo.it/upload/PALAZZO_2016c.pdf.

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concesse agli stranieri (poco più del 23 %). Secondo le stime del Ministero dell’Interno pubblicate dal Sole 24 ore il 28 settembre del 2017123, le persone arrestate e denunciate fra il 1° agosto del 2016 e il 31 luglio del 2017 sono state 839.496 di cui 241.723 stranieri, con un apporto del 28,8 % sul totale a fronte di una popolazione che, come abbiamo già specificato in precedenza, si attesta attorno all' 8 % sul totale dei cittadini residenti in Italia. Mettendo quindi in relazione il numero di denunce e arresti con la popolazione residente, gli stranieri coinvolti in atti criminosi rappresentano il 4,78 % rispetto al totale degli stranieri contro l'1,07 % registrato dagli italiani. In merito a questo ultimo punto, è necessario approfondire un altro aspetto determinate,

quello

relativo

agli

immigrati

irregolari.

Riportando

testualmente le parole utilizzate da Luca Misculin per descrivere il fenomeno in un suo articolo pubblicato su Il Post124, "Vengono definite in questo modo le persone che arrivano in Italia irregolarmente, e che non possiedono un permesso di soggiorno lavorativo né una forma di protezione internazionale. Per lo Stato italiano queste persone non esistono: non pagano le tasse, non possono frequentare le scuole per adulti, trovare un lavoro o accedere a 123

Per eventuali approfondimenti si rimanda http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-09-28/reati-stranieri-l-allerta-viminale091713.shtml?uuid=AEHr3naC&refresh_ce=1. 124 Per eventuali approfondimenti si rimanda https://www.ilpost.it/2018/02/05/rapporto-immigrazione-criminalita/.

92

a: a:


cure sanitarie a meno di quelle urgenti o essenziali. In altre parole, sono persone che per sopravvivere devono necessariamente muoversi in un contesto criminale o illegale (per esempio lavorando come braccianti per gli italiani che gestiscono la raccolta della frutta in Puglia o in Calabria, per pochi euro all’ora)". Per il proseguo delle considerazioni, occorre anche qui precisare che è noto solamente il numero di irregolari che vengono denunciati, arrestati o incriminati. In merito al totale la stima più conservativa si aggira sulle 400mila unità mentre per la fondazione ISMU non sarebbero in possesso di un valido titolo di soggiorno al 1° gennaio 2017, ben 491mila stranieri (contro i 435mila alla stessa data dell’anno precedente) 125. Sempre dal Rapporto Istat del 2012126, si evince come una buona parte degli imputati stranieri lo è infatti per reati legati alla condizione di immigrato irregolare: nel 2009 24.771 individui (il 17,7 % degli imputati nati all’estero) hanno proprio l’immigrazione illegale come reato più grave commesso e 4.042 individui (il 2,9 % del totale) è imputato per falsa attestazione o dichiarazione a Pubblico ufficiale su identità o qualità personali proprie o di altri. Un totale quindi, di 28.813 cittadini nati all’estero (il 20,6 % del totale) sono imputati solamente per l’irregolarità della loro presenza sul territorio 125

Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.askanews.it/politica/2017/12/05/ismu-quasi-6-milioni-gli-stranieri-in-italia-8irregolari-pn_20171205_00091/. 126 Rapporto annuale Istat 2012, op. cit.

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italiano. Il forte impatto degli irregolari è sostenuto anche da uno studio condotto da Confcommercio nel 2016127 ed un altro realizzato dalla Rodolfo Debenedetti Foundation del 2013128. Le analisi del primo riportano che il 70 % dei reati commessi

da

stranieri

sia

attribuibile

a

persone

che

si

trovano

irregolarmente sul territorio italiano mentre dal secondo emerge che il 90 % degli stranieri che si trovano nelle carceri italiane sono irregolari. Una volta appurata la forte incidenza degli irregolari, dal già citato report del Sole 24 ore129, emerge come il 55% dei furti con destrezza siano compiuti da soggetti stranieri. Così come il 51,7% dello sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile, il 45,7% delle estorsioni, il 45% dei furti in abitazione e il 41,3% delle ricettazioni. Secondo l'Istat all'elenco appena citato andrebbero aggiunti anche la violazione delle norme sugli stupefacenti e le lesioni, tutti reati che impattando pesantemente sulla percezione dei cittadini, possono distogliere l'attenzione dai reati più gravi per i quali i detenuti italiani sembrano maggiormente avvezzi, considerando la gravità delle condanne che devono scontare. 127 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.confcommercio.it/documents/10180/3599445/Nota+descrittiva+su+criminali t%C3%A0%20e+immigrazione/dcd0881d-e752-430e-9f03-2efb5fdef9eb. 128 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.frdb.org/be/file/_scheda/files/ Summary%20Report%201.pdf. 129 Report pubblicato il 28/09/2017 sul Sole 24 ore, op. cit.

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Anche escludendo quindi i reati connessi allo status di immigrato irregolare, questi numeri sembrano indicare una propensione media verso il crimine più marcata negli stranieri. Il già citato studio di Confcommercio 130, incrociando una serie di fattori come il PIL pro capite, la partecipazione sociale alla vita politica, il rapporto tra gli stranieri residenti in una regione e il totale dei residenti di quella determinata regione ed infine il tasso di stranieri iscritti al liceo rispetto al totale degli iscritti, è riuscito ad estrapolare dei tassi di criminalità diversificati che dimostrerebbero la maggior propensione alla criminalità dei soggetti stranieri. Nel dettaglio, i tassi degli italiani, degli stranieri residenti e degli stranieri irregolari risultano essere, per i 12 reati considerati 131, pari rispettivamente a 4,3 - 8,5 - 246,3 ogni 1.000 persone della popolazione di riferimento. La propensione a delinquere degli stranieri irregolari, secondo questo metodo di analisi, è quindi circa 57 volte quella degli italiani e quasi 29 volte quella degli stranieri regolari (che delinquono il doppio rispetto agli italiani). Sempre

da

queste

analisi,

definite

dagli

stessi

autori

"di

natura

approssimativa e preliminare", emerge comunque la forte relazione tra la l'integrazione e la partecipazione sociale e la riduzione dei tassi di 130 Studio Confcommercio, op. cit. 131 Tentati omicidi, lesioni dolose, minacce, sequestri di persona, violenze sessuali, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, furti, rapine, estorsioni, danneggiamenti, normativa sugli stupefacenti e contrabbando.

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criminalità. Trend completamente opposto viene registrato invece in presenza di forti percentuali di cittadini stranieri rispetto al totale della popolazione regionale. Secondo i dati rilasciati nel 2010 dal Viminale 132 inoltre, la percentuale di stranieri irregolari che commettono reati sul totale degli stranieri aumenta passando dai reati di carattere espressivo a quelli di tipo strumentale: La percentuale degli stranieri è infatti relativamente più bassa per i reati contro la famiglia (49 %), sale progressivamente per le lesioni (62 %), per gli omicidi (69 %), per i furti (76 % con quote dell’83 % per i furti con destrezza e dell’85 % per quelli in abitazione) e raggiunge il massimo per le violazioni del Codice della Strada e lo spaccio di stupefacenti. Per quanto riguarda invece gli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese, valutazioni più complete sono osservabili in uno studio condotto nel 2009 dal Centro Studi e Ricerche Idos insieme a Redattore Sociale133. Si legge ad esempio che fra le 550.590 denunce a una persona nota che hanno dato seguito ad un’azione giudiziaria presentate nel 2005 (l’ultimo anno in cui il Viminale ha presentato dati scorporati fra stranieri regolari e irregolari), solamente 37.709 erano rivolte contro stranieri regolarmente 132 Ministero dell’interno. 2010. Rapporto sulla criminalità e la sicurezza in Italia.

133

Per eventuali approfondimenti si rimanda http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/immigrazione-e-criminalita-pregiudizi-dati-einterpretazioni-2/

96

a:


residenti, cioè aventi permesso di soggiorno o una forma di protezione internazionale (con una quota del 6,85 % sul totale delle denunce presentate in Italia). Scorporando questi dati e suddividendoli per fasce di età, lo studio ha individuato inoltre un tasso di criminalità dell’1,89 % per gli stranieri regolari nella fascia 18-44 anni (molto vicino all’1,5 % dei coetanei italiani) ed un tasso nella fascia 45-64 anni persino inferiore rispetto agli italiani (0,44 % rispetto a 0,65 %). Quello relativo alle persone con più di 65 anni è invece sostanzialmente identico a prescindere dalla nazionalità. Gli stranieri regolari sembrano quindi delinquere con la stessa frequenza degli italiani. Il problema, come sottolinea ancora Luca Misculin, è che "gli stranieri ammessi regolarmente in Italia sono solo una minima parte: nel 2016 in 35mila hanno ottenuto una forma di protezione internazionale, mentre poco meno di 32mila hanno ottenuto un permesso di soggiorno attraverso il canale principale, il cosiddetto Decreto flussi. Tutti gli altri sono rimasti fuori". Il trend sembra confermato anche nel 2018 134, anno nel quale sempre attraverso il Decreto flussi, verranno regolarizzati 30.850 lavoratori non comunitari autonomi, subordinati, stagionali e non stagionali, a fronte però, 134

Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.interno.gov.it/it/notizie/decreto-flussi-2018-ingresso-30850-lavoratori-noncomunitari

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prendendo per valide le stime dell'ISMU, di ben 491mila stranieri irregolari che vivono nel nostro Paese.

2.5 POSSIBILI CAUSE DELLA MAGGIORE PROPENSIONE ALLA CRIMINALITÀ DEGLI STRANIERI Benessere e relazioni sociali La percezione che gli stranieri hanno del vivere quotidiano nel Paese che li ha ospitati è uno dei fattori, se non il più importante, necessari per studiarne il grado d'integrazione nel tessuto sociale. Dobbiamo però avvertire, che l'analisi della componente soggettiva perderebbe di significato nel caso in

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cui non venga confrontata con ampi studi su fattori di tipo oggettivo e strutturale come le condizioni economiche, l'inserimento nel mondo del lavoro, le opportunità di accesso ai servizi e lo stato di salute, oltre naturalmente al Paese di origine del soggetto straniero e alla sua collocazione territoriale in quello ospitante (direttamente influente sui primi fattori). Sempre secondo il già citato Rapporto annuale dell'Istat del 2015135, più della metà degli stranieri (dai 14 anni in su) dichiara di trovarsi bene in Italia e più di un terzo di trovarsi molto bene 136, anche se con marcate differenze territoriali. Gli stranieri di cittadinanza cinese sono quelli che riferiscono una condizione peggiore e prendendoli come riferimento, si calcola che i filippini hanno rispetto ad essi, il quadruplo delle possibilità di trovarsi bene in Italia, gli ucraini e i romeni il triplo, gli albanesi, i polacchi, i moldavi, gli indiani, i tunisini e i marocchini poco più del doppio. La valutazione delle proprie condizioni di vita da parte degli stranieri risente, come abbiamo accennato, delle specificità territoriali. Rispetto agli stranieri

135 Rapporto annuale Istat 2015, op. cit. 136 L’indicatore sul benessere degli stranieri si riferisce alla domanda “Come ti trovi in Italia?” Dell’indagine Istat Condizione e integrazione sociale dei cittadini stranieri, anni 2011-2012. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.istat.it/it/archivio/10825.

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che vivono al Sud, che meno di tutti esprimono un giudizio positivo, la situazione migliore si osserva tra quanti vivono nelle città del Centro-Nord. Tra gli stranieri che esprimono una valutazione molto positiva delle proprie condizioni di vita in Italia, a parità delle altre condizioni, non emergono differenze tra uomini e donne. Hanno un effetto favorevole su una percezione molto positiva l’essere occupato (1,4 volte superiore al valore di riferimento) e il possesso del titolo di studio (1,3 volte superiore). Anche la durata della presenza, spesso associata a posizioni sociali più consolidate, e la convivenza con cittadini italiani giocano un ruolo importante nella valutazione della propria condizione, in particolare nel Mezzogiorno interno e nei centri urbani meridionali. La conoscenza della lingua italiana è un importante facilitatore del processo di inserimento nel tessuto sociale in ogni contesto territoriale. Gli stranieri che non presentano difficoltà di comunicazione e di comprensione nel relazionarsi con persone di lingua italiana, hanno infatti una possibilità di trovarsi molto bene in Italia due volte superiore rispetto a chi ha difficoltà. Oltre il 60 % degli stranieri si sa esprimere molto bene in italiano e lo comprende altrettanto bene. Tuttavia, se si considerano, oltre al colloquiare, competenze linguistiche come la scrittura e la lettura 137, il 60,8 % degli 137 L’indicatore di conoscenza della lingua italiana tiene conto delle difficoltà che gli stranieri incontrano nei quattro diversi ambiti: comprensione ed espressione orale, lettura e scrittura. Il livello per ciascun ambito è espresso da molto, abbastanza, poco, per niente difficoltà.

100


stranieri (di 6 anni e più) presenta almeno un tipo di difficoltà con ripercussioni significative nelle possibilità di interfacciarsi ai servizi pubblici (circa il 37 % ha difficoltà a capire e farsi capire) e di comprendere ad esempio i responsi del medico (35,7 %). I fattori che influiscono maggiormente sulla competenza nella lingua italiana sono gli stessi che intervengono nella percezione di benessere, come il livello di istruzione, la durata della permanenza in Italia e il vivere insieme ad italiani, con l'aggiunta però di altri due aspetti: il vantaggio femminile e giovanile (tra i 6 e i 17 anni) e le propensioni all' apprendimento date dalla lingua di origine. Rispetto alle persone di lingua madre cinese, le più svantaggiate sul piano linguistico, hanno maggiori abilità con la lingua italiana i cittadini di madrelingua francese, idioma comune a francesi, senegalesi e ivoriani. Le difficoltà si acuiscono per le persone di madrelingua araba, nel 65 % marocchini, e per quelli di madrelingua albanese e spagnola, tra i quali il 60 % sono peruviani ed ecuadoriani. Lo svantaggio linguistico è ancora più forte per i madre lingua russa e ucraina. Gli stranieri che risiedono nelle aree del Centro-nord del Paese sono quelli che hanno maggiori possibilità di avere un buon livello di conoscenza dell’italiano soprattutto se abitano in famiglie miste.

101


Il livello di conoscenza dell’italiano da parte dei cittadini stranieri non è però un indicatore troppo attendibile per l'analisi del livello di integrazione sociolinguistica raggiunto. È utile in questo senso, l'uso che si fa della lingua nella vita quotidiana. La valutazione dell'Istat è fatta considerando specifici contesti quali quelli della famiglia, degli amici e del lavoro. L' uso della lingua italiana è infatti considerato un requisito quasi indispensabile per poter partecipare al mercato del lavoro in Italia ma il suo utilizzo con amici e in ambito familiare è un dato ancor più potente in quanto ci indica l'esistenza di legami solidi con il tessuto sociale in cui si vive. Le reti relazionali sono infatti lo specchio dell'integrazione e della convivenza sociale tra comunità differenti. L’italiano è la lingua usata sul lavoro da oltre il 90 % degli stranieri in tutte le realtà territoriali a prescindere dal ceppo linguistico o dalla nazionalità, fatta eccezione per la comunità cinese che ne fa un uso decisamente più limitato (51 %). La quota di stranieri che parlano in italiano con gli amici è invece pari al 60 % e raggiunge livelli superiori nelle città del Centro-nord dove

il

tessuto

sociale

ed

economico

più

dinamico

favorisce

la

partecipazione degli stranieri anche alla vita socioculturale offrendo più opportunità di interazione. Diversamente, nei centri urbani meridionali si osserva la quota più bassa (52,5 %) a causa probabilmente del contesto relazionale più segregato di alcune comunità, che contribuisce ad ostacolare l’uso della lingua italiana nelle relazioni con gli amici.

102


Più di otto cittadini stranieri su dieci (di 14 anni e più) hanno invece nella propria rete di relazioni sociali persone cui potersi rivolgere in Italia, vale a dire persone con cui possono parlare di questioni importanti della propria vita. I territori del Centro-nord, soprattutto le città, sono i contesti in cui gli stranieri possono contare su una solida rete sociale di riferimento (87,1 %) contro il 79,1 % registrato nei centri urbani meridionali. La maggior parte degli stranieri fonda però la propria rete di relazioni 138 in Italia soltanto sui familiari (59 %). Il 12,4 % può contare invece, oltre che sui familiari anche su amici, colleghi di lavoro e vicini di casa; il 9,3 % infine, trova riferimenti importanti anche tra persone appartenenti ad associazioni o gruppi che operano a sostegno degli immigrati. Tra gli stranieri che possono far affidamento su persone in Italia, il 15,5 % fonda la propria rete soltanto su italiani, il 20 % ha persone italiane, connazionali e di altra cittadinanza nella cerchia dei riferimenti più importanti e il 61,9 % ha una rete di soli connazionali, al cui interno la presenza di familiari è elevata. Gli stranieri che vivono in Italia da più tempo e quelli che non hanno difficoltà con la lingua italiana hanno una maggiore propensione a sviluppare relazioni personali con gli italiani. Una situazione di vantaggio si 138 Si fa riferimento alle persone, fino ad un massimo di tre, cui gli stranieri possono rivolgersi in Italia per parlare di questioni importanti della propria vita (lavoro, famiglia, amore, salute ecc).

103


osserva anche per le donne straniere, che sempre secondo l'Istat, avrebbero più occasioni di frequentare persone italiane e sarebbero più spesso coinvolte in forme di socializzazione al di fuori della famiglia. I nati in Italia e coloro i quali sono arrivati in età prescolare hanno più degli altri amicizie “miste” o di soli italiani. I polacchi, ucraini, moldavi e romeni, più degli altri stranieri, sono inseriti in reti composte da italiani e connazionali e, in particolare, i polacchi hanno la quota più elevata di persone che nella propria rete ha solo italiani (35,2 %). I cinesi, gli indiani e i filippini hanno invece, nella maggior parte dei casi, una rete composta da soli connazionali. Tra i bambini stranieri (tra i 6 e i 13 anni), tra i quali c’è una forte presenza di seconde generazioni, molti hanno amici sia italiani che stranieri (83 %) e circa uno su dieci ha amici soltanto italiani, una quota più alta rispetto a quella dei bambini che hanno solo amici connazionali (2,6 %). Il 69,1 % dei bambini stranieri dichiara inoltre, con dati uniformi in tutto il Paese, di avere il migliore amico di nazionalità italiana. I luoghi di socializzazione dei bambini stranieri con gli amici sono per lo più l’abitazione propria e quella degli amici (entrambi pari al 47 %), i luoghi all’aperto come piazze, parchi, giardini, spazi condominiali o altri luoghi di ritrovo (45,9 %) e la scuola (44,3 %).

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Partecipazione culturale L’analisi della partecipazione culturale fornisce un ulteriore indicazione chiave per comprendere il livello di inserimento dei cittadini stranieri nel tessuto sociale italiano. Andare al cinema, a teatro, a concerti musicali e leggere quotidiani e/o libri, sono attività che rientrano nella partecipazione culturale e sono le donne, secondo i dati del Rapporto annuale dell'Istat 2017139, a svolgerle più frequentemente rispetto agli uomini. La partecipazione a queste attività diminuisce al crescere delle età sia tra le donne sia tra gli uomini, ad eccezione della lettura dei quotidiani che è più diffusa in età adulta. Per avere uno sguardo d' insieme sui consumi culturali della popolazione l'Istat ha costruito un indicatore sintetico di partecipazione culturale 140 che ha confermato la maggiore partecipazione culturale delle donne straniere rispetto agli uomini e la tendenza regressiva che si registra al crescere 139 Si rimanda a: https://www.istat.it/it/files/2017/05/RapportoAnnuale2017.pdf 140 L’indicatore è dato da i soggetti che nei 12 mesi precedenti l’intervista hanno svolto tre o più attività culturali. Le attività considerate sono: essersi recati almeno quattro volte al cinema, almeno una volta a teatro, almeno una volta a concerti di musica, aver letto almeno un libro, aver letto il quotidiano almeno tre volte a settimana.

105


dell'età. Rispetto ai giovani tra i 14 e 24 anni infatti, i giovani-adulti in età compresa tra i 25 e i 44 anni partecipano meno alle attività culturali. I cittadini che mostrano una propensione maggiore all' approvvigionamento culturale sono in ordine decrescente gli ucraini, gli albanesi, i polacchi e i filippini mentre i cinesi fruiscono pochissimo dei servizi culturali. Il possesso di un alto titolo di uno studio costituisce chiaramente un fattore che favorisce la partecipazione culturale così come quello di avere molti amici in Italia. Caratteristiche invece particolarmente discriminanti in funzione della partecipazione culturale (perché strettamente correlate alla conoscenza della lingua e all'integrazione sociale) sono l'età d'ingresso e la durata della permanenza nel nostro paese: gli stranieri che sono in Italia da più tempo (sei anni o più) hanno una maggiore propensione alla partecipazione culturale rispetto a coloro che sono arrivati da tre anni o meno. Nascere in Italia o arrivare in Italia da bambini o da giovani favorisce quindi la diffusione di uno stile di vita partecipativo alla sfera culturale. Vivere in una famiglia composta da stranieri e italiani rispetto ad una famiglia di soli stranieri aumenta la propensione alla fruizione culturale e, ovviamente, il non avere difficoltà con la lingua italiana è un fattore che facilita l’inserimento. Infine, gli stranieri che usano abitualmente internet hanno una propensione a prendere parte a spettacoli e alla lettura quattro volte

106


superiore rispetto a coloro che non hanno un uso abituale dei mezzi informatici.

Condizioni economiche Nel 2015, sempre secondo il Rapporto annuale dell'Istat del 2017141, gli individui che vivono in famiglie con almeno un cittadino straniero rappresentano il 10,3 % della popolazione residente in Italia. Al fine di effettuare una buona valutazione delle condizioni economiche di questo segmento di popolazione sono stati considerati dall' istituto, sia indicatori riguardanti situazioni di deprivazione materiale e disagio economico che la fascia di reddito. Il 28,7 % delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale. L’indicatore corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle seguenti condizioni: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, bassa intensità di lavoro. 141 Rapporto annuale Istat 2017, op. cit.

107


Tra coloro che vivono in famiglie con almeno un cittadino straniero, il rischio di povertà o esclusione sociale è quasi il doppio (49,5 %) rispetto a quello di chi vive in famiglie di soli italiani (26,3 %). Il divario è analogo sia per il rischio di povertà (36,3 contro 18,1 %) sia per la grave deprivazione materiale (22,9 contro 10,2 %) che vede tra i sintomi di disagio più frequenti l'essere in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito (il 32,3 % rispetto al 12,9) e soprattutto quello di non riuscire a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni (il 20,5 % rispetto al 10,8). La bassa intensità lavorativa, invece, risulta meno diffusa tra gli individui in famiglie con almeno uno straniero (7,7 % a fronte del 12,4 % per le famiglie di soli italiani). Al quadro descritto si associa chiaramente anche una difficile situazione reddituale. Le famiglie con almeno un componente straniero hanno un reddito familiare netto medio di un terzo inferiore a quello di famiglie di soli italiani 142. Le differenze si accentuano passando dalle famiglie del Nord a quelle residenti nel Mezzogiorno, dove il reddito medio delle famiglie con stranieri è circa la metà di quello delle famiglie di soli italiani. Lavoro

142 Le famiglie con almeno un cittadino non italiano sono composte in media da 2,6 componenti, quelle di soli italiani da 2,3 componenti

108


Analizzando i percorsi lavorativi tra gli occupati stranieri che hanno avuto più di un’esperienza di lavoro in Italia 143 emerge che la metà di essi non riesce a trovare un’occupazione migliore rispetto al loro primo impiego. Nel corso delle traiettorie lavorative in Italia infatti il 46,8 % degli occupati stranieri continua a svolgere lo stesso tipo di professione rispetto al primo impiego, il 29,7 % accede a un gruppo professionale superiore a quello di partenza, infine, il 23,5 % transita in un gruppo professionale inferiore a quello iniziale. Le donne rispetto agli uomini restano più frequentemente occupate nello stesso tipo di professione nel corso dell’intera esperienza lavorativa in Italia (il 50,8 % contro il 43,5 % degli uomini). Si tratta soprattutto di donne ucraine (56,7 %), occupate in larga misura nell’attività di assistenza agli anziani. Sempre tra le donne è inoltre più elevato il rischio di avere un percorso di tipo discendente (26,1 % contro il 21,4 degli uomini), in particolare per le rumene (29,7 %) che più frequentemente transitano dall’attività di badante a quella di collaboratrice domestica. 143 La ricostruzione delle traiettorie di mobilità professionale comprende anche l’ultima esperienza di lavoro realizzata nel paese di origine per quanti erano occupati prima di emigrare (la metà degli occupati stranieri in Italia di 15-64 anni). La fonte dei dati è l’indagine campionaria su Condizione e integrazione dei cittadini stranieri che ha interessato tutti gli individui che vivono in famiglie con almeno un cittadino straniero. Al fine di garantire la confrontabilità dei percorsi di lavoro, l’analisi si concentra sui cittadini stranieri di età compresa tra i 15 e i 64 anni nati all’estero; sono esclusi i gruppi residuali di naturalizzati e di stranieri nati in Italia di cittadinanza straniera.

109


Gli uomini, al contrario, sono più coinvolti in percorsi di tipo ascendente (35,1 % rispetto al 23,0 delle donne), specialmente i cinesi (41,7 %), tra i quali è frequente il passaggio da professioni operaie nel comparto manifatturiero ad attività di piccolo commercio al dettaglio e gli albanesi (38,5 %), che iniziano più spesso come operai artigiani e successivamente avviano un’attività autonoma nelle costruzioni, oppure da braccianti agricoli diventano operai specializzati. La possibilità di avere un percorso professionale di tipo ascendente nel corso della storia lavorativa varia sensibilmente rispetto ad alcuni fattori sociodemografici, a caratteristiche del vissuto migratorio e dell’occupazione attuale. A parità di altre condizioni, la possibilità di sperimentare nella propria carriera lavorativa un percorso ascendente è di 1,5 volte superiore per gli uomini in confronto alle donne e di 1,7 volte maggiore per gli occupati di 35-49 anni rispetto al segmento più anziano dei lavoratori stranieri. Anche il titolo di studio rappresenta un importante fattore predittivo di percorsi di tipo ascendente: i laureati hanno la possibilità di migliorare la propria posizione lavorativa quattro volte maggiore di chi possiede al massimo la licenza media. L’anzianità di soggiorno in Italia e la minore età all’arrivo influenzano positivamente i percorsi professionali, così come la migliore conoscenza della lingua italiana.

110


Rispetto agli ucraini, che sperimentano percorsi caratterizzati da maggiore immobilità, i cinesi e i cittadini provenienti da paesi a sviluppo avanzato 144 hanno maggiori opportunità di accedere a gruppi professionali superiori rispetto a quelli di partenza (rispettivamente, 5,3 e 6,7 volte superiore). Condizioni di salute e stili di vita I cittadini stranieri presenti in Italia sono in buone condizioni di salute: circa nove stranieri su dieci (l’89,7 % degli uomini e l’86,3 % delle donne) hanno una percezione positiva del proprio stato di salute. Curioso è il fatto che i cittadini stranieri che si trovano in Italia da più tempo, a parità di età, riportano un peggior stato di salute rispetto agli stranieri arrivati recentemente (da meno di tre anni). Questa tendenza può essere spiegata in parte dal fatto che generalmente intraprendono il percorso migratorio i cittadini in buone condizioni di salute. Tra le principali cittadinanze presenti sul territorio italiano si riscontrano molte differenze: a parità di età sono gli uomini albanesi e moldavi che dichiarano migliori condizioni di salute, mentre i cittadini polacchi e ucraini si collocano all’estremo opposto.

144 Rientrano tra i Paesi a forte pressione migratoria (Pfpm) tutti quelli dell’Africa e dell’Asia (a eccezione di Giappone e Israele), del Sud-America e dell’Europa centroorientale. I restanti appartengono al gruppo dei Paesi a sviluppo avanzato (Psa).

111


Per le donne la percezione positiva della salute è più frequente tra le cinesi, meno tra le ucraine e le moldave. Il consumo di alcol rappresenta notoriamente uno dei fattori di rischio sia per la salute personale che, per l'ordine pubblico, alla luce dei pesanti condizionamenti che può comportare alle facoltà motorie, sensoriali e comportamentali. Il fenomeno del binge drinking, pratica molto diffusa in Italia, che prevede il consumo occasionale di ingenti quantità di alcool in breve tempo, è più diffuso tra gli uomini stranieri (14,0 % contro il 5,3 delle donne) e tra i giovani. Si distinguono in negativo, per quote superiori rispetto alla media, gli uomini ucraini (28,0 %) e le donne ucraine, polacche e moldave. Come per il consumo di alcol in generale, anche il fenomeno del binge drinking è raro tra i cittadini del Marocco e Tunisia (giocano qui un ruolo importante il divieto religioso e la disapprovazione sociale) e India. Il consumo di tabacco rappresenta un’altra abitudine dannosa per la salute ed è diffusa nel 23,2 % dei cittadini stranieri, che fumano principalmente sigarette (98,0 %), quotidianamente in nove casi su dieci. Il fumo di sigarette è più diffuso tra i giovani e gli adulti stranieri, ma si registrano differenti comportamenti tra gli uomini e le donne: gli uomini fumatori sono il 32,4 % e le donne fumatrici il 15,1 %. Gli stranieri presenti da più tempo in

112


Italia presentano percentuali di fumatori più elevate rispetto agli stranieri arrivati più di recente (23,8 per gli stranieri presenti da oltre 6 anni contro il 19,8 % di quelli presenti da 3 anni o meno). Il confronto tra le prime dieci cittadinanze fa emergere che il consumo di sigarette è più diffuso tra i rumeni e i polacchi, meno tra i cittadini indiani, filippini, marocchini e cinesi. In tutte le collettività il fumo è una abitudine più frequente nella componente maschile.

2.6 APPROCCIO DEI CITTADINI ITALIANI Atteggiamenti

verso

la

multiculturalità

competizione sul mercato del lavoro

113

e

percezione

di


L’obiettivo di questa analisi conclusiva, supportata dai dati del Rapporto annuale dell'Istat del 2013145, è quello di comprendere da un lato il grado di apertura di fondo nei confronti della diversità culturale e dall’altro quello di estrapolare quanto le crescenti difficoltà economiche e il diffuso senso di incertezza

derivanti

dalla

prolungata

crisi

del

nostro

paese

stiano

incentivando i cittadini italiani a sentirsi in competizione per le scarse risorse lavorative nei confronti di quelli stranieri. In merito a quest’ultimo punto, l’Istat precisa come prima dell'avvento della crisi non abbia mai riscontrato, e "con evidenza empirica largamente presente in letteratura", l’esistenza

di

competizione

tra

stranieri

e

cittadini

italiani

ai

fini

dell’occupazione. Dalla Rilevazione sulle discriminazioni in base al genere, all’orientamento sessuale e all’appartenenza etnica146 è emerso un diffuso riconoscimento del ruolo positivo delle relazioni interculturali: la quasi totalità dei rispondenti (86,7 %) è molto o abbastanza d’accordo nel ritenere che "ogni persona dovrebbe avere il diritto di vivere in qualsiasi paese del mondo abbia scelto" ed oltre i quattro quinti manifesta chiaramente di apprezzare la convivenza tra culture diverse dal momento che si dichiara poco o per niente d’accordo con l’affermazione che "è meglio che italiani e immigrati stiano ognuno per conto proprio" (81 %) oppure che "l’Italia è degli italiani e non c’è posto per 145 Si rimanda a: https://www.istat.it/it/files/2013/05/Rapporto_annuale_2013.pdf 146 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.istat.it/it/archivio/30726

114


gli immigrati" (81,2 %). Resta tuttavia un preoccupante 20 % circa della popolazione, pari a 8 milioni di persone, che assume posizioni di maggiore chiusura nei confronti di una società

multiculturale,

dichiarandosi

invece

d’accordo

con

le

due

affermazioni appena citate. Una percentuale

molto

vicina

a questa (21,7 %) esprime,

inoltre,

un’opinione negativa su un aspetto specifico della società multiculturale rappresentato dall’aumento di matrimoni e unioni miste. Il fatto che più fa riflettere è la posizione, oltre dei soggetti appena menzionati, di oltre metà della popolazione (50,1 %) che non prende posizione, considerando tale fenomeno né positivo né negativo. Rispetto al grado di apertura verso la multiculturalità un ruolo rilevante è giocato dall’età dell’intervistato, dall’area geografica di residenza e dal titolo di studio: la necessità di una distinzione netta tra italiani e immigrati, così come i giudizi negativi rispetto all’incremento di unioni miste, sono espressi prevalentemente dai rispondenti con più di 65 anni, dalle persone con titolo di studio basso e dai residenti nelle aree del Nord-est e del Mezzogiorno. La porzione di quanti esprimono preoccupazione per la presenza di immigrati nel nostro Paese si estende considerando invece il contesto

115


lavorativo. Nonostante il 61,4 % dei rispondenti si dichiari d’accordo con l’affermazione che "gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare" e che più o meno la stessa quota (62,9 %) si ritenga poco o per niente d’accordo con l’idea che "gli immigrati tolgono lavoro agli italiani", rimane comunque una fetta consistente d' italiani, circa 15 milioni (pari al 37,1 % della popolazione) che al contrario, si ritiene d'accordo con l'ultima affermazione. Questa diffusa chiusura nei confronti degli stranieri si allarga inoltre in relazione al peggioramento delle prospettive occupazionali in seguito alla crisi economica che stiamo attraversando. Ammontano a 20 milioni e 800 mila (51,4 %),

i cittadini italiani

che si dichiarano d’accordo con

l’affermazione secondo la quale "in condizione di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani rispetto agli immigrati". Un altro quarto circa non assume una posizione in merito, dichiarandosi né d’accordo, né contrario ed altrettanti (23,9 %), si dichiarano contrari. Per indagare più approfonditamente le percezioni che interessano la competizione sul mercato del lavoro e le possibili interrelazioni con l'approccio generale verso la multiculturalità, l'Istat ha inoltre stimato un modello logistico multinomiale. Questo comprende una variabile dipendente data dall’opinione espressa con riferimento all’affermazione "in condizione di scarsità di lavoro i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli

116


italiani

rispetto

agli

immigrati"

e

variabili

esplicative

date

dalle

caratteristiche sociodemografiche dei rispondenti (sesso, età, titolo di studio, condizione professionale, ripartizione geografica, ampiezza del comune di residenza), da indicatori di contesto (come il tasso di disoccupazione, la percentuale di stranieri presenti sul territorio e la quota di immigrati sugli occupati nell’industria) e da altre variabili rilevate nel corso dell’intervista riguardanti il pregiudizio verso gli immigrati (come l’atteggiamento dei rispondenti nei confronti degli immigrati come possibili vicini di casa e l’opinione sull’aumento di matrimoni e unioni miste, e verso il diverso (come la discriminazione di genere e di orientamento sessuale). Come atteso, avere difficoltà ad accettare una piena integrazione degli immigrati e l'esistenza di altre diversità come quella legata all' orientamento sessuale si associa con maggiore probabilità a soggetti che si esprimono a favore del riconoscimento di un diritto di precedenza degli italiani rispetto agli immigrati nell’accesso al mercato del lavoro. Molto interessante è anche la relazione che intercorre tra chi percepisce un clima di competizione con i lavoratori stranieri e chi, più in generale, risulta avere una concezione molto gerarchizzata dell’accesso al mercato del lavoro che non riguarda solamente il confronto etnico ma anche quello di genere. Ritenere infatti che in condizione di scarsità di lavoro, i datori di lavoro debbano dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne aumenta la

117


probabilità di avere la stessa opinione riferita al confronto tra italiani e immigrati. Le variabili sociodemografiche ed economiche, come da previsione, giocano un ruolo determinante nelle reazioni all' affermazione "in condizione di scarsità di lavoro i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli italiani rispetto agli immigrati". Le categorie di lavoratori che si ritengono a favore sono infatti quelle che vivono una condizione di maggior debolezza e precarietà. Si tratta di persone che generalmente hanno un titolo di studio più basso, operai e lavoratori in proprio, che naturalmente, si sentono maggiormente esposti al rischio derivante dall' afflusso nel nostro Paese di manodopera scarsamente qualificata e quindi a loro concorrenziale. In particolare, il titolo di studio risulta il fattore, fra quelli considerati, che influenza maggiormente la probabilità di percepire gli immigrati come dei competitors: i meno istruiti (cioè quanti hanno al più conseguito la licenza media) hanno una probabilità più che doppia di quella dei laureati di essere d’accordo piuttosto che contrari (la stessa probabilità diventa pari a 1,5 per i diplomati). Infine, anche l’essere donna aumenta la probabilità di essere favorevoli, dato questo che evidenza la debolezza sul mercato del lavoro del segmento femminile e la conseguente maggior propensione a percepire un rischio di competizione con gli stranieri.

118


La povertà assoluta nei vari gruppi sociali Come abbiamo appena riscontrato, l'avversione verso lo straniero, è molto influenzata anche dall'aspetto concorrenziale che ha portato nel panorama lavorativo italiano, già altamente instabile e precarizzato a seguito della conclamata crisi economica. Per approfondire quindi la portata di questa temuta esposizione al rischio povertà, derivante ad esempio dalla perdita di un posto di lavoro fisso, deve essere studiata solo in relazione ai variegati dati sulla povertà assoluta, che come vedremo, cambiano molto a seconda del gruppo sociale di riferimento. L’incidenza della povertà assoluta è calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile per evitare gravi forme di esclusione sociale. Sono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età dei componenti della famiglia, per ripartizione geografica e per ampiezza demografica del comune di residenza).

119


Il quadro che emerge dal già citato Rapporto annuale Istat del 2017147, tiene quindi conto del differente costo della vita sul territorio e conferma l’usuale gradiente Nord-Mezzogiorno. Nel 2015 la povertà assoluta ha riguardato infatti circa 1,6 milioni di famiglie, pari al 6,1 % delle famiglie residenti e la sua incidenza presenta valori più bassi al Centro (4,2 %) e al Nord (5,0 %) mentre raggiunge il 9,1 % al Sud. L'incidenza della povertà sugli individui invece, poiché le famiglie al di sotto della soglia di povertà sono mediamente più numerose, è pari al 7,6 % della popolazione residente (pari a 4,6 milioni di individui). A livello sia familiare sia individuale la povertà assoluta si distribuisce in maniera estremamente eterogenea tra i diversi gruppi sociali. L’incidenza di povertà assoluta più elevata (pari al 27,9 % sulle famiglie e al 34,4 % sugli individui) si registra tra le famiglie a basso reddito con stranieri. Queste rappresentano il 32,4 % di tutte le famiglie povere in termini assoluti e il 37,5 % degli individui poveri. All’interno del gruppo, si registrano differenze rilevanti a seconda della collocazione territoriale delle famiglie, passando da un’incidenza minima del 21,8 % al Centro a una massima del 31,5 % al Nord. Particolarmente difficile è la situazione di queste famiglie quando ci sono minori: tra le famiglie con due figli minori quasi una su due è in povertà assoluta (48,9 %). La povertà assoluta è ancora più diffusa tra le famiglie composte da soli 147 Rapporto annuale Istat 2017, op. cit.

120


stranieri, dove l’incidenza di povertà raggiunge un valore pari al 30,0 %, contro il 19,4 % delle famiglie miste. Le famiglie a basso reddito di soli italiani hanno un’incidenza di povertà assoluta del 12,7 % (19,3 % al Mezzogiorno e 5,9 % nel Centro-Nord) e rappresentano il 14,8 % del totale delle famiglie povere. Come già sottolineato, la caratterizzazione territoriale e l'incidenza data dal numero dei componenti è speculare a quella degli stranieri a basso reddito. Il 77,2 % del totale delle famiglie povere del gruppo si trovano infatti al Sud e nelle Isole e sono maggiormente disagiate quelle numerose (di cinque o più componenti) dove l’incidenza registra valori pari al 20,2 %. Le anziane sole e i giovani disoccupati sono in povertà assoluta nell’8,5 % dei casi. Anche qui, il valore, superiore alla media nazionale, ha un picco del 12,2 % nel Mezzogiorno e l'incidenza è superiore tra le famiglie dei giovani disoccupati (13,4 %).

121


CAPITOLO 3 – DILATAZIONE E CONTRAZIONE DELLA PERCEZIONE D’INSICUREZZA 3.1 LA PROLIFERAZIONE DELLA PAURA IN SEGUITO AI DETTAMI DELLA CARTA DI ATENE E LA NASCITA DEL MODERNISMO ARCHITETTONICO Nell'assidua ricerca di quei fattori che avrebbero giocato un ruolo chiave nel dilagante fenomeno del senso di insicurezza percepito in gran parte degli

122


Stati occidentali, alcuni studiosi concentrano i loro sforzi sulle implicazioni derivanti dai caratteri e dalle modalità dell’espansione urbana verificatasi a seguito della Seconda guerra mondiale. Una volta terminato il conflitto, l' Italia (come molti altri Stati europei, in particolare Germania, Polonia e quelli dell'ex Jugoslavia), riversando in condizioni economiche disastrose e con ingenti danni al patrimonio abitativo ed infrastrutturale148, con l'alibi del rapido superamento della fase di ricostruzione dei centri abitati e dei collegamenti viari, approvò una serie di provvedimenti di emergenza con i quali, accantonando sistematicamente la legge urbanistica, venne "disciplinata" l' espansione che ancora oggi viene considerata la "causa di molte sciagure per le città italiane" 149. I ristrettissimi tempi entro i quali i comuni dovevano adottare i piani 150, la forte esigenza abitativa e le caratteristiche intrinseche del settore edilizio, che si prestava ottimamente al ruolo trainante della ripresa economica del Paese (senza richiedere grandi costi, manodopera specializzata, imprenditori 148 In Italia "più di tre milioni sono i vani distrutti o gravemente danneggiati; sono distrutti un terzo della rete stradale e tre quarti di quella ferroviaria (...) Particolarmente acuto il problema abitativo che già prima della guerra era assai grave (il censimento del 1931 aveva rilevato 41,6 milioni di abitanti e 31,7 milioni di stanze: nell' ipotesi, allora ancora accettabile, di uno standard di un abitante per stanza, c'era un deficit di quasi dieci milioni di stanze)". In Edoardo Salzano (2003). Fondamenti di urbanistica. La storia e la norma. Laterza & Figli, Bari. 149 De Lucia V. (1992). Se questa è una città. Editori Riuniti, Roma. 150 "I comuni compresi negli appositi elenchi approvati dal ministero dei Lavori pubblici dovevano adottare entro tre mesi il piano di ricostruzione". In Salzano 2003.

123


particolarmente esperti e materiali d'importazione), contribuirono, assieme al bene placido dell' amministrazione statale, che in pratica delegò la redazione dei piani di espansione alla Società generale immobiliare in primis e agli altri grandi proprietari fondiari del Paese 151, all' istaurazione del periodo d'oro delle speculazioni edilizie 152 nel quale l'Italia fu investita da un' ondata di lottizzazioni che saldandosi perfettamente al principio ordinatore dello zooning, proprio del Movimento Moderno, contribuì attivamente alla proliferazione di molti dei problemi che gravano oggi, forse più che mai, sulle nostre città contemporanee. "Lo sviluppo dell'edilizia richiede che non si pianifichi: per molto tempo infatti, dal dopoguerra fino praticamente agli anni '60, la pianificazione viene sistematicamente trascurata o apertamente boicottata dagli organi più politicizzati del governo, cioè soprattutto dal ministero dell'interno tramite le prefetture. Per questo preciso scopo dunque dal 1945 al 1964 circa i comuni sono stati assiduamente educati a non pianificare" 153. Secondo lo scrivente, la riorganizzazione delle città mediante la rigida separazione delle quattro funzioni elementari della residenza, del lavoro, del 151 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: Antonio Cederna (1956). I vandali in

casa. Laterza, Bari. 152 De Lucia V. & Salzano E. & Strobbe F. (1973). Riforma urbanistica 1973. Edizioni delle Autonomie, Roma. 153 Tutino A. (1971). Relazione al convegno dell' Istituto nazionale di urbanistica del 25 giugno 1971: Politica della casa e politica del territorio, le contraddizioni delle leggi approvate e proposte. In Urbanistica, n.58, ottobre 1971, Pag. 50 sgg.

124


tempo libero e della circolazione, ideata e diffusa da Le Corbusier e dai firmatari della Carta di Atene154 ed applicata seppur con intensità differenti in gran parte delle città occidentali e non solo, ha determinato la proliferazione di processi che come abbiamo già in parte visto, e come approfondiremo

in

seguito,

concorrono

nella

formazione

e

nell'

amplificazione del sentimento d' insicurezza negli spazi urbani. Deterioramento dello spazio pubblico a causa della frammentazione in zone omogenee La zonizzazione, frazionando l'urbano in aree monofunzionali, ha di fatto sancito il passaggio dalla complessità dello spazio urbano, "capace di contenere i più vari e imprevedibili eventi spontanei e non e dove persone con

comportamenti

e

scopi

diversi

partecipano

quotidianamente

e

naturalmente ad attività collettive"155, luogo quindi animato da una produttiva erranza e dall' integrazione del diverso, alla parzializzazione delle funzioni e di conseguenza dei soggetti che le esercitano, che lo rende di fatto "impermeabile a soggetti ed usi impropri" 156, non coerenti con la sorda mono-funzionalità dell'area.

154

Si rimanda a: https://modernistarchitecture.wordpress.com/2010/11/03/ciam %E2%80%99s-%E2%80%9Cthe-athens-charter%E2%80%9D-1933/ 155 Chermayeff S. & Tzonis A. (1968). Shape of community. Penguin Books. 156 Maurizio Morandi. Inquietudini e sicurezza nelle architetture e negli spazi della città. In Alfredo Mela (2003). Paure in città – Strategie ed illusioni delle politiche per la sicurezza urbana. Liguori Editore, Napoli.

125


Questo deterioramento dello spazio urbano, suddiviso in determinate funzioni che potranno naturalmente ammettere una gamma limitata di usi e comportamenti, e che quindi entrerà sempre più in netto contrasto con l' eterogeneità socio-culturale che le città occidentali dovranno affrontare a causa dell' aumento della mobilità sociale e della triste ciclicità delle crisi politico-economiche, rischia di incrementare soprattutto le problematiche già ampiamente diffuse in molte aree periferiche italiane, progettate proprio nell'ottica di assolvere alla sola funzione residenziale. E' proprio qui infatti, che a causa dell' assenza di una delle relazioni fondamentali

della

città

tradizionale,

il

dialogo

cioè

tra

l'edificato

residenziale e la pluralità di servizi e strutture commerciali che ne vitalizzavano

le

strade,

inquadrate

quindi

non

solo

come

linee

di

connessione tra i diversi ambiti urbani ma come veri e propri "luoghi dello stare"157, dilaga un processo di "desertificazione sociale" totalmente opposto alle "strade popolate di sguardi" che la Jacobs 158, come già accennato, considera il miglior antidoto alla violenza e all'insicurezza urbana. Le caratteristiche peculiari del modernismo architettonico inoltre, sempre secondo il Morandi, intensificherebbero l'impossibilità di essere difesi dallo sguardo dei vicini. È interessante infatti come l'autore si soffermi sugli accessi agli edifici, spesso localizzati sotto portici e pilotis, e quindi non controllabili dalle finestre delle abitazioni 159. 157 Ibidem. 158 Jacobs, op. cit. 159 Morandi, op. cit.

126


Altri luoghi ai quali, come vedremo in seguito, vengono spesso associate sensazioni di paura e di insicurezza, sono i sottopassi, sottoprodotti in molti casi di una pessima pianificazione infrastrutturale che per sopperire alle limitazioni spazio-temporali costituite dalle arterie congestionate delle nostre trafficatissime città, ha disciplinato la costruzione di angusti corridoi che in molti casi vengono costantemente macchiati da inciviltà. Queste problematiche non sono però monopolio dei quartieri residenziali ma sembrano farsi largo anche in quelle aree dello zoning modernista che in linea di principio, dovrebbero essere il frutto di oculati interventi di progettazione pubblica, come i parchi e i giardini. "Nati come spazi di relax e di aggregazione sociale e, comunque, come interventi diretti alla rivalutazione ambientale di parti di città meno qualificate, spesso il loro inadeguato stato di manutenzione e l'assenza di funzioni in grado di animarle in diversi momenti della giornata hanno fatto sì che esse vengano percepite come zone incontrollate e di scarsa affidabilità, specie per figure sociali tendenzialmente più vulnerabili (anziani, mamme con bambini ecc.) che, pure, dovrebbero esserne tra i principali fruitori" 160. Anche i centri storici infine, non sembrano esenti dalle ripercussioni enunciate. Essi infatti, se in passato rappresentavano i veri bacini identitari dell'

intero

agglomerato

urbano,

con

la

loro

capillare

eterogeneità

funzionale, negli ultimi anni stanno plasmandosi sulle caratteristiche e le 160 Mela, op. cit.

127


esigenze del turismo di massa, allontanando fette sempre più consistenti di vecchi abitanti ed accogliendo, oltre ad una miriade di strutture ricettive e commerciali, una molteplicità di strati socio-culturali che non hanno il tempo ed i mezzi di apprendere la pluralità di significati che hanno caratterizzato i luoghi del loro vivere e di entrare a far parte della rete comunitaria, contribuendo ad attribuire nuova identità allo spazio urbano. Segregazione socio-spaziale Alla zonizzazione funzionale, capace come abbiamo visto di generare già di per sé una buona serie di problematiche, si è generalmente accompagnata una

frammentazione

socioeconomica

dei

tessuti

urbani

abbastanza

marcata. Il fenomeno infatti, nonostante avesse sempre giocato un ruolo peculiare nella definizione di ogni città, basti pensare alla configurazione del castello in epoca medioevale o ai più recenti processi di gentrification delle città europee, ha trovato nelle espansioni monofunzionali del dopoguerra, il giusto pretesto per rilegare ai margini della città, le fasce economicamente più vulnerabili della società. Questa

differenziazione

socio-spaziale,

che

negli

Stati

Uniti

si

è

concretizzata ad esempio nei quartieri etnici delle grandi metropoli e in Europa, nei quartieri operai, ha determinato di fatto, l'esclusione di queste classi sociali dai ritmi urbani e della possibilità di ricreare "quegli spazi dell’incontro e delle relazioni indispensabili allo svolgersi di una vita

128


urbana"161. Questo atteggiamento anti-urbano, tipico della cultura insediativa a stelle e strisce, ben rappresentata da Louis Mumford 162, che sosteneva apertamente la necessità di avere "un ambiente residenziale omogeneo", in quanto capace di "preservare le virtù del villaggio all'interno della metropoli" e quella di escludere le "minoranze disgraziate, male educate e misere adatte solo al lavoro agricolo spesso incapaci di parlare l'inglese" al fine di impedire "l'incidenza dei fenomeni sociali patologici" 163, è sfociato, proprio in seguito alla progressiva segregazione e alla conseguente autonomia raggiunta da questi quartieri, nel consolidamento di spazi, spesso caratterizzati da forti densità abitative e dalla copresenza di culture ed etnie completamente differenti, totalmente scollegati dal resto della città (soprattutto a causa del limitato numero di servizi e del loro dimensionamento, che non riescono ad attirare gli abitanti di altre zone) e nei quali è raro che si istaurino aggregazioni di tipo comunitario. E' interessante osservare infatti che nel nostro Paese, così come si verificò per le ondate migratorie provenienti dal meridione nel ventennio 1950-70, gli stranieri, dopo una fase iniziale che li vide occupare le aree degradate dei centri storici, spesso in prossimità delle stazioni ferroviarie (come 161 Morandi, op. cit. 162 Petrillo A. (1996). L'insicurezza urbana in America. Aut Aut, n. 275. 163 Paola Somma (1996). La città sicura. Archivio di Studi Urbani e Regionali, n. 57.

129


confermato dalla nascita di numerose attività commerciali e servizi come minimarket, negozi etnici ed internet point, testimonianze dirette di una loro stabilizzazione socio-spaziale), si sono riversati in massa verso le "zone periferiche delle città e verso i centri delle prime cinture industriali" 164. "Quanto più l'obiettivo e lo strumento dello sviluppo della città sono l'ordine e la coerenza, tanto più il diverso è osteggiato in quanto rappresenta la minaccia vivente per questo ordine"165. Illeggibilità dello spazio Il terzo ed ultimo dei processi scaturiti dalla zonizzazione delle città è legato all' illeggibilità dello spazio urbano, ovvero l'impossibilità di poter leggere e tradurre le nuove espansioni urbane secondo i nostri schemi percettivi. Quello che Lynch, definisce come lo spazio "che facilita il movimento intenzionale, evita l'angoscia e i pericoli del disorientamento, stabilisce una sicura relazione emotiva con il mondo esterno" 166, è appunto un luogo ricco di

pattern

che

sovrapponendosi

e

relazionandosi 167,

configurano

un

ambiente urbano dai connotati altamente simbolici e portatore di identità 164 Mela, op. cit. 165 Giandomenico Amendola (2009). La città postmoderna – Magie e paure della

metropoli contemporanea. Laterza e Figli, Bari. 166 Kevin A. Lynch (1960). The Image of the City. M.I.T. Press, Cambridge. 167 Christopher Alexander (1977). A pattern language. Oxford University Press, New York.

130


profondamente radicate, che lasciandosi facilmente decodificare, ci guida verso i vari nodi urbani favorendo una piacevole erranza orientata negli spazi pubblici. Questo "spazio figurabile" infatti168, costituito dalla sovrapposizione di queste configurazioni, che in quanto tran-scalari possono essere lette in un dettaglio architettonico come nell'interezza dell'insediamento osservato da un punto panoramico, si è quasi completamente dissolto nelle città contemporanee, orfane di quella complessità morfologico-simbolica che ancora oggi ritroviamo nei nostri meravigliosi centri storici. L' omologazione dello zooning e delle architetture moderniste ed il conseguente impoverimento dei pattern urbani hanno quindi generato una città povera di landmark (punti di riferimento visivo) e di elementi simbolici capaci di definire il carattere pubblico di uno spazio, differenziandolo dal privato ed hanno inoltre contribuito ad ostacolare il controllo visivo degli spazi mediante la costruzione di numerose barriere fisiche. L' illeggibilità delle nostre città costituisce quindi un fattore repulsivo, inibendo l'istinto all' esplorazione dello spazio pubblico, impedendoci di coglierne le innumerevoli opportunità, e favorendo di fatto, gli ormai noti effetti di segregazione e di cancellazione dei luoghi pubblici dalla dimensione dell’immaginario collettivo169. 168 Lynch, op. cit. 169 Mela, op. cit.

131


La progressiva perdita di orientamento inoltre, alla base dell'inquietudine che scaturisce dall' incapacità di distinguere i punti focali e di attribuirgli un senso attraverso il filtro della percezione mentale, sarà sempre più accentuata dal "distacco dell’immagine architettonica dai valori e dai contenuti che i diversi edifici rappresentano e contengono" 170. Questa rottura del legame storico-simbolico operata dal post-moderno (Ballard in merito, parla di "stazioni di servizio travestite da cattedrali" 171), sopprime infatti ogni tipo di gerarchia urbana, trasformando la città in un "ambiente completamente

adattabile

in

cui,

ogni

persona

può

circondarsi

immediatamente e senza sforzo alcuno dello scenario che più l'aggrada" 172. Un ambiente definito sempre dal Lynch, come "un incubo da fiaba dove il luogo non avrebbe più un significato preciso e il tessuto esistenziale si dissolverebbe nel conflitto e nel caos" 173.

170 Morandi, op. cit. 171 Ballard J.C. (1996). Cocaine Nights. Flamingo, London. 172 Kevin A. Lynch (1984). A theory of good city form. M.I.T. Press, Cambridge. 173 Ibidem.

132


3.2 GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE SUL SENSO CIVICO E L’APPARTENENZA TERRITORIALE La propensione omologatrice della globalizzazione è indissolubilmente legata, come abbiamo visto, al quel modernismo urbanistico-architettonico che definendo aprioristicamente le linee guida delle espansioni urbane, ha plasmato il volto della stragrande maggioranza delle città del globo consegnandoci interi quartieri e tessuti urbani completamente avulsi dallo specifico contesto geografico-culturale nel quale sono inseriti. Su queste solide

fondamenta,

già

capaci

come

abbiamo

visto,

di

contribuire

attivamente al progressivo abbandono degli spazi pubblici e al conseguente decadimento del concetto stesso di comunità e di attaccamento al luogo, si è poi costruita, mediante l'ausilio dei vari canali mediatici di un'informazione capillarmente complice, una società incentrata sulla costruzione della propria immagine e su di un edonismo consumistico che minando i precedenti schemi culturali della comunità e della famiglia ed esaurendone i principi morali, pone ogni uomo o per meglio dire ogni consumatore, in un contesto dai connotati fortemente estetici nel quale non è più in grado di preoccuparsi della sorte altrui174.

174 Luca Serafini (2017). Etica dell'estetica. Narcisismo dell’Io e apertura agli altri nel pensiero postmoderno. Quodlibet Studio. Roma.

133


"Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane" 175. Ed è proprio nelle grandi città, in conseguenza dello scontro tra il dilagante atteggiamento d'indifferenza civile e di "distacco cosmopolita" 176 e le conseguenze della pressione sociodemografica portata dalle varie ondate migratorie, che si auto-alimenta il processo di individualismo e di perdita di senso civico. Persone appartenenti alle più variegate culture infatti, sospinte dalla medesima propensione estetico-individualista, durante il processo d'identificazione con quei modelli culturali tipicamente occidentali che i venti mediatici della globalizzazione hanno reso appetibili e desiderabili risultando però assolutamente incompatibili con le risorse economiche dei loro Paesi d' origine, stanno portando secondo la già ampiamente discussa teoria

del

tribalismo,

ad

una

sorta

di

risposta

preventiva

ad

un'

175 Pier Paolo Pasolini (1973). Sfida ai dirigenti della televisione. In Corriere della Sera, pubblicato il 9 Dicembre 1973. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://media2.corriere.it/corriere/pdf/2015/CORSERA_19731209_L_NAZ_NUL_03_00_A.pdf 176 Amendola, op. cit.

134


iperstimolazione socio-culturale che, vedendoci sprovvisti dei background delle popolazioni immigrate, rischia di tradursi in fattore di stress e logoramento psicologico dai quali rifuggiamo, rintanandoci sempre più nella dimensione individuale. La tesi sembra essere sostenuta anche dallo stesso Amendola, che nell'attuale ritrosia dei cittadini "ad assumere il controllo degli spazi pubblici" rilegge "il peso della crisi dell’uomo pubblico metropolitano e la sua crescente privatizzazione che si manifesta nelle forme di una cortese indifferenza"177. "Ormai nelle metropoli farsi gli affari propri è diventata una scienza. Nella prevenzione allo stupro la prima lezione è "mai gridare aiuto, ma sempre al fuoco". Nessuno risponde ad una richiesta di aiuto. Tu urla "al fuoco" e arrivano di corsa"178. Secondo la ricerca IPSOS Gli italiani e il senso civico: dove va il Paese?179 realizzata dall' Osservatorio Nazionale per Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica) e presentata nel 2017 da Nando Pagnoncelli, risulterebbero in forte calo, in accordo con quanto 177 Ivi. 178 Frase pronunciata dall' investigatore William Somerset (interpretato da Morgan Freeman) nel film Seven di David Fincher. Usa, 1995. 179 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.comieco.org/sala-stampa/comunicati-stampa/news/presentato-losservatorionazionale-ipsos--comieco-sul-senso-civico--edizione-2017.aspx#.W4hoGOgzaM-

135


esposto fino ad ora, la fiducia nelle istituzioni e nella collettività, a favore di valori legati alla sola sfera personale. Emerge quindi anche dai dati statistici, una tendenza al ripiegamento verso la dimensione individuale che trova un ulteriore conferma nell' impietoso indice di fiducia verso gli altri cittadini che si attesta oggi, in linea con trend discendente in atto dal 2004, al 37% del campione intervistato. Rispetto ai valori che stanno alla base del senso civico inoltre, gli Italiani sono stati classificati in 5 “tribù di civicness” dai più individualisti a quelli più votati alla collettività. In base a questa classificazione i nostri concittadini si confermano sempre più ‘Latini’, caratterizzati cioè da grande individualismo e da grande senso di appartenenza territoriale: in questa tribù si riconosce il 50% degli italiani. Sono

invece

in

forte

calo

i

“Samurai”

(3%),

coloro

che

credono

maggiormente nel valore delle istituzioni, e gli “Eschimesi” (10%), fortemente legati ai valori collettivi. Per circa il 60% degli intervistati infine, è nella famiglia, che si forma la nostra propensione al senso civico. La scuola risulta invece il soggetto più idoneo a stimolare il civismo nelle giovani generazioni secondo il 58% degli Italiani. A questo infido circolo vizioso si è poi aggiunta nei nostri contesti urbani, caratterizzati da un forte relativismo culturale, anche una naturale

136


dispersione degli interessi e della conseguente tendenza all'aggregazione dovuta dall' azione collettiva. Si può infatti affermare, che nel nostro paese a seguito

dell'infrangersi

dell'ondata

rivendicativa

degli

anni

'60,

ed

escludendo un flebile e parziale ritorno al tema della partecipazione durante i primi anni '90, la frammentazione della struttura sociale e poi l'emergere dell'eterogeneità culturale a seguito delle ondate immigratorie, hanno ostacolato

quelle

stesse

spinte

partecipative

che

nel

cementificarono il senso di comunità e di appartenenza sociale

passato

180

.

Questo progressivo deterioramento del senso civico causato dalla morsa omologatrice della società contemporanea, afflitta secondo Alessandro Amadori,

vicepresidente

dell'

Istituto

Piepoli,

da

un

"generale

imbarbarimento del pensiero e del linguaggio" in conseguenza del "trionfo della post-modernità narcisista"181, sancirà a detta di molti studiosi, in particolare del futurologo John Naisbitt 182, uno scontro tra l'insicurezza ontologica del già citato Giddens183, legata al peso della perdita di valori, certezze e riferimenti culturali ed il relativo smarrimento dell' identità ad essi profondamente radicata, e una recrudescenza (o rivitalizzazione) del senso del territorio e delle micro-identità locali, il tutto naturalmente viziato da un fitta coltre di paura nella quale verranno puntualmente individuati i 180 Mela, op. cit. 181 Per

eventuali approfondimenti si rimanda http://www.la7.it/piazzapulita/rivedila7/ciao-bella-28-04-2015-153348. 182 John Naisbitt (1984). Mega trends. Sperling & Kupfer. 183 Giddens, op. cit.

137

a:


vari deboli capri espiatori. Ed è proprio in quest' ottica che la proliferazione delle barriere innalzate a seguito della caduta del muro di Berlino 184, l' affermazione di cellule terroristiche a carattere islamico, le spinte secessioniste, il recente successo di partiti sovranisti in diversi stati europei ed il pericoloso riaffermarsi di ideologie xenofobe, devono essere letti anche come il frutto di un meccanismo di azione-reazione in risposta ad un omologazione che tende ad appiattire le diversità, causando, come abbiamo già in parte accennato, potenziali gravi ripercussioni sul futuro della nostra società.

3.3 IL BUSINESS DELLA PAURA Nella realtà distopica raccontata dal genio visionario di Orwell in 1984, il benessere economico e la sicurezza sono mantenuti ad una soglia statica attraverso il consumo e la distruzione di quei beni che esulano dal basilare sostentamento della popolazione, attraverso il mantenimento di un perenne stato di belligeranza. Un incremento generalizzato del benessere economico avrebbe infatti reso "le

masse

troppo agiate

e,

a

lungo

andare,

troppo intelligenti" 185,

risvegliandone le coscienze e di conseguenza segnando la fine di una società gerarchicamente organizzata. 184

Per eventuali approfondimenti https://issuu.com/francescopestarino/docs/tesi 185 George Orwell (2016). 1984. Mondadori, Milano.

138

si

rimanda

a:


"Sul lungo termine, una società gerarchizzata poteva aversi solo basandosi sulla povertà e sull' ignoranza"186. Confrontando il costante sforzo bellico al quale è chiamata l'intera popolazione del romanzo con la realtà urbana contemporanea, emerge un’inquietante analogia individuabile nel clima di paura ed insicurezza che quotidianamente viene alimentato dal saldo legame tra la politica e i mezzi d' informazione. In questa scissione tra percezione e realtà, che il "Partito chiede ai suoi adepti"187

attraverso

la

rete

dell’informazione,

utilizzando

un’altra

espressione di Orwell, sembra intervenire in modo preponderante, a giudicare dai numeri, una strategia di natura economica. Il rapporto tra la paura del crimine ed una logica politico-economica della sua gestione o del suo sfruttamento, ha a dire il vero, origini molto antiche. Riutilizzando l'esempio della città medioevali, le mura di cinta, oltre a sancire il limite fisico tra la prevedibilità e l'imprevedibilità del crimine, regolavano infatti i flussi economici della città mediante la definizione, ad opera delle corporazioni dominanti, dei tassi e delle imposte commerciali. Negli ultimi decenni però, nonostante il numero dei crimini sia fortemente in 186 Ibidem. 187 Ibidem.

139


calo, l'esplosione di quella che Giddens descrive come una pervasiva insicurezza ontologica188 e il terrorismo mediatico operato dalle testate giornalistiche e dai partiti politici, si è registrata una vera e propria impennata del mercato della sicurezza, che già nel 2000, oscillava attorno ai 68 miliardi di dollari di fatturato, l’80 % dei quali distribuiti in modo quasi omogeneo tra USA ed Europa189. Dal 1° Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia 190

191

realizzato dal

Censis e da Federsicurezza, è emerso come il 39% degli italiani sia favorevole all'introduzione di criteri meno rigidi per il possesso di un'arma da fuoco per la difesa personale. Il dato è in netto aumento rispetto al 26% rilevato nel 2015 e trova nelle persone meno istruite (il 51% tra coloro che hanno al massimo la licenza media) e negli anziani (il 41% degli over 65 anni) i soggetti maggiormente favorevoli. Un altro dato spaventoso è quello relativo alle licenze per il porto d'armi. Al 188 Giddens, op. cit. 189 Gabriella Paolucci (2003). Il mercato della paura. In Giandomenico Amendola (2003). Il Governo della città sicura – Politiche, esperienze e luoghi comuni. Liguori Editore, Napoli. 190 Il Rapporto è stato presentato a Roma, il 27 Giugno 2018, da Anna Italia del Censis e discusso dal Presidente di Federsicurezza Luigi Gabriele, il Direttore Generale del Censis Massimiliano Valerii, il Direttore di Confcommercio Roma Pietro Farina, il responsabile dell'Area Sicurezza e Legalità dell'Anci Antonio Ragonesi, il Segretario Nazionale del Siulp Silvano Filippi, il Segretario Generale Aggiunto del Sap Gianni Tonelli, il sociologo Maurizio Fiasco, il giornalista e scrittore Luca Telese, con le conclusioni di Nicola Molteni, Sottosegretario del Ministero dell'Interno. 191 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.youtube.com/watch? reload=9&v=pTeC4mLcuoM&feature=youtu.be

140


2017 infatti, il totale delle licenze registrate nel nostro Paese si attestava a 1.398.920 unità (il 94 % delle quali per la caccia o per il tiro al volo) , con un incremento del 20,5% dal 2014 e del 13,8% nel solo ultimo anno. La crescita più forte ha riguardato le licenze per il tiro a volo (quasi 585.000 con un incremento del 21,1% in un anno), ottenibili attraverso iter sicuramente più snelli ma non meno onerosi. Oltre a far emergere, con un rapido ed approssimativo calcolo, gli enormi profitti accumulati dalle svariate case di produzioni belliche italiane e non solo (Stimando un costo medio per pistola di 200 euro e tralasciando il fatto che molti soggetti, soprattutto coloro che cacciano, posseggono spesso più armi, sono stati spesi dagli italiani quasi 280 milioni di euro solo per le armi), i dati evidenziano come, moltiplicandoli per il numero medio di componenti familiari del Paese, in Italia sia presente un'arma da fuoco nelle case di quasi 4,5 milioni di cittadini (di cui 700.000 minori). I dati assumono però dimensioni ancor più consistenti negli accorgimenti adottati dagli italiani per contrastare e per difendersi dai furti e dalle rapine in abitazione. Il 92,5% ha adottato infatti almeno una strategia per difendersi da ladri e dai rapinatori. Il più utilizzato è la porta blindata, che protegge dalle intrusioni le case di oltre 33 milioni di italiani (il 66,3% della popolazione adulta), 21 milioni di cittadini (il 42%) si è dotato di un sistema d'allarme, più di 17 milioni (il 33,5%) hanno montato inferriate a porte e finestre, quasi 16 milioni (il

141


31,3%) hanno optato per vetri e infissi blindati, più di 15 milioni (il 30,7%) hanno installato una telecamera e poco meno di 10 milioni (il 19,4%) hanno comprato

una

cassaforte

per

custodire

i

propri

beni.

Inoltre,

per

precauzione, lasciano le luci accese quando escono di casa poco meno di 15 milioni di italiani (il 29%). Sempre secondo le rilevazioni del Censis inoltre, di fronte ad una progressiva diminuzione del numero degli operatori pubblici 192, soprattutto per quanto concerne le Forze dell'ordine, le quali oltre a dover affrontare i tagli della spesa pubblica (-1,4% in termini reali la spesa per l'ordine pubblico e la sicurezza nel periodo 2008-2016, - 6,4% la spesa per il personale) non riescono a rinnovare attraverso le nuove assunzioni un corpo agenti sempre più esiguo ed anziano 193, si è registrata una marcata inserzione del comparto privato della sicurezza con oltre 60'000 tra vigilanti e guardie private ripartite tra 1594 imprese della sicurezza. E' in forte crescita infine anche il numero degli addetti dei servizi fiduciari (guardie non armate,

portierato

e

antitaccheggio)

che

secondo

una

rilevazione

sottostimata del Censis, sarebbero oggi 21'000 con una crescita nell' ultimo anno del 22,1 %. I fattori condizionanti della crescente privatizzazione della sicurezza 192 Totalità degli agenti delle Forze dell' ordine e delle Forze Armate. 193 Tra il 2008 e il 2016 si registrano 22.000 uomini e donne in meno nei diversi Corpi di polizia (in particolare, 86.000 under 45 in meno). Oggi il 7,8% degli operatori della sicurezza pubblica ha più di 55 anni, mentre nel 2008 gli over 55 erano solo l'1,9%.

142


andrebbero cercati, sempre secondo la Paolucci, nella profonda crisi fiscale dello Stato, e al "conseguente gap di domanda che viene progressivamente riempito dall' iniziativa privata"194, e al fenomeno d'espansione della proprietà privata di massa dipendente dalla logica stessa del mercato tardocapitalistico195. L' azione congiunta di questi due processi, segnando di fatto il passaggio dall' inalienabilità e dall' inviolabilità di un diritto garantito dall' autorità statuale ad una sicurezza intesa come bene monetizzabile "la cui disponibilità è in funzione del potere d'acquisto individuale o del peso politico

di

una

categoria

di

persone" 196,

ha

generato

un

"network

securitario"197 che stirandosi in modo differenziato sul territorio, ne ha trasformato la geografia socio-spaziale redistribuendo in modo iniquo la sicurezza198. Esplicative in questo senso, appaiono le "sempre più frequenti proteste a base territoriale – p.e. di quartieri o intere città – di chi ritiene di essere indifeso perché trascurato a favore di altre zone o altre città" 199. 194 Reiner R. (1992). Policing in a postmodern society. Modern Law Review, 55, Pag. 761-781. 195 Loader I. (1997). Private security and the demand for protection in contemporary Britain. Policing and Society, 7, Pag. 143-162. 196 Amendola, op. cit. 197 Shearing C. (1996). Public and private policing. In W. Saulsbury. Themes in Contemporary Policing. London 198 In merito, anche il rapporto del Censis conferma che sono le fascie reddituali medioalte a dotarsi maggiormente di dispositivi di sicurezza. Per queste categorie la criminalità è il 5° problema più sentito, in netto contrasto con la popolazione meno abbiente che invece lo considera al secondo posto, preceduto solamente dalle preoccupazioni lavorative. 199 Amendola, op. cit.

143


L'impatto economico della paura, che come abbiamo visto è riscontrabile in almeno tre segmenti del mercato, quello delle armi, gli strumenti di difesa diretta da eventuali aggressioni, nei sistemi e dispositivi di sicurezza come porte blindate, inferriate, videocamere di sorveglianza e casseforti ed infine nel crescente impiego di forze di sicurezza private, operando quindi una forte tensione distintiva, ha ridisegnato la stratificazione socio-spaziale della città incidendo in modo preponderante sulla definizione della rendita immobiliare. La sicurezza è diventata infatti la precondizione della vivibilità urbana e gioca un ruolo centrale nella formazione dell' immagine della città nelle politiche di marketing urbano, ma è soprattutto il suo controllo che ai giorni d'oggi incide maggiormente sulla valorizzazione immobiliare dei tessuti urbani, sia residenziali che commerciali, attraverso quello che Biderman definisce come l' Index of anxiety200, un parametro con il quale già negli anni '60 si giudicava la vivibilità e il valore immobiliare di un quartiere.

200 Per eventuali approfondimenti si rimanda a:

https://deepblue.lib.umich.edu/bitstream/handle/2027.42/67517/10.1177_00027162673 7400102.pdf?sequence=2

144


3.4 IL RUOLO DEI MASS MEDIA È ormai ampiamente dimostrato come i mezzi di informazione siano in grado di esercitare una forma di condizionamento dell’agire individuale e collettivo, capace di costruire rappresentazioni della realtà che gli individui tendono sempre più ad utilizzare, durante le interazioni, come strumento di orientamento nel vivere quotidiano. Ritornando sull' impostazione cognitivista, secondo la quale ad orientare le azioni umane sarebbero le rappresentazioni mentali frutto del proprio filtro percettivo, emerge con forza il ruolo amplificatore dei media che, saldandosi ad esso, non solo riflettono la realtà socioculturale in cui operano, ma sono in grado di plasmarla e di ricrearla con un potere maggiore degli altri. "E' proprio il medium di massa in sé. Nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video, ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico (...) L'insieme della cosa vista dal video, acquista sempre un'aria autoritaria, fatalmente, perché viene sempre data come da una cattedra. Parlare dal video è parlare sempre ex cathedra, anche quando questo è mascherato da democraticità" 201. I media fanno quindi parte integrante di quell’insieme di istituzioni che

201 Estratto di un' intervista del giornalista Enzo Biagi a Pier Paolo Pasolini, nell'ambito del programma Terza B facciamo l'appello, trasmesso su Rai1 nel 1971.

145


contribuiscono a plasmare le opinioni morali delle persone 202 e la loro organizzazione su un determinato territorio contribuisce a condizionare il modo in cui gli individui e i gruppi percepiscono sé stessi, gli spazi di prossimità e la natura dei propri legami203. In una società infatti dove la sfera delle esperienze vissute in prima persona si restringe sempre più, schiacciata dalla costante sovraesposizione ad informazioni ed esperienze acquisite indirettamente dai media e dalle piattaforme social, è conseguenziale, come sostiene Wolf, la progressiva sostituzione delle precedenti istituzioni sociali nell'ambito dell' acquisizione e gerarchizzazione dei valori sui quali costruiamo la nostra personalità e il nostro modo di vivere, a favore di quelle dettate dal mondo dell' informazione. Ricollegandoci ai fenomeni criminali, diversi autori ed in particolare Arnold, hanno studiato il differente impatto dovuto alla tipologia di vittimizzazione evidenziando come quella indiretta, al contrario di quella diretta, che avrebbe

un

impatto

minimo

o

addirittura

nullo,

inciderebbe

prepotentemente sulla formazione del sentimento di paura del crimine 204. 202 Wolf M. (2000). Gli Effetti Sociali dei Media. Bompiani, Milano. 203 Bellauti M. (2004). L’In/sicurezza dei Quartieri. Media, Territorio e Percezioni

d’Insicurezza. F. Angeli, Milano. 204 Arnold H. (1991). Fear of Crime and its Relationship to Directly and Indirectly Experienced Victimisation: A Binational Comparison of Models. In Sessar K. & H.J. Kerner. Developments in Crime and Crime Control Research: German Studies on Victimism. Springer Verlag, New York. Pag. 313-335.

146


Secondo questa ipotesi, le persone possono quindi subire gli effetti di atti criminosi anche mediante il processo di amplificazione dovuto alle informazioni circolanti nella comunità di riferimento e/o alle notizie derivanti dai mezzi di comunicazione di massa. Ascoltare questo tipo di notizie infatti, dando spazio all' immaginazione e favorendo il processo di immedesimazione nella vittima, rinforzerebbe così il senso di vulnerabilità205. Questa ipotesi spiegherebbe come mai la paura della criminalità e l’insicurezza siano tanto diffuse anche fra chi non corre grandi rischi da un punto di vista oggettivo o non ha subito personalmente esperienze di vittimizzazione206

207

.

Possiamo comprendere a pieno le ripercussioni di questo meccanismo solamente soffermandoci sul moderno ruolo dei mass media, che appunto riflettendo i limiti di una società strutturata su di una narcisistica costruzione della propria immagine e contribuendo in modo preponderante alla compressione spaziale, che ha reso tutto prossimo e a portata di mano, sono anch'essi altamente plasmabili secondo le fluttuanti forme della 205 Hale C. (1996). Fear of Crime: A Review of the Literature. In International Review of Victimology, 4. Pag. 79-150. 206 Skogan W.G. & M.G. Maxfield (1981). Coping whit Crime: Individual and Neighborhood Reactions. Sage, Beverly Hills, California. 207 Tyler T.R. (1980). Impact of Directly and Indirectly Experienced Events: The Origin of Crime Related Judgements and Behaviours. In Journal of Personality and Social Psychology, 39. Pag. 13-28.

147


domanda ed hanno di fatto sancito, una narrazione della realtà quotidiana nella quale risulta assai difficile distinguere il confine tra la verità e la finzione. "Non c'è alcuna soluzione di continuità, nella coscienza e nella cultura collettiva tra il vero e la fiction, tra la cronaca e l’immaginario esattamente come negli scaffali delle librerie americane nella sezione crime sono esposti insieme saggi di sociologia e criminologia, romanzi gialli, storie vere ed instant books giudiziari"208. Non solo infatti, siamo costantemente avvicinati e coinvolti in ogni guerra, attacco terroristico ed atto criminale avvenuto agli angoli più remoti del pianeta, ma per ogni fatto è sapientemente costruita una scenografia che lo rende appetibile alla logica dell' audience e della vendita e che secondo i dati empirici presentati da vari autori 209, ha una forte risonanza sulle persone,

alle

quali

appare

più

probabile

e quindi

più

spaventoso,

alimentando spesso preoccupazioni connesse a dei rischi remoti ed eccezionali e al contrario, sottostimandone degli altri magari meno gravi ma sicuramente più comuni. E’ il caso ad esempio degli omicidi stradali, degli incidenti sul lavoro e delle conseguenze relative all' abuso di alcool, dove a giocare un ruolo decisivo nella formazione di quella che viene definita "immunità soggettiva" in coloro 208 Amendola, op. cit. 209 Lupton D. (2003). Il Rischio. Percezione, Simboli, Culture. Il Mulino, Bologna.

148


che ritengono di poter controllare i fattori che potrebbero portare ad un disastro210 (vedi gli automobilisti che pensano di essere particolarmente abili nel guidare l’auto anche sotto effetto di alcool e droghe o gli operai che forti dell'esperienza acquisita non si dotano delle adeguate misure di sicurezza), è la scarsa attenzione mediatica che gli è riservata 211, a conferma della propensione che abbiamo a lasciarci condizionare dai mass media, dai quali, secondo

la

Teoria

della

dipendenza

dai

media 212,

siamo

ormai

completamente assuefatti. Qualche dato Secondo il X Rapporto sulla sicurezza e l'insicurezza sociale in Italia e in Europa213, dell' Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, che ha studiato l'evoluzione dell'agenda dell'insicurezza nei principali telegiornali italiani durante le edizioni in prima serata (TG1-TG2-TG3-TG4-TG5- STUDIO APERTO) nel decennio 2007-2017, è emersa una sostanziale staticità nell' insicurezza narrata con solo due principali aree di cambiamento, il calo della narrazione ansiogena di 8 punti percentuale (dal 28% al 20%) con una media di 4 210 Slovic P. (1987). Perception of Risk. In Science, 236, Pag. 280-285. 211 Cass R. Sustein (2004). Quanto Rischiamo. La Sicurezza Ambientale tra Percezione e

Approccio Razionale. Ed. Ambiente, Milano. 212 DeFleur M. & S.J. Ball-Rokeach (1989). Theoresis of Mass Communication: Longman, New York. 213 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://www.demos.it/2017/pdf/4225rapporto_sulla__sicurezza_e_insicurezza__sociale_201 7.pdf

149


notizie al giorno nel 2017 e la comparsa della voce relativa alla sfiducia nella politica, connessa alla corruzione e all'instabilità. Il confronto decennale suggerisce comunque alcune osservazioni nella rappresentazione mediatica dell’insicurezza che confermano quanto detto fino ad ora. La prima rilevazione conferma il primato della criminalità nell’agenda mediatica dell’insicurezza: la spettacolarizzazione degli eventi di cronaca nera ed il racconto dei fatti criminali restano, anche se non più incentrati sul binomio criminalità-immigrazione come nel 2007, anno della discussione del pacchetto sicurezza, al primo posto dell’agenda dell’insicurezza con una narrazione che contribuisce ad acuire la vulnerabilità dei telespettatori a causa di una sequenza dei più disparati ed imprevedibili crimini avvenuti nell'arco della giornata che occupa la gran parte dell' edizione. Il secondo dato è l’ampliamento della dimensione ansiogena relativa alla distruzione dell’ambiente, per cause naturali e imputabili all’uomo. Il

terzo

dato

evidenzia

l'affermazione

dell’allarmismo

rispetto

all’immigrazione, alla globalizzazione e alla minaccia dell’identità (con il 17%). Essa si colloca al terzo posto delle insicurezze ed è incentrata quasi esclusivamente sulle criticità e il rifiuto relativi all'accoglienza (rivolte e disordini nei centri ad essa adibiti), sulla permanenza di migranti e profughi (che causa degrado nelle città) e sugli sbarchi. Il quarto punto di continuità con il passato è dato dalla rappresentazione

150


della minaccia terroristica di matrice islamica anche se con rinnovati protagonisti. Il quinto dato rilevato, che al contrario è in netta discontinuità rispetto al passato,

è

la

scomparsa

delle

insicurezze

relative

alla

dimensione

economica, che si collocavano al secondo posto nel 2007 (con il 21%). Emerge in questo caso una forte discrasia tra le continue preoccupazioni dei cittadini italiani e i dati relativi alla crescita, al lavoro e a progressivo impoverimento

della

classe

media

e

la

quasi

totale

assenza

di

interessamento da parte dei media, che dedicano un' irrisoria fetta della programmazione solamente a specifiche conseguenze dell' instabilità economica come il degrado e la povertà (sfratti dalle case popolari o le condizioni di vita dei clochard nelle stazioni) e alle vicende dei grandi gruppi bancari. Sempre dal rapporto è possibile effettuare in Italia tre accoppiamenti di telegiornali secondo lo spazio che dedicano ai reati criminali. Studio Aperto e Tg4, che hanno spesso lo stesso servizio ripetuto uguale o con piccole modifiche e in cui la pagina di cronaca nera è nettamente il primo tema dell’agenda, con una forte tendenza ad accentuare il legame tra episodi di violenza ed immigrazione (episodi che vengono quasi sempre ripresi in programmi di approfondimento nelle medesime reti), Tg1 e Tg5, che come è già emerso negli anni precedenti si rivolgono allo stesso target di popolazione con un attenzione al tema che potremmo considerare medio-

151


alta ed infine Tg3 e Tg2, che hanno in media meno di una notizia al giorno di criminalità e quindi un’attenzione decisamente più moderata e meno ansiogena delle altre testate giornalistiche. Le notizie relative ai fenomeni migratori continuano ad essere nel 2016 al centro dell’agenda dei telegiornali italiani: sono infatti 3.231 le notizie su migranti, profughi e rifugiati, con una media di 9 notizie al giorno. Nonostante una quota significativa delle notizie in questione tratti il ruolo e l’impegno dell’Italia nelle operazioni di soccorso in mare, promuova appelli alla solidarietà ed effettui

richiami

alla centralità della dimensione

umanitaria, data la sua complessità e la generale mediatizzazione europea ed internazionale, le rotte migratorie e la gestione dei relativi flussi sono ormai diventati la principale area di scontro politico ed elettorale, finendo per appiccare un incendio di tensione e di paura dove determinate aree politiche sembrano moltiplicare il proprio consenso, alimentando in un pericoloso circolo vizioso della paura, la preoccupazione delle fasce socioculturalmente più deboli nei confronti dello straniero ed imponendosi come le uniche forze in grado di contrastarne gli effetti. Il 2017 conferma una tendenziale convergenza della narrazione mediatica europea sulle medesime aree di insicurezza globale. Osservando però cosa accade al di fuori dell’Italia, emerge come il TG1 – in alcuni anni – abbia 3 volte in più le notizie relative alla criminalità del principale telegiornale

152


pubblico inglese e addirittura 44 volte di quello tedesco. Dal confronto con i principali notiziari pubblici europei, si conferma quindi un’anomalia tutta italiana sia per la quantità di notizie sia per la tipologia di crimine. Se infatti, in Inghilterra (al terzo posto dopo Italia e Spagna) Bbc One dedica ampio spazio alla pedofilia e ai crimini di natura sessuale e in Spagna, RTVELa1 a quelli di genere e ai crimini connessi alla corruzione dei “colletti bianchi” e della politica, la principale rete pubblica italiana, RAI1, dedica ben il 36,6 % sul totale delle notizie ansiogene alla cronaca nera ed in particolare ai crimini violenti. "Se diamo uno sguardo agli organi di stampa (...) L'impressione che se ne trae è che il business della sicurezza, affiancato efficacemente dai media e dai partiti, non fornisca propriamente una risposta alla paura, ma soffi abbondantemente sul fuoco per contribuire a creare una rappresentazione collettiva avulsa dalla realtà e fertile terreno per gli inesauribili appetiti del mercato"214. Agenda setting e notiziabilità La teoria dell’Agenda Setting, elaborata da McCombs e Schaw nel 1972 215, descrive la capacità dei media di condizionare la gerarchizzazione delle 214 Paolucci, op. cit. 215 McCombs M.E. & D. Schaw (1972). The Agenda-setting Function of the Mass Media. In Public Opinion Quarterly, Pag. 176-187.

153


notizie

da

parte

dei

cittadini

mediante

la

selezione

e

l'accurata

enfatizzazione di determinati avvenimenti rispetto ad altri, che vengono estrapolati in seguito allo studio delle preferenze e degli interessi del pubblico (definita "salienza"216) e dalle esigenze sociopolitiche di quel dato momento storico217. "Il principale assunto dell’Agenda setting è che "la comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è mutata dai media" 218, media che forniscono anche le categorie ove le informazioni possono essere classificate e catalogate, nonché la gerarchia di importanza degli argomenti, attraverso la presentazione di questi secondo profili più o meno alti e di effetto, potendo inoltre penalizzarne la conoscenza tramite l’omissione" 219. Nel tempo questo tipo di notiziabilità oltre a definire il ventaglio di argomenti sul quale la popolazione dovrebbe sviluppare un’opinione, sacrificandone evidentemente degli altri, sta assumendo anch' essa una dimensione sempre più estetica, a discapito dell’oggettività e della credibilità dei contenuti. Vari studi in merito 220 evidenziano come i criteri di 216 Mazzoleni G. (1998). La Comunicazione Politica. Il Mulino, Bologna. 217 McCombs M. & D. Shaw D. (1993). The Evolution of Agenda-setting Research:

Twenty Five Years in There Marketplace of Ideas. In Journal of Communication, 43, Pag. 58-67. 218 Shaw E. (1979). Agenda Setting and Mass Communication Theory. Gazette International Journal for Mass Communication Studies, Vol. XXV, n. 2, Pag. 101. 219 Masella, op. cit. 220 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.gqitalia.it/news/2016/08/03/ sui-social-leggiamo-tanti-titoli-ma-nessun-articolo-di-chi-e-davvero-la-colpa/?refresh_ce=

154


selezione e soprattutto le modalità di presentazione delle notizie scelte dalle redazioni di tutto il mondo si stiano adattando 221, amplificandola, ad una lettura sommaria e superficiale del solo titolo della notizia, che per effetto di questa

dilagante

tendenza

sta

adottando

toni

ed

espressioni

sensazionalistiche capaci di attrarre la sbrigativa attenzione di un pubblico che impegnato assiduamente nella costruzione della sua "immagine sociale", spesso la condivide senza averne minimamente letto il contenuto. "I

giornali

oggi

hanno

la

tendenza

ad

adattarsi

allo

strapotere

dell’informazione visiva esercitata dalla televisione e da internet e lo fanno soprattutto attraverso accorgimenti grafici tra cui, l’ampio spazio dedicato alle fotografie, sempre più a colori insieme ad una generale tendenza a ridurre la lunghezza del testo, che deve essere sempre più corto, con frasi ad effetto, pungenti e protese verso il lato personale della notizia, che sempre più diviene storia vissuta"222. Esposizione selettiva Questa dilagante permeabilità del meccanismo di attrazione di determinate fasce della popolazione mediante la programmazione della notiziabilità in base alla relativa salienza, sembra facilitata da una naturale propensione 221 Losito G. (1993). L’Analisi del Contenuto nella Ricerca Sociale. F. Angeli, Milano. 222 Masella, op. cit.

155


umana che già Lazarsfeld nel lontano 1944, prima ancora dell'avvento della televisione, definì "esposizione selettiva" 223. Questa disposizione, che potremmo definire affine al tribalismo, conduce le persone ad esporsi ad un'informazione che risulta congeniale al loro background socioculturale e ad evitare tutti quei messaggi che al contrario, sono difformi da esso. In altre parole, secondo Lazarsfeld, le persone tendono verso notizie capaci di confermare i loro assunti e le loro credenze su un determinato argomento. Con l'avvento e la profonda radicazione dell'utilizzo del web nella nostra vita quotidiana però, questa rigidità intellettuale rischia di incatenarci ancor più nella nostra dimensione privata o all'interno della nostra tribù, a causa della profilazione operata per ogni singolo utente dalle leggi del marketing e della pubblicità. La personalizzazione dei filtri di ricerca e dei contenuti presentati agli utenti, tipica dei motori di ricerca più utilizzati e dei social network, permettendo di fatto all’utente di delegare al software la selezione delle informazioni rilevanti nell' universo di quelle propinate continuamente dal web, che saranno naturalmente affini ai suoi gusti e alle sue preferenze, rischia di accentuare l’impressione che il proprio stile di vita e i valori della propria tribù siano superiori a quelli delle altre. Il nostro cervello infatti, avendo una potenza di calcolo limitata e non potendo quindi gestire la quantità colossale di informazioni e connessioni con altri "utenti" alle quali siamo esposti, una volta raggiunta una soglia 223 Lazarsfeld P.F. & B. Berelson & H. Gaudet (1944). The People’s Choise: How the Voter Makes Up His Mind in a Presidential Campaign. Columbia University Press, New York.

156


limite224, per esso è conveniente (e in alcuni casi è obbligatoriamente tenuto a farlo per non incorrere in una sovraesposizione che lo indurrebbe a contrarre forme di stress e peggiorare la qualità delle scelte prese 225) cominciare a categorizzarle tramite visioni archetipali, stereotipate e talvolta astratte ed idealizzate, con il risultato di semplificare forzosamente la complessità di tutto ciò che si trova al di fuori della propria dimensione individuale o della propria cerchia di riferimento 226.

I mass media e il diverso

Ed è proprio in questo contesto che si fortifica quella visione stereotipata e pregiudizievole dell’immigrato, che secondo il fenomeno della catalizzazione della paura, ampiamente studiato in sociologia, diventa il capro espiatorio al quale addossare l'origine delle paure che attanagliano il nostro mondo sociale, evitando di farcene carico 227.

224 Malcolm Galdwell (2000). Il punto critico. I grandi effetti dei piccoli cambiamenti. Little, Brown and Company. 225 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.newsweek.com/sciencemaking-decisions-68627 226 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://rspb.royalsocietypublishing.org/content/280/1765/20131151 227 Naldi A. (2004). Mass Media e Insicurezza. In Selmini R. (a cura di). La Sicurezza Urbana. Il Mulino, Bologna.

157


L’immigrato diventa, quindi, il capro espiatorio di una società che sembra aver perso la capacità di riconoscere nell’altro una potenziale ricchezza 228. In un contesto percettivo di elevata insicurezza gli individui tendono infatti a valutare

gli effetti

negativi che

attirano maggiormente

l’attenzione,

generando così un "errore fondamentale di attribuzione"229, dove i soggetti appartenenti ad altri gruppi non vengono valutati considerando possibili fattori situazionali e momentanei come avviene per i membri della propria cerchia sociale230, ma secondo quelle caratteristiche astratte e stereotipate frutto di tutti quegli ignoranti retaggi culturali che purtroppo ancora oggi asfissiano il nostro Paese. È ormai chiaro come l’errore sia dovuto principalmente al modo di ricostruire le informazioni da parte della carta stampata e del giornalismo televisivo. Entrambi i canali d'informazione infatti, contribuiscono attivamente a diffondere ed alimentare il sentimento di insicurezza attraverso l’attenzione spropositata che dedicano al tema 231, che in modo più o meno velato, come abbiamo visto, specula sul binomio criminalità-stranieri232. 228 Albanesi C. (2003). La Costruzione del Senso di Insicurezza: Opinioni ed Esperienze

di Gruppi di Adolescenti. In Zani B. (a cura di). Sentirsi In/sicuri in Città. Il Mulino, Bologna. 229 Ross L. & R.E. Nisbett (1991). The Person and the Situation. 230 Arielli E. & G. Scotto (2003). Conflitti e Mediazioni. Introduzione a una Teoria Generale, B. Mondadori, Milano. 231 Naldi, op. cit. 232 Secondo la ricerca curata dal Censis nel 2002 "L'immagine degli immigrati in Italia tra media, società civile e mondo del lavoro", nell’informazione televisiva l’immigrato è nel 78% dei casi rappresentato all’interno di una vicenda negativa e l’argomento trattato riguarda nel 56,7% casi di criminalità/illegalità.

158


Come nota Maneri, l’identificazione di un nemico interno cui attribuire le cause della nostra insicurezza è un’opportunità per ricostruire il legame tra cittadinanza e sfera politica proprio attraverso la mediazione di giornali e tv233.

E' ormai opinione di tanti come il meccanismo appena enunciato sia alimentato soprattutto da una determinata componente dell' offerta politica italiana, che ricorrendo, oltre ai mezzi di stampa, ad una comunicazione costituita per lo più di slogan e brevi frasi ad effetto pubblicate con una maniacale costanza sui social network, sta raccogliendo sempre più consensi manovrando sapientemente il livello di paura nel Paese (spesso mediante informazioni fuorvianti e palesemente ingigantite), dovuto in gran parte allo scontro tra gli effetti del tribalismo e quelli della globalizzazione, e candidandosi come l'unica forza in grado di combatterla.

Questo circolo vizioso della paura e dell'insicurezza, alimentato dagli stessi attori che si ritengono e vengono ritenuti da sempre più persone, come gli unici in grado di debellarla, non possono che richiamare alla mente l'azione del Socing del romanzo 1984 di Orwell: "Il bipensiero è l'anima del Socing, 233 Maneri

M. (2001). Il Panico Morale dell’Incertezza. In Rassegna Italiana di Sociologia, XLII,1, gennaio-marzo, Pag. 11-12.

159

Come

Dispositivo

di

Trasformazione


perché l'azione fondamentale del Partito consiste nel far uso di una forma consapevole di inganno, conservando al tempo stesso quella fermezza di intenti

che

si

deliberatamente

accompagna

alla

menzogne

nello

e

più

totale

stesso

sincerità.

tempo

Raccontare

crederci

davvero,

dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall' oblio per tutto il tempo che serva, negare l'esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso prendere atto di quella medesima realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente indispensabile"234.

Per un' efficace assimilazione di questo tipo di comunicazione quindi, se da un lato si necessita di elementi cognitivi atti a fornire un ancoraggio alle informazioni contenute nel messaggio, risulta altresì fondamentale l’aspetto emotivo, ovvero tutto quell’insieme di contenuti, a volte non funzionali all’argomentazione, che possono innescare il processo persuasivo 235, sempre però tenendo a mente, che se il livello di intensità emotiva (nel nostro caso la paura) supera un determinato livello, possono generarsi effetti inibenti come il blocco emotivo dell'elaborazione, percezione selettiva e diniego delle argomentazioni.

234 Orwell, op. cit. 235 Lazarsfeld P.F. & B. Berelson & H. Gaudet, op. cit.

160


È il caso ad esempio di giornali e telegiornali che per diversi giorni decidano di far uscire in prima pagina o di aprire l'edizione enfatizzando il caso di un immigrato che abbia compiuto un atto criminale. Tale meccanismo farà in modo che i crimini commessi dagli immigrati diventino una causa di insicurezza prioritaria per gli individui. L’enfasi emotiva trasmessa dalla notizia, diminuendo per la natura stessa dei meccanismi mentali la capacità critica delle persone, faciliterà i passaggi cognitivi di generalizzazione come ad esempio "tutti gli immigrati sono criminali"236. Questo processo innescherà poi il meccanismo della percezione selettiva per cui, nella vita di tutti i giorni, le persone saranno più propense a notare la presenza di immigrati che, di conseguenza, sembreranno molti di più di quanto sono in realtà ed essendo percepiti come pericoli potenziali, incrementeranno il senso di insicurezza dei cittadini.

236 Tajfel H. & J.P. Forgas (1988). La Categorizzazione Sociale: Cognizioni, Valori e Gruppi. In Ugazio V. (a cura di). La Costruzione della Conoscenza. F. Angeli, Milano.

161


CAPITOLO 4 – FEARSCAPES: URBAN SPACE AND THE LANDSCAPES OF FEAR SECONDO SIMONE TULUMELLO 4.1 INTRODUZIONE ALLO STUDIO Questo capitolo vuole approfondire lo studio di Simone Tulumello 237, Ordinario presso l'Università di Lisbona, inerente all' interconnessione tra determinati spazi urbani e sensazioni di paura.

Il lavoro è imperniato su di una "quadruplice tassonomia di processi spaziali altamente

strutturanti"238

che

secondo

il

Tulumello

inciderebbero

pesantemente sulla proliferazione di quei sentimenti di paura ed insicurezza che ormai animano la gran parte delle città contemporanee. 237 Tulumello (2017). Fear, Space and Urban Planning. A Critical Perspective from Southern Europe. Springer Nature. 238 Ibidem.

162


I processi individuati sono i seguenti: Enclosure, spazi di esclusione ed isolamento; Barrier, Reti infrastrutturali capaci di frazionare lo spazio urbano239;

Post-Public

Space,

fenomeno

di

privatizzazione

e

"fortificazione" degli spazi pubblici e delle costruzioni; Control, politiche di sorveglianza dello spazio urbano.

L'ultimo paragrafo, costruito sulle analisi operate sui casi di Palermo e Lisbona, tenta di riformulare le teorie base e di indicare un approccio concettuale al tema dell'insicurezza nello spazio urbano piĂš sensibile alle peculiaritĂ di ogni contesto socio-spaziale.

239

Graham S. & Marvin S. (2001). Splintering urbanism. Networked infrastructures, technological mobilities and the urban condition. Routledge, London.

163


4.2 ENCLOSURE Il concetto di Enclosure coincide con la traduzione letterale di quel clĂ´ture utilizzato da Foucault240 per descrivere la pratica di sigillare spazialmente un luogo avente caratteristiche specifiche e differenti dagli altri. Secondo Tulumello, nonostante sia ben rintracciabile in ogni epoca storica, il fenomeno appena citato, sembrerebbe aver assunto un ruolo predominante nella societĂ contemporanea determinando un effetto spaziale denominato clusterisation241 avente una doppia ripercussione sociale: L'isolamento di singoli individui e di gruppi in spazi circoscritti e la conseguente esclusione di questi, dalla sfera dei diritti sociali attraverso il processo di "sospensione legale" descritto dal Petti 242.

240

Foucault M. (1975). Discipline and punish. The birth of the prison. Vintage Books, New York. 241 Processes of compelled and voluntary seclusion/exclusion have in common the large-scale spatial effect, that is, the clusterisation of urban fabric in spatially enclosed, socially excluded locations (Tulumello). 242 Petti A. (2007). Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo. Bruno Mondadori, Milano.

164


Il fenomeno è paradossalmente riscontrabile sia per quanto concerne l'esclusione e l'isolamento forzato o (nelle migliori delle ipotesi) indotto, di quei soggetti "altri" definiti marginal and dangerous, sia nel voluntary seclusion/exclusion operato con frequenza dalle classi più abbienti. Sempre secondo il Petti, l'origine dei moderni Enclosure space andrebbe cercata nei campi ideati tra la fine del XIX secolo e all'inizio del XX secolo dagli stati europei impegnati nelle campagne coloniali africane. Ancor prima dell'avvento

del

nazismo

infatti,

gli

inglesi

imposero,

definendola

formalmente una custodia preventiva, la stessa special legislation adottata poi dal Terzo Reich, per sedare le rivolte dei Boeri in Sud Africa 243. Nonostante siano nate quindi, in contesti di instabilità politico-giuridica spesso legata a conflitti armati, le specificità dei campi possono essere però riscontrate ancora oggi nei nostri tessuti urbani. L'esempio ricorrente in quasi tutti i grandi centri urbani d'Italia è il triste fenomeno dei campi rom, brandelli di terreno incolto siti in zone periferiche e generalmente delimitati da recinti, muri ed infrastrutture stradali, dove le popolazioni

nomadi

risiedono

spesso

in

condizioni

igienico-sanitarie

altamente precarie. Un altro esempio è dato dai gray spaces244, definiti da Yiftachel come una 243 Ivi. 244 Yiftachel O. (2009). Theoretical notes on ‘gray cities’: The coming of urban apartheid? In Planning Theory, 8(1), Pag. 88–100.

165


fetta consistente del territorio non visto (e a mio modo di vedere, volutamente

non

visto),

spazi

catturati

tra

informalità

(assenza

di

pianificazione) e illegalità, dove si cerca, continua Yiftachel, il senso di sicurezza e la piena adesione in situazioni a cavallo tra gli sfratti e la distruzione. L'ultimo caso è dato da tutte quelle aree urbane considerate problematiche e

volutamente

"contenute"

con

metodi

più

o

meno

convenzionali.

Consuetudine questa, che nel nostro paese ha portato alla nascita di veri e propri quartieri ghetto come il "Serenissima" a Padova, tristemente cinto da una cortina muraria alta 3m e ampiamente analizzato dall'indagine sociologica di Francesca Vianello245 e gli altri casi mediaticamente noti dei vari Zen e Scampia, due quartieri esclusi anche dall' altrettanto invalicabile muro della negligenza e dell’omertà. Prendendo

coscienza

della

influenza

determinante

che

l’ambiente

geografico opera nei confronti della struttura socioculturale dell'uomo 246 e gli

effetti catastrofici provocati

geografici

247

dall' imposizione coercitiva di

limiti

emerge con forza l’inconciliabilità, comune ad entrambi gli

esempi di segregazione spaziale precedentemente esposti, dell’interporre barriere tra l'uomo e il suo primordiale istinto alla mobilità e alla socialità. 245 Francesca Vianello (2006). Ai margini della città. Carocci. 246 Frémont A. & Chevalier J. & Hérin R. & Renard J. (1984). Géographie sociale. Masson, Paris. 247 Bourdieu P. (1993). Effets de lieu. In P. Bourdieu (Ed.) La misère du monde, Pag. 249–262. Editions de Seuil, Paris.

166


Nell' opera Dictionnaire de la géographie et de l’espace des sociétés 248, Levy e Lassault negano il concetto di distanza, asserendo che è completamente scorretto e contro la natura stessa dell’uomo imporgli dei limiti fisici capaci di frenare quei flussi di mobilità e cultura, che in un processo spaziotemporale altamente dinamico ne hanno determinato la coevoluzione assieme alle varie basi geografico-ambientali nelle quali era inserito. Dopo aver analizzato il fenomeno dell'isolamento forzato, è necessario scavalcare il "confine" ed approfondire i casi di autoesclusione, o per dirla alla Tulumello, le voluntary seclusion/exclusion. L'autoesclusione dai centri urbani, tendenza già ampiamente dibattuta e professata dagli utopisti di stampo socialista Owen e Fourier e realizzata ad esempio nelle comunità agricole a gestione collettiva sorte in Palestina ad opera del movimento sionista a partire dal 1909-10 ed affermatesi poi nello Stato

di

Israele,

denominate

Kibbutz,

sembra

essere

recentemente

degenerata nel modello delle Gate Comunity. Affermatesi in America negli anni '70, le Gate Comunity sono una tipologia di modello residenziale auto-segregativa249, spesso recintata, formata da gruppi

di

residenze

esclusive,

avente

accesso

sorvegliato

e

rigidi

regolamenti interni che spaziano dal target di residente ed eventuale ospite

248 Lévy J. & Lusseault M. (2003). Dictionnaire de la géographique et de l’espace des

sociétés. Belin, Paris. 249 Giuseppe Dematteis (2011). Le città del mondo. Una geografia urbana. UTET Università.

167


ammesso,

alle

attività

e

comportamenti

consentiti

all'interno

della

struttura250. Oltre alle abitazioni private vi sono aree comuni come parchi, palestre e piscine e per le Gate Comunity più prestigiose non mancano servizi di uso quotidiano come ristoranti, bar e scuole, grazie ai quali i residenti possono svolgere la maggior parte delle attività quotidiane senza uscire all'esterno. Nate quindi come delle confortevoli e lussuose enclave mediante le quali sfuggire alle "minacce" della città contemporanea e ritrovare l'agognato senso di sicurezza, finiscono per innescare, come scrisse nel 2012 Rich Benjamin sul New York Times, "un circolo vizioso attirando residenti conformisti, tutti con la stessa opinione di chi cerca uno scudo contro gli estranei; e il cui isolamento fisico ne acutizza poi il pensiero paranoico collettivo nei confronti degli stranieri"251. Quartieri dove secondo l'urbanista Fabrizio Bottini, docente al Politecnico di Milano intervistato da News Vice, "vive la logica della segregazione, di reddito e di fascia sociale"252. Sempre Bottini, parlando di Borgo Vione, l'insediamento sito nella frazione di 250 Secondo il Petti , in Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale

contemporaneo, la rigidità delle Gate Comunity è ancor più enfatizzata dall'impossibilità dei residenti, nella maggior parte dei casi, di modificare il regolamento scritto dai proprietai dell'insediamento. 251 The Gated Community Mentality. Print on March 30, 2012, on Page A27. 252 Com'è vivere in una gated community: siamo entrati in uno dei quartieri 'blindati' d'Italia . Pubblicato il 24 Marzo 2016 su www.news.vice.com

168


Basiglio, piccolo comune dell'hinterland milanese che ogni anno contende a Portofino il titolo di città più ricca d'Italia, si esprime così: "Definire Borgo di Vione una gated community è sbagliato, perché è molto peggio di una gated community. Borgo di Vione cerca di riprodurre la logica della comunità rurale chiusa, che lascia fuori tutto il resto. Un luogo che domina la campagna, che riceve i prodotti freschi e dove i nostri bambini giocano fra di loro e non con i figli degli immigrati"253. Quartieri che cercano malamente di riprodurre comunità negando al contempo le fondamenta stesse del senso di comunità, quei principi di condivisione ed integrazione che da sempre, storicamente, hanno permesso ad ogni città di arricchirsi, materialmente e spiritualmente. Queste "comunità", che trovano nell' Off-shore urbanism (espresso dalle isole artificiali di Jumeirah Palm Island e di Palm Jebel Ali a Dubai), la loro definitiva estremizzazione, sono ormai divenute un fenomeno globale in fortissima ascesa. Come espresso dal Petti, già nel 2006 negli Stati Uniti, 45 milioni di abitanti vivevano in gate communities254. Le

motivazioni

di

questa

auto-segregazione

andrebbero

cercate

indubbiamente nella comodità di vivere nell'agiatezza di un villaggio dotato di ogni tipo di confort e servizio, ma soprattutto, ed è questo il fatto più 253 Ibidem. 254 Petti, op. cit.

169


grave, nell' esplicita volontà di voler ricreare una società omologata rinchiusa in un ambiente asettico, strutturato da configurazioni spaziali estranee al bacino identitario del territorio e capaci di "difenderci dai pericoli del mondo esterno"255. "In questo senso la disponibilità di risorse naturali e servizi di ogni genere, si riflette anche nell'eterogeneità dei modelli architettonici utilizzati – Ci sono comunità per tutti i gusti, modernisti, country, neoclassici e post-moderni che contribuiscono attivamente ad instaurare una visione utopica della periferia urbana"256. Una potente conferma simbolica di questo ci è offerta, così come sottolineato dal Tulumello, dal genio di Tim Burton nel suo film Edward Scissorhands257, nel quale il protagonista, interpretato da Johnny Depp, lotta quotidianamente per essere accettato ed incluso dalla comunità di questa piccola cittadina, che a causa delle forbici che ha al posto delle mani, lo confina all'interno del suo castello. Il regista infatti, per enfatizzare le "differenze" tra la comunità e il protagonista, scelse di girare il film in un piccolo sobborgo della Florida

255

Low S. (2003). Behind the gates. Life, security, and the pursuit of happiness in fortress America. Routledge, New York. 256 Le Goix R. (2004). Are gated communities an innovation in suburban growth context? GeoINova, 10, Pag. 53–76. 257 Tim Burton (1990). Edward Scissorhands. Twentieth (20th) Century Fox Film Corporation, USA.

170


chiedendo che tutte le abitazioni fossero dipinte con colori pastello sbiadito258, l'esatto opposto del nero costantemente indossato da Edward. Rimanendo in ambito cinematografico, un altro film che denuncia il tema della discriminazione e dell'esclusione, è Gattaca - La porta dell'universo259, girato da Andrew Niccol. In un ipotetico futuro prossimo, immerso in una realtà distopica, l’umanità è infatti divisa in "Validi", coloro che sono stati concepiti attraverso una selezione genetica e che quindi hanno diritto di esercitare le professioni più prestigiose e "Non Validi", che al contrario sono ritenuti fisicamente ed intellettualmente inferiori dallo "screen genetico". Emerge in questo film l'attuale traslazione, per dirla come Lepeyronnie 260, della distinzione tra dominante-dominati verso quella inclusi-esclusi, che sta proliferando nella società contemporanea in concomitanza con il crescente numero di barriere e in piena contraddizione, con il nostro istinto sociale di esseri umani. "How do you hide when you're running from yourself?" 261

258 Laurie Halpen Smith. Look, Ma, No Hands, or Tim Burton's Latest Feat. In The New York Times, 26 agosto 1990. 259 Andrew Niccol (1997). Gattaca – La porta dell'universo. Columbia TriStar, USA. 260 Lapeyronnie D. (1993). De l’intégration à la ségrégation. In J. Roman (Ed.) Ville, exclusion et citoyenneté. Entretiens de la ville II, Pag. 97–115. Éditions Esprits, Paris. 261 Gattaca, op. cit.

171


Nonostante l'opinione pubblica non inserisca l'Italia fra le nazioni inclini a fenomeni di auto-reclusione, fatto questo sottolineato da Petrillo 262, che convinto di ciò, ne attribuirebbe la causa alla storia civica e alla dimensione pubblica delle città italiane, in realtà stanno proliferando a detta del Porcu263, insediamenti diffusi delimitati da barriere fisiche e protetti da dispositivi di videosorveglianza. A conferma di ciò, anche un altro accademico dedito allo studio delle cohousing, Chiodelli 264, sottolinea la forte somiglianza tra questi grappoli di residenze private e le gated communities.

Studio applicato a Palermo Lo studio empirico del Tulumello nella città di Palermo ha sì confermato l'assenza di vere e proprie gated communities ma ha individuato invece molti casi di clusterizzazione e polarizzazione degli insediamenti sul modello delle residenze private, dotate di alcuni spazi comuni, parcheggi e servizi, e progettati per garantirne l'isolamento dagli altri tessuti urbani 265.

262

Petrillo A. (2000). La città perduta: l’eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo. Dedalo, Bari. 263 Porcu M. (2011). Gated communities e chiusura degli spazi pubblici. Due casi di studio a confronto. In Studi sulla Questione Criminale, 3, Pag. 67–86. 264 Chiodelli F. (2010). ‘Enclaves’ private a carattere residenziale: il caso del ‘cohousing’. In Rassegna Italiana di Sociologia, LI(1), Pag. 95–116. 265 Tulumello S. (2015). From ‘spaces of fear’ to ‘fearscapes’: Mapping for re-framing theories about the spatialization of fear in urban space. In Space and Culture, 18(3), Pag.

172


In tutto sono state censite 177 ville recintate spazialmente riconducibili ai modelli delle gated communities americane e 1058 Walled Block (isolati chiusi con cortina muraria continua). Da una stima approssimativa è emerso che il numero di persone residenti all'interno di questi insediamenti si attesterebbe attorno alle 100'000 unità , corrispondenti circa ad un settimo dell'intera popolazione comunale. Tulumello precisa inoltre che i suddetti insediamenti sono spesso dotati di muri, recinzioni e sistemi di videosorveglianza mentre sono molto rari i casi di sorveglianza costante ad opera di vigilanti. Confrontandoli con lo sviluppo urbanistico del nostro paese, continua il professore, è facile ricondurre i Walled Block alle "violenze urbanistiche" degli anni '70 e le ville recintate al ventennio '80-'90.

4.3 BARRIER Il secondo processo spaziale coinvolto nella generazione dei sentimenti di paura nel tessuto urbano è rappresentato dalle Barrier. Queste secondo il Tulumello andrebbero prioritariamente ricercate nella frammentazione dei tessuti urbani operata dalle reti infrastrutturali 266.

257–272. 266 Tulumello 2017, op. cit.

173


Lo strumento cardine mediante il quale vennero plasmati i centri urbani nel xx sec, lo zooning caro alla pianificazione razionalista ed incentrato sulla suddivisione geografica delle varie funzioni urbane, portò infatti ad una duplice conseguenza sul piano spazio-temporale. Se da una parte, giocò un ruolo fondamentale nello sviluppo industriale ed economico degli Stati, contraendo le distanze temporali mediante la costruzione

di

autostrade,

ferrovie,

gallerie,

viadotti

e

sottopassi 267,

contemporaneamente determinò a scala locale la dilatazione delle distante temporali riducendo la dinamicità spaziale degli abitanti. Ricordando quindi la variabilità della distanza fisica secondo la scala di studio e i metodi di misurazione, e basandosi sul potential aspect della mobilità con il quale Uteng indica gli spostamenti ostacolati da fattori vincolanti268, Tulumello individua nelle Barrier quei processi spaziali innescati dalle reti infrastrutturali che determinano la contrazione dei diritti di mobilità269. "Lo spazio della mobilità e dei flussi per alcuni implica sempre l'esistenza di barriere per gli altri (…) La rete infrastrutturale è l'elemento che può fare da

267 Martinotti G. (1993). Metropoli. La nuova morfologia sociale della città. Il Mulino, Bologna. 268 Uteng T. P. (2009). Gender, ethnicity, and constrained mobility: Insights into the resultant social exclusion. In Environment and Planning A, 41(5), Pag. 1055–1071. 269 Tulumello 2017, op. cit.

174


supporto alla connessione di alcuni e alla disconnessione di altri". 270 Secondo Weizman271, la spazialità delle reti infrastrutturali è rappresentata da un reticolo di nodi, punti d' accesso e di scambio e connessioni tra questi. La distanza tra due nodi è influenzata invece da due fattori: la tipologia di percorso (più o meno diretta) imposta dalla morfologia fisica del reticolo; e la velocità e la sicurezza del percorso (manutenzione). In conseguenza di queste variabili quindi, il posizionamento del reticolo infrastrutturale nello spazio fisico non comprime omogeneamente le spazialità temporali ma al contrario le deforma producendo inevitabilmente una serie di privileged points, cioè nodi dal quale il sistema è accessibile. L'accessibilità

o

meno

a

questi

punti

determinerà

poi

l'effettivo

allontanamento o avvicinamento tra determinate aree geografiche e gli abitanti. Alcune infrastrutture sono caratterizzate inoltre da accessibilità limitata. Questa selettività, che quotidianamente rispettiamo, pensiamo ad esempio ai dettami del codice stradale riguardanti l'accessibilità limitata a specifici mezzi di trasporto per determinate infrastrutture o ai pedaggi, è riuscita a sfociare nella costruzione di bybass ad uso privato adoperati da determinate popolazioni urbane in città come Los Angeles, Toronto e Melburne 272.

270 Petti, op. cit. 271 Weizman E.

(2004). Strategic points, flexible lines, tense surfaces, and political volumes: Ariel Sharon and the geometry of occupation. In S. Graham (Ed.). Cities, war, and terrorism. Towards an urban geopolitics. Pag. 172–191. Blackwell, Malden. 272 Holmes D. (2003). Cybercommuting on an information superhighway. The case of

175


Emerge quindi la delicata duplice essenza dell’infrastruttura, un’opera antropica nata sì per unificare e consentire il dispiegamento di flussi sociali e materiali ma che se mal pianificata può comportare la disconnessione, e in alcuni casi l'isolamento di veri e propri tessuti urbani, rilegando i cittadini in uno

"spazio

aumentate,

deformato uno spazio

geografie temporali"

273

in

cui

alcune

distanze

caratterizzato da

sono

profonde

enormemente

asimmetrie

delle

.

In alcuni casi, le asimmetrie sono viste come conseguenza indiretta di pessime politiche di sviluppo infrastrutturale. In questo senso, non tutti sanno di come il declino del Bronx, il tristemente noto quartiere di New York che dagli anni '80 rappresenta a livello mondiale uno dei simboli del degrado e della criminalità urbana,

sia imputabile alla costruzione

dell'autostrada che negli anni '50 spezzò in due il quartiere imponendo lo sfollamento di 60.000 persone. "Appartamenti abitati stabilmente da più di vent'anni furono svuotati, spesso dal giorno alla notte, costringendo famiglie numerose di neri e ispanici,

ad

un

esodo

Contemporaneamente

di

massa

verso

furono demoliti molti

squallide

baraccopoli.

(...)

blocchi commerciali e i

Melbourne’s CityLink. In S. Graham (Ed.) The cybercities reader. Pag. 173–178. Routledge, London. 273 Corbellini G. (2007). Dis/connessione: le infrastrutture come strumento di controllo sociale. In Trasporti e Cultura, 19, Pag. 16–21.

176


commercianti risparmiati furono costretti a scongiurare la bancarotta, privati della maggior parte dei clienti e completamente isolati dal resto della città, fatto questo che li espose ancor di più al crimine" 274. "Almost every city, in fact, has been affected by demolitions, evictions, erasure of neighbourhoods and collective memory in the name of the speed of

movement

community"

promised

by

infrastructures:

often,

mobility

beats

275

.

Molti studiosi invece, condividono l'idea secondo la quale alcune asimmetrie siano frutto di politiche specificatamente volte a "controllare, filtrare e segregare intere parti di territorio e popolazioni" 276. Sembra essere questo il caso del conflitto israelo-palestinese. Dagli anni '80 infatti, la politica militare israeliana è convogliata in una elastic geography volta a frammentare il territorio palestinese mediante la creazione di vari insediamenti coloniali e di una rete di bypass road accessibile solo ai cittadini israeliani277

278

.

Tale sistema si presenta quindi come un vero e proprio piano territoriale concepito

per

manipolare

spazialmente

274

la

popolazione

occupata

Berman M. (1988). All that is solid melts into air. The experience of modernity. Penguin Books, New York. 275 Angelillo A. (2004). Gorizia-Nova Gorica. Progettare il confine. ACMA, Gorizia. 276 Petti, op. cit. 277 B’Tselem (2004). The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories. 278 Weizman E. (2007). Hollow land. Israel’s architecture of occupation. Verso, New York.

177


tralasciando ogni tipo di criterio di sostenibilità ambientale ed economica 279. Le infrastrutture stradali giocano qui un duplice ruolo, oltre a differenziare le velocità di mobilità spaziale tra occupanti e occupati, stanno infatti frammentando la popolazione palestinese in un "arcipelago" di enclave isolate280, dei "moderni campi d'isolamento istituzionalizzati". L 'uso esplicito delle reti infrastrutturali come mezzo per annullare i diritti di mobilità non è però limitato alle sole aree di conflitto. Secondo Badger e Cameron281, la segregazione razziale ancora molto in voga in diverse città americane sarebbe stata generata e consolidata attraverso la pianificazione oculata di determinati assi infrastrutturali. Nello stesso modo, le cartografie elaborate da Lambert282 mostrano come il Boulevard

Péripérique,

rappresenti

l'ineguale

logica

alla

base

dell'organizzazione dello spazio urbano parigino. Esso infatti, districandosi 279 Ivi. 280 Halper J. (2005). Obstacles to peace. A critical re-framing of the Israeli-Palestinian conflict. ICAHD, Jerusalem. 281 Badger E. & Cameron D. (2015). How railroads, highways and other man-made lines racially divide America’s cities. In The Washington Post, 16 July. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: www.washingtonpost.com/news/wonkblog/wp/2015/07/16/how-railroads-highways-andother-man-made-lines-racially-divideamericas-cities/. 282 Lambert L. (2015). The unequal access to Fortress Paris: Different gate typologies for poor and wealthy municipalities. In The Funambulist, 16 September. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://thefunambulist.net/2015/ 09/16/the-unequal-access-to-fortress-paris-different-gate-typologies-for-poor-andwealthymunicipalities/.

178


per oltre 35 km tra i quartieri periferici e quello che l'accademico francese chiama la Fortress Paris, l'area interclusa nei confini della municipalità della capitale francese, è considerato un canyon, un muro fisico e ideologico nel quale

i

cittadini

dei

quartieri

periferici

individuano

l'essenza

della

discriminazione socio-spaziale che sono costretti a subire. La mappa principale del suo studio evidenzia tre differenti tipologie di accesso al centro urbano parigino e il loro impatto percettivo sugli abitanti che li devono attraversare. Con dei cerchi vengono indicati gli accessi sopraelevati rispetto al Boulevard che consentono quindi un facile attraversamento. I quadrati sono tratti lungo i quali, a causa dell'elevato traffico, è molto problematico attraversare l'infrastruttura. Oltre agli impedimenti della libertà

mobile

si

registrano

notevoli

picchi

di

degrado

a

causa

dell'inquinamento atmosferico ed acustico. I triangoli infine, sono accessi che obbligano l'attraversamento sotterraneo. Questi, descritti come l'evoluzione delle mura medioevali 283, sono di gran lunga l'opzione che genera maggiore insicurezza e disagio a causa della mancanza di illuminazione e alla presenza diffusa di degrado estetico e sociale. Uno

sguardo

complessivo

alla

mappa

permette

infine

di

leggere

immediatamente una possibile volontà di plasmare la modalità di accesso 283 Ivi.

179


secondo il tessuto sociale presente, operando di fatto una discriminazione territoriale molto marcata. I comuni economicamente precari del nord come Clichy, Saint Ouen, Saint Denis, Aubervilliers, Pantin e Le PrÊ Saint Gervais sono collegati alla Fortress Paris attraverso passaggi sotterranei, mentre i comuni benestanti occidentali come Boulogne Billancourt, Neuilly sur Seine e Levallois Perret sono al contrario collegati mediante percorsi sopraelevati o comunque attraversamenti pedonali sicuri. I comuni meridionali delle classi operaie registrano invece l'alternanza di passaggi sopraelevati con altri sotterranei. Solo i collegamenti siti nei comuni orientali sembrano indicare una rottura di questa logica. Questo può essere però in parte spiegato dalle recenti riqualificazioni legate al processo di neo-gentrification che sta coinvolgendo l'area ed in particolare Montreuil. Una volta evidenziato il paradosso della dilatazione delle distanze temporali a seguito della creazione delle reti infrastrutturali che, al contrario, dovrebbero contrarle, Tulumello sottolinea la correlazione spaziale tra queste e le Enclosure. Spesso

quest'ultime

risultano

infatti

intercluse

fra

quelle

maglie

infrastrutturali che costituiscono una vera e propria barriera eretta attorno ad aree considerate pericolose284. "Il declino degli stati nazionali e dei loro confini sembra procedere di pari 284 Tulumello, op. cit.

180


passo con la proliferazione di flexible frontiers"285, site proprio nei points of access to the network286. Studio applicato a Lisbona Lisbona è secondo Tulumello, il paradigma della frammentazione urbana causata

dal

dominio

dell'approccio

tecnico

alla

pianificazione

infrastrutturale. Secondo il professore, questo sarebbe dovuto a due fattori: l’esponenziale espansione del centro urbano verso le zone periferiche a partire dagli anni '60, verificatisi con la totale assenza di una qualsiasi forma di pianificazione regionale e dai consistenti finanziamenti europei ricevuti dal Portogallo in seguito all' entrata nella Comunità Europea nel 1986. Durante i 25 anni di accesso ai fondi strutturali infatti, la densità autostradale è incrementata di circa 14 volte e quella relativa alle strade di grande comunicazione di oltre sei volte287. Dalla mappatura del Tulumello emerge con chiarezza la frammentazione dei tessuti urbani ad opera delle infrastrutture. Ben 49 di queste infatti, limitano, impediscono o rendono pericolosa la mobilità dolce in direzione perpendicolare rispetto al loro tracciato (43 tra autostrade e sgc e 6 linee 285 Ivi. 286 De Spuches G. (1995). Oltre la frontiera: Rappresentazioni geografiche ed enigmi territoriali. Geotema, 1, Pag. 19–26. 287 Mateus A. (2013). 25 anos de Portugal europeu: A economia, a sociedade e os Fundos Estruturais. Lisbon: Fundação Francisco Manuel dos Santos.

181


ferroviarie). La rete, così concepita, scinde la gran parte dei tessuti urbani ad eccezione dei quartieri storici e di quelli occidentali di Belém e Alcantara. Per la costruzione di una di queste autostrade, la CRIL (Circular Regional Interna de Lisboa), 50 case del quartiere di edilizia sociale Bairro da Santa Cruz sono state demolite e dopo un anno di controversie legali, i residenti hanno ricevuto nell' agosto 2008, l'ordine di sfratto da eseguire in meno di una settimana dalla comunicazione. Il caso più rilevante che vede coinvolte le linee ferroviarie è invece quello delle due linee costiere (Linha de Cascais e Linha de Azambuja), che separano la città dal fiume Tago ad eccezione del tratto in corrispondenza del centro storico. L’ex sindaco António Costa in merito ha più volte evidenziato come questo sia dovuto alla centralizzazione dello stato portoghese. Le ferrovie sono infatti di proprietà di una società pubblica nazionale che ha il pieno controllo delle decisioni in merito alla pianificazione infrastrutturale del paese. Nonostante

i

barrios

(quartieri),

ulteriori

distretti

delle

freguesias

(parrocchie) nelle quali è formalmente suddivisa la città, rappresentino ancora i bacini socioculturali nei quali si riconoscono i cittadini, nelle zone storiche come in quelle moderne, le analisi di Tulumello hanno evidenziato

182


ben 24 barrios, in particolare quasi tutti quelli a nord-est del centro urbano, completamente disconnessi dai tessuti circostanti a causa della maglia infrastrutturale. "Tra le varie definizioni possibili, Lisbona è anche una cidade de bairros, una città strutturata dai quartieri288" Nel distretto di Chelas, il sistema infrastrutturale è stato secondo il Tulumello, lo strumento decisivo per lo sviluppo delle strategie di reinvestimento economico allocate a partire dagli anni '90 nella costruzione di nuove entità spaziali come gate communities, scuole private ed altri servizi.

Queste

risultano

collegate

al

resto

della

città

infrastrutture che non consentono la "contaminazione dei Chelas"

288

attraverso 289

.

Cordeiro G. I. (2003). Uma certa ideia de cidade: Popular, bairrista, pitoresca. In Sociologia. Revista da Faculdade de Letras, 13, Pag. 185–199. 289 Tulumello, op. cit.

183


4.4 POST-PUBLIC SPACE Questa sezione esamina quei processi di fortificazione e privatizzazione dello spazio pubblico urbano e le loro correlazioni con le sempre più emergenti spazialità collettive in forma privata dei safe space290, cioè i centri commerciali. Con il termine Post-Public Space vengono indicati gli spazi pubblici che tendono ad assumere le caratteristiche fondanti di quelli privati come l'accessibilità selettiva e le restrizioni sulle pratiche comportamentali consentite291. I prototipi del centro commerciale contemporaneo, i passages couvertes, le gallerie coperte, nacquero a Parigi durante il diciannovesimo secolo e secondo Benjamin292, piuttosto che consentire la semplice vendita di

290

Epstein D. (1998). Afraid/not: Psychoanalytic directions for an insurgent planning history. In L. Sandercock (Ed.) Making the invisible visible: A multicultural planning history, Pag. 209–226. University of California Press, Berkeley. 291 Tulumello, op. cit. 292 Benjamin W. (1982). I ‘passages’ di Parigi. Einaudi, Torino.

184


dettaglio, erano veri e propri dispositivi progettati per valorizzare l'acquisto, sostituendo la funzione collettiva dello spazio urbano a favore del mero consumismo. "Le gallerie erano templi di capitale mercificato" 293. Lo studio di Tulumello mette in relazione queste gallerie coperte con i moderni

centri

commerciali

spopolati

in

America

negli

anni

50',

contribuì

alla

contestualmente al boom demografico-spaziale. L'assenza

di

spazi

pubblici

nell'America

sub-urbana

proliferazione di queste imitazioni della città compatta 294. La maggioranza di questi, condividendo la concentrazione di strutture commerciali e ricreative, la vicinanza agli svincoli stradali e l’ampia disponibilità di parcheggi, hanno consentito agli abitanti delle aree periferiche, di accedere facilmente alla pluralità di servizi precedentemente dislocati nell'ampio territorio urbano295. All'interno dei centri commerciali, spesso disegnati secondo stili eclettici e completamente decontestualizzati, il concetto di pubblicità dello spazio 293 Ibidem. 294 Crawford M. (1992). The world in a shopping mall. In M. Sorkin (Ed.), Variations on a theme park: The new American city and the end of the public space, Pag. 3–30. Hill and Wang, New York. 295 Goss J. (1999). Once-upon-a-time in the commodity world: An unofficial guide to mall of America. In Annals of the Association of American Geographers, 89 (1), Pag. 45–75.

185


urbano si dissolve attraverso la negazione dell'eterogeneità dei fruitori. Così come

viene

imposta

la

struttura

standardizzati, i consumatori

stessa,

vengono

imposti

fruitori

296

, e i comportamenti che questi devono

tenere. L'architettura è infatti studiata per manipolare il comportamento dei fruitori297 attraverso la sedazione (stay) e la stimolazione (buy)298. In altre parole, le forme spaziali sono progettate per far disorientare ed incentivare le persone ad un acquisto sfrenato. Sempre secondo Crawford ed Amendola, il successo dei centri commerciali sarebbe garantito dalla loro capacità di filtro sociale che mira alla creazione di uno spazio collettivo libero dai pericoli della città e dagli incontri spiacevoli299. Alcuni geografi hanno inoltre accusato i governi locali, di aver allocato finanziamenti consistenti verso la creazione di questi spazi "pseudopubblici"300 rappresentati non solo dai centri commerciali ma anche dai parchi di proprietà privata ad indirizzo commerciale e ricreativo, causando il

296

Amendola G. (1997). La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea. Laterza, Roma. 297 Goss J. (1993). The ‘magic of the mall’: An analysis of form, function, and meaning in the contemporary retail built environment. In Annals of the Association of American Geographers, 83(1), Pag. 18–47. 298 Crawford, op. cit. 299 Amendola, op. cit. & Crawford, op. cit. 300 Davis M. (1990). City of quartz. Excavating the future in Los Angeles. Verso, New York.

186


progressivo svuotamento impoverimento turistico delle aree urbane centrali. Un ulteriore analisi del Tulumello infine, ha cercato di inquadrare quei processi, che a detta del professore, sarebbero proliferati dagli anni 80' in reazione all'evidente successo sociale dei centri commerciali o in generale, di

tutti

quegli

"pseudo-spazi"

che

ne

riprendono

le

caratteristiche

peculiari301. 1) Politiche di esclusione o di accesso selettivo agli spazi pubblici adottate per limitare la frequenza di specifici gruppi considerati pericolosi o fastidiosi302. Alcuni esempi tangibili sono dati dal Safe Street Act applicato a Seattle nel 2004303 o il No-Panhandling Zones creato nel 2010 a Memphis 304, che hanno vietato l'accattonaggio nei quartieri benestanti. In

città

come

Seattle

o

Los

Angeles,

si

è

fatto

ricorso

a

varie

regolamentazioni atte a combattere la presenza di senzatetto come l'assurdo divieto che impedisce loro di condividere cibo negli spazi

301 Tulumello, op. cit.

302 Hubbard P. (2003). Fear and loathing at the multiplex: Everyday anxiety in the post-

industrial city. In Capital and Class, 27(2), Pag. 51–75 303 Kern K. (2008). Heterotopia of the theme park street. In M. Dehaene & L. De Cauter (Eds.). Heterotopia and the city. Public space in a postcivil society, Pag. 104–115. Routledge, Abingdon. 304 Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://midsouthpeace.org/wp-content/ uploads/2016/08/MSPJC-2010-Program-Report.pdf.

187


pubblici305

306

.

2) Fortificazione degli spazi pubblici esistenti attuata sia mediante la recinzione e la sorveglianza al fine di filtrare l'accesso che attraverso strategie molto più fini atte a creare spazi labirintici, nascosti o scomodi nei quali è difficoltosa o impossibilitata la sosta prolungata 307. 3) Progettazione di spazi pubblici modellati sulle caratteristiche dei centri commerciali come il Peachtree Center ad Atlanta o sistemi di edifici ad uso prettamente commerciale e ricreativo così ben interconnessi dalla fitta rete di skyways molto in voga nelle città nordamericane come Minneapolis, Saint Paul, Dallas o Calgary308

309

.

Quanto queste reti abbiano fatto presa nel cuore degli americani (almeno una parte di questi) ci è confermato dai toni entusiastici con i quali Brian Allen, reporter di Voice of America, descrive l'inquietante opportunità di

305 Mitchell D. & Heynen N. (2009).

The geography of survival and the right to the city: Speculations on surveillance, legal innovation, and the criminalization of intervention. In Urban Geography, 30(6), Pag. 611–632. 306 Davis M. (1998). Ecology of fear: Los Angeles and the imagination of disaster. Metropolitan Books, New York. 307 Amendola, op. cit. 308 Boddy T. (1992). Underground and overhead: Building the analogous city. In M. Sorkin (Ed.). Variations on a theme park: The new American city and the end of the public space, Pag. 123–153. Hill and Wang, New York. 309 Yoos J. & James V. (2016). The multilevel metropolis. On the radical origins and mundane deployment of the urban skyway. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://placesjournal.org/article/multilevelmetropolis-urban-skyways.

188


spostarsi in piena sicurezza e al riparo dagli agenti atmosferici direttamente dalla propria abitazione all'ufficio, e poi ancora dalla palestra al negozio di abbigliamento, dalla banca alla sala giochi, attraverso sovrappassaggi pedonali che collegano gli enormi blocchi edilizi disposti in una rigida maglia reticolare310. Uno schema che ricorda molto la Città Verticale di Hilberseimer, da lui stesso indicata come capace di "plasmare grandi masse secondo una legge generale, dominando le molteplicità" e all'interno della quale "l'eccezione viene messa da parte, la sfumatura si cancella, regna la misura, che costringe il caos a diventare forma, forma logica, univoca, matematica" 311. Sembra quasi che l'architetto, implicitamente, si riferisca non solo al rigore architettonico e allo schema fordiano di progettazione della città, ma anche alla necessità di produrre un preciso prototipo di cittadino che sia idoneo ad abitarla. Una società quindi, rigorosamente omologata, che esclude il diverso e ripudia la ricchezza dell'eterogeneità socio-spaziale. 4) Costruzione di architetture di edifici pubblici che rimandano alle configurazioni delle fortezze militari come la Frances Howard Goldwin library 310 Brian Allen. World's longest skyway gives Minneapolis residents a break from harsh winter. Voice of America. Accessed 2 February 2018. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: World's Longest Skyway Gives Minneapolis Residents a Break From Harsh Winter.webm. 311 Hilberseimer L. (1927). Grosztadt Architektur. L'architettura della Grande Città.

189


di Frank O. Gehry ad Hollywood, il Dipartimento di scienze e tecnologie biologiche, chimiche e farmaceutiche dell’Università di Palermo progettato da Vittorio Gregotti e la Casa dello Studente in Via Maragliano a Firenze. 5) Supervisione continua di determinate strade o quartieri (spesso le strade commerciali dei centri urbani) privatamente sorvegliati da pattuglie e telecamere a circuito chiuso volte a scoraggiare la presenza di individui indesiderati. 6) Fortificazione ed isolamento di ampie aree urbane come Bunker Hill, il principale quartiere degli affari di Los Angeles dove un sistema di tunnel sotterranei

collega

la

totalità

degli

edifici

e

dei

consentendo una protezione totale in caso di disordini

312

grattaceli

privati,

e Canary Wharf, un

distretto finanziario situato nell' ex area portuale londinese, completamente immune agli attacchi terroristici in seguito alla riqualificazione degli anni '90313. L'esempio più eclatante resta comunque la città di Londra nella sua interezza, completamente cinta da sistemi di controllo e fortificazione, chiamati Ring of Steel, in grado di individuare qualsiasi tentativo di accesso e soprattutto di perimetrare in poco tempo interi distretti in caso di

312

Davis M. (1998). Ecology of fear: Los Angeles and the imagination of disaster. Metropolitan Books, New York. 313 Williams R. J. (2004). The anxious city. English urbanism in the late twentieth century. Routledge, London.

190


emergenza314. Queste ultime pratiche sono secondo il Tulumello in fortissima ascesa nelle città

contemporanee315.

Esse

stanno

diventando

il

cardine

delle

riqualificazioni urbane, nuovi spazi votati all'omologazione sociale e al consumismo, e in risposta al loro successo dilagante, i centri commerciali stanno paradossalmente adattandosi, imitando sempre più le configurazioni spaziali dei centri urbani attraverso l'edificazione degli outlet316, scenografie volte a riprodurre le spazialità urbana. Entrambe queste spazialità risultano però prive di ogni valore civico e sociale, dei non-luoghi che cancellano ogni traccia di vita collettiva. Contestualmente a queste tipologie di spazi, stanno nascendo i touristcitizen, soggetti che secondo Richard Ingersoll, sarebbero molto apprezzati dai governanti locali317, avvezzi al consumo e non alla cultura, alienati dalla società ed eradicati dalle identità socioculturali delle città che li ospitano, non curanti della politica e facilmente plasmabili. Secondo il Tulumello infine, rivolte come quelle che hanno coinvolto Los

314 Coaffee J. (2004). Recasting the ‘ring of steel’: Designing out terrorism in the city of

London? In S. Graham (Ed.). Cities, war, and terrorism. Towards an urban geopolitics, Pag. 276–296. Blackwell, Malden. 315 Tulumello, op. cit. 316 Kern, op. cit. 317 Richard Ingersoll in Angelillo, op. cit.

191


Angeles nel 1992, le banlieus francesi nell'autunno 2005 e le vere e proprie guerriglie urbane inglesi del 2011, non avrebbero in comune solamente la denuncia etnica, economica e sociale ma anche il rifiuto di questi Post-Public Space318, bacini di disuguaglianze nell'ambito dei diritti spaziali generati dallo scontro tra le pressioni dell'élite economica e i tentativi di autodeterminazione delle classi meno abbienti 319. Si rende quindi necessaria, al netto anche di questi segnali estremi, un'inversione di tendenza nella pianificazione. Lo spazio pubblico deve tornare ad essere uno spazio centripeto, un luogo nel quale non solo l'élite socioeconomica ma l'intera popolazione possa identificarsi. In quest'ottica forse, questo tipo di rivolte possono essere interpretate come "sconnessi movimenti di giustizia"320.

"Mall effects" nel centro di Palermo L'applicazione di questa parte dello studio alla realtà urbana palermitana, dimostra come il capoluogo siciliano rappresenti un’eccezione, quasi unica 318 Tulumello, op. cit.

319

Sassen S. (1998). Globalization and its discontents. Essays on the new mobility of people and money. New Press, New York. 320 Dikeç M. (2007). Badlands of the republic. Space, politics, and urban policy. Blackwell, Malden.

192


nel mondo occidentale, per quanto concerne il rapporto tra tessuti urbani e la presenza di Post-Public Space. A conferma di ciò, Tulumello afferma che fino al 2009, Palermo era probabilmente

l'unica

città

medio-grande

d'occidente

ad

essere

completamente priva di centri commerciali. I motivi andrebbero cercati, continua il professore, nel tardo sviluppo economico della città, opera anche dello scarso interesse da parte di solidi investitori, e nell'assenza di terreni edificabili a causa della completa saturazione urbanistica verificatisi negli ultimi decenni 321. Il centro storico di Palermo è rimasto quindi per anni estraneo ai processi di riqualificazione che al contrario, hanno coinvolto gli ultimi brandelli di periferia disponibili, sfruttati per costruzione di nuove aree residenziali ed industriali. I primi interventi nel centro, già accennati negli anni '90, sono incrementati con l'avvento del nuovo governo di centro-destra, nei primi anni 2000, che promise l'avvio di una stagione di "grandi progetti". Quest'ultima si concentrò però lungo il fiume e in alcune aree urbane centrali, mai toccando considerevolmente il centro storico e in ogni caso, con interventi puntuali e mai frutto di un disegno d'insieme volto a sopperire

321

Tulumello S. (2015). Questioning the universality of institutional transformation theories in spatial planning: Shopping mall developments in Palermo. In International Planning Studies, 20 (4), Pag. 371–389.

193


alle notevoli deficienze della città. È in questo contesto, che intorno al 2006, sono stati approvati i progetti per la realizzazione dei primi centri commerciali in città. A novembre del 2009, pochi giorni dopo l'inaugurazione del primo centro commerciale, Via Ruggero Settimo, l’arteria commerciale più importante del nucleo urbano, è stata pedonalizzata per la prima volta durante l'orario di apertura. La

misura

adottata

riscosse

un

grande

successo

e

venne

quindi

successivamente applicata definitivamente a questa e ad altre strade commerciali della città. Il successo attirò presto venditori ambulanti in gran parte africani e a ruota, le lamentele di alcune associazioni e di rivenditori locali che culminarono in una campagna discriminatoria animata dalle ormai solite espressioni sensazionalistiche e fuorvianti dei media (come "lo sporco bazaar del salotto buono della città" e "Palermo sta diventando una terra di nessuno") e dalle reazioni coercitive del governo locale realizzate mediante l'aumento delle pattuglie

di

sorveglianza

e

degli

atti

ambulanti322.

322 Tulumello 2017, op. cit.

194

repressivi

contro

i

venditori


4.5 CONTROL La quarta ed ultima categoria di fearscapes, non incide direttamente sulla spazialità del tessuto urbano ma al contempo, è forse quella maggiormente diffusa nelle città contemporanee. Nel testo del Tulumello323, il professore spiega il processo di controllo al quale siamo esposti per opera del dilagante fenomeno dell'istallazione dei sistemi di videosorveglianza, mediante un passo estratto dall'opera di Foucault324. Lo spazio urbano contemporaneo, secondo l’autore francese, somiglierebbe sempre più al Panopticon ideato e progettato da Bentham nel 1791, una prigione radiocentrica nella quale, anche solo una singola guardia era in grado di controllare tutti i detenuti da una torre centrale. Grazie ad un sistema pianificato di zone d'ombra, il detenuto non era in grado di verificare se la guardia lo stesse effettivamente osservando, trasformando il luogo in una fortezza di controllo totale e continuo. Non essendo in grado di stabilire l'effettivo controllo della guardia infatti, la struttura portava i detenuti a credere di essere continuamente osservati da un occhio onnisciente ed invisibile e dopo anni di trattamento, secondo Bentham, la disciplina comportamentale sarebbe penetrata nella mente dei 323 Ivi. 324 Foucault M. (1975). Discipline and punish. The birth of the prison. Vintage Books, New York.

195


prigionieri modificandone definitivamente il carattere. Lo stesso filosofo descrisse il Panopticon come "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima" 325. "Su ogni pianerottolo, di fronte al pozzo dell'ascensore, il manifesto con quel volto enorme guardava dalla parete. Era uno di quei ritratti fatti in modo che, quando vi muovete, gli occhi vi seguono. IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA, diceva la scritta in basso (...) Il volto dai baffi neri guardava fisso da ogni cantone. Ve ne era uno proprio sulla facciata della casa di fronte. IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA, diceva la scritta, mentre gli occhi scuri guardavano in fondo a quelli di Winston" 326. Oggi i processi di condizionamento e manipolazione della sfera dei comportamenti socio-spaziali si realizza mediante dispositivi semplici ed economici, che stanno saturando ogni angolo di moltissime città del mondo. Negli ultimi trent'anni sistemi di videosorveglianza ed altri sensori hanno letteralmente invaso lo spazio urbano in conseguenza della rapida evoluzione tecnologica che ha reso i dispositivi notevolmente più economici, piccoli ed efficienti, e soprattutto, della consistente diffusione della percezione di insicurezza e paura in città, costituendo di fatto, una fitta rete di Panopticon radicata allo spazio urbano. 325 Michel Foucault & Michelle Pierrot (1983). Jeremy Bentham, Panopticon ovvero la casa d'ispezione. Marsilio, Venezia. 326 Orwell, op. cit.

196


Dopo il 2001 in particolare, la diffusione dei sentimenti d'insicurezza dovuti alla minaccia di subire attacchi terroristici, hanno fornito il giusto pretesto alle autorità pubbliche e ai soggetti privati di aumentare considerevolmente la presenza di dispositivi di sorveglianza continua riscuotendo i pareri favorevoli della gran parte dell'opinione pubblica327. "In Europa, la maggior parte dei cittadini è favorevole all'aumento dei dispositivi di video-sorveglianza negli spazi pubblici" 328. Questa diffusissima pratica è degenerata negli ultimi anni in sistemi di video-sorveglianza di massa come il sistema Virtual Community Watch posizionato nel 2007 sul confine USA-Messico dal team dello sceriffo del confine texano. Ventinove telecamere sono state installate in punti strategici lungo il confine militarizzato e collegate ad un sistema centralizzato grazie al quale qualsiasi persona può visualizzare le immagini in tempo reale su un sito Web dedicato e segnalare attività sospette. In alcune parti del mondo, l'urban panopticon è divenuto ormai realtà329. A Londra ad esempio, nel 2003 erano già presenti circa 15.000 telecamere 327 Tulumello, op. cit.

328

Hempel L. & Töpfer E. (2004). CCTV in Europe. Working paper n. 15, Final report, Accessed 1 June 2016. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: www.urbaneye.net/results/ue_wp15.pdf. 329 Tulumello, op. cit.

197


distribuite in ogni angolo del distretto centrale 330. In Italia invece, con l'avvento del nuovo millennio e dei nuovi sentimenti di insicurezza urbana si è registrato un consistente aumento dei sistemi di video-sorveglianza che nella maggior parte delle città di medie-grandi dimensioni sono gestiti dalla polizia locale o nazionale. Roma è scandagliata da una rete composta da circa 5000 telecamere a circuito chiuso. "In several cities in the US, escaping the gaze of CCTVs is almost impossible"331. Gli esempi proposti aprono il dibattito sulla questione della videosorveglianza e del controllo perenne delle azioni socio-spaziali all'interno degli spazi pubblici. Mentre alcuni studiosi ne sostengono l'innocenza e la forte necessità nelle realtà urbane contemporanee, altri sottolineano le implicazioni che questo processo finisce per generare come l'estinzione della privacy e il condizionamento dei comportamenti della sfera sociospaziale.

330 Coaffee J. (2004). Recasting the ‘ring of steel’: Designing out terrorism in the city of

London? In S. Graham (Ed.) Cities, war, and terrorism. Towards an urban geopolitics, Pag. 276–296. Blackwell, Malden. 331 Mitchell D. & Heynen N. (2009). The geography of survival and the right to the city: Speculations on surveillance, legal innovation, and the criminalization of intervention. Urban Geography, 30(6), Pag. 611–632.

198


Secondo

Ryberg332,

lo

sguardo

vigile

della

video-sorveglianza

è

da

considerarsi innocuo, come una vecchia signora che si affaccia dalla terrazza ed osserva giù in strada. Altri invece, come Goold, considerano il fenomeno, una reale minaccia contro la libertà, non solo socio-spaziale, ma anche politica 333, degli esseri umani. Ci sono prove, a sostegno dell'ultima tesi, come l'uso della videosorveglianza, soprattutto negli spazi semi-privati, sia associato all'aumento dei processi di esclusione sociale e di controllo 334. Le telecamere a circuito chiuso ad esempio, sono in grado di erodere le geografie spaziali dei senzatetto, strappandogli quei luoghi necessari al riposo oppure alle funzioni corporee335. Questo è riscontrabile anche nel controllo che accompagna i processi di branding urbano che qualificano le aree in forte ascesa economica. Vi è infatti una forte correlazione con la successiva frammentazione dei tessuti urbani in aree geografiche differenziate secondo la presenza o meno dei

332 Ryberg J. (2007). Privacy rights, crime prevention, CCTV, and the life of Mrs. Aremac. Res Publica, 13(2), Pag. 127–143. 333 Goold B. (2010). CCTV and human rights. In EFUS (European Forum for Urban Security), Citizens, cities and video surveillance. Towards a democratic and responsible use of CCTV, Pag. 27–35. EFUS, Paris. 334 Hempel L. & Töpfer E. (2004). CCTV in Europe, Working paper n. 15, Final report, Accessed 1 June 2016. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: www.urbaneye.net/results/ue_wp15.pdf. 335 Mitchell & Heynen, op. cit.

199


sistemi di video-sorveglianza336. Il controllo ha quindi una netta influenza sulle caratteristiche fondanti dello spazio pubblico, lo spazio fisico, simbolico e democratico 337 nel quale si realizza

l’autorappresentazione

necessario

al

conseguimento

degli delle

individui pratiche

e

di

gruppi

attive

e

sociali

passive

e di

cittadinanza338. La combinazione con le trasformazioni spaziali di privatizzazione e fortificazione dello spazio pubblico, comporta inoltre modifiche alle relazioni psicologiche individuali con lo spazio e alle pratiche di cittadinanza, limitandole seriamente339. Tutto questo finisce per stimolare l'individualismo e il progressivo ritiro dalla sfera delle relazioni pubbliche, cementificando l'idea che gli spazi sorvegliati siano pericolosi e delocalizzando la vita sociale verso spazi chiusi e privati340.

336

Bookman S. & Woolford A. (2013). Policing (by) the urban brand: Defining order in Winnipeg’s Exchange District. Social and Cultural Geography, 14(3), Pag. 300–317. 337 Bonafede G. & Lo Piccolo F. (2010). Participative planning processes in the absence of the (public) space of democracy. Planning Practice and Research, 25(3), Pag. 353– 375. 338 Benton-Short L. (2007). Bollards, bunkers, and barriers: Securing the national mall in Washington. DC. Environment and Planning D, 25(3), Pag. 424–446. 339 Ibidem. 340 Epstein, op. cit.

200


"The panoptic schema, without disappearing as such or losing any of its properties, was destined to spread throughout the social body; its vocation was to become a generalized function" 341. Il Tulumello si concentra infine sul possibile legame tra il Control ed un'implicita volontà governativa che si concretizza in una contraddizione abbastanza evidente342. La diffusione delle telecamere a circuito chiuso può essere infatti inquadrata all'interno di una serie di operazioni di riqualificazione adottate da molti governi a stampo neoliberista. I loro indirizzi di politica urbana in tema di sicurezza, a detta del Trémon, striderebbero con le fondamenta ideologiche su cui dovrebbero fondarsi, promuovendo al contrario critici tagli al bilancio per i settori pubblici e consentendo la privatizzazione degli spazi pubblici e la proliferazione dei sistemi di sorveglianza automatica343. De Lint, asserisce in questo senso 344, che control e security stanno sostituendosi alla giustizia, alla legge e alla sovranità come elementi cardine delle scelte governative. 341 Foucault, op. cit. 342 Tulumello, op. cit.

343 Trémon A. C. (2013). Publicizing insecurity, privatizing security. Chinese wholesalers’ surveillance cameras in a Paris suburb. Anthropology Today, 29(4), Pag. 17–21. 344 De Lint W. & Virta S. & Deukmedjian J. E. (2007). The simulation of crime control: A shift in policing? American Behavioral Scientist, 50(12), Pag. 1631–1647.

201


Una volta stabilito che non esistono ancora dati certi sull' effettiva capacità di prevenzione del crimine e sull'incidenza che avrebbero sulla diminuzione del senso di insicurezza dei cittadini, sembra che anche i sistemi di videosorveglianza, creino nell'era della mercificazione dell'immagine, la sola illusione del senso di sicurezza, una risposta semplicistica ed inefficace che può portare ad una percezione distorta dei reali pericoli che corriamo in città e

alle

possibili

implicazioni

sul

piano

delle

libertà

socio-spaziali

precedentemente discusse. L'ennesimo interessante spunto ci è offerto dallo stesso Tulumello che in merito, scrive di come a seguito degli attacchi terroristici di New York e Washington del 2001, ai viaggiatori non sia più consentito portare coltelli, forbici e rasoi nel bagaglio a mano ma una volta superati i controlli di sicurezza, questi possano comunque acquistare bevande ed alcoolici in bottiglie di vetro che, una volta rotte, sono di gran lunga più pericolose delle limette per unghie bandite al check-in 345. Per concludere, gli scritti del Lyon346, secondo cui le politiche urbane si fonderebbero su quattro specifici indirizzi di controllo: biometria, carte d'identità, sistemi di video-sorveglianza ed intercettazioni telefoniche, ci 345 Tulumello, op. cit.

346

Lyon D. (2004). Technology vs. ‘terrorism’: Circuits of city surveillance since September 11, 2001. In S. Graham (Ed.) Cities, war, and terrorism. Towards an urban geopolitics, Pag. 297–311. Blackwell, Malden.

202


aiutano a porre sotto la lente d'ingrandimento questa inquietante tendenza al controllo maniacale che forse, sta seriamente incrinando i nostri diritti fondamentali

e

solcando

profonde

divisioni

sociali

tra

controllori

e

controllati, inclusi ed esclusi. Politiche di controllo tra Palermo e Lisbona A Palermo, oltre ai sistemi posizionati in aree adibite ad eventi specifici, esistono due sistemi fissi di video-sorveglianza: il primo, composto da 43 telecamere, è stato installato per un incontro delle Nazioni Unite tenutosi proprio nel capoluogo siciliano nel 2000, ed è attualmente gestito dalla polizia municipale che negli anni ne ha ampliato il numero fino ad arrivare ad un totale di 97 unità; il secondo, composto da 128 , ripartiti tra telecamere e sistemi di riconoscimento automatico della targa, è gestito dalla polizia nazionale. Entrambi i sistemi, come la rete di telecamere a circuito chiuso distribuite in 80 scuole municipali, sono frutto di un cofinanziamento italo-europeo stanziato nell'ambito di due programmi operativi nazionali (Programmi Operativi Nazionali, PON) riguardanti "Sicurezza e Sviluppo" nelle regioni meridionali (2000-2006 e 2007-2013). È importante sottolineare, ammonisce il Tulumello, che nessuna di queste sostanziose

implementazioni

tecnologiche

nell'ambito

della

video-

sorveglianza è mai stata al centro di dibattiti politici a scala nazionale e

203


locale e ma discussa con i cittadini palermitani 347. A Lisbona, dove la parola stessa vigilância (sorveglianza)348, continua a rievocare la polizia politica della dittatura rovesciata nel 1974, nonostante la presenza di alcuni sistemi per il monitoraggio del traffico, fino al 2007 il sindaco di centro-sinistra considerava le CCTV impiegate nello spazio pubblico una vera e propria violazione dei diritti civili. Dal 2008 però, lo stesso governo municipale ha collaborato attivamente alla progettazione di due sistemi nel centro storico, uno in funzione e l'altro ancora in fase di realizzazione. In entrambi i casi, i progetti sono stati respinti in via preliminare dall'Autorità Nazionale per la protezione dei dati personali (Comitão Nacional de Protecção de Dados, CNPD) a causa dei bassi tassi di criminalità registrati nelle aree interessate. Nonostante ciò, il successivo governo di centrodestra è riuscito ad emanare una legge (9/2012) che rende l'opinione dell'Autorità Nazionale non vincolante come in precedenza. Il lavoro del Tulumello349 si è quindi concentrato, su due particolari distretti delle città analizzate, di simile estensione (circa 70 ettari) ed entrambi concepiti come poli a carattere commerciale, direzionale e ricreativo. Le

analisi,

effettuate

nel

2011,

hanno

individuato

419

telecamere

347 Tulumello, op. cit. 348 Frois C. (2013). Peripheral vision. Politics, technology and surveillance. Berghahn, New York.

349 Tulumello, op. cit.

204


direzionate verso spazi pubblici a Palermo (di queste, 33 gestite da 6 dipartimenti pubblici e 386 ripartite tra 243 soggetti privati) e 184 a Lisbona (di cui, 29 gestite da 12 dipartimenti pubblici e 158 da 90 soggetti privati). Le notevoli differenze nella densità di telecamere a circuito chiuso trovano giustificazione secondo lo studioso palermitano nelle specificità dello spazio urbano e nelle diversità legislative in vigore nelle due città. A Palermo, il tessuto analizzato è ricco di abitazioni e piccoli negozi di vicinato che si traducono in una maggiore presenza di microsistemi di videosorveglianza costituiti da 2-3 telecamere. A Lisbona invece, il tessuto urbano è costituito in gran parte da blocchi di edifici monofunzionali a vocazione perlopiù terziaria che necessitano quindi di grandi sistemi di sicurezza per la protezione ad esempio delle sedi aziendali e bancarie. Per quanto riguarda la legislazione, mentre in Portogallo qualsiasi tipologia di trattamento dei dati deve essere autorizzata dalla CNPD (legge 1/2005), in Italia non è richiesta né l'autorizzazione né la notifica della gestione dei dati in corso nonostante l'Autorità Nazionale per la protezione dei dati personali abbia recentemente evidenziato la necessità di una legislazione specifica sulle telecamere a circuito chiuso350. 350 Garante per la Protezione dei Dati Personali (2010). Provvedimento in materia di videosorveglianza, 8 April 2010. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1712680.

205


Questa

incongruenza

legislativa

può

quindi

spiegare

la

recente

proliferazione di telecamere, avvenuta a Palermo in totale assenza di qualsiasi tipo di controllo. Fatto questo sottolineato dalla mancanza di conformità ai regolamenti dell’Autorità Nazionale per la maggior parte dei sistemi mappati dal Tulumello (circa il 95%).

4.6 CONCLUSIONI SULLO STUDIO È emerso quindi che i fearscapes non sono configurazioni frammentate, sparse e marginali ma al contrario sembrano aver acquisito un ruolo dominante

nella

costruzione

e

nelle

riqualificazioni

delle

città

contemporanee attraverso una spazialità definita e riconoscibile. La mappa conclusiva prodotta dal Tulumello, nata dalla sovrapposizione di

206


Enclosure, Barrier e Public Space presenti nel territorio comunale di Palermo, evidenzia le fratture longitudinali del tessuto urbano operate dalle reti infrastrutturali e i vuoti causati dai cluster di esclusione 351. Secondo il Tulumello, i processi di inclusione/esclusione degli Enclosure, la frammentazione prodotta dalle Barrier infrastrutturali, l'erosione dei luoghi socialmente centripeti descritta dal fenomeno dei Post-Public Space e il flexible and fluctuating network352 del controllo spasmodico mediante i sistemi di videosorveglianza, stanno riconfigurando le città contemporanee, pensate in principio come luoghi aperti alla condivisione e alla socialità ma sempre più soffocate dalla morsa della paura e dell'insicurezza che rischia seriamente di trasformarle in fortezze animate dall' individualismo, dal rifiuto del diverso e dal consequenziale elogio della paura come unica arma di difesa. Lo studio si conclude quindi con la formulazione ad opera del professore palermitano, di uno schema di intervento strutturato secondo la tassonomia analizzata, mediante la quale egli spera di contribuire ad un cambiamento nell'approccio agli interventi di riqualificazione nelle città contemporanee, affette da un morbo che se non curato adeguatamente, rischia di annullarne i principi fondanti della socialità e del senso civico, mettendo a serio rischio l'ecosistema stesso del genere umano.

351 Tulumello, op. cit. 352 Petti, op. cit.

207


1) I processi di esclusione/reclusione dovrebbero essere giudicati per il paradosso spaziale che generano: Il social suicide353 all'interno di gated community

e

di

simili

configurazioni

s'intreccia

infatti

al

processo

d'isolamento forzato al quale sono condannati i tessuti urbani limitrofi e chi vi abita. Tali processi dovrebbero essere quindi studiati tenendo in considerazione il concetto di "comunitĂ ", le crescenti aspirazioni delle classi medio-alte, le conseguenti

restrizioni

spaziali

subite

dalle

classi

meno

abbienti

e

soprattutto l'efficacia dei sistemi di pianificazione locali e nazionali nel regolare ed orientare queste tendenze nel governo del territorio. 2) Lo straordinario impatto che hanno le reti infrastrutturali nelle geografie spazio-temporali richiede un accurato studio dei flussi socio-spaziali all'interno della città e del territorio sul quale definire la pianificazione infrastrutturale. 3) Le varietà dei processi di erosione dello spazio pubblico necessitano di studiarne attentamente caso per caso le giuste procedure e pratiche da adottare al fine di limitarne i devastanti effetti. 4) La diffusa noncuranza rispetto al dilagante fenomeno dell'installazione di telecamere a circuito chiuso, che complice l'assenza di norme ben definite e 353 Monterescu D. (2009). To buy or not to be: Trespassing the gated community. In Public Culture, 21 (2), Pag. 403–430.

208


di nette prese di posizioni da parte delle varie istituzioni, ha condotto i cittadini di molti stati occidentali a sottovalutarne le implicazioni, necessita al contrario, di una forte sensibilizzazione pubblica e di espliciti interventi politici. Il

rischio

è

infatti

quello

che

il

fenomeno

del

Control,

che

sta

vertiginosamente aumentando soprattutto attraverso canali privati, sfugga definitivamente dalle mani della rappresentanza democratica eletta dal popolo, esponendosi nel peggiore dei casi, a progetti di centralizzazione delle videocamere sparse per tutta la città, un vero e proprio Panopticon che controlla e condiziona i comportamenti socio-spaziali dei cittadini. 5) Alla luce dei processi analizzati e delle loro implicazioni socio-spaziali è emersa la complessità della relazione tra la percezione di paura ed insicurezza e i fearscapes all'interno della città. Appurata quindi la sua natura altamente complessa e diversificata, risulta fondamentale orientare la pianificazione urbanistica verso un approccio ancor più multidisciplinare e aderente alle esigenze socio-spaziali dei cittadini filtrandole attraverso le letture scientifiche della sociologia urbana.

CAPITOLO 5 – PROPOSTA METODOLOGICA

209


5.1 ELABORAZIONE DEL METODO DI ACQUISIZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE Per

minimizzare

l'errore

di

localizzazione

delle

varie

informazioni

geostatistiche acquisite senza rinunciare ad una buona visibilità e chiarezza delle rappresentazioni cartografiche è stata generata una griglia virtuale costituita da celle esagonali aventi come diametro del cerchio a loro circoscritto 30m nella realtà. Per consentire poi una veloce modalità di attribuzione dei valori necessari all’analisi, la griglia esagonale è stata tramutata in una rete di punti regolari posizionati ognuno nel baricentro dell’esagono ad esso corrispondente (mediante un ID numerico di corrispondenza). I punti ottenuti (centroidi) sono stati poi progressivamente corredati delle informazioni selezionandone progressivamente le quantità che ricadevano completamente all’interno delle diverse aree poligonali ed assegnandogli i relativi valori necessari alle analisi. Una volta completata l’attribuzione delle varie informazioni, sfruttando il campo ID di corrispondenza delle geometrie, i dati raccolti, che verranno singolarmente descritti nei paragrafi seguenti, sono stati correlati alla griglia esagonale di partenza mediante un join tabellare.

210


2. METODO DI ACQUISIZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE

211


5.2 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI CRIMINI

Grazie alle autorizzazioni della Dott.ssa Marilena Rizzo e del Dott. Giuseppe Creazzo, rispettivamente Presidente e Procuratore della Repubblica del Tribunale di Firenze, è stato possibile visionare un campione (scelto in modo casuale dall’archivio da un funzionario del Tribunale) di 200 procedimenti penali

archiviati

riguardanti

reati

verificatisi

all’interno

dei

confini

amministrativi del Comune di Firenze dal 2009 ad oggi. La consultazione dei fascicoli, dai quali sono state escluse informazioni relative ai soggetti coinvolti per motivi di privacy, ha permesso di correlare ad ogni singola geolocalizzazione dei reati, i seguenti dati mediante un’apposita tabella: - Anno - Luogo pubblico o privato: Sono stati qui distinti i reati effettivamente commessi sul suolo pubblico da quelli consumatisi all’interno della dimensione privata o “semi-privata” (come nel caso degli esercizi commerciali). - Tipologia: Le tipologie emerse dall’indagine sono 9 (furto con destrezza, furto con strappo, furto in abitazione, furto all’interno di veicoli, furto di veicoli, furto energetico, rapina, spaccio e/o possesso di stupefacenti e lesione fisica).

212


- Nazionalità dell’incriminato - Sesso dell’incriminato Considerando la non puntualità spaziale di qualsiasi tipologia di reato, che si compie inevitabilmente all’interno di un’area dai confini mutevoli e mai perfettamente identificabili (in particolar modo nello spazio pubblico), è stato generato un buffer poligonale di 15m da ogni puntuale (corrispondente ad un crimine) e in seguito sono stati selezionati i centroidi che ne ricadevano al loro interno. In questo modo, in conseguenza della struttura a maglia esagonale della griglia di rappresentazione, ogni reato è individuato in mappa da almeno 3 esagoni.

213


3. MAPPA DEI CRIMINI

5.3 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA PAURA E SULL’INSICUREZZA

I dati geostatistici necessari alla realizzazione delle mappe relative alla paura e all’insicurezza percepita a Firenze sono stati acquisiti mediante l’analisi di quattro specifiche risposte 354 del report di ricerca distribuito sulle piattaforme social e nel quale hanno espresso i loro pareri ben 379 cittadini

354 1) Ci sono delle strade o dei tratti di strada in particolare dove si sente poco sicuro/a

214


residenti all’interno dell’area comunale. In particolare, una volta ottenuto un buon numero di risposte, queste sono state convertite in linee corrispondenti agli assi stradali (nel caso i cittadini indicassero delle strade o tratti di strade) e in poligoni (per tutte le altre aree indicate). Per ogni singolo tratto di strada ed ogni singola area emersi, è stato quindi conteggiato, per ognuna delle quattro domande, il numero di cittadini che li hanno segnalati come luoghi nei quali provano paura ed insicurezza rispetto ai quattro diversi contesti, per poi suddividerli in tre classi d’intensità: -

1° livello di Fear: n° di segnalazioni < 2

-

2° livello di Fear: n° di segnalazioni compresa tra da 2 e 4

-

3° livello di Fear: n° di segnalazioni > 4

Una volta ultimata la classificazione d’intensità paurosa e dopo aver trasformato anche gli assi stradali in aree mediante un buffer di 15m, l’insieme dei dati poligonali sono stati acquisiti dai centroidi che vi ricadevano mediante il metodo precedentemente esposto. rispetto al traffico come automobilista? 2) Ci sono delle strade o dei tratti di strada in particolare dove si sente poco sicuro/a rispetto al traffico come ciclista? 3) Ci sono delle strade o dei tratti di strada in particolare dove si sente poco sicuro/a rispetto al traffico come pedone? 4) Ci sono delle aree in particolare (Strade, piazze, parchi, giardini, locali etc.) che cerca di non frequentare o nelle quali si è sentito/a insicuro/a?

215


4. METODO APPLICATO A

5.

METODO

APPLICATO B

216


6.

METODO

APPLICATO C

7.

METODO

APPLICATO D

217


8. MAPPA DELLA PAURA E DELL’INSICUREZZA

218


5.4 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE DENSITÀ ABITATIVE Per elaborare le informazioni in questione ed altre che analizzeremo di seguito, sono stati sfruttati i dati contenuti nel database relativo alle sezioni di censimento dell’Istat355, che per un miglior utilizzo, sono stati correlati mediante un join tabellare ai poligoni corrispondenti nei quali l’istituto statistico ha suddiviso il territorio comunale per realizzarne i censimenti 356. Per ottemperare alla notevole difformità d’estensione delle varie aree censuarie (si va dai 156 m² della più piccola ai 2.840.342 m² della più estesa), ogni informazione geografica è stata poi convertita in una densità riferita all’ettaro, dividendola tramite un’operazione tabellare per la propria area (espressa in m²) e moltiplicandola per 10.000. Per l’elaborazione delle informazioni relative alle densità abitative, sono stati selezionati i centroidi ricadenti nelle sezioni di censimento aventi una densità abitativa compresa tra 150 e 300 ab/Ha (abitanti ogni ettaro) e superiori ai 300 ab/Ha, corrispondenti rispettivamente ad una disponibilità per ogni abitante della data sezione censuaria compresa fra i 66 e i 33 m² ed inferiore ai 33 m².

355 ISTAT e Regione Toscana – Censimenti ISTAT 2001 e 2011. 356 Le variabili censuarie vengono infatti fornite sotto forma di fogli Excel o files CSV corredati da una tabella che ne descrive le differenti variabili e sono scaricabili all’indirizzo: http://www.istat.it/it/archivio/104317.

219


5.5 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE POSSIBILI AREE AFFETTE DA SEGREGAZIONE TERRITORIALE Nell’impossibilità di determinare un indice completo 357 per la misurazione del livello di segregazione sul modello adottato da vari sociologi europei (comprensivo ad esempio di indicatori relativi al benessere e alle relazioni sociali, al grado di partecipazione culturale, alle condizioni economicolavorative e sanitarie e ai differenti stili di vita delle varie etnie), a causa del ristretto numero di dati geolocalizzati forniti dalle sezioni censuarie dell’Istat, sono stati effettuati una serie di incroci geo-statistici che hanno portato alla realizzazione delle seguenti mappe: 1) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori di densità abitativa superiori a 150 ab/Ha e valori di disoccupazione superiori al 6% 358 sul totale della popolazione residente all’interno della sezione. 2) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di 357 Per un’analisi più completa sarebbero necessari ad esempio indicatori relativi al benessere e alle relazioni sociali, al grado di partecipazione culturale, alle condizioni economico-lavorative e sanitarie e ai differenti stili di vita delle varie etnie. 358 Tasso di disoccupazione registrato a Firenze nel 2011 dall’Istat ed elaborato da 8MilaCensus. Per eventuali approfondimenti si rimanda a: http://ottomilacensus.istat.it/sottotema/048/048017/12/.

220


sezioni di censimento aventi valori di densità abitativa superiori a 150 ab/Ha, valori di disoccupazione superiori al 6% 359 sul totale della popolazione residente all’interno della sezione e valori d’incidenza degli stranieri sul totale dei cittadini residenti all’interno della sezione superiori al 15% 360. 3) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli italiani sul totale dei cittadini residenti all’interno della sezione superiori all’85% 361. 4) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri sul totale dei cittadini residenti all’interno della sezione superiori al 15% 362. 5) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri provenienti dal continente europeo sul totale dei cittadini stranieri residenti all’interno della sezione superiori al 39%363.

359 Ivi. 360 Popolazione straniera residente a Firenze al 1° gennaio 2018. Sono considerati cittadini stranieri le persone di cittadinanza non italiana aventi dimora abituale in Italia. Dato Istat elaborato da TUTTITALIA.IT Per eventuali approfondimenti si rimanda a: https://www.tuttitalia.it/toscana/77-firenze/statistiche/cittadini-stranieri-2018/. 361 Ibidem. 362 Ibidem. 363 Ibidem.

221


6) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri provenienti dal continente asiatico sul totale dei cittadini stranieri residenti all’interno della sezione superiori al 32%364. 7) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri provenienti dal continente americano sul totale dei cittadini stranieri residenti all’interno della sezione superiori al 16%365. 8) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri provenienti dal continente africano sul totale dei cittadini stranieri residenti all’interno della sezione superiori al 12%366. 9) Mappa con evidenziati gli esagoni i cui centroidi ricadono all’interno di sezioni di censimento aventi valori d’incidenza degli stranieri provenienti dal continente oceanico sul totale dei cittadini stranieri residenti all’interno della sezione superiori allo 0,10%367.

364 365 366 367

Ivi. Ibidem. Ibidem. Ibidem.

222


9. MAPPA SULLE POSSIBILI AREE AFFETTE DA SEGREGAZIONE TERRITORIALE

223


5.6 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI TESSUTI URBANI La mappa dei tessuti urbani è stata realizzata suddividendo il territorio comunale di Firenze secondo i criteri dettati dall’abaco dei morfotipi delle urbanizzazioni contemporanee contenuto nel PIT della Regione Toscana 368. In base alla localizzazione e alla funzione prevalente, alla morfologia planoaltimetrica degli isolati e al rapporto edificato-strada, al tipo edilizio prevalente e alle tipologie di margine, oltre che alla periodizzazione degli edifici e dei tracciati viari, sono stati individuati 12 dei tessuti descritti nel PIT:

T.R.1 – Tessuto ad isolati chiusi o semichiusi all'interno del tracciato

368

Piano d’Indirizzo Territoriale con valenza di Piano Paesaggistico approvato dal Consiglio regionale il 24 luglio 2007 con delibera n. 72 e pubblicato sul Burt n. 42 del 17 ottobre 2007. Alcuni elaborati del PIT, fra i quali il testo utilizzato per la mappatura dei tessuti, sono stati poi integrati con la deliberazione del Consiglio Regionale n. 58 del 2 luglio 2014.

224


delle mura cinquecentesche 

T.R.1.B – Tessuto ad isolati chiusi o semichiusi

T.R.2 – Tessuto ad isolati aperti e edifici residenziali isolati su lotto

T.R.3

Tessuto

ad

isolati

aperti

e

blocchi

prevalentemente

ad

isolati

aperti

e

blocchi

prevalentemente

residenziali 

T.R.4

Tessuto

residenziali di edilizia pianificata 

T.R.6 – Tessuto a tipologie miste

T.R.7 – Tessuto sfrangiato di margine

T.R.9 – Tessuto reticolare o diffuso

T.R.10 – Campagna abitata

T.P.S.1 – Tessuto a proliferazione produttiva lineare

T.P.S.2 – Tessuto a piattaforme produttive-commerciali-direzionali

T.P.S.3 – Insule specializzate

225


10. MAPPA DEI TESSUTI URBANI

5.7 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SUI FLUSSI TURISTICI

226


Sul modello della tesi magistrale di Elena Barbierato e Irene Capecchi 369, sono state sfruttate le geolocalizzazioni delle foto caricate sulla piattaforma social Flickr all’interno dell’area comunale tra il 2005 e il 2017 e convertite in una nuvola di punti dal Prof. Iacopo Bernetti, per individuare le aree maggiormente interessate dai flussi turistici.

Dopo aver escluso i puntuali ricadenti all’interno degli edifici ad uso residenziale ed industriale indicati dal campo “edifc_duso” dello shape poligonale “020102_edifc” del DataBase Topografico in scala 1:2.000 della Regione Toscana, è stata generata una heatmap con raggio di 200m che, una volta vettorializzata (escludendone i valori al di sotto di 200 fotografie caricate entro il raggio scelto), ha restituito i vari poligoni che sono serviti a categorizzare i centroidi, corrispondenti alle aree maggiormente frequentate dai turisti.

369

Elena Barbierato & Irene Capecchi (2017). Emozione e spazio configurato: Una proposta metodologica per l’analisi percettiva della qualità urbana nella città di Livorno.

227


11. MAPPA DEI FLUSSI TURISTICI

228


5.8 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE AREE AFFETTE DA FENOMENI DI ABBANDONO

La mappa è stata realizzata partendo dall’acquisizione di tutte le aree brownfields370 del Comune di Firenze precedentemente identificate da Giacomo Rossi per il Laboratorio Piani e Progetti per la Città e il Territorio del Dipartimento di Architettura (DIDA) dell’UNIFI, presso il quale ho svolto le attività di tirocinio. I brownfields sono stati poi integrati alle aree corrispondenti alle sezioni di censimento aventi al proprio interno edifici abbandonati.

370 Siti inquinati che per le loro caratteristiche urbanistiche (collocati spesso in ambito urbano e quindi dotati di tutte le opere di urbanizzazione) si presterebbero ad operazioni di riqualificazione e rigenerazione urbana con benefici alla collettività superiori ai costi necessari per la bonifica e la messa in sicurezza delle aree affette da inquinamento.

229


12. MAPPA DELLE AREE AFFETTE DA FENOMENI DI ABBANDONO

230


5.9 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLE ENCLOSURE GENERATE DALL’IMPERMEABILITÀ SOCIO-SPAZIALE DELLE RETI INFRASTRUTTURALI PRINCIPALI

Per cominciare sono stati tracciati gli assi stradali corrispondenti a quelle che attraverso osservazioni dirette e indirette mediante l’utilizzo del tool “traffico” di google maps, sono risultate le reti infrastrutturali maggiormente trafficate all’interno dell’area comunale. Suddivise le strade in base alla toponomastica, operazione che risulterà funzionale alle successive correlazioni, lungo ognuna di queste sono stati poi individuati tutti gli attraversamenti pedonali distinti in base alla tipologia (strisce pedonali, sovrappassi e sottopassi).

Una volta conclusa questa operazione, dividendo i tracciati per il numero degli attraversamenti esistenti lungo le loro estensioni 371, ne sono state ricavate le distanze medie tra gli attraversamenti e contestualmente, sono

371

Eccezion fatta per i sottopassi, ai quali, in funzione del loro scarso appeal di fronte ad una buona parte della cittadinanza che preferisce evitarli a causa della sensazione di pericolo che evocano, è stato assegnato un valore pari a 0,33 (3 sottopassi equivalgono quindi, nel conteggio utilizzato, ad un normale attraversamento pedonale o ad un sovrappasso).

231


stati raggruppati in 3 differenti gradi di impermeabilità socio-spaziale: 1) Moderata impermeabilità: Tracciati aventi una distanza media tra gli attraversamenti inferiore a 200m. 2) Forte impermeabilità: Tracciati aventi una distanza media tra gli attraversamenti compresa tra 200 e 400m. 3) Elevata impermeabilità: Tracciati aventi una distanza media tra gli attraversamenti superiore a 400m.

Lo stesso metodo è stato applicato anche alla rete idrografica 372, lungo la quale sono stati individuati i ponti e le distanze medie tra questi, suddividendone poi i tracciati in base alla frequenza con cui si presentavano.

Utilizzando la distanza media che intercorre tra i ponti del centro storico (dal Ponte Amerigo Vespucci al Ponte San Niccolò) come valore al di sotto del quale i tracciati idrografici risultano essere moderatamente impermeabili dal punto di vista socio-spaziale, i tracciati sono stati anche in questo caso suddivisi in 3 comparti:

372

La rete analizzata è costituita dal fiume Arno, dal Greve, dall’ Ema, dai torrenti Mugnone, Terzolle, Terzollina e Mensola e dal Fosso Macinante.

232


1) Moderata impermeabilità: Porzioni idrografiche aventi una distanza media tra i ponti inferiore a 400m (distanza media tra i ponti del centro storico). 2) Forte impermeabilità: Porzioni idrografiche aventi una distanza media tra i ponti compresa tra 400 e 800m. 3) Elevata impermeabilità: Porzioni idrografiche aventi una distanza media tra i ponti superiore a 800m.

Una volta congiunti i tracciati stradali ed idrografici aventi caratteri di impermeabilità socio-spaziale sono state individuate, secondo i vari gradi d’intensità corrispondenti a quelli dei tracciati entro cui sono comprese, le aree affette da Enclosure: 1) Moderata impermeabilità: Aree cinte per 2/3 o 3/4 (in base alla planimetria)

da

tracciati

stradali

e/o

idrografici

affetti

da

forte

impermeabilità socio-spaziale. 2) Forte impermeabilità: Aree cinte per 2/3 o 3/4 da tracciati stradali e/o idrografici affetti da forte ed elevata impermeabilità socio-spaziale (in proporzione variabile nel caso dei 3/4). 3) Elevata impermeabilità: Aree cinte per 2/3 o 3/4 da tracciati stradali e/o idrografici affetti da elevata impermeabilità socio-spaziale.

233


13-20.

MAPPA

DELLE ENCLOSURE

–

METODO APPLICATO A H

234


235


236


237


5.10 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA DISTRIBUZIONE DELLE TELECAMERE DI VIDEO-SORVEGLIANZA A GESTIONE PUBBLICA

Grazie

all’elenco

delle

telecamere

di

video-sorveglianza

cittadina

gentilmente fornito dal Dirigente dei Servizi Tecnici Filippo Cioni con il contributo e nulla osta dell’Assessore alla Sicurezza Urbana del Comune di Firenze Federico Gianassi, è stato possibile mappare con estrema facilità tutte le aree del territorio comunale ricadenti all’interno del raggio d’azione delle telecamere installate dall’amministrazione.

Una volta georeferenziati tutti i dispositivi è bastato infatti generare un buffer di 50m da ognuno di essi, corrispondente al raggio massimo d’azione mediamente registrato nei dispositivi in commercio, e selezionare i centroidi che vi ricadevano.

238


21. MAPPA DELLA DISTRIBUZIONE DELLE TELECAMERE DI VIDEO-SORVEGLIANZA PUBBLICA

239


5.11 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI GEOSTATISTICHE SULLA DISTRIBUZIONE DELLA RENDITA IMMOBILIARE

La mappa è stata realizzata suddividendo il territorio comunale di Firenze secondo le rendite immobiliari

consultabili

sul

sito dell’Osservatorio

Quotazioni Immobiliari373. In base ai dati raccolti sono emerse 30 aree aventi quotazioni differente che vanno dai 2136 €/m² delle Piagge ai 3854 €/m² della zona comprendente Bobolino, Poggio Imperiale e Pian Dei Giullari. Queste sono state poi raggruppate nei seguenti 5 scaglioni di valori immobiliari: 

Aree comprendenti quotazioni immobiliari comprese tra 2136 e 2480 €/m²

Aree comprendenti quotazioni immobiliari comprese tra 2480 e 2823 €/m²

373

Per eventuali approfondimenti si rimanda https://www.borsinoimmobiliare.it/quotazioni-immobiliari/Toscana/Firenze-Provincia/ Firenze.

240

a:


Aree comprendenti quotazioni immobiliari comprese tra 2823 e 3167 €/m²

Aree comprendenti quotazioni immobiliari comprese tra 3167 e 3510 €/m²

Aree comprendenti quotazioni immobiliari comprese tra 3510 e 3854 €/m²

241


22. MAPPA DELLA DISTRIBUZIONE DELLA RENDITA IMMOBILIARE

5.12 INTERPOLAZIONE GEO-STATISTICA DEI DATI ACQUISITI – CALCOLO DEI MATCH

Una volta ultimate le elaborazioni geostatistiche, confrontandone i dati

242


mediante la griglia esagonale, è stato possibile calcolare i seguenti match, riferiti ai dati collocati nella riga superiore e dei quali sono stati evidenziati i più significativi:

23. MATCH CON I LUOGHI NEI QUALI I CITTADINI PROVANO PAURA E INSICUREZZA (SEGNALATI NEL QUESTIONARIO ONLINE)

24. MATCH CON LE AREE AFFETTE DA POSSIBILI SEGREGAZIONI TERRITORIALI, CON LE AREE AVENTI UNA DENSITA’ ABITATIVA SUPEIORE AI 150 AB/HA E CON LE AREE SULLE QUALI GRAVA UN TASSO DI DISOCCUPAZIONE SUPERIORE

25. MATCH CON I QUARTIERI DI FIRENZE

243


26. MATCH CON I TESSUTI URBANI

27. MATCH CON LE AREE MAGGIORMENTE FREQUENTATE DAI TURISTI

28. MATCH CON LE AREE AFFETTE DA FENOMENI DI ABBANDONO

244


29. MATCH CON LE AREE ENCLOSURE

30. MATCH CON LE AREE RICADENTI ALL’INTERNO DEL RAGGIO D’AZIONE DELLE TELECAMERE INSTALLATE DALL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

31. MATCH CON LE 5 DIFFERENTI FASCE DI VALORI IMMOBILIARI

245


32-33. PROPOSTA METODOLOGICA DEL DEI

CALCOLO MATCH

ESEMPIO

246

–


5.13 ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI STATISTICHE RICAVATE DALL’ANALISI DEL REPORT DI RICERCA

Dall’analisi delle risposte ottenute nel

report

online,

è

realizzare

di

ricerca

stato una

distribuito

possibile serie

di

infine grafici

sull’insicurezza e la paura espressa dai cittadini di Firenze:

247


34-35. RISPOSTE ALLE DOMANDE 27 E 31 DEL QUESTIONARIO

248


36-37-38-39. RISPOSTE ALLE DOMANDE 15-16-27-31 DEL QUESTIONARIO

249


40-41. RISPOSTE ALLE DOMANDE 28 E 29 DEL QUESTIONARIO

250


CONCLUSIONI Questo studio ha cercato d’ideare un metodo per individuare le cause alla base della formazione del sentimento d’insicurezza in città, per decifrare le dinamiche criminali e per estrapolare eventuali correlazioni tra i due fenomeni. A tal fine è stata condotta un’indagine sulla percezione d’insicurezza mediante un questionario distribuito online, sono stati mappati 200 reati penali archiviati compiuti all’interno del Comune di Firenze e sono stati elaborati una serie di dati statistici e geostatistici derivanti dallo studio delle varie teorie analizzate. Le elaborazioni ottenute sono poi confluite nel metodo proposto per estrapolarne le possibili correlazioni, restituendo i risultati che seguono. I cittadini di Firenze, seppur con notevoli variazioni dovute al profilo sociodemografico e al grado di vulnerabilità teorizzato da Evans e Flatcher, al fenomeno dell’altruistic fear aggiunto da Warr e agli effetti della teoria della Place identity di Proshanksy, Fabian e Kamino, oltre ad aver espresso in media una preoccupazione abbastanza elevata rispetto al crimine in città (che ritengono in aumento negli ultimi anni) e un insufficiente grado di sicurezza percepito, hanno dimostrato una buona conoscenza della reale

251


distribuzione dei crimini, ritenendo insicure circa 1/3 delle aree nelle quali avvengono effettivamente dei reati e circa la metà di quelle dove avvengono i reati di spaccio e lesione. Anche per quanto concerne l’incidenza degli stranieri sul totale dei reati analizzati, pari al 62,5% (più del doppio delle ultime stime nazionali pubblicate dal Ministero dell'Interno), i cittadini sembrano dimostrare una buona consapevolezza nonostante alla domanda 29, in cui si chiedeva di indicare

le

aree

maggiormente

geografiche

coinvolti

nella

o

gli

Stati

d’origine

micro-criminalità

degli

stranieri

fiorentina,

abbiano

tralasciato quasi del tutto i cittadini provenienti dal continente americano (che sono invece coinvolti nel 10% dei reati commessi dagli stranieri tra quelli analizzati) per concentrarsi sui cittadini est-europei ed africani, forse condizionati dall’attenzione politica e mediatica che gli è costantemente rivolta. Dal calcolo dei match relativi alle possibili aree affette da segregazione, è emersa un'unica correlazione degna di nota, quella tra le aree della prima carta ed il reato di lesione, che corrisponde al 18,64% del totale dei reati commessi all’interno di tali aree. Le percentuali riferite al reato di lesione però, aumentano drasticamente prendendo in considerazione le sole aree aventi valori di densità abitativa superiori a 150 ab/Ha (30,51%) e quelle aventi valori di disoccupazione superiori al 6% (37,29%).

252


Quanto enunciato sulle problematiche che affliggono le periferie concepite sui dettami dello zooning, ha trovato immediato riscontro nel calcolo dei match, dove è emersa una forte correlazione dei tessuti dell’edilizia pianificata sia con i luoghi della paura estrapolati dal questionario (23,42%), che con molti dei reati che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica e sulla proliferazione della percezione d’insicurezza (25,42% dei furti con destrezza – 45,16% dei furti in abitazione – 46% dei furti di veicoli – 26,32% delle rapine in strada – 35% dello spaccio di stupefacenti – 37,29% delle lesioni). È importante sottolineare come in queste aree si consumi il 38,71% dei reati commessi dagli italiani contro il 23,75% di quelli commessi da cittadini stranieri. All’interno del centro storico della città sono emersi invece, a fronte di una percentuale di luoghi percepiti insicuri pari al 13,90%, il 65% dei reati di spaccio, il 38,98% delle lesioni ed in particolare una forte incidenza dei reati predatori (34,92% furti con destrezza – 32% furti all’interno delle autovetture – 30% furti di veicoli – 26,32% rapine) che ha reso necessaria un’ulteriore analisi riferita all’incidenza del turismo di massa in questo tipo di crimini. Dal match con le aree ad alta frequentazione turistica è emersa una forte correlazione sia con la paura (26,50%) che con il totale dei reati (34,23%), in particolare quelli di tipo predatorio (38,64% dei furti con destrezza – 35,09% delle rapine in strada).

253


Il fenomeno è probabilmente additabile alle maggiori possibilità di successo riscontrate dai criminali in un contesto così fortemente affollato e caotico. Altre corrispondenze significative sono emerse con le lesioni (32,20%), lo spaccio di stupefacenti (65%), dove gioca un ruolo rilevante l’alta presenza di giovani legata alla movida, e con i reati commessi dagli stranieri (40,18%), dovuta al loro maggiore coinvolgimento nei reati di tipo predatorio e a quelli legati al traffico di stupefacenti. Dal calcolo dei match con le aree affette da fenomeni di abbandono, a fronte di una correlazione con le aree percepite insicure pari al 7,73%, è emersa una quota relativa al legame con i crimini del 6,31% che raggiunge il 9,02% escludendo i reati compresi all’interno delle aree ad alta frequentazione turistica. Come per la rilevazione di Sampson e Raudenbush a Chicago, emerge una lieve correlazione con i furti in abitazione (12,90%). Una quota simile si registra per i furti di veicoli (12%) mentre il legame più intenso risulta quello con i furti energetici (17,86%). Dal calcolo dei match con le aree affette da Enclosure sono emerse fortissime correlazioni sia con i luoghi percepiti come insicuri (66,61%) che con la reale incidenza dei reati (37,66%). La quota dei reati sale ulteriormente escludendo le aree ad alta frequentazione turistica (53,55%) e risulta essere decisamente più alta per quanto concerne gli italiani, che qui

254


compiono il 49,60% dei loro crimini contro il 30,21% di quelli commessi dagli stranieri. Il

reato

di

tipo

predatorio

che

risulta

maggiormente

correlato

all’impermeabilità socio-spaziale è il furto in abitazione (80,65%), seguono quello di veicoli (64%), quello energetico (39,29%), le rapine (31,58%) e in ultimo quello con destrezza (26,78%). Forti legami appaiono anche con il reato di spaccio (50%) e con le lesioni (52,54%). Dal calcolo dei match con i luoghi ricadenti all’interno del raggio d’azione delle telecamere pubbliche emerge una correlazione del 23,24% con i reati, quota che raggiunge addirittura il 29,89% in corrispondenza dei reati commessi sul suolo pubblico. Quello che però colpisce sono le forti correlazioni con alcuni tra i reati maggiormente impattanti sul senso d’insicurezza. Se per i furti con destrezza e quelli di veicoli le quote variano dal 21,69% dei primi al 32% dei secondi, per le rapine e i reati di spaccio e lesione, esse raggiungono percentuali superiori al 35% (in ordine: 40,35% 40% - 35,59%). A fronte di questi forti legami con il crimine, non sorprende la correlazione con i luoghi percepiti come insicuri, che si attesta al 13,27% senza considerare il preponderante numero di telecamere orientate verso il suolo pubblico poste a sorveglianza di abitazioni e negozi privati, che aumenterebbero drasticamente la correlazione.

255


Quanto esposto in merito al legame fra la sicurezza e la valorizzazione immobiliare emerge chiaramente dal calcolo dei relativi match, che oltre a confermare questa relazione (i reati commessi all’interno delle 3 aree aventi i valori immobiliari più bassi sono il 65,94% del totale e il 93,17% dei reati compiuti al di fuori delle aree a maggior frequentazione turistica), ne evidenziano un’altra, quella con i luoghi indicati come insicuri nel questionario (l’80,94% della paura viene percepita all’interno delle 3 aree aventi valori immobiliari più bassi).

È importante tener presente l’esiguo numero di fascicoli penali visionati, che in misura maggiore avrebbe certamente fornito risultati differenti e statisticamente più accurati e della natura approssimativa (dovuta alla scala di lavoro) di alcune delle informazioni geostatistiche elaborate, come le aree affette da fenomeni di abbandono, quelle gravate da possibili segregazioni territoriali e quelle intercluse fra gli assi stradali aventi caratteri di impermeabilità socio-spaziale.

Ulteriori ricerche future potrebbero concentrarsi proprio su questi tre fenomeni, cercando di studiare la distribuzione di tutte le inciviltà fisicoambientali e sociali della città, di individuare le possibili aree affette da segregazione utilizzando un indice più completo (comprensivo ad esempio di indicatori relativi al benessere e alle relazioni sociali, al grado di

256


partecipazione culturale, alle condizioni economico-lavorative e sanitarie e ai differenti stili di vita delle varie etnie) e di ridimensionare le aree Enclosure in base ai poli attrattivi e ai reali flussi di mobilitĂ della popolazione.

257


REPORT DI RICERCA – QUESTIONARIO ONLINE * Campo obbligatorio 1. Sesso * Contrassegna solo un ovale. Maschio Femmina 2. Età * 3. Titolo di studio * Contrassegna solo un ovale. Elementare Licenzia Media Inferiore Diploma di Scuola Media Superiore Laurea Triennale Laurea Magistrale 4. Professione * Contrassegna solo un ovale. Disoccupato/a Pensionato/a Casalingo/a Studente/ssa Impiegato/a Commerciante Libero professionista Imprenditore / Dirigente Insegnante

5. Stato Civile *

258


Contrassegna solo un ovale. Coniugato/a Non Coniugato/a 6. Numero componenti familiari * 7. In quale quartiere abita? * Contrassegna solo un ovale. Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia Q5 - Rifredi 8. In passato, ha abitato in altri quartieri? * Contrassegna solo un ovale. Si No 9. Utilizza la bicicletta? * Contrassegna solo un ovale. Mai Ogni tanto Abbastanza Molto 10. Utilizza i mezzi pubblici? * Contrassegna solo un ovale. Mai Ogni tanto Abbastanza Molto 11. Quanto si sente sicuro/a a muoversi in cittĂ con i mezzi pubblici? *

259


Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 12. Quanto si sente sicuro/a a muoversi in città rispetto al traffico come pedone? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 13. Quanto si sente sicuro/a a muoversi in città rispetto al traffico come ciclista? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 14. Quanto si sente sicuro/a a muoversi in città rispetto al traffico come automobilista? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 15. In generale, quanto ritiene sicura la sua città? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 16. E il suo quartiere di residenza? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 17. Dove pensa sia più soggetto/a ad una qualsiasi tipologia di furto? * È possibile indicare anche più opzioni Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia Q5 - Rifredi

260


18. Dove pensa sia più soggetto/a rapina/scippo? * È possibile indicare anche più opzioni Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia Q5 - Rifredi

ad

essere

vittima

di

19. Dove pensa sia più soggetto/a ad essere vittima di qualsiasi tipologia di violenza fisica? * È possibile indicare anche più opzioni Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia Q5 - Rifredi 20. Dove pensa sia più soggetto/a ad essere sollecitato all'acquisto di droghe? * È possibile indicare anche più opzioni Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia Q5 - Rifredi 21. Dove pensa sia più soggetto/a ad incorrere in un incidente stradale? * È possibile indicare anche più opzioni Q1 - Centro Storico Q2 - Campo di Marte Q3 - Gavinana / Galluzzo Q4 - Isolotto / Legnaia

261


Q5 - Rifredi 22. Ci sono delle strade o dei tratti in particolare dove si sente poco sicuro/a rispetto al traffico come automobilista? 23. Ci sono delle strade o dei tratti in particolare dove si sente poco sicuro/a rispetto al traffico come ciclista? 24. Ci sono delle strade o dei tratti in particolare dove si sente poco sicuro rispetto al traffico come pedone? * 25. Ci sono delle aree in particolare (strade, piazze, parchi, giardini, locali, etc) che cerca di non frequentare o nelle quali si è sentito/a insicuro/a? * 26. Cosa pensa le potrebbe accadere in queste aree? * È possibile indicare anche più opzioni Subire violenze fisiche Subire un furto (mezzo di trasporto) Subire una rapina / scippo Essere sollecitato/a all'acquisto di droghe Altro: 27. Quanto pensa sia sviluppato il fenomeno della microcriminalità a Firenze? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 28. Quanto pensa sia connesso il fenomeno della microcriminalità a soggetti stranieri? * Contrassegna solo un ovale. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 29. Quale pensa sia la zona di provenienza di questi soggetti? (Stato o area geografica)

262


30. Quali delle seguenti problematiche pensa siano maggiormente diffuse nella sua città? * È possibile indicare anche più opzioni Violenze / Aggressioni personali Furti Rapine / Scippi Spaccio Traffico Altro: 31. Il tasso di criminalità negli ultimi anni è: * Contrassegna solo un ovale. Aumentato drasticamente Aumentato Rimasto invariato Diminuito Diminuito drasticamente 32. Avverte la presenza di forze dell’ordine nel suo quartiere? * Contrassegna solo un ovale. Per niente Poco Moderatamente Abbastanza Molto 33. E nella sua città in generale? * Contrassegna solo un ovale. Per niente Poco Moderatamente Abbastanza

263


Molto 34. Cosa andrebbe fatto per aumentare il senso di sicurezza nella sua cittĂ ? *

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