anno VII numero 63 aprile 2010
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
PUGLIA SOPRA LE RIGHE E non te lo spieghi. Passi i giorni a fare tutto il possibile per te e per le persone che ami e alla fine un fulmine spegne la luce. In momenti come questi, quando c’è solo e buio e silenzio capisci alcune cose. Che ci sono vite veloci che lasciano il segno, vite normali e vite speciali, persone messe su questo pianeta per fare qualcosa, altre investite di una missione, di una sensibilità verso il mondo diversa, tanto forte, delle volte, da poter rompere un cuore. Chi fa il nostro lavoro, quello del giornalista, dinanzi a notizie come questa si sente un uomo piccolo, incapace e inutile. Chi fa questo mestiere come lo faceva Michele Frascaro ha un senso, tanto da essere impopolare e allo stesso tempo conosciuto da tutti. Non ho mai avuto coraggio, chi mi conosce lo sa. Michele ne aveva al punto da regalarlo agli altri, una passione generosa e contagiosa. Anche se noi di Coolclub.it più che militanti siamo millantanti ed effimeri più che impegnati, siamo da sempre vicini ai compagni di Paz e all’Impaziente. Perché come per loro prima che il lavoro è l’amore a legarci, di quello fraterno. E quando un fratello muore, tutto si ferma. Michele se n’è andato il 21 marzo e questo numero
non può che essere dedicato a lui. A chi resta, oltre alle lacrime e ai ricordi, la piccola storia di un grande uomo. Su questo non voglio aggiungere altro. Molti hanno detto anche troppo. Non senza difficoltà abbiamo, alla fine, chiuso questo numero del giornale e con esso la trilogia dedicata alla cultura in Puglia. Un numero dedicato alla scrittura, alla nuova stagione della letteratura pugliese a quello che, forse solo in apparenza, è un rinascimento pugliese. Abbiamo cercato di capire se la vivacità registrata in questi ultimi anni sia frutto di una crescita o semplicemente il riconoscimento di una scena che da sempre è popolata di grandi autori. Quello che conta è che questo sud sa raccontarsi e farsi leggere da sempre più persone, che la Puglia approda ai grandi editori, ai premi e alla direzione editoriale di collane e case editrici. Una Puglia “migliore” che ci piace festeggiare nel giorno in cui, mentre scriviamo, si gioca il destino politico dei prossimi anni che ci auguriamo di raccontare ancora, con lo stesso entusiasmo di sempre e con l’imbarazzo di dover scegliere tra tante cose belle. Osvaldo Piliego Editoriale 3
CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 7 Numero 63 aprile 2010 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala Hanno collaborato a questo numero: Vincenzo Santoro, Mara Barone, Tobia D’Onofrio, Dario Quarta, Lori Albanese, Dino Amenduni, Valeria Blanco, Arcangelo Licinio, Stefano Donno. Omar Di Monopoli, Michela Carpi In copertina: un piede, dei libri Ringraziamo Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Cooperativa Paz di Lecce e le redazioni di Blackmailmag. com, Radio Popolare Salento, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Salento WebTv, Radiodelcapo, Musicaround.net. Progetto grafico erik chilly Impaginazione dario Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione gioendo per Nichi e pensando a Michi Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: pierpaolo@coolclub.it 3394313397
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
Una scrittura di migrazioni 6 La letteratura si nutre di partenze 8 Le mode sono sempre effimere 10 Dieci libri 16 musica
Two Door Cinema Club 18 Sophia 22 Recensioni 28 Salto nell’indie - Indie Box 40 Libri
Sergio Rubini 42 Carlotta De Melas 44 Recensioni 48 Cinema Teatro Arte
Nel Salento delle mine vaganti 54 Recensioni 56 Arturo Cirillo 58 Eventi
Calendario 60 sommario 5
UNA SCRITTURA DI MIGRAZIONI
Carlo D’Amicis, scrittore e redattore di Fahreneit, delinea la nouvelle vague pugliese
Il nostro viaggio nel mondo della cultura pugliese degli ultimi cinque anni si chiude con la letteratura. Un argomento sterminato che, come e più degli altri, nasconde insidie e invidie. L’editoria è sempre in crisi, si legge poco ma il numero degli scrittori aumenta. Tutti vogliono pubblica6
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re, tutti credono di avere nel cassetto un capolavoro. E aumentano anche gli editori (più o meno veri). Parlare di libri significa parlare di narrativa, saggistica, poesia e molto altro. Sarebbe stato difficile (o meglio, impossibile) fare un censimento di quanto uscito in Puglia negli ultimi anni.
Ci siamo affidati, innanzitutto, all’esperienza di Carlo D’Amicis, Nicola Lagioia, Mario Desiati. Tre dei tanti scrittori pugliesi di nascita ma “forestieri” di adozione, rappresentanti di quella fuga di cervelli che spesso viene citata solo per la ricerca scientifica e mai per il giornalismo, la comunicazione, l’arte, la musica, la narrativa, la filosofia. Partiamo con Carlo D’Amicis, classe 1964, originario di Sava, redattore di Fahreneit, la trasmissione di Radio 3 interamente dedicata ai libri. Ha pubblicato i romanzi Piccolo Venerdì (Transeuropa, 1996), Il ferroviere e il golden gol (Transeuropa, 1998), Ho visto un re (Limina, 1999), Amor Tavor (Pequod, 2003) e per Minimum Fax Escluso il cane (2006) e La guerra dei cafoni (2008). Si parla spesso di una nouvelle vague pugliese. Esiste dunque una scena letteraria che in qualche modo caratterizza questa regione? Mi sembra un fatto oggettivo che ci sia stato un affollarsi di voci che provengono dalla Puglia soprattutto a confronto di un passato in cui gli scrittori pugliesi che approdavano a case editrici nazionali erano pochissimi. Quindi che ci sia una scena letteraria pugliese è un fatto innegabile come è anche innegabile che ci sia una schiacciante supremazia rispetto alle altre regioni del Sud, se escludiamo la Campania e la Sicilia che meritano un discorso a parte. Che cosa differenzia la Puglia dalle altre regioni del Sud? Ci sono delle cose che saltano all’occhio e che sono legate alle condizioni sociali e alla criminalità organizzata che nelle altre regioni del Sud sono più schiaccianti. In Puglia questa situazione è meno critica rispetto a Sicilia, Campania e Calabria. Eppure c’è una sorta di contraddittorietà nell’equazione meno criminalità più letteratura. Se pensiamo infatti alla camorra in Campania che ha portato ad una sorta di folclore della devianza, oppure alla letteratura di mafia in Sicilia dove autori molto differenti come Sciascia e Camilleri hanno attinto a questo immaginario. Quindi non so se questa ragione può essere accampata. Che cosa è successo recentemente in Puglia? C’è stato secondo te un cambiamento di qualche tipo (sociale, politico, culturale) che ha contribuito alla rinascita della narrativa pugliese? Credo che in Puglia si sia verificato un cortocir-
cuito un po’ tra i tre tempi (presente, passato, futuro) e un po’ che si sia condensata la dimensione temporale. Infatti da una parte c’è un senso della tradizione molto forte, dall’altra ci sono spinte in avanti che hanno reso la Puglia un luogo per certi versi all’avanguardia. E da una parte ci sono Italsider, Ilva, Cerano e lo spettro del mostro nucleare e dall’altra masserie, trulli, campagne bellissime. La contiguità di spinte in avanti e di vestigia del passato è molto letteraria. Uno strabismo tra futuro e passato, tra quello che è stato e quello che sarà, tra il movimento interiore di nostalgia e i fermenti. C’è nell’animo di tutti i pugliesi la voglia e la necessità di andare via, di allontanarsi ma allo stesso tempo c’è un senso della tradizione e del passato molto forte. Il movimento della pizzica e della taranta che affonda in un orgoglio del proprio passato e poi diventa un business sfrenato che assomiglia più ad un mega rave che al De Martino della Terra del rimorso. C’è il degrado da una parte e questo incanto naturale dall’altra. Questo tipo di contrasto è abbastanza potente. Molti scrittori, come te, sono pugliesi di nascita ma vivono fuori da molti anni. Io credo si possa parlare di una scrittura di migrazione. Moltissimi autori pugliesi non vivono più là. Non so quanto sia solo pugliese come fenomeno, questo flusso migratorio continuo però effettivamente ha generato molta scrittura. Questo allontanarsi in molti è uno stimolo a dedicarsi alla scrittura. Spesso, se non c’è quel passo indietro che ti consente di guardare te stesso o le cose che vuoi raccontare, non c’è letteratura. Quali sono oggi le voci più interessanti della narrativa pugliese? Innanzitutto Nicola Lagioia, Mario Desiati, Alessandro Leogrande che, ognuno con il proprio stile, vedono le cose nella loro profondità raccontando la puglia contemporanea ma anche riappropriandosi del proprio passato senza cadere in una letteratura stereotipata. Si corre il rischio di creare una regione com’era la Napoli del sole, della pizza e del mandolino. Invece molti scrittori pugliesi non cavalcano gli stereotipi e ci consegnano un’immagine corretta. Ci sono libri più allegorici o più descrittivi che comunque cercano di girare intorno a questo rischio. Tra gli altri cito anche Rossano Astremo e Elisabetta Liguori che hanno scritto insieme un bel libro sul disfacimento della famiglia, Cosimo Argentina, Emiliano Poddi, Omar di Monopoli, Vito Bruno. Pierpaolo Lala PUGLIA SOPRA LE RIGHE 7
LA LETTERATURA SI NUTRE DI PARTENZE Intervista a Mario Desiati, scrittore ed editor di Fandango libri
Giovane, pugliese e di successo, Mario Desiati è uno di quelli che ha fatto un sacco di cose, uno di quelli che ha fatto la gavetta, come si dice. Cresciuto a Martina Franca ha scelto poi Roma. È del 2003 il suo primo libro Neppure quando è notte uscito per PeQuod. Ma Mario è anche poeta, giornalista (collabora con Repubblica e Panorama), è stato caporedattore della rivista Nuovi Argomenti e attualmente direttore editoriale di Fandango. Il suo ultimo romanzo Il paese delle spose infelici (Mondadori) ha vinto il premio Ferri – Lawrence e il premio Mondello. Mario Desiati è oggi una delle voci più interessanti della nuova e sulla nuova narrativa italiana, un modello di nuovo intellettuale che vive il mondo della scrittura a 360°. Legato alla sua terra la racconta nei suoi libri e ne parla con noi. 8
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La letteratura pugliese è un sistema complesso. Oggi è più che mai è difficile tracciare una mappatura precisa dei suoi autori, molti hanno oltrepassato i confini regionali affermando l’idea di una nuova letteratura del Sud. Tu sei protagonista (come scrittore) e lettore (come editor) di questo rinascimento. Come vivi e come vedi questo momento? Sono molto felice, ma credo che non si tratti di un rinascimento, semplicemente in questa terra sono avvenute alcune cose prima che nel resto del Paese. Innanzitutto qui è avvenuta prima che nel resto d’Italia la mutazione antropologica attraverso la massiccia ondata migratoria del 1991, quando in Italia gli emigranti erano ancora pochissimi e si identificavano soprattutto
In foto: Taranto (ph. Paolo Margari)
L’emigrazione massiccia come già detto, la commistione potente delle genti e delle loro culture, poi se devo fare un nome decisivo per l’apertura di questa regione credo che quello di Edoardo Winspeare sia il più giusto. Dalle feste di Pizzica e Comunione, passando ai suoi documentari e film, l’associazione Coppula tisa, quello che si è mosso attorno a lui. Quali sono i pugliesi più interessanti che hai avuto modo di leggere o conoscere in questi ultimi anni? Il mio preferito è Cosimo Argentina, ho subito fatto il diavolo a quattro per portarlo in Fandango Libri. Cuore di cuoio e Maschio adulto solitario sono due piccoli libri di culto che raccontano la mia terra con durezza e senza sconti. Il ritorno alle storie, alla giovinezza, il raccontare una generazione è parte del tuo ultimo libro Il paese delle spose infelici. Un libro in cui racconti una Puglia contraddittoria che non è solo sfondo ma personaggio. Quanto la terra incide sulla scrittura? Senza la terra non scriverei, scrivo in quanto mi manca disperatamente e quando vi sono ne scrivo perché non è quella che mi mancava. Credo sia la contraddizione di molti scrittori del Sud.
nei cosiddetti vucumprà e nei lavavetri. La nave Vlora con i suoi 20.000 albanesi fu il nostro muro di Berlino. E se guardi al passato. Credi che questa generazione di scrittori sia figlia di una terra, di esperienze letterarie autoctone, o piuttosto di un’apertura verso l’esterno? Entrambe. Molti dei narratori di oggi sono andati via, la letteratura si nutre di ritorni ha scritto Naipul, per me si nutre anche di andate, perché lo sguardo cambia, si affina, iniziano a mancare le cose che sono sempre state davanti agli occhi e assumono un’aura diversa. Cosa o chi secondo te ha dato vita a questa rinascita?
La tua esperienza come capo redattore della rivista Nuovi Argomenti e oggi come editor di Fandango libri ti offre una prospettiva privilegiata sulla letteratura italiana. Di cosa si scrive oggi e di cosa bisognerebbe scrivere? Cosa consiglieresti a un giovane autore? Di raccontare quello che gli piace, ma anche quello che vorrebbe cambiare e soprattutto scrivere qualcosa per cui si è disposti a perdere tutto. Farsi questa domanda come mantra: “Quanto sono disposto a perdere della mia vita per questo romanzo?” In questo numero abbiamo intervistato il tuo conterraneo Nicola Lagioia. Avete storie più o meno simili. Tutti e due siete partiti senza dimenticare le vostre origini. Credi sia ancora necessario andarsene o ci sono i presupposti per scrivere e vivere di scrittura anche in Puglia? Bisogna andare via per conoscere, poi decidere se tornare o no. Dieci anni fa era impensabile immaginare che la Puglia fosse la seconda regione italiana per l’industria cinematografica. Magari un domani potrà accadere anche con quella editoriale. Osvaldo Piliego PUGLIA SOPRA LE RIGHE 9
In foto: Bari (ph. Paolo Margari)
LE MODE SONO SEMPRE EFFIMERE Intervista a Nicola Lagioia, scrittore ed editor di minimum fax Dopo Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj del 2001 il barese Nicola Lagioia non si è mai fermato. Occidente per Principianti è uscito nel 2004 (Premio Scanno, finalista Premio Bergamo, finalista Premio Napoli). Segue 2005 dopo Cristo e il saggio Babbo Natale. Ovvero come la Coca-Cola ha colonizzato il nostro immaginario collettivo, oltre alla partecipazione a diverse antologie. È curatore per minimum fax della collana Nichel. Qualche anno fa, durante una sorta di stati generali della letteratura pugliese, preconizzasti un panorama letterario che ora sembra più che mai delineato e definito. Come vedevi e come vedi la Puglia che scrive? 10 PUGLIA SOPRA LE RIGHE
La Puglia che scrive, che fa film, teatro, musica è evidentemente ormai una realtà importante. Non era mai successo prima, con una simile vitalità e eterogeneità. Vorrei a ogni modo ricordare – fosse anche per orgoglio – che il fenomeno è nato senza il minimo aiuto da parte di istituzioni, quasi sempre con gli scrittori, i registi, i musicisti, gli artisti che si sono giocati tutto in prima persona. Lacapagira, che è del 2000 e, almeno dal punto di vista cronologico, ha aperto il varco, è forse stata prodotta in Puglia? La letteratura del Sud, non solo negli scenari ma anche nei temi è oggi à la page. C’è un perché in questo fenomeno?
Se è à la page vuol dire che è già morta, dunque spero dia il meglio di sé quando sarà passata di moda. Le mode sono effimere, stupide, e spesso vampiresche persino con quel po’ di buono da cui sono state generate. Sul perché non saprei, a parte il fatto che forse, una regione per lungo tempo lontana dai grandi riflettori, ha avuto tutto il tempo e i modi per mantenere viva, e anzi rinnovare la propria identità senza troppi sputtanamenti. Dunque il difficile arriva adesso. La Puglia è cambiata molto in questi anni, secondo te è merito della politica, di una sorta di flusso di ritorno di alcuni talenti, o semplicemente la normale evoluzione di una terra? Valga per questo (sebbene non sia sufficiente) la risposta precedente. Sulla politica rimango cauto. Spero che Nichi Vendola, dopo aver vinto queste elezioni regionali, non si innamori troppo di se stesso, perché questo rischia di essere il suo tallone d’Achille. Su Emiliano ho invece già perso da tempo le speranze: subito dopo essere stato rieletto, la prima mossa del sindaco è stata sbarazzarsi dell’assessore alla cultura tenendo per sé la delega: il rischio è del ritorno della cultura come folklore, la sagra del trullo e della cima di rapa. Eppure la cultura potrebbe essere davvero uno dei nostri trampolini di lancio. Guardate a cosa hanno fatto Mantova e Gavoi con i loro festival letterari. Tra scrittori del sud e scrittori che scrivono del Sud la lista è lunghissima, quali sono i nomi più interessanti? La lista è veramente troppo lunga. Per rimanere alla Puglia, e alla prosa, mi piacciono tutti gli scrittori che, pur parlando di provincia (o anzi, a maggior ragione), si sono smarcati dal provincialismo, come Andrea Piva, Carlo D’Amicis, Mario Desiati, Liviano D’Arcangelo, Giancarlo De Cataldo o il Cosimo Argentina di Maschio adulto solitario. Ne ho dimenticato sicuramente qualcuno. La Puglia non è solo terra di autori ma an-
che di editori, come vedi questo fiorire di possibilità? Guardo al fermento editoriale pugliese con speranza. Credo che – per quelli che ancora la praticano – non si faranno passi avanti con le pubblicazioni a pagamento. Aspetto (e spero ardentemente) che a un certo punto venga fuori la Sellerio pugliese. Fino a quando non accadrà, alla cultura della nostra regione mancherà sempre qualcosa. Insomma, un editore pugliese di rilevanza nazionale… C’è la Laterza, certo, ma io ne vorrei un’altra, di eguale importanza, che si occupi anche di narrativa e di poesia. Spero che a Manni, o a Besa, o a un’altra delle emergenti case editrici pugliesi, accada quello che è accaduto per esempio a e/o. Dirigi una delle collane di letteratura italiana più ambite. Hai, giusto per citare un’antologia pubblicata da voi, la cognizione della qualità dell’aria della narrativa italiana. Com’è il nuovo panorama letterario? Dove credi si stia indirizzando? Credo che la letteratura di casa nostra abbia dato, negli ultimi quindici anni, segni di grande vitalità, il che non significa necessariamente l’eccellenza. La riscoperta del nostro Paese, dopo gli anni Novanta che furono il decennio dell’escapismo e dell’esotismo, mi sembra il dato più significativo. Il tuo ultimo romanzo Riportando tutto a casa fa i conti con la tua città (Bari) e con un periodo storico ben definito e delineato (gli anni ’80). È un romanzo che credo racconti molto di te, perché queste scelte oggi? È una tendenza generale? Credi ci sia un bisogno di raccontare la storia e le vite di questo paese? Forse è meglio che la risposta a queste domande le dia direttamente il romanzo, o voi lettori, non le dichiarazioni d’intenti dell’autore. In questo numero di Coolclub.it abbiamo intervistato anche il tuo collega Mario Desiati. Anche lui scrittore ed editor, un altro pugliese approdato alla grande editoria. Cosa ne pensi? Gli auguro di continuare a fare bene il suo lavoro come ha dimostrato in questi anni. Come scrittore, che continui a scrivere bei romanzi. Come editor, che faccia scrivere a Cosimo Argentina il bel romanzo di cui sicuramente è capace. Osvaldo Piliego PUGLIA SOPRA LE RIGHE11
NATI IN PUGLIA. E ALLORA? Piccola rassegna di letteratura in Puglia e letteratura pugliese 12
La letteratura in Puglia è cosa ben diversa dalla letteratura pugliese. La differenza rispecchia quella che si cercava di stabilire fino a qualche anno fa, non senza affanno, tra “scrittori meridionali” e “scrittori meridionalisti”. Non esistono da tempo, ormai, in Puglia, gli autori da campanile, e tantomeno lo sono gli scrittori degli ultimi anni: sono narratori. E basta. Sono poeti. Che siano nati in Puglia è un elemento trascurabile per il pubblico. Finalmente deve essere trascurabile. Del resto, una buona parte pubblica i propri libri con case editrici che hanno rilevanza (cioè, distribuzione) nazionale. E non è un caso che inizino già a vedersi volumi sulla recente cultura letteraria della regione, come La letteratura del Novecento in Puglia curata da Ettore Catalano, a conferma della radicata dignità intellettuale degli scrittori pugliesi sul territorio nazionale. Foggia, Bari, Brindisi, Taranto e Lecce regalano in questi anni una spumeggiante esplosione di romanzi e raccolte poetiche. La poesia di Capitanata, per esempio, è ravvivata dai nomi di Lucio Toma e della giovanissima Matia Curci; la narrativa annovera, invece, l’esperta mano di Guido Manfredonia e, fino al 2008, anche quella spassosa e grottesca di Giuseppe Cassieri. Ed è foggiana anche l’ironica Valeria Di Napoli, nota con lo pseudonimo Pulsatilla, autrice de La ballata delle prugne secche e Giulietta Squeenz. Ma la terra che, non dimentichiamolo, ha partorito Andrea Pazienza, conta tra i suoi scrittori anche Piernicola Silvis, interessante autore noir o, comunque, vicino al genere poliziesco. Il capoluogo da parte sua vanta poeti che, negli ultimissimi tempi, hanno offerto prove significative: Enzo Mansueto, Francesco Lorusso, Luigi Abiusi, Raffaele Fiantanese e Gianni Antonio Palumbo, tutti a loro modo rigidi, irrequieti e problematici. La narrativa barese è ancora più florida e certamente più fortunata della poesia. La penna prolifica di Giorgio Saponaro ha prodotto solo negli ultimi cinque anni ben quattro romanzi; e non è da meno Nicola Lagioia, ormai famoso a livello nazionale sia per il grande successo dei suoi romanzi (pubblicati da Fazi, Einaudi, minimum fax), sia per l’inarrestabile fenomeno dell’“è famoso: l’ho visto in tv”. Ciò, ovviamente, nulla toglie alla qualità, difficilmente discutibile, dei romanzi. Stessa sorte felice anche per Gianrico Carofiglio, fortunatissimo autore di famosi “legal thriller”, talento riconosciuto e apprezzato in tutta Italia. Ma, in terra di Bari, oltre ai magistrati prestati alla narrativa, non vanno sottovalutati i giornalisti che si cimentano in questo genere, come Piero Colaprico e Beppe Lopez. Un caso letterario è nato, poi, intorno
ai due giovani autori televisivi Tommy Dibari e Fabio Di Credico il cui romanzo La Cambusa ha riscosso un grande successo esclusivamente grazie al meraviglioso prodigio del passaparola, che dall’editore Schena l’ha fatto balzare alla Rizzoli. Sembravano la Cenerentola della letteratura pugliese, e invece anche Brindisi e Taranto negli ultimi tempi hanno fatto un bel salto di qualità (e quantità). Basti pensare, per Brindisi, allo sperimentalismo poetico di Nadia Cavalera e alle prove narrative di Antonio Caiulo e di Osvaldo Capraro. Ma è Taranto, in particolare, che balza in primo piano: Giancarlo De Cataldo, da Romanzo criminale in poi, è uno dei fiori all’occhiello della letteratura nata da ingegno pugliese. E Mario Desiati è uno dei più grandi autori della ribalta nazionale. Ma non dispiace anche la meno famosa Anna Lucia Lomunno, già spiritosa e pungente in Rosa sospirosa e Nero sud, e da poco uscita con Troppe donne per un delitto. Il Salento ha una più lunga tradizione, o forse semplicemente un passato letterario più brillante, e conferma negli ultimi tempi la sua vivacità, pur non avendo un autore che si impone sul panorama nazionale e nelle classifiche di vendita. Il “sempreverde” Giovanni Bernardini, attivo fin dalla fine degli anni Sessanta, ha appena pubblicato l’ennesimo piacevolissimo romanzo. Ed anche Giuseppe Minonne è un attivissimo portabandiera delle “vecchie” leve. La generazione più recente, poi, sembra avere una riserva infinita di originalità e desiderio comunicativo: la firma nota dei giornalisti Antonio Errico e Raffaele Gorgoni è in calce anche a non pochi racconti e romanzi, e li segue (solo per quantità inferiore di pubblicazioni, non certo per qualità) Armando Tango, pseudonimo dietro il quale si cela il giornalista Teo Pepe. Ha esordito addirittura con Einaudi Livio Romano, che continua oggi la sua fervida attività narrativa con editori di minor fama ma altrettanto stimabili. Sono emersi intanto, negli ultimissimi tempi, e consolidano con ritmo incalzante la propria fama, autori come Stefano Donno, Pierluigi Mele, Luisa Ruggio, Tony Sozzo, Vito Antonio Conte, Paolo Vincenti, Nino Gianni D’Attis, Martina Gentile, Raffaele Polo, Elisabetta Liguori e Rossano Astremo. Gli ultimi due hanno addirittura pubblicato, proprio di recente, anche un libro a quattro mani: una felice dimostrazione del particolare affiatamento esistente tra le giovani leve salentine, che iniziano a farsi apprezzare anche fuori dai confini regionali. Qualcuno diceva che la letteratura, come la nobiltà, è nel sangue. Mara Barone PUGLIA SOPRA LE RIGHE13
LA PUGLIA IMMAGINATA Una regione scritta da altrove 14
Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli scrittori pugliesi che si sono imposti alla ribalta nazionale, arrivando a pubblicare anche per case editrici importanti. Occorre tener presente però che, in molti casi, questi scrittori vivono ormai da anni (a volte da moltissimi anni) fuori dalla Puglia, per cui forse la categoria di “scrittore pugliese” andrebbe usata con più cautela. Uno sguardo alla Puglia come nuova location di un certo immaginario letterario non può però a mio avviso prescindere da un altro fenomeno, che riguarda invece numerosi scrittori che, pur non pugliesi, hanno scelto la nostra regione – che è diventata per loro quasi una “seconda patria”, e in cui risiedono per lunghi periodi dell’anno -, per ambientare le loro opere. Questo fenomeno riguarda soprattutto il Salento che pare essere diventato un vero e proprio “scenario ideale” per romanzi, ma anche per opere teatrali, film, fiction televisive. In molti casi, questa produzione letteraria si muove in parallelo con la tumultuosa “rinascita della pizzica” degli ultimi anni, per cui le opere di questi scrittori, singolarmente, fanno in vario modo riferimento proprio al “Salento pizzicato”, con i suoi luoghi, i suoi protagonisti e i suoi riti. A voler dare una parziale rassegna, possiamo cominciare, in ordine cronologico, dal romanzo Delle volte il vento, della bolognese Milena Magnani (Vallecchi 1996), ambientato a Otranto, nel periodo di maggiore intensità degli sbarchi dei “migranti”, che descrive, attraverso la storia di un’amicizia difficile tra una donna del posto e un’“albanese”, le conseguenze dello sradicamento e dell’esilio forzato. Nei dialoghi troviamo spesso l’uso del dialetto salentino e nella narrazione sono continui i riferimenti ad elementi della cultura popolare locale. Sempre sulla città adriatica, non si può non citare Otranto di Roberto Cotroneo (Mondadori 1997), scrittore che ha col Salento e con la città idruntina un legame speciale. Il libro, chiaramente debitore verso L’ora di tutti di Maria Corti, descrive Otranto come una città onirica, metafisica, carica della presenza costante delle memorie dei tragici avvenimenti che vi si sono svolti. L’ambientazione salentina e le suggestioni del tarantismo le troviamo successivamente in Casa rossa di Francesca Marciano (Longanesi 2003), complesso affresco narrativo che attraversa la storia italiana dagli anni ’30 ai giorni nostri, ambientato tra Roma, New York e la Casa Rossa della famiglia della protagonista, situata nel Sud Salento. Il libro contiene numerosi riferimenti alla musica salentina, e una scena di te-
rapia domiciliare di una tarantata, ambientata negli anni ’50, chiaramente ispirata alle descrizioni demartiniane. Il testo più spiazzante fra quelli da noi considerati è certamente Rosso taranta, di Angelo Morino (Sellerio 2006), in cui l’autore rilegge, ancora una volta, La terra del rimorso, e, contemporaneamente, dopo una visita nel Salento nel giugno del 2001, ripercorre in prima persona le tappe della ricerca dell’etnologo napoletano, riportando lo svolgimento del suo viaggio in una sorta di singolare “diario sul campo”. Ne deriva un libro inquietante e controverso, in cui in molti casi l’autore pare forzare i dati della realtà, alla ricerca di quelle che appaiono sue personali ossessioni. In foto: Ernesto De Martino
Di tutt’altro tenore è invece Il bacio della tarantola di Giovanna Bandini (Newton Compton 2006), che, senza mediazioni di sorta, cerca di sintonizzarsi con il movimento musicale salentino (e in particolare con la rappresentazione che ne dà Edoardo Winspeare in Sangue Vivo), con i suoi protagonisti, i sui luoghi topici, il suo linguaggio e, naturalmente, con la sua musica e la sua danza. La trama appare quasi come un pretesto per descrivere “quel” Salento, profondamente vissuto e amato dall’autrice. Da notare inoltre la presenza frequente di espressioni del dialetto del Capo di Leuca, quasi sempre usato in maniera pertinente e corretta. Per concludere la nostra rassegna, dobbiamo citare l’importante primo romanzo della musicista Teresa De Sio, Metti il diavolo a ballare (Einaudi 2009), ambientato nel Salento degli anni ’50, che descrive una terribile vicenda di soprusi a cui è sottoposta una bambina di origini umili, che, per sfuggire alla propria condizione e “espiare” il proprio male, a un certo punto diventa tarantata, e viene costretta a “curarsi” con la musica. Anche in questo caso, le descrizioni dell’esorcismo domiciliare risentono in maniera evidente dello “sguardo” demartiniano. Vincenzo Santoro PUGLIA SOPRA LE RIGHE15
DIECI LIBRI...
... di autori pugliesi segnalati da Coolclub.it Cosimo Argentina Maschio Adulto Solitario Manni Editore
Se Herman Hesse fosse vissuto a Taranto oggi, questo sarebbe il suo Lupo della steppa. Alessandro Leogrande Uomini e caporali Mondadori
Un’accurata inchiesta per raccontare le storie dei nuovi schiavi delle campagne pugliesi
nostro Paese (gli anni ’80) e le delusioni del nostro presente. Carlo D’Amicis La guerra dei cafoni minimum fax
Il cambiamento collettivo dell’Italia degli anni 70 attraverso le storie di ragazzi indemoniati e cafoni Mario Desiati Il paese delle spose infelici Mondadori
Divertente, ironico, irriverente e intelligente sguardo sull’uomo contemporaneo nel profondo Sud d’Italia. Omar Di Monopoli Ferro e fuoco ISBN Il pomodori-western di Omar Di Monopoli non smetterà mai di affascinarci con i suoi avverbi e i suoi aggettivi che fanno tanto tanto southern gothic. Rossano Astremo Elisabetta Liguori Tutto questo silenzio Besa Editore
Nicola Lagioia Riportando tutto a casa Einaudi
Il sud avvelenato e l’amore assoluto e maledetto, l’educazione erotica di due ragazzi e la Taranto di Cito. Il tutto scritto con l’eleganza dei classici.
Attraverso le vite e i sogni di tre ragazzini e la loro formazione scopriamo un decennio del
Nino G. D’Attis Mostri per le masse Marsilio D’Attis ci accompagna per mano verso il baratro dell’odio e del nero più profondo. E al limite del pozzo ci da una bella spinta e ci lascia scivolare senza corda di protezione. Un racconto più nero del nero per lo scrittore salentino.
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Livio Romano Niente da ridere Marsilio
Un romanzo a quattro mani ma ad una sola voce per il decadimento della famiglia italiana Francesco Dimitri Pan Marsilio Peter Pan è tornato. E con lui Capitan Uncino. Ma chi è davero il cattivo tra i due?
NON È TEMPO PER LA SIESTA
Intervista al critico Filippo La Porta che esprime le sue idee sul rinascimento letterario pugliese
Il bravo editore Manni ha pubblicato È finita la controra, un’antologia curata dal critico Filippo La Porta che raccoglie brani dai romanzi di diciannove scrittori pugliesi nati tra il 1956 e il 1986. Secondo La Porta la scena letteraria pugliese è “affollata e vitalissima”. La Puglia sta vivendo un nuovo rinascimento letterario, o Nuovelle Vague grazie alle “contraddizioni, che, ovunque presenti, vi sono estremizzate: tra arcaico e postmoderno, globale e locale, moralità e corruzione, illegalità e bisogno di ordine”. Una premessa è d’obbligo: fa molto piacere vedere raccolte in un unico volume alcune delle migliori pagine scritte da autori pugliesi negli ultimi anni. Leggere, come se fosse un unico grande racconto, le storie di Puglia e di pugliesi. I diciannove autori raccolti nel libro sono diversissimi tra loro per genere e tematiche trattate: si va dal giallo-noir di De Cataldo, Carofiglio, Lomunno e, se vogliamo, De Michele, al western pugliese di Omar Di Monopoli, ai reportage di Alessandro Leogrande, al blog trasferito su carta di Pulsatilla, alle invenzioni narrative e linguistiche di Livio Romano, Carlo D’Amicis, Mario Desiati e Cosimo Argentina, allo sguardo cinematografico di Andrea Piva. Ma i diciannove autori sono diversissimi tra loro
anche per storie personali e per il loro rapporto con “l’astronave madre”. Ci sono gli “emigranti”, la maggior parte, come De Cataldo, D’Amicis, Argentina, Desiati, Vito Bruno, De Michele, Leogrande, Piccinni, Emiliano Poddi, Pulsatilla, Angela Scarparo. A questi va aggiunto Omar Di Monopoli, che dopo aver scritto i primi romanzi nella sua Manduria si è trasferito anche lui a Roma. E poi ci sono quelli che “resistono” che nella loro Puglia ci vivono e lavorano oltre a raccontarla. Sono pochi ed è sintomatico forse di quanto questa terra si contraddittoria e dura, anche con i suoi figli migliori. Ma allora,s e così diversi sono tra loro gli autori “censiti”, quali sono stati i criteri di scelta? “Uno su tutti: trattasi di letteratura e dunque l’invenzione espressiva, la personalità stilistica. Devo percepire nella pagina scritta che la lingua incontra – anche drammaticamente - una resistenza del “fuori” e così si torce, si adatta, si frammenta, si reinventa… La letteratura nasce sempre da un attrito, da una scintilla. Aggiungo: folklore a parte, mi piace anche sentire in questi scrittori l’incanto rapinoso della loro terra, il misticismo cristiano e pagano, l’ansia d’oriente di cui parlava il grande francesista Giovanni Macchia (di Trani)”. Dario Goffredo PUGLIA IN SCENA 17
MUSICA
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TWO DOOR CINEMA CLUB Una delle novità più scottanti d’oltremanica
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È appena uscito l’atteso album dei Two Door Cinema Club, ma questo trio di ragazzi irlandesi figura già fra le migliori band esordienti Britanniche. Una delle realtà più scottanti d’oltremanica che soddisferà i fan dei primi Bloc Party e dei Death Cab For Cutie, ma anche gli amanti dell’afro-electro-beat di artisti come i Vampire Weekend. I TDCC hanno suonato in tour con Foals, Wombats e Maccabees. Quindi aspettatevi croccanti canzoni pop di tre minuti, pimpanti ritmiche in levare e tenetevi pronti per l’adrenalina che vi farà scatenare sul dancefloor. Vi è bastato pubblicare un paio di singoli per essere inclusi nella prestigiosa lista “BBC Sound 2010”. Vi aspettavate un tale successo in così breve tempo? Abbiamo lavorato per circa tre anni e sembra proprio che la gente stia iniziando a notarci, il che è davvero grandioso! Il successo non ci ha influenzati più di tanto. Il nostro album è pronto e il tour è stato programmato. Quindi il nostro progetto è quello di continuare a lavorare sodo! Something Good Can Work mi ricorda i Vampire Weekend; Do You Want It All (una soffice melodia su ritmica pulsante che cresce fino all’esplosione finale da dancefloor) e la deliziosa This Is The Life mostrano il lato più soft della vostra musica, spesso al confine con la psichedelia. Sicuramente gli anni ’80 sono una presenza determinante all’interno delle vostre canzoni (soprattutto per le chitarre e l’utilizzo della drum-machine); quali sono gli artisti di quel periodo che vi piacciono di più? Police? Duran Duran? E che mi dite della scena attuale? I vostri gruppi preferiti? Non siamo stati influenzati più di tanto dagli anni ’80. In effetti abbiamo un po’ trascurato la musica di quel periodo. Credo però che molti dei gruppi che ascoltiamo siano influenzati dal sound di quella decade, quindi indirettamente lo siamo anche noi. I nostri preferiti, al momento, sono Six Star Hotel, Phoenix, Foals, Yeasayer, Cashier no.9, Late of The Pier… Il vostro produttore è lo stesso dei Phoenix… e avete anche remixato “Lasso”, uno dei brani presenti nel’ultimo album dei francesi. Come sono nate queste collaborazioni? Condividiamo la stessa etichetta discografica ed è per questo che ci hanno proposto le collaborazioni. Siamo stati molto fortunati ad avere la possibilità di lavorare insieme a Zdar (il pro-
duttore) su alcuni nostri singoli. Tutto questo è accaduto grazie alla Kitzune e al nostro management, che ha pensato di inserire l’elemento dance nel nostro sound. Venite dalla scena musicale di Belfast. È vero che c’è un forte spirito di squadra fra le band irlandesi? Raccontateci come sono i concerti dalle vostre parti. Si è vero. Amo molto quei concerti perché conosci sempre nuova gente e le persone hanno gusti musicali eclettici e assai diversificati. Credo che la scena sia tra le più divertenti, probabilmente unica nel suo genere.
Avete annunciato un tour mondiale. Siete eccitati all’idea di suonare nella patria del Rock? Pensate di trovare una scena musicale differente, rispetto a quella Britannica? Si, non stiamo più nella pelle! Sarà certamente uno degli apici della nostra carriera. Si, in effetti penso che laggiù sia molto diverso e che probabilmente noteremo delle differenze anche tra uno stato e l’altro. Non vediamo l’ora di fare nuove esperienze e di suonare davanti a un pubblico che non ci ha mai sentiti dal vivo! Quest’estate avete suonato a Glastonbury, il magico raduno nelle terre di Avalon! Come descrivereste l’energia di quel luogo? Tornerete a suonare al Festival? È stato davvero incredibile! Siamo rimasti per tutto il weekend e abbiamo avuto l’opportunità di vedere dal vivo un sacco di gruppi. La gente era presa benissimo durante le nostre performance. Abbiamo suonato tre volte in tutto e ogni volta il pubblico è accorso sempre più numeroso. È stato stupendo. Noi speriamo di poterci tornare quest’anno, ma bisognerà aspettare per vedere se sarà possibile. Tobia D’Onofrio MUSICA 21
SOPHIA
Robin Proper-Sheppard, dai God Machine al nuovo progetto solista
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In occasione del tour Europeo di Sophia, che il 29 Aprile approderà alle Officine Cantelmo di Lecce, nell’ambito della nostra rassegna Keep Cool, abbiamo fatto due chiacchiere con il frontman Robin Proper-Sheppard, già leader dei God Machine, seminale band di culto degli anni ’90. Sei un musicista a tempo pieno sin dal 1990, anno in cui hai lasciato San Diego per trasferirti nella capitale britannica. Hai viaggiato in tutta Europa, ma fai spesso ritorno a Londra. Immagino che sia la musica a riportarti continuamente lì. Effettivamente siamo arrivati (Austin, Jimmy ed io – The God Machine) a Londra il primo Gennaio del ’90 e anche se ho vissuto in diversi paesi europei, continuo a tornare a Londra. Non che ami necessariamente Londra, ma credo che sia diventata la mia casa “spirituale”. Mi sento a mio agio qui. Capisco la città. Ma la cosa più importante è che mia figlia vive qui, dunque immagino che d’ora in poi sarà sempre la mia casa. Negli anni ’90 sei stato tra i primi a recuperare una dimensione intimista nella musica, salpando per un romantico viaggio “depresso”. Infatti God Machine e Sophia si soffermavano su emozioni che avrebbero incontrato un pubblico più ampio solo verso la fine del decennio, in compagnia di Will Oldham, Dave Pajo, Codeine, Arab Strap, Mogwai, Low, Dakota Suite. Che ci dici di questo approccio alla composizione, di questo recupero dell’intimismo e del formato canzone? Per quanto riguarda il “romantico viaggio depresso” inteso come formato canzone, credo che ci siano sempre stati musicisti che si concentrano sul contesto emozionale della musica, piuttosto che su quello tecnico. I God Machine hanno sempre incarnato lo “spirito” emozionale della nostra musica e Sophia non ha fatto che proseguire sulla stessa linea. L’essenza di ciò che scrivo è rimasta bene o male la stessa, ma cerco continuamente di vestirla con colori diversi. Il 23 Aprile Sophia partirà in tour per l’Europa e siete soltanto tu e la tua chitarra. C’è una ragione particolare dietro questa scelta? Credo ci sia più di una ragione… Prima di tutto volevo poter essere in grado di suonare di fronte a quelli che, mi auguro, siano i fan più fedeli. Volevo andare nei posti (città e locali) in cui prima d’ora non ero riuscito ad esibirmi. Durante questo tour suonerò in locali realmente fuori mano MUSICA 23
(molti dei quali davvero eccezionali). Questi posti non avrebbero potuto accogliere l’intera band. Ed è una cosa che mi eccita veramente! Sono anche molto emozionato per il fatto che sarà il mio primo tour interamente acustico. Credo che l’intimità dell’ultimo album There Are No Goodbyes si presti particolarmente per questo tipo di performance. Inoltre penso che sarà anche molto bello suonare i primi album, come Fixed Water e The Infinite Circle, perché hanno una natura acustica. Da quando ho iniziato a provarle ogni giorno, queste canzoni mi stanno accompagnando in un profondo viaggio nel mio passato. Dalla morte di Jimmy Fernandez (il brano So Slow) alla prima volta che ho dovuto lasciare Londra (il brano Directionless), fino alle più recenti (ma ancora assai dolorose) Heartache e There Are No Goodbyes… È un viaggio molto emotivo, certamente. Ma è sempre stato così, per Sophia, giusto? Probabilmente era così anche prima di Sophia… Ho sempre avuto l’impressione che God Machine rappresentasse un’esperienza esistenziale totalizzante: eravate giovani, eravate insieme in giro per il mondo dall’altra parte dell’Atlantico: avete vissuto delle esperienze molto intense, ed è facile percepirle durante l’ascolto. In tutta onestà, quando oggi ripenso a The God Machine non la ricordo come un’esperienza particolarmente intensa. È stata un’esperienza pazzesca (inaspettatamente, essere finiti a Londra è stata la cosa più assurda!) e sicuramente, se fossimo restati negli Stati Uniti, saremmo cresciuti in modo totalmente diverso, ma non è stato poi così intenso. Eravamo giovani e le nostre vite erano flessibili, abbiamo preso le cose come venivano. Siamo finiti in situazioni realmente estreme (niente acqua corrente, niente elettricità), ma ripensandoci adesso la consideravamo una lunga vacanza in campeggio. Non ci preoccupavamo mai di niente e potevamo sempre contare sulla nostra amicizia. Come tutti i giovani credevamo nel futuro, ma la cosa più importante è che non eravamo mai soli, e questo ci ha dato grande forza e stabilità. Quindi c’era realmente una profonda connessione tra di voi. Ascoltando la musica di The God Machine si percepisce chiaramente una forte tensione spirituale, mentre in Sophia appare mitigata, sembra un viaggio più lucido e personale. È una giusta lettura? La mia scrittura è sempre stata molto personale. 24 MUSICA
Questo non è mai cambiato. Detto questo, quello che scrivevo per i God Machine era sicuramente molto più esistenzialista e andava ad indagare a fondo il “qui e ora”, hic et nunc. Ribadisco: immagino che questa sia una parte importante del processo di crescita di ogni individuo, trovare il suo posto nel mondo. Intendi forse dire che la differenza di scrittura fra i due gruppi dipende dalla maturità conquistata con il passaggio all’età adulta? Quando invecchi, gli interrogativi come “Chi sono Io?” vengono interiorizzati, e le idee che troviamo in risposta a queste domande tendono ad intrecciarsi sempre di più con le nostre personali relazioni ed esperienze (e definizioni) dell’amore, e con il modo in cui queste modificano la nostra percezione del mondo che ci circonda. Questo è ciò che tento di esprimere con Sophia. Immagino che le differenze possano essere sintetizzate in questo modo: nei God Machine mi chiedevo se Dio esistesse, mentre in Sophia mi domando se esiste l’Amore. È corretto, allora, dire che Sophia incarna semplicemente una dimensione più adulta e rilassata? Non saprei proprio dire se il viaggio di Sophia sia più rilassato. Dipende da cosa si intende per rilassato. Se guardo alle esperienze che si celano dietro la mia scrittura oggi, in confronto a 15-20 anni fa, direi che la mia vita è diventata decisamente più complicata e molto meno rilassata di quanto non fosse all’epoca. Ma capisco perfettamente che, per molte persone, dieci chitarre elettriche distorte creeranno sempre una maggiore tensione dinamica, rispetto a una sola chitarra acustica! The God Machine è una band di culto perché ha anticipato diverse tendenze musicali e ha costruito ponti fra diversi generi: noise, stoner, post-metal e in qualche modo post-rock, ma anche tanta musica dark degli anni ’80. Oggi gli anni ’80 sono diventati fonte di ispirazione per innumerevoli gruppi. Qual è la musica di quel periodo che ascoltavate di più? Non abbiamo mai anticipato niente! Né abbiamo mai tentato di costruire alcun ponte o incrociare alcun genere. Suonavamo semplicemente quello che volevamo suonare. La cosa più divertente è che mentre eravamo a San Diego suonavamo pezzi degli Iron Butterfly, di Van Halen e dei Jefferson Airplane, ma questo non era conside-
rato figo, perché tutti ascoltavano il pop anni ’80 (noi inclusi!). Poi, quando siamo arrivati a Londra, abbiamo iniziato a suonare canzoni di The Cure, Echo And The Bunnymen e Bauhaus, ma neanche questo era considerato figo, perché tutti ascoltavano Black Sabbath e Led Zeppelin (noi inclusi!). Come ho detto, non ce ne fregava niente. Suonavamo quello che ci andava di suonare. Credo che i God Machine siano una band di culto perché lì fuori c’è un gruppo di persone fedelissime che abbiamo toccato nel profondo. Poi eravamo realmente una grande band. I God Machine non hanno mai venduto molti dischi (infatti, il primo disco dei Sophia ha venduto più copie dei due album dei God Machine messi insieme), ma quei pochi che hanno avuto l’opportunità di ascoltarci o di vederci dal vivo sapevano di poter credere in noi. Effettivamente prima del ’95 solo pochi fortunati hanno comprato gli album. Ormai quei dischi sono diventati rari e molto costosi. Perché è così difficile riuscire ad avere un album dei God Machine? È vero che la Universal non intende pubblicare ristampe? Non possediamo i diritti di The God Machine e la Fiction Records (la nostra etichetta di allora) è stata comprata dalla Universal quindici anni fa. Credo di sapere perché non abbiano ancora pubblicato ristampe: perché per loro ristampare/ vendere/distribuire 1000 album dei God Machine deve essere più problematico che vendere un milione di copie di un album di Lady Gaga. È una questione di business, giusto? Ma c’è una novità! Infatti credo che la Universal Germany stia progettando delle ristampe. Se è davvero così, sono felice che alla fine abbiano preso questa decisione. Personalmente ho ri-
stampato i primi quattro album dei Sophia (Fixed Water, Infinite Circle, De Nachten e Collections: One) e sono terminati in un mese. So bene che alcune persone hanno pagato 60 Euro per i vecchi album dei Sophia, e posso solo immaginare quanto costino quelli dei God Machine. Perché hai scelto di venire a vivere nel Vecchio Continente? Puoi dirci, secondo te, che differenza c’è tra America ed Europa? Ad essere sincero, ormai ho dimenticato quali siano le differenze. Ho passato in Europa tutta la mia vita da adulto e oggi non mi sentirei a mio agio se dovessi fare dei commenti sulla cultura americana. Ho sempre pensato a te come un poeta romantico, forse per l’intensità e la bellezza formale di alcuni testi. C’è un verso di Pace che dice “Senza poesia è come se fossimo morti”. Ti sembra una buona sintesi del tuo approccio alla scrittura? Un vero poeta romantico? Sei davvero gentile! Capisco che i miei testi sono sempre stati abbastanza semplici (mi hanno “accusato” di questo anche ai tempi dei God Machine) e a volte vorrei almeno poter fingere di essere un cantautore un po’ più sofisticato, ma d’altra parte, credo che la gente apprezzi proprio questo nella mia musica. È semplice ed onesta. Non faccio finta di essere triste e sicuramente non faccio finta di essere felice. Né di essere più forte o più debole di quello che sono. Non fingo di essere più complicato o sofisticato di quanto non sia in realtà. Sono semplicemente me stesso. Come ha detto Voltaire: “Se una cosa è troppo stupida per essere detta, meglio cantarla”. Sarà forse per questo che in vita mia ho scritto tante canzoni, eh? Tobia D’Onofrio
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TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI
La nuova rivoluzione musicale del trio di Pordenone 26
Foto di Paolo Proserpio
Primitivi del Futuro è l’undicesimo album dei Tre Allegri ragazzi morti. Sono passati 16 anni da Mondo naif e Davide e soci sono ancora capaci di sorprendere. Lo fanno musicalmente con un disco dub, emotivamente riuscendo da subito a trascinarci nel loro mondo. Questa volta la realtà sembra fare capolino più spesso nel loro immaginario e i ragazzi sembrano un po’ cresciuti. Un album che ci restituisce un gruppo inossidabile in ottima forma e che, cosa più importante, è capace di scrivere canzoni di una poeticità disarmante e agrodolce. È sempre un piacere parlare con Davide Toffolo. La prima domanda è d’obbligo. Il disco segna una piccola “rivoluzione musicale” o meglio un avvicinamento a sonorità inedite nel mondo dei Tarm. Da dove arriva il nuovo suono dub di Primitivi del futuro? Il suono di Primitivi del futuro arriva dalla contaminazione della nostra musica con il reggae e il dub. Una specie di viaggio in Jamaica, esotico ma anche quotidiano. È stato il modo migliore per imparare una lingua nuova. Ecco adesso siamo un gruppo bilingue. Rock e reggae. Nonostante il cambio di rotta sonora, l’approccio è sempre quello rock and roll, un po’ come facevano i Clash giusto per dirne una. I Tarm hanno sempre mantenuto una coerenza fin dalla loro nascita. Cosa avete mantenuto e cosa avete perso per strada? Per fare il musicista qualche pezzo lo perdi inevitabilmente, ma dico proprio dei pezzi del proprio essere. È la condizione delle persone pubbliche. Ma noi abbiamo la maschera che ci rende praticamente inconsumabili nel modo tradizionale e per questo motivo anche quasi invincibili al tempo e alle mode. Nel disco si sente una maturazione, quasi una sorta di passaggio generazionale. Anche alcuni personaggi del vostro immaginario cambiano. Di cosa parla questo disco? Il disco parla di quello che abbiamo visto e vissuto in questi tre anni. Il mondo intorno è cambiato, la violenza dell’ uomo sul pianeta e dell’uomo sull’uomo è così evidente. È un disco più realistico. Comunque io, che sono un disegnatore, scrivo quello che ho intorno, come fossero dei disegni, degli schizzi. I nuovi personaggi che sono raccontati nel disco assomigliano a quello che vediamo intorno a noi oggi.
Chi sono i “Primitivi del futuro”? Gli unici che sopravviveranno al degrado della nostra specie. Primitivi del futuro è quello che vorremmo essere. Forse Corona è un primitivo del futuro, Mauro Corona, lo scultore- alpinistascrittore. Ma anche ognuno di noi che abbia voglia di non sottostare alle regole del nuovo schiavismo che si chiama speculazione sul denaro. Per la prima vi siete affidati a un orecchio e a mani “esterne”. Ci parli del vostro incontro con Paolo Baldini? Paolo Baldini è un grande, giovane maestro. Lavora con macchine analogiche su supporto digitale, ha un modo di vivere romantico e titanico allo stesso tempo. Registra nella cucina di casa sua, non ha paura di niente, è competente e passionale allo stesso tempo. Qualcuno dice essere la cosa più jamaicana in circolazione oggi. Poi è anche alto, bellissimo, e suona il basso come un drago con gli Africa Unite. Siete una famiglia molto allargata. La vita è fatta di incontri e nei vostri viaggi avete visto e ascoltato cose. Se dovessi tracciare un mappa dell’Italia rock quali band sceglieresti? Noi ragazzi morti abbiamo una specie di discoteca ideale che si chiama La tempesta. L’Italia è piena di grande musica. Oggi che il mercato affoga. Le luci della centrale elettrica, Pan del diavolo, Teatro degli Orrori, Zen Circus, Uoki toki, Moltheni, altro per citarne qualcuno. Poi ci sono altre biblioteche altrettanto ricche. È un grande momento, per la musica nuova. Una specie di rifondazione della musica popolare italiana. I Tarm sono da sempre non solo una band, un meta-gruppo. La musica non sempre basta oppure è solo una parte di una vita. Quante cose sono i Tre Allegri ragazzi morti? Sono un gruppo di rock & roll, un gruppo di reggae music, sono 500 pagine di storie a fumetti, sono un’identità collettiva, sono tre maschere, con 10.000 maschere, sono tre, cinque, quattro, sono un’idea, sono tre generazioni in uno stesso palco, sono tutte le persone che si sono avvicinate in questi 15 anni, sono una grande idea in un paese dove le idee è meglio non averle, sono critici, sono divertenti e fanno pensare. Tre allegri ragazzi morti sono in tour. Da 15 anni. Osvaldo Piliego MUSICA 27
BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB Beat the Devil’s Tattoo Vagrant
BOLOGNA VIOLENTA L’altro lato di Nicola Manzan
Quinto album per i californiani, che tornano in groppa al loro hard-blues psichedelico decisi a sfondare gli amplificatori. Tralasciando il registro acustico dell’album Howl (qui ripreso solo in un paio di brani), i BRMC restano ancora una volta fedeli alla tradizione che porta dai Velvet Underground, ai Jesus and Mary Chain, fino ad arrivare a Ride e White Stripes. Acidi, ossessivi (River Styx ricorda Alice In Chains), persi in una nebbia a grana grossa che stordisce (Aya). Unica pecca dell’album, forse, l’assenza di volontà di trascendere la formula, penetrando in territori inesplorati. Tobia D’Onofrio
THE KNIFE Tomorrow, In A Year Rabid Records
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Oltre a suonare con Teatro degli Orrori, Baustelle, Alessandro Grazian, Franklin Delano e tanti altri Nicola Manzan è anche Bologna Violenta, un mix di electro, grindcore e follia. Il preludio alle schegge di violenza, i brevi intervalli di respiro alla frenesia, gli inserti midtempo fanno dei tuoi brani degli affreschi musicali che se dilatati e rallentaI performer danesi Hotel Pro Forma commissionano a The Knife la scrittura di un’opera “lirica” ispirata a L’origine della Specie di Charles Darwin. Nasce così questa collaborazione tra il duo svedese, Planningtonrock e Mt. Sims. Un lavoro intenso dai forti tratti sperimentali che mette da parte l’eclettismo pop degli altri album per mescolare elettronica dilatata, field recordings registrati in Amazzonia e occasionali gorgheggi d’opera che rendono la materia sonora an-
ti sarebbero brani strutturati e normali. Possiamo dire che i tuoi brani sono canzoni lanciate alla velocità della luce? O cosa? Non posso negare che alcuni pezzi abbiano una struttura abbastanza vicina alla forma-canzone. Ci sono delle strofe e dei ritornelli, ma l’assenza del cantato e la velocità rendono il tutto parecchio diverso dalle canzoni “tradizionali”. Per me l’obiettivo è quello di scioccare l’ascoltatore, e la velocità, secondo me, può essere un ottimo strumento di terrore. Le frasi, frammentarie che intermezzano o introducono i brani sono Haiku eretici, cut up da film, slogan. Da dove viene questa idea postmoderna? Quello che si sente nel disco è un lavoro di rielaboraziocor più drammatica. I brani più canonici ricalcano le atmosfere di Fever Ray, il progetto solista della metà femminile Karin Dreijer Andersson. Tobia D’Onofrio
XIU XIU Dear God I Hate Myself Kill Rock Stars
Chi ancora non conosce l’art-pop di Xiu Xiu troverà in questo lavoro un’ottima introduzione al tragico mondo di Jamie Stewart e compagna. Mettendo da parte la psicosi dei dischi preceden-
ne di tematiche affrontate nei mondo movies. Dal vivo uso anche degli spezzoni audio presi da poliziotteschi o documentari. Mi ha sempre affascinato l’uso del cut up, tecnica già in voga negli anni sessanta per quel che riguarda la letteratura. Mi piace l’idea di manipolare materiale sonoro e soprattutto parlato. Ne Il Nuovissimo Mondo questa tecnica mi ha consentito di rendere i concetti più estremi e diretti. L’idea di vedere i testi del mio disco come degli haiku eretici non è male, comunque... La tua musica è molto vicina all’arte. I tuoi concerti sono vere e proprie performance. Come ti approcci alla dimensione live? Inizialmente la cosa un po’ mi spaventava. Dopo un centinaio di concerti posso dire che mi trovo sempre a mio agio sul palco, faccio emergere quello che ho dentro, il senso più profondo dei pezzi. Non ci sono filtri, ci sono metafore, prese in giro e prese di coscienza. Un po’ quello che è la mia vita, come penso anche quella di tutti. Ascoltando la tua musica emergono due passioni: i ti, Dear God rimescola in modo meno dadaista la tavolozza di colori del classico Xiu Xiu: paesaggi shoegaze e tappeti electrovintage fanno da base a melodie vocali radicate nel pathos di Joy Division (This Too Shall Pass Away). New-wave riletta in chiave “contemporanea”. Bedroom-pop a bassa fedeltà dalle forti tinte psichedeliche. Gotico e abrasivo nel sound, coraggioso nell’approccio compositivo, il duo di Brooklin resta una delle perle nere di questo nuovo millennio. Tobia D’Onofrio
film polizieschi anni ’70 e l’hardcore. Quali sono i tuoi riferimenti musicali? Ho iniziato a studiare musica a cinque anni, e a suonare il violino a sette. Ho fatto molta musica classica fino a qualche anno fa come violinista. Quindi ho un background classico molto forte, che mi influenza molto nella scrittura dei pezzi. Adoro Bach e nei due dischi ci sono degli omaggi al maestro tedesco. Verso i quindici anni ho cominciato ad ascoltare grindcore e soprattutto l’hardcore italiano degli anni ottanta. Ad un certo punto i due mondi hanno cominciato ad avvicinarsi, e credo che Il Nuovissimo Mondo sia un’immagine abbastanza chiara di quello che ho in testa in questo momento. Ovviamente poi ci sono molte citazioni “cinematografiche”, quindi molti richiami a colonne sonore di Ortolani o Morricone. Il nuovissimo mondo si presenta come un epitaffio. È la morte di una nazione? Di un pianeta? Cosa vuole comunicare questo album? È il declino del genere umano. Volevo che la copertina raffigurasse in maniera molto esplicita il futuro dell’uomo. Ho
CALIBRO 35 Ritornano quelli Calibro 35 Ghost Records
di…
Ritornano le atmosfere roventi dei polizieschi anni 70, con questa band che ha rilanciato atmosfere evergreen. Funky, soul, progressive, jazz, sapientemente amalgamati in un’esplosiva miscela lisergica che vede nel groove l’unica via da seguire. Lungi dall’essere dei pedissequi imitatori, i Calibro 35 hanno un’ottima tecnica e la giusta dose di personalità.
messo una mia foto, ma poteva esserci la foto di chiunque. Questo disco parla dell’essere umano in quanto animale che si sta auto-estinguendo. Oltre al tuo progetto Bologna Violenta collabori come chitarrista e polistrumentista con molti artisti. Ci parli di questa tua altra anima? Ho suonato con molte band ed ho registrato il mio violino in parecchi dischi. A volte sono collaborazioni che durano il tempo delle registrazioni, in altri casi nascono progetti più a lungo termine, vedi ad esempio con Il Teatro Degli Orrori, per cui ho registrato i violini dei due album ed ora, a distanza di quattro anni dal primo “incontro”, sono in pianta stabile nella loro line-up dal vivo. Oppure con Alessandro Grazian, che aveva bisogno di un violinista per qualche data e alla fine ci siamo ritrovati a farne più di cento e a registrare tre dischi insieme. È un aspetto molto bello di questo lavoro, ho la possibilità di esibirmi molto dal vivo e di avere sempre nuovi input che vanno a riflettersi sul mio gusto musicale e sulla mia professionalità. Osvaldo Piliego Un omaggio a Morricone, Micalizzi e Isaac Hayes da una delle più talentuose band del Bel Paese. In cabina di regia Tommaso Colliva, già collaboratore di Muse, Arto Linsday e Franz Ferdinand. Tobia D’Onofrio
GORILLAZ Plastic Beach Parlophone
Snoop Dogg, Mos Def, De La Soul, Mark E. Smith, Mick Jones & Paul Simonon, Lou Reed… Una sorprendente lista MUSICA 29
di ospiti illustri che hanno accettato di interpretare un ruolo nella cartoon-band di Damon Albarn. Oltre al solito hip-electro-pop, White Flag si perde in fragranze mediorientali fra tablas ed enfasi d’archi. Superfast Jellyfish chiama in causa i De La Soul e la voce dei Super Furry Animals. Stylo ha un cantato soul immerso nel profumo di anni ’80 che pervade anche Empire Ants e l’acidissima Glitter Freeze. Some Kind Of Nature è Lou Reed in forma smagliante e Pirate Jet chiude il lotto lasciando in bocca un piacevole sapor di Brian Eno. Tobia D’Onofrio
JIMI HENDRIX
BRAD MEHLDAU Highway Rider Nonesuch
Il disco che probabilmente si rivela come il più importante ed atteso del 2010, uscito il 9 marzo, è stato registrato quarant’anni fa, da un musicista deceduto quarant’anni fa: ci sarebbe da riflettere sullo stato di salute della musica attualmente in circolazione, se non fosse che la circostanza enunciata è attinente a uno degli artisti più importanti e influenti del secolo scorso, reale icona della chitarra e
Se Brad Mehldau avesse mai mancato un colpo, nella sua ormai ventennale carriera, con questo disco si rimetterebbe in pari e poi chiuderebbe la partita, senza sforzo e senza vedere avversari. Perché il doppio “Highway Rider”, arrivato otto anni dopo il suo primo lavoro orchestrale, Largo, di nuovo al fianco di un grande produttore come Jon Brion (lo stesso che stava dietro a Elliott Smith, e poi a Fiona Apple, Rufus Wainwright, e a cui si devono le colonne sonore dei film di Michel Gondry, Charlie Kaufman, Paul Thomas Anderson), è un lavoro di singolare bellezza, fatto di melodie insolite 30 MUSICA
Nuove canzoni per la leggenda
e insistenti, di arrangiamenti raffinati, di composizioni perfette che trasudano le molteplici ispirazioni classiche, jazz, rock, pop che hanno guidato il pianista americano nella scrittura e nell’orchestrazione. Registrato in presa diretta negli Ocean Way Studios di Los Angeles, l’album snocciola le performance del trio di Mehladu, con i solidi Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria, allargandosi poi al magnifico sassofonista Joshua Redman, a un altro nome enorme delle bacchette, Matt Chamberlain (già coi Pearl Jam e poi al fianco di Tori Amos,
del rock. Hendrix è senza ombra di dubbio il chitarrista più noto alle masse che sia mai esistito, sia per la sua magnificenza chitarristica, compositiva e più in generale artistica, che per la sua figura di personaggio ‘maledetto’ impelagato in una vita di eccessi culminati nella morte a soli 27 anni, nel settembre del 1970, per cause non ancora ben accertate, sebbene la tesi Morrissey, David Bowie, Peter Gabriel e via così), e all’orchestra diretta da Dan Coleman. Gran disco. Finalmente. Lori Albanese
GOLDFRAPP Head First Mute
Il duo di Bristol della dolce Alison Goldfrapp ritorna al synth-pop degli esordi, riproponendo l’ormai “obbligatorio” sound anni 80. Chi ha nostalgia di ABBA, ELO e compagnia bella troverà sicuramente pane per i suoi denti. Chi invece cerca un minimo di originalità e carattere, resterà proba-
più accreditata voglia che il chitarrista sia morto soffocato dal proprio vomito a seguito di un micidiale cocktail di alcool e tranquillanti. In realtà Jimi alla fine della sua brevissima ma sensazionale carriera - appena quattro anni - non sopportava molto l’idea di dover fare “il Jimi Hendrix” a vita, di dover continuare a suonare chitarre coi denti o incendiarle, tanto che arrivò a insultare pesantemente, durante uno degli ultimi concerti (28/01/1970 a New York), una fan che gli chiedeva di suonare Foxy Lady. L’istrionico maltrattatore di chitarre dal piglio mascolino (che però pare avesse finto a suo tempo la propria omosessualità per farsi congedare dai propri incarichi militari) era ad onor del vero un tipo molto timido e insicuro di sé, che detestava la propria voce, e che probabilmente anche per questa sua insicurezza fu preda di ogni sorta di estremismo lisergico. Di conseguenza probabilmente Jimi con ogni probabilità non sopporterebbe di buon grado l’idea che la sua famiglia, a quarant’anni dal suo trapasso,
continui abilmente a lucrare sfornando materiale che il chitarrista, di origini miste cheyenne e afroamericane, aveva semplicemente registrato ma del quale non aveva avuto né il tempo né il modo di acconsentire alla pubblicazione. E c’è ancora tanto di che lucrare, dal momento che era caratteristica fondamentale di Hendrix la continua sperimentazione in studio, che portava a interminabili e sfiancanti sessioni di registrazione (al punto di indurre allo sfinimento e all’abbandono il produttore Chas Chandler che l’aveva scoperto e lanciato nel 1966); dunque esistono chilometri di nastri non ufficialmente pubblicati, che potranno garantire una vita lussuosamente serena ai suoi eredi. Valleys of Neptune è una raccolta di 12 brani con 2 bonus track, estrapolati dalle sessioni avvenute a cavallo dei due dischi ufficiali Electric Ladyland (1968) e Band of Gypsys (1970), con un notevole lavoro di produzione operato congiuntamente da Janie Hendrix, Eddie Kramer e John McDermott: ad essere sinceri il materiale real-
mente e completamente inedito è ben poco, in quanto quasi tutti i brani erano in qualche modo apparsi all’interno di bootleg, o erano stati già pubblicati in altre versioni - basti pensare che, ad esempio, Stone Free, il brano di apertura, era già stato la facciata B del primo singolo di Jimi, Hey Joe (1966). Ciò non toglie, però, che siamo sempre di fronte alla musica di Jimi Hendrix, e nonostante questo disco sia una palese operazione di rastrellamento finanziario, fa sempre un grande piacere ascoltare il chitarrista alle prese con una fulminante versione di Fire, o con un omaggio infuocato ai Cream di Sunshine of Your Love, o con una versione strumentale e dilatata di Red House. E fa anche piacere sapere che qualcuno, grazie al tamburellare mediatico correlato a questo album, possa magari scoprire per la prima volta la magia di un artista che il mondo continua ad ascoltare a distanza di quarant’anni dalla scomparsa, e che continuerà sicuramente ad ascoltare anche fra quarant’anni. Marcello Zappatore
bilmente deluso da un album di hit, strizzando l’occhio ai fan che non avevano apprezzato la svolta folk del precedente Seventh Tree. I brani più interessanti sono Dreaming che rifà i Bronsky Beat, Voicething che imita Laurie Anderson, e Shine and Warm che riprende l’atmosfera del vecchio singolo Black Cherry. Tobia D’Onofrio
l’elettronica e la psichedelia con sguardo obliquo e penetrante. Dopo aver incrociato l’esuberanza delle melodie anni ’60, le progressioni del krautrock, le nebbie del dream-pop, oggi torna a deliziarci con un lavoro più accessibile che nuota fra le suggestioni, eliminando il taglio sperimentale in favore del formato canzone. Se i brani più contemporanei ricordano gli Animal Collective, il resto di Swim getta l’ancora sul dancefloor, galleggiando serenamente fra reminiscenze di Daft Punk, Chemical Brothers e Four Tet, amico e collaboratore di Snaith. Tobia D’Onofrio
DAVIDE TOSCHES Dove l’erba è alta Controrecords
CARIBOU Swim Merge
Prima con Manitoba, poi con Caribou, il produttore canadese Dan Snaith ha esplorato
Sembra un viaggio onirico dal tramonto all’alba questo Dove l’erba è alta, cd d’esordio (dopo un primo demo) del cantautore Davide Tosches. Prodotto da Giancarlo Onorato (e si sente), il disco si muove tra sonorità scure e testi austeri. Undici brani (tre strumentali) che tinteggiano un immaginario buio e tetro, una notte uggiosa e ventosa quando pensi che qualunque cosa possa capitare, un’alba nebbiosa e fredda, un tramonto dai colori impossibiMUSICA 31
li. Gli arrangiamenti ospitano violini, hammond, pianoforti, wurlitzer, lastre metalliche, richiami per uccelli in una costruzione sonora mai banale. Moltheni, Cesare Basile, Piero Ciampi e, andando oltre, Tom Waits e Nick Cave sembrano alcuni dei punti di riferimento di Tosches. Un disco robusto e intenso. Da ascoltare (pila).
DEE DEE BRIDGEWATER Eleanora Fagan (19151959). To Billie With Love from Dee Dee Emarcy
Mettiamola così: il disco è bello, ha un suono molto americano, molto ben curato, si arriva alla fine e lo si rimette daccapo, e poi ancora. Alcuni brani sono pieni di uno swing che fa tremare le ginocchia e Dee Dee è ovunque divina. La sua voce è in piena forma, bella, appassionata, vibrante. I musicisti sono strepitosi, di quelli che, come spesso si dice, non hanno bisogno di presentazioni (Edsel Gomez, al piano, che ha anche curato tutti gli arrangiamenti; Lewis Nash alla batteria; Christian McBride al contrabbasso, e James Carter a sax, clarinetto e flauto). Non è un disco di standard, né un tribute-album. È, a tutti gli effetti, un disco di Dee Dee Bridgewater, la cui personalità straripante copre e riveste di sé un repertorio 32 MUSICA
di assolute meraviglie come Lady Sings The Blues, All Of Me, You’ve Changed, Don’t Explain, Fine And Mellow. Brani infiniti con cui non si può semplicemente entrare in contatto, ma che si devono “possedere”. E proprio di possessione ha spesso parlato Dee Dee raccontando il suo rapporto con Billie Holiday, che già venticinque anni fa aveva omaggiato a teatro. Il punto è che qui l’omaggio si riduce a mero repertorio, perché di Lady Day sembra mancare tutto. C’è l’anima di Dee Dee, ed è grandiosa. Ma è solo lì che è rimasta Billie. Lori Albanese
nei quali ha militato - all’r’n’b di Amy Winehouse, e molto, molto altro. Tra gli schiamazzi sanremesi, la sua bella L’uomo che amava le donne (che richiama Truffaut), è suonata come una promessa, mentre il singolo che l’ha preceduta al successo, Cinquantamila lacrime, insieme a Giuliano Palma, così piacevolmente retrò, ha fatto chiaramente intravedere che dietro quell’intenzione un po’ à la Meg, si celava una cultura musicale sorprendente. Una virtù che la gran parte delle starlette sue colleghe non si sogna nemmeno. Ce ne fossero. Lori Albanese
NINA ZILLI Sempre lontano Universal
GRIMOON Super 8 Macaco
Com’è leggera, la Nina. Com’è bella e fresca la sua voce, così zeppa di colori pieni, e vivaci, anche quando canta la tristezza e la malinconia. Una boccata d’aria pura, un respiro di sollievo, un gran bel sentire. Lei, Nina Zilli, piacentina, che si è scelta un nome d’arte piccolo e potente in omaggio a una enorme signora della musica come Nina Simone, scrive, produce, arrangia e mischia, con la naturalezza un po’ grezza degli artigiani, tutte le passioni musicali della sua vita, quelle che vanno dal soul della Motown e di Otis Redding agli anni Sessanta di Mina, dal reggae degli Africa Unite e dei Franziska - gruppi
Ogni tanto gli amici mi chiedono: mi suggerisci un bel disco? Trovato! Super 8 dei Grimoon ti prende al primo ascolto e ti accompagna qualunque cosa tu stia facendo. È il quarto lavoro discografico per il gruppo italo francese che, anche questa volta, sorprende per lo stile crepuscolare ma spensierato, morbido ma incisivo. Nei dodici brani del cd infatti i Grimoon tengono insieme il folk e il rock, ballate docili e cantautorato delineando, etichettando ancor più che nei precedenti lavori, un vero e proprio sound Grimoon, un mondo sonoro inconfondibile. Il cd è accompagnato da Neera - secondo
film del gruppo rigorosamente fatto in casa dopo La Lanterne Magique – un viaggio surreale tra terreno ed ultraterreno che coinvolge, tra gli altri, Alessandro Fiori (Mariposa, Amore), Davide Toffolo, la compagnia teatrale Farmacia Zoo ed Erik Ursich (pila).
EUGENE CHADBOURNE Roll Over Berlosconi Interbang Records
Chadbourne è un artista americano prolifico, ironico e virtuoso che strapazza chitarre e banjo come fosse in preda a una cri-
si epilettica. La sua semplicità melodica lo fa sembrare una versione roots di Daniel Johnston (il cantautore outsider amico di Nirvana e Yo La Tengo), ed è disarmante quando affronta una funambolica cover di Nick Drake al banjo. Tra brani inediti e rifacimenti di vecchie canzoni, Eugene suona blues, jazz e bluegrass in mezzo a tanta improvvisazione, restando sempre in bilico tra pop e avanguardia. Ma la più grossa “novità” del suo ultimo album consiste nella “dedica” a Berlusconi, citato nel feroce brano di satira politica che dà il titolo all’intero lavoro. Con coraggio e simpatia, Chadbourne reinterpreta Roll Over Beethoven, un vecchio classico di Chuk Berry, raccontando le avventure del nostro amato Premier. Il vinile in edizione limitata di 999 copie può essere ordinato in rete su www.rolloverberlosconi.com. Tobia D’Onofrio
BARNETTI BROS BAND Chupadero Eccher music
Chupadero è un luogo sacro del New Mexico a quasi tremila metri di altezza. Lì si sono incontrati quattro musicisti e cantanti molto diversi tra loro: Massimo Bubola, autore con Fabrizio De Andrè di due album bellissimi e considerato uno dei massimi esponenti della scena cantautorale italiana, Andrea Parodi, già vincitore del Premio Tenco come esordiente per Soldati, Massimiliano Larocca, fiorentino molto promettente, e Jono Manson, un americano giramondo che ha attraversato il soul, il blues approdando anche al cinema con i fratelli (suoi cugini) Cohen. Da questo incontro è nato un disco intenso che racconta storie e delinea ritratti di banditi, briganti e fuorilegge, personaggi fuori dal comune.
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Undici canzoni pensate come undici cartoline che raccontano altrettanti episodi di vita e nei quali si passa dal Vecchio West all’era Vittoriana inglese, dal Risorgimento italiano, alla New York degli anni ’50, fino ai nostri anni di piombo. I quattro sono affiancati da numerosi ospiti, tra i quali, Terry Allen, Tom Russell, Andrew Hardin, Gurf Morlix, Joel Guzman, Mark Clark, Sharon Gilchrist. Un’epopea in musica. (pila)
AA.VV. Can’t stop the music – Volume 1
In attesa del loro nuovo cd, in uscita a maggio, i Sud Sound System danno voce ai tanti virgulti reggae cresciuti sotto le loro fronde. Can’t stop the music è il titolo della compilation, non uno showcase, una raccolta cioè di brani cantati su un paio di “riddim”, ma una vera e propria raccolta di pezzi e di giovani voci del reggae salentino. E dei relativi “stili”. Perché quello che emerge nelle tredici tracce del “variopinto manipolo” di ragazzi è certamente una maggiore “maturità” e personalità rispetto alle precedenti produzioni. Da Mulino, uno dei pezzi più interessanti è il suo Un altro giorno, a Terequeia, e poi Ghetto Eden, Lu Dottore, Rubens e tanti altri. Partendo, e non poteva che essere così, dai “veterani” Papa Leo & Ran34 MUSICA
kin Lele, con il brano che dà il titolo al cd. Tante, ovviamente, le comparsate dei Sud che non si limitano a stare dietro le quinte ma accompagnano molti momenti e voci del cd. In particolare, e tutti insieme, nel brano Proteggimi di più, di Ely, l’unica voce femminile di Can’t stop the music. Dario Quarta
MASCARIMIRÌ Tradizionale Dilinò
I Mascarimirì staccano la spina, posano gli strumenti, tamburello a parte, per mettere su disco la loro “polifonia paccia salentina”. È Tradizionale - di nome e di fatto - il cd nel quale Claudio “Cavallo” Giagnotti, Mino Giagnotti e Vito Giannone, accolgono la “uce te fimmina” di Anna Cinzia Villani per una inedita versione di molti dei più celebri brani della tradizione salentina. Da Quantu me pari Beddha a Moretto, e poi Oriamu pisulina, Fimmene fimmene, Lu Rusciu de lu mare, Pizzicarella, Tre sorelle e altri ancora. Tutti con le sole voci e qualche tamburello. Canti “alla stisa”, che si avvolgono e accompagnano a “loop”, polifonie e refrain vocali. Tradizionale (ri)parte quindi dalle voci e dai canti della tradizione, senza abbandonare le sperimentazioni musicali che hanno contraddistinto il decen-
nale lavoro dei Mascarimirì e che qui diventano più propriamente vocali, per continuare comunque la “tradinnovazione”. Il cd, prodotto da Dilinò, nato sotto la supervisione di Manù Theron, voce unica del canto di tradizione Occitano e che, da anni, ha allacciato uno strettissimo sodalizio artistico con Mascarimirì. Dario Quarta
NOYZ NARCOS Guilty Sine, Propaganda Records
Emanuele Frasca aka Noyz Narcos è agitatore della scena hardcore-rap capitolina, uno degli artisti di maggior successo per il nuovo hip-hop italiano. Da Roma con furore, dunque, il rapper del Truceklan organizza un assalto frontale con mitragliate di beat assassini. Sinfonismo dark, atmosfere nere come la pece e testi incazzati e intelligenti. Fra gli ospiti, Marracash, Club Dogo e Fabri Fibra nell’acida Italian Psychos. Tobia D’Onofrio
MARLA SINGER Tempi di crisi RockOver
In America esiste un rock cosiddetto mainstream che vende milioni di copie. In Italia il rock dai grandi numeri è spesso pop mascherato. I Marla Singer sono un caso particolare. Riescono a conciliare una robusta struttura musicale sintonizzata con le ultime sonorità internazionali a una vocalità potente e nitidamente melodica. Un po’ come fu qualche anno fa per i Timoria, i Marla Singer riescono a gestire memorie grunge alla Pearl Jam, ispirazioni nu metal, rock classico con equilibrio prediligendo la forma della ballad.
DAKOTA DAYS Dakota days Ponderosa
cato dalla vita che diventa un teatrino dal sapore retrò in cui si può ridere ma soprattutto piangere per ciò che si è perso. A book of songs for Anne Marie è un disco dedicato all’amore e come tale non può colpire i cuori di chi sa ascoltare. (op)
CHAPLEIER FOU 613 Ici D’ailleurs
Gli incontri, quando ispirati dalla musica, non possono che farne nascere di nuova. È successo a Ronald Lippok e ad Al Fabris. Il primo fa parte dei progetti Tarwater e Rococo rot, l’altro ha collaborato con artisti come Pacifico e Blonde red head. L’alchimia scaturita non poteva che produrre canzoni dalle atmosfere stranianti. Una sorta di punk sopito, annegato tra onde psichedeliche e ingabbiato in mantra new wave. (op)
BABY DEE A book of songs… Tin Angel
Musica da camera a metà strada tra Anthony and the Johnson e i Sex Pistols. Sono questi gli estremi per inquadrare un’artista complessa come Baby dee. È multistrumentista, transgender, performer ma più di tutto è un anima sensibile al mondo, uno spirito toc-
La musica classica del futuro non può non contemplare l’elettronica. Quella di Chapelier fou è la nuova musica classica ma è anche di più. Il violinista polistrumentista francese ha il dono di percepire la musica per strati di essere orchestra di condensare le possibilità in un espressione musicale progressiva e complessa. Tutto mantenendo una forte comunicatività espressiva con il connazionale e amico Yann Tiersen. Intesse, in questo 613, partiture degne di Matt Elliot, affresca atmosfere alla Brian Eno, si stiracchia come farebbero Boards of Canada. Osvaldo Piliego
MISS FRAULEIN The secret bond Mk records
Tornano i calabresi Miss Fraulein. Il loro sound si evolve mantenendo fede al patto siglato ormai da anni con il rock and roll. Tra alternative e stoner smussano alcuni angoli rispetto al passato senza perdere
spinta e potenza. Aperture southern dal sapore psichedelico si alternano a tirate più tipicamente southern. Sullo sfondo Kyuss e Queen Of the stone age ma, complice un timbro vocale insolito, le nuove canzoni dei Miss Fraulein hanno un impulso nuovo che ci piace molto.
VIVIANNE VIVEUR Rain Feelings My Fay Record
Il trio italo-inglese guidato dalla dolce vocalist Vienne pubblica un nuovo lavoro intenso e crepuscolare registrato a Londra e Varese, masterizzato a Manchester. Dieci brani che strizzano l’occhio ai classici del gotico come Cure e Siouxie, ma anche al progressive rock e a un pop psichedelico con venature noir che ricorda Flaming Lips (My Rainstorm), Deus (Edimburgh Say) e Blonde Redhead (Victorian Rain). Tobia D’Onofrio
AVI BUFFALO Avi Buffalo Sub Pop
Avi Buffalo è un album vario e articolato che omaggia Neil Young e la sensibilità pop dei Beatles alla stregua di altri giovani gruppi, come i compagni di etichetta Band Of Horses e Shins. Il brano d’apertura unisce il cantato femminile dei Belle & Sebastian a corposi arrangiamenti docilmente post. Il singolo What’s In It For si sposta su una coralità psych-pop che stavolta ricorda i Flaming Lips su una base roots alla Wilco. Fenomenali gli otto minuti di Remember Last Time che salutano i Built To Spill, con tanto di assolo in coda. Considerato che si tratta di un cantautore californiano di 18 anni, è giusto aspettarsi grandi cose da questo nuovo membro della famiglia Sub pop. Tobia D’Onofrio MUSICA 35
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AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Vampire Weekend – Horchata I nerd che diventano star. È successo negli Stati Uniti, quando nel bel mezzo della guerra tra star plastificate il loro “Contra” ha raggiunto la posizione numero uno della classifica Billboard degli album. Il primo album negli ultimi 20 prodotto da un’etichetta indipendente a finire così in alto. Un segnale fortissimo di speranza e di vitalità per l’indie-rock aldilà dell’Oceano. Il quartetto guidato da Ezra Koenig piace molto anche qui in Italia, ma non è ancora un fenomeno di massa né lo sarà mai. Però qui c’è molto, moltissimo pop tra una chitarra e l’altra. Non sappiamo se hanno il carisma per reggere alla pressione e alle aspettative. Nell’attesa ci godiamo questo meraviglioso singolo bevendo Horchata (ma si può tradurre con “orzata”?) Ellie Goulding – Starry eyed Strombazzata su queste pagine e su quelle più nobili del sito della BBC, è arrivata anche nell’airplay italiano. Niente di eclatante, niente di nuovo, ma la miscela piace e più resistere per più di una stagione. La parola folk-tronica non è nuova ma con Ellie, bionda ragazza dell ’86, inglese sin dal primo sguardo, e i suoi produttori Starsmith e Frankmusic, può nascere un nuovo filone tutto femminile, molto pop, ma un attimo meno plastificato (per quanto la produzione di Lights, album d’esordio della Goulding, sia un muro di suoni creati a tavolino). Baustelle – Gli spietati Uno dei pochissimi gruppi italiani ascoltati ed amati a prescindere. I mistici dell’Occidente, sesto album della formazione toscana, è uscito proprio in questi giorni ed è ancora presto per dire se sarà amato universalmente come Amen. Né sapremo se quel colore nella musica che Francesco Bianconi riesce ad esportare anche quando
scrive brani per altri (Paola Turci, Irene Grandi) sarà annacquato dal lavoro di Pat McCarthy (già produttore con Rem, U2 e Madonna) o sarà, ancora una volta, il marchio di fabbrica. L’unica certezza è che questa Spietati è, come da tradizione, un primo singolo devastante, sia nel successo sia nel rapporto tra popolarità e testi, così duri ma cantati da tutti, tali da offrire sempre lo stesso senso di straniamento. Gorillaz – Stylo
Un po’ come per i Baustelle, i Gorillaz hanno un rapporto con il music business simile a quello che Gastone avrebbe con una slot machine. Scrivono un album (ogni 5 anni), i fan spuntano, quando fanno un buon colpo ne aggiungono altri. È il caso di Plastic Beach, già universalmente incensato. Un po’ meno questa Stylo, tipica del loro registro ma, proprio per questo un po’ stantia. In radio però fa la sua meravigliosa figura. Nel frattempo i Gorillaz, misteriosi e taroccatori di professione, sono stati accusati di plagio proprio per questa Stylo. Ma, ne siamo certi, questa spy-story esalterà l’ironia di Damon Albarn, Jamie Howlett e dei suoi omologhi cartoon. Dj Zinc feat. Ms Dynamite – Wile out Due perdenti di successo si incontrano per fare il successo vero. Dj Zinc, onesto faccendiere del turntable a secco di grandissimi successi oramai da 15 anni, e Ms Dynamite, MC di belle speranze e di comprovata furbizia, ferma al palo dal 2002, anno della sua esplosione. La Dinamite però avrà avuto le polveri bagnate e così ha cercato una miccia di zinco. Una miscela intelligente di grime, dubstep e dei background rap dei due musicisti hanno portato ad un brano breve e assai intenso. Un suono che difficilmente sfonderà in Italia, ma che da queste parti piace molto. Dino Amenduni 37
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DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... Tre allegri ragazzi morti – Puoi dirlo a tutti In un mese in cui tutti rimangono fedeli a loro stessi e le poche evoluzioni si assomigliano, ci sembra doveroso aprire con un gruppo che ama sparigliare. I Tarm, dopo aver ridato più di un senso alla speranza che la musica indipendente possa salvare il mondo (la Tempesta vi dice qualcosa?), si mettono in posizione polleggiata e passano al dub. Siamo curiosi di sapere come la loro incredibile prova del nove verrà accolta dal loro zoccolo duro di fan, ma siamo certi che nessuno avrà niente da obiettare. Breakage feat. Burial – Vial Un brano impossibile per le radio italiane, impossibile per molti padiglioni auricolari, impossibile per quasi tutti. Un capolavoro per i pochi reduci. Siamo in piena musica post-atomica, nel cuore di quel genere meticcio e oramai onnipresente che viene chiamato dubstep. Il brano di Breakage è impreziosito dal canto (?) alieno di Burial, l’uomo che nessuno ha visto e nessuno ha sentito se non con un muro di effetti tra sé e la sua voce. Il classico brano da ascoltare quando si è determinati, a piedi e nella tua città piove a dirotto. Jamie Lidell – Compass Dopo l’uomo della pioggia, l’uomo del sole. Jamie Lidell, perla del soul europeo, dovrebbe essere la colonna sonora di una domenica di primavera. Eppure in questa Compass c’è dell’altro. C’è una ten-
denza evolutiva, non c’è solo un crooner ma c’è un cantautore. Non c’è solo soul ma anche blues, non c’è solo il sole ma qualche nuvola sembra addensarsi. Il brano meno radiofonico della sua carriera, il più sporco. Quasi dubstep. Nell’iPod non sfigurerebbe affatto. MIA – There’s space for ol dat i see La tigre (Tamil) torna. Oramai da star del pop. Pur avendo fatto molto poco di commerciale e pur avendo manifestato un certo fastidio per il mondo dello showbiz, e forse anche per la società occidentale che ha saputo accogliere (e che lei ha saputo incarnare molto più di noi europei da generazioni). Questo brano non aggiunge moltissimo all’immaginario che ha sapientemente creato. E a noi va benissimo così. Calibro 35 – Milano odia, la polizia non può sparare Nel pieno revival da poliziottesco un titolo così attira automaticamente l’attenzione. Se poi la sostanza dietro la forma è di questa caratura, non ci resta che registrare una piccola perla della musica italiana. I Calibro 35, ensemble milanese di musicisti di altissimo livello (un po’ di scuola Afterhours, un po’ Mauro Pagani, un po’ turnisti di fama internazionale), si divertono a giocare a rifare gli anni ’60 e ’70 e a citare i grandissimi maestri degli score cinematografici. Come singolo lanciano un pezzo strumentale di un album che pian piano sta facendo breccia negli iPod di molti italiani. Dino Amenduni
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SALTO NELL’INDIE
In foto: D-vines
INDIE BOX Dalla musica per la musica. Dietro lavori come quello di Indie box c’è passione e voglia di fare. Un’altra realtà discografica all’insegna del rock e del punk. Sembra non trovare una fine il nostro censimento delle etichette indipendenti italiane, sintomo di una scena musicale sempre più prolifica.
to dici; la filosofia “No future” non fa assolutamente per noi, siamo ormai lontani anni luce da quell’approccio nichilista e, invece, preferiamo costruire e portare avanti una scena con determinazione e qualità, una realtà che possa essere sempre più punto di riferimento per il punk italiano ed estero.
Indie box nasce nel 2004 e sembra fedele a una linea musicale, estetica e “politica”. Quando si dice che il punk non è solo autodistruzione ma capacità di costruire cose fatte bene. Che ne dici? Dico che sono pienamente in accordo con quan-
Ci racconti un po’ l’inizio della vostra avventura? È una lunga storia a dire il vero perché tutto inizia nel lontano 2000 quando iniziai a lavorare autonomamente all’organizzazione dei concerti della mia band, L’Invasione degli Omini Verdi.
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senza indugio e su quella piattaforma costruire tutta la struttura IndieBox; riappropriandoci inoltre al 100% dei diritti della nostra band! Avete unito tutti i servizi legati alla musica in un’unica struttura. Questo vi permette di essere vicinissimi alle band. Ce lo spieghi? La nostra filosofia è quella di poter fornire alle nostre band un servizio completo che permetta a tutti quanti di concentrare le forze su obbiettivi comuni e fondamentali senza disperdere i lavori ai quattro venti come spesso accade. Siamo inoltre in grado di fornire servizi anche ad etichette e a band singole. La nostra struttura, composta attualmente da cinque persone, gestisce a 360° tutte le band IndieBox, offre un servizio di ufficio stampa sempre attivissimo con due addette stampa, distribuisce tutte le releases anche del gruppo Dmb music, cura il booking di svariate band di tutto il mondo, oltre ad occuparsi, ovviamente, di quello delle nostre produzioni, offre un servizio di stampa cd che lavora a pieno regime, gestisce circa 5000 titoli nel settore publishing di tutti i generi più disparati ed infine amministra buona parte delle prenotazioni dello studio di registrazione Living Rhum. Dovrebbe essere tutto!
Fu proprio questo inizio a darmi la convinzione che da soli, se si è determinati, si può fare bene e tanto! Fu così che nel 2003 fondai la mia prima agenzia, Tourgang Booking che poi abbandonai in mano agli altri due soci per aprirne un’altra, nel 2004, Heartwork Music Agency, tutt’oggi in vita. Heartwork fu gestita da me e la mia attuale socia e moglie Debora con la quale, dopo l’università, decidemmo di fondare la più ampia struttura IndieBox. La genesi stessa di IndieBox è particolare perché la nostra idea era quella di fondare quello che ora è IndieBox, ossia una struttura a 360°, ma per fare questo sapevamo di non poter trascurare la parte Publishing, la gestione del diritto d’autore. La fortuna volle che proprio in quel periodo la Le Parc Music, società editoriale ed etichetta che gestiva L’invasione degli Omini Verdi, decise di vendere; fu quindi in quel momento che decidemmo di acquistarla
A chi pensa che di sola musica non si vive cosa diresti? Che forse è bene che facciano un altro lavoro. Se parti con quest’idea vuol dire che non vedi la musica come una parte importante della tua vita ma come un hobby; secondo la loro logica il “vero lavoro” è quello canonico con orari canonici etc etc. Semplicemente hanno una visione diversa da chi crede che invece la musica possa essere un’eccezionale attività, che dia da vivere e ti faccia gioire ogni giorno in cui ti permette di alzarti e fare questo lavoro! Avete un po’ di uscite in catalogo. Ce le racconti molto brevemente? Certamente al momento abbiamo in uscita: Tommi e gli onesti cittadini, progetto di questa super band formata da Tommi Pornoriviste, Carlame Skruigners, Agu Franziska e Jack Camerini. L’invasione degli Omini Verdi Nel nome di chi? quinto disco in carriera. IndieBox compilation vol 5 appuntamento fisso per la scena punk mondiale Da settembre avremo poi molte altre uscite che dobbiamo schedulare... vi terremo aggiornati! Antonietta Rosato MUSICA 41
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SERGIO RUBINI
Il regista pugliese nel suo ruolo di scrittore Un libro a metà tra romanzo e sceneggiatura, un lavoro in cui i confini tra cinema e letteratura non sono più chiaramente distinguibili: è Il cattivo soggetto (Manni), scritto a sei mani dall’attore e regista pugliese Sergio Rubini, dallo scrittore Domenico Starnone e dalla sceneggiatrice Carla Cavalluzzi. La strana natura di questo libro che non è un romanzo né un vero soggetto cinematografico, ma uno “strano soggetto” come spiega il titolo è il pretesto per allargare il discorso al rapporto tra cinema e letteratura, alla loro attrazione fatale per il lato oscuro delle cose e al ruolo del Meridione. Oltre che autore del libro, Sergio Rubini è tra le voci più autorevoli del cinema italiano in cui, sin dal primo film da regista, La stazione, ha dato voce a un Sud nostalgico e contraddittorio, non tralasciando di esplorare il lato oscuro dell’animo umano, soprattutto negli ultimi lavori. Rubini, partiamo dal titolo e dall’evidente gioco di parole. Ce ne spiega il significato? Il libro contiene quello che in gergo cinematografico si chiama un trattamento, cioè una cosa che sta a metà strada tra il soggetto di un film e la sceneggiatura. Infatti, era il progetto per un film che poi non si è più fatto. Il “cattivo soggetto” è tale perché non è riuscito a diventare un film. Ma fuori dal gergo cinematografico, il cattivo soggetto è una persona cattiva... Nel nostro caso il cattivo soggetto è il protagonista del libro, Mimì Festa, un gangster che trova riparo in una canonica dove incontra un prete del Nord in crisi. Il cuore del racconto è nel loro rapporto. Come nasce l’idea? A Mellitto, una contrada del mio paese, Grumo Appula, c’è una chiesetta e una scuola per i figli dei pastori. Circola la voce che lì si sia fermato il boss Bernardo Provenzano durante la latitanza. Sta dicendo che il protagonista è l’alter ego di Provenzano? Mimì Festa è un gangster sui generis, un uomo
inquieto, folkloristicamente arrogante ma anche fragile. Per giunta con una famiglia squinternata e un figlio che non rispetta la sua autorità. Provenzano è stato solo lo spunto per la storia. Perché vale la pena di leggerlo? Perché è una lettura godibile, ma anche per mettere il naso in una fase importante della preparazione di un film. Che immagine del Meridione viene fuori dalla lettura? È un Meridione della memoria, perché nessuno di noi autori vive più al Sud. È un Sud pieno di contraddizioni, attuale, multietnico, contemporaneo e variegato, in cui ci sono le cicale che cantano, le vecchiette e gli extracomunitari che raccolgono i pomodori. Come spiega l’attrazione del cinema e dell’arte in genere nei confronti del male, dell’oscuro, del cattivo? L’arte è ricerca della perfezione: nel buono si è già vicini alla perfezione e c’è poco da lavorare, mentre il cattivo è più ricco di sfaccettature. E poi, c’è una parte oscura in ognuno di noi: tirarla fuori è difficile, vederla su uno schermo tranquillizza. Il cattivo soggetto è un libro che nasce da un film mancato. Una provocazione rispetto alla tendenza opposta, quella di trasformare i libri in film? Sul set Intervista, Federico Fellini mi insegnò che i grandi libri non possono diventare film. Lui non realizzò mai un film tratto da America di Kafka e mi spiegò che il cinema si può rivolgere solo alla letteratura imperfetta, cercando di perfezionarla sullo schermo. Un grande capolavoro non può essere perfezionato. Tornando al suo, di cinema, sta lavorando a un nuovo film? Sono in fase di scrittura, ma non ho ancora trovato il mio “cattivo soggetto”. Valeria Blanco LIBRI 43
CARLOTTA DE MELAS L’autrice di Randagi, una fiaba
metropolitana ambientata nel mondo dei punkabbestia pubblicata da Eumeswil Randagi, la nuova fatica letteraria di Carlotta De Melas, giovanissima narratrice che ha esordito a soli 25 anni con Una lingua sul cuore (Giraldi), è una fiaba metropolitana che pur trattando di temi anche pesanti mantiene un tono leggero e a tratti poetico. I punkabbestia non mi sono mai stati simpatici, lo confesso, e quando mi è capitato tra le mani questo romanzo ambientato in quel mondo, ero un po’ scettico. Ma Carlotta, simpatica e leggera come la sua scrittura è riuscita a farmi icredere e a farmi appassionare alle 44 LIBRI
storie di questi ti un po’ scalcinati e ai margini ma che non fanno male a nessuno, se non a se stessi in alcuni casi. Come sei arrivata a questa storia? La storia di Randagi ha trovato me. Capita sempre per caso di incontrare nella mia mente strani personaggi che mi raccontano le loro avventure. A volte questi surreali incontri si verificano prima di cadere in un sonno profondo. A volte li dimentichi, altre volte ancora li ricordi e in
casi ulteriormente diversi la stessa vita ti offre suggestioni e frammenti di quell’incontro. Così è stato per Randagi. Ero curiosa di scavare in vite diverse dalle mie, ma farlo con pudore e trovando incanto anche negli angoli poco illuminati della città. I punkabbestia nell’immaginario collettivo ricoprono un ruolo marginale e fastidioso. Richiamano alla mente sporcizia, droghe, cani pulciosi, collette. I tuoi personaggi invece sembrano muoversi con leggiadria tra tutto questo senza rimanerne sporcati (tranne Ursula a un certo punto della storia). Ti sei ispirata a qualcuno che hai realmente incontrato per disegnare i caratteri di Zack, Liam e Ursula? Ho conosciuto un ragazzo dai cappelli azzurri che faceva colletta in Porta Ticinese a Milano. Mi ha raccontato la sua esperienza. Le sue parole le ho donate a Matteo, il fratello della protagonista. Gli altri personaggi vivono da qualche parte di questo mondo o di qualche altro, ma nella quotidiana realtà nessuno mi ha ispirato il loro carattere. Matteo è un personaggio che pur non comparendo fisicamente nel libro ne permea ogni pagina. Ci parli di lui? Matteo è uno dei protagonisti principali. Forse il più randagio di tutti pur non vivendo realmente per strada. Matteo è il fratello di Nina, si è tolto la vita. Leggendo il romanzo si scoprirà perché. È la vittima dei più stupidi dei pregiudizi e del pensiero ignorante che porta a imprigionare le persone in categorie. È un anima fragile, che sopravvive nella memoria delle persone che lo hanno realmente amato. Sopravvive la sua anima. Il tuo libro è ricco di musica, quasi una colonna sonora che sottolinea i momenti topici della storia. Ma come lavora Carlotta De Melas, ascolti musica mentre scrivi, ti lasci ispirare e guidare da quello che ascolti? Quando scrivo cerco e ho bisogno del più assoluto silenzio. Nella vita di tutti i giorni non ascolto molta musica. La vado ad ascoltare quando ne ho bisogno. Allora metto su David Bowie, Nico con i Velvet Underground, Lou Reed, Emily Autumn… e restando nei confini italiani Morgan, Battiato, De Gregori, Vecchioni, Carmen Consoli. L’elenco potrebbe continuare molto. In questo libro si ricorda, anzi, Ursula ci parla proprio con Kurt Kobain.
Il tuo libro è diventato anche un tour per immagini e parole. Ce ne parli? La bravissima fotografa Daze(d), vi invito a cercare il suo profilo on line, ha scattato delle immagini suggestive e poetiche ispirate a Randagi; una ragazza in nero uscita dall’oceano dell’asfalto insieme ad un ragazzo unicorno. Laddove ci è possibile portiamo fotografie e parole. Come sei approdata alla scrittura? Leggendo moltissimo. Quando ero ragazzina scrivevo quaderni su quaderni sulle mie malinconie, fra quelle pagine vi erano moltissime poesie. Qualche anno dopo provai a raccontare una storia che in qualche modo fosse catartica per il tumulto che portavo nella testa e nel petto. Ora la scrittura è diventata parte di me. Non riesco a farne a meno. Scrivo con passione e totale impegno, lasciandomi suggestionare dall’esterno, divertendomi come una matta. Il mio cuore tace, accompagna la penna ma non la governa con la sua voce, sorride spesso. La scrittura è stata una cura, mi ha permesso di capire quale fosse il mio posto e la mia inclinazione. Seguirla è fondamentale per chiunque. I tuoi progetti per il futuro? Sono entrata nel mondo della fantasia. Non posso, per scaramanzia, dire altro. Sono un po’ superstiziosa. E non solo. Ci sono ben tre storie con cui sorseggio vino rosso sulla testiera del pc. Dario Goffredo LIBRI 45
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FERNANDO CORATELLI
Intervista all’autore di Altrotempo Come credete che accada un’intervista? Come un dialogo? L’intervistato ascolta le domande: risponde; l’intervistatore ascolta le risposte: domanda di nuovo. La maggior parte delle interviste che leggete, invece, accade in due tempi. Le domande sono preparate prima delle risposte. Le risposte si danno conoscendo tutte le domande. L’unica vera domanda, quindi, è la prima. Quella che segue è la trascrizione infedele di una prima domanda. Vivi a Milano. Hai un’agenzia di servizi editoriali. Scrivi da quando hai tredici anni. Organizzi eventi legati alla letteratura. Non potevi fare tutto questo, compreso vivere a Milano, restando in Puglia? Avrei voluto fare tutto questo vivendo a Parigi o New York, invece mi sono limitato a Milano. D’altronde Milano è la Bari del Nord, o meglio la Lombardia è una succursale appula. Credo ci siano più pugliesi qui che in Puglia stessa. E poi dopo avere organizzato un evento letterario a Bari, a febbraio, non è detto che non si possa ripetere l’esperienza, anzi. Oppure speriamo aprano tante ottime case editrici sul territorio che mi costringano a tornare in “patria”. Qualunque cosa tu abbia risposto, dimmi, se già non l’hai fatto: c’è, cos’è, dov’è, la cosiddetta generazione di nuovi scrittori pugliesi di cui (alcuni) parlano? Risposta complessa. C’è una generazione di scrittori pugliesi (nuova non è l’aggettivo appropriato perché manca la vecchia generazione - salvo che non si voglia considerare Nigro sineddoche totalizzante della vecchia generazione). Cos’è, è
domanda cui non saprei dare risposta, sono un poco tutti per cazzi loro sparsi per l’Italia (così ti rispondo pure al dov’è). Il chi sono, che non mi hai chiesto, potrebbe essere interessante. In ogni caso non esiste una scuola pugliese, strictu sensu, potrei giusto dire che è esistita anni fa una associazione a Bari (Metropolis) che aveva una sezione letteraria (Daedalus) che si incontrava in sede e chiacchierava di poesia e letteratura una sorta di Barcamp ante litteram (anche piuttosto casuale). A quelle riunioni partecipavo io, Nicola Lagioia, Andrea Piva fra gli altri. Hai un cane e in Altrotempo racconti di una ricerca che nasce da una fuga. Trova la domanda. Scrive un famoso autore sudafricano che il dolore è come un cane fedele che ti segue dappertutto. Poi, nel dolore, il protagonista di un romanzo di quello scrittore sudafricano fugge dalla vergogna curando cani. La storia letteraria è costellata di cani e di fughe, da Odisseo che fugge perché de’ remi [facesse] ali al folle volo, ma alla fine l’unico che davvero lo riconosce è il suo Argo, fino a Timbuctu di Auster. Non so se ho trovato la domanda ma di sicuro ho un cane che mi seguirebbe nella fuga e avrebbe naso per la ricerca. Quando finisci di scrivere, i tuoi personaggi continuano a vivere nella tua testa? Continui a immaginare cosa fanno, cosa faranno, cosa avrebbero potuto fare altrimenti? Sì, vivono a lungo nella mia testa. Continuo a immaginare cosa facciano e cosa faranno. Per esempio Giulia, la protagonista di Altrotempo, passa casualmente nel nuovo romanzo che ho scritto, sulla sua Polo blu, è ancora in giro, è ancora affascinante sebbene abbia ormai qualche anno in più. Francesco invece no. Il protagonista di Altrotempo non l’ho più sentito, ho provato una volta a chiamarlo ma non mi ha risposto. Deve essersi offeso per qualcosa. Arcangelo Licinio
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LARA CARROZZO Più Luce - raccolta poetica Bhoomans editore
Il Salento è pulito. Lo dicono i dati scaturiti dai rilevamenti dei microinquinanti organici presenti nelle deposizioni atmosferiche, cioè di tutto ciò che si deposita al suolo, effettuati di recente dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) e dall’Istituto nazionale della chimica per l’ambiente (Inca) in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il Salento oggi è diverso, non più evocativo di termini come sottosviluppo e miseria, ma scenario ideale per set cinematografici, ambiente ideale dove il Fai ha trovato il modo, con le sue giornate primaverili, di evidenziare come sia diffuso e vario il nostro patrimonio artistico e naturalistico. Il Salento è un territorio ricchissimo di saperi, pieno di librerie, di case editrici, di associazioni culturali, di gallerie d’arte, di teatri, attivissimo nella produzione e organizzazione di appuntamenti culturali. Il Salento allora non è solo un territorio ricco di bellezze paesaggistiche e culturali, ma una terra che può offrire ancora molte opportunità. Ed ecco che una storica casa editrice olandese come Bhoomans editore, che opera dalla seconda metà del secolo scorso nella patria dei tulipani, apre anche una sua succursale proprio a Lecce e lo 48 LIBRI
ENZO MANSUETO Scassata dentro, un libro di prose e versi e un disco poetico
Scassata dentro, l’ultima proposta di Enzo Mansueto, per i tipi delle Edizioni D’if, è un gigantesco buco nero che inghiotte qualsiasi cosa, anche il silenzio e la disperazione. Libro di prose e versi, disco poetico, con musiche e sonorizzazioni centrifughe, elettroniche, acustiche, post-rock prodotte da La Zona Braille (lo stesso
fa con l’intento di lavorare con poche uscite, ma di alto valore contenutistico e una grande cura grafico-editoriale. Il primo lavoro di questa nuova azienda editoriale è di Lara Carrozzo, con la sua prima raccolta poetica dal titolo Più luce. Lara Carrozzo, che con una laurea in lettere, ha performativamente e poeticamente collaborato con grandi nomi della cultura salentina appartenenti al mondo accademico, scrive versi intensi che per comprendere ci si deve porre nella condizione di immaginarsi abbagliati da una grande fonte luminosa dopo un lungo percorso nelle tenebre. L’autrice nutrendo l’intera raccolta di tutta l’esperienza possibile assaporata nella sua vita, modella il ritmo poetico
Mansueto, con Davide Viterbo e Angelo Ruggiero). Oggetto alfabetico-sonoro non identificato. Esso diviene demiurgicamente Voce tonante la deriva del sociale – dall’Abisso dell’ex-sistere – e lamento funebre del Progresso, delle magnifiche sorti, annichilite dall’urlo del No Future. Mansueto è, in una parola: agghiacciante.
attraverso una dialettica che va dal sensibile al sensoriale al mistico. Fondamentalmente si tratta di un lavoro dove materia e cuore si fondono in un sincopato rumore bianco fatto di possessi, ingordigie, corpi, visioni misteriche ed esoteriche. Un canto di lode smisurato al Feminino Sacro come fonte inesauribile di energia ed ispirazione di vita. Stefano Donno
HUGUES PAGAN La notte che ho lasciato Alex Meridiano Zero
Che dire di Hugues Pagan, se non che merita di sicuro un posto bene in vista nell’Olimpo dei grandi scrittori noir, magari
Gli abbiamo rivolto qualche domanda per guidarci in questo viaggio nella zona del disastro. Come mai un libro/disco poetico? La parola tipografata, contagiata dai new media è slittata fuori pagina. Il marchingegnolibro si è scassato e la voce, digitalizzata e scorporata, torna a vibrare nella sfera dell’acustico, nella zona cieca di una nuova oralità. In ciò, La Zona Braille è avanguardisticamente arcaica. Come si usa quest’oggetto? Ognuno ne fa quel che vuole. Io suggerisco un ascolto notturno, a pieno volume su impianti ad alta fedeltà o in una buona cuffia. E gli occhi ben spalancati/ chiusi sulla pagina. Poi, quando la parola ti ha invaso e ritornellato, butti tutto nell’iPod e ti smarrisci tra le psicogeografie della città. Scassata dentro parla il linguaggio della metropoli e si
vicino a Chandler, o Hammet, a cui lui, anche se europeo, anzi, francese, strizza decisamente l’occhio? Questo La notte che ho lasciato Alex chiude la trilogia iniziata con Dead End Blues e Quelli che restano. Il protagonista, Chess, è lo stesso dei due precendenti romanzi, un poliziotto dall’anima straziata, ferita, che si muove in una Parigi che più noir non si può, tra pioggia, blues, donne fatali e misteri pericolosi e scottanti. Un romanzo del 1997, pubblicato la prima volta dalla sempre ottima casa editrice Meridiano Zero e ripubblicato adesso, sempre per gli stessi tipi. Traduzione di Luca Conti, come a dire un marchio di qualità. Dario Goffredo
nutre delle sue paure ancestrali. Quali? Dell’alienazione, innanzitutto. Intesa anche come invasione dell’alieno. Una paura che a volte si ribalta nell’euforica e schizofrenica ebbrezza del perdersi. La metropoli per me è anche questo: essere uomo della folla è anche essere oltre l’uomo, nell’orizzonte artificiato della giungla urbana e delle sue stratificate mappature, topografiche e mentali. Scassata dentro parla il linguaggio della poesia civile. Azzardo o ipotesi plausibile? Sì, ma solo in modalità indiretta, poiché l’anatomia dell’orrore, la stessa pornografia, offre argomenti ad un’etica dell’agire. Giammai, comunque, essa parla il linguaggio dell’impegno ideologico. Da anarchico, abituato a stare dalla parte delle minoranze etiche, manifesto il mio impegno nella polis col mero esistere a modo mio.
VICTOR GISCHLER Anche i poeti uccidono Meridiano Zero
Uno legge lo strillone in copertina in cui Joe R. Lansdale dichiara di “non essere riuscito a staccarsi dalla lettura di questo romanzo” e pensa: vabe’, sarà la solita marchetta che al
Scassata dentro parla il linguaggio di una sub-condizione umana fatta di particole di vita. Siamo già oltre Dick, ovvero in quale multiverso siamo? No, era Dick che era oltre. E noi ora ci siamo dentro in pieno: derealizzazione, tempo fuor di sesto, replicanti, ipercontrollo tecnologico, non sono più ingredienti per romanzi di fantascienza. La tele-visone, che riempie gran parte dei versi di Scassata dentro, è la metafora di un generatore di realtà parallele nelle quali, anche corporalmente, la nostra vita si aliena, subendo una inaudita metamorfosi. In qualche modo, le poesie sonorizzate di Scassate dentro emulano i meccanismi invasivi e subliminali di questa “realtà” esaltandone il carattere allucinatorio. Come tutta la vera letteratura, siamo in presenza di un potente allucinogeno! Stefano Donno
bravo scrittore texano è toccato di fare per aiutare un collega a vendere qualche copia in più (una moda molto americana, d’altronde: Stephen King sono decenni che rilascia attestati di apprezzamento che capeggiano in bella vista sulle copertine di dozzine e dozzine di giallacci anche della peggior specie, al punto che verrebbe da chiedersi quanto tempo mai potrà passare uno scrittore di grido come lui a leggere roba altrui?). E invece Anche i poeti uccidono di Victor Gischler mantiene la promessa, e lo fa per davvero, diavolo! Leggi le prime pagine e in un attimo la scrittura ti avvinghia, catapultandoti in un mondo di sbroccatissimi gangster tarantiniani e poeti in LIBRI 49
crisi creativa che si affrontano a ritmo incalzante, lasciandoti senza fiato. Il protagonista Jay Morgan è un professore universitario di provincia che una mattina si ritrova nel letto il cadavere nudo di una sua studentessa, un evento a seguito del quale la sua vita viene sconvolta dovendo in rapida successione confrontarsi con un investigatore rapace, una partita di droga trafugata, un benefattore scorbutico che gira per il campus con un gorilla dal grilletto facile e una gang di spacciatori incazzata nera, più tutt’una serie di piccoli insormontabili guai che si concatenano tra loro in una sarabanda spumeggiante. L’autore costruisce la storia con un gusto incredibile per il gioco narrativo, graffiando con sarcasmo e intelligenza sia il mondo universitario che i canoni ormai un po’ stazzonati del genere noir. Onore e gloria, quindi, alla straordinaria capacità di Gischler (autore di sette romanzi e sceneggiatore di fumetti per la Marvel) di tenere ben saldo il lettore sulla vicenda: una qualità unica che non si impara in nessuna scuola di scrittura creativa, e che, vivaddio!, è ancora in grado di stupire gli appassionati. Traduzione di Luca Conti: praticamente una garanzia - che ve lo dico a fare? Omar Di Monopoli
FESTIVAL OF FESTIVALS Festival 2010. Un anno di eventi culturali in Italia Morellini Editore
Festival of Festivals rinnova la sua collaborazione con Morellini Editore per la redazione della quarta edizione della guida ai festival italiani Festival 2010. Un anno di eventi culturali in Italia. La guida 50 LIBRI
raccoglie le più importanti manifestazioni festivaliere del territorio nazionale, raccontandone focus, linee guida e dati, in modo da fornire al lettore uno strumento unico e completo per partecipare all’evento. Una lettura decisamente interessante non solo per gli addetti ai lavori ma anche per chi magari vuole programmare le sue vacanze anche in base a quello che c’è da sentire e vedere in giro per l’Italia. Schede ricche e complete dei festival di musica, cinema, arte, letteratura e cultura in generale. Uno strumento utile e divertente per chi ama le guide come il sottoscritto. Dario Goffredo
cheranno pur qualcosa) fanno dei libri di Carofiglio piacevoli passeggiate tra le parole. In questa ennesimo episodio l’avvocato Guerrieri si trasforma quasi in un investigatore privato alla scoperta di un mistero da Chi la visto? per una ragazza scomparsa da molti mesi. Come al solito le storie di legge si incrociano con la tormentata vita privata di questo avvocato che i lettori hanno imparato a conoscere e ad apprezzare non solo sulle pagine ma anche in tv. Una di quelle saghe (come accade per Montalbano) che lascia sempre la speranza che ci sia un seguito. Scipione
GIANRICO CAROFIGLIO Le perfezioni provvisorie Sellerio editore
AA.VV Guerra alla terra Edizioni Ambiente
In un numero dedicato alla letteratura pugliese degli ultimi anni non poteva mancare uno degli autori più richiesti e venduti del panorama italiano. Il magistrato e senatore Gianrico Carofiglio ha fatto ancora centro con Le perfezioni provvisorie nuova avventura della saga dell’avvocato Guerrieri che, uscita come al solito per Sellerio, ha conquistato le vette delle classifiche di vendita confermando tutte le qualità dello scrittore barese. Capacità di tinteggiare personaggi credibili, ironia, legami con l’attualità (politica, cocaina e prostituzione nella Bari odierna signifi-
Da piccolo, ricordo l’angoscia provocata dalle immagini televisive dei missili nucleari che avrebbero potuto distruggere la terra allora divisa dalla guerra fredda che volgeva al termine. Angosciose immagini di quello che poteva essere. Dagli anni ’90, in poi, invece la guerra è diventata una condizione di “normalità” nelle televisioni e sui media. I bambini italiani di oggi, rifletto, nascono con la guerra e sono quasi assuefatti a questa brutale “normalità” mediatica. Ma non tutte le
guerre sono uguali e non tutte le guerre vengono raccontate allo stesso modo. Guerra alla terra della collana VerdeNero di Edizioni ambiente a cura dei giornalisti di Peace Reporter racconta cinque conflitti scatenati per la conquista delle risorse naturali. Christian Elia parla dell’acqua del contendere nel conflitto israelo-palestinese, Alessandro Grandi racconta del litio boliviano, Matteo Fagotto della guerra dimenticata del petrolio nel delta del fiume Niger, Cecilia Strada racconta invece delle mine in Afghanistan. Vauro, a suo modo e con le sue vignette, racconta il rapporto tra guerra e ambiente. “Continuiamo a giocarci pezzi di pianeta, seppellendo sotto le bombe e le mine, avvelenandolo con l’uranio e il petrolio, stravolgendone la fisionomia. Nessun trattato di pace potrà rimettere le cose a posto”, sottolinea nella prefazione Gino Strada. “La cultura della guerra ha preso il sopravvento e ha fatto saltare anche i paletti della logica, non solo quelli della convivenza civile”, precisa nella introduzione Maso Notarianni. “Su che base logica e lessicale, infatti, una bomba che esplode in una città europea facendo decine e decine di vittime civili si chiama terrorismo, mentre una che detona in un mercato del giovedì in un villaggio afgano si chiama deprecabile errore? Qualcuno crede ancora al fatto che non sia nei piani strategici (criminali), nelle intenzioni (criminali) e nella volontà (criminale) dei comandanti militari occidentali e dei loro mandanti politici l’ammazzare ogni giorno svariate decine di civili inermi?” (pila)
JAMES ELLROY Il sangue è randagio Mondadori
Ci sono dei punti fermi nella vita di ognuno, tipo il gelato più buono, il piatto preferito, la città dove siamo stati più felici eccetera. Uno die mie punti fermi è che James Ellroy è un genio, e non si discute. Mi sono tuffato in questo immenso Il sangue è randagio pieno di aspettative. Era troppo tempo che fremevo per l’attesa dell’ultimo romanzo del più grande scrittore di noir del mondo (non è un’iperbole), avevo ormai covato un desiderio di leggerlo che era diventato insopportabile. Finalmente l’ho stretto tra le mani, l’ho annusato, l’ho accarezzato, come si fa con un cucciolo appena entrato in famiglia. E poi mi ci sono immerso in questo meraviglioso delirio di oltre 800 pagine. Un grandioso affresco dostoevskiano sulla storia recente degli Stati Uniti d’America. Il sangue è randagio chiude la trilogia iniziata con America tabloid dove il genio di Los Angeles raccontava gli anni della Baia dei Porci e dell’omicidio Kennedy sotto la regia occulta, ma non troppo, della CIA, della mafia, dell’FBI guidata da Edgar J. Hoover. Il secondo capitolo, Sei pezzi da mille, invece raccontava le vicende legate alla guerra del Vietnam e agli omicidi di Martin Luther King e Robert F. Kennedy. Si ripresentavano alcuni personaggi cruciali del primo romanzo e ne incontravamo di nuovi altrettanto cattivi e strepitosi. Ed eccoci a oggi. JFK, RFK e MLK sono morti. A chi toccherà adesso? Quali sono gli affari sporchi in cui si immischerà la mafia. E Hoover contro chi complotterà? Quali nuovi personaggi incontreremo? E quali dei vecchi ci toccherà salutare? Non vi racconto nulla della trama per non guastare nemmeno un briciolo del piacere enorme che procura la lettura di questo nuovo romanzo di James Cattiiiiivo Fratello Ellroy. Dario Goffredo 51
BOOKS BROTHERS
Books Brothers: associazione “di pronto intervento letterario” nata all’ombra degli anni Ottanta, ha fatto crescere e conoscere quelli che all’inizio vennero salutati con stupore come gli autori di uno sconosciuto “Sud Estremo”. Da allora, sono passati più di vent’anni, Books Brothers si è conquistata la fiducia di autori e lettori in ogni parte d’Italia attraverso un capillare e costante lavoro di ricerca tra le scritture più vive delle giovani generazioni. Domenica 25 Aprile, a Roma, viene presentato uno dei suoi ultimi frutti (e, per rimanere nella metafora, uno dei più maturi): l’antologia di racconti e testi di critica letteraria Frammenti di cose volgari. Ne parliamo con uno dei curatori, lo scrittore Maurizio Cotrona. 52 LIBRI
Books Brothers: il nome riecheggia quello del film, Blues Brothers… perché quest’omaggio? Ok, confesso: sono un Brother della seconda ora e quando è stato scelto il nome non c’ero! Mi viene in mente solo lo slogan che accompagnava la nostra sigla: Books Brothers, everybody needs some book to love! Da quale bisogno è nata, qual è il vuoto che voleva colmare? Il big bang di Books Brothers si può fare risalire al 1988, anno in cui Gaetano Cappelli, Michele Trecca ed Enzo Verrengia hanno invitato gli autori meridionali under 25 a venire allo scoperto. L’idea era quella di creare uno spazio di lavoro
per la letteratura non masticabile con logiche aziendali ma “proiettata all’offensiva per piegare il presente ad un senso comune o condivisibile”. È l’idea sintetizzata con lo slogan “per una scrittura a trazione anteriore”, che non vuole definire altro se non una scrittura che non deve rendere conto a nessuna logica se non a quella della scrittura stessa. Ne è venuta fuori l’antologia Sporco al sole, un esperienza di indubbio successo, in termini di scouting (ci stavano dentro Ottavio Cappellani, Francesco Dezio, Annalucia Lomunno e Livio Romano) e di dibattito suscitato. Noi ancora oggi cerchiamo di tener vivo quello spirito. Poi è arrivato il debutto in rete: cosa è cambiato? Cos’è Books Brothers oggi? La rete ha reso possibile una dimensione di laboratorio “economica” e “permanente”. Una manciata di persone ha potuto creare un piccolo ma vitale “ambiente creativo”, dove gli autori ricevono l’attenzione e il rispetto che meritano. Senza promettere nulla se non la possibilità di confrontarsi con una redazione competente (si spera) e uno spazio in cui venire allo scoperto. In cosa, soprattutto, ti sembra cambiato il clima letterario – e culturale – rispetto al momento in cui avete iniziato? Mi sembra che sia aumentata “quantitativamente” l’offerta complessiva. C’è moltissima roba di qualità media in giro ed è difficilissimo essere notati. Un caso come quello di Sporco al sole oggi non riceverebbe alcuna attenzione, temo. Quanto BB è strettamente pugliese, e in cosa, e quanto aperta ai fermenti del resto d’Italia? È pugliese la genesi, ma ormai l’ancoraggio è saltato. L’origine pugliese di alcuni dei fondatori resta un fatto accidentale; la nostra redazione ha varcato i confini e nel nostro bacino di autori non è possibile riconoscere alcuna prevalenza geografica. C’è, qualcosa, secondo te, che definisce la tipicità di una “letteratura del Sud” rispetto a quella del Centro o del Nord? La tendenza al lamento è una debolezza atavica. Ma se mi guardo attorno scopro che non sono stati gli autori meridionali a guarire dal cosiddetto “dolorismo” ma, anzi, sono stati quelli centro-settentrionali ad esserne contagiati. Ormai l’Italia è un grande meridione, pieno di canitartufo del marcio. Faccio l’esempio del recente romanzo Acciaio, di Silvia Avallone: è ambien-
tato a Piombino, ma è simile a tanta roba che ho dovuto leggere sulla mia Taranto. Avete appena autoprodotto un’antologia di testi critici e letterari. Ci spieghi il titolo: Frammenti di cose volgari? “Frammenti” perche dentro l’antologia sono finiti pezzi di una cosa molto più grande; la dimensione complessiva del lavoro svolto su booksbrothers.it può essere colta sfogliando il retro del libro: Acqua passata, ovvero un catalogo accurato di tutto quello che è stato pubblicato sul sito nei tre anni dal 2006 al 2008. Abbiamo definito questi frammenti “volgari” perché li consideriamo “vicini”, “veri”, “umani”. Sono pezzi di Italia, pezzi del nostro tempo, persone. Quanti testi ricevete/avete ricevuto? Mi fai felice con questa domanda e, grazie al lavoro di catalogazione svolto da Antonio Gurrado, posso rispondere in maniera molto precisa! Dal 2 gennaio del 2006 a San Silvestro del 2008, booksbrothers.it è vissuto su 473 interventi, con una media di quasi mezzo intervento al dì, quindi 3,3 a settimana. Per citare Gurrado “i blog – non solo letterari – nascono e muoiono nel breve volgere dell’entusiasmo o dell’ottimismo, Books Brothers è perdurato ed è stato costante, il che significa che ha sempre avuto qualcosa da dire”. Con la nostra Area Creativa abbiamo mandato in onda la bellezza di settanta autori diversi. E nel 2009 i numeri si sono quasi duplicati… è un caso in cui quantità vuol dire qualità. Cosa consigli a un esordiente scrittore? Nel mio caso ha funzionato considerare i rifiuti non come una persecuzione, ma come un invito a migliorare. Per il resto considero utile acquisire un po’ di dimestichezza del mondo editoriale, leggendo autori contemporanei e, perché no, frequentando un corso/laboratorio di scrittura creativa. I corsi non aiuteranno a scrivere meglio ma costringono lo scrittore ad uscire dal proprio guscio fatto di sbalzi di umore selvaggi (Oddio, non valgo una cicca! Oddio, sono un genio incompreso!). Di quali esordi vi sentite più fieri? (Se vi sentite fieri di qualche esordio…) Ho già citato Cappellani, Dezio, Lomunno e Romano. Posso aggiungere Andrea Corraro, Giovanni Di Iacovo, Francesco Lanzo, Roberta Jarussi e Andrea Di Consoli. Ma, conoscendomi, è probabile che stia dimenticando i migliori. Michela Carpi LIBRI 53
CINEMA TEATRO ARTE
NEL SALENTO DELLE MINE VAGANTI Il regista turco Ferzan Ozpetek propone una commedia amara ambientata a Lecce Una commedia dolce e amara, leggera e intensa, comica e drammatica. Mine Vaganti nuovo film del regista turco Ferzan Ozpetek ha messo d’accordo critica e pubblico. La tematica è quella cara al regista delle Fate 54 cinema teatro arte
Ignoranti, l’omosessualità e il suo rapporto con la società. In questo caso, però, dopo numerosi drammi e film seriosi e seri, Ozpetek si cimenta con la commedia all’italiana dove il tema sociale si incastra a perfezione con l’ilarità.
La storia ruota attorno alla famiglia Cantone proprietaria di un pastificio poco distante da Lecce, una famiglia numerosa e stravagante guidata da papà Vincenzo (Ennio Fantastichini) deluso nella aspettative sui figli e soprattutto sconvolto dall’annuncio del maggiore Antonio (Alessandro Preziosi) che dichiara di fronte alla famiglia radunata per un pranzo d’affari di essere omosessuale. Una condizione che viene vissuta invece come una malattia e che porta lo scompiglio nella famiglia e il chiacchiericcio in città. Ma c’è una cosa che papà Vincenzo non sa. Anche il figlio minore Tommaso (Riccardo Scamarcio) ha qualcosa da nascondere. Non studia economia ma scrive romanzi e soprattutto non ha una ragazza ma un fidanzato medico con il quale convive a Roma. Il ritorno di Tommaso nella casa paterna scatena una serie di novità (a partire dall’outing del fratello) che vede protagoniste la nonna (una bravissima Ilaria Occhini) ribelle e intrappolata nel ricordo di un amore impossibile, la mamma Stefania (Lunetta Savino), amorosa ma soffocata dalle convenzioni borghesi, l’eccentrica e alcolizzata zia Luciana (Elena Sofia Ricci), la sorella Elena (Bianca Nappi) che rifugge il suo destino da casalinga e la sua monotona vita da mamma e moglie. Nella vita dei Cantone e di Tommaso, in particolare, entra anche Alba (Nicole Grimaudo), la cui famiglia diventa socia del pastificio. “Non farti mai dire dagli altri chi devi amare e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre” è l’ammonimento della nonna, la vera mina vagante del film. “Il tema non è l’omosessualità”, tiene a precisare il cosceneggiatore Ivan Cotroneo, “ma il rapporto padri-figli, la difficoltà di conoscersi e di accettarsi”. “Quello delle persone preoccupate più dall’apparenza che dalla sostanza è un club che ha molti iscritti”, precisa Ennio Fantastichini. “Io, di mio figlio, piuttosto che sapere con chi va a letto, vorrei sapere se è felice. È un periodo in cui sono attratto dal ruolo di padre. La riflessione più grande che si può fare è sul rapporto tra padre e figlio. A volte noi papà siamo troppo ossessivi, preoccupati. Vincenzo, il mio personaggio, ha un’ossessione, la paura di ciò che gli altri possano pensare di lui e della sua famiglia”. Un’altra mina vagante che, in qualche modo, è detonatore di tutta la storia è Antonio. “Uno che crea scompiglio in famiglia in nome di un segreto che ha tenuto nascosto per anni e che, improvvisamente, decide di buttare fuori in nome dell’amore”, sottolinea Alessandro Preziosi. “Credo che il cinema,
soprattutto una commedia leggera come questa, debba essere disimpegnante. Mine vaganti non vuole imporre una morale a nessuno, non vuole insegnare niente se non l’importanza di fare delle scelte. Funziona un po’ come la solidarietà: nessuno ti obbliga a fare nulla, sta a te capire l’importanza del dare agli altri”. Per raccontare questa vicenda Ozpetek ha scelto la strada della commedia. “Viviamo un’epoca in cui c’è davvero poco da ridere, noi abbiamo deciso di farlo e sul set ci siamo divertiti tanto”, sottolinea Elena Sofia Ricci. La colonna sonora comprende Sogno di Patty Pravo e 50 mila che ha consolidato il successo di Nina Zilli. Mine Vaganti ha anche un’altra protagonista: Lecce. “Non ho voluto esagerare con gli accenti. Gli attori parlano in italiano ma con una leggera inflessione e qualche intercalare dialettale”, sottolinea il regista Ferzan Ozpetek che è rimasto folgorato dal Salento e da Lecce, dalla sua luce, dalla sua bellezza, dal calore delle persone. “Avrei potuto girare questo film in Sicilia o in un’altra regione del Sud, ma ho scelto Lecce, che già conoscevo, accogliendo la disponibilità del sindaco Perrone e la disponibilità dell’Apulia film commission che ha sostenuto e finanziato il progetto. Sono arrivato a 50 anni e posso definire quello di Lecce il mio periodo più felice. Tutta la Puglia è una regione particolare ma ad affascinarmi è soprattutto la gente. Il pugliese è simile a me: io apro a tutti le porte della mia casa, dando subito fiducia”. Mesi di preparazione e di set che hanno scaldato il cuore della troupe e del cast. “Tornando qui, abbiamo provato una forte emozione alla comparsa della segnaletica stradale che indicava Lecce”, ha dichiarato la Ricci durante l’anteprima leccese del film che ha visto anche la partecipazione delle comparse e degli attori salentini che hanno svolto piccoli ruoli nel film. E se sui manifesti affissi per Lecce spiccava l’orgogliosa scritta “girato nel Salento” sicuramente un film di qualità come quello di Ozpetek è un ottimo spot per questo territorio. Il regista, grazie alla collaborazione con il location manager Andrea Coppola, regala un Salento molto bello (dal mare di Gallipoli al centro storico di Lecce) ma non da cartolina manieristica. E poi, cosa che non accade spesso, il film non solo è girato a Lecce ma è ambientato a Lecce e la città viene spesso citata. Una risposta a chi considera l’investimento in cultura e nel cinema uno sperpero di denaro pubblico. Pierpaolo Lala cinema teatro arte 55
ROSSELLA PICCINNO Hanna e Violka Anima Mundi Kurumuny
Una mamma che abbraccia la sua famiglia in Polonia dopo anni di lavoro come badante nel Salento. Una figlia diciannovenne che la sostituisce per consentirle il viaggio. Una trasformazione privata e il confronto con differenti ruoli, l’Italia che invecchia, la famiglia che cambia, la migrazione di oggi, la capacità delle donne di affrontare con forza e ironia le dure sfide del quotidiano sono al centro del bel documentario Hanna e Violka di Rossella Piccino uscito per Anima Mundi e Kurumuny con il sostegno dell’Apulia Film Commission. Hanna Korszla è una delle 1.700.000 badanti presenti in Italia. Violka è una diciannovenne senza lavoro che per un periodo sostituisce la madre nella cura dell’anziano ‘Ntoni. “Avvicinandomi a questo tema con il mio precedente lavoro Voci di donne native e migranti”, sottolinea la regista Rossella Piccino, “ho sentito l’esigenza di fare un ulteriore passo in questa direzione spostando la mia ricerca dal documentario corale al film privato, dalla realtà detta alla realtà mostrata. Per questo motivo ho scelto di raccontare la vita di Gina e ‘Ntoni, miei nonni materni, e 56 cinema teatro arte
“Provate a mettervi nei miei panni: vi staranno larghissimi, ma provateci”. È un fiume in piena di felicità e autoironia Nicola Nocella, ventottenne di Corato che in pochi mesi è stato catapultato dal Centro sperimentale di cinematografia sul set di Pupi Avati e poi consegnato alla ribalta nazionale. È lui quel figlio più piccolo cui si riferisce il titolo dell’ultimo film di Avati, ed è suo il suo nome che campeggia tra quelli di Christian De Sica, Laura Morante e Luca Zingaretti. La storia sembra ripetersi: anche per Il papà di Giovanna Avati affidò a un comico (Ezio Greggio) un ruolo drammatico e scovò l’allora poco nota Alba Rohrwacher per la parte della protagonista. In quest’ultimo film il ruolo drammatico è andato a De Sica, mentre si spera che
di Hanna, la loro badante polacca, avventurandomi personalmente in una riflessione che non è solo antropologica e sociale ma prima di tutto intima e personale”. Il documentario è corredato da un libretto a cura di Naemi, forum di Donne Native e migranti con Il racconto del viaggio a Chelm di Rossella Piccinno, La nenia dell’amore di Maurizio Nocera, Venute dall’est di Ada Donno, Il lavoro invisibile delle donne migranti di Antonella Mangia e una interessante analisi dei dati che riguardano le badanti in Italia e in Puglia. Una ennesima con-
Nocella ricalchi il percorso della Rohrwacher: David di Donatello come miglior attrice protagonista. Nicola Nocella è già al settimo cielo anche senza premio e ogni due per tre ricorda, a se stesso e agli altri, quanto sia riconoscente al regista per avergli cambiato la vita. Com’è avvenuta la selezione: il classico provino? Ero seduto su una panchina al Centro sperimentale e Avati passeggiava col mio maestro, Giancarlo Giannini. Passando, mi ha guardato e mi ha chiesto l’età, nulla di più. Era Pasqua dell’anno scorso, io stavo tornando a casa dai miei per qualche giorno. Al casello di Canosa mi squilla il telefono: era Pupi Avati che mi chiedeva di raggiungerlo a Roma.
ferma di come il documentario possa essere il modo migliore, e troppo spesso sottovalutato, per raccontare la società che cambia. (pila)
MIRKO GRASSO Cinema primo amore. Storia del regista Antonio Marchi Kurumuny
La casa editrice salentina Kurumuny prosegue il suo viaggio nel documentario con Cinema primo amore. Storia del regista Antonio Marchi di Mirko Grasso. L’autore dopo Pasoli-
NICOLA NOCELLA
Io esordiente con Pupi Avati Che si fa in questi casi? Sono arrivato a casa, ho raccontato tutto a mio padre e siamo ripartiti subito. La sera dopo sono uscito dallo studio di Avati col contratto firmato e 270 pagine di sceneggiatura in mano. Ero in lacrime. Parlando del primo giorno di riprese, Avati ha ricordato con tenerezza suo padre che aspettava fuori dai cancelli di Cinecittà. Com’è andata? Siamo una famiglia comune: papà fa un lavoro normale, mamma è una casalinga. Tutto ci è piovuto addosso all’improvviso, mi sentivo più sicuro a sapere che papà era lì ad aspettarmi, anche perché temevo che da un momento all’altro ci ripensassero e mi mandassero via. Però mi vergognavo, quindi gli ho chiesto di aspettare fuori.
ni e il sud, Stendalì, Scoprire l’Italia, Geatano Salvemini. L’uomo il politico e lo storico e Firenze di Pratolini si cimenta con questo regista di Parma (1923/2003) che ha operato tra il 1946 e il 1957. In quei pochi anni Marchi realizza numerosi documentari, fonda una rivista di cinema, dirige un lungometraggio. La sua esperienza si intreccia con quella di numerosi intellettuali come Pasolini, Antonioni, Zavattini, Moravia, Ungaretti e Attilio Bertolucci. “Elegante e misterioso. Così mi appariva Antonio Marchi da bambino”, ricorda il figlio di At-
Invece è andata bene. Ha condiviso il set con De Sica, Morante, Zingaretti: niente male come esordio. Lavorare con attori del loro calibro è una fortuna. Alcuni attori sono gelosi del mestiere e fanno di tutto per custodirne i segreti. Laura, Christian e Luca, invece, mi hanno preso per mano e guidato, insieme con Pupi, per tutte le riprese. Come ha reagito Corato alla vista del suo volto sulle locandine? Sono stato a Corato quando ancora il film non era uscito. In pochi sapevano della fortuna che mi era capitata. So che la città è orgogliosa, ma anche un po’ intimorita.
per quattro anni, ho studiato seriamente per altri tre e ho ottenuto un risultato con fatica, non partecipando a un reality. Sono un precedente pericoloso: nessun genitore potrà più opporsi al desiderio di un figlio che vuol fare l’attore. E i suoi, di genitori, come hanno reagito? Mi hanno sempre sostenuto. Mi hanno solo detto: “Se vuoi fare l’attore, lo devi fare seriamente. Devi studiare”. E così ho fatto. Si può diventare un buon attore anche senza una scuola? Non si può prescindere da una solida preparazione di base. Fare l’attore è come fare qualunque altro mestiere al mondo: bisogna studiare e poi fare anche tanta pratica.
In che senso? Ho provato a entrare al Centro sperimentale di cinematografia
Come le sembra la situazione del cinema in Puglia? Il mondo del cinema continua ad essere “romanocentrico” e io non vivo in Puglia da anni. Mi sembra di capire, però, che si è sulla buona strada: il Bifest ha avuto grande risonanza, il cineporto e le sale di qualità sono ottime idee. Valeria Blanco
tilio, Bernando Bertolucci. “Se sono diventato regista di film è per imitare lui. Ho rivisto tutti i documentari diretti da Antonio e scritti da mio padre. Sono estetizzanti e poetici”. Il libro è accompagnato dal dvd con due documentari: La liberazione di Montechiarugolo e Come un canto. Appunti e immagini di un regista dimenticato. “Leggerissimi e straordinariamente evocativi sono due gioielli che di dicono tanto su quello che sarebbe potuto essere il cinema dell’indimenticabile Antonio Marchi”, sottolinea Bertolucci. Il libro propone
un’attenta analisi del dopoguerra nel quale nasce e cresce la passione del regista anche attraverso documenti inediti e testimonianze di coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato come Luigi Malerba, Citto Maselli e Mario Verdone. “Al di là del film, colpisce nella ricostruzione di Mirko Grasso l’intreccio delle attività di Marchi e del suo gruppo “fuori Roma”, e come la provincia abbia contribuito alla realizzazione di film e al dibattito sul cinema”, sottolinea nell’introduzione Adriano Arpà. (pila) cinema teatro arte 57
ARTURO CIRILLO
Intervista all’attore napoletano in scena a Nardò con il suo “Fatto di cronaca di Raffaele Viviani a Scampia” Arturo Cirillo è un nome fondamentale nel teatro contemporaneo italiano, grazie alla sua continua ricerca sul teatro di tradizione napoletano e non solo. Per tantissimi anni ha recitato nella compagnia di uno dei maestri indiscussi: Carlo Cecchi. Ha portato in scena lavori di Eduardo, Moliere, Shakespeare, riuscendo a dare alle sue messinscene sempre un tocco personale e inimitabile. Lo potremmo vedere in scena venerdì 16 e sabato 17 al teatro Kismet di Bari e domenica 18 aprile a Nardò nell’ambito della stagione teatrale Lo spettatore incantato dove porterà un testo di un grande autore napoletano, Raffaele Viviani. Un testo, questo Fatto di cronaca di Raffaele Viviani, che si discosta in modo deciso dalla tradizione del teatro napoletano più conosciuta al grande pubblico, quella di Edoardo. Ce ne vuole parlare? 58 cinema teatro arte
Considero Raffaele Viviani un grande scrittore di teatro, allo stesso livello di Eduardo, se non superiore. Questo è un testo del 1920, che tratta di un incidente in cui trova la morte una moglie fedigrafa. In un clima di omertà e connivenze si dipana una trama continuamente in bilico tra il dramma e la farsa, dove la comicità nasce più dal tragico che dal ridicolo. Come è nata l’idea di lavorare con attori non professionisti, i ragazzi di Scampia? E come si è trovato a lavorare con loro? L’idea di lavorare con allievi attori, perché questo sono i ragazzi di “Punta corsara” non è nata da me ma da Marco Martinelli e Debora Pietrobono, che mi hanno chiamato a fare un laboratorio di dieci giorni, e poi successivamente a curare una trasposizione scenica di un testo di drammaturgia napoletana con i ragazzi del corso. Ho scelto la lingua di Viviani perché mi
è parsa la più naturalmente vicina a quella di questi ragazzi. Con loro mi sono trovato molto bene, imparando a volte più che insegnando, o quasi sempre entrambe le cose. Ha trovato un gruppo disposto a seguirla? Come hanno risposto i ragazzi agli stimoli del teatro? Ho trovato un gruppo di persone che avendomi già conosciuto nel primo laboratorio fatto in sieme avevano curiosità e voglia di confrontarsi con il mio modo di fare teatro, anche magari temendo le difficoltà che potevano nascere ma comunque determinati, come forse solo la giovinezza sa essere. Ci tengo a chiarire che questo è stato un vero corso di teatro, quello che i ragazzi per tre anni hanno frequentato, quindi mi sono trovato a lavorare con delle persone che stavano già avendo una relazione con “i teatri” di molti artisti e maestri, nulla a che fare con l’assistenza sociale o affini insomma. Che cosa rappresenta per lei il teatro di tradizione? Il teatro di tradizione è il teatro, non credo in un teatro che non si rapporti con il passato e con le tradizioni. È un arte che si fa nel presente, pensando e vivendo, o anche sognando, il passato. E che cos’è invece per Arturo Cirillo il teatro di ricerca? Il teatro di ricerca è quello che reinventa la tradizione, ogni volta. È un teatro che non replica ma cerca di accadere ogni sera. Dove sta andando oggi il teatro in Italia? Alla malora, ma con vitalità. Coolclub.it sta realizzando un’inchiesta in tre numeri sulle arti in Puglia negli ultimi cinque anni. Che cosa pensa della letteratura e del teatro pugliesi? Non conosco la letteratura e la drammaturgia pugliese, ma ritengo che la Puglia sia una regione molto attiva nel teatro, tra le migliori direi. Quali sono i suoi progetti per il futuro? Riprenderò Le cinque rose di Jennifer, l’Otello la prossima stagione. A giugno a Martina Franca curerò la regia dell’opera lirica Napoli milionaria su libretto di Eduardo, con le musiche di Nino Rota. A ottobre inaguriamo, con la mia compagnia, la stagione del teatro Mercadante di Napoli con l’Avaro di Molierè. Dario Goffredo
A NARDÒ LO SPETTATORE È INCANTATO Fatto di cronaca di Raffaele Viviani a Scampia a cura di Arturo Cirillo andrà in scena domenica 18 aprile presso il Teatro Comunale di Nardò nell’ambito della rassegna Lo spettatore incantato, a cura del Comune di Nardò, del Teatro pubblico pugliese e di Terrammare Teatro che è la compagnia in residenza per il progetto Teatri Abitati. La stagione del piccolo teatro storico di Nardò si articola in diverse sezioni che spaziano dalla prosa alla scena contemporanea, dalla danza al teatro per le famiglie, dalla scena dei ragazzi al teatro per diletto (con le compagnie amatoriali). 13 spettacoli serali, 5 spettacoli per le famiglie nella rassegna “piccoli sguardi” oltre 15 recite di teatro ragazzi per le scolaresche. La rassegna ospita anche attività di formazione con laboratori e stage per bambini e adulti, seminari per insegnanti. Il teatro è anche uno spazio di produzione dove Terrammare prova, realizza e replica i suoi spettacoli per ragazzi. Terrammare ha adottato inoltre all’interno della residenza la giovane formazione Factory Compagnia Transadriatica che realizzerà uno spettacolo nella prossima stagione. Questi i prossimi appuntamenti: sabato 10 aprile andrà in scena Cena a sorpresa di Neil Simon con Giancarlo Zanetti, Giuseppe Pambieri, Benedetta Buccellato, Toni Garrani, Simona Celi, Fiorenza Marcheggiani per la regia di Giovanni Lombardo Radice. Sabato 24 aprile la compagnia Fontemaggiore propone Ricordi con guerra di e con Stefano Cipiciani che riporta in scena un personaggio che visse per due estati, quella del 1989 e 1990, in due spettacoli con la regia di Marco Baliani Corvi di luna e D’Acqua la luna. Gli spettacoli parlavano della resistenza traendo spunto principalmente dai testi di Italo Calvino e Beppe Fenoglio. Venti anni dopo raccontare quella piccola storia è una sfida alla memoria personale e a quella di un paese che non sa più se festeggiare o no il venticinque aprile. Sabato 30 aprile la rassegna ospita la compagnia salentina Induma con W l’Anarchia! liberamente tratto da Anarchia in Baviera di Rainer Werner Fassbinder con Lea Barletti, Simone Franco, Anna Lisa Gaudino, Cecilia Maffei, Otto Marco Mercante, Giuseppe Semeraro per la regia di Werner Waas. Info 0833.571871 59
EVENTI MUSICA VENERDÌ 2 – Vite di Nardò (Le) Giorgio Distante solo VENERDÌ 2 – Endorfina di Montesano (Le) Lola’s Got A Sista SABATO 3 – Endorfina di Montesano (Le) GaRdeNya SABATO 3 – Vite di Nardò (Le) Ard trio SABATO 3 – Sotterranei di Copertino (Le) Miss Fraulein SABATO 3 – Transito di Lecce X-mood con Raffaele Casarano e Dario Muci SABATO 3 – H25 di Bari Nina Zilli SABATO 3 - Istanbul Café di Squinzano (Le) Roots hi-tek DOMENICA 4 - Istanbul Café di Squinzano (Le) Postman ultrachic DOMENICA 4 – Evening di Monteroni (Le) Paskareggae Night con Bunna (from Africa Unite), Terron Fabio (from Sud Sound System) e Lampa Dread (from One Love) DOMENICA 4 – Endorfina di Montesano (Le) Orient Express LUNEDÌ 5 – Parco Gondar di Gallipoli Alboroise, Boo Boo Vibration e Boosta LUNEDÌ 5 – Campeggio Sentinella di torre dell’Orso Pasquetta rock&roll VENERDÌ 9 – Saletta della Cultura di Novoli (Le) Perlè VENERDÌ 9 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Black garden e Teenage Riot VENERDÌ 9 – Cavallo di Troia di Molfetta (Ba) 60 EVENTI
Marco Parente VENERDÌ 9 – Endorfina di Montesano (Le) Silvered VENERDÌ 9 – Vite di Nardò (Le) Antonio Tosques duo VENERDÌ 9 – Sashon di Salve (Le) Elisa Perrone&Funk Mood SABATO 10 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Polar for the masses SABATO 10 – Endorfina di Montesano (Le) Dufresne, Hierophant, Fish Eye Corporation SABATO 10 – Transito di Lecce Mascarimirì e Anna Cinzia Villani SABATO 10 – Vite di Nardò (Le) Djazz live SABATO 10 – h25 di Bari Linea 77 SABATO 10 – Teatro Forma di Bari Bobby Previte’s Panatlantic Band Feat Gianluca Petrella SABATO 10 - Jungle pub di Presicce (Le) Gli Sparisopra (Vasco Tribute) SABATO 10 E DOMENICA 11 – Teatro Paisiello di Lecce Papaveri Rossi. Tributo a Fabrizio De Andrè tra musica e poesia DOMENICA 11 - Lulu’s di Maglie (Le) Musicamo’ (Omaggio A Sergio Caputo e Pino Daniele) GIOVEDÌ 15 – Teatro Petruzzelli di Bari Afterhours GIOVEDÌ 15 – Road 66 di Lecce Tobia Lamare & The Sellers VENERDÌ 16 – Saletta della Cultura di Novoli Marcio Rangel VENERDÌ 16 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Guignol
VENERDÌ 16 – Endorfina di Montesano (Le) Putan Club VENERDÌ 16 – Prime di Castrignano de’greci (Le) Bluealma SABATO 17 – Bluecaos di Gallipoli (Le) Gretaluna’s Band SABATO 17 – Endorfina di Montesano (Le) Simona Gretchen SABATO 17– Sotterranei di Copertino (Le) Putan Club SABATO 17 – Vite di Nardò (Le) Djazz live SABATO 17- h25 di Bari Tre allegri ragazzi morti SABATO 17 – Spazio Off di Trani Folkabbestia MARTEDÌ 20 – Endorfina di Montesano (Le) Maya mountains e Il pasto nudo MERCOLEDÌ 21 – Ex Convento Degli Agostiniani di Melpignano (Le) Davide Van De Sfroos GIOVEDÌ 22 – Bluecaos di Gallipoli (Le) Musicamo’ (Omaggio A Sergio Caputo e Pino Daniele) VENERDÌ 23 – Prime di Castrignano de’greci (Le) Elisa Perrone&Funk Mood VENERDÌ 23 - San Pedro Saloon di Galatina (Le) Gli Sparisopra (Vasco Tribute) VENERDÌ 23 – Saletta della Cultura di Novoli Lucia Manca VENERDÌ 23 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) 2 pigeons, Gato the marmo e Biblioteca deserta VENERDÌ 23 – Vite di Nardò (Le) New Harlem Acoustic Duo VENERDÌ 23 E SABATO 24 – Officine Cantelmo di Lecce Nuove prospettive della
ricerca sui patrimoni musicali tradizionali SABATO 24 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Assalti frontali SABATO 24 – Sotterranei di Copertino (Le) Cut SABATO 24- Transito di Lecce Ard Trio SABATO 24 – Vite di Nardò (Le) Djazz live SABATO 24 – Endorfina di Montesano (Le) The Strange Flowers SABATO 24 – Teatro Kismet di Bari Dente per Fuoritempo DOMENICA 25 – Ramblas di Taranto Cut GIOVEDÌ 29 – Officine Cantelmo di Lecce At home with Sophia GIOVEDÌ 29 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Noise of torture GIOVEDÌ 29 – Bluecaos di Gallipoli (Le) Glorify Soul&Corporation VENERDÌ 30 – Prime di Castrignano de’greci (Le) Rockin’ Fingers (Dire Straits Tribute) VENERDÌ 30 – Calaluna di Marina di Andrano (Le) Bluealma VENERDÌ 30 – Bluecaos di Gallipoli (Le) Sunshine (Elisa Tribute) VENERDÌ 30 – Saletta della Cultura di Novoli Girl With the Gun VENERDÌ 30 – Vite di Nardò (Le) Le jam del birdland – Andrea Sabatino Duo VENERDÌ 30 – Endorfina di Montesano (Le) Frogwomen & Superfreak VENERDÌ 30 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Ballarock
SABATO 1 MAGGIO – Bluecaos di Gallipoli (Le) Gli Sparisopra (Vasco Tribute) TEATRO E CINEMA SINO AL 3 APRILE - Roca Nuova (Le) Mutiduani con Elena Ghigas, testo e regia, Ippolito Chiarello, attore, Giacomo Merchich, sound designer e le ‘voci’ originali di inaudito.org VENERDÌ 9 E SABATO 10 – Teatro Kismet di Bari Il popolo non ha il pane? Diamogli brioche di Filippo Timi e Stefania De Santis con Filippo Timi, Paola Fresa, Marina Rocco, Lucia Mascino, Luca Pignagnoli
DAL 13 al 18 – Cityplex Santalucia di Lecce Festival del cinema europeo VENERDÌ 16 E SABATO 17 – Cantieri Koreja di Lecce Il mercante di Venezia uno spettacolo di Massimiliano Civica VENERDÌ 16 E SABATO 17 – Teatro Kismet di Bari Studio su fatto di cronaca di Raffaele Viviani a Scampia a cura di Arturo Cirillo VENERDÌ 23 - Cantieri Koreja di Lecce Destination trafik: deer SABATO 24 E DOMENICA 25 - Cantieri Koreja di Lecce Runaway
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martedì 13 aprile COOK AND ROLL CIRCUS Tappa leccese per il nuovo progetto del cuoco poeta donpasta
Il Teatro Paisiello di Lecce ospita una tappa del tour di “Cook and Roll Circus”, nuovo progetto multimediale in cui Donpasta mescola musica, racconto popolare, cucina e immagini. Lo spettacolo è della
Compagnia Food Sound Circus con la produzione di Mairie de Toulouse. Tra il teatro contemporaneo, le favole di un vecchio cantastorie e le disavventure di un cuoco maldestro. Donpasta è un cuoco poeta, ecologista e stralunato che non cucina mai piatti fuori stagione! Contrario al “fast food” e agli OGM, denuncia le nuove forme di caporalato e rivendica il cibo come frutto di commistioni meticcie… come pasta e sarde. La pasta è rigorosamente fatta in casa. È capace di impiegare dieci ore per fare un sugo come si deve. Allora ne approfitta per raccontare storie, mentre zucchine, peperoni, melanzane fondono nell’olio e si diffondono odori di soffritto che risvegliano i sensi. Le sue, sono storie di un viaggiatore. Una sorta di
road movie in cui sfilano uliveti, strade di notte e mercati rionali. Tuttifrutti culturale, melting pot artistico in una unione di nostalgia, speranza, riflessione, dove la cucina è cultura, profondamente ancorata nella nostra civilizzazione mediterranea. Nello spettacolo tutti i sensi sono chiamati in causa, l’olfatto, la vista, l’udito. Ogni testo, ogni parola, ha un controcanto nelle immagini e nei suoni che dalla cucina raggiungono la musica ispirando le melodie. I due polistrumentisti suggeriscono verso i fornelli nuove lasagne musicali spruzzate di jazz e rock. Nick Drake q.b., Coltrane q.b., Tom Waits q.b.… Dai video altri ingredienti per la scena come veri e propri attori che ci preparano alla tavola. È così che il Circus fluisce, in una sorta di stillicidio gastronomico per lo spettatore. Sipario 21.00. Ingresso 12 euro. Info 0832303707.
DOVE TROVO COOLCLUB.IT? Coolclub.it si trova in molti locali, librerie, negozi di dischi, biblioteche, mediateche, internet point. Se volete diventare un punto di distribuzione di Coolclub.it (crescete e moltiplicatevi) mandate una mail a redazione@coolclub.it o chiamate al 3394313397 Lecce (Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Caffè Letterario, Magnolia, Svolta, Cagliostro, Coffee and Cigarettes, Arci Zei, Libreria Palmieri, Liberrima, Libreria Apuliae, Ergot, Youm, Pick Up, Libreria Icaro, Fondo Verri, Negra Tomasa, Road 66, Mamma Perdono Tattoo, Shui bar, Cantieri Teatrali Koreja, Santa Cruz, Molly Malone, La Movida, Biblioteca Provinciale N. Bernardini, Museo Provinciale Sigismondo Castromediano, Edicola Bla bla, Urp Lecce, Castello Carlo V, Torre di Merlino, Trumpet, Orient Express, Euro bar, Cts, Ateneo Palazzo Codacci Pisanelli, Sperimentale Tabacchi, Palazzo Parlangeli, Buon Pastore, Ecotekne, La Stecca, Bar Rosso e Nero, Pizzeria il Quadrifoglio, Associazione Tha Piaza Don Chisciotte), Calimera (Cinema Elio), Cutrofiano (Jack’n Jill), Maglie (Libreria Europa, Music Empire, Suite 66),
Melpignano (Mediateca, Kalì), Corigliano D’Otranto (Kalos Irtate), Otranto (Anima Mundi), Alessano (Libreria Idrusa), Galatina (Palazzo della Cultura, Gamestore), Nardò (Libreria i volatori, Vite, Aioresis Lab), Novoli (Saletta della Cultura Gregorio Vetrugno), Squinzano (Istanbul Cafè), Ugento (Sinatra Hole), Gagliano Del Capo (Enoteca Torromeo, Tabacchino Ricchiuto), Montesano (Endorfina coffee drink), Presicce (Jungle pub, Arci Nova), Salve (Chat Noir, Le Beccherie), Castrignano del Capo (Extrems), Brindisi (Libreria Camera a Sud, Goldoni, Birdy Shop), Ceglie (Royal Oak), Erchie (Bar Fellini), Torre Colimena (Pokame pub), Oria (Talee), Bari (Taverna del Maltese, Caffè Nero, Feltrinelli, Kismet teatro, New Demodè, TimeZones, Teatro Forma, H25), Giovinazzo (Arci 37), Trani (Spazio Off), Taranto (Associazione Start, Trax vinyl shop, Gabba Gabba, Biblioteca Comunale P. Acclavio, Alì Phone’s Center, Artesia, Radiopopolaresalento), Manduria (Libreria Caforio), Roma (Circolo Degli Artisti) e molti altri ancora...