Coolclub.it n.38 (Giugno 2007)

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anno IV numero 38 giugno 2007

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Il festival era il sogno di una generazione. Per un momento tutto coincideva. Migliaia di ragazzi uniti dall’amore per la musica mettevano da parte ogni cosa per un giorno o più. Ragazzi e ragazze che diventarono movimento, forza politica, contestazione. Potenza della musica, arma bianca capace di scuotere, ferire. Era il 1969, era Woodstock. Di lì a poco molto sarebbe cambiato; molti di quegli ideali di pace sono stati sepolti insieme a Jim Morrison e Jimi Hendrix; molto è cambiato dell’idea di festival, di raduno collettivo. Oggi il mondo pullula di appuntamenti, di maratone musicali e non solo. Un super mercato culturale che a volte dimentica il messaggio inseguendo i numeri. Ci sono poi, e non sono pochi, momenti in cui il pensiero, il pensare precede l’agire e la performance. Se l’anno scorso eravamo Figli dei festival (Coolclub.it n 26), quest’anno abbiamo deciso di Pensare i festival. Come l’anno scorso abbiamo tracciato una mappa dei festival estivi, secondo noi, più interessanti. Un piccola guida agli eventi, un vademecum per chi sceglie di prendersi una vacanza nel Salento ma anche una vacanza dal Salento. Avremo l’onore di ospitare, nei prossimi giorni, la musica: Philip Glass. Ha scelto la nostra terra e il festival Sound Res per finire un’opera inedita ed esibirsi. E poi tutta una serie di eventi. La sorprendente nuova direzione artistica (rock?) della Notte della Taranta a cura di Mauro Pagani, una panoramica sui festival teatrali all’aria aperta, l’intervista ad Alberto Campo, giornalista musicale e anima del Traffic di Torino, tra i più interessanti festival europei. Abbiamo parlato con Glenn Johnson, leader dei Piano Magic, del loro nuovo ed emozionante Part Monster, con Giorgio Canali di Tutti contro tutti disco intriso di rabbia sociale. Abbiamo raccontato la strana storia di un panificio di Altamura che ha costretto alla chiusura un Mc Donald’s e che è diventata un film diretto da un “mito” del cinema pugliese: Nico Cirasola. Tra piccole e grandi rivoluzioni quella editoriale di Sensibili alle foglie. Il resto è nelle prossime pagine. Buona lettura. Osvaldo Piliego

CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Anno IV Numero 38 giugno 2007 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato

4 Alberto Campo

Hanno collaborato a questo numero: Stefania Ricchiuto, Diego Brancasi, Giovanni Ottini, Emanuele Flandoli, Dino Amenduni, Livio Polini, Giancarlo Bruno, Giuseppe Muci, Elvis Nicolas Ceglie, Gennaro Azzollini, Flavia Serravezza, Nicola Pace, Camillo Fasulo, Alessandra Pomarico, Rossano Astremo, Silvestro Ferrara, Valentina Cataldo, Ludovico Fontana, Willy de Giorgi, Sabrina Manna, Antonella Gaeta, Roberto Cesano

9 Keep Cool 17 Piano Magic

Ringraziamo le redazioni di Musicaround.net, Blackmailmag.com, Primavera Radio di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, QuiSalento, Pugliadinotte.net, Rete Otto e SuperTele. Progetto grafico dario Impaginazione Danilo Scalera

19 Sound Res

29 Be Cool

Stampa Martano Editrice - Lecce

20 Philip Glass

35 Appuntamenti

Chiuso in redazione.... il tre in tre col te L’abbonamento al giornale varia dai 10 ai 100 euro. Per informazioni 3394313397.

23 Coolibrì

38 Fumetto

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Alberto Campo è giornalista musicale, scrittore, una delle menti del Traffic, tra i festival più interessanti dell’estate italiana e non solo che si svolgerà a Torino dall’11 al 14 luglio. Spettatore, ascoltatore, studioso e promotore di musica: tutto in una persona. Ci è sembrato naturale ragionare con lui di musica e festival. Dai movimenti giovanili del 69 alla cosiddetta generazione X, la musica e i grandi raduni musicali cambiano, cambia il loro senso e il loro impatto, come secondo te? Cambia anzitutto il mastice che tiene insieme le persone: se nei tardi anni Sessanta erano le comuni convinzioni prerivoluzionarie (dal maggio parigino a Jim Morrison che strepita We want the world and we want it now), dopo la caduta dell’utopia hippie direi che avviene una scomposizione in termini di categorie di consumo a cui corrispondono tribù spesso non comunicanti – se non addirittura in conflitto - fra loro: freaks, metallari, mods, punks… Vale tutt’al più l’esperienza condivisa, di cui il festival rock diviene una sorta di prototipo, così come d’altra parte – nelle generazioni di fine Novecento – il fenomeno dei raves. Al peggio, raduni che idolatrano liturgicamente rockstar prevedibili; al meglio “situazioni” affini a ciò che Hakim Bey chiama “zone temporaneamente autonome” Questi grandi riti collettivi sono occasioni per mettere il singolo in contatto con il circostante, con il tempo che vive, farlo sentire parte di un tutto. Secondo te è ancora così? Direi che è più vero che mai ai giorni nostri, quando l’esperienza della “seconda vita” in rete assorbe parti sempre più ingenti della vita di ciascuno. I festival sono occasione di socialità, prima ancora che luoghi di consumo culturale: esperienze in cui la musica funziona da codice di reciproco riconoscimento. Anche se poi il “tutto” a cui alludi è inevitabilmente transitorio e fatica a depositarsi come coscienza collettiva. Si sa (lo scriveva anni fa Simon Frith nella Sociologia del rock a proposito del collasso dell’utopia hippie): la musica è elemento che da solo non basta a cementare una comunità. I grandi festival europei hanno un peso,

un significato oggi, o sono solo dei grandi supermarket culturali? Dipende dai casi. Alcuni sono davvero nient’altro che ipermercati in cui le merci musicali vengono esposte l’una accanto all’altra in modo indifferenziato. Penso a cose tipo l’Heineken Jammin Festival in Italia o il Carling Weekend oltremanica. Altri, viceversa, grazie a temi conduttori riconoscibili o all’aderenza a specifici aspetti della scena musicale, pensiamo al Sonar di Barcellona o all’All Tomorrow’s Parties britannico, hanno fondamento culturale prima che mercantile. Vivi la musica in modi diversi. Come giornalista, scrittore, dj e anche come direttore artistico di uno dei festival europei più importanti. Come nasce l’idea del Traffic? Come convivono questi tuoi diversi approcci alla musica? L’idea di Traffic è nata appunto dall’intenzione di creare a Torino un vero festival, che non fosse cioè una semplice rassegna di concerti. Qualcosa che avesse al centro la musica e intorno le forme di espressione – cinema, letteratura, arte contemporanea – con cui la musica stessa dialoga spontaneamente. Un vero festival nel senso di un’esperienza di vita nella quale uno si immerge completamente per tre giorni. Quanto a me, potremmo anche dire che faccio molte cose e nessuna poi così bene… Il cast di questa edizione (dall’11 al 14 luglio) è incredibile, ce ne parli? Qual è il senso di questa edizione? Se sia incredibile o no, lo diranno i fatti. Sulla carta, sì: sembra l’edizione più compatta e culturalmente articolata. Ci piace soprattutto l’idea che rappresenti epoche e luoghi diversi: la Berlino vista da Lou Reed nel 1973. O, per rimanere a figure storiche, la musica pop italiana in quintessenza simboleggiata da Franco Battiato, che apre a Torino il suo tour italiano con un evento speciale in cui ha voluto accanto a sé Antony & The Johnsons e altri illustri ospiti a sorpresa. C’è poi l’attualità rock britannica espressa da Arctic Monkeys, Coral e Art Brut. E la sensazione da rave che procura l’accoppiata fra Daft Punk e LCD Soundsystem. Un ventaglio di suggestioni che crediamo sia in grado di stuzzicare la curiosità di molti. Perché poi, mantenendo


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alto il punto di qualità, il festival deve comunque fare numeri: 200mila presenze lo scorso anno, un risultato difficile da ripetere. Il Traffic non è solo musica ma un evento multi-disciplinare, quali le attività correlate? Prendendo spunto dalla Berlino di Lou Reed, ospitiamo altri sguardi sulla capitale tedesca che si diramano verso il cinema, l’arte contemporanea e il nightclubbing. E c’è poi la sezione letteraria Word Jockeys, quest’anno consacrata monograficamente a Napoli, con Roberto Saviano, Valeria Parrella e Paolo Sorrentino impegnati a raccontare la magia e il degrado di quella città. Ecco, lo strano asse Berlino/ Napoli definisce a suo modo un percorso immaginario dentro la quarta edizione di Traffic. Il Traffic è gratuito, credi che rendere accessibile la musica a tutti sia un mezzo di divulgazione, di educazione all’ascolto, un modo per uscire dalla nicchia e raggiungere le persone? La gratuità è uno dei precetti fondanti del festival. Per alcune buone ragioni. Anzitutto perché offrire gratuitamente musica di qualità è una forma di alfabetizzazione culturale, e trattandosi di un festival che vive anche grazie alle sovvenzioni degli enti locali riteniamo che quello sia un buon

modo di spendere il denaro pubblico. E poi perché Torino e il Piemonte scommettono per il futuro sulla capacità di essere attrattivi proprio sul terreno del turismo culturale, oltre che sull’idea di fare polo per la comunità giovanile e studentesca: Traffic rappresenta in quel senso una piccola calamita(www.trafficfestival.com). A cosa stai lavorando in questo periodo? Libri in cantiere? Idee che girano per la testa, quelle sì. Aspetto che una prevalga sulle altre e affiori in superficie, reclamando il tempo necessario per scrivere un libro. Domanda di rito...quali dischi girano nel tuo lettore, quali consigli ai lettori di Coolclub.it? Macino musica quotidianamente per lavoro e ogni tanto finisco per esserne travolto. Premesso questo, le cose che ultimamente più ascolto per e con piacere sono Live at the Massey Hall di Neil Young (roba registrata nel 1971!) e la ristampa di Colossal Youth degli Young Marble Giants (ritorno di fiamma per un vecchio amore giovanile). Quanto all’attualità, direi Mapmaker dei newyorkesi Parts & Labor, Asa Breed di Matthew Dear, Part Monster dei Piano Magic e il persistente Sound of Silver degli LCD Soundsystem (difficile esca quest’anno un disco migliore). Osvaldo Piliego


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dal 17 al 22 luglio Italia Wave - Firenze

izio Arezzo Wave cambia Dopo venti anni di glorioso serv edizione del nuovo Italia a prim La e. nom bia città e cam guarda all’Europa con le) tota in Wave (la ventunesima primo piano: Scissor Sisters, ospiti italiani e internazionali di Queen, Kaiser Chiefs, !!! the and Bad the Mika, The Good hney, Tinariwen, Chico Saw Nitin , (chk chk chk), Mando Diao Yeah, CSS, Gocoo, Cassius, Cesar, Clap Your Hands and Say Vinicio Capossela, Avion soli, Con Jimi Tenor, Carmen rio, Casino Royale. Presenze Travel, Orchestra di Piazza Vitto Bob Geldof e lo spettacolo e com tive ifica importanti e sign realizzato con i “meninos ile Bras dell’Associazione Axè dal

de rua”, i ragazzi di strada. do è rappresentato questo e anche di più. Tutto il mon Italia Wave Love Festival è tutto re della rassegna cuo Il ia. i alla Svezia, dal Perù alla Russ nei palchi del festival, dal Mal hi km dal centro poc a ntino Fiore o Sest di ri nel comune sarà in un’area di svariati etta . non e icali mus si svolgeranno gli eventi di Firenze all’interno del quale ranno all’area festival ede acc che lli que tutti per uito Italia Wave resta un festival grat uito Yourope (Roskilde l’unico festival in Europa del circ prima delle 21 confermandosi possibilità al proprio sta que Gurtenfestival e altri) che dà Benicassim, Italia Wave, BAM, . euro 10 soli a biglietto pubblico. Dopo le 21 ci sarà un www.italiawave.com


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C’è un teatro diffuso che apre ai primi caldi, quando il teatro recluso nei luoghi ordinari dello spettacolo rimanda il cartellone alla stagione che verrà. È un teatro che esce fuori, che incontra la gente in movimento, che supera il concetto di pubblico intenditore ed affezionato, e sperimenta l’accoglienza all’aria aperta, la proposta di una creatività più coraggiosa, l’occupazione alternativa di territori urbani e non. È il teatro dei festival estivi, manifestazioni che ormai costellano le notti della stagione calda, suggerendo però cultura più d’avanguardia e concretamente sperimentale, e che spesso sono lontane dall’identità commerciale dei grandi contesti musicali, grazie a direzioni artistiche intelligenti, capaci di gestire senza sovrapposizioni il rapporto tra sponsor e progetto. Storico evento Volterra Teatro, che si svolge nell’omonima e suggestiva cittadina del pisanese e in altri comuni limitrofi, a cura di Armando Punzo e il centro Teatro e Carcere “Carte Blanche”. Da più di vent’anni anima la Toscana con la “possibilità di incontrare e conoscere il teatro, senza ridursi a semplicistica vetrina di spettacoli”, e oltre ad allestire performance di notevole qualità, con ospiti anche internazionali, costruisce attorno allo spettatore un’offerta considerevole di laboratori, workshop, incontri, anche per chi è estraneo all’attività teatrale. L’edizione 2007 si terrà dal 16 al 29 luglio, ma il programma non è ancora definito. Avvenimento sicuro, però, il debutto di Buffoni ovvero la scuola del disimpegno, nuovo lavoro della Compagnia La Fortezza, nata all’interno del carcere di Volterra e diretta dallo stesso Punzo. Inoltre, il 28 il talento di Giovanni Allevi allieterà Piazza dei Priori, mentre il 29 il gran finale della manifestazione è affidato a Paolo Rossi, con Qui si sta come si sta. Serata beat (info www.volterrateatro.it) Consultazione telematica d’obbligo anche per un’altra manifestazione dal programma ancora da fissare, e cioè Santarcangelo dei Teatri (www.santarcangelofestival.com), che dal 5 al 15 luglio trasformerà l’omonimo paesello collinare, in provincia di Rimini, in un laboratorio permanente di ricerca rinnovata e tradizione custodita. Da sottolineare, al di là degli spettacoli di sicuro richiamo, l’incontro il 10 luglio con la regista siciliana Emma Dante per la presentazione del suo libro La favola del pesce cambiato. Attorno a questi due resistenti punti di riferimento si manifesta, di grazia, un pullulare di contenitori meno noti ma tenaci, ideati e realizzati da piccole realtà. Si comincia, ad estate non ancora celebrata, con il veneto FilòFest, (dal 26 maggio al 10 giugno). Si continua con Solstizio d’Estate, che dall’8 al 30 giugno invaderà la Piana Rotaliana del Trentino Alto Adige, permettendo al pubblico di abitare i luoghi caratteristici - non visitabili in altri periodi dell’anno - dei comuni coinvolti, e “urbanizzando” le proposte teatrali, chiamando cioè gli attori ad esibirsi in siti non usuali. Spiccano nel programma Marco Paolini con I miserabili. Io e Margaret Thatcher e Ascanio Celestini con La pecora nera- Elogio funebre del manicomio elettrico. Nello stesso periodo ecco il Festival Opera Prima, a cura del Teatro del Lemming, realtà conosciuta per la costruzione di spettacoli dedicati ad uno, due, trenta spettatori, dall’intenso “coinvolgimento sensoriale”. A Rovigo, dal 14 al 17 giugno, proprio il Lemming proporrà un cartellone di eventi che si fondano “sull’autonomia del linguaggio scenico dal testo teatrale, sulla ridefinizio-

ne dello spazio, sulla riformulazione della presenza dello spettatore”. Quest’ultimo, infatti, è alla ricerca di una cittadinanza smarrita, ma è posto dal Lemming, e dagli altri gruppi teatrali impegnati in ricerche affini, al centro del contesto drammaturgico in forma partecipata e condivisa, e non più solo passivamente subìta. Teatro ad immagine di una politica che non c’è, insomma, e che come questo teatro dovrebbe essere. Il Teatro delle Briciole di Marco Baliani promuove invece, in quel di Parma, Il giardino racconta, rassegna multiculturale che reinventa il Giardino Ducale gremendolo di amache, animazioni ed esplorazioni, ripensando così “un intreccio nuovo tra natura, architettura e spettacolo”. Il 5 luglio, data d’inizio, irrompe- in uno spazio elegante, segnato dal fascino della storia - la gioiosità del teatro di strada di ispirazione orientale, con cantastorie bizzarri e folli trampolieri che disegneranno una narrazione inaspettata e coinvolgente, con protagoniste le figure dei contadini e dei tiranni della storia. Il viaggio insolito nel giardino dei Farnese e dei Borbone si protrarrà sino al 25, tra atelier di strumenti di bambù “alla scoperta delle sonorità naturali teatralizzate”, e tende che raccontano il deserto marocchino e le sue storie di sabbia. Ad agosto il Cadadie di Cagliari si trasferirà nella parte centro-orientale della Sardegna per l’OgliastraTeatro, che quest’anno vedrà la partecipazione, dal 5 al 9, di Danio Manfredini, con un laboratorio sul lavoro d’attore e “sulla faticosa dialettica tra le necessità del politico e dell’artista”. Sempre ad agosto, dal 21 al 26, il Prototipo Priamar di Savona dimorerà presso la fortezza cittadina realizzando una magnifica convivenza tra la Compagnia di Pippo Delbono, Fanny&Alexander, Teatrino Clandestino, Teatro del Lemming e Valdoca. La poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri curerà un laboratorio intensivo di scrittura per il teatro, che avrà come filo conduttore la capacità evocativa dei luoghi “altri”, che divengono per caso spazi scenici, e per quanto improvvisati spesso risultano di ambientazione più forte e robusta rispetto a quelli usuali. Chiude questa carrellata, purtroppo non esaustiva, il Bella Ciao ideato e diretto da Ascanio Celestini, che si terrà a settembre. Stefania Ricchiuto- Il Passo del Cammello



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Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie

la musica secondo coolcub

Jeff Buckley

So real: songs from Jeff Buckley Sony rock / ***** C’è sempre una buona occasione per parlare di lui, un buon motivo per mettere su la sua musica e pensare a cosa avrebbe potuto fare, oggi, Jeff Buckley. A dieci anni dalla sua morte (misteriosa la scomparsa nelle acque del Mississipi) a pochi giorni dall’uscita di un bellissimo dvd sul padre, il grandissimo Tim, esce un disco, una raccolta. Perché un solo album non bastava. A conti fatti Grace (1994) è l’unico vero disco concepito, registrato, prodotto come tale. Ma c’è altro. Non passa anno che non esca qualche perla live rubata e tenuta nascosta da qualche fan. Ci sono poi due altri album. L’intensissimo Live at Sin, solo quattro brani, due cover, chitarra e voce. Quella voce capace di arrampicarsi alle nuvole, di commuovere, angelica, sofferta. E poi il discusso Sketches uscito postumo, abbozzo di

quello che sarebbe stato My Sweetheart the drunk. Questo So Real: Songs from Jeff Buckely è un’antologia, non un best off (difficile sarebbe scegliere) per spiegare, raccontare le tante sfumature di un’artista che aveva in sé il rock, il folk, il blues, il gospel. Un accenno di un mondo bellissimo che tutti meritano di scoprire. Ed è con questo spirito che operazioni come questa, al di là delle critiche sulla speculazione, vanno prese. Come una scusa per parlare di un uomo che ha sofferto e ce l’ha raccontato in modo unico, che riusciva a trasmettere con la sua musica lo splendore e il terrore della realtà. Tra le tracce in scaletta anche la bellissima Forget Her grande esclusa di Grace che è tra le sue canzoni più pulsanti e sentite, una versione alternativa di Dream Brothers, una bellissima So Real acustica, ripresa

dal vivo in Giappone. Riascoltare oggi questo artista fa un effetto strano, in bilico tra i ricordi e la nostalgia. Il finale con una bellissima versione di I Konw it’s over degli Smiths sembra un presagio, un saluto (a un certo punto recita testualmente “vedi il mare mi vuole prendere”). Solitamente non sono mai favorevole a tributi, compilation, il meglio di... riassunti della carriera di un’artista. Ma quando passa una cometa, bella come Jeff Buckley, anche vederne la scia merita. Per chi è già innamorato di lui questa ennesima uscita poco cambia, per chi non lo ha mai ascoltato So real: Songs from Jeff Buckley sarà un colpo di fulmine, l’inizio di un amore da coronare in Grace. Più che disco del mese, disco del decennio. Osvaldo Piliego


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vulcano. E forse la musica di Valérie è un po’ così: un movimento interno caldo e silenzioso. (O.P.)

Björk

Volta Polydor elettronica / ****

Jinka’ percussion orchestra Da Groove Life gate music ritmo / ***

Urla e grida dalle profondità della terra, le sue viscere più intime e delicate. Etnia vulcanica scava fino alla nuda carne del mondo. Björk rinnova la sua ricerca sonora, confermando alcune collaborazioni (Mark Bell, Mike “Spike” Stent) e varandone di nuove (Timbaland alla produzione, Antony, Damian Taylor, Toumani Diabate, Konono n° 1); torna ad usare la sua voce come un arpa, adagiandola su raffinate stratificazioni di elettronica e strumentazioni come partiture d’orchestra. Björk è passionale: ora calma, ora agguerrita, nel parlare d’amore, l’eterna fiamma (The Dull Flame of Destre Commovente!, I See Who You Are), dei disastri ambientali (Earth Intruders), o di patriottismo (Declare Independence), salpando su una barca condotta grazie al soffiare di venti nordici che naviga spaccando ghiacci con rumori ancestrali all’origine di nostra Madre Terra. Volta è energia, vibrazione profonda; tocca nel vivo, infondo, fino alla colonna vertebrale! Diego “Dieghost” Brancasi

Valérie Leulliot Caldeira Village Vert pop / ***

Ci si aspetta molto e niente da dischi come questi. Valérie Leulliot è la cantante degli Autour de Lucie, band francese a cui sono particolarmente affezionato. L’uscita del suo primo album solista ha sortito in me la stessa curiosità del debutto senza Portishead di Beth Gibbons. E le aspettative non sono state affatto tradite. La musica viene sbucciata come fosse un frutto, liberata da strati che lasciano affiorare polpa. E poi ancora più giù fino al cuore, al nocciolo della questione. La voce di Valérie è pienamente in sintonia con l’afflato francese, popolo innamorato delle chanteuse. La mano di Miossec, re mida della musica francese, si sente e fa bene, a un disco che pur muovendosi nei canoni

del new folk francese, devia verso altri lidi per scelta di soluzioni, arrangiamenti e strumenti. E si resta appesi, affascinati dalla sua voce, attaccati a brani che riscaldano, entrano e implodono, proprio come la Calderia titolo del disco e fenomeno naturale di implosione sotterranea in un

Se pensiamo al ritmo pensiamo all’Africa, al Brasile, al funk e al soul. Da groove ha in sé tutte queste anime e le miscela in un gioco di citazioni ed esplorazioni in cui il ritmo è l’asse fortunato. Esce dalla scuderia di Life gate, questo progetto italiano che esplora il “beat”, il battito partendo dal tribale per arrivare al drum and bass. World music, etnica, poco importano le definizioni, quello che salta subito all’orecchio è la qualità dei musicisti coinvolti, la misura e la ricchezza, allo stesso tempo, degli arrangiamenti, gli ospiti di tutto rispetto coinvolti (Daniele Sepe, Amaury Cambuzat degli Ulan Bator). Un’orchestra di 12 elementi divisa tra strumenti elettrici e percussioni unisce spirito tribale e modernità. Quello che traspare dalle tracce è la passione per tutto ciò che è black. Tradizioni ritmiche diverse si intrecciano dimostrando la loro affinità di base, il loro perdersi per poi ritrovarsi. Alcuni “groove” sono trascinanti, manca ogni tanto il guizzo, la sorpresa ma il complesso dell’operazione finisce per convincere e divertire. (O.P.)

120 Days

120 Days Smalltownsupersound sinth pop / ****

C’è aria di Germania in Norvegia. Ci sono le ritmiche matematiche un po’ Kraut in questa band Nord europea. Ma c’è anche il suono dei Primal Scream, dei New Order, c’è l’Inghilterra. I Depeche mode, gli anni 80, i 90, il presente e un accenno di futuro. primi in classifica nel loro paese e sembra un miracolo o forse solo la conferma che da quelle parti masticano solo musica buona. 120 Days non può mancare in una buona discoteca rock o in un dancefloor alternativo che si rispetti. In sintonia con i trend, interessante, acerbo quanto basta, potente quanto


KeepCool vorresti da un disco così. Cassa dritta, sinth come se piovesse, il rock nelle vene, i Cure nel cuore. Tutto compresso e saturo (la storia narra che il disco sia nato in una roulotte) ruggente come la giovane età dei ragazzi. Un gran disco. (O.P.)

Battles

Mirrored Warp post-rock / ****

Ad un anno dai primi EP, esce il loro sorprendente e atteso album d’esordio. Nella loro stanza degli specchi, in un fantastico gioco di luci variabili, oggi si riflette tutto e il contrario di tutto. La rigidità strutturale del math-rock più angoloso, e la forte componente ritmica dell’elettronica (anche se la cosa più elettronica è il marchio Warp sul retro del cd), incrocia l’istinto free-jazz e l’avanguardia rumorista. Sparse qua e là schegge di follia pattoniana (Tij), insieme ai Devo agitati come biglie in un barattolo di latta (Ddiamondd). I Pink Floyd interstellari, rinchiusi in cantina a pane e anfetamine, che riguadagnano la luce solo dopo i 6’ e 15” di Rainbow. A differenza del passato, c’è materia organica che pulsa sotto le fredde formule algebriche, c’è il calore umano della voce, anche se spesso è passata in tritacarne elettronici (Atlas e Leyendeker). Mirrored è uno straordinario esempio di musica obliqua che merita più ascolti prima di insinuarsi pericolosamente nei processi chimici del vostro cervello. Musica totale, che muove ambedue gli emisferi. Giovanni Ottini

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Cesare Dell’Anna My Miles 11/8 Records Nu Jazz/****

Ci sono temperamenti musicali indomabili, personalità mai paghe che cercano sempre, si innamorano in continuazione. Cesare Dell’Anna è a tutti gli effetti uno dei nostri musicisti più eclettici e curiosi. Un talento capace di spaziare, di attingere al passato e guardare al futuro. Tra i suoi tanti progetti esce in questi giorni My Miles, omaggio a un genio assoluto della tromba, il pioneristico Miles Davis, mente e fiato alla scoperta delle mille strade del jazz. Vicino al maestro per approccio alla musica Cesare Dell’Anna dipinge un tributo assolutamente spiazzante, intriso di elettronica, funk, trip hop, digitale e analogico, pur mantenendo l’essenza del jazz. L’effetto è straniante, a tratti strabiliante. Cesare riesce a inerpicarsi dove solo lui sa, in viaggi assolutamente free, per poi ritrovare la traccia e seguirla, domarla. insieme a lui compagni di viaggio d’eccezione (Adam Holzman, già tastierista di Davis, Mirko Signorile, Mauro Tre, Stefano Valenzano, Raffaele Casarano, Monodeluxe). Un’altra operazione coraggiosa, non semplice al primo ascolto, ma la gente capirà. (O.P.) hip-hop italiano stia vivendo una fase di crescita qualitativa generale. Emanuele Flandoli

Colle der Fomento

Anima e ghiaccio Rome Zoo (Autoproduzione) hip hop / ****

Comma Mc

Peccato & Redenzione Autoproduzione hip-hop / ***

Forte dell’esperienza pluriennale nella crew barese dei Mujahedin Senza Frontiere, Comma Mc si presenta per la prima volta in veste solista, coadiuvato dalla produzione di Dj Danko. La combinazione funziona bene, il flow dell’Mc è movimentato e non annoia, mentre le basi riescono a supportarlo efficacemente senza essere invadenti. La formula solista inoltre permette a Comma di affrontare tematiche intimiste e riflessive, anche se i risultati non sono sempre omogenei: a rime coinvolgenti e versi al limite del poetico si alternano passaggi più banali. All’interno del disco spiccano l’inno Bari Rock On (presente anche il video di questo pezzo nel CD), tipico hardcore anthem forte di un ottimo beat funk, e soprattutto Ti piace questa giustizia?, in cui il rapper si cala nei panni di un condannato a morte, regalando un testo di qualità, reso ancora più valido da un flow serrato e ricco di intrecci ritmici. Peccato & Redenzione è un’autoproduzione di livello, che dimostra ancora una volta come l’underground

Ci hanno fatto attendere ben otto anni, fra Ep ed anticipazioni live, ma finalmente i Colle der Fomento sono tornati, alla loro maniera: e cioè con un disco hardcore, lontano dai trend del momento, e soprattutto autoprodotto nonostante l’interessamento delle major. Dopo l’uscita dal gruppo di Ice One, Danno e Masito si affidano alle produzioni di diversi beatmaker, fra cui Squarta, Mr.Phil, Mace e Dj Stile, ottenendo così un suono decisamente più eterogeneo rispetto al passato. Anche l’attitudine dei due Mc appare mutata: i testi sono oscuri, paranoici, e riflettono una rabbia ed una frustrazione covate a lungo. La scena hip-hop a cui appartenevano si è dispersa o peggio è mutata in qualcosa di falso ed inconsistente, mentre la Roma celebrata in Scienza Doppia H è mutata in una metropoli nevrotica e ostile. I Colle der Fomento dipingono un mondo a tinte fosche, in cui l’unica possibilità sembra restare fedeli a sé stessi, contro tutto e chiunque, col rap come unica luce in tempi cupi: “Se l’hip-hop è morto, rapperò al suo funerale”. Emanuele Flandoli

Club Dogo

Vile Denaro Virgin/EMI hip-hop, r’n’b / ***½

Ecco a voi il primo cd gangsta italiano. Ce n’era davvero bisogno? Di sicuro l’attesa per questo Vile Denaro era tanta e una ridda di voci di corridoio non hanno fatto altro che ingolosire fan addetti ai lavori. E come tutto ciò che è molto atteso, da un lato ti esalti, dall’altro ti chiedi se davvero tutto quel clamore era sensato. Di ottimo c’è la produzione: non mi sorprenderei se Club Dogo riuscisse a diventare prodotto da esportazione. Ancora, la dissertazione sociologica finissima: Milano è raccontata in tutte le sue dis(funzioni) (Moratti, comprati il cd!). La voglia di strafare però compromette la credibilità dell’album e qualsiasi MC senza credibilità rende merce la sua arte: la Crew sembra essere protagonista del clichè che viene denunciato e irriso per tutto un album. Alcune rime sono facilotte, la cocaina è citata in ogni canzone e il quadro sociologico, pur finissimo, vedrà noi meridionali un po’ straniati. Non aspettatevi una pietra miliare, ma l’attesa è stata in qualche modo ripagata. Da Vile Denaro il rap in Italia non tornerà indietro. E forse nemmeno Dogo, vista la bomba contenuta in quest’album, quella Spaghetti Western che può ambire al titolo di denuncia sociale perfetta. Ieri de Andrè, oggi Dogo. Blasfemia? Dino Amenduni


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Shannon Wright

Let In The Light Vicious Circle / Wide pop, songwriting / ***½

Qualcuno sa dirmi cos’è successo di recente nella vita di Shannon Wright? Alcuni parlano di maturità, altri di maternità. Se pensiamo all’ultimo disco solista, Over The Sun (2004), al suo suono rabbioso di una chitarra elettrica e ad una batteria, ci ritroviamo indubbiamente spiazzati. Indizi su un certo mutamento si erano potuti percepire attraverso l’album del 2005 in coppia con Yann Tiersen, ma per stessa ammissione di Shannon, l’ultimo disco, quello che fra breve andremo ad analizzare, è la naturale prosecuzione di un cammino artistico e non ci sono particolari influenze. Ok, se lo dice lei…. Con Let In The Light la rabbia si smarrisce per ritrovare un po’ di serenità, il pianoforte, spesso presente, accompagna una splendida ed emozionante voce. La leggerezza dei suoni e la malinconia del vivere espressi in undici perle cantautoriali tra il classico ed il pop. Ascoltando You Baffle Me non si può che restare ammaliati, mentre Don’t You Doubt Me ci ricorda ancora un po’ il passato. Meraviglia e piacere. Livio Polini

Electrelane

No Shouts, No Calls Beggars Banquet/ Too Pure indierock / ***½

Quarto disco per la band indie di Brighton. Le Electrelane sono quattro ragazze capaci di suonare nei modi più diversi, ne sono testimonianza i loro album, tutti in qualche modo differenti. Il passaggio attraverso i generi ed i repentini cambi di direzione le hanno portate a passare nel tempo dal garage all’indiepop, dal kraut al post-rock, senza però perdere mai e in nessun modo la propria identità. Registrato quest’estate a Berlino, No Shouts, No Calls sembra voler esprimere un indierock, a tratti pop, dai risvolti malinconici, perfetta armonia dei suoni ed un equilibrio a volte spiazzante, molto lontano dalle improvvisazioni in presa diretta del precedente Axes (2005). La magnifica To The East sembra la canzone perfetta, con tanto di cori e ritornello accattivante, in Between The Wolf And The Dog, invece, troviamo più spazio per la sperimentazione con passaggi vicini alla

Il teatro degli orrori

Dell’ impero delle Tenebre La Tempesta noise d’autore / *****

Punta....mira....fuoco! Dall’Impero delle Tenebre i folli attori del Teatro degli Orrori mettono in scena il delirio, l’oscenità, la rabbia, l’insoddisfazione delle nostre vite. Nato nel 2005, il gruppo prende il nome dal Teatro delle Crudeltà di Artaudiana memoria e vede vecchi e nuovi One dimensional man (Giulio Favero in passato chitarrista dell’uomo a una dimensione su capolavori del calibro di 1000 doses of love e You Kill Me, qui nelle vesti di bassista e produttore, Pierpaolo Capovilla che in questa occasione abbandona il basso per dedicarsi solo alla voce e ai testi ed il nuovo ingresso alla batteria Francesco Valente) accompagnati dallo splendido lavoro alle chitarre di Gionata Mirai, già chitarrista e cantante nei Super elastic bubble plastic, formazione di punta del nuovo rock indipendente italiano. Melvins, Jesus Lizard, Scratch Acid, Shellac, Birthday party sono le coordinate su cui si muove la musica del combo, sostenuta da una sezione ritmica impeccabile e devastante, dalla chitarra melodicamente noise di Mirai e dall’interpretazione ironica, isterica e dissacrante di Pierpaolo. I testi in italiano sono il valore aggiunto del disco, carichi di cinismo (E lei venne!), amore (il tango-noise de Il turbamento della gelosia), speranza ( la splendida Compagna Teresa), disillusione (Scende la notte, La canzone di Tom, toccante dedica ad un amico scomparso), denuncia sociale (L’impero delle tenebre con citazione degli Area di Maledetti) e politica (Carrarmatorock!). Dell’impero delle tenebre si impone come esempio forse non unico ma sicuramente raro di quello che dovrebbe essere il rock del nostro Bel Paese. Per radere al suolo i castelli di carta del re. Rosario psichedelia. Un songwriting più maturo ed uno spirito più pacato (ma comunque folle) in un disco affascinante. Livio Polini

Cinematic Orchestra Ma fleur downtempo / jazz ***

Il quarto album dell’orchestra composta da un uomo solo (Jason Swinscoe) conferma la classe del compositore laptop inglese. Le sue capacità visionarie, il suo tocco, in grado di far viaggiare le menti, rimane inalterato, se non migliorato. Se avete bisogno di una colonna sonora della vostra vita (meglio, di un vostro viaggio in auto), questo è un gran bel cd. Eppure, lascia l’amaro in bocca. Lo fa perché le tracce cantate (solo 5 su 13) appaiono le migliori, quelle che scuotono,

fino a commuovere. In particolare l’apertura (To Build a Home, cantata da un bravissimo carneade, Patrick Watson) e la chiusura (Time and Space, con Lou Rhodes, ex Lamb, angelica). Il resto dell’album è un ottimo prodotto che però non scuote le coscienze, al massimo le coccola. E per questo potrebbe rischiare di essere dimenticato nel tritacarne delle produzioni musicali e nella riproduzione isterica di sonorità simili a quelle di Swinscoe; a un ascolto ingenuo, la Cinematic Orchestra potrebbe essere un ottimo gruppo da Buddha Bar. Speriamo bene, dai. Dino Amenduni

The Clientele

God Save The Clientele Merge Indiepop / ***½

Recita il titolo di questo album “Dio salvi i Clientele”, mai frase fu più giusta. Il dream pop strizza l’occhio agli anni sessanta, così può capitare di perdersi all’improvviso, ritrovarsi scaraventati in paesaggi lontani,


KeepCool prati soffici su cui correre e poi scivolare, senza farsi male, sentirsi rassicurati, tutto deve ancora succedere, l’attesa è dolce e malinconica in egual modo. Tornare in pace con noi stessi, per alcune decine di minuti, durante l’ascolto di questo album, potrai intuire che ne vale la pena, indubbiamente. Un pop adulto ed elegante, di grande stile, più immediato rispetto al passato, attraverso strutture più leggere. Ancora una volta capaci di stupirci i Clientele, con un disco che sa di autunno e allo stesso tempo di primavera, attraverso riflessioni e meditazione, speranze e dolci risvegli. Capaci di rinnovarsi senza rinunciare al loro credo, allo stile che li contraddistingue da quasi dieci anni. Ogni loro disco un piccolo capolavoro, un gioiello da custodire. Livio Polini

Bobby Soul

Draghi Rossi & Buchi Neri mo-beat Records nu-groove / ***

13

Mus

La vida Greenufos rec. Folk-slowcore ****

Quando ho letto che questo duo (la cantante Mónica Vacas e il compositore Fran Gayo) venivano dalle Asturie, devo dire di aver storto un po’ il naso. Cosa mai ci si può aspettare da quei “ricottari” degli spagnoli. Ed invece eccomi come un deficiente ad ascoltare ammaliato questo La vida che, con 12 splendidi brani, mi ha costretto forzatamente a fare un bel passo indietro sui miei pregiudizi. A onor del vero devo dire che qui lo spagnolo viene messo da parte a favore di uno squisito asturiano antico. Il fatto poi che in Spagna ci hanno suonato solo tre volte, mentre per anni hanno girato in tutto il mondo (pure in Russia e Taiwan…), la dice lunga sul loro volersi porre al di là della scena musicale nazionale. Il risultato è davvero emozionante. Una musica dolcissima, orchestrazioni delicate, dominate da quell’esotico strumento che è l’autoharp, e canti eterei che evocano paesaggi incantati. Un’abilità compositiva strabiliante e una voce penetrante fanno di questo album uno dei vertici dello slow-core di sempre, degno di un posto d’onore nel catalogo 4AD. Questi due sanno fare magie con una eleganza davvero rara. Gennaro Azzollini

Plasticines

Groove Armada

Sono quattro ragazze, arrivano da Parigi e nessuna di loro ha ancora compiuto vent’anni, ma dalla loro hanno una lunga trafila di esibizioni live e un disco d’esordio registrato in meno di due settimane, nonché un produttore che risponde al nome di Maxim Schmitt (il nome Kraftwerk vi dice niente?). LP1 è il titolo di questo primo album delle Plasticines, 13 brani freschi e veloci, solo in un paio di episodi le tracce superano i due minuti di durata, leggeri e ammiccanti quanto basta per ritagliarsi uno spazio nelle playlist vacanziere. Testi a metà tra francese e inglese, chitarre sempre in primo piano e coretti sbarazzini, le quattro parigine fondono il sound e la “stilosità” degli Strokes, l’impeto e la carica sonora dei Libertines e la semplicità dei Ramones: il risultato è un disco molto easy, sicuramente non originalissimo, che unisce momenti più rock (Lost In Translation, Alchimie) a frangenti “poporiented” (il singolo Loser, Byciclette). Piacevole, ma resta un dubbio: non si tratterà dell’ennesimo fuoco di paglia? Giuseppe Muci

A cinque anni dall’ultimo lavoro “in studio” il duo inglese torna sul mercato con un disco molto particolare. Se già Lovebox (2002) ci aveva colpiti per la capacità di coniugare in unica tracklist sonorità a prima vista incompatibili tra loro, spaziando dal rock alla dancefloor, questa volta i Groove Armada la rischiano grossa, e sfornano un lavoro che definire disomogeneo è poco, ribadendo la verve compilatoria mostrata negli episodi a loro nome delle serie Back to Mine e Late Night Tales (quest’ultimo di pregevolissima fattura). Non una traccia che si accomodi allo stile della precedente, un volo pindarico che comprende Acid-House made in uk (Drop that thing), dance grooves alla Basement Jaxx (The things that we could share), Dub (Soundboy Rock) raffinatissima Ambient (From the Rooftops), Pop dal gusto retrò (come nella dolcissima Paris)…e l’elenco sarebbe ancora lungo. E ciò che davvero ci sorprende, la polimorfia di Soundboy Rock non infierisce sulla qualità del disco, nobilitandolo tutt’al più. Da non perdere. E da riascoltare tre volte. Elvis Nicolas Ceglie

LP1 Virgin indie pop / ***

Primo lavoro di Bobby Soul, al secolo Alberto De Benedetti, anima e voce dei Blindosbarra. Accantonato temporaneamente il progetto genovese di matrice funk torna sul mercato con Draghi rossi & buchi neri, un album con molteplici sfaccettature, molti generi, al limite anche troppi; di fondo c’è un tappeto costante di groove, acustico e sfacciato in brani come Maschio N.1 o Sull’onda buona, più sincopato, minimale ed elettronico in Real Black con Sharon Jackson e Nio Siddartha che sembra rimandare alla migliore tradizione del contemporaneo nu-soul statunitense di D’Angelo, Common o Erykah Badu. Un album composto da brani originali (tranne per una interessante rivisitazione di Un uomo che ti ama di Battisti) che trasmette grinta, tensione e sudore. Zanca

Soundboy Rock Columbia dance & co / ****


KeepCool

14

Mark Ronson Version Columbia cover / ****

Benji Jumping Da diversi anni a questa parte è la figura del produttore a determinare il successo di un’artista, più delle qualità dell’artista stesso. Sospendendo ogni giudizio a riguardo, ecco a voi Mark

Ronson. Nato a NY, vive da anni in Inghilterra; il suo tocco ha permesso la definitiva consacrazione di Amy Winehouse, ma soprattutto ha permesso a Lily Allen di emergere dal nulla. E in questo album, come spesso succede negli album dei produttori che si mettono in proprio, tutti i “protetti” ritornano al capezzale. Ronson in questa Version rivisita 12 piccoli classici (molti dei quali recentissimi) con sonorità tra il pop e il funky. Delirante la versione di Toxic di Britney, con la voce di ODB; Stop Me, il singolo (degli Smiths l’originale), già in testa alle classifiche in UK, sta conoscendo un buon successo radiofonico anche da noi. Lily Allen canta i Kaiser Chiefs (Oh my God), Amy Winehouse i The Zutons (Valerie), Robbie Williams (un’altra punta della scuderia Ronson) rivisita i Charlatans. Un ottimo album, che però non convince appieno a causa dell’esasperazione della stessa soluzione ritmica, sicuramente d’appeal, ma probabilmente non così tanto da poter essere reiterata per 50 minuti. Più che altro, una grandissima collezione di singoli. Dino Amenduni

Low

Drums and Guns, Sub Pop slo-core / ***

Tredici anni dopo lo straordinario I Could Live in Hope, disco d’esordio che portò il trio di Duluth alla ribalta internazionale, Drums and Guns è un lavoro che si presenta in punta di piedi; la band sembrava pronta a partorire il cosiddetto disco di transizione, sganciatisi dallo slo-core degli esordi verso non precisati lidi; ma è qui che subentra la creatività di un progetto ormai maturo, capace di trovare vie d’espressione anche lontano da casa. Passano gli anni e cambiano gli stilemi, ciò che resta è la sensazione di disagio, di tensione emotiva, veicolata da atmosfere rarefatte e fumose, e dalla voci imploranti di Alan Sparhawk e Mimi Parker. Hatchet, Belarus e Dust On The Window gli episodi più significativi, ed in linea di massima colpisce la perseveranza nell’uso di drum machine e loop, esasperanti a volte, specie nella parte centrale del disco. Siamo ben pronti

Charme & Shake Irma Records lounge & shake / ****

Avere questo promo in mano mi riempie di orgoglio…il titolo è Charme & Shake ed è il primo lavoro a firma Bengi Jumping, (Daniele Bengi Benati, anima, voce e frontman dei Ridillo); l’album vero e proprio uscirà dopo l’estate, ci sono ancora da arricciare gli ultimi fiocchetti e da spruzzare le ultime gocce di profumo ad un regalo che la Irma Records sembra voler fare a tutti i lounge victim orfani di Sam Paglia e Montefiori Cocktail. Il pezzo di apertura (già uscito come singolo) Ice Cream Pusher è uno shake da brivido che poteva essere interrotto solo da Italian Kisses, un leggero ma passionale omaggio ai maestri Morricone e Piccioni, una melodia fischiata e l’ombra di Alberto Sordi che sorride in lontananza. Non manca nulla a quest’album, ci sono paparazzi con vespe anni ’60 a caccia di vip, ci sono sax scatenati (Kikko Montefiori compare in Paparazzi appunto), ci sono cha cha cha e le trombe di Claudio Zanoni in Trumpet Cha Cha, c’è un goffo sosia di Elvis che impomatato canta Tutti Frutti Bali…c’è un assoluto buon gusto nella veste grafica e in quella sonora. Zanca a vedere il frutto di queste sperimentazioni in futuro, e chissà, invertite le responsabilità della Parker e di Sparhawk. Ma Drums And Guns non può essere considerato più che un (riuscitissimo) disco di passaggio. Elvis Nicolas Ceglie

Alla Bua

Saratambula Autoproduzione musica tradizionale / ****

Nel Salento sono una specie di istituzione. Gli Alla Bua, tradotto dal griko “altra cura”, in questa terra sono nati e cresciuti. Come nella più autentica tradizione della pizzica, la loro musica parte e si fa in mezzo alla gente. Così è stato per Stella Lucente (1999), Alla Bua (2002) e Limamo (2004). A distanza di tre anni dall’ultimo album, la band torna con 13 brani di pizzica incisiva e vibrante. Al centro del nuovo disco intricati scioglilingua e antichi giochi. E a Saratambula – si salta a mo’ di cavallina sulle schiene piegate dei partecipanti in fila - ci giocavano i ragazzi di una volta, sull’antico basolato salentino, di notte. Così come bastavano cinque sassolini per giocare a Paddhi. Non mancano i tradizionali testi in griko dell’intensa Kalinitta e di Aremu rondineddamu. Storie sudate di fatica si leggono nella pizzica di Senza Camisa, Nu Tuzzare e Taccaru e nel minivalzer di Tristu Furese. Intriganti melodie liberatorie e in ogni caso festose ritmano invece i testi rinnovati di Ninella e Cesarina. Dolce e poi intenso l’intreccio tra flauto e oboe in Balla cu me. Mentre un frizzante brano-fotografia dell’atmosfera delle fiere del Salento, Purginu, conclude un disco tutto da leggere attraverso. Flavia Serravezza

Takeshi Nishimoto

Monologue Büro / Wide contemporanea / **½

Non molto tempo fa si era parlato di lui anche in Italia per il progetto post-rock a quattro mani con John Tejada I’m not a gun. Ora si ripresenta con un lunghissimo album di pezzi di sola chitarra classica registrato in una chiesa di Berlino, e con uno stile puramente europeo. Ora, al di là di tutte le masturbazioni mentali che si potrebbero perseguire nel cercare di tradurre in parole la magnificenza tecnica (priva però per fortuna di virtuosismi e barocchismi) del nostro, bisogna ammettere che dischi così sono duri da reggere fino in fondo, anche per chi è ben predisposto verso le sonorità più introspettive. Il problema tuttavia non è solo nel genere (dischi di strumenti solisti sono sempre un po’ tostarelli…) ma proprio nel particolare atteggiamento che il giapponese assume in questo disco, un non so che che te lo rende proprio antipatico, sebbene di certo non brutto. Infatti il suono è malaccio: deciso ma silenzioso, scarno ma profondo, complesso ma non spocchioso. Eppure rimane qualcosa di nascosto che sottilmente ma inesorabilmente produce tensione e fastidio nell’ascoltatore. È come se effettivamente il musicista parli, parli, ma senza volerti dire effettivamente mai niente, senza arrivare mai a nessun luogo, riservando a sé stesso e solo a sé stesso il significato di tutto questo, il che rende il disco inevitabilmente piatto (solo verso la fine si apre un po’ con la piacevole


KeepCool Coming Home). D’altronde, di monologo si tratta. Gennaro Azzollini

Ridillo

Soul Assai Brillante Halidon lounge-pop / ****

Siamo al quinto album dei Ridillo. Soul Assai Brillante è il titolo ed è strettamente legato al musical – con la regia di Michele Ferrari – che la band della bassa padana sta portando in giro per il

nord Italia. I tredici brani sono canzoni americane maneggiate con grande rispetto da una parte e con la voglia di reinterpretarle in italiano con sensibilità ed esperienza dall’altra. L’ombra di Mina è sempre presente, Celentano viene tirato in ballo con il medley Bisogna far Qualcosa/Il Beat Cos’è (le intramontabili These Boots are Made for Walkin/The Beat Goes On). Avete mai ascoltato Don’t let me be misunderstood in chiave swing? è il risultato di Vai pure via. Il non aver inserito brani originali (pur avendone già registrati alcuni molto radiofonici) è stata una scelta mirata per non distogliere l’attenzione dalla coerenza dell’album, un omaggio innamorato e imbevuto nella nostra scena musicale dei ’60 e dei ’70, degli Stevie Wonder e degli Otis Redding all’italiana. Zanca

Tied + Tickled trio Aelita Morr ambient / ****

15 glockenspiel, soundtracks. Più che un passo in avanti sembra che abbiamo voluto gettare uno sguardo all’indietro, ai Tangerine Dream, al trip-hop dei primi Unkle, e all’ambient scandinava anni ’90 (mi viene da pensare a Biosphere). L’atmosfera è sostanzialmente molto triste e a tratti inquietante, ma anche rilassante, se ti ci lasci andare, se smetti di resistergli e ti abbandoni al flusso: è questo d’altronde l’unica via per ascoltare certe cose. Era da tempo che non mi dedicavo più a certi ascolti. Un piacevole dejà-vu. Gennaro Azzolini

Dolorian

Voidwards Wounded Love/Masterpiece avanguardia / ***½

Terzo capitolo discografico per la band finlandese dei Dolorian, anzi oserei dire terzo biglietto per una dimensione onirica e surreale. I Dolorian sono autori, in Voidwards, di musica innegabilmente avanguardistica, in cui il doom attinge al nero pece tipico del black, ma successivamente si dirada e si diluisce in contesti ambient e melodici, dove, infine, un flebile sentimento di speranza sembra celarsi. Le dieci composizioni sono tappe obbligatorie per un viaggio sperimentale in cui suoni ed effetti ricercati, voci dalle multiformi espressività, materializzano partiture lente ed ossessive, nelle quali patterns irregolari ed asfittici, danno luce ad un tipo di scrittura affine al frazionamento puntillistico. Unico neo (o pregio) è la scarsa prosodicità dei brani, difficilmente metabolizzabili ed ascoltabili. Tuttavia, la sensazione madre che se ne ricava, se ascoltate le tracce con totale dedizione, è pieno distacco da tutto ciò che è terreno e quotidiano, fino a percepire un livello di catarsi, che oserei dire, per l’uomo di oggi, essere pienamente curativo. Nicola Pace

My Dying Bride

A Line of Deathless Kings Peaceville Records/Audioglobe doom-metal / ****

Album realizzato sulla base di brani eseguiti per un festival della Hausmusik (etichetta indie tedesca che ha prodotto negli anni del post-rock pregevoli cosette). Forse anche per questo il sound si distacca da quelle che sono state le loro direzioni dei tempi passati. Ancora down tempo, si, ma privo di ogni frivolezza jazzistica e lounge. Ciò che rimane è un malinconico dub misto a un minimal-elettronica glaciale fatta di glitchs, tastiere kraute, xilofono,

I My Dyng Bride, sono i precettori indiscussi della scena death-doom inglese dei primi anni Novanta, genere a cui sono rimasti coerenti, ma dal quale si sono astenuti per momentanee divagazioni sperimentali (vedi 34,788%...Complete). A Line of Deathless Kings, loro nona opera in studio, si pone decisamente un gradino sotto il predecessore. Abbandonate, ora, le asprezze black e death, i M.D.B si sono concentrati sull’indole gotica del proprio

suono, citando soluzioni adoperate nel recente passato. Quello che trovo eccezionale nella loro proposta, è essenzialmente una modalità elaborativa che appare esprimersi e risolversi in orizzontale, come se arrangiamenti contrappuntistici non siano nella cifra stilistica dei nostri, lo si vede nei numerosi incisi strumentali, in cui, mai, se non per leggere sfumature, gli strumenti si sovrappongono. A Line of… sembra essere l’opera che riassume il verbo artistico del quintetto di Birmingham, dal momento che, la summa delle loro peculiarità convergono qui, e si caricano di quel romanticismo cupo e raffinato che solo il combo inglese riesce a forgiare. Nicola Pace

Noekk

The Grimalkin Prophecy Productions/Audioglobe dark-progressive rock / ****

Se il precedente lavoro The Water Sprite, era all’insegna di un doomrock, che molto aveva dei seventies, in The Grimalkin le carte in tavola sono state mescolate, ed in parte cambiate. I nuovi brani si sono a dire poco dilatati, eliminando, in se, qualsiasi traccia di forma canzone. Tre sono le lunghissime composizioni (rispettivamente di venti, undici e dieci minuti) in cui influenze folk, ambient, doom-rock ed escursioni barocche, si incastrano come tessere di un mosaico. Fin qui tutto sembra perfetto, in realtà, i pezzi non sempre permangono compatti e coerenti, ma i continui cambi di registro, di tempo e di interpretazione vocale, non rendono la proposta di facile accessibilità; penso, in particolare, ai momenti nei quali esecuzioni furiose ed angoscianti lasciano il passo a tempi medi, nei quali litanici orientalismi e divagazioni barocche, fungono da bridge per ulteriori e consequenziali sviluppi. In conclusione, The Grimalkin risulterà ostico, se ci si accosterà frettolosamente, ma si farà appetibile una volta abbandonati nelle sue, oscure e seducenti, trame. Nicola Pace

Unsane

Visqueen Ipecac noise-rock / ****

Insieme ai vari Helmet, Jesus Lizard e ad etichette come l’Amphetamine Reptile, gli Unsane hanno contribuito a definire l’estetica del suono di quei rumorosi anni ’90. A due anni da Blood Run e a quattro dalla bellissima raccolta Lambhouse, che sapeva già di commiato, il trio newyorkese si ripresenta con un nuovo disco e col consueto carico di violenza efferata,


KeepCool

16 sangue e morti ammazzati in copertina. L’ossessivo drumming schiacciasassi di Vinnie Signorelli è sempre accompagnato dal truce basso distorto, percosso da Dave Curran con la solita grazia di un muratore a cottimo. Su tutto Chris Spencer che squarcia l’aria coi suoi riff abrasivi e le linee stridenti di chitarra, e che sputa rabbia e ferocia, con quella voce invasata, a chiunque gli si trovi di fronte. Un urlo primordiale dal buio profondo della città delle città. Una band che con furia e rancore fa ancora tremare la terra sotto i piedi. E 10 anni fa, Corigliano è stata per una sera, l’epicentro di questo devastante terremoto. Giovanni Ottini

Kaotica

Timeless Autoproduzione prog metal / ****

Esiste un dualismo nelle strutture sonore dei Kaotica: da una parte il rincorrersi vocale di luci ed ombre e dall’altra un dialogo continuo tra gli strumenti. È come se la voce melodica di Elena Shiva Tarighinejad giochi a nascondino con le complesse parti strumentali, quasi ai confini del prog metal, create da Amir Simone Tarighinejad e Giuseppe Argentiero (chitarre), da Luca Varrazza (basso), da Cristiano Trevisi (tastiere) e da Mauro Lorenzo (batteria). L’effetto finale è quello di un incrociarsi continuo di forza e fragilità che disegnano paesaggi davvero variegati, spesso filtrati da suoni che non esiterei a definire anche esotici. Potrebbero tranquillamente competere con i grossi nomi del genere più conosciuti all’estero i salentini Kaotica. Il loro suono possiede un pregevole tasso di originalità che, senza mai indugiare in sfoggio di tecnica fine a se stessa, li rende amabilmente unici. Non sono semplici e, soprattutto, non sono mai banali le loro composizioni. Vanno ascoltate con attenzione e lasciate crescere. È facile che a questo punto scopriate di avere a che fare con una band speciale. Camillo “RADI@zioni” Fasulo

Il nostro viaggio alla scoperta delle piccole etichette passa dalla neo nata Muertepop. Ne abbiamo parlato con Federico Baglivi. Cos’è e qual è l’idea che c’è dietro una label di questo tipo. Muertepop è una netlabel italiana che da gennaio 2007 produce musica con l’intento di promuovere artisti della scena musicale indie, elettronica, e sperimentale. Le release di Muertepop sono quindi finalizzate esclusivamente alla distribuzione e alla promozione musicale, azzerando qualsiasi intento di tipo finanziario; consistono in un semplice free download dal sito www.muertepop.com di tracce mp3 e immagini jpg, necessarie all’auto-costruzione di un piccolo booklet. Si tratta in definitiva dell’estremizzazione del concetto di DIY, in cui ognuno scarica la musica che gli interessa e masterizza il suo cd, stampa la sua cover e si costruisce il suo booklet. Nonostante questo, il lavoro dietro una netlabel come Muertepop c’è ed è anche tanto, dato che dopo ogni singola release ci occupiamo anche della fase di promozione sul web. Tutto questo è possibile grazie ad una particolare forma di licenza che copre le produzioni Muertepop. Cosa sono queste forme di licenza e perché questa scelta? Tutta la musica scaricabile da Muertepop, come per tutte le netlabel, è soggetta alle licenze creative commons; queste licenze fanno sì che ciascuna release sia scaricabile gratuitamente. Inoltre l’artista continua a detenere dei diritti sulle sue tracce musicali. Difatti coloro che rilasciano la loro musica come formato mp3 sul sito Muertepop sono completamente liberi e padroni delle loro tracce; tuttavia qualora lo volessero possono essere rimossi dal free download in qualsiasi momento; inoltre devono essere citati come autori nel momento in cui la stessa viene utilizzata da terzi. La scelta di una netlabel come Muertepop e delle licenze creative commons è arrivata per due motivi ben precisi: prima di tutto per evitare che ci fosse un ostacolo di tipo economico tra la musica e i ragazzi che l’ascoltano, autorizzando di fatto un free download che potenzialmente rende una release estremamente divulgabile via web;

inoltre per evitare che lo stesso ostacolo monetario ci proibisca di “produrre” artisti che a nostro parere meritano ma che, nell’organizzazione attuale delle cose nel campo musicale, difficilmente avrebbero una possibilità per farsi conoscere. Quali sono gli artisti e i generi che si possono trovare su Muertepop? I generi delle produzioni Muertepop sono abbastanza vari ma tutti ruotano intorno ad una determinata idea di elettronica. In effetti in tutte le release, dalla prima compilation sino a queste ultime, è sempre presente una qualsiasi sonorità elettronica. Tuttavia si spazia molto dall’indiepop elettronico di All about Max e Parade Me all’elettronica più sperimentale di Manfredini. Fondamentalmente è necessario che l’artista “ci piaccia”, indipendentemente dal sottogenere elettronico a cui appartiene. Quali sono i progetti attuali e futuri di Muertepop? Al momento stiamo curando la promozione di Nothing to say e di All about Max, ultima release uscita il 14 di Maggio in coproduzione con la Peteran records, label e netlabel di Roma. Release di cui siamo orgogliosi, infatti Max ci è piaciuto sin da subito, è molto bravo nell’amalgamare perfettamente glitches elettronici e sonorità acustiche, e nonostante questo è rimasto sempre nella sua stanzetta. Doveva necessariamente essere ascoltato da qualcuno. Per giugno siamo in preparazione di Where Do All Those Spiders Hide?, release di Parade Me, un ragazzo di Berlino, che mostra di aver imparato molto bene la lezione Morr music, regalandoci un download di sette bellissime tracce vicine allo stile Styrofoam. E’in programma poi, per dopo l’estate, una nuova compilation con artisti della scena indie elettronica italiana ed europea marchiata Muertepop. Vi ricordo che per ascoltare la prossima release di Parade Me, prevista per l’11 di Giugno, e in generale tutta la musica prodotta da Muertepop, è sufficiente visitare il sito www.muertepop.com e scaricare. Legale e gratis.


I Piano Magic di Glenn Johnson ci regalano un nuovo disco. Dopo una lunga carriera e i vari cambi di formazione la band non ha perso il suo smalto e il nuovo Part Monster è bellissimo, intenso, a tratti cupo, intimo e riflessivo. Ne abbiamo parlato con Glenn. Il precedente Disaffected era animato da fantasmi, presenze del passato, questo nuovo album si intitola Part-Monster. Da quali personaggi è animato? è sopratutto autobiografico, il personaggio strano è presente un po’ qui e un po’ lì, come il patriota fuorviante di Soldier Song e England’s Always Better, la popstar che ha perso la sua strada in The King Cannot Be Found, ma in generale sono gli angoli bui racchiusi in me e in te, il “mostro” che è in tutti noi. Come è nato musicalmente? In modo organico. Sopratutto dalle prove. Ci sono state anche delle registrazioni individuali avvenute in casa. Non c’è stata una decisione consapevole di andare in una direzione precisa, ma eravamo d’accordo fin dall’inizio di registrare in diretta il più possibile, con poche elaborazioni per non perdere l’effetto naturale. Volevamo registrare delle canzoni che potevamo suonare dal vivo. Ironicamente, ci siamo riusciti solo a metà. La vostra musica sembra sospesa nel tempo. Ci sono tante influenze, atmosfere decadenti, rock, wave. Piano Magic è cambiato molto in questi anni, forse grazie all’avvicendarsi di culture musicali diverse? Credi che questo abbia influito sul vostro sound molto particolare? Ho sempre pensato che abbiamo seguito un percorso istintivo; la nostra musica è il risultato dell’alchimia tra i singoli musicisti, più che il prodotto di quello che accadeva in qualsiasi scena musicale. C’è stato un momento sul finire degli anni novanta, quando eravamo ancora alla ricerca della nostra strada, che senza

cognizione di causa, ci siamo avventurati un po’ troppo vicino all’estetica “post rock” di quel periodo, ma quando ce ne siamo accorti, siamo scappati via il più velocemente possibile. Oggi qualsiasi cosa anche lontanamente vicina a Spiderland degli Slint mi annoia fino alle lacrime. Ogni tanto si riconosce nelle tue canzoni l’impronta degli anni 80, come hai vissuto quel periodo? Cosa ti ha lasciato? Durante gli anni ottanta ho vissuto in una piccola casa di campagna, in un villaggio costruito intorno ad una ex miniera. Nonostante ciò non ero completamente tagliato fuori dalla civiltà. Ho sempre guardato tutte le puntate di qualsiasi show di musica pop televisivo in onda in quegli anni, – Top Of The Pops, The Tube, The Old Grey Whistle Test, SNUB TV – e contemporaneamente creavo la mia musica, utilizzando solo un’ economica chitarra Casio a due corde e solo in un secondo momento una semidecente a sei corde. Quegli anni erano eccitanti per la musica. Agli inizi degli anni Ottanta ero ossessionato dagli Specials, subito dopo dai Soft Cell, The Human League, Depeche Mode e in generale da tutta la musica 1finger synthpop. Ma sono stati gli Smiths che mi hanno ancorato ad un romanticismo riconoscibile nei Piano Magic di oggi. Dopo tanti anni di attività, più di dieci credo, com’è cambiata la musica intorno a te e il modo di percepirla? Oh, c’è sempre qualcosa di decente intorno se ascolti con attenzione ma è nascosta sotto un mucchio di robaccia. Mi rattristano i gruppi che cercano di assomigliare ad altri. Mi rattristano i gruppi che sono più famosi per quello che fanno fuori dal palco che per quello che fanno sul palco. Mi rattristano le persone che seguono questo genere di gruppi. Mi rattristano quelli che non hanno mai sentito i Velvet Underground. Infatti sono rattristato

per tutti quelli che non hanno avuto modo di conoscere gli Smiths. Sono stanco di tutti quei gruppi che hanno a disposizione tutti gli strumenti ma non capiscono che gli manca il cuore e l’anima. Sono stanco degli egoisti. Sono stanco di tutti quei gruppi che suonano solo per i soldi e la fama. Odio quei gruppi che suonano solo nelle capitali delle varie nazioni, senza il coraggio di andare a visitare i piccoli paesi, dove è più importante andare. Non so se qualcosa è cambiato. So solo che posso contare i gruppi che stimo sulle dita di una mano. Il 95% della collezione di dischi di qualsiasi persona è inutile. Per una nutrita e sempre maggiore schiera di pubblico state diventando una band di culto, come vivi questa sensazione? Stiamo diventando grandi? È difficile da dire. In Inghilterra la gente è ancora completamente indifferente alla nostra musica e la nostra popolarità in Europa và e viene. Le nostre vendite sono costanti e buone, ma ancora non siamo apparsi sulla copertina di una rivista. Mi sto lamentando? No. Meglio essere un gruppo “Cult” che lamentarsi per quello che non si ha. I Piano Magic non appartengono a una scena particolare, ma se proprio dovessifare uno sforzo, a quali band ti senti più vicino? O per lo meno, quali ti piacciono? Non ci mettiamo in “relazione” con nessuno! Certamente non apparteniamo a nessuna scena. Ma personalmente mi piacciono vari artisti giorno dopo giorno, in base al mio umore: i nuovi dischi di LCD Soundsystem, Giardini Di Mirò, Dinosaur Jr, Low, The Sea & Cake, ma sempre Kraftwerk, The Smiths, Joy Division, New Order, The Durutti Column, Felt. Sono un ragazzo a cui piace l’indie. Forse dovrei scusarmi per questo, ma sono fatto così. Osvaldo Piliego


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Dagli anni 80 a oggi Giorgio Canali ha rappresentato e rappresenta un elemento chiave del rock Italiano. Prima dietro in comandi di gente come i Litfiba (quelli buoni), poi ancora nei CCCP e nei Csi. Una carriera come produttore di band come i Marlene Kuntz, il Santo Niente e ancora l’esperienza solista che lo vede affiancato dai Rossofuoco. Esce in questi giorni Tutti contro tutti. La sincerità, quella sbattuta in faccia senza mezzi termini sembra restare caratteristica portante dei tuoi testi. Cosa ti fa arrabbiare? Cosa ti indigna? La rassegnazione mi fa incazzare, chi si accorge che ci stanno fregando e fa finta di nulla perché tanto “che ci vuoi fare”… Questo mi fa imbufalire ancora di più di quelli che, accorgendosi che ci stanno fregando, fanno finta di nulla perché gli conviene o perché sperano di finire, in qualche maniera, nel numero ristretto degli “eletti” che fregano gli altri… poi ci sono gli idioti: quelli che non si accorgono che ce lo stanno mettendo in quel posto e, se cerchi di avvisarli, prendono te per un idiota… Last but not least… (e qui arriviamo nel mio piccolo mondo autistico) ecco le teste di cazzo, ovvero coloro che, automaticamente, nel momento in cui in una canzone si affronta un argomento che sfiora il sociale, non importa in che maniera e in che ottica, ti dà del retorico e del populista… Questo per ciò che riguarda il “cosa mi fa arrabbiare”, in risposta alla seconda parte della domanda posso solo dire che l’indignazione è un sentimento che non mi appartiene perché, fondamentalmente, la ritengo una forma mentale del qualunquismo… Qual è il filo conduttore di questo Tutti contro tutti? Banalmente ti rispondo: “la rabbia”. Se non ci si vuole fermare alla prima definizione, posso dire che molte delle parole cadute a pioggia sulle atmosfere musicali di Rossofuoco nell’ultimo lavoro, sono legate alla dedica sul retro di copertina del cd: “A Federico Aldrovandi, 1987-2005”, dedica che si estende anche a Patrizia, madre ostinata e tutt’altro che rassegnata, e all’associazione Verità per Aldo. Federico era un ragazzo appena diciottenne che, una notte, tornando a casa, ha scelto la strada sbagliata, questo è l’indirizzo su internet per saperne di più: http://federicoaldrovandi. blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/ Sembra che l’imbastitura musicale dell’album sottolinei, o comunque sia parte integrante del messaggio, diretta, essenziale sincera. L’importante è l’obiettivo? C’è, tra coloro che fanno musica, chi prova smisurato piacere nel concepire ed eseguire intrecci ricercati, invidio quelli che riescono a trasmettere emozioni profonde in questa maniera, ma sono pochissimi… dal canto mio penso che quattro accordi di merda e un migliaio di parole ancora peggio, comunichino meglio il mio/nostro stato d’animo e, se permetti, per noi è molto più facile divertirci suonando dal vivo cose che anche un bambino riesce ad eseguire… quello che cerchiamo, è creare ambienti sonori che, in qualche modo, emozionino chi ascolta come emozionano noi… Comunque sia le tessiture armoniche di Rossofuoco non sono poi così

elementari… prova a scriverle sul pentagramma… Nei panni di musicista e di produttore hai visto tanto. Qual è il tuo parere oggi? Dopo il miracolo indie degli anni 90 di cui sei stato un protagonista. Cosa è rimasto? Quello che resta, merita di esserci. Comunque sia, è tutta la vita che sento esprimere nostalgia per la musica del decennio precedente e, di decenni precedenti da rimpiangere, in cinquant’anni di vita, ne ho visti almeno quattro. Per te oggi la musica è terapeutica? C’è speranza alla fine o solo rabbia? Ho ricominciato a scrivere canzoni per me, dopo qualche anno di pausa dalle mie avventure precedenti, durante il periodo dei C.S.I. di Linea Gotica, consideravo lo scrivere una specie di terapia preventiva contro il cancro… sputare fuori ciò che ti tormenta aiuta a fare sentire meglio la tua testa e il tuo corpo. Toccando ferro (per essere educati), sembra che funzioni… la mia vita non è un modello di salutismo quindi, o è solo fortuna, o è la terapia giusta… Speranza? Roba da preti… e quanto mi fanno incazzare i preti… Questo numero del giornale è dedicato ai festival estivi. Che rapporto hai con queste maratone musicali? Quelli che mi invitano sono una figata, gli altri fanno cacare… A parte le battute idiote, i festival, dal più piccolo al più grande, sono la maniera giusta per ricreare una voglia di vivere la musica assieme agli altri e un ambiente fertile per i movimenti creativi a venire… ci sono troppe cose che fanno concorrenza alla musica dal vivo e che distraggono le nuove generazioni, per questo penso che ogni manifestazione di questo tipo sia una benedizione per questo mondo e non sto parlando solo di quello musicale. Fedele al verbo del rock, ma c’è qualcosa che musicalmente devia da quello che suoni e che ti piace ascoltare una volta a casa? La musica “classica” mi fa furiosamente incazzare, la musica “contemporanea” mi innervosisce e dopo picchio i bambini che non ho, il jazz mi fa venire i brufoli, l’etno e il folk scatenano in me ondate di razzismo fanatico che Borghezio mi fa ridere, la musica leggera mi diverte una volta su un milione… Quando metto un disco nel lettore, è sempre un disco che puzza di elettricità, è più forte di me. Osvaldo Piliego


Sound Res 2007

8/30 giugno - Salento Il concetto di residenza artistica è approdato da poco nel Salento. Da alcuni anni Alessandra Pomarico e Luigi Negro, responsabili dell’associazione Loop House, lavorano, non solo in Italia, in questa direzione. Nel 2004 dall’incontro tra Loop House e Coolclub, sotto la direzione artistica del percussionista David Cossin (premio Oscar per la colonna sonora del film La tigre e il dragone e collaboratore di grandi nomi della musica internazionale), è nata l’idea della residenza di musica contemporanea Sound Res che, giunta quest’anno alla sua quarta edizione, non deluderà le aspettative dei tanti che attendono l’appuntamento estivo nel Salento come uno dei più creativi e produttivi nella mappa dei festival italiani. Sound Res infatti non è un festival come gli altri: l’articolato programma, che si svilupperà dall’8 al 30 giugno, prevede una serie di concerti ed eventi, workshop, lezioni magistrali, masterclass e laboratori per ragazzi, frutto del lavoro di musicisti riconosciuti internazionalmente invitati a risiedere e lavorare nel Salento e a collaborare con artisti e musicisti locali, in un’esperienza di full immersion. La formula della residenza, oltre ai momenti di lavoro e di confronto, ha il merito infatti di far vivere un territorio ai suoi ospiti (dal mare alla cucina, dal “mercato” alle passeggiate nel centro storico). Dalla presenza di Philip Glass, ospite d’onore che si esibirà giovedì 28 giugno nell’atrio di Palazzo dei Celestini a Lecce, e dalle trasformazioni che ha generato il momento musicale generalmente conosciuto come minimalismo David Cossin è partito per selezionare gli ospiti e delineare le idee di massima del lavoro che verranno sviluppate durante la residenza e arricchite dagli spunti d’ogni partecipante. “Sono molte le novità di questa edizione”, sottolineano soddisfatti Alessandra Pomarico e David Cossin. “Innanzitutto la residenza è suddivisa in fasi diverse, ognuna delle quali si sovrappone alla precedente generando collaborazioni tra gli ospiti. Inoltre saranno presenti compositori all’interno del progetto come Philip Glass, pietra miliare della musica contemporanea, e Paola Prestini, giovane compositrice, voce di nuova generazione. Entrambi i compositori considerano la musica un mezzo per creare una riflessione socio-politicofilosofica. La residenza coinvolgerà performer della scena del teatro musicale e multimediale, artisti visivi e concettuali che lavoreranno insieme ai musicisti alla creazione di opere sonore, un sociologo e il giornalista statunitense Ira Glass”. Nelle precedenti edizioni Sound Res ha ospitato il contrabbassita latin/jazz/classico Gregg Agoust, il chitarrista Brice Dessner, il sound designer e compositore David Sheppard, il cantante sperimentale Theo Blekmann, il cantante tradizionale Madan Gopal Sing, il violinista Padma Newsome, The National e numerosi musicisti salentini. Sound Res, che rientra nell’articolato programma di Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti della Provincia di Lecce, è realizzato in collaborazione con l’Università del Salento, il settore Patrimonio Culturale: Conoscenza e Valorizzazione della Scuola Superiore ISUFI, l’Azienda di Promozione Turistica di Lecce, la condotta leccese di Slow Food, la Fondazione Semeraro e la Coop. Solidarietà Salento, Conservatorio di Lecce con il patrocinio del Comune di Lecce e della Camera di Commercio di Lecce e grazie al sostegno di Azienda Vitivinicola Leone De Castris, Alba Service S.p.A., Kubico, Cantine Santi Dimitri, Quarta Caffé, Gruppo Italgest.

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Cominciamo col parlare dell’opera che sta completando in questo momento, The Civil Wars È un’opera basata sull’evento di Appomattox la resa delle truppe del generale Lee battute da quelle del generale Grant. Questo è avvenuto nel 1865, si chiama Appomattox perchè quello è il luogo in cui è iniziata la battaglia. Il tema dell’opera allude al fatto che la Guerra Civile negli Stati Uniti non si è mai conclusa. C’è stato un trattato, è stata firmata la fine della Guerra, ma il processo di evoluzione sociale è avvenuto molto lentamente ed è ancora in atto. La questione della razza e dei diritti civili che erano i problemi aperti dell’epoca, continuano tutt’ora a sussistere. Nell’opera siamo partiti dal momento della resa per suggerire che la Guerra non si è mai conclusa. Mi interessava trasferire gli eventi del 1865 cento anni dopo, nel 1965, durante il periodo delle lotte civili negli Stati Uniti. Sono vecchio abbastanza da aver vissuto quel periodo, sono cresciuto in una città del Sud in cui esisteva la segregazione, sono andato in una scuola in cui si viveva la segregazione, la società era segregata… durante la mia vita ho assistito a delle trasformazioni, ma tante cose non sono mai cambiate. Il lavoro è anche una sorta di riflessione personale su quello cui ho assistito nel mio Paese. E non solo. Se si allarga il quadro si arriva a capire che la guerra sembra essere una costante della nostra comunità umana, e che le ragioni della Guerra sono spesso legate al razzismo e alla religione. Ci sono talmente tanti conflitti aperti in nome di una o dell’altra questione. Così tante guerre in cui si invoca l’autorità divina per ammazzare, è assurdo che nel nome di Dio si compiano atti orribili. Come si spiega il razzismo, secondo lei? La ragione del razzismo è nella paura degli altri. Nella paura dello straniero. La paura di tutto quello che non è familiare… la proviamo tutti. Comprendere che siamo parte di un’unica famiglia umana che include ogni singolo essere sul pianeta,

Sound Res - 8/30 giugno

è estremamente difficile. Non siamo incoraggiati a pensare in questo modo dalle nostre famiglie, non siamo educati a pensare in questo modo dalle nostre comunità, i paesi nei quali viviamo non ci consentono di crescere in un’ottica di inclusione. E dobbiamo lottare individualmente per acquisire un certo equilibrio ed una prospettiva più ampia, è molto difficile e spesso non ne siamo capaci…succede a tutti, non si tratta degli europei, degli americani o degli asiatici… siamo tutti tentati di cedere al razzismo. L’impegno socio-politico che sembra caratterizzare il suo lavoro, in particolare quello operistico, fa pensare che ritenga che gli artisti svolgano un ruolo nella nostra società... Mettiamola così: penso che gli artisti abbiano una rara opportunità perchè hanno un pubblico. Hanno una voce pubblica, hanno la possibilità di essere ascoltati. L’artista che lavora in teatro poi ha un’opportunità ancora più speciale perchè nel teatro e nell’opera, come dicevi, il tema di uno sviluppo sociale può essere ampiamente esplorato e rimanere nell’immaginario del pubblico, e questo è nella storia stessa del genere fin dalle sue origini. Era così per Verdi ed è ancora oggi così. Può darmi la sua definizione di “musica”… Per me la musica è il linguaggio umano più eloquente, il più espressivo e il più universale. Universale nel senso che anche senza una particolare conoscenza della linguistica o della meccanica del linguaggio, possiamo apprezzare la musica proveniente da altri luoghi e da altri tempi, creata da persone diverse e da noi lontane. Ha collaborato con così tanti scrittori e registi. Può spiegare come procede il suo lavoro di compositore in questi casi? Per me lavorare in collaborazione con un pittore, un danzatore, uno scrittore o un regista significa avere degli stimoli in più, si tratta di incontri che mi permettono di avere nuove idee e nuovi modi di procedere. Senza queste collaborazioni il mio lavoro sarebbe rimasto statico.

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L’elemento del teatro e del cinema è l’immagine, il movimento, la musica e la tecnologia. Sono I quattro elementi di base che bisogna tenere in considerazione. Grazie alla cooperazione con diversi scrittori e registi ho potuto trovare delle nuance e sviluppare il mio linguaggio in un modo che altrimenti non mi sarebbe stato possibile scoprire. La sua opera è così vasta e include collaborazioni con così tanti artisti… C’è ancora qualcosa che non ha compiuto e che le interessa realizzare? Oh, sicuramente! Ci sono registi e scrittori con cui mi piacerebbe lavorare e ci sono libri che mi piacerebbe adattare per l’opera. In particolare ce n’è uno di Daris Lessing, The Memoirs of a Survivor, che mi piacerebbe adattare. La storia si svolge in quella che si può credere sia Londra, qualche tempo dopo una grande guerra, la città è a brandelli, la società disfatta. È la storia di due donne, una più giovane, l’altra più matura, in una città semidistrutta, che cerca ancora di funzionare, in cui riemergono gli istinti sociali e umani di base. Alcuni sono molto positivi, altri sono scatenati dalla paura e dall’ansietà. La storia è ovviamente un esempio estremo di comportamenti in una situazione emblematica, ma le stesse cose avvengono nella vita di tutti I giorni. La sua biografia è così affascinante incoraggia a perseverare nelle proprie scelte. Quale consiglio darebbe a giovani musicisti e compositori colmi di aspirazioni?


Sound Res - 8/30 giugno

C’è solo un unico messaggio: trovare la motivazione per andare avanti e realizzare quello che per sè è la cosa più importante. Deve essere qualcosa che parte dall’amore e dall’impegno, qualcosa che in fondo non lascia scelta. Se devi decidere se sei un pittore o no, allora non sei un pittore. Se devi decidere se sei o meno uno scrittore, allora non sei uno scrittore. Se devi ancora decidere se sei uno scrittore o un compositore, allora non sei né l’uno né l’altro. Quelli che diventano pittori, scrittori o compositori sono quelli che non hanno altra scelta, non potrebbero essere null’altro. Fanno l’unica cosa che possono fare. Una volta che si ha questo tipo di realizzazione, allora tutto il resto diventa relativo…se si riesce ad avere una grande carriera, una carriera media o se non si riesce a fare carriera per niente, non importa … se si riesce a guadagnare o meno…diventano questioni di poca importanza perchè, in un certo senso, si deve compiere il lavoro per cui si è nati. Un’altra cosa importante da tenere presente è che gli artisti hanno il privilegio immenso di fare qualcosa di positivo per la comunità in cui vivono. Lo stesso si può dire degli educatori e di chi lavora nella sanità. Gli artisti svolgono un ruolo che va a beneficio della società. A qualcuno può non piacere un’opera, ma non ne subirà gravi conseguenze, si può passare una brutta serata al cinema, ma un brutto film non uccide nessuno…tra l’altro io sono convinto che anche dalle cattive esperienze si possa trarre un beneficio. Questo è quello che penso. Ho un figlio di

trent’anni che scrive canzoni, una volta gli chiesi come andava il suo lavoro e lui mi rispose che non importava come andava, dato che era la sola cosa che poteva fare. Ed è vero: puoi far soldi, come puoi non fare soldi, puoi riuscire a vivere di quello che fai, come può succedere che tu debba fare anche altro per continuare a fare quello che hai bisogno di fare…e se questo ti è chiaro, allora secondo me hai successo. Alle volte la gente mi chiede quando ho cominciato ad avere successo… rispondo sempre che ho avuto successo fin da quando ero giovane, perchè suonavo di fronte ad un pubblico. Perché facevo quello che volevo fare. Io misuro il successo in questo modo. Quando ho cominciato a guadagnare? Questa è un’altra domanda e posso rispondere che non è avvenuto prima della quarantina. Ma considero di essere stato un uomo di successo a vent’anni. Cosa risponde a chi classifica il suo lavoro come “minimalismo”? Il minimalismo è stato un periodo, tra il 1965 e il 1975, in cui un gruppo di giovani compositori tra cui il sottoscritto ha elaborato un nuovo linguaggio musicale. Eravamo interessati essenzialmente a rassicurare e riconquistare un pubblico per la nostra musica, un pubblico che nel frattempo era stato allontanato da un tipo di musica che, come posso dire, seppur molto bella e potente, era diventata troppo astratta, scritta in un modo difficilmente comprensibile e dunque non largamente apprezzata. La mia

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generazione era determinata ad ampliare il pubblico, cominciammo a cercare una scrittura che potesse stabilire un contatto col mondo in cui vivevamo. Volevamo rompere l’isolamento della musica colta e interrompere quella sorta di fatto elitario e privato, estendere l’esperienza della musica ad un più largo pubblico. La cosa interessante è che avemmo un successo immediato, avvenne tutto così in fretta, con una così grande partecipazione e una risposta trascinante che posso solo pensare che I tempi erano giusti, o che addirittura fossimo in ritardo per qualcosa che doveva avvenire inevitabilmente. In ogni caso, fu la generazione di compositori a cui appartengo che in quei dieci anni trasformò il mondo della musica, che d’allora non fu più lo stesso… Una rivoluzione… Una rivoluzione senza spargimento di sangue. Ovviamente facemmo arrabbiare un po’ di gente. Ma posso dire che la musica di oggi, quella composta dai giovani compositori, proviene dalla nostra esperienza, almeno nel senso che la nostra musica diede il permesso di sviluppare ed esplorare nuovi linguaggi, di usare nuovi mezzi e nuovi idiomi, penso che la mia generazione abbia aperto una porta e che stiamo ancora assistendo agli effetti che questo ha generato. Bene, chiudiamo con una domanda leggera: è stato citato in un episodio del cartone animato South Park che, a mio avviso, dà la misura della sua immense popolarità…che effetto le ha fatto? Oh, penso esattamente quello che hai detto tu. Credo che questo misuri la mia popolarità (ride). Mi hanno riproposto in versione cartone animato, mi hanno inserito nelle domande di quiz televisivi… certo questo non significa che chi conosce il mio nome conosca anche la mia musica…, ma sanno chi sono e certo, per un compositore di oggi, cresciuto nel mondo della musica da concerto e nella cerchia ristretta della musica d’arte, essere acclamato e addirittura riconosciuto è sorprendente! Devo dire che ne sono onorato. In un certo senso, è espressione di come si articoli l’evoluzione della musica: se si considera che ero un giovane compositore che sperimentava con le proprie idée e non avevo un pubblico, ed ora esiste un pubblico che è cresciuto intorno a quella musica….sai, esistono barzellette sulla musica minimale, ma va bene così, la gente si prende gioco di qualcosa che conosce e che ama. Non me la prendo mai, anzi essere parte di questo tipo di espressione può essere molto gratificante! È stato un vero piacere parlare con lei, e ovviamente avrei tante altre domande da farle. Ma so che sta per cominciare una prova e la lascio al suo lavoro. Grazie mille Philip, la aspettiamo a Lecce! Sono molto felice di poter tornare a Lecce e di prendere parte alla residenza. Con Sound Res state facendo un lavoro importante. A presto! Alessandra Pomarico. Trascrizione di David Cossin. Traduzione di Alessandra Pomarico


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Sound Res - 8/30 giugno - programma

sabato 16 giugno – dalle 21.30 Convento dei Domenicani Cavallino (Le)

Vision Into Art

Il programma dei concerti di Sound Res si apre con Body Maps in Progress del collettivo multimediale newyorkese Vision into Art (in residenza dall’8 al 29 giugno) diretto dalla compositrice Paola Prestini (nella foto), e che ospita il violoncellista Jeff Zeigler (Kronos Quartet), la cantante iraniana Haleh Abghari, la videoartista artista messicana Erika Harrsh e il sound designer Brian Mohr (Kronos Quartet, John Adams). In programma anche altre composizioni contemporanee di Micheal Gordon, Mark Grey e Philip Glass in un concerto Multimediale, in collaborazione con il video maker Davide Faggiano (Lecce) e Irene Scardia Vocal Ensemble (Lecce). Ingresso gratuito.

martedì 19 giugno – dalle 21.30 Manifatture Knos - Lecce

Sound Res Band

Un nuovo spazio a Lecce per musica e arte, incontri e socializzazione. Le Manifatture Knos, di proprietà della Provincia di Lecce e da poco in “gestione” all’associazione culturale Sud Est, ospitano il concerto della Sound Res Band. Sul palco il chitarrista e multistrumentista, inventore di bizzarri strumenti, Mark Stewart, il violoncellista classico e contemporaneo Felix Fan, il percussionista Roberto Pellegrini, il bassista/artista Steve Piccolo (nella foto), la cantante e improvvisatrice Silvie Gensen, il clarinettista classico e contemporaneo Bohdan Hilash, David Cossin in doppia veste di curatore e percussionista presenteranno le musiche composte e provate nel corso della residenza.

sabato 23 / domenica 24 giugno Mediterraneo - Litoranea San Cataldo/San Foca (Le)

In C – concerto all’alba sul mare

La Sound Res Band paga tributo al primo brano minimalista della storia della musica. Nella notte tra sabato 23 e domenica 24

giugno presso il Mediterraneo (litoranea San Cataldo -San Foca) i musicisti di Sound Res e i loro colleghi locali accompagneranno il sorgere del sole interpretando all’alba IN C, il brano di Terry Riley (nella foto) composto nel 1964 un’opera “aperta”, essendo caratterizzata da una particolare forma di partitura eseguibile da qualsiasi combinazione strumentale. La serata sarà aperta dalla Jam Session dei gruppi ospiti del Festival dei Musicisti di Strada, organizzato dall’associazione Altreforme, che il 22 e 23 giugno sarà ospitato dalle vie del centro Storico di Lecce.

venerdì 28 giugno - dalle 21.30 Palazzo dei Celestini - Lecce

Philip Glass

Sound Res 07 si chiude con l’insigne presenza in residenza di Philip Glass, compositore tra i più prolifici e riconosciuti del nostro tempo, il cui vasto repertorio include opere, musica per orchestra, per ensemble da camera e per solisti, numerose e famose colonne sonore, collaborazioni con i maggiori scrittori, artisti, danzatori, registi e uomini di teatro. L’opera di Glass ha segnato una svolta nella storia della musica classica e ha condizionato gli sviluppi di quella popolare: la sua sintassi non tradizionale, il suo approccio sperimentale e minimale, l’ambiguità delle sue tonalità hanno a lungo sfidato le definizioni critiche e le analisi compositive, segnando indelebilmente un punto di svolta nel panorama musicale. Glass utilizzerà il periodo di residenza nel Salento dal 25 al 30 giugno per completare l’opera ‘The Civil Wars’ commissionata dalla San Francisco Opera House e scritta in collaborazione con il famoso scrittore inglese Christopher Hampton (autore tra l’altro della sceneggiatura di Les Liaisons Dangereuses). Venerdì 28 giugno alle 21.30 nell’atrio di Palazzo dei Celestini a Lecce si esibirà in un concerto insieme alla violoncellista Wendy Sutter e al percussionista/curatore David Cossin.

Sound Art

Dal 18 al 24 un gruppo di artisti visivi e concettuali si unisce ai musicisti per sperimentare sul suono e creare testi, installazioni e sculture sonore da attivare durante i concerti o in altri momenti della residenza. Questa sezione è a cura dell’artista Luigi Negro e si arricchisce della presenza di Cesare Pietroiusti, Emilio Fantin, Giancarlo Norese, noti nel mondo dell’arte contemporanea per le loro opere relazionali, insegnanti presso Università ed accademie, e del musicista e video-artista salentino Davide Faggiano. Si affianca a questa sezione quella curata da Chierin

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ArteContemporanea che ospita gli artisti pugliesi Antonia Giuse Sanasi, Sara De Carlo, Giuseppe Scarciglia, Sandro Marasco, Angela Beccarisi, Remo Spada, Lucia Leuci, Lorenzo Buffo, Giuseppe Teofilo in residenza e in mostra presso l’Ospedale di Santo Spirito di Lecce.

Sound res Summer School

Nel corso della residenza, inoltre, si tengono alcune lezioni magistrali presso il Convento dei Domenicani di Cavallino, sede del “Settore Patrimonio Culturale: Conoscenza e Valorizzazione” della Scuola Superiore Isufi dell’Università del Salento. Tra gli ospiti Undo.Net (nelle persone fisiche di Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini artisti e direttori del più importante network per l’arte contemporanea in Italia), Philip Glass e Cesare Pietroiusti. Gli altri ospiti della residenza terranno inoltre dei workshop (ingresso gratuito) aperti a musicisti e curiosi. Inoltre grazie alla collaborazione con la Cooperativa Solidarietà Salento di San Cesario di Lecce gli artisti coinvolgono in un percorso laboratoriale e formativo i ragazzi ospiti del centro, per condurli alla produzione di musica e performance. lunedì 11 giugno (ore 11.00) / Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce Jeffrey Zeigler (violoncello) mercoledì 13 giugno (ore 11.00) / Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce Mark Stewart (chitarra) giovedì 14 giugno (ore 11.00) / Università del Salento Alessandra Pomarico e VisionIntoArt (Multiculturalism and creation) sabato 16 giugno (ore 11.00) / Scuola Superiore ISUFI di Cavallino Gordon Knox e Bob Sain lunedì 18 giugno (ore 15.00) / Scuola Superiore ISUFI di Cavallino Undo.net (Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart Tovini) mercoledì 20 giugno (ore 11.00) / Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce Bohdan Hilash (Sound Painting) mercoledì 20 giugno (ore 17.00) / Sala prove Sound Res - Masseria Ospitale Silvie Jensen e Haleh Abghari (voce) venerdì 22 giugno (ore 15.00) / Sala prove Sound Res - Masseria Ospitale Workshop/prova di IN C of_Terry Riley martedì 26 giugno (ore 22) / Sala prove Sound Res - Masseria Ospitale Brian Mohr (Electronic music and recording) mercoledì 27 giugno (ore 15) / Scuola Superiore ISUFI di Cavallino Cesare Pietroiusti giovedì 28 giugno (ore 11.00) / Scuola Superiore ISUFI di Cavallino Philip Glass venerdì 29 (ore 15) / Scuola Superiore ISUFI di Cavallino Ira Glass


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Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale

la letteratura secondo coolcub

Un’estate al mare Giuseppe Culicchia Garzanti

Non sarà un capolavoro ma descrive in maniera impietosa e onesta, ironica e angosciante alcuni tic degli italiani. Giuseppe Culicchia, dopo i successi in “giovane” età (Tutti giù per terra e Paso Doble su tutti) e l’annus horribilis 1977 raccontato in maniera sublime nel Paese delle meraviglie, torna in libreria con un romanzo ambientato nell’Italia che, nonostante le nefandezze di Moggiopoli e Calciopoli, conquista i Campionati del mondo di calcio. Al centro della storia c’è un ritorno, quello del protagonista quarantenne (come l’autore) Luca e della sua novella sposa – di una decina d’anni più giovane – Benedetta. I due tornano, in viaggio di nozze, nei luoghi dell’infanzia dell’uomo. Marsala, la Sicilia, il mare, la granita con la brioche, la morte misteriosa del padre (tra le righe si capisce che è

legata ad una delle pagine più nere della cronaca “stragista” italiana), la madre assillante – che chiama ogni cinque minuti sul cellulare, roba del tipo “no, non mi disturba affatto” - , un vecchio generale/ colonnello in pensione. Nel caldo di fine giugno e inizi luglio accade di tutto: Luca incontra, dopo venti anni, la sua vecchia fiamma tedesca e la sua giovane e impertinente figlia diciassettenne, Qui la situazione si complica e la storia si ingarbuglia sentimentalmente in modi alquanto morbosi e ombrosi: ma tutto regge, è plausibile. E se gli stratagemmi di Luca per evitare la fine precoce (e quanto precoce) del matrimonio sono da manuale del perfetto traditore, Benedetta è assolutamente immersa nel suo pensiero di maternità, nella sua voglia di avere un figlio a tutti i costi, nel suo “odiare” la sua

migliore amica che è rimasta incinta al primo colpo, nel controllare in maniera ossessiva l’apparecchietto che le dice quando è in ovulazione. La storia d’amore travagliata, ed è questo il bello del romanzo, è condita dalle piccole manie della vita di tutti i giorni (Luca ad esempio è un patito dei giornali) e da un modo di parlare dei protagonisti che ne connota anche il carattere e le attitudini. Un bel romanzo, agevole, scorrevole da far fuori in poche ore. Proprio come piacciono a me. Perciò Culicchia fa sempre, o quasi, centro. Pierpaolo Lala


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Reduce

Giovanni Lindo Ferretti Mondadori

Nasciamo da un incontro, da un’energia migrante che porta un corpo a cercare un corpo altro, da un respiro unito che svela un respiro rinnovato. Esistiamo per partire, per urlare lontananza dai luoghi assenti, e segnare le distanze da una dimensione avvertita straniera. Moriamo per tornare a casa, per risvegliare le radici sopite, per seminare su di un passato che una volta sentivamo sterile. “Generazione su generazione”, cominciamo a muovere carne e spirito, e disegnamo su mappe d’aria e terra e acqua la geografia della nostra persona, che dallo spazio della venuta al mondo va sulle tracce del senso del nostro esserci, e spesso lo trova e fissa nei momenti molesti del vagabondare, il più delle volte lo smarrisce e dimentica quando quel vagabondare si arresta. Nelle fermate obbligate dell’inquietudine, si alleva qui il cambiamento. Repentino baratto di direzione, ordina l’infame. I piedi eseguono, e il cammino conosce la sua svolta. L’anima se ne fa convincimento, e il cammino si espande. Questo andare controverso ed irritante ci narra Ferretti nella sua prima opera: controverso perché la rotta mutata spesso reca con sé un presagio di inganno; irritante perché scatta infido il timore che anche chi legge possa ritrattare la propria identità, e scoprirsi peccatore di incoerenza, e ritrovarsi nudo di appartenenza. Si levano temibili i dubbi sull’onestà del pensiero costante, sulla legittimità del pensiero variato. Ma il viaggio continua e si consuma tra atti d’amore, mai genuflessi - l’autore è padrone - verso le terre e le storie, intime come comuni, che hanno chiamato e accolto Giovanni: la Jugoslavia, il Salento, il deserto, la Siberia, Gerusalemme, Mosca, le montagne di famiglia, la nonna - che anche i nonni sono terre. Per tutte un vento ed un’analisi, tra liriche temerarie e prose prudenti, che alternano lo scritto ragionato ad un cantare audace e insieme sofferente, ma mai si fanno predica, e tanto meno supplica. Piuttosto opinione, e in quanto tale opinabile. Testo scomodo, che urta, vietato agli orfani di mito, precluso ai fedeli alla linea. Ma se la linea non c’è più, fedeli a cosa? Ferretti registra la fine di un tempo, anche il loro. E intanto coltiva benedizioni per la Storia. Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello

Amnesie di un viaggiatore involontario David Madsen Meridiano Zero

David Madsen è lo pseudonimo di un professore universitario inglese che attualmente vive ed insegna a Copenaghen. Roma, città in cui ha soggiornato per diverso tempo, ha influenzato in particolare i suoi studi, orientandolo verso l’approfondimento della tradizione esoterica cristiana e la ricerca sui grandi eretici gnostici. Londra, città natale, ne ha ispirato la scrittura e la scelta di pubblicare in forma rigorosamente anonima. Dopo Memorie di un nano gnostico - stravagante romanzo sugli inquisitori capitolini del cinquecento - e Confessioni di un cuoco eretico - bizzarra opera sull’ossessione creativa di un gastronomo per la carne cotta e cruda - Madsen ritorna con una storia surreale e ricca di humour, che

ci permette di scavare nella dimensione onirica della dimenticanza con l’appiglio robusto di uno e più sorrisi. Hendryk viaggia solo su di un treno. Un black-out improvviso causa l’arresto del convoglio, e al ritorno della corrente il passeggero si ritrova smemorato, senza pantaloni, e in compagnia di due folli personaggi: il dottor Sigmund Freud, psichiatra ed omonimo del ben più celebre psicoanalista, e il capotreno Malkowitz, uomo rozzo e sgradevole che minaccia anni di lavori forzati per i viaggiatori sprovvisti di biglietto. Inizia con l’incontro dei tre un viaggio impossibile sulla necessità di “ricordare”, sull’urgenza feroce e razionale di essere pienamente presenti a se stessi. Tra adattamenti strampalati alla realtà apparente, e tentativi traballanti di ricondursi al comprensibile, l’autore dirige le sue creature sino ad un castello, in cui si organizzano senza sosta banchetti succulenti, battute di caccia alla mucca e conferenze sull’arte dello yodel, costruendo un’insolita commedia dei sogni dentro i sogni. La sola riappropriazione dell’identità perduta può svelare la trappola che costringe i tre malcapitati, conducendoli però, anche, alla fine della loro esistenza. E allora, che fare? Destarsi dalle imprese assurde e senza misura, o continuare a

dormire un sonno brioso e privo di cognizione? “Nei sogni, amico mio, gli elefanti volano sulla Luna”. E Madsen, autore dallo stile pulito e dai contenuti resistenti, fa librare giocosamente nell’aria le inquietudini e le angosce del pensare umano. Perché le paure si sciolgono solo se si parte alla ricerca della smarrita eccentricità, e i desideri si realizzano se ci si incammina con incoscienza verso l’eccesso proibito. Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello

Cronache di un disinfestatore Giuseppe Furno Atì editore

Dalla celebrazione di un funerale, rito ultimo dell’esistenza che fu, spesso hanno inizio irruzioni violente e dissacranti nella immensa memoria familiare. Accade proprio questo all’entomologo Omero Cagidiaco, protagonista del lavoro d’esordio dell’autore radio-televisivo romano Giuseppe Furno: alla morte del padre, infatti, lo attendono i tempi infiniti della rielaborazione del lutto, che lo conducono a spasso nei ricordi più lontani, riconsegnandogli gli intrecci complicati di una parentela difficile. L’eredità conseguente al triste evento, quindi, si rivela un patrimonio carico insieme di benevolenze ed ostilità, che lo porta a rivedere e reinterpretare i modi e le dinamiche del suo stare al mondo. A cinquant’anni passati si indirizza così verso un ritorno alle origini, ritrovandosi bambino vivace e curioso in giocoso conflitto con la sorella Sandra, fine pensatrice in erba e futura docente di filosofia. Cresciuto tra la casa familiare e l’impresa di disinfestazione creata da suo padre, Omero si appassiona prestissimo alle formule chimiche e biologiche che regolano la vita degli uomini, ed all’osservazione del mondo minuscolo e perfetto di quegli insetti che l’attività paterna studia per poi sterminare. Si laurea così in chimica, per poter sostenere con la precisione dell’indagine quanto il padre gli ha trasmesso con l’esperienza delle cose, avviandosi verso una brillante carriera nel campo dell’entomologia. Ma l’atteggiamento speculativo su cui la sua professione si fonda arriva ad inficiare anche l’intimo e il privato, e Omero si ritrova, senza accorgimento, a boicottare le emozioni e a relegarle nel freddo spazio degli avvenimenti previsti e prevedibili, perché - come tutto - anche queste seguono “le leggi immutabili dei processi biochimici del cervello”. Romanzo curatissimo, dalla scrittura voluttuosa, quest’opera prima di Furno diletta il lettore combinando tra loro il libero arbitrio e la fissità della scienza, in un simpatico duello all’ultima percezione, in una disfida aperta e senza vincitori. Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello


Coolibrì Memorie di un artista della delusione Jonathan Lethem Minimum Fax

2325 affatto averla disonorata. Le dovevo soltanto una magnifica canzone”. Ecco, tutto il senso del libro mi pare racchiuso in queste poche righe, e perché no, tutto il senso del suo essere scrittore è racchiuso in questa tentativo continuo di non crollare in mille pezzi, di evitare lo sbriciolamento emotivo attraverso la costruzione di lucenti mondi narrativi. Rossano Astremo

Il collezionista di tempo Marino Magliani Sironi

Attenzione! Il libro che avete tra le mani può tirarvi un brutto scherzo. Chi ama la saggistica e corre in libreria ad acquistare l’ultima fatica di Jonathan Lethem, Memorie di un artista della delusione, edito da minimum fax, a lettura terminata potrebbe inveire contro l’editore e chiedere al libraio di fiducia la restituzione degli euro sborsati per portarsi il libro a casa, o quantomeno scambiare il libro dell’autore di La fortezza della solitudine con un saggio che rispetti tutti i crismi del genere. Preambolo necessario, perché il libro in questione, pur raccogliendo interventi critici scritti nelle occasioni più disparate, in realtà è un intenso ripensamento retrospettivo degli anni di formazione di Lethem, una sorta di autobiografia geneticamente modificata, dove gli episodi della fanciullezza e dell’adolescenza si trasformano in correlativi oggettivi composti da film, libri, fumetti e musica. L’autore sembra volerci comunicare “sono Jonathan Lethem perché ho divorato i fumetti della Marvel, perché ho amato Philip Dick alla follia, nonostante il fatto che lo stesso abbia sfornato libri maledettamente illeggibili, perché una ragazza che mi piaceva mi ha portato una sera, in un cinema, a vedere un film di Cassavetes, sono Jonathan Lethem perché ho avuto un padre pittore (Ho imparato a pensare guardando mio padre che dipingeva) e una madre colta ed eccessiva, con il dono della scrittura, stroncata troppo presto da un male incurabile”. Al di là di tutti i titoli citati, di tutta la cultura enciclopedica, affastellata, confusa, onnivora, mostrata da Lethem in questo libro, rimangono, a lettura compiuta, le pagine dedicate al rapporto conflittuale con il padre e a quello troppo presto interrotto, ma tuttora viscerale, totale, ineliminabile con Judith Lethem, la madre: “Dato che i Pink Floyd erano fioriti all’indomani della perdita di Barrett, io non dovevo necessariamente crollare in mille pezzi per dimostrare quanto mi era costata la scomparsa di una figura immensa come quella di Judith Lethem. Essere sopravvissuto alla sua morte non significava

Marino Magliani, scrittore ligure che vive da molti anni in Olanda, ha da poco pubblicato per Sironi il romanzo Il collezionista di tempo. La prima cosa che ho pensato, una volta terminata la lettura del libro, è stata: “Questo libro mi ricorda Gli esordi di Antonio Moresco”. Stilisticamente siamo lontani anni luce. Moresco forza la prosa, la lacera dall’interno, la fa esplodere. Magliani ama un linguaggio misurato, composto, fatto di parole antiche, compite, mai eccessive. Eppure in entrambi i romanzi si racconta la storia di un uomo che passa attraverso tre stadi: quello dell’adolescenza, della giovinezza e della maturità. Ed altri sarebbero gli elementi comuni rintracciabili nella trama, piccoli rimandi che, comunque, nulla tolgono all’originalità del lavoro di Magliani. Il protagonista della storia è Gregorio. Il lettore può seguire l’evolversi della sua vita scandita in tre momenti. Nel primo momento Gregorio è ragazzino in collegio, nel secondo un giovane appena congedato dalla leva militare, con l’idea quantomeno bizzarra di trasferirsi in Spagna per dedicarsi allo spaccio della droga, nella terza è ormai adulto, esiliato dalla Liguria in Olanda, dove vie grazie ad un sussidio statale, trascorrendo le sue giornate scrivendo romanzi mai pubblicati. A ritmare la narrazione la presenza di alcune voci che assillano Gregorio sin da bambino. Una volta giunto in Olanda, una di queste voce, quella di un certo Lukas, gli si manifesterà attraverso l’invio di alcune email provenienti dal futuro: dal 2065. Sarà proprio questa fitta corrispondenza a determinare alcuni cambiamenti nella vita di Gregorio, il cui destino è drammaticamente legato a quello di Lukas. Quello di Magliani è un romanzo che racconta la storia di un uomo, costruita attraverso l’utilizzo di una scrittura essenziale, a tratti lirica, sempre efficace. Rossano Astremo

Cento poesie d’amore a Ladyhawke Michele Mari Einaudi

Da un narratore sopraffine come Michele Mari c’era da aspettarselo: esordire con un libro di versi, Cento poesie d’amore a

Ladyhawke, edito recentemente da Einaudi, e lasciare il segno. Parla d’amore Michele Mari, s’addentra in uno dei temi più usati e abusati della letteratura, ma riesce a farlo con intelligenza e grazia, ironia e struggimento, usando un numero spropositato di citazioni messe tutte al servizio della propria autobiografia. Mari racconta di un amore nato tra i banchi di scuola, durato per più di trent’anni, custodito segretamente, poi esternato, tacitamente vissuto, mai consumato, poi svanito. Come i grandi libri di poesia, quelli che attraversano indenni il passare dei lustri, il libro di Mari si legge, ma soprattutto si rilegge, si assapora lentamente, come boccone delicato che dalla lingua sprigiona il suo gusto unico, toccando il cervello e rendendolo schiavo. I ricordi del passato annegano la memoria del poeta. Ricordi dai quali non riesce a liberarsi. Ricordi che hanno ricadute inevitabili sul suo presente. La realtà è più dura d’ogni dorata immaginazione, perché la donna amata dal poeta è sposata. Lei, però, dopo i primi tentennamenti, non cede, cerca di preservare la stabilità della sua vita, cerca di non farsi travolgere da questa nuova possibile passione. Tutto si avvia verso il più negativo degli epiloghi. Restano solo i condizionali ad alimentare artificiose costruzioni di una vita non vissuta. La separazione è avvenuta, ma con quali danni: “Fedeli al duro accordo / non ci cerchiamo più // Così i bambini giocano / a non ridere per primi / guardandosi negli occhi / e alcuni sono così bravi / che diventano tristi per la vita intera”. Inutile aggiungere che ho trovato il libro stupendo. L’ho letto, l’ho riletto e ancora aleggia nello spazio della mia stanza riservato alle letture future. Rossano Astremo

Merda e luce

Antonio Moresco Effigie

Ecco il teatro di Antonio Moresco: un uomo e una donna nudi, sotto un cielo stellato, in una notte estiva, con uno spaccaossa a fare da leitmotiv ai loro discorsi sul senso del loro amore; Maria Callas, nel fulgore della sua forza vocale, alle prese con la progressiva prepotenza scenica della sua tenia; un siparista, in un monologo iroso e folle sul senso e sul valore del teatro, interrotto solo dalle incursioni sceniche di un motociclista e dal rigonfiamento improvviso di un cazzo; una partoriente che dialogo con la voce del proprio feto; sullo sfondo il sole, la luna e una meteora, sulla scena un unico attore che incarna, di volta in volta, famosi


Coolibrì

26 personaggi del passato, da Primo Levi ad Alessandro Magno, da Adolf Hitler allo stesso Antonio Moresco. Questi, in sintesi, i contenuti dei cinque testi teatrali che compongono Merda e luce, il nuovo libro dello scrittore mantovano, appena edito da Effigie. Nel suo teatro, come già dimostrato in La santa, i protagonisti abbandonano il proprio corpo per divenire tutt’uno con lo spazio e il tempo, in una sorta di totale fusione materica, all’interno della quale la parola teatrale riacquista tutta la sua radicalità e violenza, la sua fragilità e poesia. Rossano Astremo

Mal di pietre Milena Agus Nottetempo

Dopo Mentre dorme il pescecane, Mal di pietre. Titolo strano l’uno, strano l’altro. In comune tra i due romanzi, oltre alla stranezza del titolo, un modo particolare di scrivere, quasi una trasposizione del parlato,

una storia di tutti i giorni raccontata con un non so che di magico, una ricerca “pazza” dell’amore, che quando c’è fa male ma quando non c’è fa ancor più male. I capelli neri corvino raccolti in delle crocchie, i calcoli renali, il sangue dappertutto, i dolori strazianti, la presunta pazzia, la Sardegna bigotta, la guerra racchiudono la vita di questa donna speciale, raccontata dalle parole della nipote, voce narrante del romanzo. Un romanzo da leggere in un’ora di fila, quattro ristampe in un mese in una Francia entusiasta, le poesie e i versi citati accanto al duro dialetto sardo, le strade di Milano, Genova, Cagliari, Gavoi. Al centro una donna che è figlia mamma nonna, moglie amante puttana, artista, sognatrice, bellis-

Come diventai monaca Cesar Aira Feltrinelli

Dimenticate subito suore e conventi, perché questa è la storia di un tenero bambino di sei anni e del suo gelato alla fragola. Niente conflitti di coscienza, niente conversioni dunque, nell’universo assurdo di Aira basta molto meno per stravolgere una vita. Forse non l’avreste mai immaginato, ma un semplice cono gelato, nonostante il suo aspetto innocente, è in grado di disgregare una famiglia mandando un padre in carcere, un figlio in coma e lasciando una madre inconsolabilmente sola; ed in questo romanzo le cose andranno proprio così. Ovviamente non finisce qui, anzi, siamo soltanto all’inizio. Preparatevi allora a svolte imprevedibili, perché pagina dopo pagina la situazione si complica, il reale quotidiano si dilata e si distorce, al punto che non capirete più nemmeno se il protagonista sia in realtà un piccolo lui o una piccola lei; anzi, l’incredibile finale, pur spiazzandovi alla grandissima, non darà ancora una risposta all’enigma. A questo punto, dopo aver consumato inutilmente le meningi, non potrete far altro che accettare la sconfitta e rimettervi al buon cuore della traduttrice, che in una nota finale vi indirizzerà verso la soluzione. Doverosa avvertenza: arrivare a riconoscere, contro ogni razionale aspettativa, che possa esistere una logica dietro la monacazione di un bambino di sei anni non è certo cosa facile; seguire l’autore nelle sue folli evoluzioni narrative richiede pazienza e applicazione, ed alcuni di voi potrebbero trovare tutto ciò assai fastidioso, se non addirittura irritante. In questo caso - ma solo in questo - il mio consiglio è di lasciar perdere, altrimenti portate questo libro sotto l’ombrellone e preparatevi a cento pagine di pura goduria. Silvestro Ferrara

sima. Combatte con su mali de is perdas (il male delle pietre), con l’incomprensione della gente, con i sogni e i ricordi. Per chi ha i calcoli, per chi non viene capito, per chi sogna, per chi ricorda. Valentina Cataldo

Magia del cinema, le visioni dell’invisibile Giuliano Capani Aracne

Il cinema è una macchina strana, complessa eppure semplicissima nella sua immediatezza. A suo modo persino magica. È questo che racconta nel suo libro, intitolato per l’appunto Magia del Cinema (Aracne editrice) Giuliano Capani, docente del Laboratorio Audiovisivo dello STAMS di Lecce e figura di spicco del panorama culturale salentino. Il libro cerca di svelare gli ingredienti alla base di quella pozione che è il cinema, analizzando provocatoriamente passato, presente e futuro di un mezzo troppo spesso sottovalutato eppure di straordinaria potenza. A tratti tecnico, di sicuro sempre appassionato, il racconto di Capani è corredato da una serie di tavole ed immagini che ne rendono più facile la comprensione e più piacevole lettura anche per i non addetti ai lavori. Al centro delle analisi sempre un approccio scientifico che è per l’autore una maniera valida di confrontarsi con una forma artistica, ma pur sempre regolata da rigidi meccanismi. Interdisciplinare e variegato, questo libro rappresenta non solo un valido strumento per gli appassionati, ma anche un’ottima occasione per chi semplicemente voglia saperne di più. C. Michele Pierri

La casta

Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella Rizzoli

In Italia ci sono oltre cinquecentomila auto blu. Lo stipendio dei parlamentari è di oltre 15mila euro al mese, senza contare una serie di privilegi come viaggi gratis in auto e treno e 4mila euro al mese per i collaboratori (spesso pagati in nero) e per i “rapporti con gli elettori”. I parlamentari europei italiani sono retribuiti con circa 150mila euro all’anno, più del doppio rispetto ai colleghi francesi, spagnoli, svedesi e olandesi. Bastano questi numeri per capire che i costi della politica sono altissimi. Sono questi alcuni dei dati contenuti ne La casta – Come


Coolibrì i politici italiani sono diventati intoccabili, libro-inchiesta scritto da due giornalisti del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. In 18 capitoli sono raccolti tutti gli sprechi della politica italiana, dalle spese folli dei consigli comunali alle migliaia di cariche distribuite nelle società pubbliche ai politici “trombati” alle ultime elezioni. L’inchiesta di Stella e Rizzo parte dalla Puglia, dalla pianeggiante Comunità montana della Murgia tarantina. “È unica al mondo – scrivono gli autori -: non ha salite, non ha discese e svetta a 39 (trentanove) metri sul mare”. E ha pochissime funzioni. In compenso ha un bilancio di circa 400mila euro all’anno, che viene quasi tutto impiegato per le spese di personale e per lo stipendio del presidente, dei sei assessori e dei 26 consiglieri. Che noi paghiamo. Ludovico Fontana

D’amore e di altre sevizie Stefano Zuccalà Zona

Ventisette anni di Galatone, studente di Lettere Moderne all’Università del Salento, Stefano Zuccalà pubblica, con Editrice Zona, D’Amore e di altre sevizie che esce dopo Quaderno in la minore (2001) e Nadir (2004. Piccoli racconti in versi, che parlano soprattutto d’amore spesso tinteggiato in maniera poco romantica, molto concreta. Nella prefazione lo scrittore Livio Romano sottolinea tutti i pregi del volume. “Stefano Zuccalà è un poeta che non prende sul serio il ruolo della poesia, o che della poesia è talmente innamorato, talmente cosciente, da accostarvisi con referenzialità ironica, con la consapevolezza di chi riconosce all’arte del versificare una tale dignità da non poter fare altro che arricciare le dita per non accarezzarla bollando senza troppe perifrasi come delirante il sublime.

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Venerdì 29 e sabato 30 giugno il Castello Aragonese di Otranto ospita Il Vicino Oriente convegno internazionale sul Medio Oriente organizzato dalla redazione dell’omonima trasmissione radiofonica di RadioRadicale, sito internet multimediale (www.ilvicinoriente.it) e prossimamente giornale periodico free-press. Il Convegno, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla Regione Puglia, dall’Azienda di Promozione Turistica di Lecce e da Il Corriere del Mezzogiorno, rientra nell’articolato programma di Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti della Provincia di Lecce in questa settima edizione dedicata al rapporto tra la civiltà occidentale e quella arabo-islamica. Il Medio Oriente rappresenta con la sua storia, la sua cultura (laica e religiosa), le sue tradizioni e i suoi costumi, il luogo, in cui i percorsi delle donne e degli uomini di oriente ed occidente, interagiscono: si incontrano, si scontrano, si miscelano, si distruggono, si confrontano, si annientano. Il Medio Oriente ci emoziona, ci affascina, ci incuriosisce. La sua storia, dalla più antica alla più recente, racchiude tutti gli elementi e i particolari, tipici delle “grandi storie”. L’emozione, la passione, il desiderio, il cambiamento, la morte…. Questo è presente nei protagonisti delle vicende mediorientali ed è forse quello che più ci colpisce, che ci spinge alla ricerca di qualcosa che sentiamo particolarmente nostra. Quella med i ori enta l e è ancora una dimensione vicina ai sogni, alle angosce, ai desideri e alla vita della gente. Il Vicino Oriente proporrà due giorni di dibattiti, testimonianze ed impressioni su di un’area

che oggi attira le maggiori attenzioni della comunità internazionale e che vive nei sogni, nei progetti, nei desideri di una società civile a cui ci sentiamo indissolubilmente vicini. La scelta del nome, il vicino oriente, non ha evidentemente una motivazione solo geografica. Rappresenta il tentativo di guardare al Medio Oriente convinti che le tante lacerazioni tra le nostre civiltà nascano prima di tutto da un enorme deficit conoscitivo delle nostre culture millenarie. Si parte venerdì 29 giugno (dalle ore 18.00) con “Islam e Occidente. La grande sfida del nuovo secolo”. Vittorio Emanuele Parsi converserà con: Khaled Fouad Allam, Nicola Bux, Renzo Guolo, David M. Jaeger, Giovanni Pellegrino. Introdurrà Mohammhdjavad Faridzadeh (ambasciatore iraniano presso la Santa Sede). Dalle ore 20.00 il sociologo Franco Chiarello modererà “La Persia attraverso la macchina da presa. Incontro con il cinema iraniano”. Parteciperanno Antonia Shoraka, Khosrow Sinai, Fereshteh Taerpour, Hossein Taheri, Edoardo Winspeare. Sabato 30 giugno dalle ore 18.30 si discuterà di “Oriente e Occidente. La difficoltà del conoscersi” con Maddalena Tulanti, Francesco Boccia, Toni Capuozzo e Joumana Haddad (nelle foto), Firouzeh Khosrovani, Monica Maggioni, Michelle Nouri, Farian Sabahi, Yasemin Taskin. Ultimo appuntamento alle 21.00 il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin introdurrà e modererà l’incontro “Medio Oriente in fiamme. Quanto è lontana una pacificazione dell’area?”. Parteciperanno Akl Awit, Gianluca Ansalone, Giuseppe Caldarola, Duilio Giammaria, Vittorio Emanuele Parsi, Antonio Polito, Stefano Polli, Robert Springborg.


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Chiamo Nicola Valentino un sabato pomeriggio. Lo trovo, come al solito, molto disponibile a raccontare - più che a rispondere a delle domande - i vissuti pesanti verso cui la casa editrice Sensibili alle Foglie ha orientato le sue pubblicazioni. Sensibili alle Foglie è un nome suggestivo. Suggerisce un’identità, un modo di porsi quasi poetico verso i vari contesti di ricerca. In realtà, la vostra produzione riguarda tematiche tutt’altro che lievi. Come nasce, allora, questa denominazione? Devo premettere che tra le attività di cui ci occupiamo vi è anche la raccolta di manoscritti, disegni, dipinti di persone istituzionalizzate. Per creare un contenitore che custodisse tutti i documenti, è stato istituito un “Archivio di Scritture, Scrizioni e Arte Irritata”, da me diretto. Tra questi materiali ci sono anche i quaderni di una donna di Torino, che furono spediti in carcere a Renato Curcio nel corso di una corrispondenza. Questa donna aveva conosciuto sia l’istituzione psichiatrica che quella carceraria, ed in uno di questi quaderni aveva scritto “Chi è sensibile si può rovinare, chi può morire. Io sono sensibile alle foglie, al povero, al patire”. Da questa frase il nome della nostra realtà. Tu sei il co-fondatore della casa editrice, insieme a Renato Curcio. Cosa vi ha spinti a creare una situazione autonoma di produzione? La nostra storia nasce in carcere alla fine degli anni ‘80. Io, Renato e Stefano Petrelli - che eravamo in carcere da circa un decennio - decidiamo ad un certo punto di affrontare un lavoro sul tipo di esperienza umana che fanno le persone recluse. In modo particolare, indaghiamo su come le persone detenute riescono a tenersi in vita, come fanno a non morire, come rispondono ai meccanismi mortificanti dell’istituzionalizzazione. La motivazione principale era comprendere la nostra esperienza. Nasce una ricerca. Pensiamo così alla pubblicazione di questo lavoro, verificando però che gli editori che contattiamo hanno difficoltà a diffondere queste tematiche. Con alcuni operatori esterni al carcere, allora, avviamo la possibilità di pubblicare in forma autonoma questa analisi. Editiamo così il primo titolo di Sensibili alle Foglie: Nel bosco di Bistorco. Quindi siete stati mossi soprattutto dalla necessità di testimoniare e sfogare un vissuto personale, necessità che si è tradotta dopo in un’urgenza di denuncia più diffusa. Tutti e due i filoni della nostra ricerca, e cioè la critica delle istituzioni totali e l’esperienza della lotta armata degli anni ‘70, sono analisi relative alla nostra vita. Poca accoglienza nei confronti delle vostre narrazioni, all’epoca. E ora, nel vasto panorama della piccola editoria indipendente, rintracciate delle realtà a voi affini? Ci sono sicuramente editori che fanno un ottimo lavoro, con produzioni editoriali di qualità e di un certo respiro sociale. Abbiamo avuto modo di incontrarne alcuni alle ultime fiere di Napoli e di

Coolibrì

Torino. Come affinità possiamo individuare un problema comune, che è la ricerca di uno spazio reale nelle librerie. Spazio che dovrebbe spettarci di diritto, visto l’ampliamento degli interlocutori sociali in seguito alle molte direzioni delle nostre ricerche: mondo del lavoro, istituzioni sanitarie, case di cura per anziani. Inoltre, un’accoglienza particolare sta riscontrando il Progetto Memoria sull’esperienza armata degli anni’70. Stiamo puntando molto , quindi, sul nostro sito - nei giorni scorsi rinnovato - per rispondere a questo spazio sociale mancante. Qual è il nesso tra la critica verso le istituzioni, totali e non, e l’attenzione verso un tema come quello degli stati modificati di coscienza? Domanda importante. Cominciammo, per Il bosco di Bistorco, ad occuparci delle risorse a cui attingono le persone recluse per mantenersi in vita. Scoprimmo che molte di queste risorse appartenevano al territorio della dissociazione identitaria volontaria. L’autore pubblicato al quale siete più legati? Difficilissimo rispondere. In questi giorni stiamo ristrutturando il nostro sito. Un settore è dedicato ai nostri autori. Elencandoli, ci siamo resi conto di aver pubblicato autori provenienti da tutte le parti del mondo, e che hanno affrontato le più diverse ed estreme esperienze di vita. Autori legati anche alla ricerca a livello nazionale, e al mondo accademico. Tutti insieme hanno costruito una ricchezza umana sociale, preziosa per il nostro lavoro. Sensibili alle Foglie non è solo una casa editrice, ma anche una cooperativa che rintraccia il suo fondamento nell’analisi sociale. Quali le vostre altre attività? Noi siamo principalmente un laboratorio di ricerca. Questa ricerca si articola in varie modalità, editoriale, principalmente, ma anche seminariale. Inoltre, creiamo in tutta Italia cantieri di socioanalisi narrativa, attraverso gruppi di lavoratori che operano all’interno delle istituzioni. Queste dinamiche ci consentono di esplorare le strutture dal loro interno. Proprio attraverso i cantieri è nato il mio ultimo lavoro Pannoloni verdi, sui dispositivi mortificanti e le risposte di sopravvivenza che si consumano all’interno delle case di riposo per anziani. Sottolineo, poi, le mostre itineranti che curiamo, frutto della raccolta di manoscritti, scarabocchi e dipinti conseguenti al malessere dell’inclusione e dell’esclusione sociale. Ne curiamo davvero molte, destano tutte interesse e riscuotono molto successo. Ultima domanda. Il numero di giugno di Coolclub sarà dedicato ai festival estivi, soprattutto musicali ma non solo. Cosa pensi delle fiere letterarie che ormai pullulano sull’intero territorio durante l’anno, e che animano anche l’estate italiana ? (ride ndr) Alcune le seguo e le trovo anche interessanti, quel che vedo però è che il nostro lavoro è diverso. Stefania Ricchiuto - Il passo del cammello


Be Cool

il cinema secondo coolcub

Notturno Bus

Davide Marengo 01 Distribution Tutto in due giorni: è quello che accade in Notturno Bus. Parafrasare il cult movie di John Landis è istintivo, forse un po’ esagerato per le vicende raccontate, decisamente più italiane e meno intense, o forse solo un po’ più dilatate, rispetto alla nottataccia di Jeff Goldblum e Michelle Pfeiffer. Le vicende, e la vita, sono quelle di Franz, “cuor di leone”, autista di autobus, giovanotto capitolino “normalmente vile”, e quella di …Leila, o Angela, o… ancora Alessandra, giovane donna, eccezionalmente bella e ladra. Un incontro casuale il loro, in autobus; tra loro due un’immediata empatia, ma anche due poliziotti (Francesco Pannofino e Roberto Citran) uno divertente e crudele, l’altro gelido, entrambi estremamente decisi e cattivi; un agente segreto in gamba, buono e romantico (Ennio Fantastichini), un microchip di vitale importanza per un pezzo grosso dello Stato, un nerboruto “ras” di quartiere che cerca di recuperare un piccolo credito di gioco, una valigetta stracolma di bigliettoni di grosso taglio.

Tanti quanto bastano per cambiare una vita; anzi due. Questi gli ingredienti della piacevole commedia, miscelati con assoluto senso della misura, e furbizia, da Davide Marengo. È un’opera prima per il regista che, prima di questo italianissimo “noir”, aveva già mostrato il suo talento in Craj, uno spettacolo teatro-musicale con Teresa De Sio, Lindo Ferretti e un bel po’ di personaggi e musicanti salentini. Qualche importante videoclip e, adesso, Notturno Bus, film che se riesce a strappare applausi in sala (… è quello che è successo a Lecce), qualcosa significherà pure. In effetti gli ingredienti per una piacevole serata al cinema ci sono tutti “a bordo” del Notturno Bus guidato da Marengo. C’è la storia, assolutamente normale ma ben raccontata e coinvolgente (liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Gianpiero Rigosi), c’è la suspense giusta, una opportuna dose di azione, ben costruita (funziona bene, per esempio, l’inseguimento a bordo di autobus), c’è

un finale intenso, in grado perfino di far tribolare e parteggiare; ci sono titoli di coda divertenti e “scanzonati”. Ci sono gli interpreti. Bravi. C’è Valerio Mastandrea alle prese con l’interpretazione di “se stesso”. Un ruolo, quello di un autista di autobus, romano, intelligente e furbo, per quanto normalmente vile, che sembra cucito su di lui. Un ruolo solito, per lui, ma che funziona alla grande, come sempre. C’è poi Giovanna Mezzogiorno, protagonista bella e brava, ladruncola di passaporti, dall’infanzia negata, immersa in un presente torbido, ma con un futuro ambizioso. Ci sono tutti gli altri personaggi, co-protagonisti, e funziona tutto, non c’è che dire. È efficace il mix di elementi che rendono Notturno Bus un film assolutamente godibile. Un po’ di commedia, un pizzico di noir, una manciata di azione, una spruzzatina di giallo. Tutto in due giorni, e in un paio di ore di film. da.qua.


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più interessante del film è lo sguardo della camera che si fonde con quello dei prigionieri: derisi, seviziati, mortificati, privati persino della loro personalità: in nome di cosa? Ecco, forse vale la pena cercare questo film e andarlo a vedere anche solo per porsi questa domanda. Willy De Giorgi

La vie en rose (La môme) Olivier Dahan

Breakfast on Pluto Neil Jordan Fandango

Una donna di spalle che, mani tese, canta su un palco. È il 1959 ed è New York. Un attimo dopo, siamo catapultati nel 1918 per le vie di Belleville, XX arrondissement de Paris dove un’altra donna canta per strada, e una bambina dagli enormi occhi blu impauriti piange. Si apre così, senza troppe presentazioni, solo il titolo in bianco, Le vie en rose. Olivier Dahan, alla regia, ha deciso di non seguire un filo cronologico per raccontare la vita della piccola potente Môme, ha scelto una stupefacente Marion Cotillard ad interpretarla, sei ore giornaliere di trucco per dare credibilità al personaggio, ha riempito le scene di persone, dettagli, cenni. Musica. L’infanzia nel bordello, l’infezione agli occhi e le preghiere intense a Sainte Thérèse de Lisieux; Titine, la prostituta affezionata come mamma; il rossetto rosso messo per gioco. Il padre contorsionista, la madre assente, il circo. La Marseillaise. Poi, le canzoni per strada, l’amica del cuore Momone, le prime audizioni, Leplée e Raymond Asso. Il cabaret e il teatro. Mon légionnaire. Le amicizie sbagliate, l’alcool, gli abbandoni. Ma una intensa voglia di ricominciare sempre, daccapo, ripartire da zero. Impara a recitare, a “vivere la canzone”, diventa attrice. L’America, prima ostile poi riconoscente, -“io sono troppo triste, loro sono troppo coglioni” dice Edith riferendosi agli americani -, l’incontro con Marlène Dietrich, l’amore travolgente per il pugile Marcel Cedran, la violenza dei pugni e le carezze della sua voce, la tragedia infinita quando Marcel muore in cielo. L’Hymne à 1’amour. Il dolore, la morfina, la dipendenza. Le iniezioni, le date annullate e le tournèe che sono un trionfo. La vie en rose. Un accenno alla figlia morta di meningite, agli incidenti stradali, all’Olympia, al matrimonio. Tutta una vita per cenni e richiami, per canzoni, un film lungo veloce mai noioso che ha commosso a febbraio la platea berlinese e commuove ora quella mondiale. Al centro una donna di fragile costituzione, determinata, capricciosa, goffa, innamorata, curva, sorridente, malata, che a quarantasette anni ne dimostra settanta o più. Ma gli enormi occhi blu impauriti, nei dispiaceri e nella felicità, rimangono quelli di sempre. Edith ci insegna a non rimpiangere mai, nella vita, niente di niente. Non je ne regriette rien. “Signora Piaf, che consiglio darebbe a una donna? Ama. A una ragazza? Ama. A un bambino? Ama”. Valentina Cataldo

Buenos Aires 1977 - Cronaca Di Una Fuga Adrián Caetano 20th Century Fox - Fandango

Nel 1978 a Buenos Aires la nazionale argentina divenne per la prima volta campione del mondo di calcio: il dittatore Videla consegnò nelle mani di Daniel Passerella la Coppa del mondo. Negli stessi anni in Argentina a qualcuno è capitato di passare dallo spogliatoio di un campo di calcio di serie B ad una prigione per terroristi. A qualcuno è capitato di vedere la madre e la sorella umiliate nella propria casa perché si rifiutavano di svelare il tuo nascondiglio. “Chi non è con me è contro di me”, il leit motiv di tutte le dittature, e

quella dei generali argentini non fece eccezione. Il film di Israel Adriano Caetano tratto da un romanzo autobiografico di Claudio Tamburini parla di questo: del regime e del suo potere sulle persone. La trama di per sé non è la parte più interessante del film, che passa da una parte claustrofobica che ricorda Garage Olimpo e La notte delle matite spezzate ad un finale travolgente con il racconto della fuga, tipo Midnight Express. La parte

Neil Jordan continua a misurarsi con il vasto universo della identità sessuale, lo aveva fatto quindici anni fa con il noto La moglie del soldato, lo rifà oggi con una nuova trasposizione cinematografica. Trova ispirazione nelle pagine di Patrick McCabe, nella sua Irlanda occupata dagli inglesi e rivendicata dall’Ira, in una storia a cavallo tra confini identitari e geografici che si spezzano. Breakfast on Pluto è la storia di Patrick Brady (Cillian Murphy), sin da subito, “gattina”. La cesta sulla porta di una chiesa, poi il rossetto allo specchio, i tacchi. Gli insulti, la valigia colorata, la fuga alla ricerca della madre vera, lady fantasma, che è scappata via nella città che non dorme mai, un selvaggio oceano che tutto inghiotte. Gattina per le strade di Londra e per quelle della sua piccola Tyreelin, dove ritorna, porta scompiglio, fa scalpore. L’autostop, il frontman di una band indiana e il mago che si innamorano di lei, dei suoi movimenti eccentrici, dei suoi occhi blu, da uomo o donna, sempre gli stessi. Una vita non facile scandita per capitoli e supportata da una colonna sonora sparata a palla. Il lento sulle spalle del marine e Bobby Goldsboro che canta Honey, la sua preferita. Nell’intero film, sono l’ironia e la fantasia a salvare gattina, che credeva fosse possibile fare colazione… dove? Su Plutone. Valentina Cataldo

Zodiac

David Fincher Warner Bros.

Direttamente dal sessantesimo festival di Cannes la vera storia di Zodiac, il serial killer che nel 1969 terrorizzò San Francisco con ben tredici omicidi rimasti irrisolti. Sempre abile nel rappresentare la tensione questa volta il cinema di David Fincher, autore di pellicole come Seven o Fight club, si sgretola davanti ad un intreccio reale quindi


già scritto e poco negoziabile. Zodiac, che ha in una sceneggiatura lenta e prevedibile il suo peggior nemico, non riesce mai ad entusiasmare lasciando con la brutta sensazione di un’opera incompiuta e raffazzonata. Il gioco che accompagna autori e spettatori in film come questi, quello di scovare l’assassino, è reso impossibile dal reale svolgimento della vicenda che non ha mai dato un volto al colpevole. Il film punta sui numerosi personaggi che compongono lo scenario in cui si muove l’assassino e in cui spicca un sempre più maturo Jake Gyllenhaal (Brokeback mountain) nei panni di un appassionato giornalista. Al centro del film anche il disagio di essere impotenti davanti allo scorrere degli eventi, di sapere che in fondo la vita è piena di sorrisi, ma anche di ingiustizie. Poca roba per un autore che aveva senza dubbio il dovere di stupire e scarse note positive per un lavoro che non vale davvero la pena di vedere. Michele C. Pierri

Grindhouse - Death Proof Quentin Tarantino Medusa

Grindhouse – Death Proof è stato presentato in concorso al sessantesimo Festival di Cannes. L’ultimo film di Quentin Tarantino è uscito nelle sale americane, in verità, con scarsi risultati al botteghino, in coppia con Planet Terror (che probabilmente vedremo al Festival di Venezia a Settembre) diretto dall’amico, suo alter ego, Robert Rodriguez, intermezzati da falsi trailer cinematografici. Arriva nei cinema italiani, in una versione gonfiata, lunga 85 minuti. Dopo essersi ispirato agli “spaghetti western” e agli “yakuza”, con quest’ultima pellicola, il regista di culto del doppio Kill Bill e Pulp Fiction, omaggia proprio i film dei cinema “grindhouse”, dei postacci, poco raccomandabili, in cui venivano proiettati a rotazione durante tutta la notte i b-movies degli anni 60 e 70, privi di ambizioni artistiche, che offrivano delle miscele esplosive di sesso, violenza, donne e auto veloci. Protagonista della storia è uno stuntman, un Kurt Russell in versione basettoni e ciuffo impomatato, un personaggio singolare che si diverte ad andare a caccia di giovani donne che prima seduce, poi tortura e infine investe con la propria Chevrolet d’epoca. L’uomo deve però vedersela con otto ragazze, delle “hot chicks”, tra cui ricordiamo le attrici Rosario Dawson e Tamia Poitier, che non ci stanno ad essere le vittime di turno e gli daranno del filo da torcere. Quentin Tarantino, che anche qui si ritaglia un piccolo ruolo da attore, confeziona un film che, seppur lontano dalla quasi perfezione stilistica dei suoi ultimi lavori, diverte per le sue innumerevoli e sempre precise citazioni (e autocitazioni!) da cinefilo incallito, per i suoi lunghi e contorti dialoghi, sempre in puro stile “tarantiniano” e per le grandiose inquadrature. Il regista sceglie, questa volta, di essere anche il direttore della fotografia, ottenendo ottimi risultati. Si diverte a “graffiare” e a sottrarre volutamente alcuni fotogrammi, proprio per ricordare l’atmosfera tipica dei filmacci dei cinema grindhouse. Sabrina “Zero Project” Manna


Be Cool

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Come leggono gli americani: focaccia? Non è facile ma, a – ricorda - ma siamo operazione completata, prende un senso di sazietà. Focaccia è riusciti a fargli credere che stavamo festeggiando un compleanno termine onomatopeico di quelli che, pronunciati al suo cospetto, all’italiana e che Nico girava il filmino di rito. Alla fine, la focaccia potrebbero far venire una punta d’ulcera al signor McDonald. ce l’hanno riscaldata loro stessi”. Non è mancato neanche il Ma questo adesso. Riavvolgendo il nastro, è ancora il 2001. Nella mandolino, suonato addirittura da John Labarbera, musicista di Murgia digradante, terra di lentisco e falchi grillai, pulo e funghi John Turturro nella messinscena dell’eduardiano Questi fantasmi. cardoncelli, la colonizzazione americana sta per abbattersi. La mission americana non è ancora del tutto compiuta. Cirasola & All’ombra della M gigante, gli altamurani si avvicinano all’Impero. Pepe torneranno per incontrare il signor McDonald e convincerlo Filet-o-fish, McRoyal, McToast, McSnack, McChicken. Tavolini a inserire la morbida icona altamurana nei Mcmenu o, almeno, sagomati intorno al corpo, commessi cappellino in testa e mezzo per aprire il punto vendita Focaccia Blues o Mediterraneo Blues o sorriso in faccia, clown gigante con parrucca un po’ IT un po’ Lampascione Blues. Le idee non sono ancora molto chiare se non Crusty. Tutti i ticket sono in regola per entrare nel tunnel della sul principio: “dobbiamo convertirli al buon gusto”. Ne è convinto globalizzazione. Gli altamurani all’inizio ci stanno. Il Mc Donald’s Cirasola che, qualche settimana dopo, agli inizi di maggio ha si adagia su 550 metri quadri, luccica, dato il via al set altamurano. Cambio di attira, fa sentire meno periferici. Ma alla set, cambio di facce. “Vengo io, vengo M si accosta la D, non di Davide contro io?” grida all’indirizzo del regista, che Golia (realtà biblica che pur si da) ma di dispone le comparse intorno al tavolo, Digesù, panificio proditoriamente aperto un indigeno pelle bruciata e andatura proprio a fianco del fast food. A consigliare preoccupante. Cirasola, dal canto suo, la manovra è stato Onofrio Pepe, paladino più che alla recitazione deve badare che del mangiare secondo tradizione nonché le focacce per la scena restino al loro presidente della locale associazione a tutela posto. “Aspettate a mangiare che sennò del fungo cardoncello. La concorrenza è finiscono”. Ma il film si fa anche per spiegare sulla carta leale, sulla pasta sleale. Effluvi la malìa della morbida pasta lievitata. di focaccia contro effluvi di patate fritte; Qualcuno lamenta pure l’assenza di un tranci di pizza ripiena da mangiare subito bell’agnello arrosto. Ma, in compenso, contro hamburger fast food. Il big mac arriva il vino rosso e, poi, una corvette gialla perde colpi, l’ufficio marketing corre ai con finti bulli americani e hamburger veri. ripari ma i ragazzi hanno cominciato a La battaglia alimentare, come le riprese, consumare il patrio alimento persino sui ha inizio sulle note di “Chellà là” cantata tavolini esterni del Mc. Alla fine, il colosso modello karaoke da un “posteggiatore” s’inginocchia e dichiara un fallimento che, locale. Premesse eccezionali. Tu vò fa’ attraverso il New York Times e Liberation, fa l’ammericano sarà interpretato anche il giro del mondo. dagli attori Dante Marmone, Luca Cirasola Materiale su misura per Nico Cirasola, e Tiziana Schiavarelli e da una allegra Gli affezzionati di Sky nelle ultime regista nato poco più in là, a Gravina, e rappresentanza sparsa di altamurani. La settimane si saranno imbattutti nelle certamente sensibile, oltre che alle storie vicenda prenderà forma di favola. pellicole del regista Nico Cirasola, bizzarre, al buon cibo. Accadimenti che, Assicura il produttore Contessa: nato nel 1951 a Gravina, personaggio alla stessa maniera, conquistano i produttori “Prevederemo un ampio uso di eclettico e adorato dal mondo Gianluca Arcopinto e Alessandro Contessa “product placement”, evitando di citare cinematografico pugliese ma non con la loro Pablo Bunker Lab. E le riprese direttamente il McDonald’s”. E, intanto, solo. Il suo recente Bell’Epoker (con del docufilm Tu vò fa’ l’ammericano si cercano sponsor. Dovrebbe esser Dante Marmone, Dino Abbrescia, cominciano. Una prima tranche è già pronto per la prossima Festa del cinema Pinuccio Sinisi e Edoardo Winspeare) stata realizzata a New York, nel cuore di Roma “ottima vetrina per un film che racconta la vita di Bari attraverso gli della grande mela e dei McDonald, tra già dal trailer, da poco montato, ci occhi del custode del glorioso teatro Manhattan e Greenwich Village. Anche appare assolutamente entusiasmante”. Petruzzelli distrutto da un incendio nel della finzione, protagonista è l’ormai Prime immagini che lasciano pregustare 1991. Tra le altre pellicole di Cirasola mitologico Onofrio Pepe, io narrante del quest’angolo di paradiso gastronomico Albania Blues, Da do da, Odore di piccolo caso internazionale. A NYcity è low budget ma decisamente high quality Pioggia. riuscito, troupe al seguito e focaccia in (come imparò il signor McDonald). mano, a introdursi in un Mc Donald’s. “I Antonella Gaeta commessi ci guardavano interrogativi

La parabola di Nico Cirasola s


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A P P Un T aM E n TI


I M MaGI na la MUSI ca

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CoolClub.it MUSICA

ogni venerdì / Montecarlo Night con Tobia Lamare al Soul Food di Torre dell’Orso (Le) domenica 10 / Bermuda Acustic Trio a Trepuzzi Serata in ricordo di Maurizio Rampino, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, scomparso un anno fa. E proprio nel giorno dell’anniversario della sua morte (giovedì 14) verrà consegnato il premio a lui dedicato. domenica 10 / Paolo Fresu a Cavallino (Le) giovedì 14 / Rio a Cutrofiano (Le) venerdì 15 / Ameba4 all’Ombra del barocco di Lecce venerdì 15 / Sud Sound System a San Pancrazio Salentino (Br) venerdì 15 / Zina alla Fiera di Galatina (Le) da venerdì 15 a sabato 16 / Anima Mundi a Galatina (Le) Tuttaunaltracosa e Solidaria direzione sud ospitano la presentazione ufficiale delle nuove produzioni firmate Anima Mundi. Nel corso dei tre giorni (tutte le info su www. tuttaunaltracosa.it) saranno presentati i cd: Tis Klei di Ninfa Giannuzzi, partendo dal Salento con la proposta di brani della tradizione e di inediti esclusivamente in lingua grika, un viaggio nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo prima, e passando attraverso lo Stretto di Gibilterra, supera l’Oceano Atlantico e si ferma nell’Oceano Pacifico; Nuzzelu e Pparolu di Tonino Zurlo, straordinario cantastorie e poeta popolare di Ostuni. Osannato da artisti importanti tra cui Moni Ovadia e Giovanna Marini. Il cd è accompagnato da un libro contenente il pensiero e la poetica di questo grande artista; Mandatari di Dario Muci. Il “mandatario” è il messaggero d’amore chiamato per cantare una serenata a una bella fanciulla. Il nuovo progetto di Dario Muci è un percorso nei territori al confine tra musica popolare e jazz attraverso composizioni originali ed inediti arrangiamenti di alcuni canti della tradizione popolare salentina. Info www. suonidalmondo.com sabato 16 / Vision into art (vedi inserto Sound Res) all’Isufi di Cavallino (Le) sabato 16 / Abash alla Fiera di Galatina (Le) domenica 17 / Orchestra dei Popoli della Provincia di Lecce alla Fiera di Galatina (Le) da lunedì 18 a giovedì 21 / Festa della musica a Cursi (Le)

Palazzo De Donno e Piazza Pio XII a Cursi ospitano la seconda edizione della Festa della musica, ideata e promossa dal Centro di produzioni musicali Dilinò di Muro Leccese. Quattro giorni per ricreare una vera e propria fiera in cui si riuniscono le maggiori produzioni indipendenti salentine allestendo

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venerdì 22 e sabato 23 / Festival dei musicisti di strada a Lecce L’appuntamento è ormai tradizionale per l’inizio dell’estate salentina. Anche quest’anno l’associazione Altreforme presenta, nell’ambito del festival Salento Negroamaro, il Festival dei musicisti di Strada. Il centro storico sarà invaso per due sere da una carovana multietnica di musicisti che farà risuonare suoni provenienti da tutto il mondo. In programma il blues dei Marvellous Pig Noise (Francia), la fanfara di strada della Bandakadabra (Italia), il reggae dei Sons of gaia (Francia), il jazz di Valentina Madonna e Roberto Gagliardi (Salento), l’innovazione araba dei Lamar (Palestina), l’elettronica dei Scientist & Cinic (Salento) e il flamenco delle Malasangre (Spagna).

i loro angoli promozionali per presentare i loro lavori, le loro produzioni, i loro progetti. Si parte lunedì 18 con l’inaugurazione ufficiale e un’inedita ed originale manifestazione dal titolo Musica di pietra, con dimostrazioni di sculture dal vivo sullo sfondo della musica degli Otakatroi E Ntzuia Nahara (DubLounge Dj Set). Martedì spazio ai Crifiu con il loro Folk-core dal Salento, e i Nidi D’arac, una delle band migliori del panorama della world music internazionale, capaci di mescolare la tradizione della trance folklorica al concetto di trance legato alle nuove tendenze della club culture e rendendo i loro live veri e propri rave di musica etnica. Mercoledì 20 giugno sul palco si alterneranno i Mascarimirì di Claudio “Cavallo”, e Zina, progetto elettroworld dell’eclettico trombettista Cesare Dell’anna. Ultima giornata giovedì 21 con numerosi show-case di tanti gruppi salentini, tra i quali hanno già dato adesione: Criamu, Mascarimirì, Discordia, Aioresis, P40 Band, Skarlat, Sostanza, Lagrima De Oro e tanti altri. Inizio concerti ore 21.30. Ingresso libero. Info: www.dilino.com – 0836/341153. martedì 19 / Sound Res band (vedi inserto Sound Res) alle Manifatture Knos di Lecce da mercoledì 20 a venerdì 22 / Veglie in Jazz a Veglie (Le) venerdì 22 / Bandadriatica a Melpignano (Le) È Contagio il titolo del primo cd della BandAdriatica guidata dall’organettista e cantante Claudio Prima. BandAdriatica è la banda del nuovo tempo, emaciata e contenta come i padri che hanno percorso suonando i chilometri che ci hanno portato dove siamo e ad un tempo modernamente figlia di tutti gli ascolti che il viaggio e la strada propongono, inevitabilmente. Dieci musicisti percorrono e ripercorrono le strade virtuali che uniscono due mondi musicali, attraccando nei porti che si affacciano sull’adriatico, come se Venezia, Capodistria e Dubrovnik fossero le tappe obbligate per arrivare più in fretta da Lecce a Tirana. La presentazione ufficiale del disco è in Piazza San Giorgio a Melpignano. Ingresso gratuito. venerdì 22 / Agnese Manganaro al Soul Food di Torre dell’Orso (Le) Col Salento nel sangue e il Brasile nel cuore Agnese Manganaro si muove con agilità nel repertorio a lei caro: la bossa e gli anni ’60. Cantautrice per vocazione e artista in continua evoluzione, si autodefinisce “una pralina ripiena di bossa nova con pezzetti di jazz e ricoperta da pop fuso”. Ha da poco

inciso un disco per l’indipendente Irma Records. Il primo singolo dal titolo E vai via prodotto da Roberto Vernetti (collaboratore di Mina e Caterina Caselli) è già nella playlist delle radio di tutta Italia. Si esibisce in quartetto ma ama anche le performance più intime, voce e chitarra. Il suo repertorio di cover comprende brani in portoghese, inglese, spagnolo, italiano e giapponese, ispirato all’atmosfera del lounge. da venerdì 22 a domenica 24 / Festa dei Sapori antichi a Surbo (Le) L’associazione Le Rene organizza la terza edizione della Festa dei Sapori Antichi. Una tre giorni dedicata ai prodotti tipici locali, alla musica e alla tradizione. Sabato 23 giugno doppio concerto tra rock e musica balcanica, blues e sonorità jazz. Alle 21.00 sul palco saliranno i Black Notes, a seguire gli Opa Cupa. Domenica 24 giugno, infine, serata conclusiva della Festa dei sapori antichi con la pizzica degli Alla bua. Ingresso gratuito sabato 23 / In c concerto all’alba (vedi inserto Sound Res) al Mediterraneo sulla litoranea San Cataldo/San Foca (Le) sabato 23 / Fabrizio Bosso a Vaste (Le) sabato 23 / Roy Paci & Aretuska al Torre Regina Giovanna di Apani (Br) domenica 24 / Opa Cupa e Skarlat a Zollino (Le) domenica 24 / Triace a Taviano (le) da mercoledì 27 a sabato 30 / Bari in Jazz a Bari Giunge alla sua terza edizione il Festival Bari In Jazz – Swinging & Swimmin’ diretto da Roberto Ottaviano. Il cartellone di quest’anno presenterà dal 27 al 30 giugno, in vari siti del centro storico, una significativa panoramica dei progetti di punta del panorama musicale europeo ed americano, ivi comprese alcune produzioni originali, e due omaggi a paesi extraoccidentali. Il 27 andranno in scena The Three Moons, Trilok Gurtu con l’Arkè String Quartet, il trio di Norma Winstone ed il gruppo Dondestan


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con Karen Mantler con un programma denominato The Robert Wyatt Project; il 28 sarà la volta del trio di Carlos Zingaro, Lucas Niggli Zoom, Michel Portal & Richard Galliano, e della MinAfric Multiculti Orchestra; il 29 prevede la partecipazione di Paolo Angeli, Kenny Wheeler Quartet, Henri Texier La Strada Quintet e della Gangbé Brass Band. Il 30 proiezione del film reduce dal festival di Berlino “Play Your Own Thing” di Julian Benedikt, conversazione con l’autore ed alcuni musicisti presenti al festival. Ogni sera Bari In Jazz Village con mostre, dj set e gruppi emergenti nella zona portuale a cura di Controradio e del Conservatorio Piccinni di Bari. Info 0805283361 giovedì 28 / Philip Glass (vedi intervista nell’inserto Sound Res) a Palazzo dei Celestini di Lecce venerdì 29 / Philip Glass a Bari venerdì 29 / Enrico Rava a Cavallino (le) lunedì 4 luglio / Idir al Castello di Otranto (Le) sabato 7 / Soeur Marie Keyrouz – Meditations de l’Orient a Palazzo dei Celestini di Lecce

Teatro dal 7 al 30 giugno / Ecumenes ad EgnatiaFasano (Br) A Egnatia (Fasano, provincia di

Brindisi), uno dei siti archeologici più importanti della Puglia, il primo cantiere internazionale delle arti nell’ambito del progetto ECUMENES –Eredità Culturali del Mediterraneo nelle Eccellenze Storicoarchitettoniche selezionato dal Programma Comunitario Interreg IIIA/Grecia Italia con il coordinamento artistico dei Cantieri Teatrali Koreja. Intenso e variegato il programma con spettacoli di danza, teatro, musica,

cinema ma anche installazioni, work in progress, laboratori, conferenze e incontri proposti da artisti greci e italiani con l’obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale comune, materiale e immateriale. Attorno al tema de “La eredità della cultura classica greca nella contemporaneità” sono molte le novità assolute come Mari di voci, installazione per nastro magnetico di Biagio Putignano, The Cryonic Chants con Scott Gibbons e la Societas Raffaello Sanzio (giovedì 28 giugno), Ajax the madness da Sofocle con l’Attis Teatro di Atene per la regia dello straordinario regista Theodoros Terzopoulos (venerdì 22 e sabato 23 giugno), le Apparizioni con la compagnia Katzenmacher di Alfonso Santagata (giovedì 14, venerdì 15, sabato 16 giugno), Polis della compagnia Abbondanza-Bertoni (sabato 30 giugno), la festa-concerto con i greci Sirtos (sabato 9 giugno), lo studio su Le Troiane di Euripide a cura di Koreja (sabato 9 giugno), le conferenze di Gino Pisanò (15 giugno), Francesco D’Andria (23 giugno), Eduardo Sanguineti (sabato 30 giugno). Info 0832 24 20 00 progetti@teatrokoreja.com dal 4 al 6 luglio / Persae a Marina di Andrano (Le) Astràgali Teatro promuove “Persae” una nuova produzione teatrale internazionale sostenuta dalla Provincia di Lecce e dalla Fondazione Culturale Europea, seguendo un percorso meridiano, in cui è impegnato da anni, per la creazione di una rete culturale nel Mediterraneo. Lo spettacolo, per la regia di Fabio Tolledi è liberamente tratto dalla tragedia di Eschilo “I Persiani”. Astràgali teatro realizzerà una residenza teatrale internazionale che coinvolgerà, oltre alla compagnia salentina, un gruppo selezionato di attori e attrici provenienti da Siria, Giordania, Albania. La residenza (dal 18 giugno al 3 luglio), condotta dal regista, sarà finalizzata alla realizzazione dello spettacolo che avrà luogo in tre repliche (dal 4 al 6 luglio - Marina di Andrano). Persae è l’occasione per realizzare un lavoro comune tra artisti, attori e musicisti italiani, siriani, giordani, albanesi,


CoolClub.it proseguendo il work in progress di Astràgali Teatro per la creazione di una Compagnia Teatrale Mediterranea.

Incontri da venerdì 8 a domenica 10 giugno / Laboratorio di scrittura: Scritture e narrazioni tra biografia e letteratura al Convento dei Francescani Neri di Specchia (Le) mercoledì 13 / Recital Le rivoluzioni di Eleonora nell’ex Convento dei Padri Agostiniani di Melpignano (Le) venerdì 15 / Letteratura tra giallo e cronaca nell’ex Convento dei Padri Agostiniani di Melpignano (Le) domenica 17 / Premio Olio della Poesia con Adonis a Serrano giovedì 21 / Convegno “Olivo: coltura e cultura del Mediterraneo. Puglia, Israele, Palestina: agricoltura e artigianato per un economia di giustizia e pace” a San Francesco della Scarpa di Lecce venerdì 22 / Adnia Shibli (scrittrice palestinese) presenta “Estetica e resistenza nella nuova scrittura palestinese”. Introduce Monica Ruocco a San Francesco della Scarpa di Lecce venerdì 22 / Scrittrici di Puglia a Taviano La rassegna Donne che dovresti conoscere, organizzata nell’ambito del Progetto nazionale GiovaniLibri dall’associazione Diotimart e dalla Libreria Idrusa, ospita un incontro con alcune autrici salentine: Luisa Ruggio, Elisabetta Liguori, Carmen Tarantino. Accompagnamento musicale dal vivo: Donatello Pisanello giovedì 28 / Giovane poesia ad Alessano (Le) venerdì 29 / Inferno minore di Claudia Ruggeri ad Alessano La rassegna Donne che dovresti conoscere si chiude con un incontro sulla poesia di Claudia Ruggieri. Nata 27 agosto 1967 a Lecce, sin da bambina scrive filastrocche e poesie e mostra una propensione straordinaria verso la lirica. Negli anni ’80 è considerata da molti come “promessa della poesia italiana”. Il suo primo testo compiuto è Inferno minore, presentato e chiosato da Franco Fortini. Verrà pubblicato solo nel dicembre del 1996 sulla rivista “L’incantiere”, due mesi dopo la sua prematura e tragica scomparsa. Parteciperanno Mario Desiati, Mauro Marino, Anna Rita Merico, Maria

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Teresa Ruggeri Del Zingaro, Alessandro Canzian, Maria Mazzone. Letture: Francesca Russo sabato 30 / Staramascè a Lecce e Maglie (le)

“L’Afghanistan non è un paese in guerra, ma una terra utilizzata e scelta – ancora una volta – da una guerra alimentata da imposizioni e mancanza di dialogo, la dimostrazione che il pregiudizio e le dittature nell’informazione sono all’origine dell’evoluzione di ogni conflitto”. Descrive così la sua visione dell’Afghanistan il fotoreporter salentino Kash Gabriele Torsello rimasto per alcune settimane, lo scorso autunno, nelle mani dei talebani. Quella lunga esperienza nelle terre martoriate da una guerra infinita è diventata una mostra fotografica. “Staramascè, attimi di vita tra l’Afghanistan e il Salento: trenta fotografie per trenta piazze” raccoglie trenta gigantografie (manifesti 6x3), attimi di vita in Kabul, Badakhshan, Khost e Kandahar, che saranno affisse in trenta piazze di comuni salentini. Le foto, in formato ridotto, saranno inoltre in mostra presso la Galleria Lamarque di Maglie (www.lamarque.it). La mostra rientra nell’articolato programma di Salento Negroamaro, rassegna delle culture migranti della Provincia di Lecce. La presentazione ufficiale sarà ospitata dall’Aula Consiliare di Palazzo dei Celestini. Dalle 10.30 Torsello illustrerà i contenuti della mostra e discuterà con giornalisti, politici e operatori culturali. Alle 19.00 invece si terrà l’apertura ufficiale della mostra di Maglie. Per info www.kashgt. co.uk lunedì 1 luglio / Incontro con lo scrittore turco cipriota Mehmed YasIn a San Francesco della Scarpa di Lecce

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CoolClub.it Gea, un’irrequieta liceale, vive in un’imprecisata città moderna, trascorrendo le proprie giornate tra la scuola e le prove del gruppo musicale, nel quale suona il basso. Orfana di entrambi i genitori, abita in un fatiscente stabile ed è mantenuta da un misterioso benefattore, che chiama Zio. La ragazza, dietro tale facciata movimentata ma ordinaria, nasconde un segreto: appartiene alla casta dei Baluardi, millenari custodi dell’ordine dimensionale, il cui compito è difendere la nostra realtà dalle invasioni di mostruose entità. Moltissimi esseri alieni vivono tra gli umani pacificamente e con discrezione, tuttavia tra essi si nascondono alcuni membri della Razza nemica, feroci demoni che dominavano la Terra prima dell’uomo. Combattuti ed esiliati dai Baluardi, i demoni desiderano far ritorno sul nostro pianeta per riconquistarlo e spazzare via gli usurpatori umani. Grazie all’azione dei pochi demoni rimasti sulla terra, è stata aperta un’enorme porta extrtadimensionale che ha condotto una moltitudine di creature sul nostro pianeta e ne ha mutato l’aspetto, sconvolgendone i vari ecosistemi. Il mondo non è più lo stesso, mentre le società umane sono cadute nel caos, a causa dell’azzeramento di tutte le risorse tecnologiche su cui si poggiava la loro esistenza, e debbono confrontarsi con le numerose forme di vita animale e vegetale di altre realtà. Soltanto Gea assieme ad un esiguo numero di persone è consapevole di ciò che è accaduto e si è posta a difesa dell’umanità contro le orde bellicose di demoni, nelle prime avvisaglie di un conflitto mondiale senza precedenti. Gea è un’anomalia all’interno della casa editrice Bonelli: testata semestrale, scritta ed illustrata dal talentuoso Luca Enoch, la serie

vanta caratteristiche peculiari rispetto a Dylan Dog, Julia e gli altri comics targati Bonelli. La trama poggia su una continuità narrativa in antitesi con l’autoconclusività caratteristica delle altre testate, che ha permesso ad Enoch di ribaltare le sue premesse iniziali, facendo evolvere vicenda e personaggi. Questo è conseguenza della piena libertà creativa, che l’editore ha dato al fumettista, autore del fumetto culto dell’underground degli anni ’90, Spray Liz, che aveva come protagonista una spregiudicata graffitara bisex, perennemente in lotta con poliziotti violenti e naziskins ottusi. Sin dai suoi esordi, Enoch s’è distinto per il tratto dai dettagli accuratissimi (da ciò la sua leggendaria lentezza nel disegnare) e per il mix tra fumetto occidentale e suggestioni nipponiche. In Gea vi sono continue citazioni di Keith Harring, di Felix il gatto, dei lavori delle Clamp (le fumettiste giapponesi, autrici di Sailor Moon) e persino dei due film di Men in Black, nei quali Tommy Lee Jones e Will Smith ricercavano alieni immigrati clandestinamente sulla Terra. Il risultato è una magmatica esplosione di stile e tematiche differenti, amalgamati con sapiente cura e passione. Un altro aspetto fondamentale della serie è il riguardo per gli argomenti a sfondo sociale: nel corso dei 16 episodi pubblicati, Enoch ha spesso affrontato la questione della convivenza tra culture differenti, attraverso la metafora del binomio umano-alieno sino a giungere all’attuale conflitto, che sta devastando il mondo di Gea. Gli stessi demoni invasori non sono soltanto dei mostri spietati, ma creature a cui è stato strappato il proprio mondo e condannate all’esilio in un luogo tremendo. Utilizzando i canoni del genere fantasy, fantascientifico e catastrofico, l’autore si diverte a ricreare un mondo, nel quale la sopravvivenza degli uomini è affidata al buonsenso ed alla tolleranza verso il diverso da sé. Appassionante ed originale Gea è uno dei migliori prodotti seriali italiani, condito da un’ironia ed una sagacia che ne stempera i momenti più drammatici. Vista la sua semestralità, è facile reperirne gli arretrati, dunque se vi capita acquistatelo. Ne rimarrete soddisfatti. Roberto Cesano

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