Anno V Numero 48/49 dicembre 2008 gennaio 2009
PUGLIA VINCENTE? Puglia violenta, come in un film di Maurizio Merli dove anche il fruttivendolo è cattivo e corrotto. Oppure Puglia vincente, come in un film con Silvester Stallone dove alla fine si alzano i pugni al cielo e si crede che il mondo, veramente, possa cambiare. Roba da film, proprio come quelli proiettati sugli schermi in questi giorni. Puglia d’amore e d’odio, immaginata, ricordata, raccontata. Roba da romanzi che proprio di questi tempi vincono premi. Puglia dei veleni, quella che uccide giorno dopo giorno, roba da cronaca nera. E ancora la Puglia di tutti i giorni, con le storie della gente, con la vita vera che solo le canzoni sanno catturare e restituirci. C’è chi si affretta a dire che quella che il cinema racconta oggi non c’è più, per fortuna, debellata da una regione che cresce e migliora mese dopo mese. D’altro canto la gente non smette di gridare, denunciare, piangere. Altri si lamentano, come fosse uno sport tramandato dai nonni insieme alle bocce, oppure seccano al sole insieme al tabacco alimentando un apparente immobilismo. Sullo sfondo un brulicare di bellezza che contraddice. Come sempre questa terra vive di opposti e forse per questo è forziere di energie incredibili. Il bene e il male, come fratelli crescono uno accanto
all’altro, visione biblica, ancestrale, di un vivere che oggi è sotto gli occhi di tutti. Dopo il vangelo secondo il turismo, arrivano i vangeli apocrifi e fa piacere. L’idea di un passato e di un presente difficili non possono che sottolineare i passaggi del riscatto. Il silenzio, per chi come noi ama la musica, piace solo di rado. Ecco perché, ancora una volta, come spesso è capitato in questi anni, torniamo a tastare il polso di questa terra e a parlare di Puglia. Una regione che mai come in questi ultimi anni ha investito sul nuovo, che ha puntato sui giovani e che oggi raccoglie frutti. Abbiamo raccolto testimonianze di queste vittorie senza dimenticare le immancabili debacle. Con uno sguardo alle generazioni che hanno costruito un substrato di possibilità per la cultura nel nostro territorio, ci avviciniamo a un nuovo anno che speriamo sia fecondo e pieno di sorprese come questo che volge al termine. Sempre per non dimenticare abbiamo scelto come foto di questo sommario quella di Fabrizio de Andrè, scomparso da dieci anni, che ci piace ricordare con una sua frase: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Osvaldo Piliego Editoriale 3
CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 5 Numero 47/48 dicembre 2008/gennaio 2009 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo, Michela Cerini Hanno collaborato a questo numero: Giancarlo Susanna, Rossano Astremo, Ludovido Fontana, Berardino Amenduni, Tobia D’Onofrio, Camillo Fasulo, Federico Baglivi, Livio Polini, Enrico Martello, Ennio Ciotta, Fulvio Totaro, Nino G. D’Attis, Stefania Ricchiuto, Roberto Conturso. In copertina Donatella Finocchiario sul set di Galantuomini, foto di Giovanni Ottini Ringraziamo Viola Berlanda (per la foto di Taranto), Giovanni Ottini, Sabrina Manna, la Cooperativa Paz di Lecce (che ci sta ospitando in questi giorni), Manifatture Knos e le redazioni di Blackmailmag.com, Radio Popolare Salento di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Musicaround.net. Progetto grafico erik chilly Impaginazione Scipione Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione (sicuro?) alla fine del mese, è quasi sempre il 31! Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: redazione@coolclub.it 3394313397
PUGLIA VINCENTE?
Donatella Finocchiaro 6 Puglia che vince non si cambia 14 musica
Moltheni 18 Recensioni 28 Libri
Luisa Ruggio 44-45 Recensioni 47 Cinema Teatro Arte
Radio Egnatia 52 Radiodervish a Sannicandro 54 Eventi
Calendario 57 sommario 5
SE AVESSI FATTO L’AVVOCATO
Intervista a Donatella Finocchiaro, protagonista del film Galantuomini di Edoardo Winspeare Donatella Finocchiaro è l’attrice italiana del momento. Catanese, classe 1970, è la protagonista del nuovo film di Edoardo Winspeare, Galantuomini, presentato fra gli applausi al Festival del Film di Roma. La sua interpretazione di Lucia, donna al servizio della Sacra Corona Unita ma innamorata di un giudice, le è valsa il premio come miglior attrice protagonista. Dopo l’ottimo debutto sul grande schermo nel 2002 in Angela di Roberta Torre, l’attrice siciliana non si è più fermata, lavorando con alcuni dei migliori registi italiani tra cui Tavarelli, Andò, Bellocchio e Porporati. Nonostante il successo la sua immagine rimane quella di una ragazza semplice, dietro la quale si nascondono una grande passione e qualche curiosità. Dal tuo esordio cinematografico ad oggi non hai mai smesso di raccogliere premi. 6
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Si direbbe che sei una predestinata. Ma quando hai scoperto che saresti diventata un’attrice e come hai mosso i primi passi? In realtà la mia carriera è iniziata per gioco. Finito il liceo, a Catania ho iniziato per hobby a frequentare corsi di danza e canto, solo con l’intento di distrarmi dagli studi. La mia voglia di confrontarmi con il palcoscenico però cresceva e così mi spostai per un po’ a Roma per seguire altri corsi. Nel ’96 debuttai con Il Teatro dell’Orologio, ma fu solo una breve parentesi, perché poco dopo tornai a Catania per finire l’Università. Lo feci per dovere; in realtà consideravo quegli studi aridi e poco adatti alla mia personalità. La laurea in giurisprudenza è un retaggio culturale del sud allora… L’ho presa perché a quell’età mi mancava una passione vera. Quand’ero adolescente mi sarebbe piaciuto fare l’architetto o l’arredatrice d’interni,
Donatella Finocchiaro e Fabrizio Gifuni
facendomi un sacco di complimenti e dicendomi che gli sarebbe piaciuto lavorare con me. Il film che progettava allora era un altro, comunque ci lasciammo con la promessa che ci saremmo risentiti non appena ci fossero stati sviluppi. Così due anni fa mi ha proposto la sceneggiatura di Galantuomini e io ne sono subito rimasta folgorata. Nel film interpreti Lucia, una donna affiliata alla Sacra Corona Unita. Come è stato entrare in un ruolo del genere? Poco fa ne parlavo al telefono con mia zia. Lei mi ha chiesto: “Figlia mia, come hai fatto a parlare con quell’accento?” (ride). Ovviamente ho dovuto scontrarmi da subito con il limite più grosso, quello linguistico. Per ovviare a questo problema sono arrivata nel Salento venti giorni prima dell’inizio delle riprese, durante i quali ho fatto conversazione in dialetto. Il salentino, per certi versi, potrebbe sembrare simile al siciliano e invece ci sono molte sfumature che traggono in inganno. Per fortuna ho avuto il supporto di un sacco di persone che vorrei ringraziare una per una. Prima e durante le riprese sul set si è creato un clima bellissimo, che ha visto partecipare al film tutti con lo stesso entusiasmo, dall’elettricista agli attori. E poi non ero mai stata in Puglia e sono felicissima di averlo fatto.
ma bisognava cambiare città e non nutrivo per quei mestieri un grande trasporto, uno di quelli che ti fa lottare. Scelsi la strada più comoda, che per me era fare l’avvocato. Poi l’amore per il teatro mi ha definitivamente convinta a rischiare ed è cambiato tutto. Hai mai pensato di coniugare le cose? L’Avvocato Finocchiaro non suona male. Potrebbe essere il titolo di una nuova fiction… (Ride)... Sai che è un’idea? Non ci avevo mai pensato… Parliamo un po’ di Galantuomini. Come è nata la tua collaborazione con Edoardo Winspeare? Il primo contatto c’è stato diversi anni fa. Edoardo aveva appena finito di girare Il miracolo e preparava il suo nuovo film. Mi telefonò
Sembra davvero che ti sia divertita nel girarlo. Raccontami un aneddoto della lavorazione. Oddio, ce ne sono tanti (ride)… Ma se devo sceglierne uno, c’è una sequenza in cui io partecipo con la mia amica Sabrina a un addio al nubilato. Lei interpretava mia cugina Consuelo. Ci siamo tanto divertite a ballare e a girare quelle scene anche perché secondo la sceneggiatura dovevamo essere brille. E lo eravamo sul serio (ride ancora). Un’ultima domanda. Il finale, di cui erano state previste addirittura tre versioni, lascia ogni decisione nelle mani dello spettatore. Qual è la tua? C’è chi dice che l’80 percento della riuscita di un film sia in una conclusione adeguata. Condivido quella che è stata adottata per Galantuomini, la trovo quella più giusta. Detto questo, da spettatrice io immagino un finale nel quale Lucia rimane infelice, ma acquista consapevolezza della sua condizione. Un momento intenso nel quale si allontana rassegnata, ma sicura. C. Michele Pierri PUGLIA VINCENTE? 7
GALANTUOMINI Storia d’amore e di Sacra Corona Unita “Io sono più emozionato oggi che a Roma”. Il regista Edoardo Winspeare era visibilmente in tensione all’anteprima nazionale di Lecce del film Galantuomini che segna il suo ritorno dopo il buon risultato de Il Miracolo (in concorso nel 2003 alla Mostra del Cinema di Venezia). La preparazione del film è stata lunga e articolata. Da queste parti si sapeva già tutto, sulla storia, sui personaggi, sul clima complessivo nel quale il film era ambientato; eppure la sorpresa della visione ti prende sempre, anche quando sai già o pensi di sapere, quello che ti aspetterà. La trama è molto semplice o meglio sembra molto semplice. Nel Salento dell’inizio degli anni ‘90 una donna della Sacra Corona Unita, Lucia (Donatella Finocchiaro) incontra al funerale di un vecchio e caro amico di infanzia Fabio (Lamberto Probo), stroncato da un’overdose per una partita di eroina tagliata male, un altro caro e vecchio amico Ignazio (Fabrizio Gifuni) che nel frattempo è diventato un magistrato. Dopo una lunga esperienza al Nord (forse nella Milano da bere?) l’uomo di legge torna a Lecce per affrontare 8
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insieme a quello che sembra un piccolo pool la nascente criminalità organizzata. La storia segue dunque due registri: quello della criminalità da una parte, con le traversate verso il Montenegro alla ricerca di droga e armi, e la passione e l’amore dall’altra, con il crescere di una storia che, fin dall’inizio sembra impossibile. “È una storia d’amore sullo sfondo di una terra che è cambiata, che ha perso la sua innocenza, è stata contaminata, da isola felice qual era” ha ribadito Winspeare. “Il film pone un dilemma shakespeariano che ha una dimensione universale: la scelta tra la legge (la propria legge), le regole e l’amore, la passione, il sentimento. Per lui la scelta è essere uomo di giustizia o dare ascolto all’amore. Per lei, tra la sua legge - i codici della criminalità - e la passione. Una storia d’amore impossibile. Una storia che si muove nel classico terreno del melodramma”. La sceneggiatura, ben scritta dallo stesso regista insieme ad Alessandro Valenti e Andrea Piva, funziona bene. La storia infatti non ha segni di cedimento, tranne forse qualche piccola
sbavatura, e prende ritmo man mano. Certo qualche dubbio rimane sul ruolo di una donna così in vista nell’organizzazione mafiosa, forse fin troppo decisionista, però regge anche questo anche grazie alla bella interpretazione della Finocchiaro. “Ho fatto lezione di cinema in carcere e con i detenuti abbiamo realizzato dei lavori. Gli uomini avevano grande attenzione e rispetto”, ha precisato Winspeare (nella foto a destra). “Le donne erano tostissime, alcune molto più difficili, altre più cattive degli uomini. Mi sono chiesto spesso: queste donne criminali hanno perso la femminilità? Sono in conflitto con proprio essere donna? Si sono dovute un po’ mascolinizzare per farsi rispettare? È una domanda alla quale mi sono risposto costruendo un personaggio come quello di Lucia. La risposta è necessariamente nella contraddizione, nel conflitto. Solo alla fine sapremo se Lucia sceglierà di seguire la propria femminilità o se in qualche modo, continuando a seguire il suo destino, dovrà rinunciarvi”. Quindi se l’amore sembra trionfare, Winspeare tinteggia, soprattutto per chi in questa terra è cresciuto, un quadro abbastanza fosco di quegli anni. Con i morti ammazzati per strada senza troppi convenevoli, con le case in campagna trasformate in centrali dello spaccio e delle sevizie, con le bombe, con il pizzo, con i bar che diventano punti di “ristoro alternativo”, con le prime timide ammissioni della presenza malavitosa anche da questa parte, con i traffici dall’altra parte dell’Adriatico appena sconvolto dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine dei regimi comunisti, con un Salento ancora sconosciuto al grande pubblico, ancora lontano dalla Notte della Taranta e dal boom turistico. In tutto questo contesto l’integrità del magistrato scricchiola, Ignazio butta il cuore oltre lo Stato o meglio sembra farlo giacché (altro merito del film di Winspeare) il giudizio morale resta sospeso, è designato allo spettatore. “Ho conosciuto un magistrato come Ignazio. E sono stato in contatto con due uomini di legge, il procuratore aggiunto Cataldo Motta e il magistrato Leone De Castris, mio amico”, sottolinea il regista. “Mi hanno molto aiutato a capire. Anche Alessandro Valenti (uno degli sceneggiatori) è figlio di un famoso penalista. Il mondo della giustizia ci è abbastanza noto”. C’è un altro Salento in questo film, c’è un’altra visione, poco da cartolina (nonostante le splendide
immagini di centri storici, spiagge, coste, mare), di una terra che continua a essere difficile. Il cast annovera, oltre ai già citati Finocchiaro e Gifuni, anche Giuseppe Fiorello (molto bravo nel suo personaggio guappo), Gioia Spaziani, Marcello Prayer, Antonio Carluccio, Giorgio Colangeli tutti a proprio agio con la lingua che giustamente (nella maggior parte dei casi) non è dialetto ma un italiano con la cadenza tipica di questi posti. Anzi proprio rispetto alla sottotitolazione c’è qualche dubbio. Va bene far capire la trama ma non sembra esagerato spiegare anche “pampaciulu” o “coglione”? Quando Montalbano usa frasi idiomatiche siciliane non è certo sottotitolato. Da tradizione nei film di Winspeare grande spazio è stato dato agli attori salentini e pugliesi, selezionati da Biagino Bleve, come Ippolito Chiarello, Piero Rapanà, Carlo Bruni (già protagonista de Il Miracolo), Probo e Pino Zimba, scomparso pochi mesi fa. Tra i presenti anche l’avvocato leccese Fabio Valenti, il giornalista Rai Marcello Favale (a quei tempi in effetti le televisioni locali erano ancora poche e piccole) e molti altri. Le musiche sono di Gabriele Rampino, anima dell’etichetta discografica Dodicilune. Il film, prodotto da Fabrizio Mosca per Acaba Produzioni, è realizzato in collaborazione con Rai Cinema, con il sostegno della Direzione Generale per il Cinema e con il contributo di Apulia Film Commission, Provincia di Lecce e Italgest. Pierpaolo Lala PUGLIA VINCENTE? 9
DESIATI, L’AMORE E LA PUTRIDA TARANTO Lo scrittore pugliese racconta il suo ultimo romanzo, Il paese delle spose infelici, pubblicato da Mondadori. Chi ha vissuto l’adolescenza agli inizi degli anni ’90 nella provincia di Taranto non farà fatica a riconoscersi nella descrizione compiuta da Mario Desiati nella sua ultima fatica, Il paese delle spose infelici (Mondadori). L’alienazione di pomeriggi sempre troppo vuoti, l’incontro con le droghe e l’alcol, il calcio, l’ascesa dell’ex picchiatore fascista Cito, la scoperta del porno, il frastuono di chitarre elettriche sparate nelle cuffie per stordirsi, il polo siderurgico, simbolo estremo di una terra invasa dal male. Quello di Desiati non è solo un romanzo sul nostro meridione marcescente, ma racconta, attraverso la storia di tre ragazzi, Veleno Zazà ed Annalisa, il potere totalizzante e distruttivo dell’amore. Mario, il tuo romanzo può avere, a mio modo di vedere, diverse chiavi di lettura. Una può essere quella di identificarlo come romanzo rappresentativo di quella generazione di 10 PUGLIA VINCENTE?
ragazzi nati negli anni ’70, che ha vissuto l’adolescenza in quel decennio fragile e incognito che è rappresentato dagli anni ’90. Qual è la peculiarità di quel periodo, rispetto ai decenni precedenti, e perché hai voluto rappresentarlo? È un periodo di felicità illusoria per quel branco di cani randagi composto da Veleno e i suoi amici. La vitalità che esprimono è autenticamente dirompente, tre anni dopo la fine della guerra fredda sembrava che stava per arrivare il migliore dei mondi possibili… forse non é stato così. Perché è presente con costanza il riferimento all’ascesa al potere di Cito. Quale rivoluzione ha rappresentato il citismo per Taranto e i tarantini, tanto da meritarsi ampio spazio in un romanzo che fa della difficoltà di crescere, vivere
Taranto, foto di Viola Berlanda
ed amare in un paese del sud il suo tema portante? Cito è l’emblema di come cambia la società mediatica e politica italiana, dieci anni prima di Berlusconi e Veltroni, Cito è un politico moderno, ma il lato oscuro del moderno, quello che inevitabilmente entra nella vita dei protagonisti. La storia entra nella vita privata, come può la letteratura non tenerne conto?
sono vissuti con me hanno sempre mantenuto un loro aspetto di non definizione e questo spazio ho tentato di riprodurre.
Al racconto delle vicende esistenziali dei tre protagonisti, Veleno, Zazà e Annalisa, si accosta sempre il respiro della leggenda popolare, con il continuo riferimento alle tragiche vicende delle spose infelici di Martina. Il tutto dà alla narrazione una struttura sospesa, a volte quasi atemporale. Come mai questa scelta? Ho tenuto il passo dei miei ricordi e delle mie suggestioni, i protagonisti che in questi anni
Una considerazione sulla lingua. Rispetto ai tuoi due precedenti romanzi in Il paese delle spose infelici c’è il ricorso ad una lingua più ricercata, fortemente lirica, che s’abbassa di tono solo quando presenta i termini dialettali di alcuni dialoghi. Come mai questo cambio di passo? La voce dello scrittore e la voce del romanzo sono a volte stili inconciliabili. Rossano Astremo
Quanto difficile è stato per uno scrittore uomo lavorare su un personaggio complesso e tragico quale quello di Annalisa? Per nulla difficile, perché Annalisa esiste e io sono pazzo di lei.
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NICOLA CONTE Il jazzista e dj che non lascia Bari Vive ancora a Bari, la sua città, e di fronte casa sua c’è il mare, “così la mattina vedo solo l’azzurro del cielo”. Eppure Nicola Conte, dj e musicista, passa gran parte dell’anno in giro per il mondo. Ogni tanto suona anche nella sua città. Capiterà il 27 e 28 dicembre, al teatro Piccinni, dove presenterà i brani del suo ultimo album Rituals con il suo Jazz Combo. Da Bari è partita la sua carriera: dopo un diploma al liceo classico e dopo aver frequentato un po’ Scienze politiche, ha dato vita con un gruppo di amici al Fez, un movimento artistico-musicale che ha avuto rilevanza internazionale. 12 PUGLIA VINCENTE?
Perché vivi ancora a Bari? Qui si sta bene, è una città a dimensione d’uomo. Il quartiere dove abito non è stato depredato dall’edificazione selvaggia, è libero dal cemento. Dalla mia finestra non vedo palazzi, la mattina vedo solo l’azzurro del cielo. E poi Bari è al centro di luoghi splendidi: basta fare piccoli tragitti in macchina per trovarsi in Valle d’Itria, in Salento, sul Gargano o in Calabria. Abiti vicino Punta Perotti, il complesso di palazzi abbattuto nel 2006. Punta Perotti è stato uno scandalo: un esempio
dell’edilizia cieca che bada solo ai propri interessi. Il lungomare sud barese è vuoto: non si è mai costruito perché ci si è espansi verso l’entroterra. Poteva essere quindi l’inizio di una trasformazione in positivo, bastava avere un po’ di cura e attenzione per lo skyline. Come è nato il Fez? È stato un fatto casuale, basato sull’entusiasmo mio e di una cerchia di amici. Bari non ha mai offerto condizioni particolarmente favorevoli da questo punto di vista. Il Fez è stato completamente autoprodotto e autogestito. Si voleva creare qualcosa di nuovo. Abbiamo cambiato il modo di accogliere le persone nei locali, dai prezzi al genere di servizio offerto. Si respirava per la prima volta un’aria internazionale. Per sei anni abbiamo organizzato eventi senza finanziamenti da parte del Comune, poi quando sono arrivati è nato un festival. E comunque non ci siamo mai mossi in base a criteri economici, ma solo seguendo la nostra passione. Le prime serate si sono tenute nell’autunno del 1990, l’ultimo appuntamento lo abbiamo organizzato nel 2003. Perché il Fez è nato proprio in quegli anni? Forse per le condizioni culturali favorevoli dell’epoca, a partire dal teatro Petruzzelli al massimo dello splendore alla fine degli anni ‘80? Certo, l’atmosfera era favorevole, ma noi eravamo al di fuori di quel circuito. È chiaro però che allora si respirava un’aria decisamente migliore rispetto a oggi. Cosa pensi di tutti i problemi sorti intorno alla riapertura del Petruzzelli? E cosa devo pensare? Che c’è una famiglia (i proprietari del teatro, ndc) che tiene in ostaggio un’intera città per i propri interessi privati. L’attuale vita culturale di Bari è paragonabile a quella che si viveva ai tempi del Fez? No, assolutamente no! Quello che è accaduto con il Fez non si è più ripetuto. Quando nasce un movimento artistico-culturale così importante, non si può ripetere. Sono cose che accadono una volta ogni tanto. Cosa è rimasto oggi del Fez? Il Fez ha seminato tanto non per la città di Bari, ma per qualcosa di più grande. Sono cresciuti musicisti anche di livello internazionale: Fabrizio Bosso, Gianluca Petrella, Gaetano Partipilo, Mirko Signorile, Rosalia De Souza, Stefania
Dipierro, Alberto Parmegiani, Fabio Accardi... Essere meridionale ha influito nella tua carriera? È stato un valore aggiunto, un ostacolo da superare, un particolare ininfluente? Sicuramente non è stato ininfluente. È stato un po’ penalizzante all’inizio, perché siamo partiti da Bari, quindi ai margini della scena nazionale. Essere meridionale vuol dire però avere un background culturale importante, vuol dire avere un certo modo di sentire le cose. Cerco però di trascendere gli aspetti levantini più negativi come il qualunquismo. Del resto, vivo in una dimensione internazionale. Mi conoscono come italiano, non come meridionale. Nei tuoi lavori hai sempre coinvolto musicisti con cui sei cresciuto e pugliesi come te, come ad esempio Petrella e Partipilo nell’ultimo disco. C’è una precisa scelta di suonare con artisti della tua terra? No. Sono semplicemente gli artisti con cui ho condiviso il mio percorso. Con loro ho lavorato per anni. È naturale che cerchi di avere sempre la loro collaborazione. Scegliere i musicisti in base alla loro provenienza è sbagliato dal punto di vista artistico. È un atteggiamento... ...Politico? Sì, politico. Il tuo sito Internet è stato appena rinnovato. Nella home page c’è un fumetto che ti vede protagonista. Si tratta di un nuovo progetto? No, è un progetto vecchio: il mio sito personale doveva essere così dall’inizio, ora lo abbiamo sistemato. Il fumetto è di Giuseppe Palumbo (materano, ndc), uno dei migliori disegnatori italiani in circolazione, autore di alcuni numeri di Diabolik. Sul sito abbiamo pubblicato una prima storia (il titolo è La Rosa e la Cenere), ne seguirà forse un’altra, poi non si sa.. Sei mai stato contattato per la Notte della Taranta? In Salento ho tantissimi amici e ci vado sempre volentieri. Ma non sono stato mai coinvolto nella Notte della Taranta. Un giorno potrebbe succedere, magari se si esce da una certa logica legata più al rock. Ludovico Fontana
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PUGLIA CHE VINCE NON SI CAMBIA C’è crisi, c’è crisi dappertutto, dicono i musicisti e gli analisti, gli economisti e gli uomini della strada. C’è chi professa ottimismo come stile di vita e spera che questo possa, allo stesso tempo, rappresentare una panacea di tutti i mali. C’è chi ha paura, chi legge i dati e si spaventa, chi suona allarmi mai abbastanza rumorosi per essere recepiti. E c’è la Puglia. Una regione che cresce. Cresce a livello di immagine, grazie anche ad alcune fortunate coincidenze che hanno portato valore alle nostre meraviglie. Il caso Salento è un mix di azioni di marketing e capacità di aver saputo cogliere la “moda” in campo turistico: e così ci ritroviamo ad accogliere più turisti, anno dopo anno, mentre il resto d’Italia langue. La Puglia cresce a livello economico: i dati sul PIL (+1,8% nel 2007, più della Lombardia, più della media delle regioni del Sud Italia) possono non rappresentare un indicatore incontrovertibile, ma paradossalmente acquistano più valore ora che i meno sono ben più frequenti dei più sulle borse e sui bilanci che al momento della loro pubblicazione. E cresce a livello culturale, dove la cultura non è l’etichetta con cui si tende ad annoverare l’insieme di quelle attività che 14 PUGLIA VINCENTE?
dilettano un certo tipo di pubblico, solitamente di estrazione sociale medio-alta, ma è l’indicatore di una maturata coscienza artistica e sociale. C’è il Controfestival, un vero e proprio viaggio che ogni anno la città di Bari percorre all’interno della propria produzione musicale. La formula tradizionale prevedeva 48 ore di concerti ininterrotti, 96 band pronte a darsi il cambio sullo stesso palco, per una rassegna aperta al pubblico, sempre, gratuitamente. Ma quest’anno, alla settima edizione, Controradio (organizzatore dell’evento) ha deciso di cambiare registro, mobilitando il centro cittadino con sette giorni di appuntamenti che riguardano non solo la musica ma anche il cinema e la fotografia. Dal 7 al 13 dicembre, dal Fortino al Cube, con eventi di grande prestigio (Puglia Night Parade in primis), Bari verrà piacevolmente stravolta, i performer potranno metterla alla prova grazie all’interazione con un pubblico ben più vasto ed eterogeneo rispetto alle annate precedenti. (www.myspace.com/controradio). È questo il senso della Puglia vincente: la voglia di provarci. È quella che ha spinto Silvio Maselli a prendere le redini di Apulia Film Commission (www.apuliafilmcommission.it), è
quella che ha spinto la Regione Puglia a investire fondi pubblici per la promozione del cinema nella nostra regione. È la razionalizzazione di un’intuizione: la Puglia vince perché ha più di un vantaggio competitivo, il cinema può diventare il principale strumento perché il resto d’Italia (e non solo) ne sia consapevole. La Puglia vince perché vincono i pugliesi. Ed è proprio questo il grande segreto di questa istituzione: aggiungere valore, e non solo economico. Da I Galantuomini di Edoardo Winspeare, mattatore a Roma, a Il passato è una terra straniera, film tratto dall’omonimo libro di Gianrico Carofiglio, passando per l’ultimo lavoro di Lina Wertmuller fino ad arrivare a Maria non gli piace, produzione italo-tedesca realizzata proprio nella nostra regione grazie al sovvenzionamento della nostra Film Commission, capace in un anno di ridurre fortemente il gap con l’analoga struttura piemontese. E chissà che non possa ambire al ruolo di migliore Commission d’Italia, magari grazie alla realizzazione (in corso) dei cineporti, veri e propri luoghi di accoglienza per le troupe ed elaborazione per scrittori, sceneggiatori, registi ed attori. La Puglia vince, e vince anche partite difficili, dove l’avversario è scorretto nella migliore delle ipotesi, subdolo, silenzioso e feroce nella peggiore. La Puglia sa portare centomila persone in piazza per dire no alla criminalità organizzata, come ha fatto il 15 marzo 2008, a Bari, in una manifestazione promossa da Libera, organizzazione guidata da Don Luigi Ciotti e nata proprio allo scopo di sollecitare la società civile sui temi della lotta alle mafie. E lo sa fare perché esistono realtà come ALNRC (Agenzia per la Lotta Non Repressiva alla Criminalità). L’obiettivo di questa struttura del Comune di Bari è costruire una strategia stabile, coerente e sistematica di prevenzione dei fenomeni criminosi attraverso misure che proteggano quelle fasce di popolazione maggiormente esposte al rischio di “cooptazione” da parte dei gruppi mafiosi. ALNRC vince perché coordina assistenti sociali e poliziotti, presidi e magistrati, amministrazione comunale e dirigenti delle carceri. La Puglia vince perché non ha paura. Forse non vince sempre, forse non tutti saranno d’accordo sul fatto che la Puglia è vincente, ma chissà cosa succederebbe se questi tre esempi diventassero un modello e un’ispirazione per tutti noi. Berardino Amenduni
UN GENIO EXTRALARGE
In poche settimane i salentini Gianluca De Rubertis e Alessandra Contini, noti con il poco ambizioso nome de Il Genio (loro dicono “meglio che chiamarsi I deficienti”) hanno iniziato a spopolare con il loro singolo Pop Porno. Dal tam tam su myspace e youtube (dove in moltissimi si sono cimentati in una parodia del video sul tavolo da biliardo) si è passati in fretta alla televisione. Da Simona Ventura e Quelli che il calcio (dove anche il sex simbol Costantino ha canticchiato il brano) al Maurizio Costanzo Show, da Le Invasioni Barbariche a Scalo 76, solo per citarne alcune, il duo è sempre più presente in video. Ma Il Genio non è solo un singolo. L’omonimo cd, già prodotto dalla Disastro Records, è approdato ad una major (Universal) ed in questi giorni è in distribuzione con la rivista XL. Davvero non male per un progetto nato per gioco nella casa milanese dei due amici e cresciuto nel corso degli ultimi due anni attraverso concerti e nuove registrazioni. De Rubertis (protagonista insieme alla sorella Matilde negli Studio Davoli) propone una dozzina di brani che funzionano, frutto di un gioco ma fatto con intelligenza. Un altro pezzo della Puglia e del Salento che questo giornale orgogliosamente racconta da circa cinque anni. Una Puglia da esportazione della quale a volte ci si dimentica. Anche se è un Pop Porno. (pila)
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FINE PENA MOI! Dai film sulla Sacra Corona Unita alla Puglia dei veleni, gli artisti raccontano un’altra regione Nel 2008 due dei migliori registi della terra salentina, Edoardo Winspeare e Davide Barletti (in coppia con il romano Davide Conte) hanno firmato due film molto diversi ma con uno stesso sfondo comune. Galantuomini e Fine pena mai raccontano storie ambientate a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 nel periodo più fecondo della Sacra Corona Unita. La quarta mafia, meno celebre di quelle siciliana, calabrese e campana (tornata prepotentemente alla ribalta dopo il caso Gomorra) ha infestato molti comuni di questa terra fino ad allora incontaminata. Nel corso degli ultimi anni si era pensato che la malavita organizzata, almeno da questa parte, fosse stata completamente debellata, grazie all’impegno della magistratura e delle forze dell’ordine, grazie alla mobilitazione generale scatenata anche in seguito alle stragi dei primi anni ‘90. Lecce e il Salento hanno vissuto i maxiprocessi, le aule bunker, i morti ammazzati per strada, la violenza, le bombe. Nel 2001/2002 gli ultimi gravi episodi di sangue nel capoluogo sembravano aver messo la parola fine. E invece, qualcosa sembra accadere. Fine Pena Mai e i Galantuomini (come in un certo senso erano stati la Capagira e Mio Cognato del barese Alessandro Piva) cercano di fare luce su quel periodo, o almeno iniziano un percorso, mentre non si fermano le attività criminali che si trasformano, cambiano, vanno sottobosco. Qualche mese fa poi a Gallipoli accade quello che non ti aspetti, un boss, da poco uscito dal carcere, Salvatore Padovano, nel frattempo diventato anche scrittore, viene ucciso nella sua pescheria in riva al mare. E si ripensa agli anni ‘80, al sangue, alla violenza.
E poi c’è il lato oscuro di un territorio (quello che nel maggio 2007 avevamo chiamato The dark side of the sud) che in questi anni forse ha deciso di mettere i suoi problemi da parte, di nasconderli come si fa con la polvere, sotto un tappeto. Ma i problemi restano lì intatti. Così anche i Sud Sound System hanno deciso di mettere la loro faccia su un manifesto (la foto la vedete in alto a sinistra) e di combattere un’altro Salento e un’altra Puglia, quella dei veleni, quella dell’inquinamento, dell’Ilva di Taranto, della centrale di Cerano, degli strani inceneritori, delle polveri sottili che, secondo i dati diramati da alcuni oncologi (il professor Serravezza su tutti) ma smentiti da altri, stanno facendo ammalare i salentini più del dovuto. Gli artisti si muovono. A Taranto, da anni, Alessandro Langiu porta avanti, a teatro e con i libri, una sua personale battaglia che sta diventando battaglia di molti. Barletti, oltre al film, ha firmato anche un documentario sulla Scu, Diario di uno scuro, in onda in questi giorni su Sky - Cult. Caparezza ha lanciato la sua hit (anche dal palco della Notte della Taranta) Vieni a ballare in Puglia che ha scatenato numerose polemiche. Insomma non è una Puglia solo vincente quella che stiamo costruendo, è una Puglia che ha pochi collegamenti aerei, dimenticata dai grandi traffici (ma ricordata da altri), una Puglia dove si muore (e molto) sui cantieri, dove la politica in molti settori è ancora freno e non volano di sviuluppo. Una Puglia che spesso perde. Una Puglia che spesso vince. L’importante è osare e non accontentarsi di un inutile pareggio. Pierpaolo Lala PUGLIA VINCENTE? 17
MUSICA
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MOLTHENI È uscito I segreti del corallo nuovo capitolo della storia musicale di Umberto Giardini in arte Moltheni, un artista complesso per l’intensità e la tavolozza di emozioni dalla quale sa attingere per comporre canzoni preziose come gemme. Vita rubina è una di quelle canzoni da conservare, quei piccoli gioielli di sincerità, poesia, e malinconia capaci di emozionare. Un biglietto da visita che ci presenta un Moltheni più intenso che mai. La progressione musicale dell’album è trascinante, affiatata al mood che pervade le sue canzoni, intrisa di una psichedelia pinkfloydiana nella parentesi strumentale Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato. La poetica di Umberto Giardini è sempre coperta da un velo d’ombra, esplora zone dolorose, indaga i rapporti, il passato e raramente offre soluzioni. Questo è il grande dono di Moltheni quello di essere immediatamente confidente, vicino e per questo quasi disarmante, la sua scrittura sa essere cruda come evocativa. Dopo le prime battute il disco sembra d’improvviso chiudersi in se stesso, cercare ancora più intimità, ecco che le tessiture musicali si fanno semplici come nel suo precedente ep. I segreti del corallo è la conferma di un artista che segue una strada che porta dritta al cuore. Abbiamo fatto qualche domanda a Moltheni... Cosa si nasconde nel corallo, o cosa nasconde il corallo, c’è sempre qualcosa nei titoli dei tuoi album che lascia spazio alle interpretazioni e resta sospeso. Cos’è per te la memoria del corallo? Nel corallo si nasconde tutto ciò che va
nascosto. L’uomo vive perennemente nel segreto, meraviglioso quello dell’amore quando accade sublime quello della conoscenza e della sapienza, che si svela solo se occorre. Per me la memoria del corallo è come fermarsi in mezzo al traffico autostradale, scendere dall’auto e camminare verso un nulla, forse migliore. Musicalmente il disco gioca con vari registri, è attraversato da un bellissimo strumentale e sembra arrivare all’osso della musica, per lasciare spazio ai sentimenti, all’espressione. Come hai visto nascere e crescere il suono di questo disco? L’ho vissuto così mentre nasceva, come modellare una creatura senza averla neppure lontanamente immaginata. Un suono naturale, pensato, ma in verità ottenuto aspettando che le cose accadessero... lavorandoci. Hai inserito due brani già presenti in Splendore terrore del 2005, regalandogli un nuovo vestito. Perché questa scelta? Perché sono due brani straordinari, e perché meritavano un nuovo vestito così come appaiono nelle performance live, dei tour precedenti e di quello attuale. La copertina e parte del disco è una dedica all’amore, ce ne parli? La cover e l’interno del packing è caratterizzata da due visi di donne sconosciute degli ‘30 e ‘40. Donne che dovevano essere ricordate anche solo per il loro sguardo delicato, perso nell’amore e nel suo significato. (O.P.) MUSICA 19
foto di Massimo Spadotto
MASSIMO VOLUME Intervista a Emidio Clementi Nel 1993, di ritorno da Bologna, un amico mi portò in dono un vinile pubblicato dalla Underground Records. Il nome della band che lo aveva inciso era Massimo Volume, la copertina raffigurava un uomo coi baffi disteso in una vasca da bagno piena di schiuma e il titolo dell’album era Stanze. Ricordo ancora l’effetto che mi fece il primo ascolto, l’impatto del suono e dei testi declamati da Emidio Clementi: un esordio aggressivo che usava la lingua italiana in un periodo di anglofonìa diffusa; una raccolta di short stories da ascoltare – appunto – alzando 20 MUSICA
il volume al massimo. Abolito il confine netto fra musica e letteratura, il gruppo convogliava la lezione di Patti Smith, Jim Carroll, Lou Reed in uno stile personalissimo destinato a maturare nel tempo. A quel lavoro sarebbero seguite altre tre uscite: Lungo i bordi (1995); Da qui (1997) e Club Privé (1999), quindi un periodo di sonno, almeno per la sigla Massimo Volume che oggi riprende quel discorso interrotto agli inizi del 2002 e si riaffaccia alle scene con un tour, probabile preludio a un quinto disco. Bentornati.
Nel 1997 Club Privé chiuse un primo ciclo della vostra storia con la frase “Chiameremo nuovi numeri e avremo altri nomi”; oggi siete tornati insieme dopo diverse esperienze come solisti, tutte a mio avviso influenzate in qualche modo dallo spettro dei Massimo Volume. Come è stato ritrovarsi il primo giorno in sala prove e poi sul palco? Più facile del previsto. I brani sono tornati a galla in fretta e con la stessa intensità di un tempo. Poi, una volta sul palco, è stato molto emozionante ritrovarsi di fronte a un pubblico eterogeneo e affettuosissimo e ricreare dal nulla quel suono che ci è sempre appartenuto e che era ancora conservato da qualche parte, non so bene dove. So che state valutando la possibilità di registrare un nuovo album, vi preoccupa più l’idea di rimettervi in gioco con del materiale inedito o di affrontare un mercato discografico profondamente mutato rispetto all’ultima volta che i Massimo Volume hanno fatto uscire un disco? Sicuramente ci preoccupa di più verificare la nostra condizione creativa. Non è nostra intenzione ripartire dal 2002, anno in cui ci siamo sciolti, ma da oggi. Il fatto che il mondo discografico sia ormai agonizzante invece non è che ci tocchi più di tanto. Mi sembra che la musica continui comunque a circolare. Editori ed etichette discografiche non sembrano più interessati a seguire il percorso di uno scrittore o di un musicista per più di un paio di uscite. Si è imposta la cultura dell’usa e getta e in generale il pubblico non sembra lamentarsi di questo andazzo deprimente. Tuttavia, il vostro ritorno sulle scene era atteso ed è stato accolto da più parti con entusiasmo. Siete fiduciosi? A volte ho come l’impressione che editori e discografici abbiano poco rispetto del pubblico. Lo trattano come se fosse una massa di idioti. Pensando di venirgli incontro puntano alla mediocrità. Ma le cose non stanno come loro pensano. Lo dimostra il fatto che un gruppo difficile come il nostro ha ampliato il suo seguito anche dopo lo scioglimento. Il pubblico non ha voglia solo di distrarsi. Seguire i consigli di certa gente, che vorrebbe smussare e alleggerire sempre tutto in nome di una maggiore fruibilità, per un artista è come scavarsi la fossa con le proprie mani.
Copyleft letterario e free download per la musica: quali sono le vostre opinioni in merito? Non ho mai avuto particolare simpatia né verso le major né verso la siae. Il fatto che la musica possa essere scambiata liberamente mi sembra una grande conquista. Anche se questo porta a volte a una certa superficialità nell’ascolto, a un overdose di possibilità. In passato avete collaborato con Faust’o, Steve Piccolo e Manuel Agnelli in sede di produzione artistica dei vostri lavori. Come vedete oggi queste esperienze? Che rapporto avete con i vostri vecchi dischi? Personalmente di profondo affetto, anche se non li ascolto quasi mai. Lo stesso sentimento lo provo verso tutti quelli che nel corso degli anni ci hanno aiutato a mettere a fuoco le nostre idee. Sono molto contento di avere collaborato con loro, artisti che ho sempre stimato e da cui ho imparato molte cose. Portereste un po’ di elettronica nel vostro suono attuale? Non credo. Ma non avendo ancora cominciato a lavorare al nuovo disco, non posso escluderlo a priori. Nel 2000 avete composto brani per la colonna sonora di Almost Blue di Alex Infascelli, quest’anno il Museo del Cinema di Torino vi ha proposto di sonorizzare dal vivo La Chûte de la Maison Usher di Jean Epstein; vi interessa ancora scrivere per il cinema? Con chi vi piacerebbe collaborare in futuro? Credo che la nostra musica si adatti bene alle immagini, ma il mondo del cinema è così chiuso in sé stesso, così asfittico, che non ci spero più di tanto in una collaborazione futura. Guarda gli autori delle colonne sonore. Sono sempre quelli. Ma vale il discorso di prima. Sono pochi i produttori che hanno voglia di sperimentare qualcosa di nuovo. Sono come i piccioni. Una volta che se ne alza uno, tutti gli altri lo seguono, altrimenti restano a beccare le briciole sullo stesso angolo di marciapiede. Nino G. D’Attis
MUSICA 21
MARTA SUI TUBI Si intitola Sushi e Coca il terzo disco dei Marta Sui Tubi, eclettica e spiazzante creatura guidata dai siciliani Carmelo Pipitone e Giovanni Gulino. Il nuovo disco della band, partita come duo ed arrivata ad essere un quartetto con l’ingresso in pianta stabile di Ivan Paolini alla batteria e in ultimo di Paolo Pischedda al piano, segna un ulteriore passo in avanti sia in termini di scrittura che di arrangiamenti e produzione. L’aggiunta del piano in particolar modo, ha arricchito profondamente queste nuove canzoni, sempre corrosive dal punto di vista lirico, ancora più deviate e trasversali dal punto di vista musicale. Inoltre, con Sushi e Coca il gruppo inaugura la propria label Tamburi Usati, l’anagramma di Marta Sui Tubi. Quello che segue è il resoconto di una chiacchierata telefonica con Giovanni Gulino, voce del gruppo, che il prossimo 20 dicembre sarà a Bari, per un’unica (per ora) data pugliese. Ho l’impressione che intorno a Sushi e Coca ci sia molto interesse, anche al di 22 MUSICA
fuori dell’ambito indie, e auspico che possa creare una breccia nella canzone italiana, invero un po’ statica. Come state vivendo queste attenzioni? Non so, per noi è un buon periodo ma non riesco ad avere l’oggettività giusta per dirti se le cose stanno effettivamente in questo modo. Se vedi le cose dal di dentro non hai gli elementi né l’esatta percezione delle cose per capire quello che ti accade intorno. Certo, è un momento molto bello e il pubblico è sempre più numeroso però, insomma, ancora non siamo diventati ricchi… (ride) Il disco esce per la label Tamburi Usati, anagramma del vostro nome. Un bel modo per dichiararsi indipendenti? Si, ma senza sbandierare i vessilli di indipendenza. Semplicemente abbiamo fatto due calcoli e ci siamo resi conto che ci conveniva così. Abbiamo vagliato diverse proposte ma non ci convincevano nel senso che, oltre a voler mantenere la nostra liberta artistica, ci premeva
mantenere un prezzo del disco basso. Cosa che con il lavoro precedente non ci è riuscita visto che c’era una struttura che ci promuoveva e che doveva trarne, anche giustamente, un guadagno. Quindi ci siamo trovati il disco a 20 euro nei negozi e ‘sta cosa ci ha veramente massacrato. L’autoproduzione ci ha permesso di vendere Sushi e Coca alla metà. Altra novità importante è l’ingresso del pianista Paolo Pischedda, il vostro fonico, in pianta stabile nel gruppo. Un ingresso ‘pesante’, visto che molti pezzi sono caratterizzati dal pianoforte. Una scelta coraggiosa per un gruppo minimale come il vostro… Si, per me è un dovere il sapersi rinnovare e il non ripetersi e questo passa anche per l’ampliamento della formazione. Ultimamente dal vivo stiamo suonando con un violoncellista. È importante che ci siano più teste, che ti aiutino ad elaborare al meglio le idee. Paolo è un musicista eccellente e ha giocato un ruolo fondamentale. Con Paolo continuiamo ad avere un sound riconoscibile, acustico e robusto, ma con in più questi interventi di pianoforte che raramente viene suonato in maniera tradizionale… Mi è capitato spesso di apprezzare il sound di alcuni dischi e poi scoprire che erano stati registrasti alle Officine Meccaniche, come nel caso di Sushi e Coca. Come è stato per voi avere a disposizione questo studio? Beh, le Officine Meccaniche sono un posto davvero particolare. Trovi tutta la tecnologia di questo mondo, ma in chiave vintage, analogica. Anche la struttura in sé è affascinante… una vecchia balera riadattata… ed è molto rock’n’roll. Nel mese che abbiamo passato in studio abbiamo incontrato un po’ di personaggi. C’erano i Klaxons che suonavano nella sala accanto alla nostra e noi li guardavamo un po’… schifati… (ride) … con la giusta dose di snobismo… Esatto! Abbiamo passato un bellissimo pomeriggio in compagnia di Gary Lucas, il chitarrista coautore di Grace di Jeff Buckley. Noi eravamo lì a cazzeggiare e c’era questo americano un po’ sfatto… abbiamo chiacchierato un po’. Gli ho chiesto con chi avesse suonato e lui mi ha detto “conosci Jeff Buckley?”…(ride). E poi vabbè, tanti altri personaggi nostrani come Capossela, Silvestri, Baustelle. Tornando alle Officine, è un posto bellissimo ed è gestito da Mauro Pagani che è un grande uomo e un grande musicista. Siamo finalmente riusciti a registrare
un disco che rispecchia il nostro modo di suonare dal vivo. In passato ci avevamo provato senza riuscirci. Passando ai testi, che sono un elemento essenziale per i Marta, ho l’impressione che la scrittura sia un po’ mutata… la trovo più aspra, spigolosa… Non so, il disco rispecchia molto il periodo immediatamente precedente alla registrazione. Non mi sembra che la scrittura sia mutata di molto. Potremmo dire che invecchiare ti fa diventare più bastardo e allora in quel senso magari si, è un po’ più aspra. Avevamo l’urgenza di comunicare determinate cose e dirle con una certa veemenza, per cui certe canzoni sono un po’ cattive, dirette. Parlando di Sicilia, qualche tempo fa avete partecipato al doppio cd del manifesto 26 Canzoni per Peppino Impastato, nel quale avete musicato una sua poesia. Mi racconti quell’esperienza che ci ha svelato l’incredibile sensibilità artistica di Peppino? Anche per noi è stata una rivelazione. Dopo la riscoperta, grazie al film I Cento Passi, Peppino è diventato un simbolo della lotta contro il potere mafioso. Poi una cosa di non poco conto è che Peppino è nato e vissuto ad una sessantina di km da casa mia dunque ho potuto ben immaginare il contesto nel quale si muoveva e questo ce lo ha fatto sentire naturalmente molto vicino. Recentemente abbiamo avuto la possibilità di conoscere il suo grande amico Moffo che ci ha raccontato tante cose su Peppino. Ci ha anche confermato che il film I Cento Passi si basa su una visione molto romanzata della sua vita. Tutto sommato una cosa normale e non intacca minimamente e il coraggio e la grandezza del suo insegnamento. Tornando al cd, ricevemmo una telefonata da Giuseppe (Fontanella, chitarrista dei 24 Grana e direttore artistico del progetto, ndr.) che ci prospettò l’idea di questo tributo. Per noi è stato bellissimo, una sorta di full immersion nella sicilianità. Le poesie di Peppino trasudano sicilianità. Cos’è la sicilianità? Per me è una specie di particolare e intima gestione del silenzio, che porta a considerazioni e comportamenti a volte spropositati ma spesso genuini, nel bene e nel male. Ilario Galati
MUSICA 23
FRANZISKA
Con più di dieci anni alle spalle i Franziska sono sicuramente una delle band reggae italiane più conosciute all’estero. dopo due anni ricchi di successi e riconoscimenti ci raccontano il nuovo suono, quello del passato e quello di sempre. Per presentare Action, il loro nuovo album, abbiamo parlato con Ciccio Bolognesi, percussionista della band. Miglior band europea all’ European Contest del Rototom Sunsplash nel 2007; una tourné che ha toccato paesi come la Francia, il Belgio, l’Olanda e la Germania; il singolo The Herb che precede l’ultimo lavoro Action votato miglior brano al Global Marijuana Music Award nel 2008... Insomma due anni incredibili... Ce li racconti? Esattamente, due anni incredibili… A parte i premi vinti, che sono dei riconoscimenti che danno molti stimoli, sono stati due anni di tante esperienze che ci hanno formato ancora di più come musicisti e come band e che ci hanno preparato alla registrazione di Action. L’ultimo lavoro vede ospiti del calibro di Sean Martin degli Smoke, Freddie Mc Gregor, Bunna degli Africa United... Il respiro è quello internazionale... che ci dici di queste collaborazioni? 24 MUSICA
Durante gli anni si sono create molte amicizie con altri artisti, soprattutto in l’Italia, così ci siamo trovati con Bunna, ad esempio, per continuare la collaborazione iniziata con l’ultimo album di Africa Unite, 4 Riddims 4 Unity, su cui abbiamo realizzato due tracce. Sean Martin fa parte della famiglia Smoke, una band interamente di amici e con cui ci sono da sempre collaborazioni. Così anche per Lathly e High Priest, tutte figure dei nostri “giri”. Per Freddie McGregor la strada è stata diversa, siamo andati a trovarlo in occasione di una sua data dalle nostre parti, gli abbiamo fatto ascoltare i provini del disco nuovo, che gli sono piaciuti molto, ed il nostro ri-arrangiamento della sua Big Ship, che lo ha entusiasmato e convinto a partecipare al nostro disco. Per noi sicuramente un grandissimo riconoscimento. Mi piace anche ricordare quella schiera di musicisti che hanno dato il loro apporto alla riuscita di questo progetto discografico. Viene riconfermata la volontà di cantare interamente in inglese. Perché? Cerchiamo di condividere dei messaggi universali, per cui cerchiamo di rivolgerci a più persone possibile in tutto il mondo, e l’inglese è la lingua che più facilmente e più direttamente ci permette di raccogliere una “massive” omogenea in tutte le parti del mondo. E poi si
adatta sicuramente meglio al nostro suono, dalla matrice molto black. E poi Roddy ha imparato il patois durante gli anni di innamoramento verso questa musica ed il suo stile è bello così, non sarebbe giusto snaturare le cose. Avete realizzato un disco che mescola sapientemente reggae, dub, new roots e dance hall in un mix che alla fine risulta potente e gradevole. Ci sveli la formula vincente dietro questa alchimia? Il segreto è fare quello che ti piace fare! Cerco di spiegarmi meglio… siamo un collettivo di ormai dieci persone che suonano questa musica per gusto personale. Siamo tutti musicisti ognuno con la propria formazione, che spazia dal jazz al latin e quant’altro, ma tutti uniti dalla passione per questa musica: il reggae. Inteso in tutte le sfaccettature che questo può avere, per cui passando da episodi più suonati e più melodici, che possiamo definire nu roots, ad atmosfere elettroniche e molto danzerecce, secondo quello che è anche lo stile dance hall contemporaneo. E poi siamo innamorati del dub, per cui non potremmo mai rinunciarci né dal vivo né in studio… per questo sono nate le bonus track del disco, tre dub version di tre pezzi dell’album in cui abbiamo sfogato i nostri istinti… E poi siamo noi per primi i fruitori di questa musica,
andiamo spesso a vedere e soprattutto ad ascoltare concerti insieme, studiamo i musicisti e gli arrangiamenti, cerchiamo di carpire quegli elementi riproducibili poi sul nostro suono e nelle nostre canzoni; ci troviamo anche spesso nelle dance hall del milanese proprio perché questa musica ci piace anche nei momenti ricreativi. Non mancano tematiche sociali piuttosto scottanti... Sinceramente, quanto c’è di riscontrabile in un contesto del tutto italiano? Nelle nostre canzoni parliamo di quello che vediamo intorno a noi, cercando di raccontare e di parlare di valori universali. Partiamo dal nostro quotidiano per provare a capire le problematiche che affliggono il mondo in cui ci troviamo a vivere, e che dovremmo imparare a rispettare tutti un po’ di più. Il contesto è quello worldwide, ma sono tutti spunti riscontrabili anche nel nostro Belpaese. È anche importante a volte non limitarsi a guardare solo il proprio orticello, ma capire che viviamo in un contesto sociale ben più complesso, in cui c’è bisogno dell’apporto di tutti per salvaguardare il nostro ambiente e le nostre vite. Alessandra Caricasulo
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ALESSANDRO GRAZIAN Tre anni dopo il suo esordio con Caduto, il cantautore padovano Alessandro Grazian torna con Indossai, sempre per la curiosa Trovarobato, etichetta che fa capo ai Mariposa. Undici tracce non banali per un cd ricco e ostico (ed è un complimento). Com’è nato questo nuovo lavoro? Il nuovo disco è nato dalla necessità di ridefinire i miei confini. Tre anni fa, nei giorni in cui usciva il mio disco d’esordio, ho cominciato subito a mettere a fuoco alcune nuove idee. Indossai è un disco che fotografa un progetto di scrittura per certi versi slegato dalla dimensione intima del precedente, inoltre ho messo a nudo le mie passioni musicali non proprio contemporanee. Quali sono le differenze tra Caduto e Indossai? Le differenze penso siano molte, anche se tra i due dischi esiste un comune denominatore. Caduto è un disco a suo modo scarso ed intimo, fondato sull’autoreferenzialità, mentre Indossai è un disco d’impianto più sinfonico. In Indossai le urgenze di contenuto si fondono con urgenze musicali molto più forti. Le tue canzoni richiamano alla tradizione cantautorale italiana e francese, quali sono (se ci sono) i tuoi punti di riferimento? Ho sempre ascoltato molta musica perciò i riferimenti sono molteplici. Certi generi musicali e certi autori non hanno influenzato direttamente l’estetica di quello che faccio ma sicuramente hanno contribuito a forgiare l’attitudine con cui compongo. Ovviamente mi piace certa musica che rimanda alla vulnerabilità, musica dai tratti più intimisti. Dovendo fare pochi nomi potrei citare Nick Drake, Jacques Brel, Sergio Endrigo, ma adoro anche le composizioni di Ennio Morricone e le canzoni dei Beatles; inoltre da ragazzino ascoltavo rock’n roll. Una delle tue caratteristiche è rappresentata dall’uso di una lingua molto ricercata, attenta alle parole e alle figure retoriche. Come mai? Per me le parole sono importanti, sia per il contenuto che per la forma: il fatto che canto in italiano mi spinge a scrivere qualcosa che non sia scontato e così cerco di evitare certe soluzioni in favore di altre meno ovvie. Le parole meno comuni mi piacciono da sempre. (pila) MUSICA 27
BODIES OF WATER A Certain Feeling Secretly Canadian
SOULFLY Conquer Roadrunner Records
Osannati dalla critica, i Californiani confezionano pezzi memorabili, deliziosi arrangiamenti, sfoggiano un irresistibile cantato ed un sorprendente eclettismo di forme; surfisti sulla cresta dell’onda cavalcata da neofiti come ArcadeFire o WolfParade e vecchie glorie come Morricone e Bowie, realizzano un mosaico che unisce tessere di 50 anni di rock. Uno solo è il problema: le suite assumono spesso le dimensioni di psycho-jam sessions in cui gli azzeccatissimi giri e le melodie tendono ad essere portati alle lunghe risultando, ahimè, tediosi. Se soltanto si evitasse qualche eccessiva ripetizione, lo spirito delle canzoni risalterebbe nel suo splendore, come accade agli unici episodi con un compiuto senso della misura: i primi due, cinematici e multi-gravitazionali, e HeavenInACage, catarsi SonicYouth-iana seguita da un fugace coro di pulsioni esotiche. Se si ascolta un po’ qui un po’ li, è un vero capolavoro; se si ascolta tutto di un fiato, la sua magniloquenza risulta prolissa e annoia. Bravi, però. Tobia D’Onofrio
I Soulfly sono tornati con un disco ben suonato e ben scritto, quasi un omaggio a certe sonorità del passato che stanno tornando alla luce. Il clima generale del disco affonda, infatti, nel death. Ben prodotto ed arrangiato, ancora condito da tipici stacchi roots, pur tuttavia è lo stesso death che era alla base di lavori come Arise e Chaos A.D. Ma è meglio chiarire subito: i Sepultura sono distanti, ma mai come questa volta sono stati così influenti sulla scrittura delle tracce che compongono “Conquer”. Non il migliore album dei Soulfly, forse incapaci di ripetere la qualità dei primi due lavori, ma comunque un disco piacevole da ascoltare e ben strutturato. Se poi vogliamo vederla in un altro modo… probabilmente questo è il migliore album che i Sepu non hanno mai scritto da dieci anni a questa parte e sicuramente anch’esso farà discutere. Tutto sommato è un nuovo irrinunciabile capitolo per tutti i fan di Max, che di certo leggeranno questa recensione dopo aver già acquistato l’album. Per gli indecisi sarà sufficiente sapere che, restando gli standard compositivi dell’autore sempre al di sopra della media, la vena è decisamente thrash e il piede spinge spesso sull’acceleratore. Camillo “RADI@zioni” Fasulo
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BORN RUFFIANS Red, Yellow and Blue Warp
La Warp ha prodotto un album strumentale di art-rock che, con attitudine anarchica, mischia e rilegge ogni influenza alla luce di una brillante vivacità. La sensibilità folk pervade questo disco un po’ British, un po’ garage, un po’ indie.. un sound scarno e minimale alla Violent Femmes costruisce acrobatiche impalcature; una sorniona sensualità ipnotica e ritmica, strizza l’occhio agli anni 80 dei Police (InAMirror, FoxesForever, RedElephant) e con disinvoltura dà vita a trascinanti grooves; iniezioni di power pop ultraminimale (Hummingbird); Dylan, blue collar, roots americano con acide parti vocali (LittleGarçon); stramberie alla Pixies, come in KurtVonnegut, dall’andamento roboante e galoppante prima, ritmico e melodico alla T.Heads dopo. Certo è vero che dove i V.Femmes puzzavano di strada, qui i Nostri puzzano ancora di latte… ma i pezzi sono contagiosi (HedonisticMe) e vi rapiranno senza dubbio alcuno. Hanno un gran talento questi quattro semplici furbacchioni canadesi. Oh, quasi dimenticavo… long live Canada! Tobia D’Onofrio
TV On The Radio Dear Science Interscope, 4AD
Il collettivo multirazziale di Brooklyn è dedito a un mix di elettronica, formato canzone, e black music. I riferimenti più prossimi sono le soundscapes di B.Eno, il pop di P.Gabriel e Bowie e l’eclettismo di Prince, ma il sound è connotato da stramberie electro, free, noise e indie-rock dagli accenti spigolosi e fragorosi, al limite dello shoegaze. In questo terzo capitolo, molti angoli sono smussati, la voce è il baricentro delle canzoni e gli strumenti innalzano un wall of sound di dimensioni Spector-iane, senza risultare eccessive. La forte componente black si esprime con i linguaggi del soul, del funk e dell’hip-hop. I momenti intimisti sono viaggi interstellari (Dlz) mentre le tracce più ritmiche (il break-beat di Dancing Choose) sono vortici da dancefloor. Il disco sembra concepito per il grande pubblico, è più uniforme e compatto, forse prodotto meglio di quelli precedenti; ora andrebbe incrementato l’aspetto cantautoriale, ma trovare il pelo nell’uovo non si addice alla caratura di un grande album come questo. Tobia D’Onofrio
B. FLEISCHMANN Angst is not a weltanschauung Morr music
Come al solito Fleischmann si conferma una delle punte di diamante della Morr Music, ogni sua uscita è un istituzione nel catalogo Morr, e lo è anche questo Angst Is Not A Weltanschauung: nove tracce di ottima fattura
elettronica, come nella migliore tradizione dell’artista viennese. Si conferma un punto di riferimento dell’ ‘altra’ elettronica, ricordando chi è stata e cosa ha prodotto negli anni la Morr, se per caso qualcuno se ne fosse dimenticato, complici le ultime variabili uscite dell’etichetta berlinese. Il titolo è eloquente: wikipedia dice che Weltanschaunng “esprime un concetto di pura astrazione che può essere restrittivamente tradotto con visione del mondo’’, e sicuramente il caro Fleischmann riesce a darci una visione del mondo soffice e delicata con tutte le sue tracce di classica indietronica fatta superbamente. Non esiste una traccia particolarmente più bella delle altre, sono tutte particolarmente belle nella loro diversità. Non è l’album
della maturità, se mai, arrivati a questo punto, della maturità né è l’abbondante conferma. Gli stili cambiano, la musica si (d) evolve i gruppi spuntano come funghi e spariscono dopo un annata, le ‘istituzioni’ restano. Federico Baglivi
MALIKA AYANE Malika Ayane Sugar
Il mondo del lavoro anglosassone si basa su un concetto: reputazione. Solitamente ci si costruisce la reputazione attraverso le raccomandazioni, ma non nell’accezione italiana, tutta clientelare. Le raccomandazioni di Malika Ayane (malììkaiàn è la pronuncia, e lei ci tiene a sottolinearlo sul suo Myspace), cantante milanese di origine marocchina, studentessa di Conservatorio, già voce alla Scala di Milano si chiamano Paolo Conte, Caterina Caselli, Ferdinando Arnò, Pacifico e Giuliano Sangiorgi. L’Avvocato di Asti si è dichiarato addirittura fan di Malika, sciogliendo per una volta quell’aurea di austerità che da sempre ne fa una sua cifra stilistica e umana; MUSICA 29
Caterina Caselli è diventata la mammasantissima del pop italiano: se lei sceglie, è legge. E lei ha scelto: Malika è entrata in casa Sugar. Ferdinando Arnò è il nome che forse dice meno di tutti, ma è quello che forse conoscete meglio: quando passa un automobile in tv con una bella base di sottofondo, è quasi sempre merito suo. Pacifico è uno dei musicisti italiani più sottovalutati d’Italia. Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, mutua con Malika l’investitura della Caselli. Queste raccomandazioni non si fermano sulla carta: Paolo Conte scrive “Fandango”, Caselli e Arnò producono, Pacifico collabora in “Sospesa”, che fa capolino nelle radio da qualche mese, Sangiorgi è l’autore di “Perfetta”, il punto più alto dell’album d’esordio. Con tutte queste raccomandazioni, è quasi lapalissiano dire che stiamo parlando del migliore album pop italiano dell’anno. Ma di gran lunga. Anche perché, ok le raccomandazioni, ma lei canta da dio. Berardino Amenduni
MUNK Cloudbuster Gomma
I Munk escono con questo nuovo lavoro Cloudbuster a fine 2008. Si avvalgono di collaborazioni importanti, su tutte quella di Asia Argento 30 MUSICA
che gli presta la voce su alcune tracce. Ma in definitiva il disco non lascia il segno. Un insieme di generi, che a volte faticano a stare insieme. E’un pò di tutto, dalla dancefloor alla minimal con impulsi presi in prestito dal rock, ma rischia di essere niente. Probabilmente si è rischiato, poteva andare bene sfondando un filone che potrebbe fare anche proseliti, ma c’è il rischio che vada anche male, sfondando per l’appunto, una porta aperta e sfociando cosi nell’anonimato di centinaia di uscite simili. Tuttavia resta un disco di ottima fattura che troverà spazio nei nostri prive d’elite. Federico Baglivi
NO AGE Nouns Sub Pop
Una sparata corsa shoegaze di due minuti scarsi introduce gli enfant-prodige in casa Sub Pop. Simile l’incipit di Eraser: poi, sorprendentemente, i No Age alzano il tiro, sguinzagliando la decisa componente garage-punk che tende a connotare l’intero lavoro. Nasce una miscela esplosiva, un originale ibrido tra melodia pop, i My Bloody Valentine, il punk californiano, l’emo ed il garage. Reminiscenti dei Dinosaur Jr, talvolta emuli di artisti britannici, i due ragazzi californiani dispensano la loro adolescenziale aggressività, stemperandola
con una vena creativa esplosiva e traducendola in velocità, rumore e parti vocali alla stregua di veri e propri anthems. Sui momenti dilatati e introspettivi prevale una propensione a contorcere le note in soniche galoppate, ed affogare in tribali e cacofonici baccanali, oppure dentro sature nuvole di rumore. Un risultato genuino e travolgente, una sincera ispirazione, un sound potente e stratificato che magicamente lascia emergere i suoi gioielli, soltando dopo ripetuti ascolti. Tobia D’Onofrio
DEERHOOF Offend maggie Kill rock stars
La band di San Francisco, più in forma che mai, dopo circa un anno di distanza dal precedente Friend Opportunity, ritorna per proporre un nuovo affascinante album. Il quartetto capitanato da Satomi Matsuzaki (bassista, voce fanciullesca…) realizza quattordici tracce di gradevole sperimentazione indie. La linea melodica, certamente più presente che nel passato, interagisce con giochi introversi. Incontri fra loop, on e off, interferenze noise, cantilene teen, funky wave su tappeti volanti post-rock, una giostra di vivacità aggressiva dove è difficile non restare coinvolti. In questo paesaggio ritroviamo
canzoni come The Tears And Music Of Love, ottima track d’apertura di pura espressione indierock, l’ossessionante e originale alterative pop di Basket Ball Get Your Groove Back, l’adrenalinica Eaguru Guru, la provocatoria e sperimentale noisetronica This is God Speaking, e per ultima la mutevole e visionaria Jagged Fruit. Un disco molto piacevole, consigliato. Livio Polini
PSAPP The Camel’s Back Domino
Dietro il nome Psapp si nascondono due talentuosi artisti inglesi, Carim Clasmann (chitarrista, produttore) e Galia Durant (voce, tastiera, violino). Il duo in passato è divenuto famoso per aver prestato delle canzoni al mondo dei telefilm americani di successo. Sono inoltre noti per aver sviluppato un certo tipo di pop elettronico. The Camel’s Back, il loro terzo disco, appare fin dai primi ascolti un lavoro ben riuscito, ricco di stile, probabilmente più sobrio rispetto al passato. Un album più maturo, ma non per questo meno originale, indubbiamente differente. L’impronta elettronica appare così meno invadente ma sofisticata, ricca di campionamenti, glitch, effetti micro, suoni di tastiere
FRANCESCO DEL PRETE Corpi D’Arco Italy Music
Tutta la musica che c’è in cinque corde, perché l’importante è quello che hai in testa, al resto si pensa la tecnica o la tecnologia. Quante sfumature ha una melodia? È come chiedere a un pittore quante sfumature ci sono nel celeste. Celeste, lo stesso colore del violino protagonista di questo disco. Dietro di lui, con lui, parte di lui, corpo e anima del progetto è Francesco del Prete, eclettico musicista salentino. Fare suonare uno strumento come fossero dieci, orchestrare uno strumento, moltiplicarne le possibilità, catturare suoni per riprodurli in sequenza è una tecnica chiamata Loop. Oggi molto usata nell’ambito dell’elettronica, in passato la Loop machine è stata utilizzata e resa famosa in ambito “rock” dal chitarrista dei King Crimson Robert Fripp e nella musica “colta” da compositori come Steve Reich e Terry Riley. Francesco la sceglie per amplificare il suo violino, per farlo diventare una band. E lui è one man band, esploratore delle musiche, delle possibilità della musica. La sensibilità acquisita negli anni, anche attraverso il suo percorso musicale trasversale, si riversa in questo disco che gioca con richiami classici e si innesta in panorami contemporanei di assoluta fruibilità. Rischio in operazioni di questo tipo è la facile scivolata nello sterile virtuosismo. Francesco, nonostante le doti tecniche rare, riesce a esprimere equilibrio e una grande comunicatività melodica, operazione a tratti anche ironica (ricordate i Penguin cafè orchestra di Telephone and rubber band?). Sa insaporirsi di atmosfere esotiche in Bungee jumping in coppia con il bravissimo sassofonista Raffaele Casarano, oppure diventare elettrico come chitarra e basso in un tango tutto speciale (Rosso di Tango). Sembra di fare un giro dalle parti Django Reinhardt (Il graffio) per poi inerpicarsi su percorsi emotivi (Arpeggio di lune) da colonna sonora (Yann Tiersen). Sogna fiore mio è la dimostrazione che basta pochissimo, un violino pizzicato e una voce (Sandra Caiulo) per tessere trame nuove alla tradizione. E il viaggio continua in bilico tra classicismi, sperimentazione, jazz, avanguardia e salentinità (La pizzica del prete). Oltre ai già citati ospiti del disco sono in alcune tracce: Ovidio Venturoso alla batteria, Riccardo Laganà al tamburello e Matteo Bortone al contrabasso. Il resto è solo Francesco e il suo violino. Osvaldo Piliego MUSICA 31
giocattolo, apparentemente più minimale, lasciando spazio ad un lato acustico e folk, all’incontro con la tradizione. Splendida la voce di Galia, perfettamente in sintonia con lo stile. Tra le canzoni spicca Somewere There Is A Record Of Our Actions. Decisamente un buon disco. Livio Polini
i più noti Animal Collective, con Woodbine abbiamo un ambient dalle sfumature quasi impercettibili. Qualche traccia più avanti troviamo Group Transport Hall, in vero stile anni sessanta, con Flashlights il rumore acquista una grande dignità. Da giudicare solo dopo ripetuti ascolti, un disco di carattere. Livio Polini
WOMEN Women Jagjaguwar
MARILLION Happiness is the road Intact records
convenzionali. Il secondo capitolo dell’opera The Hard Shoulder è invece una raccolta di brani che rimarca l’esperienza pop dello scorso Somewhere Else, disco fortemente criticato dai fans storici perché ritenuto eccessivamente commerciale, con brani prettamente radiofonici come il singolo Whatever Is Wrong With You, pop-rock incalzante con riff immediato. Nel complesso un lavoro che conferma, dopo il periodo incerto del disco precedente, le capacità di una band che mantiene sempre alto il livello qualitativo delle proprie produzioni. Enrico Martello
DOMENICO PROTINO Domenico Protino Warner Music
Primo ed omonimo album per il quartetto canadese Women, trenta minuti di pura e ribelle espressione artistica, distorsione e contaminazione in scenari lofi, dove apprezzabili melodie pop abbracciano incontrollate aggressività noise. Provate ad immaginare i Jesus and Mary Chain insieme ai Pavement e ai Love. Proposto inizialmente solo per il mercato canadese dall’etichetta Flemish Eye, questo disco, dopo pochi mesi, è stato scoperto e riproposto ad un pubblico più largo dall’etichetta Jagjaguwar. La registrazione, volutamente vintage e in bassa definizione, è ad opera di Chad VanGaalen. La prima canzone è Cameras, un intro che lascia apprezzarsi già da subito, un garage pop della durata di un solo minuto. Con Lawncare sembra di sentire 32 MUSICA
Sono passati esattamente trent’anni da quando i Silmarillon, progetto embrionale di questa storica prog-rock band, riempivano la sala del Marquee Club, tempio del progressive londinese. Nel corso di questa lunga carriera i Marillon hanno viaggiato sulle frequenze del neoprogressive accanto a nomi come Genesis e Vander Graaf Generator fino a giungere a soluzioni più popindie grazie all’ingresso del cantante Steve Hogart al posto di Fish nel 1988. Happiness Is The Road, ultima fatica del quintetto scozzese, consta di due cd che costituiscono due concept album ben distinti. Il primo Essence è incentrato su una forte semplicità compositiva dettata da brani particolarmente semplici all’ascolto ed arrangiamenti tanto pregevoli quanto
La musica italiana cerca nuove vie ma non nasconde e non può nascondere la sua più sanremese natura melodica. Ovviamente non tutte le melodie sono uguali e non tutti i cantanti riescono a coniugare il rock con testi semplici e diretti. Domenico Protino, cantautore trentunenne brindisino, cerca questa strada con il suo primo omonimo album licenziato dalla Warner (mica male per un esordio). Arriva alla lunga durata dopo aver ottenuto interessanti riconoscimenti come il Premio Lunezia e la prestigiosa partecipazione – come unico rappresentate italiano – e il Premio come miglior autore al Festival di Viña del Mar in Cile. In Sudamerica Protino ha presentato il primo singolo di questo cd, La guerra dei trent’anni. È il primo di 10 brani che scorrono tra rock schietto, linee melodiche “classiche” e delicate ballate. (pila)
AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Oasis – I’m outta time
Secondo singolo da Dig Out your soul, settimo album di studio della miglior band del mondo, almeno a detta del suo nuovo leader, Noel Gallagher, capace di spodestare suo fratello Liam a colpi di solidità tecnica e lirica. Ma c’è proprio la firma di quest’ultimo sul brano più beatlesiano, e quindi più oasisiano, del lavoro meno immediato e forse più prescindibile del quartetto di Manchester. Si dice che siano cresciuti, che siano meno arroganti. A febbraio hanno ben 5 date in Italia: avrete voglia di correre il rischio di andarli a vedere, dopo celebri esibizioni durate venti minuti? Dido – Don’t believe in love Eccola qua, dopo 5 anni dal precedente lavoro e dopo 3 di gestazione. È tornata Florian Cloud de Bounevialle Armstrong (ora capisco perché ha scelto un nome d’arte da quattro lettere…), dopo che i suoi brani sono stati tirati a lucido da Brian Eno, ?uestlove (The Roots), suo fratello Rollo (Faithless). E’ tornata Dido, bionda, eterea, britannica come sempre, con un brano furbetto e un ritornello uptempo, per lo meno rispetto al suo solito. Un singolo strategico, buono per le radio ma che lascia la porta socchiusa per qualche esule dalla musica commerciale, tentato ad avventurarsi in Safe trip home, il tormentato nuovo album. The Killers – Human Non prendiamoci in giro, questa Human è una delle canzoni più trash della storia del sedicente alternative rock. La band di Las Vegas suona come i Pet Shop Boys reduci da un corso di
aggiornamento a casa Scissor Sisters (Brandon Flawers, il leader, mi abbuona i Pet ma li accosta a Johnny Cash tra le sue ispirazioni del periodo: i lettori, ne sono certo, non si bevono questa storia). Non vorremmo mai aspettarci una roba synth-pop da sedicenti quasi-metallari. Eppure, tutti a ballare: la canzone è perfetta nel senso chimico della parola. È praticamente impossibile trovarla sgradevole. Anche per chi non è abituato a sedicenti gruppi musicali ed è più avvezzo alla musica da club. The Rascals – I’ll give you sympathy Prendi gli Arctic Monkeys, innalzali a tuo personale punto di riferimento, diventa il leader di una formazione talentuosa, fatti amico il leader delle Scimmie, crea con lui un duo (i Last Shadow Puppets), fatti accompagnare da un’orchestra di settanta elementi durante i live. E, da-dan, non avrai bisogno di investire una sterlina per la promozione del tuo primo album. Complimenti a Miles Kane, che probabilmente non avrà premeditato ogni singola mossa di questa fantasiosa ricostruzione, ma che ha sicuramente tratto giovamento dalle sue frequentazioni. Se solo fosse nato prima degli Arctic, avremo gridato al miracolo. Invece, ci accontentiamo di un eccellente falso d’autore. Jason Mraz – Make it Mine I’m yours era quello che un certo tipo di pubblico cerca d’estate per farsi cullare, con la scusa che è una canzone un po’ meno gradita dalle grandi masse. È la storia dei tormentoni intelligenti (chi non ricorda l’incredibile ovazione per My friend dei Groove Armada?). Era il primo singolo di Jason Mraz, cantante originario della Virginia, che con questa eccellente Make it mine dimostra di non essere solo fuffa attraverso un improbabile mix tra surf-pop e french touch. Biarritz music. Berardino Amenduni
JAY BRANNAN Parlando di Jay Brannan, cantautore e attore di culto (almeno per il momento), non si può fare a meno di tirare in ballo il termine forse abusato “carisma”. Sia sul palco, sia in una veloce quanto divertente conversazione poco prima del suo concerto romano all’Init, un locale per “carbonari”, Brannan ci ha dato l’impressione di avere un carattere e una personalità molto forti. Sarà che è abbastanza abituato a fare tutto da solo, sarà che ha fatto tesoro delle sue esperienze professionali, ma questo ragazzo di 26 anni – sguardo limpido e stretta di mano vigorosa, sa benissimo quello che vuole. Ci scherza su, come quando gli chiediamo se si considera un attore o un cantautore - «Nessuna delle due cose!», risponde ridendo – ma poi diventa serio e ci dice che cercherà di fare sia l’uno che l’altro. Cosa che, va detto chiaramente, gli riesce benissimo. Come avrete constatato voi stessi se avete visto Shortbus, il cult movie di John Cameron Mitchell in cui Jay interpreta uno dei ruoli più impegnativi e scabrosi (Ceth, una sorta di angelo erotico e gentile) o se avete avuto l’occasione di ascoltare qualcuna delle sue canzoni. Il suo amore per l’indipendenza lo ha portato fra l’altro ad entrare in polemica con Wikipedia, che Jay ha diffidato dal mantenere in rete una biografia che a suo dire era piena di errori e troppo incline ad etichettarlo come gay. La bio c’è ancora, ma ora sembra abbastanza corretta. Diversa, certo, da quella che Jay ha scritto per il suo sito (www,jaybrannan.com) e che comincia così: «Jay Brannan è nato sotto una pietra nella parte più fredda dell’Himalaya, dove fu cresciuto da monaci trappisti che gli insegnarono a mantenere la temperatura del corpo senza bisogno di cibo e vestiti attraverso un’intensa meditazione e una forte abitudine al bere. Subito dopo il suo primo compleanno subì una morte pittoresca e dolorosa a causa di un leone di montagna affamato che non era molto bravo a meditare e aveva bisogno di uno spuntino abbondante. Dopo non troppo tempo però lo spirito indomito di Jay ricomparve nel Texas meridionale in una famiglia che in realtà voleva una bambina. In un modo o nell’altro ebbero ciò che volevano, ma il compromesso sembrò più controverso dell’originaria delusione (…)». E via così. Con un sense of humour che batte quasi sempre sul tasto di un costante conflitto con l’autorità. Un altro esempio? Il breve testo che compare sul Polaroid EP messo in vendita in rete: «Una delle cose più importanti che ho imparato nella vita fino ad oggi è seguire il mio istinto. Questo mondo è pieno di gente cui piace dirti cosa puoi e non puoi fare, e come puoi o non puoi farlo. Ho passato la mia intera esistenza a dimostrare che questa 34 MUSICA
gente si sbaglia. A coloro che vedono cosa io non sono in grado di fare – grazie per credere in me». Con buona pace dei texani tutti d’un pezzo e guerrafondai – un nome a caso: George W. Bush – Jay Brannan è nato proprio nello stato della stella solitaria, salvo poi aver viaggiato in lungo e in largo per tutta la federazione, dalla California a New York, seguendo quell’attitudine quasi metafisica al vagabondaggio che Jack Kerouac ha descritto così bene in On the Road. Il giro di boa in questo inquieto e costante spostarsi è il film di John Cameron Mitchell, in cui Jay canta e suona un brano poi incluso nella colonna sonora. Fino a quel momento non scriveva ed è stato proprio con Shortbus che ha cominciato a farlo seriamente. Sulla spinta del suo (relativo) successo – da noi in Italia è già un miracolo che in questi tempi di integralismo sia arrivato nelle sale per poi essere distribuito su dvd con un noto settimanale – Jay ha utilizzato la rete per distribuire le canzoni che man mano scriveva. Anche l’etichetta con cui ha fatto uscire Goddamned (attenzione: è un piccolo capolavoro) è sua ed è frutto della stessa volontà di indipendenza «Ho avuto contatti con un paio di case discografico, ma ammesso che qualcuno volesse partecipare al naufragio, mi avrebbe imposto dei cambiamenti e io voglio fare sempre e comunque di testa mia». Il risultato è uno dei dischi d’esordio più riusciti del 2008 – come del resto quello di Scott Matthew l’altro cantautore di Shortbus – esempio di come si possa reinventare una tradizione che è talmente forte da venir respirata e vissuta quasi inconsapevolmente. Quando gli facciamo qualche nome di riferimento – Jackson Browne o Joni Mitchell – Jay ammette di conoscere solo Blue, che peraltro racchiude tra i suoi splendidi brani la quintessenza di uno stile che ha profondamente segnato la canzone d’autore d’oltreoceano. In Blue Joni Mitchell cantava di amore con toni sinceri e spesso dolenti; Jay Brannan preferisce forse l’ironia, ma è altrettanto incapace di nascondersi dietro un mestiere. Ecco dunque Housewife, che il pubblico attento dell’Init conosceva già a memoria, ed ecco Goddamned: due facce di una scrittura che si muove tra (auto)ironia e utopia, due facce comunque credibili per un artista di vero talento. Che poi siamo ancora in pochi a saperlo fa parte del cahier des doleances che da troppo tempo siamo costretti a compilare e sfogliare. Jay Brannan ci insegna tuttavia – con la leggerezza e la grazia che gli appartengono – che vale sempre la pena di battersi contro l’oscurità e l’ignoranza. Giancarlo Susanna
DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse Monkey – Monkey Bee
Non hanno molto bisogno di spinte. Stiamo parlando di Damon Albarn, un genio assoluto, capace di saltellare tra i Blur e i percussionisti del Mali fino a cambiare le regole del pop contemporaneo con il progetto Gorillaz, e Jamie Howlett, che a quel cambiamento di regole ha pesantemente contribuito disegnando una band. Ma disegnandola nel vero senso della parola: chi ha mai visto i veri volti dei Gorillaz, in fondo? Le premesse spiegano già tutto: i due, evidentemente annoiati dal logorio della vita moderna, decidono di riscrivere una novella cinese del sedicesimo secolo e tirar fuori uno spettacolo teatrale ed un album. Rigorosamente in cinese. La BBC decide di lanciarli per gli spot olimpici. Sì, vogliono cambiare un’altra volta le regole del pop contemporaneo. Black Mountain – Wucan Ci vuole coraggio a chiamare un album In the future e lanciarlo con un brano inedito dei Doors. In verità non c’è niente di male nella filologia spinta, quando i livelli della produzione musicale sono così alti: la critica musicale si è spesa per incensare il quintetto canadese protagonista della scena prog del loro paese e noi non possiamo che accodarci e sognare un mondo migliore in cui brani da sei minuti ed un secondo possano trovare cittadinanza in una qualsiasi radio, in barba a tutte le regole, solo perché belli. Estremamente belli. Milez Benjiman – chop that wood Quando decidi di affidarti a bassi così potenti, o sei un visionario o un pazzo. Potete immaginare quale teoria sposare: il funk del futuro è anche qua, in questo ragazzotto di Chicago che non disdegna affatto l’elettronica ma che anzi, affida ai sintetizzatori la pesante eredità della Motown nel suo percorso
artistico. Questa è la vera scommessa del mese: solo 25000 visite sul suo Myspace, nemmeno una paginetta su Wikipedia. Se volete provare a fare i fighi con gli amici, segnatevi questo nome. Nella peggiore delle ipotesi, se ne dimenticheranno. Red Snapper – The sleepless Scoperti dalla Warp 15 anni fa, che li accolse in scuderia nonostante fossero “an unusual feature” (e questo potrebbe già bastare a capire il perché della segnalazione) i Red Snapper sono un trio che dopo 8 anni di assenza (di cui sei di incomunicabilità tra i componenti) ha deciso di tornare col botto. Pale Blue Dot, è questo il titolo del loro album, è l’orgoglioso ritorno al trip-hop delle origini. Un genere morto senza alcuna ragione, che oggi ritorna con forme ortodosse (come questa) o meticce, come il dubstep. Una testimonianza, appunto, di un mai sopito amore degli appassionati di quel genere per le sonorità scure, terrifiche e contemporaneamente caldissime. La loro attesa è stata decisamente premiata. Daelle – The real flow
Napoli vuole dire la sua sul new-soul, sul cantautorato jazz. E decide che Daelle è l’ambasciatrice giusta. Cresciuta negli ambienti hip-hop del c a p o l u o g o campano ed ora approdata verso lidi più sicuri e artisticamente solidi, “The real flow” è l’unica produzione in lingua italiana del suo repertorio in divenire e, sarà per una certa passione per l’esotico al contrario (almeno in questi casi, ovvero quando le sonorità sono molto poco italiane), è decisamente la sua miglior canzone. Scoperta da Alessio Bertallot (Radio Deejay), uno che ha lanciato Amalia Grè nell’immaginario collettivo della musica italiana, Daelle, da brava partenopea, agiterà i suoi portafortuna ogni giorno. E dopo questa rubrica, ne dovrà agitare ancora un altro. Berardino Amenduni 35
i nostri inviati con Thurston Moore
BEATA GIOVENTÙ SONICA Racconto di una giornata trascorsa con i Sonic Youth Alla fine abbiamo deciso di andare a vedere i Sonic Youth dal vivo. In realtà non è che per il sottoscritto si trattasse di una grande novità, ho visto più volte loro dal vivo che il parroco del mio quartiere servire messa. Non vi sto qui a spiegare le motivazioni. Questa volta l’occasione era davvero ghiotta, oltre al concerto, avrebbero inaugurato in quel di Bolzano la mostra Sensational Fix, dedicata ad oltre venti anni di rapporto ed amicizia fra la band ed amici artisti, musicisti, scrittori, film maker ecc… Mentre curavo la mia allergia galoppante riesco addirittura ad ottenere gli accrediti per la conferenza stampa di presentazione della mostra e per il concerto di Bolzano. Pronti? Via! In treno svengo più volte per il sonno, abbraccio forte la mia donna, mangio come un cannibale, flirto con un intero vagone di persone e penso distrattamente al fatto che li avrei finalmente incontrati di persona. Quel venerdì 10 ottobre, passeggiando dalla stazione di Bolzano per raggiungere la galleria d’arte contemporanea Museion, continuavamo a chiederci se tutto ciò fosse vero. Una volta entrato nella galleria, alla reception ci consegnano gli accrediti stampa da applicare sulle maglie e ci comunicano che i Sonic Youth attendevano i giornalisti al quarto piano dello 36 MUSICA
stabile per la conferenza di presentazione. Loreta, la mia donna, è impazzita. Ha stampato sul suo viso un incredibile sorriso. Era tutto vero. Ovviamente ci accomodiamo in prima fila, affianco ai colleghi del Manifesto, di Alias, di Repubblica, della Rai. Come se nulla fosse ci sentiamo immediatamente a nostro agio. Eravamo le persone giuste al posto giusto. Piazzo anche la mia videocamerina con relativo cavalletto cinese proprio affianco al cannone di Orf 1, canale televisivo nazionale austriaco. Le porte dell’ascensore si aprono e davanti ai nostri occhi sfila la gioventù sonica in tutto il suo splendore. Si accomodano a circa due metri da noi. In quel momento ho cercato di fare mente locale, di raccogliere un po’ i pensieri, di capire cosa stesse succedendo. Poi ho lasciato perdere. Si parla del rapporto fra il gruppo e l’arte, di come una rock band possa essere stimolo e punto di partenza per altre creazioni artistiche. Lee Renaldo conferma la sua indole da vero rocker, ammettendo più volte di essere “solo il chitarrista di una rock band”, Kim Gordon strappa sguardi e diffonde sorrisi gratuitamente, facendo scivolare il discorso su New York, spianando la strada a Thurston Moore, dinoccolato ragazzone sonico loquace cinquantenne che per circa trenta
minuti ci fa sognare. Sarà lui a raccontare gli esordi della band, la prima sala prove, il rapporto con il punk rock, il valore dei Talking Heads. Diceva esattamente quello che noi volevamo sentirci dire. Riempiva di complimenti chi come noi, anche grazie ad artisti come loro, ha deciso di non fermarsi alle apparenze, scegliendo di spingere avanti la curiosità. Steve Shelley, con la sua aria da bravo ragazzo, si limita a salutare e ringraziare tutti. Sciolte le file della conferenza, in quello splendido salone bianco chirurgico che si affacciava a picco sulle montagne dell’Alto Adige, iniziano un paio di ore di pura ricreazione scolastica con la band: chiacchiere, fotografie, risate, confidenza. Mi diverto anche a spiare e riprendere di nascosto un blindatissimo set fotografico con una Kim Gordon spalmata sul pavimento bombardata dai fotografi. Dopo tutti questi siparietti iniziamo il tour della mostra in anteprima per la stampa. Quattro piani interi pieni di beata gioventù sonica. Passeggiavamo circondati da quadri realizzati da Patti Smith, da video privati realizzati dai Sonic Youth coi loro amici Nirvana, Dinosaur jr ecc. Camminiamo calpestando immense installazioni realizzate con dischi in vinile del grande artista Christian Marclay, per poi ritrovarci di fronte a pareti intere coperte da chitarre, locandine, effetti personali. Fa effetto vedere un video in cui i Sonic Youth con prole si accompagnano in un picnic col grande guru William Burroughs. Ci fermiamo a suonare i loro strumenti in una sala prove allestita apposta al piano terra. Ancora una volta la realtà ha superato qualunque
desiderio. Noi eravamo lì per questo. Non ci perdiamo per nulla al mondo l’inaugurazione ufficiale al pubblico della mostra, ritrovandoci ad un certo punto a sorseggiare vino al bancone del bar della galleria in quest’ordine: io brillo che gridavo al posto di parlare, Loreta che rideva al posto di parlare, Thurston Moore che voleva rubarsi la nostra ultima mela dal tavolo del catering, Kim Gordon più bella del solito, Lee Renaldo composto e Steve Shelley che indicava noi col dito ad alcuni suoi amici dicendogli che eravamo venuti li apposta dal Sud Italia. Si poteva stare meglio? Il giorno dopo i fantastici quattro (per l’occasione fantastici cinque…) suonano nella fabbrica Stalbahu di Bolzano, con una cornice impreziosita da carri ponte, pezzi di acciaieria pesante ed un clima sereno e divertente. Il concerto è stato duro, anzi durissimo. Il set è stato serrato, poco spazio a svisate e cazzate. Quasi tutti brani storici suonati a muso duro e pesantemente: Schizofrenia, Eric’s Trip, 100% ecc.. Davvero molto intenso. Facciamo in tempo anche a prenderci la scaletta del concerto dal palco prima di concederci alle danze, brindando alla vita, questa volta per nulla increduli. Tutto quello che abbiamo visto, che abbiamo ascoltato, che abbiamo fatto, tutta la gente che abbiamo conosciuto, quella che abbiamo solo salutato, i Sonic Youth stessi, gentili ed accomodanti, lo staff del Museion, il pubblico col sorriso sul volto, i nostri sorrisi, i nostri abbracci. Eravamo noi stessi. Ennio Ciotta
MUSICA 37
THE MICROPHONES Le mille facce di un genio schivo
Foto Nathan Wind as Cochese
Phil Elverum è artefice di numerosi progetti, tra cui The Microphones, poi evolutosi in MountEerie. Phil è l’archetipo del genio schivo, suona ogni strumento ed i primi lavori dipingono perfettamente la sua solitudine, stratificata da un sedici e poi da un otto tracce analogici. La sua vulcanica creatività ha trovato espressione sublime nella musica lo-fi. Tra il 1998 ed oggi, una serie di gioielli (i più per pochi eletti o senza distribuzione) in bilico fra Gastr Del Sol, Will Oldham, rumorismo, ambient, silenzi, droni, frammenti noise-pop ed un magma di arrangiamenti pirotecnici. Regnano una frammentarietà ed un eclettismo che tendono ad allontanare l’ascoltatore, ma affiorano una scrittura ed un lirismo superiori alla media… Poco importa se la magica melodia dura pochi secondi e viene nascosta in una lunga tempesta noise (I Want to be Cold)… È musica dalla funzione esorcizzante: la morte, l’eternità, e l’uomo disarmato di fronte alla Natura sono infatti le tematiche esplorate da Phil. Nel 2008 sono usciti Black Wooden Ceiling Opening, un album che conferma il passaggio ad una forma canzone più regolare, e TheGlow pt.2, il disco del 2001 che molti considerano il capolavoro, oggi ristampato con inediti che aggiungono poco ad un corpus già compiuto. Per la prima volta l’intimismo del cantautore si dedica alla ricerca di un’espressione meno ermetica. Improvvisazione, incompiutezza, silenzi, trovano il perfetto equilibrio formale in un’alternanza di vibrazioni, sonorità brucianti e parti melodiche fra le più ispirate del prolifico catalogo. La consapevolezza solletica l’intento comunicativo dell’artista, che sembra sforzarsi nel dare una forma al suo essere etereo, fragile, impalpabile. 38
“Ho preso coscienza della mia stazza, ho ricordato il mio fuoco, la mia mancanza di riposo, il mio calore a senso unico, ne volevo ancora. Ma sono piccolo, non sono certo un pianeta. Sono piccolo, tutti noi lo siamo”(I Felt My Size). La titletrack è un tour de force: da una possente intro distorta si passa ad una folksong acustica che viaggia con le stampelle, infine a uno spaziale decollo con arabeschi di piano fuoritempo. Un organo, nel finale del brano, spalanca la dimensione religiosa e l’invocazione si perde nel passo deciso di un ibrido lo-fi dei Tortoise. Canzoni come quadri, piccole sinfonie, confessioni… The Moon è una cavalcata “shoegaze” alla MyBloodyValentine impreziosita da fiati jazz. You’ll be in the air sfoggia un disarmante minimalismo sinfonico. Map è pura poesia, una preghiera lisergica per doppia voce, da far accapponare la pelle. Un sound denso e descrittivo fino all’inverosimile, che alterna parti ultracompresse a momenti liberatori. Una lucida lettura dell’Essere di fronte all’immensità dell’Universo, ma soprattutto una ricerca musicale personale e coerente, in cui confluiscono anni di sperimentazione avant-garde, folk, indie e pop. L’arte e il suo creatore si fondono in catarsi, saltando dall’astratto al figurativo; l’urgenza espressiva s’impadronisce di sicurezze ed incertezze, le trasforma in palpitanti emozioni e le incastona in un “lirico mosaico cubista”. Un viaggio emozionante che si conclude con un cuore che pulsa… e pulsa. My warm blood. “Il mio sangue caldo”, dice Phil “io sono solo, ma gli insetti che mi circondano sanno che il mio sangue è ancora caldo”. Un capolavoro. Tobia D’Onofrio
STILL FIZZY RECORDS Bonjour My Love della band anconetana El Cijo (nella foto a destra) segna la nascita di una nuova, interessante, etichetta discografica. Abbiamo parlato dei primi vagiti della Still Fizzy Records con Gilberto. Giovanissimi ma con le idee ben chiare, la vostra prima uscita è bellissima nella forma e nel contenuto. Da dove sbucate? Grazie per i giovanissimi, in realtà il sottoscritto va per i 37 anni. Giovanissimo sicuramente in relazione al music business, visto che El Cijo è la prima uscita ufficiale dell’etichetta. Still Fizzy esce da un sogno nel cassetto, cioè dalla mia passione infinita per la musica. Esce dalla crisi delle major e dalla frammentazione del mercato, dalle nuove tecnologie che permettono di realizzare progetti musicali ed imprenditoriali a costi contenuti. Ci parli un po’ di El Cijo? Ho conosciuto ed apprezzato i ragazzi prima come Postodellefragole, collaborando insieme a loro in alcuni progetti di comunicazione. Avevo accennato loro l’idea di aprire un’etichetta. Quando mi hanno fatto sentire il primo demo, è immediatamente scoccata la scintilla e la proposta di produrre il loro album. Ci abbiamo messo un annetto, ma il risultato soddisfa tutti! Sono ottimi musicisti, ma prima di tutto ottime persone; la band ha uno stile molto personale e un suono versatile; dal vivo poi sono trascinanti. Per fortuna non si prendono ancora troppo sul serio! Avete un sguardo ai generi che abbraccia tutto ciò che può essere definito indie… questo almeno ascoltando Badge and talkalot, vostra produzione decisamente più elettronica… Che intenzioni avete? Le intenzioni sono di produrre la musica che mi piace, senza restrizioni di genere, già ci pensano i critici a metterti in qualche recinto. Mi ispiro ad etichette stilisticamente libere, come la Warp, !K7, Wichita, XL recordings. È solo la passione condivisa per la musica che da origine a un progetto targato Still Fizzy. Ben venga un eventuale successo commerciale, ma non è qualcosa che cerco a tutti i costi. Da creativi a produttori di musica, come nasce l’idea di un’etichetta discografica?
Quando ho deciso di rischiare imprenditorialmente, aprendo un’agenzia creativa (Stradi Vari), avevo diverse richieste che riguardavano colonne sonore per showreels, sonorizzazioni per mostre, tutorials. Alcune di queste tracce, si sono trasformate in canzoni del progetto Badge and Talkalot. In seguito diverse etichette a cui avevo presentato l’album dicevano che era buono, ma non rientrava nel loro genere. Quindi ho capito che l’etichetta che poteva ospitare il Badge album, doveva ancora essere creata… Ha ancora senso stampare, produrre oggetti musicali? Personalmente credo di sì, io per primo sono un collezionista di musica originale. È vero che le nuove generazioni non hanno l’abitudine di comprare musica nei formati classici, ma ci sono ancora interessanti nicchie di mercato. Mi rivolgo ad appassionati simili a me, cerco di catturare l’interesse degli ascoltatori attenti e delle persone alla ricerca del gadget esclusivo. Quali sono i vostri prossimi progetti in cantiere? Sicuramente il secondo album di El Cijo. Ma prima di questo, dovrebbero uscire altri due progetti di musica elettronica che mi vedono impegnato in prima persona in qualità di musicista-producer. Inoltre è prevista in agenda una compilation di artisti internazionali, in bilico tra l’elettronica e il jazz, che parteciperanno ad un evento-festival ancora top-secret che si svolgerà a Modena e Carpi a metà del prossimo anno… (O.P.) MUSICA 39
LIBRI
ANGELO PETRELLA Un giovane spacciatore, Sanguetta. Uno studente, Chimicone. Un poliziotto: l’Americano. Ne La città perfetta di Angelo Petrella, tre storie si intrecciano per sei anni a Napoli dalla fine degli ‘80, tra la guerra di clan della Camorra, la fine del Pci e la nascita della Pantera. Violenza, tradimento e corruzione sono all’ordine del giorno e non risparmiano nessuno. La città perfetta è una città terribile: camorristi sanguinari, polizia corrotta e giovani fragili ed esaltati. Perché è una città perfetta? Il momento storico da me narrato, gli anni dal 1988 al 1993, costituiscono la divaricazione più grande del tessuto sociale napoletano e italiano (la crisi del Pci, la Pantera, Tangentopoli). Un contesto perfetto per gli arrampicatori sociali di ogni risma: i miei tre personaggi, ciascuno nel suo contesto, ambiscono al successo a tutti i costi. E il fatto che anche Chimicone, l’unico portatore di un ideale inizialmente “sano”, sia 40 LIBRI
alla fine anche lui un “arrampicatore”, segna lo scacco di tutto il nostro sistema sociale. In questa storia non ci sono personaggi buoni, ma anche i cattivi non sono personaggi semplicemente cattivi. Non ci sono innocenti, ma chi sono i colpevoli? Colpevoli sono tutti, perché a mio avviso la letteratura noir non deve offrire immagini manichee del bene. Il noir attinge al male rimosso dall’immaginario collettivo proprio per spiazzare il lettore e ricordargli che è lui - non i libri - a dover portare avanti la faticosa operazione di cercare di cambiare il mondo. Le tre storie individuali non nascondono tutta la realtà che le circonda. Cosa c’è alle spalle di Sanguetta, Chimicone e dell’Americano? C’è un mondo in crisi, l’ultimo sisma del Novecento politico le cui scosse si protrarranno fino ai nostri giorni. La fine della guerra fredda,
anche in Italia, muta decisamente gli equilibri sociali: la Dc finisce con Tangentopoli, il Pci dalla caduta del muro di Berlino sembra perdere il consenso di massa. È un gran casino... e ognuno cerca di fare man bassa di opportunità, vantaggi, potere. Racconti una Napoli di quasi venti anni fa. Perché proprio quel periodo subito prima della cosiddetta “rinascita” di Napoli? E come è cambiata la città fino ad oggi? Proprio per raccontare che la “rinascita” è un mito, un’operazione di pura facciata, oltre la quale restano in bella evidenza le crepe lasciate dal sisma. Il guaio è che molti intellettuali si sono prestati all’operazione di imbiancatura di Napoli, senza realmente porsi il problema di aggiornare la classe dirigente, di guidare e incanalare le tante energie culturali rimaste represse. Durante gli anni Novanta abbiamo avuto da un lato i grandi - e costosi - progetti di arte, manifestazioni ed eventi internazionali; dall’altro, la cultura dell’omogeneità più retriva (i neomelodici, il tradizionalismo, il recupero di Merola e quant’altro). Nel baratro apertosi in mezzo, nel dimenticatoio, sono cascate tutte le energie nuove sviluppatesi a partire dal movimento della Pantera dei primissimi anni ‘90, che sopravviveranno solo nel circuito underground. C’è anche un’immagine dell’Italia che passa dentro le storie della città perfetta? Indubbiamente. A mio avviso è un’immagine dell’Italia, quella che il romanzo restituisce. Ovviamente ho potuto immaginarla a partire dalla realtà che conosco, che è quella del mio meridione. La società napoletana - la borghesia, il lavoro sfruttato, la politica indifferente - è identica a quella di altre città. Essendoci però meno risorse e meno speranze per le nuove generazioni rispetto a, che so io, Milano o Roma, i problemi forse li si avvertono prima e con più durezza. I resoconti di cronaca nera degli ultimi mesi (e degli ultimi anni, per la verità) raccontano una violenza spietata: dalla guerra di Scampia ai sei africani trucidati a Castel Volturno: la realtà supera di gran lunga la fantasia per ferocia? A volte sì. L’importante è però comprendere che la letteratura non narra “il male per il male”, ma utilizza il male al fine di far comprendere, di pungolare, di motivare il lettore a rifiutare lo stato di cose esistenti. E a volte, forse, riesce anche ad anticipare la realtà. (F.T.)
ANGELO PETRELLA La città perfetta Garzanti
Napoli come scenario di un grande, pericolosissimo gioco: scatole cinesi che si aprono, fanno sobbalzare il lettore, rivelano lo sporco difficile da grattar via, l’odore del sangue che ti entra nelle narici e non sparisce più perché ha già impregnato la memoria. Al terzo romanzo, Angelo Petrella, classe 1978, affronta una lunga storia a più voci (Sanguetta, giovane spacciatore e praticante camorrista; Chimicone, figlio di un operaio, studente del liceo Genovesi proiettato verso la clandestinità e la lotta armata; l’Americano, poliziotto DIGOS immorale al soldo del miglior offerente; Omissis, entità dei servizi segreti che tutto conosce e manovra ad arte) che si svolge in un arco di tempo compreso tra il 1988 ed il 1994. In questi anni, a Napoli e all’Italia intera succede di tutto: Maradona, il movimento della Pantera, la crisi del Partito Comunista, Tangentopoli, le guerre di camorra che produrranno circa 1230 morti, la nascita di un nuovo sistema politico destinato a rimodellare i rapporti con la società attraverso metastasi di nuova generazione rispetto a quelle della Prima Repubblica. Petrella colpisce duro, riservando ai sentimenti solo spazi effimeri (la storia d’amore tra Chimicone e Betta, l’amicizia che lega lo studente al personaggio tragico di Zapatino). Il resto è un racconto teso e feroce, tra colpi di pistola, lanci di granate, tonnellate di coca da “zucare”. Sconvolge e desta ammirazione per il grande senso del ritmo, per un linguaggio che lascia entrare la musica dei 24 Grana, degli Almamegretta, del Clan Vesuvio. Non c’è respiro: romanzo che trascina il lettore nella puzza di merda, di spazzatura, di polvere da sparo che l’Italia si è abituata ad usare come eau de toilette. (N.G.D’A.) 41
WU MING 2 Pontiac: un libro, un reading, una rivolta
Wu Ming 2 ha accolto via e-mail alcune curiosità su Pontiac-storia di una rivolta, che è al contempo un audiolibro illustrato, scaricabile in più modi all’indirizzo www.pontiac.manituana.com, e una lettura-concerto proposta nei calendari dei contesti più disparati. Sono rimasta ammaliata dal sentimento della ribellione presente in questa vostra autoproduzione, che non è “solo” la restituzione creativa di un evento rimosso dalla Storia Il tema principale di Pontiac è il colonialismo, non tanto come evento storico, ma come modello onnipresente, metastorico, di incontro tra culture, corpi, nazioni. L’alternativa possibile è quella di un meticciato dove la cultura sia qualcosa che gli individui fanno, non qualcosa che hanno o portano per nascita e sangue. Dove ciascuno è libero di essere diverso senza che questo esaurisca la sua identità. Pontiac nasce da un accenno presente in Manituana. Cosa ti ha talmente coinvolto da approfondire la ricerca su questa figura? Mi sono innamorato della rivolta di Pontiac strada facendo. All’inizio, mi affascinava soprattutto come antefatto della Rivoluzione Americana. Un antefatto significativo, perché dice fin da subito che l’Indipendenza delle Tredici Colonie nacque sotto il segno della Razza 42 LIBRI
e della Terra. Poi, studiando più a fondo, mi sono reso conto della complessità della vicenda, una ribellione di tribù indiane molto lontane tra loro che per la prima volta si coalizzano contro un nemico comune, usando come armi tomahawk e fucili, leggende ancestrali e retorica colonialista, profezie religiose, lettere false, voci incontrollate, astuzia guerrigliera, piccole invidie e miserie di uomini. La vostra lettura-concerto si apre con un mito della ri-creazione: in Nanabush ciò che si narra non è l’origine del mondo, ma il percorso che ha condotto al suo rinnovamento. Ho trovato un simbolismo molto forte in questa “genesi” degli indiani Anishinabeg. Il Padrone della vita sogna e subito crea il mondo per riprodurre quel che ha sognato. Poi però una grande inondazione lo sommerge e allora Nanabush lo deve ri-creare, a partire da un granello di fango originario. Ma non è solo: ad aiutarlo ci sono gli animali scampati con lui alle Acque. Perché per costruire un mondo nuovo non basta volerlo, non basta sognarlo: bisogna farlo insieme. Nella seconda traccia due ritratti in contrapposizione: chi cerca la terra e la sua occupazione, e chi agogna il sole e la sua meraviglia. Perché hai voluto questo “confronto”?
Il pezzo è costruito in maniera dialettica, per mostrare due diverse molle dell’esplorazione e del desiderio: la curiosità e il possesso. Tuttavia, la fine dei due esploratori è simile: Henry Hudson cercava la terra e nuove vie commerciali, ed è morto solo, schiacciato da quella ricerca. Ioscoda, il guerriero degli Ottawa, voleva raggiungere la Casa del Sole, il Tramonto, e anche lui morì solo, su un alto crinale, gli occhi rivolti a Oriente. Sono due esempi di “desideranti”, sognatori solitari, contrapposti alla combriccola di Nanabush, un collettivo di sognatori che invece riesce a salvarsi e a rifare il mondo. Una contrapposizione simile si ha anche nella traccia intitolata ad Antoine de La Mothe, in cui una costruzione speculare rivela le due facce – a mio parere negative dello stesso personaggio.. Il mio giudizio sul marchese di Cadillac non è del tutto negativo. Si costruì una carriera con le menzogne, è vero, ma a quanto pare aveva un’idea di società meticcia, di convivenza tra bianchi e nativi, molto innovativa e radicale. Non a caso, fu proprio il passaggio di Fort Detroit agli inglesi a scatenare la rivolta di Pontiac. Con la sua storia volevo più che altro mostrare un altro aspetto del sogno, la sua parentela con la bugia, e in particolare il legame tra questa e il cosiddetto “sogno americano”, l’idea di una “Terra delle Opportunità”, della quale Cadillac mi sembra un rappresentante perfetto. Salto all’ultima traccia Cosa siamo, in cui si fa appello alla risorsa della dignità: il cambiamento non passa per la presa di potere, ma attraverso la rivendicazione dei diritti degli ultimi. Rivendicare i diritti degli ultimi non è un gesto di vuota solidarietà: significa rivendicare i nostri diritti. Clandestinità e precariato sono facce della stessa medaglia. Come le nazioni indiane ai tempi di Pontiac seppero mettere da parte mille differenze per perseguire uno stesso obiettivo, così oggi dovrebbero fare le diverse tribù di senza diritti, clandestini della dignità.
Quanto ha inciso l’incontro con la gente nella scelta di proporre sul web questa realizzazione? E’ stato determinante. Prima di andare in giro per le piazze e i teatri non pensavamo nemmeno di registrare lo spettacolo. Solo dopo abbiamo capito che ne valeva la pena, anche perché molta gente ce l’ha chiesto, per riascoltare con più attenzionetutta la storia. E l’approccio con l’immagine, quando è stato pensato? Come scrittore, ci tenevo che la registrazione in studio dello spettacolo venisse accompagnata da un piccolo “libro”, un oggetto da sfogliare e guardare. Metterci soltanto i testi delle letture mi è parsa da subito una scelta limitata. Così abbiamo deciso di coinvolgere Giuseppe Camuncoli, un eccezionale disegnatore di fumetti con cui da tempo c’era la voglia di collaborare. C’è voluto tempo per trovare le illustrazioni “giuste”, e per vari motivi: primo, per evitare errori storici e filologici; secondo, per individuare, in ciascun brano, l’aspetto più centrale e visivo; terzo, perché volevamo che le immagini non fossero un semplice contributo appiccicato alle parole. La proposta di un download in più modalità completa con coerenza il progetto. Quali sono state finora le risposte a tutto quanto? Lo spettacolo è stato messo in scena in una quindicina di date. Per l’audiolibro, invece, abbiamo avuto più di 2700 download in sei mesi. I paganti sono un centinaio, con una media di circa 7 euro a copia (più del prezzo consigliato). Oltre al download non c’era alcuna strategia di vendita: nessun bonus per chi paga, nessun contenuto aggiuntivo, nessuna confezione deluxe. Questa operazione non era pensata per un ritorno commerciale. La scommessa era più che altro sulla relazione e sul progetto “transmediale” legato a Manituana, l’idea cioé di esplorare quell’universo narrativo con ogni mezzo necessario e coinvolgendo nell’impresa una vasta comunità di lettori attivi. Stefania Ricchiuto LIBRI 43
LUISA RUGGIO
Il suo primo romanzo Afra (Besa Editrice), uscito nel 2006, ottenne un ottimo riscontro e molti premi. Da qualche settimana la giornalista e scrittrice leccese Luisa Ruggio ha pubblicato il suo nuovo romanzo La nuca. Medioevo. Terra di Hydrunte. Una bella adolescente, sospettata di stregoneria perché innamorata delle parole, si traveste da uomo per diventare l’allievo di uno Scriptorium particolare. Un luogo pieno di libri e inchiostri dove i maestri sono due fratelli. Un alchimista eremita e un arabo che colleziona nuche femminili, alla continua ricerca di quella perfetta per la stesura di un codice fatto di puro erotismo. Insieme scopriranno la mistica della sensualità. E la forma più spirituale dell’amore. Una storia che è anche un commovente omaggio alla Scrittura, un tributo alla potenza incantatoria della Parola, sull’osmosi tra Filosofia occidentale e Favola orientale e un falso storico sulla vita immaginaria dell’alchimista di Soleto Matteo Tafuri. 44 LIBRI
La tua storia è ambientata nel passato ma sono molti i punti di contatto con il presente. Inoltre racconti di terre a noi vicine. Come mai questa ambientazione? È un passato sospeso, tipico delle favole, un tempo che somiglia a una cronologia che conosciamo bene ma in realtà é un tempo allo specchio, come nella teoria degli Universi Tangenti raccontata nel film “Donnie Darko”. La scrittura fa anche questo. Mette in contatto due flussi temporali, quello oggettivo e quello soggettivo, quello della vita materiale e quello sotterraneo della mente. Volevo provare a raccontare la vita immaginaria di Matteo Tafuri, l’alchimista di Soleto realmente esistito e che portò la conoscenza ai cafoni di stanza alla fine del mondo, fondando uno Scriptorium. Una notte, per un imprevisto, mi ritrovai a guardare la guglia del campanile di Soleto, con i quattro diavoli di pietra e che la leggenda attribuisce all’opera di un mago molto potente. Mi venne voglia di parlare della Scrittura come materia
narrante e quindi del piacere di raccontare storie, trascurata al prezzo di un minimalismo fin troppo prudente. Quest’alchimia. La Terra d’Otranto di un ipotetico Cinquecento e il vicino Oriente era lo sfondo ideale. A Sherazade, sarebbe andato a genio. Oriente e Occidente si sfiorano, si toccano, si incastrano. Qual è secondo te il rapporto tra questi due mondi? È come quello che c’é tra i sessi, una continua attrazione e repulsione, una lotta per la monarchia e un desiderio impossibile di fusione, un dualismo che ha gemmato mondi. Nel mio romanzo, Oriente e Occidente sono due fratellastri: Matteo e l’arabo Gherìb, il maestro di spada. Entrambi finiranno col desiderare la stessa donna, l’allievo femmina, Hyrie. Un ménage à trois che ha a che fare con la ricerca della nuca perfetta sulla quale stendere un codice. La tua lingua è molto curata a tratti neanche troppo semplice. Dove nasce e come si alimenta questo stile? Nel ritmo, nell’istinto che porta a seguire un ritmo. È come quando improvvisi musica con uno strumento, esegui uno spartito accessibile solo a te. Ma per improvvisare devi conoscere la musica, così da sapere quali sono i tuoi accordi. I libri sono la mia musica. Leggo moltissimo e mi concedo il piacere della lentezza e del ritorno su certe pagine. Duras, Miller, Fante, Salinger, Celine, Conrad, Carroll, De Luca, Campo, Marquez, e via elencando. Poi c’è mia nonna, la senza alfabeto, gran narratrice di favole lì per lì, lei mi ha insegnato moltissimo senza volerlo. Sei al tuo secondo romanzo ma continui la tua vita da giornalista. come concili le due anime? Potendo la smetterei di doverle conciliare. Ma di sola scrittura non si campa. E allora il giornalismo, che per certi aspetti è proprio il contrario della scrittura. Velocità contro lentezza, volendo dirne uno. Concilio i due mondi con un minimo di gioia e di gratitudine, perche’ il giornalismo mi ha permesso di incontrare alcune delle penne che amo. Qual è l’ideale colonna sonora di questo romanzo? In generale cosa ascolta Luisa Ruggio? Questo romanzo è pieno di traversate a cavallo nei boschi, è lunare, pieno di viandanti, adolescenti visionarie, sacerdoti corrotti, guerrieri della parola, mistici della spada, carghi
pieni di spezie, leggende. Ascoltavo spesso Henry Purcell durante la stesura. Bach, Mozart. Ma per assurdo ascoltavo anche Bowie, Sakamoto, Jarre, Thelonius Monk, Mertens, Sylvian. In generale ascolto il jazz. E mi piace caldo. In questo numero ci interroghiamo se questa Puglia sia veramente vincente. Tu che ne pensi? Sarà vincente quando quelli che sono dovuti fuggire per poter realizzare qualcosa saranno messi nella condizione di tornare. Sarà vincente quando quelli che sono restati qui tentando di realizzare qualcosa non sentiranno più il peso dell’insilio. Quali sono gli autori pugliesi che leggi? E in generale? Quali sono gli autori che ti hanno maggiormente influenzato? Rina Durante. Trovo assurdo che non si ristampino certi capolavori. La malapianta è un romanzo stupendo, dovrebbero ristamparlo e fargli spazio sugli scaffali di queste librerie dove c’é di tutto e manca l’essenziale. Allo stesso modo trovo inaccettabile la sparizione de Gli amorosi sensi. Perché? Ecco, questo riguarda anche la domanda precedente. E mi fa arrabbiare. C’é una tale ipocrisia editoriale e una sequela oziosa di investimenti vigliacchi. La Puglia, il Salento soprattutto, i giovani scrittori pugliesi hanno tutti un grande debito con Rina Durante. E i debiti vanno estinti, persino quando è troppo tardi. Per quanto riguarda gli autori che mi hanno maggiormente ‘innamorato’ più che influenzato, faccio un nome su tutti: Marguerite Duras. Hai fatto molte presentazioni dei tuoi libri. Qual è il tuo rapporto con i lettori? Con i lettori provo a uscire dalla letteratura per entrare nella vita. Provo a uscire da quella tipologia di presentazioni organizzate per benino dove c’é uno che parla e un gruppo di gente che sonnecchia. Provo a parlare con loro, non solo a loro. Il rapporto cambia. Ed è fantastico, questo muove energia, la fiuti, la senti, la tocchi. I libri, poi, fanno il loro percorso da soli e trovano i loro lettori a prescindere dal contorno. Hai già in cantiere un nuovo progetto? Sì. Però non te lo dico (e rido...). Pierpaolo Lala
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MARCO ROVELLI Lavorare uccide Bur Rizzoli
dell’energia umana in questo tempo: ridotta a mero atto produttivo di denaro, come stupirsi se la vitalità repressa, reclusa nelle gabbie del lavoro, si traduce con questa assiduità anche in mera morte? Stefania Ricchiuto
GIUSEPPE GENNA Italia de profundis Minimum Fax
Delle morti sul lavoro ci giungono giorno per giorno bollettini dolenti, anche grazie all’accortezza quasi irrequieta degli operatori di certa informazione, impelagati a restituire elenchi disarmanti e rendiconti più che lucidi sull’ennesimo incidente compiutosi in tragedia, senza mai sporgersi, però, oltre l’aspetto dei fatti. La rappresentazione dell’esteriorità di queste vicende drammatiche – esercizio tipico del giornalismo più sguaiato – conosce a volte l’approfondimento, ma mai lo scavo, che è un modo altro, e assai distante dal primo, per leggere tra le righe di un accadimento dalla frequenza ormai divorante. Le “morti bianche” – espressione scollegata da una realtà di sangue a profusione e ustioni avvinghiate ai corpi – sono condannate a restare un fenomeno avvertibile solo entro i limiti della commiserazione rassegnata, a meno che non si cominci a divulgare seriamente l’ultima inchiesta narrativa di Marco Rovelli [già autore di Lager italiani sui centri di permanenza temporanea]. Lavorare uccide - questo il titolo snervato e insieme nervoso – è in libreria da diversi mesi ed è testo di evidente attualità, ma nonostante ciò si contano sulle dita di una mano i media che hanno voluto porre l’attenzione su quest’analisi aguzzina, che dissotterra molto ed estrae ancora di più. Va scritto: non è opera che in/formi sui fatti. Di contro, espande la percezione dei casi, suggerendo una meditazione capace di addentrarsi nelle ragioni più inaccettabili, eppure tangibili, di sciagure che presto la maggioranza della gente collocherà nell’ordinario. Il problema reale non sta negli incidenti, ma in ciò che li sussume: gli ingranaggi stritolanti del lavoro contemporaneo. Contro questi, Marco Rovelli proietta non solo gli avvenimenti inaccettabili che hanno toccato la pelle di una moltitudine di annientati, ma soprattutto l’urgenza di riflessione sul senso
Pastiche criminale: Genna coverizza Burroughs, Leopardi, il Pasolini di Petrolio, Carmelo Bene, Bret Easton Ellis e perfino se stesso (pescando da Medium, il romanzo pubblicato solo in rete) in un’opera-fiume eccessiva, funerea, dallo stile iperbolico che fa varcare al lettore la soglia di una dimensione altra del narrare, costringendolo a rincorrere una linea continua di sgomento. È una vera e propria gara di resistenza, una sfiancante mise en abîme all’interno della quale le forme drammatiche sbatacchiano, si contraddicono, vanno a pezzi per poi essere riunite in una composizione astratta inquietante: ad attenderci in questo altrove ci sono le spoglie di tutti i desideri, di tutte le storie fuori controllo. C’è troppa velocità nelle nostre vite, poi accadono gli incidenti, i fulmini a ciel sereno, i deragliamenti in prossimità di incroci non segnalati tra passato e futuro. Verità e rappresentazione all’effetto Droste: abbandonata la cornice thriller degli esordi, Genna ci scaglia addosso un libro di corpi, voci, ectoplasmi, allucinazioni in cui ogni vicenda sembra cominciare dove l’altra finisce in un cortocircuitante, reiterato non inizio protervo e musone. Un monumento al Mastodontico Nulla del nostro tempo, alle domande senza risposte, alle suppliche non soddisfatte. La strada era stata aperta da L’Anno luce (2005), e ricordarlo è necessario perché non si arriva impreparati a questo Italia de profundis, alla sua drammaticità fatta di periodi che si deformano. Voli fantastici e orrori abominevoli. Frammenti. Scorie. Epica pressofusa alla lirica in un gesto di allontanamento, di sparizione nella coscienza del disinganno. Nino G. D’Attis
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ANDREW DAVIDSON Gargoyle Mondadori
Hanno pagato un milione di dollari per pubblicare questo debutto. L’amore brucia, e in qualche caso aumenta sensibilmente il tuo conto in banca (devo segnarmi da qualche parte il nome dell’agente letterario che ha fatto il miracolo: Eric Simonoff della Janklow & Nesbit Associates). La vicenda di un attore porno strafatto che subisce un incidente e si risveglia dal coma ridotto ad un tronco di carne bruciata (i chirurghi gli hanno portato via anche il prezioso attrezzo del mestiere) sembra roba da Palahniuk. Mettiamoci anche una donna misteriosa, Marianne Engels, scultrice di gargoyle di pietra ed ospite abituale del reparto psichiatrico che instaura con il paziente un rapporto ambiguo, fatto di resoconti di vite passate (sostiene di avere 700 anni, di essere cresciuta in un monastero in Germania e di essere stata tra i primi amanuensi traduttori di Dante) e gli ingredienti per una storia struggente e bislacca ci sono tutti. Preparate i fazzoletti. Anzi no, qui le pagine che parlano d’amore si alternano a quelle in cui le fiamme che fanno girare il motore del mondo (potere, cinismo, denaro, edonismo) lambiscono più volte la voglia di tenerezza. Materia difficile da gestire? È un inferno, ma Davidson (canadese che ha insegnato per diversi anni in Giappone) ci prova, e ha sicuramente dalla sua l’impegno meticoloso per la documentazione storica e medica. Inizio folgorante, descrizioni cliniche raccapriccianti. Qualcosa viene meno quando il ritmo cala dopo le prime 150 pagine e si avverte una certa stanchezza, poi si riprende a volare alto fino alla conclusione delirante. Però un milione di verdoni…mah! (N.G.D’A.)
GLI ICONOCLASTI- GIANLUCA CHINNICI A-cerchiata Storia veridica ed esiti imprevisti di un simbolo Eleuthera
La A-cerchiata è un simbolo notorio, che richiama il movimento anarchico e la complessità di pensieri e pratiche ad esso sottese. Effigie di semplicissima realizzazione – una A maiuscola inscritta in un cerchio –, fu ideata da Tomás 48 LIBRI
Ibañez e compiuta da René Darras nel 1964, quando il Groupe Jeunes Libertaires di Parigi firmò un articolo in cui la si proponeva sigla scelta del movimento, per la necessità di uno strumento comunicativo che fosse soprattutto economico: di fatto, l’immediatezza grafica “riduceva al minimo il tempo per le scritte murali”, mentre il tratto essenziale la poteva rendere comune a tutte le espressioni dell’anarchismo, facilitando così un riconoscimento pubblico altrimenti complicato. Accolta senza eclatanti entusiasmi, la A-cerchiata ricomparve dopo qualche anno su manifesti e volantini della Gioventù Libertaria milanese, e da lì fu un procedere a ritmo disinvolto verso i muri, e non solo i muri, di tutta Europa. L’incontro con la cultura punk e con la speculazione commerciale fece il resto, contribuendo ad un’espansione spesso mortificante di questo ideogramma da strada, usato e abusato e rielaborato anche in contesti poco affini al suo senso originario. Eppure, proprio in questa apparente banalizzazione sta la coerenza dissacrante di un emblema di libertà vera, che rende coincidenti la peculiarità politica di un simbolo e le svariate declinazioni del suo essere un po’ marchio, un po’ suggello, un po’ schizzo casuale: ciò che conta è che non ci sia identità alcuna che possa rivendicarne un presunto significato reale. Seguendo le tracce di questo sentimento di non appartenenza, Eleuthera ripercorre la storia dell’A-cerchiata secondo autenticità, e lo fa con un volume fotografico curato dall’artista visuale Gianluca Chinnici, e da un collettivo estemporaneo di autori. Alcuni nomi [ estratti a caso, tutti notevolissimi ]: Goffredo Fofi, Marco Philopat, Marco Rovelli, Wu Ming 1, Enrico Ghezzi. Tutti, mettono in discussione gli esercizi più abituali di un simbolo davvero popolare e per niente populista, svelandone l’imbarazzante libertinaggio e restituendone appieno la sacrosanta inafferrabilità. Stefania Ricchiuto
JUAN JOSE GARFIA Adiòs Prisiòn. Il racconto delle fughe più spettacolari Autoprodotto
Juan Jose Garfia lotta da sempre contro l’istituzione carceraria, universo abietto in cui l’espiazione dei reclusi è a uso e consumo dalla società di fuori , e quindi territorio privilegiato delle più scellerate forme del controllo sociale. Il suo attivismo si è concentrato soprattutto sul regime F.I.E.S, il corrispettivo spagnolo del 41/bis italico, che attraverso l’isolamento annichilisce il corpo - già incluso in una ristrettudine -, non solo sopprimendo la possibilità di contatti miseri e
accennate vicinanze, ma soprattutto accordando che su quel corpo si consumi l’impensabile, senza che possa intervenire il fastidio, il disturbo, la seccatura di una testimonianza esterna disgustata. In un’oppressione così feroce anche quando silenziosa, il detenuto cerca spesso di non morire, rintracciando, negli ingranaggi che lo avviluppano, una qualche risorsa di sopravvivenza, capace di alimentare la personale forma di vita. Una di queste energie è il tempo vuoto e vacuo, che in carcere non si esaurisce facilmente , e che pone la parte più profonda di sé in convivenza con le tensioni più naturali, come la libertà. Questa, tra le sbarre è raggiungibile o con una dissociazione “rifugio” – data per esempio dall’espressione artistica e comunque concessa dall’istituzione – oppure con una dissociazione “presenza”, che recupera il corpo escluso e lo riporta oltre la gabbia, a far da sé. In fuga. Perché “la fuga dal carcere è un assioma indiscutibile per qualunque recluso con una coscienza di classe”. Di questa dignità inviolabile ci narra Jose Juan Garfia, condannato a 213 anni per il suo impegno, restituendoci con tutti i particolari più inverosimili sei evasioni avvenute in Spagna sul finire degli anni’80. Il libro circola per merito dell’attività della Biblioteca dell’Evasione [www. bibliotecadellevasione.org], che raccoglie libri da mettere a disposizione gratuita di tutti i detenuti nelle carceri italiane. (S.R.)
CHARLES D’AMBROSIO Il suo vero nome Minimum Fax
A distanza di sette anni dal suo esordio letterario, minimum fax propone Il suo vero nome, una raccolta di racconti firmata Charles D’Ambrosio. Un viaggio onirico, sospeso fra la vita e la morte. Una scrittura intima, elegante, che culla il lettore fra le ferite insanabili di un’esistenza tormentata. Si parte dalla Punta, località di villeggiatura in cui Kurt, piccolo e maturo Caronte, traghetta adulti sbronzi e depressi a bordo del suo carrettino di legno; passando per una stazione di servizio di Carbondale, in compagnia di un ex marinaio e di una ragazza che nasconde atroci sofferenze sotto una stopposa parrucca di ricci; sino ai piedi del monte Hood, dove il crudele silenzio della morte echeggia fra le mura domestiche di un austero casolare, rivelando la fragilità dei rapporti e la violenza della disperazione. I ricordi di una giovinezza dimenticata ed i segreti di infanzia, attraversano le vite del ribelle John Torrence e di suo padre, di Neal e Sarah, di Bobby e la sua famiglia. Nelle parole di D’Ambrosio c’è tutto: il dolore, la follia, l’amore, lo smarrimento e la
TONY SOZZO Nolente Lupo Editore
Torna Tony Sozzo, torna quel suo lavoro di auscultazione interiore che ci ha aveva conquistato nel suo precedente L’eterna cosa peggiore. Cresce Tony, cresce in tutto. Cresce il protagonista delle sue storie, un suo ego non molto alter, forse più audace, forse più estremo. Il vivere, l’incapacità di farlo, la quotidianità, le difficoltà di una contemporaneità che sembra non essere sensibile è tutta in Nolente. La vita normale, a volte tanto da diventare invisibile. Le scelte i gradini, a volte insormontabili che le età ci mettono davanti. Tutto questo è nella scrittura di Tony, un romanzo di formazione, o meglio di crescita, come dicevamo. Anche la scrittura cresce, dopo la pulizia e la compostezza, rara di questi tempi, del primo romanzo Tony riesce a modellare la lingua affinandola ancora, perfezionandola. Fa capolino una pungente ironia, che spezza il ritmo, lascia respirare il lettore, lo solleva, prima di affondare un colpa allo stomaco. Osvaldo Piliego
speranza. Sette racconti che fotografano due generazioni: la pazzia e la rassegnazione dei padri, contro la saggezza ed il romanticismo dei figli. Nella seconda parte di Lirismo, penultimo racconto del libro, si riassapora lo stile asciutto ed essenziale di uno dei grandi maestri della short story. Dopo una camminata notturna nel parco pubblico in Main Street, coperto da una distesa dorata di neve, Potter assapora, nel tepore del suo appartamento, una patata al cartoccio che teneva nascosta nella tasca del cappotto. La celebrazione dei piccoli gesti, mi ha riportato alla mente la scrittura di Carver, ed in particolar modo un racconto, L’idea. Una capacità di trasmettere emozioni e sapori attraverso poche parole perfettamente incastonate l’una con l’altra, in grado di creare un’empatia fra lettore e personaggio che avevo riscontrato in pochi scrittori. Per questa e per mille altre ragioni, vi consiglio di tuffarvi fra le pagine de Il suo vero nome. Roberto Conturso LIBRI 49
VERSO SUD, SALENTO D’ACQUA E DI TERRA ROSSA fotografie Caterina Gerardi testo Marilena Cataldini e Marina Pizzarelli Anima Mundi Edizioni
Il Salento che non ti immagini, quello che non vedi se non lo cerchi, una terra da scoprire ancora una volta viaggiando verso sud, fino all’estremo, fino a dove è possibile. C’è, all’ombra di ciò che è secolare, tanto altro che occhi attenti hanno catturato e parole preziose hanno saputo raccontare. C’è un Salento che non appartiene ai salentini, un Salento che altre vite hanno vissuto e vivono, il Salento degli “altri”. Molti non lo sanno ma da decenni questa terra è rifugio, residenza, eremo. Ci sono angoli di questa terra che sono cattedrali votate all’arte, al pensiero, al creare, luoghi fisici e della mente al contempo. Una visione illuminante raccontata da occhi stranieri, ma mai estranei. Bellissima operazione quella di Verso Sud, pubblicazione di Anima Mundi. Un viaggio per immagini realizzate da Caterina Gerardi accompagnate dai testi di Marilena Cataldini e Marina Pizzarelli. Racconti di vite, di chi il Salento lo ha adottato o si è lasciato adottare (artisti e intellettuali), un’occasione per parlare di altro, una ricognizione che esplora quello che si nasconde dietro i muretti a secco. L’immagine che ne esce è quella di un luogo in cui il tempo assume i contorni non solo della lentezza, ma quelli del “ritorno”, come dice nella sua introduzione Goffredo Fofi: “Gli occhi degli altri sono indispensabili a comprendere un luogo, anche per chi vi è nato e non ne è mai partito. Ma non possono essere quelli del turista… il Salento esige attenzione, continuità, scavo. Esige ritorno”. Un’operazione, oltre che ben riuscita nella confezione e nei contenuti, importante. Testimoniare una nuova angolazione del nostro territorio, cominciare a contemplare il contemporaneo oltre che la tradizione è un omaggio alle sfumature di una regione che può essere “acqua e terra rossa”. Allegato al libro anche un dvd documentario con le musiche di Nidi d’Arac. (O.P.) 50 LIBRI
Nasce una nuova casa editrice nel Salento e non possiamo che salutarla con affetto e apprezzarne il coraggio. Si chiama Bepress quasi volesse rivendicare già appena nata il suo diritto ad esistere oppure volesse essere l’altro lato dell’editoria. Ne abbiamo parlato con i fondatori Simone Rollo e Andrea Ferreri. Come nasce l’idea di una casa editrice “alternativa” come la vostra? Più che alternativa Bepress è “in movimento”, ovvero alla continua ricerca di scuotere un ambiente che spesso si presenta obsoleto o troppo commerciale. Questo stimolo al continuo muoversi ci ha spinto, dopo diversi anni di passione nel mondo dell’editoria, a realizzare il sogno di avere una casa editrice tutta nostra. Le vostre prime due uscite sono Ketamina e Marijuana… Il progetto è quello di realizzare un abecedario delle droghe. Ce ne parlate? La prima collana di Bepress è Acide Realtà. Sicuramente è un argomento controverso del quale è difficile parlare ma la nostra esperienza ci porta a condividere le politiche internazionali di riduzione del danno o più volgarmente di educazione all’uso delle sostanze psicotrope. Con i nostri lavori tentiamo di fornire ai consumatori quell’informazione essenziale sui danni così come sui semplici effetti delle sostanze psicotrope. Tale approccio è inoltre utile agli operatori del
settore per aggiornare le proprie conoscenze dall’ottica dell’insider, una visione dal di dentro, dei perché, dei contesti e delle modalità del consumo di droghe. C’è un’idea “politica” o una filosofia alla base del vostro progetto? Bepress è un progetto in cui crediamo fortemente e con cui vogliamo promuovere una cultura aperta ed impegnata, la stessa che ci ha formati. Non nascondiamo il nostro spiccato antagonismo costruttivo nei confronti delle dinamiche societarie che non ci piacciono, che possa essere politico o filosofico, il nostro è un approccio progressista e senza tabù. Quali sono i libri, le collane in cantiere? Oltre alla già citata Acide Realtà a breve usciranno altri saggi di approfondimenti sociologici e filosofici di estrema attualità, manteniamo ancora un poco di riservatezza sugli argomenti ma vi assicuriamo che saranno libri esplosivi che manderanno in crisi di nervi coloro che vorrebbero sommergere determinati fenomeni. Abbiamo imparato il lavoro dal meglio dell’underground italiano ed internazionale e di conseguenza non avremo remore nel parlare di droga, violenza, sub-culture, etc... Per capirci meglio sul modo e sui contenuti, annunciamo l’uscita di un tascabile del grande Philip Dick con prefazione di Antonio Caronia.
Avete subito trovato un’ottima distribuzione, un inizio importante per chi sceglie di diffondere il più possibile un messaggio… Cosa significa fare editoria oggi per voi? Lanciarsi nel mondo dell’editoria senza le dovute basi è un azzardo, chiunque può stampare un libro ma se l’obbiettivo è diffondere i contenuti di ciò che si è pubblicato è fondamentale entrare in un canale distributivo. Abbiamo alle spalle un editore importante come Mimesis che insieme a PDE ha creduto al nostro lavoro e così ci hanno lanciati verso le librerie di tutta la nazione. Per essere editori oggi crediamo ci sia bisogno della passione che ci hanno trasmesso i nostri precursori come Pierre dalla Vigna e Marco Philopat, ed allo stesso tempo, tre caratteristiche base: originalità, professionalità ed un tocco di follia. Una casa editrice salentina ma che ha già orizzonti nazionali e non solo, a chi vi rivolgete? L’approccio di Bepress verso il pubblico è assolutamente trasversale. Il linguaggio dei nostri libri è studiato affinché possa essere recepito da tutti nonostante i contenuti di elevato spessore. Abbiamo scelto come base del nostro progetto il Salento ma l’ottica di Bepress, così come si deduce dai primi lavori, è globale a tutti gli effetti. Osvaldo Piliego LIBRI 51
CINEMA TEATRO ARTE
DAL SALENTO A ISTANBUL Sulle frequenze di Radio Egnatia La via Egnatia è un’antica strada latina che rappresentava la naturale prosecuzione della via Appia in Oriente. Nata per collegare le due capitali dell’Impero, Roma e Costantinopoli (l’attuale Istanbul), attraversava paesi e culture diversissime fra loro, contribuendo a realizzare uno dei primi esempi, ancora embrionali, di quella che molti secoli dopo sarà chiamata globalizzazione.
Un lungo viaggio che inizia dal Salento, dove la spedizione guidata dall’artista napoletano Matteo Fraterno raccoglie le caratteristiche chianche, lastre di pietra che vengono lasciate simbolicamente in ogni luogo lungo cui si snoda la Via Egnatia, mentre la rassicurante voce fuoricampo dell’attore Fabrizio Saccomanno si preoccupa di mettere lo spettatore a proprio agio. Si può partire.
Su quello stesso percorso nasce Radio Egnatia, documentario in concorso al Torino Film Festival nato da un’idea di Matteo Fraterno e Davide Barletti che ne è anche regista e prodotto dal Fluid Video Crew, Geco e Istituto delle Culture Mediterranee con il sostegno di Apulia Film Commission, Provincia di Lecce, Unione dei Comuni della Grecìa Salentina e Regione Puglia. La radio del titolo è un’emittente immaginaria, sulle cui frequenze viaggiano spezzoni di programmi che sono realmente andati in onda nei territori che attraversano la via.
A Brindisi si fa la conoscenza della moglie di Nicolino Gioia, attore italo-albanese considerato il Mastroianni della Terra delle aquile; si rema nel lago di Prespa, specchio d’acqua che si affaccia su Albania, Grecia e Macedonia e perciò detto il Lago dei tre confini; si canta in griko con Niki, custode silenziosa di oltre duecento canti della tradizione macedone.
52 cinema teatro arte
Durazzo, Salonicco, Xanti sono solo alcuni delle tappe in cui ogni posto racchiude in se una storia, una cultura, un incontro. Il dialogo è
LA PUGLIA A TORINO
dunque possibile, ed è proprio a questo che punta il documentario che fa parte di una ricerca più ampia sostenuta dal programma Cultura 2000 con l’aiuto di Stalker - Osservatorio Nomade con partenariati in Francia, Grecia e Italia. A questo film si affiancano una trasmissione radio, otto episodi televisivi, due giornali e due guide che completano un progetto volto a stringere relazioni sorpassando qualsiasi confine etnico e culturale. Quello che rimane è un grande “monumento transnazionale”, dove ogni chianca rappresenta una pietra di memoria, il segno di un passaggio e di un legame. Scorrendo queste immagini si ha la netta sensazione di essere cittadini del mondo. Ci si lascia facilmente alle spalle paure e pregiudizi e si fa forte la percezione di come, malgrado i proclami, la nostra società continui a fare passi indietro. Ma anche di come nulla sia del tutto perduto. C. Michele Pierri
Radio Egnatia, il documentario di Davide Barletti (nella foto), che sarà presentato anche al Festival di Tirana e al Levante Film Festival di Bari, non è stata l’unica pellicola pugliese presente a Torino. Nella stessa sezione concorreva infatti anche Leonardo di Paolo De Falco, mentre tra i cortometraggi era presente Carlo Michele Schirinzi (che al festival barese presenterà Oligarchico) con Sonderbehandlung. Leonardo, ambientato a Bari all’interno della comunità degli immigrati cinesi, prodotto da Film Grad e dalla Teca del Mediterraneo, con il sostegno dell’Apulia Film Commission, racconta: “la realtà della comunità cinese di Bari con inedita intimità, attraverso un ricco intreccio di storie ed esperienze: dal musicista alla famiglia di negozianti, dal problema del permesso di soggiorno alle lezioni di cinese a scuola. Uno spaccato che va oltre miti e luoghi comuni”. E che testimonia la nascita di un bambino cinese, Leonardo appunto, figlio di una coppia mista. “Il suo futuro è un enigma”, dice De Falco, “ma è quello di cui mi premeva parlare. Si può fare un documentario sul futuro? Spesso i documentaristi si occupano della storia passata, della memoria. Io ho fatto questo lavoro pensando sempre al futuro e l’incontro casuale ma anche probabilmente cercato inconsciamente con diversi bambini neonati, ne è per me una prova. Leonardo sarà un uomo con un’identità frutto di un incrocio di razze, ce ne sono stati tanti nella storia del mondo, ma non so perché di fronte a lui mi sentivo emozionato, attratto da questa sua condizione di pioniere, di conquistatore di una terra diversa”. In Sonderbehandlung, su una vecchia pellicola scorrono le immagini di un incontro d’amore. L’uomo e la donna sopravvivono al passare del tempo che segna ed erode il film. Intanto, fuori dalla stanza scorre il presente, con le automobili che sfrecciano e la pioggia che cade incessante, mentre un lampione illumina la notte. Sul finale, le note di Selene di Domenico Modugno interrompono il silenzio. Sonderbehandlung è un termine utilizzato dalle SS che significa “trattamento speciale” e indicava la morte nelle camere a gas. cinema teatro arte 53
TEATRI ABITATI
I Radiodervish al Castello di Sannicandro Workshop, laboratori, presentazioni, incontri, concerti, eventi: dal 3 ottobre scorso i Radiodervish, ossia Nabil Salameh e Michele Lobaccaro (nella foto), nel castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari stanno portando avanti una interessante residenza nell’ambito del progetto Teatri Abitati. Le porte dell’Occidente, infatti, si svilupperà come un grande laboratorio in cui i Radiodervish metteranno a disposizione il loro universo artistico come strumento attraverso il quale poter partecipare al processo creativo che si concluderà alla fine del 2009 con la produzione del nuovo disco e del nuovo spettacolo legato ad esso. Nei prossimi mesi il castello si trasformerà in un centro polifunzionale dedicato alla musica e alle arti, luogo privilegiato di incontro e dialogo fra culture diverse, come da tradizione nella storia ormai ventennale del gruppo barese. La residenza ha già ospitato la scrittrice Igiaba Scego, due serate dedicate a visioni e passaggi (videodervish) con la partecipazione dei registi Pippo Mezzapesa e Michelangelo Severgnini, un workshop sulla musica per film con Giovanni Guardi (Fandango) e Pasquale Catalano (autore di colonne sonore). Mercoledì 3 dicembre (ore 21.00) la cantante siciliana Etta Scollo presenterà il suo ultimo cd Il 54 cinema teatro arte
fiore splendente. Giovedì 11 dicembre (ore 21.00) spazio a U(ma) niversi a cura di Enzo Mansueto. Una serata di poesia e musica volta a esplorare i profondi universi che accomunano questi arcaici, atavici, eroici umani versi. Mercoledì 17 dicembre (ore 21.00 - ingresso 12 euro) l’anno si chiude Con le radici al cielo, un omaggio a Mahmud Darwish. Un progetto speciale dei Radiodervish dedicato allo scrittore scomparso il 9 agosto 2008. Brani dei Radiodervish e letture di testi e poesie di Darwish per uno spettacolo che rende omaggio all’opera e alla vita di un grande poeta. Il progetto Teatri Abitati proposto dal Teatro Pubblico Pugliese, finanziato attraverso l’Accordo di Programma Quadro “Sensi Contemporanei” per la promozione e diffusione dell’arte contemporanea e la valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici nelle Regioni del Sud Italia sottoscritto dalla Regione Puglia, Assessorato al Mediterraneo, dal Ministero dello Sviluppo Economico, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Info myspace.com/leportedelloccidente 080.555.99.87
IL CENTRO DEL DISCORSO
MANNAGGIA ‘A MORT’ AL PREMIO SCENARIO
Mannaggia a’ mort di Principio Attivo Teatro, un gruppo teatrale di San Cesario di Lecce, il 5 e 6 novembre scorsi ha partecipato a Parma alla finale del Premio Scenario Infanzia. Lo spettacolo, di e con Giuseppe Semeraro e Dario Cadei, con musica originale dal vivo di Raffaele Vasquez, ha riscosso notevole successo. In questa edizione del Premio Scenario Infanzia erano stati presentati inizialmente 85 progetti, di cui solo 21 erano stati scelti per una prima selezione svoltasi a Cascina verso fine settembre. In finale erano stati selezionati invece otto lavori. “Lo spettacolo”, spiega l’autore Giuseppe Semeraro “si presenta come un sogno, un incubo forse un gioco condotto con un linguaggio che ricorda un cartone animato in bianco e nero o un film muto anni ’20”. Due attori in carne e ossa si danno battaglia intorno a un quadrato bianco, ideale stanza di mattoni invisibili. I personaggi, un uomo, un palloncino e la morte sono protagonisti di surreali e divertenti gag accompagnate dalle diavolerie acustiche di un musicista che scolpisce lo spazio scenico con ritmo e poesia. Le divertenti dinamiche tra i due protagonisti diventano pian piano una danza liberatoria e coinvolgente.
Da venerdì 5 a domenica 7 dicembre si apre con una serie di incontri, seminari e spettacoli la prima edizione del premio nazionale di drammaturgia contemporanea “Il Centro del Discorso”, promosso dall’Associazione Culturale Induma. Il programma prende il via venerdì 5 dicembre alle ore 18.00 press le Officine Cantelmo di Lecce con un incontro preliminare e un buffet. A seguire, nell’ambito del progetto Puglia Night Parade, andranno in scena il reading “Groppi d’amore nella scuraglia” di Tiziano Scarpa con Tiziano Scarpa e Fabrizio Parenti (alle ore 20.00 presso Palazzo Adorno - ingresso gratuito) e lo spettacolo Ecce Robot. Cronaca di un’invasione di e con Daniele Timpano, Amnesia Vivace (ore 23.00 presso le Officine Cantelmo - ingresso gratuito). Sabato 6 dicembre dalle 10.00 alle ore 13.00 prima sessione di incontri con gli “Arrivi al centro del discorso” dal titolo Qual è il centro del discorso? A cosa serve la drammaturgia?. Dalle 15.30 alle 20.00 invece le “Partenze” dal centro del discorso con Percorsi, strategie e vie di fuga. Cosa possiamo fare perché il discorso continui?. Domenica 7 dicembre dalle 10.00 alle 13.00 “Uscite” dall’autostrada dentro alle cervella altri tragitti del “pensare da sé” e infine dalle 16.00 letture, conversazioni e festa finale. Agli incontri (per info 338 3479431) partecipano attori, registi, scrittori, autori, drammaturgi, giornalisti e operatori tra i quali: Miguel Acebes, Marco Andreoli, Sonia Antinori, Fabrizio Arcuri, Dario Cadei, Manuela Cherubini, Massimiliano Civica, Roberto Corradino, Mimma Gallina, Giovanni Giovanetti, Graziano Graziani, Alessandro Langiu, Mauro Marino, Otto Marco Mercante, Pietro Minniti, Antonio Moresco, Fabrizio Parenti, Andrea Porcheddu, Luca Ricci, Roberto Ricco, Letizia Russo, Tiziano Scarpa, Giuseppe Semeraro, Claudio Suzzi, Antonio Tarantino, Daniele Timpano, Katharina Trabert, Vitaliano Trevisan, Clarissa Veronico, Nicola Viesti e gli abitanti delle Manifatture Knos. Il bando del Premio (le iscrizioni scadono il 15 gennaio) è on line sul sito www.manifattureknos. org.
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EVENTI DAL 5 AL 7 DICEMBRE Puglia Night Parade a Bari, Brindisi, Foggia, Lecce, Taranto, Barletta, Andria, Alberobello e Castel del Monte La Puglia diventa il più grande palcoscenico a cielo aperto del mondo. Dal 5 al 7 dicembre, infatti, Puglia Night Parade metterà in scena più di 80 spettacoli, il meglio degli artisti di strada, danza, teatro, musica e concerti, in un sapiente mix fra turismo, cultura e intrattenimento. Info e programma su www.viaggiareinpuglia.it SABATO 6 David Rodigan dj set al New Demodè di Bari Rodigan ancora oggi mantiene intatto lo stesso entusiasmo per la musica di quando aveva 15 anni, e risparmiava soldi per comprarsi dischetti come “My boy lollipop” di Millie Small. Un’energia incontenibile, vitale e contagiosa... unita ad una competenza e professionalità immensa. Giovanni Lindo Ferretti a Galatina (Le) Giobbe Covatta a Lecce DOMENICA 7 Paolo Conte al Teatro Politeama Greco di Lecce Dimebag Darrell tribute all’Istanbul Cafè di Squinzano (le) DAL 7 AL 13 DICEMBRE Controfestival a Bari Quest’anno il Controfestival giunto al suo settimo anno cambia e si rinnova. 48 ore di musica live, 96 realtà artistiche tra musicisti, registi, fotografi e pittori,non più in un unico luogo. Questa stagione il Controfestival dura una settimana e si svolge in luoghi differenti. Un festival itinerante per la città di Bari che parte il 7 dicembre presso il Fortino di Bari (Controfestival Lounge) per continuare in alcuni pub della città (Storie del Vecchio Sud, Taverna del Maltese, Dublin, Matisse), quindi l’Auditorium Marco Demitrio, sede di Controradio, per concludersi il 13 al Demodè per il Cube. Il tutto come sempre in diretta su Controradio Bari. Per iscriversi potete inviare una mail di adesione con i vostri dati a info@controfestival.net LUNEDÌ 8 E MARTEDÌ 9 Comicult ad Acaya (Le) L’obiettivo fondamentale della Fiera è quello di promuovere la cultura legata al mondo della “Nona Arte” e, contemporaneamente, fornire un interscambio con altre culture, attraverso la partecipazione di ospiti stranieri di alto livello e la creazione di dibattiti sull’Arte Fumettistica nel mondo. La particolarità di ComicCult rispetto ad altre fiere del settore, quindi, sarà quella di prevedere una sorta di gemellaggio tra fumetto italiano e manga e, mediante esso, tra la cultura italiana e quella giapponese in termini più ampi. Info www.comiccult.net
LUNEDÌ 8 Supertele ai Cantieri Koreja di Lecce
Alle ore 16:30, nel foyer dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, si inaugura la mostra “Supertele” di Michele Giangrande, secondo appuntamento del progetto Passages arte architettura design curato da Marco Petroni. La mostra sarà introdotta da una conversazione sul tema “Tra arte e design. Storia di due storie”. Partecipano Antonella Marino – critico d’arte Repubblica Bari, Marco Petroni – curatore e critico di architettura e design Repubblica Bari e l’artista Michele Giangrande. Ingresso libero. Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le) Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. LUNEDÌ 8 E MARTEDÌ 9 Ex Amleto ai Cantieri Koreja di Lecce LUNEDÌ 8 A MERCOLEDÌ 10 Beckett suite a Calimera (Le) Nell’ambito del progetto Teatri Abitati presso il Teatro Elio di Calimera sarà presentato al pubblico lo spettacolo di Astràgali teatro Beckett Suite, per la regia di Fabio Tolledi. Lo spettacolo, basato su alcuni dramaticules dello scrittore Premio Nobel Samuel Beckett, immetterà gli spettatori nelle straordinarie visioni beckettiane, e vedrà un allestimento speciale che trasformerà lo spazio teatrale. Ingresso gratuito. Sipario ore 21.00 MARTEDÌ 9 Anna Oxa (Le voci dell’anima) alla Chiesa della Natività di Nostro Signore di Bari Serata Emergency al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Music For Rights avrà inizio alle 21.00 con una “Cena per Emergency” in collaborazione con il Jack’n Jill. Si continuerà poi con la Jam session a partire dalle 23.00 circa. Ci saranno tanti eventi 57
musicisti, circa una trentina! Qualche nome: Raffaele Casarano, Combass, Salvatore Cafiero, Davide Mercaldi, Michele Minerva, Andrea Sabatino, Luigi Bruno, Mauro Tre, Michele D’Elia, Francesco del Prete e molti altri.. Info e prenotazioni al 329/2273200 MERCOLEDÌ 10 Rosapaeda con Gabriele Mirabassi e Riccardo Tesi presenta Mistica del canto d’amore (Le voci dell’anima) alla Chiesa del Salvatore di Bari Jam Session al Gruit di Brindisi Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. GIOVEDÌ 11 Rfc al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco con Collegium Musicum diretto da Rino Marrone in La tua voce è soave (Le voci dell’anima) alla Chiesa San Francesco d’Assisi di Bari Queimada al Goldoni di Brindisi GIOVEDÌ 11 e VENERDÌ 12 Vinicio Capossela al Politeama Greco di Lecce DA GIOVEDÌ 11 A SABATO 13 La poesia detta al Fondo Verri di Lecce VENERDÌ 12 E SABATO 13 Paladini di Francia ai Cantieri Koreja di Lecce Lo spettacolo di Francesco Niccolini per la regia di Enzo Toma dedicato a Che cosa sono le nuvole? di Pier Paolo Pasolini è una delle nuove produzioni della compagnia Koreja. Ingresso 12 euro. Sipario ore 20.45. Info 0832242000. VENERDÌ 12 Banda elastica Pelizza a Novoli (le)
La rassegna Tele e Ragnatele della Saletta della Cultura di Novoli (Le) prosegue con La Banda Elastica Pellizza (per semplicità BEP). Nasce alla fine del 2003 da un iniziativa di Daniele Pelizzari (chitarra e voce) ed Alessandro Aramu (basso). Dopo alcuni avvicendamenti la BEP si stabilizza nella attuale formazione a cinque, con Paolo Rigotto (batteria e cori), “Bati” Bertolio 58 EVENTI
(fisarmonica) e Andrea Sicurella (chitarre e fiati). Autore e compositore della BEP è Daniele Pellizzari che scrive canzoni da ascoltare e riascoltare più volte e molto volentieri, atmosfere, diverse tra loro, di cui innamorarsi facilmente e sinceramente e legate da una voce dai timbri caldi ed affascinanti. Storie minimali, a volte ironiche e sul filo del surreale, a volte profonde ma fresche, leggere di spirito e mai banali, per cantare di mondi che d’abitudine non fan la voce grossa, e per questo passano spesso inosservati. Per loro e nostra e vostra fortuna. Storie raccontate con indiscutibile originalità, vero talento e una maturità non consueta. Ingresso 5 euro. Inizio ore 21.30. Mauro Tre e Fabio Capone alla Svolta di Lecce Venerdì 12 dicembre a Lecce la serata si colora d blue. Inaugura infatti Svolta. Un nuovo ristorante e jazz bar che si presenta con una ricetta i cui ingredienti principali sono il connubio tra la cucina semplice, rispettosa dei cicli naturali degli alimenti, e la musica jazz. In questo primo appuntamento dalle 21.30 si possono gustare alcuni dei piatti e vini proposti sul menù in presentazione al pubblico accompagnati dall’esperienza di Mauro Tre e Fabio Capone. Ingresso gratuito. Svolta è in Via XX Settembre 5/A (ex Moi Moi) a Lecce. Info 329 8455974 - 3924300512 Ballake Sissokò, Driss El Maloumi e Rajery (Le voci dell’anima) alla Chiesa di San Marcello di Bari Afterhours al New Demodè di Bari Baciamolemani al Glamour di Taviano (le) SABATO 13 Capitan Quentin ai Sotterranei di Copertino (Le) Ballarock all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Chemirani ensemble – Nel cuore d’oriente: intrecci sonori dalla Persia (Le voci dell’anima) alla Chiesa di San Sabino Festa della vite con Locomotive Percussion Project a Novoli (Le) La “Locomotive Percussion Project” è un’orchestra costituita da sole percussioni. Presente anche il canto nella sua forma più completa, in quanto elemento di comunicazione, ed espressione artistica, di tutte le culture musicali. Lo spettacolo della “Locomotive Percussion” nasce da un’idea di Alessandro Monteduro, ed è il prodotto di vari ingredienti ben miscelati. Gli arrangiamenti dei fiati sono a cura di Raffaele Casarano, nonché direttore artistico del progetto “Locomotive Jazz Festival”, ed a condividere con lui il sound, ci saranno Andrea Sabatino e Vincenzo Presta. Dai ritmi della Locomotive Percussion diretta da Giovanni Imparato e dalle coreografie di danza afro di Sissi Chiummo si sprigionerà l’essenza istintiva del movimento primitivo. Ingresso gratuito.
Paolo Vincenti presenta Danze moderne (I tempi cambiano) a Sannicola (Le) DOMENICA 14 La Mirabile Visione. Frammenti da La Vita Nuova di Dante Alighieri ai Sotterranei di Copertino (Le) The Papiers al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) LUNEDÌ 15 Nicola Lagioia - Maurizio Rippa in the king is dead. Long live the king! (Le voci dell’anima) all’Auditorium Diocesano Vallisa di Bari Qualibò al Teatro Elio di Calimera Le iniziative della rassegna Teatri Abitati, coordinata da Astragali, continuano con lo spettacolo Partitura privata della compagnia di danza Qualibò, finalista Premio Scenario 2005 e vincitrice di altri importanti riconoscimenti, che partendo dalla suggestione iconografica della pittura di Lucian Freud, proporrà uno spettacolo tra teatro, danza e arti visive. Inizio ore 21.00. Ingresso gratuito. LUNEDÌ 15 DICEMBRE Mathurin Bolze in Ali al Teatro Kismet OperA di Bari MARTEDÌ 16 E MERCOLEDÌ 17 Mathurin Bolze in Ali presso Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli” di Bari MARTEDÌ 16 Thierry ‘Titi’ Robin e Alezane (Le voci dell’anima) alla Chiesa del SS Redentore di Bari Jam Session al Joyce di Lecce Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. MERCOLEDÌ 17 Nasca Teatri Di Terra presenta Studi Sparsi al Caffè Letterario di Lecce GIOVEDÌ 18 The Warlus, Garnet e Straneffetto al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Ambrogio Sparagna con Peppe Servillo, Simone Cristicchi e Alessia Tondo in La Chiarastella (Le voci dell’anima) alla Chiesa di San Paolo di Bari Casador al Goldoni di Brindisi VENERDÌ 19 E SABATO 20 DICEMBRE La Passione delle troiane ai Cantieri Koreja di Lecce Lacrime di donne, lamenti strazianti e canti intonati per raccontare una perdita. La tragedia vissuta da una madre che perde troppo presto un figlio. La tragedia di Andromaca che vede morire per mano greca il figlio Astianatte e la disperazione della Vergine di fronte alla crocifissione di Cristo. La Passione delle Troiane si pone come frutto della commistione tra Le Troiane di Euripide e il tema della Passione di Cristo, scegliendo di adottare come modalità narrativa le moroloja,
SINO AL 31 DICEMBRE Wildlife Photographer of the Year al Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce La mostra curata da BBC, Museo di Storia Naturale di Londra e Manifatture Knos, è unica al mondo e scaturisce da un concorso fotografico internazionale sulle più belle immagini naturalistiche scattate in tutto il mondo e divenuta negli anni un appuntamento imperdibile per tutti coloro che amano la natura nella sua dimensione più spontanea e incontaminata. Il Wildlife Photographer of the Year è infatti il più prestigioso concorso internazionale per la fotografia a soggetto naturalistico, ideato e organizzato ogni anno dalle più importanti istituzioni britanniche impegnate nella salvaguardia della natura: il Natural History Museum e il BBC Wildlife Magazine. Apertura: mar/dom. - ore 17.00/20.00; dom. 11.00/13.00 (lunedì chiuso). Ingresso 2 euro Info: info@manifattureknos.org; www.manifattureknos.org nenie funebri appartenenti alla tradizione grika. La regia è di Antonio Pizzicato e Salvatore Tramacere. Ingresso 12 euro. Sipario ore 20.45. Info 0832242000. VENERDÌ 19 Arianna Savall in Bella Terra, Canti Da Nord a Sud (Le voci dell’anima) alla Chiesa Mater Ecclesiae di Bari Casador alla Saletta della Cultura di Novoli (Le)
Tele e ragnatele ospita i Casador. Dopo i due album solisti Colonia Paradi’es (1999) e Nema Fictione (2006) Alessandro Raina presenta in anteprima assoluta in versione acustica di Casador, nuovo capitolo in inglese del cantautore già voce dei Giardini di Mirò ed oggi alla guida degli Amor eventi 59
Fou. Negli ultimi due anni l’attività da solista di Alessandro Raina lo ha portato a collezionare numerosissime apparizioni live, aprendo i concerti di Wilco, Piano Magic, Shannon Wright, Elvis Perkins, Piers Faccini ed altri fra i principali nomi della scena alternativa internazionale. Il disco d’esordio di Casador, registrato fra Milano, Siracusa e Parigi vedrà la luce nel 2009. Ingresso 5 euro. Inizio ore 21.30 SABATO 20 Winter Party a Lecce Torna puntuale come il Natale la grande festa con tutti i dj di Coolclub. Quest’anno l’appuntamento è nelle nuovissime Officine Cantelmo. Tutte le info su www.coolclub.it Francesco Del Prete presenta Corpi d’arco allo Spazio Sociale Zei di Lecce Marco Bardoscia e Alberto Parmegiani ai Sotterranei di Copertino (Le) Arvo Pärt con Ensemble Vox Clamantis e Cello Octet Amsterdam in Alleluia Tropus presso la Cattedrale di Bari DOMENICA 21 Gipsy Night ai Cantieri Koreja di Lecce LUNEDÌ 22 dj Chiara Spata al Caffè Letterario di Lecce Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le) MARTEDÌ 23 Tobia Lamare e The Sellers all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Concerto della nuova band capitanata dal cantante e chitarrista Tobia Lamare che si muove tra folk e rock. A seguire selezioni del dj dal ciuffo ribello nel consueto viaggio sonoro tra rock, punk, soul, indie. Logo al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Sul palco uno dei migliori gruppi della scena salentina, i Logo. L’idea parte da Stefano Scuro (voce e chitarra) e da alcuni brani scritti e poi arrangiati insieme al resto della formazione che si è andata delineando con Salvatore Cafiero alla chitarra, Andrea Caputo al basso, Davide Mercaldi alla batteria. Dal punto di vista artistico e musicale, i brani sono di chiara estrazione rock, ma con influenze di vario tipo, dalle sonorità “alternative” al “british”, dalle melodie all’italiana a sonorità “indie-pop rock”; una miscela di soluzioni derivanti dalle varie e diverse provenienze artistiche dei singoli elementi. GIOVEDÌ 25 Postman Ultrachic all’Istanbul Cafè di Squinzano 60 EVENTI
(Le) VENERDÌ 26 Pierpaolo Leo ai Sotterranei di Copertino (Le) Livio Minafra per Le mani e l’ascolto al Fondo Verri di Lecce P40 al Glamour di Taviano (Le) DA VENERDÌ 26 A DOMENICA 28 AlterNatale al Kismet e al Demodè di Bari
Una rassegna multidisciplinare di tre giorni al Kismet di Bari, con after party finale presso il Demodè di Modugno, in collaborazione con Libera - Associazioni Nomi e Numeri Contro le mafie, patrocinata da Regione Puglia, Provincia di Bari, Comune di Bari e Università degli studi di Bari. Accanto alla line up artistica, che pesca dalla scena indipendente italiana - Le luci della centrale elettrica. Lucariello, Beatrice Antolini, NoBraino, Fabryka, PoogliaTribe - la rassegna si caratterizza per la sensibilità verso temi di rilevanza sociale, come lotta alle mafie e sicurezza stradale, in collaborazione con i partner coinvolti. Info elvis.ceglie@martelive.it SABATO 27 Le Luci della Centrale elettrica alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) Tele e Ragnatele 2008 si chiude con il concerto di uno degli esordi cantautoriali italiani più belli del 2008, ovvero il giovane ferrarese Vasco Brondi ed il suo progetto “Le Luci della Centrale Elettrica”: voce roca e chitarra che malinconicamente narrano le vite di provincia tutte uguali. Vasco sarà accompagnato alla chitarra da Giorgio Canali, che ha anche prodotto il suo disco d’esordio “Canzoni da spiaggia deturpatata”, premiato con la Targa Tenco come miglior esordio. Vasco Brondi, ventiquattrenne ferrarese, propone un progetto di cantautorato denuclearizzato. Aim a Taviano (Le) Andrea Baccassino e Luigi Mariano – Omaggio a Gaber ai Sotterranei di Copertino (Le) Nicola Conte Jazz Combo al Teatro Piccinni di Bari Dj, produttore e remixer di culto nella scena internazionale nu-jazz, Nicola Conte è da
oltre dieci anni sinonimo di qualità musicale, competenza e stile. Il nuovo album “Rituals” uscito a ottobre 2008 è già un classico! Colle der formento all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Il Colle Der Fomento nasce a Roma nel 1994 dall’incontro di Masito e Danno, due giovani rapper capitolini, con Ice One, figura chiave dell’old school italiana. In un momento in cui l’hip hop è sulla bocca di tutti, in cui le major discografiche fanno a gara per trovare il nuovo fenomeno di turno, il Colle Der Fomento, forte della sua storia e del suo vastissimo fans-base è uscito l’anno scorso con un disco totalmente dal basso ma con un’attitudine e un “suono” che sa di grandi produzioni internazionali. In apertura Resina Sonora e Sfritti Mistici. DOMENICA 28 L’Enfance Rouge ai Sotterranei di Copertino (Le) Nicola Conte Jazz Combo al Teatro Piccinni di Bari Bandadriatica a Zollino (Le) Evillive, Foreshadowing e Silvered all’Istanbul Cafè di Squinzano (le) Jam Session all’Underground di Castro (Le) Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. LUNEDÌ 29 Beatrice Antolini a Lecce
Il primo disco Big saloon pubblicato dalla regina della psichedelica italiana Madcap records conquistò tutti con la sua freschezza, il suo
fascino un po’ retrò e al contempo modernissimo. Beatrice Antolini si è subito distinta come un’artista capace di stendere un crossover tra i generi mantenendo un’ispirazione e uno stile assolutamente personale. Dopo le sue collaborazioni con Baustelle, Bugo è uscito A Due il suo nuovo, bellissimo, disco licenziato da Urtovox. Il concerto è alle Officine Cantelmo di Lecce. Info www.coolclub.it Aim all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Brown Sugar Blues Band ai Sotterranei di Copertino (Le) Domenico Protino per Le mani e l’ascolto al Fondo Verri di Lecce Triace a Martignano (Le) La musica popolare, attraverso il progetto Triace, si apre a nuove ricerche sonore, alla scoperta di nuove e suggestive atmosfere. Triace, è la simbiosi tra la vocalità tradizionale salentina e i suoni più contemporanei, gli strumenti ricercano continuamente insieme alle voci. Lo Spettacolo e il cd (pubblicato da Anima Mundi) di Triace si propone sul filo dell’emozione trascinando il pubblico in un mondo ricco di sonorità e di ritmi avvolgenti. Il progetto prende il titolo dalla canzone “Sebben che siamo Donne” strofette popolari nate tra il 1900 e il 1914 ed entrate stabilmente nel repertorio delle mondine. Questa è la prima canzone di lotta proletaria al femminile, una significativa testimonianza dell’evoluzione politica della donna lavoratrice. Da questo parte il progetto Triace e ripercorre i canti popolari dal Salento alle Mondine. Solo geograficamente distante ma sia le “Tabacchine” sia le “Mondine” sono donne che da sempre hanno lavorato nei campi, nelle monde per offrire la loro manodopera e che dopo una lunga e faticosa giornata lavorativa tornano a casa a fare le mogli a fare le madri. Triace sono: Emanuela Gabrieli, Alessia Tondo e Carla Petrachi (voce), Giorgia Santoro (flauto), Adolfo La Volpe (chitarre), Vito De Lorenzi (percussioni). La mela e Newton + Zeder al Goldoni di Brindisi MARTEDÌ 30 Dirty Trainload ai Sotterranei di Copertino (Le)
Cucuwawa al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il suono del pedale della grancassa di una batteria, quel suono che dà la spinta alla musica, unita alle graffianti chitarre. È da questo che i Cucuwawa prendono il loro nome, da questa unione tra il ritmo e la melodia. La band nasce nel 2001 dalla fusione di due gruppi: uno rock’n’roll e l’altro beat. Dopo lo stop di più di un anno per creare nuovi brani dalla carica rock e che li vede completamente discostarsi dal reggae e la patchanka, i Cucuwawa sono tornati per far divertire ancora una volta il loro pubblico. Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le) SABATO 3 GENNAIO Giorgio Distante e Dario Congedo ai Sotterranei di Copertino (Le) DOMENICA 4 La corrida al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) LUNEDÌ 5 Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le) Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. GIOVEDÌ 8 Ghigni five al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Pensieri in volgare al Goldoni di Brindisi VENERDÌ 9 Bubble Bullet e Ensef ai Sotterranei di Copertino (Le) GIOVEDÌ 15 Simone Perrone al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Luca Gemma al Goldoni di Brindisi
VENERDÌ 16 Linea [from FFD] ai Sotterranei di Copertino (Le) SABATO 17 E DOMENICA 18 GENNAIO Paradise 2 – il suono incessante di un albero caduto e Maglie al Teatro Kismet OperA di Bari MERCOLEDÌ 21 Ippolito Chiarello legge “Il Naso” di Gogol al Caffè Letterario di Lecce GIOVEDÌ 22 Acoustic Trio al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) One Way Ticket al Goldoni di Brindisi VENERDÌ 23 E SABATO 24 Pathosformel. La timidezza delle ossa e Ritratto felice al Teatro Kismet OperA di Bari GIOVEDÌ 29 Brown Sugar al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) VENERDÌ 30 Squarcicatrici ai Sotterranei di Copertino (Le) TORNA ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL Dopo l’enorme successo dell’anno scorso - oltre 2.000 iscrizioni - ripartono anche per il 2009 i concorsi della fondazione Arezzo Wave Italia per tutti gli artisti emergenti d’Italia. Come sempre la partecipazione è gratuita ed aperta a band, dj producer, vj e progetti audio/video che vogliono esibirsi sui palchi della prossima edizione di Italia Wave Love Festival che si terrà a Livorno dal 16 al 19 Luglio. Tutti i regolamenti e le modalità di iscrizione dei concorsi sono on line su www.italiawave.com. Le iscrizioni scadono il 15 gennaio.
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