CoolClub.it n.40/41 (Agosto-Settembre)

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anno IV numero 40/41 agosto/settembre 2007 poste italiane spa spedizione in abbonamento postale DCB 70% Lecce



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Il ricordo è un modo di incontrarsi, ho letto non so dove, non so quando. Ricordare, prendere appunti, creare una memoria e soprattutto non dimenticare è l’unico modo per non permettere alle cose di scomparire per sempre. È la mia più giovane ossessione. Da anni raccolgo testimonianza del mio passaggio, di quello della gente che mi circonda. Importante quando ti vedi crescere, cambiare fuori e dentro. Pensi che tutto questo debba avere un senso, magari leggibile dagli altri. Pensi che ci sono cose che vanno imprigionate, catturate nel loro attimo più bello. Immagino che chi ci sarà, dopo di me, potrà averne bisogno o anche scegliere di ignorarle. Se guardo oggi questo giornale lo vedo anche così. In questi quattro anni abbiamo creato un archivio di scorci di questo tempo, li abbiamo impressi su carta, li abbiamo regalati affinchè qualcun altro ne facesse più o meno tesoro. In questi anni molte firme si sono succedute su queste pagine. E queste firme sono persone, storie, vite. Ogni mese abbiamo registrato i cambiamenti e gli avvenimenti di questa terra o semplicemente ne abbiamo osservato il clima culturale. A volte, e giustamente, la gente non ci pensa quando sfoglia un giornale. Questo nuovo numero dedicato ai racconti, edizione speciale che ci concediamo ogni anno, è più bello che mai, segno di un’ ottima annata lettararia. Una sorta di ponte con il numero precedente, la chiusura del cerchio, dell’indagine sulla creatività nostrana. (ndr il numero 39 di coolclub.it è dedicato alle produzioni musicali salentine). Non troverete la musica e il cinema, in ferie per questo numero, in compenso un approfondimento sugli ultimi eventi dell’estate. Il nuovo numero di Coolclub.it esce, infine, con una nuova consapevolezza: quella che probabilmente questo giornale sia l’ossessione di pochi oppure non sia poi così importante come ci sembra. Forse è ora di passare il testimone a qualcuno più incosciente di noi, ma non mi è sembrato vederne di così temerari. Dopo la pausa estiva Coolclub.it cambierà, forse non sarà più di carta, probabilmente non sarà così. Senza sentimentalismi, ma sempre con la consapevolezza che il tempo passa e stiamo cambiando…per fortuna. Osvaldo

CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Anno IV Numero 40/41 agosto/settembre 2007 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato Ringraziamo Rossano Astremo, Mauro Marino e le redazioni di Musicaround. net, Blackmailmag.com, Primavera Radio di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Pugliadinotte.net, Rete Otto e SuperTele. Copertina Erik Chilly Progetto grafico dario Stampa Martano Editrice - Lecce

Sommario in Ferie...

Chiuso in redazione nel triste giorno di Bologna... L’abbonamento al giornale varia dai 10 ai 100 euro. Per informazioni 3394313397.

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Si può viaggiare attraversando l’immateriale? Incrociare la traiettoria di una voce, di un sussurro? Camminare in punta di piedi su tracce d’inchiostro, osservare non visti e realizzare il divenire di un rigo tinto di penna o scolpito, con la luce, su uno schermo. Si può? Sì, si può! La scrittura è “cattura del soffio”, matrice che dà corpo e sostanza all’immaterialità. C’è un pensiero, un’idea e poi un movimento di mani, di corpo, di anima, di voce che mette le cose in vita. Per capire l’ultima onda del “letterario” nel Salento, e trovarci a nostro agio in compagnia dei sodali del “naviglio innocente” indaghiamo un passato non molto distante, a bordo della “nave castro” bordeggiamo verso Guisnes, in cerca di Antonio Verri, (nella foto in alto) l’ultimo interprete della tradizione novecentesca. Il ‘moderno’ saraceno, che osando il ‘post’ ha scritto la pagina più completa e prospetticamente certa dell’esperienza letteraria di Terra d’Otranto. Lui era umile e caparbio, sincero ed ingenuo. Certo nell’osare, spericolato e gentile maieuta di volontà. Custode affettuoso di vite. Un angelo! Motore ideale - ed anche concreto - di pratiche che hanno sdoganato la ‘soggezione’ salentina, aperto il recinto della provincia, presagito l’importanza del margine, della piega, del confine. L’esortazione del suo Fate Fogli di Poesia Poeti! può essere considerata il manifesto dell’agire poetico salentino di questi anni, ispirazione e modello di una necessità di dire e di dirsi, incontenibile. Di una densità operativa che trova oggi, a più di dieci anni dalla sua scomparsa, spinte di accelerazione e di completamento che pienamente hanno accolto la ‘maestria’ che da lui viene, modello operativo diffuso e condiviso, con ipotesi ed articolazioni intellettuali che smarginano i generi. Se si guarda bene c’è un attaccamento alla poesia e alla scrittura che nel Salento è sempre presente, si rinnova, viene fuori, in un crescendo suadente e pervasivo. La sua qualità letteraria trova tempo e occasioni per esprimere la sua valenza e la sua autonomia. Che clamore di relazioni! Che ricchezza di incontri! Nel passato come nel presente. Aggregati, avventure private, vaneggiamenti e scontri teorici, racchiusi in pagine che s’interrogano e trovano risposte, incanti, stupori. Strati, sedimentazioni, storie di vite disincantate, romantiche e tragiche, sino all’oggi vitale e vitalistico in un riscatto montante, capace di opportunità creanti. Nel narrare, che trova eccellenze nelle esperienze editoriali di Elisabetta Liguori, Livio Romano, Luciano Pagano, Francesco Lanzo e oggi, che parliamo di grande salento, nei manduriani Omar Di Monopoli e Giuse Alemanno. La poesia è il grande incubatore di desideri e di vocazioni,

accoglie percorsi ed esiti sempre sorprendenti, quasi che il sacrificio di Claudia Ruggeri (nella foto in basso) avesse germogliato e nutrito una generazione cresciuta nella sua assenza. Ilaria Seclì, Gioia Perrone, Elena Cantarone, Carla Saracino, Marthia Carrozzo, Margherita Macrì, Michelangelo Zizzi, Rossano Astremo, Giuseppe Semeraro, Andrea Aufieri, Vito Antonio Conte, Angelo Petrelli, Francesco Rizzo, Paolo Antonucci, Vito Lubelli, Giovanni Santese, Tiziano Serra, Simone Giorgino, Stefano Donno, sono i protagonisti di una ‘via vai’ che attraversa la città, i suoi luoghi, il suo tempo, dilatandola al mondo, contemperandola alla contraddizione dell’oggi, avendo occhi per interpretarla nelle andature del verso spesso sferzante, crudo, acido. Nomi non a caso, scampoli di storie unite da percorsi che hanno avuto in comune tempo, coincidenze e fughe. Incroci d’attimi e generosi incontri, nati a sommuovere l’ordinario ‘non so’, motivati da un forte desiderio di condivisione. Con aspettative e orizzonti. Frequenze, abitudini, modi di pensiero e di scrittura diversi che hanno avuto occasioni, amori e passioni comuni, stesso progetto. Per tutti l’esercizio dello scrivere, la pratica del ‘dono’, della verifica costante confrontandosi in letture private e pubbliche, in scambi di suggestioni, in innamoramenti autoriali, in infatuazioni poetiche che danno corpo lirico vivo e militante, alimentando con nuova linfa percorsi già aperti nel lungo cammino del Novecento e dei suoi interpreti, ormai sommi. L’oggi della poesia osa. Lascia la pagina e ‘rischia’, gioca le regole del teatro, tira fuori la voce, crea situazioni. Poesia-voce lasciata libera, fuori in evanescenza di tempo, nella luce che abbaglia. Guardiamo un Salento ‘opera’, dove il tempo contiene vicende che mutano il nome ma non la sostanza della loro carica emotiva e creatrice, capaci di calibrare, per accumulo d’esperienza, ogni rigore necessario a segnare il Progetto. Per scordarlo, lasciarlo alle mani che sanno pensare e de-pensare… libere di nutrire materia e natura. Uno svegliarsi d’attenzione che immagina, sente e scrive definendo percorsi, scorci di bellezza, stupori e sprofondi. Dalla linea del cuore, come per Verri, costruttori di armonie. Mauro Marino


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Grande Salento. A me questa definizione non ha mai convinto. Ho sempre pensato “qui c’è del marcio”, “questa è una di quelle cose messe su dalla politica per incassare fondi a destra e a manca”. Io però non mi occupo di politica, e il mio punto di vista sulla politica potrebbe sintetizzarsi in una stringa di bip pronunciati ad alta voce. Vorrei invece indicare delle differenze di rappresentazione di’immaginario notate leggendo alcuni romanzi scritti da autori pugliesi pubblicati nel 2007. I libri in questione sono Uomini e cani (Isbn) di Omar Di Monopoli, Adesso tienimi (Fazi) di Flavia Piccinni, Andai, dentro la notte illuminata (peQuod) di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, Niente da ridere (Marsilio) di Livio Romano, Re Kappa (Besa) di Luciano Pagano, Il correttore (peQuod) di Elisabetta Liguori. I primi tre hanno la provincia di Taranto come scenario di riferimento. È vero, il romanzo di Di Monopoli si sofferma su una città chiamata Languore, ma Languore altro non è

che Manduria. E anche la VillaFranca di Liviano non è altro che Martina Franca. Flavia Piccinni invece trasforma Taranto in una sorta di protagonista assoluto della sua storia. Non è solo l’adolescente Martina, immersa in un dolore senza via d’uscita per la scomparsa del suo uomo, a spiccare tra le pagine, ma anche la Taranto dei “500 milioni di debiti e 90,3% della diossina che uccide l’Italia”. Gli altri tre sono ambientati nella provincia di Lecce. Re Kappa di Pagano a Lecce, Niente da ridere di Romano in un paese della provincia, facilmente riconoscibile in Nardò, e quello della Liguori gioca sulla doppia rappresentazione Nord – Sud, dove il Sud è rappresentato come territorio invaso da avvocati che giocano a calcetto contro magistrati, che nel fine settimana partecipano in queste festicciole fighette per pochi adepti. A me ricorda tanto Lecce. Non so a voi. Sto girando attorno a cosa, vi starete chiedendo? In letteratura questo Grande Salento non sembra esistere. Taranto e Lecce sembrano essere mondi completamente agli antipodi. Un libro è sempre una successione di parole che descrive un mondo possibile e come tale non reale, ma che dialoga variamente con la realtà. Gli scrittori che raccontano

la provincia di Taranto sembrano fotografare la realtà che li circonda. Gli scrittori che raccontano la provincia di Lecce sembrano lavorare su un immaginario da cartolina su cui poi si innestano le storie dei rispettivi protagonisti. Non sto dando giudizi di valore. Perché i sei romanzi da me citati sono ottimi libri che consiglio di leggere a tutti i lettori di CoolClub.it. Se i protagonisti dei libri di Di Monopoli, Piccinni e Liviano sono sineddoche di un territorio, rappresentazione di un disagio, di un essere gettati nel mondo in uno spazio non idilliaco, nei romanzi di Romano, Pagano e Liguori il disagio, laddove è presente, è sempre individuale, non riguarda un territorio, perché il territorio fa solo da sfondo, non interagisce, si osserva, come una cartolina, appunto. Allora se di Grande Salento volete parlare, non appiccicate questa etichetta alla letteratura. Rossano Astremo


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Un’estate al mare Giuseppe Culicchia Garzanti

[...] Non sarà un capolavoro ma descrive in maniera impietosa e onesta, ironica e angosciante alcuni tic degli italiani. Giuseppe Culicchia, dopo i successi in “giovane” età (Tutti giù per terra e Paso Doble su tutti) torna in libreria con un romanzo ambientato nell’Italia che, nonostante le nefandezze di Moggiopoli e Calciopoli, conquista i Campionati del mondo di calcio. Un bel romanzo, agevole, scorrevole da far fuori in poche ore. Proprio come piacciono a me. Perciò Culicchia fa sempre, o quasi, centro. [...] Pierpaolo Lala

A day in the life Enzo gentile Editori Riuniti

Manituana Wu Ming Einaudi [...] Lo sapevate cosa è successo il 2 novembre del 1975? No? Neanche io prima di leggere a Day in the life. Il 2 novembre di quell’anno Bob Dylan e Allen Ginsberg si sono recati in visita alla tomba di Jack Kerouack. Chi di voi non ha sognato di conoscere giorno per giorno la storia del rock? Impossibile direte. Non proprio. Esce questo volume imponente per dimensioni e importanza che ripercorre come un diario la storia del rock dagli anni 50 ad oggi. Appunti di avvenimenti, curiosità, decessi, uscite discografiche e tutto quello che vale la pena sapere. [...] Osvaldo Piliego

[...] Non è un r o m a n z o n e western, anche se ci sono gli indiani, gli scalpi, le canoe. Non è un romanzo di guerra, anche se ci sono le battaglie, i morti, i feriti, i cannoni e i fucili. Non è un romanzo di viaggi, anche se ci sono lunghe marce, esodi, attraversamenti dell’atlantico. Non è un romanzo criminale, anche se ci sono i bassifondi londinesi, le gang di tagliagole e i locali malfamati.

Non è un romanzo storico anche se date, ambientazioni, personaggi e avvenimenti sono storici. O meglio, Manituana, forse è tutto questo e qualcosa d’altro. [...] Dario Goffredo

Scogliera

Olivier Adam minimum fax

[...] “Vivevo circondato da paesaggi di ovatta, in una zona indistinta del mio cervello, del tutto estranea alla vita reale e come su un altro pianerottolo, in un’altra stanza, in un passato continuo in cui mia madre non era morta”. La vita ci consegna la morte, ma da ogni morte ci si può sollevare, con fatica, evitando i cortocircuiti solipsistici della mente. Una storia dolente come poche, scritta in una prosa nitida e a tratti lirica. [...] Rossano Astremo


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Il grande Bagarozy Helmut Krausser Barbera editore

[...] Come si reagisce davanti al nostro lato diabolico, che lentamente emerge e ci conquista? È questo l’interrogativo che attraversa il romanzo di Helmut Krausser, facendoci fare un viaggio tra i sotterranei della nostra coscienza, quelli di cui ignoravamo l’esistenza. Attraverso le vicende di Cora Dulz, psichiatra trentacinquenne dalla vita matrimoniale piatta ma serena, l’autore ci conduce in un mondo sospeso tra realtà e soprannaturale, di cui è difficile scorgere i confini. Affascinante. [...] Silvia Visconti

Everyman Philp Roth Einaudi

Libreria Palmieri – Lecce

Frank Schatzing Il diavolo nella Cattedrale Nord edizioni David Morrell Paragon Hotel Piemme edizioni Joe R. Lansdale Mucho Mojo Einaudi Giuseppe Ferrandino Spada Mondadori J.K. Rowling Harry Potter and the Deathly Hallows Bloomsbury

Camera a Sud – Brindisi

Peter Cameron Quella sera dorata Adelphi Vikram Chandra Giochi sacri Mondadori Milena Agus Mal di pietre Nottetempo Marco Malvaldi La briscola in cinque Sellerio Joe R. Lansdale Mucho Mojo Einaudi

Libreria Idrusa – Alessano

La banda delle casse da morto Nick Laird Minimum Fax

[...] Romanzo sul senso della fedeltà a dei valori, La banda delle casse da morto riporta alla ribalta un immane problema politico da tempo messo da parte, ma non certo risolto. Lo fa con la struttura del noir divertente, e con una scrittura spiazzante e veloce. Rendendo magistralmente l’indissolubile legame tra l’intimità di una vita e le grandi questioni sociali. [...] Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello

[...] Everyman, il cui titolo è mutuato da un’anonima rappresentazione allegorica quattrocentesca, è una storia che parla di carne. Ma la carne questa volta è in decomposizione, e il dolore è dietro l’angolo. Nero come il dolore, nero come un negativo fotografico, nero come la rigorosa copertina che racchiude queste cento pagine, intrise di dolore e morte. Un Roth così nichilista non si era mai visto. Vuoi vedere che a ‘sto giro il Nobel lo becca davvero? [...] Ilario Galati

Come diventai monaca Cesar Aira Feltrinelli

[...] Dimenticate subito suore e conventi, perché questa è la storia di un tenero bambino di sei anni e del suo gelato alla fragola. Niente conflitti di coscienza, niente conversioni dunque, nell’universo assurdo di Aira basta molto meno per stravolgere una vita. Forse non l’avreste mai immaginato,

Antonio Dambrosio Ensemble con Nichi Vendola Sempre nuova è l’alba. Omaggio in musica a Rocco Scotellaro. Libro+ cd Squi[libri] Vittorino Curci Era notte a Sud Besa AA.VV. Mordi&Fuggi. 16 racconti per evadere dalla Taranta Manni Valter Giuliano Canti, poeti, pupi e tarante. Incontri con i testimoni della cultura popolare Squi[libri] Annamaria Ferramosca Curve di livello Marsilio

Libreria Kube – Gallipoli

Giuse Alemanno Terra nera. Romanzo perfido e paradossale di cafoni e d’anarchia Nuovi Equilibri Giancarlo De Cataldo Nelle mani giuste Einaudi Niccolò Ammaniti Come Dio comanda Mondadori Khaled Hosseini Mille splendidi soli Piemme Ildefonso Falcones La cattedrale del mare Longanesi



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sono una congerie di dolorose riflessioni sulle differenze e sul disagio. [...] Vito Lubelli

Critica della Ragion Criminale Michael Gregorio Einaudi

ma un semplice cono gelato, nonostante il suo aspetto innocente, è in grado di disgregare una famiglia mandando un padre in carcere, un figlio in coma e lasciando una madre inconsolabilmente sola; ed in questo romanzo le cose andranno proprio così. [...] Silvestro Ferrara

Lupi mannari americani Michael Chabon Rizzoli

Joshua Ferris Neri pozza

Un manicomio tra i pali Luigi Guelpa Limina

[...] Un volume che raccoglie ventuno storie di portieri, storie spassose come quelle di Higuita o di Campos (il messicano che per sei mesi l’anno faceva il centravanti) o drammatiche come la vicenda di Helmuth Duckadam, estremo difensore della Romania, torturato dalla feroce polizia del dittatore Ceasescu. [...] Ludovico Fontana

Merda e luce

Antonio Moresco Effigie

E poi siamo arrivati alla fine [...] “Eravamo irritabili e strapagati”. Un attacco formidabile che raccoglie insieme la forza, la bellezza e il senso del romanzo d’esordio di questo giovane scrittore americano. Una storia tutta all’interno di un’agenzia pubblicitaria di Chicago, scritta in prima persona plurale. Una storia terribilmente realistica, fatta di simpatie e rancori, chiacchiere e pregiudizi che scorrono attraverso le giornate di un gruppo di colleghi che sanno tutto di tutti. [...] (F.T.)

[...] Tra colpi di scena, atmosfere noir al limite dell’horror, si dipana questo Critica della Ragion Criminale mirabile thriller a metà tra il romanzo storico e la noir-fiction alla Fox Crime. Michael Gregorio riesce a costruire una trama che non ha cedimenti, compatta e con un ritmo serratissimo, che costringe il lettore a non lasciare il libro prima di essere arrivato alla fine delle quasi 500 pagine, gustando, pagina dopo pagina, le numerosissime chicche e i saggi del pensiero kantiano applicato alla scienza forense. [...] Dario Goffredo

[...] Una corporazione di perdenti. È il ritratto collettivo che emerge dai racconti di Michael Chabon: uomini, donne, lupi mannari americani alla ricerca della felicità. Con lo stile tipico del “realismo isterico”, questo formidabile scrittore traccia uno spaccato della parte più in ombra della società contemporanea, quella fatta di esseri umani normalissimi e paradossali. Ma la routine quotidiana non compare in nessuno dei nove racconti. Attraverso una ricerca quasi maniacale dei dettagli della narrazione Chabon rende assolutamente vividi i personaggi di queste storie di ordinaria follia. [...]

Cordelia

Nicoletta Vallorani Dario Flaccovio Editore

[...] Un unico, lungo respiro, un’apnea per un’immersione letteraria nella testa della protagonista, la bambina Cordelia. Utilizzando una scrittura infantile eppure profonda, minima eppure graffiante, la Vallorani scende nella testa della protagonista dall’incipit alla conclusione, generando un’opera apparentemente facile, dove invece ogni parola ha un senso oscuro e dove tutti i pensieri di Cordelia, che costruiscono il racconto,

Ecco il teatro di Antonio Moresco: un uomo e una donna nudi, sotto un cielo stellato, in una notte estiva, con uno spaccaossa a fare da leitmotiv ai loro discorsi sul senso del loro amore; Maria Callas, nel fulgore della sua forza vocale, alle prese con la progressiva prepotenza scenica della sua tenia; un siparista, in un monologo iroso e folle sul senso e sul valore del teatro, interrotto solo dalle incursioni sceniche di un motociclista e dal rigonfiamento improvviso di un cazzo. Rossano Astremo

Tutto in una notte Tony Parsons Barbera editore

È il 1977, anno nodale per la storia della musica, tre giornalisti musicali vivono nell’arco di una notte l’esperienza che cambierà loro la vita in una Londra che vive uno dei suoi anni più intensi. È la notte in cui il mondo del rock saluta per sempre il suo re Elvis, una notte in cui tutta la musica sembra sfilare nelle vite dei protagonisti. Tre personalità musicali e umane differenti, che messe una accanto all’altra sono capaci di delineare in maniera vivida e accurata il panorama di quel periodo. (O.P.)



CoolClub.it Quando abbiamo pensato a questo ultimo numero di Coolclub.it e abbiamo chiesto ad amici e meno amici di regalarci un loro scritto abbiamo pensato alla spiaggia. In estate si legge di più o meglio la maggioranza degli italiani trova il tempo sotto l’ombrellone per riuscire a finire (o iniziare per lo meno) l’unico libro che consumerà nel corso dell’anno. Una statistica che deprime o meglio dovrebbe deprimere gli animi degli italiani che invece superano con grande aplomb questa iattura. Non si legge, non si legge per nulla ma si scrive tantissimo. I dati sono scoraggianti, il mercato continua a sfornare libri a ripetizione - popolo di santi, poeti e navigatori (satellitari) e l’edicola aiuta solo a tamponare la ferita. Infatti in Italia si sono fuse due aziende che arrancano (l’Alitalia ancora non ha trovato nessuno con cui condividere le sue pene): quella dell’editoria (nel senso dei libri) e quella dell’editoria (nel senso dei giornali). Così se uno si azzarda ad acquistare un quotidiano (quelli con la carta che puzza e che mi fa letteralmente impazzire di goduria) rischia di imbattersi addirittura in un volume (questo sconosciuto). Così, senza neanche volerlo, migliaia di italiani si sono ritrovati negli scaffali, di solito desolatamente vuoti o ricchi di inutili ceramiche, dei titoloni da non perdere, grandi classici, la bibbia in otto lingue, i meridiani (che prima erano un lusso e adesso sono roba da autogrill), i signori del giallo, le donne del noir, i compagni del pensiero, i maestri della matematica, i fiori delle antille, la cucina multiculturale, la musica sacra slovena. Tutto lo scibile umano viene regalato (al primo numero) e poi offerto a prezzo stracciato. Così gli italiani, che sono furbi (e io sono il primo dei furbi) hanno tutti i primi volumi delle

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raccolte in edicola: l’inferno, tanto il Purgatorio e il Paradiso sono noiosi, i primi due fascicoli di inglese, francese, spagnolo, tedesco, giapponese per te, il primo periodo del fascismo (dalla marcia su Roma al delitto Matteotti), l’avvio di Tangetopoli, la storia di Indro Montanelli, il primo volume della garzantina universale, dall’a alle m del dizionario dell’arredamento classico e a seguire il terzino sinistro del biliardino a fascicoli, il cuore e un polmone del pupazzetto tipo medico e infermiera, un coltello, un piattino da caffé, la ruota di scorta della macchina telecomandata, e così via. Ma in questo periodo sotto l’ombrellone non possono e non devono mancare i grandi classici del momento (oltre alla settimana enigmistica) quelli che ti fanno riconoscere, che ti danno un motivo di discussione con il vicino di ombrellone, il solo motivo per il quale ogni mattina lasci la tua stanza e finisci nelle grinfie delle discussioni da spiaggia. Impossibile e immancabile La Casta di Rizzo e Stella. La discussione del momento è infatti tutta incentrata sui costi della politica. E poi scopriamo che è un costo della politica anche la prostituta di turno per il bigotto parlamentare (pure delle nostre parti...). Come non può mancare nella mani abbronzate un qualsiasi volume di Federico Moccia. Moccia si che è uno status simbol. Devi averlo letto altrimenti sei fuori dal giro o comunque devi sapere perché le città sono invase da sti cazzo di lucchetti... insomma l’estate editoriale è come l’estate musicale con le stesse canzoni, i tormentoni, i festivalbar e le coppie che scoppiano. Fino a quando non riprendono la Serie A, Buona Domenica, il Grande Fratello, L’isola dei famosi e non si ha più il tempo di parlare del libro che si è letto sulla spiaggia.




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Si stupì che la porta fosse chiusa e solo entrando e annusando, comprese. C’era dentro un buio da tapparella contratta e odore d’arancia alla vaniglia inacidita. L’odore e il buio procurato da suo marito. Lui dormiva. A quell’ora. Incredibile: dormiva davvero, tant’è che si sentiva il frusciare aggrovigliato tra bocca e narici dei sui respiri più lenti. txt Elisabetta Liguori

Spinse con l’indice sull’interruttore, dopo aver frugato con le altre dita della stessa mano lungo la parete, nel buio. La luce fece rumore: l’avvertì della casa abbandonata a se stessa per quelle poche ore e la fece sentire in colpa. Rientrava per prima, eppure con un forte senso del ritardo in gola. Nell’aria illuminata di colpo: particelle note, dolciastre, odore d’umido, foglie e ansia grassa, sudata, per via del potos tenuto a bagno per giorni e delle scale fatte a piedi e in fretta. Nessuna voce. Marcella era da un’amica, la solita, a far disegni a cera, la sua passione domestica dell’ultima ora, e Marietto in palestra con la sig.ra Pezzato, che lo accompagnava per tre volte a settimana e sempre rimaneva ad osservarlo, dietro l’ampia vetrata, scalmanarsi senza criterio, come un panno in lavatrice, in compagnia di una decina d’altri bambini. La signora Pezzato viveva al sesto piano. Vedova. Era scontato che avesse voglia di guardar crescere qualcosa d’umano intorno a lei, sentirsi nuovamente complice di un qualche cambiamento. Che non fosse solo buon vicinato, s’era capito quella volta che la signora aveva continuato a chiamarli per ore e inutilmente al cellulare, perché un giovedì non erano rientrati in casa alla solita ora. S’era preoccupata esageratamente per loro, che invece avevano solo deciso di prendersi una vacanza infrasettimanale e andare verso il mare. Sulla costa la Wind prendeva male, ma l’aria marzolina era così specchiante, da divenire sonnolenta, incantatrice. Loro non avevano pensato di certo di far vittime ad infrangere la barriera delle loro consuetudini solo per un giorno e non avevano dato neppure uno sguardo alle chiamate. Al ritorno l’avevano trovata seduta sulle scale, con gli occhi fissi all’ascensore fermo, le dita intrecciate con le pieghe della gonna, pallida come un neon appena spento, con ciocche di capelli grigi a pezzi vaganti. A rimproverarsi qualcosa d’incomprensibile. Non sapevano che le loro abitudini fossero diventate necessità per altri, poiché non c’era in quelle nessun progetto, nessuna affezione, ma solo la casualità del momento. Per di più, pur volendolo, era ormai quasi impossibile capire da dove fossero venute certe pratiche, certe necessità, e che nesso reale ci fosse stato tra queste e i desideri dell’inizio. Ma per la signora Pezzato era diverso, lei era sola. La sua era una solitudine geometrica. Da quel giorno delle scale, ogni volta che lei si offriva di andare a prendere i bimbi da scuola, portarli in palestra, in villa comunale o altrove, nessuno osava negarglielo. Tanto che quando, all’inizio dell’estate, si parlò di andar fuori - qualcuno tra loro in famiglia, fece cenno addirittura a New York - dopo il primo sognare un po’ ebete da dépliant,

presero a volar basso certi sguardi smarriti tra i quattro di casa, e solo Marcella trovò il coraggio di dire “...e la signora Pezzato?”. E non se ne fece più nulla. Adesso il vento d’autunno aveva spolverato ogni cosa e, come ogni anno, rimesso in moto. Suo marito preparava un concorso nella pubblica amministrazione. Un nuovo concorso. S’era detto: fino ai 40 si prova e riprova; lui ne aveva solo 35, ma ci provava sempre con più astio, seppur con rinnovata innocenza e, nonostante la signora Pezzato telefonasse ogni pomeriggio, da mesi ormai: suo marito oggi studia? vuole farmi salire su i bimbi ché non fanno rumore?, lui aveva voglia di fare viaggi e nello stesso tempo di negarseli, perversamente. I bambini, dopo i compiti, salivano al sesto piano, a giocare a nomicosecittà, un gioco antico, da serate ben più fredde di quelle, che anticipava nei contenuti e nel piglio la scuola della mattina dopo, mentre lei, la loro madre, rimaneva come un cuneo infilata nel silenzio di chi studia, a scrivere le sue cose che nessuno leggeva, da pubblicare, forse, su una rivista letteraria. Non era un vero silenzio il loro, comunque: la casa aveva i suoi rumori, a prescindere. Restava impregnata dai rumori delle ore già trascorse, come l’avanzo di una cronica tachicardia. La sera, con il buio che anticipava di qualche minuto ogni giorno e un vento sempre più tignoso, lui studiava, lei scriveva. Sembravano impegni serali privi di senso, in quanto di giorno il ritmo variava di molto e aveva ben altre finalità: non il futuro in senso generico, ma il presente, il loro presente statico e quello dei bambini. Lavoro, cucina, città. Era evidente che di tutta quella fatica non c’era vero bisogno. Non erano necessari né quello studio, né quel silenzio, né quegli scritti a inseguire una possibile pubblicazione, né certi giochi mosci anni settanta al sesto piano. Marietto giorni prima, a conferma di questo, aveva scritto in un compito in classe che la sua famiglia era in mezzo, senza precisare nel mezzo di cosa, quasi fosse scontato. Sua madre era rimasta incantata dalla definizione. Aveva guardato suo figlio come una specie di profeta senza patria e meriti altrui. Un astro spontaneo. Con il quaderno a quadrettoni in mano, dopo aver letto, il corridoio di casa, nel mezzo del quale si trovava, le era parso molto più lungo e periglioso del solito. Adesso che era autunno inoltrato, lei rientrava in casa dal lavoro verso le diciotto; suo marito ancor più tardi dallo studio, quando era già buio da un pezzo. L’altra metà dei giorni si andava riducendo. Ma non quella sera. Quella sera lei fece presto a rincasare e la sua presenza imprevista illuminò d’un botto, come a


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teatro sul palco la prima scena, la pila di tomi spaginati sulla scrivania e le matite temperate fini. Le sembrarono il frutto deforme di un’attesa infinita, assurda e senza applauso, di un’incurabile stanchezza; così, invece di pensare alla cena, le venne voglia di dormire. Si avviò pensando, mentre i muscoli le si scioglievano velocemente: che bella casa. Era così: la penombra restituiva una serie di sagome d’immobile eleganza, come la grossa brocca con le ciliegie a rilievo sul tavolo ovale alla sua destra. Il loro era un abitare selezionato con questo obiettivo: poter affermare e credere che fosse una bella casa. Quando si muoveva per i suoi spazi desiderava modificarli ormai solo di poco, sempre di meno. E continuava a pensarlo: che fosse una bella casa. Anche con addosso quella imprevista sonnolenza molesta, che le imprimeva un marchio dolente sotto le ciglia, poteva camminare, formulando questo pensiero domestico normale, lasciando a cascata giacca, borsa, ombrello, chiavi dietro di sé. Che strano aver sonno a quell’ora: pensò di essere malata, e pur pensandolo con cattiveria, il sonno non passò. Nel mezzo c’era la sua camera da letto. Si stupì che la porta fosse chiusa e solo entrando e annusando, comprese. C’era dentro un buio da tapparella contratta e odore d’arancia alla vaniglia inacidita. L’odore e il buio procurato da suo marito. Lui dormiva. A quell’ora. Incredibile: dormiva davvero, tant’è che si sentiva il frusciare aggrovigliato tra bocca e narici dei sui respiri più lenti. Fece piano ad infilarsi sotto le coperte e lui non si mosse. Gli si accovacciò accanto come una piccola montagna dura e rigida, accanto ad un’altra solo un po’ più grande e per quanto avesse voglia di toccarlo, non lo toccò. Pensò che quell’abbandono diurno fosse un furto e non volle denunciarlo. A nessuno. Restò nel mezzo di quel gesto incompleto per almeno tre secondi, poi, nei suoni del pomeriggio, così diversi per intensità e colore, da quelli notturni, lei s’addormentò. Sognò camicie. La città in sogno era Roma, non ci si poteva sbagliare: riconobbe certe strade nei pressi del Vaticano, tipo Via Cola di Rienzo, quella grande, rumorosa, commercialmente ricca, poco dopo mucchi di souvenir tutta chiesa e papa. Cercava camicie con disperazione. Cercava in particolare le quattro camicie che era solita mettere nella valigia di suo marito quando partiva per concorsi, tutti quelli che aveva fatto fino ad allora. Una camicia per ogni prova scritta, una prova per ogni camicia. Pulite, stirate, ripiegate. Proprio per quell’ultimo concorso le aveva dimenticate. Non ne aveva messa neppure una, rendendo impossibile la partecipazione al concorso, proprio quel concorso, che sembrava l’ultimo, che sarebbe potuto essere l’ultimo. La valigia era arrivata a destinazione praticamente vuota. Suo marito aveva brontolato sommessamente come era solito fare quando veramente colpito da un evento, quindi lei aveva deciso di partire per rimediare. Il sogno era pieno di sole e strade: un sole accecante, puro come il fuoco, posto sopra una città bruciante di vicoli pieni di facce. Facce tante, ma di camicie neppure l’ombra. Lei si aggirava dentro una città enorme piena di negozi, senza trovare una sola camiceria, mentre l’ansia la scaldava almeno quanto il sole. Sudava e beveva acqua gasata, beveva acqua gasata e sudava. La sensazione più fastidiosa era però connessa alla certezza che quella città fosse troppo

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grande per essere contenuta in un unico percorso; che se la camiceria che cercava non era lì, era di certo altrove; che non sarebbe bastato un giorno a trovarla, ma forse cento sì, se ne avesse avuti cento da destinare a quella ricerca; che era solo questione di cartine, organizzazione, resistenza fisica, coraggio, pazienza. E tempo. Bere non l’aiutava per niente. Si svegliò con i capelli incollati al cuscino bagnato e il fiato grosso. Sua marito era già sveglio, ritto a sedere accanto a lei tra i gorghi delle lenzuola sfatte, a guardarla. Erano sorpresi l’uno della presenza dell’altro e dell’ora insolita che li aveva spinti a tradimento nel letto a compiere gesti più adatti alla notte. - Ho sognato. - Anch’io! Il marito, senza attendere un invito formale - del resto, dopo i primi due anni di matrimonio avevano naturalmente smesso di far cerimonie - cominciò a raccontare, colmo di personalissima urgenza. Ambientazione: un villaggio turistico, di quelli organizzati a colori sgargianti, tipo Valtur. Al bar: un bancone lungo un chilometro di mogano chiaro, pavoni intarsiati, drink tropicali e cannucce ritorte. Accanto al marito in vacanza c’era un tipo con il panama in testa, belloccio e indolente nei gesti, che sorseggiava qualcosa, concedendo autografi a ragazzine urlanti e spanciate. Il marito cercava di starsene in disparte, davanti ad un foglio bianco con una stilografica in mano, ma ogni volta che tentava di scrivere, dal pennino veniva fuori un liquido denso e scuro, come caffè, che lasciava scie simili ad ideogrammi cinesi. Il belloccio in panama era troppo vicino per non accorgersi di tutto, e infatti osservò la scena sotto morbidi riccioli castani che contaminavano opportunamente il pathos del panama. Dopo aver osservato e riso sornione, il belloccio cominciò a scusarsi personalmente con il barman. Moine condiscendenti da uomo di mondo, sorrisi eloquenti e obliqui, battutine sulla distrazione di certi clienti, sullo stile, l’attenzione. Il marito dolente e silenzioso fu costretto a ripulire il fiume d’inchiostro in fretta con il fazzoletto pulito che aveva in tasca, ma poi, senza poterne fare a meno, si voltò verso il panama che gli oscillava sapiente e vacuo sotto il naso. Gli occhi dei due s’incrociarono per qualche istante, senza futuro. Il panama sorrise ancora e l’altro gli mollò un cazzotto da film, scaraventandolo sul parquet con il mento rivolto al cielo azzurro. Anche lei raccontò il suo, in una gara tra sognatori, come se ciascuno temesse di non essere all’altezza dei sogni dell’altro e ne subisse l’impulso al rincalzo. - Cinque anni sono tanti, non è vero? - Tanti. Ma stai tranquillo. Può accadere qualsiasi cosa. S’alzarono senza commenti, né alcuna pigrizia, veloci, efficienti, rubandosi la strada verso il bagno. Ripresero l’attività obbligata in attesa dell’ora di cena e del rientro dei bambini. La sig.ra Pezzato era una donna puntuale, affidabile: sapevano bene che le uniche certezze giornaliere, per quanto non richieste, sarebbe scese direttamente dal sesto piano. Elisabetta Liguori ha pubblicato “Il credito dell’imbianchino” (Argo, 2005) e “Il correttore” (peQuod, 2007)


«Vaffanculo, Vinnie, me lo avevano detto che eri un piantagrane! D’altronde non poteva essere altrimenti, visto che sei riuscito a mandare a monte un affare liscio liscio come quello dei piccioni di Flanagan…» txt Omar Dimonopoli

Avviluppata nel consueto carnevale stroboscopico di grida, luci e sirene, la città fremeva. Nel bollore serale rinfrescato a tratti da una brezza leggera, un’auto stazionava nei paraggi di un’abitazione isolata, ai margini della strada. All’interno dell’abitacolo due uomini vestiti in maniera pacchiana: camice a scacchi, giacche di pelle scura, cappelli a tesa stretta. Quello al posto di guida tamburellava nervosamente sul volante lisciandosi il pizzetto, l’altro, al suo fianco, fumava furtivo una sigaretta dietro l’altra. «Allora?», domandò quello al volante. «Allora che? Cazzo, io sono pronto da ore!», rispose l’altro nevrastenico. «Be’ devi stare calmo, allora… bisogna stare in campana!» «Sei un cagasotto, Rizzo! Fosse per me avremmo chiuso la partita da un pezzo!» «Già! E magari saremmo anche in galera… merda, Vinnie, il tuo problema è che non rifletti abbastanza. Abbiamo degli ordini da eseguire, capisci? Niente cazzate!» «Stronzate, amico! Se Jimmy Camorra fosse davvero là dentro, sarebbe sceso da un pezzo… il fatto è che quello ha mangiato la foglia, e noi qui sotto ad aspettarlo come due coglioni!» Quello alla guida scrutò il compare tingendosi il volto di disprezzo: «Lo vedi?», disse, «Non metti in moto il cervello… se il capo ci ha detto che Camorra non sospetta nulla, vuol dire che quel bastardo non ha la più pallida idea dello scherzetto che gli abbiamo preparato, ok?» «See… adesso uno cerca di fregare Sonny Favourite e non si preoccupa di niente! Come minimo gli è venuta una strizza tale addosso che alla prima occasione se l’è filata!» «Non scommetterci! Il capo gli ha telefonato stamattina e ha fatto finta di aver abboccato l’amo… quello è la dentro, tappato in casa, certo di dover scendere solo a ritirare il malloppo. E quando lo farà…BANG! Bye, bye!» «Cazzo, quante storie… ma perché non salire e farla finita subito?» «Stai scherzando, vero? Camorra è uno tosto… l’ho visto coi miei occhi fare fuori come niente i gorilla di Pistone. Come minimo c’ha un arsenale là dentro! Se ci vede arrivare s’insospettisce e chi lo sa come va a finire… Io non rischio la pelle a cazzo. E così che sono arrivato dove sono arrivato. E poi Sonny vuole che lo facciamo secco all’esterno, e non si discute!»

«Il capo è un senza-palle, ok? Magari era un duro una volta, questo non lo nego, ma adesso, da quando sua figlia è scappata con quell’assicuratore… ma che te lo dico a fare?» «Vaffanculo, Vinnie, me lo avevano detto che eri un piantagrane! D’altronde non poteva essere altrimenti, visto che sei riuscito a mandare a monte un affare liscio liscio come quello dei piccioni di Flanagan…» «Cosa? Che cazzo stai dicendo? È questo che vanno sputtanando in giro gli affiliati? Brutti stronzi merdosi, la colpa è loro se i piccioni hanno fatto quella fine… ma io gli spacco… ti giuro, gli ficco…» «Ok! Ok! Falla finita… provo a sentire il capo e vediamo che dice, d’accordo? Tu vedi di non perdere di vista la porta di Camorra.» Rizzo compose un numero sul cellulare mentre Vinnie, sempre più agitato e sovraccarico, si cacciò dal pacchetto l’ennesima sigaretta. «Capo? Rizzo! Sì! No! …Sono due ore ormai che lo aspettiamo… voglio dire… avrà mangiato la foglia? No! Certo che… Ok! Mmmh! D’accordo! Passo e chiudo!» «Allora? Si va?» chiese gasatissimo Vinnie, tirando fuori da una fondina ascellare un grosso revolver. «Metti giù quella ferraglia, maledetta testa matta!», lo bloccò preoccupato Rizzo abbassando con la mano il cane della sua arma e guardandosi circospetto attorno. «Il capo lo ha sentito di nuovo, qualche ora fa, e gli ha assicurato che l’affare è andato in porto… quindi, rassegniamoci, dobbiamo aspettare ancora!» «Cristo! Vaffanculo!», sbraitò Vinnie sbattendo i pugni sul cruscotto. «Quest’attesa mi manda di fuori, cazzo!» L’altro lo bersagliò con un’occhiataccia, puntandogli contro un dito: «Bada Vinnie, niente iniziative personali! Se ti permetto di mandare tutto a monte il capo mi fa il culo, ok? OK?» «Ehi!», reagì improvvisamente sedato quello, «Non sono un novellino…» «Eggià… intanto ti sei fatto scappare i piccioni di Flanagan!» «Ti ho sentito, sai? Vaffanculo pure a te, ok? Non ho fatto errori, io, ok? La colpa non è stata mia! È che… i piccioni mi fanno… davvero, mi fanno proprio…» «Che?» «Non li sopporto, mi fanno schifo, ecco! Mio padre tornava a casa ubriaco e me le suonava, capisci?» «E che c’entra, questo?»


coolibrì «Come che c’entra? Me le suonava coi piccioni, no? Perché? A te non è mai capitato?» Rizzo spalancò la bocca aperta e poi, ciondolando il capo, concluse: «Sei strano forte, amico, lo sai?» I minuti caddero ritmici in successione. I due se ne rimasero a fumare ai loro posti senza aggiungere nulla. Poi Vinnie, spalancando improvvisamente la portiera, tornò a dare di matto. «Ora basta, maledizione! Scendo a vedere…» «Cazzo, amico», esclamò l’altro bloccandolo per un braccio e saettando fiamme dallo sguardo: «resta dove sei o quant’è vero Iddio…» «Cosa? Che fai?» «Provaci, ti dico, provaci e te ne pentirai, Vinnie!» I due si scambiarono rapidi sguardi stillanti cattiveria pura, sul punto di scattare. Di colpo il trillo snervante del telefonino vaporizzò la tensione nell’aria. «È Sonny!», avvertì Rizzo affrettandosi a rispondere: «Sì, d’accordo, capo. Certo capo…». Inforcando la pistola, Vinnie fissava il compare senza perdersene un cenno. «Va bene. Eseguiamo subito», stava dicendo ora quello prima di richiudere il cellulare. «Si va?» «Sta calmo! Il capo dice che ha provato a richiamarlo ma non risponde nessuno… dice di provare a suonare a casa». Neanche il tempo di finire la frase che Vinnie stese i piedi fuori dall’auto. «Ehi!», lo fermò Rizzo, «tu aspetta qui e non fare cazzate, ci vado io…» Grugnendo e smanacciandosi ripetutamente il viso, Vinnie sacramentò in maniera oscena. Rizzo lasciò la vettura e si diresse con affettata scioltezza alla porta di Jimmy Camorra. Suonò il campanello insistentemente, senza ottenere alcun risultato. Preoccupato, decise allora di tornare indietro. «Ci sta fregando, quel bastardo ci sta fregando!» pensò tra sé, e quando raggiunse la macchina, scoprì che Vinnie era scomparso. «Stramaledetto figlio di puttana!», borbottò. Cacciando di nuovo il cellulare dalle tasche fece per chiamare Sonny, quando il suo pard ricomparve alle sue spalle. Si rinfilarono contemporaneamente nell’auto. «Allora?», chiese Vinnie candidamente. «Dove cazzo ti eri cacciato?» «Sono andato a pisciare, amico… datti una regolata, ok?» «È l’ultima volta che mi faccio rifilare un cazzone come te per lavori come questo…» «Ti ho già detto di non esagerare, d’accordo? Sono un professionista, io», dichiarò Vinnie toccandosi il calcio della pistola, poi, assumendo una postura da duro, sbottò concentratissimo: «Novità su Camorra? Si è defilato?» «Non lo so. Non riesco a capire… sembra non esserci nessuno in casa. Ma quand’è che è uscito? Siamo qua sotto dall’ultima volta che il capo è riuscito a rintracciarlo sul telefono di casa, e non ci sono altre entrate oltre al portone principale. C’è qualcosa di strano… magari il campanello è rotto!» «See… quello stronzo ha capito tutto! Basta temporeggiare! Facciamo irruzione e vaffanculo!». Adesso Vinnie tirò fuori il ferro assieme a un grosso coltello da Rambo. «Metti via quella roba, figlio di puttana! Non possiamo fare nulla di testa nostra, hai capito o no? Aspetteremo che il capo ci richiami…» «Merda, merda, merda!» Un minuto di silenzio totale si portò avanti sull’orologio mentre Vinnie si sbarazzava di un pacchetto vuoto di sigarette dal finestrino e ne apriva con voracità un altro. Poi inalò qualcosa dalla punta del dito. Quando riprese

17 a parlare, le sue parole erano intervallate da rumorosi risucchi del naso. «Ehi, Rizzo, com’è che sei finito nella banda di Sonny?» «Bhà, non ci crederai…», sussurrò l’altro dopo un po’, indeciso se dargli la soddisfazione di tornare a considerarlo. «Avevo perso la testa per una delle sue mignotte. Volevo portargliela via, ma lui se n’accorse e mandò il vecchio Giamcana a sistemarmi. Giamcana però era stato il mio padrino e non ce l’ha fatta a farmi fuori. Finì che organizzammo un giro di scuse e tutto si risolse a mio favore. Così entrai nella banda…» «E la mignotta?» «Sta con Giamcana, adesso!» «Bha! Femmine…» Rizzo squadrò Vinnie con sufficienza. «Che diavolo vuoi saperne tu?», disse ridendo. «Stai scherzando? Ho amato anch’io, che credi?» Vinnie reclinò il capo sul sedile abbandonandosi ai ricordi, e un nodo gli attorcigliò lo stomaco quando ripensò a sua sorella Griselda. Non voleva farle male, quella volta, anzi, lui l’avrebbe sposata, ma il giudice non gli aveva creduto. Il telefono trillò. Era ancora Sonny. «Pronto, capo? Va bene…» Rovistando nel cruscotto e tirandone fuori candelotti di dinamite e una bomba a mano, Vinnie si sporse verso il compagno e tornò a chiedere: «Irrompiamo?». Rizzo lo guardò ormai rassegnato. «Ma sei davvero fuso di testa, cazzo! Metti a posto quella roba e vedi di controllarti. Sonny ha detto che manderà qualcuno ad informarsi e ci farà sapere…» «Rizzo, mi hai veramente stufato. Ora io vado lassù da Camorra e gli pianto un casino, ok? E me ne fotto se quello risponde al fuoco, ok? Io sono un professionista!» «TU SEI UN UOMO MORTO! Ti ho già detto di non procurarmi altri guai e sono pronto a stenderti seduta stante se continui a rompermi le palle…». Ora anche Rizzo aveva estratto una pistola puntandola alla tempia di Vinnie, il quale reagì al gesto facendo lo stesso al compagno; i due rimasero fermi congelati in quella posizione, ringhiando uno contro l’altro come cagnacci pronti alla rissa. All’improvviso si udì una sirena e il fascio lampeggiante di un’auto della polizia illuminò per un attimo il volto sgomento dei due figuri che, ammansiti di colpo, s’irrigidirono sui rispettivi sedili mettendo le armi da parte e affogando lentamente nel proprio sudore. Quando la volante si fu allontanata, i due esplosero in un lungo sospiro di sollievo. Rizzo bestemmiò tra sé e sé una decina di volte mentre Vinnie, perso nella penombra, si accese una sigaretta lasciando cadere un fiammifero ai suoi piedi, vicino a uno dei candelotti. Appena Rizzo se ne accorse, si voltò attonito a fissare il compare e, gettandosi entrambi febbrilmente sul candelotto in fiamme, le loro facce s’incontrarono per un’ultima volta. Poi non ci fu più niente da fare. Il rombo deflagrante di un’esplosione coprì le loro grida. All’interno della casa, Jimmy Camorra si svegliò pigramente destato dal rumore, che nella sua testa era stato solo un tonfo attutito. Dopo aver sbadigliato si gongolò un po’ nel letto cacciandosi dei tappi di cera dalle orecchie. Lumò l’orologio sul comodino e fiaccamente sbuffò: «Devo smetterla coi tranquillanti! Questa roba mi manderà in pappa il cervello!» Omar Di Monopoli è l’autore dello spietato Uomini e cani (Isbn, 2007)


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txt Rossano Astremo

Copertina nera. Il tuo nome e il titolo in bianco. Estrema semplicità grafica. Poco impatto forse. Necessario per distinguersi dalla massa di copertine patinate, illustrate, che invadevano gli scaffali delle librerie. Il sogno di una vita realizzatosi poco prima dei tuoi quarant’anni.

Hai davvero un pessimo aspetto. Indossi un paio di jeans che non lavi da mesi, la tua camicia nera delle grandi occasioni, una giacca di velluto verde comprata al mercatino dell’usato per pochi euro. Hai due occhiaie nere che saturano le orbite oculari, una barba incolta che copre a macchie la tua faccia scarnita. Sembri il frutto di un albero malato. Un gelido vento di tramontana ti scompiglia i capelli arruffati. Il loro dondolio ti obnubila la vista. Sei bianco. Cadaverico. Hai compiuto da tredici giorni quarant’anni. Hai da poco pubblicato il tuo primo romanzo. Il romanzo di una vita. La tua. Dopo anni di lotte, nevrosi, depressioni, collassi. Il mondo dell’editoria è merda che galleggia sulla superficie di un fiume inquinato da stronzi di tutte le misure. Di tutte le consistenze. Secondo i critici letterari che contano, non sei più un giovane scrittore. Se solo i critici avessero l’accortezza di dare uno sguardo al tuo libro. Questa idea che associa il tuo nome ad una certa maturità anagrafica ti scombussola. Hai sempre pensato di dover morire giovane, di lasciare un patrimonio indefinito di carte inedite, di raggiungere una fama postuma. Gigantografie della tua sagoma all’ingresso delle librerie che contano. Migliaia di copie vendute in pochi giorni. Classifiche scalate con velocità impressionante. Mesi e mesi tra i primi posti. Contendi lo

scettro a Faletti, alla Tamaro, a Camilleri. Da morto. Mentre il tuo corpo si decompone in una bara isolata dal resto del mondo da una colata di cemento. Questa fantasia era un docile palliativo alle tue frustrazioni di giovane scrittore incompreso. Sì, i tuoi scritti inediti, appartenenti tutti ad un folle progetto in continua crescita, cartelle su cartelle accumulatesi anno dopo anno, tutte battute a macchina, con la tua Olivetti Lettera 32, quasi vent’anni di disperati appunti autobiografici. Raccontare la vita di un uomo rinchiuso nella sua camera, isolato dal mondo, una sorta di dilatazione esponenziale del “Viaggio intorno alla mia camera” di de Maistre. Trasformare la tua scelta di vita in carsico progetto di scrittura. Fonemi, grafemi, liricamente affastellati in un crescendo di senso abulico. La tua vita priva d’azioni, di eventi, scandita da pensieri, ossessioni, sogni, perversioni. La scrittura come spina che ti tiene legato ad una macchina che dona ossigeno. Poi la decisione di schiudere quel mondo privato. Renderlo a tutti accessibile. In fondo, la fama per uno scrittore non è un orpello dequalificato, ma il supremo obiettivo. L’agognata meta. Oltre duemila cartelle sulle scrivanie dei più importanti editori italiani, la spasmodica attesa di una risposta, accompagnata da nuova scrittura da aggiungere al romanzo di una vita, le


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prime lettere di diniego: il romanzo non risponde alla linea editoriale. Come poteva esserlo, in fondo? Certo, una splendida scrittura, raffinato studioso e letterato, dopo la maturità classica hai preferito continuare gli studi da solo, per la disperazione dei tuoi genitori. Tuo padre è morto quando avevi ventitré anni. Il male incurabile. Non hai versato una lacrima. Oltre quaranta cartelle del tuo romanzo si soffermano sul suo funerale. Non sull’oggettività dell’evento, ma sulla tua reazione alla perdita del padre. Le sue ultime parole sono state “dona un sorriso a tua madre”. Tua madre ha bevuto un potente cocktail di whisky e psicofarmaci circa cinque anni fa. Quel sorriso non c’è mai stato. Ventidue cartelle sulla chirurgica scelta di tua madre di farla finita con un espediente, a tuo modo di dire, molto narrativo. La morte dei tuoi genitori trasformatasi in cortocircuito narrativo. Poi, in un giorno come tanti, giunse la lettera di un altro editore. Prestigioso. Avevi oltre cento suoi volumi nella tua corposa biblioteca domestica. Durante le divagazioni mentali, che ti coglievano nella notte, vedevi il tuo nome scritto in nero sullo sfondo bianco di una lucida copertina. E il nome dell’editore che compariva in taglio basso era sempre il suo. Ma non era una lettera d’interessamento al tuo lavoro. Non era un rifiuto come tutti gli altri. Poche righe di circostanza battute al computer. Lettere standard spedite a centinaia durante la giornata per allontanare una volta per tutte il sogno proibito di centinaia di scribacchini senza speranze. Quella lettera era scritta a mano, morbido inchiostro nero su carta intestata. Un progetto ambizioso, certo, citava Gadda, D’Arrigo, un esasperato, suadente e folle espressionismo, una prosa virtuosa, cerebrale, magmatica. Ma il mondo editoriale non era alla ricerca di simili prodotti indecifrabili. Chiosava, però, consigliandoti di mandare il dattiloscritto ad un suo amico, piccolo editore di provincia, che avrebbe di certo gradito il tuo romanzo di una vita. Indirizzo, recapito telefonico. Distinti saluti. Dell’editore in questione possedevi solo tre titoli nella tua biblioteca. Tra cui una raccolta di articoli postumi di Paolo Volponi. Un autore da te tanto amato. C’era anche la forza delirante presente in alcune pagine di “Corporale” tra le fonti nascoste del tuo lavoro. Spedisti le oltre duemila cartelle del tuo romanzo. Dopo tre mesi la risposta. L’entusiastica lettura del vecchio editore di provincia. La voglia di investire per la pubblicazione del tuo libro. Certo, c’era bisogno di un po’ di editing, forse qualche parte poteva saltare, aveva riscontrato delle ripetizioni, certi giri di parole, pensieri marmorei che ricomparivano ciclicamente, a suo modo di vedere, appesantendo la lettura, già fortemente ostica. Avvenne l’incontro. Facesti seicento chilometri per raggiungerlo. In casa editrice due stanze. In una, una giovane ragazza che faceva da segretaria, ufficio stampa, correttrice di bozze e quant’altro, e poi, lui, l’editore, un ottantenne che viveva invaso dai ricordi. Cervellotico Pasolini, mondani Moravia e la Morante, fuori dagli schemi Bianciardi. I poeti: quanta spocchia in Montale, quanto cinismo in Sanguineti, quanto delirante spirito d’azione in Ungaretti! Dopo sei mesi da quell’incontro la pubblicazione. Copertina nera. Il tuo nome e il titolo in bianco. Estrema semplicità grafica. Poco impatto forse. Necessario per distinguersi dalla

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massa di copertine patinate, illustrate, che invadevano gli scaffali delle librerie. Il sogno di una vita realizzatosi poco prima dei tuoi quarant’anni. Consideralo una sorta di regalo di compleanno. Magari potrebbe essere l’inizio di una nuova vita. Una vita vissuta al di fuori di quella realtà domestica nella quale hai costruito con fatica e malata dedizione il tuo mondo possibile, fatto di parole. A te, inutile dirlo, non piacciono le cose semplici. Adori estremizzare il tutto. Eccoti all’ingresso di una libreria della tua città. Il vento è gelido. La giacca sembra non ripararti a sufficienza. Delle gigantografie da te sognate all’ingresso delle librerie nemmeno l’ombra. In fondo, non sei mica morto. Il romanzo è uscito da quattro mesi. Spedito a tutta la critica che conta. Nemmeno una recensione è comparsa. E stando alle prime impressioni e ai primi dati dell’editore, le vendite rasentano il ridicolo. Questo ti agita. Solletica la parte indecifrabile della tua mente. Sono giorni che passi in rassegna tutte le librerie della città. Oggi non vuoi soltanto accertarti dell’esistenza del tuo libro. Hai una questione da risolvere. Varchi la soglia della libreria, entri, osservi, cerchi tra le novità, nulla da fare, cerchi nello scaffale narrativa italiana, hai difficoltà a trovarlo, poi, eccolo, disposto orizzontalmente, un’unica copia, tra “L’odore del sangue”di Parise e “Teorema” di Pasolini. Rispettato l’ordine alfabetico. Osservi i potenziali acquirenti. Una decina in tutto. L’atmosfera è saturata dalle armonie di Ludovico Einaudi. Un clima sospeso nel quale la gente si sposta lateralmente come i granchi: gli occhi rivolti ai titoli che contano. Lo scaffale preso d’assalto è quello nel quale sono disposti i titoli dei più venduti. Osservi il tuo libro, il tuo nome, il titolo scarno che spezza la monotonia del nero dominante, osservi la sua mole impossibile, poi sposti lo sguardo su un giovane ragazzo, a pochi metri da te, occhiali tondi alla John Lennon, con Ipod ben in mostra, tra le sue mani una copia di “La ballata delle prugne secche” di Pulsatilla. L’ultimo caso editoriale dell’anno. Una blogger dalle tette abbondanti che racconta le sue storie di ventenne sfigata. Recensita ovunque. Ottimi i dati di vendita. Tu sembri perdere il controllo. La tua vista s’annebbia. Il gesto successivo è semplice. Immediato. Tiri fuori dalla tasca destra della tua giacca una Beretta 92 FS calibro 9 mm, detenuta illegalmente da tuo padre, gliela punti contro, il giovane intellettuale si sente osservato, abbandona la sua posizione, si volta, ti osserva, stenta a riconoscere il senso di quel braccio proteso verso di lui, nella mano sinistra hai il tuo libro, gli intimi di scagliare per terra la merda di carta che ha tra le mani, ubbidisce, alzi il tuo libro al cielo, cominci ad urlare “Comprami!!!”, con tutto il fiato che hai, “Comprami!!!”, suoni strozzati che rompono l’aria soft che si respirava, “Comprami!!!”, il giovane crolla su se stesso, sembra svenuto, la musica di Ludovico Einaudi cessa d’improvviso, schiamazzi di donne impaurite soffocano lo spazio, getti il tuo libro in aria, un volume dal peso impossibile in volo, punti la pistola verso l’alto, spari un colpo, lo centri in pieno, “Comprami!!!”, ancora, ancora, e poi ancora, con gli ultimi grammi di voce. Rossano Astremo ha pubblicato due libri di poesia e una biografia letteraria su Jack Kerouac. Il suo blog è vertigine. wordpress.com


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txt Tony Sozzo

Io non sono molto propenso a prendere medicinali. Ho paura degli effetti collaterali. Spesso ho provato a leggere il foglio delle avvertenze di qualche farmaco e ne ho avuto paura. Da qualche anno li conservo tutti in un cassetto insieme a Dracula di Stoker ed ai racconti di Poe.

Sono molti quelli che trovano soddisfazione solo a mangiare. A certa gente la cosa che eccita di più è una pizza con la giarrettiera. Con tutta la pubblicità che si fa agli alimenti è normale. Una volta ho rivolto la parola ad uno yogurt di cui avevo visto la pubblicità alla televisione, ma lui mi ha fatto parlare con la sua segretaria. Dopo tutti quei complimenti uno si monta la testa. In tv c’è prima uno spot sulle lasagne alla carne di bisonte estinto poi uno su delle pillole per dimagrire. Esistono le pillole per digerire, per dormire, per ricordare, per andare in bagno senza dover leggere tutto l’Orlando Furioso prima di notare qualche risultato apprezzabile. Io non sono molto propenso a prendere medicinali. Ho paura degli effetti collaterali. Spesso ho provato a leggere il foglio delle avvertenze di qualche farmaco e ne ho avuto paura. Da qualche anno li conservo tutti in un cassetto insieme a Dracula di Stoker ed ai racconti di Poe. Il mondo è sempre stato comandato dai più potenti. Uno deve avere solo la fortuna di nascere bene. Io sono nato peggio. Mi sarebbe andata meglio anche se mi avessero abbandonato da piccolo vicino ad un cassonetto. Invece mamma non se l’è sentita di farmi questo favore. O mi considerava un rifiuto speciale e non ha voluto rischiare una multa. Lo so che c’è gente più sfortunata di me. In Africa i bambini muoiono di fame. Io ho sempre avuto da mangiare. Ho anche avuto i denti cariati fin dalla nascita. Mi nascevano già cariati. Col tempo le cose sono migliorate: mi nascevano già otturati. Non c’è giustizia a questo mondo per quelli senza un soldo come me. Mi sbatterebbero in galera anche se fossi accusato di aver buttato il caffèlatte sui gerani della vicina. È anche colpa di certi avvocati che non hanno scrupoli. Per vincere le cause non solo venderebbero la loro madre ma non farebbero nemmeno lo scontrino. La mia ragazza mi ripete spesso che ha bisogno di me. Io mi avvicino per abbracciarla e lei dice che penso sempre ad una cosa. Non che non abbia ragione ma non capisco perché si arrabbia quando vorrei portare alla luce le sue parti migliori. È da quando sono piccolo che sono eternamente sovreccitato. È da una vita che se una

foto la sta scattando una mia amica cerco di non mettermi di profilo perché si capirebbero un mucchio di cose. Questo fatto ha creato un sacco di problemi a me e alla mia famiglia. I miei genitori hanno persino cercato di fare un esorcismo, ma l’esorcista aveva gli orecchioni e così mi sono fatto il bidè con l’acqua benedetta per vedere se succedeva qualcosa. Ho solo ottenuto di essermi pulito divinamente. Io parlo spesso con il mio pene. Lui ce l’ha con me perché non lo faccio sentire se stesso. Ma non è colpa mia se hanno dotato le donne di occhi ed orecchie. Tra l’altro mi accusa di stargli sempre addosso. E che lo porto solo in posti infimi come il bagno. La mia ragazza vuole arrivare al matrimonio vergine. Pensa che la verginità sia un valore. In un’epoca in cui tutti i valori sono entrati in crisi proprio il suo non si degna minimamente. Forse è meglio così. Con la fortuna che ho la metto incinta di sei gemelli con l’hobby del week-end fuori. Sono troppo imbranato. Una volta ho provato a mettere il preservativo. E’ stato la sera in cui lei si era convinta a farlo perché aveva avuto un’insolazione. Lo avevo messo già da casa per paura di dimenticarmene. Ma mi andava largo e così mi è scivolato senza che me accorgessi. Meno male che abbiamo cercato di farlo al buio e non ci siamo capiti. Ho dovuto pulire il vaso cinese della madre per tutta la notte. Lei spesso è nervosa. Io sono il suo pupazzo antistress. Mi tratta male, malissimo. Però non mi picchia. Mi sforzerei di diventare un masochista e potrebbe rischiare di darmi soddisfazione sessuale. Quando lei ha un brufolo vuole che capiti anche a me. Così mi fa mangiare chili di Nutella. E con i bastoncini per il riso. Lei è convinta che in una coppia bisogna dividere i dolori. A mio parere lei li moltiplica. Non mi fa più vivere tranquillamente. Sono sempre teso. L’altro giorno una corda di violino mi ha consigliato di rilassarmi. La mia ragazza mi umilia. Quando usciamo con qualche coppia fa prendere sempre due macchine: lei sale con loro ed io vado con la mia. Molti mi hanno consigliato di farmi desiderare. Così ho detto a mia madre di dirle che non c’ero tutte le volte che mi telefonava. Ma durante la nostra storia


coolibrì mi ha telefonato una volta sola. E solo perché aveva sbagliato numero. Non è molto legata a me. In effetti non ha mai detto di amarmi senza che la doppiassi. A dire la verità non mi ha nemmeno mai detto che non mi ama. Forse perché non le piace dire ovvietà. Una volta però aveva deciso di andare a vivere insieme a me in un appartamento, ma con i soldi che avevo potevamo al massimo affittare tre mattonelle e un paravento in plexiglas. Quando glielo dissi si mise a piangere. Varie volte mi ha confessato piangendo che il suo sogno era sempre stato quello di stare con un uomo ricco. E a lei non era nemmeno riuscito di stare con un uomo. Ma per noi di casa la povertà è una tradizione di famiglia. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di tradirla. A dire la verità nessuno aveva mai avuto i soldi. Un giorno o l’altro credo che finirà tra noi. Lei sta con me solo perché non ha trovato di meglio. Gli altri uomini la guardano solo per essere certi di non sfiorarla. È proprio brutta. Voleva andare in una clinica privata per rifarsi, ma il chirurgo le ha detto che per fare un lavoro decente c’era bisogno di partire da un’altra persona. Non so come mai ci siamo messi insieme. Non abbiamo una sola cosa in comune. Io sono di sinistra, lei di destra; io sono ambientalista, lei ha un giardino a cui va matta a dare fuoco; io sono contro le armi, lei non si è arruolata in polizia perché dice che a sparare solo per legittima difesa non c’è gusto. Questo ci porta a discutere spesso. Di solito si dice che discutere è costruttivo. A me è costato un molare, due parabrezza, ed un’autoradio di serie. Non ho mai incontrato nella mia vita una donna con cui potessi andare d’accordo. Una l’avevo trovata, ma poi mi hanno consigliato di dirlo alla polizia. Mi hanno detto che si fa così, quando si trova un cadavere. Io le donne proprio non le capisco. Sono sempre insoddisfatte. Vogliono una vita avventurosa e s’incazzano se hai una macchina in cui non si può regolare il sedile. Io sono un tipo abitudinario. Alla suspense preferisco un sano sbadiglio. Lei dice che la vita senza rischio non è eccitante. Io trovo eccitante il caffè di orzo. A me piace avere il battito cardiaco regolare. Non voglio flussi eccessivi di sangue o cose del genere. Non ho soldi per delle eventuali cure. Una volta sono andato da un cardiologo e fui costretto ad andarci di nuovo per colpa della sua parcella: per poco non mi veniva un corpo.

Tony Sozzo ha pubblicato il romanzo L’eterna cosa peggiore con Lupo Editore

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txt Maurizio Cotrona È notte fonda, il televisore illumina mia madre con una intermittente luce lunare. Si è addormentata sulla poltrona, ha il telecomando appoggiato sulla pancia. Tra qualche minuto avrà un sussulto, riaprirà gli occhi e riuscirà a spegnere la tv per andare a letto solo dopo aver fatto un altro giro sui canali in chiaro. Domani si sveglierà tardi, berrà un caffè amaro con i gomiti appoggiati sulla tavola ancora occupata dai resti della cena, comincerà a preparare il pranzo, aspetterà la sera. La pelle sovrabbondante è un sottile lenzuolo calato sul suo viso, mi assomiglia ogni giorno di meno. Ha un biancore da pressione bassa e le si gonfia il petto a ogni respiro come si preparasse per una lunga apnea, l’aria entra a fatica e scappa via in fretta. L’idea che farei qualsiasi cosa per lei è sentimentale e inutile. Guardo la fine tessitura del maglione di lana pettinata che le abbiamo regalato qualche decennio fa, i braccioli sfilacciati della poltrona di velluto verdognolo, la superficie aspra della parete intonacata come confetti ricci. Dalla strada arrivano sporadici i rumori di motori su di giri e lo scrosciare calmo dell’acqua piovana in una grondaia. Quello che voglio è un gradino per salire più in alto. Del pavimento levigato della mia casa, della suola di gomma delle mie scarpe sportive, dei suoi piedi infreddoliti che si strofinano per riscaldarsi l’un l’altro. Ignorare gli occhi che mi guardano dallo schermo, i doppiopetto che raccontano le notizie del giorno, le facce di giovani uomini e giovani donne che dovremmo invidiare, l’ultima luce della sera che brilla più intensamente per un istante prima di affogare per una notte intera. Voglio dimenticarmi dell’uomo che consuma, della probabilità d’arrivare a cent’anni, della nostra terra e del mio nome, dei ruderi della mia generazione e delle fondamenta di quelle che verranno, della diretta di Parigi che brucia, del mostro che è crollato, della morte di chi muore, della mia città che impallidisce. Del paesaggio e del mio tempo, dei titoli giusti da dare alle cose, delle forme in cui ci ripetiamo. Quello che voglio è ignorare la luce e i rumori, il biancore del suo viso e lo scrosciare calmo dell’acqua in una grondaia di stagno. Essere qui nel momento in cui lei riaprirà gli occhi e, per una gloriosa frazione di tempo, si guarderà attorno senza sapere nulla: se è mattina o sera, se è arrivata l’ora di svegliarsi o quella di andare a dormire. Maurizio Cotrona ha pubblicato il romanzo “Ho sognato che qualcuno mi amava” (Palomar, 2005). È uno dei redattori di BooksBrothers.it.


txt Flavia Piccinni tratto da Adesso tienimi (Fazi, 2007)

Sono nata a Taranto. 500 milioni di debiti e 90,3% della diossina che uccide l’Italia. Vivo in Via Cagliari 32/A in una villetta bianca, con il cancello in ferro battuto arrugginito. Fumo due pacchetti di Chesterfield blu al giorno, mangio solo caramelle gommose senza zucchero e pop corn al formaggio. Nel tempo libero guardo la televisione o piango. Ho due amiche, Iolanda e Giulia. Avevo un fidanzato, prima che si ammazzasse. Oggi in televisione non c’è niente. Sto stravaccata sul divano a guardare il Ballettopolo su PlayHouse Disney. Ci sono Topolino, Minnie e i loro amici che fanno il balletto e raccontano dove hanno usato gli strumentopoli. Sto immobile. Non penso a nulla, se non alla cenere della sigaretta che si consuma e cade sopra di me. Adriana mi passa un paio di volte davanti agitata. Muove le mani e la testa. Parla, ma non l’ascolto. Continuo solo a grattarmi la pancia, giocando con l’ombelico. Quando mi alzo per andare a prendere la Diet Coke mi viene dietro. Prima in silenzio, poi piangendo. Faccio finta di niente. Quando si aggrappa alla maglia, la allontano. Lei si avvicina ancora, con più forza, e mi abbraccia. La lascio fare. Non potrei allontanarla. Non avrei la forza di dirle che voglio restare sola. Quando la sua testa si abbandona sopra le mie spalle, mi sento a disagio. E non capisco perché la stretta di quella donna che niente mi nega mi metta in imbarazzo. Resto ferma, immobilizzata nella mia sofferenza, aspettando che si allontani da me, che torni a stirare davanti a Sentieri. Mi stringe a sé con una forza che non ha mai avuto e mi dice solo che le dispiace, che mi capisce. Poi si allontana e corre verso la sua stanza. Io faccio finta di niente, come tutte le volte. Da quando è in menopausa è insopportabile. Prima si limitava a chiedermi istericamente se ero pronta

per la scuola, se prendevo droghe pesanti, se avevo mai fatto sesso. Adesso, invece, le domande sono sempre accompagnate da pianti, risate, ceffoni. Michele, mio padre, reagisce bene, assecondandola in tutto e, a volte, sembra perfino interessarsi al suo stato. Io non ce la faccio. Per me Adriana, Michele, la donna delle pulizie, i professori, i compagni di classe e di gruppo, sono solo la polvere rossa dell’Ilva che colora gli stracci del quartiere Salinella quando sta la Tramontana. Torno sul divano. Mi accascio e apro la Diet. Ne bevo un sorso e poi la poggio per terra. Resto immersa nel niente fino all’ora di cena, quando Virgilio suona il campanello per andare. Non dico niente, esco solo sbattendo la porta, forte, dietro di me. Questo è il segnale. Salgo sul motorino. Mi tiro su il cappuccio della felpa, come ha fatto lui. Parte. Andiamo dietro la Concattedrale, una chiesona bianca con dei buchi giganteschi fra le navate, che sembra un edificio bombardato e invece ha meno di dieci anni. La domenica ci fanno i matrimoni delle donne delle pulizie con tanto di colombi bianchi che volano e Mercedes che aspettano davanti all’uscita. Ci sediamo sugli scalini della Chiesa, pieni di cartacce e sporco. Aspettiamo che arrivino gli altri. Mi guardo le mani, le unghie corte e mangiucchiate. Virgilio resta in piedi a fumare, con la testa bassa. Ha la felpa de Il Libro della Jungla, una specie di fissazione che si porta dietro dai tempi delle elementari. È una cosa un po’ cretina ma nessuno si azzarda a farglielo notare perché Virgilio fa paura. Quando finisce la sigaretta, lascia la punta cadere, poi stringe il filtro fra le mani e strappa la carta intorno. Si


coolibrì accuccia accanto a me e tira fuori dalla tasca un pezzo di carta trasparente. Squaglia quello che c’è e inizia a rollare. Fumiamo in silenzio, mentre aspettiamo. Visto che non arriva nessuno andiamo a fare un giro in moto. Virgilio va veloce e mi sento bene. Non penso alla scuola, all’esame, a Vianello. Penso solo al vento che entra dentro la felpa e dentro al cappuccio, che li deforma. Andiamo a prenderci una birra alla Pizzeria Livornese, che è un buco in Via Mazzini. Mio padre, quando ero piccola, mi ci portava sempre. Allora, me lo ricordo bene, prendevamo tre pizze quattro stagioni e poi il maritozzo con la panna, che dovevo mangiare in macchina, perché Adriana non voleva. Diceva che ero grassa. Virgilio parcheggia tanto davanti che sembra quasi voler entrare direttamente con la moto. Dentro tutti ci guardano male e la proprietaria, una chiattona sui sessant’anni, inizia a sbraitare. Dice, in romano, che siamo dei vandali, che dobbiamo togliere la moto e cose così. Noi ci prendiamo due Raffo grandi, diamo i due euro e cinquanta, e usciamo. Andiamo a piedi verso il lungomare, che è una delle poche cose belle che restano. Le altre sono state rovinate dai tarantini, prima, dai politici, poi. Camminiamo davanti allo Ionio, che cozza contro gli scogli con tanta forza che a volte ci bagna. Scendiamo fino al molo, ormai solo un po’ di cemento ammucchiato e mangiato dalla salsedine, e ci sediamo. Guardiamo davanti a noi e tutto il resto sembra non esistere. Tutto tranne te, che mi hai lasciato, che mi hai abbandonato, nonostante le promesse e quello che mi dicevi quando mi venivi a prendere la sera per portarmi a casa tua a fare l’amore. Allora giuravi che quando tutto sarebbe finito saremmo potuti venire alla luce, così mi dicevi e io ti credevo. - A che pensi? - Niente. - E secondo te ci credo? Bevo un altro sorso di Raffo, che mi sembra acqua colorata. Acqua di mare inquinata e po’ di limone. Vorrei spaccare la bottiglia sopra uno scoglio e poi iniziare a sanguinare, tagliata dai vetri. Vorrei lasciarmi morire mangiata dal petrolio e dallo sporco del mare. Vorrei dimenticare. E allora non esisterebbero più serate davanti alla televisione e pianti isterici, ma solo io e la mia merda di vita che va alla deriva verso di te. Virgilio si avvicina. Mi abbraccia. Non dice niente, ma so che mi guarda. Che forse, attraverso quegli occhi scuri cerchiati di giallo, ha capito cosa è successo. Non mi dà fastidio essere stretta da lui, dalle sue mani nere da calabrese. E,

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per un attimo, spero solo che nessuno ci chiami. Perché vorrei restare qui, davanti al Mar Grande, aspettando il tuo ritorno. Quando arriviamo davanti alla CC, come chiamiamo quel mostro della Concattedrale, ci sono tutti. Tessa e Cosimo, che stanno discutendo su chi deve pagare la birra. Michela, che sta offendendo Samele colpevole di aver guardato una ragazza per strada. Ilaria, che ci prova, contemporaneamente, con Giuseppe, James e Federico. In un angolo, in disparte, anche Iolanda e Giulia, appoggiate ad una Panda bianca con il parabrezza rotto al centro. Forse qualcuno deve aver provato a sfondare il vetro con un sasso. Le vedo che fumano la trentesima sigaretta della giornata facendo un tiro a testa. Credono che se si dividono le sigarette fumano di meno, mentre è l’opposto. Quando tutti sono in sella andiamo verso il Ponte Punta Penna, all’ippodromo. Virgilio va veloce, più veloce degli altri. Se ne frega dei semafori e tira al massimo, giocando a far vedere le modifiche che gli ha fatto il cugino, Damiano, che lavora in un’officina a Paolo VI. Mentre guida mi dice che è stato bene sul lungomare, che dovremmo uscire più spesso da soli. Io prima faccio finta di non capire e poi annuisco, anche se so che non potrei mai uscire con un altro, dopo così poco tempo. Non sarebbe giusto, anche se mi hai presa quando non volevo e hai deciso di lasciarmi quando ti ho voluto. Le vedove della città vecchia portano il lutto tutta la vita. Non importa quanto fossero ubriaconi e selvaggi i loro mariti, come le facessero soffrire e quante volte le avessero tradite. Importa solo, nella morte, vestirsi di nero, tenere il velo schiaffato sugli occhi, fare finta di soffrire. Flavia Piccinni ha vinto il Premio Campiello Giovani 2005. è presente nell’antologia della minimum fax Voi siete qui. Ha da poco pubblicato Adesso tienimi, suo primo romanzo, edito da Fazi. Il pezzo qui pubblicato è l’incipit del libro.


txt Eva Clesis

Mai tanta incoscienza avrebbe potuto generare una così grande inquietudine, e lo spavento dell’ignoranza senza la fede nei propri passi.

Decise allora di sedersi un attimo, perché le idee le fossero un tantino più chiare. Il posto più vicino che trovò fu uno libero tra una ragazza in giacca di renna e coda di cavallo e un signore anziano che leggeva il corriere. Si strinse tutta nel cappotto che aveva indosso, si sentiva percorrere da lunghi brividi ma nella sala d’attesa della stazione c’era un riscaldamento da centro sauna. Così le venne in mente che quel freddo che avvertiva non poteva essere freddo vero, come dire, freddo di freddo. Forse era freddo di febbre. Prossima a un mancamento, boccheggiava nella sua confusione, sventrando la borsa in cerca di qualche indizio che le desse un po’ di luce, perché se luce in qualche luogo vi era, era certo fuori di lei. Avrebbe voluto concentrarsi e scovare un ricordo anche remoto che la riguardasse, ma intanto il panico andava impossessandosi della sua persona affranta. Le palpebre le pizzicavano come punte da spilli e le ciglia non avrebbero trattenuto quell’acqua tiepida di difesa. Si annebbiava la vista liquida di onde, lei che si faceva forza per trattenere tutto, mentre una voce all’altoparlante ricordava che attention please, il treno Milano-Roma era in arrivo sul binario cinque. Qualcuno forse la cercava, non era sola, doveva dirsi che non sei sola. Ma aveva l’impressione che ogni movimento fosse lento, come trascinato per tutto il corpo dai fili di un burattinaio

vecchio e stanco. Paura e alienazione, tutti i rumori della stazione che come un’eco si ripetevano in crescendo nel suo cervello in diminuendo, poi la testa, le doleva fortemente la testa. Accidenti. E nemmeno avrebbe saputo dire quando l’incubo fosse iniziato, perché oltre all’amaro in bocca di un caffè, che poteva essere stato l’assaggio di un caffè vero (e se sì ma quando), non le veniva più in mente nulla di un tempo precedente, come il risveglio di quella mattina e il luogo del risveglio di quella mattina, l’ultima telefonata ricevuta e l’identità della voce di quella telefonata, i passaggi e i paesaggi di quel posto, e il motivo del suo essere lì, perplessa e imbrigliata. Alla stazione. Troppo incapace per sondare i motivi di quell’incubo sordo, perché la dimenticanza è un black-out silente, mentre sul binario due il treno viaggiava con un ritardo di venti minuti. Ma questo mia cara non è un brutto sogno, voglio dire che sono impressioni davvero reali proprio non penso fantastiche. La mano tasta finalmente qualcosa di buono e le sue dita ingiallite dalla nicotina lo afferrano avidamente. Olé. Ecco uscire dalla bella borsa sventrata di finto coccodrillo un buffo coniglio-documento, proprio come dal cilindro del cappellaio matto (ma lui aveva una bombetta, perché la memoria si divide in memoria remota e recente e a lei il cartone animato di Alice era rimasto


coolibrì impresso, peccato non fosse lo stesso per il resto della sua vita, poteri della televisione, inventata di nascosto dagli extra-terrestri), una carta d’identità con molte cifre e qualche lettera, un nome e degli anni, discretamente matura, descrizioni inutili del tipo italiana, sesso femminile, coniugata, professione casalinga, e l’indirizzo? Via dei Panfili, 78. E sicuramente quell’indirizzo era dove abitava quella donna con la permanente, la signora italiana coniugata professione casalinga che la fissava in cagnesco dalla brutta foto-tessera e anche spalmata dalla vetrata di fronte a lei, occupando un posto libero tra una ragazza in giacca di renna e coda di cavallo e un signore anziano che leggeva il corriere. Perché ridursi in quello stato deplorevole, si diceva, lo stato sensibile dell’incubo, a causa di che, dimenticarsi di, dimenticarsi di tutto, a causa di cosa. Dimenticarsi di sé. Mai tanta incoscienza avrebbe potuto generare una così grande inquietudine, e lo spavento dell’ignoranza senza la fede nei propri passi. Sebbene in un certo qual modo l’incertezza era un boccone che ogni sano mangiava dal proprio piatto. Allora pensò di rialzarsi, ma per la precisione non sapeva dove andare (forse in via dei Panfili 78), mentre la si informava gentilmente che il treno Roma-Bologna sarebbe arrivato al binario sei anziché al binario quattro, con un ritardo di diciassette minuti. Chiese aiuto a un agente, farfugliando già un mi scusi, ipnotizzandosi su quelle prime parole da dire e su come spiegare la sua infelice situazione, mentre la bocca intanto andava, sola e sciolta, e quell’aria emessa era ben percepita come qualcosa di concreto, mica solo aria, con il tipo che annuiva e quasi stava per risponderle. Bravo agente, ma che efficienza le guardie, mentre lei gli sventolava sotto il naso il coniglio-documento e lui la prendeva gentilmente per il gomito e la portava con sé dicendole che fine ha fatto la stavamo cercando da tempo. Il salvatore. Che la sorregge per il gomito e la scorta fuori. D’improvviso la luce l’abbaglia e il tempo riluce, niente a che vedere con la stazione e la sua strana cupoletta, dove l’aria era densa del fumo dei treni e della polvere delle rotaie incandescenti. Lei si strizza di più nel cappotto, le fa sempre freddo e questa situazione di farsi accompagnare da un agente salvatore è proprio un po’ triste, come ammettere di non potercela fare da sola. Forse è matta come il cappellaio, per questo è portatrice di una testa vuota e di una borsa così brutta, una cosa ancora più triste, e l’agente, lui, lui l’ha capito e la sta scortando al ricovero, la casa dei matti, in via dei Panfili, 78. Poi quello fa cenno a un gruppo di persone, altre tre guardie lei crede, nella fattispecie un uomo e due nani biondi vestiti in borghese. Una piccola guardia nana dice all’altra piccola guardia nana hai visto che l’abbiamo trovata, e gli dà uno spintone, e aggiunge poi ma vedi ‘sto deficiente. La guardia alta fa alle guardie nane non si dicono queste parole, poi si avvicina a lei e le prende entrambe le mani e ne accarezza i palmi con affetto. Lei si gira verso l’agente giusto per capire, un po’ di stordimento e l’incubo sembra non essere ancor finito, azzarda un sono mica amici suoi questi, e l’altro sbotta un non penso proprio signora, piuttosto mi dica se li riconosce lei, e lei allora si rigira verso le tre guardie in borghese e fa ma voi chi siete? La

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voce le esce come se piangesse, ma senza forze, giusto un filo che va da sé. E sembra un lamento stanco. Le piccole guardie in borghese smettono di bisticciare e uno le punta di colpo una pistola di plastica. Lo sguardo da duro, molto impressionante. Mani in alto, mamma. Lei può alzare timidamente le mani perché la guardia alta le ha di colpo lasciate, e sembra non volerle mai più. Gli faranno ribrezzo queste mani gialle di nicotina o forse la sua testa vuota di un black out silente. L’agente non vuole lasciarla ancora, le guardie nane fanno pum pum e poi frignano in coro, quella alta tira fuori una bella foto e gliela mostra tra gli strilli. La signora italiana coniugata professione casalinga ma con la permanente, le sorride dalla foto con i neo-nani tra le braccia e qualche albero dietro, e la guardia alta dice all’agente gliel’ho scattata io più di quattro anni fa. Allora non ci sono problemi, fa lui, ma come, mi abbandona così, dice lei, è in terapia farmacologia da parecchi mesi, fa l’altro. Chi di questi quattro ha detto l’ultima frase neanche lei se lo ricorda. E fa sempre più freddo. Mentre le tre guardie la scortano armati di una foto e una pistola di plastica fino alla loro macchina, lei si accorge troppo tardi che mai potrà competere con loro né opporre resistenza con quella sua borsa di finto coccodrillo e una testa vuota di cappellaio matto. Le portiere di scatto si chiudono, i finestrini si alzano. E la faccia di una donna italiana coniugata professione casalinga ma con la permanente la fissa spalmata dal vetro sporco, gli occhi di chi è in cattura, l’aria disorientata. L’agente li saluta da lontano. Dietro di lui la stazione. La gente che parte e non torna più. In via dei Panfili 78. Mano d’agente tra la gente che si piega a destra e a sinistra, il resto del corpo immobile, un mezzo sorriso impassibile. Salvatore di questo piffero. La guardia più alta si mette alla guida e le dice prendi questa pillola tesoro, e giù una grossa compressa bianca e un sorso di acqua minerale di quelle in bottiglietta che lui le spiega, me la sono portata in giro, sarà forse un po’ calda. Le guardie nane giocano alla lotta sui sedili posteriori, ogni tanto le puntano addosso la pistola e talvolta sparano pure. Pum-pum. Ma dove sei andata, continua lui, il bucato ti aspetta da una settimana e la cucina è in uno stato pietoso. Bevi ancora, Anna, sennò ti strozzi. Adesso andiamo a casa. A casa dolce casa. L’auto che corre, la stazione che si rimpicciolisce sempre più, sempre più, sempre più. L’agente e la gente sono scomparsi. Saluti a destra e a manca. Loro che partono e vanno via, tutti che prendono il treno per non tornare più, come lei, in via dei... Ma a quel punto il suo volto le si illumina di una sola domanda, una certezza che a spintoni ha prevalso sull’incubo sordo, verità che è come un grido o il fischio di un treno. La guardia al volante le risponde che non sa di cosa lei stia parlando, non so di cosa parli, Anna, non abbiamo mai abitato in Via dei Panfili, 78, non credo nemmeno che esista una via così, in tutta la città. A-ah, pensa lei, al colmo dell’inquietudine, lo sapevo, l’ho sospettato fin dall’inizio. Sapevo di non conoscerli, io, questi tre. Eva Clesis ha pubblicato il romanzo A cena con Lolita (Pendragon, 2005)


coolibrì

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Sarei stato il musicista che suona perché non sa con chi ammogliarsi, il musicista che può amare solo il proprio strumento, uno solo, e che suona e suonerebbe con chiunque giusto per averci un posto dove fare l’amore.

txt Marco Montanaro

Da grande avrei voluto fare il pittore. Perché di pittura, storia dell’arte, tele, colori ad olio, tempera, acquerelli, anplener, personali, cavalletti, tavolozze, chiaroscuri contrasti puantillismi e aste non ci ho mai capito niente, non sono mai sono riuscito a entrarci nell’ottica, e le cose che vengono meglio, a me come ad ogni essere umano che ha consapevolezza di questi meccanismi e in fin dei conti finisce perciò per non averne, le cose che vengono meglio dicevo: dovrei dire quelle che vengono più facili, con maggiore scioltezza; queste cose sono quelle nella cui ottica non si è mai riusciti a entrare. Avrei voluto fare il pittore perché non ho mai compreso le dinamiche che portano a bruciare per una tela piuttosto che per una bella donna o per un’auto di lusso, o ancora per la profondità nera del mare o per una canzone che resta incompiuta, per un foglio bianco e allora: siamo sempre lì, stiamo parlando della stessa cosa. Avrei voluto fare il pittore non capendo perché si sceglie di disegnare un viso come un altro, o meglio diversamente da un altro, con quelle caratteristiche e con quella tecnica particolare, e cosa avrà mai quel viso - perché è stato scelto?, perché non ci si accontenta di una bella fotografia? -; e le cose si complicano con i paesaggi, le nature morte, in cui c’è l’intera anima di un pittore, ci deve essere da qualche parte, e se c’è in una mela o in un vaso figuriamoci che anima grande ha l’uomo in questione. Avrei voluto fare il pittore, perché dalle mie parti non c’è differenza acustica tra il pittore che dipinge il quadro e l’imbianchino, tra quello che fa l’artista e non ha mai soldi e quell’altro che ce li ha sempre nella poscia e, orgoglioso, dichiara: “Io ho un’arte nelle mani”, e meno male che non c’è differenza perché col tempo caldo che fa tempo per disquisizioni sulla natura e sullo stato dell’arte proprio non ce n’è. Avrei voluto fare il pittore perché ho conosciuto di striscio

il Charles Strickland di Maugham, ovvero Gaugain o ancora l’amico di Van Gogh, e qualcosa mi ha sfiorato l’orecchio destro, qualcosa di sinistro ed incommensurabile, di terribilmente lontano ed umano, e chiunque nella mia situazione avrebbe voluto fare il pittore: perché nella luce e nella natura di Haiti nei ritratti di Strickland c’è tutto quello che non ho mai capito. Avrei voluto fare il pittore per carpire l’energia universale di ogni schizzo. La determinazione del gesto che muove il muscolo nel mondo di carta e di carne, l’occhio che mentre disegna ha già conosciuto il mondo prima di raffigurarlo, l’occhio che poi crea a sua volta questo mondo, l’occhio che decide per la testa e per il cuore, e in definitiva: l’occhio che guarda il mondo diventare cuore e testa. Avrei voluto fare il pittore perché avrei potuto davvero cambiarlo, il mondo, perché il pittore lo scova e lo ama in tutto, in ogni singola battuta di caccia regale, in ogni singola rete che cattura i pesci, in ogni altro pittore che dipinge per Otranto, in ogni decapitazione e in ogni ritratto di dama. Avrei potuto cambiare il mondo semplicemente ridisegnandolo. E infine: avrei voluto fare il pittore perché il pittore non lavora quasi mai nelle notti bianc’oscure; il pittore non è pittore se non ha assimilato abbastanza ore di sole. Ma avrei potuto anche fare il musicista. Non di quelli moderni che suonano un poco d’ogni strumento, e si scambiano gli attrezzi con gli amici del gruppo, non uno di quelli che fanno musica come farebbero un altro lavoro, e non di quegli altri che suonano perché hanno uno stato d’animo particolare, o ancora di quelli che impazziscono infine su uno spartito, perché il semitono giusto non è mai al suo posto. Sarei stato il musicista che suona perché non sa con chi ammogliarsi, il musicista che può amare solo il proprio strumento, uno solo, e che suona e suonerebbe con


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chiunque giusto per averci un posto dove fare l’amore. Sarei stato di quei musicisti che si gettano in qualche avventura misteriosa, bluastra e decisamente notturna, con una tromba o un contrabbasso, senza sapere dove dormire e come risvegliarsi; e quegli stupidi dell’orchestra, suonassero pure quello che vogliono!, tanto io avrei comunque di meglio da fare. Sarei stato di quei musicisti che sudano e sporcano lo strumento, che suonerebbero qualsiasi brano inciso nella storia dell’uomo solo perché sarebbe una possibilità in più, e perché c’è sempre quello spazio stretto e angusto in cui si può infilare un assolo che rivaluta o distrugge una giornata, al di là del sole e della luna, delle stelle e di qualche satellite. Sarei stato uno di quei musicisti che passano una vita intera a cercare di capire la propria unica compagna, indomadibili guglie d’una chiesa gotica che non si dolgono del tempo che sa solo passare, un diavolo dal carisma che trascende i palchi, le serate, i generi e i cachet. Con una smorfia avrei annunciato il crescendo al batterista, l’errore al chitarrista, pronunciando, in tutta la vita mia poche, pochissime, fondamentali ignobili parole; senza mai riconoscermi in foto. Se avessi fatto il musicista, avrei preso in giro tutti quegli impostori che avrebbero voluto accompagnarmi per la strada gialla, e avrei suonato per tutte le piazze, nelle cassarmoniche, ai crocicchi, nei golfi mistici e in qualsiasi locanda, con gente di tutte le razze, esaltato dalle differenze e dalle deformità cui avrei attinto, inconsapevole, per sudare nelle notti di luna bianca. E avrei riempito il cielo blu della solitudine con due o tre note, o forse con un miliardo e anche più, a seconda del mal di pancia. Mi sarei dato in pasto al pubblico come l’esibizionista che non può fare a meno di morire ogni giorno: avanti, fatemi a pezzi, vi distruggo! E se non vi piace, siete già morti, e se vi

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piace, a me non interessa, andate pure al diavolo! Ma, infine, giunto alla fine della strada coi mattoni dorati (o erano piastrelle?), feci la mia scelta: divenni un libro. In genere sto in qualche libreria di qualche cittadina della provincia; quelle cittadine progredite dove si vive bene e si ha il tempo di leggere. Ma, in fondo, a me non interessa che mi si legga, mi accontento, di tanto in tanto, delle dita di qualche studentessa con gli occhiali, dita che mi sfogliano durante l’intervallo delle lezioni universitarie, dita che ancora non hanno i soldi per acquistarmi, e chissà, mi chiedo, se non gli manca anche la voce. Sto qui, di solito, in qualche libreria col personale colto e mansueto, che non alza mai la voce, che mette come sottofondo qualche disco jazz fintamente tranquillo. E spesso ci litigo, con i miei commessi, mi sposto e mi nascondo, non mi faccio trovare al mio posto, perchè prima o poi dovranno perderla, quella tranquillità che hanno sulla giacca. Me ne sto sul mio scaffale, mi lascio sfogliare, perché mi piace farmi conoscere come, come si dice?, come un libro aperto, qualche pagina a caso e qualcosa, di me, si capisce; ma certe volte finisco nelle mani di qualcuno che non sopporto già alla vista, e allora le mie pagine si induriscono e non si riesce a girarle, non ce n’è per nessuno; quando lo sconosciuto si lecca il pollice e l’indice mi inviperisco, mi indigno e faccio capitare qualche foglio in cui di me, in fondo, non si dice poi molto, o comunque nulla più di quello che in genere già si conosce: sono un libro, tutto qui, e non vi concedo che qualche ora della mia esistenza cartacea. Dopotutto, ho scelto di diventare un libro perché amo il silenzio dei luoghi in cui mi trovo, perché la gente non parla mentre mi ascolta, perché non mi interrompe quando medito, perché spesso non ci vogliono molte parole a spiegare, e non devo parlare quasi mai di me. Ho scelto di essere un libro, ma giammai uno di quelli di sociologia, o di tecnica, o peggio ancora di quelli che hanno la pretesa di spiegare in anticipo i tempi che corrono: perché il tempo corre, e figuriamoci se ne ho dell’altro da perdere a tentare di capirlo. Sono un libro di narrativa, che racconta storie, per quella necessità che ho di sentirmi eterno come tutti i miei fratelli. Da quando sono diventato un libro, ho i miei motivi d’orgoglio: sono stato censurato, messo all’indice, persino bruciato, e ancora, talvolta, mi capita di essere impolverato. Ho quasi sempre un odore, che è solo il mio, e spesso, oltre alle dita di quelle studentesse di cui ho parlato, ne conosco anche il naso, che si infila tra le mie pagine per sapere di che umore sono. Da quando sono un libro, d’estate vado spesso al mare, sto sempre sotto l’ombrellone e mi godo il profumo e l’agitarsi dell’acqua, salutando il tempo come fosse un fedele compagno. E fu proprio d’estate che finii di percorrere la strada coi mattoni dorati (o erano piastrelle?), fu proprio d’estate che scelsi, il tempo dalla mia parte, sarei diventato un libro. Per le storie e le illusioni di qualcuno. Per leggere altri racconti di Marco Montanaro andate su 9lunenuove.wordpress.com


txt Luciano Pagano

“a tutti quelli che cadono”

Sei immobile sotto l’ombra di un fico nel centro del grande prato, è qui che ogni giorno vengono a allenarsi i ragazzi dell’Unione Sportiva, assieme agli atleti sporadici del venerdì mattina, i single e le single in cerca di un’amicizia che si concretizzi oltre l’ubriachezza ondivaga di certe chat assonnate. Tu no. Sei qui, immobile da una ventina di minuti, mantieni la tua posizione, ci sei abituato - occupi la posizione della tigre - tre ore al giorno, non ricordi quand’è che hai cominciato. Chissà che cosa avrebbe detto Elisa, se soltanto fosse stata qui a guardarti. L’ultima cosa che ti ricordi di lei sono i suoi occhi, con il vagone che scivola sull’ovatta dei binari, quel giorno alla stazione, 19 nord, lei che ti singhiozza “ma sei sicuro...non possiamo darcene un’altra...ti prego”, tu che la guardi in silenzio, i tuoi occhi che in un moto impercettibile colgono un altro luogo, un altro pensiero “...ti prego”, il treno che parte. Tu e Elisa vi siete conosciuti in Facoltà “anche te da Sulmona, da quanto è che stai a Roma? Frequenti? Ti va un caffè?”, lei era iscritta a Lettere Moderne, tu stavi quasi per laurearti in Architettura. Hai cercato di mettere ordine nella sua vita fin dal primo giorno in cui vi siete messi insieme, e non ci sei riuscito. Non sei riuscito a farle cambiare amicizie, non sei riuscito a convincerla che avere una laurea appesa in camera da letto sarebbe stato un gesto estetico, forse indegno per una beat come lei, ma pur sempre un gesto estetico.

nel più nero dei liquami, aprendo la bocca per respirare il suo diavolo. Un mattino il tuo risveglio è stato acceso dall’urlo felice di tua madre, “che cosa è stato...”, poteva essere accaduta qualunque cosa, nulla ti avrebbe mosso dall’amore che provavi per il fresco odore delle lenzuola appena cambiate, era bello ritornare da Roma a Sulmona per trascorrere le vacanze in casa tua, trattato come un ospite di riguardo, “hai vinto, hai vinto tu, hai viiintooooo! Mio figlio ha vinto!”, soprattutto ora che avevi ottenuto la laurea. Al termine di quei tre mesi ti era arrivata la lettera che aspettavi, l’assegnazione dei lavori di progettazione del porto. Il tuo primo progetto. Il porto in questione costituiva lo sbocco sul mare di una cittadina che contava quasi centomila abitanti, una comunità che ruotava attorno alla pesca della mazzancolla, “c’è tutto mamma, edicole, benzinai, c’è anche una libreria, guarda qua...”, agitavi la tua copia ciclostilata di “Porci con le ali” come se fosse il tuo libretto rosso. Il progetto del porto-mercato era tanto ambizioso quanto essenziale, una vera novità per gli anni settanta. Avevi inventato una struttura nella quale la pesca e il commercio si sarebbero coniugate senza sottrarre spazio alle persone, l’ambiente naturale non avrebbe patito più di tanto la morsa necessaria del cemento, con la tua idea avevi convinto i membri della commissione, perfino “il Ruspoli”, così lo chiamavi. La “Grande Ala Sottile”, il GAS, era la sigla che contraddistingueva il tuo progetto. Peccato non poter condividere tutto con Elisa, chissà dov’era.

Poi hai terminato i tuoi studi in Architettura e sei tornato in paese, dal giorno della tua laurea lasciasti passare tre mesi nei quali fosti capace di non sentire Elisa nemmeno una volta. L’estate del millenovecento76 è stata la prima estate che hai trascorso senza Elisa da quando stavate insieme, tre anni esatti. Vi siete messi insieme senza nemmeno capire il perché, pur di riuscire a diventare architetto in tempo avresti studiato e tracciato i tuoi disegni durante il sonno, Elisa, invece, pur di riuscire a toccare il fondo sarebbe riuscita a nuotare in apnea e contro corrente per diversi minuti

Un vostro collega di studi di nome Antonio - lo avevi incontrato ad un concerto jazz - ti ha detto che Elisa è andata a Londra, forse lavora lì, nel frastuono eri riuscito a cogliere una mezza frase “forse si fa ancora, forse no...”. Non ti importa più di Elisa, non ti importa dei suoi amici, non te ne frega un cazzo della roba, dei viaggi e di tutta la cattiveria che si è sparata nel sangue, quando litigavate per tutto dalla sua bocca sembravano uscire chiodi, i suoi occhi neri erano spenti, avvolti da una cortina di miele grigio, il suo cuore non c’era più, e tu non sapevi più cosa fare per riprenderla. I lavori


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del porto iniziarono nel novembre del ‘76 e terminarono il 20 dicembre del 1979, in tempo per l’inaugurazione dell’anno nuovo, il 2 gennaio millenovecento80. Guarda quei due lì, si vede che sono venuti qui a correre per la prima volta, è logico, sta per avvicinarsi la bella stagione, li ha presi l’ansia di dover perdere peso prima dell’estate, sperano di dimagrire in tempo per indossare i loro costumini attillati. Lui indossa un paio di scarpe da 10€, il modello base di decathlon, “inconstant runner”. Quest’estate i loro corpi si confonderanno insieme agli altri, sotto l’ombrellone, l’unica consolazione che potranno sopportare sarà la frescura di un gelato e l’mp3-alienazione. Elisa non ha mai voluto venire al mare con te, non voleva spogliarsi, era innamorata di se stessa e della sua pelle bianchissima, “sei sicura, guarda che una volta lì ti diverti, al mare ti diverti anche se non fai niente, dai, vieni...”, non c’era cosa più difficile del convincere Elisa a fare qualcosa che non voleva, prima che tu decidessi di lasciarla per sempre la sua anima era un colabrodo senza spessore, un corpo privo di passione. Poi c’è stato il silenzio, il lavoro assiduo. Poi c’è stato Antonio che non era contento del suo, di lavoro, “sai com’è, tu mi ci vedi a progettare palazzine per tutta la vita? A me non mi frega della scatola, a me mi frega del contenuto”. Antonio divenne assessore ai lavori pubblici, proprio nella cittadina dove avevano costruito il GAS, si era candidato con la DC e aveva vinto alla prima tornata con la bellezza di seimila voti, “ma dove li hai trovati tutti quanti?”, “non preoccuparti, hai bisogno di qualcosa?”. Un trafiletto dal “Centro” datato ventisette aprile millenovecento86 riporta una notizia: la salma di Elisa B. ha fatto ritorno a Sulmona, giace nel cimitero comunale. Elisa B. è stata trovata morta a Londra, una settimana fa, i dottori che hanno stilato il referto hanno scritto che è morta a causa della denutrizione, “morta di fame”. Negli anni che sono trascorsi non sei riuscito ad instaurare un rapporto umano che non si limitasse ad essere professionale, non ti sei legato a nessuna e nessuno, la tua mancanza di passione, al contrario di Elisa, è figlia della privazione. La tua certezza è altrove, nelle quote, nelle tacche e nelle misure, nei trasferibili e nelle fonti dei caratteri, in una realtà brillante come una stella, perfetta come il modello dello Shuttle Columbia stilizzato a due dimensioni nell’Autocad 2.17b, i tuoi ricordi sono nascosti nei cataloghi delle mostre che hai visitato e nei mille rilievi che hai fatto per cercare di far aderire la realtà al tuo disegno, perfino nella foto dei pescatori di mazzancolle che tieni appesa dietro alla scrivania del tuo studio, il Tiger, dove lavorano quarantasei persone, ventidue delle quali hanno meno della metà dei tuoi anni, chissà come si chiama quella ragazza che abbiamo assunto, somiglia così tanto ad Elisa, nei suoi occhi sembrano nascondersi gli stessi discorsi che facevi con lei, eppure non la conosci nemmeno, non avete scambiato una parola. La tua certezza è altrove. Il quadrato del parco, l’erba che accoglie le tue scarpe da ginnastica, la sinistra a destra e la destra a sinistra, i calzini fosforescenti che sbucano fuori. I piedi nudi sul prato. Una nuvola si dissolve nel cielo di cenere. Mentre una lacrima trasparente riga la guancia della tigre. Luciano Pagano è uno dei redattori di Musicaos e Tabula rasa. Ha pubblicato il romanzo Re Kappa (Besa, 2007)

txt Daniele Greco

Quando andò a dormire c’era suo padre sulla poltrona che guardava Colpo Grosso. Sua madre scosse Bruno dal torpore di bambino nel quale era piombato un paio d’ore prima. Il piccolo risucchiò la saliva che, come una bava di lumaca, pencolava fuori del suo labbro mezzo aperto, e nell’estasi di una veglia perfetta sentì la testa leggera volare come una piuma. Come nelle mattinate senza scuola in cui inventava, fingendo, lame di mal di gola che gli trafiggevano la trachea, mentre tossiva a forza fino a vedere le stelle attorno ai propri occhi. Rinacque in tempo, anche quella sera, per assistere allo spettacolo di andare a letto. Evaporato da quel grembo caldo di carni molli in cui aveva inciso la propria presenza nel mondo si vide, come un punto in basso, reggere la mano sinistra di una signora che stentava a riconoscere come sua madre. Il fiato caldo di quella voce procedeva frantumandosi nelle pieghe di due mondi linguistici diversi: quello tenero della cura verso di lui e quello stremato e implorante di una donna stritolata dal sonno. “Perché quelle donne si vestono nude?” – chiese Bruno. Allora la madre con la mano destra abbassò la maniglia della porta, esitò sull’uscio, frugò a vuoto nella stanza riuscendo a trovare l’interruttore, e entrata nella cameretta adagiò il piccolo sul letto. Bruno si stese con le mani dietro la nuca. La madre gli slacciò le scarpe, allentò la piccola cintura che teneva stretti in vita i pantaloni su quei due stecchi di gambe e prese a tirare prima da una gamba e poi dall’altra. Ogni sera, a questo punto, Bruno mezzo nudo diventava tutto rosso di imbarazzo e sghignazzava divertito e giocherellone dissimulando nello stesso istante la vergogna e la consapevolezza che mai avrebbe mosso un dito per svestirsi da solo. La madre continuò a sfilargli i vestiti, poi si voltò verso il termosifone acceso, tolse da lì sopra il pigiama e lo adagiò al suo corpo per non disperdere quel calore. Bruno ripeté la domanda “Perché quelle donne si vestono nude?”. La madre lo guardò per un attimo rivolgendogli pupille immobili come biglie di marmo. Bruno mostrò un viso contrito col labbro che tremava, ma entrambi riconobbero quei volti. Attorno a loro, il silenzio aveva creato una bolla d’aria impermeabile ai rumori esterni, ma il soffio d’aria che Bruno a stento riuscì a trattenere emanò, come una bufera, in una risata fortissima e sguaiata che invase l’inerzia degli occhi della madre che si allagarono d’una patina acquosa, mutando, allo stesso tempo in una risata e un pianto. Daniele Greco è uno dei redattori dell’Impaziente. Il suo blog è boccalone.splinder.com


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Il dittatore rispose che aveva più volte litigato con il pupazzo Rockfeller. Per tutto il tempo non aveva fatto che ripetergli «Prendi, Saddam!». Non era di buon gusto, aggiunse.

txt Antonio Iovane

Dlin dlon! Bruno Vespa interruppe la soubrette, lanciò uno sguardo alla porta e assentì in direzione di Gustavo, che faceva gli onori di casa mostrandosi generoso e supino. Partì Via col vento. Sulla soglia un bel signore sorridente, sui settanta portati egregiamente, in forma, gessato grigio, sguardo magnetico. - Signore e signori, l’asso di picche: Saddam Hussein annunciò il conduttore in sintonia con l’ingresso del dittatore. Il pubblico apprezzò. Applausi. Il raìs era bello e con una lunga barba bianca. Strinse la mano agli ospiti e prese posto accanto al suo avvocato e alla soubrette, che gli sorrise compiacente e disse che aveva visto tutti i suoi film, ma quello che le era piaciuto di più era stato il Dottor Zivago. Vespa riprese la parola. - Ricordiamo che Saddam è qui per scontare la sua pena, che in appello gli è stata lievemente ridotta. Quindi la prego di non essere indisponente. - Grunf – protestò l’ospite. Vespa riprese la parola e disse alla soubrette: - Stava dicendo? - Sì, ecco - fece Carmen Russo - … un uomo deve essere paziente. Però spesso la pazienza coincide con l’incapacità di divertire una donna. Molti uomini sono noiosi… Vespa assentiva poco entusiasta. Con la coda dell’occhio Saddam scrutava le forme della signora Russo. - Ministro Mastella? - chiese il conduttore. - Sì, io penso che una buona intesa sessuale sia come una buona intesa politica… - Magghè indesa politica - lo interruppe La Russa - che nemmeno siede gapagi di arrivare ai breliminari…non

zabete governare… I due politici si parlarono sopra per tre minuti. Mastella che ripeteva: «Tu… Tu La Russa dovresti pensare… dovresti pensare…» e il deputato di Alleanza nazionale che ghignava: «I breliminari… i breliminari…». Straparlarono, Vespa cercava inutilmente di stemperare gli animi lanciando i suoi «per favore» a manetta. Siccome non gli riusciva di placare i due politici si rivolse a un’altra ospite. - Voglio sentire l’opinione, su questo, di Clarissa Burt. L’attrice sembrava una Pietà di Michelangelo: tristissima, contrita, sofferente e con una pennellata di livore nello sguardo. - Il mio popolo - declamò, tra metaforiche lacrime - ha sofferto molto. - Signora Burt, noi le siamo tutti vicini - disse il giornalista, partecipe. Suonò il campanello, dlin dlon, Gustavo aprì e fece entrare un omone vestito da cuoco. - Gianfranco Vissani! - annunciò. La Russa prese a salivare. Scortato dal conduttore, l’omone avanzò verso un tavolo a lato dello studio sul quale facevano bella mostra un sacchetto di farina, uno di sale e delle spezie. - Stasera - disse Vissani - in onore del tiranno di Baghdad - Vissani ammiccò, Saddam assentì un po’ compiaciuto cucineremo il khubz rouquad. Vespa storse il naso, la fonte s’imperlò: le parole difficili non gli garbavano affatto. - Di cosa si tratta? - domandò. - Pane scrocchiarello iracheno - spiegò Vissani. Sorriso liberatorio di Vespa. Il cuoco cominciò a cucinare e il conduttore tornò dai suoi ospiti. Era il momento di dare la parola al dittatore.


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31 Il deputato fece spallucce, sgranò un po’ gli occhi e disse: - Non lo escludo. E Vespa, soddisfatto, comandò: - Pubblicità! Restate con noi. Furono trasmessi sette spot. In uno si poteva osservare il leader iracheno, in jeans e maglietta bianca, che spingeva un campanello. La porta si apriva e compariva Elena Santarelli in abito da sera. Il raìs, sorridente, diceva: «I’m Saddam Hussein». E la soubrette, spiacente, rispondeva: «No Martini, no party».

- Saddam Hussein? Come è stata questa esperienza di due mesi? Il raìs sorrise. - Credo sia nata una bella amicizia tra me e Marco Predolin. - Ma sull’isola dei famosi è davvero andato d’accordo con tutti? Il dittatore rispose che aveva più volte litigato con il pupazzo Rockfeller. Per tutto il tempo non aveva fatto che ripetergli «Prendi, Saddam!». Non era di buon gusto, aggiunse. - Però non ci dimentichiamo che lei ha fatto gasare sunniti e curdi - sottolineò Vespa, un po’ malizioso, unendo le dita delle mani a fisarmonica. - Questo è tutto da dimostrare, - s’intromise il suo avvocato - lei non si può permettere. E quando sarà il momento io presenterò il documento che scagionerà il mio cliente. L’avvocato si era un po’ scaldato. Vespa pensò che doveva soffiare sul fuoco. Disse: - Avvocato, Taormina, ci può anticipare qualc… Ma La Russa prese la parola e disse, sulfureo: - I gurdi… i gurdi… i gurdi… Il deputato si agitava come un cane che cerchi di liberarsi dal collare. Taormina minacciava cause. Vespa allargava le braccia come un vigile e rimbrottava i suoi ospiti: - Onorevole La Russa… per favore… Avvocato Taormina… vi prego… vi prego… Un pianto dirotto di Clarissa Burt mise fine a quell’alterco. Poi Vespa fece la sua domanda che tradiva una lunga e complessa analisi degli attuali equilibri politici. - Ministro Mastella, se Saddam mostrasse di essere interessato a entrare nell’Udeur… lei ci farebbe un pensierino?

La trasmissione riprese e c’era un inspiegabile cagnara. Taormina attaccava La Russa accusandolo di essere un fascista e il deputato di An gongolava e sbrodolava: «Zì, ma io mica ho fatto gasare i gurdi…». Per due minuti l’avvocato sputò fuoco e La Russa, in trance, sibilò ininterrottamente la parola “gazzzz”. Un attacco isterico di Clarissa Burt mise fine a quell’alterco. Sui monitor comparve la sagoma di George W. Bush. - Presidente Bush, benvenuto a Porta a Porta - disse Vespa. Passarono tre secondi per il ritorno del satellite. Bush sorrise. - Hi, Bruno Vespa - disse Bush. «Ciao, Bruno Vespa» ripeté il traduttore da studio. Il conduttore chiese se voleva fare qualche domanda a Saddam, e il presidente disse sì, e interrogò il raìs su dove diavolo avesse nascosto le armi di distruzione di massa che gli aveva prestato. Vespa colse al balzo l’occasione e fece segno a Saddam di non rispondere ancora. - Lo sapremo dopo la pubblicità - annunciò. Dopo cinque minuti la trasmissione riprese, Vespa s’ingobbì e chiese al dittatore: - Allora, Saddam, il presidente Bush voleva sapere… - Sì, ho sentito - disse Saddam contrariato - ma non era un prestito, era un regalo. Bush insisteva che era stato solo un prestito e Saddam rispose che non si faceva così, cazzo. Si parlarono uno sopra l’altro. L’avvocato Taormina prese le difese del suo cliente e promise che presto avrebbe fatto il vero nome di quello che aveva governato l’Iraq per trent’anni. Clarissa Burt cacciò un urlo immotivato, si pensò a una sublimazione del dolore. La Russa si era quasi tolto il collare, Carmen Russo inarcava la schiena sul ciglio della poltrona, Mastella si avventava sui khubz rouquad di Vissani. Vespa pensò che la trasmissione gli fosse sfuggita di mano. Sconfitto, si fece da parte. Non avrebbe nemmeno chiesto a Saddam se aveva visto in anteprima Vacanze in Iraq, con Boldi che in una gag toglieva il velo a un’islamica, scopriva una racchia, cominciava a tremare, si raggrinziva e assumeva un’espressione divertentissima. E De Sica, dinoccolato, commentava: «Te l’ho detto, se coprono perché so’ cozze. E annamo, no?». Vespa era triste. Diresse lo sguardo verso l’ospite che ancora non aveva preso la parola. Se ne stava in silenzio, sulle sue, sembrava scocciato. La trasmissione lo annoiava. Vespa se ne accorse, e per questo il suo sguardo si puntò come un’arma contro i suoi occhi. E la voce, anche la voce era aggressiva. Lo interrogò così, all’improvviso, inaspettatamente. Si trattava di chiedergli una opinione su tutto quel trambusto, tutti quei bei discorsi che alla fine nemmeno a Vespa interessavano poi tanto. Che ci sto a fare, io, qui? si domandò il conduttore. Ma non si perse del tutto d’animo e fissò l’ultimo ospite. Disse solo: «Osama Bin Laden?». Antonio Iovane è un giornalista di Radio Capital. Ha pubblicato per Barbera Editore la raccolta di racconti La gang dei Senzamore e il romanzo Ti credevo più romantico.


txt Don Pasta

A volte le notti sono fatte di troppi pensieri per poter dormire. Una di queste l`ho passata a guardare “No direction home” di Martin Scorsese, storia di un uomo libero che non accettava di non cambiare. A Bob Dylan provarono a paralizzarlo sino alla morte dei tempi per la bellezza delle sue canzoni, ma disattese se stesso e gli altri per scrivere la perla di tutte le perle. Imbracciò la chitarra elettrica e chiese alla Band di cominciare. Ogni ascolto è sempre la prima volta. Un colpo di batteria, poi l’organo parte potente e leggero, un sorriso prende possesso delle tue labbra ed un brivido percorre il corpo. Le parole spezzate dalla sua voce calda ed aspra partono senza respiro, inconsapevoli di cambiare ancora, di nuovo, diversamente, la sensibilità del mondo, come perfette sconosciute, come pietre che rotolano. Come Like a rolling stone, la tajeddhra riso, patate e cozze, è fatta per strati e gli ingredienti si pongono, come gli strumenti, in un ordine apparentemente logico. Ma è formula matematica che non ne rispetta le regole, dove l’insieme degli elementi disaltera la legge, ed uno più uno che fa più di due, in una esplosione di sensazioni e sapori. E’ preparazione che cela trucchi antichi, dove l’esperienza contadina a più a che fare con la geniale intuizione che con il saggio assemblaggio degli elementi. Il riso lo si lascia macerare con prezzemolo, sale, pepe e aglio nell’acqua delle cozze per portarsi dietro il profumo del mare. Solo poi, coadiuvati dal potere armonico dell’olio, nella teglia in rigoroso ordine di cottura si posano i diversi strati di patate, cipolle, zucchine, cozze e riso. Da bere, ovviamente, un rosato del Salento, profumato e fresco, come il Rosa del golfo.

Riso, patate e cozze, Ingredienti Per quattro persone: 1 kg di cozze, 1 kg. di patate, 150 g. di riso di buona qualità, mezzo kg. di zucchine, un cipollotto fresco, uno spicchio d’aglio, una manciata di prezzemolo, qualche pomodorino, pepe e, a piacere, un pizzico di origano. Preparazione Affettare sottilmente tutte le verdure. Lavare ed aprire le cozze, lasciando una sola valva piena; raccogliere l’acqua delle cozze in una ciotola, filtrandola con una garza sterile. Mescolare insieme il riso, l’acqua delle cozze, olio, prezzemolo tritato, pepe, pomodorini spezzettati, aglio tritato. Ungere d’olio una teglia da forno, comporre gli ingredienti a strati: il cipollotto, uno strato di patate e di zucchine, un filo d’olio, le cozze, il riso condito, zucchine e un ultimo strato di patate. Rifinire con pane grattugiato e un filo d’olio. Versare nel tegame un bicchiere d’acqua, fino al livello del riso, spruzzare d’acqua lo strato superiore, e far cuocere a forno a 200 gradi finché la superficie non sia dorata e croccante e il riso cotto. Lasciare intiepidire. Il piatto è buono anche freddo.


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Il tuo nome è come musica, mi riempie non mi stanca mai dedicato solo a te

txt Dario Goffredo Sabato 2 giugno – festa della repubblica – fuori c’è un bel sole ormai estivo, ma in me è ancora poca la voglia di cominciare a prendere in considerazione seriamente l’idea che un bagno a mare sarebbe quello che ci vuole – nella piazzetta della chiesa di fronte sette bambini giocano a palla – dire calcio sarebbe decisamente troppo – sei di loro sono sovrappeso – immagino pomeriggi passati al macdonanld’s a spendere i soldi della paghetta settimanale e carrelli della spesa di mamma pieni fino all’orlo di merendine e altre schifezze. Giorni fa in sala d’attesa dal ginecologo – future mamme pancione e futuri papà prematuramente stempiati per lo stress da senso di colpa non rimosso – una mamma ha propinato – in rapidissima sequenza – al figlio – avrà avuto massimo due anni – il figlio – in rapida sequenza due flauti mulino bianco – neanche il tempo di finire il primo e già era pronto il secondo – alle sei del pomeriggio – provo a immaginare la colazione e mi viene la nausea. Metto su year zero dei NIN – fino a pochi anni fa uno dei miei gruppi preferiti – e penso – giuro l’ho pensato davvero – come cazzo si fa ad ascoltare queste diavolerie – diavolerie (omioddio come parlo). Mi rendo conto che se non sono ancora diventato calvo ci vuole poco e la piccola non è ancora arrivata – sono già parte integrante della generazione dei padri – mi viene voglia di mandarmi a quel paese e di criticare la mia cieca ortodossia

al partito – ma fortunatamente ho ancora un padre con cui farlo e quindi mi concedo ancora un po’ di benevolenza – la piccola ci metterà un po’ prima di capire che il nome del suo primo nemico è quello di suo padre. Metto su i Wilco – sky blue sky – note dolci, consone al mio attuale stato d’animo - e mi sento più a mio agio. Mi dicono che il pubblico dei Wilco è composto per lo più da giovani padri di famiglia. Non so se questo mi rende felice – registro la notizia – prendo atto della mia condizione incipiente di giovane pater familias. Sorrido. Ora andremo a fare un passeggiata al mare – paola deve camminare e respirare aria buona – compreremo del pesce – paola è a dieta per via dei livelli di glucosio troppo alti nel sangue – torneremo a Lecce – accenderemo il bbq – arrostiremo il pesce e mangeremo - berremo vino bianco – io e mio cognato - prenderemo un caffé e mi verrà sonno – quando mi sveglierò questo sabato di festa sarà praticamente finito – la cena - poi forse una birra se la bolgia non mi darà ai nervi dopo pochi minuti. Penso a quante cose avrò da dirle – del perché il 2 giugno è festa, di quei ragazzi, alcuni – pensa – non ancora maggiorenni – che presero le armi e salirono sui monti per dare all’italia – questa sporca italia, figlia mia – il nome di repubblica – di alcuni maestri da non dimenticare mai – dei nemici, a cui bisogna sempre saper dare un nome – impossibile lottare contro chi non

si conosce – dei mulini a vento – dirò anche questo – che a volte sono buoni e a volte vanno odiati come il buon don Quixote – lo leggerai piccola mia? Te lo consiglio. Ti consiglierò tanti libri, vedrai. Ti piacerà leggere – scoprirai un sacco di cose ogni volta nuove - ogni volta affascinanti - farai dei viaggi incredibili in capo al mondo - incontrerai genti diverse, persone che a volte potranno farti paura – scoprirai che la paura è un sentimento nobile, che va coltivata e che spesso ti può salvare. Tuo padre ha molta paura adesso e lo confessa senza vergogna. Non bisogna vergognarsi della paura. Tu non ci sei ancora e ancora non conosci tua madre e tuo padre. Sii buona con loro, sii indulgente soprattutto con tuo padre. Molte cose non le capirai finché non sarai cresciuta abbastanza, ma una cosa cercherò di insegnarti fin dall’inizio: che se la mano destra diventa prepotente e cattiva e vuole tutto per sé, è dovere e non solo diritto della mano sinistra ribellarsi e riportare il giusto equilibrio. E cercherò di insegnarti a non comportarti mai come la mano destra cattiva e prepotente. Siamo quasi all’alba della tua vita, Giulia, e per me è come essere all’alba del socialismo: mi sembra incredibile e incredibilmente bello. È un tipo strano tuo padre, ma in fondo è un bonaccione: non te ne approfittare troppo. Con amore


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Un delirio di Nino G. D’Attis

Gli scattammo una foto. Vecchia zia con tre denti d’oro, un mazzo di carte napoletane infilate nella tasca posteriore dei jeans e un bel buco in fronte che, non ci fosse stata tutta ‘sta fretta, avremmo potuto ficcarci a turno fino allo svenimento. «Piezz’emmerd!» tuonò Lo Scomunicato. «Ricchione e piezz’emmerd», gli fece eco Raffaele lottando con l’anulare del baccalà per impadronirsi del suo vistoso anello blu. Una manciata di polvere sollevata dal vento finì negli occhi dello Scomunicato. Alzai lo sguardo al cielo: in una storia di Tex sarebbero arrivati di lì a poco gli avvoltoi a finire il lavoro. Raffaele si morse il labbro, rabbrividendo di un freddo interiore. Presi una delle sue Camel e accartocciai il pacchetto vuoto. Vento e polvere e sole alto e pallido sopra la cava di tufo. Cinque chilometri fuori da Massafra. «Ricchionazz’, piezz’emmerd, cap’ecazz’!» La rapina al discount Fratellis era stata un fiasco completo. Una recita parrocchiale con attori svogliati, del tutto fuori parte. E sangue: Ciccio con le rotule spappolate dal cannone del vigilante, il vigilante steso sul marciapiede a urlare «Ohimamma!» dopo tre botte doppio zero nella panza. «Ohimamma!», con la faccia a pochi centimetri da uno stronzo di cane a forma di ciambella. La rapina era stata un’idea di ‘Zi Leo, perciò una foto ricordo prima di tornare in galera ci stava tutta. In una storia di Tex avremmo potuto galoppare per giorni in mezzo al deserto e nasconderci in un canyon oppure dentro una città morta. Avremmo potuto incularci la legge

fino all’arrivo di Aquila della Notte e dei suoi pards, fino all’inevitabile resa dei conti. «Mimì, sento una macchina in avvicinamento», fece Lo Scomunicato. «Dici che sono i caramba?» Buttai via la Camel, sputai per terra e mi feci il segno della croce. «Hai sentito che ti ho detto, Mimì?» Una bistecca alta tre dita, e una montagna di patatine croccanti. E un boccale di birra gelata, ci mancherebbe altro. Ecco tutto ciò che desideravo, dopo aver spedito ‘Zi Leo a fare pompini a Satanasso. Gli scattammo una Polaroid. E anche se il soggetto era ormai un pezzo di stoccafisso, quell’imbranato di Raffaele riuscì comunque a farla venire mossa. «Mimì, ‘sta machina si avvicina sempre di più…» Di nuovo Lo Scomunicato. Odiavo la sua voce isterica, la sua faccia da Charles Bronson in disgrazia, quella totale mancanza di autocontrollo. «Mimì, che dobbiamo fa…» BUM! «Rafe’, scatta una fotografia pure a quest’altro baccalà. No mossa, eh?» Sputai per terra, guardai di lato e mi preparai all’assedio ascoltando nel mio iPod City of the Dead dei Clash. Nino D’Attis è autore del romano Montezuma.... pubblicato da Marsilio. È fondatore del sito www.blackmailmag.com


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Txt Livi(d)o Squarci Messaggi random sul retro di scontrini. Un ettolitro di tavor, appesi ad un soffitto, bunging jumping indeformabile. Nichilismo latente, iconoclastia soffusa, due ore per dormire raccolti, calpestarsi. Scivola accanto, solente dolente, tensione scompone un puzzle di piastrelle variopinte, il tuo sorriso smorfia arguta, versi in stile cornamusa. Occhi di porcellana sgocciolano miele scaduto, svaligiano seri gli squarci d’inerzia. Una capanna indie Chiodi arrugginiti nel cervello. Sul muro piante rampicanti, plastica nera. Kit di automedicazione mentale tipo flebo post vomito di reintegro. Venire, insieme. Luci in autostrada, autogrill, pausa meditazione. Pasti veloci sanno di fatto in serie. Video, immagine filtrata. Sei una mattonella caduta dal cielo sulla mia finestra, ti raccolgo, a volte, ti guardo, non capisco, i vetri, rotti, li tengo da parte per le vene. Scopare una mattonella. Prendi un trapano elettrico black & decker e fai un buco al centro (non respirare le nanoparticelle, potrebbero essere letali), scrutare attraverso quel foro la gente che ti circonda, sono tutti nudi, uomini, donne, fate, unicorni, sirene, draghi, puoi scegliere. Se preferisci i morti ci vediamo all’obitorio alle 6. Persona sconosciuta, ti ho vista ballare sotto la doccia stupide coreografie, mi hai convinto ad entrare, sembrava una di quelle cabine rosse per il telefono londinesi, gocce con principi attivi nelle bevande, inconsapevolezza. Tè al gelsomino, bianco e nero viso in foto dice ok, forse mi

sveglio come camaleonte, i cereali nella credenza potrei lasciarli marcire. Il senso di moralità, lo stupro intellettuale, l’euforia di massa, iniziative blande e poi distorte. Col senno di poi. Lucidità ad interim. Sottovuoto. Electrodisagio. Fuck idea. A priori. È un continuum. Verdad. Publicidad. Se vuoi ti impiego. Un movie per youtube. Cavallo di troia mangia torre di cioccolata 99% insieme al caffè, tu dimmi i tuoi sogni, io non parlo di me. Matite colorate, una capanna indie, vademecum, vaffanculo. Così, come un intercalare. In arte povera. In bassa risoluzione. Azione reazione. Causa effetto. On. Off. Nastroteca Insidie verbali triviali magnificano l’esiguità. Irresoluto imbrattacarte in meditazione. Vaniloqui mi fan sentire libero, un apologo, alle volte. Su di un sulky trainato da un’agitazione, per muoversi nelle anse di diuturna agonia. Perspicacia, forza e audacia, improba via. Si solennizza con contraddanza al di fuori degli agglomerati. Fiamme e letizia. Nascosto nell’interpunzione col fine precipuo di assemblar la burlesca, nastroteca colma di frasi spezzate, canti strozzati. Anapodittico stato interiore. Pensiero engagé possente, il novelliere in commistione parzialeggia col suo mestiere. Niente male Calpestando fiori di plastica col trattore a pedali. Su gradini il fumar le sigarette seduti a sguardo all’aria è nuovo modo di annuire. Potrei voler esprimere gioia lacrimando gocce di limone, voler lasciare intendere acqua distillata è nulla


36 più, come nei ferri da stiro: i residui nel lungo periodo, una curva di domanda. Il nastro adesivo sulla bocca, fretta di scomparire in un eremo di campagna, fra fichi d’india e piante carnivore, a due metri dal mare. Il distillato di foglia di banano, l’amaca di ghiande trasparenti collegate dal filo, fase artigianale, poco cura nell’aspetto, volutamente se stessi nonostante lo scoppio delle mine cambia-costume e società. Sarà che a volte siamo seri, scoloriti al mattino, usciti da fotocopiatrici di sbornie notturne, yogurt per risolvere i momenti, un altro disco illudendoci che possa essere il migliore. Vogliano le nuvole riportarmi in viaggi in Europa orientale, forse sto male, così è se mi pare. Il periodico su cui stendere deliri, la macchina da scrivere consumata, non ricordo i nomi perché parlo di vita, non reggo le frasi dei conservatori lavate con detergente di scarsa qualità. La via di casa appare uguale, lunga, innaturale. Il clima muta. Le valigie ancora adesso, vuote, sempre pronte, solite. Sul tavolo il portacenere mezzo cocco straripa cenere. Il verso dei merli nelle ore in cui vado a dormire, odo spesso le persiane alzarsi, qualcuno va a lavorare, il mondo produce mentre credo sia un abbaglio, assimilare norme, regole, imposizioni. In una tazza o in una bottiglia, in una cassa di belga il suono del campanello. Abbracciami scrivania perché ti ho sempre voluto bene, sorreggimi portaombrelli, il vuoto è solo un brutto errore. Legno ciliegio ed aghi di pino, amanite e dinamite. No travestito da forse su cui potrò riflettere, timbrando il biglietto, scegliendo i tortelli più buoni nel banco frigo, leggendo pubblicazioni di congressi. Una passeggiata nella foce di un fiume, sostando fuori dal corpo potrò giudicare: niente male, niente di morale. Aspartame Thanks for your kind words, the req, the add, greetings from Italy, nice tunes, peace, cheers, yeah, yo. Sbalordimento perso, divieti affondati, clorofilla nelle vene. Protagonisti di video installazioni negli atri delle suggestioni. Colla trasparente, schegge di bottiglia e microdisagi, sbattimenti low-cost. Persi, come le valigie all’aeroporto. Dividere il bene dal catrame in un istante, il verde soppresso in una valle di sfascio. Digerire in fretta il senso sfuggito alle parole, incontrarsi ancora nella casetta di marzapane. Bip, ho dimenticato l’acqua per il tè, tric, si è incriccata la realtà. Reggiti, ho inserito la moneta, fra breve ci schianteremo. Nastro biadesivo tra le nostre sensazioni, colazione intercontinentale, aspartame. Sorella morte, colore ed arte, stupore forte. 29 corone, please! Il detersivo per i piatti spesso ritrovato nel retrogusto della birra nei bicchieri da zeroventi dei pub non ha la funzione di pulire le arterie dagli accumuli dovuti alle insane abitudini dettate dalla civilizzazione. Credi mai che possa essere un istinto malvagio a metterti a tuo agio con l’ambiente? La

coolibrì luce dei lampioni in effetto strobo, le lattine abbandonate accartocciate, l’edicola in centro si trasforma in uno di quei chioschi dei wurstel di Praga muniti di stereo a tutto volume, 29 corone, please! La musica che passa per radio, eccessivamente semplice, non mi da stimoli o emozioni. Esiste la libertà di non essere giudicati per come si appare? Un topo esce fuori da un tombino, mi fermo, si ferma, mi guarda, mi dice: «Si stava meglio quando si stava peggio, quando il natale era preghiera, non come adesso, solo balocchi ed illusioni». Rispondo: «Io sono ateo». «E allora?». «No, niente, voglio dire, non sono religioso». «Hai da accendere?». «I topi fumano? E da quando?». «Ti ho chiesto di accendere, non di fare stupide domande». «No, niente accendino, ho smesso di fumare». «L’importante è che non smetti di bere, di farti qualche canna ogni tanto». Va via, così, con una sigaretta gigante spenta in bocca, rientra nel tombino. Altri due passi, noto un palazzo di vetro a forma di nave, dov’è che l’ho già visto? Forse Bratislava. Mi ritornano alla mente quelle scritte pubblicitarie giganti “Billa” sui palazzi in Repubblica Slovacca, le buche sulla statale in Polonia, con la corsia di sorpasso sempre occupata e paletti di gomma al centro della strada, conficcati nell’asfalto, disposti a zig zag, forse da qualche operaio ubriaco. Sento una voce. «Ehi, tu, dico a te, mi senti? Sono quaggiù». Una lucertola da combattimento verde trasparente, le si possono vedere tutti gli organi da fuori. «Ti ho sentito prima che parlavi col topo…». «E allora?». «Vuoi un consiglio? Se sei in cerca di sostanze vai dal bradipo, ha tutto, ha i prezzi e la qualità migliore, digli che ti mando io, mi chiamo Spaten, come la birra, ti farà un buon prezzo». «Ma cosa sei, uno spot pubblicitario? Scommetto che in tutto questo tu ci guadagni qualcosa». «Amico, bisogna pur campare. Prima avevo un parcheggio abusivo, ho ceduto la zona per un debito di gioco. Non vendo droga, non voglio finire in carcere, ho famiglia, semplicemente procuro clienti, ecco, posso dire di essere un p.r., come quelli delle discoteche o dei locali». «Non so se ringraziarti per l’info o mandarti a fare in culo! Comunque non mi serve niente, oggi devo stare tranquillo, vado a donare il sangue, non ho fatto colazione, quindi ho le palle che mi girano». «Che gruppo sanguigno hai?». «A positivo, perché?». «No, non va bene, se fosse stato zero positivo o negativo avrei potuto piazzartelo ad un buon prezzo». «Commerci il sangue?». «Certo, anche gli organi, ti interessa vendere un rene, un po’ del tuo fegato, una cornea?». «No, certo che no. Ascolta, devo andare, mi stai facendo perdere tempo e ho fretta». «Ti serve un passaggio? Con la mia automobile ti posso portare dove vuoi». «Ma sei anche tassista abusivo?». «Certo!».




CoolClub.it Dal 12 al 16 agosto il Manà Parco Della Musica della Marina di Vernole (Le) ospita Gusto Dopa Al Sole, ottava edizione del raduno nazionale di reggae e hip hop organizzato dall’Associazione Culturale Musicale “Fa La Cosa Giusta” in collaborazione con Bass Culture e Nervo Staff. La direzione artistica è affidata anche quest’anno a Dj Gruff per l’area hip hop ed a Papa Gianni per quella reggae. Sin dal 1994 Gusto Dopa Al Sole rappresenta uno straordinario laboratorio di linguaggi e forme artistiche di ispirazione black e urbana: attraverso un fitto programma di concerti live e dancehall, contest di breacking, scratch, aerosol art e rap. Gusto Dopa è un’immersione totale nella cultura musicale di strada. I contest pomeridiani di hip hop (diretti da una giuria formata da Dj Gruff, Skizo, Esa, Treble e Massimino) daranno l’opportunità di esprimersi alle realtà emergenti, così come i grandi live serali e notturni, aperti da brevi esibizioni “showcase” di artisti locali emergenti, rendono questo festival un evento internazionale imperdibile per tutto il pubblico estivo del Salento. Domenica 12 agosto la grande festa di apertura del festival è riservata a Roy Paci ed i suoi Aretuska che presenteranno i brani del nuovo fortunatissimo cd “Suonoglobal” che vede tra gli ospiti Manu Chao. Manu Chao, Negrita, Bandabardò, Cor Veleno, Rais, Caparezza e SudSoundSystem. In apertura una selezione di gruppi salentini e Turi, rapper, produttore e dj hip hop di origini calabresi che si esibirà nei brani del nuovo cd Colpa delle donne. Lunedì 13 agosto sul palco del Manà gli inglesi Asian Dub Foundation portano la loro leggendaria esperienza di fusione tra culture musicali ed etniche diverse, che nel loro Sound System viene riportata alla sua essenza reggae e drum&bass. Il loro inconfondibile sound è una combinazione di duri ritmi ragga jungle, linee di basso indudub, struggenti sitar e suoni tradizionali indiani campionati dalle collezioni di dischi dei genitori, il tutto a supporto di liriche “conscious” sparate nello stile furioso e veloce del dancehall style anglo-giamaicano. L’arrivo nei negozi della retrospettiva “The Best Of - Time Freeze 1995/2007” nel 2007 segna l’inizio di una nuova fase per gli ADF. Il doppio cd contiene una selezione di brani classici più una serie di remix inediti, registrazioni live ed un nuovo brano che

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anticipa l’imminente prossimo album. Inoltre la serata prevede “Pass the mic”, passa il microfono (una frase tipica nel mondo del rap per dire che si vuole prendere la parola), un festival itinerante e mutevole di musica hip-hop che propone Assalti Frontali in tutta Italia. In questa occasione al loro fianco Esa, Inoki e Colle Der Fomento. Martedì 14 agosto presenza dovuta quella di Gentleman, che si è impegnato a riscattare la sua mancata esibizione dello scorso anno a causa della pioggia. Il fenomeno Gentleman ha origine nell’ormai solida e autorevole scena reggae tedesca, sempre di più visibile nel contesto reggae internazionale. Gentleman viene dai sound system e da una lunga esperienza e familiarità con la cultura giamaicana: questo perfetto mix di patois giamaicano, efficenza tedesca e immenso talento naturale ha creato l’inarrestabile ondata musicale di Gentleman. È stato annunciato il nuovo album intitolato “Another Intensity”, la cui uscita è prevista per la fine dell’estate 2007. Ma non è l’unica sorpresa della serata. Treble, noto anche col nome Lu Professore come uno dei fondatori del Sud Sound System, è l’autore di tante canzoni amatissime dal popolo del reggae. A Gusto Dopa Lu Professore presenta il suo nuovo progetto live con la

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band Roots Family. In chiusura One Love Hi Pawa, il sound system italiano più rispettato nel mondo. Mercoledì 15 agosto si festeggia ferragosto con Mr Vegas che rappresenta il top del dancehall reggae giamaicano moderno, che nel mainstream internazionale ha sempre più punti di contatto con il mondo dell’hip hop. Sul palco anche Brusco uno dei migliori mc italiani, accompagnato dalla band romana Roots in the Sky Band. In chiusura dj set di GgD (SSS). Ultimo appuntamento giovedì 16 agosto con il duo statunitense Heltah Skeltah, dal Boot Camp Clik di New York, rappresenta al meglio l’hip hop underground attuale: a Gusto Dopa divideranno il palco con il live set di Dj Gruff, il pioniere della scena rap italiana che ha curato artisticamente Gusto Dopa sin dai suoi esordi, e continua a dare sostanza e creatività al festival. Nella stessa nottata conclusiva l’esibizione della supercrew Broken Dreams diretta da Dj Skizo e le premiazioni dei contest. www.gustodopaalsole.com; www.myspace.com/gustodopaalsole info 0832 325387 - 347 7116479 Ingresso 15 euro (abbonamento 60)


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La grande musica italiana e internazionale è il marchio di fabbrica del Salento Summer festival, organizzato da Alta Fedeltà Produzioni e Proud-Actions, giunto alla sua settima edizione ed affermatosi come uno dei più importanti appuntamenti estivi del Sud Italia. Nel suo peregrinare geografico, alla ricerca di suggestive location sparse nel territorio salentino, e artistico, nelle passate edizioni accanto ai maggiori interpeti del reggae come Sud Sound System, Luciano, Africa Unite, Junior Kelly, Bushman, Roy Paci e Aretuska, Caparezza, Marcia Griffiths, Anthony B il festival ha ospitato anche i ritmi più duri di Sepultura, Marlene Kuntz, After Hours, Meganoidi e molti altri ancora. Quest’anno il Salento Summer Festival ospita tre giorni (13, 17 e 18 agosto) di reggae e metal. Un alternarsi di ritmi per un festival indimenticabile. Si parte presso il Campo Sportivo di Leverano lunedì 13 agosto (inizio ore 20.00) con una prima serata dedicata al reggae. L’apertura è affidata ai giovani talenti salentini raccolti dai Sud Sound System in Salento Showcase 2007. A seguire spazio al veterano Lee Scratch Perry e al “Profeta” Capleton, il cui stile vocale selvaggio, con le sue acrobazie metriche e la voce ruvida e potente, ha ispirato il corso del reggae nei ‘90 spianando la strada ad altri giovani innovatori come Sizzla. Venerdì 17 agosto (inizio ore 18.00) nel Campo Sportivo di Cursi il Salento Summer Festival ospita il Salento Metal Festival, realizzato in collaborazione con Rock tv e Krossower di Catania.

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Ospiti speciali dell’evento saranno i Soulfly, nati per volontà del leggendario Max Cavalera dopo aver lasciato i Sepultura, e giunti ormai al sesto album in studio. I Soufly sono l’incarnazione più pura della fusione tra thrash, death metal e musica tribale. Sul palco saranno affiancati dagli Extrema, il gruppo più rappresentativo del metal italiano, e da altri prestigiosi ospiti come gli storici Schizo e Undertakers, i giovani e potentissimi Stigma dal Piemonte, e una folta e agguerrita rappresentanza del metal salentino composta da Hopesend, Traitor, Stillness blade, Ingraved, Shank, Non toccate miranda, Stonecutters, Clinicamente morti, Terremoto, Burning seas, Kronium, Ashram, Cosmica. Infine sempre a Crusi sabato 18 agosto (inizio ore 20.00) ultima serata, sempre in collaborazione con Rock Tv, dedicata al reggae con gli ospiti fissi del Salento Summer Festival. I Sud Sound System saranno supportati dalla presenza di Raiz, ex leader degli Almamegretta, una delle voci più importanti del dub italiano che pubblicherà a breve il suo nuovo cd Uno, e Zion Train. La peculiarità di questa originale band attiva anche come sound system è la volontà di continuare a sviluppare l’estetica del dub reggae analogico creato da King Tubby negli anni settanta utilizzando nuove tecnologie e nuove idee e soprattutto mescolando i suoni del roots reggae più potente con i suoni della ‘techno’ e ‘trance music’ in auge all’inizio degli anni ottanta in Inghilterra. La serata sarà aperta dagli Steela e tanti altri gruppi salentini. Info www.salentosummerfestival.it - 3286177083 - 3493568655


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Daniele Sepe, Ambrogio Sparagna, Piero Milesi, Vittorio Cosma, Stewart Copeland, Raiz, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Noa, Carmen Consoli, Lucio Dalla, Gianna Nannini, Sud Sound System: l’elenco degli ospiti (assolutamente incompleto) passati sul palco di Melpignano in dieci anni di storia, come suggerisce qualche maligno, farebbe pensare più al Festivalbar che non ad un evento dedicato alla musica tradizionale. La Notte della Taranta, dal 1998 ad oggi, è passata dalla prima edizione di Piazza San Giorgio (con Daniele Sepe a dirigere un piccolo ensemble) ai 100 mila (o forse più chi lo sa) che negli ultimi due anni hanno affollato il piazzale del Convento degli Agostiniani con Ambrogio Sparagna a coordinare una maxi orchestra di circa 60 elementi. “La Notte della Taranta è una grande festa di genti e nulla ha a che fare con il fenomeno del tarantismo e dei raduni attorno alla chiesa di San Paolo a Galatina”, sottolinea il sindaco di Melpignano e presidente dell’Istituto Carpitella Sergio Blasi. “In questi anni abbiamo costruito una grande festa di musica popolare che si è consolidata come una esperienza decisiva nella crescita di questo territorio”. Una esperienza che porta turismo, curiosità, televisioni e giornalisti, e che è stata esportata in Cina, Germania, Grecia, Giordania, Roma, Venezia, Bologna e già si parla di Australia e Israele. Dopo gli organetti e la tradizione rivista da Ambrogio Sparagna quest’anno con Mauro Pagani - compagno di viaggio di Fabrizio De Andrè, anima della Premiata Forneria Marconi, e arrangiatore di numerosi artisti italiani e non solo - parte un percorso di esplorazione che dal Salento incrocia le rotte del Mediterraneo e allarga lo sguardo ai Balcani in cerca di memorie antiche, inedite consonanze, nuovi paesaggi di suoni. Sabato 25 agosto il tradizionale concertone sarà aperto da alcuni dei più importanti testimoni della cultura popolare pugliese Giovanni Avantaggiato, i Cantori di Villa Castelli, i Cantori di Carpino, Uccio Aloisi e dall’Orchestra di Piazza Vittorio, emblematico esempio di ibridazione musicale dalle forti radici multiculturali. Subito dopo Pagani dirigerà la grande Orchestra della Notte della Taranta (con meno organetti e molti archi) con ospiti prestigiosi come Massimo Ranieri, Giuliano Sangiorgi (che torna nel Salento da pop star), Eva Quartet, Morgan, Ginevra Di Marco, Piero Brega, Badarà Seck e i musicisti Giovanni Sollima, Gavino Murgia, Mario Arcari, Mimmo Epifani e molti altri. Il Concertone è solo la fine di un percorso che, mai come quest’anno, sarà articolato e complesso, vero festival di musiche e riflessioni, incontri e libri, danza e nuove tecnologie. Giovedì 8 agosto da Corigliano d’Otranto partirà il festival itinerante. Quindici tappe e circa 450 artisti coinvolti nelle tappe che toccheranno Calimera, Carpignano Salentino, Castrignano

Salentino, Cutrofiano, Martignano, Martano, Soleto, Sternatia, Zollino, Alessano, Cursi, Galatina, Andrano e Otranto. Nella città dei martiri l’11 agosto si festeggerà proprio il decennale con il concerto evento di questa edizione. L’Ensemble La Notte della Taranta si esibirà per la prima volta nella composizione del suo nucleo storico protagonista delle prime edizioni del festival ed ospiterà Alessia Tondo e Claudio Cavallo Giagnotti ed alcuni ospiti del concertone del 2003 come Vittorio Cosma, Raiz, Radidoervish. “Quest’anno ci saranno sei produzioni originali”, precisa Sergio Torsello, direttore artistico del Festival, “che coinvolgeranno alcuni dei gruppi salentini più conosciuti che si confronteranno con grandi musicisti internazionali. Il 16 agosto a Carpignano Salentino I Kumenei incontreranno gli spagnoli La Jambre che ripropongono la musica tradizionale Andalusa. Il 17 a Soleto i Mascarimirì ospiteranno musicisti di varia provenienza tra cui la formazione tutta femminile Original Occitania; il 18 agosto a Calimera sarà la volta di Transumanze armoniche con AriaCorte, Uaragniaun e Lino Canavacciuolo Ensemble; il 20 a Galatina la regina della musica tzigana Esma Redzepova (già in concerto il giorno prima a Sternatia) sarà parte del progetto Girodibanda, di Cesare Dell’Anna in collaborazione con Emanuele Licci; il 22 a Cutrofiano Banda Adriatica (l’ensemble fondato dal musicista Claudio Prima) incontrerà le soliste bulgare di Eva Quartet. Ed infine il 23 a Martano l’ultima produzione originale chiuderà il festival con i Nidi d’Arac, interpreti della visione più moderna della musica tradizionale salentina, insieme al gruppo francese Lo Cor de la Plana, protagonisti del nuovo corso della musica occitana”. Ma il Festiva non è solo musica. Per il terzo anno di seguito torna il progetto ideato da Carlo Infante del TarantaVlog, un’esperienza che coniuga la rete e il territorio a cura del PerformingMediaLab, prodotto da ClioCom di Lecce. Il “caso” Notte della Taranta sarà oggetto invece per la prima volta di una tavola rotonda internazionale. E poi ancora i progetti culturali promossi dal festival: la mostra di pittura e scultura proposta dall’Associazione Boy’s Sport Arte e Cultura di Galatina; il Convegno Internazionale di Studi sulle Danze Tradizionali dell’Europa Mediterranea; la rassegna di poeti e poesia a cura di Presidi del libro e Fondo Verri dal titolo La poesia detta; la presentazione del libro 1968 Una ricerca in Salento di Gianni Bosio e Clara Longhini, edito da Kurumuny. Al decennale è dedicato anche il volume La Notte della Taranta 1998-2007 - breve storia per testi ed immagini dei dieci anni che hanno ‘rivoluzionato’ la musica popolare salentina, curata dal giornalista salentino Dario Quarta, con il coordinamento del direttore di quiSalento Roberto Guido e del consulente dell’Istituto “Diego Carpitella” Sergio Torsello. Tutte le info su www.lanottedellataranta.it

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CoolClub.it Il piccolo comune griko ospita una serata dedicata alle nuove produzioni di Anima Mundi, l’etichetta discografica tutta salentina. Alle 21,00 si parte con la proiezione di Le storie cantate un documentario sui cantastorie di Puglia di Daniele Trevisi e Nicola Morisco. Sulle traccie della tradizione musicale pugliese, scritta e non scritta. In questo viaggio musicale, a tracciare il percorso sono le testimonianze dei cantori della meridionalità, da Uccio Aloisi a Tonino Zurlo, da Enzo del Re alla formazione corale dei Cantori di Carpino, per concludere con Matteo Salvatore. Alle 22.00 spazio alla musica di Tonino Zurlo che presenterà i brani del suo nuovo cd Nuzzole e pparolu (semi e parole). Secondo Moni Ovadia, Tonino è l’erede di una immensa tradizione e la incarna come prima di lui Matteo Salvatore. La voce di Tonino viene da lontano e va lontano, erompe dalle radici profonde di una cultura bassa, dalle viscere della terra di una storia secolare entra nelle sonorità odierne che si inchinano davanti al nerbo del suo talento e hai la netta impressione che ogni possibile invenzione tecnica e stilistica del futuro sarebbe onorata di mettersi al servizio della sua nobile arte “cafona” che è simultaneamente passato, presente e futuro. Alle 23.00 i francesi Les Troublaamours presentano il nuovo cd Ama l’acqua. Ospiti della serata Giorgio Distante (tromba) e Maria Mazzotta (voce). Nel nuovo cd i Balcani incontrano le percussioni del sud Italia, nei ritmi di tarantelle, pizziche e tammuriate dall’emozione accesa, che a loro volta si intrecciano con caldi tappeti ritmici di matrice africana, ai quali si aggiunge il canto, che si fa affermazione di una gioia selvaggia, panica, ed espressione di un blues gitano. Abbiamo parlato con Emmanuel. L’Italia e la Francia si incontrano in un mondo musicale unico. Chi sono i Troublamours? I Troublamours sono i lontani discendenti dei trovatori (Troubadours), musicisti poeti itineranti che segnarono i loro cammini nel medio evo. I Troublamours sono il frutto di un errare moderno che vuole che le nostre radici si perdano un po’ dappertutto in Europa, e nel mondo... ma più in particolare verso l’Italia terra dall’incredibile patrimonio musicale. Il vostro immaginario è pieno di riferimenti, da dove prendete la vostra ispirazione? I riferimenti sono già molteplici all’interno di ciascuno di noi, e il fatto di lavorare in gruppo (cinque musicisti) li arricchisce inevitabilmente. Per riassumere: la nostra musica va dal jazz alla canzone realista francese passando dalla musica tradizionale.

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Per quello che mi riguarda, io mi ispiro soprattutto alle tradizioni musicali italiane e balcaniche. Il mio immaginario è abbastanza marcato dalla nostalgia e malinconia ma la musica arriva ad equilibrare questi sentimenti apportando più gioia e ritmo… ridere e piangere nella stessa canzone, sognare e danzare sullo stesso pezzo. E il vostro incontro con Anima Mundi? Il nostro incontro con Anima Mundi è prima di tutto una storia di amicizia con Giuseppe. È cominciata nelle strade di Otranto cinque anni fa e prosegue nel presente nel migliore dei modi, abbiamo realizzato due dischi insieme. Come sarà il nuovo disco? Il nuovo disco è stato registrato l’estate scorsa presso la masseria Torcito di Cannole in presa diretta acustica. È una scelta che abbiamo voluto fare per rompere con l’atmosfera meno spontanea dello studio. Abbiamo voluto qualcosa che fosse più vicina alla nostra musica che è suonata la maggior parte delle volte in acustico. Penso che la riuscita sia al livello dell’emozione e dell’energia trasmessa. Musicalmente è un’altra cosa perchè non potendo rielaborare i brani… bisognava essere nel momento ideale e con la giusta energia. La strada, il viaggio, che importanza hanno nella vostra musica? Come Troublamours, trovatori, la strada ha per forza di cose una grande importanza. Siamo dei nomadi moderni, anche se non siamo in continuo movimento, le nostre origini diverse e i nuovi mezzi di comunicazione fanno che il viaggio giochi un grande ruolo nella nostra musica e in tutte le musiche, credo. Ma le musiche che simboleggiano ancora meglio il viaggio sono sicuramente le musiche gitane, da cui il loro posto privilegiato nel nostro repertorio. E se dovessi dare una definizione alla vostra musica? Io credo e sempre di più “tarantella-gitano-guinguette”, musica dei nostri viaggi, della nostra storia d’amore con il salento, musica che nasce dalla nostra voglia di suonare dappertutto e il più vicino possibile alla gente per meglio toccarla, mescolarla, scompigliare i suoi sentimenti, un vero lavoro per dei troublamours!... (O.P.)



CoolClub.it MUSICA ogni domenica / Musica al tramonto al Buenaventura sulla litoranea San Cataldo – San Foca A partire dalle 18:00 il Buenaventura saluta il tramonto con la musica dal vivo. Tutte le settimane una colonna sonora diversa sarà il giusto sottofondo all’aperitivo in riva al mare aspettando la notte. Dopo una lunga giornata al mare la musica del Buenaventura vi intratterrà per tutto il mese di agosto. mercoledì 8 / Manekà, Atnarat, Antonio Amato Ensemble ed Epifani Barbers per la Notte della Taranta a Corigliano D’Otranto (Le) giovedì 9 / Enza Pagliara, Cantori di Carpino, Uccio Aloisi Gruppu per la Notte della Taranta a Zollino giovedì 9 / Makako Jump al Cotriero di Gallipoli giovedì 9 / ‘Cuarteto Cubano al Buenaventura sulla litoranea San CataldoSan Foca venerdì 10 / Tullio De Piscopo a Brindisi venerdì 10 / Amalia Grè a Otranto venerdì 10 / Roberto Vecchioni a Spongano venerdì 10 / Nui…Nisciunu, Ninfa Giannuzzi, Laura Conti e Eiva d’or, Alla Bua per la Notte della Taranta a Martignano sabato 11 / Kalàscima, Malicanti, Ensemble Notte della Taranta con la partecipazione di Vittorio Cosma, Raiz, Radiodervish, Alessia Tondo, Claudio “Cavallo” Giagnotti. a Otranto sabato 11 / Working Vibes al Cotriero di Gallipoli (le) sabato 11 / Tiromancino a Gallipoli sabato 11 / Simone Cristicchi a Corsano sabato 11 / Kumenei a Sogliano Cavour sabato 11 / Miji Kenda a Tuglie sabato 11 / Opa Cupa a Campo Marino domenica 12 / Aria frisca, Arsura, Arakne Mediterranea e Salent Melody Quartet, Ghetonìa per la Notte della Taranta ad Andrano domenica 12 / Nicola Conte al Mediterraneo. it (litoranea San Cataldo – San Foca) domenica 12 / Zina a Parabita domenica 12 / Dabol al Cotriero di Gallipoli (le) domenica 12 / Tiziano Ferro a Lecce domenica 12 / Pfm a Mancaversa lunedì 13 / La cobla mìnima, Es Revetlers, Phaleg e Compagnia di scherma salentina per la Notte della Taranta a Cursi martedì 14 / Inchingolo & Villani, Alfio Antico e Zimbaria per la Notte della Taranta a Castrignano dei Greci martedì 14 / Stefano Bollani a Locorotondo (BA) La musica del pianista Stefano Bollani vive all’insegna dell’ironia, di un marcato sapore italiano, di un piacevole e frizzante rapporto con il passato. www.stefanobollani.com martedì 14 / Alessio Bertallot a Castellaneta marina Alessio Bertallot è, con il suo programma “B Side “, a Radio DeeJay, il punto di riferimento della musica elettronica e della Club Culture in Italia. martedì 14 agosto / Summer Bass al

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Mediterraneo.it (litoranea San Cataldo – San Foca), Al Mediterraneo.it prosegue Summer Bass 07, appuntamento settimanale di dance elettronica che si ripeterà tutti i martedì di luglio ed agosto. Arrivato ormai alla sua terza edizione vedrà la partecipazione di tanti dj e producer di livello nazionale e quest’anno anche internazionale. Ragga, Jungle, Drum’n’bass sono i generi che infiammeranno tutti i martedì, con i dj resident che si alterneranno in consolle: Insintesi e Dj Maik e con i Video-Set di Shockvideo tutti di Turntable Crew. Special guest di questa serata dalla Gran Bretagna Shimon (Ram Records). Insintesi nasce nel 1998 dall’incontro di esperienze musicali ed artistiche differenti unite da un unico comune denominatore: l’amore per la musica dub, raggae, jungle. In quasi 10 anni di attività, ha suonato in festival e dj set con artisti come: Joe Zawinul (Notte della Taranta), Boban Markovic, Sud Sound System, Nidi d’Arac, Asian Dub Foundation, Simon “Bassline” Smith, Congo Natty, Orchestra di Piazza Vittorio, Radio Dervish, Antony B e molti altri. È appena uscito Subterranea, il loro primo album, in chiave dub, prodotto dall’etichetta romana Altipiani (distribuito nel Salento da AnimaMundi) e che vede la partecipazione di alcune delle voci più interessanti del nuovo panorama musicale salentino. giovedì 16 / Negramaro a Lecce giovedì 16 / Give me Indie minifestival ad Aradeo (Le)

Eclettico e infrageneri. Questi i tratti del Give me Indie #3, festival di musica indipendente. La manifestazione, giunta alla sua terza edizione, è organizzata dall’Associazione Culturale Odelay col patrocinio del Comune di Aradeo. La serata è strutturata in due parti. Nella prima si alterneranno in concerto artisti nazionali a band locali (Spread Your Legs, Thousands Millions, My Awesome Mixtape). Chiuderà il live Beatrice Antolini (Madcap Collettive), recente scoperta del panorama musicale italiano che proporrà la sua originale e onirica soluzione a base di psichedelia pop, alt - country e vaudeville . Nella seconda parte dell’evento, infine, alcuni dj locali di buona fama nazionale selezioneranno musica intrattenendo sino a notte in una sorta di discoteca rock cielo aperto. I dj sono Congo Rock e Giorgio Tuma.

La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni: redazione@coolclub.it

giovedì 16 / Les troumbl’amours al Buenaventura sulla litoranea San CataldoSan Foca giovedì 16 / AriAntica, Tamburellisti di Torrepaduli, La Jambre e Kumenei per la Notte della Taranta a Carpignano Salentino venerdì 17 / Anime Bianche, Agorà, Mascarimirì con: Renè Mazzarino Djtjali (Massilia Sound Sistem), Louise Pastorelli (Nux Vomica), Sam Karpienia (Dupain), Pierre Laurent Bertolino (Dupain), Arnaud Fromont ( D’AquiDub), Original Occitania, Crifiu, Emanuele Licci, Enza Pagliara, Carlo De Pascali per la Notte della Taranta a Soleto Serata speciale per il festival della Notte della Taranta. Dopo le esibizioni di Anime Bianche e Agorà infatti Claudio Cavallo Giagnotti e i suoi Mascarimirì interagiranno con Renè Mazzarino Djtjali (Massilia Sound Sistem), Louise Pastorelli (Nux Vomica), Sam Karpienia (Dupain), Pierre Laurent Bertolino (Dupain), Arnaud Fromont ( D’AquiDub), Original Occitania, Crifiu, Emanuele Licci, Enza Pagliara, Carlo De Pascali. I Mascarimirì nascono tra il ’96 e il ’97 per iniziativa di Claudio “Cavallo” Giagnotti, leader della band, Cosimo Giagnotti e Carlo “Calabrese” De Pascali, con l’idea di realizzare una sintesi tra la tradizione musicale salentina e le sonorità contemporanee come il dub il reggae e il rock all’hard-core. Il gruppo vanta numerose collaborazioni nazionali e internazionali. sabato 18 / Ariacorte, Uaragniaun e Lino Cannavacciuolo Ensemble per la Notte della Taranta a Calimera domenica 19 / Canzoniere Grecanico Salentino, Lucilla Galeazzi e Esma Redzepova per la Notte della Taranta a Sternatia domenica 19 e lunedì 20 / Plug & Play al Manà di Vernole

Salento Electronic Festival 2007 nasce dall’attuale esigenza di coniugare, all’interno della suggestiva cornice dell’estate salentina, i nuovi flussi creativi ed energetici della musica electro europea e delle avanguardie artistiche nel campo delle video - installazioni. Sul palco si alterneranno per due giorni le migliori realtà, sia mainstream che underground, dell’attuale scena electro internazionale; il tutto arricchito da performance di


APPUNT aMENTI

CoolClub.it

scratching, turntablism e drumming, oltre che da body e video performance e spettacoli live dei più attivi gruppi della scena italiana ed europea. Tra gli ospiti Ellen Allien, Phill Hartnoll, Orbital e molti altri. Ingresso giornaliero : 15 euro Abbonamento speciale: 25 euro. Info www.myspace.com/ sef2007 domenica 19 / Francesco De Gregori alla Masseria Torcito di Cannole (Le) lunedì 20 / James Taylor Quartet ad Apricena (Fg) unedì 20 / La Banda Wagliò e Davide Torrente, Su d’est, Aria Antica, Girodibanda con Esma Redzepova per la Notte della Taranta a Galatina martedì 21 / Sancto Ianne, Mario Salvi e i Cantori di Villa Castelli, Zoè e Baba Sissokò per la Notte della Taranta ad Alessano martedì 21 / Summer Bass al Mediterraneo.it (litoranea San Cataldo – San Foca) Nuovo appuntamento per la rassegna di dance elettronica curata da Insintesi e Dj Maik e con i Video-Set di Shockvideo tutti di Turntable Crew. Special guest di questo appuntamento Dp e Promenade, i fondatori della nuova etichetta drum n bass italiana G recordings. mercoledì 22 / Salento Orkestra, Antonio Castrignanò, Bandadriatica con Eva Quartet per la Notte della Taranta a Cutrofiano giovedì 23 / Briganti di Terra d’Otanto, Sciacuddhuzzi, Nidi D’Arac e Lo Cor de la plana per la Notte della Taranta a Martano giovedì 23 / Smooth Groove Band al Buenaventura sulla litoranea San CataldoSan Foca Performance dalle influenze italo-americane con compenenti provenienti da diverse esperienze delle due sponde dell’oceano. Sul palco Ron McIntyre (sax), Govinda Gari (piano), Melanie Charles (sax e voce), Ananda Gari (batteria). La loro missione è di portare al pubblico italiano e americano in un’unica esperienza musicale ricavandone un suono unico frutto dell’incontro tra le sonorità europee e quelle statunitensi. martedì 28 / Summer Bass al Mediterraneo.it (litoranea San Cataldo – San Foca) Il Dj salentino Trinketto conclude questa terza edizione di Summer Bass 07, appuntamento di dance elettronica che ha riempito tutti i martedì di luglio ed agosto. da giovedì 6 a sabato 8 settembre / L’acqua in testa a Bari Nell’estate barese, e più in particolare nell’ambito della rassegna il Valore

dell’Acqua, organizzata dall’Assessorato alle Culture del Comune di Bari, si propone come ormai d’abitudine “L’Acqua in Testa Eastpak Music Festival”. Dalle ore 20,00 sul main stage si alterneranno gruppi locali ed internazionali fino alle 00,30. Gli headliner di quest’anno sono Roy Paci & Aretuska giovedì 6 settembre, Kruder & Dorfmeister venerdì 7, ed i Misfits sabato 8. Ma il programma completo è ricco di altri ospiti internazionali e italiani. Info su www.acquaintesta.it domenica 9 / Giovanni Allevi a Galatina (Le) sabato 15 / Total Metal Festival a Noicattaro Il Festival pugliese, organizzato dalla Vivo Managment, è riconosciuto tra i maggiori eventi metal dell’Italia meridionale. Tra gli ospiti di questa edizione Rage, Dark Funeral E Vision Divine, The Orange Man Theory, Golem, Godyva, Coram Lethe, Necrotorture, Cruentus E Illogicist. Info www. totalmetalfestival.it martedì 18 / Radiodervish nell’atrio di Palazzo dei Celestini a Lecce

LETTERATURA

giovedì 16 / Reading in musica: Memorie della terra. Racconti e canti di lavoro e di lotta del Salento a Contrada Macurano (Le) dal 16 al 18 agosto / La poesia detta a Martignano (Le) Nell’ambito del festival della Notte della taranta Palazzo Palmieri a Martignano ospita La poesia detta una rassegna di poeti e di poesia a cura di Presidi del Libro e Fondo Verri con la direzione artistica di Mauro Marino. Una linea di ricerca delle ultime edizioni de La Notte della Taranta è stata quella legata alla poesia e alla scrittura. L’edizione 2006 ha visto la pubblicazione de “Il Sibilo Lungo”, raccolta di versi che insieme accoglie gli esponenti della tradizione letteraria del Novecento salentino (Vittorio Bodini, Ercole Ugo D’Andrea, Salvatore Toma, Antonio Errico) e l’ultima leva di poeti e cercatori di parole che nell’edizione 2004 della Notte della Taranta si incontrarono guidati da Giovanni Lindo Ferretti per dar vita al laboratorio della parola. Fu quella una significativa novità. La musica e tutto il clamore intorno ad essa, si ‘ricordava’ che per sostanziare un canto, per dare senso e significato ad una melodia era necessaria la parola: la parola poetica. Tra gli ospiti il regista Stefano Di Lauro, l’attore Rocco

Capri e il gruppo vocale delle Faraualla con la loro ContrOdissea; le poetesse Annamaria Ferramosca, Giorgia Angiuli, Sara Ventroni, Ilaria Seclì con Adamo Toma, i poeti Elio Coriano, Rossano Astremo, Giuseppe Semeraro e Roberto Corradino, l’attrice Gabriella Rusticali e Patrizia Oliva, gli attori Piero Rapanà, Simone Giorgino e Renato Grilli per gli omaggi ai salentini Antonio Verri e Salvatore Toma; i videomaker Fernando Bevilacqua, Carlo Michele Schirinzi, Carlo Di Brina, Monica Petracci, Silvia Bianchi. La cura dei suoni sarà a cura di Claudio Prima, degli Adria, delle Anime bianche e di Giorgio Viva. Info su leparoledidentro. splinder.com venerdì 24 / Reading in musica: Suggestioni dal Salento immaginato in versi e voci a Contrada Macurano (Le) dal 29 agosto al 14 ottobre / Luoghi d’Allerta nel Salento Luoghi d’Allerta è come un viaggio. Gli occhi sono gli stessi: quelli degli attori, musicisti, cantanti, poeti e quelli del pubblico, hanno la stessa meraviglia, la stessa urgenza di scoprire, di farsi capaci interpreti dei luoghi che attraversano. Il programma su http:// luoghidallerta.blogspot.com

MOSTRE

dal 25 agosto al 2 settembre / Mostra d’Antiquariato a Copertino (Le) Il castello di Copertino ospita la XXI Mostra d’Antiquariato, evento realizzato dalla Pro-Loco cittadina “Fernando Verdesca” in collaborazione con la Città di Copertino e con il patrocinio di Provincia di Lecce, Università del Salento, Regione Puglia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel corso delle varie edizioni la manifestazione è divenuta meta ambita di antiquari – quest’anno più di quaranta - provenienti da ogni parte d’Italia che ogni estate si danno appuntamento nella splendida cornice del castello per esporre il meglio del settore. Ad ogni edizione Copertino accoglie migliaia di visitatori che colgono l’occasione per visitare la città ed apprezzarne le bellezze, prima tra tutte l’imponente castello angioino, che nei giorni della mostra torna a rivivere gli antichi fasti. La mostra sarà visitabile dalle ore 18.00 alle ore 23.00 nei giorni prefestivi e festivi e dalle 18.00 alle 22.30 nei giorni feriali. Ingresso Gratuito. Info 0832.949010

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