anno VII/VIII numero 70/71 dicembre 2010/gennaio 2011
IO CANTO ITALIANO
IO CANTO ITALIANO “Arriva la nuova musica italiana”, cantano i Linea 77. La band torinese, già nel 2008, aveva realizzato un video, per questo brano, in cui sfilavano un po’ tutti gli artisti del panorama indie nazionale. Tutti amici e uniti in questo corale “ci siamo”. Circa un anno dopo gli Afterhours partecipano al Festival di Sanremo e subito dopo escono con il Paese è Reale, una compilation che raccoglie il meglio dell’indie nazionale. A questo punto Luca Valtorta monta un casino su Xl, chiamando in causa un po’ tutti. La gente allora comincia a crederci, a pensare che il rock italiano stia vivendo una nuova generazione. Cadono le barriere di genere, indie e mainstream si corteggiano, le major guardano al sottobosco musicale, ne attingono e ottengono numeri, pubblico, premi. Solo qualche settimana fa a Milano Dente ha chiuso il suo tour invitando sul palco Vasco Brondi (Luci della centrale elettrica), Enrico Gabrielli (Afterhours, Morgan, Mariposa), Max Collini (Offlaga Disco Pax), Gianluca De Rubertis e Alessandra Contini (Il Genio), Perturbazione e tanti altri. Le ultime edizioni del Mi ami (festival dedicato alla musica indie italiana organizzato da Rockit) hanno registrato presenze record e al Tenco vince anche Brunori Sas. E intanto sempre di più si ha voglia di cantare in italiano, di dire le cose senza fare troppi giri, di appropiarsi della realtà e di raccontarla mentre solo fino a poco fa le canzoni sembravano il mezzo per sfuggirne e metterla da parte per cinque
minuti. Di questo nuovo approccio responsabile verso l’italiano ci è piaciuto ragionare in questo numero di Coolclub.it abbiamo subito capito che citare tutte le band e gli artsiti era impossibile. Ci siamo limitati ad intervistarne alcuni: Le Luci della centrale elettrica, Simona Gretchen, Massimo Volume, Ministri, altri hanno animato le nostre pagine in tutti questi anni. Parlo dei Marlene Kuntz (esce in questi giorni il loro nuovo album che abbiamo recensito), il Genio, Amerigo Verardi e Marco Ancona (amici salentini di Coolclub), Paolo Benvegnù (secondo noi tra i più grandi artisti italiani in circolazione), Non Voglio che clara, il Pan del Diavolo, Zen Circus, gli Amari, Teatro delgli Orrori, Tre allegri ragazzi morti, Bugo, Cesare Basile, e tantissimi altri. Altri sono raccolti nella compilation La leva contautorale degli anni 0 album che mette insieme una quarantina di nuove voci e ci è stato raccontato track by track da Lucio Lussi e dal coordinatore Enrico Deregibus. In questo numero, poi, noterete una piacevolissima appendice allo scorso numero dedicato al giornalismo musicale. Abbiamo l’onore di ospitare le interviste a due dei più grandi giornalisti musicali del mondo: Simon Reynolds e Riccardo Bertoncelli. Questo è l’ultimo numero del 2010, ci vediamo l’anno prossimo… buona musica! Osvaldo Piliego Editoriale 3
CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 7-8 Numero 70-71 dicembre 2010-gennaio 2011 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, Tobia D’Onofrio Hanno collaborato a questo numero: Daniele Coluzzi, Marco Carrozzini, Lucio Lussi, Al Miglietta, Roberta Cesari, Dino Amenduni, Giancarlo Greco, Rossano Astremo, Nino G. D’Attis, Antonio Iovane, Giuseppe Arnesano. In copertina: Le luci della centrale elettrica Ringraziamo Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Cooperativa Paz di Lecce e le redazioni di Blackmailmag. com, Radio Popolare Salento, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Salento WebTv, Radiodelcapo, Musicaround.net, Radio Venere e Radio Peter Pan. Progetto grafico erik chilly Impaginazione dario Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione con il favore delle tenebre Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: pierpaolo@coolclub.it 3394313397
IO CANTO ITALIANO
La nuova musica italiana 6 Le luci della centrale elettrica 10 Massimo Volume 12 Simona Gretchen 14 musica
Simon Reynolds 18 Brandt Brauer Frick 25 Recensioni 30 Salto nell’indie - RareNoise Records 43 Libri
Carlo D’Amicis 44 Cosimo Argentina 46 Simone Sarasso 48 Recensioni 50 Cinema Teatro Arte
Fabrizio Saccomanno 56
Eventi
Calendario 59 sommario 5
In foto: Paolo Benvegnù
LA NUOVA MUSICA ITALIANA Breve rassegna ragionata dell’indie in italiano Dormendo in una posizione un po’ scomoda il risveglio è quasi sempre doloroso. Mal di testa, schiena a pezzi, torcicollo. Le dita dei piedi atrofizzate. Il problema è che all’Italia si è atrofizzato lo stivale intero. Negli anni zero appena trascorsi abbiamo assistito infatti al graduale e demotivante abbandono della volontà di comunicare. Ne abbiamo perso la necessità perché ne abbiamo perso il bisogno, ed è come sonnecchiare soddisfatti nel tepore delle proprie guance, limitandosi a spolverare statue di miti ormai decrepiti. La società del benessere ha vinto, e dagli ultimi deboli barlumi degli anni Novanta in poi abbiamo deciso che era meglio dormire. Un secondo Ventennio, direi. Con giacche luminose e sfavillanti, non nere, che ormai ci siamo imparati a fare le cose fatte bene. Il talent show poi 6
IO CANTO ITALIANO
come colpo finale, accolto con esultanza da una schiera di ragazzi sognanti, e tutti giù ad arruolarsi nell’esercito dell’hit parade. Chi ha una bella voce si faccia avanti, perché basta quello e tanto studio, che se ci credi davvero i sogni si avverano. Come interpretare allora questa nuova musica italiana, nata fuori dai talk show e i salotti televisivi, senza la pretesa di esserne accolta ma anzi che se ne tiene debitamente distante? Indie, viene definita, indipendente. Dalle major e dalla cultura di massa. Ma anche Indisposta, perché se la senti pensi subito che è roba strana. Indisponente e Indifferente al rotocalco, come la musica dovrebbe essere. Eppure ci fa così strano. Da un anno a questa parte questi nuovi gruppi
e cantautori raccolgono sempre più consensi ed interesse di critica e pubblico, e le loro opere storte, scomode ed enigmatiche sembrano sbucare fuori dal nulla, per indicarci nuove e inaspettate strade. È la nostra Resistenza, e i tempi bui sembrano finiti. Noi italiani ci siamo proprio imparati a fare le cose fatte bene. La nuova musica italiana abbaglia senza avere il bisogno di essere abbagliata ed esce dall’ombra dei garage solo con l’aiuto di semplici strumenti alla portata di tutti: internet, i concerti e il buon vecchio passaparola. Si infiltra nelle cuffie delle nuove generazioni e non solo, perché ci si ritrova la propria vita in una veste nuova e singolare, affascinante e ancora emozionante, ma sempre sincera e spontanea, che lo spettacolo ci ha un po’ stufato. Ci si ritrovano gli sbagli generazionali passati e quelli presenti, un futuro che è incerto eppure allettante. Una dimensione comunicativa che si era persa ormai da troppo. E ti viene da urlare “basta”. Basta scimmiottare sentimenti e luoghi comuni di facile fruibilità, valori consunti e anacronistici con parole usurate e vuote, che abbiamo ancora il dono della parola e della nostra vita ne possiamo parlare in mille modi nuovi. Funziona questa nuova musica italiana, funziona davvero, perché non è solo musica ma poesia. È ciò che trovi inaspettatamente dietro l’angolo, quando pensi che hai già detto tutto e non ti rimangono parole nuove. Che le parole sono sempre le stesse, ma hanno finalmente un nuovo vigore. Certo, non possiamo dire che sia nato tutto ora e dal nulla; piuttosto però quelli che prima erano poveri pescherecci sperduti in un mare di plastica, ora sono diventati un’intera flotta, una corrente prorompente che, forte di una nuova espressività, va a rompere gli argini con spontaneità e sicuramente tanto coraggio. La nuova musica italiana infatti si trascina dietro in questa piena incontrollabile gli autori e le opere di un passato che finalmente ha l’attenzione che merita: dai precursori di questa nuova corrente inarrestabile al più illustre cantautorato italiano, che finalmente si avvicina alle nuove generazioni (dove insieme a De André e compagnia bella vengono riscoperti anche quegli autori minori ora così contemporanei, primo fra tutti Rino Gaetano, al quale la nuova musica italiana deve davvero molto). E tutto viene messo in discussione, tutto viene ribaltato e scomposto, per poi essere ricostruito come si vuole, perché hey, guarda
UNA DOMANDA A VALERIO SOAVE Valerio Soave è il deus ex machina di Mescal, etichetta mitica, la prima a investire sul rock italiano. Da Ligabue fino agli Afterhours, passando da Cristina Donà, i Subsonica, Bluvertigo, La Crus, Mau Mau, la Mescal ha diffuso un pensiero nuovo della produzione musicale “rivolgendo l’attenzione agli artisti e a far crescere i progetti, una sfida che mi ha portato a contrastare sempre l’idea del mercato che prediligeva i dischi alla persona. È per questo che nel 96/97 ho deciso di affidare la distribuzione alle major concentrandomi sulla produzione.” Una filosofia nuova che ha portato alla nascita di un festival come il Tora Tora (parliamo del 2001) che ha coinvolto tantissimi gruppi indipendenti che suonavano al fianco di band più affermate. A lui abbiamo chiesto una piccola riflessione sul rock che parla italiano. “L’italia è fortemente caratterizzata dalla tradizione cantautorale, una tradizione molto attenta al testo che si adattava a standard musicali semplici in qualche modo come stornelli e ballate. Per chi si approcciava a un suono più esotico che proveniva dall’America o dall’Inghilterra era sicuramente difficile adattare una lingua come l’italiano che certamente non è musicale e ritmica come l’inglese. Ecco perché all’inizio i gruppi tendevano a usare la lingua italiana con slogan, frasi ripetute come tormentoni (se ci pensi anche i primi Afterhours erano così). Un percorso che era immediatamente successivo a quello di imitazione delle canzoni straniere e quindi una gavetta fatta di cover. Con il tempo il confrontarsi con la lingua italian ha portato a una crescita, frutto di un lavoro di ricerca e di sforzo. Questo processo ha portato inevitabilmente a una selezione, all’inizio tutti si cimentavano con il rock italiano ma veramente pochi riuscivano nell’impresa più difficile e cioè realizzare una bella canzone. Oggi è ancora diverso perché con gli anni è cambiato il pubblico. Secondo alcuni studi risulta che il pubblico di oggi si divide tendenzialmente in tre fasce. C’è una fascia di pubblico fino ai 25 anni che fa attenzione al testo con la tendenza a identificarsi in questo e quindi cercando nel testo argomenti come l’amore. C’è poi una fascia tra i 25 e i 40 anni che guarda più semplicemente alla musica senza fare attenzione al messaggio che la canzone vuole trasmettere. Infine c’è un pubblico over 40 molto attento ai testi da cui però si aspetta emozioni diverse più riferite a un retaggio culturale proveniente dalla canzone d’autore.” O.P. 7
8
In foto: Uochi Toki
che puoi dire tutto quello che vuoi e puoi farlo come ti pare. La cultura alta si mescola con quella più bassa, la struttura tirannica della strofaritornello-strofa viene finalmente detronizzata e superata, la libertà di essere ci viene proposta in modo sorprendentemente chiaro. E questa flotta è come una scoperta di nuove coste, un approdo a delle nuove americhe. Ma chi sono i volti di questa nuova musica italiana? Dare una risposta esaustiva è davvero complicato: l’essenza della musica indipendente risiede nel suo continuo prolificare di scoperte, e insomma bisogna un po’ muovere il culo, alzarsi dal divano per trovarli, ma penso che lo facciamo volentieri, che di essere imboccati ci siamo tutti un po’ stufati. Si può cominciare la propria ricerca basandosi su piccole etichette che ancora non ci credono, che hanno investito due lire per stampare due cd e si ritrovano adesso con quattro lire per averlo fatto. Si può partire invece da quelle più interessanti e competenti come la Tempesta Dischi, di Moltheni e i Tre Allegri Ragazzi Morti (classici esempi dei pescherecci di cui parlavamo), che hanno avuto l’abilità di comprendere il talento di Vasco Brondi, alias Le Luci della Centrale Elettrica, sicuramente uno dei progetti più interessanti di questa nuova musica italiana, dove paesaggi industriali e post-atomici ci aprono ad un nuovo tipo di sensibilità. Da segnalare
dell’etichetta anche Il Teatro degli Orrori, i nuovi Massimo Volume, freschi di reunion, il navigato Giorgio Canali e gli Zen Circus. Grande attenzione va poi ad alcuni gruppi come gli Eva Mon Amour, gli A Toys Orchestra e i più famosi Marta Sui Tubi, ma soprattutto ad autori come Dente, che ad un cantautorato dall’impronta più cupa e contorta oppone una semplicità spiazzante ed emozionante, fatta di piccole cose magnifiche e quotidiane, condite da un gusto un po’ retrò; e ancora Paolo Benvegnù, Cesare Basile, Marco Parente. Una nota anche per chi, all’interno di generi musicali già ben formati riesce a rinnovarli con parole nuove: parliamo del metal degli Aquefrigide e dell’hip hop dei Uochi Toki. C’è da dire infine che Indie non è solo essere fuori dalle major discografiche: l’indie italiano è un circuito, una voce comune e tutto sommato unitaria, e vanno sicuramente inseriti in questa panoramica gruppi come i Verdena e i Ministri, che pubblicano per l’Universal ma sono sicuramente tra i più interessanti in assoluto. Insomma, lo stivale dell’Italia cammina finalmente su strade nuove, reali, zozzandosi spesso il tacco, perché è così che funziona quando vuoi fare arte per davvero. È un risveglio doloroso il nostro, che ci mette in faccia la realtà senza troppi fronzoli; è anche incoraggiante. Sperando che questi anni 2010 siano l’inizio di un ventennio finalmente stimolante e bello. Molto molto bello. Daniele Coluzzi IO CANTO ITALIANO
IL MIO PREMIO SONO I CONCERTI Intervista alle Luci della centrale elettrica Vasco Brondi è la nuova voce del rock italiano, almeno così dicono. Poeta degli anni 0, musicista spigoloso, urlatore come non ce n’erano da tempo. Nel 2008 ha vinto il premio Tenco con Canzoni da spiaggia deturpata come miglior opera prima, nel 2009 ha pubblicato il libro Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero. Esce in questi giorni il suo nuovo album Per ora la chiameremo felicità. Le luci della centrale elettrica troneranno in Puglia il 10 dicembre (Casa della musica Puglia Sounds, Bari) e non potevano mancare in questo numero di Coolclub.it. Il tuo nuovo disco arriva dopo un anno molto intenso, un anno in cui molta musica rock italiana è emersa. Questo nuovo numero della nostra rivista è dedicato al rock 10 IO CANTO ITALIANO
che usa le parole per dire qualcosa. Dopo anni sei stato indicato come una chiave di volta nella scrittura di canzoni in questo Paese, il tuo immaginario crepuscolare e apocalittico ha riferimenti letterari ma anche lirismi dalla periferia del mondo. Quali sono le cose che ti hanno animato nella scrittura delle nuove canzoni? Ci puoi svelare il “codice sorgente” di Per ora noi la chiameremo felicità (che già nel titolo rimanda direttamente a Leo Ferrè)? Sono cose difficili da descrivere, in realtà fare delle canzoni è una cosa antifunzionale, le ho sempre fatte anche quando non le ascoltava nessuno e nello stesso modo ho scritto queste. Mettendomi nella condizione di non avere niente da perdere e guardandomi attorno.
Qual è il tuo background? Quali sono i cantautori che ti hanno influenzato? Quali band rock? Faccio fatica a distinguerli, a distinguere l’alto e il basso, mi viene da confondere le frasi di un mio amico a quelle di un grande regista cinematografico. Una conversazione giù in strada con le pagine di un filosofo o con delle canzoni di un cantautore. Spero che sentendo le canzoni che faccio più che evocare influenze musicali tendano ad evocare la realtà. Poi sicuramente Fausto Rossi, i Massimo Volume, gli Afterhours, i CSI, De Gregori, De André sono cose che ho ascoltato così tanto che sono parte di me credo. Credi che ci sia stato, a un certo punto in Italia, un momento in cui la canzone rock ha cominciato a raccontare la vita di tutti i giorni? Prima molto spesso si ascoltavano canzoni più espressioniste, fatte di suggestioni più che di storie. Non saprei, non sono un grande conoscitore della storia della canzone rock. Sicuramente mi sono sempre interessate di più quelle canzoni che avevano dentro i panorami in cui viviamo e i personaggi che potresti incontrare sotto casa. La tua musica suscita emozioni molto forti in chi la ascolta e questo in positivo come in negativo. Non credo assolutamente che questo influenzi la tua scrittura ma pone una questione rispetto a cosa arriva alla gente. La tua scrittura è una voglia di comunicare ad altri o una tua urgenza? Forse entrambe le cose, un’urgenza di comunicare agli altri qualcosa, non riesco a trovarne un senso, forse non c’è. È importante rapportarsi a questa cosa senza pensare di dover fare proselitismo, mi viene sempre da pensare all’unica regola che aveva Andrea Pazienza quando disegnava, diceva: viscere sul tavolo. Da qualche tempo, il mercato, il pubblico, anche le major guardano con occhi nuovi alla scena indie, come a un sottobosco a cui attingere. Anche i premi e i riconoscimenti in questo senso sembrano più coraggiosi. Cosa ne pensi? Le major hanno le braghe calate e una mancanza cronica di idee di qualsiasi tipo, vendono musica come fossero pneumatici, senza tenere conto che la musica è una cosa viva e che continuano a cambiare i modi in cui è vissuta, condivisa, ascoltata. Adesso cercano di buttare in mezzo qualche
gruppo indipendente (indipendente più per sfiga che per scelta) perché “non si sa mai” ma non ci lavorano veramente, non hanno alcun interesse nel lavorarci, o funzioni o non funzioni. I premi e i riconoscimenti non esistono, esistono i gruppi che fanno i dischi e fanno i concerti. I premi sono fare concerti e fare dischi. Se guardi la musica che ti circonda riconosci qualcosa di simile a una scena? Ti senti parte di una nuova onda musicale? No, la parola scena la trovo solo uno stereotipo. Esistono tante persone che nonostante tutto suonano, ognuno con la sua identità e la sua direzione. Questa stupidaggine della scena sminuisce tutti e mette insieme cose che non hanno niente in comune, dà solo qualche discorso da parrucchiere in più per chi vive di questo microcosmo autistico musicale. Credi che chi scrive canzoni abbia una responsabilità sociale, in qualche modo politica? Credo che questa specie di lavoro consista nel non difendersi, nel non difendersi mai, nel guardarsi dentro e attorno sinceramente e senza bandiere da difendere o da sbandierare. Non devi essere un megafono per gli altri ma neanche un sussurro tra te e te. Tutti, qualsiasi cosa facciamo, abbiamo delle responsabilità sociali, e non devono essere delegate a nessuno. Molti cantautori italiani (penso a De Andrè, de Gregori, Paolo Conte) vengono considerati “poeti”. I testi di alcune famose canzoni vengono studiati nelle scuole e inseriti nelle antologie di poesia italiana contemporanea. Anche i tuoi testi esplodono e rimangono nella memoria. Eppure le differenze “tecniche” tra la canzone e la poesia sono tante, in primis il fatto che la canzone nasce come un atto performativo, mentre la poesia (a parte alcune cose anche straordinarie di poeti come Sanguineti e i più giovani Ottonieri, Nove o Scarpa) nasce e vive al di fuori della performance. Sulla bilancia delle Luci quanto pesano i testi rispetto alla musica e al canto? Pesano come la musica perché sono canzoni, una cosa è in funzione dell’altra e tutte e due sostanzialmente non servono a niente ma lo stesso, per qualche strano motivo, possiamo ascoltarle trecento volte di seguito. Antonietta Rosato IO CANTO ITALIANO 11
IL RITORNO ALLA PAROLA Intervista a Emidio Clementi, leader dei Massimo Volume 12 IO CANTO ITALIANO
Sono uno dei gruppi italiani che meglio ha saputo accostare letteratura e musica. Una forma canzone poetica, declamata e non cantata che si posa su musica che è come un accento alle evoluzioni emotive delle storie che Emidio Clementi racconta. Dopo Club Privè del 99 un lungo silenzio e oggi finalmente il ritorno con Cattiva abitudini un album che conferma il loro posto nell’olimpo del rock. Dalla metà degli anni ‘80 e per un lungo periodo abbiamo avuto la fortuna di poter scegliere fra gruppi che hanno fortemente influenzato la scena indipendente italiana, attribuendo allo stesso tempo pari dignità alla parte testuale e musicale delle canzoni. Oltre a voi, penso ai primi lavori dei Litfiba e dei Diaframma e alla produzione dei Cccp/ Csi. Nella decade appena trascorsa non ho notato un adeguato ricambio generazionale, forse perché si è strizzato troppo l’occhio a certe tendenze d’oltremanica, banalizzandole. Condividete questa mia analisi? Probabilmente è vero che nel decennio passato ci sono stati gruppi più interessati a quanto succedeva in Europa che in Italia. Consideriamo anche che il mercato italiano non offre molto e per restare a galla si cercano nuovi sbocchi. Ma tanti progetti nati negli anni novanta con radici fortemente italiane si sono consolidati in quest’ultimo decennio, mantenendo viva una tradizione che continua a dare frutti. Registrare in presa diretta su un otto tracce e senza computer mi sembra una scelta coraggiosa e abbastanza controcorrente in questo momento. È un modo per esorcizzare “l’angoscia di un paesaggio digitale”? Più che il risultato sonoro ci piaceva l’idea di lavorare con un numero limitato di opzioni. Con l’analogico sei costretto a fare delle scelte irreversibili molto presto durante la registrazione. Devi essere concentrato e ti spinge a considerare l’espressività generale di una canzone piuttosto che le singole tracce. In un gruppo certamente atipico come il vostro, sarebbe interessante conoscere qualcosa di più sul processo creativo di scrittura. Per esempio, esiste un autore principale delle musiche? O le canzoni prendono per lo più forma lavorando a stretto contatto? Di solito partiamo da una linea di chitarra. A seconda dei casi il gruppo si limita a un lavoro di arrangiamento oppure interviene nel processo di scrittura. Ogni brano ha comunque un suo percorso. A volte bastano venti minuti per giungere al cuore di un’idea, altre volte invece dopo un mese intero sei ancora lì a sistemare le parti. I tuoi testi raccontano essenzialmente del
tuo vissuto o trovi il modo di scrivere anche di persone e suggestioni che appartengono al tuo immaginario? Paul McCartney è maestro in tal senso. La mia fonte d’ispirazione principale rimane la realtà. Mi servo dell’immaginazione quando non sono troppo soddisfatto di ciò che mi sta offrendo il vissuto. Così apro porte che non sono mai state aperte o mescolo situazioni temporalmente distanti, i soliti trucchi di chi lavora con la scrittura. Ma non ho mai inventato una storia che non avesse una base solida, o almeno una scintilla, tratta dalle mie esperienze di vita. Usi comporre allo stesso modo per una canzone o per un libro, magari lasciando a dopo gli adattamenti del caso, oppure prendi dall’inizio particolari accorgimenti in funzione del prodotto finale? L’approccio è differente. Si tratta pur sempre di scrittura, ma riempire duecento pagine di un romanzo e lavorare sulle poche frasi che servono per una canzone è decisamente diverso. Senza voler essere dissacranti è la stessa distanza che passa tra uno spot pubblicitario e un film. Il primo allude, il secondo racconta. Lo hai detto recentemente, Cattive abitudini è un disco ossessionato dal tempo; il senso di ineluttabilità in alcuni dei tuoi versi, mi ha riportato alla mente quello che scriveva Roger Waters in Time dei Pink Floyd. Ho avvertito altre analogie con i primi Pink Floyd del post-Barrett anche in diversi passaggi musicali del disco, particolarmente in Mi piacerebbe ogni tanto averti qui. È un parallelo azzardato? Sicuramente ci lusinga. Credo che un brano come Time centri perfettamente il senso di Cattive abitudini. Quel ‘one day closer to death’ lo sento nascosto in ogni piega del disco e della mia vita. È un sentimento angosciante, ma anche la spinta che mi permette di essere creativo. O almeno di provarci. Per deformazione professionale, oltre alla musica, presto anche attenzione al progetto grafico di un disco; nel vostro, mi è parsa sfiziosa la trovata di presentare i testi manoscritti su carte intestate o post-it di alberghi sparsi in mezza Italia. Qual è l’idea dietro a questa scelta? Lo avevo visto su un vecchio disco di Nick Cave, credo Tender Prey. Come per la registrazione volevamo che anche la grafica seguisse uno spirito pre-computeristico. In più funziona anche legato all’idea di tempo. Sono testi scritti nello spazio di una notte, in fretta. Marco Carrozzini IO CANTO ITALIANO 13
IL PENSIERO FORTE Intervista a Simona Gretchen Ha vinto il premio Fuori dal Mucchio (premio assegnato dalla rivista Mucchio Selvaggio) all’ultima edizione del Mei. È una delle nuove e poche voci al femminile del rock italiano. Abbiamo parlato con lei del disco, del premio, di libri e del suo “pensare forte”. Sembra che negli ultimi anni la lingua italiana sia stata riscoperta come elemento su cui fondare una nuova scena indie e rock in Italia. Tu cosa ne pensi e da dove nasce la tua scelta di cantare in italiano? Urge una premessa: la nuova scena indie rock italiana è molto sfaccettata. Ci sono realtà come Samuel Katarro, 2Pigeons, Criminal Jokers... Approvo sia chi cerca di andare a fondo nella propria lingua madre sia chi volutamente la evita: ci sono ottimi motivi alla base di entrambe le scelte, spesso. Se ho cantato in italiano è perché questo primo disco, Gretchen pensa troppo forte, nasceva da una spinta prevalentemente letteraria; ecco perché è stato definito (giustamente e legittimamente) cantautorale; un’altra lingua, per quanto più o meno nota, non avrebbe prodotto gli stessi risultati e, molto più importante, non avrebbe permesso a me di elaborare allo stesso livello quel che volevo mettere in versi. Come nascono le tue canzoni? Tu parli molto di te, della tua esperienza, il tuo è un lavoro quasi intimistico. Ma quali sono gli elementi scatenanti che ti fanno dire: “Ecco, questa potrebbe diventare una buona canzone”? Se mi fa male ricantarla quasi sicuramente si tratta di una buona canzone. Riguardo a come nascano i brani ... non saprei. C’è di volta in volta un fattore scatenante. Di solito scrivo di notte; sono un tipo tendenzialmente insonne e divento produttiva quando il cervello comincia ad abbandonarmi. Ascoltando i tuoi brani sono molte le influenze che vengono a galla, e sicuramente te le avranno già citate tutte dai CSI, a De Andrè, da PJ Harvey a Cristina Donà eccetera. Ma tu in quale artista riconosci un maestro? In Leonrad Cohen. E, non vorrei essere fraintesa, non solo per come scrive le canzoni. E non solo per 14 IO CANTO ITALIANO
come scrive. Amo molto anche Nico e PJ Harvey, per darti qualche nome al femminile. E, altra grande maestra, Patti Smith. E guardando alla scena indie italiana contemporanea, a parte gente che è ormai sull’Olimpo come Pierpaolo Capovilla e il suo Teatro degli Orrori, dove sta secondo te un germe di originalità e di talento? E, nello specifico, fra le tue colleghe? Negli Zeus!, nei Mariposa, ne Il Pan del Diavolo. Ci sono tantissimi progetti di cui varrebbe la pena fare i nomi, e dei più vari natura e genere. A pensarci bene, poi, di alcuni si accorgono prima all’estero che qui... vedi per esempio quel che è accaduto (e accade) agli Spiritual Front o a Tying Tiffany. Riguardo alle mie colleghe... citerei, per esempio, Marzia Stano degli Jolaurlo e Chiara Castello dei 2Pigeons. Hai vinto il premio Fuori dal Mucchio del Mei riservato al migliore esordio discografico italiano della stagione superando Il Pan del diavolo e Dino Fumaretto. Qual è stata la tua impressione? Ti aspettavi un riconoscimento del genere al tuo debutto da solista? Sinceramente? No. Quando sono state pubblicate le nomination per il Fuori dal Mucchio ho pensato che competere con Il Pan del Diavolo, Dino Fumaretto o i Criminal Jokers (e sono i primi nomi che mi vengono in mente fra quelli che lessi) fosse pretendere un po’ troppo. Se molti, in quella lista, avessero ottenuto il premio al posto mio mi sarei unita ai festeggiamenti. Al di là di questo, dietro a Gretchen pensa troppo forte non ci sono solo io: sono convinta che il supporto e le intuizioni di Lorenzo Montanà (ma la mia gratitudine va anche a Gianluca Lo Presti, che ha creduto in me per primo, e a Nicola Manzan, che ha preso parte alle registrazioni) siano stati decisivi. E mi sembra il caso di dare a Cesare quel che è di Cesare. Il mercato discografico italiano è saturato dai talent show come Amici e X Factor, in vetta alle classifiche non sembra si respiri un’aria troppo indipendente e, nonostante
alcuni tentativi eroici (penso agli Afterhours), San Remo rimane appannaggio di una certa musica nazional popolare. Qual è il posto in questo scenario per chi come te sceglie di fare una musica indipendente e che non faccia facili concessioni al gusto dominante? Ha senso secondo te fare musica per una nicchia di ascoltatori attenti? Forse allora bisognerebbe dire che in tv non si respira un’aria troppo indipendente. Ma non è certo dalla tv (quella di oggi, dico, in cui la cultura fa capolino, se lo fa, alle quattro del mattino... non parlo di quella di trenta, quaranta anni fa) che cerco attenzioni. Certo che ha senso fare musica per una nicchia di ascoltatori attenti; è l’unico modo di fare musica in cui io personalmente veda un senso, se è per questo; la nicchia poi può allargarsi nel tempo o meno a seconda di tanti fattori e circostanze; ma gli artisti non dovrebbero preoccuparsi di questo, se hanno la pretesa di definirsi tali. Ti piace leggere? Quanto di quello che leggi entra nelle tue canzoni? Mi piace molto; ultimamente, anzi, non ho tempo di leggere quanto vorrei.. Potenzialmente qualsiasi lettura potrebbe aver lasciato un segno nei miei brani; a volte questo accade esplicitamente, altre implicitamente; altre ancora, forse nella maggior parte dei casi, a livello inconscio. I tuoi progetti per il futuro? Pubblicare un sette pollici, a cui ha collaborato Paolo Mongardi (Zeus!, Il Genio); forse all’inizio dell’anno prossimo. Per il resto: dormire di più, meditare più spesso, e pensare al futuro il meno possibile! Dario Goffredo 15
In foto: Erica Mou
la giovane generazione lo canta, a volte a squarciagola a volte sommamente. Protagonista è il paese reale, impastato con la durezza delle emozioni, le contraddizioni e la precarietà esistenziale, lavorativa e affettiva. Non c’è spazio per la fantascienza e anche i sogni vanno a diesel. Ma la vitalità e la bravura di questi artisti sono le prime speranze dalle quali ripartire. Quali motivi vi hanno spinto a fare una scelta così coraggiosa? La scena della nuova canzone d’autore ha una grande vitalità, ma è priva di visibilità. Il cittadino medio, infatti, pensa che l’ultimo cantautore sia Vinicio Capossela. La raccolta ha l’obiettivo di far conoscere e valorizzare la nuova scena cantautorale. È un progetto variegato, da un lato il doppio cd, dall’altro il supporto delle radio e i live. Quali sono le differenze tra la nuova scena e il cantautorato più maturo? La nuova scena è un’evoluzione della precedente. I giovani cantautori sono molto diversificati stilisticamente. C’è di tutto, per quanto riguarda i testi, le musiche e gli arrangiamenti. Chi è nel solco della tradizione, chi è più legato alla musica indie, chi al jazz o alla etnica. Su 36 brani, ci sono almeno 25-30 mondi espressivi, stili e atmosfere diverse.
CANTAUTORI ANNI ZERO
Sembra esserci un fil rouge tra la Leva e Il Paese è reale di Manuel Agnelli. Questo accostamento mi lusinga. Lo spirito di fondo è molto simile e la Leva rappresenta il versante cantautorale di quel mondo. L’obiettivo di entrambi i progetti è rendere nota una realtà musicale poco conosciuta e aumentare la domanda di musica di qualità.
Quante facce ha la nuova scena cantautorale italiana? Tante, tantissime. Metterle insieme sembrava impossibile e invece Alabianca ce l’ha fatta, con il supporto, tra gli altri, di Mei, Club Tenco e del giornalista musicale Deregibus. Chi vorrà studiare i difficili anni Zero non potrà tralasciare questa raccolta coraggiosa e ricca di sfumature diverse. Probabilmente non la troveremo nelle classifiche di vendita, ma lascerà traccia di sé e forse avrà un seguito. La musica d’autore c’è e scalpita, e di stile ne ha da vendere. Nelle 36 tracce c’è di tutto, generi e approcci diversi, nomi noti e meno noti. A non mancare mai è la qualità, sia che si tratti di cantautorato tradizionale, inflessioni jazz, sviolinate etniche o pop d’autore. Al primo ascolto ogni traccia è una sorpresa, in totale discontinuità con la precedente. L’ingresso nel nuovo Millennio è stato irto di ostacoli e
Come sta reagendo il mercato? Il progetto si sta muovendo bene e Alabianca spera quanto meno di andare in pari. In Italia vendono solo le raccolte di musica da discoteca e, infatti, non ci aspettiamo risultati straordinari. Vogliamo smuovere le acque con una proposta di qualità, le vendite sono secondarie.
Nino non aver paura di incidere un disco da cantautore
16 IO CANTO ITALIANO
In che modo è avvenuta la selezione? Ognuno dei curatori del progetto ha portato un elenco e dopo un confronto sono state fatte le scelte opportune. In alcuni casi abbiamo avuto problemi tecnici e burocratici. Mancano, ad esempio, Le luci e la giovane artista Carlotta, perché impegnati sui rispettivi nuovi album. Se il progetto va bene, tra due anni potremmo fare una Leva 2 con i nomi esclusi dalla prima raccolta. Lucio Lussi
AA. VV. La leva cantautorale degli anni 0 Alabianca Cd1 Il valzer dei 3 giorni, Roberta Carrieri. Sedetevi comodi, si parte. Ad accoglierci c’è la voce calda e modulata di Roberta. Atmosfera epica che mette in guardia gli uomini. Salamandra, Maler. Il ritornello resta incollato addosso. La traccia è impreziosita da un sontuoso organetto e ha qualcosa dei primi Bluvertigo. Una domenica notte, Brunori SAS. Cantautorato e pop d’autore dall’aria morbida. Interno notte, un uomo è a letto con affianco la compagna ma ha voglia di scappare. Le parti migliori quelle voce roca e chitarra. Mio padre se ne vola via, Giuseppe Righini. Il tema è serio. L’intensità della struttura è confermata da un basso incalzante alternato con le percussioni. Luce da un faro, Roberta di Lorenzo. Musica e voce adatte a sognare. Ascoltare sorridendo. Mon docteur psychanaliste, Banda Elastica Pellizza. Uno dei pezzi migliori della raccolta. Lo stile è quello del primo album e la dottoressa psicanalista… è sorprendente. Scetate vajò, Alessandro Mannarino. In questa traccia si mischiano alla perfezione la bravura e il carisma dello stornellatore romano, uno degli artisti più interessanti del panorama musicale italiano. A gennaio il nuovo album registrato alle pendici dell’Etna. Loop automatico. I was the musonator, Samuel Katarro. Altro giro altra corsa. Si cambia stile. Il cantato è in inglese e i violini lo spizzicano al momento giusto. Song for Pagnotta, Giovanni Block. Torniamo al cantautorato tradizionale. Pagnotta è morto di overdose a Procida, in mezzo a “troppi campanili e preti, troppi sindaci e divieti”. Per riflettere. Thule, Adhira. L’intro del pianoforte ci introduce in un’atmosfera etnica. Siamo in Sardegna e si canta in dialetto. La bomba nucleare, Jang Senato. L’amore a volte può essere una bomba nucleare. Voce e chitarra accompagnano un elenco di cose quotidiane. Spengo, Giorgia del Mese. La cronaca diventa musica con sfumature rap. Triste ironia e tante chitarre. I fuochi d’artificio, Petrina. I fiati danno la sveglia. Il paese è in festa e la banda suona. Buchi in città, Dino Fumaretto. I temi sono impegnati e ognuno può dire la sua sulla metafora dei buchi. Con la speranza di “riprendere coscienza del vuoto”. Dominante Rosso, Giua. Voce e chitarra per un ottimo pop d’autore. Il funambolo, Farabrutto. Ritmica incalzante e chitarre funk. Lirica surreale da ascoltare e riascoltare. I baci, Alessio Lega. Voce, chitarra e piccoli altri effetti costruiscono una vera e propria gemma. A metà strada tra Finardi e Fossati.
Cd 2 Un vestito di canapa, Piji. Il secondo cd inizia con un groove jazz e atmosfere soft. Uno dei brani migliori. L’onesta monarchia di Luigi Filippo, Nobraino. È il pezzo più rock della raccolta. Si accelera e si gioca con la voce. Essenzialmente, Patrizia Laquidara. Siamo abituati fin troppo bene allo stile della Laquidara e alla sua voce piena di colori. Provate a seguirla tra presenza, essenza, decenza, indecenza… Aria di Levante, Zibba e Almalibre. Inizia il viaggio verso est. Strumenti e ritmi spingono al di là dell’Adriatico. C’è anche un po’ di Paolo Conte. Intenso. Paranormal, Beatrice Antolini. Una delle promesse della musica italiana ci regala un’atmosfera ovattata e una voce onirica. Il pezzo è tratto da Bioy il nuovo album. In ascesa. Mosè, Ettore Giuradei. Altra accelerata. Rock melodico e ottimi effetti nelle liriche. Sogno, Dente. Ecco un’altra promessa della giovane musica italiana. Dente narra la fragilità di un sentimento che non c’è più. Ritornello da mettere in loop. La neve sul mare, Erica Mou. Pezzo delicato e sensibile. Erica Mou regala abilità vocali e musica suadente. “Resto illesa solo per te” è una delle più belle dichiarazioni d’amore. Verona, Cordepazze. Tromba alta e musica in levare per un eccellente dipinto della città di Verona. Ottima resa nei live. Angeless, Denise. Segnate questo nome. La giovane artista canta in inglese con una voce piccola e calda a metà strada tra Elisa e Alanis Morissette. Ascoltare con fiducia. Fiori su sassi, Paolo Simoni. Cantautorato classico e richiami al primo Rino Gaetano. Eccellente. Parla tu per me, Bastian Contrario. Le donne sono coraggiose quando affrontano il sentimento, anche quando tutto rema contro. Questo e altro in uno dei brani più intensi. Rouge noir, Granturismo. Musica e liriche semplici. I fiati sono la ciliegina sulla torta della quotidianità. Sanremo, Mariposa. L’intro arioso di violini e fiati ci introduce nel mondo Mariposa. Ironico con originalità. Aiutami ad innamorarmi di te, Alessandro Graziano. Il pianoforte è il fulcro di questo brano intimista. Una sorpresa, per il cantato in francese e le diverse tonalità della voce dell’artista. Il funerale delle parole, Giancarlo Frigieri. Ennesimo cambio di ritmo e sembra di essere finiti in un pezzo di Pierangelo Bertoli. Elevata qualità. Krieg, Simona Gretchen. Il titolo non preannuncia nulla di buono. Pezzo dalla forte anima femminile. Ad un tratto le chitarre distorte danno scampoli di rock minimale e maledetto. Il Ticinese, Amour Fou. Con l’amore folle si chiude la Leva. Non aspettatevi un finale allegro e veloce, qui c’è un malato grave che non ha voglia di guarire. Lucio Lussi 17
MUSICA
In foto: The Stooges
SIMON REYNOLDS Attraversare il confine tra Buono e Grandioso 18 MUSICA
tura inedite. È stato lui, solo per fare un esempio, a coniare la parola post rock e a studiare come alcuni elementi della società intervengano in modo significativo sulla nascita di nuova musica. Ha scritto sulle più importanti riviste musicali del mondo (Melody maker, Uncut, Mojo, The Wire) e pubblicato diversi libri spaziando dal rock alla musica elettronica. Nel 2010 possiamo ancora parlare di musica di serie A (intendendo la classica) e musica di serie B (cioè quella popolare)? Non direi. Più che altro, quando si discute di musica popolare, esiste una distinzione fra ciò che viene considerato di qualità, intelligente, che aggiunge qualcosa di nuovo, e ciò che invece viene considerato spazzatura commerciale. In altre parole la critica della musica pop comprende sia l’equivalente della musica classica/cultura alta (Radiohead, Elvis Costello, Bowie, Arcade Fire, ecc) che l’odiato opposto, ovvero ciò che la musica pop era solita essere nello schema delle cose (Katy Perry, la musica pop-trance, ecc). Per caso il rock è morto negli anni 90 quando hai cominciato a parlare di “post-rock”? Non proprio. Il rock è ancora vivo e vegeto, fiorente, ma la vera questione è riuscire a comprendere se il rock sia ancora rilevante, se abbia ancora qualcosa di nuovo da dire. È una delle domande che mi sono posto nel mio nuovo libro Retromania: la Dipendenza della Cultura Pop dal suo Passato, che in Italia uscirà su ISBN Edizioni verso la fine del 2011.
Quasi per scherzo abbiamo scritto a Simon Reynolds, per chi fa il nostro lavoro una delle menti illuminate di questo secolo. Perché oltre a raccontarci la musica è stato capace di farne materia su cui ragionare, trovare collegamenti, chiavi di let-
Sappiamo che Van Gogh visse una vita da sconosciuto, mentre poi è diventato un’icona dell’arte moderna. Lo stesso è accaduto a Nick Drake, rivalutato molti anni dopo la sua morte. I Velvet Underground sono “ricomparsi” vent’anni dopo. Non è stato diverso per i Joy Division, per i My Bloody Valentine, per gli Slint. Chi è il genio degli anni 0 che deve essere ancora “scoperto” dal pubblico? Al giorno d’oggi ci sono molti geni che pur non essendo pop stars sono ben conosciuti, nel senso che critici musicali, bloggers, intellettuali, ecc ne parlano parecchio. La loro musica viene condivisa su internet ed ascoltata con attenzione. Nessuno dei gruppi che hai citato, ad eccezione di Slint, erano particolarmente oscuri all’epoca in cui suonavano. I Velvet Underground non erano del tutto sconosciuti – avevano il sostegno di Andy Warhol, probabilmente l’artista più famoso di quel periodo. Incidevano per una major e nonostante non vendessero tante copie quante ne vendevano ad esempio i Doors, le persone che hanno comprato MUSICA 19
gli album dei Velvet sarebbero diventati i musicisti più influenti degli anni ‘70: David Bowie, Roxy Music, Brian Eno, Can, Faust, Neu!, eccetera. Allo stesso modo Nick Drake non era certo la figura di culto che è diventata oggi, ma aveva anche lui diversi fan e critici che esprimevano grande ammirazione; e poi incideva per la Island Records che non era certo un’etichetta oscura. I Joy Division hanno conquistato la copertina di alcune riviste musicali britanniche e sono entrati nella top 20 poco dopo che Ian Curtis si è suicidato. Successivamente, a nome New Order, sono diventati uno dei più grandi gruppi pop inglesi degli anni 80. Anche i My Bloody Valentine, tra la fine degli anni 80 e i primi 90, hanno raggiunto la top 30 con un brano e hanno campeggiato su diverse copertine. Per questi gruppi che hai citato non sono mancate le attenzioni o l’esposizione mediatica mentre erano in vita. Tutti avevano un contratto discografico e la possibilità di pubblicare dischi. Credo che la maggior parte dei musicisti che valgono davvero richiamino sempre un po’ di attenzione. Sono molto pochi gli artisti completamente oscuri che non sono stati ancora scoperti e hanno valore a livello musicale. E al giorno d’oggi qualsiasi cosa abbia un certo valore viene in qualche modo riconosciuta, perché c’è un esercito di bloggers, pubblicazioni musicali anticonformiste, eccetera, tutti in cerca di qualche novità scottante. Persino artisti che io stesso, negli anni passati, sostenevo meritassero maggior attenzione – come l’etichetta Ghost Box, oppure Ariel Pink’s Haunted Graffiti (vedi Coolclub di Ottobre ndr) stanno in realtà suscitando parecchio interesse, amore e rispetto. Quindi non mi viene in mente nessuno che sia del tutto sconosciuto al pubblico. Di solito gli artisti incontrano il livello di attenzione del pubblico in base a ciò che si prefiggono, in base alla nicchia di ascoltatori che essi stessi vanno cercando. È ragionevole pensare, ad esempio, che Ariel Pink non diventerà mai una grande pop star, ma che abbia ormai raggiunto gran parte delle persone a cui potrebbe interessare ciò che egli produce. L’avanguardia ha sempre incarnato l’idea del rumore, dell’inascoltabile. Ma esiste davvero una musica piacevole all’udito, ed un’altra che viene considerata fastidiosa ma col tempo passerà alla storia? Come ha fatto ad ascoltare tutti quei dischi noiosi e rumorosi? Ciò che è noioso e rumoroso per qualcuno, risulterà eccitante e irresistibile per qualcun altro. Non mi è del tutto chiara la domanda, ma credo che alcune persone considerino piuttosto irritante la cosiddetta “musica piacevole all’ascolto”, perché
li culla e basta, senza dar loro energia, oppure non provoca in loro alcuna reazione o pensiero particolare. Potrebbe suggerirci cinque icone di successo senza cui la musica rock non sarebbe stata la stessa? E cinque album sconosciuti che invece hanno influenzato l’estetica musicale senza mai raggiungere il grande pubblico? Le icone sarebbero Velvet Underground, Kraftwerk, James Brown, David Bowie, Black Sabbath. Gli album di culto White Light White Heat dei Velvet, l’esordio degli Stooges, Tago Mago dei Can, Marquee Moon dei Television e Damaged dei Black Flag. Quali sono le qualità fondamentali per diventare un grande critico rock? Essere un buon critico rock richiede le stesse qualità di qualunque altro critico delle arti o dell’intrattenimento – conoscenza, intuito, stile lucido ma colorito, gusto, spirito, e così via. Per essere un grande critico rock, invece, c’è bisogno di qualcosa in più rispetto alle solite qualità di un “buon critico” (intuizioni, ampie conoscenze, e quant’altro). C’è bisogno di una sicurezza al limite dell’arroganza. Di una forte volontà che ti porti a formulare giudizi radicali e categorici. E anche di una lucida risolutezza che ti permetta di accantonare la musica che semplicemente non è all’altezza, nonostante gli autori ci mettano il cuore o abbiano buone intenzioni, o persino buon gusto e idee intelligenti sul fare musica. C’è un aspetto performativo, nella grande scrittura rock, che ricorda quello del frontman di una band, o di un MC nella musica rap – parlo di una certa spavalderia, della completa fiducia in se stessi. Il grande critico rock usa la magia della parola per creare un certo carisma verbale – nella vita di ogni giorno potrebbe anche non essere una figura maestosa o di grande effetto, ma sulla pagina è sicuramente autorevole e detta legge con le parole. La grande scrittura rock prevede il buon gusto, è ovvio, ma un tipo particolare di buon gusto, un gusto chiaroveggente – un senso della musica oracolare e messianico che sia in grado di identificare ciò che in quel momento non è semplicemente “buono”, ma spalanca un futuro per la musica, qualcosa che indichi la strada da seguire. La maggior parte degli scrittori rock si preoccupa troppo di piacere al lettore e di risultare “imparziale, leale” per poter attraversare il confine tra Buono e Grandioso. Tobia D’Onofrio MUSICA 21
22
RICCARDO BERTONCELLI Il mondo delle musiche è plurale Chi scrive musica in Italia non può prescindere da lui. Difficile condensare la sua carriera in poche righe. È uno dei padri fondatori della critica musicale italiana. A cominciare da Freak, fanzine degli anni ‘70, passando per Muzak e Gong. E poi ancora la collaborazione con la casa editrice Arcana e quella con Giunti, le radio libere, l’enciclopedia del rock e tanti libri. La sua famosa diatriba con Guccini documentata dalla canzone L’avvelenata fu forse il segnale che il giornalismo è parte integrante dell’universo musicale. Nel 2010 esiste ancora una distinzione tra musica classica di serie A e musica rock o popular di serie B? Che cos’è il rock, e soprattutto è ancora vivo? Uno dei vanti della mia generazione è quello di avere abbattuto i monoliti verticali dei vecchi generi e avere creato un mondo sonoro orizzontale – almeno quello... Rock è una parolina di altri tempi, altro secolo. Sopravvive perchè fortunata e gloriosa – ma oggi chissà cos’è. E poi è singolare, e oggi il mondo delle musiche è plurale. Van Gogh era sconosciuto mentre era ancora in vita e poi è diventato un’icona dell’arte moderna. Lo stesso è accaduto a Nick Drake, rivalutato molti anni dopo la sua morte. I Velvet Underground sono “ricomparsi” vent’anni dopo. Non è stato diverso per i Joy Division, per i My Bloody Valentine, per gli Slint. Chi è il genio degli anni 0 che ancora deve essere “scoperto” dal pubblico? Bella domanda... Oggi non si può neanche crescere al buio in pace: qualcuno che ti illumina con la torcia per farsi figo con gli altri c’è sempre. Non mi viene in mente nessuno di questa generazione ma qualcuno delle generazioni prima: Robyn Hitchcock, Julian Cope, Johnny Lydon... L’avanguardia, sia in ambito accademico,
sia in ambito rock, ha sempre incarnato l’idea del rumore, dell’inascoltabile. Ma esiste davvero una musica piacevole all’udito, ed un’altra che viene considerata fastidiosa ma col tempo passerà alla storia? Cos’ha Riccardo Bertoncelli al posto delle orecchie? Come ha fatto a consumare tutti quei dischi inascoltabili che poi son finiti nel suo mitico libro “Musica da non consumare”? La storia non si cura di simili minuzie, l’orecchio è libero e vince sempre. Non lo apro più da un pezzo ma non mi sembra che Musica da non consumare fosse pieno di “musica inascoltabile” – qualche improvvisatore tagliaorecchie, tutt’al più. Comunque, per fare il caso mio, mi hanno sempre attirato i dissidenti e cani randagi, e in nome di quella simpatia ho imparato ad affinare la pazienza e l’ascolto. C’è sempre un tesoro oltre il luogo comune e, come diceva Kierkegaard, “non è il cammino che è difficile, è il difficile che è cammino”. Potrebbe suggerirci cinque icone di successo senza cui la musica rock non sarebbe stata la stessa? E cinque album sconosciuti che invece hanno influenzato l’estetica musicale senza mai raggiungere il grande pubblico? Non farmi fare classifiche, le odio e non sono un fan di Nick Hornby. Però non puoi dire di conoscere la storia rock se non conosci almeno Dylan, Zappa, i Beatles, gli Zeppelin, Hendrix, i Velvet – e ne dimentico. Lester Bangs è stato un geniale critico rock (anch’egli dimenticato e poi rivalutato molto tempo dopo), ma era prima di tutto “uno del giro”, oltre che una folgorante penna. Quanto contano, per un critico rock, l’orecchio, l’esperienza sul campo e la sua creatività come scrittore? Contano tanto naturalmente, ma è merce che scarseggia. Specie la creatività come scrittore... Tobia D’Onofrio MUSICA 23
24
BRANDT BRAUER FRICK Elettronica da camera
Questo sorprendente trio tedesco suona club music con strumenti acustici e apparecchiature analogiche. Il perfetto incontro tra night club e concert hall. Abbiamo scambiato due chiacchiere con Paul Frick che ha studiato composizione all’Università delle Arti di Berlino. A Londra, nel 1999, mi è capitato di vedere una band che suonava techno-hardcore con la classica triade chitarra-basso-batteria. Anche andando a guardare nell’attuale avanguardia Newyorkese, gruppi come i Sightings amano pestare gli strumenti per produrre nuove sonorità ballabili. Quando vi è venuta l’idea di fare musica dance utilizzando strumenti acustici? Hai perfettamente ragione, non è un’invenzione tutta nostra. Credo che già da un po’ di tempo molti musicisti si siano accorti della splendida tensione che si crea nell’imitare le drum machines e i patterns dei sintetizzatori. Guardando indietro nel tempo, ricordo che assistere a un concerto di The Roots nel 2000 (specialmente il batterista) fece scattare una molla nella mia testa. Più in generale, l’idea di suonare musica d’ispirazione elettronica con strumenti “veri” sta girando nell’aria da un bel po’ di tempo, quindi la parte difficile non consiste nell’avere l’idea in sé, ma nella capacità di trovare un modo autentico e personale per concretizzarla.
La vostra musica incorpora jazz, house e techno. Suonate strumenti acustici soltanto in fase d’incisione o anche durante le vostre esibizioni dal vivo? In studio utilizzate una marea di strumenti… Fino ad oggi abbiamo sempre suonato come trio. Perciò abbiamo campionato i suoni prodotti da noi stessi e durante le esibizioni li abbiamo azionati elettronicamente in vari modi: v-drums, tastiera nord wave, korg esx, ma assolutamente niente computer. Visto che abbiamo suonato per lo più in club o festival techno, non potevamo portare pianoforti o percussioni ingombranti. Ma il nostro nuovo ensemble che debutterà a breve è completamente acustico. Ed è veramente difficile riuscire a creare un groove con 10 musicisti che suonano in modo quasi meccanico. Quando ci riesci, però, il risultato è incantevole. Il vostro primo album è uscito per la !K7, un’etichetta di culto. Come siete entrati in contatto con loro? Abbiamo contattato noi stessi l’etichetta, perché pensavamo fosse perfetta per diffondere una musica come la nostra. Per fortuna abbiamo trovato qualcuno con la mente e le orecchie aperte, qualcuno che ha creduto in noi sin dal primo incontro. Se non ricordo male non abbiamo ancora suonato con artisti della !K7, a parte qualche festival, forse. Tobia D’Onofrio MUSICA 25
I MINISTRI Il nuovo album è “fuori” Fuori è il nuovo disco dei Ministri. Il precedente Tempi bui li aveva imposti come una delle realtà più interessanti del nuovo panorama rock. Questo nuovo capitolo li vede cresciuti, evoluti nel suono e nel pensiero. Fuori è diretto, ma non per questo facile. Dodici tracce che raccontano la difficoltà, la rabbia, la claustrofobia dei nostri tempi. Intanto il pubblico ai loro concerti aumenta, le date si moltiplicano. Sintomo di un rock italiano in ottimo stato di salute. Abbiamo parlato con Davide Autelitano, cantante e bassista della band. Il vostro nuovo album è un’istantanea emotiva e muscolare del nostro presente, un paesaggio assolutamente non rassicurante, quali sono i sentimenti che hanno animato la nascita dei brani di questo album? In ordine sparso: la voglia di sentire parole nuove, delusioni e speranze di diverse provenienze, fiducia nella volontà e nelle volontà di molti, la voglia di prendersi delle responsabilità, lo sprezzo delle gerarchie, la voglia di capire cosa c’è dietro alla 26 MUSICA
paura degli altri, il non lasciarsi consolare. C’è un senso politico in quello che fate, qualcosa che non riguarda solo i temi delle vostre canzoni ma anche il vostro suono, un po’ come gli urlatori degli anni 60 solo che voi siete incazzati veramente. Cosa ne pensi? Ci rimproverano di urlare troppo o di urlare troppo poco. Noi pensiamo ci siano momenti – nella vita di un cittadino e in quella di una band – in cui sia meglio urlare e altri in cui sia meglio dire. Il senso politico di quello che facciamo è prima di tutto il rapporto tra cosa diciamo, chi siamo e in che momento della storia lo stiamo dicendo. Quello che fa di noi dei musicisti e non dei matti saliti sulla sedia col braccio alzato, e che noi ci mettiamo la musica – e cerchiamo di dire le cose in un modo che sia, semplicemente, bello. Avete avuto un escalation anche discografica, siete arrivati a una major, siete tra le nuove band più interessanti in circolazione e vi trovate anche in una posizione scomoda, come su un cornicione. Da un lato il
mercato che vede il vostro pubblico allargarsi, dall’altro lo zoccolo di fondamentalisti indie che vede ogni cambiamento come un tradimento. Come vedi questi anni? Se quel cornicione sta su è perché qualcuno lo tiene su – e per fortuna sono sempre di più. Tra questi i fondamentalisti indie scarseggiano da sempre, se ce n’è qualcuno un giorno farà outing e si scoprirà essere uno che ama semplicemente la musica. Siamo con una major e lieti di esserlo da ormai più di due anni: siamo sempre stati rispettati e lasciati liberi di agire in ogni direzione. Non ci vogliono meno major, ma più rispetto – per chi ascolta e per chi suona. Con questo principio, è difficile ingannarsi.
Su tutto, quelli che si dimenticano che per far nascere una canzone ci vuole sostanza – e non soltanto una voce che ha bisogno di parole da cantare – e quelli che basano le loro canzoni sulle sostanze e non riescono neanche a giustificarlo.
A proposito di cambiamenti, questo nuovo album ha un nuovo suono, sempre granitico ma più elaborato, come lo descriveresti? Un ammutinamento di soli tre marinai su una nave da guerra fatiscente incastrata tra gli scogli.
Questo numero del nostro giornale si intitola Io canto italiano ed è dedicato a questo ritorno da parte del rock di usare le parole per dire qualcosa. Voi siete certamente tra questi… Cosa pensate di questo “fenomeno”? Chi riconoscete in questa direzione? Non possiamo considerare propriamente un fenomeno il fatto che la gente canti nella lingua parlata dalle persone che ha davanti. È semplicemente la base di ogni comunicare. Nel rock non c’è solo quello, ma perché amputarsi di un braccio così importante della tua possibilità di esprimerti e di farti capire o sentire? Detto ciò, non basta dire facciamo i pezzi in italiano. Devi pensare che quel pezzo abbia una ragione per venire alla luce, nonostante il mondo sia già pieno di canzoni belle e brutte. Credere che serva anche la tua. Antonietta Rosato
Il live è la vostra dimensione ideale, indossate uniformi e offrite al vostro pubblico un vero e proprio spettacolo (cosa rara oggi). Come vivete la performance? Come un impegno, come una cosa per cui val la pena vivere, come un ringraziamento, come un modo per scoprire che hai ancora un corpo e dei polmoni – e ti accorgi che non possono tutto, ma di certo molto più di quanto avresti mai creduto. Cosa e chi non potete sopportare della scena musicale italiana?
Di questo paese quasi niente ci sembra di capire… o no? Di questo paese amiamo gli ostacoli. Puoi startene al di qua dell’ostacolo e vivere tranquillo. Se scegli di superarlo hai molti modi per farlo. Quello che scegli è quello per il quale verrai giudicato – da te stesso. In una band di più hai lo sguardo degli altri due e il decidere insieme come agire.
MUSICA 27
BEATRICE ANTOLINI Il mantra tellurico di Bioy A due anni da A due, torna Beatrice Antolini con Bioy, un album poliedrico e ricco di sfumature più o meno percettibili. L’abbiamo intervistata in vista dei suoi concerti pugliesi a Novoli (27 dicembre nel circuito Puglia Sounds) e al Demodè di Modugno (28 dicembre). Bioy è l’album della maturità? La maturità può essere raggiunta solo con l’esperienza e tante conoscenze. È un percorso in divenire che vivo in uno stato di mutazione perenne. Io sono ancora al terzo album e spesso mi sento un pesce fuor d’acqua. Cosa vuol dire Bioy? È un acronimo. La B è l’iniziale del mio nome.
“IO” risente molto dello studio di scienze spirituali che mi hanno permesso di arrivare all’essenza delle cose e dell’anima, e BIO perché è un disco in movimento con un mantra tellurico sotto. La Y, invece, è in contrapposizione alla moda della X (generazione x, fattore x, x factor). A me non piacciono le mode e ho scelto l’opposto. La Y è slanciata e porta verso l’alto, mente e corpo che si uniscono. La X è una lettera chiusa. Nell’album mischi generi diversi. È una scelta voluta? È successo, non è stata una scelta meditata. Il verbo meditare, però, vuol dire “non pensare”. È stata una scelta del non fare. Ho suonato, ho registrato e ho visto che quello che stava venendo fuori mi piaceva.
Con We’re gonna live e Abletable giochi con il funk e il soul. We’re gonna live è un pezzo ironico e divertente. È una dedica a Michael Jackson ed è la risposta al suo brano Wanna be startin’ somethin. Ho vissuto il lutto e la morte e sono una cosa seria. Il pezzo è stato spontaneo, avevo voglia di fare un brano divertente, ballabile, fisico e senza troppi intellettualismi. Abletable, invece, è uno sfogo soul, un provino che è rimasto tale. Hai suonato tutti gli strumenti ma il suono è unico e ben amalgamato. Qual è il tuo segreto? Evito gli intoppi che ci sono quando si è in molti ad arrangiare. Il mio è un processo magico, il batterista, il chitarrista, il pianista, presenti in me, si muovono nella stessa direzione. Come nascono le tue liriche? Insieme al resto, mentre sperimento i suoni, dando loro un senso logico. Sono una musicista e anche il cantato è musica. Ti senti una cantautrice? Essere cantautrice è impegnativo. Forse un giorno lo sarò ma per adesso sono un’autrice di musica. Cosa ascolti quando hai bisogno di ispirazione? Ascolto con piacere la musica moderna, Debussy, Bartok, Prokofiev e buona parte degli artisti del primo 900. In questa musica trovo dei colori particolari che mi permettono di capire ciò che si provava in quegli anni. Per il resto, mi piace andare oltre e ascolto un po’ di tutto: musiche dell’est, indiane, il blues, il soul e il funk più tamarro quando sto in macchina con il resto della band. Il suono dell’album è di rara qualità. Come sono avvenute le fasi di registrazione? Un artista non dovrebbe dire come fa i propri dischi. Con gli strumenti che ho utilizzato, tante persone non sarebbero capaci nemmeno di andare in chat e si limitano a parlare male. Bioy l’ho registrato in casa. Finalizzazione, ottimizzazione, fissaggio e mastering sono stati fatti in uno studio di registrazione. Suoni la batteria e ad ascoltarti sembra che rispecchi realmente la tua anima, musicale e non. Si, le percussioni sono più vicine al mio modo di essere e sono collegate al discorso del movimento e della ritmica. Uso anche percussioni africane. La musica africana è magica, perché con stru-
menti primitivi e ancestrali vengono fuori cose speciali. In passato hai detto di non avere femminilità. Ho femminilità da vendere, ma vorrei essere giudicata per la musica, non per l’aspetto fisico. Hai suonato all’estero. Com’è andata? Ho trovato un pubblico più colto e più empatico. È stata un’esperienza interessante ma costosa e rischiosa, perché non sono gli stranieri a cercarci ma siamo noi a proporci. Quali sono le differenze tra musica indie e musica pop? Indie non è un genere musicale, ma è la scelta di un artista che autoproduce il proprio lavoro con il sostegno di un’etichetta indipendente. Si può essere indie anche facendo pop. A me non interessa essere catalogata come artista indie, ma, per il momento, sono lontana dalle logiche di una major. E se per il prossimo album arrivasse la proposta di una major? Dipenderebbe dalle condizioni proposte. Se la fruibilità della mia musica si allargasse e il sostegno della major fosse totale, ci starei. Un giudizio sulla scena indie italiana. Ci sono tanti artisti che meritano pienamente il successo raggiunto dopo anni di duro lavoro. Dente, Le luci, Il Genio, A Toys Orchestra, tutti validi artisti. La musica è un percorso duro e impegnativo e se non sei valido non ce la fai. Questo discorso vale anche per il tuo conterraneo Fabri Fibra? Certo. Fibra mi piace molto e vorrei fare un pezzo con lui. Qual è il tuo contributo alla scena indie? Ho fatto i miei dischi in maniera sincera e spero di aver dato qualcosa in più ai miei ascoltatori. L’emozione più grande è quando qualcuno ti dice che nelle canzoni ha sentito qualcosa che gli appartiene. La musica è vocazione, non solo intrattenimento. Cosa fai quando non suoni? Faccio pochissima vita notturna e non mi piace stare nel casino. Preferisco stare in casa con le persone care. Non sono la persona nel posto giusto al momento giusto. Lucio Lussi MUSICA 29
BELLE AND SEBASTIAN Write About Love Rough Trade Parlando di revival folk-rock
anni 60 potremmo giustamente considerare i Belle and Sebastian campioni indiscussi del genere. Il loro cantautorato croccante e intellettuale ha sempre lavorato al servizio di melodie orecchiabili, alternando arrangiamenti essenziali a orchestrazioni barocche, ma mai stucchevoli. Gli scozzesi erano capaci di rapirti il cuore al primo ascolto e hanno toccato la perfezione in più album, anche se personalmente preferisco i primi EP su etichetta Jeepsters. E sono proprio questi dischi del 1995 che andrò a recuperare per colmare la delusione che deriva dall’ascolto di quest’ultima fatica. Un lavoro che, al confronto con i vecchi, appare una copia sbiadita e carente d’ispirazione. Un’inutile attesa di sei anni, per poi gettare nel cestino un brano dopo l’altro (a partire dal duetto con Norah Jones) salvando per pietà soltanto I Want The World To Stop e la title-track Write About Love. (Tdo) SOUTH CONSPIRACY Akira/Kiko Magic Shop A pochi mesi dall’uscita di Magia, un lavoro che abbandonava le ritmiche dance e i brividi trip-hop delle produzioni precedenti, torna il brindisino Dj Morph con un nuovo capitolo della sua South Conspiracy. L’intro di Akira/Kiko è una 30 MUSICA
spiazzante “quasi cover” di Mother dei Pink Floyd, come a voler resettare la discografia. Il primo brano, cassa pulsante, tastiere spettrali e didjeridoo, è un tuffo nel nuovo mood introspettivo di Morph, prossimo all’intimismo di Magia. L’accostamento alla psichedelia è imprescindibile, sia nelle tracce più ambient sia in quelle più cinematografiche, caratterizzate da atmosfere dense e dalla forza narrativa del pianoforte, strumento cardine sempre in bilico tra classicismo e sperimentazione. È forse questo il più grande pregio dell’album, la sua potenza descrittiva degna di una colonna sonora: un pregio non comune che regala all’ascoltatore un pittoresco balenare di visioni. (Tdo) DEERHUNTER Halcyon Digest 4AD Bradford Cox, ispirato alchi-
mista della neo-psichedelia americana, è mente creativa di Atlas Sound e prima ancora di Deerhunter. Il ritorno del “cacciatore di cervi” porta con sé il germe del pop lisergico anni 80 che ha infettato Stone Roses e Jesus And Mary Chain. Al quarto album le visioni di Bradford partoriscono un etereo dub/shoegaze (Heartquake), del folk-rock lisergico (Revival), la velvettiana Fountain Stairs (che fa molto Madchester), il jingle-jangle dei Byrds (Memory Boy), una jam fra i Rem e gli Spacemen 3 (Desire Lines), lo spleen dei Beatles affogato
in liquidi amniotici quasi triphop (Helicopter), uno slabbrato glam/garage (Coronado) ed una suite in chiusura che conferma i Deerhunter come una certezza di questi anni 0. (Tdo) THE BLACK ANGELS Phosphene Dream Blue Horizon Ancora neo-psichedelia con il
ritorno dei Black Angels che fanno un balzo indietro, rispetto alle sonorità post-punk dell’album precedente, per omaggiare i classici degli anni 60 come Pink Floyd, Doors e 13th Floor Elevators. Predomina la componente pop (e la forma canzone di tre minuti) ma l’iniziale Bad Vibrations si addentra in oscure spirali blues fuoriuscendone in una corsa forsennata, mentre True Believers trotta al passo dei Jefferson Airplane per poi trasformarsi in un mantra droneggiante e ipnotico. Il resto del disco si presta ad un ascolto più leggero, tuttavia rivela l’ottima capacità di scrittura di un gruppo che merita senza dubbio un occhio/orecchio di riguardo. (Tdo) SHUGO TOKUMARU Port Entropy Souterrain Transmissions Lo stralunato autore di queste canzoni è un giovane giapponese che suona anche tutti gli strumenti. Molti brani sarebbero perfetti come sottofondo in un asilo, non fosse altro che per i briosi arrangiamenti e le melodie zuccherine. Le atmosfere
retrò anni 60 fanno pensare a Beatles, Serge Gainsbourg, Morricone, affogati dentro vortici di chitarrine, percussioni esotiche, flauti e coretti bubblegum. È un album di bedroompop piacevole da ascoltare in un giorno tranquillo, specie in quei brani folk dove l’energia che spigiona dalla danza rituale prende il sopravvento sulla canzone, in slanci di gioia che ricordano Grizzly Bear e i Sigur Ros più solari (Tracking Elevator, Lahaha, Rum, River Law). (Tdo)
STING Symphonicity Deutsche Grammophon
THE NATIONAL High Violet 4AD
Il 25 Ottobre 2010 il magazine Q premia High Violet degli americani National come miglior album del 2010. A presentare il premio c’è Bernard Sumner dei Joy Division, che consegna l’award alla voce baritonale Matt Berninger: è il passaggio di un testimone, un piccolo elogio dell’ombra. Di certo i National sono molto più pop dei Joy Division, ma la loro musica accarezza le zone dolenti della nostra esistenza, brucia la carne e fa evaporare l’anima. Qui mi sembra di sentire Arab Strap, lì addirittura Nick Cave, mentre alcune melodie mi ricordano Sophia. Penso che se Mark Hollies fosse vivo scriverebbe pezzi simili. Penso che canzoni così intense e perfette farebbero gola a gruppi come i Coldplay. Ma chi scrive brani come questi ha guardato nell’abisso e si porta dietro una
Dopo aver infiammato la storia del rock con i suoi Police ed una manciata di piccoli capo-lavori solisti, il nostro amato Sting ci regala una raccolta di vecchi brani interpretati sotto una nuova veste sinfonica. Next To You è riletta alla maniera dei Quintorigo, ovvero una tromba d’aria per voci e orchestra da camera. Incantano She’s Too Good For Me e l’incalzante Every Little Thing She Does; Englishman in New York è molto simile all’originale,
certa puzza di zolfo. Citazioni e influenze svaniscono nell’impronta musicale personale che è come un marchio a fuoco, un folgorante incontro che non si dimentica. L’ispirazione che trasuda dai brani lascia senza fiato: ascoltate Bloodbuzz Ohio e strappatevi il cuore. (Tdo)
mentre Roxanne è una versione più pacata e melensa che non convince appieno. Bello il duetto della b-side Pirate’s Bride e splendida End Of The Game, un brano da pelle d’oca ripescato dalle sessions di Brand New Day. Le restanti tracce, per quanto piacevoli, non suscitano particolari emozioni ed è per questo che Symphonicities può essere considerato un esperimento “quasi” completamente riuscito. Tobia D’Onofrio
HONEYBIRD & THE BIRDIES Mixing berries Duckhead green music È un trio, ma suona come una piccola orchestra che approccia infiniti generi musicali senza rientrare in nessuno. Una band che va con disinvoltura da una danza tribale a un dolcissimo indie folk (Tommy), passando MUSICA 31
per un delirio acustico su base hip-hop che sembra un brano dei Korn suonato unplugged nella foresta amazzonica (Usain Bolt). E poi musica brasiliana, orge balcaniche, jazz, blues e ancora Caraibi, il tutto condito da una sensibilità poprock che oltrepassa la world music. L’album sembra infinito, tante sono le suggestioni evocate; per non parlare delle lingue che includono Portoghese, Francese, Italiano, Spagnolo, Africano, Svedese, Inglese. Di fronte a quest’incontenibile energia, possiamo solo immaginare i loro concerti come dei grandiosi baccanali. (Tdo)
con Populous è Girl with a gun) ci riporta nel grembo materno sfoderando la sua voce intensa e una chitarra sonica da brivido. I Thousand Millions chiudono il cerchio evidenziando il nocciolo power-pop con una magnetica interpretazione acustica. Abbiamo bisogno di lavori eclettici e vibranti come Remixed in Basic. Ma si era già detto che questi artisti corrono incontro a grandi cose. (Tdo) DANCE FOR BURGESS Ssa Mashhh!
POPULOUS WITH SHORT STORIES Remixed in Basic Disasters By Choice
Dopo il suggestivo lavoro di due anni fa su Morr Music, incensato dalle principali riviste di settore, tornano il salentino Populous e il newyorkese Short Stories con un album di remix. Le canzoni mantengono lo spleen dream-pop dell’opera originale, ma le ritmiche che si insinuavano sottopelle per osmosi, grazie alle raffinate textures elettroniche, sono tramutate in viaggi lisergici da ballare ad occhi chiusi (prendete Porcelain, i beats sincopati di Test Your Dreams o l’apoteosi electro di Breathes The Best). Man Overboard diventa un rituale alla Animal Collective mentre l’eterea Shipwreck strizza l’occhio ai Nine Inch Nails più introspettivi. Matilde Davoli (che 32 MUSICA
Sulla lunga scia del post punk capita raramente di incontrare band credibili come gli italianissimi Dance for Burgess. Stenti quasi a credere che un disco così isterico e claustrofobico sia stato registrato in una baita e ti fa piacere vedere che è stampato solo in vinile. Mentre scorrono le tracce si materializza il sogno più scuro dei Cure la Manchester dei primi New Order e un panorama congelato negli anni ‘80. Chitarre shoegaze, basso come una mitragliatrice, ritmiche elettroniche, testa e gola sono i pochi elementi che compongono i brani di un disco solido capace di reggersi sulla potenza delle canzoni che oggi più che mai suonano moderne. I due ragazzi di Lucca sono stati già notati oltremanica, una terra che certamente saprà apprezzare e valorizzare questo nuovo talento tutto italiano. (Op)
GIOBIA Hard Stories Jestrai e area pirata
E chi lo dice che non si può? Ci sono due buone ragioni per fare questa musica nel 2010. O si è rimasti intrappolati in un trip di troppo, oppure si è veramente bravi. Non conosco i Gibbia personalmente e ascoltando il disco propendo per la seconda ipotesi. Il sound sixties dei Giobia ci porta subito in territori psichedelici e poi lontano in California e al surf, per poi piantare i piedi in un garage terreno e polveroso. Trenta minuti, solo nove brani ma abbastanza per risentire prepotente l’eco dei Pink Floyd, l’attitudine degli Electric Prunes, la crudezza delle compilation della Nuggets e tanto altro. Per la serie: la buona musica non passa mai di moda. (Op) SPIRITUAL FRONT Rotten Roma Casino Trisol music club
Quando si tratta di romanticismo, si sa, noi italiani siamo insuperabili. E sarà per questo che i nostrani Spiritual front sanno conquistare l’Europa prima dell’Italia. Questo Rotten Roma Casinò è un conden-
sato di glam, new wave di scuola Smiths, atmosfere più scure alla Nick Cave and theBad Seeds, sonorità anni ‘80 rilette in chiave folk, a tratti country. La band, ormai navigata, arriva con questo disco a un visione della forma canzone completa ma mai complessa, asciuga certe ridonzanze del passato preferendo ampliare la gamma melodica e le orchestrazioni dei brani. In alcuni episodi sembrano mettere su teatrini retrò (un po’ come i Dresden Dolls) per poi perdersi dentro tanghi malati che ne rivelano l’anima latina, prima di prendere un last minute Roma Londra per darci lezioni di Brit pop. (Op) BLACK CROWES Croweology Silver Arrow
Vent’anni sono un traguardo importante, soprattutto nel rock. Senza non poche traversie i Black Crowes ci sono arrivati e quando si festeggia si guarda solo ai traguardi e venti milioni di copie vendute in una carriera sono già un buon motivo. Esce Croweology, un doppio che ha il suono di un capitolo che si chiude e si spera in un futuro all’orizzonte. Un disco che ripercorre la carriera della band in chiave acustica, una di quelle operazioni che, se riuscite, possono far toccare a un gruppo vette inaspettate (pensate ai Nirvana). La band dei fratelli Robinson sfoderà tutto il suo fascino southern riproponendo alcuni cavalli di battaglia come Remedy o la bellssi-
CELSO FONSECA Voz e Violao Microcosmodischi
La carriera di Celso Fonseca lo ha visto al fianco del celebre Caetano Veloso e Gilberto Gil. Insieme a loro è interprete dello spirito di un luogo, di una storia che non finisce mai di rinnovarsi pur restando fedele a un suono inconfondibile. Quello della bossa nova e più in generale dell’approccio tropicalista che marchia anche le varie contaminazioni che la musica brasiliana ha avuto. Una musica che negli anni si è rinnovata, basti pensare al giovane Bebel Gilberto, inforcando nuovi percorsi. Nonostante appartenga alla vecchia guardia Celso ha sempre viaggiato al confine
ma She talks to Angels. È sicuramente un album per fan. Noi restiamo in attesa di un nuovo esplosivo capitolo. (Op) TOUCH ME AND SHOUT Across the universe Autoprodotto Giorni fa su quella belva di Facebook per caso ascoltavo i simpaticissimi Soerba, gruppo prodotto e gestito da sior Morgan Bluvertigo. Quest’oggi, in padella altro duo, TMAS con
creando nelle sue canzoni soluzioni di novità e continuità allo stesso tempo. In questo Voz e violao l’artista si ferma per un attimo e prende una boccata d’aria. Aria che sa di un passato che fa parte delle sue corde e della sua anima stessa. Il disco è un live registrato nel 2009 a Rio e si presenta come un omaggio ad artisti come Roberto de Carvalho, Roberto Carlos, Claudinho e Bochecha. Sul palco solo lui e piccoli intarsi elettronici che ci regalano momenti di rara intensità. Con il cd anche il dvd del concerto, bellissimo. (Op)
questo Across the universe. Dunque dunque, all’appello troviamo una discreta fascinazione(?), inclinazione(?) per il sintetico che fu di gente “addicted” a tastierine e drum machine quasi secoli fa, e che ora appartiene un po’, anche, a tutti quelli che vogliono fare del pop. Poi c’è del buongusto, non poco, che permette ai boyz di scrivere pezzi quadrati come Sunday, piuttosto che Run o Goodbye. Quindi, importantisMUSICA 33
sima, filosofia DIY, alla base del tutto come la pasta per fare la pizza, visto che i TMAS hanno fatto veramente tutto da sé, ed è passato solo qualche mese da quando hanno scritto le prime songs, ad ora che il dischetto auto componibile, dal titolo pieno di tante aspettative, giace affianco al libricino degli esami di meccanica quantistica di A & A. Davvero niente male, aspettiamo altre prove. Al Miglietta KLAXONS Surfing The Void Polydor
Dei gruppi albionici di ultima generazione e chiaramente di maggior successo (mediatico), il trio dei Klaxons doveva ancora arrivare al varco, dopo il mesto destino toccato ai Bloc Party, giusto per fare qualche nome, e la grande prova di creatività messa a tavola da Jack Barnett e i suoi These New Puritans. Il passaggio alla Polydor e relativi cambi di produzione - scartato anche James Ford, Simiam Mobile Disco, fino ad ingaggiare Ross Robinson - hanno fatto pensare ai più che i ragazzi non avessero tra le mani qualcosa di convincente, che fossero con poche idee, disperati. Musicalmente parlando, il taglio dei nuovi pezzi è davvero alienato rispetto al primo disco, alcuni sembrano un po’ sospesi nel vuoto, senza forma (Twin flames, The same space), altri richiamano il passato in maniera più o meno convincente (Valley of the Calm Trees) ed infine ri34 MUSICA
mane la vena più riconoscibile dei Klaxons. Echoes e Venusia sono infatti i singoli scelti per promuovere il disco, non poteva essere altrimenti, anche se stavolta il trio sembra abbia voluto un po’ fregarsene delle aspettative di critica e fans, in favore di canzoni più stralunate del solito. Apprezzabili. Al Miglietta
Godano per rispondere a chi lo taccia di intellettualismo). E proprio caldo e cantabile è il primo singolo estratto: Paolo, anima salva, che oltre a citare De Andrè proprio al termine del verso, ritrova a mio avviso un po’ della morbidezza tipica del cantautorato italiano alla Fossati. Roberta Cesari
MARLENE KUNTZ Ricoveri virtuali e sexy solitudini Sony
SUFJAN STEVENS Age of Ads Asthmatic Kitty
Ritornano in scena i Marlene Kuntz: la band ( indie/rock/ alternativa/?) piemontese lo scorso 23 novembre ha presentato l’ottavo album di inediti Ricoveri virtuali e Sexy solitudini prodotto da Sony Music. L’indecisione sulla scelta di definizione, nasce esclusivamente dal fatto che Godano, storica voce dei Marlene, in questo nuovo lavoro in studio, non risparmia le sue critiche a nessuno: persino i fidati fan che ingenuamente amano autoetichettarsi indie, sono riconosciuti come “i farisei dell’indie rock”. Ma è dietro il rifiuto delle categorie che si cela la sostanziale weltschauung del cd: personaggi sociali, disorientati costretti da etichette ed abitudini, in ricoveri virtuali, con una sola via d’uscita, una sana solitudine che ha la sua esplosione migliore nell’erotismo. Album molto rock e corposo, che non risparmia sonorità calde, e un linguaggio “cantabile, non banale” (così definito da
Chi ama Sufjan Stevens sa che questo è un disco sofferto, che arriva dopo un periodo difficile. Chi è abituato alle atmosfere orchestrali e bucoliche dei suoi album dovrà prendere tutto e processarlo, disintegrarlo e farne materia sintetica. Sufjan cotruisce un gigante partendo da piccole cose che sommate creano impalcature vertiginose, cattedrali sonore che in questo album sembrano disegnate da Gaudì e non più in epoca barocca come prima. I brani perdono struttura, si perdono in rivoli sperimentali, riuscendo però a trovare sempre la quadratura. All’inizio l’effetto è spaesante, è un disco che richiede un approccio cauto e concentrato. Dopo i primi ascolti, poi, è come se si trovasse una traccia, solo nascosta da aritmie e dissonanze, che ci porta dritto al grande fragile cuore di Sufjan. Antonietta Rosato
NUBRAZ Baticumbum Irma records
Nu braz è Emanuele Cucchi, abile orchestratore di questa nuova lettura della musica brasiliana. È una liaison amoreuse tra Italia e il Brasile quella anima le note di questa terza uscita della serie, un legame che è frutto di viaggi, incontri provenienti da paesi diversi. Ed è nello scambio che nasce il nuovo, da sensibilità musicali collimanti che scaturiscono scintille melodiche inedite. Ed è forse anche per questo che Baticumbum è un disco frizzante, guizzante di vitalità italiana e pulsazioni brasiliane. Un disco che si muove tra tropicalismi rivisitati in chiave nu jazz, parentesi più soul e funk. Tra le tracce anche una bellissima versione di Come prima di Tony Dallara e per i nostalgici di trascorsi televisi la mitica Figlio Unico proposta in italiano e nella versione originale in brasiliano. Dario Goffredo PIERO SIDOTI Genteinattesa Fuorivia/Odd times record Un esordio (tardivo) col botto. Piero Sidoti, quarantaduenne friulano, dopo un’esperienza quasi ventennale tra spettacoli teatrali, concerti e premi (Castrocaro, Recanati, Premio Fabrizio De Andrè, Festival Domenico Modugno, Musicultura) approda al suo primo cd premiato con la Targa Tenco come miglior opera prima. I dodici
PIERO CIAMPI E continuo a cantare Promo Music Records / Edel
Nel panorama della musica cantautorale italiana, il livornese Piero Ciampi è sicuramente uno dei più discussi personaggi che abbia mai calcato le scene. A trent’anni di distanza dalla sua prematura morte, per un cancro alla gola, E continuo a volare propone un doppio cd che contiene i suoi grandi classici. Il primo cd ospita due live del 1976, al Premio Tenco e al Ciucheba di Castiglioncello, nel quale si alternano brani e racconti, poesie e battibecchi con il pubblico, tra risate spropositate (forse dovute all’alcool, del quale era grande consumatore) e richieste di applausi. “Non riesco ad amare, non riesco ad avere una famiglia. Voi non sapete chi è un condannato a morte, se io mi arrabbio vi dico tutto sulla vita ma non voglio dirvelo, perché non è giusto. Io sono un uomo solo”, sottolinea ad un certo punto e poi zittendo il pubblico che interloquiva con lui: “Quando guadagnerete 200 mila lire al giorno per fare cultura potrete parlare”. Nel secondo cd Samuele Bersani, Vinicio Capossela, Simone Cristicchi, Niccolò Fabi, Luca Faggella, La
Crus, Pino Marino, Morgan, Nada, Marco Ongaro, Pino Pavone reintepretano diciassette tra i suoi brani più celebri (L’amore è tutto qui, Il denaro, Sporca Estate, Tu No, Il vino, Livorno, Adius e molte altre). La registrazione è del live tenutosi nel 2008 al Teatro Regio di Parma, su iniziativa di Enrico de Angelis (che cura il cofanetto), Alessandro Albertini e Désirée Lombardi. Canzoni in cui sono ricorrenti i temi dell’abbandono, della solitudine, del sesso senza amore, del suo alcolismo. “Le due esibizioni di Ciampi, però, sono sconvolgenti. Anche perché - sottolinea de Angelis nella sua introduzione - dimostrano in maniera palpabile che le “leggende” che hanno sempre avvolto Piero come persona insofferente, rissosa, violenta e tenera insieme, e naturalmente alticcia anche in scena non sono affatto leggende, ma realtà viva, mista di dolcezza e rabbia, prorompente di emozioni, di evocazioni e di valori”. Un cd per gli appassionati e per coloro che per la prima volta si avvicinano all’opera di questo cantautore troppo spesso dimenticato. (pila)
MUSICA 35
36
brani (vecchi e nuovi), scritti da Sidoti e arrangiati Antonio Marangolo, raccontano di storie di disagio e delle contraddizioni del nostro paese. I personaggi sono tutte persone ai margini (ognuno a suo modo): una prostituta (Venera Nera), un vecchio ballerino ormai dimenticato (Bobby e il ballerino), un “bamboccione” (I giovani), un condannato a morte (La conte di Caino), un precario (La mia generazione), l’orco delle favole (L’orco). Tutti quadri dipinti con ironia e senza moralismo, narrazioni in prima persona (come in una sorta di Spoon River dei vivi) in bilico tra jazz e latin, ballad e folk. Tra i brani più riusciti la storia d’amore in Da Difendere (“Quando dormi, dormi tanto che non ha nemmeno idea di quanto”). Tra gli ospiti anche l’attore Giuseppe Battiston, presente in due brani (Lo scemo del villaggio e Pecore bianche). Un esordio che ha faticato ad arrivare ma è già (necessariamente) maturo. Speriamo che l’attesa del dopo Genteinattesa non sia così lunga. (pila) MENTALY DOOF Il santuario della pazienza 11/8 Records
Su sonorità Hip hop, crossover, rock, balcan, reggae e ska questo nuovo progetto dell’etichetta 11/8 records racconta lo sfaldamento della nostra società attraverso testi (in italiano, wolof, francese, inglese e dialetto salentino) critici e di denuncia. Il santuario della pazienza,
dedicato all’artista Ezechiele Leandro (1905 – 1981) è il cd di Mentaly Doof (Pazzia mentale) nome dietro il quale si cela Jam P, rapper di San Cesario. I suoi compagni di viaggio sono il cantante sengalese Bay Fall, il chitarrista Luigi Bruno, la cantante Anna Zecca, il trombettista Giancarlo Dell’Anna, il trombonista Gaetano Carrozzo e il bassista Stefano Valenzano. La direzione artistica è affidata al trombettista e anima della 11/8 Cesare dell’Anna co-autore di tutti i brani e voce recitante cantante in Lodo 7/8. Nella strumentale title track è la voce dello stesso Ezechiele Leandro a spiegare il suo manifesto artistico, nel quale attacca apertamente i suoi concittadini. Con questo nuovo progetto prosegue l’avventura dell’etichetta nata, proprio a San Cesario, con l’esperienza dell’Albania Hotel, per anni luogo crocevia di culture, di artisti in viaggio provenienti da paesi più disparati. Era giusto che la più “pazza” etichetta del Salento (e non solo) omaggiasse il più “pazzo” artista che questa terra abbia mai conosciuto. (pila) LELE BATTISTA Nuove esperienze sul vuoto Mescal
Dopo la sua esperienza con La sintesi e vari progetti, Lele Battista prosegue la sua carriera solista che approda al terzo lavoro discografico. Nuove esperienze sul vuoto non è pop e non è rock, difficile da classificare
nella musica e nei testi soprattutto. Battista, in questi dodici brani, si muove con disinvoltura nel cantautorato classico (Fossati, De Gregori, Onorato) strizzando l’occhio alle nuove generazioni proponendo canzoni non banali, complesse nei testi quanto semplici negli arrangiamenti curati con il chitarrista (già compagno di viaggio con le Sintesi e turnista con Battiato) Giorgio Mastrocola. Nel brano di chiusura Attento è affiancato dalla voce di Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus. Un album che conferma ancora una volta che anche in Italia un altro pop è possibile. (pila) MARNIE STERN Marnie Stern Souterrain Trasmission Prendete il math rock che conoscete, frullatelo con un po’ di progressive e schizofrenie pop, lanciatelo a velocità spaziale e avrete un’idea vaga dell’universo sonoro di questo album. Tra le chitarriste più apprezzate dell’ambiente, sorprendente per tecnica e inventiva Marnie Stern riesce a gestire fulminanti ispirazioni, il suo pericolosissimo finger picking (tecnica chitarristica al confine con il cattivo gusto) grazie a un sound spiazzante e nevrotico. I preziosismi strumentali sono avvolti da coltri di noise e il risultato finale è decisamente sonico, anzi “super” sonico. Ai tamburi un guizzante Zach hill non fa che alimentare l’effetto pirotecnico dei brani che funzionerebbero anche senza tutto quest’horror vacui che tende a riempire oltremodo ogni secondo a disposizione. Un disco che richiede attenzione, assolutamente coinvolgente ma che finisce lasciandoti con il fiatone. (Op)
MUSICA 37
38
AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Ellie Goulding – Your song Sono un grande sostenitore della causa della bionda cantante inglese. L’album d’esordio, Lights, ha ricevuto giudizi assai contrastanti. C’è che riteneva che l’iperproduzione di Starsmith avesse restituito un lavoro di plastica, senz’anima, e chi invece ha apprezzato un folk elettronico molto venato di pop e carico di talento (la scuola di pensiero che gli ha assegnato un Brit Award). Nel dubbio, Ellie Goulding prende un supermegaclassico di Elton John, così standard da essere pericolosissimo, canta senza effetti e senza fronzoli e mette il punto esclamativo. Al 99,9%, la canzone di questo inverno. Martin Solveig – Hello
La Francia è Daft Punk, la Francia è David Guetta, la Francia è Justice, la Francia è Etienne de Crecy, la Francia è Bob Sinclar, la Francia è Martin Solveig. Negli ultimi dieci anni i cugini transalpini hanno messo su una squadra danzereccia invidiabile e hanno sostanzialmente soppiantato la scuola italiana che negli anni ’90 faceva scuola in tutto il mondo. Il trucco è sempre lo stesso, farsi contaminarsi: chi dalla techno, chi dall’house, chi dal repertorio anni ’70, chi dal pop come in questo brano di Solveig, prodotto da Sinclar, ambientato a Roland Garros, cantato con Dragonette. Allez. Fabri Fibra – Tranne te È in grandissima forma. Molto probabilmente non vi piacerà, non è quello degli esordi, è diventato commerciale, si è montato la testa. Non mi interessa. Fibra è un’espressione positi-
va dell’Italia. Paracula, ipercritica, che usa i soldi e le multinazionali per far passare un messaggio distruttivo verso quel sistema (e non ne è né schiavo né complice). Lo dimostra, se ce ne fosse bisogno, il video di Tranne Te, secondo singolo da Controcultura. Dati sull’economia musicale e sugli effetti della Rete sull’industria culturale sparati come se fossimo su Wired. Molto probabilmente non vi piacerà, ma abbiate il suo coraggio. Duck Sauce – Barbra Streisand Questo brano non è per nulla nuovo. Gira da più di sei mesi, e non invecchia mai. Un tormentone di uno che se intende, Armand van Helden, che si trasforma in paperotto ed evoca la regina della musica americana (e vanta innumerevoli tentativi di imitazione: cercate “Duck Sauce - Barbara D’Urso” su Youtube) come feticcio. Il successo di questi brani ben al di là del limite del trash è testimoniato dalla presenza di questo brano, a tutto volume, nelle automobili 50, quelle che puoi guidare anche senza patente (perché la patente, forse non ce l’hai più). Cee-Lo – F*** You
Lo chiamavano il “filone”. Cee-Lo Green, vecchia volpe del soul americano, caduto nell’anonimato ma salvato da Re Mida Danger Mouse nel progetto Gnarls Barkley e protagonista di un piccolo classico contemporaneo con l’acuto di Crazy, torna in auge e sforna un album che è chiaramente un piccolo esperimento in laboratorio. Il primo singolo, con le sue infinite declinazioni (quella clean si chiama Forget You, per gli americani delicati di stomaco), è primo in tutto il mondo. Fra tre mesi non ce ne ricorderemo, ma tant’è.
Dino Amenduni
39
40
DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... The Shoes - Stay the same Provate a cercarli su Internet, non si trovano. Questi The Shoes hanno bisogno di qualcosa di ben più energico di una spinta. Andate su Youtube, c’è una sola versione, live, del tutto fedele all’originale. Le scarpe gireranno l’Europa armati di questo meraviglioso singolo d’esordio, partendo da Reims, Francia. Un indie pop di ceppo Air, con un sacco di suggestioni britanniche. Quando Francia e Inghilterra vanno d’accordo, vincono le guerre. Adele – Rolling out the deep Non è la prima volta che leggete di Adele su queste pagine. Scrivo da oramai 5 anni su Coolclub, ho scritto tante recensioni e tante rubriche e ho messo un solo 10 in pagella, al suo 19, album d’esordio scritto proprio a 19 anni dall’unica vera rivale di Amy Winehouse nella scena della musica soul contemporanea. Ora siamo a 21, come il nome dell’attesissimo seguito che sarà pubblicato il 24 gennaio 2011. Come scrivono su Youtube, “se l’album è bello la metà di questo singolo, sarà un capolavoro”. Non mi sento proprio di dissentire. Chromeo feat. Elly Jackson – Hot mess I Chromeo sono matti. Guardate il video di Hot Mess, primo singolo della loro nuova fatica, Business Casual. Un delirio che nemmeno gli Ok Go. Se però preferirete la cinestetica, do-
vrete sapere che rinuncerete alla versione dodici pollici con la voce, oramai inconfondibile, di Elly Jackson, ovvero La Roux, che ha però annunciato di aver chiuso con l’electro-pop. Da un lato c’è da essere felici e curiosi dello sbarco verso nuovi lidi, dall’altro ci si chiede come possa lasciare un’avventura che la vede sguazzare liberamente tra remix e comparsate. Cassius – I love you so La Francia non è solo quello che leggete nella rubrica Avanti Pop, è anche Cassius. Il nuovo singolo è quanto di più inatteso ci potesse essere da un duo che ha sempre amato divertirsi. Sembra che abbiano imparato la lezione britannica del dubstep aggiungendo un loro inconfondibile tocco. Escono con Ed Banger, e questo per molti è già una garanzia. Escono con un EP, The Rawkers, anche perché erano impegnati a produrre l’album di cui vi ho parlato nella canzone precedente, Chromeo. Neanche a farlo apposta. Crystal Castles – I’m not in love (feat. Robert Smith) Il perennemente entusiasta autore di queste rubriche non si è mai lasciato sedurre dai Crystal Castles, amatissimi invece nel mondo alternativo italiano. Un pezzo con la voce di Robert Smith dei Cure non aumentava le mie aspettative, anzi. E invece è un piacere dire che certi pregiudizi crollano molto facilmente e molto gradevolmente. Non cambieranno la storia della musica, però questo ritornello, pieno di sfumature progressive, ce lo ricorderemo a lungo. Dino Amenduni 41
42
SALTO NELL’INDIE
RARENOISERECORDS Rarenoise è un’etichetta che guarda alla musica con attenzione, ai musicisti. Producendo album non per tutti e ne è coinsapevole. Nel suo catalogo si possono trovare spunti per musiche futuribili. Continua con loro il nostro Salto nell’indie. Rarenoise ha già nel nome la sua mission fatta di ricerca, di un percorso ai confini del suono e rivolto alle sue infinite possibilità. Che musica è Rarenoise? Vorrei darvi una risposta articolata su due piani diversi. Sul piano concreto/pratico e temporale, il DNA di RareNoiseRecords viene fissato a fine 2007 dall’incontro (casuale ma fondato su passioni condivise) fra Eraldo Bernocchi e Giacomo Bruzzo. Inizialmente pensiamo ad una collaborazione limitata ad alcuni progetti di Eraldo Bernocchi e Petulia Mattioli (in particolare il meraviglioso Somma). Ci rendiamo rapidamente però conto dei limiti insiti in questo approccio e decidiamo di sviluppare una piattaforma, inizialmente focalizzata sullo sviluppo di prodotti discografici, con una linea editoriale condivisa. Dopo oltre un anno di preparazione RareNoiseRecords è pronta a fare uscire il primo prodotto discografico – Meditronica - a fine maggio 2009. Sul piano strettamente musicale ed editoriale RareNoiseRecords cerca di essere all’incrocio fra diversi generi e diverse epoche. Il garante di questo atteggiamento è Eraldo Bernocchi, la cui produzione musicale spazia da sempre con grande naturalezza dall’elettronica industriale, al dub, all’ambient, al jazz elettrico, alla musica universale (non possiamo chiamarla world music), al metal estremo. Inoltre cerchiamo di essere all’incrocio fra formati diversi, audio e video fra live e studio. Al di là di queste partizioni, rimane un obbiettivo: produrre e pubblicare lavori musicali emozionanti. Scegliere di produrre musica “alternativa” è una scelta dettata sicuramente dalla passione.
Si! Perchè bisogna rompere una barriera ulteriore nella testa delle persone, fatta di diffidenza e, a volte, pigrizia… (parlo per esperienza personale). Che ruolo ha la tecnologia nel vostro progetto? Molta. La democratizzazione della tecnologia musicale ci permette oggi di lanciare e gestire un’etichetta con costi tutto sommato accettabili. Abbiamo accesso a molteplici piattaforme per la autopromozione a costi bassissimi. Questa stessa tecnologia è però quella che, lasciando stare la retorica del “la musica deve essere libera”, divora I margini del settore discografico. In generale ambiamo ad essere piccoli ma apparire grandi. Da tutte le parti ed in nessun posto. La tecnologia e le piattaforme sociali online permettono questo ed altro. Quale futuro immagini per la musica, scomparirà definitivamente? Risorgerà? Ritorneranno i supporti? Domanda difficile. La musica intesa in senso lato non morirà. Perché muoia deve morire l’umanità. La musica è connaturata al nostro essere ed alla nostra fisiologia. Intesa in senso discografico non credo nemmeno. Abbiamo assistito ad un periodo rivoluzionario” – l’impatto della rete e la democratizzazione, almeno apparente, delle piattaforme tecnologiche hanno ridotto i costi di produzione a quasi zero, ma hanno anche eroso la propensione a spendere in prodotti discografici da parte del pubblico a quasi zero. Questo è però un periodo transitorio. La rete sta cambiando, da mare magnum senza legge si sta trasformando in un arcipelago di piattaforme private e controllate (il 25% del traffico US passa da facebook). Le etichette sopravvivranno se flessibili, veloci, multimediali, attive e reattive e soprattutto direttamente legate e rispettose del loro pubblico diretto. Antonietta Rosato MUSICA 43
Videocracy: il casting delle veline
LIBRI
CARLO D’AMICIS Sarà una risata che ci seppellirà L’ultimo romanzo di Carlo D’Amicis, La battuta perfetta, è finalmente un libro necessario, coraggioso, splendido. Attraverso le vicende - tragiche e comiche - di un padre e un figlio (per tralasciare del nipote), D’Amicis affronta il cambiamento profondo avvenuto nella società italiana con l’avvento e l’affermazione delle televisione. Ancora una volta le tue storie vanno a scardinare momenti cruciali della storia del nostro Paese attraverso gli occhi di personaggi comuni di un Sud profondo, a tratti ancestrale. Perché questa scelta? Per me il Sud è sempre un punto di partenza e di ritorno. È il luogo da cui tutte le storie cominciano e al quale vanno a finire. Immagino che questa idea abbia a che fare con la mia biografia, dal momento che io sono nato in Puglia, a cinque anni mi sono trasferito a Roma (dove vivo), e penso spesso che prima o poi tornerò giù. Ma forse c’è anche un elemento ulteriore: il Sud è antico. È un pozzo pro44 LIBRI
fondo. È il nostro inconscio, e uno scrittore parte sempre dall’inconscio. In questo romanzo, poi, che muove da un cambiamento epocale come l’avvento della televisione, e più in generale della modernità, mi serviva un luogo particolarmente ancestrale, dove tutto fosse rimasto immutato per secoli. I sassi di Matera, in questo senso, erano perfetti, anche perché all’immutabilità si associa il loro essere, strutturalmente, endemicamente, già in rovina. Come si dice a un certo punto del libro, i Sassi rappresentano un luogo eterno ma nato già vecchio, decomposto, franato. Vera protagonista del romanzo è la televisione. Un tema difficile, rischioso che non hai avuto timore ad affrontare di petto. C’è una visione militante della letteratura in questa tua scelta? Un tempo gli scrittori avevano il compito di aiutarci a capire la realtà; quale credi sia oggi il vostro ruolo? Penso che i libri possano (o debbano) aiutare, più
ta alla storia come la prima trasmissione della Rai nella quale venne diffusa nell’etere una parolaccia. Per questo genere di reperti mi sono affidato al nostro archivio, così come ho fatto affidamento sulla fornitissima biblioteca di Viale Mazzini per tutto ciò che riguarda i palinsesti, ricavati dalle vecchie annate del Radiocorriere. Inoltre, in modo più confuso ma non meno importante, credo sia stato importante attingere alle prime sensazioni che provai all’inizio della mia collaborazione con la Rai, verso la metà degli anni Ottanta: nei funzionari di allora percepivo la frizione tra le antiche sicurezze, derivate da anni di monopolio, e l’inquietudine di uno scenario che, sotto la spinta delle Tv e delle radio commerciali, andava velocemente cambiando.
che a capire, a entrare in una relazione dinamica col mondo, a guardarlo in modo diverso, più attento. Però penso anche che lo scrittore non possa partire dalla realtà fuori di lui, ma solo arrivarci attraverso quella che c’è in lui. Del resto siamo tutti rappresentativi del nostro tempo. In ogni pensiero, in ogni comportamento, in ogni vita (anche la più appartata) c’è traccia della realtà che ci circonda. Per altro non penso che questa realtà sia necessariamente camorra, o lavoro precario, o berlusconismo, che pure sono dei temi fondamentali del nostro tempo. Esiste anche un clima, meno legato ai fatti oggettivi, che la letteratura può cogliere, restituendone una chiave importante per la comprensione del nostro tempo (penso, ad esempio, a ciò che fu il minimalismo degli anni Ottanta). Insomma, la visone militante per me si racchiude in un senso di responsabilità nei confronti di ciò che è la scrittura: se la si usa come strumento di ricerca, di scasso, di allargamento d’orizzonte, è sempre militante anche quando parla di uova al tegamino. Quanto ha influito la tua esperienza in radio nel lavorare a questa storia? Mi ha aiutato per ricostruire in modo più realistico alcune scene: le parole di Cesare Zavattini che gli attribuisco nel romanzo, ad esempio, sono esattamente quelle che lo scrittore pronunciò alla radio nel corso di una celebre puntata di Voi e io, passa-
Filippo, Canio e Silvio Spinato incarnano da un lato l’incomunicabilità tra generazioni, dall’altro il cambiamento della società e dei suoi valori dagli anni Cinquanta a oggi. C’è legame tra questi due aspetti? Sì, certo, Filippo e Canio Spinato rappresentano due modelli sociali e culturali contrapposti che, secondo me, hanno caratterizzato rispettivamente il trentennio 1950-1980 e 1980-2010. Il primo era un modello basato su regole e valori che venivano proposti e interiorizzati senza un perché: con poca anima e poco cuore, mi verrebbe da dire. Il secondo è un modello fortemente emotivo, basato sul bisogno di piacere come unica conferma possibile alla propria identità, ma fondamentalmente amorale. Filippo Spinato, col suo pedagogismo dogmatico, ci appare vecchio nell’accezione peggiore del termine. Canio, nel suo terrore di rimanere solo, al buio, infantile nella lettura più deteriore. Tra loro ci sono meno di trent’anni, ma c’è anche un baratro. Credo sia anche per questo che le nuove generazioni (e nel romanzo il personaggio di Silvio, il figlio adolescente di Canio Spinato) a volte danno l’impressione di restare immobili, induriti, in un’impasse che assomiglia a un collasso. Probabilmente sentono su di loro il peso della rapida sovra/contrapposizione di questi due modelli, e non sanno bene, di essi, cosa prendere e cosa rifiutare. Il libro è intriso di contaminazioni linguistiche tra italiano e lucano, in passato hai usato il dialetto salentino. L’italiano non basta a raccontare le tue storie? Un’amica scrittrice che amo molto, Barbara Alberti, sostiene che per uno scrittore l’unica maniera di usare l’italiano è violentarlo. In effetti, senza volere assumere pose da linguista illuminato e progressista, io non vedo distinzioni di merito tra la lingua nazionale e quelle locali. Quello che conta è che sia una lingua viva, e a questa vitalità certo può contribuire lo scrittore, plasmando il linguaggio letterario sulle potenzialità che le parole hanno: potenziale non certo esplorato nel banale uso quotidiano. Giancarlo Greco LIBRI 45
COSIMO ARGENTINA Ancora Taranto per un romanzo del dolore 46
Vicolo dell’acciaio è il nuovo atteso romanzo dello scrittore tarantino Cosimo Argentina pubblicato dalla casa editrice Fandango, nella collana Galleria Fandango curata da Mario Desiati. Il libro esce a poco più di due anni da Maschio adulto solitario, romanzo che ha consacrato definitivamente l’autore da anni trapiantato in Brianza, dove svolge l’attività d’insegnante. Ancora una volta Argentina ambienta la sua storia a Taranto, in una via che ospita famiglie irrimediabilmente segnate da una sorte già scritta. Quasi tutti vivono lì perché si è a due passi dall’Ilva, il più grande impianto siderurgico d’Europa. Quasi tutte sono toccate da un lutto o una malattia dovuta alla grande fabbrica. Dopo Il cadetto, Cuore di cuoio e Maschio adulto solitario, scegli ancora Taranto come contesto della tua narrazione. Perché la tua scrittura, il tuo desiderio di raccontare storie passa sempre da Taranto? Con Vicolo chiudo una sorta di quadrilogia dedicata a Taranto. Se Il cadetto era il romanzo della scoperta, Cuore di cuoio quello dei sogni e Maschio adulto solitario quello degli incubi, quest’ultimo, Vicolo dell’acciaio, è il romanzo del dolore. Poi per un po’ mi defilerò andando su altri scenari anche se ho ancora un colpo in canna dove Taranto sarà presente, ma questo più avanti. Sul perché, è difficile rispondere, ma forse il tutto risiede nel desiderio di muovermi nel mio antro naturale. E visto che la scrittura è anche ricerca di se stessi, della propria essenza, beh, allora è a Taranto che devo andare a cercarmi. Sembra che Taranto, negli ultimi anni, sia divenuto un luogo letterario di forte attrazione per gli scrittori. Un contesto nel quale prendono corpo storie altamente tragiche o comunque fortemente cupe. Per citare un paio di libri, Adesso tienimi di Flavia Piccinni o Il paese delle spose infelici di Mario Desiati. È così difficile fare di Taranto lo scenario per un romanzo che abbia le venature della commedia? A dire il vero ci sono autori che scelgono strade diverse, ma se guardo in casa mia non posso che definire la scrittura come un adeguamento distorto della realtà e a Taranto negli ultimi venticinque anni le cose non sono andate bene. Alla narrativa però, da questo punto di vista, si contrappone il cinema dove esiste una levità
che gli scrittori sembravo non conoscere. Personalmente sono affascinato dalle sconfitte e dalla follia e da qui nasce tutto. Follia è fuggire di casa per diventare cadetto, investire un’esistenza per un provino, trasformarsi in un lupo solitario per fuggire i fantasmi o vivere in attesa di una telefonata luttuosa… di questo si tratta. Nel tuo nuovo romanzo è centrale l’Ilva. Il 27 marzo 2011 i tarantini dovrebbero andare alle urne per pronunciarsi sulla chiusura totale o parziale dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Qual è il tuo punto di vista in merito? Il grande strumento costituzionale che è il referendum in Italia è stato spesso disatteso. Parlo di quelli abrogativi, figuriamoci quelli puramente consultativi! Fatta questa premessa, se può servire a dare un segnale ben venga. Ma non ci credo. Credo piuttosto che l’Ilva abbia fatto il suo tempo e per motivi di mercato stiamo andando verso la fine di questa fase industriale. Taranto deve pensare al dopo-Ilva a prescindere dal referendum. Ormai la produzione è talmente calata che stiamo parlando di un moribondo. Gli ci vuole solo una spallata. Molti tuoi estimatori ti considerano uno degli scrittori più sottovalutati oggi presenti in Italia e molto si aspettano da questo tuo nuovo romanzo. E tu cosa ti aspetti da questo libro? Ho scritto una storia e ora rientro nell’ombra. È una buona storia? Non lo so, ma io al solito l’ho scritta al meglio delle mie possibilità. Essere sottovalutati è diventato il mio punto di forza. Ho la grande libertà di scrivere quello che voglio, coi tempi che desidero, con chi voglio. Non ho pressione addosso. Ho pochi lettori ma che sono davvero un manipolo di pazzi che mi segue sempre. Non frequento gli ambienti letterari e così posso scrivere in assoluta tranquillità. Il successo metterebbe a posto il mio portafogli e il mio ego, ma credo che danneggerebbe la mia arte. Tuttavia sarei un ipocrita se ti dicessi che non vorrei vendere 200mila copie di un mio libro. Magari! E la contraddizione va avanti dal 1999. Non credo che ci sia modo di venirne fuori, perciò affacciamoci alla finestra e stiamo a vedere. Rossano Astremo LIBRI 47
SIMONE SARASSO
Uno dei più originali scrittori italiani della nuova leva Simone Sarasso, classe 1978, è uno degli scrittori (non me la sento di definirlo giovane, anche perché è diventato padre da pochi mesi) più interessanti della nuova narrativa italiana. Interessante perché i suoi romanzi si presentano ogni volta come qualcosa di nuovo, diverso e sperimentale. Abbiamo parlato con lui di J.A.S.T. il suo ultimo esperimento narrativo Con J.A.S.T. aggiungi un nuovo episodio a questa tua deriva sperimentale in cui cerchi di superare il concetto classico di libro. Credi che la semplice narrativa non basti più o ami le sfide? Credo che la narrativa abbia bisogno di una svecchiata: sono convinto che non si possa restare indifferenti alla rivoluzione dello storytelling portata dalla nuova età dell’oro delle serie TV (quella iniziata con Lost, per intenderci), o a quella che porteranno gli ebook. Come scrittore sento il dovere di stare al passo coi tempi. Ho sempre voglia di sperimentare qualcosa di nuovo: cerco sempre di cambiare rotta un minuto prima di annoiarmi (un’ora prima di annoiare il lettore). 48 LIBRI
In questo libro riproduci un team di lavoro e una tecnica usata per la Tv, lo fai in maniera dichiarata, quasi provocatoria. La scrittura si muove con la macchina da presa, anzi ne chiama e descrive i percorsi come una sceneggiatura. Ci spieghi come nasce la collaborazione con Lorenza Ghinelli e Daniele Rudoni e l’idea di darsi regole nuove di scrittura? Il progetto J.A.S.T. è una mia idea; ecco perché ho voluto assumerne la direzione artistica: volevo produrre la mia serie TV. Non solo scriverla, “produrla”: seguire il production design, curare la regia di alcuni episodi, effettuare il casting, scegliere le location. Avevo un’idea precisa di dove volevo andare e sapevo che non ci sarei potuto andare da solo: due mani non bastano per un lavoro del genere. Di solito ce ne vogliono centinaia (e svariati milioni di dollari). Fortunatamente, scegliere la carta invece della pellicola permette di ridurre i costi. Tuttavia, un’impresa simile rimane collettiva. Coinvolgere Daniele e Lorenza è stato piuttosto naturale: sono autori fantastici. Gli unici con cui abbia mai voluto la-
vorare. Io ho steso il soggetto della storia, l’ho diviso in scene, ho assegnato i personaggi. Da lì in poi, abbiamo fatto brainstorming, scritto ed editato insieme. Dopo tre giri di revisione, il risultato mi pare abbastanza omogeneo. Sempre più spesso la scrittura arriva al cinema e in tempi sempre più veloci, i booktrailer anticipano i libri (a proposito il vostro è fichissimo) e ti offrono già immagini e spunti visivi alla lettura, credi che i mondi finiranno per confondersi, sovrapporsi? Io auspico una narrazione totale, un dim sum mediatico spregiudicato che mischi cinema, fiction televisiva, narrativa classica, fumetto, anime e videogame. È a questo che servono gli ebook, gente... Anche la promozione di questo libro è innovativa. Ce la spieghi? Il merito è del nostro editore, Marsilio, e del mio editor Jacopo De Michelis, come sempre avanti eoni rispetto al sonnecchiante e polveroso mondo delle italiche lettere. J.A.S.T. è stato lanciato attraverso un blog tour, pratica assai in auge negli States, ma ancora terra vergine qui da noi: per due settimane il libro e noi autori siamo stati ospiti di quattordici blog letterari molto seguiti. Sono stati così proposti al pubblico gustose anteprime del testo, interviste, approfondimenti, etc. Ancora una volta, si è voluto giocare con i media: le serie tv sono precedute da un battage pubblicitario ossessivo. Il nostro serial TV su carta è stato lanciato in rete con una copertura degna di un grande evento mediatico. Per tornare alla narrativa classica. A quando il tuo prossimo libro? Puoi anticiparci qualcosa? Da poco è arrivato in libreria un mio romanzo breve che parla del pessimo stato di salute della televisione pubblica: si chiama Slittamenti progressivi della Rai ed è edito da Effequ. Il mio prossimo romanzo, Terra di nessuno, è già terminato e al momento in cui vi parlo sta trovando una collocazione editoriale. Uscirà nel corso del 2011. Si tratta di un nuovo esperimento narrativo: raccontare la Resistenza in chiave apocalittica, attraverso la tecnica del reportage. Uno strano viaggio da nord a sud dello Stivale a metà strada tra Gomorra e World War Z di Max Brooks. Osvaldo Piliego
LORENZA GHINELLI, DANIELE RUDONI, SIMONE SARASSO J.A.S.T. Marsilio
Adoro i progetti folli, non è un mistero. E faccio in modo di non perdermi qualsiasi cosa esca dalla testa felicemente bacata di Simone Sarasso: romanzi, fumetti, oppure un oggetto alieno come J.A.S.T., acronimo che sta per Just Another Spy Tale. Un cofanetto con tre volumi che raccolgono gli episodi della prima fiction televisiva su carta. Nell’intro, l’avvertenza: “SE PENSATE D’AVER COMPRATO UN ROMANZO, SIETE FUORI STRADA. QUESTA È UNA SERIE TV”. Cioè una cosa con milioni di fans sparsi per il globo tipo 24 o C.S.I. per intenderci. Ogni serial che si rispetti ha una mente (Lynch per Twin Peaks, J.J. Abrams per Alias e Fringe, e così via) più un pool fidato di sceneggiatori e registi. Per mettere in piedi la prima stagione, Sarasso ha chiamato Lorenza Ghinelli (in uscita il suo Il Divoratore) e Daniele Rudoni, tra le sue credenziali la collaborazione con la Marvel. Le regole sono le stesse del format per il piccolo schermo: un pilot, una durata media di quaranta minuti (“Se siete particolarmente lenti a leggere, fate conto di non esservi alzati dal divano durante la pubblicità”, scherza il producer), una trama fitta di colpi di scena intrecciati da un trio che si diverte un mondo a tirar fuori personaggi come Aisha, femmina splendida e pericolosa di origini afghane, o come Barak, un medico che non sembra un medico. L’universo J.A.S.T. contiene una miriade di citazioni letterarie, cinematografiche, televisive. È una scatola magica con dentro spionaggio internazionale, situazioni esplosive alla Gérard de Villiers, sequenze che mozzano il fiato. Se acchiappa? Sto già aspettando la seconda stagione! Nino G. D’Attis 49
ALDO NOVE La vita oscena Einaudi Editori
Fuori dalla letteratura, dalla fiction, la vita è pornografica. Quella vera, capace di farti male fino all’annullamento, fino alla soglia della morte, se è da una scomparsa (doppia, come quella dei genitori del protagonista) che hanno inizio il tuo dolore più lacerante e la tua risoluta discesa all’inferno. Scivoli giù, però non c’è niente di romantico nella successione di esperienze estreme che cominci a sperimentare sulla tua pelle: cocaina, accoppiamenti a pagamento, la maschera di normalità che metti sulla tua faccia alla luce del giorno, quando incroci le esistenze degli altri e devi pur dire qualcosa mentre la testa è altrove, proiettata verso il disfacimento. La verità è che, fuori dalla letteratura, la vita può essere autodistruzione, viatico indecente e, giorno dopo giorno, rumore di solitudine. Le quattro pareti di casa tua esplodono perché hai “accidentalmente” dimenticato il gas aperto. E tutto è fuoco: sull’epidermide, ma soprattutto nell’anima. La domanda è: come si esce dal fuoco? La persona che si cela dietro l’alias di Aldo Nove ha scritto un’opera immensa, racchiusa nello spazio di un numero di pagine non imponente. Perché si può dire molto, se conosci quella soffe50 LIBRI
renza da vicino, senza dover necessariamente buttare giù un romanzo-fiume. Si può dire l’indicibile, tenuto conto che la persona che scrive con lo pseudonimo di Aldo Nove è altresì il massimo poeta italiano vivente. Questo è il suo capolavoro. Nino G. D’Attis TOMMASO PINCIO Lo spazio sfinito Minimum Fax Dopo nove anni dalla sua prima edizione per Fanucci, Minimum Fax ha da poco ripubblicato Lo spazio sfinito, il secondo romanzo dello scrittore romano Tommaso Pincio che ha come protagonista Jack Kerouac. Non, però, il Kerouac che tutti conosciamo, ovvero l’autore di Sulla strada e di I sotterranei. Lo spazio sfinito inizia, infatti, con una dichiarazione non richiesta: “Questo libro è il frutto dell’immaginaria manipolazione di una storia mai accaduta”, In questa storia Jack Kerouac va in orbita nello spazio per conto della CocaCola Enterprise Inc., il suo amico Neal Cassady cerca di baciare Marilyn Monroe che fa la commessa in una libreria, a cui s’aggiungono le succinte dichiarazioni d’amore al telefono a Norma Jean Mortensen, che vive nella celebre casa sulla cascata, moglie di Arthur Miller. Questi personaggi dell’immaginario contemporaneo non rappresentano loro stessi, ma sono marionette svuotate del loro codice esistenziale realistico nelle mani dell’autore del testo che tutto proietta nel suo mondo dilatato. Un libro di certo insolito nel panorama letterario italiano, una riflessione sul grado zero dei nostri sentimenti nel contemporaneo che ci è toccato in sorte. Una riproposta questa di Minimum Fax degna di nota, che ci pone
dinanzi ad uno degli autori più colti ed originali oggi presente in Italia. Rossano Astremo GIANLUCA MOROZZI Cicatrici Guanda
Inutile negare la mia totale dipendenza dai mille rivoli linguistici e stilistici di questo autore bolognese. Gianluca Morozzi, dal suo esordio nel 2001 ad oggi, saltellando tra Fernandel, Manni, Castelvecchi e Guanda, prosegue il suo percorso letterario tra ilarità, calcio, fumetti, super eroi, musica e noir. La sua ultima creatura, Cicatrici, fa parte della sua produzione più “seria”, un progressive noir lo ha definito lo stesso Morozzi per contrapporsi alla lunga polemica sulla nascita del post noir. La storia parte dall’Irlanda e da una strage in famiglia, per poi trasferirsi nel Nord Italia dove un grigio e solitario tipografo, Nemo Quegg, che vive una vita assolutamente anonima, dorme di giorno e stampa di notte, si innamora sull’autobus di Felice, una ragazza carina che inizia la sua giornata lavorativa mentre Nemo la chiude. Da quell’incontro fatale in poi si intrecciano una serie di storie che porteranno il tipografo a commettere un brutale omicidio. Il romanzo è il racconto in prima persona di Nemo, dei fatti e delle vicende che hanno scatenato il suo ge-
sto. Un omicidio che chiude il cerchio in maniera inaspettata su una storia intrisa di colpi di scena, riferimenti musicali e nozioni religiose. Non si può svelare molto altro per non rovinare la festa della lettura a chi si trova tra le mani questo romanzo. Morozzi si conferma uno dei più poliedrici scrittori della scena italiana. E non si ferma mai. È già pronto il suo prossimo noir Stanotte muoio, il primo con un io narrante femminile. (pila) CARL HIAASEN Una donna di troppo Meridiano Zero
Ethan Coen non trovano più dai tempi di Fargo e Il grande Lebowski. Esilarante e ben ritmato, con personaggi che bucano la pagina (il detective Rolvaag, appassionato di serpenti, sembra Peter Stormare; il sessuomane incallito Chaz potrebbe avere la faccia di John Turturro, mentre Jeff Bridges sarebbe perfetto per interpretare l’ex sbirro Mick Stranahan e Uma Thurman, esperta di regolamenti di conti coniugali, per la protagonista). Una bomba brillante e magnificamente tradotta da Luca Conti e Luisa Piussi. Tempo stimato di lettura: 2 ore. Utile anche come manuale di sopravvivenza ad un partner tentato dall’uxoricidio. Nino G. D’Attis GEORGE NELSON Motown (storia e leggenda) Arcana
Ti chiami Joey, sei bella e anche molto ricca e stai precipitando giù da una nave da crociera, verso le acque gelide e insidiose dell’oceano. A scaraventarti oltre il parapetto è stato Chaz, il tuo secondo marito, la poco magica notte del vostro anniversario. Dalla tua morte, lui non potrà ricavare un centesimo… allora perché quel verme ha provato ad ucciderti? Sopravviverai, aggrappata a una balla di marijuana da trenta chili al largo della Florida, risoluta a prenderti la tua vendetta con un piano diabolico per far impazzire l’ex consorte. Carl Hiaasen (dal suo romanzo Strip tease è stato tratto il film interpretato da Demi Moore) ha scritto un thriller imbottito di ironia fulminante, praticamente il soggetto che Joel ed
La storia della Motown è la storia di un grande uomo, di una rivoluzione copernicana del suono e di un riscatto sociale senza precedenti. È la storia dell’incredibile scalata di Berry Gordy, tra i primi neri d’America a raggiungere e superare l’egemonia dei bianchi. Ma è anche il racconto di vite incredibili, di artisti immortali che hanno inciso la storia della musica contemporanea indissolubilmente con un carattere musicale mai visto né sentito
prima. Merito di una serie di fattori che uniti hanno creato un’alchimia unica e irripetibile. La Motown era una fabbrica di successi, produceva musica in maniera febbrile e contava su una serie di compositori e musicisti dalle doti fuori dal comune. Ascoltate i rivoluzionari giri di basso e batteria, la muraglie vocali l’irresistibile andamento che ha consegnato alla storia il R’n’B e il soul. George Nelson scrive pagine “definitive” raccontando il prima, i primi passi, l’esplosione, i retroscena, il trasferimento da Detroit a Los Angeles di una delle più grandi etichette discografiche della storia. Basti pensare solo ad alcuni nomi sotto contratto: Steve Wonder, Marvin Gaye, The Supremes, The Temptations solo per citarne alcuni. Lo stile di Nelson è quello tipico dei giornalisti e narratori americani: una ricostruzione precisa e doviziosa di particolari ma con il ritmo di un romanzo fantasy. Avvincente! (Op) SALVATORE CARACUTA Scirocco Icaro Un buon esordio letterario per Salvatore Caracuta, appassionato di cinema, titolare di una videoteca e regista di videoclip, che si cimenta per la prima volta con un romanzo. Scirocco mette insieme due cose di moda: il noir e il Salento. Il protagonista Enzo, dopo quindici anni di assenza volontaria, torna al suo paesello natale a causa di una notizia sconcertante. L’anziano padre è stato ferito gravemente in casa durante quello che sembra a tutti un tentativo di rapina. Da questo episodio si dipana una storia serrata intrisa di sentimenti e suspense. Se da un lato Enzo porta avanti una sua perLIBRI 51
sonale inchiesta per giungere alla verità, dall’altro ripercorre la sua infanzia, la sua adolescenza, il suo passato lontano incontrando vecchi amici e ripensando alle storie della sua famiglia. Un esordio promettente, con fluidità di racconto e colpi di scena al punto giusto, che qualche volta pecca di manierismo nel tratteggio delle tipicità salentine. Ambientare un noir nel Salento (tutto sole, mare, vento e Taranta) di oggi non era facile. Salvatore Caracuta invece riesce a non essere banale. (pila) LOREDANA DE VITIS Storie di amore inventato ilmiolibro.it
ha disegnato la grafica di copertina (molto carina), lo porta in giro in tutta Italia (mentre scrivo lei è a Bologna), lo commercializza e lo ama, in fondo, come (e forse anche di più) se avesse sul dorsetto il marchio di una grande casa editrice. Storie d’amore inventato raccoglie cinque racconti, cinque situazioni, cinque fotografie, cinque pezzi brevi che in poche pagine riescono a condensare, a riassumere più di quanto probabilmente ognuno di noi riuscirà a provare, in fatto d’amore in tutto l’arco della sua vita. E l’amore, si sa, è importante. Un libro veloce, agile, che non maschera (e davvero non ce n’è bisogno) l’urgenza con cui è stato scritto. Urgenza di narrare, di raccontarsi, di condividere un’esperienza. Che poi è il senso della scrittura. Quella vera, che non ha bisogno degli orpelli e che non ha paura dei fallimenti. Dario Goffredo MAURO CHEFA K.O. Lupo Editore
Il self publishing non è una novità dell’ultimo momento, diciamo che da quando è arrivato Gutenberg è arrivata la possibilità di pubblicare e stampare libri in modo piuttosto facile. La rivoluzione, se vogliamo, è invece come sempre internet, che ha spinto il self publishing a livelli impensabili ai tempi del carattere mobile. Non credo che ci sia nulla di male nell’autopubblicare un proprio libro, visto che conosco abbastanza bene il mondo editoriale italiano. Un esempio del chi fa da sé fa per tre è la leccese, amica e collega, Loredana De Vitis, che oltre ad averlo scritto, il suo libro, l’ha anche impaginato, ne 52 LIBRI
Questo libro non è un esercizio di stile. Piuttosto un esercizio di memoria. Sequenza di ricordi, personaggi e storie vere, impastati a stralci di canzoni in un vortice a 45 giri che canta momenti chiave della vita di Chefa. Il viaggio inizia e finisce
a Novoli, il paese dove è nato l’autore. Ma tocca Trepuzzi, Rimini, Milano, Berlino e tante altre tappe, ripercorse in un flusso di coscienza fra i grumi di memoria che diventano parole. Ritornano vecchi fantasmi, come quei calci e quelle sberle che facevano sanguinare il corpo della madre di Chefa, ma non si viaggia in cerca di risposte. Si scava nella vita alla ricerca della propria storia lasciando che gli input arrivino dal vento che soffia lungo l’unica via possibile: la strada, appunto. Ferma restando l’importanza geografica del libro che fotografa personaggi ed eventi della storia salentina a cavallo fra anni 80 e 90, la narrazione di Chefa ha il ritmo imprevedibile di un concerto rock, con picchi d’intensità che lo rendono un romanzo on the road universale. Non vi è un briciolo di retorica. Ogni dettaglio è vissuto, un brivido vero. Le frasi ridondanti che rallentano la narrazione seguono le derive mentali dello scrittore; la sua ansia si percepisce nella frammentarietà di alcune pagine, mentre le positive vibrations si coagulano in periodi che risuonano come versi. Accade poi che la prosa diventi poesia, che un intero capitolo sia congelato in una filastrocca in dialetto, oppure che la narrazione riprenda parti di canzoni. I messaggi di Clash, Assalti Frontali, SudSoundSystem e la musica di Soul To Soul, Tarwater, Nick Drake, Sigur Ros e Radiohead, svelano il legame simbiotico fra l’occhio che vede e l’orecchio che sente. Un legame che ha il potere di cristallizzare i ricordi per sempre. Tobia D’Onofrio
La carta e il territorio non è un libro di Houellebecq. Perché uno scrittore è tale quando il suo nome non identifica più una persona, ma un mondo. Nella Carta e il territorio, c’è poco Houellebecq. Più di quanto ce ne fosse in quel pastrocchio imbarazzante della Possibilità di un’isola, d’accordo. Ma mai abbastanza. E se compro un libro di Houellebecq, penso di avere il diritto di leggere un libro-Houellebecq. C’è un pittore contemporaneo, Jed, che si rivolge allo scrittore Michel Houellebecq per chiedergli l’introduzione agiografica a un suo catalogo che ne esalti l’opera. E qui c’è il giochetto, già desueto, dello scrittore che si infila nel libro come personaggio spassandosela a gettarsi addosso palate di sterco (e immaginiamo, quando non sentiamo, anche le risatine fuori campo dell’autore Houellebecq) con personaggi arraffati dalla realtà
(come lo scrittore Beigbeder). Molto deja vu, tanto che viene da chiedersi: ma l’autore Houellebecq legge mai letteratura contemporanea? Andiamo avanti. Tutto procede in modo abbastanza sonnacchioso fino a pagina 227, quando una scena lievemente splatter induce a una levata di palpebre. Da qui il romanzo si biforca tra l’attività degli investigatori (con un finale stanco da thrilling americano che verrebbe da dirgli: ma ‘ndo’ cazzo vai?) e il seguito della vita di Jed. Nella Carta la caccia alla cifra appassionatamente nichilista di Houellebecq è dura. È fruttuosa in alcune riflessioni sulla scrittura o sulla vita dei contemporanei; oppure nella scena, (questa sì, superba) dell’hospice di Zurigo (se avete la pazienza di sorbirvi 300 pagine). Per il resto nulla in contrario, quando si cerca di spiazzare il lettore, anzi. Ma sventurato è il romanzo in cui, alla fine, viene da chiedersi: e poi? Antonio Iovane
MICHEL HOUELLEBECQ la carta e il territorio Bompiani Houellebecq ha vinto il Goncourt. Fino a ieri, l’antipatico scrittore francese non avrebbe avuto uno straccio di possibilità, ed è per questo che adesso i suoi nemici sostengono che il suo quinto romanzo sia un’opera dai toni smorzati, poca cosa rispetto alla produzione precedente. Niente di più falso: per il coraggio di mettere perfettamente a fuoco il dramma del vivere nel nostro tempo, il suo contributo a mantenere alto il livello che separa la letteratura dal pattume meriterebbe meglio quel Nobel assegnato in passato a Camus e Sartre. La Carta e il territorio è un romanzo dalle mille risonanze affettive nascoste sotto una superficie logico-descrittiva, dedicata alla scomparsa della sensibilità. È il lavoro di un intellettuale che dice che l’arte non basta a raccontare l’esistenza. Non ce la fa, a ben vedere, a riportare la complessità degli esseri umani. Nella più rosea delle ipotesi, approda a un mercato dei manufatti che, dietro la sua veicolazione globale nasconde una verità disarmante: l’oggetto artistico è sempre più degno di nota della realtà attraverso di esso riprodotta. Più interessante della vita vera, come dire che è meglio immaginarsi un romanziere per mezzo di ciò che la stampa dice di lui piuttosto che incontrarlo in carne ed ossa, magari in pigiama e ciabatte e con una voglia di dialogare col prossimo pari a zero. Che il fascino di un oggetto artistico risieda
essenzialmente in questo, lo scopre Jed Martin quando afferma che «la carte est plus intéressante que le territoire» a proposito di una sua riproduzione di una mappa Michelin dedicata a una zona dell’Alsazia. Jed il pittore di tele dedicate alle professioni umane (e alla dematerializzazione di alcune di esse). Jed che entra in contatto con lo scrittore Michel Houellebecq quando il suo gallerista se ne esce con l’idea di far scrivere all’autore di Estensione del dominio della lotta la prefazione del catalogo che documenterà la prossima mostra. Un catalogo, un altro manufatto, proprio come il romanzo di cui stiamo parlando. Ma le parole di Houellebecq (perfino quando raffigura se stesso nei panni del buffone), sono più forti, illuminano i desideri soffocati, la fine della tenerezza in uno scenario da terra desolata. Nel tessuto del libro c’è l’eco del pensiero di Baudrillard: “L’astrazione oggi non è più quella della mappa, del doppio, dello specchio o del concetto. La simulazione non è più quella di un territorio, di un essere referenziale o una sostanza. È piuttosto la generazione di modelli di un reale senza origine o realtà: un iperreale. Il territorio non precede più la mappa, né vi sopravvive.” Evviva! Il nuovo Houellebecq è ancora armato fino ai denti di una consapevolezza sconosciuta a chi è solito confondere la grande letteratura con la grande distribuzione di testi insulsi, falsamente consolatori. Nino G. D’Attis 53
EUMESWIL
Il nostro viaggio nell’editoria indipendente italiana passa da Eumeswil, piccola casa editrice che vanta grandi collaborazioni (Franz Krauspenhaar, Giulio Mozzi, Giorgio Vasta, Marino Magliani, solo per citarne alcuni) e libri di qualità che vengono stampati artigianalmente e con la massima cura. Abbiamo parlato con Stefano Costa, direttore editoriale. Eumeswil è una piccola casa editrice che ha alle spalle qualche anno. Ci parli della sua storia? Certamente, anche se per non annoiare, cercherò di farla breve. Eumeswil nasce nel 2004 e negli anni è cresciuta molto, arrivando a godere di una distribuzione nazionale. Mai dimenticando le proprie origini, continua a pubblicare narrativa e saggistica (di vario taglio, sia sociale che letterario-filosofico in senso stretto). Tanti però sono stati i passi in avanti, compreso quello di far parte di una struttura integrata che comprende anche un reparto tipografico in grado di auto-produrre i propri volumi, all’insegna della qualità artigianale di ognuno di essi. Negli anni sono stati tanti i nomi importanti che hanno collaborato e che so54 LIBRI
prattutto collaborano anche oggi con Eumeswil. Direttori di collana sono Francesco Forlani (Nazione Indiana), Marino Magliani (scrittore, tra gli altri, Longanesi), Giovanni Agnoloni, Guido Lucchini (Università degli Studi di Pavia). Qual è il ruolo che una piccola casa editrice può ritagliarsi nel mercato editoriale italiano, un mercato ormai ben più che saturo? La domanda richiede riflessioni sempre più complicate e, non meno banalmente, richiederebbe come minimo un saggio mirato sul tema. In due righe: in un mercato completamente saturo il ruolo di una piccola realtà indipendente passerà sicuramente per la qualità anche dell’oggetto-libro proposto (la qualità, in termini culturali, diamola per “condizione-base”). Credo che l’avvento degli e-book e/o e-reader penalizzerà non tanto il libro (in ogni suo aspetto), quanto più probabilmente il libro “standardizzato”, i mega best-sellers tutti uguali in cartonato con copertine completamente in quadricromia e su carte sempre più simili le une alle altre. Rimarrà, almeno questo mi auguro, il libro di pregio, via via sempre meno standardizzato e sempre
più vicino ai gusti artigianali. Un bel libro fotografico, ad esempio, credo sia difficile goderselo su un e-reader, così come un bel romanzo intervallato da dipinti o fotografie. Cioè: se è vero che sfogliare un libro sulla Sagrada Familia non è come esser a Barcellona sotto le sue guglie, è anche vero che esiste comunque una differenza tra l’ottimo prodotto cultural-tipografico e lo schermo (per quanto efficiente) di un supporto tecnologico. Per questo la nostra struttura ospita in sé anche la tipografia, ogni nostro libro viene realizzato con la massima cura e rilegato interamente a mano, rendendo ogni prodotto unico sul mercato. Altra questione: a guardare solo la punta dell’iceberg si direbbe che a vendere sia solo la non-qualità, il libro commerciale. In realtà non credo sia proprio così, c’è tanta qualità, anche e soprattutto grazie ai piccoli e indipendenti. Questi riescono anche a mettere a segno buoni colpi, a vendere qualcosa anche discretamente bene (in termini economici, intendo). Solo che poi la rotazione spietata dei libri sugli scaffali delle librerie ne cancella il risultato in pochi mesi. Il gap sta unicamente nella potenza di fuoco che un piccolo non riuscirà mai ad avere, di fronte ai grandi colossi. A meno che lo strapotere delle grosse catene librarie e editoriali non venga meno (o non si riduca di un minimo) a causa delle “nuove” (ormai neanche più tanto) tecnologie sulle quali
investire, come internet o libri “scaricabili”. Quali sono i vostri ultimi progetti? Tra le prossime uscite avremo Microfictions di Regìs Jauffrét (acquisito dalla francese Gallimard) vincitore dei premi: Décembre e Casa dei pazzi, Prix Femina, France Culture/Télerama. La marea del tempo di Raul Carlos Maìcas, uno dei più importanti intellettuali spagnoli e William Wall con No Paradiso finalista al premio Carver. Di italiani pubblicheremo Giacomo Sartori, Franz Krauspenhaar, Paolo Mastroianni, Pasquale Vitagliano, Valter Binaghi... tutti scrittori che non hanno bisogno di grandi presentazioni. La qualità delle pubblicazioni è arantita dalla competenza di Direttori di Collana quali: Francesco Forlani, Marino Magliani e Giovanni Agnoloni. Tre titoli da consigliare ai nostri lettori? Tra gli ultimi usciti sicuramente: Il magazzino delle alghe, di Marino Magliani. Romanzo atipico pubblicato con inediti di autori quali: Giorgio Vasta, Beppe Sebaste, Franco Arminio, Franz Krauspenhaar, Valter Binaghi e molti altri. Il giorno della Iena, di Stefano Lorefice. Gli occhi di Caino, di Riccardo Ferrazzi. Dario Goffredo
CINEMA TEATRO ARTE
FABRIZIO SACCOMANNO Tuglie col bene che ti voglio... Dopo il racconto dell’emigrazione e del lavoro di Via, l’attore e autore Fabrizio Saccomanno torna al teatro di narrazione con Iancu, un paese vuol dire, scritto a quattro mani con Francesco Niccolini, per la regia di Salvatore Tramacere. Uno spettacolo dedicato al piccolo comune salentino di Tuglie, suo paese d’origine. Alla prima ai Cantieri Koreja di Lecce (venerdì 19 e sabato 20 novembre), che ha inaugurato la nuova stagione di Strade Maestre, sembrava 56 cinema teatro arte
di essere proprio lì, nel paese dove si svolgono i fatti. In platea il sindaco, un paio di ex sindaci (compreso l’attuale presidente della Provincia), molti cittadini comuni e alcuni dei personaggi raccontati nella storia di Saccomanno. La storia di una giornata particolare, una domenica dell’agosto 1976, quando nel paese si sparse la voce della presenza nelle campagne di Graziano Mesina, il noto bandito sardo, avvezzo alle evasioni, scappato dal carcere di Lecce due giorni
prima. Nella caccia all’uomo, che coinvolge forze dell’ordine, giornalisti, ghenghe dei piccoli, contadini e casalinghe, si innestano i racconti dell’attore che ricorda i personaggi del paese, la prostituta Rosa Parata, il vecchio zoppo e molto altro ancora visto con gli occhi di un bambino. Un racconto che si svolge storicamente a Tuglie ma che ben si adatta a qualsiasi piccola comunità, soprattutto del Sud Italia, con le maldicenze, i soprannomi, gli sfottò, le gare tra chierichetti, le fionde e le corse in bicicletta, le diatribe familiari, i personaggi tipici di una commedia andata veramente in scena. Un testo che fa ridere e contemporaneamente porta a riflettere su una società che non c’è più, nella quale la gente non si sorprende più all’arrivo della tv e anzi s’imbelletta e spera di essere chiamata in causa per raccontare e commentare qualche atroce delitto. Ancora una volta Saccomanno dimostra di essere a suo agio in questo tipo di teatro senza fronzoli. “È il teatro che a me piace di più. Niente effetti speciali, luce fissa, non ci sono orpelli”, sottolinea l’attore. “Il teatro è arte antica, è arte artigianale, ha a che fare col sudore, è odore di legno, un luogo pieno di corde, di oggetti, non è glamour e raccontare la considero una scelta politica”. Un racconto che usa una lingua semplice, diretta, intrisa di dialetto salentino. “È un linguaggio molto terragno, concreto, semplice, non si può raccontare che con un linguaggio semplice. L’uso del dialetto ha una doppia valenza. Intanto il dialetto è la mia lingua madre, la lingua dei sentimenti, io penso in dialetto, ha delle espressioni potenti che non hanno equivalenti in italiano, e poi, in teatro, non è assolutamente un limite, può sembrare strano ma il dialetto, è più forte fuori che qui, considerata una lingua quasi comica, di sicuro priva di dignità”. Uno spettacolo che attraverso la storia di un bambino e della sua comunità racconta dell’Italia e dei suoi malesseri. La rassegna Strade Maestre prosegue mercoledì 8 dicembre con Le Scarpe della compagnia Teatro Minimo di Andria. Sabato 18 dicembre torna ai Cantieri l’attore e regista Marco Paolini con T4: vite indegne di essere vissute. Studio per un racconto. Domenica 19 e lunedì 20 dicembre i modenesi Modus propongono invece Iovadovia. A gennaio due appuntamenti dedicati alla Germania. Dal 4 all’8 gennaio (dalle 18.00 alle 23.00) Bruno Pilz propone Lacrimosa, performance di 10 minuti per 2 persone. Infine il 26 gennaio Familie Floez propone Ristorante Immortale. Tutte le info su www.teatrokoreja. it (pila)
FLASHBACK
Le sale della 37Art Gallery di Lecce ospitano l’esposizione personale di Sergio Lombardino intitolata Flashback. Affermava Warhol: “La Pop Art è un modo di amare le cose”. Le opere esposte dall’artista romano sono caratterizzate da stilemi che abbracciano la “mitica Pop Art statunitense”, non tanto per quel che riguarda la sua tecnica pittorica, intrisa di retaggi afferenti all’arte del restauro appresa dal padre, ma quanto per quella eclettica e frizzante rielaborazione dei grandi temi dell’immaginario contemporaneo: la tecnologia, la macchina, la merce, la fotografia, il fumetto ed il paesaggio urbano. Attraverso un disegno vibrante e particolareggiato, Lombardini offre al fruitore una personale visione del suo modo di intendere quell’arte “tanto cara alla cultura popolare di massa”, palesata sia nell’istantanea prospettiva di una e piovosa Times Square, sia nel fermo immagine cenerino di un’imponente locomotiva d’altri tempi. Le sue opere possono essere intese come affascinanti “frammenti di vita” e accentuano quegli accattivanti scorci autobiografici vissuti nelle venature noir della sua Roma; nonostante la stesura di quel monocromo al grigio fumo che “sporca” la superficie pittorica, l’immagine assume l’effetto di un’antiquata pellicola cinematografica, nostalgica e allo stesso tempo iconograficamente aggiornata; elabora il colore fino a farlo “invecchiare” articolando la struttura compositiva del soggetto per mezzo di una serie di numerose modulazioni. Durante il processo creativo, l’artista adopera sia olii che smalti, impiegati il più delle volte tramite la tecnica dell’Action Painting, assieme alla commistione di particolari effetti sul fondo della tela ottenuti con l’utilizzo di vecchi fogli di giornali; il dripping, ossia lo “sgocciolamento”, sigla la conclusione del “processo” artistico di Lombardini. Nell’aforisma di Warhol si può leggere il senso dell’espressione pittorica dell’artista capitolino, catalizzata nel solco dell’azione del “significante”, ovvero della “forma”, sia essa una Fiat 500, Topolino o Che Guevara che, rinvia ad un intimo contenuto/emozione che ognuno di noi ha vissuto e riversato in essa. Le seducenti “cose” raffigurate da Lombardini sono immagini che, nonostante siano create dall’amore e dalla passione dell’artista, hanno la forza di esprimere un comune sentimento condiviso e compreso da tutti. Giuseppe Arnesano 57
EVENTI DICEMBRE GIOVEDÌ 2 Ggd al Molly Malone di Lecce Davide Arena New Quartet alla Masseria Ospitale di Lecce Oliver Y la confusion al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) VENERDÌ 3 Open Mic al Molly Malone di Lecce Simone Perrone all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Ard Trio al Vite di Nardò (Le) SABATO 4 Salento Soundboy Conference all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Tobia Lamare, Sonic The Tonic e Cleopatra Sound all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Walter Leoanardi e Marco Bardoscia al Vite di Nardò (Le) DOMENICA 5 Dj Premier all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Paipers al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Elio in Gian Burrasca alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Messapia 21 al Tequila Bum Bum di Alezio (Le) Walter Leoanardi al Coffeandcigarettes di Lecce LUNEDÌ 6 Tobia Lamare al Molly Malone di Lecce MARTEDì 7 Rio al Planet di Lequile (Le) Junior Kelly all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Controfestival alla Casa delle musiche Puglia Sounds di Bari MERCOLEDÌ 8 Rewind al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce 58 EVENTI
GIOVEDÌ 9 Ard Trio alla Masseria Ospitale di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) U2 tribute band al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Checco Leo e Paolo Colazzo alle Cantine Menhir di Minervino (Le) VENERDÌ 10 Exenntia al Molly Malone di Lecce Soul to soul all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Rotten Apples, Shotgun Babies, Souther Cult all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Squartet ai Sotterranei di Copertino (Le) Cesko (dj set) al Vite di Nardò (Le) Le luci della Centrale Elettrica alla Casa delle musiche Puglia Sounds di Bari Lucia Manca (Puglia Sounds) al Teatro di Novoli (Le) SABATO 11 Jah Lion all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Noyz Narcos, Duke Montana, Dj Gengiscan e Aban all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Ballakè Sissoko e Vincent Segal alla Casa delle musiche di Bari Eva Mon Amour alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) Hank all’Arci 37 di Giovinazzo (Ba) Carlo della Santa e Mitcha con Carla Casarano e Marco Rollo al Vite di Nardò (Le) DOMENICA 12 Piccola Orchestra a Manovella al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Presentazione collana Coolibrì e concerto di Tobia Lamare & The Seller e Lucia Manca alla Taverna Vecchia del Maltese di Bari Andrea Sabatino 5tet al Tequila Bum Bum di Alezio (Le) Aperitivo e musica con Diamantis Trio (Grecia) al Coffeeandcigarettes di Lecce Carlo della Santa e Mitcha al
Coffeandcigarettes di Lecce LUNEDÌ 13 Accademia dei cameristi alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari MARTEDÌ 14 Malika Ayane (Puglia Sounds) al Teatro Verdi di Brindisi Alessio Viola presenta Il ricordo è un cane che azzanna alla Libreria Gutenberg di Lecce MERCOLEDÌ 15 Lezioni di rock a cura di Gino Castaldo ed Ernesto Assante alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 16 Checco Leo alla Masseria Ospitale di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) La corte dei Sciuscià al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Ard Trio al Molly Malone di Lecce Giorgio Canali & Rossotiepido al Teatro Paisiello di Lecce Harmonia alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Max Gazzè al Teatro Fasano di Taviano (Le) VENERDÌ 17 Dama all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Daniela D’Ercole trio Area Reunion alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Club Dogo al Demodè di Modugno (Ba) SABATO 18 Italian Job all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Cuentas Claras all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Pier Cortese alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) Mercan Dede e Secret Tribe alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Flavio Pirini e Raffaele Casara-
no al Vite di Nardò (Le) DOMENICA 19 Motel Connection all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Pier Cortese al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Danilo Rea e Giorgio Barberio Corsetti alla Casa delle Musiche Puglia Sounds di Bari Libro sui libri a cura di Rossano Astremo all’Alambicco di San Cesario (Le) Aperitivo e musica con World Wide Percussion (SudAmerica) al Coffeeandcigarettes di Lecce Flavio Pirini al Coffenadigarettes di Lecce MERCOLEDÌ 22 Mama Marjas fead Don Ciccio e Miss Mykela all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 23
Xmas Party alle Officine Cantelmo Messapia 21 alla Masseria Ospitale di Lecce Noa (Puglia Sounds) al Teatro Politeama di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Fonokit al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Carla Casarano e William Greco alle Cantine Menhir di Minervino (Le) VENERDÌ 24 The Fillers al Molly Malone di Lecce Morkobot ai Sotterranei di Copertino (Le) Congorock all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) SABATO 25 Nesli all’Arena Live di Capignano Salentino (Le) Marco Bardoscia e Alessia Tondo ai Sotterranei di Copertino (Le)
Postman Ultrachic all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) DOMENICA 26 Shotgun babies ai Sotterranei di Copertino (Le) Tobia Lamare & The Sellers alle Officine Cantelmo di Lecce Ballarock all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Mr Reputation – Omaggio a De Andrè al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Redrum Alone all’Arci 37 di Giovinazzo (Ba) Brown Sugar Blues Band al Tequila Bum Bum di Alezio (Le) Aperitivo e musica con MijiKenda (Kenya) al Coffeeandcigarettes di Lecce LUNEDÌ 27 Michael Rose all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Beatrice Antolini (Puglia Sounds) al Teatro di Novoli (Le) Kaos & Dj Triz, Gopher e Frit-
59
ti Mistici all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Antonello Taurino e William Greco al Vite di Nardò (Le) MARTEDÌ 28 Open Mic al Molly Malone di Lecce Curcitumbule di e con Mino De Santis e Antonio Calò ai Sotterranei di Copertino (Le) The gothic Metal celebration all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Beatrice Antolini al Teatro Kismet di Bari Antonello Taurino al Coffeandcigarettes di Lecce MERCOLEDÌ 29 After Xmas Reggae Party all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Evy Arnesano e Spread Your Legs all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 30 Piazza Indipendenza alla Masseria Ospitale di Lecce Somuch Akiss ai Sotterranei di Copertino (Le) Bunda Moove, Cesko e Rekkia (Apres La Classe) all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Combass – A spasso col basso al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Piccola compagnia instabile alla Saletta della Cultura di Novoli
RESET Teatro Paisiello di Lecce Dal 16 dicembre
(Le) GENNAIO DOMENICA 2 Aperitivo e musica con Triace (Salento) al Coffeeandcigarettes di Lecce MARTEDÌ 4 Gli orrori all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Kiss and the gang al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Raiz & Giuseppe de Trizio al Teatro Paisiello di Lecce MERCOLEDÌ 5 Yaga Yaga Sound System all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Oh Petroleum all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 6 Mauro Petri Roots Band all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) VENERDÌ 7 Open Mic al Molly Malone di Lecce Re/Vival 60’s party all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Leitmotiv al Teatro Paisiello di Lecce SABATO 8 Amia Venera Landscape
Nell’ambito della residenza teatrale curata da Astragali presso il Teatro Paisiello di Lecce, nasce Reset una nuova rassegna per altra musica organizzata da Pelagonia Concerti. I primi cinque concerti danno già il segno di quello che sarà, tra rock e musica d’autore. Si parte venerdì 16 dicembre con Giorgio Canali e il suo nuovo progetto Rossotipeido. Martedì 4 gennaio appuntamento con il leader degli Almamegretta
all’Istanbul Cafè di Squinzano (le) DOMENICA 9 Aperitivo e musica con Ariel Y Marcello (Cuba) al Coffeeandcigarettes di Lecce MARTEDÌ 11 Zona Franca (induma teatro) al Molly Malone di Lecce MERCOLEDÌ 12 Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 13 Filippiakos al Molly Malone di Lecce VENERDÌ 14 Rock Cow Billies al Molly Malone di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) SABATO 15 Haccanito fun live all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) La fame di Camilla al Demodè di Modugno (Ba) Luca Tarantino e Vito De Lorenzi ai Sotterranei di Copertino (Le) DOMENICA 16 Aperitivo e musica con Luisa Spagna e Paola Pacciolla al Coffeeandcigarettes di Lecce MERCOLEDÌ 19
Raiz affiancato dal musicista barese Giuseppe De Trizio. Venerdì 7 gennaio spazio alla band tarantina Leitmotiv e, restando in Puglia, giovedì 20 gennaio concerto del duo composto da Amerigo Verardi e Marco Ancona. La prima trance si chiude con l’attesa esibizione dell’ex leader dei Quintorigo John De Leo. I concerti prenderanno il via alle 20.30. Tutte le info su www.pelagonia.it
Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 20 Serpentine al Molly Malone di Lecce Marco Ancona e Amerigo Verardi al Teatro Paisiello di Lecce
ARENA LIVE MUSIC
Prosegue la programmazione del locale di Carpignano Salentino
VENERDÌ 21 Simona Stamer al Molly Malone di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) SABATO 22 Rinoplastici all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Camera 237 ai Sotterranei di Copertino (Le) DOMENICA 23 Aperitivo e musica con Talea Trio (Albania) al Coffeeandcigarettes di Lecce MERCOLEDÌ 26 Jam Session al Coffeandcigarettes di Lecce GIOVEDÌ 27 Valeriana al Molly Malone di Lecce VENERDÌ 28 The Heartbreakers al Molly Malone di Lecce Down South Battle all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) SABATO 29 Bachi da pietra ai Sotterranei di Copertino (Le) Videomind (Paura, Tayone e Clementino) all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) DOMENICA 30 Aperitivo e musica con Redemtion (Giamaica) al Coffeeandcigarettes di Lecce Tutti gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Reggae, hip hop, rock e soul. Grandi nomi internazionali e italiani alternati al meglio della musica del Salento. Prosegue la programmazione dell’Arena Live di Carpignano Salentino, in provincia di Lecce. L’appuntamento più atteso è per domenica 5 dicembre con lo statunitense Dj Premier, il re dell’hip hop affiancato da Nick Javas, Aban, Blackjeekous, Bad Side Massive, Dj Trinketto-SkemaGsq, Dj Zone e Dj War. Ma già martedì 7 dicembre arriva un’altra superstar del reggae internazionale, il giamaicano Junior Kelly. Dopo le hit “Love so nice”, “Smile”, “Blaze”, “Rasta should be deeper”, l’artista di Spanish Town è nel Salento per presentare il suo ultimo lavoro “Red Pond”. Sabato 11 dicembre per aprire la stagione in versione Dub Club dell’Arena Live Music i Black Star Line sound system ospitano Jah Lion, un progetto nato nel 1997 che oggi propone buona musica conscious reggae di tutte le età. Sabato 18 dicembre dopo il grande successo del primo appuntamento di novembre, ritorna Italian Job, rassegna dedicata agli artisti più rappresentativi del panorama reggae, dance hall e
hip hop italiano e non solo. Il secondo appuntamento vedrà sul palco Biggie Bash di BoomdaBash, i romani Dancehall Soldiers, gli Heavy Hammer, vincitori del Riddim Clash e tanti ospiti. Domenica 19 dicembre appuntamento con Motel Connection, progetto di Samuel, voce dei Subsonica, sempre più in grado di pilotarsi verso strade sconosciute. Sabato 25 dicembre, in esclusiva per il Salento, Nesli approda a Carpignano per presentare il nuovo cd “L’amore è qui”. Ad accompagnarlo ci sarà Aban con il Sud Est Showcase e Irie Movement con Resina Sonora, Dj Cordella e Paparina. Lunedì 27 dicembre grande attesa per l’esibizione del giamaicano Michael Rose, uno dei più grandi cantanti reggae viventi, e della crew romana Cool Runnings Sound. Mercoledì 29 dicembre dopo il successo dello scorso anno torna l’After Xmas Reggae Party ricco di sorprese. Mercoledì 5 gennaio appuntamento con Yaga Yaga Sound System, fondato nel 2001 a Roma da 9 persone con la passione della reggae music. Tutti gli appuntamenti nel calendario di queste pagine e sul sito www.carpignanoeventi.com.
61
LUCIA MANCA Teatro Comunale di Novoli 10 dicembre
Vasco Rossi, Gianna Nannini, Anna Oxa, Daniele Silvestri, i Pooh, Emma Marrone e Lucia Manca. Qual è l’intrusa? Nessuna! Queste sono alcune delle tredici produzioni sostenute da Puglia Sounds, l’articolato programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema
musicale regionale. Oltre ad alcuni nomi noti della scena italiana, le produzioni riguardano infatti anche esordienti (o quasi) pugliesi. Tra questi Lucia Manca, la giovane cantautrice di Guagnano che venerdì 10 dicembre al Teatro Comunale di Novoli proprone il suo nuovo spettacolo affiancata dalla sua band composta da Michele Russo (chitarra), Mauro Ingrosso (basso) e Andrea Rizzo (batteria) affiancata per l’occasione dal chitarrista, cantante e produttore Giuliano Dottori che ha arrangiato tutti i brani. Lucia Manca è una giovane cantautrice raffinata, dotata di una scrittura elegante e profonda, compone intrise di forza immaginativa, espressione senza limiti di tempo e spazio. La sua musica risente della poetica delle più note canzoni d’autore insieme al folk, al pop e al rock. Cosi nasce nel 2007 il primo Ep Sospesa, a cui segue un’intensa attività live, otte-
nendo buoni consensi di pubblico e critica. Un suo brano scritto insieme a Gianluca De Rubertis (Il Genio) è inserito ne “I Prepotenti”, primo titolo della collana di albi illustrati TrentatrèperTrentatrè, pubblicata da Lupo editore. Attualmente sta lavorando al primo cd con la produzione artistica di Giuliano Dottori, cantautore milanese e chitarrista degli Amor Fou. “Ho conosciuto personalmente Giuliano due anni fa ad un concerto degli Amor Fou a Lecce”, sottolinea Lucia Manca. “Subito è nata una stima artistica reciproca e una forte amicizia, da lì la collaborazione musicale che mi sta facendo crescere tantissimo; con lui sto prendendo tutto quello che viene fuori senza alcun problema”. Il concerto, a cura di Coolclub, prenderà il via alle 21.30. Ingresso 5 euro. Info www.pugliasounds.it; www.coolclub.it; 0832303707.
DOVE TROVO COOLCLUB.IT? Coolclub.it si trova in molti locali, librerie, negozi di dischi, biblioteche, mediateche, internet point. Se volete diventare un punto di distribuzione di Coolclub.it (crescete e moltiplicatevi) mandate una mail a redazione@coolclub.it o chiamate al 3394313397 Lecce (Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Caffè Letterario, Shuluq, Svolta, Cagliostro, Coffee and Cigarettes, Arci Zei, Libreria Palmieri, Liberrima, Libreria Apuliae, Ergot, Youm, Pick Up, Libreria Icaro, Fondo Verri, Negra Tomasa, Road 66, Mamma Perdono Tattoo, Shui bar, Cantieri Teatrali Koreja, Santa Cruz, Molly Malone, La Movida, Biblioteca Provinciale N. Bernardini, Museo Provinciale Sigismondo Castromediano, Edicola Bla bla, Urp Lecce, Castello Carlo V, Torre di Merlino, Trumpet, Orient Express, Euro bar, Cts, Ateneo - Palazzo Codacci Pisanelli, Sperimentale Tabacchi, Palazzo Parlangeli, Buon Pastore, Ecotekne, La Stecca, Bar Rosso e Nero, Pizzeria il Quadrifoglio, Associazione Tha Piaza Don Chisciotte), Calimera (Cinema Elio), Cutrofiano (Jack’n Jill), Maglie (Libreria Europa, Music Empire, Suite 66), Melpignano
(Mediateca, Kalì), Otranto (Anima Mundi), Alessano (Libreria Idrusa), Galatina (Palazzo della Cultura, Gamestore), Nardò (Libreria i volatori, Vite, Aioresis Lab), Novoli (Saletta della Cultura Gregorio Vetrugno), Squinzano (Istanbul Cafè), Ugento (Sinatra Hole), Gagliano Del Capo (Enoteca Torromeo, Tabacchino Ricchiuto), Presicce (Jungle pub, Arci Nova), Salve (Chat Noir, Le Beccherie), Ruffano (Soap), Casarano (Caffè Cortes), Castrignano del Capo (Extrems), Brindisi (Libreria Camera a Sud, Goldoni, Birdy Shop), Ceglie (Royal Oak), Erchie (Bar Fellini), Torre Colimena (Pokame pub), Oria (Talee), Bari (Taverna del Maltese, Caffè Nero, Feltrinelli, Kismet teatro, New Demodè, TimeZones, Teatro Forma, H25, Casa della musica Puglia Sounds), Giovinazzo (Arci 37), Trani (Spazio Off), Taranto (Associazione Start, Trax vinyl shop, Gabba Gabba, Biblioteca Comunale P. Acclavio, Alì Phone’s Center, Artesia, Radiopopolaresalento), Manduria (Libreria Caforio), Roma (Circolo Degli Artisti) e molti altri ancora...