anno VIII numero 71/72 febbraio/marzo 2011
IL CIRCUITO AFFASCINANTE
IL CIRCUITO AFFASCINANTE A chi dice che non c’è mai niente da fare è dedicato questo numero. Il primo di un anno che si apre quasi come una minaccia alla pigrizia. E questo perché dopo il cinema e il teatro questo è l’anno della musica. Un bastimento carico di concerti ma non solo è sbarcato e promette grandi cose. Quasi sempre parliamo di musica, alcune volte di musica in Puglia. Lo abbiamo sempre fatto con una prospettiva artistica. Quello che abbiamo provato a fare in questo numero è invece capire cosa succede al sistema che tiene in piedi la musica, a chi ci lavora, un po’ come noi. In questo nuovo numero del giornale ci siamo lasciati prendere la mano, un po’ perché investiti direttamente dalle luci di questa ribalta, un po’ perché curiosi di analizzare un momento importante per il nostro territorio. Sono ai nastri di partenza una serie di opportunità che potrebbero cambiare il profilo del mondo dello spettacolo, dare spessore a un settore per molto tempo e da molti considerato frivolo. Il risultato è un calendario di eventi che fa della Puglia il palco d’Italia. Ce n’è per tutti i gusti e un po’ per tutta la regione. Molti di questi artisti saranno in Salento e ad alcuni abbiamo fatto
qualche domanda (Erica Mou, Marracash, Alberto Castelli). Sorpresi da come, ancora, la musica sia capace di emozionarci abbiamo parlato con Alberto dei Verdena (a cui abbiamo dedicato la copertina) di Wow, un disco che fa ben sperare per il futuro del rock in Italia. Ancora curiosi per quello che c’è di nuovo abbiamo intervistato Denise esordio della Alkemy, etichetta discografica guidata da Gianni Maroccolo. E poi le conferme. Giancarlo De Cataldo torna nelle librerie con il suo nuovo I traditori. Oltre a lui per la sezione dedicata ai libri abbiamo intervistato Francesco Cortonesi autore di Gotham polaroid il nuovo titolo della nostra collana editoriale Coolibrì che uscirà nelle prossime settimane. Il cinema guarda alla Puglia con Rockman film documentario di Mattia Epifani su una figura mitica per il reggae salentino e nazionale: Militant P, per poi dedicarsi a uno dei film dell’anno Vallanzasca con un’intervista all’attrice Valeria Solarino. Il resto sta a voi scoprirlo, buona lettura. Osvaldo Piliego Editoriale 3
CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 8 Numero 71-72 febbraio - marzo 2011 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, Tobia D’Onofrio Hanno collaborato a questo numero: Cosmaseven, Lucio Lussi, Giancarlo Susanna, Marco Chiffi, Nino G. D’Attis, Lori Albanese, Roberta Cesari, Dino Amenduni, Rossano Astremo, Maria Grazia Piemontese, Giuseppe Arnesano. In copertina: Verdena (foto di Paolo De Francesco) Ringraziamo Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Cooperativa Paz di Lecce, Laura Casciotti e le redazioni di Blackmailmag.com, Radio Popolare Salento, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Salento WebTv, Radiodelcapo, Musicaround.net, Salentoconcerti.com, Radio Venere e Radio Peter Pan.
IO CANTO ITALIANO
Il circuito affascinante 6 Marracash 10 Erica Mou 12 Alberto Castelli 16
Progetto grafico erik chilly Impaginazione dario Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione festeggiando due collaboratori iscritti all’albo dei pubblicisti Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: pierpaolo@coolclub.it 3394313397
musica
Verdena 18 Denise 20 Recensioni 26 Salto nell’indie - Quarantadue Records 40 Libri
Giancarlo De Cataldo 42 Francesco Cortonesi 44 Recensioni 46 Cinema Teatro Arte
Il reggae militante di Rockman 54 Valeria Solarino 58
Eventi
Calendario 60 sommario 5
In foto: Paolo Benvegnù
LA PUGLIA CHE SUONA
Nuovi piccoli grandi progetti per il futuro Che poi alla fine ci si conosce tutti, si dice spesso da queste parti. Vero come il fatto che sono proprio i vicini di casa a esserci estranei. Per una sorta di diffidenza endemica di questa terra, per una certa ritrosia a non fidarsi del prossimo, tipica dell’uomo. E così un po’ in tutti i campi. Anche la cultura in Puglia per molti anni ha coltivato orticelli confinanti, alcuni cresciuti rigogliosamente, ma ben chiusi dietro steccati. Fino ad oggi, giorni in cui l’abbondanza ha fatto debordare una regione incontenibile. La Puglia attraversa un momento nodale della sua storia musicale e culturale in genere. Per la prima volta tutto sembra muoversi in sincrono: l’offerta artistica interna, l’impresa privata, l’intervento pubblico. 6
IL CIRCUITO AFFASCINANTE
Da qualche tempo i tanto agognati luoghi traboccano in ogni provincia, alcuni occupati da progetti illuminati, altri meno. Dove prima si lamentava la mancanza oggi forse c’è un’offerta che supera (o supererà molto presto) la richiesta. Un sistema Puglia nuovo si inaugura, si offre uno scenario inedito non solo agli spettatori ma anche agli attori dello spettacolo. Ad occhi esterni può sembrare un nuovo Eden, la terra promessa da tutti ma realizzata solo da Vendola. Ma non è proprio così. Quello che siamo oggi deriva da un processo di emancipazione che costruiamo da anni e che oggi si manifesta con irruenza grazie a una serie di fortunate convergenze. È nata l’esigenza da più parti di registrare questo momento, di mettere in qualche modo ordine. Abbiamo registrato una necessità di conoscersi,
di censire chi e cosa contribuisce al suono della nostra regione. Ogni fenomeno richiede un’analisi, sia esso un errore da non ripetere o un’esperienza da preservare. E sapere chi siamo è il primo passo per capire cosa fare. C’è una Puglia che suona e ne abbiamo parlato volentieri più volte ma c’è anche tutta una regione che vive di musica e che per la musica lavora. Non è un reato considerare lo spettacolo come un circuito economico, non bisogna nascondersi dietro finti intellettualismi. La musica produce ricchezza o per lo meno dovrebbe farlo. Quello che mi piace pensare è che oggi la musica finalmente è in grado di produrre possibilità e opportunità di lavoro. Il detonatore del 2010 è stato sicuramente Puglia Sounds, il programma della Regione per lo sviluppo del sistema musicale. Una serie di azioni sparse sul territorio dedicate ai musicisti e agli operatori della musica che ha generato una serie di reazioni a catena che stanno cercando di creare quello che da anni si voleva fare ma non si era mai riuscito a organizzare: un circuito. Ma non solo, in barba ai discorsi in politichese (che non ci piacciono e non abbiamo mai fatto in tanti anni di Coolclub), Puglia Sounds ha realmente destagionalizzato le grandi offerte spettacolari grazie a sostegni economici destinati alle produzioni. In questo modo la Puglia è diventata e sarà la regione delle prime nazionali. Già lo scorso anno sul nostro territorio sono stati prodotti spettacoli come Way to Blue/ The songs of Nick Drake e The barbican centre di Londra, Chamber Music di Ballakè Sissoko e Vincent Segal (ma anche di una diva dei salotti televisivi come Anna Oxa) solo per citarne alcuni e prossimamente quelli di Negramaro, Jovanotti, Caparezza, Gianna Nannini e Vasco Rossi. Basta mettere da parte i gusti per un attimo per rendersi conto che l’operazione è comunque imponente (seppur con ovvi difetti e tra feroci polemiche, tra cui quella di baricentrismo). Confortati dai buoni riscontri che la musica pugliese sta ricevendo in tutta Italia e non solo, Puglia Sounds ha attivato una serie di misure volte a promuovere e produrre alcune delle nuove realtà più promettenti in circolazione. Nella stessa direzione è stata presa la decisione di produrre un cd con il meglio della musica pugliese (e non solo quella pop e mainstream, ma anche quella jazz, elettronica, world, indie) da allegare a uno dei giornali musicali più letti in
UNA MUSICA PUÒ FARE Una decina di anni fa il cantautore e bassista romano Max Gazzè si presentò a Sanremo con un brano, orecchiabile e disincantato, che ci tormentò in radio per mesi. Una musica può fare cantare lililli o lalalla (maggiore), un modo semplice per enfatizzare tutte le doti della musica e delle canzoni, soprattutto quelle allegre e scanzonate ma anche quelle impegnate o strappalacrime. La musica, in effetti, può molto, può essere colta o disimpegnata, suono o rumore, classica o contemporanea, pop o rock, reggae o pizzica, nuova o vecchia, stantia o fresca. Qualunque sia la musica, in quanto espressione della cultura o dell’intrattenimento, va salvaguardata e vanno tutelati coloro che la immaginano, la realizzano, la producono, consentono che sia ascoltata. Negli ultimi anni, soprattutto da quando la crisi si è fatta sentire, la musica (come tutto il mondo della cultura) è stata invece considerata come qualcosa di superfluo che va tagliato e abbattuto. Esistono ormai solo i talent show, i fenomeni da baraccone, le starlette improvvisate, le classifiche (basta leggerle) drogate dal televoto, ricche di personaggi che faticano poi a riempire, non dico gli stadi, ma neanche i club di media grandezza. C’è chi sorride (da contratto) e c’è chi piange. Tutto il mondo della cultura e dello spettacolo è in subbuglio perché si tagliano gli enti lirici e il fondo per lo spettacolo, solo per fare gli esempi più eclatanti. E quando invece qualche ente spende in cultura cosa si fa? Si grida allo scandalo, perché, come si affannano a ripetere gli esponenti di molti partiti, bisogna pensare all’occupazione, al disagio sociale, ai cassintegrati, alle igieniste dentali. Tutte cose sacrosante. Ma i lavoratori dello spettacolo che grazie alle politiche dei tagli indiscriminati perdono il lavoro? Non sono anch’essi lavoratori? Il problema politico e culturale serio è che quello dell’operatore culturale o del musicista (per restare alla musica ma potremmo parlare di artisti, attori, registi e tutto il resto) non è e non può essere un lavoro ma uno svago, un dopolavoro, un divertimento che chiunque può svolgere, d’altronde, Sono solo canzonette. Nella sbornia economica degli anni ’90 e nei primi 2000 (e racconto solo degli anni che conosco e che ho vissuto) la politica ha ben pensato di legitti7
Italia come Xl di Repubblica. Non solo grandi nomi ma anche interventi rivolti agli artisti più giovani e partenariati con nuovi progetti che in questi mesi prendono vita e forma. Finalmente quello che fino a ieri sembrava un hobby acquista una nuova dignità grazie anche a un censimento che vede un numero insospettabile di operatori impegnati (come noi) quotidianamente nel mondo dello spettacolo dal vivo. Ed è qui che emergono anche zone d’ombra, falle di una struttura che non può essere perfetta. Non in un tutte le città del circuito musicale i concerti vanno bene, alcuni dei progetti finanziati nell’ambito di Principi Attivi e Bollenti Spiriti si sono arenati, altri faticano a decollare. Questo sottolinea come la musica non sia un lavoro per tutti, come in alcuni casi si dovrebbero focalizzare meglio le energie e come si debba, ahimè, prendere atto che non c’è un pubblico educato a tutti i generi e soprattutto troppo poco avvezzo a pagare per ascoltare. Quello che resta è una presa di coscienza di pubblico e privato che vedono nella musica una risorsa rafforzata dal successo di operazioni musicali come la Notte della Taranta e dei tanti festival che con coraggio ogni anno alzano la posta portando in Puglia nomi inimmaginabili solo pochi anni fa. In questa visione comune nascono nuovi progetti piccoli e grandi che partono dal basso (associazioni, cooperative, piccole società), incontrano l’interesse delle istituzioni e intercettano finanziamenti pubblici. È il caso ad esempio di Officine della Musica progetto del Comune di Lecce che vede noi di Coolclub tra i partner e che si è aggiudicato il bando nazionale “Interventi a favore della produzione musicale indipendenIn foto: Caparezza
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IL CIRCUITO AFFASCINANTE
te” promosso dal Dipartimento della Gioventù e dall’Anci, classificandosi al secondo posto. Un programma lungo e articolato fatto di concerti, formazione, promozione, tour promozionali, videoclip e che vede nascere nelle Officine Cantelmo una vera e propria casa della musica. Un esperimento unico a Lecce perché ha funzionato come un collettore per tante realtà che da anni lavorano in questo ambito (Cooperativa Lecce Città Universitaria, Associazione Sum, Punto Exe, Notas Music Factor) e come attrattore di diversi partner (Provincia di Lecce, Università del Salento, Apulia Film Commission, Fondazione Rico Semeraro e Puglia Sounds). Una rete “vera” che si sta allargando coinvolgendo anche altre realtà su tutto il territorio regionale. È il caso di Push up - sostieni l’etichetta - il primo contest dedicato alle etichette indipendenti, realizzato dal Comune di Bisceglie. Un progetto che si propone come un concorso nazionale ed innovativo, creato per premiare la creatività degli artisti e l’imprenditorialità dei professionisti del settore che prevede tra le altre cose concerti, esposizioni, meeting e seminari per rappresentare la scena della musica indipendente italiana e confrontarsi sulla situazione attuale dell’industria musicale emergente. Oppure per rimanere in zona Salento sempre in ambito musicale partirà a breve il progetto dei Comuni di Lizzanello, San Cesario di Lecce e Lequile: la Giovane Orchestra del Salento. Capitanata da Claudio Prima e composta da giovani tra 15 e 25 anni l’orchestra si confronterà con i vari repertori classici e moderni e con i vari generi musicali presenti sul territorio salentino ma anche con quelli portati dalle varie etnie che nella nostra terra vivono o transitano. Tutto questo e molto altro è la Puglia di oggi, una regione che sembra aver raggiunto una nuova maturità. Ma non bisogna mai dimenticare, quando si fanno analisi di questo tipo, del perché e per chi si fanno queste cose. Premiare le idee, i lampi di genio che guardano al cielo e poco al circostante è pericoloso. E poco serve accendere piccole scintille che durano il tempo di un desiderio quando ci sono passioni che ardono da anni ignorate. La sfida di oggi è la continuità e soprattutto la conoscenza. Quella costruita dall’esperienza che si traduce in equilibrio. A volte, e noi siamo i primi, si pecca di presunzione sopravvalutando quello che realmente è il bisogno. La Puglia non è il migliore dei mondi possibili, è solo un posto dove alcune cose succedono, adesso, e a cui dobbiamo garantire un futuro. Osvaldo Piliego
In foto: Max Gazzè
mare il suo potere (e conquistare qualche voto) spendendo e spandendo, organizzando cartelloni sontuosi, finanziando a pioggia chiunque (professionisti veri e improvvisati), gettando al vento migliaia e migliaia di euro senza costruire (tranne qualche caso, e noi di Coolclub ci riteniamo veramente fortunati) professionalità e realtà “produttive”. E ora ne paghiamo le conseguenze. La parola economia, al momento, non deve fare rima con cultura. Ma è l’unica via percorribile per la sostenibilità di tutto il settore. Gli enti devono intervenire, e anche in maniera più convinta e massiccia di quanto non facciano ora, ma seguendo logiche di qualità e non di convenienza politica o (peggio ancora) elettorale. Soldi buttati al vento sono quelli che non restano sul territorio o non portano nulla al territorio. Manifestazioni come La Notte della Taranta (soprattutto), Carpino, il Bifest, Timezones, il Festival del Cinema Europeo, Alba dei Popoli, e altre importanti manifestazioni ancora attive o esperienze chiuse e seppellite da cambi di maggioranza (come Salento Negroamaro della Provincia di Lecce) sono esempi positivi di come la cultura possa condurre sul territorio turisti, denaro, attenzione e soprattutto crescita in chi vive qui. Bollare la cultura come qualcosa di antieconomico è un errore che troppo spesso si commette. Tornando al cinema, un piccolo intervento pubblico su un film come Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek, interamente girato a Lecce e dintorni, ha portato lavoro e soprattutto una grande visibilità in tutta Italia visto l’amore sempre palesato dal regista italo turco nei confronti della città barocca. Qualcuno dovrebbe capire che il barocco e la propaganda delle bellezze territoriali non bastano, giacché le bellezze esistono anche altrove, mentre il valore “culturale” aggiunto, soprattutto se ben alimentato e custodito, garantisce un salto di qualità duraturo nel tempo. Esperienze nate da Bollenti Spiriti (principi attivi, laboratori urbani) saranno positive solo se inserite in un contesto di promozione e formazione della capacità imprenditoriale. L’errore è spendere oggi 100 e non sostenere domani neanche con 1. Costruire cattedrali o finanziare a pioggia può non avere senso se da parte di chi dà e soprattutto da parte di chi riceve non c’è la consapevolezza che quello della musica, della cultura, dell’arte per molti scapestrati giovani (e meno giovani) di questo sud ingrato può essere una soluzione, un futuro svincolato dalla fabbrica (che non c’è) o dall’insegnamento (che non c’è più). In questo caso la musica può “salvarti sull’orlo del precipizio” come diceva Gazzè (pila).
MARRACASH L’hip hop da classifica
Fino a qui tutto bene è il titolo dell’ultimo lavoro discografico di Marracash, rapper siculo-milanese attivo dalla metà degli anni ’90. Dopo la sua esperienza nella crew Dogo Gang, dal 2005 Marracash ha ottenuto un successo dietro l’altro culminato con il contratto con la Universal, due cd e numerosi singoli di successo. In questi anni è diventato uno dei punti di riferimento dell’hip hop mainstream. Ha collaborato, tra gli altri, con Bloody Beetroots, Fabri Fibra, Crookers, Club Dogo, J Ax, Noyz Narcos, Aban, Co’sang e la xfactor Giusy Ferreri. Sabato 12 febbraio sarà ospite delle Officine della Musica di Lecce, affiancato da dj Del. I tuoi lavori discografici sono andati molto bene e ti hanno portato in giro per l’Italia. Puoi ritenerti soddisfatto dei risultati ottenuti fino ad ora? Il resoconto di sicuro è più che positivo. Abbiamo da poco fatto una tappa a Roma dove abbiamo registrato il sold out, e stiamo riempiendo tutti i posti in cui andiamo a suonare, quindi siamo più che contenti. Tra l’altro il tour si chiama Rivincita, per cui siamo tornati carichi e sta funzionando tutto alla grande, il tour sta andando benissimo, i live piacciono un sacco, è tutto molto bello e oltretutto anche noi ci stiamo divertendo molto. Quindi stiamo avendo degli ottimi riscontri. Non è la prima volta che vieni nel Salento a suonare. Cosa ne pensi del nostro territorio? Sono molto affezionato a questa terra, anche perché sono uno di quei ragazzi che veniva ogni anno l’estate. Sono venuto sei-sette anni di fila giù in Salento con la tenda, lo conosco molto bene e lo adoro. Ho anche un sacco di amici e quindi diciamo che per me il Salento è come una seconda casa. Poi adoro la cucina, il mare. Guarda, te lo dico io che sono siciliano, secondo me il mare salentino è il più bello d’Italia. Quindi non potrei non essere affezionato a questa terra bellissima. Nel tuo disco ci sono diverse collaborazioni, come quelle con Fabri Fibra ma soprattutto con Giusy Ferreri, che appartiene ad un genere totalmente diverso dal tuo. Anche per quanto riguarda le produzioni, hai collaborato con i Bloody Beetroots e con i Crookers. Secondo te l’hip hop è un genere abbastanza versatile e che si può affiancare anche ad altri generi musicali?
Beh, il mio interesse principale era quello di fare qualcosa di diverso rispetto a quello che avevo già fatto, cercare di essere originale e di fare un passo avanti rispetto al disco precedente. Secondo me l’hip hop, oggi come oggi, è un genere molto contaminato, c’è un sacco di contaminazione soprattutto nell’hip hop europeo, che è molto diverso da quello americano, ha dei suoni diversi, e i testi sono più intelligenti. Per questo ho voluto fare un disco che fosse più europeo che americano, e quindi di più ampio respiro. La collaborazione con Giusy Ferreri nasce appunto dalla voglia di fare qualcosa di nuovo, dal non porsi dei limiti, dei pregiudizi, che io personalmente non ho, quindi mi son detto: “Perché no?!?”. Avevo la possibilità di farlo, il pezzo mi sembrava adatto a lei e così ho deciso di avviare questa collaborazione e mi sento abbastanza soddisfatto. Questo sicuramente non è un bellissimo periodo per i giovani, soprattutto per quanto riguarda la scuola e l’università, con questa riforma che ha fatto scendere in piazza migliaia di studenti e non solo. Qual è il consiglio che vorresti dare ad un ragazzo che in questo momento si trova in difficoltà e vorrebbe dare una svolta al suo futuro? Sai, la cosa triste è che purtroppo i giovani possono fare poco! Cioè, dovrebbero arrivare delle svolte “dall’alto” che in un Paese come questo purtroppo non arrivano mai, quindi molti giovani si sbattono un sacco ma questo purtroppo è un Paese che tende a spezzarti le ali e a farti passare la voglia in tutto quello che fai. L’unica cosa che posso dire è che comunque sia c’è sempre spazio per cercare di portare avanti i propri talenti, ci vuole un sacco di impegno, di perseveranza e di costanza, ma soprattutto tanto lavoro perché comunque sia il talento da solo non basta. Bisogna veramente investire molto su quello in cui si crede, avere anche il coraggio di non guadagnare nulla per i primi anni, ma costruire qualcosa che duri nel tempo, e questa secondo me è una cosa che manca un po’ ai giovani di oggi, che vogliono avere tutto e subito. Diciamo che questa è una generazione “mordi e fuggi” o “fast food”, prima, invece, si portavano avanti le passioni per tanto tempo, affinché pian piano, con il passare degli anni, una passione magari diventava il tuo lavoro. Quindi bisogna coltivare molto, per cercare di raccogliere qualcosa un domani. Cosmaseven www.salentoconcerti.com IL CIRCUITO AFFASCINANTE 11
ERICA MOU Canzoni, niente di più
Ventuno anni e non li dimostra. Erica Mou da Bisceglie, si è trovata qualche anno fa a fare un provino negli studi di Caterina Caselli. Risultato? Contratto con la Sugar e nuovo disco in uscita a breve. “È una bella responsabilità”, dichiara emozionata Erica, che il 5 marzo sarà in concerto al Teatro di Novoli nell’ambito del circuito Puglia Sounds.
Che te ne pare della scena musicale pugliese? È una scena mossa. Con tutte le iniziative organizzate dalla regione in campo musicale non ci si sente mai da soli. Nell’ambito del progetto Puglia Sounds suonerai a Novoli. Cosa ne pensi di questa iniziativa? IL CIRCUITO AFFASCINANTE 13
Puglia Sounds è un aiuto concreto, economico e logistico. Permette la realizzazione e la produzione dei live, e mi hanno garantito anche due giorni di prove. Il cd uscito con XL a novembre, poi, è stata una gran bella trovata. Questo progetto è un modo incredibile per far parlare della Puglia e degli artisti pugliesi. Che tipo di live vedremo? Negli ultimi due anni ho fatto tutti i live da sola, con chitarra e pedaliera. Da adesso in poi, invece, si tratterà di un duo: io continuerò a cantare e suonare la chitarra e una loop machine multi effetto e sarò accompagnata da un pianista. Hai suonato all’estero, negli Stati Uniti e in Albania. Com’è andata? Il mese trascorso a New York è stato il mese più bello della mia vita. Ho fatto quattro concerti in quattro locali diversi, uno a Manhattan e tre a Brooklyn. Il pubblico è stato attento e il dialogo è filato via liscio, nonostante avessi qualche timore. New York è una metropoli fantastica, ogni sera trovi musica diversa che ti arricchisce le orecchie. Il giorno che sono rientrata dalla Grande Mela mi sono imbarcata per l’Albania, insieme ad altri gruppi come la Fame di Camilla e i Leitmotiv, tutti vincitori del concorso Arè Rock di Barletta. Nonostante un terribile viaggio in traghetto, l’esperienza è stata molto positiva, e l’evento, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata, ha riscosso un enorme successo. Hai partecipato alla compilation La leva cantautorale degli anni Zero. Club Tenco e Mei hanno trovato il modo giusto per spingere la nuova scena della musica d’autore, non credi? Si, Club Tenco e Mei sono stati molto coraggiosi. Per me è un onore fare parte di una raccolta così eterogenea e poi ho avuto l’opportunità di conoscere tanti artisti, con i quali nasceranno delle collaborazioni. Com’è nato il brano La neve sul mare presente sulla “Leva”? L’ho scritto tra dicembre 2007 e gennaio 2008, la prima volta che ho visto la neve a Bisceglie. Quel giorno, mentre passavo dal lungomare, ho visto uno scoglio ricoperto di neve, e, visto che la canzone parla del distacco tra due persone, ho pensato che anch’io avrei avuto delle speranze se la neve riesce a mantenersi intatta vicino al mare. Quando ero piccola, mia madre diceva sempre: “Ecco il mare, l’ottava meraviglia del mondo”. Finalmente ho capito a cosa si riferisse. 14 IL CIRCUITO AFFASCINANTE
Tra le tue ispirazioni c’è Buon Compleanno Elvis di Ligabue. Sei una sua fan? Buon compleanno Elvis è il primo cd che mio padre mi ha regalato. Un disco bellissimo che mi ha fatto scoprire un approccio moderno al cantautorato, visto che a casa mia si ascoltavano Tenco, Battiato, De Andrè. Il nuovo album esce con la Sugar di Caterina Caselli. Sei emozionata? È una grande responsabilità, e poi ho sempre ammirato la Sugar. Com’è avvenuto il contatto con Caterina Caselli? Nel gennaio 2009 ero a Milano sul palco del Rock Music Planet di Red Ronnie. Mentre ero sul palco Caterina Caselli ha chiamato Red al cellulare e ha ascoltato per caso la mia musica. Due giorni dopo alle nove di mattina ricevo la chiamata di Caterina che mi chiede se fossi interessata a sostenere un provino. A mezzogiorno ero già a Milano. La Caselli è stata molto gentile e disponibile. Dopo il provino ho continuato a fare i miei live e nella primavera 2010 ho registrato il nuovo album che uscirà a marzo. Nell’album precedente, rimasto inedito, è presente una cover di Pensiero Stupendo di Patty Pravo. Ne farai altre? Dal vivo continuerò a fare cover di artisti come Tenco, Guccini e molti altri. Nel cd Puglia Sounds uscito con XL c’è il brano Oltre. Com’è nato e cosa significa? Questa canzone è la più vecchia e l’ho scritta nel 2006. L’ispirazione mi è venuta mentre ero a scuola e fuori pioveva. Ero in un momento d’insofferenza e malinconicamente aspettavo qualcosa che mi tirasse fuori dalla collera, provocata anche dai falsi rapporti interpersonali. È una canzone che mi ha portato molta fortuna e nella quale ognuno può vedere quello che vuole. Descrivi le tue canzoni. Sono descrittive e autobiografiche. Partono da avvenimenti realmente vissuti sui quali rifletto a lungo. Pascoli mi ha ispirata un bel po’. Qual è il tuo genere? Faccio canzoni, niente di più
Lucio Lussi
LA MUSICA, LA STORIA E CHI LA SCRIVE
Un ciclo di incontri dedicato a chi racconta il rock Da giornalisti che provano, da quasi otto anni, a fare una rivista musicale (ma non solo) siamo veramente soddisfatti di essere tra gli artefici di un ciclo di seminari, realizzato in collaborazione con l’Università del Salento e l’Ordine dei giornalisti della Puglia all’interno delle Officine della Musica, dedicato a chi racconta la musica sui giornali e in radio, in tv e sui siti internet. Molti di noi, e dei nostri lettori, hanno passato e passano piacevolmente il loro tempo ad ascoltare cd e leggere libri consigliati dai giornalisti di riferimento. Chi adora Blow Up, chi conserva gelosamente tutte le copie di Alias del Manifesto, chi ha un appuntamento fisso in edicola per una copia del Mucchio e del suo Extra, chi sfoglia voracemente Rumore, Xl o Rolling Stone trarrà sicuramente giovamento da questa serie di appuntamenti. Dopo un numero dedicato al giornalismo musicale (68/69) non potevamo che dare spazio e voce a loro. Nel mondo, giornalisti come Paul Morley, Lester Bangs e Simon Reynolds (leggi l’intervista sul numero 70/71 ndr) hanno diffuso l’idea di una scrittura dedicata alla musica non solo giornalistica ma anche letteraria. Questo ha indubbiamente allargato il numero di lettori che non sono più solo ed esclusivamente “addetti ai lavori”. Uno stile della scrittura giornalistica, gusto e sensibilità di una penna sono sicuramente capaci di caratterizzare in modo decisivo il racconto della storia della musica. Ecco che la musica scritta racconta il giornalista e la sua vita in musica, i suoi incontri, le sue domande, le riflessioni, i ricordi. Il nostro territorio soprattutto nell’ambito del giornalismo musicale e culturale - ha bisogno di formazione. Non esiste, poi, un’educazione alla critica, allo studio e all’analisi delle cose. Formare una classe giornalistica significa anche dotarla di responsabilità nei confronti del lettore, offrire gli strumenti per descrivere a raccontare una cosa, una sensazione. Da qui nasce l’idea di questi sette appuntamenti che spazieranno tra vari argomenti e approcci di scrittura. Si parte con Giancarlo Susanna (8 e 9 febbraio), critico musicale per Rockerilla, Audio Review e
Mondomix, voce storica di Rai Stereo notte, autore di numerosi volumi e, per nostra fortuna, collaboratore di Coolclub.it, che terrà una Piccola introduzione al giornalismo musicale e un seminario dal titolo Da Bob Dylan a Dylan Le Blanq. Mercoledì 16 febbraio, secondo appuntamento con un altro caro amico e maestro, Pierfrancesco Pacoda, critico musicale e saggista che si occupa di stili e musiche generati sulla pista da ballo, che interverrà su Musica e stile. Come studiare le relazioni tra la cultura pop e l’immagine. Dal bebop alla minimal techno. Venerdì 25 febbraio, invece, Alberto Campo, giornalista di lungo corso e condirettore artistico del Traffic – Torino Free Festival, terrà una lezione su La musica ai tempi di internet. Una delle firme storiche del Mucchio, Federico Guglielmi sarà protagonista, invece, dell’incontro di mercoledì 2 marzo dal titolo Fatti e misfatti di 40 anni di editoriale musicale italiana: il difficile mestiere del giornalista rock. E di lavoro parlerà anche Alberto Castelli, considerato uno dei maggiori esperti italiani di Black Music, che sabato 5 marzo discuterà di Lavorare con la musica e per la musica è ancora possibile? Come?. Il giorno prima insieme a Adriano Viterbini, chitarrista e cantante del duo Bud Spencer Blues Explosion, Castelli sarà sul palco dei Cantieri Koreja di lecce con Play The Blues, un reading in 12 battute (le stesse del blues). Questo primo percorso di formazione si chiuderà martedì 15 marzo con La scena indipendente e il suono mediterraneo a cura di Gianpaolo Chiriacò, coordinatore delle attività di ricerca del Center for Black Music Research/Europe, editor per le collane Rock People, Jazz People e Sconcerto di Stampa Alternativa. In primavera sono previsti inoltre incontri sulla valenza dei vari mestieri della musica (tra gli altri con Milena Valentini, responsabile del Centro Musica di Modena) e un ciclo di laboratori presso la Cooperativa Solidarietà Salento di San Cesario di Lecce che accoglie minori in difficoltà. Orario d’inizio ore 17.00. Ingresso gratuito. Info www.officinedellamusica.org (A.R.) 15
Foto di I. Magliocchetti
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ALBERTO CASTELLI
Muhammad Ali è stato il primo rapper della storia Di sé dice di essere impegnato a “vivere elegantemente in circostanze difficili”, e Alberto Castelli, che ha cominciato giovanissimo a occuparsi di musica e a fare radio, appartiene a quella ristretta schiera di personaggi colti e appassionati che si battono con testardaggine per diffondere – dove e come sia possibile – l’amore per la conoscenza. Dopo aver esordito come conduttore radiofonico e giornalista specializzato, Castelli è stato direttore artistico di Radio Centro Suono e di Radio Città Futura, nonchè del periodico Superfly, dedicato ai vari aspetti e stili della black music. Su questo fondamentale elemento del suono contemporaneo è imperniata tutta la sua attività – ricordiamo almeno le collaborazioni con XL e La Repubblica, oltre ai libri Soul People (2004) e Africa Unite – Il sogno di Bob Marley (2005), ambedue pubblicati da Arcana. Ha da poco fondato l’etichetta discografica Ali Buma Ye!, partita alla grande con un album del duo dei Black Friday, formato da Adriano Viterbini e Luca Sapio. In occasione del suo arrivo a Lecce lo abbiamo sottoposto a una breve intervista. Domanda da un milione di euro: cosa pensi dell’evoluzione rapidissima della fruizione della popular music? Domanda da un milione di euro, risposta da pochi centesimi… in effetti è diventato tutto così veloce. La tecnologia ha preso il sopravvento, imponendo nuovi modelli e nuovi standard. Ho l’impressione che tutto questo non abbia nulla a che fare con l’aspetto creativo. Non ci sono più le mezze stagioni e non c’è più la musica pop di un tempo. Ora, esaurito lo spazio “da vecchio e noioso dinosauro”, credo che molta della musica che abbiamo ascoltato e ascoltiamo e che continua a colpirci sia stata realizzata con mezzi tecnologici limitati e poveri. E in fondo, un brano scaricato non è poi così lontano dalla facciata di un vecchio e glorioso 45 giri. Tra vinile, cd e download su Mp3 cosa sceglieresti? Mi riferisco soprattutto alla qualità del suono. Vinile, non c’è dubbio. Sono cresciuto con questo formato, mi piace tutto: copertina, busta interna, perfino l’odore del cartone. Nutro nei confronti dei file Mp3 un’aristocratica indifferenza, mentre ritengo il cd un oggetto decisamente brutto. Quella
del digitale è la riproduzione perfetta del suono, ma non è il suono. Tutto qui. Tu sei un veterano della radio: cosa pensi delle emittenti on line? E più in generale della radio come medium? Da anni, da quasi un decennio tutti dicono che questo sarà il futuro della radio e alla fine sarà così. Il problema non è questo, ma quello che fai ascoltare, quello che proponi. In questo le web radio offrono una libertà e un’offerta che è ormai impossibile trovare nella radio tradizionali. E questa cosa mi ferisce molto. La radio è ancora un mezzo perfetto per trasmettere e dividere emozioni. L’unico elettrodomestico sentimentale che ci sia. Tu hai anche una collezione di lp e cd invidiabile. A che quota sei arrivato? Negli ultimi tempi mi sono un po’ calmato, anche perché i dischi che ascolto con più piacere alla fine sono sempre gli stessi. Sinceramente non ho mai contato cd o vinili, l’ultimo riferimento risale a più di dieci anni fa, quando in occasione di un trasloco preparai cinquantacinque scatoloni di cd e vinili, credo trentacinque di vinili e il resto di cd. Ora, ne dovrai fare ancora di più, ma per fortuna non ci sono traslochi in vista. È quasi inutile ricordare ai lettori di Coolclub.it che sei uno dei più grandi esperti di black music in Italia (e non solo). Ti sei mai chiesto da cosa sia nata questa passione? Bella domanda: non ho mai pensato da cosa è scaturita questa passione. Credo che sia stato un immaginario complessivo all’interno del quale è arrivata anche la musica. Giocavo a pallacanestro e consideravo Muhammad Ali un eroe, credo che questo abbia avuto a che fare con la scoperta di quel mondo musicale. In fondo, il basketball è anche jazz e Ali è stato anche il primo rapper della storia… Un’altra domanda impossibile: se proprio dovessi scegliere il tuo album preferito in questo momento, cosa ci diresti? In questo periodo ascolto, ossessivamente, poche cose: Blind Willie Johnson, l’album bianco dei Beatles e i Piano Works di Erik Satie suonati da Pascal Rogé. Forse dovrei cambiare pusher… Giancarlo Susanna IL CIRCUITO AFFASCINANTE 17
MUSICA
VERDENA
Wow, un disco stupefacente Dopo un lungo silenzio tornano i Verdena, il tempo giusto per far sedimentare una nuova era musicale della band bergamasca che riesce ancora a stupirci con un disco imponente. Contro ogni moda, in controtendenza con la crisi del mercato, Wow è un doppio, ventisette brani e poche concessioni. Quello che le orecchie scorgono subito è la sincerità della band che abbiamo cominciato ad apprezzare anagraficamente adolescente e che abbiamo accompagnato fino a quella che oggi possiamo tranquillamente chiamare maturità. Il rock granitico rimane, la psichedelia si condensa intorno a melodie nuove che per la prima volta sembrano guardare all’Italia. Abbiamo parlato con Alberto. Wow è un album generoso, un viaggio di ventisette tracce attraverso impennate elettriche, psichedelia d’altri tempi, bozzetti acustici. Come nasce un lavoro così complesso? Nasce un po’ per caso, non a tavolino. È il frutto di uno scarto di centinaia di pezzi. Il disco è come una scacchiera a tre colori (acustico, piano, elettrico) e abbiamo scelto pezzi molto diversi tra loro per rendere l’album più colorato e dinamico possibile. È stato un lavoro organico e molto faticoso. A livello tecnico si è partiti da un canovaccio suonato con uno strumento a caso, tipo un sinth o una tastiera, una batteria (Scarpe Volanti, La vol18 MUSICA
Foto di P. De Francesco
ta, Nuova Luce). Altri pezzi sono stati composti da me e la band ha aggiunto il resto (Razzi, Castelli per, Letto Tu e Me). Altri sono usciti istantaneamente da jam (Rossella, Gareggia, Per Sbaglio). La vostra nuova direzione musicale sembra per la prima volta concedersi a una melodia più italiana, in alcuni episodi sembra quasi di sentire i Beach Boys, in altri i Beatles. Quali album credi abbiano costruito o influenzato il suono di questo lavoro? Brian Wilson (Smile e Pet Sound ma anche Lucky Old Sun) e i Beatles (tutti), John Lennon (Plastic Ono Band) e Paul McCartney (Chaos and Creations in the Backyard), Grizzly Bear (Spread), Mgmt e Lucio Battisti (Anima latina). Il disco nasce nel vostro studio, un luogo che vi caratterizza molto e che vi permette di isolarvi completamente, o quasi. È una condizione che preserva i vostri dischi, li rende diversi da qualsiasi cosa in giro. Cosa ne pensate? Non so, il suono che esce da lì è il nostro suono. Sicuramente li caratterizza per tutta una serie di condizioni anche fisiche e strutturali. Negli anni avete collezionato esperienze anche all’estero, avete diviso il palco con i
Motorpsycho: queste esperienze cosa vi hanno lasciato? In linea di massima ci siamo trovati sempre molto bene con i gruppi con cui abbiamo condiviso il palco, sia ai festival, sia in piccole tournèe o in singole date. Ogni gruppo a suo modo ci fa sempre inconsapevolmente riflettere su qualcosa. Anche questo è un bel modo per crescere e cercare di superarsi, per cogliere sfumature, per fare riflessioni, insomma.... poi se il gruppo è figo e ci piace come nel caso dei Motorpsycho o MGMT è ancora meglio. È appena partito il vostro nuovo tour (a Bari il 5 febbraio). Come sarà lo spettacolo? Quanti sarete sul palco? Sul palco saremo in quattro. Con noi ci sarà Omid Jazi che suonerà tastiere, chitarre e seconde voci. Il nostro obiettivo al momento è quello di cercare di riproporre Wow dal vivo nel modo più fedele al disco. Non abbiamo mai avuto scenografie e nemmeno quest’anno ci saranno, fatta forse eccezione per qualche videoproiezione. Per noi l’importante è sempre stata la musica e siamo talmente concentrati su quello che tutto il resto diventa un contorno. Sono troppe le energie che spendiamo a cercare di ottenere il massimo da noi stessi che ogni altro pensiero per noi diventa uno sforzo. Anche se avessimo voluto, sarebbe stato inimmaginabile per noi, dopo tre anni passati in studio, cercare di decidere quale scenografia portarci dietro con il tour. Avete avuto la fortuna di affermarvi di fronte a un pubblico più vasto fin da giovanissimi, all’età giusta direi. Cosa ne pensi del rock geriatrico italiano, di band o artisti che emergono dopo gavette lunghe dieci e più anni? La regola vale anche per noi. Nonostante il primo disco sia uscito nel 1999 (quando noi avevamo tra i sedici e diciannove anni), abbiamo fatto molti anni di gavetta. Io e mio fratello Luca abbiamo iniziato a suonare circa dieci anni prima. Abbiamo suonato ovunque, in qualsiasi contesto, situazione e condizione. Il fatto che qui ci sia la tendenza ad etichettare a priori un gruppo giovane come roba da ragazzini è sicuramente un aspetto fastidioso che rispecchia però l’andazzo generale del nostro paese, che è un paese geriatrico in tutto e per tutto. Cosa ascoltate? Ci sono nuovi o vecchi album che volete segnalare ai lettori di Coolclub.it? Cheap Trick (omonimo), Resident (Not Available), Flaming Lips (The Soft Bullettin), Tinariwen, Miles Davis… Antonietta Rosato
VERDENA Wow Universal
Questo disco non vi piacerà. Succederà se siete tra quelli ancora rimasti ai Verdena del 1999, l’anno dell’esordio e della potenza devastante. Succederà se non avrete pazienza. Perché la pazienza ripaga, e il tempo anche. I tre ci hanno fatto aspettare, è indubbio, facendo uscire Wow a quasi quattro anni di distanza dal precedente Requiem. Infatti è da lì che parte Wow, ma non solo. In questi ultimi anni son successe parecchie cose: Alberto è diventato padre, Roberta ha abbandonato le borchie, il loro manager storico è stato allontanato, tutto il materiale registrato nei primi 9 mesi è andato perso, e così via. È anche per questo che Wow è un disco maturo, perché è il risultato di tanti momenti, di fasi diverse, di lavoro ostinato nel loro solito studio/pollaio, di una ricerca quasi maniacale del suono giusto. E dentro c’è di tutto. La chitarra violenta di Alberto lascia spazio a piano e archi, oltre a synth 60s e 70s, la batteria di Luca scivola in primo piano trascinando le dinamiche di ogni brano, la furia e i calci allo stomaco degli esordi diventano altro, si trasformano, eppure riesci a sentirli ancora. I riferimenti al ventennio sessanta-settanta sono evidenti e sparsi un po’ ovunque, ci trovi Beatles, Rolling Stones e Beach Boys, anche se da alcuni brani come Loniterp e Miglioramento vengono fuori suoni attualissimi (quest’ultimo è un omaggio agli MGMT, citati anche nei ringraziamenti). Senza contare che bisogna avere coraggio a far uscire nel 2011 un doppio cd con 27 brani, riuscendo anche a mantenerlo basso nel prezzo (15 euro circa). Un piccolo difetto forse sta nell’eccessivo numero di tracce in cui ogni tanto ci si perde, ma in tutti i modi questo disco rimane la consacrazione di una delle migliori band della penisola. Marco Chiffi 19
DENISE
Foto di S. Napoleano & R. Balestrieri
La voce che ha conquistato Maroccolo
Un sorriso da Alice nel Paese delle Meraviglie. Così mi accoglie Denise negli studi Rai di via Asiago, a Roma, poco prima delle registrazioni della puntata di Radio Due Live dedicata alla Leva Cantautorale degli anni Zero. Con lei ci sono Beatrice Antolini, Dente, Brunori Sas e i Mariposa. Si respira aria di giovane talento e impegno creativo. La mia mente, intanto, manda a memoria le parole di Burning Flames, il singolo tratto da Dodo, do!, che in poche settimane ha ottenuto 35 mila contatti su Youtube ed ha avuto la fortuna di passare su Radio Deejay. Dopo le prime domande, capisco subito di avere davanti all’Amelie Poulain italiana e di essere capitato in un mondo… favoloso. Complimenti! In pochi mesi sei diventata famosa. Non credo di essere tanto famosa, però sono contenta per l’attenzione catturata dal progetto. La promozione va bene e il supporto sincero di alcune radio nazionali, come Deejay, è stato fondamentale. Dopo cinque anni e tanti live arrivano le prime soddisfazioni e i riscontri in termini di consensi e notorietà. In che modo si rimane umili in queste situazioni? Dipende dallo spirito di ogni singolo individuo. Anche se il progetto è basato sul mio nome e sulla mia immagine, non mi sento egocentrica. Il mio è un percorso fatto con molta passione e che mi ha portato ad avere una voce diversa rispetto a tutto quello che si ascolta di solito. Non ho mai studiato canto in modo “normale” proprio per non trasformare la mia voce in qualcosa di “normale”. Volevo che la mia voce mantenesse i suoi timbri e le sue potenzialità. Il tuo album si intitola Dodo, do!. Il protagonista del titolo è l’uccello dodo, esistito nelle isole Galapagos e ora estinto. L’uccello dodo è stato utilizzato nella favola Alice nel paese delle meraviglie ed è l’icona perfetta di quello che faccio. La mia musica è molto vicina al sogno, in quel limbo tra realtà e fantasia. Le atmosfere del mio album sono molto simili a quelle del favoloso mondo di Amelie Poulain e penso che il mio segreto stia tutto nel vedere la realtà attraverso gli occhi di un bambino. Sei stata “scoperta” da Gianni Maroccolo. Qual è il vostro legame? L’ho conosciuto prima di registrare il disco. Gianni si è innamorato del progetto e mi ha lasciato
la libertà necessaria dandomi i consigli giusti. Erano pronti quaranta provini, che sono stati selezionati insieme a Gianni e a Lorenzo Tommasini. Gianni ha dato al progetto la sua indole rock, non facendolo apparire troppo patinato. Lorenzo, invece, ha incarnato l’anima pop, quella che ci ha permesso di arrivare alle radio. Perché hai scelto di fare musica? La musica è stata sempre la mia passione e adesso sto vivendo un sogno. Non pensavo affatto di fare la musicista di mestiere e per questo motivo mi sono iscritta a medicina veterinaria. A quale genere musicale appartieni? Sicuramente al pop, la mia musica è orecchiabile e semplice. La tua musica è di rara sensibilità. È lo specchio dell’anima? Si, non a caso il progetto porta il mio nome. I testi sono favolistici e la voce è fatata. Nella vita di tutti i giorni vivo un po’ alla Amelie e forse è un grande difetto. Come avviene la scrittura dei testi? Scrivo da sola. Molto spesso mi capita di ricordare nei dettagli alcuni sogni fatti la notte precedente, oppure a volte rimango impressionata da una fotografia. Parto da questi particolari e costruisco una storia. Come mai canti in inglese? L’inglese è più semplice e mi permette di usare la voce come uno strumento. Qualcosa la farò anche in italiano, ma solo dopo aver fatto maturare bene la mia identità. Burning flames è il primo singolo. Quali sono le fiamme che bruciano nella tua vita? A livello affettivo senza dubbio la mia famiglia e il mio ragazzo, al quale mi unisce la passione per la musica e il progetto artistico. Altre fiamme sono la scrittura, la passione per la fotografia e la voglia di divertirmi con i programmi di grafica. Cosa rappresentano le maschere del video di Burning flames? Sono tutte citazioni di Alice nel paese delle meraviglie. Anche se abbiamo calcato la mano costruendo dei personaggi molto goffi. Le maschere le ho preparate con l’aiuto di mio padre, e hanno lo scopo di costruire un’atmosfera fiabesca e simpatica. MUSICA 21
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Nel brano citi Flaubert. Lo stavo leggendo nel periodo in cui ho scritto il testo. È una citazione ironica che chiama in causa quegli artisti che pur di apparire intellettuali citano autori strani e impegnativi. Lake wakes è uno dei pezzi migliori dell’album. Un docile gioco di parole e assonanze. In effetti è il pezzo più pazzo e giochiamo quando lo suoniamo. In questo brano utilizzo una tonalità più bassa e poi canta anche Alessandro, e quindi posso concedermi maggiore libertà suonando il kazoo. Da cosa o da chi ti fai ispirare? Alcune sonorità richiamano Bjork ed Emiliana Torrini. Soprattutto da Emiliana Torrini, con la quale ho scoperto di avere molte cose in comune. Poi c’è anche Feist, una cantante canadese che ha collaborato con i Kings of Leon. Hai partecipato alla Leva Cantautorale, un progetto coraggioso. Sì e sono lusingata di farne parte. Il progetto mette insieme un nutrito gruppo di artisti che
sono stati capaci di riscuotere consensi di pubblico e critica. Ageless è un pezzo a cui tengo molto. Tremolo, vibrati, slide e quell’assolo di Lorenzo Corti (ex chitarrista di Cristina Donà, ndr) che impreziosisce il tutto. È un pezzo dalla forte “cazzimma”. Quali artisti della scena attuale preferisci? Samuel Katarro, Beatrice Antolini e gli Amor Fou. Mi piacciono anche Erica Mou, Dente, Il Genio e Brunori Sas. Quali difficoltà hai incontrato durante la tua carriera? Molto spesso i locali sono piccoli e non possono sostenere le spese. Altre difficoltà sono collegate ai live, ai costi, agli spostamenti e alla grave crisi del mercato discografico. Gioco degli aggettivi. Ti elenco alcuni artisti, tu dimmi il primo aggettivo che ti viene in mente. Beatrice Antolini: talentuosa; Il Genio: provocatori; Dente: post – romantico; Caparezza: energico; Negramaro: consapevoli; Le luci della centrale elettrica: generazionali e ossessivi. Lucio Lussi
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JOYCUT
Musica per gli alberi Il nuovo album dei Joycut supera la musica, diventa un progetto che rispecchia una nuova filosofia del fare dischi. Registrato a Londra nel primo studio europeo alimentato a energia solare e realizzato interamente con materiali eco compatibili Ghost Trees Where To Disappear è una buona pratica, la nuova strada di un gruppo da sempre sopra le righe. Dal punto di vista musicale questo album ha varie influenze, alcune figlie di una certa new wave, altre più psichedeliche, altre in sintonia con una nuova scena indie, altre ancora proiettate verso il futuro. Come si compone il vostro mondo musicale? Quello che sensibilmente sottolinei corrisponde al vero, ci sono derivazioni dall’ampio ventaglio di scelta, ognuna affonda nelle radici del vissuto biografico di appartenenza. Sostanzialmente siamo guidati dal dubbio continuo e precipuo, costruiamo e distruggiamo, teniamo quello che resiste. Vince sempre ciò che resta. Anche il tour legato a questo album è insolito. Cosa farete? Insolito dici? Proviamo naturalmente ad allargare le vedute. Tutto qui. Stiamo esplorando la flora e la fauna di tutti i comuni virtuosi del paese. Cercando di affiancare ed affiancarci con attività reciproche sostenendo la coerenza della campagna La foresta degli alberi fantasma cominciata nel 2009, offerta ad un importante bacino grazie alla collaborazione con XL e Repubblica. Oggi sfidiamo l’estabilishment promuovendo ed individuando location inusitate. A Bologna abbiamo documentato il disagio ambientale attraverso le riprese di un “corto”:
Treesbringpeopletogheter, ambientato a Villasalus. Provate a ricercarne la storia. Suonando in condizioni limite, tra gli alberi, o in alcune zone “difficili” o “rifiutate”, invitando e ricevendo inviti poeticamente accolti, condividendo libri, oggetti del quotidiano, dimensionando l’occasione di incontro in musica e crescita. Per i club invece resta l’impatto sonoro che ci ha sempre contraddistinto. Con la scelta di “proiettare”, ove possibile, suggestioni incipienti interpretando il nuovo album come opera, eseguendo gli atti come da indice del disco. È necessario oggi prefigurarsi nuovi scenari per la musica. Qual è la vostra visione in tal senso? Stupita. Suonare diventa sempre più marginale. Siamo molto disincantati, distaccati dalle scene banchettanti che vogliono imporsi con solerte invadenza. Non ci gratifica sentirci affiliati. Il nostro punto di vista sugli scenari è versatile, digitale: social NW, I-tunes, spotify, stampa, radio, Tv, live. Crediamo che bisognerebbe “ascoltare” senza pregiudizi, smetterla di essere ammaliati e sedotti solo da quei progetti frutto della costruzione psicologica di senso comune spesso di compassata ma efficace sfera discografica. Svegliarsi, capire “autonomamente” che non sono sempre e solo i “numeri” a garantire il successo o la qualità. Chi offre gli ultimi avamposti rimasti dovrebbe avere l’incantevole piacere di rischiare. Condividere idee, progetti, investire senza lamentarsi per chi spera di poter essere ascoltato. Il monito è semplice: farlo senza imperativi categorici, spontaneamente, creando, spostando il peso dell’attenzione sulla straordinarietà. Antonietta Rosato MUSICA 25
KANYE WEST My Beautiful Dark Twisted Fantasy Roc-A-Fella/ Def Jam
L’industria discografica è alle pezze, l’Olimpo dell’hip-hop è diventato un puttanaio pieno di cafoni e sgallettate e – attenzione, please! – Kanye West tira fuori dal cilindro un signor disco. Il quinto della sua carriera, oppure il primo di una (si spera) nuova età della black music. Andando indietro nel tempo, solo il Prince di Sign o’ the Times (1987) e i Public Enemy di Fear of a Black Planet (1990) erano riusciti a stupirci con lavori in grado di far drizzare le orecchie a tutti. Kanye osa l’impossibile: oltre alle orecchie, pensa a solleticare anche tutte le altre zone erogene più o meno menzionabili. Questo disco è sexy. Questo disco è black. Questo disco è rock. Questo disco è elettronico. Perché il diavolaccio di Atlanta serve una ricetta condita con i King Crimson e Aphex Twin, cantata/suonata/campionata insieme a un cast spaventoso (Rihanna, Nicki Minaj, Jay Z, RZA e Raekown, il cantautore Bon Iver e… Elton John…). Roba tosta. Roba tribalpsicbluesenonsochealtro. Amore e politica (i Bush lo odiavano, pure Obama avrà gli incubi); confessioni a cuore aperto e mutande calate di una star talmente egocentrica da essere diventata indifendibile. Ma qui è la musica a parlare, e Kanye mette al tappeto tutti, poco ma sicuro. Ascoltatevi Gorgeous e 26 MUSICA
ditemi se i Red Hot Chili Peppers non venderebbero l’anima per pochi spiccioli in cambio di un pezzo come questo. Poi svegliatevi con la botta di adrenalina di Power, fatevi un esame di coscienza con Monster, andate in estasi con Blame game. Forse non tutto è perduto. Forse riusciremo a ballare sulle tombe di tutti gli stronzi passati per X Factor. Kanye West ha riacceso la speranza. Nino G. D’Attis
am in “Suspicious Activity” del 2005). Per questo, Never Stop, primo album interamente a firma di Iverson e compagni, era atteso come un banco di prova importante, nel quale si sperava di ritrovare tutta la forza del trio e qualche buon elemento di novità. Invece. Intatta la loro cifra, identico il suono robusto e pesante, le architetture sofisticate dei brani e l’intenzione da rock band. Forse troppo. Lori Albanese
THE BAD PLUS Never Stop e1 Entertainment/Universal
MANU CODJIA TRIO Covers Bee Jazz
Quando nel 2003 capitò di avere tra le mani These Are The Vistas, secondo disco di questo trio di indemoniati - Ethan Iverson al piano, Reid Anderson al contrabbasso e Dave King alla batteria - il primo effetto che le loro versioni di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana e di Flim di Aphex Twin ebbero su uno sparuto gruppo di ascoltatori di professione fu simile a una caduta da una sedia molto alta su un pavimento molto duro. Didascalici, eppure potentissimi, travolgenti. Un suono incredibile, compatto e un modo del tutto inedito di rileggere pop, rock ed elettronica in chiave jazz. Da allora nessuno dei loro dischi è sfuggito alla nostra attenzione, regalandoci una serie di riuscite riletture (grandiosa Everybody Wants To Rule The World dei Tears For Fears contenuta in Prog del 2007) e buone composizioni originali (come Prehensile Dre-
Piccoli tasselli di un puzzle dei ricordi disfatto mille volte; ogni brano un déjà-vu emotivo, un salto all’indietro, in un territorio musicale noto - di più, familiare - e al contempo un viaggio nell’inatteso, una proiezione nelle possibilità ancora inesplorate di certa musica. Perché quelle che si trovano nell’ultimo album di Manu Codjia (accompagnato dai bravissimi Jérôme Regard al contrabbasso e Philippe Garcia alla batteria), a dispetto del titolo, vanno molto oltre delle semplici cover, prendendo i contorni di vere e proprie riscritture, che a volte accennano, altre suggeriscono, altre ancora rivestono di nuovi suoni e ritmi la poesia melodica degli originali, improvvisandoci in mezzo e attorno. Il trentacinquenne chitarrista francese (tra i più attivi e richiesti della scena europea, vincitore del Django D’Or nel 2007) ha confezionato un gran bel disco,
affrontando con la solita formidabile inventiva un repertorio di new standard, da Beat It di Michael Jackson ad Halleluja di Leonard Cohen, da Redemption Song e Natural Mystic di Bob Marley a Martha di Tom Waits, fino a Je t’aime moi non plus di Serge Gainsbourg e alla delicata Children’s Plays Song di Bill Evans. Ma spostando il tutto entro confini nuovi, ristrutturati dall’incredibile suono della sua chitarra, che ha dentro un po’ di John Scofield e un po’ Bill Frisell, un po’ di Pat Metheny e persino un po’ di Camel Zekri, ma che non è uguale a nessun’altra. Bravo. Lori Albanese VIJAY IYER Solo Act Music
Dopo i successi raccolti in trio con Historicity, uscito lo scorso anno e nominato ai Grammy come miglior album di jazz strumentale 2010; dopo aver prodotto un sacco di ottima musica in varie formazioni (tredici album, dal ’95 a oggi, tra quelli a suo nome e quelli come co-leader), il pianista indiano-americano Vijay Iyer (laureato in fisica a Yale, fresco di nomina come musicista dell’anno per l’americana Jazz Journalists Association) si mette, finalmente, a nudo in un disco di piano solo, raccontando con voce intima, lirica, profondissima il suo universo sonoro. E lo fa, come scrive nelle note del cd, passando attraverso una sorta di autoscopia, quell’esperienza sensoriale
CRISTINA DONÀ Torno a casa a piedi Emi
Il suo talento non è mai passato inosservato, anzi Cristina Donà cantautrice italiana di Rho, fin dal suo esordio ha sempre ricevuto premi importanti, convinto la critica, ma soprattutto è diventata il pupillo dello snob frontman degli Afterhours, Manuel Agnelli, che ha riconosciuto le sue qualità soprattutto in veste di produttore. La sofisticata Cristina, ritorna in scena con un nuovo album, Torno a casa a piedi, dotato della sensibilità e la delicatezza che la contraddistinguono, ma decide di indossare una nuova veste fatta di leggerezza, ironia, e colore comprensibile nei testi delle tracce, e nelle musiche scritte con il coautore Saverio Lanza. Non è mai banale, parla d’amore, dipinge scene di vita quotidiana, e scrive del figlio Leonardo che da poco è arrivato nella sua vita. Il primo singolo Miracoli non lascia spazio ad equivoci: la positività è nelle corde, tanto da permetterle di usare ancora, la oramai dimenticata parola “rivoluzione”. Roberta Cesari fuori dal corpo, che spesso capita a chi fa musica e assai più spesso a chi affronta un viaggio in solitaria col proprio strumento. Cinque composizioni originali che lo illuminano come uno dei compositori più intelligenti e innovativi della scena contemporanea tanto dal punto di vista della scrittura quanto da quello improvvisativo (si ascolti, per tutte, Autoscopy, appunto) e sei perle che omaggiano Duke El-
lington (Black & Tan Fantasy e Fleurette Africaine), Thelonious Monk (Epistrophy), Steve Coleman (Games), ma anche quegli immensi, visionari compositori come Andrew Hill, Sun Ra, Cecil Taylor che hanno costruito e influenzato le basi della sua musica. Gran disco. Lori Albanese
MUSICA 27
GAETANO PARTIPILO & URBAN SOCIETY Upgrading Jazz Engine
In apertura 13 (The Death March), omaggio al vibrafonista Gary McFarland; poi due lunghe suite, divise in otto e tre parti, che contengono le cover Pent-Up House di Sonny Rollins e Tu vuo’ fa l’americano di Carosone. A comporre le suite, e a farne il contorno, brani originali a firma di Gaetano Partipilo e degli Urban Society (Mirko Signorile al piano, Pasquale Bardaro al vibrafono, Giorgio Vendola al contrabbasso e Vincenzo Bardaro alla batteria). È il materiale contenuto in Upgrading, registrazione del concerto tenuto al Max Theatre di Arezzo nel 2008, in parte inedito e in parte già presente nei primi due album a nome del gruppo (Urban Society e Basic). Un lavoro che sintetizza dieci anni di vita del quintetto, dieci anni di buona musica e che ne dimostra la crescita discreta e continua, il suono maturo, il buon interplay. Un bel disco, che un po’ ci inorgoglisce. Perché il sassofonista barese Gaetano Partipilo - come alcuni dei suoi compagni - è uno di quei fenomeni musicali conosciuti e stimati anche all’estero, che ha deciso di restare a impreziosire, non solo con la sua musica (è anche direttore artistico del Club 1799 di Acquaviva delle Fonti), il territorio pugliese. Buon segno. Lori Albanese
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DIDDY DIRTY MONEY Last train to Paris Bad Boy / Interscope
LAURA VEIRS July Flame Bella Union
Sean Combs non sarebbe mai arrivato dove è adesso se non avesse avuto un cervello fino per gli affari e un orecchio sintonizzato sulle frequenze del futuro: produttore, rapper, attore, fashion designer, personaggio televisivo passato da Harlem alle luci sfavillanti del jet-set. Se non ha ancora fondato una religione è perché il suo commercialista gli ha spiegato cifre alla mano che attualmente il settore è in fase calante. L’ideona corrente è un album sotto il marchio (geniale) Dirty Money: R&B inzuppato in un cocktail a base di italo-disco, balearicsound, roba ’80-’90 in cui sguazzano rime ora morbide, ora affilate come un rasoio. L’America nera incontra l’Europa in un’inedita fusione di stili. Diddy chiama la pantera Grace Jones, piazza davanti al microfono Justin Timberlake, Bilal, Lil Wayne, Chris Brown, evoca ancora una volta il fantasma dell’amico Notorious B.I.G. assassinato a L.A. nel 1997. In Coming home fa suo un pezzo inciso in origine da J. Cole. Parla d’amore in un concept che comincia con l’intro in cui il padrone di casa spiega l’argomento: amore a prima vista, con tanto di gioie e dolori. E vince, inutile dirlo: se un disco fa muovere il culo con pezzi come Hello good morning o Ass on the floor non puoi che applaudire fino a spellarti le mani. Nino G. D’Attis
La musica di Laura Veirs arriva oggi forse dove Sufjan Stevens ha deciso di cambiare strada. Un po’ per un’attitudine compositiva in grado di avvicinare soluzioni orchestrali e minimalismi melodici, un po’ per un senso bucolico che si propone come alternativa al grigiore urbano. Un omaggio alle cose semplici, alla bellezza nascosta nei particolari. Ad affiancarla pochi ma buoni si potrebbe dire. Jim James dei My Morning Jacket è un ottimo contraltare maschile che aggiunge spessore agli intrecci vocali. Un disco fresco come il bancone pieno di pesche che lo ha ispirato, stravagante nel suo essere sorprendente in piccoli passaggi. Non un miracolo, ma un piccolo regalo. (AR) WANDA JACKSON The party ain’t over Third man records
La leggenda del rock and roll in rosa Wanda Jackson incontra Jack White instancabile guitar hero del nuovo millennio. Nonostante i suoi mille progetti (White Stripes, Racounters,
Dead Weather) ha il tempo di produrre un album esplosivo con la sua etichetta: la Third Man Records. Il titolo è tutto un programma The party ain’t over (la festa non è finita) e condensa l’energia e lo spirito con cui questo disco nasce e viene prodotto. Registrato a Nashville ha un suono incredibile e una band fenomenale capitanata dalla chitarra ruggente di White. La voce di Wanda (73 anni) ha delle asperità quasi punk che illuminano i brani selezionati di una nuova e smagliante luce. (Op) SWANS My Father Will Guide Me Up A Rope To The Sky Young God
Vero e proprio guru dell’alternative rock, Mike Gira ha macinato sin dal 1980 le più oscure e inascoltabili devianze del rock e fondato una delle più influenti etichette indipendenti americane, la Young God, che adesso lo impegna a tempo pieno per produrre fior di talenti tra cui Devendra Banhart che canta nella suggestiva ballad d’apertura. Essendo ormai passato a una sintesi musicale meno estrema ma più a fuoco rispetto agli esordi, Gira è diventato in pratica una sorta di can(tau)tore maledetto erede di Jim Morrison. Sin dall’inizio il rituale inscenato dall’atteso ritorno dei cigni prevede un miscuglio di noise alla Sonic Youth, apocaliptic folk (genere legato per definizione alla musica di Current 93 e dello stes-
THE DECEMBERISTS The King is dead Capitol
Il nuovo album della band di Portland si pone come obiettivo il recupero di una scrittura sobria ed essenziale, spoglia di sovrastrutture e di arrangiamenti complessi. A detta dello stesso leader Colin Meloy, l’operazione è stata più difficile del previsto, ma ha dato anche dei risultati eccellenti che evidenziano l’ispirazione del frontman e lo spessore musicale dei suoi compagni di viaggio. L’incipit è un sentito omaggio a Neil Young, ma già da Calamity Song si capisce dove sono i riferimenti più prossimi. Non è un plagio di Talk about the passion dei REM, ma è un featuring del loro chitarrista Peter Buck, che suona anche in altri due brani (in Down By The Water siamo dalle parti di Out Of Time). Difficile resistere a queste canzoni che strizzano l’occhio alle produzioni indie, masticando un classico folk-rock a cui si aggiungono folk irlandese (Rox In The Box), country Dylaniano (Rise To Me), talvolta sfiorando, altre volte toccando una possenza pop da classifica che non perde comunque smalto e spessore, come nel penultimo brano This Is Why We Fight. Canzoni ispirate, dicevamo, che rischiano di restarvi in circolo per sempre. Tobia D’Onofrio
so Gira) acidità blues alla Nick Cave, con alcuni slanci di sperimentazione cacofonica e/o catatonica. Talvolta, come già in passato, la musica si dissolve lasciando la scena alla diabolica voce di Gira che dall’acido passa al sensuale, per poi diventare cavernosa, cambiando tono e registro come se niente fosse. Inside Madeline parte con un vertiginoso crescendo, diventa una ballad noir tra For Carnation e Nick Cave, poi si perde in una cantilena loureediana. Anche la suite No Words/No Thoughts è una
perfetta sintesi dell’incalzante danza del cigno: scampanellii dall’oltretomba, devastanti ipnosi nel rumore, marcetta gotica con melodia da brivido, siparietto anni ‘40 e code di catartici crescendo. (Tdo) CAKE Showroom of compassion Upbeat records I Cake sono uno di quei gruppi che ha fatto irruzione nei miei ascolti cambiandoli in modo radicale. Tutti li ricorderanno per l’immortale cover di I Will Survive ma nell’arco di diciasMUSICA 29
sette anni hanno collezionato circa sette album e inaugurato uno stile musicale peculiare e inimitabile. La loro grande capacità è nell’avere un atteggiamento indie tipicamente svogliato rinforzato da influenze hip hop funky, contaminato dall’uso della tromba e da una cadenza solo loro. E in questo nuovo capitolo non fanno che destreggiarsi tra gli elementi che li ha resi una band capace di scalare le classifiche pur rimanendo profondamente indipendente nell’approccio. (Op) IRON AND WINE Kiss each other clean 4AD
A quanto pare per Sam Beam è arrivato il disco della maturità con il passaggio ad una major. Un’impresa che è riuscita davvero a pochi. Prendete il gospel-pop di Me And Lazarus, che fa pensare a un “piccolo Prince bianco” in una confessione cantautorale che sviluppa un groove irresistibile fatto di lievi mutazioni. Canzoni fatte di stratificazioni singolari e misurate, sia quelle più classiche come Tree By The River che sa di Paul Simon e Belle And Sebastian oppure Glad Man Singing che riesuma il miglior Cat Stevens, sia quelle più sperimentali ed eccentriche come Rabbit Will Run e Monkeys Uptown, che ci riconducono al “piccolo Prince bianco” di cui sopra. In chiusura una cavalcata jazz-rock con lunga coda neilyoungiana. Un grande passo per Iron And Wine, gran 30 MUSICA
maestro di narrazioni in musica, passato dagli scarni esordi folk a una delle forme più varie e ispirate della canzone contemporanea. Tobia D’Onofrio MINIMONO Runaway LP Bosconi
Reduci della scena rock di fine anni ’80, il fiorentino Fabio della Torre e il leccese Ennio Colaci (batterista degli NN, band prodotta da Alberto Pirelli nel ’95) sono rimasti affascinati dalle sonorità ed evoluzioni dell’elettronica sin dai primi anni ’90. Dopo una lunga attività nei club portano avanti la collaborazione Minimono pubblicando un primo album che scava indietro nel tempo fino a recuperare gli albori del dancefloor, e dunque la musica funky, soul e disco anni ‘70. Un recupero delle origini evidente sin dalle prime tracce, come nelle visioni metropolitane di Downtown o nell’hip-hop/acidjazz di Weeds, che ospita chitarra, rhodes e scratches di Nuclear Child. That Time porta il funk nei club della house music, mentre Regrets è avvolta in una spirale di percussioni latine. Come i primi rappers presero il funk per tagliarlo a fette a ritmo d’hip-hop, così Minimono crea una musica solare adatta a club e party estivi in spiaggia, sviluppando le progressioni con sensibilità contemporanea, ma utilizzando sonorità di matrice principalmente vintage. La title track ha un incedere robotico quasi Daft Punk e la conclusiva
Minimono si abbandona a una psichedelia dal profumo latino con la chitarra che invoca lo spirito di Santana. (Tdo) ANIMATION Asiento Rare Noise
Asiento è la rilettura in chiave drum’n’bass di un classico senza tempo, quel Bitches Brew di Miles Davis che è diventato uno dei dischi più celebrati della storia della musica. Il capolavoro del ‘70 decretava la rottura del confine tra jazz e rock nel pieno boom della sperimentazione psichedelica, operando una ricongiunzione astrale nel ventre dell’Africa di tutta la musica black, prima e dopo Jimi Hendrix. Un immortale capolavoro di spacemusic con stratificazioni di devastanti grooves, elucubrazioni e trance deliranti, originariamente concepite per allargare la coscienza ed i confini stessi della musica. Ovviamente il miracolo compiuto da Davis è irripetibile, dunque il tentativo di reinterpretare tale classico pare fuori luogo e fuori tempo… oltre che un suicidio annunciato. Fortunatamente, però, Animation è la band di Bob Belden, ex-direttore A&r di Blue Note, sassofonista e già producer dei remix di Miles. Si tratta dunque di cinque talentuosi jazzisti più un Dj immortalati in un’ottima performance dal vivo che alterna sapientemente momenti di meditazione a parti più progressive e ballabili. Più volte la musica
si fa eccitante, ma i grooves di Bitches Brew sono irraggiungibili e nonostante la buona volontà e l’ascolto piacevole, alla fine vien voglia di riassaggiare la camaleontica espressività di Davis nel suo sciamanico rituale di musica totale (Tdo).
QUINTORIGO English garden Edel
AUCAN Black Rainbow La Tempesta International
Dopo aver esordito con un album che recuperava funamboliche asprezze post-rock alla Tortoise/Battles, gli italiani Aucan hanno diviso il palco con artisti del calibro di Placebo, Antipop Consortium e Crookers. L’incipit del terzo lavoro, masterizzato ai londinesi AIR Studios di Matt Colton, lascia un po’ spiazzati per il deciso cambio di sonorità, dal docile trip-hop in apertura, alla malinconia indie/wave di Heartless, dall’elettronica krauta warp-eggiante di Red Minoga all’hip-hop industriale e apocalittico di Sound Pressure Level, al dubstep/broken-beat di Storm. Si citano spesso gli anni ’80, come nel cantato della titletrack in chiusura, e l’elettronica dark-industrial di Save yourself oppure Away! evidenziano l’avvicinamento di Aucan ad una forma-canzone più orecchiabile e radiofonica, ma sostanzialmente meno incisiva rispetto alla proposta musicale degli esordi. Nel complesso, l’amore per la propulsione sonica risolleva le sorti di un disco che rischia di perdersi in tracce convenzionali, seppur di gradito ascolto. (Tdo)
Altro giro altra corsa! Dopo aver salutato la vocalist Luisa Cottifoglia, per il loro primo vero tentativo di sfondare all’estero, i Quintorigo puntano su Luca Sapio, voce black accostata giustamente a quella di Chris Cornell. English garden è interamente scritto e cantato in inglese e potrebbe essere l’album della consacrazione definitiva per la band romagnola, vincitrice del Premio Tenco nel 1999. L’album trasuda un rock genuino, contaminato e originale. Se cercate chitarre e batteria resterete delusi. Tutti gli strumenti, comprese le mani e la voce, danno ritmo alla struttura sonora, sorretta alla perfezione dagli archi sontuosi di Andrea e Gionata Costa, sempre di più il vero marchio di fabbrica del gruppo. Completano la band il sassofonista Valentino Bianchi e il bassista Stefano Ricci. Teardrops e Shephard of the Sheep sono gli episodi migliori, ma la vera sorpresa dell’album è l’attrice e cantante statunitense Juliette Lewis, presente in due tracce, How does it feel? e Lies!, quest’ultima aperta dalla sua risata. Dopo aver giocato con il jazz in Quintorigo Play Mingus, in questo album dal sapore fortemente internazionale, la band romagnola non sbaglia un colpo, e riesce nel difficile intento di essere contemporaneamente originale e classica, accattivante per nuovi fan e rassicurante per i vecchi. In bocca al lupo. Lucio Lussi MAGNETIC MAN Magnetic Man Columbia Il dubstep, la “musica del momento”, debutta su etichetta major grazie a un super-trio di pionieri del genere, ovvero Benga, Skream e Artwork. Ne avevamo davvero bisogno? Non credo proprio. Ovviamente il disco è già un successo, il suono è curatissimo, in una metà
delle tracce si addolciscono un po’ le atmosfere cupe del genere e si viaggia belli tranquilli. Non mancano momenti riusciti e schizoidi come K Dance, Mad, o il brivido di Fire cantata da Miss Dynamite. Ahimè, in altri episodi si perde la bussola divagando in ambito dance-pop e il singolo I Need Air, carino, potrebbe frullare nel guazzabuglio di Mtv insieme a Nelly MUSICA 31
Furtado, Lady Gaga e compagnia bella. Perfect Stranger è scandalosa. Crossover, forse, no. Dico forse perché mi è già entrata nel cervello, maledizione… La traccia in chiusura cantata da John Legend ti fa venir voglia di prendere Diary Of An Afro Warrior e spaccarlo in mille pezzi. (Tdo) THE SAND BAND All Through The Night Deltasonic
Quando metti su All Through The Night, disco d’esordio della band di sabbia anticipato mesi prima da un EP accolto da tutti con benevolenza, ti si sciolgono i muscoli e il mal di testa sparisce. La struggente Set Me Free che apre il disco è un passepartout emozionale elegante ed onesto che ti conquista con pochi accordi. Da lì in poi comincia una passeggiata, perché questo disco ti prende e ti porta via, parafrasando Ammaniti. È malinconico ma mai banale e prende riferimenti da quel Liverpool sound, città in cui ha base il quintetto, che sfiora i Beatles e omaggia gli Shack, mantenendo un’identità così forte che stupisce trovarla in un disco d’esordio. L’etichetta è la Deltasonic, una mezza garanzia dopo l’ottimo lavoro fatto con i The Coral. Non sono le solite canzoni tristi, chiariamo. Qui c’è un disco vero e proprio, ben scritto, ben suonato, ben pensato. Il cantante e chitarrista David McDonnell sembra che farà parte della prossima band di Noel Gallagher. E l’ex 32 MUSICA
Oasis c’è da dire che c’ha visto e sentito giusto. Marco Chiffi ETTORE GIURADEI La repubblica del sole Novunque/Mizar Records Dopo Panciastorie ed Era che così ritorna con un nuovo cd e un nuovo tour il cantautore Ettore Giuradei. La Repubblica del Sole si muove tra folk, rock, canzone d’autore. Se il cantautore, con i precedenti lavori, aveva già ottenuto molti riscontri di critica (Premio Nuova Canzone d’autore al Mei, finale a Fuori dal Mucchio e Premio De Andrè, ospite al Tenco e al Ciampi), ora entra a buon diritto nel novero dei nuovi nomi (interessanti) della musica d’autore italiana (non a caso è anch’egli presente nella Leva Cantautorale). Un cd da ascoltare e gustare tra giochi di parole e intrighi tra finzione e realtà. Giuradei racconta la società e le sue difficoltà (La repubblica del sole, Piedi Alati, Paese, Il vicino, ) ma non disdegna l’amore (“Se mi andrà bene ti amerò per sempre / se mi andrà meglio morirò per te” sottolinea in Eva). Affiancato a molti nomi (Gazzè, Silvestri, Bersani, Pino Marino), Ettore Giuradei con questo terzo cd ha trovato definitivamente la sua via, mai banale e scontata. (pila) THE UNWINDING HOURS The Unwinding Hours Chemikal Underground
Questo omonimo è un disco d’esordio a metà. Dietro al nome The Unwinding Hours infatti ci sono Craig B e Iain Cook, due
scozzesi di Glasgow che a fine anni novanta avevano fondato gli Aereogramme, band di stampo post/rock sciolta nel 2007 che affiancava il lavoro dei conterranei Mogwai. Di quelle divagazioni post/rock in questo disco non rimane molto, a parte forse un delizioso gusto per le melodie. Qui ci sono delle canzoni vere e proprie, che ammiccano ai Sigur Ros senza sembrarne la brutta copia. In certi momenti, forse eccessivamente melensi, viene da etichettarli come ennesimo prodotto della generazione Twilight, ma sarebbe troppo, non lo meritano. Brani come Knut che apre il disco e Solstice sono esempi diversi, il primo rumoroso e il secondo acustico, di un buon gusto inequivocabile del duo scozzese. Marco Chiffi
YUCK Yuck Fat Possum
Yuck in inglese significa tipo idiota e indica pure qualcosa di disgustoso e non gradito. Eppure questo esordio è graditissimo. Prima di mettere play il consiglio è di preparare un paio di occhiali da sole, di scaldare il motore della macchina e di assicurarsi che fuori ci sia una giornata di sole esplosivo. Poi non dimenticatevi le magliette con su stampate le copertine dei dischi come si usava in certi anni ’90. Questo disco è un frullato di Jesus and Mary Chain, Pavement, Sonic Youth, Dinosaur Jr., e chiunque altro vi venga in mente di quel tanto amato decennio. È pop acidissimo e spor-
co, che ti fa ballare in spiaggia. Fate un test: mettete su Georgia o The Wall e vediamo che succede. E ci trovi pure le ballatone tutte melodia e candore. Direttamente dalla vostra adolescenza 90s (per chi c’era). Nulla di nuovo, sia chiaro, ma quanto ci piacciono i dischi freschi e spontanei come questo. Marco Chiffi
NINE INCH NAILS Pretty hate machine Bicycle Music
Nel 1989 Trent Reznor presentava al mondo la sua creatura chiamata Nine Inch Nails. Il debutto ufficiale del ragazzo che per inseguire il suo sogno saltava i pasti e puliva i cessi degli studi di registrazione avvenne con un disco realizzato insieme a un formidabile team di produttori (Flood, Adrian Sherwood, Keith LeBlanc, John Fryer) e pubblicato dall’etichetta TVT che più in là sarebbe fallita creando una serie di grane che fino ad oggi avevano impedito al neo vincitore di un Grammy Award (per l’eccellente colonna sonora del film The Social Network) di rimettere le mani sul master originale al fine di un debito restauro. La versione remastered di quel primo, grezzo gioiello (il capolavoro The Downward spiral sarebbe arrivato solo cinque anni più tardi) è ora una realtà fatta di suoni che Reznor ha riportato alla luce lavorando con l’ingegnere del suono Tom Baker. Via la polvere da Ringfinger, dall’aspra Terrible lie, dal grido di dolore di Something I can never have, l’album risplen-
de in una seconda giovinezza. Alla tracklist originale si aggiunge Get down, make love, cover di un brano dei Queen (annata 1977) adulterata con campionamenti tratti da un thriller psicologico, da un porno giapponese e dall’anthemn We will rock you. Un bel dieci anche ad artwork e packaging rielaborati ad hoc per il XXI secolo. Nino G. D’Attis
MARC RIBOT Silent Movies PI Recordings
Non si esce indenni dall’ascolto di melodie purissime come quelle costruite da Marc Ribot nel suo ultimo album in solo. Chi aveva ascoltato le derive rock sperimentali di qualche anno fa in Party Intellectuals con i Ceramic Dog, o Asmodeus, settimo volume della serie zorniana The Book Of Angels, crederà che il chitarrista di Newark sia alla svolta introspettiva. In realtà, chi ha seguito la carriera di questo inetichettabile musicista, passato da Tom Waits a John Zorn, dalla musica cubana a Giacinto Scelsi, sa che non si tratta che dell’espressione di una delle sue anime. Quella legata al cinema, in questo caso. L’ispirazione per Silent Movies è arrivata a gennaio dello scorso anno, quando Ribot fu invitato alla Merkin Concert Hall di New York per musicare Il Monello di Chaplin. Da lì, il chitarrista ha tirato fuori dal cilindro una serie di brani in gran parte per film mai esisti-
ti, girati solo nella sua testa, e che pure evocano nitidamente immagini visionarie e dolcissime. Le atmosfere acustiche, rarefatte, tanto intime da risultare quasi segrete, di Requiem For A Revolution, Postcard From New York, The Kid s’incollano addosso come un odore, come il segno di un passaggio, e lì restano, insistenti, indimenticabili. Lori Albanese LEMELEAGRE Atlante Mahogany
Fedeli alla linea, direbbe qualcuno della vecchia guardia. E invece Lemeleagre in pista da più un decennio riescono con questo Atlante a rileggere in chiave moderna tutto il loro background fatto di punkrock e grunge. Lo fanno alla luce dell’esperienza e della maturità raggiunta non solo con un sound più curato e convincente ma anche con testi consapevoli e diretti. Il tutto ha anche uno spiccato senso della melodia che si fa strada tra riff alla Green Day, piccole tirate stoner e strutture power pop. Lemeleagre sono la testimonianza dell’ottimo stato di salute di una scena da sempre molto attiva in Italia. (AR) AA.VV. Capo verde terra d’amore vol 2 Microcosmo dischi Quando la musica incontra il cuore della gente il sodalizio è perfetto. Ci sono progetti muMUSICA 33
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sicali come questo, che nascono per aiutare la gente ed è ancora più bello. Capo Verde terra d’amore vol 2 è un progetto che nasce a sostegno del Programma alimentare mondiale e che omaggia una terra e i suoi gioelli musicali in modo assolutamente speciale. Brani del repertorio di Cesaria Evora, Lura e Teofilo Chantre interpretati dagli stessi autori e da big della canzone italiana. Ed è sorprendente ascoltare artisti come Ron, Bruno Lauzi, Peppino di Capri, Massimo Ranieri immergersi in questo universo musicale apparentemente distante dal loro percorso. E sono invece proprio le voci a impreziosire questo album che raggiunge, in alcuni episodi, momenti di rara intensità. (Op) VERSUS Retròattivo Mescal
Ci mancava un po’ di pop intelligente. I Versus hanno un background musicale elegante, la posatezza di gestire musica e strumenti con maestrie psichedeliche alla Air, quell’ironia non sense del primo Battiato, l’immaginario post moderno dei Bluvertigo. Tutti riferimenti altisonanti dai quali è bene scostarsi un attimo per evitare paragoni. E così che Retròattivo ci appare nella sua sostanza, un disco che prova a mettere la canzone italiana su un binario nuovo attingendo dove la musica ha dato molto. Il risultato dal punto di vista musicale è alto, i brani sono altalenanti,
kjjCoconino Press
La pelle degli spiriti è un lavoro importante. Un po’ perché è espressione di multipli codici espressivi, un po’ perché indaga forme nuove per raccontare l’uomo. Non è solo un disco, è un libro, una raccolta di tavole del bravissimo Manuele Fior. È un racconto per immagini e suggestioni di una band sintesi di un percorso musicale sfaccettato che attraversa i decenni senza mai piegarsi alle tendenze. Ecco perché questo nuovo album dei Dorian Gray suona già come un classico perfettamente in equilibrio tra reminiscenze wave, cantautorato e rock. Un clima notturno pervade parole e musica, un mood blues anima il senso di sospensione emotiva, gli spazi e i silenzi di queste canzoni. Se Nick Cave fosse nato in Sardegna sarebbe un loro fan. (O.P.)
alcuni brillano di più oscurando altri episodi. (Op) LEITMOTIV Psychobabele Pelagonia Tornano i pugliesi Leitmotiv con un album che è come un mondo. Psychobabele è la metafora dei nostri tempi. È un pianeta dove tutto viene messo in scena in una commedia art rock, che seziona la società, fa lirica del quotidiano e dipinge
paesaggi surreali ma pregni del senso delle cose. Un disco che fotografa una band che ha la piena consapevolezza del proprio suono e del proprio carattere, non alla moda e per questo assolutamente tarata su una poetica personale. Un percorso che ha già convinto molti con il precedente L’audace bianco sporca il resto e che continua con Psychobabele. (Op) MUSICA 35
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AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Ellie Goulding – Lights
Ellie apriva anche la scorsa cinquina. Vuol dire che sono di parte, certo, ma vuol dire anche che ne becca almeno una ogni bimestre. Da un anno nella classifica degli album inglesi, lì adorata, qui così così, Ellie Goulding ha fatto uscire un EP, Bright Lights, che riesce a essere ancora meglio dell’album d’esordio, ora distribuito in disco doppio. Lights è il singolo, Lights è il nome dell’album, Lights sembra il singolo della consacrazione, anche a causa di un video super. È tutto un gioco di luci.
I Blame Coco – Self machine
La figlia di Sting. Un buon motivo per non ascoltarla. E invece no, Coco Sumner è tanta roba. Ha 20 anni, ha la faccia del papà e anche molte somiglianze nel timbro. Ha anche quarti di sensibilità pop dei Police, anche se c’è ancora tanta piacevole ingenuità. E soprattutto piace molto ai guru dell’elettronica. Self Machine è solo il singolo di lancio, ma tra brani in uscita e remix avete già la scaletta per un dignitoso concerto e gli elementi per superare ogni pregiudizio.
Vampire Weekend – The kids don’t stand a chance
L’avreste mai detto? Da idoli indie a idoli pop! Ce l’hanno fatta, Ezra Koenig e gli altri. Il loro Contra è il primo album da 19 anni a finire primo nella classifica USA senza essere prodotto da una major. I loro singoli sono già finiti in tutte
le pubblicità. Vedere questo brano nient’affatto facile in altissima rotazione sui principali network radiofonici fa quasi impressione. Ma c’è anche la spocchiosa gioia che possiamo diffondere dalle pagine di Coolclub: ve l’avevamo detto.
Chilly Gonzales – You can dance
Il poliedrico e fenomenale Gonzales, canadese trapiantato in Francia, produttore di grido e musicista di buona fama, diventa Chilly (tranquillo, ma non troppo) e si inventa un album che in Inghilterra sta facendo ammattire tutti. Elettronica, pianoforte e quel tocco quasi jazz, sicuramente anarchico. Questo brano, il cui titolo invita al ballo, in realtà obbliga il movimento delle gambe e della testa. Un tormentone intelligente come non ne si sentivano da tempo
Kanye West – Runaway
Sobrio, non è. Bravo, un sacco. Un videoclip di 35 minuti, un vero e proprio medio metraggio. Non si capisce se c’è la volontà di prendere a pernacchie l’altra sobria, Lady Gaga, se è un guanto di sfida ai tempi della televisione e dell’industria culturale moderna o se è semplicemente l’affermazione di un uomo felice, ricco, talentuoso e indipendente. Forse è troppo poco, ma bisogna concederlo un rigo per il singolo che ha lanciato My beautiful dark twisted fantasy, ritenuto miglior album da moltissime riviste specializzate. Kanye, vanno bene anche i video di sei ore, se lo ritieni. Dino Amenduni
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DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... Anna Calvi – Jezebel
Una donna avvolta da una discreta aura di mistero e fascinazione. Nome, cognome e papà italiano, origini britanniche, voce indimenticabile che vi piaccia o no, formazione classica (Ravel e Debussy), cultura folk-rock contemporanea, più di un rimando alle colonne sonore western di Ennio Morricone. Lei canta da cinque anni ma il suo primo album (con Domino) è uscito solo il 17 gennaio di quest’anno. Difficilmente la ascolteremo in radio, ma può diventare tormentone internettaro. Breakage – Fighting fire È il vincitore di questa rubrica. È un dj di Londra. È ancora semisconosciuto. Parte dal dubstep e si lancia in altri lidi. Qui Jess Mills la porta verso il pop. Provate ad ascoltare questo brano in cuffia, probabilmente sarete travolti da BPM ignoranti ma se entrate in sintonia con le sonorità non riuscirete a smettere di ascoltare, di ballare, di cercare le altre produzioni. Magari a partire dalle rivisitazioni dei lavori altrui. Clare Maguire – Ain’t nobody (Breakage remix) Il remix dell’anno secondo la BBC. Una definizione senz’altro impegnativa, ma che ci può stare. La base di partenza è un ottimo pezzo di Clare Maguire, altra nuova voce femminile che si farà strada e che merita un posto su queste pagine.
Ma Breakage riesce nel difficilissimo compito di sollevare l’asticella un po’ più su. Sarà semisconosciuto, ma questo Breakage si prepara a dettare il ritmo dei bassi e degli amplificatori di mezzo mondo. TEED – Household goods Altro carneade extralusso. Orlando Dinosaur, figlio di un professore di musica a Oxford, cognome al 99% di fantasia, così come abbastanza fantasioso è il nome del suo progetto, Totally Enormous Extinct Dinosaurs, non ha neanche una pagina Wikipedia ma è proprietario di un brano destinato a fare successo. Questa Household goods parte tranquilla ma dopo trenta secondi ti travolge. Già remixata e straremixata, sembra pronta per finire nella sigla di qualche programma d’azione o di sport. Nero – Me and you
Si chiude con il pezzo che ha bisogno della spinta minore. Vi sembrerà incredibile, ma un brano elettronico anche piuttosto duro (e con vaghe, neanche troppo, influenze rock) in Inghilterra è in classifica, in mezzo a Rihanne varie. Ha un video in rotazione e sembra un piccolo inno generazionale. Si tratta di Me and you di Nero, duo composto da Dan Stephens e Joe Ray, dj accompagnati dagli inserti vocali di Alana Watson. Come Breakage, si esaltano nel remix e certificano il momento di assoluto spolvero della scena underground inglese. Dino Amenduni
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SALTO NELL’INDIE
In foto Colapesce 40
QUARANTADUE RECORDS Quando si dice il potere delle idee: La piccola 42 records si distingue subito nel mare delle etichette indipendenti per la sua natura un po’ eccentrica. Sono farina del suo sacco infatti il geniale remake di Mellon collie and the infinite sadness degli Smashing Pumpkins ad opera di Albanopower and friends e l’intenso tributo a Leonard Cohen. Un bella realtà che produce ottima nuova musica. Avete in catalogo alcune delle cose più interessanti in circolazione. Tra le ultime la rivelazione Colapesce, The Jaqueries, Spagetti Bolonnaise. Come incontrate la musica che producete? Più che incontrarla, lasciamo che ci piombi addosso. Scherzo. Raramente abbiamo scelto band perché rimasti colpiti dai demo, anzi. Forse mai. Tutti i musicisti che hai citato hanno con noi un rapporto che va al di là del semplice incontro tra musicisti ed etichetta. Sono amico di Lorenzo (Colapesce) da prima di fondare, con Giacomo Fiorenza, quarantadue. Sapevo fin da subito che avremmo pubblicato il disco degli Albano e che il nostro rapporto sarebbe stato prolifico. Se un musicista entra nella nostra orbita difficilmente ragioniamo a compartimenti stagni. Di solito ci piacciono tutte le cose che fa, al di là del progetto per cui l’abbiamo scelto. Stesso discorso per Spagetti Bolonnaise che non sono altro che l’insieme di My Awesome Mixtape e Fake P. Con i Jacqueries il discorso è un po’ diverso. Ho assistito a un loro concerto quando avevano sedici anni e l’ho trovato orribile, poi mi sono ricapitati davanti a diciassette e facevano sempre pena, ma un po’ meno. A diciotto cominciavano a essere gradevoli, a diciannove spaccavano proprio. Ed è nato l’amore. Sono entrato in studio con loro e sono davvero soddisfatto del loro esordio. Sono una band in divenire, miglioreranno col tempo. Come il vino di qualità. Non molto tempo fa è uscito il tributo Mellon Collie and the infinite power. 5000 download, una menzione dal signor Billy Corgan in persona. Ci racconti questo progetto? I download ora come ora sono quasi diecimila. Il
progetto è nato sempre da Lorenzo e dagli altri albani, durante un tour. Cazzeggiando avevano buttato lì l’idea di rifare tutto Nevermind in italiano, e in seconda battuta Mellon Collie. Hanno cominciato a lavorare sui pezzi, pian piano si sono aggiunti degli amici ed è venuto fuori un lavoro collettivo di quasi cinquanta persone. Siamo molto contenti del modo in cui Albanopumpkins è stato accolto, a partire dalla cosa di Billy Corgan, ma non solo. Sapevamo da soli di aver tirato fuori qualcosa di speciale. Tra le altre cose anche un omaggio a Leonard Cohen. Sembra che il vostro forte sia coinvolgere persone diverse intorno a passioni comuni… In questo caso sono stato io ad essere coinvolto da Corrado Nuccini (e la passione che ho per Cohen è decisamente più grande di quella per Corgan e compari). Corrado aveva cominciato a chiedere ad amici un po’ di cover di Cohen da mettere sul suo blog, poi sono entrato in scena io e la cosa è diventata un po’ più grande, confluita in due serate spettacolari a Carpi e Roma, con ospiti specialissimi come Paolo Benvegnù e Giancarlo De Cataldo. Sono contentissimo di quella operazione, è una delle cose che mi riempie più d’orgoglio. Nel tributo è coinvolto - molto coinvolto - Emidio Clementi che per me è sempre stato un punto di riferimento pazzesco. È stato lui a introdurre Cohen a Corrado e in qualche modo è un cerchio che si chiude Come vi rapportate al mercato? Come lo affrontate? Siete giovanissimi, che idea vi siete fatti e che riscontri avete? Cerchiamo di non subirlo. Sappiamo cosa possiamo ottenere e cosa no. Non promettiamo la luna, ma molta cura verso i nostri progetti, quella sì. I riscontri sono buoni, o comunque altalenanti, però fino ad oggi siamo sempre stati capaci di tirare fuori dal cilindro qualche sorpresa che ci ha rimesso in moto. E continueremo. Spero. Cosa ci riserva il futuro? La seconda edizione di 24 (un ep al mese tutti i mesi) e poi un sacco di sorprese. Antonietta Rosato MUSICA 41
LIBRI
In foto: una scena del film Noi credevamo
GIANCARLO DE CATALDO
La chiave di tutto è il respiro del cambiamento che soffiava potente nel Risorgimento italiano In questi mesi De Cataldo è in veste di autore del romanzo I traditori e sceneggiatore del film Noi credevamo; il Risorgimento l’ha assorbito completamente in questo ultimo periodo della sua vita. Lo scrittore e magistrato tarantino ci racconta la sua ultima fatica letteraria. È un’epoca storica considerata dai più noiosa e poco interessante, ma leggendo il suo libro direi che questa teoria va a farsi benedire. Come mai ha scelto proprio quel momento della storia d’Italia e che cosa ci ha trovato? Ho scoperto che erano giovani, entusiasti, combattivi, animati da fede e speranza in un futu42 LIBRI
ro migliore. L’idea nazionale era solo uno degli aspetti ben presenti ai ragazzi del Quarantotto, che si scatenarono perché insofferenti di un ordine vecchio, decrepito, putrido, e ansiosi di cambiarlo. La chiave di tutto è questo respiro del cambiamento che soffiava allora potente. E poiché è da lì che veniamo noi, italiani di oggi, vuol dire che anche in noi c’è qualcosa di buono. Da qui il fascino del Risorgimento: non solo un fascino intellettuale, ma anche, e soprattutto, il fascino dell’avventura. Faccendieri, politici senza scrupoli, idealisti, mafiosi e camorristi, spie e traditori. Sono queste le persone che hanno “fatto
l’Italia”? E come sono le fondamenta del nostro Paese: fragili o reggeranno ancora per un bel po’? In ogni rivoluzione nazionale ci sono i furbi, gli opportunisti, i banditi. È andata così in America, in Messico, in Irlanda. Sono gli uomini oscuri che ramazzano gli avanzi delle idee nobili propugnate dai rivoluzionari senza macchia e senza paura (anche loro, però, a volte, venati di profonda ambiguità), ma hanno un posto preciso nella Storia. Senza di loro, le rivoluzioni non si farebbero. Ogni nuovo Paese che nasce nasce grazie ai buoni ma anche ai cattivi, per intenderci. La durata è un’altra storia: dipende dagli eredi, più che dagli epigoni. Oggi l’Unità è fragile. Ma non è un buon motivo per buttarla a mare. Leggendo il suo libro viene da pensare che in effetti l’Italia non è mai stata innocente. Lei cosa ne pensa? Certo, ma nessuna nazione nasce innocente. E tutti hanno, nel loro passato, eroi vagabondi, fuggitivi, e qualche terrorista che usava metodi spicci e che poi è diventato eroe e meritevole di lapidi, celebrazioni, festival alla memoria. Vale per l’Italia come per il resto del mondo. Una delle cose che più mi è piaciuta nel suo romanzo è come vengono visti il Meridione e i meridionali, quasi un male necessario per portare avanti l’idea di Italia unita. Ma quale è stato il vero ruolo dei meridionali nell’Unità, e nasce davvero da lì la questione meridionale? L’annosa, e irrisolta, questione meridionale nasce in contemporanea con l’Unità. I patrioti fuoriusciti attribuivano all’inerzia e all’arretratezza dei governi borbonici il gap del Sud. Avevano ragione, è ora di ribadirlo e di finirla con le intollerabili nostalgie neoborboniche, specchio della farneticazioni sull’insistente, e mai esistita, Padania e altre amenità. Nel 1860 15 famiglie controllavano il 100% delle risorse del Sud. I nordisti scesero al Sud animati di speranze, si scontrarono con una cultura che ignoravano e che, purtroppo, non impararono a rispettare. La deflagrazione fra gli opposti fu favorita da un evento sfortunato e imprevedibile: la morte di Cavour. Con Cavour in vita non ci sarebbero stati gli eccessi repressivi, venati di sadismo, che scavarono un solco profondo e doloroso fra le genti italiane. Con la morte di Cavour fu agevolata quella saldatura fra gli elementi peggiori delle classi dirigenti del Nord e delle antiche baronie feudali meridionali. Ma ancora una volta: io queste cose le racconto e le ricordo perché siano riconosciute, sì, ma superate. Non per ancorarmi agli errori e alle
atrocità del passato in vista di una condanna del presente, ma per rimboccarci tutti le maniche e riprendere il discorso da dove l’abbiamo sciaguratamente interrotto. A un certo punto uno dei suoi personaggi (uno dei più riusciti a mio avviso) dice: “Scelgo individui senza qualità, mezze calzette divorate dall’ambizione, fanatici pronti a tradire alla prima occasione, incendiari che vagheggiano il getto d’acqua che spegnerà il loro ardore, [...] nuovi Masanielli [...] (che) spasimano per un invito nel boudoir della castellana”. Sembra quasi una dichiarazione di poetica da parte di Giancarlo De Cataldo. Si può dire che lei cerca questi personaggi per farne materia narrativa nei suoi romanzi? No, è l’anticipazione di notori faccendieri che ricorrono ciclicamente nella storia patria. Poi, chiaro, come scrittore adoro i personaggi “neri”. Sennò mi occuperei di “gattini” (e non è escluso che un giorno...) Una domanda che esula dal suo ultimo romanzo. Su Sky le righe di presentazione della seconda serie di Romanzo Criminale parlavano della “mitica” banda della Magliana; sempre su Sky la presentazione del film La prima linea parlava di uno spaccato criminale degli anni ‘70. Lei che è un magistrato, cosa ne pensa di questa esaltazione acritica di tutto ciò che è fuori dalla legalità, come se gli anni ‘70 fossero il nostro personale e tutto italiano far West da ricordare con nostalgia e affetto, quando invece si tratta di momenti nerissimi nella storia italiana, di ferite tutt’altro che rimarginate e metabolizzate? Esaltazione? I modelli culturali sono imposti dalla storia, e in particolare dall’economia politica, che ne è il grande motore. Il revival degli anni Settanta e la mitizzazione derivano dalla consapevolezza, sempre più diffusa, di una sorta di ineluttabilità dell’immanenza dei poteri criminali, e dal fatto che gli stili criminali tendono sempre più ad omologarsi a quelli del grande capitano d’industria, del politico di successo, del leader carismatico... stessa arroganza, stesso disprezzo degli altri, stesso ridurre all’osso ogni problematica, tanto contano solo i soldi e il successo, e gli altri crepino pure. La gente questo lo sente, lo sente intorno a sé, e, la butto lì, si consola pensando che almeno i criminali di strada di una volta rischiavano la pelle in prima persona. Dario Goffredo LIBRI 43
FRANCESCO CORTONESI Intervista all’autore del prossimo libro della collana Coolibrì Con il prossimo libro Coolibrì, la collana curata da Coolclub per Lupo editore assume dei colori decisamente più dark e un’ambientzione notturna e gothic, come Gotham , la citta gotica, il nome che viene dato a New York. Ne parliamo con l’autore, che in rete firma come Deadtoday . Partiamo dal titolo: Gotham Polaroid, ce lo spieghi in due righe? 44 LIBRI
Ti dico subito che Gotham Polaroid è un concept book. Non è un romanzo e non è una raccolta di racconti. Sostanzialmente è qualcosa di diverso da tutto questo, anche se credo si tratti comunque di narrativa di genere. L’idea era quella di dare al lettore una serie di immagini scritte che ritraessero un giorno qualunque in una città “immaginaria”. Tante piccole storie che compongono un quadro d’insieme. Voci anonime che par-
lano di amore e morte in una città che ha perso il suo dio. Diciamo che Gotham Polaroid è fatto da una serie di flash che alla fine dovrebbero comporre un’immagine unica. Una polaroid fatta di tante piccole polaroid per intendersi. Mi rendo conto che in due parole non sia una cosa troppo facile da spiegare, ma beh, spero di aver reso in qualche modo l’idea. In cosa consiste la tua idea di concept book? Come chiaramente dice la definizione, l’idea del concept book si basa sul tentativo di dare al lettore un concetto più che una storia. Ormai lo sappiamo, viviamo in un’epoca in cui tutto ruota intorno agli “eventi”. La nostra è una “società di consumatori” in cui, nel migliore dei casi, film, libri e musica vengono divorati e soppiantati da altri senza lasciare alcuna traccia e spesso anche senza rimpianto. Chi si ricorda quali film sono usciti nel 2009? La maggior parte dei romanzi ormai restano in catalogo solo per pochi mesi, poi si passa ad altro e tutto questo senza soluzione di continuità. Così ho pensato che sarebbe stato interessante provare a dare al lettore qualcosa che fosse più vicino a un’immagine che a una storia vera e propria. Quando guardi una fotografia hai un’idea molto parziale del “tutto”. Riesci a vedere solo cosa il fotografo ha deciso di inquadrare, ma spesso finisci per percepire o cercar di percepire in qualche modo anche tutto quello che è rimasto fuori. Tendi a fartene un’idea. Ma ciò che resta è quasi sempre solo l’immagine. Mi piaceva provare a sperimentare una cosa del genere usando la scrittura. Certo, mi rendo perfettamente conto del fatto che sia qualcosa di azzardato, però del resto sono convinto, proprio per i motivi che ti dicevo prima, che questa sia un’epoca in cui bisogna cercare di sperimentare più che si può. A me personalmente dispiace sempre tanto quando vedo romanzi di cinquecento, mille pagine che finiscono nelle bancarelle dell’usato ancor prima che il suo autore, che magari ha impiegato anni per scriverlo, se ne sia reso conto. Non voglio dire che bisogna smettere di scrivere romanzi, però credo anche che sia necessario provare strade alternative. In fondo siamo pieni di romanzi no? Così il concept book potrebbe essere una di queste strade. Ovviamente è presto per dire se questa sia una strada che porta a qualcosa o un vicolo miseramente cieco. Tu vieni dal mondo del cinema horror, nel tuo libro è evidente la tua passione per i fumetti. Quali sono i tuoi riferimenti cultu-
rali e letterari che sono entrati nel libro? Domanda difficile. Il mio concept book è pieno di citazioni quindi nessun dubbio che sia figlio delle tante influenze che ho accumulato negli anni. Eppure se dovessi citare qualcosa di riferimento… beh davvero non mi viene in mente nulla. Forse il minimalismo post moderno è la cosa che più si avvicina al concetto di Gotham Polaroid. E forse anche l’idea di una certa Pop Art. C’è qualche autore in particolare che consideri un maestro? Anche se ci fosse non lo direi! Non vorrei certo mettere in imbarazzo qualcuno, visto che comunque mi considero un pessimo allievo. Ad ogni modo, il mio scrittore preferito è Hunter S. Thompson. Hai un modo interessante di lavorare, ce ne vuoi parlare brevemente? Lavoro molto con i post it. Voglio dire, scrivo immagini su bigliettini che appiccico ovunque. In casa, in macchina, a volte persino sui vestiti. Poi, di tanto in tanto, ne prendo uno e cerco di rielaborarlo, di dargli una forma. Usando altri post it. Non so bene spiegarti perché uso questo metodo, ma credo che la mia vita, come un po’ quella della maggior parte delle “vittime” del Terzo Millennio, sia sostanzialmente iperattiva, una serie di “eventi” che si susseguono nell’arco della giornata che spesso mi sembrano ben al di là del mio reale controllo. Così in questo flusso di appuntamenti, tappe e relazioni più o meno superficiali, mi scopro ogni giorno bombardato da immagini che mi sembrano interessanti per un qualche sviluppo futuro e che devono essere scritte all’istante. Se tu fossi uno psicologo o qualcosa del genere e mi chiedessi di descriverti questo, ecco ti direi che spesso mi sembra come di vivere sotto una lampada stroboscopica. I post it sono i flash della lampada. Cose che intravedo ma che non riesco immediatamente ad afferrare. Non mi sono spiegato vero? O forse questa cosa dei flash è qualcosa che capita a tutti? Quanto è importante la musica per te e per il tuo lavoro? Tantissimo. Ragionando per immagini inevitabilmente ragiono anche per colonne sonore. Non scrivo quasi mai senza musica e mi sarebbe piaciuto essere un cantante. Va beh, sarà per un’altra vita. Antonietta Rosato LIBRI 45
DEREK RAYMOND Stanze Nascoste Meridiano Zero
Scritto nel 1991, Stanze Nascoste (titolo originale Hidden Files) è il libro di memorie di Robert William Arthur Cook, meglio conosciuto come Derek Raymond. Un testamento (la morte sarebbe sopraggiunta tre anni dopo), finora sconosciuto ai cultori italiani del grande romanziere nato a Londra nel 1931, estimatore di Orwell e Brassens, di Poe e Gogol’ e avido succhiatore di Gauloises. Un’autobiografia che ha il sapore di un romanzo picaresco, dal momento che la vita dell’autore di Come vivono i morti e Il mio nome era Dora Suarez non è stata piatta e pantofolaia: il crimine, i marciapiedi malfamati, Mr. Cook li ha conosciuti da vicino, proprio come il James Ellroy de I miei luoghi oscuri. Da Baker Street all’Inghilterra dei famigerati gemelli Ronnie e Reggie Kray, gangsters dell’East End londinese tra gli anni ‘50 e ’60. Tassista di notte, trafficante di materiale zozzo e di auto di dubbia provenienza, madre alcolista, un antenato che aveva combattuto a Balaklava durante la guerra di Crimea. E viaggi tra Francia, Spagna e Italia, ma anche un affascinante dietro le quinte del mestiere del narratore, dove tra l’altro emerge un’adesione alla teoria che vede la letteratura più come testimonianza del reale 46 LIBRI
GORDIANO LUPI L’invasione degli scrittori inutili
Non è una novità. Gordiano Lupi, lo scrittore cinquantenne di Piombino, aveva già preso di mira il sistema editoriale italiano in due precedenti libri usciti per Stampa Alternativa, Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (2005) e Nemici miei (2007). Torna a rifarlo nel libro appena pubblicato per Historica Edizioni Velina o calciatore, altro che scrittore!. Nel suo libro ha voluto togliersi qualche sassolino dalle scarpe e lo ha fatto sparando a zero sul mondo dell’edi-
che come imitazione della vita. È su tale base che è possibile leggere tutti i viaggi all’inferno che Derek Raymond ha fatto insieme ai suoi lettori attraverso opere che emanano una poesia tragica. ”Lo scopo del noir”, scrive, “è mostrare tutta la merda che lo Stato, come una vecchia domestica isterica, cerca costantemente di nascondere sotto il tappeto.” Nino G. D’Attis BRET EASTON ELLIS Imperial bedrooms Einaudi Sono passati venticinque anni da quando Bret Easton Ellis scrisse Meno di zero, il romanzo cult di
una generazione, il romanzo del disincanto di un’intera nazione, l’America, che scoprì così il volto cattivo dei suoi collegiali, il romanzo che ha consacrato l’autore come uno dei più grandi scrittori americani di fine novecento. Tutto questo ad appena vent’anni. Oggi, uomo ormai fatto, con alle spalle esperienze di vita da consumata rockstar maledetta, Easton Ellis ritorna sul luogo del delitto a raccontarci che cosa sono diventati Clay, Blair, Trent, Rip e gli altri protagonisti di Meno di zero. E lo fa con il suo stile al quale ormai ci ha abituati e del quale io personalmente non mi stancherò mai. Lo fa senza leziosità, senza nostalgie inutili, dimostrandoci ancora una volta
toria e facendo nomi e cognomi di parecchi “scrittori italiani inutili” che proliferano nei salotti televisivi. Se le fornissero una bacchetta magica con la quale far scomparire alcuni di questi scrittori italiani che lei definisce inutili chi sceglierebbe e perché? Non ce l’ho con gli scrittori italiani ma con il sistema che sforna fenomeni un tanto al chilo. Per esempio adesso è uscito il nuovo libro di Piperno dal suggestivo titolo Persecuzione e lo vediamo sulle prime pagine di ogni quotidiano. Ecco, Piperno è una vera persecuzione con la lettera minuscola in tutti i sensi. Vi raccomando anche i premi Strega alla Tiziano Scarpa - niente a che vedere con la letteratura - ma pure gli scrittori panettone, i brunovespa di natale, i tuttologi alla bevilacqua (la minuscola è voluta)... e che dire dei gialli italiani tutti uguali con il commissario ciccione che mangia, beve e scopre delitti? Non leggo più italiani da almeno tre anni. Ho fatto un’eccezione per Silvia Avallone, incredibilmente brava. Altra categoria presa di mira è quella dell’editor, il quale è sempre meno orientato verso lo scrittore (che meno bravo è meglio è) e sempre più attento allo stile che va di moda e a cosa chiede il pubblico. C’è un editor che lei ritiene essere rappresentativo dell’idea appena espressa? Non faccio nomi. Non conosco editor e non ambisco a conoscerne. So come lavorano e come creano dal niente gli scrittori del niente. Persino Baglioni diventa uno scrittore, tra le loro sapienti mani. Ma la letteratura è un’altra cosa. Per questo da che lui, Bret Easton Ellis, è uno scrittore di razza. (dg)
NICCOLÒ AMMANITI Io e te Einaudi
Se un bunker e un rapimento erano protagonisti di Io non ho paura, una cantina e una fuga
un po’ di tempo a questa parte mi rifugio in Cabrera Infante, Milan Kundera, Vargas Llosa... Perché la scelta di utilizzare, nella scrittura del presente libro, uno stile colloquiale, una sorta di toscano parlato dalla gente di strada? Il toscano è il modo migliore per vomitare bile e sarcasmo. Il libro è satirico, ironico, scomodo, persino cattivo... ma penso vero, o meglio è la mia verità, senza finzioni né costruzioni. È un libro sincero. Il suo libro è anche un messaggio per i lettori di libri in Italia. Per la serie: aprite gli occhi, nelle librerie non ci sono solo volumi scritti da veline, calciatori, presentatori, tuttologi e quant’altro... C’è un modo, secondo lei, per invertire questa rotta che ha preso il sistema editoriale italiano? Sì, perché non parlo solo in negativo. Do consigli in positivo: Luigi Carletti (pubblicato da Baldini e Castoldi come Faletti, ma parecchio più scrittore), Silvia Avallone (mancato Premio Strega, una volta tanto che sarebbe stato ben dato), Luciano Bianciardi (non ha bisogno di presentazioni), Angelo Quattrocchi e la sua Malatempora (il libro è dedicato alla sua memoria), Marcello Baraghini e Stampa Alternativa... in libreria si può scegliere, certo! Non è facile - sommersi da pile di libri natalizi - ma si può fare. Rossano Astremo
sono al centro di Io e te. Niccolò Ammaniti, abbandona lo stile grottesco del precedente Che la festa cominci, e propone in poco più di cento pagine un’intensa storia che riflette sull’adolescenza, sulla solitudine, sulla difficoltà di relazione, sulla paura di essere accettati, sulle nuove famiglie italiane. Lorenzo, il personaggio quattordicenne un po’ timido e con difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei, racconta alla madre una bugia dalla quale non riesce più ad uscire. Un gruppo di suoi compagni di scuola l’hanno invitato in montagna per la settimana bianca. Il ragazzo si prepara di tutto punto (tuta,
scarponi e sci) e si fa accompagnare dalla madre all’appuntamento per la partenza. Invece di partire, però, ritorna di nascosto a casa e qui si rinchiude nella cantina, allestita con vettovaglie e giochi vari, per la sua vacanza in fondo al palazzo. Ma la sua solitudine viene disturbata da Olivia, la sua sorellastra che in cerca di cose in cantina si imbatte nella fuga sotterranea del ragazzo. Con il suo linguaggio semplice e diretto Ammaniti ha il grande dono di raccontare pochi giorni di due vite difficili intrise di dubbi e sentimenti, di diffidenze e di coraggio. Un’adolescenza raccontata in maniera molto LIBRI 47
diversa da quella patinata dei film generazionali dei giorni nostri. Nessun lucchetto da attaccare su Ponte Milvio, nessun figo da pedinare per un romanzo che si legge tutto d’un fiato e ci lascia con l’amaro in bocca. (pila) UMBERTO AMBROSOLI Qualunque cosa succeda Sironi Editore
Il ricordo di un bambino e la storia italiana si incontrano e si mischiano fino a confondersi in questo toccante volume che ripercorre la vicenda di un “eroe borghese”, Giorgio Ambrosoli. Nei burrascosi anni ’70 l’avvocato milanese fu chiamato ad un improbo compito: essere il commissario liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona. Il crack finanziario per eccellenza coinvolse la politica e la Chiesa, l’Italia e gli Stati Uniti, la Loggia P2 e lo Ior. Il figlio Umberto, che nel 1979 aveva solo otto anni, ripercorre e ricostruisce la storia del padre, la sua morte, il lungo processo, la condanna di Sindona e la sua misteriosa fine. Dopo i successi dei volumi di Mario Calabresi e Benedetta Tobagi, Qualunque cosa succeda conferma come il lettore, per riflettere sugli anni bui della nostra democrazia, sia alla ricerca di racconti partecipati e non solo di sterili ricostruzioni. “Al di sopra di tutto c’è”, sottolinea Carlo Azeglio Ciampi nella sua introduzione, “la volontà di Umberto Ambrosoli di testi48 LIBRI
moniare – con la memoria di una vicenda personale, di una ferita insanabile – l’impegno militante per l’affermazione dei valori dell’onestà, dell’assunzione di responsabilità, dell’adempimento del dovere; delle necessità di non tradire mai la propria coscienza: non omnis moriar” (pila).
la strage di No Gun Ri, una delle pagine più violente della storia. Maria Grazia Piemontese NICOLA LAGIOIA Fine della violenza :duepunti
JAYNE ANNE PHILLIPS Il bambino con le nuvole negli occhi Editore Cargo
Il legame che intercorre tra i personaggi si chiarifica pagina dopo pagina, e una frase dopo l’altra si colgono le relazioni tra loro: l’amore sensuale tra il sergente Leavitt e Lola, quello fraterno tra Lark e Termite anche se la prima è figlia di Lola e Charlie - l’eterno fidanzato di sua zia Nonie - e l’altro di Lola e Leavitt. Due fratellastri e una zia stakanovista che accoglie entrambi dopo la scomparsa della loro madre, questo lo strambo nucleo famigliare al centro del romanzo. Attraverso la maturità di Lark e la sensibilità di Termite si sciolgono i nodi di una storia fatta di abbandoni, dolori e amori. E come nella vita ogni azione genera delle ripercussioni diverse nell’animo di chi è coinvolto, anche in questo caso la coralità di voci e punti di vista rende di volta in volta manifesti gli intimi pensieri dei personaggi. Terminata la lettura, ci si sente come usciti d’improvviso dalla vita altrui ripercorrendo
Il 2010 per lo scrittore barese Nicola Lagioia è stato l’anno della definitiva consacrazione, ottenuta grazie alla vittoria del Premio Viareggio con il suo terzo romanzo, Riportando tutto a casa (Einaudi), libro ambientato negli anni Ottanta che, come lui stesso rivela «sono stati gli anni dell’ultimo mutamento antropologico dell’italiano medio, anni che hanno fatto da apripista a quelli odierni: noi siamo i figli di quel periodo dove pare che nulla sia successo, eppure il fare soldi a ogni costo, l’avvento delle tv private. Ed ecco che in un batter di ciglia si è arrivati allo sfacelo dei nostri giorni!”. È stato l’anno della ripubblicazione del suo esordio Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (Minimum Fax) e, infine, l’anno della pubblicazione di un libretto leggero, dal titolo Fine della violenza, edito dalla casa editrice palermitana :duepunti, nella collana Zooscritture animali, curata da Dario Voltolini e Giorgio Vasta. In questo libro Lagioia dà vita ad una sorta di atipica favoletta di Natale. Il protagonista è un ragazzino violento e difficile che viene addomesticato da un gatto che entra nella sua vita all’improvviso e la cambia.
L’animale compie il miracolo e riesce a calmare questo teppistello. La storia è ambientata a Roma, e si comprende che la violenza del ragazzino è indotta, visto che vive nella zona vicino allo scalo di San Lorenzo, dove c’è una sopraelevata che passa a un metro e mezzo dai palazzi. Dicono che la chiuderanno, ma poi non lo fanno mai. Rossano Astremo PHILIP ROTH Nemesi Einaudi Quarto tassello di un ciclo di storie cominciato con Everyman e proseguito con Indignazione e L’Umiliazione, il trentunesimo romanzo di Philip Roth approda nelle librerie italiane a pochi mesi di distanza dall’uscita negli States, nella traduzione di Norman Gobetti. Siamo a Newark, New Jersey, nell’estate del 1944: un’epidemia di poliomielite minaccia di morte e menomazioni i bambini americani mentre i loro padri e fratelli maggiori rischiano la vita nella guerra che si combatte oltreoceano. Protagonista del libro è il giovane atleta Bucky Cantor, riformato dall’esercito a causa di un problema agli occhi e ora, suo malgrado, insegnante di educazione fisica presso la Chancellor Avenue School. Bucky è un antieroe tragico, troppo umano per non andare incontro allo schiaffo del fallimento. È un giovane già vecchio quando si prende cura di ragazzini che si ammalano e muoiono, quando si lascia lacerare dagli eventi e si ritrova costretto a scappare insieme a Marcia Steinberg, la sua donna. È anche, nella sua dolente irrequietezza, un personaggio che Roth ha creato pensando probabilmente alle figure presenti nelle storie di Joseph Conrad, scrittore alla cui poetica sembra aderire
tutta l’ultima produzione del leggendario autore di Lamento di Portnoy, premio Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana. Più cupa, carica di domande gravi e urgenti intorno al significato dell’esistenza umana, sulla grammatica della paranoia e delle cicatrici che ci portiamo dietro, talora esponendole all’impietoso giudizio degli altri, più spesso mutandole in preghiere silenziose a un dio assente. Nemesi come “sdegno” oppure “giustizia divina”. Nemesi come Roth al meglio di se stesso. Nino G. D’Attis KEITH RICHARDS Life Feltrinelli
Keith sputa il rospo. Su se stesso, sugli Stones, su un’avventura che comincia tra le strade di un’Inghilterra sotto i bombardamenti e, in un lungo racconto in cui la lingua sembra un mirabolante mix tra Hunter S. Thompson, Mark Twain e Dickens, svela l’uomo dietro la rockstar. Con l’aiuto dell’amico giornalista James Fox, il più famoso fuorilegge con la chitarra dei nostri tempi rievoca il nonno Gus appassionato di strumenti musicali, i primi dischi di rock’n’roll acquistati (Little Richard ed Elvis), l’esperienza negli scout, le botte prese dai bulli della scuola. Poi arrivano l’incontro cruciale con Mick (“il più grande cantante di R&B su questa sponda dell’Atlantico”),
l’audizione con Ian Stewart (vero fondatore della band), gli anni della Swingin’ London e i mille aneddoti comici, sulfurei, drammatici intorno al circo delle Pietre Rotolanti. Pagine di splendori e miserie. Vividi ricordi in presa diretta da un carrozzone pieno di luci ma anche di scheletri nell’armadio (la morte di Brian Jones, la tragedia di Altamont, l’inferno dell’eroina), una gigantesca macchina che produce soldi e ha progressivamente trasformato il rapporto fraterno tra Jagger e Richards in una guerra fredda che di tanto in tanto conosce periodi di tregua quando è tempo di incidere un nuovo disco e pianificare il prossimo tour mondiale. Mick si lascia fregare dall’ego più o meno all’inizio degli anni Ottanta, Keith è ancora lì che spera di ritrovare l’amico di un tempo. Il libro sembra anche una lettera appassionata in cui il chitarrista si rivolge a Sua Maestà il cantante chiedendogli ciò che un rispettabilissimo conto in banca non potrebbe mai comprare. Nino G. D’Attis CLAUDIO MORANDINI Rapsodia su un solo tema Manni
Rapsodia su un solo tema è un viaggio dall’America alla Russia che si delinea come un cammino dentro se stessi, anche attraverso i moti interiori che hanno plasmato la figura del compositore Rafail DvoiLIBRI 49
nikov. Il musicista e professore americano Ethan Prescott vuole tenere desto il ricordo del maestro Dvoinikov, consapevole del fatto che presto le sue sinfonie potrebbero sbiadire dalla memoria degli studenti. È riduttivo definire questo libro come un semplice romanzo. Morandini ci dona un connubio di saggio, biografia, intervista, storia della musica, pamphlet politico. E se il pretesto iniziale è il confronto tra due compositori di nazionalità, età, tendenze sessuali, formazione, cultura diversi, la scrittura si apre a ritmi, colpi di scena e situazioni care a fiction e sit-com. L’autore ha il merito di essere riuscito a rendere reale, vibrante ed emozionante un’esperienza uditiva, come dimostra la lodevole descrizione del componimento musicale che dà nome al romanzo. Maria Grazia Piemontese ALESSIO VIOLA Il ricordo è un cane che ti azzanna Progedit
Il giornalista e scrittore barese Alessio Viola è un attento osservatore della nostra società e dei fatti che accadono nella nostra regione. Editorialista del Corriere del mezzogiorno, sulle pagine del suo giornale ha raccontato anche l’atroce storia dei fratellini di Gravina, Ciccio e Tore, precipitati in un pozzo profondo una ventina di metri e morti lì, da soli, mentre tutta Ita50 LIBRI
lia provava a cercarli. Dopo quasi due anni, dopo i sospetti sul padre trasformato dai media in un mostro, furono ritrovati abbracciati forse vittime di un gioco finito male. Viola ricostruisce a suo modo, da narratore di razza, quel triste e inspiegabile episodio, spostandolo indietro di quasi cinquant’anni e seguendo i protagonisti nella loro crescita (un po’ come nel film Sleepers), sottolineando le paure dei bambini ma anche la loro incoscienza. “Raccontare questa storia in un tempo e luogo lontani”, spiega l’autore nell’introduzione, “immaginando le vite di chi c’era, di chi è rimasto. Che continueranno a crescere, diventeranno giovani, adulti, grandi. Forse passeranno attraverso tutte le prove della vita con un fardello opprimente sulle spalle, alla disperata ricerca di buoni motivi per vivere, per sopravvivere”. Una storia che parte e si chiude in provincia di Foggia nell’anno delle Olimpiadi. La prima, quella di Roma del 1960, che sembrava dovesse tenersi lì “dietro casa, nelle belle stradine secche, nei campi delle loro partite, nella villa comunale delle loro battaglie”, la seconda a Pechino nel 2008, nella città che “era ormai l’immensa vetrina di propaganda del capitalismo del Duemila, troppo per chi aveva vissuto gli anni della gioventù con il libretto rosso sul comodino”. In mezzo i viaggi, l’emigrazione, la politica, la magistratura e i processi spettacolo, la televisione e le sue ingerenze, e, come sempre nei libri di Viola, la musica. Il ricordo è un cane che ti azzanna racconta storie di adulti che ricordano e che vivono nel rimorso, un rimorso, che spesso, può toccare tutti (pila).
CAMILLA MORGAN-DAVIS Il canto della notte Zero91 Editore
Avete presente la saga di Twilight? Quel fantasy per adolescenti innamorati, dove l’essere un vampiro o un licantropo è solo un piccolo, e facilmente superabile, incidente sulla strada dell’amore eterno? Un po’ come dire “che vuoi che sia, a diciassette anni siamo tutti un po strani”. Ecco, lasciatelo stare, e, se vi piace il fantasy dove i mutaforma sono i protagonisti, leggete questo Il canto della notte della scrittrice Camilla Morgan-Davis. Il romanzo rispetta perfettamente le regole del genere, con il viaggio a tappe, la chiamata all’avventura, il mentore, eccetera eccetera. E questo per me non è un pregio, è di più, è la dimostrazione che per poter scrivere un bel libro di genere, bisogna conoscerlo il genere, biosgna conoscerlo e amarlo. Ma Il canto della notte non è solo un libro fantasy. È una bella storia, che racconta di una ragazza di diciotto anni che deve crescere, che deve fare delle scelte, che deve scontrarsi con la dura realtà e fare i conti con cose più grandi di lei. E noi non possiamo fare che tifare per lei e seguirla nel suo viaggio, e, naturalmente, sperare che Camilla continui a scrivere altri romanzi così. Dario Goffredo
DOUGLAS COUPLAND Generazione A ISBN edizioni Un altro gradito ritorno sul luogo del delitto dopo quello di Bret Easton Ellis. Sono passati vent’anni da quando lo scrittore canadese Douglas Coupland partorì quel capolavoro che era Generazione X, un libro che ha segnato la gioventù del sottoscritto come di tantissimi altri suoi coetanei sparsi per il mondo. era un libro rivoluzionario per una serie di ragioni, dall’impagnazione, alle storie che raccontava, al modo in cui parlava per la prima volta della generazione che aveva nel 1990 tra i venti e i trenta anni, quella che appunto è stata chiamata la generazione x. Oggi, con alle spalle altri grandissimi successi mondiali come il mitico Microservi, ormai fuoricatalogo e introvabile da diversi anni (il giorno che sco-
prirò chi ha rubato la mia copia la vendetta sarà durissima), Fidanzata in coma e JPod, solo per citarne alcuni, Coupland ritorna con un affresco vivace e incredibile della generazione attuale con questo Generazione A, libro ambientato in un futuro non troppo remoto e piuttosto verosimile dove l’unica grande differenza con il presente è il fatto che le api si sono estinte. Provate a immaginare che cosa accadrebbe se questo dovesse divenatre realtà e pro-
vate a immaginare che razza di mondo sarebbe. Bé, in quel mondo Douglas Coupland ambienta le vite di cinque ragazzi che vivono lontanissimi tra loro e che non si conoscono fino a quando, per ragioni che non sto a dirvi si ritrovano a condividere casa, tempo e soprattutto storie. storie da raccontare, come nella migliore tradizione letteraria e come nella migliore produzione del nostro. un libro da leggere senza fermarsi. (dg)
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80144 EDIZIONI Giovane e tutta dedicata ai giovan scrittori, 80144 edizioni è una di quelle case editrici che ci piacciono, per affinità di pensiero, per gusto editoriale e perché è una dimostrazione che con la passione e la competenza si possono fare cose buone. Anche in Italia. Abbiamo parlato con Paolo Baron, direttore editoriale. Quando e soprattutto perché nasce 80144 edizioni? La casa editrice nasce nel 2007 per far fronte alla gestione di Toilet – racconti brevi e lunghi a seconda del bisogno che andava affermandosi sempre più in libreria con una distribuzione “a mano”. L’idea iniziale di una rivista letteraria dal basso profilo (come Toilet appariva agli esordi), si stava trasformando in una collana editoriale vera e propria. Occorrevano più editor a scegliere e maneggiare i racconti che arrivavano, mancava un contatto diretto con un distributore che portasse la pubblicazione su tutto il territorio eccetera, insomma, serviva una casa editrice. Come mai un codice di avviamento postale come nome? È un modo di identificarsi con il territorio? 80144 è il cap della zona di Napoli dalla quale provengo e dove ho passato i primi 35 anni della mia vita. Anche se la casa editrice è nata e opera a Roma, è per me un modo di indicare un’origine, un modo di vedere le cose, di dichiarare tradizioni e punti di vista. Quali sono le vostre scelte editoriali? Date molto spazio agli esordienti. È una scelta che paga in Italia? Noi ci interessiamo soltanto di esordienti che, a volte, abbiamo affiancato a scrittori conosciuti. Ci interessa quel mondo lì, quello fresco, vero, della strada, gente che scrive di pancia senza pen-
sare da subito alla pubblicazione. Sicuramente paga più in affetto che in denaro, ma noi viviamo d’amore da sempre, se avessimo pensato a fare soldi avremmo aperto una pizzeria a taglio. Quali sono i requisiti che deve avere uno scrittore esordiente per essere scelto da 80144? Deve scrivere bene, facile a dirlo così. Deve avere una buona prosa e una buona storia da raccontare. Deve catturare da subito l’attenzione senza fronzoli o stile rubato ad altri. Mi parli brevemente di Toilet e Linea gialla? Toilet raccoglie racconti ai quali associamo un tempo di lettura in minuti, così la mattina, al bagno, ognuno sceglie quello più adatto ai propri tempi fisiologici. Dietro questa cosa giocosa, però, ci interessa scoprire nuovi talenti, lo facciamo da sette anni, abbiamo pubblicato più di 100 autori tra i quali Antonio Pennacchi (premio Strega 2010), Pulsatilla e molti altri. Lineagialla è al numero 1, segue la scia di Toilet, ma qui giochiamo con l’attesa alle poste, in banca, ambulatorio eccetera. Ha meno pagine ma la selezione è comunque molto rigida. Nel 2010 avete sperimentato l’iniziativa della Fattoria degli scrittori. Come è andata? È un’esperienza che ripeterete? È la cosa più bella che mi sia capitata di fare da quando sono nell’editoria. Dieci sconosciuti che lavorano, scrivono, apprendono tecniche di scrittura e si confrontano a stretto contatto in un luogo meraviglioso. I saluti della partenza sono stati tra le lacrime... per cogliere un po’ di quello spirito fai un giro in www.fattoriadegliscrittori.it Non so se e quando la ripeteremo, al momento sono coinvolto in troppe cose. Antonietta Rosato LIBRI 53
CINEMA TEATRO ARTE
IL REGGAE MILITANTE DI ROCKMAN Intervista al regista Mattia Epifani “Questa è la storia di una lotta senza confini, di una generazione ribelle, di un sound che esplode e coinvolge, di una vibrazione che infuoca gli animi e scava profonda nei corridoi della psiche, nei meandri della mente”, si legge così nella scheda di presentazione del docufilm Rockman, presentato in anteprima pochi giorni fa al Bari International Film & Tv Festival. Il film è prodotto da Davide Barletti (Fluid produzioni) e Tommaso Manfredi (Ritmo radicale), finanziato da Apulia Film Commission, e diretto da Mattia Epifani regista e sceneggiatore leccese. Attraverso le puntuali interviste ai protagonisti del reggae pugliese dei primi anni ‘90, avvalorate da un nostalgico archivio audiovisivo, il regista ricompone le numerose tessere di quel prezioso mosaico che ha la massima espressione nella leggendaria figura di Piero Longo, ossia Militant P fondatore del “mondo” Sud Sound System e tra i responsabili della nascita del reggae in Italia. In occasione dell’anteprima abbiamo intervistato il regista. Come nasce l’idea del progetto? L’idea di realizzare il film nasce da Tommaso Manfredi e dal suo libro Dai Caraibi al Salento, sulle origini del reggae in Puglia. Io da regista 54 cinema teatro arte
e sceneggiatore, ho strutturato il film in fase di scrittura e al montaggio con Mattia Soranzo. Per me il film parla di uno degli ultimi capitoli di un’era di lotte, della fine di un certo entusiasmo e della generazione che ha dato vita all’ultimo antagonismo politico utilizzando un linguaggio artistico. In questo caso la musica: il reggae e il rap, attraverso la figura di Militant P, assumono significati storicamente di maggiore spessore. Perchè il “soggetto” è incentrato sulla figura di Militant P? Perché la sua vicenda personale rappresenta il profilo di un’intera epoca, non solo per l’influenza musicale sulla sua generazione, ma perché la sua vicenda racconta il passaggio, tra la fine di una certa mentalità antagonista, che prima esisteva e attualmente è da bandire e quella d’oggi, livellata ideologicamente, monotona. La sua storia è quella di chi vive a cavallo tra due mondi opposti, sentendosi straniero in entrambi e, nonostante tutto, continua, a suo modo, a fare resistenza finendo per esserne in parte schiacciato. Non si può separare l’artista dall’uomo, né dalla sua storia, perché è in parte proprio la sua storia a renderlo prigioniero: la sua vicenda può rispecchiare quel-
la di un’intera generazione, di un’epoca e di molti che anche oggi vivono un sentimento di frustrazione nei confronti della società e delle possibilità di libertà individuali e collettive al suo interno. In origine i Sud Sound System propagandavano “cultura, amore e radicazione”, secondo te quanto rimane ancora oggi di quel messaggio ribelle e genuino? Sicuramente a modo loro perseguono ancora questo scopo; hanno saputo promuovere bene le loro idee e hanno avuto un ruolo importante di sensibilizzazione rispetto ad alcune tematiche, offrendo a molti qualcosa in cui credere. Non solo nel loro genere, ma in molte altre espressioni artistiche oggi si è perso l’entusiasmo, una certa freschezza creativa, istintiva. Ci sono poche idee buone e poco coraggio per esprimerle, si accontenta più il pubblico, diventando così complici di un sistema di omologazione e appiattimento culturale che dovrebbe essere nemico di ogni artista e di ogni sottocultura. Nonostante le naturali evoluzioni politico/culturali, esiste attualmente una band pugliese o salentina che possa recuperare ed infiammare quell’ideologia dialettale di fine anni settanta? Sicuramente si, anche se mi sembra che più che nella musica o nell’arte in generale, che è diventata per forza di cose molto individualista anche nei contenuti, oggi ci siano altre tendenze che portano avanti l’idea di lotta nel senso di movimento collettivo, queste si trovano nelle strade e in luoghi dove si esprime l’antagonismo e il dissenso con lo scontro fisico, ma questa è un’altra storia. Secondo te la carismatica figura di Militant P. è stata forzatamente dimenticata? No, non credo, semplicemente perché,come dice Treble, il pubblico non ha avuto l’opportunità di conoscere veramente ed a pieno Piero artisticamente, poiché è uscito fuori dalle scene prima che ciò accadesse e per motivi di forza maggiore, non assolutamente causati dalla volontà di nessuno. Qualcuno ha potuto sfruttare i vantaggi di questa emarginazione? No, ma in generale il suo impegno ha posto le basi perché si sviluppasse un interesse verso questo genere musicale in Puglia e non solo. Questo film dimostra come tanti suoi amici e artisti della sua generazione, riconoscano il suo ruolo di pioniere e lo rispettino per il suo contributo essenziale, anzi fondamentale”. Giuseppe Arnesano
OZPETEK CONQUISTA LA GIURIA DEL BIF&ST Non è un surrogato della Mostra di Venezia e neanche un tentativo di copiare la veltronianalemanniana Festa di Roma: questo vendoliano Bif&est, giunto alla sua seconda edizione, sembra un ulteriore tentativo di portare agli onori della cronaca una Puglia capace di spendere in cultura e di trarre benefici da questi investimenti. Investimenti sostanziosi (che - come al solito – hanno scatenato stucchevoli polemiche politiche), provenienti dall’Unione Europea e utilizzati dalla Regione Puglia e dall’Apulia Film Commission. Quest’anno la presidenza della giuria è stata affidata al regista Ettore Scola mentre l’ideazione e la direzione artistica è di Felice Laudadio. “In Italia sono tempi difficili anche per il cinema - ha sottolineato Scola - e ci appare quasi come un miraggio questa Puglia che anche con questo festival produce e fa cultura. La cultura oggi è orfana della politica, ma soprattutto la politica è orfana della cultura”. E mentre a Roma cercavano di far crollare (pompeianamente parlando) il Ministro Bondi, a Bari tra Petruzzelli, Cinema Galleria, Teatro Kursaal, Cinema Abc, Cineporto e altri luoghi è andata in scena questa festa del cinema che, dal 22 al 29 gennaio, ha coinvolto migliaia di persone, proposto oltre 300 pellicole (tra documentari, lungometraggi, corti, retrospettive e prime assolute) e ha ospitato grandi nomi del cinema pugliese, nazionale e internazionale. Alla fine la parte da leone l’ha recitata Ferzan Ozpetek che con il suo Mine Vaganti, girato a Lecce, ha conquistato ben 4 premi (miglior regia, soggetto, sceneggiatura e attrice protagonista con Nicole Grimaudo). La giuria del pubblico, composta da cinquanta spettatori e presieduta da Marie Delphine Bonada, ha assegnato, tra gli altri, premi a Giuseppe Battiston, migliore attore per La Passione di Carlo Mazzacurati e Ilaria Occhini, migliore attrice non protagonista, per (guarda caso) Mine Vaganti. A Nicola Piovani è andato, invece, il premio Fellini 8 e 1/2. In un momento in cui si pensa alla cultura come un albero da tagliare, un’altra edizione di un festival è sempre una buona notizia. Tutte le info su www.bifest.it 55
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI BARNEY Letteratura e trasposizioni Non c’è niente da fare. Qualsiasi luogo comune ha un cantuccio nascosto che lo smentisce, e qui la retorica de “il film è bello, ma non quanto il libro” vacilla fino al crollo. Hai voglia a dire che ci sono delle incongruenze, che il personaggio di celluloide è più morbido, che il suo tono politicamente scorretto impallidisce sullo schermo e che il ritmo c’è, ma non è scandito dalle battute fulminanti del protagonista con lo stesso incedere incalzante del libro. Quand’anche fosse vero - e non lo è, non del tutto, almeno - il Barney Panofsky cinematografico è all’altezza delle aspettative più imprudenti. Dopo aver frequentato le splendide pagine del romanzo di Mordecai Richler, uscito nel 1997 e pubblicato in Italia da Adelphi nel 2001, il sogno di un film che riuscisse a rendere l’intricata e complessa serie di pensieri e situazioni del libro, i continui cambi di piano temporale, e che ci regalasse un personaggio degno dell’intelligenza, dello humor, 56 cinema teatro arte
del linguaggio brillante e immediato dell’ebreo canadese Barney Panofsky era quasi irrealizzabile. Lo sapevamo, eravamo preparati. Eppure, in sala ci siamo arrivati lo stesso col groppo in gola, come si arriva a un primo appuntamento, fermi sull’uscio, a guardare l’altro da lontano, aspettando che passi il fiato corto. E poi, proprio come basta quell’unica frase detta in una certa maniera, quel modo incredibilmente perfetto di porgerci da bere, o di sorridere, è bastata la prima scena, densa di fumo di Montecristo, bagnata di Macallan, a liberare lo stomaco dalla morsa e a convincerci, già al primo minuto dei centotrentadue successivi, che eravamo nel posto giusto e che avremmo trovato tutto quello che aspettavamo. A partire da lui, Paul Giamatti, nel ruolo che gli è valso un Golden Globe come miglior attore protagonista. Lo avevamo già molto ammirato nei panni dell’enofilo Miles in Sideways, il film di Alexander Payne del 2004. Poi lo avevamo
visto due anni dopo, accanto a Edward Norton e Jessica Biel, in The Illusionist di Neil Burger. Ma è con La versione di Barney, diretto da Richard J. Lewis, che ci siamo irrimediabilmente innamorati di lui. Perché Giamatti ha incarnato il Barney letterario mettendo nella sua interpretazione tutta l’apparente ruvidezza che Richler aveva voluto per il suo insopportabile e irascibile protagonista, e tuttavia riuscendo a restituirci, proprio come lo scrittore canadese, un personaggio poetico fino all’ultima, sconcia battuta. Bravissimo. E pazienza se nel film un po’ svanisce la sensazione di trovarsi continuamente nei dopo sbornia panofskiani; pazienza se le deliranti telefonate tra la seconda signora Panofsky (una grande Minnie Driver) e la madre sono ridotte a un tiepido cenno; pazienza anche se il fuoco è un po’ troppo centrato sulla storia d’amore con Miriam (la bellissima Rosamund Pike). Lo spirito del libro c’è tutto. La voce acre di Barney, che non si cheta nemmeno con l’evolversi dell’Alzheimer, anche. Ci sono dialoghi brillantissimi. E, per soprammercato, c’è l’irresistibile poliziotto in pensione Izzy, padre di Barney, che ha il volto di Dustin Hoffman. Insomma, tutto si può dire, eccetto che sia un film convenzionale (come si è letto da qualche parte) o non riuscito. Certo, è del tutto evidente che quando un libro si trasforma in un caso letterario e un personaggio entra a far parte della nostra vita, le aspettative su una successiva trasposizione diventano altissime, e purtroppo quasi mai si esce dalla sala con quel senso di gratitudine che si è provato con mr. Panofsky. Qualche volta - addirittura - si decide di non affrontarla nemmeno, quella prova, e di restare fedeli alle atmosfere della carta come a un grande amore. Prendete quel concentrato di mediterranea malinconia, quell’istintivo, solitario sbirro dal cuore gentile che è Fabio Montale, nella trilogia marsigliese di Jean-Claude Izzo. Chi ha letto la sua storia in Casino Totale, Chourmo e Solea, chi ha percorso con lui le strade del Panier, bevendo pastis per notti intere, non può sopportare di vederlo svilito in uno sceneggiato televisivo, per di più con la faccia di Alain Delon. Fabio meritava come minimo il tentativo di un film vero, con un attore credibile nei suoi panni, e che sapesse renderne contraddizioni e sfumature. Sorte analoga ha avuto l’ombroso, scostante, affascinantissimo commissario Jean-Baptiste Adamsberg, nato dalla penna di Fred Vargas, che in Francia è finito sia in un film per il cinema, Pars vite et revien tard, interpretato - disastrosamente, secondo Le Cahiers du Cinéma - da José Garcia, sia
in cinque film per la tv, stavolta con la gran bella faccia di Jean-Hugues Anglade (reso celebre dal ruolo di Marco, l’uomo di Nikita, nella pellicola di Luc Besson), che almeno è riuscito a restituirci un’immagine del commissario molto vicina all’idea che ci eravamo fatti frequentandolo tra le pagine. Un’aderenza tra attore e personaggio che, invece, è la sola cosa che si ricordi della deludente trasposizione di Uomini che odiano le donne, primo capitolo della saga Millennium di Stieg Larsson, dove l’attrice svedese Noomi Rapace è la migliore Lisbeth Salander possibile, e tutto il resto le fa da scialbo contorno. Ma di esempi simili potremmo farne centinaia, giacché la storia del cinema straripa di personaggi trasposti e storie tratte da romanzi e racconti. Si potrebbe andare avanti a citare per delle ore, facendo improbabili piroette tra l’inchiostro di Colazione da Tiffany di Truman Capote, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury e finire nel Segreto dei suoi occhi di Eduardo Sacheri, Alta Fedeltà di Nick Hornby, The Hours di Micheal Cunningham, Trainspotting di Irvine Welsh, Fight Club di Palahniuk, con breve slancio tra i Veronesi, De Cataldo, De Silva d’Italia. Certo è che, spesso, il salto è nel vuoto. E senza rete. Restare tra le pagine, soprattutto quelle molto amate, fa stare più tranquilli. Lori Albanese
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VALERIA SOLARINO
Dal discusso Vallanzasca alla Signorina Julie. L’ascesa della nuova femme fatale del cinema italiano È senza dubbio la nuova giovane femme fatale del cinema italiano, fortificata su un mix genuino di sensualità e timidezza. E dopo i successi cinematografici, l’ultimo nel controverso Vallanzasca – Gli angeli del male di Michele Placido (presentato a Venezia e in concorso al recente Bifest), Valeria Solarino si cimenta nuovamente con il teatro nello spettacolo La signorina Julie di August Strindberg. Recitando nel film incentrato sulla figura del “bel Renè” Vallanzasca, Valeria ha imparato a calarsi nella parte “in modo istintivo e non cerebrale”. Tutto merito di Michele Placido, un grande regista “passionale e bravo a comunicare con le emozioni”. Nell’ultimo film diretto da Michele Placido, Vallanzasca - Gli angeli del male fai la par58 cinema teatro arte
te di Consuelo, la prima fidanzata del “bel Renè” e madre del suo unico figlio. Com’è andata? È stata un’esperienza molto importante per la mia carriera. Michele ha un modo molto passionale di lavorare, lui fa anche l’attore e questo lo aiuta nella direzione. Quando dirige prova la scena con gli attori più e più volte. È appassionato di recitazione e a volte può capitare di stare una giornata intera a ripetere una scena. Michele, infatti, ha un modo particolare di comunicare l’esatta realizzazione di ogni singolo dettaglio. Lo fa attraverso le emozioni e io sono stata capace di essere sempre sulla sua lunghezza d’onda. Ho girato anche scene difficili e piuttosto forti in poco tempo, proprio perché sono stata in grado di comprendere in fretta i suoi metodi comuni-
cativi. Lavorando a questo film ho imparato un modo diverso di entrare in contatto con la scena. Ho scoperto quanto sia importante rapportarsi ad essa in modo istintivo e non cerebrale, preferendo il flusso delle emozioni a quello delle parole. Michele Placido ha scoperto in te qualcosa che gli altri registi non avevano scoperto? Leggendo la sceneggiatura avevo avuto una certa idea del mio personaggio, ma poi lui durante le riprese ha tirato fuori dalla mia recitazione un personaggio completamente diverso da quello che avevo immaginato. Consuelo non fa la parte della donna sensuale, lei è sensuale di suo e questa caratteristica fa letteralmente parte del suo modo di essere. Durante le riprese Michele creava e ricreava di continuo il mio personaggio e ha voluto calcarne la sensualità. A fine febbraio uscirà nelle sale il film Manuale d’Amore III, diretto da Giovanni Veronesi. Nel cast a farti compagnia ci sono Robert De Niro, Monica Bellucci, Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Carlo Verdone, Donatella Finocchiaro e Michele Placido. Che tipo di esperienza è stata? Anche questa è stata una gran bella esperienza. Manuale d’Amore III è dotato di un forte romanticismo ed è capace di fare ridere tantissimo. Anche in questo caso ho avuto l’onore di lavorare con un grande cast. Con quale regista vorresti lavorare? Vorrei lavorare con tutti i più grandi registi italiani, gente come Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti. Sono aumentati i tagli del governo al mondo dello spettacolo. Anche tu fai parte dell’ondata di protesta contro il ministro Sandro Bondi? Certamente. I tagli del governo mettono in ginocchio le produzioni. Ora che sto facendo nuovamente teatro sto scoprendo che tantissime piccole compagnie teatrali sono costrette a chiudere a causa dei tagli. La cosa peggiore, poi, è che si tratta di tagli orizzontali, che colpiscono orizzontalmente e non in base ai meriti, o meglio ai demeriti degli artisti. Lucio Lussi
CLINT EASTWOOD Hereafter
Che cosa c’è dopo la morte? Esiste un’altra vita? Certe volte, per un regista, girare un film dev’essere come sedersi sul lettino dello psicanalista, alla ricerca di risposte alle grandi domande. Soprattutto quando ci si sente nel mezzo dell’ultima fase della propria esistenza, come potrebbe verosimilmente capitare a un ottuagenario. Risposte - ovviamente - in questo film non ce ne sono, e pure il tema - l’aldilà - è solo il pretesto per parlare d’altro. D’amore, legami, perdite, abbandoni; ma soprattutto dell’uomo, delle sue paure, del rifiuto di ciò che sfugge alla ragione. “Hereafter”, ultimo film dell’ultraottantenne pluripremioscar Clint Eastwood, è un film discontinuo, praticamente privo di sbavature nella prima parte, calante nella seconda. Le storie dei tre protagonisti (il sensitivo, appassionato di Dickens e cucina, Matt Damon, prigioniero del proprio dono; la bella e brava giornalista Cécile de France, sopravvissuta a un devastante tsunami; il ragazzino Franckie McLaren, che perde il fratello gemello in un incidente), sono singolarmente perfette, e credibili; smettono di esserlo nell’intreccio finale, che vuole però essere il messaggio di speranza e consolazione lanciato da Eastwood. Si potrebbe quasi dire che si esce dalla sala delusi, e un po’ appesantiti, se non fosse che il regista di San Francisco (la sceneggiatura è di Peter Morgan, lo stesso di “The Queen”, “Frost-Nixon”, “I due Presidenti”) qualche soddisfazione la dà, confermandosi incredibilmente abile nel girare sequenze di enorme impatto, e nel guidare gli attori a definire i loro ruoli (anche quelli secondari) in maniera impeccabile. Tra tutti, un grande Matt Damon, che con Eastwood aveva già lavorato in “Invictus”, nel 2009, e che il regista ha fortemente voluto per questa parte. Lori Albanese 59
EVENTI FEBBRAIO GIOVEDÌ 3 Ohm al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce Icone Music Wine Awards al Vinotecheria Vite di Nardò (Le) GIOVEDÌ 3 E VENERDÌ 4 W l’anarchia al Teatro Kismet di Bari VENERDÌ 4 E SABATO 5 Divino Tango. Pasion del ser urbano regia di Adrian Aragon al Teatro Paisiello di Lecce VENERDÌ 4 Ekland Hasa e Redy Hasa alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le) SABATO 5 Verdena al Demodè di Modugno (Ba) 24 grana al Livello 11/8 di Trepuzzi (Le) Two left shoes al Momart di Adelfia (Ba) Tributo a Bob Marley all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le)
al Teatro Paisiello di Lecce Un sogno nella notte dell’estate regia di Massimiliano Civica ai Cantieri Koreja di Lecce VENERDÌ 11 Plan de fuga e La biblioteca deserta all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Dj Trinketto featuring Skema alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le) SABATO 12 Champion Squad – Kalibandulu all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Marracash alle Officine Cantelmo di Lecce Criminal Jokers e Play on tape all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) The Somnambulist (Berlino) ai Sotterranei di Copertino (Le) DOMENICA 13 Banana Republic al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Camera 237 all’Open Space di Bisceglie (Ba) Dance Hall Revolution all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) The Secret, Heirophant e Cast thy eyes all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Peppe Voltarelli & Finaz (Bandabardò) guest Paolino Baglioni ai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce Iancu, regia di Salvatore Tramacere con Fabrizio Saccomanno al Teatro Filograna di Casarano (Le) Paolo Fresu meat Girodibanda al Livello 11/8 di Trepuzzi (Le) DOMENICA 20 Sottosopra al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Luca Aquino (Benevento) + Redi Hasa – Soffio su quattro corde ai Sotterranei di Copertino (Le)
MARTEDÌ 15 Ludovico Einaudi (Solo Piano) al Teatro del Fuoco di Foggia Above The Tree ai Sotterranei di Copertino (Le)
GIOVEDÌ 24 Blood Sugar al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce Icone Music Wine Awards alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le)
GIOVEDÌ 17 White Queen al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Icone Music Wine Awards alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le)
GIOVEDÌ 24 FEBBRAIO Rosencranz e Guildestern sono morti di Tom Stoppard regia Letizia Quintavalla e Bruno Stori al Teatro Kismet di Bari
GIOVEDÌ 10 Coffe e tv al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce Icone Music Wine Awards alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le)
VENERDÌ 18 Camera 237 al Palmares Club di Torre Santa Sabina (Br) Runa Radio all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) La costituente fu rosso rubino con Luca Aquino alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le)
VENERDÌ 25 Ardecore al Teatro Kismet di Bari Tobia Lamare & The Sellers alla Vinotecheria Vite di Nardò (Le)
GIOVEDÌ 10 E VENERDÌ 11 Sogno di una notte di mezza estate regia di Tonio De Nitto
SABATO 19 Murder al Gabba Gabba di Lama (Ta)
DOMENICA 6 La voce del padrone al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) LUNEDÌ 7 Bologna Violenta ai Sotterranei di Copertino (Le)
60 EVENTI
SABATO 26 Blackstarline feat Dan I all’Arena Live di Carpignano Salentino (Le) Radiodervish alle Officine Can-
telmo di Lecce Joh Type all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Paladini di Francia regia di Enzo Toma al Teatro Comunale di Nardò (Le) SABATO 26 E DOMENICA 27 Dies Irae creazione collettiva Teatro Sotterraneo con Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli, Claudio Cirri al Teatro Kismet di Bari DOMENICA 27 Musicamò al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) MARZO MERCOLEDÌ 2 E GIOVEDÌ 3 Otello, regia di Arturo Cirillo al Teatro Piasiello di Lecce GIOVEDÌ 3 Paipers al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce VENERDÌ 4 Electric Diorama all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Play the Blues con Alberto Castelli e Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) ai Cantieri Koreja di Lecce Goblin al Livello 11/8 di Trepuzzi (Le) SABATO 5 Erica Mou al Teatro di Novoli (Le) Ballarock all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Kamikaze e Ghoper alle Officine Cantelmo di Lecce SABATO 5 E DOMENICA 6 A partire da Minnie Liberamente tratto da Minnie la candida di Massimo Bontempelli di e con Angela Iurilli al Teatro
Kismet di Bari DOMENICA 6 Ipergalattici al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) MARTEDÌ 8 Seventy Level al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Gli orrori all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) MERCOLEDÌ 9 E GIOVEDÌ 10 Brat (fratello) Cantieri per un’opera rom a cura di Franco Ungaro ai Cantieri Koreja di Lecce GIOVEDÌ 10 L’enfance Rouge e Luke Lukas ai Sotterranei di Copertino (Le) Vascolive al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce Gianmaria Testa – Giuseppe Battiston in 18 Mila Giorni Il Pitone al Teatro Garibaldi di Lucera VENERDÌ 11 La passione delle troiane regia di Antonio Pizzicato, Salvatore Tramacere ai Cantieri Koreja di Lecce SABATO 12 Vibronics ft Madu all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Iancu, regia di Salvatore Tramacere con Fabrizio Saccomanno al Teatro Filograna di Casarano (Le) Giardini di plastica regia di Salvatore Tramacere ai Cantieri Koreja di Lecce DOMENICA 13 La Corrida dilettanti alla sbaraglio al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Arcoiris di Silvia Civilla ai Cantieri Koreja di Lecce
DAL 17 AL 19 Italia Love Festival (selezioni provinciali) all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) GIOVEDÌ 17 Radiofreccia al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) VENERDÌ 18 Rumore di Acque regia di Marco Martinelli con Alessandro Renda ai Cantieri Koreja di Lecce Don Pasta al Teatro di Novoli (Le) DOMENICA 20 La Corrida dilettanti allo sbaraglio al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Fornelli Indecisi alla Masseria Ospitale di Lecce MARTEDÌ 22 Radicanto al Teatro Comunale di Aradeo (Le) GIOVEDÌ 24 Toromeccanica al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecce SABATO 26 Paolo Benvegnù al Demodè di Modugno (Ba) Le Luci della Centrale Elettrica alle Officine Cantelmo di Lecce DOMENICA 27 Roshantico al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) La Lavapaure di Renata Coluccin ai Cantieri Koreja di Lecce GIOVEDÌ 31 Rino’s Garden al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) Il giovedì colturale alla Masseria Ospitale di Lecceria Ospitale di Lecce
EVENTI 61
PROSEGUONO AL PAISIELLO I TEATRI ABITATI DI ASTRAGALI
Prosegue al Teatro Paisiello di Lecce la residenza teatrale curata da Astragali, storica compagnia leccese guidata dall’attore e regista Fabio Tolledi. Fitto anche il programma di febbraio. Giovedì 3, ultimo appuntamento della rassegna musicale Reset con il concerto di una delle voci più interessanti della scena musicale italiana: John De Leo accompagnato da Fabrizio Tarroni. Mercoledì 16 febbraio gli attori di Astràgali Teatro propongono invece un omaggio ad
Antonio Verri. La serata si diramerà in letture, suggestioni, immagini e musica che ruoteranno intorno alla figura dell’uomo dello scrittore e poeta salentino. Giovedì 24 ancora una regia di Fabio Tolledi con Il castello dei destini incrociati, spettacolo tratto dal celebre libro di Italo Calvino. Lunedì 28 febbraio, infinte, l’Osservatorio Palestina di Napoli propone Mi chiamo Omar, tratto da un racconto di Omar Suleiman, per la regia di Luisa Guarro. Un uomo guarda dietro di sè e dà voce a un racconto che si dispiega attraverso episodi, quadri e suggestioni. Il progetto di residenza teatrale promosso da Astràgali Teatro per il Teatro Paisiello di Lecce prevede un’attività culturale costante per i prossimi due anni. Astràgali realizzerà eventi, spettacoli, incontri, con proposte di qualità, frutto di una ricerca attiva che si muove nella contemporaneità. La residenza incrocerà percorsi molteplici. Accanto alle produzioni di Astràgali Teatro, saranno tante le ospitalità di artisti, per realizzare una possibilità di scambio e di incontro nella mescolanza delle pratiche artistiche, dal teatro, alla musica, alle arti visuali. Il progetto di residenza teatrale di Astràgali Teatro per il Teatro Paisiello rientra in Teatri Abitati: una rete del contemporaneo, sostenuto dalla Regione Puglia e dal Teatro Pubblico Pugliese, e realizzato in collaborazione con il Comune di Lecce. Info 0832306194 – 3209168440.
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