Anno VI Numero 54 giugno 2009
ARIA DI FESTIVAL L’età si specchia nel fango, se è terra quello che cerca, accende i fuochi se non ha parole per spiegare la rabbia, sceglie il silenzio se è la pace quello che cerca. E a lei le canzoni si accompagnano, seguono le generazioni, le stagioni di una vita, quelle di un pianeta. Sentire il tempo, tradurlo è quello che da sempre fa la musica. Ci sono tanti modi per leggere la musica. Alcuni inforcano occhiali e la pesano per qualità e spessore, altri la incasellano nelle date, altri nei generi. C’è poi chi vede nella musica una risposta alle domande che la gente fa, alle emozioni che la gente sente. Così il volume diventa un misuratore di collera, la velocità un indicatore della frenesia, il rumore la reazione alla mancanza di armonia nelle nostre vite. È su questa strada che i festival diventano rappresentazione dei nostri cambiamenti, del nostro modo di stare insieme. Sono questi enormi esperimenti di socialità che esprimono quello che massa, o nicchia che sia, sono e vogliono. Senza azzardare inutili sofismi i festival musicali e non, hanno un’importanza che travalica di gran lunga la loro funzione spettacolare. E per questo ancora una volta inauguriamo l’estate con un numero dedicato alla lunga stagione di appuntamenti che ci aspetta, in Puglia, in Italia
e in Europa. Come ogni anno ve ne abbiamo segnalati alcuni tra i più significativi e come ogni volta abbiamo provato a ragionare sul fenomeno dei grandi raduni estivi. Lo abbiamo fatto approfittando del quarantesimo compleanno di Woodstock, attraverso le parole del direttore artistico del Primavera Sound Festival, ma anche con le parole di chi nel ‘75 al parco Lambro c’era. Il festival non è solo musica ma anche letteratura e teatro. Sfogliando le nostre pagine troverete un’utile guida agli appuntamenti più interessanti dello Stivale. Il cinema va un po’ in ferie e si affida alle arene che in tutta Italia abbattono i muri delle sale e fanno vedere il cielo alle “stelle” del grande schermo. Ancora, come sempre, interviste ai protagonisti dei festival di questa estate (Peter Bjorn and John e Scott Matthews), a uno degli scrittori simbolo del giallo in Italia (Loriano Machiavelli) e a colui che ha coniato il termine Mostro di Firenze (Mario Spezi). Infine la nostra sezione dedicata al teatro con i report dal Maggio all’infanzia e K-now e i nostri consigli per trascorrere le notti di questa nuova e, speriamo per voi, lunga estate di vacanza. Buona lettura. Osvaldo Piliego Editoriale 3
CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 6 Numero 54 giugno 2009 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo Hanno collaborato a questo numero: Dino Amenduni, Ennio Ciotta, Marco Chiffi, Vittorio Amodio, Tobia D’Onofrio, Alfonso Fanizza, Rino De Cesare, Camillo Fasulo, Stefania Ricchiuto, Giorgia Salicandro, Giusi Ricciato, Francesco Spadafora, Francesca Maruccia, Luisa Ruggio, Francesco Farina, Gennaro Azzolini, Elisabetta Lapadula In copertina: Flaming Lips Ringraziamo Manifatture Knos, Cooperativa Paz di Lecce e le redazioni di Blackmailmag.com, Radio Popolare Salento di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Salento WebTv, Musicaround. net.
aria di festival
C’era una volta Woodstock 6 Un’estate di festival 12 Locomotive Conversation 18
Progetto grafico erik chilly Impaginazione dario Stampa Poligrafica Rosato - Lecce Chiuso in redazione il giorno dello scrutinio elettorale dopo un travaglio infinito Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: redazione@coolclub.it 0832303707
musica
Scott Mathews 22 Silvia’s magic hands 25 Recensioni 28 Libri
Loriano Macchiavelli 42 Mario Spezi 44 Recensioni 47 Cinema Teatro Arte
K-Now 52 Maggio all’infanzia 54 Recensioni 57 Eventi
Calendario 59 sommario 5
C’ERA UNA VOLTA WOODSTOCK Uno dei più grandi misteri di Woodstock riguarda la nascita, durante i giorni del festival, di una bambina. Ci sono prove e testimonianze attendibili sul fatto che una donna abbia effettivamente partorito presso il Motel “El Monaco” ma nessuno è riuscito mai ad identificare madre e/o figlia. Nemmeno un’inchiesta del magazine LIFE nel 1989 portò risultati. Secondo alcuni la bambina ha un nome: Isabella Jo. Ma secondo la maggior parte dei curiosi l’identità della “bambina di Woodstock” è ancora avvolta nel mistero. La bambina quindi oggi avrebbe 40 anni, una donna adulta. Magari ha dei figli, magari ha la passione della musica, magari c’era anche lei nel ‘94 in occasione dei 25 anni del festival. Una vita intera di una persona segnata dal più grande evento musicale della storia. Certo quei giorni di agosto del 1969 ne hanno cambiate parecchie di vite. Woodstock ha segnato un’epoca, una generazione. Nel 1969 oltre al festival ci trovi lo spirito hippie, Los Angeles, le droghe e i viaggi. E la musica. Nelle foto e nei video dell’epoca si vedono uomini e donne di ogni età ondeggiare leggeri accompagnati da una musica in testa o suonata da qualcuno su un palco. Leggerezza la parola d’ordine. I viaggi con gli acidi erano lenti e surreali, quasi come navigare con una barchetta nell’oceano e farsi cullare dal mare. Così la musica durante il festival (e in generale in quegli anni di psichedelia) era melodica, lenta, invadente come un vento estatico. Doveva diven6
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tare la colonna sonora, il tappetone, dei viaggi del pubblico. Non era, come qualcuno è portato a credere, un festival dove la gente si drogava e i musicisti suonavano senza alcun rapporto. Il rapporto c’era e da quel palco arrivava la quintessenza del suonare per qualcuno, per un pubblico. I musicisti vestiti da Caronte capelloni accompagnavano i danteschi hippie nella loro traversata di un fiume in acido. Dell’edizione del ’69 rimarrà tutto, dalla chitarra di Jimi Hendrix, agli appelli di pace, alla straordinaria affluenza. Con gli anni però qualcosa cambia. I capelli si accorciano e compaiono le t-shirt e nascono altri generi musicali. Tutto si evolve. Nel 1994 Woodstock festeggia i 25 anni. Un appuntamento particolare perché solitamente il festival viene organizzato con una cadenza decennale, ma i 25 anni sono i 25 anni. L’headliner è Peter Gabriel ma la performance che rimarrà di più di questa edizione del festival sarà quella dei Green Day. Odiati dai fondamentalisti del punk, amati dai ragazzotti che iniziavano ad accrescere la popolarità di Mtv. Durante un acquazzone che allaga il luogo del concerto, mentre i Green Day erano sul palco, si scatena una vera e propria “guerra di fango” tra il pubblico e la band (tant’è che questa edizione verrà ricordata come “Mudstock”). Oltre a qualche esibizione di artisti che c’erano anche nel ’69 (Santana quanto Crosby, Stills & Nash), molte sono le band che solo negli ultimi anni hanno raggiunto il successo. Metallica, Ae-
rosmith, Nine Inch Nails (nella foto). Senza dimenticare l’esplosione del grunge di quegli anni con Kurt Cobain che solo qualche mese prima decide di suicidarsi. Insomma, cambia la musica perché cambia la gente. Iniziano ad essere tutti un po’ incazzati e gli amplificatori diventano più potenti. Compare qualche sponsor. La generazione del Flower Power diventa la generazione X, senza identità e senza valori. Passano cinque anni. Nel 1999 il festival riprende la sua cadenza decennale. Per la prima volta viene trasmesso in pay-per-view da Mtv che intanto è diventato un colosso mondiale. Decine di telecamere e microfoni e cavi avvolgono il palco. Il tutto verrà anche registrato per essere pubblicato in Dvd. Cinquecento agenti della polizia di New York sono schierati per ogni evenienza. Dal palco agli stand delle bibite è tutta un’esplosione di sponsor e marche e marchette. Chi non si è portato da casa qualcosa da mangiare può pagare anche 12 dollari per un pezzo di pizza. Il business ha intaccato il festival. Tra i nomi degli artisti figurano Limp Bizkit, Rage Against The Machine, The Offspring, Megadeth. I ritmi si fanno più veloci, i volumi sempre più alti. Durante l’esibizione dei Red Hot Chili Peppers del pezzo Under the Bridge, vengono alzate al cielo centinaia di candele che erano state distribuite dal gruppo Pax, un’associazione indipendente che promuoveva la pace. Ma qualcosa va storto. La folla inizia a bruciare le candele e poi ad appiccare
dei piccoli incendi. In pochi minuti è il caos. Per alimentare il fuoco viene distrutto e incendiato qualunque oggetto a portata di mano, dalle bottigliette vuote di plastica ai pannelli dei cartelloni pubblicitari. Una torretta audio al centro della folla prende fuoco. La polizia forma dei cordoni per fermare le violenze e il saccheggio. Anthony Kiedis dei RHCP raccontò che tutto quel delirio visto dal palco ricordava una scena di Apocalypse Now. Woodstock non è solo un festival musicale. La sua storia quarantennale ne fa uno specchio della società proprio perché ha dei margini di confronto tra le varie edizioni che solo pochi eventi hanno. Questo festival che evoca capelloni strafatti e psichedelia ha camminato su tutti i generi musicali raccogliendo i migliori artisti in circolazione come nessuno mai si è sognato di fare; ha fatto incontrare persone, suoni ed esperienze cambiando la vita di molti (anche della leggendaria bambina); ha visto la pace e ha visto la guerra, la degenerazione di una società stressata e senza piacere; ha incontrato il music business e ha capito che era più forte dei suoi valori; ha lottato, denunciato e protestato; ha avuto una voce: la voce di una bambina, di una donna, di un popolo intero che non s’è mai fermato solo alla musica ma ha cercato ovunque l’aggregazione, il sentirsi gruppo, magari sotto ad un palco. Marco ‘Marvin’ Chiffi ARIA DI FESTIVAL 7
PRIMAVERA SOUND Il Primavera Sound Festival, nato nel 2001 a Barcellona come festival di musica elettronica, è diventato nel corso degli anni uno dei più importanti festival in Europa di musica indie e di avanguardia. Il festival deve il suo nome al periodo in cui cade, la (fine della) primavera e la sua filosofia è quella di coniugare le nuove tendenze della musica indie e d’avanguardia con i grandi classici che hanno ancora tanto da dire. Per questo sul palco si alternano nomi storici e nuove stelle del firmamento rock mondiale. Quest’anno si sono esibiti nomi come Neil Young, My Bloody Valentine, Sonic Youth, Aphex Twin, Bloc Party, Yo La Tengo, Spiritualized, Michael Nyman, Phoenix, Shellac, The Horrors, Alela Diane, Bat For Lashes, Zu, Crystal Antlers, Tim Burgess (The Charlatans). Insomma decisamente un ottimo modo per iniziare la stagione dei festival europei. Abbiamo intervistato per i lettori di Coolclub.it il direttore artistico del festival. Spesso i nomi storici dell’indie si alternano negli anni come headliners di festival come il PS (penso a band come Sonic Youth, Dinosaur Jr, Blonde Redhead, Spiritualized, etc...) rimanendo ospiti praticamente fissi. Cosa attira maggiormente il vostro pubblico, gli headliner o la varietà dei gruppi 8
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indie minori? E poi, manca un ricambio di nuovi grandi classici dell’indie rock? Le nuove band hanno più difficoltà a mantenere il loro successo rispetto a quelle del passato? Quello che attrae maggiormente il nostro pubblico regolare, la gente che si presenta puntualmente ogni anno, è di certo la grande varietà di band nuove o di culto, ma ovviamente necessitiamo di qualche big band in modo da attrarre un pubblico più ampio e generico. Il problema è che ora le band più popolari nell’ambito indie non raggiungono mai quello stesso livello di popolarità che era possibile invece per le band degli anni ’80 e ’90, perché l’industria discografica e i metodi con cui la gente compra e ascolta la musica sono molto cambiati da allora. Il vostro festival si occupa principalmente di musica di bianchi per un pubblico bianco. Tuttavia sembra ci sia un tentativo di aprirsi a espressioni musicali nere, sopratutto hip hop (penso a Dizzie Rascal, Public Enemy, De la Soul): è dovuto a un tentativo di ricongiungere generi e culture diverse? Per la verità noi non distinguiamo la musica o il pubblico per bianco o nero. Noi semplicemente selezioniamo la musica che ci piace per il festival, e poiché noi tutti siamo cresciuti ascoltando la musica dei gruppi degli anni ’80 e ’90, la line-
up del festival è appunto il riflesso di questo. Noi tutti d’altra parte ascoltavamo anche l’hip-hop e abbiamo gestito un club nel quale abbiamo ospitato grandi dj di Detroit. Inoltre ci sono sempre stati artisti neri al festival. Il motivo per cui non ce ne sono mai molti è invece la difficoltà con cui si riescono a fissare i concerti hip-hop. Non so perché ma ci è capitato di doverli cancellare spesso. Poi c’è il fatto che i loro cachet sono molto alti, almeno quelli dei più noti. Credo che la condizione di base affinché festival come il PS possano nascere e crescere sia un favorevole clima di cooperazione e di unione di intenti tra gli addetti del settore. Qual è il vostro rapporto con gli altri festival, etichette, artisti e promoter della città e della Spagna? C’è un clima di dura concorrenza o di collaborazione? Abbiamo in effetti un’ottima relazione con gli artisti e le etichette indipendenti di tutto il paese, ma, come potrai capire, non tanto con gli altri festival, perché la competizione è sempre molto forte. Comunque noi collaboriamo con molti piccoli festival con i quali ci sentiamo più vicini, come il Faaday o il Tanned Tin, perché scelgono più o meno lo stesso genere di artisti che apprezziamo. Inoltre collaboriamo anche con festival stranieri, come All Tomorrow’s Parties and Pitchfork.
molti musicisti indie-rock italiani. Qual è la situazione in Spagna, e in particolare a Barcellona? Beh, credo che stia accadendo lo stesso in Spagna e in molti altri paesi. Dal mio punto di vista non c’è problema se c’è gente che si avvicina alla musica attraverso la moda o band modaiole. Si tratta per lo più di gente giovane, che così inizia ad ascoltare la musica e poi con il tempo si rende conto che c’è un’altra musica, più ricercata, o d’avanguardia. Quindi ogni modo che permetta di avvicinarsi alla musica indipendente mi va più che bene. L’aver individuato uno stile di moda proprio dell’indie ha favorito questo allargamento di target? C’è il pericolo che i festival indie si trasformino in un manifestazioni turistico-commerciali (come mi sembra stia succedendo al Fib di Benicassim)? Ogni grande movimento musicale ha coinvolto in qualche modo la moda, non vedo in ciò nulla di male, ma nel nostro caso non penso che questo ci si ritorcerà contro divorandoci. Il nostro è per lo più un festival molto specializzato, e non credo che nessuno interessato solo all’aspetto modaiolo sia disposto a pagare un biglietto per un festival senza conoscere nessuna delle band ospitate.
Ciò che distingue, a mio parere, il pubblico indie da quello di massa è una maggiore curiosità culturale. Avete mai pensato di integrare alla parte musicale altri settori artistici durante il festival? Abbiamo fatto cose del genere in passato (esposizione d’arte, proiezioni, ecc…), e anche quest’anno proietteremo alcuni film, ma preferiamo concentrarci più sulla parte musicale del festival, e poiché ci sono così tanti concerti e ore di musica, non c’è modo per la gente di frequentare anche altri eventi.
Credi che ormai anche la musica indie sia stata fagocitata, almeno come concetto e come estetica, dal mercato di massa? Forse a tutti noi che lavoriamo nell’ambito musicale o che siamo dei consumatori massicci di musica può sembrare che a poco a poco tutto stia diventando più commerciale, ma io non credo che le cose stiano realmente così. Siamo ancora ben lontani da questo, il pubblico di massa non sa niente della musica che ci piace. Forse la distanza è minore negli USA ma in Europa c’è ancora una spaccatura netta tra l’indipendente e il mainstream.
In Italia, oggi più che in passato, il pubblico indie si sta fratturando in una fazione di giovani (diciamo fino a 30 anni) che stanno subendo maggiormente il fascino dell’indie così come è interpretato e venduto oggi, ossia più legato al mondo della moda e dello spettacolo che a quello della cultura (come in Inghilterra insomma) e in una fazione di “vecchi” (over 30) che intendono ancora l’indie come musica pop ma ricercata, nuova, alternativa, nel senso di autonoma, realmente indipendente. Lo stesso vale per
In definitiva: quanto credi sia ancora indipendente il mondo della musica indipendente? Vedi, io penso che in realtà noi stiamo ritornando a quello che “indie” significava alla fine degli anni ‘80. Le grandi compagnie oggi sono in crisi e non hanno alcun interesse nelle piccole band. Anche le grandi etichette indie sono nei guai, così tutto sta tornando alle piccole etichette e al DIY. Penso che oggi siamo ben più indipendenti che non dieci anni fa. Gennaro Azzolini ARIA DI FESTIVAL 9
PETER BJORN AND JOHN La strana coppia
Vengono dalla Svezia, saranno ospiti in molti dei festival europei in giro per l’Europa. Sono amici da quando sono ragazzi, uniti dalla passione per l’indie e non si prendono mai troppo sul serio. Tra modernità e amore per il bel pop di un tempo la loro musica è un mix di tante cose, il risultato? Canzoni bellissime. Il vostro pop elettro-acustico ha finalmente trovato il successo mondiale con Young Folks. In realtà avete inciso cinque album e suonate insieme da dieci anni. Come è cambiata la vostra vita dopo il singolo che vi ha resi famosi? Siamo in grado di produrre musica a tempo pieno, ormai, e questo non ha generato solo un grande cambiamento, ma anche una sensazione di libertà e una fonte di ispirazione che ti spinge a comporre musica continuamente. Per quanto le vostre melodie abbiano il sapore degli anni 60, It Don’t Move Me tradisce chiaramente il vostro amore per i suoni anni ‘80. Ad esempio Young Marble Giants e Talk Talk sembrano grosse influenze, e il pezzo Just The Past fa molto Depeche Mode. È vero che in tutti i nostri dischi le melodie si assomigliano e hanno probabilmente un sapore anni ‘60, ma abbiamo sempre cercato di ristrutturare le ambientazioni dei pezzi, evitando di ripetere il modo in cui li arrangiamo e produciamo. E certamente su Living Thing abbiamo ripreso diverse delle sonorità che ascoltavamo alla radio a metà anni ‘80, da ragazzini; la pro10 ARIA DI FESTIVAL
duzione smaltata con tanto riverbero e i sintetizzatori. Provammo a suonare It Don’t Move Me quando uscì Writer’s Block, ma all’epoca sembrava un vecchio pezzo dei Kinks. Stavolta abbiamo ascoltato Master and Servants dei Depeche ed è nato il nuovo arrangiamento. Altre cose di quel periodo che abbiamo ascoltato molto sono Ultravox, A-Ha, OMD, Fleetwood Mac, Prince e assolutamente i Young Marble Giants, che hanno influenzato enormemente Blue-Period Picasso. Il primo e l’ultimo brano sono avventure nel minimalismo pop che caratterizza molte delle vostre canzoni. Un’altra è Stay This Way, quant’è malinconica! “Non voglio tornare indietro, non voglio andare avanti… Non voglio diventare vecchio, non voglio restare giovane”. Potremmo pensare a Bacharach o piuttosto ad Elvis Costello, un altro “fantasma” che, a mio avviso, si muove nell’ombra delle vostre canzoni. Sì, su quest’album abbiamo deliberatamente lavorato con il minimalismo. Stay This Way credo sia il mio pezzo preferito. Secondo me possiede qualità uniche a livello emotivo, è delicata, fragile. È quasi una ballata soul di tipo classico con schiocco di dita e controcanti. Anche Miracles e Four Tops, che personalmente adoro. Ma amo anche Bacharach quindi ci sta benissimo anche lui; il suo cantautorato è impeccabile! I primi due album che abbiamo inciso erano maggiormente in chiave power-pop, potremmo dire ispirati/quasi rubati da Elvis Costello&The Attractions, ma direi che questa ispirazione è molto meno evidente negli ultimi tre dischi.
Il pezzo Living Thing è la vostra personale miscela di musica afro e cantato pop. Non mi sorprende che Kanye West si sia innamorato di voi fino a portarvi con lui sul palco. Nothing To Worry About, infatti, è un numero pop che mescola cori da giardino d’infanzia con il tuo cantato, reminiscente di John Lennon… direi che è geniale! Inoltre avete collaborato con l’artista hip-hop canadese Drake. Quanto influisce la black music sul modo in cui scrivete le canzoni? Amiamo ogni tipo di black music; negli ultimi cinque anni mi sono nutrito di vecchia musica oscura africana e brasiliana. Adoro anche funk, soul, reggae. John ama l’hip-hop. Tutto questo ha influito sul modo in cui arrangiamo i pezzi, sulle ritmiche e i beats. I gruppi bianchi di musica pop hanno sempre rubato grandi idee nere: basta ascoltare i Beatles o i Clash. Quindi è bello che Drake o West abbiano rubato qualcosa a noi. “Sono un Picasso del periodo blu, inchiodato su un muro…” parlaci di questa gemma che parte a cappella per poi diventare un tossico crescendo pop… ho notato una certa ironia in alcune delle vostre canzoni. Quali temi esplorate più frequentemente e cosa si cela dietro l’ironia? Picasso è un testo molto diverso dagli altri, ecco perché ne sono orgoglioso. Per la prima volta sono riuscito a creare una vera e propria storia/favola. La maggior parte dei pezzi si rifanno ad esperienze ed emozioni personali, ma questo è pura fantasia. Ovviamente l’ho scritta dopo aver visitato il museo a Barcellona, ed essermi accorto che questo quadro era un po’ fuori contesto rispetto ai primi lavori e agli ultimi più famosi. E ovviamente c’è un legame tra il blu monocromatico del quadro, la sensazione triste (in inglese blue significa triste, malinconico, n.d.r) che evoca e il sentimento triste e solitario della canzone. Musicalmente parlando è una ballata rock’n’roll anni ‘50 che abbiamo modellato sui Young Marble Giants e sul Prince del primo periodo, per quanto riguarda il suono funk del basso. Onestamente non credo ci sia molta ironia nei nostri testi, più che altro giochi di parole e metafore, certamente, ma senza troppa ironia. Ci rifletterò su… 4 Out Of 5 presenta un crooning denso (come se fosse Smog infettato da Tricky) su uno spacesound à la TV on the Radio. Gli arrangiamenti sembrano molto più a fuoco su quest’ultimo album. Dicci perché il disco precedente, Seaside Rock, è stato strumentale (e che album strumentale!), nonostante voi scriviate canzoni pop.
Avremmo sempre voluto incidere un album strumentale. Dopo il tour di Writer’s Block ci è sembrato il momento migliore per fermarci e tornare in studio con un progetto leggermente diverso; divertirci con riffs e melodie sperimentando in modi diversi. Credo che Living Thing sarebbe stato un album molto diverso, se prima non avessimo inciso Seaside Rock. È stato importante sorprendere noi stessi ed i fans. Volevamo che suonasse un po’ come una sghemba orchestra scolastica, e intendevamo omaggiare i nostri villaggi natali nel nord della Svezia. Sono particolarmente soddisfatto del risultato e credo che quando sarò vecchio, forse diventerà il mio album preferito! È vero che su Living Thing abbiamo curato maggiormente gli arrangiamenti; avevamo il tempo ed i soldi per poter differenziare ogni pezzo, curandone i minimi dettagli. A parte le influenze del passato, quali sono i vostri artisti preferiti sull’attuale scena musicale? Oggi ascolto per lo più vecchie canzoni stridule, gospel e blues; ma mi piacciono artisti svedesi come Existens minimum, Anna Järvinen, El Perro Del Mar e Frida Hyvönen. Mi piacciono molto gli ultimi album di Papercuts e Vetiver e quello dell’anno scorso di David Byrne e Brian Eno. Anche roba come M. Ward e Animal Collective. Negli scorsi numeri abbiamo intervistato Billie the Vision and The Dancers e recensito l’ultimo dei Wildbirds and Peacedrums. Gli Shout Out Louds sono un’altra band svedese e il bassista ha curato l’animazione del video di Young Folks. La Svezia produce una marea di ottime bands. Puoi descrivere la scena musicale nel vostro paese? Al momento la scena è particolarmente creativa. Penso che quando alcuni gruppi hanno successo, ispirano altri a darsi da fare. Ma gli svedesi sono sempre stati interessati alla musica pop e veloci ad assimilare nuove sonorità. La scena è molto diversificata ed eclettica. È incredibile per un paese così piccolo; credo che sia il terzo per produzione ed esportazione di pop in lingua inglese, dopo USA e Gran Bretagna. E l’intera nazione è meno popolata di New York City! È curioso il fatto che la maggior parte degli artisti più popolari in Svezia vengano ignorati nel resto del mondo, mentre i più gettonati all’estero restano sconosciuti in Svezia. Tobia D’Onofrio ARIA DI FESTIVAL 11
UN’ESTATE DI FESTIVAL
Rock, punk, jazz, metal, folk, reggae, taranta IN EUROPA
Mando Diao (nella foto), Flaming Lips, Yeah Yeah Yeahs. www.openairsg.ch
ISLE OF WIGHT FESTIVAL Newport - Inghilterra dal 12 al 14 giugno Un nome che evoca leggende dei grandi festival rock. E infatti in una sola serata sarà possibile assistere ai concerti di Neil Young, Pixies, Simple Minds, The Charlatans. http://www.isleofwightfestival.com/
ROCK WERCHTER Werchter - Belgio dal 2 al 5 luglio
GLASTONBURY FESTIVAL Shepton Mallet - Inghilterra dal 24 al 28 giugno Oltre 700 esibizioni e sei palchi principali coinvolti nel più grande festival-raduno all’aperto del mondo. Quest’anno tra gli ospiti ci saranno: Neil Young, Blur, Bruce Springsteen, Franz Ferdinand. http://www.glastonburyfestivals.co.uk/ OPEN AIR San Gallo - Svizzera dal 26 al 28 giugno
33 edizioni, circa 100.000 spettatori e oltre 40 artisti. Questi i numeri dell’Open Air Festival di San Gallo, in Svizzera. Tra gli ospiti del 2009 Nine Inch Nails, Nick Cave & The Bad Seeds, 12 ARIA DI FESTIVAL
Iniziato come un piccolo festival jazz nel 1975 conta oggi oltre 60 artisti sul palco tra cui Prodigy, Oasis, Placebo, Coldplay (nella foto), Kings of Leon, Nick Cave and the Bad Seeds, Franz Ferdinand, Limp Bizkit, Mogwai, Yeah Yeah Yeahs, Regina Spektor, Metallica, Nine Inch Nails, Mars Volta, Flaming Lips, Röyksopp. Rockwerchter.be ROSKILDE FESTIVAL Roskilde - Danimarca dal 2 al 5 luglio Il più grande festival musicale e culturale del Nord Europa, che esiste dal 1971. Ogni anno i proventi del festival vengono donati in beneficenza per scopi umanitari e culturali. La line up del 2009 comprende alcuni dei migliori nomi della scena internazionale. Tra gli altri: Nick Cave & The Bad Seeds, Coldplay, Nine Inch Nails, Oasis, Röyksopp, Yeah Yeah Yeahs. www.roskilde-festival.dk
HULTSFRED FESTIVAL Hultsfred - Svezia dal 8 al 11 luglio
Oltre vent’anni per il più grande festival svedese. Quest’anno tra gli ospiti ci saranno The Killers, Kings Of Leon, Franz Ferdinand, The Gossip, Peter Bjorn And John (nella foto). Rockparty.se T IN THE PARK Balado Airfield - Scozia Dal 10 luglio al 12 luglio 2009-05-13 Dal 2004 una cittadina scozzese diventa il teatro dove si svolge uno dei festival europei di maggior successo. Tra gli ospiti previsti quest’anno Kings of Leon, The killers, Snow Patrol, Blur, Nine Inch Nails, The Mars Volta. FESTIVAL INTERNACIONAL Benicàssim - Spagna dal 16 al 19 luglio Il Festival ha nella sua programmazione più di 100 concerti, oltre ad una serie di attività che includono cinema, moda, arte contemporanea, teatro, danza e corsi estivi. Tra i big di quest’anno: Kings Of Leon, Franz Ferdinand, Paul Weller, Oasis, Psychedelic Furs. Fiberfib.com PALEO FESTIVAL Nyon, Svizzera dal 21 al 26 luglio Trent’anni fa il pubblico del Paleo festival ammontava a 1800 presenze, lo scorso anno ne sono stati contate 230.000. Placebo, Kaiser Chiefs, Gossip, The Prodigy, Franz Ferdinand, Moby, Snow Patrol alcuni degli ospiti del 2009. Paleo.ch SZIGET FESTIVAL Budapest - Ungheria dal 11 al 17 agosto Il Sziget Festival è un evento unico nel suo genere, multimediale, aperto ad ogni espressione artistica e musicale, ed è il più grande festival d’Europa, tra i primi tre raduni al mondo. Line up ‘09: Prodigy, Placebo, Fatboy Slim, Calexico. C’è un sito in italiano, Szigetfestival.it
PUKKELPOP Hasselt-Kiewit - Belgio dal 20 al 22 agosto È uno dei più grandi festival belgi con circa 150.000 presenze nel 2008. Il festival ospita più di 200 concerti. Tra gli ospiti di quest’anno Arctic Monkeys, Faith No More, Kraftwerk. Pukkelpop.be ROCK EN SEINE Parigi - Francia dal 28 al 30 agosto Oasis, Bloc Party, The Offspring, The Horrors, The Prodigy la line up per questo bel festival alle porte di Parigi. Rockenseine.com READING FESTIVAL Reading, Regno Unito dal 28 al 30 agosto Un festival che non ha bisogno di presentazioni. Collegato al festival di Leeds che ha lo stesso programma a giorni alterni. Gli headliner del 2009: Kings Of Leon, Arctic Monkeys e Radiohead. www.readingfestival.com ELECTRIC PICNIC Stradbally - Irlanda dal 4 al 6 settembre
Un festival definito dal Billboard un esempio da manuale. Tra gli ospiti del 2009 basta citare Michael Nyman Orchestra, Bat For Lashes (nella foto), Zero 7, Orbital e il leggendario Brian Wilson dei Beach Boys per avere un’idea della qualità proposta. Electricpicnic.ie WEEKEND DANCE Barcellona & Madrid, Spagna dal 11 al 12 settembre Un weekend all’insegna della dance nelle due principali città della Spagna con nomi del calibro di Fatboy Slim e Groove Armada. Weekendance.es ARIA DI FESTIVAL 13
IN ITALIA FERRARA SOTTO LE STELLE Ferrara sino a luglio
Ancora in fase di definizione il programma del festival che anima il centro storico di una delle più belle città d’Italia. Previsti per ora i concerti di Amadou & Mariam, Editors, Paolo Conte, Bloc Party, White Lies, Tv on the Radio, Animal Collective (nella foto), Scott Matthews. www.ferrarasottolestelle.it ROCK IN IDRO dal 13 al 14 giugno Milano Terza edizione del Festival “Rock In Idro” che si terrà a Milano, un momento di incontro tra il 14 ARIA DI FESTIVAL
pubblico e la musica rock nella più ampia accezione del termine e nei suoi più vari e differenti aspetti. Tra gli ospiti Babyshambles, Social Distortion, Gogol Bordello, Faith No More, Limp Bizkit, Pogues. Rockinidro.com GODS OF METAL dal 27 al 28 giugno Monza Dodicesima edizione per uno degli appuntamenti di maggior interesse per il popolo del metallo di tutta Europa. Gli headliner di quest’anno saranno Motley Crue, Heaven & Hell, Dream Theater, Slipknot e Blind Guardian. Insomma, ci sarà da divertirsi. http://www.godsofmetal.it/ SHERWOOD FESTIVAL dal 19 giugno al 18 luglio Padova Il festival indipendente organizzato ogni anno da Radio Sherwood vedrà esibirsi sul palco allestito nel parcheggio dello stadio di Padova per l’unica data italiana The Prodigy. Altri ospiti previsti: Tonino Carotone, Alborosie, Meganoidi, Luci della Centrale Elettrica, Marta sui Tubi, Afterhours, Negrita e Bandabardò. www.sherwood.it
FESTIVAL DI VILLA ARCONATI Milano dal 21 giugno al 23 luglio Il borgo di Bollate e il suo castello ospitano un festival di grande qualità. Tra gli artisti di quest’anno: Vincent Gallo, Ludovico Einaudi, Cocorosie (nella foto in alto pagina accanto), Calexico, Piers Faccini, Regina Spektor, Gonzales. www.insiemegroane.it/festivalarconati TRAFFIC FESTIVAL dal 9 al 11 luglio Torino Quest’anno, nel cast del festival gratuito del capoluogo piemontese ci saranno Nick Cave & The Bad Seeds, Primal Scream e Underwold. http://www.trafficfestival.com ROTOTOM SUNSPLASH Osoppo (Udine) dal 1 al 11 luglio Il più grande raduno reggae d’Europa che dal 1994 richiama migliaia di giovani da ogni parte del mondo. Tra i numerosi ospiti di quest’anno ricordiamo SKA-P, Skatalites, Alborosie, Linton Kwesi Johnson, Sud Sound System, Ali Campbell (UB40), Michael Franti, Beenie Man, Buju Banton, Capleton, Anthony B. www.rototomsunsplash.com UMBRIA JAZZ dal 10 al 19 luglio Perugia
italiani, Enrico Rava, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Roberto Gatto, più la curiosa “intrusione” di Gino Paoli. http://www.umbriajazz.com ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL dal 16 al 19 luglio Livorno Il mitico festival toscano cala gli assi e presenta i primi nomi del cartellone: sul Main Stage dello Stadio Armando Picchi di Livorno suoneranno, tra gli altri, il pop-trio inglese Placebo, i leggendari ed algidi Kraftwerk, il demiurgo dell’elettronica Aphex Twin e gli Ska-P. www.italiawave.it PLAY AREZZO ART FESTIVAL dal 20 al 26 luglio 2009 Arezzo
Il viaggio sarà il tema conduttore degli spettacoli del Play Art Festival 2009: musica, teatro, letteratura, cinema, danza e multimedialità. Per quanto riguarda la parte musicale gli ospiti saranno: Patti Smith (nella foto), Paolo Benvegnù, Marta sui Tubi, Tracy Chapman, Vinicio Capossela, Meganoidi e Negrita. www.playarezzo.it PARKLIFE FESTIVAL dal 21 al 22 luglio Milano Un nuovo appuntamento per la prossima estate. La prima edizione del Parklife Festival sembra interessante. Due giorni di musica al Circolo Magnolia di Milano. Tra i nomi confermati per ora, citiamo The Horrors, Piano Magic, Rolo Tomassi. http://www.parklifefestival.it/
Giunto alla trentasettesima edizione Umbria Jazz conferma la sua vocazione a proporre musica di qualità superando le soglie del genere: Paolo Conte, Burt Bacharach, Cecil Taylor, Simply Red, BB King e Solomon Burke (nella foto). Incontro Italia-Stati Uniti con l’inedito duo di pianoforte Chick Corea - Stefano Bollani. Tra gli
I-DAY MILANO URBAN FESTIVAL il 30 agosto Milano I-Day Milano Urban Festival sulla scia delle otto edizioni bolognesi dello storico Independent Days, si trasferisce nel capoluogo Lombardo e presenta una line up che vede headliner gli Oasis e poi The Kooks ed i Kasabian. myspace.com/independentdaysfestival ARIA DI FESTIVAL 15
IN PUGLIA AMERICA & FOLK FESTIVAL Erchie fino al 5 settembre
(nella foto), Gabriele Lavia in una speciale versione del Macbeth, un omaggio a Chet Baker con Fabrizio Bosso e Filippo Timi, un omaggio a De Andrè con il pianista Danilo Rea, e poi ancora Stefano Bollani e Nitin Sawhney.
GIOVINAZZO ROCK FESTIVAL Giovinazzo dal 25 al 27 luglio
Il Giovinazzo Rock Festival nasce alla fine degli anni ’90 e si svolge nell’ultimo fine settimana di luglio all’interno dell’Area Mercatale di Giovinazzo. Le ultime edizioni hanno ospitato band come Tre Allegri Ragazzi Morti, Après La Classe, 24 Grana, Giardini di Mirò, Bugo, Giorgio Canali & Rossofuoco, Amari e molti altri, a rappresentare tutte le diverse sfaccettature del movimento rock indipendente italiano.
Prende il via America & Folk Festival, una manifestazione unica nel suo genere che nasce dalla passione e dall’amore per la musica in una zona della Puglia ad altissima concentrazione rock and roll. Protagonista della rassegna è il folk e tutte le sue derivazioni: il blues, il rock, il bluegrass, il country. La matrice è quella americana, patria indiscussa del genere che ha contaminato e conquistato il mondo. Tra gli ospiti il country singer californiano Jonny Kaplan, gli italiani Her Pillow, gli americani Tishamingo, una leggenda del country americano come Commander Cody, uno degli artisti americani più quotati del momento: Andy J. Forest (nella foto), da New Orleans il progetto Washboard Chaz Blues Trio e gli italiani W.i.n.d.
LOCUS FESTIVAL Locorotondo dal 18 luglio al 13 agosto
Il Locus Festival si rinnova come un rito e alla sua quinta edizione ospita ed evoca i grandi miti della musica contemporanea come David Byrne 16 ARIA DI FESTIVAL
STREAMFEST Galatina dal 1 al 12 agosto
Dopo il successo dello scorso anno torna il festival di musica elettronica che ha portato nel Salento nomi come Ellen Alien e A Guy Called Gerald. Per ora non sono state ancora sciolte le riserve sull’edizione del 2009 che si preannuncia comunque ricca di sorprese e proposte interessanti.
SALENTO SUMMER FESTIVAL Parco Gondar - Gallipoli 15 agosto
Il 15 Agosto torna il Salento Summer Festival, uno degli appuntamenti più longevi dell’estate salentina. Organizzato da Alta Fedeltà Produzioni, il Festival giunge alla sua nona edizione e si sposta al Parco Gondar di Gallipoli con una serata al ritmo ragga alla continua ricerca di suggestive location sparse nel territorio salentino da far conocere al pubblico accanto ai maggiori interpeti del reggae. Per il 2009 si attendono, come sempre, altri protagonisti del reggae internazionale.
GUSTO DOPA AL SOLE Masseria Torcito - Cannole dal 12 al 15 agosto
La decima edizione del festival si svolgerà dal 12 al 15 agosto 2009, ancora una volta fra le solide mura a secco della Masseria Torcito. Per festeggiare l’importante traguardo numero 10, saranno invitati molti fra gli artisti che hanno caratterizzato la storia del festival.
CUBE FESTIVAL Gallipoli 13 e 14 agosto
Gli artisti scelti per questa edizione del festival estivo dedicato alla grande musica rock rappresentano un’ottima commistione fra energia rock, capacità cantautoriale ed elettronica da club. Tra gli ospiti i Marlene Kuntz, i Motel Connection, gli Afterhours e Morgan (nella foto) oltre ai dj set di Boosta, di Play Paul, personaggio di culto della Daft Punk crew e della mitica Skin.
LOCOMOTIVE JAZZ FESTIVAL Sogliano Cavour dal 3 al 6 settembre
Torna a Sogliano Cavour il Locomotive Jazz Festival, la manifestazione con la direzione artisti-
ca di Raffaele Casarano che quest’anno ha stretto un accordo con alcuni jazz-festival di Francia, Inghilterra e Danimarca, allo scopo di promuovere e favorire lo scambio e la circuitazione dei musicisti e della musica jazz in Europa. Un cartellone ricco di appuntamenti, live, incontri, performance e installazioni per la IV edizione del festival dal titolo I Colori di Orfeo, mito greco le cui suggestioni e simbologie hanno ispirato il programma di quest’anno.
LA NOTTE DELLA TARANTA Salento fino al 29 agosto
Il festival di musica popolare più famoso d’Italia dove la tradizione della pizzica viene rivisitata e contaminata ripropone la consolidata formula dei concerti di preparazione al concertone finale dove l’Orchestra della Notte della Taranta si esibirà sotto la magistrale guida del maestro concertatore Mauro Pagani (nella foto), per la terza volta consecutiva a Melpignano. Ogni anno più di centomila persone accorrono da tutta Italia per assistere al più grande raduno pugliese. ARIA DI FESTIVAL 17
LOCOMOTIVE CONVERSATION
Sogliano Cavour, un bordo di mondo antico dove vibra qualcosa di nuovo La scena è all’incirca questa: centro storico di una città del sud, notte fonda, i musicisti sono fuori da un locale a prendere una boccata d’aria dopo una jam, sciami di sconosciuti entrano ed escono dal torpore delle luci basse per chiedere da bere, da questa umanità si stacca una tipa e senza passare dalle presentazioni comincia a 18 ARIA DI FESTIVAL
giocare ai quattro cantoni coi musicisti, lì per lì, si tratta di guadagnare un posto nel cerchio umano partendo dall’isolamento del centro, di tanto in tanto i passanti attraversano le linee invisibili del gioco, i musicisti e la tipa ridono correndo sotto una pioggia sottile, non si conoscono, proprio come i bambini quando si mettono
a giocare spontaneamente in un cortile. La scena non è stata inventata apposta per un racconto, quei musicisti me lo possono confermare, conosco i loro nomi perché la tipa ero io. Sullo sfondo, musica. Musica e scrittura. Come stormi migratori che in un certo parallelo si incrociano e si combinano formando disegni. Puoi trovare una forma a quei disegni anche a occhio nudo, se ti riesce. E’ come andare a orecchio. E quello che ti viene da pensare è che sarebbe bello sapere da che parte arriverà il suono che cambierà tutto in un mondo elementare, al capolinea d’Italia, in mezzo ai due mari. Quando quel suono arriva, dal sax di un ragazzo che si curva leggermente col suo strumento come per mandare più lontano possibile ciò che va soffiando lì dentro, sai che stai ascoltando qualcosa che prima non c’era, è entrata in quell’ottone e ne è uscita in forma di musica: sgranata, luminosa, oscura. Ti viene da pensare: non dev’essere facile fare bene qualcosa che nessuno ha mai fatto prima. Musicisti in gamba ce ne sono, certo. Ma quelli capaci di inventare luoghi che prima non c’erano, quelli sono pochi. Non solo luoghi sonori, al di sopra della letteralità della vita, ma proprio contenitori fisici, idee che si fanno evento. Un’idea di spettacolo, per esempio, che somiglia a un treno, lungo un binario impossibile dove si incrociano storie, destini, geografie, partiture, profili di passeggeri, intuizioni. Quella non è una locomotiva qualunque, la guida il sassofonista salentino Raffaele Casarano e viaggia sul serio, con una tempistica che toglie il fiato rivelando un talento multiforme, rarissimo: far viaggiare in quel modo un treno che non esiste. Lui non se lo ricorda nemmeno com’è che gli è venuta su l’idea del Locomotive Jazz Festival, un grappolo di eventi - non solo musicali - dinanzi al quale da quattro anni il pubblico rimane giustamente stregato, a Sogliano Cavour, un bordo di mondo antico dove vibra qualcosa di nuovo. Se incroci lo sguardo di Raffaele Casarano non vedi solo il jazz, vedi tantissime strade che si incrociano in uno stile diverso e suonano come un qualcosa che staresti ad ascoltare per ore. Attorno a lui, direttore artistico del festival che quest’anno ha stretto un accordo con alcuni jazz festival di Francia, Inghilterra e Danimarca e che prevede di ospitare ad agosto Soweto Kinch, uno dei sassofonisti più geniali della scena musicale contemporanea - succedono cose strabilianti. Ne dico una: “From station to station”. Cos’è? È il progetto musicale itinerante di Paolo Fresu, che il 4 agosto attraverserà le stazioni ferroviarie della linea Sud-Est della Provincia di Lecce facendo incontrare la Banda Musicale di Cesare
Dell’Anna con la Banda Musicale di Berchidda. Fresu e Casarano. Così un ragazzo che da poco ha compiuto ventotto anni dimostra che certi percorsi per metà sono suono e per metà racconto. Ha appena firmato il suo contratto con la Universal per “Replay” il disco che segue a “Legend”, l’esordio con Dodicilune. Nel frattempo comincia il countdown per lo start di lunedì 3 agosto quando il Locomotive Jazz Festival 2009, quest’anno dedicato a “I colori di Orfeo” l’archetipo del cantore semidivino, comincerà il suo viaggio nelle meraviglie firmate Coung Vu (con Mirko Signorile Sinerjazz Trio per la sezione di incontri tra jazz salentino e internazionale), Paolo Fresu Devil 4tet, Luca Aquino, Dario Muci & Mays, Cesko, Salvatore Russo Gipsy Trio & Orchestra Jazz Conservatorio “Tito Schipa”, Francesco Negro trio e Achille Succi, Locomotive Percussion Orchestra (diretta da Giovanni Imparato per la direzione artistica di Alessandro Monteduro) e Daniel Romeo Band, Zina e ancora e ancora. È incredibile la lista dei nomi che si aggiungono al carnet dell’anno scorso quando il Locomotive Jazz Festival ha mescolato i musicisti salentini a personaggi del calibro di Sheila Jordan, Franco Califano, Maria Pia De Vito, Attilio Zanchi e tanti altri. “Binario X” era il titolo dell’edizione 2008, quello del 2007 era “Voyage”. Già nel 2006, Paolo Fresu adottò il festival e lo tenne sotto la sua ala, quest’anno il padrino non si risparmierà, generosa la sua presenza in cartellone, è previsto anche il saluto al sole, in musica, nello stile Locomotive, all’alba con “Devil Acustico”. Così sono quattro anni che da Sogliano Cavour passa tutto un mondo di sonorità da raccontarsi, Raffaele Casarano (in collaborazione con Musicaltra) è riuscito a fare in modo che quella musica non esistesse solo nelle orecchie di alcuni ai quali per spiegarsela basta scambiarsi un’occhiata, come fanno i musicisti quando suonano. Quello sguardo si è allargato, dentro ci passa il montato di molti momenti, come un panorama che muta di là dal finestrino di un treno. Non è una minuzia, il senso è tutto lì e spalanca le note di chi sa come fare a trafficare con l’anima. Non a caso, Orfeo. Poi il resto è jazz e non si può scrivere, bisogna sentirlo, è una cosa che va. Senza parole. Senza passare dalle presentazioni. A orecchio. Dove la musica arriva in un istante mentre la vita ci gira intorno. 3, 4, 5 e 6 agosto, Sogliano Cavour. Locomotive Jazz Festival. La quarta edizione, l’aspetti e sorridi. Pazzesco come guida il treno quel ragazzo. Luisa Ruggio ARIA DI FESTIVAL 19
GEOGRAFIA BREVE DEI TEATRI A MISURA D’ESTATE Tante le geografie italiche pregne di teatro, in quest’estate 2009. Inutile affermare che riportare con completezza assoluta il calendario dei tanti festival è missione più che improbabile e appunto per questo si opta per una scelta salvifica: rammentare che Volterra, Sant’Arcangelo e i “soliti noti” scoppiano di salute estrosa e animeranno i mesi afosi con i loro programmi densi, mentre a queste righe affidiamo il compitino di segnalare delle realtà altrettanto notevoli ma un po’ più al margine, senza pretesa di restituire questa zona del teatro differente in modo esaustivo. Diamo inizio al nostro girovagare limitato dalla provincia di Rieti, precisamente da Fara Sabina, villaggio medioevale a 60 km da Roma dove il Teatro Potlach organizza la quarta edizione del Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali “Tra Oriente e Occidente”. Dal 7 al 19 giugno, grazie alla collaborazione intensissima con l’International School of Theatre Anthropology, la manifestazione sarà un susseguirsi di laboratori considerevoli, in equilibrio stabile tra i due mondi richiamati nel titolo, e dedicati alle pratiche della ricerca teatrale meno convenzionale e più poetica. Tra questi, spiccano “Il teatro in forma di libro” con Eugenio Barba e Julia Varley, “Il lavoro del clown” con l’artista Hernán Gené, “Il canto, la danza e la narrazione nella tradizione indiana” con Parvathy Baul. Ogni giorno, dalle 17 in poi, dimostrazioni di lavoro, incontri con attori e registi, proiezioni video (info dettagliate su www.potlach.org). Filo conduttore degli eventi, uno sguardo più che sensibile ai terreni dell’antropologia culturale e delle tradizioni popolari. 20 ARIA DI FESTIVAL
Dal 10 al 14 giugno, a Fossano, in territorio piemontese, si ripeterà per la terza volta consecutiva Mirabilia - Festival di Teatro Urbano (www.fossanomirabilia.com), che ogni anno si conferma una dimensione di esplorazione pura per l’applicazione informatica alle arti di strada, quali il nuovo circo e la danza contemporanea. Due anteprime assolute: lo spettacolo tecnologico di arte numerica a cura delle compagnie Divine Quincaillerie e Tout Azimuth, e quello più prettamente circense dei francesi Cie Bibendum Tremens. Due punte, queste, di un programma variegatissimo, pensato dall’organizzazione con un’attenzione alla rappresentazione in chiave ironica del disagio e dell’alienazione. Dal 14 al 24 giugno Padova ospiterà la quinta edizione di Teatri delle Mura-Cosmologie Teatrali (www.teatridellemura.it), rassegna fittissima dedicata a Galileo Galilei e Jerzi Grotowski, e ispirata in ogni sua tessera dal senso della ricerca teatrale, dalle sue infinite inquietudini, e dall’urgenza di afferrarne le nuove mappature. Il programma è un mosaico complesso, composto da nomi che non necessitano di alcuna presentazione come Yoshi Oida, che curerà un laboratorio su “movimento e voce nella cultura giapponese” e presenterà la nuova versione di Interrogations, suo storico spettacolo. Tra gli altri talenti e maestri, da ricordare Eugenio Barba, Massimiliano Civica, Enrico Frattaroli, Denis Fasolo. Extra teatrale, ma con qualche affinità, la manifestazione Comete che animerà la cittadina bizzarra di Pergine, in Valsugana, dal 14 al 18 luglio. Per quell’occasione, saranno aperti i padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico e sarà
consentita una libera entrata nella follia, con l’obiettivo di costruire insieme, curatori e visitatori, uno spazio creativo cosciente del fatto che “pazzia e passione hanno lo stesso etimo”. Presenza preziosa dell’edizione 2009, il maestro di spiritualità concreta Alejandro Jodorowski, che inaugurerà gli eventi con una conferenza-spettacolo dal titolo Il rospo e la lucciola, per poi animare, nei giorni successivi, uno stage intensivo di psicomagia dedicato all’incantesimo possibile, a quel gesto magico che con l’aiuto del miele e della cenere può sollevare l’anima da qualunque pesantezza accumulata. Dal 15 al 19 luglio a Certaldo, in Toscana, si terrà Mercantia, un festival internazionale segnato, anno per anno, da una distanza netta da tutto ciò che è moda, stereotipo, consuetudine del fare spettacolo. La 22° edizione, intitolata “Una Nuova Era”, orienta la rotta verso un’altra dimensione di sperimentazione, data dal Quarto Teatro, che “è sbrizzicante, ammaccoloso, impertinente, non sopporta la noia del pubblico, la pomposità di un certo teatro e quelli che hanno la puzza”, e che è l’unica risorsa resistente in un campo minato da superficialità ricorrenti. Il programma è un labirinto complicatissimo di respiri ed energie, consultabile sul sito www. mercantiacertaldo.it. Ad agosto compirà dieci anni Ogliastra Teatro, organizzato dal Cada Die di Cagliari (www.cadadieteatro. it). Il programma dettagliato di performance ed eventi aperti al pubblico è ancora in via di definizione, ma sono confermati tre laboratori per chi voglia sperimentare la propria possibilità scenica con Giuliana Musso, Alessandro Berti, Renato Sarti, che dedicheranno i propri workshop rispettivamente alla narrazione teatrale, alla parola naturale, alla parola dalla storia al teatro. A settembre, infine, si spera nel ritorno del Bella Ciao - Il Balsamo della Memoria diretto da Ascanio Celestini, festival di teatro popolare inscenato tra mille difficoltà nelle borgate romane, e sostenuto da finanziamenti esigui, zoppicanti, a dir poco striminziti, che quest’anno potrebbero essere addirittura assenti, condannando a morte certa un contenitore narrativo davvero audace, mattoide, e soprattutto reale. Non resta che confidare in un aggiornamento positivo, tenendo d’occhio il sito www.bella-ciao.it e augurando una rinnovata, sorprendente edizione che ci racconti da dove veniamo, dove siamo e soprattutto dove stiamo andando. Stefania Ricchiuto
I LUOGHI ESTIVI DEL LIBRO Sarà l’aria di mare, sarà che è meglio stare sotto l’ombrellone piuttosto che seduti in una piazza, saranno mille altri i motivi, e saranno certamente tutti validi, ma bisogna dire che se l’estate offre tantissime rassegne e ruduni musicali e teatrali, latita invece sui palchi estivi il libro. Sembra infatti che la stagione migliore per ascoltare e conoscere i nostri idoli della carta sia piuttosto settembre-ottobre. Si sa, i libri temono il sole e la sabbia e l’acqua di mare. Comunque qualche eccezione non manca e proviamo a segnalarla di seguito. Intanto, qui da noi in Puglia è da non perdere il Il Libro Possibile festival che si terrà a Polignano a Mare dall’8 all’11 luglio. Quattro giorni dedicati alla lettura e conditi da tanta danza e musica che lo scorso anno ha visto la partecipazione di nomi del calibro di Bjorn Larsson, Paolo Giordano, Pierigiorgio Odifreddi, Curzio Maltese e Vincino. A Roma, invece, prosegue fino a fine giugno il ricchissimo programma del Festival Internazionale di Letterature, dedicato quest’anno al quarantennale dell’allunaggio. Tra gli ospiti previsti nelle serate ancora da svolgere John Grisham, Antonio Munoz Molina, Ermanno Cavazzoni, Bjorn Larsson, Vinicio Capossela, Margaret Mazzantini, Mario Tozzi, Edoardo Albinati. Per chi invece si trova in Irlanda nella settimana dal 10 al 16 giugno assolutamente da non perdere il Bloomsday, ossia i festeggiamenti in memoria di James Joyce. Per una settimana le strade di Dublino si animeranno con letture e spettacoli e grandi bevute in pellegrinaggio nei luoghi descritti da Joyce nel suo Ulisse. Per gli amanti del giallo, l’edizione 2009 di GialloLuna NeroNotte, rassegna che si tiene ogni anno in autunno in provincia di Ravenna, si “allargherà” anche all’estate con l’omaggio a Edgar Allan Poe e 200 anni dalla nascita e George Simenon, a vent’anni dalla scomparsa. Dicevamo che settembre è il periodo migliore per i festival lettari: uno su tutti il Festivaletteratura di Mantova che si terrà dal 9 al 13 settembre. E poi l’interessante Women’s fiction festival di Matera, dal 24 al 27 settembre. Chiudiamo con due festival non proprio letterari, ma comunque molto interessanti: il festival della Filosofia di Modena, che quest’anno ha come parola chiave “comunità” e che si svolgerà dal 18 al 20 settembre e il festival della mente di Sarzana, in Toscana, il primo festival europeo dedicato alla creatività che si svolgerà dal 4 al 6 settembre. 21
MUSICA
SCOTT MATTHEW Angelica diavoleria
Un songwriter come non se ne ascoltavano da tempo: lirico, poetico romantico. Australiano trapiantato in America ha da poco pubblicato There Is An Ocean That Divides..., un distillato di classe e intimismo sinfonico. Per chi vuole vederlo dal vivo sarà a Ferrara sotto le stelle il 17 Luglio. Il tuo primo album si intitolava semplicemente Scott Matthew, mentre questo secondo lavoro ha un titolo difficile da pronunciare, perchè lunghissimo (There is an ocean that divides and with my longing i can 22 MUSICA
charge it with a voltage thats so violent to cross it could mean death!)… C’è dell’ironia dietro questa scelta? No, vuole essere una scelta poetica, letterale e simbolica. Di solito non c’è ironia nel mio lavoro. È facile riassumere il titolo in There is an ocean that divides. Così risulta un po’ più semplice parlarne. Hai partecipato a diverse colonne sonore di anime giapponesi, come la serie tv di Ghost
in the Shell e il film di Cowboy Beebop, due fantastici lavori dell’autrice di culto Yoko Kanno. Come ti sei trovato coinvolto in questo campo? Mi hanno inserito in un’audizione per Yoko, quando è venuta a New York in cerca di nuovi cantanti. Non voleva che io facessi l’audizione, ma per fortuna una volta ascoltata la mia voce ha cambiato idea e ha scritto alcune canzoni da farmi interpretare. A luglio andrò in Giappone per partecipare a una retrospettiva sulla sua carriera. Il concerto si terrà a Tokyo. Hai anche collaborato con John Cameron Mitchell nel film Short Bus, componendo la colonna sonora e interpretando un personaggio. Il film è stato molto discusso al Festival di Cannes del 2006. Un’altra avventura fantastica… “Avventura” è dire poco. Partecipare alla pellicola è stato un tale onore. È stato un evento catalizzatore che ha portato molte altre esperienze positive nella mia vita. Sarò per sempre riconoscente nei confronti di John per avermi offerto l’opportunità di prender parte alla sua visione. Non sono potuto andare a Cannes perché avevo degli impegni a New York, ma ho visto delle immagini di repertorio in cui John piangeva di fronte a una standing ovation. Mi sentivo parte di quella situazione, perché ho pianto anch’io. Suonavi musica più pesante insieme al musicista di Morrissey Spencer Corbin, nella band Elva Snow, puoi raccontarci di quell’esperienza? È stato magnifico, eravamo giovani e alla ricerca di noi stessi. Non è la musica che scrivo adesso, ma ha comunque un posticino nel mio cuore. Spencer è ancora un mio caro amico e adesso cura gli arrangiamenti di archi e fiati. Il lento valzer Community è uno dei pezzi più tranquilli con arrangiamenti più classici e complessi, ma anche i brani più solari presentano un umore un po’ tragico, melodrammatico (come Thistle, ad esempio, che è un pezzo à la Belle and Sebastian). Forse è per questo che i critici hanno imbastito paragoni con Anthony Hegarty e Jeff Buckley, piuttosto che con Devendra Banhart (con quest’ultimo, credo, le similitudini sono soltanto di tipo “fisico”; infatti sembrate due hippies usciti dagli anni ‘70). A dire il vero, quando ho ascoltato il secondo brano, For Dick, ho pensato che il tuo modo di usare la voce ricordi il tea-
trale cantautorato di David Bowie. Che ne pensi? Vengo paragonato ad altri artisti in continuazione. I media e il pubblico hanno bisogno di questo. Devi essere definito da un genere musicale, altrimenti diranno che sei influenzato o che rubi da altri artisti. Per me è sempre un onore, anche se non sono d’accordo. Tutti gli artisti che hai menzionato hanno un grande talento, quindi se la gente vuole accostarci in una stessa frase, ben venga. C’è un demone nella canzone In the End, ma anche un diavolo in Ornament: la musica sacra potrebbe essere un’altra presenza determinante all’interno delle tue canzoni, come possiamo constatare, ad esempio, nei cori gospel di German (“Make it beautiful now, make it beautiful…”). Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato maggiormente e quali segui con maggior attenzione, parlando della scena attuale? Non vengo particolarmente influenzato da altri artisti, piuttosto dalla mia vita, dalle mie esperienze. Al momento ascolto Joan as Police Woman, Andrew Bird, Beach house e Bach. In un’altra intervista hai dichiarato che New York non ti ha influenzato (musicalmente parlando), nonostante ti sia trasferito lì da dieci anni ormai. Cosa intendevi dire? Volevo dire che le influenze che mi portano a scrivere sono di tipo personale e non ambientale. Il mio pezzo preferito è Dog. Cosa puoi raccontarci di questa canzone? Si è trattato di un esperimento con un pattern di accordi continuo, che si ripete e si stratifica pian piano generando luce e ombra. Poi ho voluto che la mia amica Holly Miranda mi aiutasse con la sua miracolosa voce. È stata anche la prima canzone in cui ho usato il mandolino. Spero che l’esperimento sia riuscito. Il tuo concerto milanese del 4 maggio ha registrato il tutto esaurito! Sembra che gli italiani si siano già innamorati di te! Hai avuto tempo per visitare l’Italia e ti è piaciuto suonare in questo paese? Adoro venire in Italia. Sfortunatamente non ho avuto modo di visitare il paese. A questo proposito, viaggiare in tour non è il massimo… Comunque ho conosciuto bella gente e spero di ritornare quanto prima. Sicuramente saremo qui a luglio per una data al Festival di Ferrara. Tobia D’Onofrio MUSICA 23
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SILVIA’S MAGIC HANDS Lo spirito delle canzoni Un po’ italiani, un po’ inglesi, i Silvia’s magic hands hanno un suono ruvido e ammaliante allo stesso tempo. Abbiamo intervistato . Siete figli di un festival, almeno in un certo senso (penso a Italia Wave) vi ha un po’ messo sulla strada giusta, cosa eravate prima e cosa siete adesso? Che rapporto avete con i festival in generale? Prima di Italia Wave i Silvia’s Magic Hands non esistevano neanche. Avevamo un paio di brani, delle idee ma ancora dovevamo capire cosa serviva e come. Sicuramente la finale del 2008 ci aiutò ad essere un pò più esposti agli occhi della gente, a convincerci sulla direzione da seguire e sul fatto che il prodotto ci piaceva e piaceva. Con i festival, in generale, abbiamo dei buoni rapporti. Sono stati per noi una vetrina ed in alcuni casi promotori di altri eventi, quindi non avrebbe senso parlarne male. Come convivete con questa doppia anima, metà inglese, metà italiana? Non ci siamo mai posti il problema, è sempre accaduto tutto in maniera così naturale che non c’è stato spazio per nessuna domanda o incontro a tavolino. La mia parte italiana, poi, l’avverto poco. Conosco le mie radici ma lo sguardo è altrove. Ci parli del vostro incontro? James e io abbiamo lavorato qualche mese per la stessa ditta. Abitava dietro casa mia quindi viaggiavamo insieme. Un giorno gli ho proposto del materiale a cui volevo desse uno sguardo. Lui ha fatto altrettanto. Gianluca (il batterista), invece, era un mio vecchio amico con cui avevo già condiviso altri progetti: chiamarlo per Italia Wave fu un bisogno. Ora è tutto diverso. È parte integrante di questa formazione. C’è, nel vostro sound, qualcosa che ha
radici lontane, non solo geograficamente, ma anche una tendenza a creare atmosfere musicali che hanno un sapore a cavallo tra i ‘60 e i ‘70… cosa ne pensi? Per me il nostro disco pullula di tante cose mischiate: in alcuni casi bene, in altri magari ci sarebbe voluta più esperienza e coscienza di dove si andava. Non riesco a coglierne solo un lato. Ci può essere qualche elemento preponderante rispetto ad altri ma ci sono tante altre cose nel nostro modo di suonare e di metterci in gioco che seppur lontane e ben mascherate, sono per noi naturali. Avete un concetto “artigianale” della musica, parlo del suono un po’ low-fi, ma allo stesso tempo una scrittura ricercata, un accostamento che rende il disco “vicino”… è un effetto voluto? Personalmente amo il low-fi. Detto questo, il disco è stato registrato in fretta con pochi mezzi e senza aver finito di lavorare sugli arrangiamenti. Direi quindi che l’effetto ottenuto da una parte mi soddisfa, dall’altra un po’ meno. Riascoltandolo (ingrossato da Zavalloni) suonava bene ma abbiamo cercato, nei limiti del possibile, di renderlo un po’ più caldo. Ci piaceva evidenziare le dinamiche che lo compongono. Ci racconti un po’ il disco? Il disco è stato un abbozzo di ciò che stavamo diventando. Si compone di 10 tracce dove si sentono (forse in alcuni casi anche un pò troppo!) tutte le nostre influenze: i vinili, il giallo, la malinconia, il folk, il Mississipi, il vecchio blues, mozziconi di cicche e polvere. L’intenzione buskers a volte si nasconde per lasciare spazio all’elettronica, ai megafoni ed ai loop. Un disco semplice ma non nell’intenzione e nella ricerca. Antonietta Rosato MUSICA 25
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THE GOD MACHINE Approfittiamo dell’imminente uscita del nuovo album dei Sophia per raccontare la triste saga di una delle band più influenti degli anni ‘90. Nel 1991 il rock ha conosciuto una rinascita. È stato l’anno dell’esplosione grunge, del neonato brit-pop, del rock sonico di Achtung Baby; l’anno degli Slint di Spiderland, dei Kyuss (ancora non si parlava di post-rock e di stoner) e del cross-over di RATM, Biohazard, Neurosis (sul versante hardcore), Sepultura e in seguito Tool e Korn (sul versante metal), che ha traghettato la musica pesante verso nuovi lidi. In uno scenario così variegato, si è mosso un misconosciuto gruppo seminale, forse l’unico ad aver toccato in egual misura un po’ tutte le tendenze su citate. Si tratta dei God Machine, una perla nera ignorata o sottostimata dai più. Robin Proper-Sheppard è il frontman della band che si muove da San Diego nelle case occupate europee, facendo base a Londra. L’innocente esplorazione del mondo e la densa ispirazione confluiscono nel crogiolo di un’avventura esistenziale totalizzante. Si apre il capitolo God Machine e il singolo apripista Home li presenta al mondo: un coro religioso, campionamento di Le Mystère Des Voix Bulgares (utilizzato anche dai Neurosis lo stesso anno), incensa l’aria di fragranze medievali; un pesante riff stoner apre le danze ipnotiche su rintocchi di batteria iper riverberati. Muri di chitarre noise ed effetti futuristici, completano il sound, un’architettura imponente e severa che tocca desolazione gotica e post-punk, deserti psichedelici post-grunge, ipnosi Zeppeliniane, un folk epico e visionario, come anche certo post-rock a venire. I testi sono di un ardente romanticismo che rimanda agli anti-eroi inglesi come Lord Byron. Il monumentale e apocalittico Scenes From The Secon Storey porta con sè il seme che di lì a poco fiorirà in bands come Tool, Korn o Deftones, anticipando una ricetta musicale destinata a un successo planetario. Sheppard storpia gli accenti creando effetti di voce ammalianti, ripete intere frasi in estatici loop-mantra. Ascoltiamo del
cross-over suonato con pulsioni romantiche, cavalcate lisergiche che si mischiano agli anni ‘80 di Ian Curtis e dei Talk Talk più rarefatti, strazianti dark-punk à la Cure, sobri campionamenti, ritmiche pneumatiche e marziali, devastanti muri di chitarre sature e sinfoniche come nei futuri Mogway. Dopo una manciata di singoli e concerti insieme a Nick Cave, Living Colour e Cop Shot Cop, il gruppo inizia le registrazioni del secondo album a Praga. “Un’Ultima Risata In Un Luogo Di Morte” vedrà il fulminante decesso del bassista prima ancora di essere pubblicato. È un poema capolavoro più che un concept-album. Le pulsioni affogate nel contrasto presenzaassenza, come fantasmi profetizzano i dolorosi eventi a venire. Quest’opera desolata e meravigliosa arrotonda gli spigoli della precedente e sguinzaglia il più intimo cantautorato. Molti pezzi sono suites alla ricerca della catarsi. Vortici di chitarre ronzanti, mulinelli noise, ritmiche solenni, sinfonismo neoclassico, sfoghi rabbiosi, melodie alienanti e addirittura il minimalismo di Albini. La scaletta è massacrante e perfetta, le liriche di un’intensità disarmante. Il gusto classico è manovrato da una sensibilità cinematica e futurista assolutamente contemporanea. Nel ‘95 Robin fonda l’etichetta Flower Shop Recordings e più in là il nuovo gruppo dei Sophia, malinconica espressione del vuoto esistenziale generato dalla saga God Machine. Ciliegina sulla torta di questa storia, i due album capolavoro sono ormai perle introvabili, visto che la Universal non intende ristamparli. Come unica consolazione resta l’ascolto dei Sophia, una carezza per le orecchie in cui impeto e acidità vengono messi da parte, per liberare un intimismo radicato in L. Cohen e N. Young, alla ricerca della melodia perfetta. I fan potranno godere dei concerti dal vivo, sperando in qualche preziosa cover che renda omaggio ad una delle esperienze musicali più importanti dei ‘90, consegnata tra le glaciali braccia del più profondo oblio. Tobia D’Onofrio MUSICA 27
CRYPTACIZE Mythomania Asthmatic Kitty
IL CANE Metodo di danza La tempesta
LUCA AQUINO Lunaria Universal
L’angelica voce di Nedelle Torrisi raggiunge vette superbe assieme all’ex Deerhoof Chris Cohen. Melodie folk-pop e instabili arrangiamenti ibridi, in un giocattoloso eclettismo stilistico dalle numerose suggestioni. Aperture psichedeliche e cambi cinematici con un cantato che ricalca il folk inglese e le atmosfere dream-pop. Apre le danze un’incalzante base di tango/cabaret che sembra cantata da una versione femminile di David Byrne. Poi un dilatato crooning maschile ci conduce su un leggero tappeto ritmico in controtempo, mentre Blue Tears immagina Belle And Sebastian schizzati da troppa anfetamina. La title-track con cantilena anni ‘60 sfodera un dialogo di spigolose chitarre elettriche. In modo simile The Cage mescola cantato Sixties, nevrosi garage-beat e rumorismo. One Block… parte in punta di piedi su ritmica sincopata funkeggiante ed esplode in uno sfogo post-rock a bassa fedeltà. Galvanize è una funerea escursione prog e I’ll Take… sembra Julee Cruise domata da un Badalamenti un po’ più obliquo. Il brano conclusivo racchiude il lotto in un cerchio, grazie a una base musicale tagliuzzata, circolare e galoppante, come un’esecuzione dei Talking Heads sotto pesanti sedativi. Tobia D’Onofrio
In principio erano gli Ulan Bator, Jitterbugs, Here e molte altre band con i quali per anni ha dato sfoggio della sua abilità dietro i piatti di una batteria, poi è stato il turno di Dejligt bizzarro progetto a due con Enrico Molteni dei Tre Allegri ragazzi Morti, ora è la volta de Il Cane, debutto solista dell’estroso Matteo Dainese. Interamente cantato nella lingua madre, rilevante novità rispetto al passato, Metodo di danza è la sintesi finale di un mix sonoro ottenuto miscelando elettronica a tinte acustiche con atteggiamento tipicamente pop. Coadiuvato dalla presenza di illustri ospiti come Enrico Molteni, Ruggero Catania degli Africa Unite o Enrico Librio deli Amari, Dainese estrapola dal suo “cilindro” quattordici brani elegantemente interpretati, sintomo di un percorso intrapreso che inizia a dare i suoi frutti. Giocando quasi interamente sul binomio voce-chitarra contornato da delicati beat elettronici, Metodo di danza è un disco di pregevole fattura, dove Il Cane propone brani che si evidenziano per sfrontatezza, melanconia e spensieratezza musicale e per una testualità semplice ma mai banale. Alfonso Fanizza
Quindici tracce. E tutte perfette. Nel secondo disco di Luca Aquino, uno che sa esattamente cosa fare quando prende la sua tromba. Dev’essere stupendo saper dominare quel suono, in quel modo. La levigatura di Lunaria (Universal) è nel senso d’insonnia a metà tra gioia creativa e spleen che aleggia nell’album, una gemmazione continua di atmosfere tra stupori musicali, lucidità contemporanea, febbrile curiosità che deborda di molto i confini del jazz. Il trombettista sannita porta in pista la consistenza di un cuore che ha anche arterie elettroniche e molti fantasmi di qualità, struggente e in modo imprevedibile la sua polaroid di De André (Amore che vieni, amore che vai), così come l’omaggio a Mina (Mi sei scoppiato dentro il cuore) e poi c’é Miles Davis, la simultaneità di orizzonti diversi, in musica. Colpisce la misura singolare di Aquino, un’immancabile appuntamento con gli umori dei suoi mondi per chi già era stato conquistato da Sopra le nuvole. Una presa diretta di sensazioni e cose, persone, luoghi e notti passate attraverso la sensibilità di uno sguardo che si fa suono d’autore. Il valore di Lunaria è lì, sin dal primo ascolto. Si passa da Jumpering a Nadir, lo sposo e la fata
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Malika fin dentro a La volata, A piccoli passi, Delirio berkiddese, All blues. Un continuo slittamento tra sogno e realtà, dissolvenza e zoom, tutto attraverso la lente rivelatrice di un musicista capace di creare un’algebra emotiva in continua espansione. Le collaborazioni sono di livello, Maria Pia De Vito presta il suo margine di meraviglia lasciando la voce in No Surprises e No Casualties, imperdibile Nuvola grigia con Roy Hargrove, un piacere da funzione repeat. In Overlook la voce della giovanissima salentina Carla Casarano. Un disco assoluto, mescola potere visionario e verità, offrendo a chi ascolta tutto il piacere dello stile libero nella sola struttura possibile, frammentaria e stregata, obliqua. Lunaria diventa a tratti la strana sintonia tra turbamento e ironia disperata. Per un musicista che non soffia via risposte ma piuttosto apparizioni, segnali, come pagine di un diario di artista e di uomo la cui poetica ha radici nel quotidiano, nella notte, nel viaggio. Luisa Ruggio
HELL Teufelswerk International DJ Gigolo
Questa “Opera del Diavolo” (traduzione del titolo) è un doppio album diviso tra Giorno e Notte. Il quarantasettenne DJ e produttore Hell sforna un la-
BEN HARPER & RELENTLESS 7 White Lies For Dark Times Virgin
White Lies For Dark Times è la nuova ipnotica ed emozionante creatura di Mr. Harper che, messi in soffitta - pare definitivamente - gli Innocent Criminals con i quali aveva inciso la maggior parte dei lavori precedenti, abbraccia i Relentless7 un combo formato da tre texani di Austin trapiantati a Los Angeles: il chitarrista Jason Mozersky, il bassista Jesse Ingalls ed il batterista Jordan Richardson. Nel 2005, alla proposta di Ben a Mozersky di collaborare alla registrazione di Both Sides Of The Gun, il chitarrista si presentò con la coppia Ingalls/Richardson, allora componenti della indie-rock band losangelina Oliver Future. Quelle sessions non solo partorirono la canzone Serve Your Soul ma gettarono il seme da cui sarebbero nati i Relentless7. Sebbene non manchino alcune splendide ballate acustiche, il disco è fondamentalmente un cocktail a base di rock senza tempo shakerato con una overdose di moderno e ruggente southern blues. Il risultato finale, a dir poco esplosivo, è un sound in cui le chitarre ultradistorte sono un vero e proprio lanciafiamme. Rino De Cesare
voro coinvolgente, nonostante qualche lungaggine che gioca a scapito dell’incisività. L’incipit vede Brian Ferry alla voce, mentre P. Diddy accompagna l’oscura terza traccia. Disaster parte da un groviglio electro e sprofonda in un minaccioso groove. Poi l’acid-techno di Hellracer, con un’irresistibile apertura nel finale, e infine Wonderland composta da un gioco di incastri kraftwerkiani. Ancora musica cosmika nel secondo cd, pacata e sognante prima, incalzante e mistica dopo, a tratteggiare cieli col-
mi di costellazioni al silicio. Il brano ibrido con chitarre e voce femminile saluta il krautrock, e ruba le tastiere agli Air. Uno slide-bass morbidissimo, un intermezzo di pianoforte, languide movenze orchestrali alla C’era Una Volta in America, per chiudere con l’inesorabile danza technoide, che sfuma in una cover degli Hawkwind. Dj Hell ha ancora parecchio da dire e noi saremo ben felici di ascoltarlo. Tobia D’Onofrio
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NIOBE Blackbird’s Echo Tom Lab
La chanteuse di Colonia ci accompagna a nuoto nel suo oceano postmoderno, con uno spirito accostabile a Larkin Grimm e all’avant-pop contemporaneo. Dopo una partenza classicheggiante attorno al falò, segue un valzer minimale e obliquo, come lo suonerebbe Carla Bruni dopo una sbornia di tequila. Si avvertono i primi rumori e la recitazione si fa solenne. Niobe dialoga col maestro David Grubbs in un pezzo à la Laurie Anderson (Time Is Kindling). Psichedelia, avanguardia, musica rituale, le coordinate cambiano da un brano all’altro. I vocalizzi soul di Cadillac Night ricoprono pulsioni elettro-acustiche tra fusion e dubstep. Fischi e cinguettii di uccelli ci riportano ai musical del dopoguerra (Lovely Day). Fever vorrebbe salutare Peggy Lee, ma incontra l’oasi di Sade. Gnomes And Pixies è una meditazione raga-folk, mentre la squillante My Conversion sembra un duello tra Edie Brickell e Bjork vestite anni ‘50. L’impennata finale di Blue Wolf sfodera un drone d’organo minaccioso, feedback, sintetizzatori e un’arpa celestiale su cui cresce la recitazione di Niobe, strattonata da campionamenti ed effetti di ogni sorta, capace di ipnotizzarci come solo i più grandi riescono a fare. Tobia D’Onofrio 30 MUSICA
A TESTA BASSA s/t Autoproduzione
Sono mesi che ascolto questo disco in auto. La sua presenza regna incontrastata nella mia autoradio sin dal giorno in cui la mia donna me lo ha regalato. Proprio non ce la faccio, ogni tanto provo a cambiare, ma poi ad un certo punto è lui che cerca me... Parliamo dell’ultimo disco degli A Testa Bassa, formazione storica dell’hardcore italiano, proveniente dalla ridente Mola di Bari. Un disco fortemente voluto, a distanza di ben 8 anni dall’uscita del loro primo 7”. Hardcore umano, sincero e diretto, che non può lasciare indifferente chi lo ascolta. Di sicuro siamo al cospetto di uno dei più bei dischi hardcore italiani degli ultimi anni. Si tratta di una produzione che coinvolge buona parte delle realtà indipendenti do it yourself italiane (come nella migliore tradizione). Il disco suona benissimo: la nuova tendenza delle autoproduzioni è proprio quella di realizzare delle ottime registrazioni, al contrario di ciò che avveniva in passato, che riescano a rendere al meglio e valorizzare il lavoro delle band. Sembrano quasi i Negazione con chitarre più dure ed arrangiamenti più taglienti. Il punk e l’HC sono uno stato mentale, un’attitudine “propositiva”, non una moda da esibire. Il punk e l’HC non sono una gara tra vuoti ragazzini a chi ha più toppe o borchie sul giubbotto o a chi puzza di più... Amare il punk e l’HC significa supportarli concretamente producendo dischi, andando ai concerti autogestiti pagando le sottoscrizioni, comprando i dischi D.I.Y. Per il resto “vorrei raccontarvi, ma non ci riesco, se sapessi cosa dire sarebbe già qualcosa che conosco di me”. Ennio Ciotta
HERMAS ZOPOULA Espoir Asthmatic Kitty
Dimenticatevi le produzioni galattiche, le grandi orchestrazioni… rispolverate piuttosto un’aria casalinga e giocosa del fare musica. È con gioia che fa rima la musica di Hermas Zopoula, con il sole, l’Africa che dialoga con il Mali, con la musica esotica e creola di Capoverde, e con la Francia presente nel Burkina Faso fino agli ottanta. Sono queste le coordinate geografiche di questo giovane artista che si muove tra pop, calypso, pattern tipicamente occidentali che sporcano un po’ la bellezza della voce e delle melodie pur mantenendo sempre il ritmo sostenuto e sincopato. Si lascia invece amare di più il secondo dei dischi che compongono questo esordio in cui la musica si spoglia per affidarsi solo alla voce e alla chitarra. Un disco che porta lontano. Un’evasione. Osvaldo Piliego
IAMX Kingdom of welcome addiction 61 seconds records
Ricordate gli Sneaker Pimps? Band electropop/triphop in auge nella metà dei novanta? Questo è il progetto di Chris Corner tra i fondatori della band e voce della stessa per un periodo. Iamx ha in sé l’estetica
anni 80 dei Depeche Mode, le incursioni industriali dei Nin, alcune androginie barocche e un certo alone new wave. Un progetto che ha assunto le caratteristiche di un cabaret a tratti gotico. Questo emerge nelle storie che Chris racconta, estremamente personali, piene di esperienze che scavano negli abissi, ma anche nell’immagine che ruota intorno al progetto. E in scena c’è lui, la sua vita, ma anche la sua ricerca continua di un suono che non abbandona mai la melodia pur precipitando verso atmosfere cupe e scenari dark. Osvaldo Piliego
BOO BOO VIBRATION Scimmie metropolitane Sana records
Nascono a Bologna, ma all’anagrafe sono quasi tutti salentini. I Boo Boo Vibration sono stati capaci di riassumere in un unico progetto l’esperienza di gruppi come Africa Unite e Reggae National Tickets, senza dimenticare i cari compatrioti Sud Sound System e le mitiche posse targate numero 99. Un album maturo nei messaggi e nella musica. Per l’occasione la band si avvale di importanti collaborazioni (alla batteria e ai fiati ci sono gli Aretuska, collaborano con il rapper svedese Promoe e producono il disco con Alessandro Scala). Ed è proprio nella varietà delle influenze e delle collaborazioni che la musica dei Boo Boo Vibration trova la linfa. In particolare sono le voci, la loro diversità e allo stesso tempo complementarietà a rendere il progetto coinvolgente a 360°. Inglese, italiano, salentino: ce n’è per tutti i gusti. Dal roots alla dance hall i Boo Boo sono sintonizzati con il presente e legati alle origini. L’estate è loro. Osvaldo Piliego
PATRICK WOLF The Bachelor Battle One
Che Patrick Wolf fosse un po’ alieno erano in molti a pensarlo già dall’uscita dei primi lavori del musicista londinese, gli esoterici Lycanthropy e Wind in the Wires. La leggenda era del resto alimentata da alcuni dettagli biografici da enfant prodige che narrano di strabilianti registrazioni dell’undicenne Patrick con la voce accompagnata da un violino e da organi che lui stesso suonava con disinvoltura. Oggi, e son passati poco più di quindici anni, l’Alieno ha trovato definitivamente il modo di comunicare con un mercato discografico che per lo più ama spiazzare con proposte incatalogabili: come accade col nuovissimo The Bachelor, erede del fortunato The Magic Position che aveva segnato la svolta pop (elegantemente pop) di Wolf. The Bachelor vira, naturalmente, verso nuove sonorità che già stanno affannando gl’instancabili accertatori di generi musicali: è indie, vabbè, ma è rock, è pop, è folk? Nel frattempo, il cd suona in testa tra suggestive orchestrazioni, ballate irlandesi e trovate electro-punk. Anticipato, questo è certo, da una copertina destinata a confermare la provenienza extraterrestre del suo autore, che ha mutuato l’immaginario glam degli anni Settanta per restituirci – almeno nell’immagine – il mito androgino di un Bowie del terzo millennio. Al fascino provocatorio di The Bachelor contribuiscono il video sado-maso del singolo Vulture nonché alcune impensabili collaborazioni, come quella di Alec Empire dei berlinesi Atari Teenage Riot per Battle o della sublime Tilda Swinton che presta la sua voce in apertura dei brani Theseus e Thickets. Il risultato è, ancora una volta, sorprendente. Soprattutto per chi pensa che la musica indipendente contemporanea sia a secco d’idee e non sia in grado di rigenerarsi azzardando nuovi orizzonti. Patrick Wolf ci prova e ci riesce, con una promessa: completare il percorso già avviato in The Bachelor con The Conqueror, seconda parte del progetto la cui uscita è annunciata per l’autunno di quest’anno. Francesco Farina 31
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EELS Hombre lobo Vagrant
SOPHIA There Are No Goodbyes City Slang
Torna il signor E nella sua ennesima reincarnazione, nel suo essere sempre uguale ma allo stesso tempo cangiante. Dopo aver cantato della sua famiglia ormai scomparsa in un disco intriso di riappacificazione, di comprensione, di vita e morte e di sogni che non si realizzano, in questo nuovo Hombre Lobo (Uomo Lupo) si concentra su se stesso. Un disco sulla licantropia intesa come capacità di essere cangiante, ma anche sull’essere soli. Musicalmente il disco si basa su una dicotomia uomo/animale. L’uomo è nelle ballate pregne di spleen, quelle in cui la voce sempre più fumosa di Mark Oliver Everett sembra cantare su musiche da carillon che contrastano nel loro essere cristalline. E poi l’animale, quel blues marcio e saturo che omaggia le grida Iggy i riff degli Stones l’incalzare rauco di Waits. Su tutto spicca quell’attitudine innata a sfornare marchingegni indie pop pressoché perfetti. Ben trovato! Osvaldo Piliego
Devastato dall’esperienza God Machine, Robin Proper-Sheppard forma i Sophia per dare sfogo al suo inguaribile intimismo. Meglio dell’esordio del 96, il secondo album The Infinite Circle è l’istantanea del nuovo percorso e getta le basi di un malinconico cantautorato che si muove tra melodie killer, affilati controcanti, incursioni power-pop, confessioni acustiche e una River Song degna dell’ultimo God Machine. Nei due capitoli successivi, il passaggio alla City Slang aggiunge varietà agli arrangiamenti e qualche strizzatina d’occhio ad MTV. Dopo la pubblicazione del favoloso cofanetto Collections One, l’ultima fatica parte con l’omonima cavalcata radiofonica e fa il bis con A Last Dance. Poi il tiro si abbassa su tonalità acustiche più minimali, e con immenso piacere ci si lascia carezzare dal clarinetto di Leaving, o si ascolta il classico Sheppard che ripete una frase infinite volte, per tutta la durata del pezzo (Signs). La ballata Obvious procede a passo sostenuto, ma nel complesso si torna all’omogeneità degli esordi, trascurando la varietà stilistica dell’ultima produzione e concentrandosi sulla scrittura di canzoni dense e struggenti. Robin è un faro ancora acceso che illumina il panorama rock contemporaneo. Tobia D’Onofrio
JOE BARBIERI Maison maraviha Microcosmo Entrare nel sangue, nel-l’anima, segreta aspirazione, quotidiano anelito, crocevia dei moti più intimi che trovano pace e nuove articolazioni, fra pentagramma ed esistenze. Joe bar-
bieri, con Maison Maravilha riporta in superficie i magmi della passione sopita dai giorni, quell’epifania spesso evocata ma quasi mai colta e vissuta. Intrecci d’esperienza musicale e lessico affabulante, mai lezioso o decontestualizzato. Maison Maravilha è un gioco fiabesco, sinuoso e sontuoso, con vezzi e delicatezze echeggianti agli anni d’oro dei crooner, dai qua-
li Barbieri trae linfa e spinta. Complici del calibro di Omara Portuondo e Vladimir Koqaci (con il suo violoncello intrigante) rendono ancor più spiazzante l’ascolto e il ‘respiro’, finendo per marcare consapevolmente un solco importante nell’alveo del Cantauorato più nobile di terra nostra. Francesco Spadafora MUSICA 33
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AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Jack Penate – Tonight’s today Se esistesse una giustizia in questa Terra, avremmo qui la canzone dell’estate, pronta per l’uso. Ritmi tropicali non provenienti dai tropici, ritornello assassino, la possibilità di darsi un tono parlando di quel giovane cantante, “quello mezzo inglese e mezzo spagnolo”. E non è detto che il colpaccio, a Penate, non riesca con questa deliziosa “Tonight’s today”. Ma in verità nessuno ci crede, anche perché la perfida Albione, per ora ha snobbato questo brano che invece si fa ascoltare spesso e volentieri in Italia. Paolo Nutini – Candy
L’anagrafe dice Paolo Giovanni Nutini, e qualcuno potrebbe pensare che stiamo parlando del miglior artista italiano mancato. Certo, nulla impedisce alla Atlantic di spacciarlo per “la nuova rivelazione italiana”, così come in un imbarazzante spot radio per Gabriella Cilmi, calabrese di Melbourne. Nel caso di questo songwriter dalla voce roca e dal fascino appena post-puberale, l’origine è toscana. Ma finisce qua. Scozzese, come i Travis, band che per certi versi lo ricorda. Fran Healy, frontman dei Travis, disse una volta: “non ho mai capito perché siamo diventati famosi: in Scozia suonano tutti così”. Una citazione buona per Nutini il quale, proprio come i Travis, funziona tantissimo. The Gossip – Heavy cross Beth Ditto ha dovuto aspettare un po’ troppo per finire sulle radio commerciali italiane. E ci va con un pezzo che non ha poi così tante differenze con il passato, con quella Standing in the way of control che fece impazzire e fa ancora impazzire molti. Magie del mercato che nessuno coglie, ma che ci rendono comunque felici di poter parlare di una band filosoficamente indie che è lì a giocarsela con Lady Gaga ed altre amenità. Anche
se è legittimo chiedersi: “ma quante Lady Gaga entrano in una Beth Ditto?” E non è solo una questione di stazza. Poco importa, i The Gossip sono arrivati. Era ora. Eminem – We made you Prima di lui, in troppi avevano seguito la stessa trafila. Troppi “al lupo, al lupo” da parte di rapper annoiati di cantare, annoiati dalla scena, più interessati a produrre che ad esibirsi, e poi puntualmente ritornati in scena con album a svariati zeri, sostenuti da un’attesa spasmodica e non sempre da grande ispirazione. In questo caso però il rapper bianco stava per mollare sul serio e non per farsi coccolare. Poteva non tornare più. La dipendenza da un cocktail di droga, farmaci e sonniferi lo aveva portato a quattro anni di black-out. Ora il ritorno, nel suo stile, forse meno ironico e più noir. We made you corona un album decisamente positivo. Eminem si ama o si odia, ma tutti dovrebbero ringraziare la buonasorte che ce lo ha riportato sul palco tutto intero. Beastie Boys – B boys in the cut Ironia della sorte, sono proprio questi i giorni in cui inizia a girare il nuovo singolo dei Beastie Boys, nell’album del trentennale, Hot Sauce Committee. L’altra formazione bianca stimata da tutti nel mondo del rap e dell’hip hop torna alle liriche dopo The Mix up (2007), un album strumentale che lasciò di stucco fan e addetti ai lavori (un album rap senza testi è difficile da comprendere). Il quartetto ebreo di New York non fa un grosso passo in avanti dal punto di vista dell’originalità, ma l’attesa per il nuovo album è tale e tanta che c’è da sperare nel ritorno alle scene di una pietra miliare, soprattutto dal punto di vista culturale, della musica contemporanea. Dino Amenduni 35
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DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... Deadmau5 – I remember (Caspa remix) Joel Zimmerman, nato dalle parti delle Cascate del Niagara, sta rapidamente mettendosi in mostra all’interno del panorama della club culture grazie ad alcuni azzeccati remix. In questo caso è il suo brano, I remember, un piccolo bignami per amanti della dance ibizenca della metà degli anni ’90, a metà tra gli Chicane e i primi Faithless, ad essere remixato con estrema abilità e con una chiave di lettura abbastanza ardita da Caspa, che con Rusko forma una delle coppie più interessanti della scena musicale britannica. A loro il merito di aver trasformato qualsiasi cosa secondo il loro credo, il dubstep. Un genere oramai non più di (assoluta) nicchia. Un po’ come la dance ibizenca anni ’90, che in pochi (me compreso) rimpiangono. La Roux – Bulletproof
Qui siamo davanti a un fenomeno. Già citato in precedenza (oramai appuntamento fisso di queste rubriche), il duo composto da una straordinaria Elly Jackson e da Ben Langmaid, perennemente dietro le quinte, riesce a non sbagliarne una. Merito di un gusto un po’ particolare per la citazione anni ’80, farcita di punk non tanto nei suoni quanto nella sfrontatezza della cantante che riesce a farsi voler bene pur essendo sempre al limite dell’urlo e della stonatura. E quando un gruppo ti prende così bene in giro, con melodie di sicuro impatto, non puoi non lasciar perdere la purezza dei suoni e farti prendere in giro con il sorriso. Florence and the Machine – Rabbit heart Come sopra: fenomeni. La Roux è già un’icona in divenire, Florence Welch e il suo quartetto aspettano pazienti l’uscita del loro primo album, Lungs, previsto per luglio, sfornando singoli di altissima qualità. Difficile trovare una categoria in cui inserire questa band dal nome bizzarro. Piuttosto appare utile sottolineare la perfetta
quadratura del cerchio tra la voce molto poco pulita ma molto efficace della cantante e l’orchestrazione meravigliosa tessuta attorno a lei. Da vedere dal vivo, per sciogliere le ben poche riserve possibili che tanta bellezza in studio può ragionevolmente generare. Phoenix – Lizstomania
Prendi un titolo strano per il tuo quinto album, Wolfgang Amadeus Phoenix; scatena la curiosità tra i tuoi fan (che è? Megalomania? Musica classica? Creatività a tutti i costi?), poi decidi di chiamare Lizstomania il primo singolo estratto da Wolfgang, in onore alle spropositate reazioni, soprattutto femminili, che seguivano le performance al piano di Franz Lizst. E continui a non capire se ti stanno prendendo per il culo, o cosa. A quel punto decidi di smetterla con la dietrologia ed iniziare ad ascoltare e trovi lì i soliti Phoenix. Pop puro, à la Belle and Sebastian più che alla Britney per questo gruppo francese che sette anni dopo If i ever feel better e dopo essere un po’ spariti dalle scene, stanno tornando alla grande. Così alla grande che i Phoenix sono il gruppo più “bloggato”, in barba a chi ha ispirato album e singolo, non proprio star del web 2.0: Mozart e Lizst. Friendly Fires – In the hospital Questo brano è il degno “last but not least” di queste due rubriche. Un po’ di dance misto a shoegazing; chitarre distorte e percussioni, pop e rock, psichedelia e facile ascolto. Tutto questo in un brano solo. I Friendly Fires, del tutto sconosciuti nel nostro paese, vantano citazioni in videogiochi (Gran Turismo 5, se mai uscirà) e in serie tv (Gossip Girl), sono in corsa per premi dance ed indie, sono arrivati anche primi in Inghilterra. Il dono della sintesi, a volte, si nasconde nei posti più impensabili. Dino Amenduni 37
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SALTO NELL’INDIE
BLACK NUTRIA Non si finisce mai di scoprire nuove etichette ed è sempre buon segno. C’è tanta voglia di fare e fare ascoltare musica. Questo mese è il turno di Black Nutria. Orientamento indie/rock, tre anni di vita, un gran catalogo. Come ci si sente ad avere in catalogo uno dei gruppi indie più caldi del momento (Polar for the masses)? Polar For The Masses è stata proprio la prima band entrata a far parte del nostro roster. Per questo motivo siamo molto contenti; ogni tappa raggiunta dal gruppo non fa che riempirci di soddisfazione e, perché no, di emozione. Già dal primo album Let me be here (2007) è emerso uno stile personale, difficilmente paragonabile in toto ad altri “grandi” della musica, e soprattutto la capacità di creare delle melodie che ti si stampano in testa sin dai primi ascolti. Tutto ciò si riconferma e si amplifica col nuovo album Blended, uscito a fine marzo 2009, che sta avendo ottimi riscontri, sia da parte del pubblico che della stampa specializzata. Crediamo davvero molto nel progetto di questi tre ragazzi, siamo consapevoli dei traguardi raggiunti ma anche del loro valore; noi faremo in modo che trovino il giusto spazio nel panorama musicale italiano, e non solo. Ogni etichetta indipendente ha alle spalle storie strane e belle, ci racconti la vostra? La cosa più bella è senz’altro legata alla forte passione per la musica del “fondatore” della label, Simone Pasqualin; la cosa buffa che in origine l’etichetta era ubicata nel salotto di casa sua! Come dire che quando c’è la passione, la mancanza di mezzi non conta. Poi il progetto si è evoluto, e in poco più di due anni abbiamo ottenuto davvero buoni risultati, nonostante la “crisi conclamata” del mercato discografico. Il vostro catalogo ha una buona distribuzione e siete molto presenti in rete, quanto è importante per realtà come la vostra essere visibili?
Sì, noi ci appoggiamo ad uno dei maggiori distributori italiani, Audioglobe, che ci dà ottimi visibilità e supporto. La presenza in rete poi è fondamentale, visto che oggi il web la fa da padrone; d’altro canto le piccole realtà come la nostra molto spesso non trovano “accoglienza” da parte dei media tradizionali, quindi ci giochiamo bene le carte che abbiamo a disposizione! Voglio sottolineare come diventi preziosa, per noi della Black Nutria, la collaborazione con tutte le webzine ed i portali specializzati: ne approfitto per ringraziare tutti! Il “polso” del nostro lavoro ce l’abbiamo nel momento in cui le band e gli artisti ci scrivono che vorrebbero tanto essere dei nostri, ci arriva sempre più materiale, e nel “molto” è sempre più difficoltoso scegliere. Per i gruppi rock, l’importante è suonare, i concerti sono i pochi luoghi dove ancora si vendono i dischi, come vi muovete in questo senso e cosa ne pensi più in generale? La dimensione live è quella più bella, più vera, per tutti gli artisti, qualsiasi sia il genere musicale trattato, ed è naturale che i concerti coincidano con le “vendite”. Sin dagli esordi della label abbiamo realizzato che sarebbe stato impossibile “sopravvivere” con la sola vendita dei dischi, perciò ci muoviamo a 360°. Quali sono i progetti in cantiere? Il progetto imminente è la nuova uscita discografica dell’album Three rooms, some songs, the show… and a suitcase full of bones dei The Forty Moostachy, prevista per il 19 giugno prossimo. Già pianificata per il 28 agosto 2009 l’uscita dell’album d’esordio Offshore dei danesi The Foreign Resort, già presenti nel mercato danese, statunitense e tedesco. Cercheremo anche di esportare la nostra musica oltre confine, magari trovando dei booking esteri con cui collaborare. Antonietta Rosato MUSICA 39
ON THE ROCK Dischi da ascoltare tutto d’un fiato Questo numero, come sempre prima dell’estate, è dedicato ai festival. Impresa titanica quella di fornirvi l’agenda e i cartelloni di questa stagione targata 2009. Io non sono mai stato un grande frequentatore di concerti all’aperto, tranne per alcune delle prime edizioni di Arezzo Wave (per via della mia inclusione nella giuria nazionale…), ho sempre preferito quelli al chiuso, in piccoli teatri. Ma c’è stata una stagione durante la quale posso dire: io c’ero. Era l’estate del 1975, ed era l’estate dei miei 18 anni… da qualche anno nella splendida Umbria si davano appuntamento gli appassionati (da tutta Europa) per assistere (gratuitamente) ad ore ed ore di live di grandissimo livello. Dopo quella del 1976 la manifestazione si fermò per non essere mai più quello che era stata. Ma torniamo a quel fine luglio del 1975, si partiva da Perugia e sul palco si alternarono la Count Basie Orchestra, Billy Harper Sextet e Charles Mingus Quintet. Mingus aveva da poco pubblicato i due album, Changes One and Two, che lentamente lo stavano riportando sulla breccia dopo la crisi che la morte di Eric Dolphy aveva causato alla sua carriera. Il giorno dopo ci si spostava con “canadese” a seguito da Perugia a Villalago di Piediluco e lì sul palco Elvin Jones Quintet, Giorgio Gaslini... Di quest’ultimo provate a cercare gli album pubblicati in quei giorni: Concerto della Resistenza/Università Statale - quartetto (reg. dal vivo, 1974), Canti di popolo in jazz (Pdu - 1975) in duo con Bruno Tommaso e Concerto della Libertà - Universo Donna (Pdu) in Quartetto. Verso mezzogiorno del giorno dopo tutti di nuovo in marcia verso Città della Pieve (PG) ad aspettare le note di Chet Baker (tromba) con Kenny Drew (Pianoforte), Larry Ridler (basso) e David Lee (batteria). E poi il 29 luglio a Città di Castello (PG) tra gli altri Archie Shepp 40 MUSICA
Quintet mentre la serata successiva a Gubbio il 30 Mario Schiano Group e McCoy Tuner Quintet per ritornare il giorno dopo a Perugia e finire l’1 agosto a Orvieto. Ma il 1975 fu anche l’anno della quinta edizione della “Festa del Proletariato Giovanile” a Parco Lambro a Milano. Dal 29 maggio al 2 Giugno: lo slogan era: “facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato”. Corrado Levi ricorda: “Ricordo la festa, la musica, i balli, i corpi nudi, le simpatie, il nostro banchetto di libri, l’evento di alcuni gruppi di maschi impossibili che sono venuti a rovesciarlo, ed allora Mario Mieli fece un memorabile e perfetto comizio come lui sapeva fare, con entusiasmo, precisione e invenzione linguistica, comizio di cui ricordo la frase: “Ora sappiamo che oltre ad andare a battere dobbiamo combattere”. Per cinque giorni il Parco Lambro fu invaso da decine di migliaia di giovani giunti fin dal giorno prima, il festival non era gratuito vi si poteva accedere con una tessera personale, valida per i cinque giorni, dal costo assai limitato (500 lire). Fu un enorme incubatore di dibattito politico, del resto gli organizzatori (Re Nudo, con la partecipazione di Lotta Continua, Partito Radicale, Avanguardia Operaia, Federazione Giovanile Socialista, Rosso, e con l’adesione di un’infinità di gruppi di controcultura) non consideravano la musica solo fine a se stessa ma strumento, come altri, di socializzazione. L’impatto è straordinario, stand di tutti i tipi sino alla “bioenergetica”, la roulotte-segreteria, che funziona anche da stazione radio interna, e poi per raggiungere il grande parco su un lato, gli stand alimentari e poi quelli politici e i banchetti che vendono libri e dischi. La musica: Gli Arti & Mestieri, che l’anno precedente s’erano imposti come la rivelazione della Festa, propongono il repertorio del primo LP e pezzi inediti, gli
Area, con brani da Crac! e dai dischi precedenti (Arbeit Macht Frei, Cometa rossa); gli Stormy Six iniziano presentando Pontelandolfo dall’album L’unità e poi propongono, praticamente per intero, il nuovo LP Un biglietto dei tram. Il giorno dopo Claudio Rocchi, De Gregori che presenta Alice, il brillante set di Eugenio Finardi con brani tratti da Non gettate alcun oggetto dai finestrini. Sabato pomeriggio è la volta Eduardo Bennato, Ivan Cattaneo e Franco Battiato, domenica Tony Verde, Jane Sorrenti, Donatello e Agorà. Mentre per la giornata conclusiva grandi emozioni con il Canzoniere del Lazio cui succedono Toni Esposito e quindi Napoli Centrale. Che ne dite? Majid Valcarenghi che di «Re Nudo» fu l’instancabile direttore (e lo è tuttora, da quando ha riaperto nel 1997) spiega: «Siamo stati degli outsider, rispetto al potere costituito e rispetto anche alla forte ideologizzazione del movimento. Loro parlavano delle 8 ore, quelle del lavoro, noi contemplavamo le 16, ci preoccupavamo del tempo libero, dell`emarginazione che non era solo nelle fabbriche (c’erano i carcerati e i matti) e delle idee che venivano da fuori, le Pantere Nere americane o i Provos olandesi». La festa del “proletariato Giovanile” tornerà al Lambro l’anno successivo per l’ultima volta; così scriverà Marisa Rusconi - in Introduzione al Libro fotografico La festa del Parco Lambro. ... “Oggi sappiamo che Parco Lambro non fu, o non soltanto, l’“apocalisse del pop”, come i più fantasiosi la definirono, o l’“apoteosi della provocazione”. E, contrariamente a quanto affermarono alla fine dei quattro giorni gli stessi organizzatori, stanchi, incazzati, confusi, non fu neppure l’ultima festa del movimento. Piuttosto, proprio lì, dallo sfacelo del mito di un certo modo di stare insieme - pace, amore e misticismo collettivo, musica come droga e droga come musica ecc. - nacque la necessità di trovare altre strade, altri modi. E vennero, infatti, altre feste. Alcune quasi clandestine per pochi iniziati come quella di Guello (giugno ‘77); altre di grande massa, come quella di Bologna (settembre ‘77), che certo qualche militante ortodosso, anche se della sinistra “nuova”, considererà eresia chiamarla festa, ma che è stata, invece, senza alcun dubbio, una delle più grandi sagre del movimento. Un festival senza orchestre e divi pop-rock, senza danze collettive e girotondi di corpi nudi sotto la pioggia, ma con lunghi e anche gioiosi cortei, canti e slogan. E, soprattutto con un’intera città per palcoscenico, anziché un recinto grande molti chilometri ma pur sempre ghetto dell’emarginazione e
dell’autoemarginazione, un parco spelacchiato, e ricoperto di rifiuti, ai margini della metropoli”. E poi a settembre ci fu Licola (NA). Sotto la polvere l’erba. Giovedì 18 settembre ore 10: sulla spiaggia-pineta di Licola (Napoli) “Mille pini” incomincia la prima festa pop organizzata dal movimento degli studenti. La apre Janis Joplin, trasmessa a tutto volume dalla radio del campo, con le note struggenti di Mercedes Benz (...) Venerdì ore 21-22: suona il Canzoniere del Lazio ed in trentamila si scatenano in una sfrenata tarantella, agitando lunghe canne raccolte lì vicino, verso il cielo bianco di polvere. Il pubblico di Licola non accetta il ruolo passivo dello spettatore: la musica viene usata per ballare, per stare insieme, per fumare, per fare l’amore, per suonare, per cantare. La musica non è un oggetto di consumo (...) Contrappunti ai fatti: dateci pane, ma dateci anche rose. (Giaime Pintor) Licola non è stata una festa senza contenuti, né soltanto un’esplosione di gioia e di voglia di divertirsi. Ma non è stata nemmeno la noiosa sommatoria di comizietti e dibattiti, di parole d’ordine e slogan. E nemmeno un ferreo e militaresco contarsi delle forze rivoluzionarie, una semplice constatazione della forza del movimento degli studenti (...) Una festa perfettamente riuscita? No di certo. Le disfunzioni, non solo organizzative, ma politiche, sono state molte, anche se non tali da pregiudicare la festa (...) Non s’è tenuto conto che chiamare musicisti a casaccio, senza un discorso chiaro, avrebbe provocato qualche incidente. Non s’è tenuto conto che non è più possibile fare una festa realmente liberata con musicisti pieni di sé e della loro arte, convinti che il loro discorso debba prevaricare i bisogni del pubblico, le sue richieste, la sua voglia di partecipazione: un Canzoniere del Lazio con atteggiamenti divistici, un Sorrenti provocatorio dove non era affatto il caso di esserlo, un Venditti che all’ultimo minuto avverte che sceglie una manifestazione radicale sul 20 settembre, sono gente che con queste feste, a meno di una autocritica seria, non ha molto a che fare... (Muzak, 1975) Come avrete capito questa volta i dischi ve li dovete cercare da soli tra le righe di queste pagine, ma vi assicuro che il loro ascolto anche a distanza di 30 e più anni vi aiuterà ad immergervi nella storia e per della musica non mi sembra poco. Vittorio Amodio MUSICA 41
LIBRI
LORIANO MACCHIAVELLI
Uno dei più prolifici e apprezzati giallisti italiani racconta ai lettori di Coolclub.it il ritorno del suo personaggio più amato: Sarti Antonio, sergente Nato a Vergato (Bologna) nel 1934, Loriano Macchiavelli è uno degli scrittori di genere poliziesco più conosciuti e letti in Italia. Da un suo romanzo (Passato, presente e chissà) è stato tratto lo sceneggiato televisivo per Rai Due Sarti Antonio brigadiere (regia di Pino Passalacqua) in quattro puntate e andato in onda nell’aprile del 1978. Nel 1988 Rai Due ha prodotto una serie di 13 telefilm, tratta da suoi romanzi e racconti, (regia di Maurizio Rotundi, protagonista Gianni Cavina) i cui esterni sono stati girati interamente a Bologna e dintorni. La serie ha per titolo L’ispettore Sarti - un poliziotto, una 42 LIBRI
città ed è andata in onda su Rai Due a partire dal 12 febbraio 1991 e replicata nel 1993. Numerosi suoi romanzi sono stati tradotti all’estero: Francia, Germania, Ungheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Giappone, Romania. Ha pubblicato e pubblica con i maggiori editori italiani: Garzanti, Rizzoli, Mondadori, Einaudi, Rusconi, Cappelli. Ha collaborato e colabora con numerosi quotidiani e periodici. Assieme a Marcello Fois e Carlo Lucarelli ha fondato il «Gruppo 13» e con Renzo Cremante ha fondato e dirige la rivista «Delitti di Carta» che si occupa esclusivamente di poliziesco italiano.
Di pochi giorni fa l’uscita in libreria dell’ultimo romanzo della serie di Sarti Antonio, Delitti di gente qualunque, che sancisce, a cinque anni di distanza il ritorno di Sarti Antonio, sergente. Partiamo dal ritorno di Sarti Antonio. Come lo ha trovato in salute? Mi pare fossero cinque anni che non incontravo Sarti Antonio, sergente. L’ho ritrovato mentre, da clandestino e accompagnato da una guida eccezionale (una giovane che continuo a ringraziare), visitavo la Rocchetta Mattei in quel di Riola di Vergato. Da clandestino perché la Rocchetta era in uno stato miserando. Fortunatamente (o sfortunatamente) la stanno restaurando. Alla Rocchetta ero entrato più volte da ragazzo. Nei suoi meandri giocavo a guardie e ladri e temo di essere stato sempre il ladro: quando si dice il destino. All’incrocio di due corridoi mi sono fermato, mi sono guardato attorno e ho pensato: “Ecco un posto dove Sarti Antonio, sergente, si troverebbe bene. Perché non portarcelo?” L’ho fatto e mi sono trovato (ritrovato) bene con lui, forse un po’ più affaticato del solito, ma sempre con una grande umanità. Almeno spero. L’ambientazione del nuovo romanzo è decisamente diversa da quelle cui lei ci aveva abituati. È dovuta al cambiamento di Sarti o di Bologna? Bologna. Non la riconosco più, non è più la mia città. Meglio o peggio, non tocca a me stabilirlo: lo farà chi ci abita. Io mi sono ritirato in montagna. Forse un giorno, se troverò il movente giusto, proverò a tornare, assieme a SA, a ripercorrere i vicoli del centro storico. O i suoi sotterranei. Chissà.
Mi fa piacere sentirlo dire. A volte mi capita di rivedere uno dei tanti film andati in onda (li stanno ritrasmettendo da varie parti) e scopro cos’è che faceva la differenza fra le storie di Sarti Antonio e le altre. Le storie di Sarti Antonio, sergente, alla fine lasciavano (e lasciano) l’amaro in bocca. Le altre finivano con il sorriso. Cosa c’è da sorridere anche se hai scoperto il responsabile di un qualunque delitto? C’è la consapevolezza che le cose non finiranno qui. Che non finiranno mai fino a quando la società che il delitto lo produce, non cambierà obiettivo. Allora, perché sorridere? Ma forse sbaglio io: compito delle storie (televisive o letterarie) non dovrebbe essere far vedere com’è il mondo, ma come potrebbe essere se… Un po’ di gioia in un mondo che la gioia se l’è dimenticata. Ma poi mi viene il dubbio: e se si sognasse solo, cosa sarebbe della realtà. Insomma, le cose sono complicate. Non so se l’offerta televisiva sia migliorata o no. So che adesso, grazie a nuovi e giovani autori italiani, possiamo vedere anche frammenti del nostro mondo, del mondo nel quale viviamo noi. Non soltanto come sono gli Usa o la Germania. E per quanto riguarda le “letterature poliziesche” come trova il panorama italiano? Crede che tra le nuove leve ci sia qualcuno in grado di raggiungere gli ottimi livelli a cui lei, Camilleri e altri hanno abituato il pubblico italiano? Ho sempre sostenuto, anche in tempi andati, quando il noir italiano non era nelle litanie dei santi, che per la rinascita del romanzo di genere italiano, servivano tre elementi. Uno di questi era l’apporto dei giovani. Oggi c’è e auguro ai giovani di continuare a portare idee nuove. E entusiasmo.
E come è cambiata, secondo lei, Bologna negli ultimi trent’anni? Come sono cambiate tutte le città del mondo. Sono andate avanti. Il problema è che le città, andando avanti, si sono lasciate dietro gli abitanti. Anche questa può essere una mia sensazione. E anche qui la risposta tocca ad altri.
Come si è avvicinato al mondo del giallo? Nel modo classico: leggendo romanzi. Leggendo si impara ad amare la lettura. E anche a scrivere.
Lei è stato un pioniere in Italia per quanto riguarda le serie televisive di genere, e c’è da dire senz’altro che la serie di Sarti Antonio, andata in onda la prima volta più di vent’anni fa, resta ancora una pietra miliare. Che cosa è successo da allora in Italia? Secondo lei è migliorata l’offerta televisiva per quanto riguarda il giallo o il noir? Le è capitato di vedere qualcosa di interessante ultimamente?
Per finire, ci consiglia due libri da non perdere assolutamente? Facciamo un romanzo tout-court e un romanzo di genere. Per il primo, Don Chisciotte, il romanzo dei romanzi, e per il genere, suggerisco un romanzo qualsiasi di Chandler. Per quest’ultimo suggerimento, avrei voluto segnalare un mio romanzo, ma mi sembrava vergognoso. Dario Goffredo LIBRI 43
MARIO SPEZI
Dal mostro di Firenze al suo ultimo romanzo, dal giornalismo d’inchiesta all’incontro con Tom Cruise
Mario Spezi ha una di quelle storie che da sole sarebbero un ottimo soggetto per un romanzo o per un film, tant’è vero che nientemeno che Tom Cruise si è interessato alla vicenda che l’ha visto coinvolto nelle indagini sul “Mostro di Firenze”. Mario è il giornalista che ha coniato l’espressione di cui sopra e probabilmente è il più grande esperto in Italia sui delitti del mostro. Con l’americano Douglas Preston ha scritto un libro, Dolci colline di sangue, oggi introvabile in Italia e del quale appunto Tom Cruise ha opzionato i diritti per la realizzazione di un film. Proprio a causa delle sue personali indagini sui delitti del mostro di Firenze, Mario Spezi ha attirato l’attenzione di un procuratore di Perugia che l’ha accusato di depistaggio e complicità in omicidio fino ad arrivare alla pesantissima accusa di essere lui stesso il mandante degli omicidi. Per queste accuse il giornalista della Nazione ha anche visto per qualche giorno il “sole a scacchi”. Di questi giorni l’uscita in libreria di un nuovo 44 LIBRI
romanzo di Mario Spezi, un giallo, naturalmente, che vede la nascita di un personaggio che non potrà che stare simpatico agli amanti del poliziotto cafone e maleducato ma tanto bravo. Il libro, Un’indagine estrema per il Commissario Lupo Belacqua, non mancherà di sorprendere e affascinare gli appassionati del genere. Abbiamo scambiato due parole con Mario Spezi che ha accettato ben volentieri di rispondere alle nostre domande. Da dove nasce l’idea di un poliziotto così fuori dagli schemi come Lupo Belacqua che, nonostante la sua “cafonaggine” e la sua ostinata maleducazione, riesce piuttosto simpatico? Credo che si sia formato più che dentro la mia testa, proprio nella mia pancia dando voce, certo abbastanza sgangherata, a tutti quelli che non ci vogliono stare in questa melassa politico-cultural- velinista, in cui si vuol mettere una lapide
a ricordo di Pinelli in questura, i repubblichini sono uguali ai partigiani, per la fanciulla tutta curve un futuro in un calendario o in Parlamento è uguale, quelli di sinistra sono sempre i buoni, Veltroni compra l’ appartamento a Manhatthan alla sua bambina con i diritti d’autore americani del suo romanzo (pubblicato in America da Rizzoli Usa, ossia dallo stesso editore italiano...), Calderoli è un ministro davvero, ecc, ecc. Lupo Belacqua mi ricorda per certi versi il buon vecchio Ciccio Ingravallo di gaddiana memoria. È un’impressione sbagliata la mia? Se la sua impressione è giusta, la ringrazio. Oltre al protagonista, nel suo romanzo ci sono moltissimi comprimari piuttosto interessanti. Ce n’è qualcuno che lei ha amato o odiato particolarmente? Mi è molto simpatica l’anziana contessa Selvaggia, nobile un po’ decaduta ma con un suo autentico modo di vedere le cose e le persone, nonché inesauribile miniera di gossip. Non sopporto l’onorevole e la sua ganza consigliera regionale che sfruttano il lavoro di quei due ragazzi. Ultimamente si sta assottigliando sempre di più la linea di confine tra romanzo giallo e inchiesta giornalistica per quanto riguarda la documentazione, la ricerca e l’uso delle fonti, l’aderenza ai fatti. È così anche per lei, o il giornalista Spezi e lo scrittore Spezi non amano farsi vedere in compagnia? No, frequento spesso il giornalista Spezi e mi sta anche simpatico. Anzi, non riesco a separarmene. In fondo, L’ indagine estrema del commissario Belacqua, a parte il plot giallo, contiene tutte cose vere... E in Dolci colline di sangue, che è scritto come un romanzo, è vero anche il plot. A quali maestri si ispira principalmente? Il mio irraggiungibile punto di riferimento resta il Truman Capote di A sangue freddo. Poi, subito dopo, viene quel “cafone” esagerato di James Ellroy. Quando l’ estate scorsa su Time lessi un parallelo tra il nostro (mio e di Douglas Preston) The Monster of Florence e, appunto, In cold blood, credetti di svenire. Lei ha vissuto una vicenda che si avvicina molto a un legal drama alla Grisham e che ha interessato addirittura uno come Tom Cruise. Ce ne vuole parlare brevemente? Il problema è il “brevemente”. Ci provo. Io, per
il mio mestiere di cronista giudiziario de La Nazione, ho seguito i delitti del Mostro dal 1981 e, addirittura, coniai il nome “Mostro di Firenze”. Divenni, per i colleghi, scherzosamente il “mostrologo”, perché sostenni l’innocenza delle prime tre persone arrestate e di volta in volta “liberate” da un nuovo delitto del maniaco. Così come sono sempre stato e sono convinto dell’innocenza di Pacciani e dei compagni di merende. Nel novembre 2004, un pm di Perugia, Giuliano Mignini, lo stesso che accusa Amanda Knox e Raffaele Sollecito, convinto che un medico perugino annegato nel Trasimeno nel 1985, fu ucciso perchè membro della setta satanica composta di Vip fiorentini (nobili, magistrati, carabinieri, poliziotti...) che stava per tradire, fece perquisire la mia casa perché, a suo singolare modo di vedere, “tentavo di depistare con articoli e trasmissioni televisive” (sic!). Poi, si convinse addirittura che io sono il vero Mostro, che fui io a ordinare l’ omicidio di Perugia, “visti i crescenti sospetti su di me”, e questo era (per lui ancora è) il vero motivo del mio tentativo di depistare scrivendo articoli che riportano alla vecchia pista sarda. E così un bel giorno dell’aprile 2006 fui arrestato, condotto a Perugia, rinchiuso in galera e per cinque giorni non potei vedere nessuno, avvocati inclusi. Dopo 23 giorni fui scarcerato dal Tribunale del riesame, che giudicò il mio arresto, oltre che destituito di ogni fondamento, “illegale”. Il mio punto di vista è che io e Preston abbiamo rotto parecchio le scatole, facendo vedere che la storia dell’indagine sul Mostro è stata in realtà una storia di acquisizione e gestione di potere. Ho parlato con Tom Cruise che mi ha detto: non mi interessa fare un film sui delitti di un serial killer, ma raccontare la storia di due amici giornalisti-scrittori, che, non convinti della giustizia di un’indagine, si mettono a loro volta a ricostruirla e come ha reagito il potere: uno lo ha rispedito in America; l’ altro l’ha schiaffato in galera. Da lettore, che cosa cerca in un giallo? I personaggi (veri o verosimili) che abitano nel male. Per concludere, dove sta andando secondo lei, la letteratura di genere in Italia? Sta uscendo dal genere, finalmente. Almeno, è quello che spero. Dario Goffredo LIBRI 45
MARCO ROVELLI Con il nome di mio figlio – dialoghi con Haidi Giuliani Transeuropa Edizioni
C’è una Genova che non deve essere messa da parte, nonostante il tempo sia bravo a relegare ciò che conta nei cantucci della Storia, ed è la Genova del luglio 2001. Quella, per intenderci, della “costante violazione delle libertà fondamentali”, quella in cui lo “stato di eccezione” mortificò i più elementari diritti, quella in cui il senso umano della democrazia conobbe la sua mattanza più sottile. Anche in quel teatro aguzzino, come in qualunque terreno horror-politico, le vicende collettive si incrociarono con quelle singolari, e per qualcuno in maniera più carnefice: per Haidi Gaggio in Giuliani, per esempio, accadde in modo straziante. Da madre di ragazzo vivente, si ritrovò il 20 luglio di quell’anno madre di figlio assassinato, quindi in una condizione di maternità innaturale, illogica, per l’appunto inconcepibile per chiunque abbia messo al mondo una creatura. “Dopo, sono stata scaraventata in un’altra vita. E allora è stato un andare brancolando, anche un po’ spintonata di qua e di là dagli eventi. È stato un andare, inizialmente, in cerca di Carlo. In cerca del perché e del come e del chi l’ha ucciso”. Inizialmente. Dopo, le tappe stordite di questo girovagare si sono intersecate - attraverso un impegno politico piuttosto criticato, accusato di eccessivo personalismo - con i tanti altri Carlo Giuliani d’Italia, con le storie sottaciute e non esplose, in cui la nostra democrazia smarrisce tutta la sua dignità. Ora, questo percorso estenuante è raccolto nel libro-intervista a cura di Marco Rovelli, da cui fuoriesce soprattutto un ritratto di madre molto poco affine alla tradizione del Bel Paese: in Italia, infatti, la mamma addolorata “concessa” è soprattutto quella che sparge lacrime a profusione, possibilmente in un angolo a misura di salotto televisivo, ad anestetizzare l’indignazione. Haidi, di contro, è una donna che ha scelto gli altri modi del dolore, quelli che si alimentano di sentimento della testimonianza, e che si nutrono di ricerca della verità. A distanza debita, dunque, dalle derive dell’accettazione degli eventi, e da facili elemosine consolatorie capaci solo di obliare memoria. Stefania Ricchiuto
DEMETRIO PAOLIN Il mio nome è legione Transeuropa Edizioni
Opera soteriologica, questa prima di Demetrio Paolin, battuta in ogni riga da una ricerca certosina eppure furibonda: quella della comprensione, il più possibile affilata, del meccanismo della salvezza quotidiana. Il protagonista è un Demetrio trentenne analizzato in terza persona, che girovaga per una geografia complessa, composta da scene attraversate dalle rimembranze più intime come dalle memorie più sociali. Aldo Moro, Renato Curcio, Vittorio Alfieri, Cesare Pavese, sono alcune delle figure appartenenti alla collettività e qui percorse da suggestioni privatissime, che si possono riassumere tutte in una trinità stravagante eppure sacra, realizzata da un padre morto, un fratello affetto da una disfunzione sessuale, una donna contorta. Tempo e spazio, in questo testo, sono dimensioni tortuose, volutamente arzigogolate, mai dalla successione logica, e proprio grazie a questa cavillosità, labirintica e saltellante, procedono a favore della linearità di un’indagine, diretta a Dio, all’Uomo, al Senso - non Senso della loro comunione. Il rapporto tra salvatore e salvato è mediato dall’esistenza del male, che è un elemento necessario del divenire, e in quanto tale causa, effetto ma soprattutto collante del rapporto creatore/creatura. Paolin narra in terza persona e inscena proprio l’identità coesistente di chi crea ed è insieme creato, perché solo osservare e praticare questa sinergia consente di cercare la misura delle cose, e di orientarsi verso la razionalità delle nostre scelte. L’atto della liberazione è soprattutto una liberazione in atto, personale come diffusa, e passa per quel laboratorio di umanità che è dato dall’incontro tra la coscienza individuale e il piano della massa, tra la percezione del singolo e la elaborazione della folla. Il mio nome è Legione perché siamo in molti. Salvati, dannati, si vedrà. Si vedrà dall’albero e dai frutti colti, e dalla raccolta più o meno consapevole che sarà stata. Stefania Ricchiuto LIBRI 47
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WALTER MOSLEY Little Scarlet Einaudi
È l’agosto del 1965 e Watts è un quartiere sotto assedio. La guardia nazionale pattuglia le strade ridotte ad un cumulo di macerie e carcasse fumanti, gli sciacalli scavano fra le rovine alla ricerca di merce da ricettare, mentre i negozianti rimettono insieme i resti delle loro attività. Nel freddo letto del Miller Neurological Sanatorium giace il corpo senza vita di Nola Payne, Little Scarlet, la trentaquattresima vittima della rivolta. Il principale indiziato è un uomo bianco visto in compagnia della ragazza poco prima del decesso, e poi scomparso nel nulla. Sulle sue tracce Ezekiel Rawlins, l’unico in grado di aggirarsi nel quartiere senza destare troppi sospetti, che se confermati, rischierebbero di scatenare una nuova ondata di violenza. L’odore acre del fumo e il battito incessante della rivolta accompagnano il nono capitolo della saga su Easy Rawlins. Nato dalla penna dello scrittore afroamericano Walter Mosley, questo personaggio è un veterano della seconda guerra mondiale, un amorevole padre di famiglia ed un rispettato membro della comunità nera. Proprio l’amore per la sua gente lo spinge a collaborare con il dipartimento di polizia, nonostante i suoi dissapori con le autorità bianche. Mosley attraverso il suo protagonista ricostruisce la rabbia e la frustrazione degli afroamericani, ghettizzati e soffocati dall’asfissiante repressione delle istituzioni bianche. “Questo è un posto difficile. Ci sono uomini e donne che lavorano, tutti chiusi nello stesso recinto, e si fanno il sangue amaro per quello che vedono e non potranno avere […] Ogni bambino cresce con l’idea che solo i bianchi possano fabbricare cose, governare paesi e avere una storia. Vengono tutti dal Sud, ed hanno conosciuto un razzismo talmente brutale che non sanno cosa significhi camminare a testa alta. Si innervosiscono quando passa un’auto della polizia. Si infuriano quando i loro figli vengono portati via in manette. Quasi ogni uomo e donna prova quella rabbia, ma non può sfogarla. Questa rivolta, finalmente, lo ha detto forte e chiaro”. Easy Rawlins è un incrocio fra Marlowe e Spade: affascinante, risoluto e ruvido, eppure la sua connotazione razziale lo differenzia dai suoi predecessori del filone hard boiled. Sensibile alle ingiustizie sociali e alla difficile condizione dei neri nell’America di fine anni ses-
santa, il detective Rawlins rappresenta un ponte fra la letteratura mainstream ed il romanzo di denuncia sociale. Einaudi porta per la prima volta sul mercato italiano Walter Mosley, che annovera fra i suoi estimatori l’ex presidente Clinton e colleghi del calibro di George Pelecanos, e che con questo romanzo, rimanda inevitabilmente il lettore ai cambiamenti politici avvenuti quarantatre anni dopo la rivolta di Watts. Roberto Conturso
ASCANIO CELESTINI Lotta di classe Einaudi
L’attenzione di Ascanio Celestini alle narrazioni con tema il lavoro è nota: da Fabbrica, racconto teatrale in forma di lettera sul luogo operaio per eccellenza, a Parole Sante, documentario sull’isolamento collettivo e invisibile nei call-center, è stato un susseguirsi di ascolto costante ai processi disumanizzanti della produttività. Ora, a tutto questo si aggiunge un romanzo, che pervade ogni riga dell’affabulazione tipica di un teatrante-scrittore che confida sempre nell’atto pubblico (politico) della sua passione. Quattro storie distinte eppure intersecate, che si consumano in un condominio al margine, hanno per protagonisti Marinella, Salvatore, Nicola, Patrizia: nomi collettivi di mille e più vite improvvisate, che allenano ogni giorno una resistenza affannata contro la deriva del precariato, riuscendo solo ad ingarbugliarsi irreversibilmente all’interno di un meccanismo infido e fagocitante. Il precariato, infatti, occupa il tempo, in ogni frammento, e non ne affranca nemmeno il più infinitesimale ritaglio. Per prendere coscienza di una condizione insostenibile, invece, si ha necessità di uno spazio di rielaborazione ampio, in cui esercitare l’autoosservazione e maturare consapevolezza di quel che si è, e di quel che si sta divenendo. Con Lotta di classe, Celestini ci restituisce ancora una volta il sentimento della “quotidiana popolarità”, invitandoci, tra le scene del suo intreccio, a riflettere sulla percezione della precarietà e sulla possibilità di smettere di farne parte per tornare ad essere “umani”. Il cambiamento, però, passa sempre attraverso un conflitto, e negli ultimi tempi questo sta divenendo pretesto di un dissenso sempre più “interno”, che disperso nella frammentazione non può muovere ribellione verso l’unico nemico reale. Stefania Ricchiuto LIBRI 49
GARGOYLE EDITORE
Le paure ancestrali dell’uomo sono materie talmente sottili da richiedere un’attenzione analitica. In Italia, prima del 2005 venivano curate, con risultati discutibili, dall’editoria più “generalista”, ma da quattro anni l’horror e il dark fantasy possono rintracciare anche nel Bel Paese una realtà totalmente dedita alla dimensione dell’incubo. Ne abbiamo parlato con l’editore Paolo De Crescenzo e la responsabile dell’ufficio stampa Costanza Ciminelli. “Rubate” il nome alla figura mostruosa di pietra che si sporge dalle sommità delle cattedrali gotiche, pronta ad animarsi in caso di aggressione. Denominarvi ispirandovi ad un simbolo di “custodia” è stata una scelta ben precisa? L’immagine del gargoyle ci è sembrato simboleggiasse efficacemente il tipo di scelta editoriale che anima la nostra avventura letteraria. Sinceramente non pensavamo di svolgere alcun ruolo di “custodia”, ma considerando alcune recenti tendenze dell’horror letterario e cinematografico… Con la vostra comparsa, avete garantito al pubblico italiano la possibilità di conoscere autori stranoti all’estero, ma qui sconosciuti. Il vostro è stato un forte atto di opposizione contro un mercato fortemente 50 LIBRI
monopolizzato, abitato fino ad allora quasi esclusivamente da nomi come Stephen King e Anne Rice… La nostra attività è nata come una sfida: sapevamo che le possibilità di affermare quello che è il “parente più povero” tra i generi erano minime, anche sulla scorta delle esperienze negative vissute dai pochi coraggiosi che ci avevano preceduti. Abbiamo cercato di sottolineare tale provocazione puntando sulla qualità, sia dei contenuti che della veste editoriale. Da un lato, quindi, volumi rilegati, carta bianca della migliore tipologia, cura redazionale; dall’altro, ricerca di quello che ci sembrava al momento il meglio del panorama horror internazionale, a prescindere dalla notorietà dei nomi. Devo dire che i risultati sono stati superiori alle aspettative: spesso si fa torto al pubblico, continuando a propinargli solo i “soliti noti” e ritenendo che non sia in grado di apprezzare scelte più “particolari”. Avete incominciato pubblicando due scrittori americani, la Yarbro e Nassise, e sembrava fosse vostra intenzione dedicarvi esclusivamente alle traduzioni di produzioni estere. Perché questa barriera iniziale rispetto alle narrazioni italiane? In realtà non abbiamo mai affermato che intendevamo porre barriere. Abbiamo sempre detto
che l’unico parametro di scelta era di tipo meritocratico. Siamo stati, quindi, ben lieti di avere l’opportunità di dimostrare che non esistevano, e non esistono, preclusioni di sorta: se un testo ci piace, lo pubblichiamo, indipendentemente dal fatto che sia americano, francese o turco… Poniamo un attimo l’attenzione sull’“estro gotico nostrano”: nel vostro catalogo è comparso il nome di Gianfranco Manfredi... Manfredi era ed è tuttora quello che riteniamo il migliore tra gli autori italiani che si sono cimentati in modo continuativo con l’horror. Prendemmo contatto con lui via e-mail chiedendogli di poter ripubblicare il suo Magia Rossa: da lì sono nati un’amicizia e un sodalizio professionale che ci auguriamo siano destinati a durare. Gianfranco negli ultimi anni si era dedicato al fumetto, ottenendo grandi soddisfazioni e notorietà internazionale, ma forse sacrificando un po’ la vena autoriale che ha fortemente radicata dentro di sé: conversando, è tornata a scattare la scintilla che era sopita, lo stimolo ad approcciare nuovamente una dimensione narrativa di grande respiro. Lui dice di non essersi mai trovato così bene come con Gargoyle, e noi vorremmo tanti Gianfranco Manfredi... Ora una domanda sul senso della narrativa horror, che è animata da figure archetipiche ricorrenti: fantasmi, vampiri, demoni. Indagare certi ruoli surreali può aiutare a smascherare gli “effettivi costruttori di paura” della nostra società? È confermato che l’horror esercita una funzione esorcizzante rispetto alle paure e agli incubi della quotidianità, tant’è vero che conosce regolarmente periodi di massima frequentazione quando le situazioni di crisi si fanno più intense e diffuse. In questo senso, esercita sicuramente un ruolo “sociale”. Stabilire se possa servire a smascherare i “veri mostri” è problematico: per ogni opera narrativa esistono vari piani di lettura e ciascuno è libero di trovarvi all’interno i significati di cui è alla ricerca. Peraltro, molti intellettuali, soprattutto statunitensi, riconoscono al genere horror una funzione di resistenza culturale nei confronti di due massimi poteri: la religione e la scienza… Gli Stati Uniti sono un paese animato da una concezione morale e religiosa molto sui generis, pronta a rispondere a stimoli anche francamente improbabili... pensiamo alle chiese più o meno esotiche, ai predicatori televisivi e da tendone,
alle varie sette. Gli scrittori americani, pertanto, hanno buon gioco nell’affondare il bisturi in tali fenomeni. Molto più difficile è conseguire qualche risultato in una realtà come quella italiana, dove la religione è stata sempre vissuta come una faccenda estremamente seria, condizionando scelte artistiche e vita culturale, e rendendo difficoltoso l’affermarsi di un genere che la Chiesa cattolica ha sempre pesantemente avversato. La scienza costituisce un discorso a sé: se in passato ha costituito terreno d’esercizio per alcuni scrittori horror, la fantascienza e il sempre più rapido progresso tecnologico hanno sostanzialmente svuotato di contenuti il sottogenere specifico, che resiste soprattutto in zone franche quali le graphic novels e i giochi di ruolo. Opererete un salto anche nella saggistica? Gargoyle ha già operato un’incursione nella saggistica, pubblicando The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo di PezziniTintori, in assoluto la prima guida che cerca di sistematizzare la sterminata filmografia relativa al mito di Dracula, dagli inizi del ‘900 a oggi. Il volume si distanzia da qualsiasi impostazione manualistica, procedendo per percorsi tematici. Ne emerge uno studio che va oltre i confini dell’iconografia, in cui critica cinematografica, politico-sociale, di costume, psicanalitica, antropologica, si armonizzano in una prospettiva di approccio del tutto inedita. Contiamo di proseguire nell’analisi di altri archetipi dell’horror, e proprio in questa direzione va l’imminente riedizione di Io credo nei vampiri di Emilio de’ Rossignoli, una chicca introvabile da decenni. Pubblicato per la prima volta nel 1961 e ormai assorto al rango di cult, costituisce un’opera fondamentale per la comprensione del revenant, che spiega gli aspetti strutturali e le principali chiavi interpretative del mito di vampiro, senza dimenticare una salutare dose d’ironia. Terminiamo con un invito alla lettura… È appena uscito La maledizione degli Usher di McCammon. Concepito come proseguimento de Il crollo di casa Usher, tra i racconti più celebri di Poe, il romanzo costruisce un avvincente intrigo su una potente dinastia di armatori statunitensi, che svela a poco a poco una densa e suggestiva trama di segreti, ossessioni, omicidi, fughe e tentativi di rivolta. Ruolo di primo piano nella storia assume la maestosa tenuta degli Usher, un sinistro labirinto dove, da tempo, nessuno osa avventurarsi… Stefania Ricchiuto LIBRI 51
CINEMA TEATRO ARTE
K-NOW
Cinque giorni per consacrare il teatro
Guidati dalla voce squillante di Simone Franco al megafono, un omone barbuto vestito di nero e con tantodi occhiali da sole, che invitava il pubblico a ricordare (Ricordati di ricordare, testo di Valentina Diana) abbiamo attraversato un luogo, ricco a suo modo di esperienze e storie personali come l’oratorio della chiesa dei Salesiani 52 cinema teatro arte
di Lecce, e attraversandolo l’abbiamo modificato, perché quelle stanze, quegli spazi sono diventati ora un ospizio per anziani del futuro, ora un’aula di tribunale, ora la sala prove di un teatro, ora un campo di calcio, ora il camerino di un grande teatro di posa, ora si sono fatti spazio etereo dove corpi e voci hanno modellato e disegnato ogget-
ti creativi non identificati (per parafrasare Wu Ming) come la splendida Lea Barletti che danzava (fluttuava?) sul tetto della chiesa a più di dieci metri di altezza. Il risultato di questo K-Now 2009 - Showcase del teatro pugliese, è andato probabilmente oltre le aspettative degli stessi organizzatori. Appena
cinque giorni per allestire più di una decina di spettacoli, coordinare una trentina di persone tra attori, registi, drammaturghi e tecnici, disegnare un percorso e una scaletta che non hanno mostrato (se non quelle inevitabili) sbavature. E alla fine la forza delle idee e del progetto di Werner Waas e Induma Teatro hanno decisamente prevalso sulla scarsità di tempo e mezzi, dimostrando come in teatro non servano grandi scenografie per creare una magia che difficilmente si staccherà dalla pelle di chi vi ha assistito, come nella bellissima performance di Cecilia Maffei e Fabio Tinella sul testo di Vittoria Bagnasco Gli illuminati. La particolarità di questa seconda edizione di K-Now era che i partecipanti hanno interagito con i testi vincitori della prima fase del Premio di drammaturgia “Il centro del discorso” e altri testi selezionati che, se pur non vincitori, sono stati ritenuti comunque interessanti dalla Giuria. Ne è venuto fuori un dialogo intenso e ricco di spunti e proposte, tra attori, registi e drammaturghi che non ha mancato mai di divertire, emozionare e a volte commuovere o scuotere il pubblico, come Vito Greco che interpretava Gli illuminati in fondo a un labirintico scantinato buio. E poi la lettura scenica de La facciata, testo di Francesca Sangalli, letto da Lea Barletti, Michele Bee, Andrea Buttazzo, Cecilia Maffei, Giuseppe Semeraro, Werner Waas, con gli effetti sonori di tobia Lamare, una divertente dimostrazione del lavoro di una compagnia teatrale alle prese con un testo. Citiamo ancora Lemmings, testo di Lisa Nur Sultan, con Roberto Corradino, Antonella Iallorenzi, Valentino Ligorio, Roberta Mele, Francesca Sangalli ed Erik Sogno, dissacrante e cinico scambio di battute sulla vita e sul teatro, esilarante e spietato numero di avanspettacolo pulp. La nota stonata di questo K-Now, che si è svolto dall’1 al 5 giugno, è stata la mancata partecipazione delle altre realtà teatrali salentine. Colpevoli assenze tra gli spettatori degli organizzatori e degli animatori della scena teatrale cittadina “ufficiale”, a dimostrare che “sinergia”, “rete”, “collaborazione” sono ancora parole usate, troppo spesso, a casaccio e prive di reale significato. Ognuno resta chiuso a coltivare il proprio orticello, senza badare alle piantagioni che crescono a due passi dal suo podere. Quello che ci auguriamo noi è che K-Now, così come il Centro del discorso, siano dei vivaidove cresceranno le proposte del teatro di domani. E non solo salentino. Dario Goffredo cinema teatro arte 53
MAGGIO ALL’INFANZIA Si è conclusa la storica manifestazione dedicata al teatro ragazzi
Il Maggio all’Infanzia, storico festival diretto dal Teatro Kismet OperA, quest’anno è migrato a Bari. Dopo la lunga esperienza a Gioia del Colle, location storica che ha ospitato tutte le sue edizioni precedenti, il festival è approdato nel capoluogo pugliese, con delle appendici in contemporanea a Ruvo di Puglia, Foggia e Barletta. Proposto dalla Fondazione Città Bambino e fortemente sostenuto dall’ Assessorato alle Culture del Comune di Bari, il Maggio all’Infanzia, con il contributo anche di Provincia di Bari e Regione Puglia, continua a essere allo stesso tempo vetrina del teatro ragazzi italiano, rivolta agli operatori di teatro, e grande festa dedicata ai bambini e alle famiglie. Il festival si è svolto dal 21 al 25 maggio in due luoghi differenti, all’aperto e al chiuso: piazza Diaz sul lungomare, per una partecipazione più allargata e totalmente gratuita, e il Teatro Kismet OperA, con spettacoli per cui si era previsto un biglietto simbolico di due euro, “per motivi organizzativi e per educare i bambini al teatro” – come afferma Cecilia Cangelli, responsabile artistica del festival. Il festival è stato inaugurato nel pomeriggio di giovedì 21 maggio con una festa in piazza Diaz, sul lungomare della città. Il Mokica-bar bimbo mobile, sperimentato con successo anche nel corso delle precedenti edizioni, ha aperto le danze, attraendo sotto il suo grande gazebo una folla di bambini schiamazzanti, an54 cinema teatro arte
siosi di improvvisarsi pasticceri e pizzaioli, con tanto di grembiuli e strumenti da cucina. Alle 18, per più di un’ora, l’immancabile Battaglia dei cuscini, a cura della Compagnia Il Melarancio, ha creato un’atmosfera scatenata e divertente: centinaia di cuscini sono stati lanciati dall’alto, creando una suggestiva pioggia colorata. I bambini si sono lanciati in pista dando vita a una morbida battaglia, che ha finito inevitabilmente col coinvolgere anche genitori e curiosi. Oltre che col rallentare il traffico della strada adiacente alla piazza. Il gioco più antico del mondo non smette di entusiasmare, far sfogare e divertire tutti. A chiudere il programma di piazza Diaz per il giorno di inaugurazione, Gianni Risola, con il suo direttore di circo senza circo, Otto Panzer: “Mi raccomando, bambini, non il contrario, PanzerOtto: non è bello”. Ha chiuso la serata Il circo poetico, di Girovago e Rondella, uno spettacolo originale, parodia del circo, con animali di gommapiuma e marionette di cartapesta. Il giorno successivo, venerdì 22, il Maggio all’Infanzia ha cominciato con una “Camminata”, a cura del collettivo di artisti Osservatorio Stalker, che, partendo da piazza Diaz è giunta alla spiaggia di Pane e Pomodoro, tracciando con corde e palette i confini della città dei desideri e “ricostruendo con la sabbia i luoghi che abitiamo, che ci piacciono o ci fanno paura”. Sabato 23 ci si è spostati al Teatro Kismet, dove, tra gli altri,
il CREST di Taranto ha presentato in anteprima nazionale la sua ultima produzione Hansel e Gretel, regia di Michelangelo Campanale. Il programma è stato inoltre arricchito da un nuovo spazio, la Sala Prove dell’Istituto Penale per i Minorenni “N. Fornelli”, che ha ospitato la compagnia foggiana Burambò con una versione grottesca e originale della tragedia greca Alcesti. Nel corso della stessa giornata sono stati previsti altri eventi contemporanei in piazza Diaz: ancora il Mokica bar bimbo mobile e La battaglia dei cuscini e in serata lo spettacolo Kali Yuga di Libera Scena ensemble. Domenica 24 la fanfara itinerante della scuola secondaria di I° grado “Manzoni – Lucarelli” è partita da piazza Ferrarese per arrivare alla base, ancora piazza Diaz. Dove sono stati replicati per la quarta volta, ma accolti ugualmente con un entusiasmo straordinario, il Mokica e La battaglia dei cuscini. La penultima serata si è conclusa con lo spettacolo Luna sulla luna della compagnia abruzzese Il draghetto, scelta come segnale di sostegno alla cultura prodotta dalle popolazioni colpite dal terremoto. Contemporaneamente, sul palco del Kismet è andato in scena L’elefante smemorato e la papera ficcanaso di Burambò, seguito alle 11,15
da Viaggio al centro della terra del Cerchio di Gesso di Foggia, con la regia di Simona Gonella. Nel pomeriggio ancora spettacoli: Monica Mattioli con Come sorelle, uno spettacolo che parla dell’olocausto attraverso gli occhi dei bambini di allora, ma anche attraverso lo sguardo dei bambini di oggi; seguito da Tib Teatro con Il volo di Icaro e dalla Compagnia Mosika, con il suo delicato spettacolo Un paese di stelle e sorrisi, vincitore del Premio Scenario Infanzia 2008, in cui al centro della storia ci sono una madre africana, costretta a lasciare il proprio paese e sua figlia. Ultimo spettacolo, Due, dei giovani baresi di Fibre Parallele, spettacolo consigliato a un pubblico over 16: scelta discutibile per un “festival bambino”. Lunedì 25 il festival si è chiuso in mattinata con due spettacoli: Il gatto e gli stivali, diretto da Lucia Zotti, in scena al Kismet, e Inboccallupo di Paolo Comentale, proposto invece alla Casa di Pulcinella. Quest’anno il festival si è arricchito, tra venerdì 22 e sabato 23, di una programmazione contemporanea a Foggia, Ruvo di Puglia e Barletta. Elisabetta Lapadula
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NICO CIRASOLA Focaccia blues
Da un lato un’America con i suoi grattacieli di cartone, dall’altro una Puglia gialla, giallissima quasi bruciata - e azzurra, grano e erba, e cielo che sembra quello di un affresco sacro o dell’acquerello improvvisato di un bambino. La corvette di Manuel (Luca Cirasola), che incombe nel Paese e la gente si ferma a toccarla quasi non avesse mai visto un’automobile, e l’ape di Dante (Dante Marmone), fruttivendolo innamorato degli odori della terra. In Focaccia Blues di Nico Cirasola si scontrano due mondi e due tempi, quello velocissimo di chi deve fare tutto di corsa e anche per mangiare non può sprecare più di mezz’ora, e quello lento, immobile, di un paese dove ci sono ancora i calzolai e si aspetta per far lievitare la pasta di una focaccia o per seccare i pomodori al sole. Pellicola a metà strada fra commedia e documentario, che vede gli abitanti di Altamura diventare attori improvvisati e raccontare di fronte alle telecamere dopo un’immancabile presentazione personale con nome, cognome e data di nascita scanditi a chiare lettere - la piccola e vera epopea di una locale focacceria che sconfisse la concorrenza del McDonald’s. Non manca un tocco di romanticismo con la delicata storia d’amore tra Dante e la sculettante Rosa (Tiziana Schiavarelli), riconquistata grazie al cibo, gustoso, genuino, sensuale. Una nuvola di magia terrena, tutta concreta, avvolge questa terra orgogliosa di non essere moderna e nemmeno un po’ alla moda, e il fruttivendolo Dante, armato di un libro sulla medicina dei semplici e di erbe capaci di curare tutti i mali, diventa quasi un guaritore d’altri tempi. Il totem del McDonald’s, anacronistico invasore straniero, è costretto a deporre le armi, seppur qualche suo nostalgico sopravvive: i vecchi che ci andavano per godersi l’aria condizionata, la famiglia che portava i bambini a passare un compleanno diverso, o i giovani che l’avevano scelto come luogo di ritrovo. Sì, il McDonald’s qualcosa di buono ce l’aveva, ma di certo non era il cibo. Francesca Maruccia
MARCO BELLOCCHIO Vincere
È l’inizio del secolo, anno 1917. Il giovane socialista rivoluzionario Benito Mussolini incontra casualmente una donna: bella, coraggiosa e passionale tanto quanto lui. Il suo nome è Ida Dalser. Ida lo seguirà nel suo percorso, lo appoggerà e lo sosterrà come donna, l’amerà e lo rispetterà come amante, l’ascolterà e lo consiglierà come amica vendendo tutti i suoi beni per fondare il “Popolo d’Italia”. Da quest’amore all’apparenza senza uguali seguirà un matrimonio che si completerà con la nascita di Benito Albino Mussolini, erede riconosciuto dallo stesso padre. Ma il Duce è irrefrenabile. L’ascesa al potere di lui coincide con la discesa nel limbo per lei, infatti senza alcun motivo apparente, decide di escludere dalla propria esistenza sia Ida che il bambino trainando le loro vite in un disegno fatale già pianificato: manicomio, celle, buio ed oblio. Se nel cast leggi nomi come Timi e la Mezzogiorno guardare il film già ti stuzzica, se in più a miscelare la luce ci pensa Daniele Ciprì il gioco è fatto ma se vogliamo la ciliegina sulla torta basta sapere che il regista è Marco Bellocchio, allora lì si va a colpo sicuro. Il film si apre con una storia d’amore passionale, forte, invidiabile. Te lo fa “pesare” subito quell’amore e tu ne percepisci il carico, la forza, rendendoti conto come molte volte l’amore di uno basta a tutti e due. E poi c’è lui che è la causa, il carnefice di quest’“amore folle”: Benito Mussolini. Le mani cinte alla vita, il petto in fuori, il mento alto, gli occhi sicuri, una mimica conosciuta ma non facile e rese molto bene da Timi. Bellocchio mescola immagini di repertorio, scritte futuriste e film d’epoca alla fiction con una naturalezza tale che l’immedesimazione non ha bruschi scatti, anzi alcuni passi come il Monello di Chaplin visto da una madre che non vede il figlio da tre anni rendono il tutto ancora più toccante. Vincere insomma non è mai stato così bello, anche se a Cannes non la pensano così. Giusi Ricciato
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EVENTI SABATO 13 The Morlocks all’Arci di Novoli (Le)
L’ultimo appuntamento di Keep Cool, la rassegna organizzata da CoolClub che questa’anno è giunta alla sua quinta edizione si preannuncia infuocato. Sul palco infatti saliranno i Morlocks del leggendario Leighton Koizumi, mito vivente del garage punk, carismatico ed indimenticabile cantante e front-man nippo-americano di Gravedigger V e Morlocks, misteriosamente scomparso agli inizi degli anni novanta e tornato clamorosamente sulle scene in questo primo scorcio del nuovo millennio per riprendersi lo scettro di miglior “Garage-Punk singer” del pianeta terra. Antonio Castrignanò a Calimera (Le) La passione delle Troiane nell’area archeologica Santi Stefani di Vaste (Le) Una stanza. Un morto. La presenza di alcune donne in lacrime ne sanciscono il ricordo; la memoria di una mancanza riecheggia nei loro lamenti, e solo in essi ha ragione d’esistere. La presenza del coro alimenta la possibilità di ricreare atmosfere sonore e rimandi a luoghi vicini e lontani dove confluiscono sentimenti, voci, parole che si manifestano insieme alle azioni e alle immagini. Le musiche eseguite dal vivo e composte dagli stessi interpreti, assumono un ruolo di primo piano sulla scena al pari dei testi e delle azioni. Così musicisti, cantanti e attori divengono protagonisti di una rappresentazione che si pone tra il teatro e la musica, tra il concerto e lo spettacolo. Ed è straordinariamente inevitabile, alla fine, ritrovarsi ad un ritorno, all’essenza: l’umano dolore di una madre e l’innocenza sacrificata del figlio amato, una tragedia. Lo spettacolo intende coniugare le Troiane di Euripide con il tema della Passione di Cristo, scegliendo di dialogare con la tradizione grika del Salento. “Passiuna tu Christu” è un canto dell’area grika salentina. L’idea nasce dalla volontà di accostare il lamento delle donne di Troia, alle moroloja, ovvero i pianti che un tempo le donne facevano a pagamento per un morto del quale appena a
ERCHIE CITY ROCKERS
Erchie, un piccolo paese della provincia di Brindisi, si afferma ancora una volta come la patria del Rock in Puglia. Un cartellone prestigioso che vedrà l’esibizione di artisti internazionali. Aprirà la stagione il 6 Giugno Alli Matonni, Jonny Kaplan & Lazy Stars, artista californiano che suona un rock intriso di Ry Cooder e Rolling Stones. Sempre l’Associazione Acme il 27 Giugno ospiterà nel Festival America & Folk i romani Her Pillow, ottima band che fonde musica irlandese all’energia del punk; l’8 luglio da Athens (la città dei R.E.M.) sbarcano per la prima volta in Italia i Tishamingo. Il 17 Luglio, sempre Alli Matonni, suonerà la leggenda del country rock Commander Cody, artista poliedrico che da 40 anni porta in giro la sua arte fatta di spirito psichedelico e suoni rock’n’roll. L’1 Agosto ci sarà la 4° edizione del rock’n’roll party. Quest’anno tra gli ospiti - Fabulous Daddy (rock’n’roll da Senigallia), Rekkiabilly (rockabilli rock’n’roll da bari) e Roxi Rose (burlesque show da Ascoli Piceno), Il festival si terrà nello spazio antistante il Campo Sportivo, immerso in una scenografia preparata ad hoc. Il 3 agosto ci spostiamo di 2 Km, presso la Masseria Stasi tra Erchie e Torre S.Susanna. Torna la terza edizione del Pagliarotto Festival, organizzato da Giancarlo Pagliara e l’Associazione Petra. Andy J Forest sarà l’ospite quest’anno della 5° festa della birra. Organizzata dall’Ass. Acme, Alli Matonni. Armonicista virtuoso, cantante e chitarrista, Andy J. Forest è quello che si definisce un artista poliedrico, che non solo nella musica esprime il suo talento multiforme, ma anche nella pittura e nella scrittura. Martedì 18 agosto l’American & Folk Festival presenterà l’artista di New Orleans Washboard Chaz. Vera star di New Orleans, artista simbolo della città. Con il progetto Washboard Chaz Blues Trio il suo genio musicale, espresso nelle varie forme dell’intero patrimonio musicale americano, si esprime in un country blues acustico, innovativo e moderno, contaminato dalle sue origini newyorkesi e dal jazz della città adottiva. Il Festival si concluderà il 5 Settembre con il concerto degli W.I.N.D., la reincarnazione delle storiche bands dei fine anni Sessanta, quando la magica formula del trio evocava ipnotiche atmosfere blues nelle quali la creatività della band si esprimeva nelle grandi jam strumentali. Un mix di rock, psichedelia ed improvvisazione, accenti “jazzy” tipici dei power trio di un tempo, un sound dai sapori “vintage”. Per concludere questo cartellone musicale non poteva mancare Sanscemo festival, giunto all’edizione N°12 e si terrà il 31 Ottobre. Sono aperte le iscrizione a tutti coloro che hanno il fegato di salire su quel Palco. Giuseppe Scarciglia 59
volte conoscevano il nome. Sud Sound System al Parco Gondar di Gallipoli (Le) MERCOLEDÌ 17 Artur Blues Band alla Suite 77di Maglie (Le) Attiva dall’ormai lontano 1996, la formazione oggi vede Matteo Resta (basso) e Francesco Pellizzari (batteria) avvicendarsi alla chitarra e alla voce di Arturo Sanzò. Considerando le sperimentazioni dei grandi del passato e le singole esperienze personali, la band crea il denominatore comune di una scelta stilistica originale, pur mantenendosi fedele ai rigorosi canoni del vintage. Il risultato è un cocktail di Blues, Funky e Rock’n’Roll. Le licenze “bluesistiche” rendono i testi allegri e ironici. VENERDÌ 19 Dynamic Jazz Trio al Kalì di Melpignano (Le) Venerdì 19 giugno sarà possibile ascoltare le note jazz del Dynamic Jazz Trio che si esibirà con un repertorio che varia dai grandi classici del jazz americano come Summertime e The girl from Ipanema ai classici del pop come Killing me softly e e a pezzi intramontabili della tradizione italiana come Amarsi un po’ di Lucio Battisti. Il tutto interpretato dalla voce raffinata della cantante accompagnata da musicisti di grande esperienza. Tobia Lamare dj-set al Relitto di Otranto (Le) SABATO 20 La Notte Rosa a Otranto (Le)
Un viaggio poetico, coreutico e musicale attraverso le suadenti suggestioni del Tamburo che è dualismo dialettico, dimensione complementare di caos e ordine. Tamburo “madre” dei diversi popoli del mondo, tamburo anima della nostra tradizione musicale, tamburo evocativo della notte dei tempi e della creazione, tamburo che riconduce all’universo armonico e al “noi”. DA MARTEDÌ 23 A MARTEDÌ 30 Filmare la musica e il territorio a Sternatia (Le) Parte il primo dei sette workshop del progetto “La Taranta nella Rete” con il quale La Notte della Taranta entra a far parte della Rete dei Festival italiani aperti ai giovani. Il seminario, a cura di Paolo Pisanelli, con il coordinamento di Big Sur e Cinema del Reale, mira ad approfondire poetiche e pratiche dell’attività di filmaker in percorsi di sguardo e di ascolto sul territorio. Tutte le info su workshop, incontri ed eventi su www.latarantanellarete. wordpress.com MARTEDÌ 23 Wine Sound System al Soul Food di Torre dell’Orso (Le) Una serata tra buon vino e buoni ascolti, un percorso eno-musicale sul lungomare di una delle più belle spiagge del Salento in compagnia del “gastrofilosofo” Don Pasta MERCOLEDÌ 24 Eneri alla Suite 77 di Maglie(Le)
Prende il via la seconda edizione della Notte Rosa di Otranto, un lungo appuntamento dedicato all’arte al femminile tra musica, letteratura, teatro, arti visive e sociale per un cartellone ricco di incontri che si svolgeranno, dal tramonto all’alba, in cinque aree nel cuore di Otranto. Ospite d’eccezione Alessandra Amoroso, vincitrice dell’ultima edizione della trasmissione “Amici”. Ingresso libero. Info 0832.303707. DOMENICA 21 Tamburo Tao all’Archivio di Stato di Brindisi
Cantautrice/pianista/chitarrista, Eneri propone un repertorio originale fatto di canzoni in italiano, inglese e francese dove la ricercatezza dei suoni ma allo stesso tempo la semplicità delle composizioni creano un’atmosfera elegante e piacevole. Zina al Palazzo dei celestini a Lecce GIOVEDÌ 25 Tobia Lamare + Creme al Soul Food di Torre dell’Orso (Le) VENERDÌ 26
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Vuaolè Vocal Quartet al Kalì di Melpignano (Le) Quartetto vocale composto da Irene Scardia, Carolina Bubbico, Antonella Mucelli, Grazia Sibilla caratterizzato da una notevole vivacità ritmica e da una assoluta originalità melodica. Le voci propongono brani inediti e arrangiamenti originali di noti brani che spaziano nella musica world, jazz e sperimentale. Gli arrangiamenti sono a cura di Irene Scardia e Carolina Bubbico per i testi di Annamaria Amabile e Massimiliano Manieri. E-missioni zero a Castrignano del Capo (Le) DA SABATO 27 A LUNEDÌ 29 Jazz in Veglie al Convento dei Francescani a Veglie (Le) SABATO 27 Her Pillow a Li Matonni di Erchie (Br) Secondo appuntamento con America Folk Festival, la rassegna di musica blues, rock, bluegrass e country. Her Pillow è un progetto musicale che unisce due stili ben diversi per cultura e per caratteristiche. Da una parte le ballate e le canzoni popolari di Irlanda con le progressioni e le sonorità tipiche della musica celtica, dall’altra l’impatto violento, anche se a tratti intimista, del rock degli anni ‘80 (Pogues, Tom waits, The Clash). Tutti i concerti del festival si svolgono presso la località Li Matonni in via Stazione. Ingresso 10 euro. Premio Apollonio al Rettorato dell’Università del Salento a Lecce Il Sabatone al Buenaventura, litoranea San Cataldo - San Foca (Le) Torna anche quest’anno la festa più calda dell’estate, primo appuntamento con l’imperdibile Sabatone di Tobia Lamare. Un viaggio attraverso il Funky, la disco music e il sound degli anni ‘70, le atmosfere del mitico studio 54, Bee Gees, Cool and the Gang, Chic e poi il Rock e il
LA TARANTA NELLA RETE
punk, la loro energia e la loro carica trascinante. Ingresso gratuito. GIOVEDÌ 2 LUGLIO Tobia e Creme al Molly Malone di Lecce. VENERDÌ 3 LUGLIO Nicola Piovani a Palazzo dei Celestini a Lecce SABATO 4 LUGLIO Notte bianca a Lecce DOMENICA 5 LUGLIO Voice of Jah al Buenaventura, litoranea San Cataldo - San Foca (Le) Un appuntamento in riva al mare dedicato al reggae. Nel Salento approderanno infatti le voci emergenti del panorama reggae italiano per una gara canora in riva al mare. Ospite della serata il cantante raggamuffin tarantino Fido Guido. Giudici della competizione due dei rappresentanti del reggae salentino: Treble e Gopher, i vincitori si aggiudicheranno un’esibizione a fianco di Treble in uno dei festival di musica reggae salentini. Ingresso gratuito. MERCOLEDÌ 8 LUGLIO Tishamingo a Erchie (Br)
Nuovo appuntamento per America Folk Festival con il concerto dei Tishamingo. Questo collaudato quartetto ha un sound rock-blues roccioso e di-
Una mappa sonora territoriale, un concorso per band musicali, borse di studio, workshop e incontri d’autore, per un’iniziativa di respiro nazionale che parte dal Salento. La Taranta nella Rete è un progetto culturale organizzato dal Comune di Melpignano (Le) in collaborazione con Istituto Diego Carpitella, nell’ambito del programma Rete dei Festival aperti ai giovani, promosso dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e sostenuto dal Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. Le attività sono rivolte a laureandi, dottorandi, musicisti e studiosi con documentato curriculum. Sono inoltre previste, tramite bando pubblico, alcune borse di studio (sotto forma di vitto e alloggio) per garantire ai giovani non residenti nel Salento la partecipazione ai workshop e agli incontri. Al progetto la Taranta nelle Rete sono associati anche i concorsi per la pubblicazione di tesi di laurea sul tarantismo e l’assegnazione di borse di studio dedicate ai giovani non residenti in Salento che vogliano partecipare ai seminari. Le info relative a workshop, incontri e i bandi su www. latarantanellarete.wordpress.com
retto, con echi e atmosfere country. La voce soul e profonda e il sound delle due chitarre rimandano ai fasti di Allman Brothers e Lynyrd Skynyrd. La rivista italiana “Il Buscadero” li ha definiti “la band sudista più interessante del momento”. SABATO 11 LUGLIO Notte bianca a Melpignano (Le) MARTEDÌ 14 LUGLIO Franco Battiato al Parco Gondar di Gallipoli (Le)
Il maestro Battiato torna ad incantare il Salento con il concerto del tour “Summer live ‘09”. Un tributo ai grandi autori. Con lui Manlio Sgalambro, Carlo Guaitoli al pianoforte, Angelo Privitera alle tastiere, Davide Ferrario alla chitarra e il Nuovo Quartetto Italiano al violino, Demetrio Comuzzi alla viola, Luca Simoncini al violoncello. Biglietti a partire da 33 euro, disponibili sul circuito bookingshow.com. Info 0832.332624/327.0481762.
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