Coolclub.it n.51 (Marzo 2009)

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Anno VI Numero 51 marzo 2009

FACCIA DA FACEBOOK



FACCIA DA FACEBOOK Conoscere senza comunicare. Sembra essere uno dei paradossi della rete. Così come, alla presunta condivisione del web di seconda generazione, si affianca l’esclusione, la selezione. Queste nuove forme di relazione sembrano marcare alcuni confini nello stesso istante in cui abbattono barriere. Si può essere soli e avere mille amici? Su internet sì. Anzi, sembra essere sintomatico dei social network, a giudizio di alcuni forme di asocialità pericolose, di affermazione di un io non sincero, di una proiezione, una finzione. Senza fare estremismi per noi Facebook è divertente, anche utile a volte. Cercare e ricomporre tasselli del nostro passato, caricare su una pagina personale la propria vita, fa del web 2.0 un nuovo generatore di memoria perverso, in qualche modo controverso. Esiste il passato e, come tale, è bello nel ricordo. Facebook ce lo sbatte in faccia con tanto di aggiornamenti. Ecco che i contorni sfumati dell’immagine della prima fidanzatina delle scuole elementari scompaiono e ce la restituiscono sposata, invecchiata, non più bella come ricordavamo. È necessario? Ci sono passaggi, capitoli nella vita di una persona che devono rimanere chiusi, risolti? Più intrigante curiosare nel privato di conoscenze che sul web diventano amici e ci aprono il loro

album fotografico. Curiosità, forse è questo il motore propulsore di questo come di altri siti, su tutti quelli porno che ci catapultano nelle camere da letto di migliaia di sconosciuti esibizionisti o ignare vittime di una web cam. E forse, l’esibirsi a tutti in tutto è un po’ come una richiesta di aiuto? Ma internet “si usa” e spesso può essere un mezzo di promozione dirompente (Myspace ha catapultato band dall’anonimato al successo planetario; in alcuni casi gruppi, forum e blog hanno cambiato le sorti delle elezioni politiche). Un argomento sconfinato di cui in questo numero di Coolclub.it abbiamo solo accennato. Rivista, la nostra, che ha un fratello sul web (www.coolclub. it) a dimostrazione del fatto che oggi per esistere bisogna essere “always on”. Ancora un numero del giornale, che esce grazie soprattutto a internet. La maggior parte delle nostre interviste è stata fatta via mail, molti dei dischi che recensiamo li abbiamo scovati girovagando in rete, idee e suggerimenti li abbiamo scambiati in chat, assurdo come io conosca gusti musicali, letterari e cinematografici di tutti i nostri collaboratori anche se alcuni non li ho mai visti. Li cercherò su Facebook. Osvaldo Piliego

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CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 6 Numero 51 marzo 2009 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo Hanno collaborato a questo numero: Francesco Spadafora, Claudio Vitale, Dino Amenduni, Mary Tota, Matteo Serra, Tobia D’Onofrio, Ennio Ciotta, Camillo Fasulo, Vittorio Amodio, Michela Contini, Vito Lubelli, Nino G. D’Attis, Rossano Astremo, Roberto Conturso, Mauro Marino, Valeria Blanco, Francesca Maruccia, Antonella Iallorenzi e molti amici di Facebook In copertina Jeremy Shaw aka Circlesquare Nel sommario un’immagine di Supertotto Ringraziamo Manifatture Knos, Cooperativa Paz di Lecce e le redazioni di Blackmailmag.com, Radio Popolare Salento di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Musicaround.net. Progetto grafico erik chilly Impaginazione Scipione Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione nei primi giorni di marzo nella nostra nuovavecchianuova sede tra i calcinacci Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: pierpaolo@coolclub.it 3394313397

Faccia da facebook

Carlo Massarini 6 Un libero professionista (di Facebook) 10 E ti vengo a cliccare 12 Facebook è una mezza tortura 16 musica

Circlesquare 18-19 Marlene Kuntz 20-21 Dente 25 Recensioni 28 Libri

Eleonora Danco 42-43 Antonello Caporale 44 Bruce Sterlign 45 Recensioni 47 Cinema Teatro Arte

Dalle pagine alla pellicola 52-53 Recensioni 54-55 Dok F. 56 Eventi

Calendario 59 sommario 5


LA MENTE E I MEDIA: DAL FRULLATORE ALL’EVOLUZIONE Intervista a Carlo Massarini


Innovatore in tempi in cui parlare di tecnologia era argomento per pochi eletti, Carlo Massarini ha sempre seguito con attenzione gli sviluppi di tutti i processi creativi e comunicazionali legati al mondo digitale. CoolClub.it lo ha incontrato nel suo studio romano immerso nel verde. Mediamente ha anticipato i tempi di quello che è oggi l’uso comune della tecnologia? L’esperienza di Mediamente si è conclusa oltre sei anni fa, e da allora sono cambiate molte cose. Il concetto di “social network” non esisteva, così come quello di “blog”. Si parlava di “comunità virtuale”. Ne parlava Tofler come ipotesi di sviluppo per la Rete, la quale era nata come “bacheca”, come luogo dove scambiare messaggi, dove scambiarsi dei punti di vista personali. Questo lasso di tempo è cospicuo se rapportato alla tecnologia. È in termini quantitativi lo stesso arco di tempo relativo alla durata di Mediamente (dal 1995 al 2002), nel quale è successo di tutto. Nella seconda parte sono accaduti, almeno apparentemente, meno avvenimenti tecnologicamente rilevanti, nel senso che chiaramente il grande impulso alla trasformazione era già avvenuto, però negli ultimi sei o sette anni sono avvenute vicende altrettanto importanti. Il web ha iniziato a essere non più una cosa per addetti ai lavori. Moltissime persone hanno incominciato a usare Internet per i loro rapporti quotidiani, per i loro rapporti di lavoro. Questa grande trasformazione credo sia stata il “senso del web”. Ci si chiedeva agli inizi, quale fosse il futuro di Internet, dove potesse andare questa piattaforma di comunicazione, quali evoluzioni potesse prendere. Negli ultimi anni tutto è stato più chiaro: l’uso globale delle risorse, e la nascita di siti come Facebook, Youtube, Flickr e tanti altri che sono diventati “globali” nel senso che hanno centinaia di milioni di presenze, divenendo di conseguenza parte integrante del vivere comune. In questa piattaforma la comunicazione si è profondamente trasformata. In passato con una e-mail si comunicava esclusivamente con una persona in tempo reale e già questo sembrava una gran cosa. Web 2.0, condivido dunque sono? L’idea del Web 2.0 è quella incentrata sulla condivisione in tempo reale di un tema, di un argomento, e questa possibilità solo qualche tempo fa era al di fuori dalla portata di tutti noi. Questo credo abbia rivoluzionato abbastanza il nostro essere in Internet, al di là delle considerazioni sul fatto che esso possa

essere uno strumento invasivo, al di là di ogni barriera legata a fattori come tempo e barriere culturali, è diventato uno strumento con il quale le persone sono “always on”, trasformando così la nostra maniera di essere in comunicazione con il resto del mondo. Non va dimenticato il rovescio della medaglia, perché in parte tutto questo vive su aspetti marginali o privati, come una foto postata per gioco, una battuta detta fra amici, il ritrovarsi fra vecchi compagni di scuola. Si manifesta un mondo di affettività di gratificazione istantanea, che va vista non come “risultato finale” ma come “tappa” di un processo evolutivo della rete. Può Internet essere considerato il luogo planetario della memoria storica ? Il web ha evidentemente molte possibilità d’uso. Fra i vari usi, mi sembra che stia diventando uno spazio catalizzante, nel senso che, a questo punto, fra Facebook, Wikipedia, tutti i post delle persone, Youtube, Memoring, ecc, tutto questo mi fa pensare che il web sia destinato a essere la nostra memoria collettiva e sociale, che di conseguenza va a toccare il nostro inconscio. Un luogo dove depositare tutto quello che ci è successo, la cronaca, il piccolo dettaglio personale e intimo. Lo vedo, al di là di tutti gli altri usi che può avere, come il luogo della nostra memoria, con evidente riferimento alla nostra memoria reale, spesso confusa. Così come nella vita reale, anche nella sfera digitale spesso non si riesce a rintracciare al momento quella foto, quel documento. Un’esperienza affascinate e innovativa, specie se rapportata a un decennio fa, anche se già si era fatto strada il concetto di “database” e quello di archiviazione su memoria. Però il tutto va visto come un concetto in evoluzione. Questa cosa di scoprire tutta la nostra memoria in relazione a tutto ciò che riguarda il mondo, le civiltà, sia in fondo accessibile con pochi secondi di attesa, dopo qualche minuto o al massimo dopo qualche ora è un fatto sorprendente, perché vuol dire che tutto il mondo ha accesso alle informazioni e alla memoria, trovo che questo sia un grande cambiamento. Alberoni ha un concetto diverso dal tuo.... In questa epoca di grandi cambiamenti tecnologici uno può fare una scelta: ignorare o disprezzare questo mondo, anche se ci sono maniere più intelligenti di esporsi rispetto a scrivere su un quotidiano nazionale e perderci la faccia. Il rischio in questi casi è trovarsi “tagliati fuori dal gioco” ma rispetto chi sceglie di adottare questo stile di vita, che per certi versi trovo FACCIA DA FACEBOOK 7


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anche saggio. Alberoni sbaglia quando nega il cambiamento radicale della società, sbaglia a non volerlo quantomeno comprenderlo, questo mi sembra antistorico, al di fuori dei tempi. La comunicazione si è totalmente trasformata, adottando stili velocissimi di scambio nelle informazioni. L’attenzione che poniamo a queste informazioni può essere soggetta a “distrazioni” anche se credo che tutti noi disponiamo di capacità di discernimento, per scegliere se “starci dentro” o meno. Sicuramente siamo come delle “prede”, in quanto siamo esseri a caccia di informazioni, ma in realtà è l’informazione che caccia noi. Siamo in qualche maniera dentro una sorta di frullatore mediatico. Sono sì cambiati i costumi, e possiamo discuterne se in bene o in male (secondo me, la televisione ha avuto un ruolo molto più grande rispetto al web nel trasformare i nostri costumi, e spesso non in meglio). Il web è una piattaforma neutra, nel senso che può essere usato a discrezione, puoi farne un uso malevolo o meno, dalle ricerche pedopornografiche a progetti di collaborazione fra scolaresche distanti fra loro anche diverse centinaia di chilometri. La tecnologia neutra a nostra disposizione può essere rifiutata ma non può essere disconosciuta. Ci si divide anche sulle tecnologie... Il digital divide non avviene fra Paesi ricchi e poveri, ma all’interno degli Stati sviluppati, e tiene conto spesso dell’anzianità e dei presupposti culturali delle persone. Nonostante i buoni dati sulla consapevolezza informatica, persistono ancora delle reticenze in questo settore che spesso generano diffidenza nei confronti delle nuove tecnologie. La conoscenza di questi strumenti porterebbe a un rapporto più paritario e all’assottigliamento del digital divide, specie nel confronto fra la generazione attuale e quella passata. Il discorso però è molto più profondo. Posso dire, in sintesi, che è stata sbagliata la politica acculturamento da parte del governo, che è poi il soggetto che avrebbe dovuto intervenire. La chiusura di un programma come Mediamente è stato un pessimo segnale politico, aggravato dalle motivazioni per cui quanto avevamo prodotto non avesse suscitato l’interesse della massa. Agli spettatori va sempre offerta un’informazione al passo con i tempi, per non generare diffidenza nei confronti di concetti non conosciuti, e per questo spesso respinti. Tagli all’informatica nelle Scuole, pioggia sul bagnato...? Il problema della scuola è un problema che

a Mediamente abbiamo monitorato per anni, aprendoci all’e-learning. È un aspetto legato anch’esso a criteri culturali e d’innovazione. Trasformarsi costa fatica e un po’ di coraggio e non tutti i professori e non tutte le scuole sentono l’urgenza di questa trasformazione. Come sempre capita, a macchia di leopardo, ci sono stati dei punti di eccellenza così come casi di assoluta negligenza in materia.Quel che è evidente, è che l’informatica viene impartita ancor oggi con una certa fatica. Il taglio delle risorse scolastiche da destinare all’informatica trovo sia un pessimo segnale, perché è deleterio non dare ai ragazzi gli strumenti adatti a comprendere cosa si possa fare o non fare con i computer. Una vera e propria miopia. Apocalittici o Integrati? La via di mezzo è quella giusta. Non c’è da essere fanatici delle nuove tecnologie, così come è errato averne una visione che non tiene conto delle trasformazioni intercorse. L’atteggiamento sbagliato è quello di avere allarmismi o censure nei riguardi delle nuove tecnologie, perché ciò porta alla perdita di controllo, a un’errata percezione delle potenzialità dei mezzi informatici. Il rischio è quello di trovarsi dinanzi a chi ritiene deleterio tutto ciò che i tempi moderni arrecano. La tecnologia è figlia dell’emanazione del pensiero umano, ed è questa la chiave giusta per rapportarsi ad essa. Il progresso va conosciuto per essere interpretato. Francesco Spadafora FACCIA DA FACEBOOK 9


UN LIBERO PROFESSIONISTA (DI FACEBOOK) Un designer di Treviso intervista via internet giornalisti, musicisti, politici e personaggi della televisione Tutto parte da un’idea. Una sola. Quella buona. Quella che è caduta sulla testa di Mark Zuckerberg, quando nel 2004, a soli 20 anni, in una stanza del suo collegio di Harvard ha pensato e successivamente dato vita al social network più diffuso al mondo, Facebook. Quel groviglio di contatti più o meno veri, più o meno utili che conta in Italia circa 7,5 milioni di iscritti (dati Facebook Advertising) e che è sulla bocca di tutti da vari mesi. Non esiste un modo giusto e uno sbagliato di utilizzare un social network: è uno strumento come molti altri, messo a disposizione di chi ha voglia di adoperarlo. Dev’essere stato questo il pensiero che ha spinto Raffaello Setten (www.raffaellosetten. wordpress.com) a tentare il suo esperimento di comunicazione. Dall’ottobre del 2008, nel momento del boom italiano di Facebook, il designer trentaseienne di Mansuè (Treviso) fa incetta di interviste utilizzando quello stesso social che per altri è un semplice luogo virtuale in cui ritrovare vecchi compagni di scuola. Con una faccia improbabile come quella di un personaggio dei Simpson e proponendo la stessa, identica domanda per tutti gli intervistati, Raffaello è riuscito a crearsi, dal nulla, una rete di quasi 800 contatti/amici e a portare più di 3mila visitatori 10 FACCIA DA FACEBOOK

sul suo blog. “Come è cambiato il tuo modo di comunicare da quando usi Facebook? È uno strumento importante o una grande bolla?” Sono stati sue vittime circa sessanta vip; personaggi del calibro di Toni Capuozzo, Mina Welby, Roy Paci, Alessio Di Clemente, Sergio Caputo, Nicola Zingaretti, Terry Schiavo, Pino Scaccia, Emanuele Filiberto Di Savoia e, prima di tutti, Alex Badalic. Chi è Alex Badalic? Ai più questo nome dice poco, o nulla. Tuttavia, con un po’ di curiosità e con il motore di ricerca numero uno al mondo, si possono ricavare tutti i dati utili a ripercorrere il fil rouge che unisce Alex a Raffaello. Copywriter, strategic planner e web content manager di AAA creative.net. In pubblicità dal 1969, online dal 1987 (prima della nascita del World Wide Web che risale al ‘91, quando non c’erano siti e la rete si chiamava Fidonet) e definitivamente freelance dal 1992. Alex (il suo curriculum in inglese puoi consultarlo su http://www.linkedin.com/in/alexbadalic) è un maestro della comunicazione, esperto di reti sociali, e i suoi millecinquecento contatti su Facebook sembrano confermarlo; ma questa


è solo la punta dell’iceberg. I social network sui quali è presente sono troppi per contarli. È anche l’ideatore, uno dei fondatori e attualmente il responsabile operativo di Crazy Marketing Network (http://www.crazy-marketing.it/), una rete di pubblicitari specializzati in marketing e comunicazione non convenzionale. Discipline di cui ha iniziato ad occuparsi prima che diventassero note in Italia. Da questo spirito di avventura e di attrazione per il non convenzionale nasce anche il progetto di comunicazione di Raffaello, colui che si è autoproclamato “libero professionista di Facebook” e che tramite questo social ha anche partecipato al primo real show online (www. realshowonline.it). Come sempre, tutto parte da un’idea. Una sola. Quella buona. Così, Janet Pitarresi (più di tremila e trecento contatti su Fb), ragazza di 23 anni, madre e studentessa di giurisprudenza in quel di Firenze, ha pensato bene che di reality poveramente arricchiti da bellimbusti e strafighe al silicone ce ne fossero fin troppi. Ha pertanto sfruttato la possibilità data da Facebook di facilitare la conversazione mediata, per conoscere le opinioni degli utenti intorno ad un determinato tema di pubblico interesse. Il gioco, alla sesta delle otto settimane previste, prevede che una giuria scelga un tema settimanale sul quale i 20 concorrenti esprimono le proprie opinioni attraverso un filmato o un articolo. Da mercoledì a sabato sera, tutti gli iscritti al sito (registrazione gratuita) possono commentare i lavori e votare il concorrente preferito. Il quasi noto designer di Mansuè è stato eliminato dopo poche settimane, verosimilmente per lo stesso motivo per il quale ha riscosso successo fra i vip. Ostinarsi a non esporre il proprio viso può essere pernicioso quando si ha a che fare con un reality, in cui per antonomasia si dovrebbe essere trasparenti. Ma queste sono solo ipotesi, congetture. Come quelle che si sarebbero potute facilmente fare nel 2004, quando Mark Zuckerberg era un semplice studente ad Harvard. É ancora prematuro fare pronostici circa il futuro di Raffaello Setten; alcuni personaggi intervistati, tuttavia, hanno colto al balzo l’occasione di farsi pubblicità sul suo blog, approfittandone per parlare dei propri siti e lavori. Anche la stampa inizia a prestare attenzione al suo esperimento e, se tutto procede come il libero professionista di facebook si augura, a breve potremmo leggere le sue interviste raccolte in un libro. In bocca al lupo Raffaello. Claudio Vitale

PERCHÉ IL PORNO NON TIRA PIÙ

Semplice: il porno non tira più perché c’è YouPorn. In realtà questa sacrosanta analisi è solo l’evidenza di un fenomeno dalla complessità inimmaginabile, soprattutto per chi la determina, ovvero gli utenti della rete, gli stakanovisti di Facebook, i taggatori a tradimento. Ogni click, ogni scelta, ogni “mi piace”, ogni commento, ogni link (la vera moneta di scambio della nostra era) determina una trasmissione di autorevolezza. Se dieci persone inseriscono un link sul proprio blog, sarà più facile trovarlo su Google, che vive proprio di questo principio. Se tra quelle dieci persone c’è un opinion leader, una persona ritenuta autorevole dall’opinione pubblica, quel link assumerà un peso ben più grande. Sarà dunque più autorevole. Questo continuo e solo apparentemente disordinato scambiarsi l’autorevolezza, il determinare socialmente il valore di un pensiero, di un prodotto, di un bene e di un servizio su Internet ridisegna il mondo e manda al tappeto ogni teoria di marketing consolidata. Negli Stati Uniti questo meccanismo è stato analizzato e reso teoria economica che pian piano sta diventando paradigma anche per i pochissimi addetti ai lavori italiani (se ve lo racconto, un motivo ci sarà): è la teoria della “Coda Lunga” (illustrata in un libro omonimo anche nel nostro paese – il sito ufficiale è www.longtail.com), scritta nel 2004 da Chris Anderson, direttore di Wired, mensile su “persone e tecnologie che stanno cambiando il mondo”, così come cita il roboante sito italiano (www.wired.it), che lancia la versione italiana di questa bibbia degli smanettoni. Secondo questa teoria, adatta a spiegare soprattutto l’utilizzo di beni immateriali sulla Rete, sono gli utenti a stabilire se un prodotto è buono, e a determinare continua a pagina 13


E TI VENGO A CLICCARE

I politici usano il social network per incontrare e scovare gli elettori, che però possono sparire con un semplice click In principio fu Barack Obama, che di amici virtuali ne ha collezionati sei milioni. Sull’onda del Presidente degli Stati Uniti d’America, anche i politici di casa nostra sono stati travolti dalla nuova moda: far correre il messaggio elettorale sulle pagine internet grazie ai tanti siti che il web mette a disposizione. Innovazione o contaminazione di un’isola felice? A ciascuno l’ardua sentenza, ce n’è per tutti i gusti. Prendete, ad esempio, Silvio Berlusconi: se cliccate su Facebook, uno, anzi il social network più in voga del momento, c’è da divertirsi. I sostenitori del Premier ammontano ad oltre centoventimila tra gli “amici” (tali vengono definiti gli utenti che possono visualizzare, previo consenso, il profilo personale del cliccato di turno), e i gruppi cui aderiscono gli ammiratori che vorrebbero esternare al Cavaliere il proprio amore e quelli che, addirittura, lo sognano di notte. Certo non mancano i detrattori, a volte anche poco politically correct, che lo vorrebbero ovunque tranne che a capo del Governo, o che ne fanno oggetto di barzellette poco edificanti; un numero, quello dei “nemici”, c’è da dire per dovere di cronaca, di certo inferiore rispetto ai suoi fans. Pari e patta per Walter Veltroni, tra chi pronosticava (e azzeccava, ci permettiamo di dire) una 12 FACCIA DA FACEBOOK

sua uscita di scena politica e chi, invece, avrebbe voluto sostenerlo ancora a lungo. Rimanendo nei dintorni di Palazzo Chigi, mentre MariaStella Gelmini ha scelto Youtube per parlare ai giovani, Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari regionali, sbarca involontariamente su Facebook, con quattromila sostenitori che hanno fondato per lui un apposito gruppo. Di gran lunga superiore il bacino di consensi virtuali che registra il Presidente della Regione Nichi Vendola, che, tra gruppi che lo candiderebbero alla Presidenza del Consiglio e della Regione Basilicata, e altri di varia natura, conta oltre dodicimila e cinquecento consensi. Non male considerato che i detrattori ammontano ad uno sparuto gruppo di trecento persone circa. Cosa ne penserà di questo scarto Fitto, il duellante alle regionali del 2005? Forse nulla considerato che di grattacapi ne ha di più recenti e che rispondono al nome di Adriana Poli Bortone, una sfida questa, che si consuma anche via web. La fondatrice del Movimento per il Sud colleziona ben ottomila sostenitori che, compreso chi la vorrebbe a capo del Governo Regionale e Provinciale, sono circa il doppio rispetto ai supporters del Ministro.


Di campagne elettorali trendy se ne intende anche il Segretario Regionale del Pd, nonché sindaco uscente e ricandidato a Bari, Michele Emiliano che ormai da mesi sta diffondendo il suo pensiero via Facebook e nella sua pagina personale strizza l’occhio alla Poli pubblicando una nota in cui decanta le doti politiche della lady di ferro della Puglia. Sarà Facebook terreno fertile per anticipare insospettabili alleanze? Agli internauti il piacere di scoprilo in anteprima. Passando per la Provincia di Lecce, Giovanni Pellegrino rimane uno dei pochi conservatori rimasti, visto che non è menzionato sulle pagine internet. Sarà che non ha campagna elettorale da affrontare? Chi può dirlo, ma di certo Loredana Capone, il suo vice, è appena sbarcata sul social network, un po’ tardino considerando il pressing politico che i suoi colleghi stanno facendo da mesi. E i sindaci? Presto detto: Paolo Perrone, primo cittadino di Lecce sfodera sorrisi entusiasti raccogliendo quasi 3000 amici. Menzione speciale, tra gli altri, spetta a Sergio Blasi, un vero supertecnologico: da attivo militante del gruppo cittadini virtuali di Melpignano, registra di suo quasi millecinquecento amici e altrettanti lo vorrebbero alla presidenza della Provincia. Consenso bipartisan, visto che chi avanza candidature provinciali per Blasi è anche un gruppo “facebookiano” del Pdl. E il centro sinistra? Si attrezza con un gruppo per le primarie. Ma non temete, o voi che non amate la contaminazione politica di internet, perché è nato anche un gruppo che dice “No alla campagna elettorale su Facebook”, se riuscirà o meno a far valere la propria posizione è presto per dirlo. Agli amanti delle belle e vecchie battaglie elettorali, che si consumano con i media tradizionali, ci sentiamo di dire “No Panic”, presto i bei poster giganti con i sorrisi ammiccanti che promettono rivoluzioni, o furgoncini con i megafoni che annunciano comizi di piazza, invaderanno le vostre città per restituire il vecchio sapore delle propagande elettorali di un tempo. Ma ritornando ad internet… che ne sarà del silenzio elettorale che vige nelle ventiquatto ore prima del voto? La par condicio verrà completamente ignorata? Chissà! Una sola certezza ci ridona la serenità: zittire i politici sul web non è mai stato così facile… basta un click. Mary Tota

il successo dei mercati di qualsiasi forma e dimensione. Se fino a cinque anni fa dovevo spendere una fortuna per un manga giapponese, adesso posso spulciare tra siti e forum nipponici e andare a pescare ciò che preferisco. Il mercato si trasforma da promotore di “hit”, in cui pochi prodotti adeguatamente drogati da una strategia di distribuzione e comunicazione giungono al consumatore che deve scegliere tra poche alternative, a promotore di nicchie, in cui esistono milioni di micromercati che prima dell’avvento di Internet e del web 2.0 non avevano ragione di esistere perché non avevano un’economia sostenibile e che adesso, a causa del costo nullo dell’interazione produttore-consumatore (una dicotomia oramai superata: oggi si parla di prosumer, perché tutti pubblichiamo video su Youtube, oltre a guardarli) producono guadagni minimi ma costanti per chi produce e gratificazione massima per chi consuma, perché può scegliere esattamente ciò che vuole. La teoria della coda lunga trova proprio in questo la sua massima ispirazione, poiché dimostra che le economie generate dai milioni di nicchie sono superiori rispetto a quelle generate da poche hit milionarie. Di conseguenza, un mondo senza hit non solo è migliore, ma è anche più redditizio. A questa rivoluzione nemmeno troppo silenziosa non si sono rivelati pronte due corporazioni su tutte: quella musicale, e quella, appunto, del porno. Superato (con Youtube, Myspace, YouPorn) il sottile confine tra la legalità e l’illegalità nella fruizione di brani e di donnine accalorate, e mandato a quel paese il senso di colpa, l’utente della Rete può impunemente scegliere ciò che davvero preferisce, e farlo a costo zero. Non esistono più motivazioni reali per l’acquisto di questo genere di beni. Le grandi multinazionali sono corse ai ripari con video e canali “ufficiali” di altissima qualità, studiati a tavolino, che tentano di imitare la gioiosa autodeterminazione degli utenti con risultati ancora tutti da dimostrare. E così su Youtube vediamo più video musicali, e su Youporn più spezzoni di film porno e meno casalinghe alle prese con l’idraulico. Il prossimo salto concettuale? Difficile, difficilissimo: pensare ai beni immateriali non più come un prodotto, ma come un servizio. Il brano non è più un’espressione artistica, ma una componente di un immaginario fatto di merchandising, concerti, storie, relazioni con i fan. E qui mi fermo, perché so che rischio il linciaggio. Dino Amenduni FACCIA DA FACEBOOK 13


CHE NE PENSI DI FACEBOOK? È meglio se non mi iscrivo o se mi iscrivo e rimango in disparte? Parafrasando la celebre battutta di Nanni Moretti potremmo sintetizzare l’attuale stato d’animo dei possibili nuovi utenti di Facebook. Ormai non si parla di altro: si parla di Fb con gli amici, in famiglia, con la propria compagna o compagno. Insomma si parla non solo su Fb ma di Fb. Io ho fatto quello, tu hai fatto quest’altro. Pare che gli italiani (e non solo ovviamente) siano assolutamente stregati da questo nuovo potentissimo mezzo di condivisione delle proprie vite. Non era stato così per nessuna chat, per myspace o per second life. Fb è entrato come una bomba nella vita di molti. Io ho ceduto a settembre, non troppo presto per dire ... una volta qui eravamo in pochissimi ... nè troppo tardi per dire .... l’ho fatto perché ce lo hanno tutti. No! Io sono entrato su Fb mentre montava l’onda e ho iniziato ad accumulare amici fino a superare quota mille (e di gran lunga). Un giornale dedicato a Fb non poteva prescindere dai suoi utenti. Così un giorno di febbraio ho messo (e rimesso a dire il vero) la seguente domanda: cosa pensi di Facebook? Le risposte dei miei amici sono molto eterogenee. Indeciso se scrivere un resoconto commentato o mettere le loro risposte ho optato per la seconda soluzione con qualche taglio (per motivi di spazio, raccomandazioni e bustarelle). Trovate tutti i commenti sulla mia bacheca. A proposito, mi chiamo Pierpaolo Lala, cercatemi. Susanna Rizzo probabilmente me ne sto già 14 FACCIA DA FACEBOOK

stancando Andrea Gabellone prima ero una persona timida, poco intraprendente e anche un po’ goffa... da quando uso feisbuc il mio capo mi ha aumentato lo stipendio, mi sento un leader coi miei colleghi e il sabato sera , ogni tanto, limono anche Daniela Varola facebook è uno dei sintomi più palesi della mancanza di comunicazione dei nostri giorni :) Antonio Manfreda...che diventerà un altro modo per non comunicare direttamente. Lelio Semeraro che il suo diminutivo è ancora più osceno. Lorena Cafueri face..è di facili costumi!!! Alice Sabato la vera domanda è: ‘ma senza facebook rimane qualcosa a cui pensare, vero???’ Stefano Triulzi da quando c’è facebook, parlo in terza persona, faccio più foto, consumo più cartine lunghe e vino rosso per le persone che incontro. Michaela Stifani Uno strumento valido per comunicare, apprendere, conoscere e far conoscere i fatti altrui!! Serena De Carlo in buona sostanza: un modo per farsi i cazzi degli altri con una sana dose di egocentrismo, che serve per mettere in mostra i propri! Elena Ghigas lo specchio di Narciso Tony Sozzo il modo più divertente di perdere tempo. Gabriella Morelli Facce da libro è un non-spazio frequentato da milioni di persone che spesso sono escluse dalle reciproche relazioni e dalla


quotidianità. [...] E siccome è anche uno spazio di puro cazzeggio.. meno snobbismo. e ci sta tutta la solita frase passe-partout. Facebook? è solo un mezzo: ciò che importa è come lo si usa. Alessandro Spedicato ....è come una finestra sempre aperta verso il mondo che conosci...o che ti vuole conoscere....a volte è come stare sotto casa con 4-5 amici a cazzeggiare senza muovere il culo dalla sedia....se ci penso bene non è bello... ma cmq è un surrogato dello stare insieme.. anche lontani!! hihihi Danilo Andrea Rafaschieri (tramite Facebook Mobile) è un mezzo al quale ci ostiniamo a voler riconoscere un fine! Marco Montanaro facebook è uno stato mentale. Giorgio Syrigos ...il suicidio della privacy!!!! Rita Miglietta semplicimente una community nella quale condividere.. Danilo Siciliano ... per fortuna che c’è... Giselle Le Petit Facebook rientra in quei mezzi di comunicazione che rispecchiano la società moderna... sempre più impegnata tanto da non poter dedicare più il tempo necessario alle normali relazioni interpersonali... se ci pensi la maggior parte dei tuoi amici facebook neanche li vedi quando scendono a Natale, senza contare che io mando i saluti alla mia dirimpettaia tramite Faceebook perchè non la becco mai!!! Claudia Mangè È un “non luogo” dove spazio e tempo s’annullano. È un diabolico mezzo di marketing e comunicazione. È una rete sociale ,politica,economica,filosofica. È, con il tag, un modo per fermare il tempo in un posto e in un luogo circoscritto. LaMargheritella La è un modo per combattere il freddo Mara Barone è un rivoluzione sociale planetaria. Staremo a vedere le conseguenze e ne vedremo delle belle! Vincenzo Urso È un ottimo sistema per complicare inutilmente la propria vita sociale... Manuelita Miglietta è una utile agenda elettronica impersonale che, di buono ha solo la capacità di metterti in contatto con mezzo mondo e di poter partecipare ad un sacco di iniziative interessanti che magari potrebbero sfuggirti.... mentre giacchè dai un’occhiatina curiosa al tuo amichetto preferito...mica per niente,..... cosììììì!!!!! :P Gigi Rigliaco Se non hai nulla da dire non hai bisogno di FB. Se non ti interessa far ascoltare le tue parole o far conoscere i tuoi progetti, non hai bisogno di FB. Se tutti i tuoi amici vivono a pochi metri da casa tua, non hai bisogno di FB. Se vivi nel passato, non hai bisogno di FB. Cinzia Molendini è una vetrina per esibizionisti, e chi più chi meno lo siamo un po’ tutti...

Giovanni Ottini un’arma di distrazione di massa Marilena Locorotondo Facebook è una vetrina di egocentrici... o lupi solitari in cerca della non-solitudine. In fondo si sposa benissimo con il nostro insaziabile desiderio di esistere pubblicamente...” sono un facebooker quindi esisto...” Laura Scorrano la mera legittimazione delle seducenti fragilità umane Federica Conte un modo per conoscere e per conoscersi... alla marzullo insomma! Fab Mastrolia la più grande schedatura di massa mai messa in atto nella storia del mondo. per chi è tanto fesso da sputtanare i propri dati personali reali. meditate gente, meditate. Simona Larghetti Facebook è uno dei modi con cui cercano di distrarci dal fatto che facciamo una vita di merda e che le nostre giornate lavorative sono ossessionati. Tipo canale 5. Massimiliano Manieri Penso che usato bene sarebbe un favoloso binario di confluenze d’opinioni, di pensiero libero, d’espressione personale del singolo cittadino abitante nel buco del culo del mondo[...] Vincenzo Miglietta ...in questa casa si parla si parla...e non si mangia mai! Milena Galeoto Penso che attraverso l’interazione con l’altro, soffermandosi a battere sulla tastiera i propri pensieri: questa può essere un’occasione di dialogo soprattutto con se stessi [...]. Ho avuto la fortuna di incontrare persone piacevoli che mi hanno dato molto, che hanno condiviso con me il piacere per la musica, per la filosofia e per le problematiche esistenziali: questo portale è per me un grande patrimonio se seguito attraverso il buon senso e il dialogo civile. Giuseppe Santese è come lasciare la porta di casa aperta nel bronx.. Andrea Favatano il più moderno e raffinato strumento di controllo: perchè ora sono le stesse persone a mettere in mostra pensieri e relazioni sociali....ci sarà un gran risparmio di lavoro per digos e polizia!!!! Federico Mills una macchina infernale di desocializzazione. Al Pataleo fa parte di quella categoria di ‘’cose’’ con cui non bisogna mai essere troppo sinceri... Maria Pastore ..mi chiedo perchè non convertire alcuni gruppi dal virtuale al fisico.. non mi piace pensare di essere dato statistico, esprimermi a vuoto.. sarebbe una buona cosa dare continuità a ciò che ci unisce. Loredana De Vitis una perversione... Loredana: “Ciao Pierpaolo, come va casetta nuova?” Pierpaolo: “E tu che ne sai?” L.: “Come sarebbe a dire? Hai raccontato tutto su fb!” P.: “Ah già...” FACCIA DA FACEBOOK 15


permette di rimanere in contatto con loro senza tanto sforzo, di sapere a grandi linee che fanno, di scriversi e di chattare. D’altro canto Facebook è una mezza tortura perché sobilla troppo facilmente le pulsioni più basse di Internet, ovvero narcisismo, dipendenza e alienazione. Quanto tempo passi on line per lavoro? E quanto per diletto? Passo gran della mia giornata davanti a Internet. A lavoro, sempre. A casa, poi, ho due computer sempre connessi. E quando guardo la tv, è ormai un’abitudine navigare su Internet. Il tutto, comunque, non in maniera ossessiva. Direi insomma, che non è che ci sto sempre attaccato. Ma ci do sempre un occhio.

FACEBOOK È UNA MEZZA TORTURA Intervista al blogger e giornalista Federico Mello

Generazioneblog.it è un blog cliccatissimo, curato dal leccese Federico Mello. Da quella esperienza nacque un paio di anni fa il volume L’Italia spiegata a mio nonno, apparso prima on line e lì notato, voluto e pubblicato da Mondadori. Dopo vari lavori e varie esperienze politiche attualmente lavora nella redazione di Anno Zero di Michele Santoro. Cosa pensi di Facebook? Facebook è una figata. Ma è anche una mezza tortura. Mi spiego: da una parte è formidabile come mezzo di relazione tra amici, gli amici quelli veri che senti anche al telefono. Facebook 16 FACCIA DA FACEBOOK

Quali sono le controindicazioni? Come detto, narcisismo, dipendenza e alienazione. Narcisismo perché ormai tutti abbiamo un nostro spazio o profilo personale su Internet. E che sia Facebook o myspace, se non addirittura un blog o un sito, siamo portati a valutare quanto il nostro spazio o profilo sia figo su Internet (per molti, per esempio, è importante avere molti amici su Facebook). Questo narcisismo spesso porta a frustrazione. E poi dipendenza. Dipendenza perché online abbiamo sempre più cose da fare. E non ci accorgiamo che ciò che consideriamo un riempitivo di spazi morti – tipo: “controllo un attimo la mail” – diventa facilmente un sostitutivo di tanto altro. Questo porta al terzo male oscuro: l’alienazione. Non perché non viviamo più e ci lasciamo morire di fare. Ma perché tutto il cazzeggio di Internet ci toglie tempo ad altre passioni (vedere un film, telefonare a qualcuno, ecc). I trucchi per non essere sopraffatti sono pochi e misconosciuti, e per adesso si imparano solo con l’esperienza. Andrebbero insegnati a scuola però, altro che educazione tecnica. Tu hai a lungo tenuto un cliccatissimo blog. Qual è adesso il ruolo dei blog? Se ci pensi Facebook permette a tutti di aprire una sorta di blog semplificato. Un profilo Facebook è questo: un blog senza contenuti riservato ai propri amici (quelli di Facebok). Con Facebook i blog quindi cambiano e si trasformano: da spazio frequentato da una comunità che legge o commenta i post, stanno diventando lo spazio personale delle idee e dei pensieri di un blogger. Naturalmente con Facebook molti blog sono spariti. Ma è molto meglio così. Prima il blog ce l’avevano tutti. Ora no. E il mio, tra parentesi, è ancora là. (pila)


IO SIAMO Il web 2.0 è un’opportunità e uno strumento di marketing. Ma anche una definizione che potrebbe diventare presto obsoleta. Su Facebook ho meno di cento amici; ne ho novantanove per la precisione. Sì, sono uno che se le sceglie le amicizie, valuto bene prima di accettare o ignorare, quasi mai le richiedo. Non sono diffidente nei confronti dei social network o di chi distingue gli “amici” dagli “amici su Facebook”. Lavoro nell’ambito della comunicazione e delle nuove tecnologie, progetto strumenti innovativi di interazione on-line. Malgrado tutto mi spaventa quando sul lavoro si comunica via msn anche se si è vicini di scrivania e mi preoccupa quando a una battuta si risponde con il convenzionale “ahahahaha” per segnalare una risata ma in realtà il nostro viso...non ride. Gli strumenti tecnologici a nostra disposizione si evolvono naturalmente e noi con loro. Sono gli utenti che sperimentano, smontano e rimontano i programmi, li personalizzano e poi ne condividono l’uso. Il web 2.0 è l’evoluzione del web generata dagli utenti, dalla loro capacità di produrre e condividere contenuti sempre nuovi. Il web 2.0 per alcuni è un’opportunità, per altri uno strumento di marketing, per altri ancora solo una definizione.

crescere questa intuizione trasformandola in un progetto concreto. Questo è il web 2.0 che piace, il social networking che vale la pena di vivere.

è sicuramente un’opportunità Pensate a quanto stia cambiando il modo di intendere internet. Per un’azienda, una persona o un ente pubblico, prima del web 2.0, l’obiettivo principale era presentarsi, mostrarsi, farsi conoscere. Ora gli obiettivi sono: la condivisione, la voglia di mettere in comune e la necessità di conoscere l’opinione degli altri rispetto a un proprio lavoro, una propria idea, un pensiero. In quest’ottica, per esempio, si inserisce Kublai, un social network per “creativi” e orientato allo sviluppo locale. Kublai è pensato per sviluppare e rafforzare progetti creativi che abbiano un impatto in termini di sviluppo locale, e cioè sul territorio nel quale vengono proposti. In pratica ci si registra, si condivide un’idea allo stato embrionale e si chiede agli iscritti aiuto per far

è sicuramete una definizione Dal web al web 2.0, ignorando che prima di essere un complesso di strumenti di interazione è innanzitutto un trademark ovvero un marchio registrato di proprietà del gruppo editoriale O’Reilly (Tim O’Reilly, nella foto in alto, è l’inventore del termine), alla faccia della condivisione. Se un giorno il Sig. O’Reilly dovesse decidere di far valere i propri diritti probabilmente saremmo costretti a utilizzare il termine web 3.0 ma nemmeno visto che anche il termine web 3.0 è un marchio registrato. Che dire, in attesa che un guru della comunicazione globale ci sveli la prossima evoluzione che, noi, siamo stati in grado di realizzare, prepariamoci all’era del web 4.0. Matteo Serra

è sicuramente uno strumento di marketing è sufficiente pensare che il 41% degli intervistati in una ricerca sugli utenti dei blog in Italia, sostiene di aver trovato in un blog (strumento principe del web 2.0) una serie di informazioni che hanno poi portato all’acquisto di un prodotto. E che un feedback negativo di un utente rimane registrato sui motori per anni. Adidas, pioniera nel marketing web 2.0, ha venduto in pochi giorni ventiquattromila scarpe virtuali in un negozio virtuale su Second Life: un’operazione con un ritorno d’immagine notevole grazie all’amplificazione offerta dai media. Accanto a questa visione ottimistica della cosiddetta “evoluzione di internet” c’è chi pensa che il web 2.0 (o web duezero per chi di marketing ne capisce) stia rivelando sempre più chiaramente la sua natura di “macchina per lo sfruttamento (a costo zero per le imprese e a guadagno zero per gli sfruttati) di relazioni sociali e intelligenza collettiva”.

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MUSICA

CIRCLESQUARE Quattro chiacchiere con Jeremy Shaw

È appena uscito Songs About Dancing and Drugs, il nuovo album di Circlesquare. In occasione del suo tour europeo, facciamo due chiacchiere con Jeremy Shaw, aka Circlesquare. Partiamo dalla tua musica. Bomb Away, Away presenta una forma canzone sperimentale, anti-pop. La mia impressione è che all’inizio ti sia concentrato su un’elettronica minimale atmosferica e rarefatta. Adesso invece hai un batterista, un chitarrista, partiture noise/shoegaze, campioni di archi e fiati… In pratica, sembra che la tua musica si stia evolvendo in nuove direzioni. Sapresti spiegare dove sei diretto? Si, hai ragione. Quando ho iniziato a fare musica mi interessava innanzi tutto creare parti atmosferiche e un sound in cui potersi tuffare. Queste parti si slegavano e si riallacciavano al formato canzone che consideriamo “classico”. Poi col passare del tempo, è cresciuto il mio interesse verso la “canzone” stessa. Credo che il prossimo album spingerà Circlesquare ancora più a fondo, nel lato “pop” del cantautorato. Mi piacerebbe anche scrivere canzoni realmente concepite per il “dancefloor”, piuttosto che parlarne e basta (vedi il titolo dell’album, n.d.r.). Spero di non esagerare, se dico che nei tuoi pezzi c’è una vibrazione dark, soprattutto nelle parti cantate; un senso di decadenza, un’atmosfera ipnotica che mi ricorda gli anni Ottanta e la new wave. Credi che si possa tracciare un parallelismo fra alcune delle tue canzoni e, ad esempio, l’ultima produzione dei Talk Talk? Non esageri affatto. Sono sempre stato fortemente attratto da musica più dark, musica 18 MUSICA


che mi rapisce, e credo che questo si rifletta automaticamente sulla mia produzione; è quello che viene fuori naturalmente, nel momento in cui mi siedo a scrivere senza una particolare idea di partenza. A volte devo addirittura fare attenzione ad evitare cambi in minore o cantati dal tono uniforme, perché non ho assolutamente voglia di fare solo musica che è considerata dark. Conosco un unico album dei Talk Talk, Laughing Stock, che è un lavoro stupendo, ma non lo considererei una reale influenza, anche se ricordo perfettamente il volto di Rekha mentre ascoltava l’inizio del disco, la prima volta che prese il DMT (un forte psichedelico, n.d.T.). Comunque si, certamente il modo in cui scrivo e produco Circlesquare è influenzato dalla new wave/new romantic e dalle goth bands degli anni ’80. Ascoltavo (e ascolto ancora) un sacco di musica di quel periodo: gruppi come This Mortal Coil, Cocteau Twins, Tones on Tail, OMD, Psychedelic Furs, The The. Forse i Talk Talk potrebbero risultare molto utili, se andassi a riprenderli proprio oggi, quindi li aggiungerò alla lunga lista di gruppi a cui devo dedicarmi di più…

Beh, significa che adesso lavoro con un’etichetta più grossa, e per come funziona oggi l’industria discografica, questo può voler dire un sacco di cose diverse! Tutto sommato, alla !K7 è stato grandioso, fino ad ora. La Output ha chiuso i battenti nel 2006, quindi io e tutti gli altri artisti ci siamo ritrovati senza una casa. È stato un periodo strano per me, poiché appartenevo a quell’etichetta sin dal 1999. Lavorare con la Output è sempre stato fantastico, vista la bizzarra rosa di artisti, e mi è sempre piaciuto il fatto che avesse una strategia tanto originale. La !K7 ha una grossa reputazione e continua a produrre dischi stupendi… quindi sono molto felice di stare con loro.

Music for Satellites è un pezzo “noir”. In qualche modo è un viaggio slo-core, reminiscente di Low, Brian Eno, forse Badalamenti. Altri pezzi, invece, hanno un’anima più danzereccia, almeno nelle ritmiche. Quando cominci a lavorare a una canzone, hai già ben chiaro nella tua testa come suonerà il pezzo, o lasci un po’ di spazio all’improvvisazione? Cambio sempre, di volta in volta. Alcuni pezzi, come Hey You Guys, li ho scritti dall’inizio alla fine, ma sono rimasti nella mia testa per un paio d’anni, prima che mi sedessi a registrarli. Altri, come Dancers, si sono evoluti a partire da una linea di basso di 5 frasi, anziché 4. E poi quella canzone è stata ancora modificata, fino a trasformarsi nell’embrione di All Live But The Ending. Quindi cambio sul serio da un pezzo all’altro. Spesso parto da un paio di testi e poi li faccio girare attorno a una linea di basso, o a una combinazione di suoni; poi aspetto che il resto si strutturi poco alla volta. Non parlerei di vera e propria improvvisazione, quindi, ma c’è sempre spazio per provare varie idee.

Ho letto che all’epoca di Pre-Earthquake Anthem hai avuto dei problemi legali riguardo all’ Anarchist Cookbook. Di cosa si è trattato? Aveva a che fare con un progetto artistico che stavo sviluppando a quel tempo. Ho distribuito diverse copie della pubblicazione anni ’60 The Anarchist Cookbook a ragazzini quindicenni, in modo che potessero elaborare dei piani per far saltare in aria la loro scuola, o per altre idee deviate simili a questa. Era una risposta al massacro scolastico della Columbine School nel 1999 e alla fine provocò un’ingiusta demonizzazione dei teenagers è un’isteria collettiva attorno alla musica che ascoltavano. Così ho portato i disegni in un laboratorio, per farne delle cianografie. Quando sono tornato per ritirarle, sono stato arrestato da 8 poliziotti in borghese e imprigionato finché non hanno chiamato tutti i numeri del mio cellulare per accertarsi che fossi un artista e non un terrorista! Mi hanno ridato i disegni originali in grandi buste sigillate; su degli adesivi c’era scritto che erano stati testati per esplosivi e non dovevano essere toccati senza guanti… Di conseguenza questa parte del lavoro è diventata più importante della stessa idea originale. Tobia D’Onofrio

Prima hai lavorato con Trevor Jackson della Output; adesso hai firmato con la !K7. Cosa significa per te? Ti sei trovato bene a lavorare con queste etichette?

Volevo chiederti della recente esplosione del rock canadese. Non credo affatto che questa esplosione sia una coincidenza, era solo questione di tempo, prima che questi talenti venissero scoperti e sfruttati. Ma è bello constatare quanto abbiano prodotto negli anni passati, e sono contento che si prenda in considerazione il fatto che siano band canadesi.

MUSICA 19


MARLENE KUNTZ

Il chitarrista Riccardo Tesio parla del primo Best off di una delle band simbolo del rock indipendente italiano È da poco uscito il loro Best of. Dopo quasi dieci album e più di dieci anni di carriera i Marlene Kuntz sono uno dei pochi gruppi capaci di traghettare il rock indipendente dagli anni ’90 fino ai nostri giorni. Quasi gli unici a riuscire ad approdare in tv senza sputtanarsi, i soli forse ad aver mantenuto una coerenza di scelte e di stile. Nell’album diciassette brani pescati dalla discografia, un inedito Il pregiudizio e tre cover, omaggio personalissimo alla musica italiana (Non gioco più di Mina, La libertà di Giorgio Gaber e Impressioni di Settembre della PFM). Abbiamo parlato con il chitarrista fondatore della band Riccardo Tesio. Negli anni il vostro rapporto con la canzone italiana è cambiato. Come definiresti adesso questo nuovo corso? I Marlene Kuntz hanno sempre scritto canzoni 20 MUSICA

italiane, quindi in merito non parlerei di nuovo corso ma di per-corso. Certo, i Marlene Kuntz sono nati venti anni fa e noi eravamo ventenni, quindi con urgenze ed intransigenze diverse da quelle di oggi. Scriviamo la musica sempre con passione e con impegno, e soprattutto cerchiamo di non ripeterci. Questa ricerca del nuovo (nei limiti delle nostre capacità musicali) a volte produce buoni risultati, a volte meno; però è per noi un’attitudine irrinunciabile. Parlando del vostro passato non posso che farti una domanda sull’influenza che, almeno all’inizio, i Sonic Youth hanno avuto sulla vostra formazione. Sicuramente i Sonic Youth hanno contribuito a formare il suono dei Marlene Kuntz perché noi tutti li ascoltavamo molto, e andavamo a vedere i loro concerti (meglio: li andiamo a vedere tut-


za un momento di riflessione, nel momento in cui si stila la scaletta e si scelgono quali brani inserire e quali escludere. Come vedi questa irruzione degli Afterhours al festival di Sanremo? Non mi sorprende, perché da molti anni Manuel Agnelli ritiene che la scena indipendente italiana sia ricca di talento e risorse, e che sia però totalmente ignorata da una fetta importante dei media (e, di conseguenza, da quella fetta importante di pubblico che la musica non se la va a cercare). Gli Afterhours, negli anni passati, si sono impegnati per cercare di dare visibilità a questa realtà, ad esempio organizzando i festival Tora! Tora!; andare a Sanremo è un altro modo per perseguire questo obbiettivo. I Marlene condividono questa sensazione di Manuel Agnelli, come la condividono i diciotto artisti che compaiono nell’album Il paese è reale; e noi tutti speriamo che la musica indipendente italiana continui sì ad essere indipendente, ma un po’ meno nascosta, in modo che i vari talenti che scrivono musica in cantina possano continuare a lavorare e contribuiscano a rinnovare la musica italiana.

tora). Ci piaceva il fatto che si potessero scrivere “canzoni” nello stesso tempo godibili e inconsuete (in particolare a livello di suoni, ma anche di struttura): penso in particolare all’album Dirty. La nostra canzone Sonica è il tributo più evidente ai Sonic Youth, ed il fatto che tuttora utilizziamo tante chitarre e tante accordature diverse sia in concerto che nei nostri album arriva principalmente da loro. Il Greatest hits è un momento importante nella carriera di una band. Per voi è un momento di riflessione, chiudere un capitolo per aprirne nuovi, un regalo a chi vi ama da dieci anni… cosa? Per noi è principalmente un mezzo per fa conoscere i Marlene Kuntz a chi non ci ha seguiti in tutti questi anni, quindi un riepilogo delle varie tappe del nostro percorso, diventa di conseguen-

Siete tra le poche realtà indie longeve in Italia, come vedi la scena attuale e cosa credi sia cambiato in questi anni? Purtroppo non vedo molto bene la scena attuale per due motivi principali. Primo, dopo il boom degli anni novanta andare a vedere un concerto è un po’ passato di moda, soprattutto un concerto di un artista nuovo e poco conosciuto. Meno gente ai concerti significa meno locali che fan suonare, quindi meno possibilità per i nuovi artisti di farsi sentire e di imparare a stare su un palco. Secondo, la case discografiche da qualche anno sono in grosse difficoltà economiche, quindi rischiano il meno possibile e difficilmente investono su artisti emergenti. Sento poi molti ragazzi con talento musicale, che però scrivono testi in inglese. Credo che sia importante, qui in Italia, cercare di affrontare lo scoglio dello scrivere in italiano, per avere qualche speranza in più di farsi ascoltare. Cosa ti piace ascoltare in genere e quali sono, secondo te, i gruppi italiani più interessanti del momento? In questo momento i gruppi italiani più interessanti che mi vengono in mente sono: A Toys Orchestra, Il Teatro degli Orrori, Zu. Ennio Ciotta

MUSICA 21


BILLIE THE VISION AND THE DANCERS Il gruppo svedese approda in Italia 22 MUSICA


Vengono dalla Svezia, ma hanno il sole dentro. La loro musica è una fusione di pop, indie, folk. Da poco in giro anche in Italia grazie alla neonata etichetta Teakettle (vedi la rubrica Salto nell’indie), che ha pubblicato da noi il nuovo cd I used to wander these Streets, Billie The Vision and The Dancers sono veramente una bella scoperta.

con Billie? No, non lo farei. Ho aperto l’etichetta tanto tempo fa, in modo che potessi stampare i miei dischi. Non mi piace l’idea di dover dimostrare la mia qualità a qualcun’altro. Invece di sprecare energie per cercare chi mi pubblicherà, mi concentro sulla registrazione e poi pubblico l’album io stesso.

Quando ho ascoltato l’album per la prima volta, l’arpeggio iniziale di chitarra mi ha fatto venire in mente Suzane Vega e Tracy Chapman, poi quando è entrata la tromba ho pensato che ricordate i Belle and Sebastian. Credo che abbiate molte cose in comune con la band scozzese, non credi? Si probabilmente è vero. Ma non abbiamo mai ascoltato sul serio i Belle and Sebastian. Appena qualcuno sente la tromba, dice che somigliamo a loro. In realtà, musicalmente, credo che la tromba sia l’unica cosa che abbiamo in comune. Abbiamo fatto la cover di una delle loro canzoni ed è venuta davvero bene, ma, come ho già detto, non li abbiamo mai ascoltati più di tanto. Un giorno lo farò.

Lily From The Midleway Street ha un approccio pesante, sembra un blues rock alla Spin Doctors, il resto è musica più leggera… Hold My Hand, d’altra parte, sembra il seguito di Blackbird (White Album) dei Beatles: ti rendi sempre conto delle influenze oppure quando ascolti la tua musica non ci fai caso? Se ho l’impressione che una canzone somigli a qualcos’altro, allora non riesco a finire di scriverla.

Credo che l’album alterni sapientemente una toccante introspezione a ritmiche solari e atmosfere felici. Siete riusciti a raggiungere esattamente ciò che avevate in mente? Si, è esattamente il risultato che intendevamo raggiungere. Prendere sul serio ogni emozione o sensazione, e, a partire da queste, ottenere un album che fosse bilanciato. Canzoni come Groovy o I Miss You non soltanto hanno una vibrazione positiva, ma mostrano anche una dose di surrealismo e ironia all’interno del testo. Parlami del tuo approccio emotivo alla scrittura e alla composizione. Beh, per quanto riguarda I Miss You, non credo che sia tanto positiva. Non intendevo essere ironico. È una canzone su mio nonno, che mi manca da morire. Scrivo solo testi che sono importanti per me. Non sto lì a pensarci più di tanto. Questo è il vostro quarto album, pubblicato dalla tua etichetta personale (Love Will Pay The Bills). È legata in alcun modo a Billie and The Dancers, oppure il fatto che suoni in una band è solo una coincidenza? Voglio dire, apriresti un’etichetta se non suonassi

Sembra che si stia sviluppando una fertile scena musicale scandinava. Personalmente amo diverse bands svedesi, tra cui i nuovi arrivati Wildbirds and Peacedrums. Ti andrebbe di spendere due parole su questa scena? Non ho ascoltato i W&P. Forse tu conosci la scena svedese meglio di quanto la conosca io. Mi piacerebbe dire due o tre cose intelligenti riguardo ad essa, ma temo proprio di non poter aggiungere nient’altro. Sarà perchè sono troppo vicino per poter avere una visione d’insieme. Hai già visitato l’Italia quando la tua band era in tour con le Pipettes. Come ti sembra la scena musicale indipendente in Italia? C’erano o ci sono gruppi che ascolti volentieri? Come percepisci l’Italia, da un punto di vista musicale? Quando viaggi in tour in Italia, in Gran Bretagna o altrove, non riesci a fare nient’altro che guidare, dormire, suonare e mangiare. Sei così impegnato che distinguere le diverse scene è impossibile. Credevo che in qualche modo avremmo potuto farcela, ma non siamo riusciti a sentire o vedere nessuna band italiana, durante il tour. E’ stato lo stesso in Gran Bretagna. Lo stress, quando sei in giro, può essere disastroso; non impariamo mai. Oltretutto, per me è molto importante il testo, quindi è difficile capire quelli italiani. Avrei sempre voluto imparare l’italiano, per questo un giorno, forse, mi dedicherò alla vostra musica. Tobia D’Onofrio MUSICA 23


anche se, a volte, i generi servono per dare delle coordinate agli ascoltatori, quali sono i vostri punti di riferimento musicali? Meno ne abbiamo è più diventa interessante a livello musica. Abbiamo background variegati e si sente che le nostre composizioni,spesso e volentieri non sono univoche. Quindi ognuno ha un modo di suonare diverso dall’altro. Il punto di riferimento vogliamo essere noi stessi. Questo disco è una bella sorpresa, tante le novità tra cui la voce, assente nello scorso album, ci parli di questa crescita? È un percorso…. è stato abbastanza naturale e di questo siamo contenti. Nel precedente lavoro (Vectorial Maze) il disco lo abbiamo suonato e composto così come volevamo. Quasi totalmente strumentale molto pacato, onirico… ci siamo accorti che volevamo più suoni per questo disco e già la composizione era nettamente cambiata… quindi abbiamo osato quando ne abbiamo sentito il bisogno. Con voci, sinth piani ecc ecc..e questa è una caratteristica fondamentale nostra. Credo che in futuro l’evoluzione non si fermerà e muteremo in qualcos’altro.

CAMERA 237 Da Kubrick al post rock

Dopo il primo, strumentale, autoprodotto, bellissimo, Vectorial Maze la band calabrese torna con un album pieno di sorprese. Prime fra tutte la voce che si fra strada tra la precisione matematica delle trame ritmiche e melodiche. Anche l’elettronica partecipa a rendere questo disco una rinascita per band, come i Camera 237, erroneamente catalogate nel capitolo post rock. Tra le novità per la band anche l’etichetta discografica: la neonata label mantovana Foolica records. Da dove prendono ispirazione i Camera 237? Se non è qui, dove la trovate? L’ispirazione c’è, eccome!questo titolo lo abbiamo utilizzato per esorcizzare l’uscita. Bhe…l’ispirazione si prende da tutto ciò che ti sta intorno è incredibile quanto la quotidianità possa essere fonte d’ispirazione. Vi discostate dalla definizione post-rock 24

Questo disco si avvale di collaborazioni importanti, come vi siete trovati? Sono state quasi tutte improvvisate. Francesco (Donadello, Giardini di Mirò) durante il missaggio di If you are tired quasi per scherzo ha cominciato a suonare con un sinth dei suoni.. così gli è venuta l’idea poi di fare una linea ben precisa nella parte iniziale del pezzo. Giacomo (Fiorenza 42 records) si aggirava negli studi dell’alpha dept e gli abbiamo chiesto di inserire dei suoni chitarristici su Are you ready for cambogia. Carmelo (Pipitone, Marta sui tubi) è stato l’unico avvisato in precedenza prima della registrazione. È stato molto contento di collaborare e abbiamo inserito una sua parte di chitarra alla fine di In a room. Dall’autoproduzione all’etichetta, cosa è successo? Beh, ci sono voluti diversi anni. Un disco autoprodotto come Vectorial Maze,tanti concerti nei club e nei festival… ora ci sentiamo una squadra con quelli di Foolica records, la nostra etichetta… e remiamo tutti nella stessa direzione. Siamo molto contenti di averli trovati. Le differenze sono enormi. Avere un’etichetta ti permetti di essere distribuito, ti permette di raggiungere prima la gente. Un disco autoprodotto lo vendi solo ai concerti e fai fatica. Avere un team è fondamentale per andare avanti nel mondo della musica. Antonietta Rosato


DENTE La canzone italiana che fa innamorare e sorridere È una delle nuove voci e delle penne più interessanti del nuovo panorama cantautorale italiano. Dopo Anice in Bocca (2006), Non c’è due senza te (2007), esce in questi giorni L’amore non è bello, un misto di ironia e poesia, tradizione italiana e fascinazioni acustiche dal sapore moderno. Nel disco ci sono una serie di ospiti d’eccezione: Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica), Gianluca De Rubertis (Il Genio), Enrico Gabrielli (Afterhours). Giuseppe Peveri, in arte Dente, è anche uno dei protagonisti di Il paese è reale, disco voluto da Manuel Agnelli che raccoglie il meglio della nuova scena indipendente italiana. Finalmente un disco serio senza prendersi troppo sul serio. Il tuo disco riesce ad avere spessore pur rimanendo leggero, è un’alchimia ricercata? Beh direi di si… C’è una ricerca estetica che fa sì che le canzoni emergano in quanto tali , quindi un uso ragionato degli arrangiamenti e delle parti strumentali e poi c’è la scrittura che non vuole essere pesante e si prende un po’ in giro. E questo rispecchia anche il mio carattere e quindi posso dire che il disco lo sento molto naturale in questo senso. In questo disco si respira un’aria strumentale compiuta, completa. Dente ha una band? Un sacco di amici? O è diventato un polistrumentista? A parte gli scherzi, il tuo primo lavoro era decisamente più low-fi, cosa è cambiato? Questa volta avevo la possibilità di entrare in studio starci un po’ e coinvolgere altri artisti e l’ho fatto, tutto qui. Prima non potevo e quindi facevo in casa e in quasi totale solitudine ma non è che mi disgustasse l’idea di fare le cose fatte

bene, anzi, avessi avuto la possibilità di fare tutto hi-fi lo avrei fatto di certo. Tra le righe si sente l’eredità di Battisti. Quanto della canzone d’autore italiana ti ha influenzato? Involontariamente mi ha influenzato tutto quello che ho ascoltato fin da piccolo tra cui le canzoni italiane dei cantautori ma anche quelle degli interpreti degli anni ’60, che erano le mie preferite. I testi sono per lo più autobiografici, o almeno credo. L’amore ha un ruolo importante nelle tue canzoni. Il disco è uscito il giorno di San Valentino. Ti piace raccontare cose piccole ma che sembrano valere per tutti. Cosa ne pensi? Non ho mai pensato che le mie storie potessero essere condivise dalla gente. Questo è successo e la cosa ancora mi stranisce ma mi da anche gioia. La canzone e in generale la musica per me è molto terapeutica, io scrivo e suono perché poi sto meglio. Te lo avranno chiesto in molti ma noi di Coolclub.it mai… perché Dente? È una storia lontana nel tempo e priva di senso. Ti basti sapere che è il mio soprannome da una ventina d’anni. Ancora un perché. Perché L’amore non è bello? Perché può non esserlo. È la cosa più bella che ci sia ma che nasconde un potenziale distruttivo spaventoso. Osvaldo Piliego MUSICA 25


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GIORGIO TUMA

Nuovo cd per il cantautore salentino che si muove tra colonne sonore, tropicalismo, Nick Drake e Tim Buckley È un salentino, di quelli inseriti da alcuni giornalisti in una scena aliena che fa capo a uno studio di registrazione che sembra atterrato direttamente dallo spazio in una masseria in campagna. È Giorgio Tuma che per il suo secondo album trova casa nella prestigiosa Elefant records, etichetta spagnola di gruppi come Trembling blue stars, Camera Obscura e tanti altri. Domenica 12 aprile (il giorno di Pasqua) l’Associazione culturale Odelay organizza all’Istanbul Cafè di Squinzano un concerto per festeggiare l’uscita del disco. Una delle rari occasioni per sentire Giorgio dal vivo accompagnato dai Fitness forever. La prima impressione che si ha ascoltando la tua musica e che sia lontana geograficamente ma anche allo stesso tempo immersa in un tempo che non è il nostro. Cosa ne dici? Dico che in parte è vero, la mia musica guarda indubbiamente al passato ma credo di avere un margine di contemporaneità. Mi dispiace, infatti, quando mi dicono che sono passatista. Non si può prescindere da un passato musicale così meravigliosamente ingombrante se si fa un certo tipo di musica. Rielaboro anni e anni di ascolti a modo mio, con le mie note, la mia voce, il mio sentire musicale. È vero anche il geograficamente lontano, nonostante tutto credo che l’influenza dei grandi compositori italiani degli anni ’60 (penso a Piccioni, Umiliani, Trovajoli su tutti) sulle mie canzoni sia percepibile. La tua voce, o le voci in genere in questo disco hanno un ruolo dominante preponderante per ciò che riguarda la melodia, la tua in particolare sembra non essere mai

nuda… (un po’ come era per Elliot Smith). Ce ne parli? Questo disco è costruito su una stratificazione infinita di voci tutte mie e di Matilde De Rubertis. voleva essere un esperimento... un wall of sounds di voci, anche per sopperire alla mancanza di horns e strings!!! Non lo rifarò mai più... è stato massacrante, Matilde e Stefano (che ha editato il tutto.... poveretto!) te lo possono confermare. C’è tutta una scena intorno a te, che fa capo al Sud Est Studio. Semplice amicizia o cosa? Passione: è questa la chiave di tutto. Quando delle persone hanno una forte passione in comune prima o poi s’incontrano e possono nascere delle bellissime storie d’amicizia e (nel nostro caso anche) musicali. Dal Sud Est Studio sono usciti dischi meravigliosi, dal respiro internazionale e la presenza di Stefano Manca dietro al banco mixer è una felice e preziosa costante. Si parla di una scena salentina per un certo tipo di “musica alternativa” (pop, rock, punk che sia) e passa tutta dal Sud Est Studio. Questo è bellissimo. Nel disco si sente una passione per il tropicalismo, le colonne sonore, il pop più classico, cosa ascolti? Ascolto davvero di tutto. Sarebbe sterminata la lista. È tutto vero quello che dici. Io aggiungerei il folk di artisti come Nick Drake, Tim Buckley, Tim Hardin... non ho parole per descrivere la gioia nello scoprire, un po’ d’anni orsono, la musica di questi “angeli” (definirli musicisti sarebbe troppo riduttivo). Osvaldo Piliego

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GLASVEGAS Glasvegas Columbia

NICO MUHLY Mothertongue Bedroom Community

Amidon, singulti di tamburi e linee di piano proto-jazz. Un lavoro maturo, denso e toccante, che preannuncia grandi cose. Tobia D’Onofrio

AGNESE MANGANARO Mille Petali Irma Records

Quanti encomi, e quante belle parole! Critica e pubblico gridano al miracolo! Perché tanto baccano per un disco mediocre? Glasvegas vuol dire tuffarsi in canzoni pop “psichedeliche”, ma, a mio avviso, il pezzo migliore è proprio l’unico in cui non si canta. Stabbed è un numero parlato e la base di piano è celestiale; peccato che sia il “chiaro di luna” di Beethoven. Il resto è un omaggio a House Of Love, Inspiral Carpets o Jesus And Mary Chain, con l’aggiunta di qualche decibel di suono Spectoriano; le ritmiche sono spesso assenti, o ridotte a un tonfo iper-riverberato, e non basta la cassa dritta di GoSquareGo a risollevare le sorti dell’album. Il punto forte dovrebbero essere le melodie vocali, ma considerato che non ne ricordo neanche una, non sono certo tanto appiccicose. Forse Polmont e Daddy’sGone, col cantato pop in stile Ramones, sono un po’ più trascinanti, ma anche lì: la linea melodica si ripete all’infinito senza particolari sviluppi, in nome di un sound rarefatto ma sempre identico, tedioso. Mi dite perché dovrei comprare questo disco? Forse perché ha il marchio Columbia ed è prodotto da Rich Costey? Tobia D’Onofrio 28 MUSICA

Il secondo album di Muhly, pur citando apertamente l’opera di Philip Glass, prende “commiato” dal modello del mentore, per sposare una sperimentazione riminiscente di Sigurdsson e Bjork. Nico destruttura l’enfasi Glass-iana ed il minimalismo barocco ricercando una semiotica nuova, fatta di campionamenti, rumorismo e grappoli di voci. Fra le distese quasi droning della suite d’apertura, indecifrabili turbini di voci si moltiplicano in vortici passionali dentro liquido amniotico, vibranti cambi d’intensità, ritmiche compulsive e improvvisi crescendo. Campanellini e stramberie spalancano un mondo fiabesco che pare vergine e inesplorato. Monster sguinzaglia l’enfasi trattenuta a singhiozzi, e fiotti di passione investono l’ascoltatore, come se Enya sputasse cori e musica in un allucinato collage free-form. La suite successiva crea un ponte con la tradizione: il clavicembalo e il madrigale folk chiamano in causa l’amico Sam Amidon per una sinfonica epifania barocca che nasconde un abbozzo di soporifero walzer. L’ultima suite rilegge una truce filastrocca folk all’insegna di digressioni creative come la folksong per banjo con lo stesso

Agnese è soave, leggera, sembra non appartenerci, fatta della stessa materia dei sogni. Non puoi toccarli, ti piacerebbe trattenerli, ma loro devono volare via. La musica di Agnese è sogno fatto canzone, poesia, appunti di un’anima che diventano piccole gemme di rara bellezza. Immaginate che l’amore trovi simbiosi, che le idee abbiano uno specchio musicale e diventino per una perfetta alchimia, forma perfetta. Il disco di Agnese è un fiore dai “mille petali”, quelli con cui si giocava da bambini sognando l’altra metà. Il disco è toccante, su di tutto lei, la sua voce e poi la musica magistralmente cucita addosso, acqua in cui Agnese nuota libera muovendosi sullo spartito con libertà, accarezzando gli arrangiamenti con dolcezza. Al suo fianco Luca Tarantino, musicista e compositore dalla sensibilità vintage e la maestria di un direttore d’orchestra e una schiera di musicisti d’eccezione. Il risultato è un disco capace di muoversi nel mondo del pop lasciandosi corteggiare dal jazz e la bossa nova. Un disco per molti, speriamo per tutti. Antonietta Rosato


MESMERICO Magnete Octopus records

Impressionanti. Nonostante siano passati anni dalle mie indigestioni di Shellac e compagnia bella un disco come Magnete mi ha letteralmente “calamitizzato”. Un disco che ti inchioda, ti stordisce con le sue bordate schizoidi, ti spiazza con la sua precisione sconnessa, un turbine sonoro che è come un uragano che quando passa lascia il segno. Sembra una carovana e invece sono solo due: chitarra, batteria. Vengono da Napoli, sono prodotti dalla Octopus (etichetta dei 24 Grana), sono amici, manco a dirlo, degli Zu (Massimo Pupillo suona il basso in un brano) e sono stati prodotti da Giulio Favero (vedi Teatro degli Orrori). Con questi pochi ma essenziali indizi il cerchio si chiude perfetto. Il resto è nel loro HC isterico, nelle sfuriate alla Naked City, nella robustezza dei Melvins. Chi li ha visti dal vivo ne parla ancora. (O.P.)

JULIEN RIBOT Vega Ici d’ailleurs/ Tilt music

Quel tocco che è solo francese, giusto per usare un luogo comune: l’eleganza. Mai banalità più vera quando si parla di musica. Eppure non si può non

JEAN- PHILIPPE GOUDE Aux solitudes Ici d’ailleurs /Tilt Music

È un disco bellissimo. Per chi quando pensa alla musica per film francese fa subito… ah si, quello del fantastico mondo di Amelie: questo disco è obbligatorio. Prima e oltre il più commercializzato Yann Tiersen esiste tutta una serie di compositori di ieri e di oggi che vale la pena conoscere. Jean-Philippe Goude è sicuramente uno di questi. C’è nella sua musica la grande tradizione di compositori come Satie, Debussy che incontra la contemporaneità di Nyman. La musica da camera si sposa con soluzioni più innovative e contemporanee, usa il canto lirico, voci recitanti, rumorismi, archi che si adagiano su onde magnetiche, sinth. C’è vigore in questo Aux solitudes, energia vitale, passione e lunghi respiri capaci di togliere il fiato. Osvaldo Piliego

ammettere che, a partire dalla grande lezione dell’immenso Gainsbourg, il pop così snob lo sanno fare solo loro. Julien Ribot è artigiano e architetto insieme, costruisce impalcature melodiche solide non rinun-

ciando alla grazia della decorazione. Confeziona canzoni spruzzate di uno psichedelico tocco vintage, finezze nelle orchestrazioni, piccole pennellate di classe. L’immancabile gioco delle voci uomo/donna è quasi d’obbligo e arriva puntuale a zuccherare, se ancora ce ne fosse bisogno, il tutto. E poi, ciliegina sulla torta, quel velo di malinconia, quella svogliatezza che fa sembrare le canzoni posate su cuscini di notti appena finite, impigliate tra le lenzuola di un sogno non ancora finito. (O.P.)

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WINSTON MCANUFF Nostradamus Makafresh

Una carriera lunga fatta di radici ma anche di incontri, di viaggi e contaminazioni. Dimostrazione che il reggae è filosofia dell’accoglienza, dell’incontro. Dopo divagazioni più rock, soul, jazz senza mai dimenticare la Giamaica questo disco segna il ritorno. Registrato a Kingston, questo album si immerge nel roots restituendoci le doti di una voce che racconta la storia di una cultura e ne ha in sé altre mille. L’età (Winston è nato nel ’57) non ha che dato colore e sfumature alla sua voce, basta ascoltare Love is the song I sing, solo chitarra, flauto e voce. Il resto del disco si muove su ritmi lenti, quasi dub, in cui la brillantezza di suoni e arrangiamenti sono tappeto vibrante in cui tutto sembra seguire lo stesso battito, quello del cuore che anima un disco che trasuda la grande anima di uno dei leoni del reggae che parte dalla storia per seminare il nuovo. (O.P.)

LARKIN GRIMM Parplar Young God

Larkin Grimm è un’artista sui generis, figlia d’arte, anarchica, sanguemisto, cresciuta in una comune hippie. Parplar è la sua splendida terza creatura. L’incantevole voce della Grimm è a suo agio con vari registri, sa accostare al mondo fatato di Joanna Newsom, le seducenti narrazioni di Laurie Anderson e le visioni di TimBuckley. L’ouverture sussurrata su un arpeggio minimale è degna di Nick Drake. Poi arrivano coretti da strega, litanie infantili, estatici tribalismi, filastrocche, escursioni in falsetto. Piano, banjo e tintinnii guidano i cori sfavillanti di Dominican Rum, che abita un improbabile Far West. Questo è il folk, per la Grimm, esplorato in un onirico viaggio a ritroso, fino agli uomini delle caverne. Weird-folk ipnotico, esotico, fatto di danze esuberanti ed atmosfere noir. Ride That Cyclone potrebbe figurare sull’ultimo Portishead, mentre Hope For The Hopeless, solenne e minacciosa, vi farà rizzare i peli. Allora capirete come mai questo disco sia stato prodotto da Mike Gira… proprio lui, il frontman degli Swans! Tobia D’Onofrio

THE VICKERS Keep Clear Foolica records

Sempre più spesso capita di mettere su un disco e di controllare più e più volte tra le righe della copertina. E sempre più spesso resto sorpreso scoprendo

che si tratta di band italiane. Era difficile fino a qualche tempo fa ascoltare un disco senza

dargli una provenienza di suono. Beh, i The Vickers sembrano atterrati dall’Inghilterra direttamente a Firenze con un low cost. Hanno quell’indolenza britannica d’altri tempi (vedi i Kinks) con una verve molto in voga (vedi i Coral) ma sembrano anche innamorati dell’America di ieri (Bob Dylan) e di oggi (The Strokes). Su tutto la voce, anzi le voci, assolutamente la nota di colore del progetto che fa della semplicità incisiva il suo biglietto da visita. Roba da esportazione, con un bagaglio pieno di orgoglio. (O.P.) MUSICA 31


BOKOR Vermin Soul Scarlet

Metal potente e ricco di groove ma dalle forti tinte progressive. Atmosfere oscure e grandi aperture melodiche. Una tecnica d’esecuzione fuori dal comune. Un intrigante concept dedicato al parassitismo, idea sviluppata a 360° nelle sue più varie accezioni: amore, sopravvivenza e morte dell’ospite. Protagonisti: le mosche, l’uomo e il pianeta Terra. Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la definizione più calzante per descrivere quest’album che è stato oltretutto descritto dalla stampa specializzata internazionale come una delle migliori uscite dell’anno. Dopo lo straordinario successo del debutto “Anomia1” (2006), gli svedesi BOKOR tornano, quindi, con un nuovo, entusiasmante album dal titolo enigmatico: “Vermin Soul”. È un disco spettacolare che si va ad aggiungere di diritto, anche se in ritardo, ai dischi dell’anno 2008! I miglioramenti dal già interessante disco d’esordio sono notevolissimi. Provate a pensare ad un mix di bands dal sound unico come Tool, Mastodon, Opeth, Porcupine Tree, Soundgarden, Anathema e System Of A Down ed avrete un’idea di quale sia lo spettro sonoro dei BOKOR. Il contesto gode di una naturale tendenza all’evoluzione che permette alle composizioni di inglobare 32 MUSICA

influenze ben amalgamate fra loro che vanno dal prog rock anni settanta, al grunge, al death metal, e poi alternative, un pizzico di stoner e varie altre contaminazioni. Un cantato assolutamente evocativo, dalla timbrica suadente e allo stesso tempo aggressiva, e le vincenti scelte melodico-ritmiche crepuscolari chiudono adeguatamente il cerchio consegnando agli appassionati una decisa conferma della totale affidabilità di un altro gruppo prezioso per il futuro del rock duro! Camillo “RADI@zioni” Fasulo

AFTERHOURS PRESENTA: Il paese è reale, 19 artisti per un paese migliore? Casasonica

Quello che ascolti è la verità? Sembra questo il messaggio lanciato dagli Afterhours con Il paese è reale. Dopo la loro partecipazione a Sanremo a testimoniare che esiste tutta un’altra musica in Italia, gli Afterhours non escono con il disco cotto e mangiato tipico del post festival ma con una provocazione o forse con un messaggio di speranza. Questo Il paese è reale, 19 artisti per un paese migliore? Sembra la risposta a tutte le domande che hanno seguito la loro esibizione nella città dei fiori. Gli Afterhours hanno una responsabilità: quella della sce-

na indipendente figlia anche del loro lavoro sul campo ormai più che decennale. Questo disco sembra dire: “guardate quanto di bello c’è in Italia, anche se magari non è in Tv o in tutte le radio”. Diciannove, alcuni degli artisti più interessanti adesso in circolazione, hanno regalato un brano per questo disco importante. La fotografia di una scena indipendente che gode di ottima salute. Senza distinzione di genere, diversi ma uniti in questo progetto che speriamo attiri l’attenzione di nuovo pubblico per una scena che ne ha bisogno e lo merita. Osvaldo Piliego

WILDBIRDS & PEACEDRUMS The Snake Leaf

Un anno fa il mondo intero accoglieva con plauso Heartcore, un disco d’avanguardia pop minimalista che resuscitava gospel, jazz e blues in funamboliche improvvi-canzoni; uno dei migliori dischi del 2008, un esordio originale, convincente nel suo eclettismo stilistico e deciso a dispensare forti emozioni. Un lavoro in cui erano sapientemente dosati ostici assoli, ritmiche sconnesse, arrangiamenti più classici e linee melodiche free-pop. Il secondo album risale allo scorso aprile, ma viene ristampato soltanto oggi. È un disco che parla lo


stesso linguaggio soffermandosi su atmosfere più oscure ed evocative. Chain Of Steel è una ballatona rock, ma l’ossessivo incedere quasi dance la trasfigura in un surreale carosello. So Soft So Pink è funerea, alla Portishead, ma il crescendo da brivido è degno di Bjork. Liar Lion è una sonica cavalcata che sembra uscita dall’ultimo TV On The Radio. L’accattivante melodia a due voci di Who Ho Ho ricorda JoannaNewsom. Un disco, forse, meno immediato di Heartcore, ma che dimostra il talento di questa svitata coppia! Una giostra su cui vale la pena di fare un giro! E come canta Mariam negli ultimi versi “vedi, mi sento persa senza il tuo ritmo”. Capito Andreas? Tobia D’Onofrio

EXCÈS D’IDENTITÉ Excès d’identité Improvvisatore Involontario

Questo anomalo duo siculogiapponese è dedito a tessiture sonore per marimba (lo strumento caraibico) e percussioni. Il rischio è di cadere nella monotonia, ma nei primi quattro pezzi la varietà ritmica crea un effetto prog, quasi post-rock, dovuto in parte alle potenzialità melodiche della marimba; le composizioni si sviluppano evitando possibili ripetizioni e culminando in un cantautorato latino invitante e leggermente obliquo. Il seguito è in realtà più tedioso, con qualche intru-

MUNICIPALE BALCANICA Road to Damascus Felmay

Nuove folgorazioni sulla via per Damasco, questa volta musicali. Protagonisti sono Municipale Balcanica e il viaggio per un luogo mistico e carico di immaginazione. Pronti al binario di partenza i vagoni di Gypsy Train (pezzo di R. Oberbek, compositore di musica klezmer, riarrangiato per l’occasione) sono carichi di suggestioni che attraversano, nel tempo di quattordici tracce, l’Italia, i Balcani, l’ Est dell’Europa che incontra l’Asia, fino al Medio Oriente, dove la tensione di un lungo cammino si snoda e stanchi, carichi di incanti e disillusioni, pieni di nuove consapevolezze, si giunge alla meta. Il suono color ottone della fanfara barese dà voce alle storie di donne e uomini conosciuti nel tempo, tingendosi di toni drammatici quando racconta delle tragedie a largo dei nostri mari quando, ad un passo dalla riva, molte speranze annegano in acqua e di cui il brano L’Aria Migliore ne descrive le sorti; le tinte diventano sarcastiche in Orso Ballerino ispirato alla tortura spettacolarizzata del povero animale: siamo “il pubblico indifferente, il padrone crudele, o l’orso incompreso, che si scotta le zampe, e che tutti credono stia ballando”? Il disincanto raggiunge l’apice con la Discesa agli inferi di Syndrome of Babilon in cui il testo, tratto dall’epopea di Gilgamesh, racconta la realtà dei conflitti attraverso suoni e voci reali della guerra del Golfo. Ma viaggiare è anche festa, partecipazione e i pezzi tradizionali Kolomeika, Artigiana De Luma e Usti Usti Baba danno suono a queste convivenze. Un viaggio, Road to Damascus, che non racconta tanto l’arrivo quanto la strada percorsa per raggiungerlo, passando per tempi dispari, ritmi zoppi, luoghi, coscienze e storie dei popoli incontrati in un tragitto che dura meno di sessantacinque minuti. Viviana Leo sione di tablas a rianimare l’atmosfera e poco più. Poi nel finale si riaffaccia l’approccio prog e la narrazione sonora torna ad essere intensa. Più interessante andare a sfogliare il booklet, rifinito nella grafica con quadri, poesie in tripla lingua Italiano-Francese-Giapponese, allusioni politiche ed ecologiste radicali. Sembra un peccato che i passaggi più riusciti oc-

cupino soltanto metà dell’album. Recita il booklet: “Com’è dolce confondere i ràga, il rap, e i rasta in un precipitoso agro. Com’è dolce calpestare l’avorio e l’ebano per eseguire Notturni, ubriachi di vodka e sublimare i coaguli rock. Preghiamo perché la musica si allontani dalla parabola e si perda sull’asintoto della follia.” Tobia D’Onofrio MUSICA 33


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AVANTI POP

Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Planet Funk – Lemonade Torna il collettivo tutto napoletano guidato da Alex Neri, torna un suono che oramai è facilmente riconoscibile al primo ascolto, torna uno di quei progetti tutti italiani che è riuscito a sfondare, quasi più all’estero che nel nostro paese. Dove spesso, se canti in inglese, non sei una bandiera della nostra musica. Torna Dan Black alla voce. E torna dopo il grandissimo successo con il primo album dei Planet (Who Said vi dice niente?) e una discutibile carriera solista, in una sorta di parabola del figliol prodigo in chiave musicale. Un brano onesto, che non dice nulla di particolarmente nuovo, ma si fa ascoltare con immenso piacere. Kings of Leon – Use Somebody A pochi mesi dall’esordio di questa rubrica, abbiamo già la prima citazione doppia. I Kol erano già stati inseriti in Avanti Pop con la loro Sex on fire. Ma con il loro secondo singolo appaiono ancora più bravi ad incarnare il gioco che è alla base di questa rassegna mensile. Un gruppo rock, senza dubbio alcuno, capace di toccare le corde di qualsiasi tipo di pubblico con un pezzo che, pur essendo assolutamente orecchiabile, non tradisce le origini della band della famiglia Followill (tre fratelli e un cugino, originari del Tennessee). Inserite Use somebody in quella categoria trasversale dei cosiddetti “inni da stadio”. Jem – It’s amazing Dopo averla ascoltata più volte e aver deciso di inserirla nella cinquina del mese, ho scoperto che questa piccola perla fa parte della colonna sonora del film di Sex and the city. Per quanto possa essere pop, c’è sempre qualcuno che mi frega. La trentaquattrenne gallese, quasi carneade nel nostro paese, è invece piuttosto citata anche

all’estero, ma più come chicca da sigla televisiva (i sospetti aumentano) che da cantante pop-folknew-wave-chipiùneha. Anche da noi qualcuno la ricorda, per un singolo del 2004, They, anch’esso glorificato da quelle quattro o cinque serie televisive. Ok, è la cantante dei jingle. Prodigy – Omen

Chiariamo: sono tornati quelli del 1994. Che vi piaccia o no. Hanno realizzato un album assurdo, discutibile, che vi lascerà senza parole. Si chiama Invaders must die, ripropone la terna magica Liam-KeithMaxim, ospita Dave Grohl, annulla ogni voce e punta tutto sul suono. Le classifiche europee apprezzano. Qui c’è molto poca orecchiabilità mainstream, di pop c’è sicuramente una storia fatta di eccessi e talento infinito che, in qualche modo, trasfigurando e tradendo se stesso, riesce a tornare e sfondare. Kid Cudi vs. Crookers – Day’n’nite Il pezzo di Kid Cudi è già vecchio di un anno. Non sarà di questo che parlerò, ma del solito duo milanese, snobbato in patria ed esaltato all’estero, di cui ho già parlato su precedenti numeri di Coolclub. Da Milano, fanno musica “ignorante”, suoni grezzi, sporchi, poco raffinati, poco chic. Un anno fa un loro dj set costava meno di 3000€, ora bisogna pagare 6 volte tanto. Sono arrivati secondi come vendite in Inghilterra, proprio con questo pezzo (chi ne parla? Nessuno), le radio continuano a spingere. E un po’ come i Planet Funk, ci chiediamo perché questa è ancora ritenuta musica italiana di serie B. Vista, poi, la qualità di quella di serie A. Perché Sanremo è Sanremo. Dino Amenduni 35


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DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... Joe Barbieri – Fammi tremare i polsi Waglione di Pino Daniele, napoletano anche lui, nuova proposta a Sanremo 15 anni fa, produttore dei Kantango (i Gotan Project del Vomero) e di Patrizia Laquidara. E ora, finalmente, Joe Barbieri. Dopo 5 anni di silenzio ha fulminato il pubblico jazz con il primo singolo tratto da Maison Maravilha, album in cui spicca la collaborazione della cubana Omara Portuondo, che lo accompagnerà in concerti in tutto il mondo. Vai e torna vincitore. Royksopp – Happy up here Il primo caso di autoplagio della storia della musica? In verità molti artisti hanno fatto successo con la ripetizione della stessa soluzione ritmica, con i soliti due o tre accordi è stata costruita la storia del punk. Ma qui non si riesce a capire se è comodità o genio. I Royksopp, duo norvegese pronto a dare alle stampe la coppia di album Junior (2009) e Senior (2010), partono per questo ipotetico percorso di invecchiamento andando a ripescare dal loro primo singolo, quella Eple che fece impazzire gli addetti ai lavori prima che l’orso Leno chiarisse definitivamente le loro intenzioni: conquistare il mondo, non solo la pista da ballo. The pains of being pure at heart – Everything with you. Direttamente dal 1969, i “tormenti di essere puri di cuore”, dopo un ep autoprodotto nel 2007 e una gavetta decisamente inusuale, visti i tempi (“sei bravo? Fai un brano, vendi poco e ti bruciamo “), trovano un etichetta anglosassone disposta a

scommettere su di loro, newyorchesi nudi e crudi. Speriamo che la gavetta abbia portato bene. Una piccola primizia noise-pop che pur tradendo un’eredità gigantesca rispetto ai suoni di 40 anni fa, merita di essere inserita nel novero delle novità. Beirut – Nantes

Non è una partita di coppa UEFA, è solo una singolare coincidenza tra il nome del collettivo guidato dall’americano di Santa Fè Zach Condon che, accompagnato da 9 strumentisti, sta realizzando lavori sensazionali. Da un nome libanese a una canzone dedicata alla città atlantica della Francia. Volendo sforzarsi di trovare dei motivi, potremmo pensare ad Amelie, ma in realtà qui c’è qualcosa in più. C’è la fusione di suoni antichi e nuovi, c’è un sapore rètro e contemporaneamente la profonda attualità multiculturale impersonata da un kletzmer-pop israelo-americano che dovrebbe appartenere ad “Avanti Pop”. Ma ci tocca aspettare tempi migliori. Sia – Soon we’ll be found Nella categoria “inspiegabilmente sottovalutati” non può non apparire l’australiana Sia Furler, nota al grande (?) pubblico per essere stata la cantante degli Zero 7 dei tempi migliori, quelli di Destiny. Al secondo album solista gioca l’asso con un brano semplice e abbastanza di maniera, che però le permette di far partire l’ugola. A scanso di equivoci, di quelli equivoci, purtroppo tipici della musica contemporanea, che impediscono alle voci dei gruppi vicini all’elettronica di avere un’identità musicale propria e riconosciuta. Dino Amenduni

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SALTO NELL’INDIE

Inesauribile il nostro viaggio alla scoperta delle etichette indipendenti italiane, inesauribile come l’entusiasmo che anima questi ragazzi. Una giovane label ma con le idee molto chiare che non ha gli occhi puntati solo sulla nuova scena nazionale ma anche sull’estero. Nella vostra presentazione mettete subito le cose in chiaro, non c’è bisogno di nuove etichette. Eppure la soluzione sembra essere comunque mettere su una nuova etichetta. Paradosso simpatico che spiega l’irrazionale passione che muove ogni amante della musica. Ce lo spieghi? Si un paradosso simpatico forse... ma credo sia comunque una situazione reale. Ormai chiunque nel mondo della musica si improvvisa produttore o musicista, grazie anche alla tecnologia che facilita molte cose. Questo può essere una cosa positiva ma anche negativa, perché in questo modo non è più così importante la reale capacità e attitudine di una persona. Musicista può esserlo chiunque, anche chi non conosce le note, e lo stesso vale per le label. Tutti possono avere una propria etichetta, senza necessariamente avere un’esperienza in tale attività. È un bene o un 38 MUSICA

male? È vero che in questo modo la musica gira di più, ma è anche vero che la qualità si abbassa notevolemente e spesso bravi gruppi alle prime armi finiscono nelle grinfie di etichette inesperte e improvvisate... Siete spudoratamente anglofili e indie, quali ascolti hanno fatto nascere Tea-Kettle? Tutti i nostri gruppi, per il momento, cantano in inglese ed hanno sicuramente certe influenze... Da poco abbiamo aperto anche uno spiraglio verso la musica svedese, con gli eccezionali Billie the Vision and the Dancers, band che io adoro e che mi sta dando, seppur in TK da poco, tante soddisfazioni. In Tea-Kettle conta soprattutto il gusto personale, se una band mi piace, non ho dubbi... Sicuramente il fatto che io ascolti prevalentemente band non italiane influenza le mie scelte artistiche. Ci parli un po’ del vostro catalogo? Al momento il catalogo di TK comprende quattro band: i primi usciti con noi sono i parmigiani Isabel at Sunset, il cui primo album Meet the Gang! è uscito nel giugno del 2007. Al momento la band ha in programma un nuovo album che sarà re-


gistrato nel marzo del 2009 negli Stati Uniti, precisamente a Portland da Jeff Saltzman, già produttore di artisti molto noti come - solo per citarne alcuni - Death Cab for Cutie, The Killers, Malkmus; The Clever Square, giovanissimo duo di Ravenna, che propone un pop-folk in chiave decisamente lo-fi. I loro lavori sono tutti scaricabili gratuitamente dal web. Noi abbiamo fatto uscire un loro ep, sempre scaricabile gratuitamente dalla rete. Siamo in attesa di un nuovo album; dopo l’estate uscirà poi il nuovo atteso album degli Home, band veronese rock’n’roll. Si tratterà di una co-produzione tra TK e Manzanilla Dischi, label di Verona che lavora già da tempo con la band. Il precedente album degli Home è stato accolto molto bene, ed è stato presentato con un lungo tour che ha avuto davvero molto successo di pubblico. Speriamo quindi di replicare. Ultimi per data di “ingresso” in TK sono, come dicevo prima, gli svedesi Billie the Vision and the Dancers, band a cui tengo particolarmente. La band è appena stata in Italia per un mini tour di presentazione del loro nuovo album “I used to wander these Streets”, ed è stato un successone. Il loro pop è davvero contagioso e credo sia impossibile restare fermi ascoltandoli e impossibile non innamorarsene. Come si “posiziona” (se per un attimo vogliamo fare i seri) nel mercato nazionale? Sono sicuramente 4 band molto diverse tra di loro, per genere e per posizionamento sul mercato. Si va infatti dall’indie-rock, al folk, al puro pop....Ma nonostante questo credo che tutte e quattro le band possano avere una parte di pubblico in comune, perchè in qualche modo ci sono certe attitudini e caratteristiche trasversali a

tutti e quattro. Sicuramente quella dei Billie è una situazione un po’ diversa, essendo una band straniera che propone dischi da tanto tempo ed ha già una buona visibilità in italia ma soprattutto all’estero. Questo numero di Coolclub.it è dedicato al web 2.0. Quanto internet aiuta realtà piccole come la vostra? Come dicevo prima, internet è diventato fondamentale, per le piccole realtà. Credo che sia sicuramente il punto di partenza ma dopo non può essere l’unico mezzo per andare avanti. Sicuramente rende tutto molto più facile e veloce e questo è importante oggi come oggi, visto che è spesso necessario avere feedback immediati. Con Internet si può entrare in contatto con artisti e realtà straniere che magari altrimenti non si sarebbero conosciute. Internet è poi ovviamente un mezzo promozionale, capace di creare un “passaparola”, ormai fondamentale specie nella musica. Chi produce musica ama il disco anche come oggetto, in questo periodo di scomparsa della musica ha ancora senso collezionare dischi? Credo che chi veramente ami la musica, voglia avere l’oggetto disco, oltre agli mp3 da caricarsi magari nell’ipod. L’mp3 è sicuramente un formato comodissimo, che consente di ascoltare musica ovunque ci si trovi. Il disco però continua a conservare il suo fascino. Sarebbe un gran peccato e un ernorme sbaglio se sparisse. Formato digitale e formato tradizionale a mio avviso possono e devono co-esistere, uno non esclude l’altro.... Antonietta Rosato

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ON THE ROCK

Dischi da ascoltare tutto d’un fiato

Curare una rubrica musicale mi ha sempre affascinato ma nessuno me lo ha mai lasciato fare, dico una rubrica tutta mia dove scrivere delle mie passioni, delle piccole scoperte e riscoperte, delle ore passate surfando in rete alla ricerca di notizie e nuovi ascolti o solo a curiosare (del resto questo numero è dedicato a facebook... straordinaria edizione telematica di “Chi la visto?”...). Da questo numero proverò quindi a raccontarvi, attraverso le segnalazioni di una manciata di dischi e link vari, dell’universo sonoro che mi appartiene, quello che gira nel lettore della mia Agila, nelle cartelle musicali del mio notebook e nel fedele nokia73. Partiamo dall’ultimo disco di un signore irlande40 MUSICA

se, il quale, senza timore di raccogliere ortaggi per i suoi contorni vegetariani, ha deciso di rifare non solo il suo più bel disco mai realizzato ma uno dei classici della storia del rock. Un’operazione detta così, impossibile, eppure Van Morrison ce l’ha fatta. Il disco in questione è Astral Week pubblicato originariamente nell’anno di grazia 1968: un album straordinario che Van registrò con un quintetto “jazz” e ne fece uno dei migliori album rock di sempre. Il folletto di Belfast a soli 63 anni lo ha (ri)suonato tutto dal vivo, in due serate nel novembre scorso all’Hollywood Bowl di Los Angeles. Ne ha ricavato subito un album (vi raccomando la versione in doppio vinile e dopo l’acquisto scaricate dalla rete gli mp3 che vi porterete in giro), che inaugura la sua nuova etichetta ed è probabile che se ne fac-


cia più avanti un dvd. Sul sito (www.vanmorrison.com) è online un bellissimo video estratto dall’evento. Ora parte un tour con doppio concerto a Londra (18 e 19 aprile al Royal Albert Hall): che dite, organizziamo una gitarella?... Di questo disco RollingStones scrive “It seemed that once he breathed in the perfume of these eight songs, he didn’t want them to end — and looking at the enraptured crowd, he wasn’t the only one”. Non so a voi, ma a me capita spessissimo di essere sedotto dalle voci femminili. L’ultima infatuazione è per Julie Miller (peccato che sia sposata...) che proprio con Buddy (un sodalizio non solo musicale...) registra questo Written in Chalk a distanza sette anni dal precedente (nel mezzo collaborazioni ed album solisti). Questa è pura country music. ma non quella becera, priva di soluzioni strumentali degne di nota... Del fraseggio chitarristico del sig. Miller, Robert Plant, che nel disco è ospite, ha avuto modo di dire: “Sono stato in grado di ascoltare il grande Buddy catturare momenti stilistici della chitarra americana e renderli ruggenti nel presente”. Se poi ci aggiungete che nelle dodici tracce presenti, oltre all’ex Led Zeppelin, ci trovate gente del calibro di Patty Griffin, Regina McCrary ed Emmylou Harris il gioco è fatto. Come si dice: un disco di grande spessore. Dicevo della mia passione per le voci (?) femminili: sarà per questo che nell’eterna diatriba tra Beatles e Rolling Stones io ero dalla parte di Mick Jagger. Ma volete mettere le scialbe Linda Eastman o Yoko Ono con Marianne Faithfull. L’occasione di riascoltarla me la offre un album pubblicato sul finire dello scorso anno dal titolo Easy Come Easy Go. Dieci canzoni per gli amanti della musica, che diventano diciotto nell’edizione deluxe con DVD. Nel disco almeno un paio di brani sono dei capolavori, Ooh Baby Baby di Smokey Robinson con Antony alla voce, e Sing Me Back Home di Merle Haggard, dove Marianne duetta con sua maestà Keith Richards. La signora da un po’ di anni ha deciso di rimettersi in discussione e in questo ventiduesimo album della sua discografia decide di (re)interpretare dodici canzoni scelte con cura insieme al produttore Hal Willner e con la partecipazione straordinaria di Nick Cave, Chan Marshall (Cat Power), Anthony

Hegarty, Sean Lennon, Keith Richards, Teddy Thompson e Rufus Wainwright. Pensate che sia un vecchio e nostalgico rincoglionito? Beh, sappiate solo che nella band che accompagna l’autrice di Sister Morphine figura un certo Marc Ribot. Fidatevi... E giusto per rimanere in tema... Nel senso che quando l’ascolti e la vedi ti innamori... Susan Tedeschi (nella foto a sinistra) ha pubblicato, sempre sul finire dello scorso anno, Back To The River. Dieci brani su undici sono di suo pugno e lei suona con l’apporto di grandi firme del rock come Tony Joe White, John Leventhal, Gary Louris, Derek Trucks (che è suo marito...) e la giovane stella Sonya Kitchell (a proposito questo è il suo link su facebook: http://www.facebook.com/ pages/Susan-Tedeschi/15750194565). “La più grande blues woman dai tempi di Janis e Bonnie”, così la pensa Bob Vorel, mente e anima di Blue Revue Magazine e io non posso che essere d’accordo. In una recente intervista a detto di se: “Ho cercato di recuperare il feeling di certi dischi dei primi anni ’70, gente come The Band, Bonnie Raitt, un disco che suonasse timeless, senza tempo. Negli anni ’70 non c’erano le divisioni musicali che ci sono oggi, il rock, il blues, il folk… Ho cercato di pagare tributo ha questa idea di fare musica”. Infine un salto sul web: tenete d’occhio il sito di Bob Dylan (www.bobdylan.com) vi ci trovate nella sezione video un bel po’ di materiale imperdibile (tipo Bob Dylan, Live In Newport) e qualche mese fa era disponibile il download gratuito della spettacolare Dreamin’Of You, uno degli inediti della Bootleg Series vol. 8. www.wolfgangsvault.com invece è il sito di proprietà di Bill Graham uno dei più grandi organizzatori di eventi musicali di tutti i tempi. Basta iscriversi (free) per avere accesso ad una miriade di contenuti audio/video di grande valore. Un esempio su tutti: la registrazione originale degli Allman Brothers Band al Fillmore East nel 1971. Quei nastri divennero poi la fonte del leggendario live At Fillmore East riconosciuto come il più grande album dal vivo di tutti i tempi. Bye-Bye! Buoni ascolti.... Vittorio Amodio

MUSICA 41


LIBRI

ELEONORA DANCO Minimum Fax pubblica i testi teatrali della giovane autrice, attrice e regista romana Eleonora Danco è autrice, regista, attrice. La prima volta che sento parlare di lei mi viene detto che è la rivelazione del giovane teatro arrabbiato, una sintesi tra Pier Paolo Pasolini e Sarah Kane. Diffido sempre delle definizioni-etichetta, ma nel teatro di Eleonora, come un pugno nello stomaco, ritrovo davvero gli eccessi scenici e verbali del teatro delle Kane, e la illuminante poesia del vero pasoliniano. Ero Purissima, edito da Minimun Fax, è la raccolta dei suoi testi per il teatro. La sua scrittura ha una potenza comunicativa fortissima, ha la forza, necessaria e vitale per la parola teatrale, del qui ed ora: leggere i suoi testi è come vederli accadere. In questo parlare per immagini, la scelta del dialetto romano, che di per sé ha una capacità immaginifica prepotente, sicuramente aiuta, ma non credo sia legato solo a scelte di tipo stilistico. Si avverte l’urgenza di creare un sincretismo tra forme artistiche diverse, di “trattare la scrittura come fosse colore” come Eleonora stessa dice, rivelando l’ispirazione di Nessuno ci guarda alla pittura di Jackson Pollock. Come scegli i tuoi personaggi? Come costruisci le loro storie? Dipende. A volte mi partono dal cuore, dalle mani, dalla testa, non smetto fno a che non è come dico io, a volte sono nati su commissione, mi davano un tema e dovevo inventare un personaggio, “Dove metterlo? Cosa fargli dire? Come farglielo dire?”. Ci sono tanti livelli da superare. 42 LIBRI

La pittura per me è una fonte d’ispirazione importante perchè non ha psicologia, ti fa arrivare le cose per quello che sono, l’autunno di Van Gogh è l’autunno, te lo senti nel naso, l’astrazione matematica compulsiva, immediata di Pollock, che sembra fatta da un bambino e invece è un calcolo di getti colorati. La libertà di Picasso, che faceva le sculture con i pachetti di sigarette, sono sentieri per me, cose a cui mi appiglio con forza e riconoscenza. La scrittura è forma, ritmo, colore, imeddiatezza, stati d’animo; è vita. L’infanzia e l’adolescenza ricorrono spesso nei tuoi testi. Ci racconti della tua infanzia, dell’importanza che ha avuto nella tua vita? Ero una furia, il mio corpo come il mio cervello non si fermavano mai, ero gioia di vivere allo stato puro. Soffrivo anche ma non vi dirò perchè, e mi ribellavo anche a quella sofferenza. L’infanzia è il momento che ti cola il naso e non te ne frega niente, puoi fantasticare, perdere tempo, passare un pomeriggio ad aspettare che passi un treno per vedere se schiaccia la moneta che hai messo sul binario, e non hai morale nell’infanzia. Poi viene tutto represso dell’educazione, la religione, la scuola, la famiglia. Non sempre in senso negativo, ma se il bambino a un certo punto si fa assorbire da questa uguaglianza inevitabilmente ipocrita, l’artista dovrebbe cercare di ribellarsi anche a se stesso e mantenere quell’atteggia-


mento irresponsabile anche a costo, come diceva Fellini, “di essere bruciato da questo inevitabile conflitto” Oltre che autrice, sei anche regista ed attrice. Come cambia il tuo rapporto con il teatro in relazione a questi diversi ruoli? Quando scrivo penso al ritmo ai personaggi e all’immagine evocata dalle parole. Devo diventare quella cosa che sto scrivendo, è molto simile al modello dell’intepretazione ma in modo diverso. La scrittura avviene da seduti e tutto quello che scopri e che ti si rivela davanti passa attraverso la mente, il corpo è un’elemento che giace sulla sedia, ma ogni volta che finisco di scrivere la mia faccia ne è provata come se avessi corso per ore. È impegnativo scrivere, è la cosa più faticosa per me, il confronto con il foglio è come la tela bianca per un pittore, non potrai mai decidere troppo a tavolino, poi tutto cambia e l’idea o lo spunto iniziale molto spesso vanno altrove. Ora sento che potrei spostarmi su una scrittura diversa, ho voglia di spaziare, ma non so bene come, ho voglia di lavorare con gli altri, partendo dalle interviste, di tornare per strada. Quando sono in scena mi diverto molto, ma arrivarci fa parte di un processo complesso, e credo personale, la memoria, il corpo, la fisicità, i blocchi, tutte le sere, trovare quella concentrazione, io devo estraniarmi, mi trasformo, mi cambia anche la voce, vado in stato di trans, ho una forza incredibile prima di entrare in scena, mi predispongo a lasciarmi completamente andare al personaggio, entrare in scena equivale per me ad essere pronti a commettere qualsiasi cosa in totale apparente leggerezza, è un artificio, devo prendere la luce in quel dato momento e in quella battuta precisa, è tutto studiato, sono tanti livelli, perchè poi c’è la voce, il suono, e il ritmo, che deve essere vero, ma trattenuto,involontario, e per arrivarci devi provare e sventrarti, è regia nella regia. In particolare, nel ruolo di regista, come scegli i tuoi attori? E che rapporto stabilisci con loro? Devo essere attratta dalla persona, in qualcosa mi devo riconoscere, per me gli attori non sono pezzi di carne con la voce, ho bisogno di persone con una vita propria, pronti a far uscire la parte più intima, complessi, gioie, paure. So di chiedere molto agli attori, ma è lo stesso atteggiamento che applico su di me, pretendo il massimo. Tutte le sere ripetere lo stesso spettacolo e mantenere la stessa tensione, la stessa vitalità, tecnica, non è facile, molto spesso gli attori tendono a fare gli “attori” a sedersi, a “sentirsi nella parte”, ho bi-

DEBORA PIETROBONO (A CURA DI) Senza Corpo. Voci della nuova scena italiana Minimum Fax

Dopo i tre Best of dedicati alla letteratura e curati da Antonio Pascale, Giulio Mozzi e Mario Desiati, quest’anno Minimum Fax abbandona la letteratura per indagare nell’affascinante mondo della scrittura per il teatro. Senza Corpo. Voci della nuova scena italiana, a cura di Debora Pietrobono, raccoglie infatti otto testi teatrali di Lucia Calamaro, Tino Caspanello, Giuliana Musso e Massimo Somaglino, Sergio Pierattini, Daniele Timpano e dei pugliesi Oscar De Summa, Michele Santeramo e Alessandro Langiu. “Come una collezione privata di animali, con pesi, caratteristiche, temperature diverse, questa raccolta si nutre di distanze e differenze”, sottolinea nella prefazione la curatrice. E in effetti si varia molto nella lingua (con una bella miscela di italiano e dialetti) e nei modi di scrittura, nelle tematiche e negli esiti in scena, che sul libro ovviamente non possiamo apprezzare. “Manca il corpo dell’attore”, spiega Debora Pietrobono, “ma è proprio ciò che manca a trattenere un che di materico e ad aprire uno spazio al lettore, invitato ad azzardare ipotesi, immaginare volti e posture, o invece a raccogliere un racconto e dimenticare la scena. sogno di persone disposte a non sentirsi nulla di sicuro, di attori “vivi”, che mettano in continua discussione la cosa che fanno, non bisogna accontentarsi, è la fine, è la morte, è la parte del teatro che mi da più fastido. Alla raccolta, hai dato il titolo di un testo composto nel 2003, Ero Purissima, appunto. Ci dici che cos’è, per te, la purezza? Nel caso del titolo si tratta di Eroina Purissima. La purezza anche per un impercettibile istante fa vedere la dolcezza delle cose, mostrandone di conseguenza anche l’aspetto opposto, lo spietato della vita da cui siamo attratti e che produciamo, in ogni caso la purezza è verità, quella che ci sfugge, anche la cosa peggiore può diventare purezza. Michela Contini LIBRI 43


ANTONELLO CAPORALE

Il giornalista di Repubblica racconta un paese con appalti senza gara, cantieri senza fine, treni senza bagni, traghetti con la ruggine “Il potere della mediocrità misura esattamente la distanza che separa il talento dal successo”. Il giornalista di Repubblica Antonello Caporale, già autore de La ciurma e Impuniti, in Mediocri. I potenti dell’Italia Immobile (Baldini Castoldi e Dalai Editori) passa in rassegna e analizza tutti i mali dell’Italia provocati dalla mediocrità: politica, finanza, impresa, scuola, giornalismo, università, sanità. Il quadro che ne scaturisce è impietoso. “Secondo me ci stiamo avviando ad essere uno dei Paesi più ricchi del terzo mondo”, sottolinea il giornalista. Questo lungo viaggio, durato nove mesi, ha visto anche la partecipazione di sette giovani giornalisti (o aspiranti tali), tutti con un 110 e lode in tasca. Manuela Cavalieri, Serenella Mattera, Marco Morello, Flavia Piccinni, Sabrina Pindo, Francesca Savino e Carlo Tecce accompagnano Caporale nella realizzazione di questo affresco che non dovrebbe farci stare tranquilli. L’Italia è un paese di mediocri o sono solo i mediocri che, per un motivo o per l’altro vanno avanti? La mediocrità è il vizio nazionale. Essere mediocre non significa essere fesso, vuol dire ritenere l’inazione, l’immobilità, come un plusvalore. Il mediocre sa stare in fila, aspetta il suo turno, omertoso e immobile. La mediocrità conserva e sclerotizza, il talento innova ed espande. La mediocrità allontana le responsabilità, i grattacapi, le prese di posizione. È il rifugio sicuro di chi chiude gli occhi. E ama mantenerli così. Chi sono i veri mediocri? Siamo un po’ tutti. Il libro ha per titolo Mediocri, non “I mediocri”. Non ci sono buoni e cattivi, io che scrivo e punto il dito e indico. La collusione sociale, la mancanza di rigore, l’assenza di senso comune del bene comune sono malanni acuti della nostra società. Servirebbe un buon esame di coscienza collettivo... 44

Hai indagato in vari campi dalla tv ai trasporti, dal parlamento alla scuola. Mediocri un po’ ovunque. Ma qual è, secondo te, la categoria più mediocre? Non stilo classifiche. E poi a cosa servirebbe? In questo libro ti sei fatto aiutare da sette giovani laureati (con 110 e lode in tasca). Come mai? Perché la mediocrità uccide il talento. Perché il mediocre bada solo al presente, al qui e ora e non al futuro. Il libro dibatte della crisi del futuro e del sapere, perciò ho voluto con me sette ragazzi che avessero in comune solo il sogno di un lavoro dignitoso. Il libro raccoglie anche una serie di lettere dall’esilio. Tra le frasi mi ha colpito molto: la svendita dei titoli è data dalla mancanza della necessità di avere dei titoli. È proprio così? Quante volte leggiamo di concorsi cuciti addosso a taluni? Quante volte scopriamo che la gara è un bluff, che il merito (quindi titoli di studio, di specializzazione, esperienze lavorative significative) è totalmente ininfluente? Nonostante volumi come il tuo, come quelli di Stella e Rizzo, come quelli di Maltese, Floris… alla fine non cambia nulla. Ma siamo un popolo di masochisti? Si legge poco e anche questo è un problema nazionale. Chi compra libri acquista altri libri: poche centinaia di migliaia di persone. Che sanno, si documentano, s’incazzano e infine si disperano. Disperati gli uni, felici tutti gli altri, sazi dell’Isola dei famosi e dell’idea che fare il tronista è la cosa più bella del mondo. Si guadagna e non si deve pensare. Pierpaolo Lala


BRUCE STERLING La chiave del futuro è nel passato Canadese di nascita, statunitense d’adozione, classe 1954, oggi autorevole studioso e critico della società digitale, lo scrittore e giornalista Bruce Sterling è uno dei padri della letteratura cyberpunk insieme a William Gibson, nel solco del romanzo di fantascienza distopica inaugurato dal genio di Philip K. Dick. Secondo Sterling, padre egli stesso del blog wired.com e di Beyond the Beyond, i blog e la blogosfera così come li conosciamo si estingueranno entro dieci anni, il social networking ha un futuro limitato, l’internauta contemporaneo è ormai un eremita della rete, dove l’identità virtuale è divenuta predominante sulla vita vera. Dai tempi di Schismatrix (1985) e del manifesto cyberpunk a La forma del futuro, Sterling è costantemente considerato un faro: della letteratura, della fantascienza, della saggistica impegnata, della futurologia. Il futuro della fantascienza: sempre più cupa distopia o rimane spazio per le avventure stellari, la speranza di mondi migliori? Il mio editore mi ha commissionato un racconto su un viaggio spaziale. Pensa ai programmi aerospaziali: sono ancora molto attuali, le sonde su Saturno e Marte, Cassini, l’acqua sulla Luna e sul pianeta rosso. Anche se questa non è più fantascienza, è realtà. Ma l’uomo deve ancora viaggiare nello spazio: la vita sulla Terra, la rete, la tecnologia possono proiettarsi in visioni aberranti; ma per lo spazio ci sono ancora buone speranze. Se lei dovesse scrivere un racconto in un contesto come il sud Italia, come lo scriverebbe, se potesse?

È certamente possibile farlo, senza subalternità rispetto a scenari metropolitani o industriali. Qui vedo un grande contrasto fra tradizione e tecnologia, fra storia e futuro. Mi sembra di scorgere un interessante “laboratorio territoriale”, e sto imparando solo in Italia il nesso tra arte, tecnologia, tradizione. Mi reputo un futurologo, ma non potrei esserlo senza essere prima uno storico: la chiave del futuro è nel passato. Stavo giusto elaborando l’idea di un romanzo di fantascienza ambientato a Torino, dove mi occuperò di design. Quali sono le ragioni dell’assoluto successo di tutta la letteratura di fantascienza anglo-americana a discapito di quella europea? Un problema di genere? È soprattutto una questione di lingua. L’inglese è la lingua franca, anche se in passato c’è stata ottima fs in lingua russa, per esempio. C’è poi lo strapotere tecnologico e informatico americano, da cui in buona parte deriva quello della letteratura di genere. Ma la scena cambia: un nuovo inglese, globale e della rete, sta nascendo, fuori da ogni controllo nazionale; e la nuova fantascienza dipenderà da esso. Però credo che lo strapotere americano sia soprattutto nel cinema, nonostante lo sviluppo del mercato asiatico. Il cyberspazio è ancora il luogo virtuale dove misurarsi con il mondo che cambia, una frontiera intellettuale; ma sono i designer i nuovi creatori del nostro futuro, degli oggetti e dei prodotti che descriveranno, come la fantascienza un tempo, il nostro domani. Vito Lubelli LIBRI 45



ENZO FILENO CARABBA Le Colline oscure Barbera Editore

Lo ripeto da anni, a chiunque mi capiti a tiro: Carabba è una delle poche droghe legali da assumere regolarmente un romanzo dopo l’altro, a dosi massicce, senza timore di controindicazioni: sballo garantito al 100%. È un narratore che alla maniera di Jeff Noon sa prendere per mano il lettore per condurlo in una terra in cui la realtà e l’allucinazione si confondono. Dolcemente (almeno all’inizio), una frase via l’altra, con una musicalità tanto perfetta quanto rara, una prosa elegante e invariabilmente colorita. L’impatto è folgorante: nel nuovo romanzo, arrivato sugli scaffali a quattro anni di distanza da Pessimi Segnali (ma gli aficionados conosceranno anche Discese Estreme, disponibile in download gratuito su www.carmillaonline.com ), il protagonista è Angelo, insegnante di scrittura creativa nelle scuole superiori (“Da dicembre ad aprile andava in ventiquattro scuole diverse. Nessuno che andasse in ventiquattro scuole diverse poteva credere nella democrazia.”), uomo cresciuto in città ma trapiantato nei boschi, tra quelle colline oscure del titolo che all’improvviso si popolano di strane apparizioni (Madonne deambulanti, tanto per cominciare). Cosa fa Angelo? Campa di espedienti come molti altri ma soprattutto resiste all’impossibile, cioè alla sistematica demolizione della cultura (tra studenti dissoluti, brutali, zombificati e una corte di insegnanti, presidi, bidelli non meno mostruosi), ai tafani, ai suoi vicini di casa americani fissati con la religione e le stronzate new age, alla persistenza di quella materia antica e molto tetra chiamata superstizione. Resiste insieme a un’accolita di amici che ogni tanto compie imprese strampalate tipo rapinare giocattoli ai bambini ricchi per poi rivenderli. Dire “visionario” non rende abbastanza l’idea. In qualità di droga letteraria, Carabba non fa mancare niente ai suoi clienti: ironia, suspence, satira sociale…tutto quello che vi serve per un trip coi fiocchi è nelle sue meravigliose pagine. Nino G. D’Attis

JAMES H. AUDETT La Storia di Blackie Audett Odoya

Dollari, pistole, brutti ceffi, cattiva fama. È il regno dei duri, ma Blackie Audett non è un villain uscito dalla penna di un talentuoso scrittore. Il suo nome completo è James Henry Audett e la sua vita, raccontata in prima persona nelle pagine di questo volume, è stata un lungo cammino nel mondo del crimine organizzato, tra contrabbando di whisky o di clandestini cinesi, assalti a banche, frequentazioni importanti (Johnny Dillinger, il rapinatore che J. Edgar Hoover definì il “Nemico Pubblico n. 1” e che i federali uccisero sparandogli alla nuca all’ingresso di un cinema), soggiorni in gabbie famose in tutto il mondo (Alcatraz, nella nella baia di San Francisco: pensate ai film di John Frankenheimer, Don Siegel, Michael Bay). E poi fughe rocambolesche, amori, inseguimenti, vagabondaggi, ritratti appesi nelle centrali di polizia di ogni città. Lo scenario principale è quello dell’America tra la grande depressione e la seconda guerra mondiale: il racconto di Blackie comincia in una fattoria canadese, con un padre alcolizzato che frusta fino a cavargli la pelle un bambino di dieci anni e il bambino che raccoglie le sue cose, salta giù dalla finestra e si allontana da un posto che non può più chiamare casa. Sembra ancora un romanzo, vero? Invece è vita vissuta, proprio come quelle di Edward Bunker o di Dave Courtney, altre due canaglie passate dal revolver alla penna. Il bambino ha davanti la cattiva strada: il destino ci mette la sua parte, il resto viene da sé. Come scrive Tommaso De Lorenzis nella prefazione: “(…) Audett non indulge a facili compiacimenti. Nemmeno cede alle vanterie di un’apologia di reato confezionata in forma di smaliziata autobiografia.” La prima edizione italiana delle memorie di Blackie risale al 1958, cinque anni dopo il suo ritorno nel penitenziario di Stato dell’Oregon; quella attuale, curata da Enrico Monti per la collana Real Fiction della casa editrice bolognese Odoya, è un piccolo gioiello anche sotto il profilo della grafica e dell’impaginazione. Da leggere ascoltando il sax del vecchio, caro Charlie Parker. Nino G. D’Attis LIBRI 47


CHUCK PALAHNIUK Gang bang Mondadori

Che Palahniuk sia “serio” è incontestabile. E lo dimostra ancora una volta in questo suo Gang bang, il cui titolo originale era il molto più duro (chi conosce il mondo del porno mi capisce) Snuff. La storia è molto semplice e si può riassumere in una frase breve: una donna contro 600 uomini. La pornostar Cassie Wright ha infatti deciso di battere il record di gang bang. Si lascerà scopare da centinaia di uomini. Tutti sono accorsi per aiutare la mitica Cassie nella sua impresa: vecchie glorie del porno, aspiranti attori, semplici amatori e curiosi. Tutti vogliono apparire in quello che sarà il più grande successo della storia del cinema pornografico. Ma pochi possono immaginare che stanno per partecipare a uno snuff movie durante il quale l’attrice ha deciso di morire. Le polemiche che si svilupperanno dopo questo film porteranno le autorità a proibire ogni tentativo di superare il record e quindi la grande Cassie Wright entrerà per sempre nella storia. Preparatevi a un grande delirio alla Palahniuk dove niente è mai scontato e nientè è quello che sembra. Dario Goffredo

CLAUDIO MORICI La terra vista dalla luna Bompiani

È al suo terzo libro lo scrittore romano Claudio Morici. Dopo Matti slegati (Stampa Alternativa, 2003) e Actarus. La vera storia di un pilota robot (Meridiano Zero, 2007), giunge nelle librerie La terra vista dalla luna, romanzo edito da Bompiani. Protagonisti della storia Simon e Antonella, due ragazzi conosciutisi all’interno di un ospedale psichiatrico. Finiti lì per ragioni diverse, il primo perché totalmente perduto tra le sue 48 LIBRI

paure, la seconda perché vittima di un’overdose di allucinogeni, i due stabiliscono una strana e quanto mai improbabile amicizia. Quando Antonella fugge in Messico, Simon, da anni rinchiuso nella sua cameretta, suo punto di vista privilegiato su un mondo verso cui nutre un odio viscerale, decide di raggiungerla. La sola traccia che Simon possiede per poter scovare l’amica è rappresentata da alcune email da lei inviate a tutti i suoi amici nelle quali chiede denaro per aiutare senzatetto e portatori di handicap conosciuti nei suoi vagabondaggi. Una volta in Messico Simon si scontra con tutta quella realtà di giovani viaggiatori dei paesi ricchi che, con Lonely Planet sottobraccio, inseguono percorsi di vita alternativi, senza prendere coscienza del fatto che quel momentaneo abbandono dei cliché occidentali altro non è che anticonformismo divenuto luogo comune, talmente globalizzato da essere logo facilmente riconoscibile. Il viaggio di Simon s’infittisce di eventi e rivelazioni, esilaranti e tragici, fino al finale che non t’aspetti. Rossano Astremo

DAVY ROTHBART Il surfista solitario del montana Coniglio editore

Bugiardi cronici, truffatori, galeotti, rapper falliti e clandestini. Questi i personaggi descritti da Davy Rothbart ne “Il Surfista solitario del Montana”. Otto racconti romantici, ironici, coinvolgenti, ambientati in un’America periferica di sole strade secondarie, carceri, baracche sperdute oltre confine, dove crudeltà e passione si fondono in un letto di ricordi. Una terra lontana dal sogno americano, o dall’happy end hollywoodiano, in cui anche le fantasie rimangono flebili sussurri soffocati da una realtà assordante. Come il piccolo Kyle, costretto a sognare onde oceaniche, in equilibrio su una tavola appoggiata fra due “enormi scafi di trattori defunti” nel bel mezzo del Montana. Davy Rothbart, pur mantenendo un tono colloquiale, riesce ad imprimere alla sua scrittura uno stile elegante e diretto, spaziando da temi sociali come la rieducazione carceraria, a problematiche di natura sentimentale. In “Come sono finito qui” l’autore scrive una lettera da un pe-


nitenziario federale attraverso la mano ingenua e volutamente sgrammaticata di un giovane inquilino, arrestato per aggressione. Le sue parole sono commoventi quando parla dei suoi affetti familiari, e allo stesso tempo folli mentre tenta di razionalizzare il suo gesto. La stessa insensatezza riscontrata nel secondo racconto, “Prima neve”. In “Cane nero”, “La febbre di Maggie” ed “Elena”, è l’amore a muovere le fila della narrazione. I sentimenti per i giovani protagonisti, costretti a vivere di espedienti, rappresentano un altro banco di prova per riuscire a dare un senso alla loro vita e comprendere loro stessi. Scrittore, rapper, film maker, Davy Rothbart riporta nero su bianco le esperienze, le emozioni raccolte nei suoi viaggi per i sobborghi americani, durante i quali ha collezionato ogni tipo di reliquia: lettere, biglietti di amore, liste della spesa, poesie e fotografie. Oggetti persi o semplicemente abbandonati sul margine ghiaioso di una strada di provincia e resi celebri da “Found magazine”, rivista ideata dallo stesso Rothbart. Un altro esempio della poliedricità di questo artista del Michigan. Roberto Conturso

ANGELO PETRELLA Napoli nera: Cane rabbioso e Nazi Paradise Meridiano Zero

Adrenalina e rabbia su carta moschicida. Questi gli ingredienti che Angelo Petrella usa per cucinare i suoi primi lavori, Cane rabbioso e Nazi Paradise, ripubblicati insieme sotto il titolo di Napoli nera da Meridiano Zero dopo il grande successo de La città perfetta, finalista al premio Scerbanenco. I primi due romanzi, o meglio, racconti lunghi, di questo trentenne napoletano, anticipano i temi che entreranno poi nel suo romanzo lungo. Cane rabbioso è la storia di un agente di polizia dalla facciata perbene, eroico e sensibile, e conosciuto da tutti come bravo poliziotto e scrittore di successo. Ma dietro l’apparenza si nasconde uno sbirro corrotto, tossico e assassino, un cane rabbioso lasciato libero di fare danni. Ma qualcuno cerca adesso di incastrarlo. La scrittura è adrenalinica, appena 50 pagine di puro delirio in perfetto

stile Petrella. Il secondo, Nazi Paradise, è la storia di un naziskin che fa l’hacker e si diverte a craccare i siti delle banche tra una partita del Napoli e qualche orrendo atto di violenza insieme ai suoi camerati ultras. Anche in questo caso qualcuno però ci si mette di mezzo e vuole incastrarlo. È incredibile per me come Petrella riesca a farmi stare simpatici dei perfetti bastardi, dei personaggi negativi oltre ogni limite. Un’atmosfera nerissima, una scrittura che si muove rapida districandosi nel sottobosco degradato e assurdo di una assurda città come Napoli, fatto di tossici, sbirri corrotti, neonazi e ultras, dove nemmeno la criminalità organizzata ci si mette di mezzo. Dario Goffredo

GUGLIELMO PISPISA La terza metà Marsilio

Di spie, spioni e barbefinte la storia del genere noir è piena. Alle volte sono gli eroi, come James Bond, alle volte sono i cattivi, dipende da quale parte della barricata stanno. Ma gli ultimi sviluppi del romanzo noir ci hanno insegnato che la barricata non esiste, è un elemento piuttosto mobile ed elastico che si muove e modella come più fa comodo ai nostri amici spioni. E così quando bene e male hanno perso ormai ogni significato e sono solo delle false giustificazioni morali entrano in scena i personaggi di Guglielmo Pispisa: Hiero e Aris, le spie, il Magister, il barbone sapiente, Oona, la madre di Hiero, Tinto, il brigatista rosso, e poi una serie di personaggi di contorno che formano lo sfondo nebuloso nel quale si muovono i personaggi principali tra intrighi, tradimenti, sotterfugi, vendette. Quello che mi ha colpito maggiormente in questo libro è una sorta di “banalità” del male. Spariti ormai i confini tra il bene e il male, privata di significato per come la conoscevamo la parola giustizia, i personaggi de La terza metà sembrano fare quello che fanno come se stessero mettendo dei timbri in un ufficio postale. Lo fanno perché così gli è toccato in sorte. Fino al finale che non mancherà di sorprendere i lettori. Dario Goffredo LIBRI 49


LINO PATRUNO Alla riscossa terroni Manni

Alla riscossa terroni, ossia Perché il Sud non è diventato ricco. Il caso Puglia è una raccolta di saggi di Lino Patruno (Manni). Scrittore e giornalista barese, ex direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Patruno condensa in queste cronache anni di riflessione e di esperienza sul campo della questione meridionale, grazie a un bagaglio di oltre venti libri sul Sud e sulla Puglia che hanno affrontato, come si fa anche in queste pagine, problemi e limiti della società, della cultura, della tradizione, della storia e dell’economia nostrane. Senza indulgere in tentazioni semplicistiche, né in un facile piangersi addosso tipico di tanta riflessione intellettuale meridionalistica, Patruno affronta con coraggio la questione meridionale vedendola non come un fenomeno locale, che non è affatto, ma attraverso la rappresentazione del problema italiano. In altri termini, ragionare nell’ottica di un paese, tutto sommato diviso, da unificare: e senza cadere nell’errore di sovvertire il problema, riproponendolo, quando si parla di “questione settentrionale”. Patruno propugna, pur in tutto il suo pessimismo, anzi proprio in forza di un’analisi severa, lucida, spietata, l’idea di un Sud agli antipodi dell’immagine convenzionale legata ai concetti di mafia e spazzatura. Scrive Giuseppe Vacca nella lunga prefazione che l’Autore, nella sua doverosa difesa degli interessi del Mezzogiorno fa un ripensamento della questione meridionale, dando una risposta persuasiva che è, poi, l’unica possibile: e quindi il pensiero di Patruno rappresenta al meglio l’eredità del pensiero meridionalistico, che fa capo a Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, e che ha scavato nelle cause della sua fragilità e della sua congenita, debole competitività. Una riflessione, questa, che è stata ingiustamente derubricata e che invece Patruno tenta di risollevare, grazie alla profonda conoscenza storica e a una grande consapevolezza critica. Non denuncia, insomma, ma un lavoro di indirizzo politico e direzione intellettuale. Una dichiarazione d’amore, un atto d’amore drammatico. Vito Lubelli 50 LIBRI

GIUSE ALEMANNO Le vicende notevoli di Don Fefè, nobile sciupafemmine e grandissimo figlio di mammaggiusta, e del suo fidato servitore Ciccillo Icaro Libri

- Ciccì… siediti qua, affianco a me - Dite veramente Don Fefè? - Siediti e basta… C’è una lingua che suona di dialetto! Inventato come il cosmo che racconta… fatto d’un immaginario incanto. Un tempo che appare fermo, eppure ci troviamo il mondo, tutto intero nella mancanza nell’eterno tornare della nostalgia. Le vicende notevoli di Don Fefè, nobile sciupafemmine e grandissimo figlio di mammaggiusta, e del suo fidato servitore Ciccillo. Un titolo lungo, con un sapore fortemente e volutamente retrò, in un epoca, la nostra, avvezza a sincopare le parole, allenata agli esotismi linguistici, “infelice” dell’italiano e dei suoi suoni. C’è la suggestione del cinema in queste pagine fitte di dialoghi, di battute, d’ammiccamenti e di tradimenti. Il cinema che disegna nel pensiero dell’autore la figura di Don Fefè, “cuor contento e panza piena”. Don Felice, il nome vero, nobile di Cipièrnola, incontrastato padrone di Palazzo Rizzo Torregiani Cìmboli, in un Sud dove in corpo scorre il rosso intenso del Primitivo e l’indolenza meridiana delle voglie! Tre piccole novelle, I fazzoletti rossi, Ragionamenti e gelati al limone, Amleto, episodi di una saga che potrebbe avere come interprete il Mastroianni di Divorzio all’italiana, il film di Pietro Germi che vinse l’Oscar per la sceneggiatura nel 1962. Lì, il divo italiano era Ferdinando Cefalù, detto, anche lui, Fefè. Impomatato, con la retina a tenere i capelli ed il baffo in tiro. Con gli occhi semichiusi, il lungo bocchino e le voglie mai dome. Con la stessa indole e lo stesso fuoco il Felice che Alemanno disegna: nostalgico ed indolente, europeo e strapaesano, poeta e padrone, innamorato dell’odore delle femmine e del teatro. Chi già conosce la scrittura di Giuse Alemanno, autore di “Terra nera”, rimarrà senz’altro stupito dal cambio di registro. Schiara qui il clima! La commedia prende il posto dei toni scuri che raccontavano il “romanzo perfido e paradossale di cafoni


e d’anarchia”. Si ride con Don Fefè e si ride con Ciccillo, “devota” spalla, servitore e inconsapevole cugino. Un narrare agile e intrigante accompagna il lettore, lo conduce dentro un clima che scuce paradossi e trame nel bilico di un tempo indeterminato dove il retaggio del passato fa il verso al presente, al nostro che di Don Fefè e di comprimari compiacenti rimane affollato. Mauro Marino

FRANCO CORDELLI Il poeta postumo Le Lettere

Torna nelle librerie, a trent’anni di distanza dalla prima edizione, Il poeta postumo (Le Lettere) di Franco Cordelli. Il libro ricostruisce quello che accadde nella primavera del 1977 al club romano del Beat 72, all’interno del quale, per sedici settimane, si alternarono le letture di alcune tra le voci nuove della scena poetica italiana, tra cui Dario Bellezza, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, Elio Pecora, Valentino Zeichen, Nico Orengo e Giuseppe Conte. Il poeta postumo è una sorta di reportage-diario-romanzo, in cui uno degli organizzatori delle serate del Beat 72, Cordelli appunto, da autore si fa personaggio, punto di vista privilegiato dal quale osservare Bellezza preso a calci, Viviani che decolla pesci rossi, Orengo assente, Conte che arringa la platea, Paris che appende delle bambole nello spazio scenico, accompagnato dalla sempre affascinante Laura Betti, Scalise che, a suo modo, rende omaggio ai Novissimi, Scartaghiande che inscena un duetto passionale con la sua fidanzata, una giovane Teresa De Sio e molto altro ancora. Nell’anno in cui l’ideologia divenne scontro e il dialogo tra forze dell’ordine e movimento aveva il ritmo percussivo delle pallottole, il Beat 72 fu un’alcova ai margini ma non emarginata, seme che avrebbe fruttificato dando vita, da lì a poco, all’esperienza ancora più dirompente degli incontri poetici sul litorale di Castelporziano, anch’essi trasformati in scrittura da Cordelli in Proprietà perduta. Il volume, curato da Stefano Chiodi, è arricchito dalle immagini di Agnese De Donato e Giorgio Piredda, e dai contributi di Andrea Cortellessa e Daniele Giglioli. Rossano Astremo

COSTANZA ANDREUCCI Niente da ricordare Corpo Nove Editrice

Alla sua seconda edizione, Niente da ricordare. La vita di Hegel del Rosenkranz e altri fantasmi di Costanza Andreucci (CorpoNove Editrice) si conferma essere un libro importante. Pur non veleggiando nel mainstream della grande editoria, questo bel romanzo naviga nel sottobosco letterario con un carico di premesse, pretese e significati davvero degni di attenzione. Niente da ricordare è un viaggio nell’Italia a cavallo di 1800 e 1900, che abbandona il decennio della Belle Epoque e si avvia inesorabile verso la Grande Guerra: di questo viaggio l’autrice è guida abile, e ci porta in un universo di decadenza, nell’Italia meridionale fatta di palazzi antichi e vecchi signori e decadimento, un po’ nella stessa atmosfera che permea I Viceré di Federico De Roberto e che di questo romanzo è probabilmente il faro, il riferimento principale. Attraverso l’epopea della famiglia Sales, la Andreucci dipinge una galleria di vite che è un ritratto di una dinastia in rovina, che smarrisce per strada denaro, potere, fortuna, orgoglio; come si assottigliano i latifondi, così i debiti di gioco aumentano esponenzialmente, lo sfarzo degrada in rovina, della nobiltà non rimangono che ostinate e misere vestigia. La famiglia Sales che precipita è in realtà un mondo che precipita, trascinandosi dietro un po’ tutto, bellezza e soldi, retaggi e memorie, pazzia e pettegolezzi, la Basilicata che fa da sfondo e l’Italia intera. Una famiglia, una società che va in rovina, un Paese che si avvia alla guerra: il lato tragico di quello che in realtà è un cambiamento radicale, è la società che si trasforma e diventa moderna, rendendo grottesco tutto ciò che un tempo è stato altero e potente. Il tutto è reso in pagine fitte di una scrittura rigorosa ma piacevole, essenziale e disincantata, malinconica e consapevole, che non ha paura di lasciar trasparire una vena di compassione per il destino degli uomini travolti dal cambiamento. Tanti capitoli, tanti episodi per un romanzo corale, potente, davvero sopra le righe. Il volume è impreziosito dalle tavole di Mario Donizetti. Vito Lubelli LIBRI 51


CINEMA TEATRO ARTE

DALLE PAGINE ALLA PELLICOLA

Nei prossimi mesi usciranno molti film tratti da romanzi. Tra i registi al lavoro Comencini, Archibugi, Faenza e i pugliesi Alessandro Piva e Pippo Mezzapesa Hanno preso il via da qualche settimana, a Napoli, le riprese del nuovo film di Francesca Comencini: Lo spazio bianco, tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella (Einaudi), che lo scorso anno si è aggiudicato il premio letterario Città di Bari. Protagonista è Maria, (Margherita Buy), un’insegnante quarantenne single, che partorisce al sesto mese di gravidanza una bimba, Irene. Vivrà i successivi tre mesi in un ospedale, al fianco della piccola, in una sorta di limbo: quello “spazio bianco” in cui Irene lotta, in bilico tra la vita e la morte. Esordio nel lungometraggio per il giovane Pippo Mezzapesa, già David di Donatello nel 2004 con il cortometraggio Zinanà e protagonista della Settimana della critica del Festival di Venezia, l’anno scorso, col docudrama Pinuccio Lovero. Sogno di una morte di mezza estate. A Mezzapesa il compito di tradurre in immagini Il paese delle spose infelici (Mondadori) di Mario Desiati (autore anche di Vita precaria e amore eterno). La storia è quella di un triangolo amoroso. Sullo sfondo la Taranto degli anni Novanta, tra i veleni dell’Ilva, le morti in fabbrica e le gesta surreali – ma vere – del sindaco dell’epoca, Giancarlo Cito. Prevista per aprile l’uscita di Una questione di cuore di Francesca Archibugi, tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Umberto Contarello, pubblicato da Feltrinelli nel 2005 ed ora praticamente introvabile in libreria. Quello di contarello, in realtà, è un ritorno al cinema da cui proviene come cosceneggiatore di Marrakesh Express di Gabriele Salvatores e di altri film di Mazzacurati, Piccioni, Placido e Amelio. Protagonista è uno sceneggiatore di successo col52 cinema teatro arte

pito da infarto che stabilisce un solido rapporto di amicizia con un altro infartuato, un carrozziere di borgata conosciuto in ospedale. Da lui riceverà un’eredità sorprendente che lo costringerà a riconsiderare il vuoto e la fatuità della sua vita precedente. I protagonisti sono Kim Rossi Stuart e Antonio Albanese. Nel cast anche Micaela Ramazzotti, Francesca Inaudi, Chiara Noschese, Andrea Calligaro, Nelsi Xhemalaj e Paolo Villaggio. Anche Roberto Faenza si cimenta nella trasposizione cinematografica di un romanzo, che però


riprese di Henry - l’eroina nel gergo degli africani di New York, così come racconta Giovanni Mastrangelo nell’omonimo romanzo a base di droga, sesso e gangue (Einaudi) – si metterà subito a lavoro su un altro romanzo. Si tratta di Apocalisse da camera – scritto dal fratello del regista, Andrea, che sarà anche autore della sceneggiatura e ambientato a Bari - dove un giovane assistente universitario, figlio di papà, scambia buoni voti in cambio di compiacenza sessuale.

non è italiano. Il caso dell’infedele Klara, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Michal Viewegh, è un thriller psicologico ambientato tra Praga e Venezia. Un giovane musicista, geloso della fidanzata, assume un detective. I protagonisti saranno Iain Glen, Claudio Santamaria e Laura Chiatti. E sempre Laura Chiatti avrebbe dovuto essere la protagonista del nuovo lavoro di Alessandro Piva, che arriva a sette anni da Mio cognato e dopo una parentesi dedicata alla fiction televisiva: il suo Chirurgia d’urgenza sarà in tv in primavera. Anche Piva guarda alla letteratura, con un impegno doppio. Appena finite le

“Il film tratto da un libro”, sottolinea Mario Desiati, scrittore e direttore editoriale di Fandango Libri, “è un progetto più facile da sviluppare perché c’è già un soggetto, un potenziale pubblico e un potenziale gradimento, che poi ci sia più o meno successo è un discorso che riguarda la riuscita del lungometraggio. Quanto a spettatore ho invece difficoltà a leggere un romanzo dopo aver visto un film, ma non faccio testo, infatti spesso i film tratti dai romanzi aiutano quei romanzi a vivere qualche anno in più nelle collane editoriali. Si sa ormai che oggi un libro di narrativa italiana che non ha ristampe dura mediamente 4 mesi nelle librerie e un anno e mezzo nei cataloghi editoriali”. Valeria Blanco cinema teatro arte 53


LARRY CHARLES Religulous

Oppio dei popoli: con questa premessa il comico americano Bill Maher, intraprende un viaggio fra i dogmi delle tre più grandi religioni monoteiste. Irriverente e decisamente politically incorrect, Maher tenta con ironia ed intelligenza, di scalfire il muro di fanatismo eretto a difesa della fede. Da una parrocchia per camionisti a sette gestite da reincarnazioni dominicane di Cristo e facoltosi pastori con scarpe di lucertola e gioielli d’oro, sino ad un parco a tema in cui l’attrattiva principale consiste in un musical che ripercorre la passione del Nazareno. Interagire con questi assurdi personaggi è una manna per lo show man statunitense che ridicolizza, con estrema facilità, ogni affermazione ed astrusa interpretazione storica di politici, attori, ecclesiastici, o semplici fanatici in doppio petto. Maher coadiuvato dal regista di Borat, Larry Charles, segue il sentiero tracciato dalle inchieste documentaristiche di Michael Moore, ma il risultato finale pecca di superficialità. Se l’inizio risulta energico e graffiante, la seconda parte appare sbrigativa e banale. Il ragionevole dubbio instillato fra i credenti cattolici, si trasforma in un’indiscutibile certezza quando sono i musulmani a cadere sotto lo sguardo indagatore della macchina da presa di Charles. Gli spezzoni di film e cartoni animati montati per enfatizzare le contraddizioni del cattolicesimo, lasciano il posto alle rappresentazioni stereotipate dell’arabo violento e misogino. La troupe di Religulous (o nella versione italiana Religiolus) dopo aver visitato roccaforti come il Vaticano e la Terra Santa, si avventura in Europa e precisamente in Olanda, per documentare la realtà della comunità islamica di Amsterdam, in seguito all’assassinio del regista Theo van Gogh. La realtà appare distorta da un provincialismo che etichetta con troppa facilità il confitto etnico religioso che investe la società occidentale. In Italia il film è stato accolto da polemiche ed azioni di oscurantismo, come quelle dell’associazione Vera Libertà. L’ennesima occasione persa per gli integralisti di casa nostra di tacere, ed un’opportunità sfumata per la coppia Maher/ Charles per approfondire un tema sensibile come l’eterna diatriba fra fede e raziocinio. Roberto Conturso

54 cinema teatro arte

RON HOWARD Frost/Nixon. Il duello

David Frost è un conduttore televisivo inglese, famoso più che per la sua abilità di intrattenitore, per il suo stile di vita eccentrico: macchine sportive, eventi mondani e belle donne. Nonostante la sua popolarità oltre oceano, Frost aspira a riconquistare un posto nello star system americano, defraudato anni addietro dalla NBC, che cancellò prematuramente il suo show. L’occasione si propone all’indomani delle dimissioni del Presidente Richard M. Nixon, quando milioni di telespettatori assistono al discorso nella vana attesa di ascoltare un’ammissione di colpa da parte del protagonista del famoso scandalo politico Watergate. Frost intuisce che strappare a Nixon una confessione avrebbe un impatto mediatico senza precedenti e rappresenterebbe una svolta per la sua carriera, riconsegnandogli fama, successo e un tavolo a suo nome negli esclusivi locali di New York. Tre anni dopo, quel folle progetto prende finalmente forma, grazie al consenso di Nixon, al cospicuo impegno economico di Frost e al supporto del suo produttore di fiducia John Birt. L’intervista si trasforma ben presto in un’ultima spiaggia per i due rivali, costretti a giocarsi carriera e reputazione. Il presentatore inglese sull’orlo del fallimento fatica a trovare gli sponsor, mentre l’ex Presidente, per riacquistare credibilità agli occhi del popolo americano, si prepara ad affrontare questo ennesimo confronto con le telecamere nel modo migliore. Una sfida, un duello (come recita il titolo italiano), una battaglia senza esclusioni di colpi, un match combattuto sulla lunghezza delle quattro riprese, nel soggiorno di casa di un uomo d’affari repubblicano. Ron Howard presenta la sua nuova pellicola, con lo stesso ritmo, la stessa tensione di un incontro di pugilato. Riadattando la pièce teatrale di Peter Morgan, il regista di Apollo 13 e Cinderella man mette in scena una ricostruzione storica, grazie ad un montaggio che alterna le sequenze extradiegetiche delle testimonianze di coloro che parteciparono all’evento, con la narrazione cronologica dei giorni di registrazione. Il merito di Howard è quello di analizzare da un punto di vista alternativo la vita di Nixon, riuscendo a mantenere un occhio critico sulla sua politica presidenziale. Il


regista, inoltre, gioca con l’emotività dei personaggi, grazie al continuo utilizzo di primi piani. Ad accompagnare gli sfidanti a bordo ring, un ostinato e caparbio Sam Rockwell intento a suggerire a Frost il colpo per mettere alle corde l’ex Presidente, e all’angolo opposto, un protettivo Kevin Bacon pronto a gettare la spugna, pur di evitare che un’altra inquadratura, segni l’ennesima e definitiva sconfitta di Richard M. Nixon. Roberto Conturso

ARI FOLMAN Valzer con Bashir

La guerra. Il passato. Il dovere di ricordare e la difficoltà di farlo. Una muta di cani, neri, rabbiosi, feroci. Cani che corrono per la città, travolgono tavolini dei bar, spaventano passanti e poi si fermano sotto la finestra di un condominio. Sotto la casa di Boaz. La casa di un reduce della guerra in Libano. I cani abbaiano, se Boaz scendesse lo sbranerebbero, ma Boaz non scende, non ne ha il tempo. Il suo sogno s’interrompe sempre allo stesso punto, prima che lui abbia preso una decisione su quei ventisei cani neri che lo minacciano di morte: affrontarli o limitarsi a osservarli senza correre rischi? A ringhiare contro Boaz sono i ricordi della guerra, quella tra falangisti cristiani del sud del Libano e Israele, una guerra distante venti anni, sepolta, apparentemente dimenticata che oggi torna in un sogno o in flashback intermittenti e surreali. Valzer con Bashir nasce da un terapeutico, doloroso e quasi psicanalitico scandaglio nei complessi meccanismi della memoria, alla scoperta di ciò che resta della realtà e dei fatti concreti quando il presente vissuto si è trasformato in uno ieri difficile da accettare. Il regista israeliano Ari Folman, anche lui reduce di quella guerra, crea un documentario che nell’insolita forma del film d’animazione racconta la storia di un’amnesia personale e collettiva mettendo insieme interviste, racconti, tasselli che spesso non s’incastrano. Civili che muoiono nel massacro dei campi profughi di Sabra e Shatila e nei bombardamenti su Beirut, falangisti che uccidono palestinesi e ne conservano sotto formalina le parti anatomiche come trofei di guerra: Folman porta sullo schermo un passato al quale ci si può rapportare solo attraverso una memoria di sopravvivenza che lo distorce e lo disperde rendendolo

inattingibile. Dietro le lenti del ricordo la guerra diventa un viaggio di piacere a bordo di una sorta di Love Boat diretto al fronte su cui tutti ballano e si ubriacano, o una gita di scuola, con l’incoscienza dei giovani che non si sentono ancora soldati, ma solo scolari che scattano foto e cantano Good morning Lebanon. La strage è un film assurdo in cui i soldati recitano come pupazzi incolpevoli guidati da un regista ignoto. Caricano e scaricano cadaveri meccanicamente, sparano senza sapere a chi, e nessuno di loro, sul momento, sviluppa la consapevolezza di assistere e di partecipare a un genocidio. Eseguono ordini, fanno il loro lavoro e non sanno altro. Probabilmente non sono nemmeno lì, come non è lì Frankel, che imbraccia la sua mitragliatrice e si ferma a ballare un valzer sotto una pioggia di proiettili. Un folle valzer con Bashir, che lo guarda da un manifesto. Le musiche di Max Ritcher fanno da colonna sonora a questo viaggio nelle varie memorie che l’uomo elabora per affrancarsi dal peso del passato. Memorie rimosse, edulcorate. Memorie meccaniche. Francesca Maruccia

BRYAN SINGER Operazione Valchiria

Come sarebbe cambiata la Storia se Hitler, nel pieno dei suoi poteri, fosse stato ammazzato? Operazione Valchiria è il racconto di un attentato fallito, di un colpo di stato che negli anni del nazismo vide impegnati alcuni alti ufficiali del terzo reich nel tentativo di rovesciare il regime del Fuhrer. Uno di questi fu il colonnello Von Stauffenberg che nel film, diretto da Brian Singer, è interpretato da Tom Cuise. Proprio Von Stauffebverg, farà esplodere l’ordigno al quale Hitler scampa miracolosamente, tornando più forte di prima. Buona prova quella di Cruise, alla quale però non segue una regia all’altezza delle aspettative. Scarso ritmo in un film che, visto il finale già noto, dovrebbe puntare sulle armi dello spettacolo e invece si perde nella ricerca di una suspence inutile, semplicemente perché impossibile. Nonostante ciò e malgrado le polemiche avanzate da alcuni cittadini tedeschi, il lungometraggio ha il pregio evidente di raccontare su pellicola un episodio poco noto. Ma visti i risultati, forse sarebbe più opportuno rispolverare un libro di storia. (C.M.P.) cinema teatro arte 55


UNA VITTORIA MILLIONAIRE Il film del regista Danny Boyle conquista otto Oscar

Boyle batte Fincher otto a tre della Notte degli Oscar che si è svolta il 22 febbraio presso il Kodak Theatre di Los Angeles con la conduzione dell’attore australiano Hugh Jackman. Dopo le nomination a senso unico che avevano evidenziato i due come indiscussi protagonisti, Il curioso caso di Benjamin Button di Fincher (in concorso per ben tredici premi, un record assoluto) porta a casa tre premi, tutti tecnici, mentre The millionaire di Danny Boyle (Trainspotting), in lizza per dieci statuette fa quasi bottino pieno con otto riconoscimenti. La pellicola di Fincher (autore del film di culto Fight club) ha nel cast due stelle del calibro di Brad Pitt e Cate Blachett. La storia, a metà fra dramma e fantasy, è quella di un uomo nato anziano, ma che ringiovanisce nel corso degli anni. Troverà l’amore, ma mentre le sue rughe diminuiscono, quelle della sua compagna, come tutti i comuni mortali, iniziano a comparire. Di diverso stampo The millionaire, già vincitore del Premio del pubblico allo scorso Festival di Toronto. Nel film un ragazzo indiano, analfabeta, decide di partecipare al programma “Chi vuol essere milionario?”, per riconquistare la sua 56 cinema teatro arte

ragazza. Quando poi riesce a vincere l’ambito montepremi, viene accusato di aver imbrogliato. E in ballo non c’è più solo il denaro. Miglior attore protagonista Sean Penn, che ottiene il premio per la seconda volta in carriera, mentre tra le donne la spunta Kate Winslet, in lotta fino alla fine con Meryl Streep. Commozione per l’atteso Oscar postumo assegnato a Heath Ledger, premiato come migliore attore non protagonista per Batman – Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Verdetto a sorpresa invece per il vincitore nella cinquina dei film stranieri che ha visto trionfare il giapponese Departures ai danni dello strafavorito Valzer con Bashir dell’israeliano Ari Felman. Nessuna gloria per gli italiani che, sfumata l’occasione di vedere in concorso “Gomorra”, potranno consolarsi con la visione di alcuni dei migliori film della passata stagione che, a verdetto concluso, verranno riproposti al pubblico di tutto il mondo. Ciro Michele Pierri


DIECI ANNI DI CINEMA EUROPEO

Anniversario importante per il festival salentino che torna dal 31 marzo al 5 aprile

Dieci anni di festival in questi tempi di crisi e di tagli costanti alle attività culturali sono già un miracolo in Italia. Ancor di più se il Festival si tiene nel Salento, terra dedita al cinema, almeno negli ultimi anni, ma che sicuramente non offre molto dal punto di vista economico (sponsor, fondi, botteghino). Il Festival del Cinema Europeo torna, presso il Cityplex Santalucia di Lecce, dal 31 marzo al 5 aprile, con una programmazione, come al solito, ricca. Ospite principale sarà un grande autore del cinema greco, il premio Oscar Costantin Costa Gavras che sarà a Lecce insieme a Riccardo Scamarcio, protagonista del suo ultimo film Eden is West. Il Festival, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, dedica una retrospettiva completa dei suoi film che si “sposterà” a Torino dal 6 al 14 aprile. L’inaugurazione è invece affidata a Ferzan Ozpetek con la retrospettiva delle sue opere, proposta in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia. Ospite della rassegna anche Margherita Buy (nella foto), protagonista del consueto focus sugli attori italiani. A Lecce saranno proiettati numerosi film da lei interpretati e sarà allestita una mostra fotografica, in collaborazione con la Cineteca Nazionale.

DOK.F.

Ritratto di un Frankenstein ai Cantieri Teatrali Koreja Il 19 e 20 Febbraio è stato presentato in anteprima nazionale Dok F, liberamente tratto da Frankenstein di Mary Shelley per la regia di Fabrizio Pugliese e la collaborazione artistica di Salvatore Tramacere. La nuova produzione dei Cantieri Teatrali Koreja conferma, dopo Dimissioni dal Sud, Quel diavolo d’un Bertuccia e il Calapranzi, il sodalizio artistico dei due protagonisti Fabrizio Saccomanno e Fabrizio Pugliese. Il mito di Frankestein in tutta la sua complessità e ramificazioni si riverbera in questo lavoro con riferimenti che vanno dal romanzo originario della Shelley, alla vasta produzione cinematografica, dall’immaginario collettivo, al mondo delle ricerche scientifiche. In Dok F lo spettatore viene accolto in un gelido laboratorio; in proscenio un tavolo da lavoro con alambicchi e provette, le pareti di svolazzante cellophane, una macelleria umana, il pavimento segnato da direzioni obbligatorie, sullo sfondo una macchina di ferro simbolo dell’Uomo Vitruviano esemplificazione grafica delle perfette proporzioni umane. Drammaturgicamente non vi è lo sviluppo di una storia: non una crisi, non una risoluzione. Assistiamo voyeuristicamente ad un frammento quotidiano della malata esistenza dei due personaggi, due contrapposte umanità. Da un lato il desiderio-delirio di onnipotenza del Dottor Frankestein che vive tra esperimenti e relazioni ufficiali per i colleghi medici, dall’altro l’ingenuo servilismo della creatura, deforme fisicamente e verbalmente, un ibrido poco definibile, un bambino, un demente, un non abile? Sicuramente vittima. Le scene si susseguono dilatandosi in un tempo sospeso, spazio necessario per approfondire il rapporto tra i due personaggi e accompagnare lo spettatore tra suggestioni, domande non risolte e personali risposte. Sul finale appare un precedente esperimento, un pupazzo alto due metri e mezzo (costruito con la Compagnia Burambò), che, nelle sembianze del personaggio portato sullo schermo da Boris Karloff, chiuderà lo spettacolo commiserando entrambi i personaggi destinati a rivivere prigionieri di se stessi il dramma della loro differente mostruosità. Antonella Iallorenzi

Info www.festivaldelcinemaeuropeo.it 57


58 EVENTI


EVENTI DAL GIOVEDÌ ALLA DOMENICA Appuntamenti alla Svolta di Lecce Proseguono e si intensificano gli appuntamenti della Svolta, un nuovo ristorante e jazz bar di Lecce, che si presenta con una ricetta i cui ingredienti principali sono la cucina semplice, rispettosa dei cicli naturali degli alimenti, e la musica jazz. Ogni giovedì 26 Febbraio serata “Casinò”, ogni venerdì spazio alla rassegna “Mondo jazz a tavola”, un viaggio musicalculinario che vi porterà nei Paesi in cui il Jazz ha affondato le sue radici, ogni sabato jam session con il Nextrio di Igor Legari (contrabbasso), Andrea Favatano (chitarra) e Francesco Pennetta (batteria). La domenica infine (dalle 19.00) aperitivo milanese e samba con Arte Brasil. Info 329 8455974 – 3924300512 VENERDÌ 6 Hopesend e Traconia all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Dolce Mente al Kalì di Melpignano (Le) Senza Rancore Fran al Molly Malone di Lecce Giuliano Dottori alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) SABATO 7 Raccontare il mediterraneo: Babelmed con Nathalie Galesne all’Auditorium di Zollino (Le) Kyuuri all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Muffx presso Palazzo Gallone a Tricase (Le)

La band salentina presenta i brani del nuovo cd Small obessions, di prossima pubblicazione, che arriva dopo l’ottimo esordio nel 2007 con “… Saw the …”. Il cd, registrato al Sudeststudio, è prodotto da Max Ear (OJM) per la label indipendente emiliana “Go Down Records” (Gorilla, Dome la Muerte, Not Moving, Small Jackets, Ojm..), masterizzato al West West Side Studio di New York da Kim Rosen. Undici tracce dal sapore psyco – desert – pop con reminiscenze “gitane”. Chitarre taglienti ed energiche intrecciate a ritmiche che tendono a rievocare marce bandistiche, in contrasto con i temi vocali che raccontano undici visioni, undici sensazioni, undici piccole ossessioni oscillando dalla pura

introspezione alle considerazioni sulla realtà. Ingresso gratuito. Giuliano Dottori all’Arci Tressete di Giovinazzo (Ba) Redrum Alone allo Spazio O.F.F. di Trani (BA) DOMENICA 8 Sebben che siamo donne nel Foyer del Politeama Greco di Lecce Lucia Manca e Eneri al Goldoni di Brindisi Marini Vera fu Gaetano e L’altro Cielo al Fondo Verri di Lecce LUNEDÌ 9 Cantico Dei Cantici di Astragali teatro con Fabrizio Lelli al Teatro Elio di Calimera (Le) MARTEDÌ 10 Pane e Tulipani per la rassegna Movies and Wine alla Città del Tempo di Lecce MERCOLEDÌ 11 Da Quando Te Ne Sei Andato. Proiezione del film e incontro con il regista palestinese Mohammed Bakri all’Auditorium di Zollino (Le) GIOVEDÌ 12 Kyuuri al Jack’n jill di Cutrofiano (Le) La band emiliana tutta al femminile presenta i brani del nuovo cd Sklerockitch. Il non seguire una regola precisa, ma crearne continuamente delle nuove prendendo idee e spunti da ogni genere musicale è ciò che caratterizza le sonorità e le strutture della musica Kyuuri. Nonostante la loro giovane età, le Kyuuri hanno già un curriculum di tutto rispetto: dai tour lungo tutta la penisola, dal Trentino al Salento, fino alla partecipazione e vittoria di numerosi concorsi e festival. Ingresso gratuito. Sakara dj al Molly Malone di Lecce GIOVEDÌ 12 E SABATO 14 Gianni Schicchi (Stagione Lirica) al Politeama Greco di Lecce Jam Session all’Heineken Green Stage di Tricase Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. VENERDÌ 13 E SABATO 14 Synagosyty ai Cantieri Koreja di Lecce Synagosyty è terra d’immigrazione, il punto d’arrivo di un viaggio che coinvolge due generazioni. Aram, italiano nato da padre iraniano, dovrà ricostruire in una patria che non gli appartiene del tutto la sua identità ripercorrendo, dall’infanzia alla giovinezza, le tappe di un percorso d’integrazione pieno di malinconia e ottimismo. Aram Kian e Francesca Porrini, diretti dalla regia di Gabriele Vacis, offrono al pubblico la possibilità si riflettere eventi 59


su una società già multietnica ma non ancora pronta a scrollarsi di dosso i suoi pregiudizi. Info 0832242000 VENERDÌ 13 Da qualche parte Sandra al Kalì di Melpignano (Le) L’intensità e le sfumature della voce di Sandra Caiulo dialogano per la prima volta con la musica e le parole di Claudio Prima, voce e organetto, e sono guidate al piano da Emanuele Coluccia. Sandra è approdata alla musica d’autore, dopo essere stata a lungo interprete di musica popolare salentina. Open Mic al Molly Malone di Lecce Spazio alla musica dal vivo e alla libera espressione a microfono aperto, torna l’atteso appuntamento mensile con la jam dell’irish pub di via Cavallotti. Il palco è a disposizione di chiunque voglia esibirsi, previa prenotazione al proprio arrivo. Inizio ore 22.00. Ingresso libero. Enzo Lanzo alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) Il batterista Enzo Lanzo propone un tributo a Chet Baker, grande trombettista e cantante e alla sua rivoluzione cool: quel jazz che chiamarono “da camera”, privo del sostegno del pianoforte. Una figura silenziosa quella di Chet Baker, spesso soverchiata dal più carismatico e coevo Miles Davis. Enzo Lanzo, eclettico batterista pugliese, gli rende omaggio con questo concerto. Lanzo è un musicista capace di spaziare tra vari generi e stili musicali per poi fare ritorno sempre e comunque al jazz. Ingresso gratuito. ICS project a Villa Prandico di Tuglie (Le) Villa Prandico a Tuglie diventa la casalaboratorio dei giovani musicisti salentini ed a partire dal 13 marzo, ogni venerdì, si trasforma in fucina d’arte per giovani talenti ed amanti della buona musica live. Il primo appuntamento è con l’ICS project. Info 3394006022 Horrid, Land Of Hate, Kronium all’Istanbul cafè di Squinzano (Le) SABATO 14 David Judah e Tad Hunter all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Antonello Caporale presenta Mediocri alla Libreria Ergot di Lecce Marco Notari all’Arci Tressette di Giovinazzo (Ba) 60 EVENTI

DOMENICA 15 T’insegnerò a volare al Fondo Verri di Lecce LUNEDÌ 16 Mascarimirì al Teatro Elio di Calimera (Le) MARTEDÌ 17 La sposa turca per la rassegna Movies and Wine alla Città del Tempo di Lecce GIOVEDÌ 19 Omaggio ai padri e ai figli con Fernando Bevilacqua all’Auditorium di Zollino (Le) Rebus al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le) I Rebus, attualmente cover band, propongono un repertorio che spazia dalle sonorità dark e decadenti inglesi (The Cure - Radiohead), fino al grunge degli anni ‘90 (Nirvana), attraversando i sorprendenti sentieri musicali del pop - rock angloamericano (The Smiths - U2 - R.E.M. - David Bowie) con intrusioni rock italiane (Litfiba). Ingresso gratuito. Serpentine Dj al Molly Malone di Lecce VENERDÌ 20 (In)canti di Tango al Kalì di Melpignano (Le) (In)canti di tango con Massimo Donno (chitarra, voce) e Gianluca Milanese (flauto traverso) è un viaggio musicale tra grandi note d’autore con un filo rosso che collega note e testi: il tango argentino e il jazz. Numerosi cantautori hanno utilizzato aperture musicali attingendo dal sud America, da Guccini a De andrè, fino a Paolo Conte e G.M. Testa. In questa performance il duo ripercorre questi sentieri, rimescolando la tradizione cantautoriale fondendola con brani di Piazzolla, Richard Galliano, ecc. Un’ora e trenta di frizzante musica, tra passione e poesia. Aioresis a Villa Prandico di Tuglie (Le) Hot Heat Country al Molly Malone di Lecce Marco Fabi alla Saletta della Cultura di Novoli (Le)

Sul palco della Saletta arriva Marco Fabi. La sua è un’originale miscela acustica in cui il suo songwriting delicato e intimista convive con estrema naturalezza e originalità al fianco di sofisticate atmosfere pop rock. Il suo primo album “La Scelta”, una produzione indipendente (Wing), contiene dieci brani in italiano e un episodio in inglese, “Another Man’s World”,


accolti con grande attenzione dalla stampa; un disco tanto apprezzato da meritarsi nel 2006 i riconoscimenti ufficiali prestigiosi tra cui il Premio della Critica Musica e Dischi Opera Prima, Premio Ciampi per Miglior debutto discografico dell’anno, la Targa Tenco “Opera Prima” 3° classificato. Ha collaborato inoltre con uno dei più brillanti producer inglesi, Jon Jacobs, già al fianco di leggendarie rockstar come Paul Mc Cartney, Elvis Costello etc, con il quale sperimenta un singolo d’assaggio tutto in inglese dal titolo “Far from you /The glassy hill”. Ingresso gratuito. Enrico Pieranunzi al Teatro Paisiello di Lecce La rassegna Suoni a sud ospita il pianista considerato uno dei massimi compositori e interpreti del panorama jazzistico italiano ed internazionale. SABATO 21 Kaos, Moddi e Dj trix all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) LUNEDÌ 23 Incontro con la poesia di Iolanda Insana al Teatro Elio di Calimera (Le) Martedì 24 Caramel per la rassegna Movies and Wine alla Città del Tempo di Lecce MERCOLEDÌ 25, VENERDÌ 27 E DOMENICA 29 Norma (Stagione Lirica) al Politeama Greco di Lecce GIOVEDÌ 26 Moods all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Progetto di rock elettronico formato da Stefano Scuro (voce e chitarra) dei Logo insieme con Enrico Carcagni (synth e programmazioni) e Antonio De Marianis (batteria) degli Steela e Ruggero Gallo (basso). Lo spettacolo proposto punta su un sound ricco e particolare e il repertorio spazia principalmente dai Depeche Mode fino a No Doubt, Gorillaz, Soft Cell, Moby, Jamiroquai, Lenny Kravitz, Marylin Manson. Il progetto punta a introdurre nel panorama live delle sonorità nuove e brani ricercati, anche se molto conosciuti dal grande pubblico.. La band,

ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL

Anche nel 2009 torna il festival dedicato alle band emergenti più famoso e frequentato d’Italia. Le selezioni provinciali entrano nel vivo. L’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) ospita i gruppi leccesi. Giovedì 19 marzo spazio ad Aioresis, Lola and the lovers, Straneffetto, Qck. Venerdì 20 sul palco The upnea, La teoria dei giochi, Sublime Follia e Dolce mente. Mercoledì 25 marzo spazio a Exentia, p40, Sunward e Gato de marmo. Giovedì 26 Marzo infine Vuaolè vocal quintet, Nudo al cubo, Le carte e Stato di felicità permanente. A Brindisi (13, 14, 15 marzo al Goldoni di Brindisi) si affronteranno: Albanuova, Cats’n’joe, Dna71, Emica, Hs, La Resistenza, Lenula, Meaning aura, Missiva, Senza Rancore Fran, Skalento e Stone Blind. A Taranto (7, 14 e 21 marzo al Villanova di Pulsano): 3.0, 6 O’Clock, D’ Bitols, Davide Berardi & Cantinaria, Emanuele Barbati, Gap, Infondo a destra, JoeBlackGroup, Kaizen, Karma In Auge, Kiss My Town, Nausicaa, Noumenon, Ragion Pura, Silenzioinsipido, Sinterra, Strada 26 e Sud Foundation Krù. A Bari (selezioni da definire): A3, Cariòn, Cascarèa, Erica Mou, Francesco Sossio - Muretti a secco, I donatori d’organo, Il kif, La Banda Wagliò, La Biblioteca Deserta, La fame di Camilla, Madrezma, Pornoromantici, The River, U’papun e Wide. Infine a Foggia (selezioni da definire): Alexina, Eternal, Nahima, O.h.m., Rocky Horror Fuckin’ Shit, Sans plaque, Sinistriincontri Band e Tavola 28. Questi gruppi si sfideranno nelle varie province per raggiungere la finale regionale pugliese che si terrà a Erchie (Br) sabato 4 aprile. Info www.italiawave.com appena nata, e nell’occasione è per la prima volta sul palco del Jack’n’Jill. Da non perdere. Popolous dj al Molly Malone di Lecce Jam Session all’Heineken Green Stage di Tricase Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di


tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento garantito. Ingresso gratuito. VENERDÌ 27 Bungaro alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) La rassegna di musica d’autore Tele e Ragnatele

ospita Bungaro. Il progetto Bungaro (nome d’arte del brindisino Antonio Calò) muove i primi passi attorno a gli anni ottanta. Nel 1988 e nel 1991 partecipa al Festival di Sanremo con “Sarò forte” e “E noi qui”, in questo caso assieme a Marco Conidi e Rosario Di Bella. Con la RCA incide quattro album: “Sulla Punta della Lingua”, “Cantare fa più bene”, “Ci perdiamo in tanti”, “Tutto d’ un fiato”. Quattro dischi prospetticamente diversi tra loro dove ricerca e sperimentazione sono le caratteristiche principali. La cover di “Once in a life time” dei Talking Heads viene così ribattezzata “Apri le braccia”, l’unica versione italiana del brano. Dieci anni di silenzio discografico, ma di intensa attività autoriale per grandi interpreti e

cantautori. Nel 2004 esce finalmente “L’attesa”, disco/evento, dove sono presenti i chiari segni della grande tradizione della canzone d’autore. ICS project a Villa Prandico di Tuglie (Le) Hostile e Deja-vu all’Istanbul cafè di Squinzano (Le) Invenzione a tre voci al Kalì di Melpignano (Le) Sul palco Raffaele Casarano (alto/soprano sax), Giovanni Imparato (percussioni) e Ettore Carucci (Piano) propongono un nuovo progetto che mette insieme melodia e percussione. Antonio Frisino al Molly Malone di Lecce SABATO 28 Guida all’ascolto di Enrico Renna all’Auditorium di Zollino (Le) Re dinamite all’Istanbul cafè di Squinzano (Le) DOMENICA 29 Transitions all’Auditorium di Zollino (Le) LUNEDÌ 30 Ensemble Terra d’Otranto al Teatro Elio di Calimera (Le) VENERDÌ 3 APRILE Skalento a Villa Prandico di Tuglie (Le) Leitmotiv all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Diego Morga alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) VENERDÌ 3 E SABATO Anime Nere ai Cantieri Koreja di Lecce SABATO 4 Bush Chemists all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)

DOVE TROVO COOLCLUB.IT? Coolclub.it si trova in molti locali, librerie, negozi di dischi, biblioteche, mediateche, internet point. Se volete diventare un punto di distribuzione di Coolclub.it (crescete e moltiplicatevi) mandate una mail a redazione@coolclub.it o chiamate al 3394313397 Lecce (Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Caffè Letterario, Svolta, Cagliostro, Circoletto Arcimondi, Arci Zei, Libreria Palmieri, Liberrima, Libreria Apuliae, Ergot, Pick Up, Libreria Icaro, Fondo Verri, Negra Tomasa, Road 66, Shui bar, Cantieri Teatrali Koreja, Santa Cruz, Molly Malone, La Movida, Biblioteca Provinciale N. Bernardini, Museo Provinciale Sigismondo Castromediano, Edicola Bla bla, Urp Lecce, Castello Carlo V, Torre di Merlino, Trumpet, Orient Express, Euro bar, Cts, Ateneo - Palazzo Codacci Pisanelli, Sperimentale Tabacchi, Palazzo Parlangeli,

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