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Speciale 2° Centenario fondazione Arma Carabinieri - Supplemento al n° 23 del Corriere della Piana - Periodico d’informazione della Piana del Tauro - Reg. Trib. di Palmi n° 85 del 16.04.1999
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er t s o p l i o n r e t All'in o v i t a r o m e m m co o i r a n e t n e c i b del Oltre il tempo, nella storia, verso il futuro Speciale 2° Centenario Fondazione Arma Carabinieri La storia dell’Arma raccontata dal Gen. Pellegrini La Commemorazione a San Giorgio Morgeto il 21 Agosto 2014
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Ai fulgidi martiri e agli eroi della quotidianità
Un grazie che giunge dal cuore Per gli esempi e i sacrifici offerti in due secoli al servizio dei cittadini e delle istituzioni
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iproporre in occasione del 200° anniversario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, raccolti in un unico “speciale”, tutti i contributi mensili scritti dal Gen. Angiolo Pellegrini, che con il prestigio della sua immagine professionale, la sua autorevolezza e la sobria eleganza della sua scrittura ha qualificato - molto di più di quanto forse egli stesso possa immaginare - la proposta editoriale del Corriere della Piana, rappresenta un piacere gradito, perché in quelle pagine, che riassumono a grandi tratti e veloci pennellate 200 anni di storia, è racchiusa con le vicende salienti di una storia plurisecolare l’essenza di una presenza, quella dell’Arma dei Carabinieri, che da sempre ci accompagna. L’Arma dei Carabinieri è parte della nostra vita, della
Corriere della Piana
Speciale 2° Centenario fondazione Arma Carabinieri
nostra cultura. Per chi scrive - l’Arma è anche retaggio familiare e il volumetto, poco più di una plaquette, diviene oggetto da conservare e da considerare - ci sia consentito - oltre che come un atto dovuto verso tutti coloro che da Carabinieri hanno servito la Patria, anche come un atto d’amore per chi - mio Padre - prima di darci vita indossò per quasi quattro decenni la divisa dell’Arma. Giovanissimo, dapprima in tempo di pace e poi - nel fiore dei migliori anni della sua vita - in tempo di Guerra e in terra d’Africa, vivendo l’epopea dell’Impero coloniale Italiano, in Libia, Cirenaica e Tripolitania, combattendo, meritando encomi, croci di guerra e decorazioni, restando ferito, conoscendo infine anche la prigionia prima che - a guerra finita - potesse far ritorno in Italia per avviarsi, uomo ormai maturo, alla fase finale della sua carriera nell’Arma quale comandante di Stazione in diversi paesi della Provincia di Catanzaro. A mio padre, ai tanti come lui: Carabinieri che hanno scritto - con le loro piccole e grandi storie, di quotidiano servizio e di abnegazione al dovere e agli ideali dell’Arma e che con i loro piccoli e grandi sacrifici e le loro rinuncie hanno scritto le pagine dell’ impegno quotidiano dell’Arma al servizio del paese e dei cittadini, anche a loro - oltre che agli eroi più noti e ricordati: stelle fulgidissime immolatesi per non venire meno alla scelta di vita fatta quando chiesero di diventare Carabinieri e il cui sacrificio va ricordato non solo come atto di eroismo ma come vero martìrio in difesa della “fede negli ideali dell’Arma e nei principi di legalità che essa propone e difende”, credo vada anche dedicato questo volumetto con gli scritti del Gen. Pellegrini. Per dire loro, grazie, per quanto hanno fatto, ogni giorno “usi a obbedir tacendo” e per quanto hanno saputo insegnarci. Per quanto ogni giorno - anche se non ci sono più - continuano a insegnarci. Ad essi, eroi oscuri della quotidianità così come ai Martiri, fulgidi eroi immolatisi in guerra o vittime della violenza - il nostro sentito “Grazie”. Luigi Mamone
Supplemento al n° 23 del Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro
Sommario
corrieredellapiana@libero.it
Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi
Editoriale
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Speciale 2° Centenario fondazione Arma Carabinieri - 18 Agosto 2014
Ha collaborato: Gen. Angiolo Pellegrini
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Un grazie che giunge dal cuore
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Poster commemorativo
Foto: Archivio Mamone (riproduzione vietata) Diego Demaio (riproduzione vietata)
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L'orgoglio di essere italiani
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Il nostro grazie alla Benemerita
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200 anni da protagonista
Grafica e Impaginazione: Stampa: Litotipografia Franco Colarco Responsabile Marketing: Luigi Cordova Cell. 339.7871785 - 389.8072802 cordovaluigi@alice.it - locordova@libero.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via Benedetto Croce 1 89029 Taurianova (RC) La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli anche se non pubblicati non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 18 Agosto 2014
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L'istituzione del Corpo dei Carabinieri Reali
La seconda guerra mondiale I Carabinieri al fronte
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Nell'inferno della steppa
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I Carabinieri nelle Campagne risorgimentali
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L'Arma dei Carabinieri Reali La prima guerra mondiale
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La "Benemerita", tra la prima e la seconda guerra mondiale
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200° anniversario fondazione Arma dei Carabinieri
Il dopoguerra e la riorganizzazione dell'Arma nella nuova Repubblica
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Il crimine organizzato
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Soccorso alle popolazioni
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L'A.N.C. di Toronto celebra i 200 anni dell'Arma
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La strage di Capaci
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Il CdP nel bicentenario della fondazione dell'Arma Benemerita
L'orgoglio di essere italiani
L'Arma dei Carabinieri è parte integrante dello spirito del popolo italiano di Luigi Mamone rete delle stazioni, continuano a rappresentare un elemento di continuità e un punto di riferimento per la gente. Dal Carabiniere di quartiere, recente figura di militare vicino alla gente, quasi una versione italiana del policeman inglese, ai reparti ad elevatissima specializzazione, l’Arma ha seguito nella sua evoluzione lo svilupparsi della società e il suo divenire adeguandosi ai tempi. Oggi in tempi di elevata tecnologia, il Carabinere sa essere anche tecnico informatico, esperto analista di dati e di elementi. Un tempo, con altre scansioni figlie di una realtà diversa, agreste e contadina, era comunque l’elemento d’ordine della comunità. E se la comunità era in difficoltà erano i Carabinieri che si trasformaL'Arma e i suoi eroi ricordati in numerosi francobolli.
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l 2014 rappresenta una tappa importante nella storia dell’Arma. Due secoli di presenza al servizio dello Stato e della Nazione. Fin dal momento della sua costituzione, voluta dal Re di Sardegna, i Reali Carabinieri si distinsero per la loro individualità di corpo, la assoluta dedizione ai compiti d’Istituto e la Fedeltà al sovrano dapprima e, successivamente, alla Repubblica. Gli scenari sui quali i militari dell’Arma hanno prestato la loro opera sono stati nell’arco di due secoli i più diversi e impegnativi. In guerra e in pace la presenza dei Carabinieri ha rappresentato la linea scriminante fra altre formazioni – assolutamente militari – e l’Arma Benemerita che oltre ai compiti militari, nel tempo ha costituito il simbolo stesso della presenza dello Stato in ogni angolo della Nazione e – il simbolo della presenza dell’Italia – su scenari internazionali. Il carabiniere, è entrato così nell’identità culturale degli italiani, nella quotidianità, nei riferimenti letterari, nello stesso sentire del senso dello Stato da parte degli italiani. I Carabinieri hanno rappresentato nell’epopea coloniale, non solo una delle armi dell’esercito italiano presente su quegli scenari, ma il corpo più vicino alla gente: portatori di pace e di civiltà. Come avviene oggi per le nostre missioni militari all’estero. In più i Carabinieri, con la loro strutturazione fondata sulla radicata presenza nel territorio attraverso la
vano in Angeli del soccorso. Dal terremoto di Reggio e Messina, passando per il Belice, l’Irpinia, le tante alluvioni, i disastri geologici, sempre fra i primi a intervenire furono i Carabinieri. Con sprezzo del pericolo e con alto senso del dovere. Sprezzo del pericolo e senso del dovere che in alcuni casi, da Salvo d’Acquisto, ai martiri di Fiesole, portò i Carabinieri ad immolarsi per salvare la vita di innocenti che altrimenti le logiche di un conflitto sanguinosissimo avrebbero ghermito. Senza ricordare le decine di militari martiri durante e fuori dal servizio sempre pronti a immolarsi per non venire meno al loro giuramento di fedeltà alla Repubblica e all’Arma: uno per tutti – che ci è rimasto impresso per il solo fatto che anni prima in occasione di un reportage televisivo lo avevamo conosciuto e apprezzato, il Maresciallo Achille Mazza, ucciso con un colpo di fucile
«Nei secoli fedele»
in pieno petto ad Amantea da uno squilibrato asserragliato su una terrazza e che – incurante del pericolo – stava cercando di rabbonire. Per questo, spesso, i sacrifici dei militari dell’Arma sono entrati nelle pagine di storia e in quelle della filatelia che – prima che internet stravolgesse le regole del gioco – attraverso i francobolli era un formidabile veicolo di diffusione della cultura e della memoria storica. Per questo, attingendo ancora una volta alla ricchissima miniera che è la collezione del Dott. Diego Demaio, a corredo di questo breve omaggio all’Arma, Istituzione alla quale per retaggio familiare chi scrive si sente particolarmente legato, proponiamo tre francobolli che ricordano tre momenti importanti della Storia dell’Arma e che con la riproposizione della copertina d’epoca che ricorda l’arresto del brigante Musolino – avvenuta nel lontano 1901 – rappresentano il sentito e sincero grazie che attraverso il CdP è giusto tributare all’Arma Benemerita le cui divise, i cui colori e la cui storia anche in questo primo scorcio del terzo millennio rappresentano una delle residue certezze in una Italia sempre più in crisi.
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L’Arma sempre al fianco degli italiani
200 anni da protagonista
di Angiolo Pellegrini Il Generale Angiolo Pellegrini
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o accettato con piacere il cortese invito dell’editore del Corriere della Piana, Dott. Luigi Ottavio Cordova, a partecipare alle Celebrazioni del 200° Anniversario dell’Arma dei Carabinieri, che si terranno a San Giorgio Morgeto il 21 agosto. Ho anche molto apprezzato che l’Amministrazione di San Giorgio Morgeto, cittadina ricca di bellezze naturali, di storia e di suggestivi “miti”, tra cui quello che vede proprio lì la nascita del nome “Italia”, abbia voluto ricordare i due secoli dell’Arma dei Carabinieri. Duecento anni di storia, di impegno, di sacrifici e di tanti atti eroici a difesa dei cittadini e del rispetto della legge. L’Arma dei Carabinieri, nei suoi 200 anni di vita, ha accompagnato, con la sua presenza, generazioni di italiani, vivendo da protagonista tutti gli eventi storici che hanno caratterizzato la vita del regno Sabaudo prima e del Regno d’Italia e della Repubblica Italiana successi-
Generale dell'Arma dei Carabinieri vamente: dagli albori del Risorgimento alle Guerre d’Indipendenza, dalle Campagne per l'Unità alla lotta al brigantaggio, dalla Grande Guerra a quella di Liberazione, dal contrasto della mafia alla lotta al terrorismo negli "anni di piombo", fino agli impegni internazionali odierni per la pace e la sicurezza nel mondo. Sul territorio nazionale e nelle missioni all’estero, tanti Carabinieri sacrificarono la loro vita per adempiere al loro dovere di difendere la Patria e le Istituzioni, di offrire sicurezza ai singoli di fronte alla malavita e alla società attraverso il rispetto della legge, spinti unicamente dall’ impegno di fedeltà assunto al momento dell’arruolamento e rinnovato ogni volta nella Preghiera alla Virgo Fidelis “suscita in ognuno di noi l’entusiasmo di testimoniare, con la fedeltà fino alla morte, l'amore a Dio e ai fratelli italiani”.Come non ricordare Salvo D’Acquisto ed i tre Martiri di Fiesole, La Rocca, Sbarretti e Marandola, che immolarono le loro giovani vite per salvare quelle di ostaggi innocenti, di Stefano Condello e Vincenzo Caruso, assassinati nel 1977 in contrada Razzà, di Carmine Tripodi, ucciso a San Luca nel 1985, di Vincenzo Garofalo e Antonino Fava crivellati di colpi mentre erano in servizio con la radiomobile, tutti impegnati a difendere i cittadini dalla arroganza della ‘ndrangheta. Oggi l’Arma sta vincendo un’altra delle sue grandi sfide: rimanere salda ai valori etici, morali, storici e militari nel solco della tradizione, riuscendo nel contempo a cogliere tutte le innovazioni tecnologiche indispensabili per renderla sempre più efficace ed efficiente. Rinnovo i miei sentiti ringraziamenti agli organizzatori, a quanti si sono impegnati per la realizzazione di questo importante evento e a chi, con la sua presenza, renderà più solenni le Celebrazioni del 200° Anniversario dell’Arma, che sicuramente rinsalderanno i sentimenti di simpatia e di fiducia nei confronti di chi giornalmente si prodiga per la sicurezza dei tanti cittadini onesti.
Gli allievi sottufficiali della Scuola di Firenze (anni '50) - Carabinieri in zona di operazione in A.O.I. (archivio Mamone, riproduzione vietata)
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L’istituzione del Corpo dei Carabinieri Reali
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a storia dell’Arma dei Carabinieri (ora alle porte del raggiungimento del secondo secolo) ha inizio il 30 Maggio 1814 quando Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, nel far ritorno a Torino, dopo la sconfitta di Napoleone, resosi conto di quanto fosse precaria la sicurezza delle strade e degli abitanti, impartì precise disposizioni perché fosse costituito un Corpo militare scelto, in grado di riportare nei suoi Stati (Ducati di Savoia, Aosta, Monferrato, Nizza, Oneglia, le valli Sesia e d’Ossola, la Lomellina, Alessandria, Torino, Voghera e Vigevano) il ritorno alla legge ed assicurare l’ordine. Venne così istituito, con Regie Patenti del 13 Luglio 1814, il Corpo dei Carabinieri Reali. “Per ricondurre, ed assicurare viemaggiormente il buon ordine e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno de' buoni, e fedeli sudditi Nostri, abbiamo riconosciuto essere necessario di porre in esecuzione tutti quei mezzi, che possono essere confacenti per iscoprire, sottoporre al rigor della Legge i malviventi, e male intenzionati, e prevenire le perniciose conseguenze, che da soggetti di simil sorta, infesti sempre alla Società,
Nelle foto: il frontespizio del Regolamento dell'Arma, Vittorio Emanuele II, Re d'Italia, e un Carabiniere in uniforme risorgimentale.
derivare ne possono a danno de' privati, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine date le Nostre disposizioni per istabilire una direzione generale di Buon Governo, specialmente incaricata di vegliare alla conservazione della pubblica e privata sicurezza, e andare all’incontro di que' disordini, che potrebbero intorbidarla. E per avere con una forza ben distribuita i mezzi più pronti, ed adattati, onde pervenire allo scopo, che ce ne siamo prefissi, abbiamo pure ordinata formazione, che si sta compiendo, di un Corpo di Militari per buona condotta e saviezza distinti, col nome di Corpo dei Carabinieri Reali, e colle speciali
prerogative, attribuzioni, ed incombenze analoghe al fine che ci siamo proposti per sempre più contribuire alla maggiore felicità dello Stato, che non può andare disgiunta dalla protezione, e difesa de' buoni, e fedeli Sudditi nostri, e dalla punizione de' rei”. Per quanto concerne in modo specifico i Carabinieri Reali, veniva disposto, tra l’altro che: le loro deposizioni avevano la stessa forza delle deposizioni dei testimoni; non potranno essere distolti dalle Autorità Civili o Militari dall’esercizio delle loro funzioni, salvo in circostanze di urgente necessità; il Corpo dei Carabinieri Reali andrà considerato nell’Armata il primo fra gli altri, dopo le Guardie del Corpo del Sovrano. Godrà perciò di tutte le prerogative, che in tale qualità gli spettano, ed all’occasione sarà preferito per l’accompagnamento delle Persone Reali. Alle patenti istitutive del Corpo fece seguito un Regolamento per l’Istituzione del Corpo dei Carabinieri e altre disposizioni circa il reclutamento, le paghe, l’armamento, l’alloggiamento, i comandi da costituire (delle12 “divisioni”, corrispondenti agli – attuali comandi provinciali – nelle principali città; ne furono però istituite soltanto 6). L’organico venne così fissato: 27 Ufficiali, 4 Marescialli a piedi e 13 a cavallo, 51 Brigadieri a piedi e 69 a cavallo, 272 Carabinieri a piedi e 367 a cavallo, per un totale di 803 uomini. Tale organico venne deciso tenendo conto di molteplici fattori, riconducibili alle esigenze dell’epoca. Prima di tutto la necessità di un mezzo di trasporto, indispensabile per consentire di estendere la vigilanza su tutto il territorio delle Brigate e per espletare gli incarichi ricevuti attraverso rapidi spostamenti su un vasto e difficile territorio. Nel Novembre successivo venne decretata l’uniforme del Corpo, insieme a quella dell’intero esercito, e compilato il relativo regolamento. Speciali segni distintivi per i carabinieri furono il colletto ed i paramani celesti, le fodere rosse, i bottoni argentei, gli alamari ed i fiocchi. Per gli ufficiali, una sciarpa di seta giallo-dorata, costellata di piccoli segni turchini, con nappe, da portarsi intorno alla cintura, sopra l’abito. La parola Carabiniere derivava dall’arma, la carabina, caratteristica dei reparti di fanteria leggera, che avevano a disposizione armi di maggiore precisione, gittata e distruttività, come appunto la carabina e la granata. Nonostante la diretta dipendenza dal Buon Governo e l’intesa permanente coi Prefetti ed i Magistrati, il Corpo dei Carabinieri godeva di una certa indipendenza, essendo libero di prendere, nell’ambito dei suoi statuti, tutte le necessarie iniziative. Il primo a ricoprire la carica, sia pure provvisoria, di Presidente capo del Buon Governo fu il luogotenente generale Giorgio Des Geneys, per cui egli può essere collocato al primo posto, nella cronologia dei comandanti del Corpo e quindi dell’Arma. Nell’Agosto dello stesso 1814 si ebbe la nomina del primo effettivo Presidente capo del Buon Governo, nella persona del generale Giuseppe Thaon di S. Andrea di Revel. Il Corpo ebbe un suo comandante effettivo, con il grado di Colonnello. Il primo ad essere chiamato a tale carica fu Luigi Provana di Bussolino, proveniente dal reggimento “Aosta”. I Carabinieri ebbero il battesimo del fuoco a Grenoble il 6 Luglio 1815, nel corso delle operazioni intraprese dal Regno di Sardegna per fronteggiare la minaccia francese, durante i cento giorni di Napoleone. I reparti di carabinieri a cavallo ebbero l’ordine di caricare il nemico che fronteggiava le truppe piemontesi per il possesso di quella piazzaforte, mettendola in rotta e contribuendo a risolvere favorevolmente le sorti della battaglia. La prima medaglia d’oro al valor militare venne concessa al carabiniere Scapaccino. A notte alta, il militare tornava a cavallo da Chambery, dove si era recato per servizio. Nonostante, la località di Les Echelles, fosse già occupata, il carabiniere tentò ugualmente di raggiungere la stazione dove era effettivo. Circondato dai ribelli, gli fu ingiunto, sotto la minaccia delle armi, di aderire spontaneamente alla loro causa e di gridare “Viva la Repubblica”. Il carabiniere oppose un fiero rifiuto, spronando il cavallo nella speranza di superare il cerchio degli armati. Fu un tentativo vano: due fucilate ne troncarono la giovane vita. Il 6 Giugno 1834 alla Memoria del carabiniere venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare – la prima medaglia assegnata ad un appartenente alle Forze Armate Italiane – con la seguente motivazione: “Per aver preferito di farsi uccidere dai fuorusciti, nelle mani di cui era caduto, piuttosto che gridare viva la repubblica a cui volevano costringerlo, gridando invece viva il Re. - Ponte des Echelles, 3 Febbraio 1834”.
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I Carabinieri nelle Campagne risorgimentali
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a partecipazione dei Carabinieri alla Prima Guerra d’Indipendenza fu particolarmente impegnativa. All’inizio delle ostilità erano stati mobilitati 434 carabinieri a cavallo suddivisi in tre squadroni (ciascuno di 90 uomini circa) e tre mezzi squadroni (ciascuno di 50 uomini circa). I tre squadroni di guerra costituiscono un corpo di cavalleria di riserva al servizio diretto del Re.
Nelle foto: Ufficiali dei Carabinieri (antiche stampe d'archivio)
I tre mezzi squadroni sono invece assegnati rispettivamente al generale Eusebio Bava, al generale Ettore Gerbaix de Sonnaz e al duca di Savoia, Vittorio Emanuele. I Carabinieri mobilitati sono agli ordini del conte Avogadro di Valdenga, i tre squadroni sono sotto il comando del maggiore Alessandro Negri di Sanfront, che operava presso il Quartier Generale e presso i Corpi d’Armata.
Raggiunta Venaria Reale, e poi Cremona e Cerreto Mantovano, i tre squadroni seguirono poi il Comando del Quartier Generale a Borghetto Santo Spirito sul Mincio, da dove il 25 Aprile 1848 il 3° squadrone scortò il Re Carlo Alberto sino a Roverbella, zona soggetta a continue incursioni nemiche. Il 30 Aprile ebbe inizio la battaglia, l’esercito piemontese aveva intanto respinto gli austriaci, costringendoli a concentrarsi nella zona di Pastrengo, tra il lago di Garda e il fiume Adige. Il Re che inizialmente aveva preso posto con lo Stato Maggiore sul colle della Mirandola, rilevato che la colonna di centro ritardava ad avanzare, scese dalla collina e quindi decise di trasferirsi su le Bionde, alture ancor più vicine a Pastrengo, per visionare meglio le mosse del nemico e gli spostamenti sul campo di battaglia. Quando, improvvisamente, un drappello di dieci Carabinieri, che si trovava in avanscoperta, venne fatto segno da scariche di fucileria nemica. Il maggiore Negri di Sanfron, intuito il grave rischio che correva il Re, si lanciò alla carica con i tre squadroni di Carabinieri, travolgendo le file austriache. Per questo eroico episodio, la Bandiera dell’Arma venne decorata con medaglia d’argento al Valor Militare con la motivazione. “Per la gloriosa carica che con impeto irrefrenabile e con rara intrepidezza eseguirono i tre Squadroni di guerra dei Carabinieri Reali decidendo le sorti della battaglia in favore dell’Esercito Sardo”. L’impegno bellico proseguì a Verona, Custoza, presso Milano e Peschiera, fino alla tremenda sconfitta di Novara. Anche in questo frangente, nei confronti dell’Arma fu espressa notevole ammirazione per essere riuscita a coprire con grande abilità la ritirata dell’esercito piemontese. A questo proposito, citiamo la poesia del letterato e uomo politico Costantino Nigra “la Rassegna di Novara”, poema nel quale l’autore immagina che il Re Carlo Alberto passi in rassegna i caduti delle varie battaglie. Per quanto concerne l’Arma così scrive: “Calma, severa, tacita, compatta, / ferma in arcione, gravemente incede / la prima squadra, e dietro al Re s’accampa / in chiuse file. Pendono alle selle, / lungo le staffe nitide, le canne / delle temute carabine. Al lume / delle stelle lampeggian le sguainate / sciabole. Brillan di sanguigne tinte / i purpurei pennacchi, erti ed immoti / come bosco di pioppo irrigidito. / Del Re custodi e della legge, schiavi / sol del dover, usi obbedir tacendo / e tacendo morir, terror de' rei, / modesti ignoti eroi, vittime oscure / e grandi, anime salde in salde membra, / mostran nei volti austeri, nei securi / occhi, nei larghi lacerati petti, / fiera, indomata la virtù latina. / Risonate, tamburi; salutate, / aste e vessilli. Onore, onore ai prodi / Carabinieri!”. Il motto “usi a obbedir tacendo e tacendo morir” subito adottato dall’Arma, venne sostituito nel 1914 con “nei secoli fedele”. Al sopraggiungere della Seconda Guerra d’Indipendenza i Carabinieri vennero costituiti in drappelli presso le Grandi Unità dell’Armata ed un reparto in servizio di polizia militare ed informazioni presso il Quartier Generale. Una caratteristica fu l’impiego dei comandi territoriali in zone di frontiera, per l’effettuazione di rischiosi servizi informativi e di primo intervento, nonché per assicurare la protezione dei telegrafi ed il servizio di posta. I Carabinieri svolsero inoltre, importantissimi servizi di avvistamento e di controllo sui movimenti e la consistenza del nemico, meritando complessivamente 20 medaglie d’argento e 25 di bronzo al Valor Militare. I risultati delle due prime Guerre per l’Indipendenza comportarono compiti molto impegnativi per i Carabinieri chiamati ad assicurare l’ordine nelle province di nuova acquisizione. L’Arma partecipò anche alla terza Guerra con drappelli a piedi e a cavallo. Con il Trattato di Vienna la futura nazione italiana acquisì il Veneto. I Carabinieri fanno rivivere le memorie delle epoche passate con il famoso “Carosello”, che vede il suo esordio per la prima volta nel Giugno del 1933 in Piazza di Siena.
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L’Arma dei Carabinieri Reali dopo la proclamazione del Regno d’Italia
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opo la proclamazione del Regno d’Italia, l’Arma ebbe la possibilità di contare su un organico di 503 Ufficiali e 17.958 tra Sottufficiali, Appuntati e Carabinieri, impiegati in una organizzazione che prevedeva un Comando Generale (Comitato), 14 Legioni, 36 Divisioni, 103 Compagnie o Squadroni, 191 Luogotenenze e 2000 Stazioni. Seguirono tempi difficili, soprattutto per la sicurezza, che videro l’Arma in prima linea nella lotta al “brigantaggio” postunitario nel sud d’Italia, fenomeno che sconvolse dal 1860 al 1869 il territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie. Il fenomeno aveva alla base le ragioni di sempre: l’insofferenza verso l’autorità costituita e lo stato di emarginazione delle classi più povere. La Casa di Borbone era riuscita, in qualche modo, a non sottovalutare le esi-
Nella foto: arresto di briganti.
Nella foto: il Capitano Chiaffredo Bergia.
genze dei ceti più bassi, soprattutto attraverso la tradizionale tendenza al “paternalismo”, che comunque lasciava irrisolti i problemi. Quando ai Borboni si sostituì il braccio forte dello Stato Italiano, mentre i liberali ritennero che patteggiare con il Piemonte avrebbe consentito
di uscire dal provincialismo in cui si sentivano relegati ed i militari in carriera videro la possibilità di maggiori gratificazioni in un esercito a dimensione nazionale che era riuscito ad allearsi con Francia ed Inghilterra nella campagna di Crimea, il latifondo vedeva cadere i privilegi concessi da Ferdinando II che, nel tentativo di accontentare tutti, aveva concesso ai contadini di condurre fondi a titolo gratuito ed ai proprietari di ricevere tributi. L’avvento dello Stato italiano veniva a sconvolgere tale situazione: il demanio assumeva la titolarità dei fondi non legittimamente posseduti ed i diritti per il loro sfruttamento. Inoltre, i militari del disciolto esercito borbonico che non avevano voluto accettare situazioni di “opportunismo politico” non ebbero altra via che costituirsi in formazioni irregolari cui venne dato il nome di brigantesche. A fronteggiare il brigantaggio venne impiegato un contingente di circa 90.000 uomini, al quale partecipò l’Arma con circa 5.000 Carabinieri. Mentre all’esercito competevano le azioni di guerra vera e propria, i Carabinieri ebbero il compito di debellare ogni residua forza brigantesca: compito estremamente difficile e pericoloso tenuto conto che i capi banda ed i loro fedelissimi erano soliti rifugiarsi, dopo gli scontri con l’esercito regolare, in luoghi inaccessibili in cui godevano dell’omertà della popolazione. Numerosissime furono le operazioni che videro i Carabinieri protagonisti assoluti: arresto di feroci latitanti, scontri a fuoco con le bande, liberazione di ostaggi. I militari dell’Arma si distinsero per numerosissimi episodi di eroismo, a tal proposito, vorrei citare il racconto intitolato “Fortezza”di Edmondo De Amicis, l’autore del libro Cuore, da cui si può cogliere una testimonianza stupenda di un episodio realmente accaduto nel luglio 1861, che vede protagonista un eroico giovane Carabiniere. Una menzione particolare merita la figura di Chiaffredo Bergia che giunse sino al grado di capitano per meriti eccezionali. Durante la sua carriera, durata sino alla morte, all’età di 52 anni, venne insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, dell’Ordine di Cavaliere dell’Ordine Equestre della Corona d’Italia, di una Medaglia d’Oro al V.M., di tre d’Argento e due di Bronzo al V.M., 17 Menzioni Onorevoli e numerosi encomi. I Carabinieri ebbero complessivamente 1.285 ricompense su 7.398 assegnate a tutte le Forze Militari impiegate nella lotta al brigantaggio.
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La prima guerra mondiale
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egli anni che precedettero la prima guerra mondiale, l’Arma dei Carabinieri continuò ad essere impegnata in importanti compiti militari e civili sia in Patria che all’estero. In questo periodo vanno ricordate l’istituzione della Banda dell’Arma dei Carabinieri reali (1862) e l’istituzione dei Carabinieri Guardie del Re (1870) poi Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica (i Corazzieri). Nel 1872 l’Arma svolse la prima missione fuori dai confini nazionali, durante la sfortunata avventura coloniale in Eritrea. I Carabinieri combatterono con molto valore ed ebbero l’incarico di arruolare militari indigeni che assunsero il nome di Zaptiè (dal turco Zaptye che significa polizia). Il loro arruolamento fu necessario per rinforzare gli organici della Compagnia Carabinieri d’ Africa. In Patria, i Carabinieri si distinsero soprattutto per il soccorso prestato alle vittime del terremoto che sconvolse le città di Messina e di Reggio di Calabria nel 1908. L’Arma venne unanimemente appellata con il titoI Carabinieri da sempre vicini alla gente.
In alto: Podgora (archivio Angiolo Pellegrini).
L'epopea coloniale in una stampa d'epoca.
lo di “Benemerita”. Nel 1912 i Carabinieri presero parte alla guerra Italo-Turca e, per il valore dimostrato sui campi di battaglia, la Bandiera dell’Arma fu decorata della Seconda Medaglia d’Argento al V.M.. Lo scoppio della prima guerra mondiale, vide l’Italia dopo un periodo di neutralità, schierata con la Triplice Intesa, contro la Triplice Alleanza. I Carabinieri per tutto il corso della guerra si distinsero per atti di valore e di eroismo, rimasti celebri, come l’assalto alla quota 240 del Monte Podgora (19 luglio 1915) ed il mantenimento di quella posizione pur in manifesta inferiorità numerica e privi di riserve di acqua e di cibo. Assolsero poi importanti compiti di Polizia Militare, ruolo che risultò fondamentale al momento della rotta di Caporetto. In posizioni di prima linea, per tutta la durata della guerra, i Carabinieri agirono ai posti di medicazione, con il compito di vigilanza sanitaria e di assistenza ai feriti, agli sbocchi dei camminamenti, lungo le strade e sulle direttrici di marcia delle truppe. Assicurarono la diffusione dei bandi per i militari e per i civili, il recapito di ordini, i servizi di sicurezza e di ordine pubblico negli abitati, la sicurezza delle comunicazioni e la repressione e la prevenzione dello spionaggio. Persero la vita 1423 Carabinieri e più di 5000 rimasero feriti. Il 5 giugno 1920 fu concessa alla Bandiera dell’Arma la Prima Medaglia d’Oro al Valor Militare. La data del decreto venne scelta per celebrare l’Anniversario della Fondazione dell’Arma dei Carabinieri. In basso: soccorso vittime del terremoto del 1908.
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Il Prefetto Cesare Mori
La lotta alla mafia. Si racconta che Mussolini nel maggio del 1924, durante un suo viaggio in Sicilia, arrivato con una scorta a Piana dei Greci, fosse accolto dal sindaco del paese, con le parole: "Vossia non doveva disturbarsi con tutti questi poliziotti. Qui siete sotto la mia protezione". Il duce rispose sorridendo ma, al rientro a Roma, trovò subito le persone adatte per risolvere il problema: il prefetto Cesare Mori ed il giudice Giampietro. Ebbe inizio così una campagna memorabile di lotta alla mafia. I sindaci erano mafiosi o collusi, i latitanti erano alla macchia da decenni, le estorsioni e le intimidazioni erano un fenomeno quotidiano.. Mori aveva dalla sua il vantaggio di avere carta bianca. I Carabinieri furono in prima fila insieme ai loro colleghi di PS nei rastrellamenti di massa che coinvolsero interi villaggi. A Gangi furono catturati dieci latitanti, tra cui il capobanda Ferrarello raggiunto da 52 mandati di cattura durante una latitanza di 33 anni. Nella zona delle Madonie furono distrutte tre bande e furono arrestati 130 latitanti. Le manette scattarono anche ai polsi di diversi sindaci eccellenti. I processi si conclusero con secoli di carcere e confino coatto, la ragnatela mafiosa venne strappata con metodi brutali ma oltremodo efficaci. Le statistiche testimoniavano il crollo di reati come abigeati, rapine, estorsioni, omicidi, danneggiamenti ed incendi dolosi, ma i capi mafiosi ed i collusi mettevano in atto un disegno classico della mafia. Abbandonavano lo scontro frontale per scegliere la strada della connivenza, cercando di instaurare rapporti con i vertici del fascismo. Mori, alla fine, sarà promosso per essere rimosso quando i danni avrebbero potuto essere irreparabili per i mafiosi.
In un solo anno di campagna, 11 carabinieri persero la vita, 350 rimasero feriti gravemente. Il bilancio del sacrificio e degli atti di valore compiuti emerge anche dal conto delle decorazioni: 14 medaglie d'argento, 47 di bronzo, 6 medaglie al valor civile, 14 attestati di benemerenza e 50 encomi.
L’Africa orientale Fuori dai confini, con l'appoggio della Germania ma contro la Società delle Nazioni, l’Italia si lanciò nella conquista di un "posto al sole" occupando Eritrea, Abissinia e Somalia (la cosiddetta Africa Orientale Italiana), seguita dall'annessione dell'Abissinia. In tutti questi teatri i Carabinieri parteciparono ai combattimenti (distinguendosi soprattutto nella seconda battaglia dell'Ogaden del 1936) e poi furono incaricati di estendere nei nuovi possedimenti la loro struttura territoriale per garantire la sicurezza e la convivenza pacifica. Per il valore dimostrato, alla bandiera dell'Arma dei Carabinieri fu concessa la prima croce di cavaliere dell'ordine militare d'Italia. Nel corso dell'intera guerra morirono 208 carabinieri ed altri 800 furono feriti. Quattro ottennero la Medaglia d'Oro al Valor Militare, 49 quella d'Argento, 108 di Bronzo e 435 la Croce di Guerra. Per perpetuare la memoria di quegli eventi, il comando interregionale di Napoli porta il nome di Ogaden.
La guerra di Spagna Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile fra le sinistre del Fronte Popolare, al potere dalle elezioni del 1936, e la Falange, una forza paragonabile al fascismo che grazie all'appoggio della Chiesa cattolica spagnola, al contributo militare della Germania e dell'Italia portò il potere nelle mani di Francisco Franco. Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado italiani combattenti nelle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la Seconda repubblica spagnola erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi.
I primi Carabinieri arrivarono in Spagna nel 1937 ma durante tutto il conflitto non superarono complessivamente mai le 500 unità. Indossavano l'uniforme kaki spagnola, conservando però i loro alamari d'argento. Uno dei loro maggiori problemi fu inizialmente quello di far capire la differenza fra i loro compiti e quelli dei carabineros spagnoli, guardie doganali e con la Guardia Civil. Non si trattava di piccoli puntigli, ma del legittimo desiderio di qualificarsi come un corpo d'élite, geloso delle proprie tradizioni. I compiti svolti dall'Arma durante la guerra civile di Spagna riguardarono soprattutto la polizia militare, la sorveglianza delle comunicazioni, l'assistenza alle popolazioni e l'ordine pubblico. Le basi logistiche italiane si trovano a Cadice e a Siviglia, ma i nodi delle linee di rifornimento erano localizzati nelle maggiori città.. In ognuna di esse vi era un distaccamento di Carabinieri e lungo le linee ferroviarie le scorte erano particolarmente intense nei giorni in cui venivano trasportati i rifornimenti per il CTV. I Carabinieri furono quindi impegnati sia nelle retrovie sia nelle maggiori battaglie: Malaga, Guadalajara, Ebro, Levante, Catalogna e Madrid. In ognuno di questi compiti, i militi dell'Arma fecero sempre il loro dovere. Quando il contingente lasciò la Spagna nel 1939, si era guadagnato 13 medaglie d'argento, 45 di bronzo, 105 croci di guerra e 43 promozioni per meriti di guerra. Dal 1938 l' Europa stava precipitando ormai verso la guerra. La Germania aveva annesso l'Austria ed i Sudeti e nel maggio del '39 Hitler e Mussolini avevano stretto il patto d'Acciaio con il quale l'Italia si impegnava, in caso di guerra, a sostenere la Germania con tutte le sue forze militari.
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Dipinto di Luca Morici
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Il nostro grazie alla Benemerita di Carlo Cleri
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’Amministrazione Comunale di San Giorgio Morgeto, che ho l’onore di guidare, ha condiviso in maniera entusiastica la proposta di realizzare, nell’anno che segna il secondo centenario dalla fondazione dell’Arma dei Carabinieri, una manifestazione che ricordasse l’importanza e - in chiave attuale - la necessità della presenza dell’Arma Benemerita che, oggi come un tempo, è uno dei cardini e uno dei punti di riferimento e di equilibrio della società italiana. Tralasciando gli scenari di guerra e gli impegni in campo internazionale, il ruolo che l’Arma dei Carabinieri ha svolto, fin dalla sua fondazione, dapprima in quelle aree regionali ricadenti sotto l’autorità dei Re di Sardegna e, successivamente all’Unità d’Italia, in tutto il Paese è fondamentale ed impagabile. La rete delle Stazioni dell’Arma ha rappresentato, in anni lontani in cui la dimensione della vita era strettamente circoscritta al paese e al circostante contado, con rare o rarissime prospettive di allontanamento e con livelli di analfabetismo
Sindaco di San Giorgio Morgeto
elevatissimi - un punto di riferimento anche sociale, che andava - pur senza esulare dai compiti di istituto - a rappresentare uno dei cardini intorno ai quali le popolazioni orbitavano. Epoche lontane, che hanno visto la presenza dei militari intesa come elemento di riferimento, di sicurezza, di dialogo e di crescita sociale. Quante volte ancora sentiamo gli anziani - ottuagenari e oltre - ricordare l’importanza del ruolo del Brigadiere o del Maresciallo, per la soluzione non solo di problematiche riconnesse all’espletamento dei compiti di Agenti e di Ufficiali di PG, ma magari di mediazione familiare, per sanare piccoli o grandi contrasti endofamiliari o fra famiglie opposte nelle composizioni di interessi o in vicende di fidanzamenti contrastati. Un vero punto di riferimento sociale e non solo gendarmi con la lucerna e il pennacchio rosso e blu come quelli di certa letteratura ottocentesca e di inizio novecento, baffuti e burberi con la bandoliera bianca e i pantaloni con la striscia rossa! I Carabinieri sono così entrati nello spirito delle popolazioni italiane. Il secolo scorso, sanguinosissimo, vide in qualunque campo militare evoluzioni assolutamente impensabili a fine ottocento: le automobili, gli aerei, la guerra moderna e le moderne esigenze di una società in continua espansione e modernizzazione. L’Arma, al pari della società si è costantemente evoluta ed oggi ancor di più è un punto di riferimento anche culturale per l’Italia. Il suo esempio di fedeltà alle istituzioni e i tanti esempi di eroismo, su scenari di guerra e dentro panorami di pace, confermano l’importanza del ruolo che essa ha svolto e svolge e che - con lo stesso spirito delle origini - la vede vicina e presente al fianco delle popolazioni. Per questo è in adesione al progetto sviluppato dal Corriere della Piana - magazine tutto calabrese - che ha dedicato grazie alla collaborazione del Gen. Angiolo Pellegrini un ciclo di articoli che raccontano la storia dell’Arma, riuniti ora in questo speciale realizzato nel contesto della celebrazione ufficiale con la quale San Giorgio Morgeto rende omaggio alla bicentenaria storia dei Carabinieri, che, come Amministrazione Comunale e a nome di tutta la città rendiamo omaggio all’Arma Benemerita.
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La seconda guerra mondiale I Carabinieri al fronte Impegnati in molteplici scenari di guerra
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opo lo scoppio della seconda guerra mondiale, i reparti dell’Arma dei Carabinieri dal mese di Giugno del 1940 entrarono progressivamente nel conflitto ed, in breve, furono impiegati su tutti i fronti: in Africa settentrionale ed orientale, i quelli balcanici, in Russia, in Corsica, sulle coste italiane, sulle isole e nelle colonie. I compiti principali furono quelli della polizia militare, di controllo alle popolazioni civili nelle zone di occupazione, di controspionaggio e di controllo della corrispondenza. Il vero battesimo del fuoco fu la campagna di Grecia. I Carabinieri ebbero modo di scontrarsi contro le unitissime difese apprestate dall’esercito greco lungo la catena del Pindo e subirono numerosi contrattacchi da parte dei soldati greci, molto abili nell’uso del mortaio e perfettamente a loro agio in un territorio da loro ben conosciuto. Tra il Novembre ed il Dicembre del 1940, gli italiani vennero respinti in Albania. I Carabinieri del 3° battaglione, che operava con la divisione Julia, subirono un violento bombardamento della RAF a Durazzo e a Tirana. All’arrivo del nemico risposero all’attacco e non si ritirarono nonostante la pressione degli avversari. Una loro compagnia ebbe poi l’incarico di coprire la ritirata del 9° Reggimento Alpini. Successivamente il 3° BTG agì come pronto intervento nei settori della Julia più minacciati; la seconda compagnia, pur accerchiata, lanciò un violento contrattacco lungo la mulattiera per Klisura. Vinsero la battaglia nella quale persero la vita il comandante, capitano Maggio Ronchey (Medaglia d’Oro al VM) ed un quinto degli effettivi (Medaglia di Bronzo alla Bandiera). Alla campagna parteciparono nove Battaglioni Carabinieri, per un totale di oltre 6000 uomini, impegnati sia nei combattimenti sia nel mantenimento della sicurezza contro le bande partigiane. Il successivo intervento della Wermacht consentì infine di piegare la resistenza greca.
Carabinieri in divisa coloniale in zona di operazione in Africa Orientale Italiana ( Archivio Mamone - riproduzione vietata)
La campagna d’Africa La campagna d’Africa non iniziò bene per le truppe italiane che, alla fine del 1940, dovettero lasciare il suolo egiziano. Nell’anno successivo gli inglesi invasero la Cirenaica, Tobruk capitolò e vennero annientate nove divisioni italiane. Rommel arrivò allora al fronte con la 21° divisione panzer, cinse d’assedio Tobruk, importante piazzaforte per le comunicazioni sulla costa, e respinse la controffensiva inglese finalizzata a spezzare l’assedio. Giunse allora in zona di operazioni una piccola unità scelta di Carabinieri: il Battaglione Paracadutisti, che si coprì di gloria soprattutto nella lunga battaglia di Culqualber. Il 6 Agosto 1941 vennero inviati i veterani del 1º Gruppo Mobilitato dei Carabinieri, articolato su due compagnie (200 uomini) e una compagnia di zaptiè (160 uomini indigeni), e il CCXL Battaglione Camicie Nere, forte di 675 legionari. Presa visione della situazione, i Carabinieri decisero di attestarsi sul Costone dei Roccioni (che con i suoi ciglioni a strapiombo si protendeva ad ovest della rotabile per Gondar) e lungo il retrostante sperone del km 39, il più avanzato a Sud dal lato di Dessié-Debra Tabor. Il comando fu invece posto in posizione baricentrica. Per quattro mesi il contingente si oppose all’avanzata inglese, rinforzando i ripari con tronchi d’albero e forando la roccia del costone su cui si trovavano, per realizzare feritoie da cui sparare. L’accerchiamento degli italiani sulla Sella di Culqualber era completo e così le linee di rifornimento con le retrovie erano tagliate. Iniziò, così, un periodo degli stenti. I viveri furono subito razionati e spesso il loro unico pasto era costituito dalla bargutta, una farina molto grossolana ottenuta macinando con delle pietre granaglie, biade e mangime per quadrupedi, poi impastata con acqua e cotta tra sassi roventi e braci. Ma più della fame, le sofferenze e le preoccupazioni maggiori venivano dalla mancanza d’acqua. L’unica fonte di approvvigionamento sicura, infatti, era costituita da una sorgente la cui portata era però troppo scarsa per soddisfare i bisogni mentre i due fiumiciattoli a cui fino a quel momento avevano attinto, erano ormai dominati delle forze assedianti. I carabinieri, dimostrando grande spirito di adattamento, di notte usavano stendere i loro asciugamani per terra che al mattino raccoglievano bagnati dall’elevata umidità notturna, così potevano almeno curare l’igiene personale. Per il resto dovevano spingersi fino ai fiumi dove erano facile bersaglio del tiro nemico, cosa che provocava uno stillicidio di perdite. Gli assediati erano però coscienti che il tempo giocava a favore degli inglesi, così da metà ottobre iniziarono una serie di sortite con il duplice scopo di allentare la pressione del nemico sul caposaldo e sottrargli armi e vettovagliamenti. L’esito della battaglia si ebbe quando, dopo un intenso bombardamento effettuato da oltre 50 aerei inglesi, le posizioni vennero prese d’assalto da oltre 20.000 uomini. I pochi superstiti ripiegarono a Gondar, ma la caduta di quest’ultimo presidio il 27 Novembre determinò la fine della guerra in Africa orientale. Ai pochi sopravvissuti gli avversari tributarono l’onore delle armi. Oltre a numerose menzioni e decorazioni individuali, per il comportamento tenuto dall’intero reparto alla Bandiera dell’Arma dei Carabinieri è stata concessa la seconda medaglia d’oro al valor militare. La ricorrenza della Patrona dell’Arma dei Carabinieri, Virgo Fidelis, è stata fissata dal papa Pio XII per il 21 Novembre, giorno in cui cade la Presentazione della Beata Vergine Maria e la ricorrenza della battaglia di Culqualber.
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La seconda guerra mondiale. Carabinieri sul fronte russo
Nell’inferno della steppa
(seconda parte)
di Angiolo Pellegrini Generale dell'Arma dei Carabinieri
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a campagna di Russia. Sul fronte russo, tra il 1941 e il 1943, operarono varie sezioni carabinieri addette alle Grandi Unità e, all’ultima fase, anche il XXVI° Battaglione, di stanza a Bologna, che venne impiegato per ritardare l’avanzata delle truppe sovietiche, agevolando la ritirata. I Carabinieri dettero prova di autentico valore, esemplare disciplina e grande resistenza. L’azione dei Carabinieri fu particolarmente valorosa, specialmente dopo la seconda battaglia del Don, nel coprire la ritirata delle Unità combattenti. Gli italiani dovettero subire un micidiale bombardamento, riparati in ristrette buche, scavate nel terreno gelato,
Fiesole, Fiesole,Parco Parcodelle dellaRimembranze. rimembranza.
poi, arrivò l’ordine di forzare il blocco e non si contarono più gli atti di valore. L’armistizio. L’8 Settembre arrivò l’armistizio con gli alleati. I tedeschi approfittarono dei momenti di confusione e, approfittando del migliore armamento ed organizzazione, catturarono e deportarono migliaia di Carabinieri, senza ordini e abbandonati a se stessi. Nonostante il clima confuso, i Carabinieri rimasero al loro posto, molti di loro, dietro la carica istituzionale, erano partigiani fiancheggiando le formazioni e contribuendo alla resistenza. Alla fine della guerra, i Carabinieri contarono 4618 caduti, 578 dispersi e oltre 15.000 feriti. In conseguenza del
In un disegno d'epoca, l'eroico gesto del Vice Brigadiere Salvo D'Acquisto, M.O. al V.M..
referendum del 2 Giugno, Re Umberto II, nel lasciare l’Italia, scioglieva i Carabinieri dal giuramento di fedeltà verso la sua persona. Il Reggio Esercito rinasce in Esercito Italiano e l’Arma dei Carabinieri Reali viene rinominata Arma dei Carabinieri, la prima Arma dell’Esercito. Per il contributo di sangue dato alla Resistenza, il 2 Giugno 1984, viene concessa alla bandiera dell’Arma la Medaglia d’Oro. I Martiri di Fiesole. Anche i Carabinieri della stazione di Fiesole, nel 1944, entrarono in contatto con la resistenza, ed ebbero l’incarico di raccogliere informazioni, fornire armi e partecipare ad azioni di sabotaggio. Il 29 Giugno, una pattuglia porta ordini, composta da tre carabinieri e da un civile, ebbe uno scontro a fuoco con i tedeschi. Un tedesco rimase ucciso, il carabiniere Sebastiano Pandolfi ed il civile furono catturati e fucilati. Poco dopo i tedeschi arrestarono il comandante della stazione che però riuscì a fuggire, facendo pervenire, ai tre carabinieri della stazione, un messaggio con l’invito di darsi alla macchia. Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti si rifugiarono tra i ruderi di un anfiteatro, in attesa di potersi ricongiungere con i partigiani. Il 12 Agosto vennero informati che i tedeschi, scoperta la loro fuga, avevano preso in ostaggio 10 civili e minacciavano di fucilarli se non si fossero consegnati. I tre giovani carabinieri si consegnarono e vennero fucilati. Ai tre valorosi carabinieri, poco più che ventenni venne concessa la Medaglia d’Oro. Salvo D’Acquisto. I tedeschi avevano occupato la zona di Palidoro, una località sulla costa tirrenica a pochi chilometri da Roma. e un loro reparto, verso sera, dopo una gran cena e molte bottiglie di vino, sfondò la porta della casermetta deserta della guardia di finanza, che era in un'antica torre saracena sulla riva dei mare. Pare che i tedeschi, nel rovistare dentro una cassa avessero fatto esplodere una bomba a mano, che provocò un morto e due feriti gravi. Ogni tentativo di spiegazione fu impossibile. La compagnia che presidiava la zona era delle SS. I nazisti prelevarono 22 ostaggi tra la popolazione della borgata, assolutamente presi a caso, poi andarono in cerca del «carabiniere più elevato in grado». A Palidoro non c'era stazione, il comando più vicino era a Torre in Pietra. Partì una camionetta e ritornò con Salvo D'Acquisto, vicebrigadiere in sottordine, appunto il più elevato in grado perché il maresciallo era assente. Al sottufficiale venne detto di individuare tra i prigionieri l'autore dell'attentato nella torre. D'Acquisto dimostrò che nessuno poteva essere responsabile dell'accaduto. Lo presero a pugni e a calci: non servì a niente. D'Acquisto aveva soltanto 23 anni, ma già una personalità decisa. Un ufficiale tedesco fece salire gli ostaggi su di un camion che li portò ai piedi della torre di Palidoro. Sulla sabbia erano già piantate, rigorosamente in fila, cinque vanghe di modello militare; dietro di esse un drappello di SS coi mitra imbracciati. L'ufficiale, a ciascuno degli ostaggi chiese se era l'autore dell'attentato. Al loro diniego l’ufficiale nazista tracciò una lunga riga sulla sabbia col frustino: “Scavatevi la fossa”. Il lavoro durò quel tanto da far maturare nella coscienza di Salvo D'Acquisto la sua decisione. Fece chiamare l'ufficiale e barattò la sua vita contro quella dei ventidue civili innocenti. Si proclamò autore dell'attentato e unico responsabile di tutto. Una lunga raffica di mitragliatore, il corpo cade stroncato nella fossa già aperta. Gigantesco eroe, che assume le umili sembianze di martire cristiano.
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Il dopoguerra e la riorganizzazione dell’Arma nella nuova Repubblica
La riorganizzazione dell’Arma
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opo la disfatta bellica, l’Arma si trovò ad affrontare esigenze di riorganizzazione, rese ancor più gravi dalla situazione economica in cui lo Stato si trovava. Una volta assunto il comando dell’Arma il Generale Giovanni De Lorenzo, lo Stato Maggiore iniziò a rivedere le uniformi per ufficiali, sottufficiali e carabinieri, proseguì snellendo la burocrazia e l’amministrazione, destinò i migliori ufficiali alle scuole di formazione. Approfittando della recrudescenza della criminalità nelle città, vennero create le “gazzelle”, vennero istituiti i centri elicotteri, venne rinnovato l’armamento. Per quanto concerne la componente militare, venne riorganizzata la XI Brigata Meccanizzata e ricostituito il Battaglione Carabinieri Paracadutisti. Così modernizzata, l’Arma fu pronta ad affrontare le nuove sfide.
Il terrorismo eversivo
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l mondo del lavoro, cresciuto all'ombra di un boom economico che non aveva tenuto conto delle sue esigenze sociali, era entrato in fermento. Le rivendicazioni economiche si saldavano ai dibattiti e alle lotte intorno alle condizioni in fabbrica, alla struttura dell'organizzazione del lavoro (ritmi, controlli, straordinari e impatto delle innovazioni tecnologiche nella catena produttiva), al diritto alla casa contro la speculazione del mattone ed ai trasporti di massa. Le prime lotte ebbero origine in zone periferiche contro i nuovi, massacranti ritmi di lavoro e contro la minaccia di licenziamenti. Si fecero strada i teorici della violenza proletaria e divennero in voga slogan come "Il potere nasce dalla canna del fucile. Violenza contro violenza", "Guerra no, guerriglia sì" sullo sfondo dei miti di Mao, Che Guevara e del Vietnam. La sfida
di questo decennio venne raccolta dall'Arma con vari strumenti. Quello più ovvio fu rappresentato dal servizio di ordine pubblico. Meno visibile, ma di maggiore importanza per l'azione preventiva, fu invece il servizio informativo. La formazione più agguerrita e temibile nella nebulosa del terrorismo di sinistra risultò indubitabilmente quella della BR (Brigate Rosse), costituitesi come partito armato nel Maggio del 1972. Mentre a livello di vertice, i politici persero tempo in sterili battaglie di competenze, i CC crearono, per iniziativa del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, un primo nucleo investigativo. La lotta al terrorismo non ebbe né rapida né facile soluzione e si susseguirono drammatici episodi che svelarono la pericolosità per le istituzioni non solo delle Brigate Rosse ma anche di numerosi altri gruppi terroristici, di destra e di sinistra, più o meno ricchi di militanti e di mezzi, che erano passati dalla violenza diffusa alla lotta armata clandestina. Attorno al Nucleo Speciale Carabinieri, che aveva dato prova di così Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa. elevata efficienza, l'Arma creò una più ampia struttura anticrimine, con il compito di raggiungere una conoscenza globale della minaccia e di tradurla in termini di contrasto operativo. Prima di tutto, quindi, la ricerca di informazioni qualificate e capillari, che da tutti gli innumerevoli comandi territoriali dell'Arma affluirono continuamente agli specialisti, in grado di analizzarle e sfruttarle in modo scientifico e coordinato. Le Sezioni Speciali Anticrimine, pur dirette a livello centrale, avevano poi ricevuto aree di competenza corrispondenti alle zone ove operavano le strutture eversive, e in particolare le colonne delle Brigate Rosse, al fine di essere ancor più aderenti all'esigenza. La mentalità operativa tradizionale subì modifiche imposte dalla necessità di raggiungere obiettivi non limitati al tradizionale intervento di polizia, fatto di una serie di arresti e di sequestri, proponendosi invece di incidere a fondo sull'aspetto associativo, e quindi sull'essenza stessa dell'organizzazione da combattere.
Il maresciallo Felice Maritano
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aritano ha partecipato alla guerra nei Balcani e dopo l'8 Settembre 1943 è stato internato in Germania fino alla fine del conflitto. Nel 1941 era stato promosso appuntato per meriti di guerra, poi decorato con croce al Valor Militare nel gennaio 1941 sul teatro dei Balcani. Nel corso del suo lungo servizio di 10 anni a Rivarolo (Genova) gli erano stati concessi 10 encomi solenni. La gente lì lo conosceva con l'affettuoso (e significativo) nomignolo di "sceriffo". È stato il mio primo maestro. Ha partecipato alle più importanti operazioni per la cattura di terroristi, finchè, nel corso di uno scontro a fuoco con tre terroristi ha perso la vita.
Il tenente Umberto Rocca
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l 5 Giugno 1975 il tenente Umberto Rocca, comandante della compagnia di Acqui, dopo aver celebrato la ricorrenza del 161° anniversario dell'Arma, verso le 10,30 decide di effettuare ispezioni in località e cascine già note e sorvegliate (ma ancora senza esito). Sono con lui il maresciallo maggiore Rosario Cattafi, comandante della stazione di Acqui Terme; l'appuntato Giovanni D'Alfonso, l'appuntato Pietro Barberis. Arrivati nella località di Arzello del comune di Melazzo (10 km da Acqui) alle 11.30 Rocca giunge alla cascina Spiotta, da più mesi posta sotto sorveglianza perché segnalata come luogo saltuario di ritrovo di persone sospette. Al piano superiore si affaccia una donna che guarda nel cortile e rientra in silenzio. Si scatena l'inferno. Una bomba investe in pieno Rocca, gli trancia il braccio sinistro e gli ferisce l'occhio sinistro. Cattafi viene colpito da numerose schegge sul lato destro, ma spara con la pistola contro finestre e porta. Dopo alcuni minuti arrivano con l'autoradio altri tre colleghi. Da un piccolo vano a piano terra sentono gridare aiuto. È Gancia, rapito il giorno prima. La donna uccisa è Margherita Cagol (conosciuta con il nome di battaglia di Mara), moglie di Renato Curcio. Lo scontro si è risolto in un'autentica carneficina. Rocca è mutilato, D'Alfonso è morto, Cattafi è ferito.
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Il crimine organizzato
I Carabinieri sono stati impegnati in prima linea, pagando un alto tributo di sangue, nella lotta contro la mafia e la criminalità organizzata.
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ino all’inizio degli anni 80 c’era ancora chi sosteneva che la mafia non era che la degenerazione di quella esistente sino a pochi decenni prima, dimenticando i delitti efferati, gli abigeati, le sopraffazioni che erano tipici della cosiddetta “mafia rurale” ma che proprio a quella struttura si rivolsero i gangster americani, come Lucky Luciano, quando i servizi segreti americani decisero di servirsene per facilitare lo sbarco in Sicilia. Furono i capi storici della mafia, Vizzini e Genco Russo che seppero unire alla ferocia delle esecuzioni la figura del mafioso, protettore dei deboli dimenticati dallo
tempo si verificano due fenomeni: da una parte la perdita di consensi di parte della mafia e la reazione della società civile; dall’altra l’affermarsi di metodi di investigazione più moderni e la convergenza degli sforzi della magistratura e delle forze di polizia. I successi ottenuti attraverso il sacrificio e l’eccezionale contributo dell’Arma, con il Maxiprocesso, istruito dal pool dell’ufficio istruzione di Palermo, a seguito degli arresti di tanti boss, quali Michele Greco “il papa”, Riina, e di tanti capi famiglia, lo smantellamento delle raffinerie di droga impiantate a Palermo ed i sequestri di ingenti beni di provenienza illecita, pur se risultati assai importanti, non devono indurre a rallentare il costante impegno.. La sfida più difficile, infatti, continua a venire soprattutto da quei profondi intrecci politici, economici, sociali e culturali che hanno generato le attività criminali e che da Regioni come la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campagna si sono diffusi in tutta la penisola, riuscendo anche a superare i confini nazionali. Le grandi mafie - come cosa nostra in Sicilia e in America, la 'ndrangheta in Calabria, la camorra in Campania, ma anche lo Yakuza giapponese e le Triadi cinesi - hanno impiegato decenni per costruire questa loro fama. Per imporre la loro legge sono sempre pronti a taLo scenario di morte dopo l’esplosione di Capaci glieggiare, terrorizzare e uccidere chiunque si opponga agli interessi del proprio “gruppo”. La collaborazione internazionale, promossa dal giudice Falcone, l’istituzione dell’Anticrimine, del ROS e della DIA hanno contribuito, nel tempo, ad infliggere alle organizzazioni mafiose importantissimi “colpi” che hanno permesso di contenere la loro diffusione territoriale e la potenza economica. Ma non possiamo dimenticare alcune delle tante vittime della mafia - i nostri eroi - che sono stati disposti a sacrificare la loro vita per il bene comune. Giuseppe Russo (20 agosto 1977), tenente colonnello dei carabinieri. Emanuele Basile (4 maggio 1980), capitano dei Carabinieri. Vito Jevolella (10 ottobre 1981), maresciallo dei carabinieri di Palermo. Alfredo Agosta (18 marzo 1982), maresciallo dei carabinieri di Catania.
Mario D'Aleo - Capitano dei Carabinieri
Stato. Quando la mafia rinsaldò i vincoli oltre oceano ed iniziò a produrre e ad esportare sostanze stupefacenti, con il conseguente afflusso nelle proprie casse di enormi quantità di denaro, la lotta con le Istituzioni dal 1970 si radicalizzò, in conseguenza della più decisa azione di contrasto dello Stato. Si assistette agli omicidi c.d. “eccellenti”: Ufficiali, Sottufficiali e Militari dell’Arma dei Carabinieri, Funzionari e Personale della Polizia di Stato, Magistrati, Politici e lo stesso Prefetto di Palermo caddero sotto il fuoco dei killers. Ma nello stesso
Strage della circonvallazione (16 giugno 1982): Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca e Giuseppe Di Lavore, carabinieri, che traducevano Alfio Ferlito, boss di Catania. Strage di via Carini (3 settembre 1982): Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dei Carabinieri e prefetto del capoluogo siciliano; Emanuela Setti Carraro, moglie di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e Domenico Russo, agente di polizia. Mario D'Aleo (13 giugno 1983), capitano dei carabinieri. Pietro Morici (13 giugno 1983), carabiniere. Giuseppe Bommarito (13 giugno 1983), carabiniere. Strage di via Pipitone Federico (29 luglio 1983): Mario Trapassi, maresciallo dei carabinieri; Salvatore Bartolotta, carabiniere. Giuliano Guazzelli (14 aprile 1992), maresciallo dei carabinieri. E TANTI ALTRI ANCORA PER UN ELENCO QUASI INTERMINABILE
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L'Arma dei Carabinieri da sempre al fianco dei civili in difficoltà
Soccorso alle popolazioni
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Carabinieri, nel dopo guerra, sono stati sempre in prima linea nel soccorso alle popolazioni, vittime di catastrofi naturali. Vogliamo ricordare: l’alluvione del Polesine; il disastro del Vajont; l’alluvione di Firenze; i terremoti del Friuli e dell’Irpinia; l’alluvione del Piemonte e dell’Emilia Romagna e tutte le catastrofi minori che hanno colpito l’Italia e che hanno sempre visto i Carabinieri tra i primi a soccorrere i cittadini e punto di riferimento nell’organizzazione degli aiuti. Per tale attività, numerosi sono stati i riconoscimenti, tra cui Tre Medaglie d’Oro, e Una d’Argento al Valor Civile e Due Medaglie d’Oro al Valore dell’Esercito.
Carabinieri in missione all’estero I Carabinieri sono stati chiamati a partecipare a missioni operative all’estero, sia con compiti propriamente militari che di polizia. Hanno operato nei Balcani, nell’ambito delle missioni Nato, in Libano, in Somalia, in Bosnia, nel Kosovo, in Cambogia, nel Mozambico, in Afghanistan ed in Irak.
Attentato del 12 Novembre 2003 a Nassiriya
Alle ore 10:40 ora locale, le 08:40 in Italia, del 12 Novembre 2003, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti la base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana dei Carabinieri, provocando l'esplosione del deposito munizioni della base e la morte di diverse persone tra Carabinieri, militari e civili. Il Carabiniere di guardia all'ingresso della base "Maestrale", riuscì ad uccidere i due attentatori suicidi, tant'è che il camion non esplose all'interno della caserma ma sul cancello di entrata, evitando così una strage di più ampie proporzioni. I primi soccorsi furono prestati dai Carabinieri stessi, dalla nuova polizia irachena e dai civili del luogo. Nell'esplosione rimase coinvolta anche la troupe del regista Stefano Rolla che si trovava sul luogo per girare uno sceneggiato sulla ricostruzione a Nassiriya da parte dei soldati italiani, nonché i militari dell'esercito italiano di scorta alla troupe che si erano fermati lì per una sosta logistica. L'attentato provocò 28 morti, 19 italiani e 9 iracheni. I caduti delle Forze Armate Italiane appartenevano a vari reparti dell'Arma dei Carabinieri Territoriale, al 13 Reggimento Carabinieri di Gorizia ed al 7º Reggimento Carabinieri "Trentino-Alto Adige" di Laives, al Reggimento San Marco, alla Brigata Folgore, al 66º Reggimento fanteria aeromobile "Trieste", al Reggimento Savoia Cavalleria e
al Reggimento Trasimeno. Sono morti anche alcuni appartenenti alla Brigata Sassari e 3 militari del 6º Reggimento Trasporti della Brigata Logistica di Proiezione, che stavano scortando un cooperatore internazionale.
Specialità Nel continuo processo di adeguamento alle nuove esigenze, i Carabinieri hanno creato, negli anni, nuclei specializzati, per la repressione di diversi reati: Carabinieri per la tutela dell’ambiente (1962); NAS Carabinieri per la tutela della salute (1962); Servizio Aereo (1965); Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (1969), GIS Gruppo di intervento speciale (1977); Carabinieri Banca d’Italia (1982); Carabinieri antifalsificazione monetaria (1992); Carabinieri politiche agricole (1994); Carabinieri per la tutela del lavoro (1997).
Forza Armata Il 31 Marzo del 2000, i Carabinieri, da parte integrante dell’Esercito, con il rango di prima Arma, vengono elevati a Forza Armata, nell’ambito del Ministero della Difesa. Ciò permette anche ai Carabinieri di avere un Comandante Generale proveniente dai suoi ranghi, mentre in passato il comandante generale dell’Arma proveniva da Ufficiali Generali dell’Esercito.
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Con il placet del Comando Generale:
L’A.N.C. di TORONTO celebra i 200 Anni dell’Arma dei Carabinieri
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ittorio Emanuele I, Re di Sardegna, nel far ritorno a Torino, dopo la sconfitta di Napoleone, resosi conto di quanto fosse precaria la sicurezza delle strade e degli abitanti, impartì precise disposizioni perché fosse costituito un Corpo militare scelto in grado di riportare nei suoi Stati il ritorno alla legge ed assicurare l’ordine. Venne così istituito, con
Regie Patenti del 13 Luglio 1814, il Corpo dei Carabinieri Reali. Da allora sono passati due secoli! Due secoli di vita al servizio della legge, di sacrifici e di rinunce, di abnegazione e di atti eroici, di lotte e di fedeltà assoluta alle Istituzioni, in pace ed in guerra, oggi come sempre. Nel 1814, vennero scelti gli uomini migliori in servizio nell’esercito piemontese, ed ancora oggi i Carabinieri sono i
migliori uomini al servizio del Paese: nelle grandi città come nei piccoli centri, assicurano instancabili la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ordine pubblico. Da meno di mille uomini e 100 stazioni, dopo due secoli si e’ passati ad oltre centomila carabinieri e quattromila presidi sul territorio nazionale, oltre a centinaia di missioni all’estero per la tutela della pace. Pur nel rispetto delle tradizioni, i
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Carabinieri hanno saputo adattarsi continuamente alle esigenze dei tempi e continuano ad essere la presenza rassicurante per tutti gli Italiani. Toronto è stata scelta quale città per le celebrazioni all’estero del 200° Anniversario dalla Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, tenuto conto che la Sezione canadese è la più numerosa, a livello mondiale, dell’Associazione Nazionale Carabinieri, che riunisce tutti i militari in congedo, che abbiano prestato il loro servizio nell’Arma, e che il 25% della popolazione è di origine italiana. Per questi motivi il Comando Generale ha autorizzato la partecipazione della Fanfara del III° Battaglione Carabinieri di Milano. La Fanfara diretta dal M° Andrea Bagnolo e tre bravissimi solisti (il soprano Daniela Stigliano, il tenore Giuseppe Distefano ed il baritono Giovanni Di Mare) sono stati protagonisti di tutte le celebrazioni che si sono tenute a Toronto: sono stati con noi a Niagara Falls, a Casa Loma, al Veneto Centre, nell’ambito del mese dedicato alle celebrazioni della cultura italiana, ma soprattutto Domenica mattina, dopo la S. Messa e la recita della Preghiera alla Virgo Fidelis, ci hanno accompagnati al monumento al Carabiniere, dedicato ai martiri di Fiesole, tre ragazzi poco più che ventenni che, il 12 Agosto 1944, immolarono la loro vita per salvare quella degli ostaggi, e vennero fucilati al grido di “Viva l‘Italia”. Domenica 22 Giugno, circa 800 persone si sono strette a noi per una cena di gala iniziata con gli Inni Nazionali Canadese ed Italiano. Alla presenza delle Autorità, dei rappresentanti delle Polizie canadesi, delle Associazioni d’Arma, dei Consiglieri, dei Soci e di tutti gli amici, che hanno voluto render omaggio alla nostra Istituzione, abbiamo così celebrato il nostro duecentesimo anniversario e ricordato i nostri eroi che hanno sacrificato la loro vita, per mantenere fede al nostro motto “nei secoli fedele”. Non possiamo che ringraziare, innanzitutto, chi con la Sua presenza ha voluto rendere più solenni le nostre cerimonie, l’Ambasciatore d’Italia S. Ecc. Gian Lorenzo Cornado, il Console Generale di Toronto Tullio Guma ed il Ministro Federale Julian Fantino, e per il loro “ instancabile aiuto “ Sam Ciccolini, Ralph Chiodo, Michael Tibollo, Palma e Maria Caramia e tutti coloro che in ogni modo si sono impegnati personalmente per la realizzazione e l’eccellente riuscita di questo fantastico “sogno”.
Nelle foto: vari momenti delle celebrazioni svoltesi a Toronto
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Maggio 2013
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n occasione del 21° Anniversario della strage di Capaci – 23 maggio 1993 – mi sembra quanto mai doveroso rendere omaggio alle vittime della “follia” mafiosa rivivendo brevemente il periodo trascorso vicino a Giovanni Falcone, iniziando col fissare il momento storico in cui scattò la “scintilla” che provocò i rapidi e sostanziali cambiamenti nel modo di fare indagini e di affrontare quella realtà criminale che, negli anni precedenti, aveva acquisito un notevole vantaggio sulle Istituzioni. Infatti, solo all’inizio degli anni 80 si verifica la piena presa di coscienza della reale pericolosità delle organizzazioni mafiose e, più in particolare, di quella siciliana. “Cosa nostra”, in realtà, da anni aveva già effettuato un enorme salto di qualità, passando da mafia rurale a mafia imprenditrice ed aveva scoperto gli enormi guadagni che potevano provenire dal traffico degli stupefacenti. Aveva già stretto forti relazioni con le organizzazioni criminali transnazionali finalizzate all’acquisto, alla produzione ed allo smercio dello stupefacente ed al riciclaggio degli ingenti guadagni che derivavano dal nuovo business. La ricerca del potere attraverso la potenza economica scatenò allora nelle province della Sicilia la cosiddetta “seconda” guerra di mafia. I meno giovani ricorderanno i titoli apparsi ogni giorno su tutti gli organi di informazione: mafia problema nazionale – un altro colpo tremendo inferto alla città – manca lo Stato la mafia vince – il drago è forte e colpisce alto – è la guerra – Palermo come Beirut…ecc. ecc. A fronte di tale complessa e quanto mai esplosiva situazione, non
Un intervento del Gen. Pellegrini
La strage di Capaci erano però infrequenti le affermazioni di provati ufficiali di P.G., di politici e anche di qualche magistrato che, pur in buona fede, ritenevano che i fenomeni mafiosi fossero una realtà limitata all’ambito di Palermo e che, al massimo, nelle altre province siciliane esistessero solo forme di criminalità organizzata comune, nate spontaneamente, senza alcun collegamento con il palermitano. C’era addirittura chi vedeva il mafioso come dispensatore di quella giustizia che lo Stato non riusciva sempre ad assicurare. Si verificò proprio allora qualcosa di eccezionale. I Magistrati del pool dell’Ufficio Istruzione (Chinnici, Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta e De Francisci) appena creato a Palermo, vennero a costituire esclusivo e qualificato punto di riferimento per un gruppo di investigatori ai quali venne sollecitato e delegato ogni possibile accertamento di P. G. in Italia e all’estero. Si provò che “cosa nostra” era un’organizzazione unitaria, collegata ad organizzazioni transnazionali, e si comprese che la repressone poteva avvenire solo attraverso indagini ad ampio raggio, supportate da accertamenti finanziari e sul traffico di stupefacenti, avvalendosi della collaborazione internazionale dei vari organismi di polizia. In tale contesto investigativo alcuni operatori divennero esperti in tecnica bancaria ed in appalti, tanto da penetrare nella contabilità di “cosa nostra”, altri divennero abili analisti, altri ancora instancabili segugi.
Il primo rapporto Giudiziario a carico dell’organizzazione mafiosa “cosa nostra” costituì il punto di partenza di un processo di enormi dimensioni che vide davanti alla Corte di Assise di Palermo 475 imputati. Veniva dimostrato all’opinione pubblica il vero volto di “cosa nostra”, non più un’associazione segreta, circondata da un alone di mistero, che per tanti anni aveva fatto considerare la mafia un fenomeno folcloristico (basta pensare ai Beati Paoli), ma un’organizzazione criminale capace di portare a termine i più efferati delitti. Fecero seguito numerosissime operazioni che consentirono la denuncia di altri associati, il sequestro di ingenti quantitativi di droga, lo smantellamento di raffinerie, l’arresto di trafficanti e l’individuazione dei canali internazionali del riciclaggio. Proprio Giovanni Falcone costituì in ogni circostanza il promotore, il punto di riferimento e lo stimolo continuo per l’intero pool antimafia e per tutti gli investigatori. Mi piace ricordarlo così: a volte pensieroso ma sempre sereno specialmente di fronte agli imprevisti, estremamente capace, dotato di una memoria eccezionale, con un sorriso aperto, sempre pronto alla battuta raffinata ed intelligente, molto riservato, eccezionale lavoratore e coordinatore, un grande uomo nella vita e sul lavoro. “Cosa nostra” a fronte di tanti positivi risultati seminò la morte tra gli uomini dello Stato e rimodulò le proprie strutture criminali, intensificando i rapporti con le similari organizzazioni transnazionali, con l’impiego di manager, di consulenti finanziari creando vere e proprie strategie a livello globale. Di contro, per contrastare tale realtà, sono stati acquisiti nuovi mezzi tecnici e approvati nuovi strumenti giuridici che hanno consentito potenzialità impensabili in passato. Ai giovani il compito di proseguire con costante impegno e convinzione sulla strada tracciata da Falcone, dai Magistrati, dagli appartenenti alle Forze di Polizia, dai cittadini onesti che hanno perso la vita per opporsi alla violenza mafiosa, perché non debba mai verificarsi che “la mafia riesca a mantenere un vantaggio su di noi”. Lo scenario della strage di Capaci.
Pubblicato sul numero 10 del Corriere della Piana
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