Periodico d’informazione della Piana del Tauro, nuova serie, n° 15, Novembre 2013 - Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999
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Olivicoltura, quale futuro? fra innovazione e amarcord L'inferno della Ciambra
Oppido Mamertina
La mostra dell'Annunziata
Incidenti stradali
Riflessioni postume
Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663
Corriere della Piana del 9 Dicembre 2013
sommario
Riceviamo e pubblichiamo
Un futuro migliore è possibile per l’aeroporto “Tito Minniti”
U
n grande risultato è stato ottenuto. Due anni di tenace lavoro, hanno portato la SOGAS a raggiungere un importantissimo risultato per il futuro del Tito Minniti. L’eliminazione, in sede ENAC delle limitazioni tecnico operative in volo e a terra, che potrà permettere di ripensare il futuro dello scalo reggino, consci di non avere più una pesante zavorra che ne limitava sviluppo e strategie. Il plauso va anche fatto all’Amministrazione Provinciale che, ben rappresentata dal Presidente, ha sempre considerato l’esistenza e lo sviluppo dello scalo come una sua priorità. Il risultato ottenuto permetterà allo scalo di aprirsi sempre di più alle compagnie Low Cost che, senza limitazioni tecniche potranno considerare Reggio Calabria molto più accessibile e appetibile come in un aeroporto nel quale Alitalia ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo. Questo significa essere meno dipendenti da questa azienda e dalle sue strategie di mercato che hanno sempre previsto il non utilizzo, nelle operazioni a terra, del personale Sogas e che quindi diminuivano fortemente gli introiti per il gestore. I voli Low Cost saranno importantissimi per lo scalo ma ancor più per la mobilità della comunità e lo sviluppo del territorio provinciale. Le compagnie Low Cost hanno rappresentato, negli ultimi 20 anni, il maggiore stravolgimento del trasporto passeggeri. Hanno, con i loro bassi prezzi, agevolato gli spostamenti e fatto rifiorire territori e aree. Facile comprendere come la fortuna del Tito Minniti sia direttamente proporzionale alla fortuna della intera Provincia. Questo è solo un passo. Adesso per puntare agli 800.000 passeggeri serve rendere lo scalo più accessibile sollevandolo dall’ isolamento infrastrutturale nel quale vive da sempre. Serve recuperare il bacino d’utenza per servire il quale lo scalo è stato creato: Reggio e Messina e le loro provincie. Occorreranno i collegamenti diretti ferroviari fra il versante tirrenico della provincia e quello ionico con la stazione Aeroporto, sapientemente creata ma ancora non in funzione e collegamenti via bus che tocchino i grossi centri dell’ interno lontani dalla strada ferrata. Serve il traghettamento veloce con aliscafo, che colleghi la sponda siciliana e avvicini, maggiormente Reggio a Catania. Da sempre si parla delle potenzialità del Tito Minniti. Negli ultimi anni, alle parole sono seguiti spesso i fatti. E tanto fa ben sperare che un futuro migliore è possibile. Pierpaolo Zavettieri
Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi
Hanno collaborato a questo numero: Girolamo Agostino, Francesca Agostino, Angiolo Pellegrini, Carmen Ieracitano, Francesco Pasquale Cordopatri, Mina Raso, Paolo Martino, Giovanni Rigoli, Mara Cannatà, Rosa Maria Pirrottina, Eleonora Palmieri, Francesca Versace, Ilenia Marrara, Rocco Militano, Gaetano Mamone, Diego Demaio. Foto: Diego Demaio, Giovanni Musolino, Free's Tanaka Press, Ester Sergi, Girolamo Agostino, Gianmarco Romano
Mariachiara Monea cell. 392 1128287 smartcreative@virgilio.it Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Visual by Mariachiara Monea Stampa: litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@alice.it - locordova@libero.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 6-12-2013 Visit us on
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Grafica e impaginazione:
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Editoriale Il Caso Datagate L'inferno della Ciambra Sicurezza stradale Riflessioni postume San Giorgio Morgeto: Pedemontana Il vicolo più stretto d'Italia La prima Guerra Mondiale Reggio/New York andata e ritorno - diario di un Viaggiatore
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i santi Cosma e Damiano Olivicoltura nella Piana del Tauro “Quandu i fimmani jivanu pe ‘liva cu l'anta” Museo Diocesano di Arte Sacra Mostra dell'Annunziata Forze nuove per la Chiesa Cattolica Don Mimmo Caruso saluta Varapodio
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Nuova sala dell'Oratoorio in ricordo di Padre Alessandro Sport estremi e dipendenza da fitness La neuropsicolgia forense
L'Orchestra di Laureana saluta Adelmo Lusi
Concerto di Musica jazz
I Social Media imprese e consumatori
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Il Maestro Tigani Arte e Natura Un libro di Bruno Zappone: "Dal Regno d'Italia all'Impero" Tutti in vasca! all'Hotel Stella Maris di Palmi Un corso di educazione stradale per i giovanissimi Motociclismo: Grande spettacolo alla tonnara di Palmi La decorata cornice della Piana
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Editoriale
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n questi giorni, fra polemiche vere, esternazioni di ogni tipo e l’ombra della crisi che attanaglia sempre di più gli italiani creando nella gente comune – quella lontana dalle stanze del potere – un vero senso di impotenza, ha fatto scalpore una esternazione di Berlusconi che, come sempre, non si comprende quanto sia spontanea e quanto invece sia il frutto di concertata strategia di comunicazione. Berlusconi, il “Paperon de’ Paperoni” degli italiani in braghe di tela, ha levato alti lamenti: “La mia famiglia, i miei figli, trattati peggio di come le famiglie ebree furono trattate durante le persecuzioni fasciste e naziste!” Detta da lui – il satrapo che per vent’anni ha scientemente indossato abiti e camicie nere, salutando le folle con un surrogato di saluto romano (simile a quello che nel film “Il Grande Dittatore” Chaplin faceva fare al Duce “Napoloni”) l’affermazione fa specie. E fa specie pensare a Marina Berlusconi come ad una Anna Frank del terzo millennio o, forse, solo della Terza Repubblica. O a Piersilvio come al ragazzo – un po’ cresciutello – del film “La vita è bella”. O a Barbara, marchiata a fuoco sulla fronte non con la stella di David ma con il logo della Mediaset o del Milan! e tenuta incatenata come i sei ragazzi Rom della Ciambra di Gioia Tauro, prigionieri non solo dei loro aguzzini ma di un sistema che perpetua la loro emarginazione. I figli dei ricchi mai potranno essere paragonati a chi ha conosciuto fatica, sudore e umiliazioni legate al proprio censo. I figli dei ricchi,
«Serve
Shoah, Berlusconi e figli di papà Sullo sfondo rom in catene e crisi di identità sociale oggi, in nome di logiche becere di partenariato, precariato, lavoro interinale e delocalizzazione. Oggi quelli che sono trattati come gli ebrei al tempo del fascismo, e pure peggio, non sono certamente i figli di Berlusconi, i germani Elkann, o i rampolli dei Riva, e dei Debenedetti, o i vari figli di papà che – anche in provincia – con la puzza sotto il naso, la camicia con le iniziali ricamate sul davanti, una pergamena della Bocconi in bella mostra e tanta, tantissima supponenza pensano di fare gli imprenditori giocando con la pelle e la dignità di giovani – e non – da trattare peggio degli schiavi, pronti ad umiliare chiunque davanti a tutti, con il sorriso sulle labbra e l’iPhone in mano. La Shoah del terzo millennio non è dettata da discriminazioni razziali: è un fatto di povertà, mancanza di mezzi materiali, mancanza di sussidi per i meno abbienti, mancanza della possibilità di poter mandare i figli all’Università; impossibilità di assicurare loro il lavoro e un futuro dignitoso. La nuova Shoah è data dalla presa di coscienza che i ricchi – i berlusconoidi – hanno creato condizioni di discriminazione peggiori della peggior discriminazione razziale, e lo hanno fatto scientemente. Ai tempi della guerra la sofferenza era fisica e la colpa per cui si soffriva congenita. Oggi tantissimi giovani pagano la colpa di esistere. Viene spontaneo domandarsi davanti a tanta nuova persecuzione nella quale la colpa non è più quella di essere ebreo, cattolico, armeno, ortodosso, bianco, nero o rosso, ma quella di esistere, dove sia e che cosa faccia la Chiesa. Le esortazioni e le belle parole di Papa Francesco non bastano. Non possono bastare. La chiesa particolare, quella che vive le realtà locali dei territori non può più consentire che governi, governanti e persecutori d’ogni sorta, le facciano scadere a “cure palliative” per gente alla quale è rimasta solo la
senso della misura e umiltà» di questi ricchi quantomeno, vissuti nella dorata bambagia della “Milano da Bere” della loro infanzia/adolescenza, all’ombra di papà maneggioni: cummenda, cavalieri o meno, che il becero gioco delle parti ha nel tempo consentito loro di essere o di diventare, sono gente spietata tanto quanto gli aguzzini dei 6 ragazzi Rom della Ciambra. Recentemente la RAI ha mandato in onda un film bellissimo e commovente, che raccontava la storia di Adriano Olivetti e della sua visione di un mondo nel quale la logica del profitto fine a sé stesso venisse sostituita da quella del benessere comune. Il “commonwellstate”, da realizzare costruendo fabbriche dotate di strutture idonee a far fronte anche alle esigenze culturali, sociali e spirituali dei lavoratori e delle loro famiglie, incentivando le maestranze, gratificandole soprattutto per i meriti e creando moderne aziende agricole che valorizzassero le potenzialità del territorio. I peggiori avversari alla realizzazione di questo suo grandioso progetto di solidarietà collettiva attraverso il lavoro, furono proprio quegli imprenditori e quei politici che come molti loro omologhi attuali, pensavano che le forze lavoro siano some da sfruttare, mal-pagare, usare e gettare via, allora a proprio piacimento e
di Luigi Mamone
possibilità di aggrapparsi alla speranza e alla fede. In questo momento, contro le logiche del potere becero, del profitto e del capitalismo crudele, nel nome di Cristo e con la stessa visione lungimirante di Adriano Olivetti è necessario invertire la rotta. Intervenga la Chiesa con i Parroci e i Vescovi. Si creino strutture di studio, di accoglienza e di supporto alle famiglie meno abbienti. Si creino attività che diano lavoro e dignità ai giovani. E la possibilità di guardare con speranza al loro futuro di genitori e di costruttori nuovi di famiglie. Marina Berlusconi continui pure ad accumulare ricchezza e a dimostrare – come sta facendo in questi giorni – il proprio “attaccamento” a Galliani. Per lei, per suo padre, per i Grand Commis del potere bancario e finanziario e per tutti quelli come loro che stanno riducendo l’Italia alla miseria, magistratura a parte, vi sarà sempre, ad attenderli la Geenna Eterna. Destinazione riservata anche a coloro che pur potendo operare, per ufficio o ministero, per lenire le difficoltà dei deboli e degli oppressi nulla fanno. A Gioia Tauro sei giovani Rom erano ridotti in schiavitù e segregati in catene. La loro colpa? Quella di essere nati e, come tantissimi altri – diplomati senza idee e senza futuro – di non essere figli del berlusconide di turno. Venissero, Marina Berlusconi e Lapo Elkann, a vederli come sono ridotti. Venisse anche Silvio Berlusconi: prima di lamentare nuovamente persecuzioni in odio ai pargoli che, sempre e comunque, restano dei privilegiati nati con la camicia e allevati al culto del denaro e all’esercizio di un potere che legittima il principio che si può uccidere un uomo anche senza ferirlo. Umiliandolo: con il sorriso sulle labbra e l’iPhone in mano.
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di Filomena Scarpati
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alla National Security Agency statunitense, vengono fuori i programmi di intercettazione ed è scandalo. Oltre ai sistemi Prism e Muscular americani, anche la Gran Bretagna con la sua GCHQ, attraverso “tempora” effettuava le sue intercettazioni. Una politica sballata che non trova equilibrio tra necessità di sicurezza e privacy, e se, le attività fossero confermate, il problema sarebbe di legalità per il mancato rispetto delle norme sulla privacy. Il caso battezzato dalla stampa “Datagate” rileva che l’attività della NSA, se fosse dimostrato quanto sospettato, avrebbe raccolto dati sulle conversazioni di 320 milioni di persone per identificarne 300 che potrebbero essere a rischio. “Un bel fiasco” oserei volgarmente dire. Se così fosse il rapporto tempo, costi, resa è assolutamente sfasato rispetto all’equilibrio che i servizi svolti nell’interesse della comunità devono mantenere. Pur usando tecnologie sofisticate i controlli di una miriade di conversazioni, mail e messaggi su così tanti campioni comportano comunque spese notevoli, ovviamente a carico dei contribuenti per scoprire poi cosa? Appena 300 persone che non hanno trasgredito, ma sono semplicemente a rischio, senza considerare cosa altrettanto grave la possibile violazione delle leggi sulla privacy. «È un settore in cui mancano le regole – ha commentato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alla Sicurezza Marco Minniti – ma garantisco su correttezza, lealtà e funzione positiva dell’intelligence italiana, il caso “Datagate” riguarda l’intelligence Usa e i suoi rapporti con l’Europa.» Così ha commentato durante una conferenza del Dis, Dipartimento informazioni per la sicurezza. È dallo scorso
Politica fallimentare anche nei servizi segreti - Il Caso Datagate Giugno che il caso sta creando tensioni tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, dovute a forme di spionaggio sulle reti internet. Altri Stati non sono esclusi, visto che si tratta di spionaggio globale. Oltre agli Stati Uniti, bisogna tener presente che l’agenzia britannica di spionaggio elettronico, GCHQ, è legata alla NSA da un accordo di collaborazione attraverso il programma “tempora” che ha coordinato una rete di intercettazione europea, infatti ciò che si sa per quanto riguarda Spagna, Germania, Francia e Svezia è che avrebbero realizzato un sistema di sorveglianza di massa delle comunicazioni telefoniche e internet in stretta collaborazione con il sistema di sicurezza britannico. Secondo le rivelazioni del Washington Post i nuovi documenti ottenuti dal contractor della NSA Edward Snowden, lasciano intendere che l’intelligence avrebbe svolto le attività di raccolta dati, collegandosi direttamente ai cavi in fibra ottica che collegano i server di alcune delle principali aziende tecnologiche USA, comprese Google e Yahoo. Mentre Eric Shmidt, presidente di Google ha dichiarato che le intercettazioni della NSA sono scandalose e ha fatto sapere dal quartiere generale dell’azienda, situato a nord di Mountain View, che ha avanzato reclamo ufficiale a Barack Obama e ai membri del Congresso, sui quali cadrebbe la maggior parte delle responsabilità.
«Silenzio!
I grandi spioni ci ascoltano»
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La vicenda dei sei ragazzi ROM ridotti in schiavitù
L’Inferno della Ciambra
Quali le colpe? Quali le sentenze? Chi i giudici? Chi gli aguzzini? Urgono interventi per attenuare l’aparthaid e proteggere i giovani
di Luigi Mamone
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ei vite umane. Sei cuori che battono e pulsano. Sei anime. Sei esseri invisibili. Mani che tremano. Occhi che ti guardano sgomenti. Sei storie di una vita non vissuta, di una esistenza negata, segnata da un annichilimento inammissibile, da una barbarie inimmaginabile. Quali le colpe? Quali le sentenze? Chi i giudici? Chi gli aguzzini? Chi i carnefici? La distratta società del consumismo, troppo facilmente crea alibi e si autoassolve dalle proprie colpe. Fra queste una delle più gravi, espressione di fariseismo, è stata quella di relegare le tribù ROM in agglomerati periferici: gruppi di case popolari loro concesse o – spesso – occupate d’iniziativa dai nomadi che hanno così mantenuto intatti, in un diverso habitat alloggiativo, i crismi di una cultura tribale che se ha avuto un senso in epoche lontane, oggi non può più resistere al modernismo, alla globalizzazione, alle sue spinte razionalizzatrici. La Ciambra di Gioia Tauro, nella quale le forze di Polizia Giudiziaria si sono recate, non perché avessero avuto sentore di sei giovani ridotti in una condizione vergognosa di oltraggio alla dignità umana, ma solo – più prosaicamente – per verificare i contatori dell’ENEL che in massima parte, con artifici, erano stati manomessi o posti in condizioni di sottostimare il consumo. Da questa esigenza, – figlia del capitalismo – è casualmente emersa la condizione di brutale vessazione in cui erano ridotti sei giovani ROM. Con la responsabilità dei carcerieri e la complicità dell’intera comunità che non poteva “non sapere”. Sono poche le notizie che trapelano. Si sa che tutti – senza tener conto delle condizioni di igiene in cui versavano – hanno problemi di malnutrizione, atrofia muscolare, fonetica, della stessa capacità di relazionarsi con gli altri, esseri della loro (e nostra) specie, di stare in piedi, di mangiare con l’utilizzo di posate, di vestirsi. Uno in particolare, verosimilmente in condizioni più gravi e preoccupanti, pare sia stato ricoverato nel reparto di Psichiatria dell’ASP 5 a Polistena. Secondo voci – da verificare – le condizioni di vita in cui era stato costretto lo hanno segnato indelebilmente: la spina dorsale curvata a forza di non fare alcun movimento e di restare praticamente sempre accucciato, ran-
nicchiato, seduto in terra, capo chino sulle ginocchia, problemi motori e di atrofizzazione dei muscoli. Oltre a ciò – pare – che tutti abbiano avuto forti difficoltà a rivedere la luce essendo i loro occhi ormai abituati alla perenne oscurità. I loro aguzzini sarebbero stati identificati e arrestati dai militari intervenuti, insieme ad un ulteriore cospicuo numero di altri soggetti, circa 50, responsabili “solo” di furto di energia elettrica e che il giorno successivo, dopo la convalida in Tribunale, sono stati quasi tutti mandati ai domiciliari. Nuovamente in quella Ciambra che, a beneficio di chi non la conosca, è un vero girone dell’inferno dantesco. Alla Ciambra si arriva percorrendo un tratto di strada di campagna, delimitata da due siepi selvagge, dopo essersi lasciati alle spalle alcune fra le eleganti ville espressione della grandeur gioiese degli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso ed aver oltrepassato una antica fornace di mattoni. Da Scorcio di un campo nomadi. qui ci si inoltra fra le campagne fino a una traversa poderale (a sinistra per chi viene dall’abitato di Gioia) che immette in un sentiero sterrato che conduce ad un gruppo di case ATERP, peraltro di non remota costruzione, ridotte in condizioni di fatiscenza e degrado inenarrabili. Qui vive la comunità ROM della Ciambra. Davanti alle palazzine, “carcasse” di macchine incidentate, smontate, pezzi di motore, ruote di camion. Odori di ogni possibile sporcizia, grandi pozzanghere fetide nelle quali l’acqua insozzata dal passaggio di autoveicoli ristagna frammista a chiazze di carburante e olio esausto. Oltre, campagne semi-abbandonate. Tutt’intorno brusìo, animazione, allarme: “Un forestiero, forse un nemico, comunque un estraneo alla societas tribale della Ciambra sta transitando in macchina. Meglio sarebbe stato farsi accompagnare. L’uscita dal ghetto avviene fra due ali di gente che guarda curiosa e con grinte non del tutto tranquillizzanti mentre altri in uno spiazzo fra due palazzine – sul far della sera, dopo aver dato fuoco a una ruota di autocarro all’interno della quale bruciano cartoni e pezzi di legno – si riscaldano intorno a quel falò. Tutti in cerchio a respirare diossina. In queste condizioni di degrado è maturata la tragedia dei sei prigionieri della Ciambra. Parlare di “sequestro di persona” è riduttivo. È un termine troppo asettico per dare la misura della atrocità della condizione dei sei ragazzi in un contesto dove tutti sanno tutto di tutti. Perché? La domanda allo stato è senza risposta. Alla Magistratura il dovere di accertare la verità e di punire – senza attenuanti – i colpevoli. Altre risposte su come lenire la condizione di aparthaid di queste comunità – alla Ciambra di Gioia o a Ciccarello di Reggio o a Catanzaro o a Cosenza la differenza è poca – si potrebbero dare. In primo luogo attenuare il livello di concentrazione abitativa – allontanando i nuclei familiari ROM al fine di ridurre, fino ad annullarla, la forza aggregante del vincolo tribale obbligando – di fatto – le famiglie di etnia ROM a vivere e a integrarsi in consorzi civili diversi dalla tribù. Maggiore intervento sociale: assistere fin dalla nascita i bambini ROM inserendoli da subito, con sottrazione alle loro famiglie d’origine – se ritenute a rischio – in comunità di crescita educazione e studio. Non si possono perpetuare a cuor leggero le condizioni che consentono a questi bambini, generazione dopo generazione, di restare i paria della società consumistica. Diversa ulteriore necessità è quella di creare le condizioni affinchè la cultura ROM possa proseguire lecitamente le attività tipiche ritenute non degradanti quale la raccolta dei rifiuti ferrosi. Per i ROM, ancora oggi spesso analfabeti, refrattari comunque alla burocrazia, sarebbe necessario creare strumenti particolarmente semplici che garantiscano loro la possibilità di lavorare nella raccolta e nel riciclaggio dei rifiuti. Potrebbero ipotizzarsi delle cooperative che, con una unica autorizzazione valida per tutti i soci cooperatori, consentano senza rischi lo svolgimento di questa attività, co-
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munque importante per lo smaltimento di particolari rifiuti, speciali non pericolosi, come le carcasse di auto e di elettrodomestici. Tantissimi sono stati i ROM che hanno visto questo loro umile lavoro – grazie al quale però sopravvivevano senza rubare – interrotto a seguito del sequestro – per giunta finalizzato alla confisca – delle loro vecchie moto api o dei camioncini sui quali avevano raccattato rifiuti raccolti in strade, campagne, letti di fiume: luoghi protetti nei quali – gli altri – i non zingari, i civilizzati – invece li abbandonano arbitrariamente. Quale fra le due la condotte è più grave: gettare i rifiuti o raccattarli? Il perbenismo e l’ipocrisia, codina che caratterizza i politici e dunque le leggi che dalla loro azione prendono corpo, tutto questo non lo hanno compreso. Urgono rimedi. Urge, infine, una task force di servizi sociali – con poca burocrazia da rispettare e tanta voglia di lavorare per monitorare costantemente le condizioni dei giovani ROM. Nei quartieri ghetto il tasso di promiscuità, di positività ai markers dell’Epatite C e dell’AIDS, la mancanza di igiene e l’ ignoranza di norme di profilassi – sanitaria e sessuale – unita a quello dei matrimoni
«Fra sporcizia,
promiscuità e precarietà»
Baracche e parabole tv in un campo nomadi.
fra consanguinei spesso adolescenti e talvolta – pare – anche a situazioni borderline che rasentano l’incesto (matrimoni fra zii e nipoti) rappresentano una emergenza sociale che deve essere curata. Ai politici, infine, un invito: meno passerelle televisive e litigi per le poltrone ma che vengano a visitare la Ciambra di Gioia Tauro, dove, negli occhi sgomenti di ognuno dei sei ragazzi schiavi – che forse mai riusciranno a trovare un loro nuovo equilibrio – leggeranno la passione di Cristo.
s’impone. Nel caso del piccolo Antonino A., dodici anni e tanta voglia di giocare, variabili imponderabili, avrebbero portato alla collisione fra la vettura e la bicicletta con la successiva caduta mortale. Nel caso di Francesca C. cinquantenne, con anni di esperienza di guida, l’imponderabile ha provocato uno scontro frontale, anch’esso mortale. In questo secondo caso, ancora una volta, velocità, attenzione e sicurezza passiva alla guida. Ahinoi è come se, tutto e il contrario di tutto, agisse insieme nel creare le condizioni che alla fine provocano incidenti. Sicurezza eccessiva, distrazione, sottovalutazione delle condizioni di percorribilità delle strade, insidie presenti sul manto stradale, segnaletiche talvolta contraddittorie, soluzioni strutturalistiche non funzionali. Esistono i dissuasori, ovvero i fascioni di gomma gialla e nera posti a cavaliere della strada al fine di costringere le auto a rallentare per non subire danni. Lo strumento è efficace. Andrebbe però obbligatoriamente posto anche sul ciglio delle intersezioni a rafforzare il segnale di stop. Così, proprio per non danneggiare le vetture, coloro i quali hanno l’obbligo di stop saranno costretti certamente a fermarsi. La prevenzione a mezzo autovelox – che potrebbe anche avere un senso se non fosse fatta solo per consentire a chi utilizza tali rilevatori di far cassetta – spesso penalizza in autostrada quegli automobilisti che viaggiano in condizioni nelle quali potrebbero mantenere senza rischio anche andature un po’ più elevate. Sulle statali, invece, talvolta leggiamo segnaletiche orizzontali assolutamente non consone allo stato della strada. Linee tratteggiate nei pressi di curve, laddove sarebbe stato più logico porre una linea continua se non la doppia linea. In altre situazioni la mancanza di uomini e mezzi crea pericoli: lo scorso inverno una grandinata improvvisa e violenta ricoprì di una compatta lastra di ghiaccio circa un chilometro di autostrada fra Lametia Terme e Pizzo Calabro. Decine di macchine si avvidero troppo tardi di camminare sul ghiaccio perché nessuno aveva segnalato loro l’insidia prima, facendo segnalazioni dove la strada era ancora buona. Tante sbandate e tanti testa coda. Per fortuna nessun danno. Pero quella notte poteva innescarsi una carneficina e gli automobilisti non avrebbero avuto colpa. Poche settimane prima in condizioni più o meno simili, era invece avvenuta la tragedia in cui perse la vita il Dott. Walter Mallamace. Non si potrà mai trovare una risposta. L’invito è sempre quello di essere vigili, attenti e desti. La prudenza non è mai troppa e l’imponderabile nessuno potrà mai prevederlo. Ai gestori della circolazione l’obbligo di creare le piste ciclabili e quello di porre i dissuasori sulle linee di stop. Con le rotonde si è abbattuto il numero di incidenti nelle intersezioni. In Olanda e in Belgio esistono da 50 anni. In Italia sono solo di recente acquisizione al patrimonio della cultura della sicurezza stradale. Forse non si volevano danneggiare le ditte che producevano semafori. Con i dissuasori sulle linee di stop o sul margine delle strade davanti alle intersezioni, tragedie come quella di Antonino, forse, si potrebbero evitate.
Sicurezza stradale e imponderabilità
Riflessioni postume Dopo gli incidenti stradali che hanno mietuto tre nuove vite
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re vite spezzate nel volgere di poche ore a causa di incidenti stradali. Un ragazzo in bici a Taurianova e altre due a Polistena: una automobilista e un centauro. Incredulità, dolore, disperazione. L’attimo in cui il fato può decidere di sancire la fine di una vita non è conoscibile da alcuno. Resta la rabbia, lo sgomento e il senso di impotenza che si lega ai tanti “ma”, ai tanti “se”. Ai tanti “perché” destinati a restare senza risposta. In ogni caso, destino a parte, se è vera – e per certi aspetti lo è – la definizione che ogni uomo è artefice del proprio destino, parlare di prudenza e di sicurezza stradale
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SAN GIORGIO MORGETO:
pedemontana, strada di collegamento di vitale importanza per le popolazioni rurali
di Girolamo Agostino
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ella storia, le tracce ed i riscontri oggettivi delle cose testimoniano l’evoluzione delle civiltà ed il progresso dei popoli. Già in epoca del lontano Impero Romano, grandi opere come la Via Appia Antica, la Via Aurelia, la lunghissima Via della seta, costituiscono prova di come nel passato il sistema viario veniva considerato la spina dorsale del commercio e delle economie dei popoli. E, partendo da tale presupposto è spiegabile il motivo per cui, progressivamente nel tempo fino ai nostri giorni si svilupparono sempre più le costruzioni di strade, di ponti, di ferrovie, di moderni mezzi di trasporto e nuove tecnologie. In Italia, negli anni 1960-1970, la realizzazione di grandi infrastrutture consentiva al mercato e all’industria di raggiungere l’apice dello sviluppo facendo parlare di miracolo economico. Ma, San Giorgio Morgeto, il nostro piccolo comune aspromontano di innovazioni ne ha conosciuti pochi e mentre altrove regnava il benessere, qui come nel resto del meridione d’Italia, persisteva degrado e sottosviluppo. Nelle nostre campagne le abitazioni erano sprovviste di energia elettrica, di acqua potabile, di servizi igienici ed i sentieri mulattieri sostituivano le strade carrabili. Per gli spostamenti di prodotti o materiali si ricorreva alla forza umana con frequente ricorso al lavoro giornaliero delle donne (sottopagato) e solo per trasporti eccezionali si utilizzavano animali da soma (asini e muli).
di Francesca Agostino
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Le principali vie di comunicazioni con i paesi vicini erano costituite dalla tortuosa e sconnessa strada provinciale e dalla ferrovia Calabro-Lucana allora molto utilizzata, oggi soppressa. In questi ambienti, per certi aspetti primitivi viveva la nostra gente, eppure è passato meno di mezzo secolo di tempo. Pur in condizioni di precarietà e disagio, in quegli anni, un giovane sangiorgese, l’Ing. Reginaldo Condò ideò uno schema viario del territorio (oggetto di studio anche nella sua tesi di laurea), finalizzato alla comunicazione, allo sviluppo e al rilancio economico di tutti i paesi dell’entroterra del versante tirrenico della Provincia di Reggio Calabria. Da ciò scaturiva il progetto della strada di collegamento pedemontana per il congiungimento, da una parte, con la trasversale Strada Grande Comunicazione Rosarno-Gioiosa Ionica e dell’altra con la trasversale Bovalino-Bagnara (ancora oggi in fase di realizzazione). Data l’importanza strategica del progetto, nel 1990 la Cassa per il Mezzogiorno, tramite la Comunità Montana di Cinquefrondi, concesse un primo finanziamento di fondi CEE con priorità di intervento nel tratto Cinquefrondi-San Giorgio Morgeto e con regolare gara d’appalto i lavori iniziarono nel 1992, ma dopo circa il 25% dello stato d’avanzamento, nel 1993 furono sospesi con l’apertura di un contenzioso chiuso dopo alcuni anni. Successivamente, nel 1998 fu elaborato lo schema di viabilità della provincia di Reggio Calabria e dopo un convegno tenutosi a Cittanova, con la partecipazione di grandi politici della Piana, nonostante le accese polemiche è prevalso il buon senso e sottoscritto un documento unita-
rio, il programma fu accettato da Regione, Provincia e Comuni. Poiché molti dei Comuni interessati non rientravano nei territori delle Comunità Montane la gestione passò all’amministrazione provinciale. Di conseguenza, in data 29/07/2002 fu stipulato l’Accordo di Programma Quadro (fra Stato e Regione Calabria) e quindi furono concessi i finanziamenti relativi al primo
Il vicolo più stretto d’Italia?
improbabile, rivendicazione), conquistando il primato del vicolo più stretto d’Italia. Attraversato da una caratteristica scaletta interna che ne rende più agevole la percorrenza, la via è situata a pochi metri dal piazzale antistante l’antico Castello, per questo denominato localmente «il Passetto del Re». Secondo una leggenda popolare, infatti, lo stesso costituiva una via di fuga per il Re Morgete, in caso di invasione o durante i tentativi di espugnazione della fortezza reale: il sovrano aveva la possibilità, nelle situazioni più estreme ed ove inevitabile, di fuggire attraverso la stretta via secondaria, per poi far disperdere le proprie tracce immergendosi tra le decine di piccoli vicoli che, come in un labirinto, si diramano e si incrociano all’interno del borgo. Ma non è questa l’unica suggestione legata al vicolo: si dice infatti, che percorrere il «Passetto del Re» sia un rito di buon auspicio e dalla comprovata efficacia (della serie: provare per credere). Il vicolo appartiene ad un contesto urbanistico che riflette le condizioni della struttura socio-economica delle antiche civiltà (prima feudali, poi mercantili) che popolarono il
È il «Passetto del Re». In Calabria, a San Giorgio Morgeto
a anni due Comuni: Ripatransone (Ascoli Piceno) e Termoli (Campobasso) si contendono, a colpi di squadra e righello, il primato del «vicolo più stretto d’Italia». 43 centimetri di larghezza per il primo, 52 per il secondo. Ma come spesso accade, tra i due litiganti… arriva il Comune di San Giorgio Morgeto. L’esigua larghezza dei vicoli è invero uno dei tratti distintivi dell’antico ed affascinante borgo, ma il particolare vicoletto, con i suoi soli 40 centimetri di larghezza, batte ogni record (almeno sino a nuova, seppure
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stralcio del progetto identificato come “innesto per San Giorgio Morgeto - svincolo per Taurianova (ex SS. 111)”. Su questo tratto di collegamento interno, nonostante il progetto originario prevedeva l’allacciamento urbano di Cittanova con complanari ed un tracciato più adagiato al territorio per agevolare l’accesso alla viabilità delle zone rurali San Mauro e Vacale, è stato effettuato un intervento del tutto diverso con la realizzazione di un mega viadotto ed un max rilevato. Così, questo tratto della pedemontana è stato costruito con le caratteristiche di strada di attraversamento anziché di collegamento, quindi, con un maggiore impatto ambienLo svincolo della Pedemontana verso San Giorgio Morgeto. tale. Tuttavia, i lavori furono portati a termine ma l’opera rischia di acquisire quel brutto nome di cattedrale nel deserto se non si renderà funzionale con il proseguimento ed il completamento dell’intero progetto. Da alcune fonti di informazioni si apprende che per il tratto di strada pedemontana San Giorgio Morgeto – Cinquefrondi, allo stato attuale sono disponibili 21.500.000 euro di finanziamenti per la ripresa e l’esecuzione dei lavori sospesi (€ 16.000.000 fondi CEE, € 4.000.000 fondi residui Comunità Montana, € 1.500.000 fondi di bilancio della Provincia di Reggio Calabria). Quindi, nella speranza che polemiche e speculazioni non cedano il posto a ritardi o sospensioni, presto dovrebbe essere indetta la gara d’appalto. Tenendo presente che il progetto dell’opera cade in un’area ad alto degrado sociale con un elevato numero di disoccupati, la sua realizzazione ha una grande valenza per quanto riguarda i bisogni attuali delle famiglie e delle aziende ma anche per evitare che vadano dispersi fonti di aiuto di vitale importanza per la salvaguardia del patrimonio ambientale, per la crescita economica, civile e culturale della società. Poiché il fattore principale per la difesa del territorio è costituito dalla presenza dell’uomo, la strada pedemontana, per i paesi limitrofi che ne potranno usufruire dell’accesso, rappresenta un bene insostituibile di alto livello, soprattutto per il contenimento dell’esodo delle popolazioni rurali che, ormai, vedendo persistere lo stato di totale abbandono, in preda alla disperazione lasciano le campagne senza più ritornarci. Con ciò è da ricordare agli Enti preposti ed a chi ha la responsabilità di amministrare le risorse comunitarie, che lavorando per costruire adeguati servizi ed infrastrutture, si favorisce la competitività e si incoraggiano le aziende nella produzione e nel commercio dei beni, si crea occupazione, si migliorano le condizioni di vita e si curano tanti mali della collettività. Viadotto sul torrente Vacale.
borgo nelle epoche passate. I criteri architettonici più diffusi, anche in risposta alle esigenze dello sviluppo demografico, erano anticamente (ed assai diversamente dai nostri tempi) quelli dell’ottimizzazione degli spazi, del razionale sfruttamento del suolo e delle superfici (di regola utilizzate, per così dire, «senza sprechi») e dell’adattamento delle strutture urbanistiche e delle nuove costruzioni alle caratteristiche geografiche del luogo. Altro elemento, tipico degli antichi centri abitati e anche questo ormai largamente superato dall’architettura contemporanea, sempre più «globale» ed orientata all’innovazione anche nelle materie prime, è quello dell’omogeneità dei materiali utilizzati per l’edificazione delle abitazioni: in genere, la pietra, la roccia o i legnami, che per ragioni logistiche ed in particolare per le maggiori difficoltà di trasporto rispetto all’epoca contemporanea, provenivano ed erano estratte spesso da siti naturali collocati nella stessa zona o nelle vicinanze. Con il risultato di un autentico colpo d’occhio: i borghi sviluppati anticamente conservano una loro identità e presentano, in prevalenza, l’attitudine a confondersi perfettamente con le proprietà tipiche dell’ambiente naturale circostante, con la conseguente configurazione di un ambiente complessivo unitario caratterizzato da coesistenza, armoniosità ed integrazione tra elementi naturali ed artificiali (quindi tra ambiente e uomo), caratteri difficilmente, se non raramente, reperibili nell’architettura urbana contemporanea, ispirata a principi e criteri completamente differenti, ove principi e criteri siano rintracciabili. Ancora una volta il Comune di San Giorgio Morgeto, offre la possibilità ai suoi abitanti e visitatori di contemplare il bello, di «tornare indietro nel tempo», di allietare i sensi, stimolando la curiosità e l’intelletto, accogliendo ed intrattenendo gli animi umani ed offrendo loro l’opportunità di una rigenerazione, quasi terapeutica, dello spirito. Come sempre più spesso si rivela abile a fare.
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La prima guerra mondiale di Angiolo Pellegrini Generale dell'Arma dei Carabinieri
sui campi di battaglia, la Bandiera dell’Arma fu decorata della Seconda Medaglia d’Argento al V.M.. Lo scoppio della prima guerra mondiale, vide l’Italia dopo un periodo di neutralità, schierata con la Triplice Intesa, contro la Triplice Alleanza. I
N
egli anni che precedettero la prima guerra mondiale, l’Arma dei Carabinieri continuò ad essere impegnata in importanti compiti militari e civili sia in Patria che all’estero. In questo periodo vanno ricordate l’istituzione della Banda dell’Arma dei Carabinieri reali (1862) e l’istituzione dei Carabinieri Guardie del Re (1870) poi Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica (i Corazzieri). Nel 1872 l’Arma svolse la prima missione fuori dai confini nazionali, durante la sfortunata avventura coloniale in Eritrea. I Carabinieri combatterono con molto valore ed ebbero l’incarico di arruolare militari indigeni che assunsero il nome di Zaptiè (dal turco Zaptye che significa polizia). Il loro arruolamento fu necessario per rinforzare gli organici della Compagnia Carabi-
I Carabinieri da sempre vicini alla gente.
nieri d’ Africa. In Patria, i Carabinieri si distinsero soprattutto per il soccorso prestato alle vittime del terremoto che sconvolse le città di Messina e di Reggio di Calabria nel 1908. L’Arma venne unanimemente appellata con il titolo di “Benemerita”. Nel 1912 i Carabinieri presero parte alla guerra Italo-Turca e, per il valore dimostrato
L'epopea coloniale in una stampa d'epoca.
Carabinieri per tutto il corso della guerra si distinsero per atti di valore e di eroismo, rimasti celebri, come l’assalto alla quota 240 del Monte Podgora (19 luglio 1915) In alto: Podgora (archivio Angiolo Pellegrini). ed il mantenimento di quella posizione pur in manifesta inferiorità numerica e privi di riserve di acqua e di cibo. Assolsero poi importanti compiti di Polizia Militare, ruolo che risultò fondamentale al momento della rotta di Caporetto. In posizioni di prima linea, per tutta la durata della guerra, i Carabinieri agirono ai posti di medicazione, con il compito di vigilanza sanitaIn basso: soccorso vittime del terremoto del 1908. ria e di assistenza ai feriti, agli sbocchi dei camminamenti, lungo le strade e sulle direttrici di marcia delle truppe. Assicurarono la diffusione dei bandi per i militari e per i civili, il recapito di ordini, i servizi di sicurezza e di ordine pubblico negli abitati, la sicurezza delle comunicazioni e la repressione e la prevenzione dello spionaggio. Persero la vita 1423 Carabinieri e più di 5000 rimasero feriti. Il 5 giugno 1920 fu concessa alla Bandiera dell’Arma la Prima Medaglia d’Oro al Valor Militare. La data del decreto venne scelta per celebrare l’Anniversario della Fondazione dell’Arma dei Carabinieri.
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Appunti di un viaggio in America
Reggio - New York con l’Italia nel cuore L’On. Giovanni Nucera scava nell’anima italoamericana
di Francesco Di Masi
L
’espressione “diario”, etimologicamente parlando, racchiude in sé il significato, la memoria storica, la cronaca e la registrazione giornaliera di un viaggio reale e non di fantasia, avvenuto nell’Ottobre 2011 in occasione del “Columbus Day” a New York, a cui ha partecipato in missione istituzionale oltre ad altri membri del Consiglio regionale della Calabria, l’on. Giovanni Nucera capo delegazione che puntualmente racconta l’Italia ed in particolare la Calabria che vive in America, annotando giornalmente gli avvenimenti e gli incontri istituzionali e non, di quel viaggio. Il “Columbus Day” non è altro che una sfilata in corteo attraverso la Fifth Avenue (Quinta Strada) che celebra, ogni anno, la festa “dell’orgoglio italiano” in tutti gli Stati Uniti. Quale occasione migliore per incontrare i tanti cittadini italiani ed in particolare calabresi di Clubs, di Fondazioni, di Associazioni, studenti e di singoli cittadini emigrati, fieri della loro italianità, mai dimentichi delle origini, della cultura, della religione e del Paese natale, che con il loro operato e con tanti sacrifici hanno reso grande l’America. L'On Giovanni Nucera. Citando le centinaia di persone incontrate e ricordate nel libro, l’autore così si esprime: «In America c’è molta più Calabria di quella che possiamo immaginare, ciascuno con una storia da raccontare, tra difficoltà e successi, che attraversa diverse generazioni». Quanti calabresi e quanti italiani sulla Quinta Strada sono apparsi con la loro spontaneità, l’affetto, la vicinanza, desiderosi di parlare, di avere un abbraccio, di avere notizie della propria terra, di un saluto. Ricordi rimasti impressi nella memoria di nostalgia ed affetto per la terra lontana mai dimenticata.
Il libro vuole essere un riconoscimento e un anelito di orgoglio alla calabresità di tutti quegli emigranti che agli albori del '900, su navi e piroscafi sgangherati, affrontando immani pericoli, sono riusciti a raggiungere la “Merica”, con il rischio che ad Ellis Island (l’isola delle lacrime) pur di non essere espulsi e di far ritorno in patria con derisione come persone indesiderate, preferivano buttarsi nelle acque gelide del fiume Hudson. Per tutti quegli emigrati che con le loro storie, i loro successi, i loro desideri e le loro aspirazioni come Francesco Rubino, illustre scienziato, Tony Brusco, importante capo di una società editoriale e il successo avuto per la caparbietà tutta calabrese di Domenico Sansalone nativo di Mammola, che hanno contribuito a suscitare, con entusiasmo ed abnegazione del loro operato, l’apprezzamento degli statunitensi verso i tanti Italo-Americani. Facendo un parallelo tra La copertina del libro. l’emigrazione d’allora e quella di oggi, possiamo dire che mentre una volta si emigrava per poter dare, con le piccole rimesse mandate in Italia, un vivere dignitoso alle famiglie in stato di evidente bisogno, avendo un beneficio economico per l’Italia, oggi purtroppo, abbiamo una emigrazione di tipo intellettuale. La Calabria esporta competenza e sapere senza avere alcun ritorno per la sua economia.
«Diario di un
viaggio dentro le radici italiane» Una riflessione, come calabresi, nasce spontanea, mentre prima eravamo terra di partenza, ora siamo diventati anche terra di arrivo, certamente i nostri emigrati negli Stati Uniti, prima di affermarsi e liberare tutte le potenzialità nella conquista del loro posto in società, hanno incontrato tante difficoltà iniziali, come ci poniamo con tutti gli emigranti che premono sulle nostre coste vedendo questo processo di integrazione procedere molto lentamente? Una è la risposta. Con le parole di Mons. Mondello che in occasione della presentazione di questo libro ebbe a dire: “Dare onore ai nostri immigrati significa essere pronti all’accoglienza dei fratelli che giungono fino a noi per un futuro di pace e di speranza”.
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Cittanova
Chiesa dei Santi Cosma e Damiano Premiazione di medici e farmacisti di Carmen Ieracitano
Q
uale sede migliore della Chiesa dei SS. Cosma e Damiano per premiare medici e farmacisti distintisi per elevate dosi di professionalità e umanità e discutere del rapporto tra scienza e fede? E chi più adatta a far da padrona di casa a questo evento di Irene Marvasi, creatrice e presidente dell’Associazione Scientifico-Culturale Onlus SS. Cosma e Damiano? Da sempre devota ai due santi medici tanto quanto alla cultura della vita, da nove anni ormai la prof.ssa Marvasi promuove questo connubio tra scienza e fede la cui massima espressione è questo premio con il quale vengono insigniti gli specialisti del settore medico che si sono distinti anche per le qualità umane e per l’umiltà con la quale non hanno mai voluto disgiungere la propria opera scientifica dalla fede religiosa. Quest’anno le benemerenze sono andate al dott. Giovanni Mileto, primario dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale Ospedale di Polistena, al dott. Francesco Greco, cardiologo, ex presidente ASL e oggi libero professionista, al dott. Marco Rocco Polimeni, primario Unità Ospedaliera Cardiologia e UTIC Ospedale Polistena e direttore DEU dell’ASL di Reggio Calabria, al dott. Antonio Barone specialista in chirurgia vascolare Ospedale Palmi e al dott. Domenico Antonio Cordopatri primario Unità
Gli ospiti e i premiati della manifestazione.
Operativa Radiologia Ospedale Polistena. Nessuna donna tra i premiati, nonostante l’ambiente abbia anche il suo fascino e la sua eleganza declinata in un campionario di tonalità di biondo, perle, seta nera e scarpe in vernice, di cui vi è nutrita presenza alla cerimonia. Mi assicurano che è del tutto casuale, che forse è il primo anno in cui accade così. C’è però una bella novità che riguarda il coinvolgimento delle scuole, in particolare degli alunni di I media dell’Istituto Comprensivo Luigi Chitti, venuti assieme al prof. di religione Domenico Serreti a ritirare l’attestato di partecipazione per un lavoro sul tema “Fede e Storia”. La serata è stata aperta da un ensemble di archi diretto dalla prof. ssa Santa Galletti che ha proposto una piece di quattro brani insolitamente e piacevolmente briosi. Ad intervallare ogni premiazione, coordinati dal dott. Roberto Naso Marvasi medico terapia del dolore e specialista in medicina del lavoro nonché figlio della prof.ssa Marvasi, gli interventi da parte dei personaggi scelti per consegnare i premi. Primo fra questi il sindaco Alessandro Cannatà, qui in doppia veste di primo cittadino e di cardiologo che ha sottolineato, rifacendosi alle figure dei due santi, come “oggi tutti i medici affrontino il loro martirio quotidiano fatto dell’essere costretti a svolgere il proprio lavoro tra troppe scartoffie”. Un chiaro invito quindi alla tanto agognata semplificazione della burocrazia, utile anche a salvare delLa Prof.ssa Irene Marvasi e i cardiologi Francesco Greco e Michele Mammola. le vite. Tra i relatori anche il dott. Chirurgo Giuseppe Zampogna, primario Pronto Soccorso Ospedale Locri e Vice Presidente Ordine Prov. Dei Medici ed Odontoiatri della provincia di Reggio Calabria, il sacerdote don Giuseppe Acquaro, Vicario generale Diocesi Oppido Mamertina-Palmi e il senatore prof. avv. Nico D’Ascola, tutti convenuti qui a discutere sul tema “Rapporto tra scienza e fede” portando la loro insigne esperienza personale. Poco popolo, però, ad ascoltare, esclusi gli addetti ai lavori e i convenuti, come la sottoscritta, per invito. Forse perché per il popolo la scienza è ancora un qualcosa da rimettere nelle mani degli esperti, mentre la fede, alla portata di tutti, si esplica molto più facilmente in quel “Multorum Morbos Sanant” che domina dal punto più alto la piccola chiesa dei SS. Cosma e Damiano e si testimonia ancora nella piccola testa di cera deposta ai piedi delle due statue “a devozione e per grazia ricevuta”.
«Il medico, un
missionario di scienza e di fede»
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Olivicoltura nella Piana del Tauro
Tra Suggestione ed Innovazione di Francesco Pasquale Cordopatri ed ancor più la nostra Piana, infatti, si trovano a far fronte ad una situazione estremamente delicata. Laddove sembra riduttivo imputare qualsiasi problema alla concorrenza straniera, c’è comunque da specificare che questo accentuarsi del mercato globale ha colto impreparati i nostri agricoltori e le strutture politiche e sociali che avrebbero dovuto accompagnarli in questa impervia realtà. Una situazione non proprio florida per le persone e per i nostri mastodonti secolari. Essi, silenziosi, possenti e splendidi hanno accompagnato le mille e mille Prima di arrivare a Palmi, entriamo in lune della nostra Terra, regalandole un bosco fertile ma soprattutto unico e suguna selva di Ulivi come non ne ho mai gestivo. Proprio questi attributi emozionali sono quelli che meglio definiscono veduti. […] Qui l’Ulivo non è più un la nostra Realtà olivicola. Ma come anticipato, l’emozione lascia spazio alle Ulivo, è un albero fronzuto come i no- esigenze ed alla contingenza. L’Olivicoltura attuale infatti, mal si sposa con stri Faggi, alto come i nostri tigli e proietta verso le questi dinosauri vegetali di 20 metri e oltre. Come in molti altri settori infatti, in agricoltura è divenuto nubi i rami vigorosi essenziale abbassare i spandendo intorno una costi di gestione e probalsamica ombra dove duzione. In particolare crescono le felci. Li nella realtà olivicola, guardai con ammiraziodove i disequilibri tra le ne ed invidia, ed invofatiche dei produttori lontariamente mi dice(in termini economici e vo ciò che mi ero già non solo) e ciò che trodetto così spesso: Ah! viamo sugli scaffali dei Vorrei vivere là, dietro supermercati sono quegli Ulivi meraviestremi, i costi di progliosi, attraverso il foduzione ed il loro abgliame dentato che mi bassamento diventano appariva nero.” Maxila chiave di volta per la me Du Camp, Expedisopravvivenza delle tion de deuxSiciliesaziende. Unico metodo souvenirs personels; attualmente disponibile Bourdillat, Paris, 1861. per alleviare il peso dei Un’altra campagna olecosti è la razionalizzaaria è ormai avviata. zione e soprattutto la Molto l’entusiasmo per meccanizzazione, quanquesto momento di feto più integrale possibista che, ogni anno, orle. Cantieri di lavoro mai da molti secoli, ac- Nella foto: maestoso ulivo secolare nell’azienda Cordopatri. compagna i Popoli delle presupPiana. E come ogni anno, da qualche decade a que- razionali sta parte, la festa lascia spazio ai dubbi ed alle per- pongono preferibilplessità. Lo scenario agricolo, nella Piana come mente oliveti moquindi nella Calabria, in Italia come in Europa ed oltre, sta derni, subendo dei radicali cambiamenti. Un’ imponente efficienti, facilmenrivoluzione agroalimentare sta investendo l'Agri- te gestibili, con sesti coltura Tradizionale. Una spiccata professionalizza- intensivi e produzione dei campi e delle coltivazioni sta prendendo il zione costante. Tutposto del contadino, nella speranza comune che la to questo affiancato Tradizione mantenga il giusto spazio e la giusta mi- da un compendio di sura, essendo Essa parte integrante dell'Innovazio- tecnologia estrattine. In questo contesto dinamico e turbolento, em- va, tecniche agronoblematico è il caso della nostra Olivicoltura. La miche, assetti orgae Calabria, per importanza strategica del Settore Ole- nizzativi ario è, in ambito nazionale, seconda solo all’areale gestionali atti ad otPugliese. Da sola la Provincia di Reggio Calabria tenere l’unico attriL’autore dell’articolo davanti ad un ulivo secolare del diametro rappresenta una delle più grosse fette dell’Olivicol- buto che permette di di oltre quattro metri. tura italiana. In tutto questo, il territorio della Piana smarcarsi dalla criè nella stragrande percentuale superficie olivetata. si: la Qualità. QualiQuesta coltura caratterizza oggettivamente gran tà degli oli che nella Piana di Gioia Tauro, caratterizzata da un difficile ambienparte dell’economia locale da svariati secoli. Un te pedo-climatico, non viaggia sullo stesso binario della vocazionalità per la vero e proprio monumento alla storia della Piana. coltura dell’Ulivo. In sostanza non basta avere suoli fertili nei quali l’olivo veSolo in tempi relativamente recenti si è passati dalla geta bene per produrre buon olio. Serve infatti passione e soprattutto competenquasi monocoltura d’Ulivo ad una più variegata za scientifica che permetta di lavorare sulle variabili che permettono di produrre agricoltura; il Territorio è stato infatti arricchito di Olio all’altezza di tale nome. In Calabria, nella Piana, qualcosa su questo fronte agrumi, Actinidia, colture protette ed altro. Questa si è mosso e si sta muovendo. La modernizzazione dell’Olivicoltura è testimotendenza è ben delineata oltre che da una straordi- niata infatti dal riconoscimento globale delle caratteristiche pregevoli dell’Olio naria vocazione colturale, soprattutto dall’anda- ottenuto dalle nostre Aziende. Numerose Eccellenze Oleicole Calabresi e somento dei mercati, i quali ricalcano una situazione prattutto della nostra Piana, si sono affacciate sullo scacchiere internazionale, proibitiva per i nostri olivicoltori. L’Italia olivicola, ritagliandosi prepotentemente una fetta di mercato che sembrava essere irrag-
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giungibile. La quota di olio extravergine pregiato prodotto è aumentata e continua ad aumentare a scapito dell’olio comunemente definito “lampante” (nome dovuto al fatto che fino all’avvento dell’elettricità era utilizzato come combustibile per l’illuminazione). I risultati ottenuti lasciano ben sperare per un futuro molto interessante per l’olio della Piana ed una bella lancia è da spezzare a favore della passione e della professionalità delle persone che operano tra Aziende ed Enti pubblici. Ma cosa fare adesso dei nostri cari Ulivi plurisecolari? Queste sculture ciclopiche che deliziano abitanti, viaggiatori, artisti, poeti, antropologi, scienziati di ogni sorta, sono giunti al capolinea? Hanno fatto il loro tempo e semplicemente vanno sacrificati in nome Un sentiero tra gli ulivi. del progresso? L’odierna Olivicoltura protende verso giovani impianti intensivi (400 piante per ettaro circa) o addirittura superintensivi. Quest’ultima tipologia in particolare, di matrice spagnola, è particolarmente difforme dalla nostra comune idea di Olivo. Infatti l’Uliveto superintensivo è caratterizzato da sesti di impianto che possono toccare le 1600 (piccole) piante per ettaro (contro le 40-60 piante/ettaro dei nostri uliveti tradizionali), con meccanizzazione integrale delle fasi di coltivazione e raccolta, quindi una gestione più razionale dei costi. A titolo di esempio, basti pensare che in un uliveto superintensivo, con circa due ore di lavoro si completa la raccolta di un ettaro. Nei nostri impianti tradizionali possono occorrere anche 18 ore di oneroso e duro lavoro. Ciò che rende possibile una tale efficienza è la forma di allevamento delle piante e dunque una serie di caratteristiche intrinseche alle stesse. In questi impianti infatti gli Ulivi sono allevati in continuum lungo filari, a guisa di un gestibilissimo vigneto. Tant’è che per la raccolta si utilizzano le medesime macchine utilizzate per la vendemmia meccanica, opportunamente adattate. Gli Oliveti superintensivi – personalmente sperimentati alle nostre latitudini dal Sottoscritto nel Centro Sperimentale ARSAC (Gioia Tauro) nell’ambito di Tesi e collaborazioni col Dipartimento GESAF della Facoltà di Agraria di Reggio Calabria (oggi Dipartimento di Agraria) – potrebbero rappresentare una delle potenziali linee di evoluzione della nostra Olivicoltura. Ed i nostri Giganti, col senno del poi, potrebbero dunque cedere il passo a questi Uliveti mignon. In verità il Sottoscritto ritiene che questi Giganti abbiano ancora molto da darci – non solo in termini di “produzione”. Sono essi infatti una preziosa testimonianza delle nostre radici. Azzardando una romantica similitudine, si potrebbe dire che un Ulivo incarna e rappresenta efficacemente lo stereotipo di abitante della Piana: temperato, forte, duro e scabro fuori ma con un cuore gentile, fortemente ancorato alla propria Terra e dal sangue d’oro. Un legame forte ci unisce a questi alberi, unici per bellezza e maestosità, quindi è necessario riflettere bene sul loro destino. E qui potremmo parlare di tutela. Molte iniziative sono state mosse in tale direzione, dallo studio di Parchi tematici e Distretti rurali allo studio del turismo, passando per la creazione di un censimento sulle piante monumentali oltre che interessanti operazioni di Marketing. Chiunque volesse approfondire reperirà facilmente un ricca e mirabile bibliografia. Privati, Università ed Enti pubblici hanno dato dei lauti contributi in tal senso, offrendo un ottimo substrato produttivo attivo. Ma tutti conosciamo i problemi della nostra Terra e soprattutto cosa ci sia di mezzo tra il dire e il fare, specialmente su scala relativamente vasta. Dunque nel frattempo ci sono questi alberi maestosi ed unici, da un lato, dall’altro l’agricoltore padre di famiglia che con essi fa fatica a sbarcare il lunario, quando ci riesce. Alti costi del lavoro e concorrenza estera scellerata ne fanno da padroni. Storia, Tutela, Paesaggio, sono tutti valori sacrosanti, ma non possono pesare sulle sole
spalle degli agricoltori. Ne si può sperare di fare “Turismo dell’Ulivo” ammirando gli alberi da una anonima strada provinciale. Quanto detto è palese come è palese che dovranno essere gli agricoltori a tener duro per molto tempo per non “uccidere” i nostri Patriarchi Vegetali. Azzardando un’ipotesi infatti, il Distretto Rurale o il Paesaggio protetto difficilmente verranno istituiti. In una visione realistica verranno quanto meno identificate (è stato istituito un apposito Registro) delle piante d’interesse o delle oasi da preservare grazie all’ausilio di una rete di appassionati che opera tra il pubblico ed il privato. Altro da fare o sperare? Ci rendiamo tutti conto che fare fruttare degnamente i nostri Ulivi secolari è quanto mai problematico. È però possibile e necessario in primis attingere da loro quella che è la più grande ricchezza della nostra Olivicoltura: la Biodiversità. La Biodiversità è frutto dell’interazione di secoli di fatiche dell’uomo e della Natura e non serve solo ai sofisti per gonfiare le relazioni di pomposi convegni agro-filosofici. Essa è prima di tutto fonte essenziale per il mantenimento dell’Identità, culturale ma che è anche scienza. Questa “diversità” è l’“arma” per contrastare il fenomeno di erosione genetica che la standardizzazione dei mercati sta causando. Ricordiamo a tal proposito che gran parte dell’olio che troviamo comunemente negli scaffali dei supermercati è di origine spagnola o di paesi extracomunitari. L’olio spagnolo, esempio rappresentativo, molto spesso con marchi italiani, satura il mercato internazionale ed è prodotto essenzialmente da quattro/cinque varietà a fronte di una ricchezza che annovera centinaia di cultivarsolo nella nostra Penisola. Ed in tutto questo, contro questo fenomeno di standardizzazione, la Piana di Gioia può offrire un lauto contributo, non solo con le varietà riconosciute ufficialmente (esempi le celeberrime Ottobratica, Sinopolese ed altre) ma con un vasto repertorio di “ecotipi” e “popolazioni” d’Ulivo autoctone in grado di fornire pregevole materiale genetico. È infatti auspicabile che vengano implementate le indagini su questo fronte non solo per il motivo culturale summenzionato, ma soprattutto per fini propriamente agronomici (ed economici). È a tal proposito ragionevole pensare che la pressione evolutiva, abbia forgiato nella Piana l’ecotipo o più ecotipi di Ulivo che meglio si adattano a tale difficile ambiente pedo-climatico. Gli adattamenti che la pressione evolutiva ha generato – ed è già dimostrato dai risultati ottenuti – come ad esempio una spiccata tolleranza ad agenti patogeni, possono agevolare la produzione di olio di qualità nel nostro territorio e contenere i costi. Selezionare, migliorare ed aggiungere al nostro già pregevole patrimonio varietale altre piante della nostra Piana, che si adattino ad una olivicoltura moderna sarebbe una grande conquista agronomica nonché economica. Ad esempio valorizzare un prodotto dalle caratteristiche uniche o particolari frutto del territorio è infatti Marketing. Rappresenterebbe inoltre un buon modo per conciliare Tradizione e Progresso, oltre che la premessa più plausibile per una olivicoltura moderna, dinamica e di qualità. E concludendo, non dimentichiamo il ruolo chiave del “Consumatore”. Con un poco più di attenzione ed informazione, il consumatore vocato, può offrire un grande contributo per il comparto Oleicolo della qualità e soprattutto per la sua salute. L’olio extravergine di oliva infatti, sottovalutato e a tratti demonizzato impunemente come fonte di colesterolo e quant’altro, è uno degli alimenti più salutari. Ma solo l’olio buono fa bene. La domanda a questo punto è, quando un olio è buono? Un quesito che cela un magnifico universo fatto di Storia, Cultura, Sensazioni e Scienza.
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Vivido amarcord di una Calabria che non c’è più
di Mina Raso
“Quandu i fimmani jivanu pe ‘liva cu l'anta”
Il mondo agreste e di fatica domestica delle raccoglitrici d’olive
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n tutta la Piana del Tauro, quello della raccoglitrice d’olive è sempre stato il mestiere più praticato dalle donne fino alla fine degli anni '70. Oggi, in verità, di raccoglitrici ne sono rimaste ben poche. Perchè essere braccianti agricole, per noi giovani donne “moderne”, è troppo faticoso e in più la meccanizzazione ha diminuito il fabbisogno di braccia. Le donne raccoglievano le olive per i signorotti della zona e chi riusciva a lavorare nella propria zona era molto fortunata. Molte partivano la mattina presto, dopo aver sistemato i figli in qualche modo dalla madre, dalla vicina o all’asilo nido delle suore. Le zone di lavoro più vicine erano nelle campagne intorno a Taurianova per es. a Cuccumello, a Gagliano, Nella foto: raccoglitrici di olive. a Salazar, a Donna Livia e così via. I “fimmani”, cioè le raccoglitrici partivano, a piedi, con tutta nigghiu” o “crivu”. Che spettacolo! Vedere quelle donne che, a volte parlando, a volte l’“anta”: la squadra di raccolta. Ogni don- ridendo o gridando, lavorando con braccia e fianchi facevano volare in aria le olive, era na aveva i suoi attrezzi di lavoro personali: qualcosa di incredibile! Sembrava quasi una magia quando, durante 'a volata, le olive – “'a cirma”, cioè un grembiule dotato di perfettamente pulite (senza na' mazza e senza na' fogghia) ricadevano nel crivello e le una grossa tasca sul davanti (tipo marsu- foglie, i sassolini e le zolle di terra invece andavano a finire giù, ai piedi, della donna. Non pio) che serviva per raccogliere le olive tutte le donne però erano capaci 'u cerninu, solo le più brave riuscivano a compiere la “cocciu a cocciu” (Drupa per drupa). In “magia” della volata in modo corretto. Le ulive pulite venivano messe nei sacchi (le caspratica si raccoglievano le olive ad una ad sette verranno più tardi) e si passava oltre, ad un altro albero, così per tutto il giorno. una stando abbassate quasi a quattro zam- All’ora di pranzo ci si fermava, per mangiare. Ogni donna portava con se il suo pasto: “a pe, dove non si arrivava a tirarle via con le spisa 'nta camella” legata dentro un fazzolettone (le borse verranno dopo anche quelle); scope. La scopa era un fasci di verghe: “'a c’era quelle che mangiavano in gruppo, e allora il cibo di ognuna diventava “'a spisa” di scupa i virga”, fatta con i polloni che si tutte. C’erano pure quelle che invece preferivano mangiare da sole. Tutte comunque setrovavano ai piedi degli alberi d’ulivo (i dute su sostegni di fortuna, a terra o ai piedi di un albero consumavano il loro pasto, un virghi), e che venivano legati strettamente bicchiere di vino preso da un orcio di terracotta “a bumbuleda” e via di nuovo al lavoro. a formare la base della scopa. Poi c’era la Il pranzo era costituito di solito da una frittata, un pezzo di pane, un pò di salame, oppure corona “'a curuna”, cioè un grembiule o un olive fritte o bollite “quattru coccia i liva e nu pocu i giardinera”, o ancora aringhe affufazzoletto arrotolati strettamente e poi gi- micate e broccoli “na' renga e du vrocculeda cunduti”. Era un pranzo veloce e frugale, rati a formare un cerchio, che veniva posto non c’era molto tempo da sprecare (in inverno le giornate sono corte) e, a voler essere sul capo a mò di corona, appunto, e servi- sinceri, non è che ci fosse cibo in abbondanza nel primo dopo guerra e fino a una buona va a dare stabilità e ad ammortizzare i pesi metà degli anni '60. Quando la giornata sul terreno finiva, non era ancora finito il lavoro: che le donne dovevano trasportare casset- bisognava portare le olive raccolte nel luogo della misurazione. Se c’era un carro si carite, sacchi, gerle sulla testa. Le donne arri- cavano olive e donne lì sopra, ma se non c’era... si tiravano fuori le corone e via! Sacchi vate sul posto di lavoro si dividevano in sulle teste e in fila si tornava. Ogni donna (o ogni gruppo) rovesciava quindi per terra i gruppi e ogni gruppo prendeva uno o più sacchi di olive raccolte e due uomini calcolavano quanto era stato il raccolto, usando una alberi d’oliva cominciando poi di buona unità di misura costituita da un attrezzo detto appunto “'a misura”, che altro non era che lena a scopare le olive, facendone dei pic- un cilindro di metallo che conteneva 16 Kg di olive corrispondenti a 20 l. Nei bei tempi coli mucchi, “i munzedi”. Quando aveva- andati, quando l’annata era “carica”, da una misura si potevano ottenere fino a 4 litri no finito il primo albero – “u primu pedi i d’olio, oggi se va bene si arriva a 2-2,5. Ogni misura veniva pagata in base al prezzo livara” – alcune donne del gruppo smette- corrente, le donne cercavano sempre di farla rasa la misura, mentre “i fatturi a 'ncurmavano di usare le scope e si occupavano di vanu” cioè la riempivano fino a quando le olive traboccavano e quelle che cadevano per ripulire le olive operando la cernitura per terra erano comunque del padrone. Ogni “anta” aveva una figura leader “a' capurala”, separare le olive dalle foglie e dal terriccio cioè una donna che controllava tutte le altre, essa badava che ognuna facesse il suo, sedausano un crivello di legno e di rete: “u cer- va le liti se capitavano (e non era raro che le donne si accapigliassero per i più disparati
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Nella foto: raccoglitrici di olive.
motivi) e che nessuna rimanesse indietro rispetto alle altre. Avere una buona “anta” era un vanto e una fonte di lavoro garantito, perchè una buona “anta” era richiesta da tutti. Lavoravano col sole e con la pioggia, quando tornavano a casa prima di ogni cosa le donne ripulivano i loro attrezzi. 'A cirma, 'a scupa, 'u cernigghiu... tutto doveva essere pulito e pronto per l’indomani. Ma queste donne eccezionali (che hanno fatto la nostra storia e che noi preferiamo tenere nell’oblìo) non avevano ancora finito c’erano da riprendere i figli da dove erano stati lasciati, c’era d’andare a lavare i panni se c’era ancora luce, c’era da cucinare, da rammendare e se c’erano animali bisognava badare anche a loro. Quanta fatica! Quanto orgoglio nel cuore di queste donne! Sì, perchè “i fimmani chi cogghivanu a liva”, erano orgogliose di quel che facevano, mica come oggi che sporcarsi le mani di terra è considerato a volte una vergogna, e lo facevano con passione, con rassegnazione ma anche con allegria. Una volta un’anziana donna, che aveva lavorato per tutta la vita per uno dei signorotti locali, durante un violento temporale che ormai durava da diversi giorni, era seduta “o focularu” con il figlio; alla luce del fuoco era intenta a cucire (“minava nu' puntu”) e a pregare. Ad un certo punto ella esclamò: “Signuri meu fai u' scampa, ca u' gnuri comu faci se l’acqua si leva tutta a' liviceda?” (Signore fai che cessi la pioggia
altrimenti il padrone come farà se l’acqua trascinerà via tutte le olive). Il figlio la guardò stupito, e anche un pò arrabbiato, e le disse: “Oima' 'mbeci u preghi pe nui, chi annatru morzu non havimu mancu u' mangiamu preghi po' gnuri chi mangia e 'mbivi e no penza a nenti e a nudu?” (O, mamma, invece di pregare per noi che a momenti non abbiamo neanche da mangiare, preghi per il signorotto che mangia, beve e non pensa e niente e a nessuno). La madre lo guardò quasi allegramente, sollevando lo sguardo dal cucito, e gli rispose così: “Figghiu... 'u Signuri 'ndhavi 'u iuta 'u iutatu ca u' poveru....è 'mparatu!” (figlio il Signore deve aiutare al benestante perché il povero è avvezzo alla miseria). In parole povere, noi non abbiamo niente e per questo sappiamo far tutto, non abbiamo bisogno d’aiuto. Queste erano le nostre donne! Oggi ci sono ancora le raccoglitrici di ulive ma la loro vita (anche se molto faticosa) è resa più semplice dalla moderna tecnologia... come tutto del resto. Questa vita semplificata o migliorata, o come la vogliamo chiamare, non sempre ci rende felici, soddisfatti. Anzi, siamo sempre più stanchi, stressati, depressi, angosciati, insoddisfatti... se ci fermassimo un solo istante a guardare indietro vedremmo forse quelle donne sorridenti, nonostante la fatica, con il viso ed il corpo segnati da una vita difficile... le vedremmo forse guardarci a loro volta con uno sguardo di scherno e di commiserazione quasi a volerci dire: “Amari vui, e' nostri tempi cu' na votata i culu 'ndi facivamu cosi, e no 'ndavivamu nenti! Oji vi cumpunditi pe' nenti e 'ndaviti tuttu... (Povere voi ai nostri tempi, la schiena piegata lavoravamo duro e non risentivamo di niente. Oggi vi perdete di coraggio per niente pur avendo tutto … NdR).
«Generazioni
di lavoratrici che hanno speso la loro vita fra gli uliveti» Nella foto: raccoglitrici di olive anni '50.
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di Paolo Martino
L
a mostra sull’Annunziata al Museo Diocesano di arte sacra di Oppido-Palmi “Gioisci o piena di Grazia” (Lc 1,28). In genere il titolo di una Mostra riesce a dare l’idea del contenuto, poche volte esprime lo stato d’animo di chi la cura e l’organizza, ma soprattutto rarissime volte diventa icona stessa dell’emozione che i visitatori hanno vissuto dopo averla visitata. “Gioia”, la parola che richiama l’Annuncio, quel “Rallegrati” con il quale l’Angelo si presenta a Maria, è stata quasi la colonna sonora che ha guidato i curatori e lo stesso pubblico che in questi mesi ha visitato e continua a visitare la Mostra. Gioia, sorpresa, emozione sono state le parole che in questi mesi abbiamo vissuto ma soprattutto ascoltato da chi è stato al Museo. Forse è utile riproporre qualche tratto del percorso che ha portato l’équipe del Museo Diocesano di Arte Sacra di OppidoPalmi (MUDIOP) alla decisione di allestire la Mostra, alla scelta del tema e del percorso espositivo, perché questi momenti hanno in sè quasi un “segno” che ci ha coinvolto ed appassionato. La notizia ufficiale dell’erezione del Santuario di Maria S.S. Annunziata nella Cattedrale, è stata data dal Vescovo in occasione della liturgia di ringraziamento svoltasi in Cattedrale il 13 maggio 2103, I° anniversario dell’ordinazione episcopale di Mons. Milito. Quasi contemporaneamente, l’Ufficio nazionale per i Beni culturali della CEI affidava alla nostra Diocesi un lavoro di importanza nazionale: creare un itinerario scientifico utilizzando i mezzi e gli strumenti che in questi anni sono stati messi a punto per la tutela, la conservazione e la fruizione dei beni culturali della Chiesa Italiana. La Diocesi di Oppido MamertinaPalmi (unitamente ad altre quattro diocesi italiane) è stata scelta perché è tra le prima in Italia ad avere quasi completato il progetto tutela BB.CC.EE. Il tema assegnato: La tela di Penelope: le ricostruzioni della Cattedrale di Oppido Mamertina. Attraverso i mezzi informatici (inventari dei beni artistici ed architettonici, informatizzazione dell’Archivio storico e della biblioteca diocesana,VIC,ecc) si chiedeva di studiare l’affascinan-
La mostra sull’Annunziata
Al Museo Diocesano di Arte Sacra di Oppido-Palmi
te e drammatica storia della Cattedrale di Oppido Mamertina. Nella nota di richiesta l’Ufficio nazionale scriveva: “…Finché il giorno splendea, tessea la tela Superba, e poi la distessea la notte…” (Canto secondo, 90 e segg. - Il viaggio di Telemaco). Come nell’episodio dell’Odissea di Omero in cui Penelope, moglie di Ulisse re di Itaca, disfaceva di notte quanto tesseva di giorno per evitare i proci pretendenti in attesa del ritorno del marito, sembra quasi che la natura, sostituendosi a Penelope, abbia riservato per secoli la stessa sorte della tela alla cattedrale di Oppido Mamertina, devastata da numerosi eventi sismici e sempre ricostruita. Accogliendo la richiesta della CEI, tutta l’équipe si è messa al lavoro. Scherzi dello Spirito Santo, tra questi c’era, inconsapevole, il futuro Rettore del Santuario, don Letterio Festa. Questo lavoro ci ha portato a scoprire vari momenti della nostra monumentale Cattedrale e a riscoprire Vescovi la cui storia si è intrecciata con quella della chiesa Madre della Diocesi. Da Alessandro Tommasini che, inserendosi nella ricostruzione della “Nuova Oppido” pose la Cattedrale al centro della vita della comunità, pur limitando il suo intervento solo ad un timido intervento di rimontaggio dell’altare maggiore recuperato dalle rovine del terremoto; al vescovo Ignazio Greco, che rinnovò la dedicazione della Cattedrale a Santissima; dalla costruzione di mons. Coppola (1828-1844) alla ricostruzione di Mons. Curcio (1894-1898) fino agli anni trenta del passato secolo con la riedificazione dell’attuale edificio, per finire con i lavori (1998-2005) L’Annunciazione della Vergine Maria. del nuovo campanile, purtroppo non ancora completato. La notizia data dal Vescovo mons. Milito ha colto l’équipe del Museo mentre sviluppava il percorso di ricerca sulla Cattedrale, e ciò ha favorito la comprensione della portata storica dell’erezione del Santuario intitolato a Maria SS Annunziata: un nuovo tassello che si inseriva quasi a completare la storia complessa della Cattedrale. La decisione del Vescovo, infatti, poneva fine ad una situazione anomala: la Madonna Annunziata era ospite, con tutti gli onori, ma ospite in Cattedrale e alla Augusta Patrona di Oppido Mamertina e della Diocesi, nonostante la grande devozione popolare, era dedicata solo una Cappella. Un grande evento ecclesiale, dunque, al quale si affiancava il fatto storico per la stessa Cattedrale. All’équipe del MUDIOP sembrò naturale partecipare all’evento contribuendo a far leggere, attraverso l’arte, il Culto dell’Annunziata non solo ad Oppido ma nell’intera Diocesi. Da qui la mostra che nella notte della storica erezione, il 15 agosto 2013, è stata inaugurata da S.E. Mons. Francesco Milito. L’emozione di quella notte, le presenze sorprendenti dei mesi successivi, hanno dimostrato come l’arte ed il Museo, strumenti di pastorale della Chiesa, possono e devono affiancare il fatto ecclesiale anche e soprattutto quando questo presenta notevole impatto sulla Comunità perché in qualche modo possono favorire a mediarne la comprensione. D’altronde questo è stato da sempre e continua d essere il compito dell’Arte Sacra: “disvelare ciò che è nascosto, rendere visibile ciò che è invisibile”. L’inserto allegato a questo numero del “Corriere della Piana” si inserisce come la prima delle iniziative che nascono attorno al nuovo Santuario e vuole essere un ulteriore contributo allo sviluppo del culto e della devozione all’Annunziata in tutta la Diocesi. L’Equipe educativa del MUDIOP P.S. -Il Museo per venire incontro alle scuole ha prorogato la Mostra fino al 15 dicembre 2013 inserendola nella programmazione che è stata offerta alle scuole per il periodo natalizio “SPECIALE NATALE AL MUSEO trascorriamo il tempo in allegria… aspettando il Natale”.
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Da San Giorgio Morgeto e San Ferdinando
Forze nuove per la Chiesa Cattolica di Girolamo Agostino
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San Giorgio Morgeto il termine “sacerdote” stava per assumere il significato di “persona forestiera”, forse si pensava tale attività non si addicesse ai sangiorgesi, nonostante fossero una comunità legata alla fede e ad antiche tradizioni religiose. Sono passati lunghissimi anni dalle ultime ordinazioni di presbiteri e per ricordarci del Canonico Gargano o di Mons. Tonino Albanese, la memoria ci porta indietro nel tempo di circa un secolo; qui, successivamente, nessuno osò farsi carico di tale istituzione a parte due religiose, Suor Germana Pezzano e Suor Maria Teresina Sorbara che attualmente operano negli istituti di Castellace e di Polistena nell’ “Ordine Santa Giovanna Antida”. Per lungo tempo in questo piccolo paese, come del resto in quelli vicini, causa le condizioni di sottosviluppo e arretratezza, la mancanza di dialogo in ogni ambito sociale, il disinteresse alla vita pubblica, alla cultura e alla crescita civile hanno contribuito a far maturare e consolidare vecchi schemi di idee di tipo mafioso-delinquenziali, con allargamento del fenomeno a sfere di attività illecite dannosissime alla collettività quali il mercato della droga. Ciò nonostante, a San Giorgio Morgeto di recente fu portato un discorso nuovo nel concepire l’attività della Chiesa, ponendo particolare attenzione ai reali problemi delle famiglie e dei giovani con l’intento di recuperarne i valori e la moralità della persona che stavano per essere perduti. In questo contesto di grande bisogno per un cambiamento sociale è scaturita l’idea di un giovane sangiorgese di dedicarsi al sacerdozio, un lavoro a servizio della nobile causa ma anche difficile da svolgere e con la consapevolezza di un avvenire non facile. Idea maturata già negli anni passati ma concretizzatasi la sera di martedì 24 settembre, quando nella Chiesa Cattedrale di Oppido Mamertina, il seminarista Do-
Nelle foto: ammissione agli Ordini Sacri di Domenico e Federico.
menico Cacciatore della Parrocchia “Maria SS. Assunta” di San Giorgio Morgeto ha celebrato la sua ammissione agli Ordini Sacri. Così è stato pure per il seminarista Federico Arfuso della Parrocchia “San Ferdinando Re” di San Ferdinando. Ricordiamo che in quest’altro paese, tre anni addietro ci fu l’ordinazione a presbitero di Don Antonio Demasi dell’ “Opera Don Guanella” ed oggi svolge la sua missione nelle povere terre del napoletano; mentre, nel 2013 fu ordinato sacerdote Don Domenico Loiacono che sta concludendo gli studi a Roma in quei settori in cui la diocesi ha bisogno e, sempre della Parrocchia “San Ferdinando Re” la sera del 22 ottobre 2013 a Rende, nella diocesi di Cosenza sarà ordinato diacono Franco Macrì. Erano circa le 18,30 di martedì 24 settembre 2013 quando nella Cattedrale, affollatissima dai fedeli venuti per assistere all’evento, è calato improvvisamente un silenzio inusuale facendo presagire un particolare avvenimento. Infatti, da una navata laterale della Cattedrale si muoveva il corteo dei confratelli che accompagnava i due seminaristi al presbiterio della Chiesa, unitamente ai parroci Don Salvatore Larocca e Don Antonio Sorrentino per San Giorgio Morgeto; Don Mario Marino e Fratel Giorgio Massullo per San Ferdinando (non era presente per impegni fuori sede Don Nino Massara), seguiti dal Vescovo Mons. Francesco Milito che ha officiato la Santa Messa. Con parole chiare, precise e finalizzate alla funzione di ammissione agli Ordini Sacri dei due seminaristi, Mons. Milito ha sottolineato il momento bello della serata soffermandosi sull’importanza della formazione e della fusione con Dio per avere poi dei sacerdoti DOC capaci di compiere appieno la loro missione, essere servitori della comunità e costruttori della Chiesa del Signore. Non riferendosi certamente alla costruzione materiale della struttura ma, a coloro che si ascrivono per esercitare il ministero del sacerdozio affinché, non seduti fra i banchi, abbiano la capacità di edificare le basi morali e culturali della Chiesa per farla crescere bene, ricordando che nel presbiterio ci si entra non solamente con abiti clericali ma sacerdotali, altrimenti, come si suol dire non è l’abito che fa il monaco. Parlando, poi, del percorso sacerdotale che continua nel seminario, Mons. Milito ha ricordato che ogni presbitero è sì dono del Signore, ma in certo modo “ottenuto” da tante collaborazioni e principalmente la famiglia, sottolineando la grande importanza del papà e della mamma che l’hanno generato alla vita seguendone lo sviluppo, la crescita e la prima formazione. Al termine della Santa Messa, Mons. Milito ha chiamato a se i due seminaristi domandando loro la convinzione sulla decisione e ottenuta risposta affermativa ha concluso la funzione con l’augurio di un buon proseguimento nella iniziativa intrapresa. All’uscita della Chiesa tutti i partecipanti all’evento hanno ricevuto il ringraziamento da parte dei due seminaristi e dai loro congiunti con un semplice ma gradito rinfresco preparato per l’occasione nell’area di un cortile adiacente alla Cattedrale. Domenico Cacciatore, come anche Federico Arfuso seguiranno ancora un corso di studi triennale nel seminario S. Pio X di Catanzaro. Oggi, difronte a due giovani che hanno avuto il coraggio di addossarsi un così difficile ministero, sentiamo il dovere di non lasciarli soli e di non lasciare che il lavoro della loro missione finisca nel vuoto; cogliamo l’eco delle loro parole di pace e di speranza facendone buon uso, affinché incidano nella mente e nel cuore per un ravvedimento di quelli che, direttamente o indirettamente, hanno contribuito a seminare in questa nostra misera terra orribili ingiustizie, odio, malaffare e spargimento di sangue, con l’auspicio che dopo i gelidi venti dell’inverno tornino a sbocciare i fiori delle primavere che verranno.
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Don Mimmo Caruso saluta la comunità ecclesiale di Varapodio di Filomena Scarpati
U
n saluto in lacrime è andato qualche settimana fa alle comunità parrocchiali di Varapodio da parte di Don Mimmo Caruso che le ha guidate come Parroco dall’8 Maggio 2007, data della nomina, fino al 6 Ottobre 2013. Una separazione inaspettata quanto sofferta. Durante gli ultimi incontri il Parroco ha fatto sapere ai fedeli che Mons. Francesco Milito, Vescovo della Diocesi Oppido-Palmi, l’ha scelto per affidargli il delicato settore dell’ecumenismo all’interno della Diocesi, considerata la necessità dell’accoglienza che bisogna riservare ai tanti immigrati che giungono, giorno dopo giorno sul territorio della Piana, di diverso credo religioso. Un’apertura al fratello di altra religione che va accolto con competenza e preparazione ad hoc, per le quali il nostro Vescovo ha deciso che debba essere il Parroco di Varapodio a recarsi per due anni a Roma ad effettuare studi ecumenici durante i quali, prenderà subito visione delle diverse realtà religiose presenti sulla Piana: ortodosse, islamiche, evangeliche ecc… Non è difficile capire la motivazione per la quale la scelta sia caduta proprio su Don Caruso. L’apertura alle altre religioni presuppone, oltre che una maturità non indifferente, un particolare carisma individuato sicuramente da Mons. Milito in Don Caruso. Bisogna considerare che le belligeranze che fanno la storia soprattutto dei nostri tempi, sono dovute per la maggior parte alla diversità di credo religioso che spesso è segno distintivo, ma anche di separazione e incomprensioni delle diverse etnie che popolano la terra, divenendo talvolta lotte di potere che coinvolgono intere nazioni, basti ricordare le intolleranze tra musulmani e cristiani, di cui ancora oggi, si risente degli effetti negativi per l’elevato numero di morti che scaturisce da incomprensioni tra coloro che professano religioni diverse. Per citare fatti recenti, ricordiamo il caso Siria, Egitto, Iraq, Afghanistan. La Chiesa ravvedendo nell’ecumenismo un modo per attuare la pace, destina i suoi migliori rappresentanti alla divulgazione di quel messaggio di carità che non conosce limiti e neanche frontiere. Nessuno si sarebbe aspettato che Don Mimmo Caruso tornasse a Roma nel giro di pochi anni e questa volta per studiare. I rappresentanti della comunità civile e parrocchiale di Varapodio nel discorso di saluto al loro amato Parroco durante la messa domenicale delle 11,00, hanno espresso parole di elogio e ringraziamento per aver
ridato a Varapodio quella luce e visibilità religiosa, ma anche culturale, attraverso le attività pastorali, le visite di alti prelati calabresi e del Vaticano, la creazione di diversi momenti di profonda spiritualità, a parte tutte le ristrutturazioni di chiese, uffici pastorali, case canoniche, in brevissimo tempo e in modo frenetico. Non è ultima, l’intensificazione del culto Mariano, attraverso l’impostazione di grandi feste che rivestono un ruolo importante nella storia della religiosità calabrese, un modo più profondo di pregare il Rosario e sviluppare il culto carmelitano, parecchio sentito a Varapodio per i miracoli attribuiti alla Vergine del Carmelo, fino all’oDon Mimmo Caruso. norificenza della proclamazione di Varapodio città Mariana. I due interventi ricchi di riguardosi ringraziamenti a Don Caruso per la sua instancabile opera che si sono susseguiti dopo la celebrazione Eucaristica, prima degli abbracci finali di tutto il popolo parimenti in lacrime, sono stati del sindaco della cittadina e della presidente del terzo Ordine Carmelitano di Varapodio, Anna Tripodi. Il comitato festa del Carmelo durante i saluti ha offerto una statuetta della Vergine del Carmelo, mentre il Comitato festa del Rosario una targa ricordo come l’amministrazione comunale, mentre dai suoi collaboratori è stato omaggiato con un fascio di fiori bianchi, simbolo di purezza sacerdotale. Una scritta a grandi lettere con un “Grazie don Mimmo” è stato infine il saluto carico di emozione e commozione da parte dei bambini in attesa fuori alla chiesa di San Nicola, dove è stata celebrata l’ultima messa di Don Caruso come Parroco di Varapodio e nello stesso luogo è stata portata a spalle in processione la Madonna del Carmelo che Don Caruso ha voluto salutare assieme alla Madonna del Rosario, poste entrambe, una accanto all’altra ai piedi dell’altare. Il tutto si è concluso con un grande “Grazie Varapodio” pronunciato da Don Caruso a braccia aperte. Un momento di tristezza,
bisogna dire, per il distacco da un Parroco amato anche come persona, superato dalla consapevolezza che un uomo di Dio come Don Caruso non può e non deve rimanere chiuso entro determinati confini per il bene della Chiesa a cui va attribuito un significato universale. Lo stesso sindaco di Varapodio nel suo intervento ha sottolineato che i fedeli hanno usufruito della sua preparazione e dell’esperienza non solo fatta nelle due parrocchie guidate come Parroco, ma soprattutto hanno beneficiato della sua infinita conoscenza acquisita in Vaticano, che è servita a far crescere ulteriormente la comunità ecclesiale. La settimana successiva al saluto di Don Mimmo Caruso, è avvenuto in Varapodio l’ingresso del nuovo Parroco, Don Salvatore Tucci, accompagnato da Sua Eccellenza Mons. Francesco Milito. Originario di Cittanova, ha lasciato Messignadi, frazione di Oppido M., dopo circa 11 anni di mandato pastorale. La vicinanza delle due località, consente ai varapodiesi di conoscere già l’impostazione del suo Ministero. Ad entrambi lo staff del “Corriere della Piana” porge gli auguri di una proficua azione in base alle missioni loro affidate da Sua Eccellenza Mons. Francesco Milito, Vescovo della Diocesi Oppido-Palmi.
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Inaugurata la nuova sala dell’Oratorio della Parrocchia San Giuseppe
Nel ricordo di Padre Alessandro di Giovanni Rigoli
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omenica 20 ottobre 2013 alle ore 17 con la benedizione del parroco Don Cosimo Furfaro, e la presenza di oltre trecento persone, è stato inaugurato presso la casa parrocchiale sita in via san Matteo, il nuovo salone oratoriale della Parrocchia San Giuseppe di Taurianova. L’importanza degli oratori nella storia d’Italia è testimoniata dall’opera di reinserimento sociale e non solo, operata soprattutto verso i giovani con situazioni particolari alle spalle, prima da Don Giovanni Bosco nella Torino dell’800, poi da Don Pino Puglisi nella Palermo falcidiata dalla violenza mafiosa degli anni bui a cavallo tra la seconda metà degli anni '80 ed i primi anni del '90 del secolo scorso. La stessa CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha dedicato una nota pastorale “sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo” dal titolo “il laboratorio dei talenti”. I vari gruppi parrocchiali presenti, grazie anche all’input positivo ricevuto dal parroco don Cosimo Furfaro, responsabile dell’ufficio catechistico della diocesi di Oppido M. Palmi, presbitero di fede ferrea e che fa del Vangelo la base del suo modo di agire e pensare, hanno lavorato in maniera certosina per realizzare il progetto oratorio. A luglio, nella sede di via San Matteo, dopo che l’Azione Cattolica San Giuseppe ha organizzato con successo l’Oratorio Estivo “Estate Ragazzi 2013”,
si è capito che era possibile sfruttare parte del locale pre-esistente, apportandone le dovute migliorie, per realizzare qualcosa d’importante per le generazioni presenti e future. Una comunità si dimostra tale quando tutti, ognuno in base alle proprie possibilità e competenze, con spirito di amore fraterno e sacrificio, collaborarono per il bene comune ed in questo, la comunità di San Giuseppe (in cui figurano Azione Cattolica, Corale Tau, Caritas San Giuseppe Moscati, gruppo Catechiste/i e ministranti) ne è un fulgido esempio. Grazie a tutti coloro che hanno offerto denaro, materiali, o manodopera (tutto regolarmente rendicontato dal parroco ogni domenica nel rispetto della trasparenza), la Parrocchia San Giuseppe dispone ora di un salone dal tetto ed il pavimento rinnovati, dotato anche di riscaldamenti. Tornando alla inaugurazione, le parole di Don Cosimo hanno commosso gli animi e riempito i cuori dei presenti soprattutto nel momento in cui il salone è stato intitolato e dedicato al precedente parroco Padre Alessandro Nardi, l’indimenticabile pastore di anime che ha guidato la Parrocchia San Giuseppe per 25 anni. La targa commemorativa rappresenta un riconoscimento per l’opera prestata in questi anni nella comunità da Padre Alessandro ed anche, nel futuro, permetterà alle nuove generazioni di ricordarlo. La cerimonia è poi proseguita in armonia e giovialità, con la degustazione di numerosi tipi di dolci preparati ed offerti per l’occasione. Risulta necessaria una riflessione in quanto in questo luogo, protetti dal cielo da Padre Alessandro, l’angelo custode della parrocchia e sotto la guida dell’amato parroco Don Cosimo che ha mostrato grande sensibilità nel decidere di propria iniziativa di intitolare il salone al suo predecessore; tutti, dai bimbi agli anziani, troveranno un posto sicuro ed idoneo per lo svolgimento delle varie attività dalla Catechesi, ai cineforum, alle riunioni AC ed ACR, ai momenti ricreativi o alle riunioni organizzative e formative in cui il Vangelo è la base di tutto.
Circolo “Don Pietro Franco”
Centro servizi E.N.Te.L
Ente Nazionale Tempo Libero
Ufficio Zonale Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) info: 347.6954218
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Sport Estremi e dipendenza da fitness di Mara Cannatà
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’è chi di fitness si ammala, nel senso che ne rimane schiavo a tal punto da esasperare gli sforzi e le sedute di allenamento mettendo a repentaglio la propria salute. Tanti sono gli ultraquarantenni che, sottoponendosi a sforzi esagerati per sfuggire all'invecchiamento, restano vittime di ictus e attacchi di cuore. Ma molte sono le persone che si impongono esercizi ed attività fisiche estenuanti (magari non sostenute da programmi di allenamento ben calibrati rispetto al proprio organismo) perché vivono con ossessione la cura del proprio corpo e la ricerca di una forma estetica perfetta. La dipendenza da sport è uno squilibrio dell’allenamento che si verifica quando l’attività fisica praticata è talmente
intensa che il nostro organismo non riesce, nei tempi di recupero, a smaltire la fatica accumulata. I suoi effetti sull’organismo sono significativi. La dipendenza da sport è meglio conosciuta come overtraining che propriamente significa “eccesso di training”, ma il termine viene utilizzato per indicare una condizione clinica che andrebbe più correttamente definita come “Sindrome da Overtraining (OT)”. La “Sindrome da OT” è una situazione cronica, stabilizzata, per il cui recupero sono necessari mesi di riposo; è fondamentale infatti differenziarla dall’overreaching che è di breve durata (recuperabile con due settimane di riposo) e dal banale “senso di fatica” che perdura uno o due giorni dopo un sovraccarico di allenamento.
Come si genera l’overtraining?
Il nostro organismo ha bisogno di mantenere costanti nel tempo alcuni indici fisiologici quali: la temperatura corporea, la glicemia e lo stato di acidità del sangue. Quando ci alleniamo, mettiamo sotto stress il nostro corpo, perché questi parametri vengono modificati, e lo costringiamo ad adattarsi e ad elevare le sue prestazioni. Ciò non può avvenire in modo indiscriminato: occorre che ci sia un adeguato recupero tra una sollecitazione e quella successiva. Oltre che da un’errata metodologia di allenamento, l’overtraining può essere determinato anche dalla monotonia degli esercizi, una cattiva alimentazione, lo scarso riposo notturno, un regime di vita non conforme alle norme sportive, l’uso di sostanze mediche pericolose, problemi di carattere personale, ecc. In linea generale, i principali sintomi dell’overtraining sono: un eccessivo affaticamento per ogni minimo sforzo compiuto, minore capacità di prestazione, l’insorgenza di strane intolleranze alimentari, nausea e disturbi gastro-intestinali, l’abbassamento della frequenza cardiaca a riposo - disturbi nel rapporto sonno/veglia. A livello psicologico si registrano: scarsa concentrazione e tendenza a distrarsi, poca voglia di allenarsi, umore instabile, irritabilità, abbassamento dell’autostima, poca determinazione e scarsa capacità di autovalutarsi. Non è infrequente purtroppo riscontrare tra i dipendenti da sport anche chi ricorre al cosiddetto DOPING, in cui può instaurarsi una dipendenza da sostanza vera e propria (l’utilizzo di qualsiasi intervento esogeno farmacologico, endocrinologico, ematologico, ecc. che, in assenza di precise indicazioni terapeutiche, sia finalizzato al miglioramento delle prestazioni). Tale pratica va a produrre danni organici che, purtroppo, sono diagnosticabili solo a posteriori, oltre a creare una dipendenza psicologica frutto di un’alterata percezione di sé e del proprio corpo. Anche il fitness dunque, se vissuto negativamente, può far male. È necessario ricordare che fare sport non significa mai “dare il massimo” o “dimagrire ad ogni costo”, ma ricercare, nell'attività che facciamo, il benessere psicofisico, conservando il massimo rispetto per il nostro organismo, limiti compresi. In conclusione dobbiamo far notare che il nostro organismo non ha bisogno di ore e ore di allenamento per ottenere dei risultati eccezionali ma bastano poche sedute per ottenere degli ottimi risultati senza causare nessuna dipendenza basta che il protocollo di allenamento sia adeguato alla persona, vi sia una corretta alimentazione, vi si metta tanta volontà e costanza nell’esecuzione del programma ma cosa più importante che il tutto venga seguito e concordato con personale laureato, qualificato e specializzato in queste discipline.
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La Neuropsicologia Forense
Esploratori della mente
Per comprendere le infinite interazioni fra pensiero e azione di Rosa Maria Pirrottina Neuropsicologa
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egli ultimi anni l’utilizzo della neuropsicologia ai fini forensi è stato oggetto di crescente interesse; ciò è motivato, in primo luogo, dall’aumento delle richieste di accertamento neuropsicologico ai fini giuridici e, in un secondo luogo, dalla sempre maggiore attenzione scientifica e culturale che sta ricevendo l’argomento. In quali casi, nell’ambito di un processo, può essere disposto, d’ufficio da un giudice o perché richiesta dalle parti, una consulenza neuropsicologica forense? Ad esempio, nel caso in cui si voglia accertare se l’imputato ha agito – allora – con piena coscienza e volontà, oppure
consulente tecnico d’ufficio (CTU) che svolge la funzione di suo ausiliario; la consulenza giudiziaria può, inoltre, prevedere l’intervento di altri professionisti che svolgono la propria opera non per il giudice ma per le parti in causa (CTP). La suddetta disciplina specialistica può, quindi, offrire importanti contributi nei diversi settori dell’indagine forense, al fine di ridurre il margine di discrezionalità nell’accertamento della funzionalità neuropsichica. Lo scopo non è solo documentare un’eventuale disfunzione, ma stabilire se tale disfunzione è collegabile all’evento oggetto del quesito giuridico; la metodologia utilizzata, inoltre, deve determinare se la disfunzione documentata è il risultato di una condizione patologica, di meccanismi di natura psicologica, o anche simulata. Gli ambiti applicativi di questa disciplina sono molteplici ed eterogenei: in ambito penale permette la valutazione dell’imputabilità e della pericolosità sociale; la verifica della capacità di stare in giudizio dell’imputato; la verifica della capacità di fornire testimonianza (veridicità e consistenza delle deposizioni) e la capacità della vittima di commettere reato. In ambito civile si pone l’obiettivo di documentare la presenza e quantificare le diverse voci di pregiudizio non patrimoniale; di valutare la capacità di intendere e volere; la capacità di prendere decisioni (di autodeterminarsi circa la propria salute, di fare testamento ecc) e di valutare provvedimenti di inabilitazione, interdizione, amministrazione di sostegno. Mentre, in ambito medico-legale e assicurativo consente la valutazione dell’idoneità alla guida, al porto d’armi, a mansioni lavorative specifiche oltre che, un’ulteriore documentazione per la richiesta di invalidità. Il consulente/ perito, ha quindi, il compito di fornire al giudice robuste evidenze a supporto del ragionamento giuridico, affinché, il giudice, possa formare il proprio libero convincimento al fine di emettere una decisionesul contenzioso legale. Tale disciplina, oltre ad essere una vera e propria scienza è, al tempo stesso, una pratica clinica in continuo sviluppo, fondata su solide basi scientifiche, che richiede una rigorosa osservazione di regole metodologiche, l’aderenza a principi etici, oltre che, una competenza professionale adeguata. E’un ausilio prezioso e irrinunciabile al serviziodi giudici e magistrati nel difficile lavoro di garanzia e rispetto delle regole, oltre che fruibile al singolo così come alla collettività.
«Scavare nella mente per ricercare la verità»
se – oggi – è in grado di partecipare al processo che lo riguarda, oppure se il suo comportamento – domani – potrà essere pericoloso. O ancora, per scoprire se l’evento in causa – solitamente un trauma cerebrale, magari causato da un incidente – ha prodotto un qualche tipo di danno alla vittima, adulto o bambino, oppure sui familiari. Un altro ancora per sapere a quale genitore – o a chi altro – affidare il figlio conteso. Oppure, un medico legale, per sapere se il soggetto in esame è idoneo alla guida, a detenere il porto d’armi ecc. È ai seguenti quesiti, e molti altri, che la “neuropsicologia forense” e/o “neuropsicologia giuridica” è chiamata a risponde, al fine di dare pareri su problemi di rilevanza giuridica, come quelli appena esposti. A ragion di ciò, l’art. 61 del c.p.c. dispone che: “ogni qual volta il giudice, ai fini della decisione, necessita del giudizio di un esperto data la vertenza del contendere su particolari cognizioni tecnico-scientifiche, può richiedere l’intervento di un esperto”. Perciò, in base a precise competenze, il giudice nomina un
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La musica messaggera di legalità
L’orchestra di Laureana saluta il Generale Adelmo Lusi di Eleonora Palmieri
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ietro la compostezza di una divisa, può nascondersi lo sguardo curioso di chi ammira l’arte. Due anni fa, ascoltando per la prima volta i ragazzi della nostra Orchestra, il Generale rimase rapito dal progetto musicale ed educativo e nacque una forte complicità umana. Per Lusi “Si deve conservare questo fenomeno; è una realtà che va mantenuta ad ogni costo”. Afferma “Il merito di tutto ciò va ai ragazzi e al M° Maurizio Managò, maestro di musica e maestro di vita. Lo stile è una lezione che i ragazzi conservano per sempre”. Sostiene che la mafia non si combatte solo con le forze dell’ordine, ma anche con la bellezza, con la musica. E’ il 20 ottobre. Nella splendida chiesa di Sant’Antonio di Laureana, Il Sindaco Paolo Alvaro volge al Generale l’affettuoso saluto “La porteremo nel cuore e le daremo le chiavi della città”. Proseguendo nel discorso, sostiene che “I ragazzi ormai sono cresciuti e sanno prendere decisioni”. Superano con l’arte la maturità complicata degli adulti. Questa è la vittoria. Questo è il loro messaggio educativo!
Anche il Vescovo SE Monsignor Francesco Milito pronuncia parole di stima e gratitudine nei confronti del Comandante, e di affetto per i ragazzi, dicendo che “in giornate molto buie pensa a loro, e il ricordo della loro musica lo aiuta”. L’Assessore provinciale Lamberti Castronuovo sostiene che “questi ragazzi portano nel mondo la Calabria che noi vogliamo” e che “chi suona prega tre volte”, rivisitando l’aforisma di Sant’Agostino, secondo cui chi canta prega due volte. Per l’occasione, gli spartiti dei ragazzi sono sorretti dai colori della bandiera italiana. Il via con l’Inno di Mameli. In quel verde c’è la loro speranza, nel bianco il loro candore, nel rosso la loro grinta. L’Orchestra omaggia il Generale in un lungo e affettuoso discorso, da cui si evince la stima per un uomo semplice, coerente, serio ed elegante. Per i ragazzi, che gli augurano una carriera sempre più Generale Adelmo Lusi. brillante, è un arrivederci, perché “le fiabe hanno sempre un fine, ma mai una fine”. Gli viene consegnata una targa ricordo dal Vicepresidente dell’Associazione Paolo Ragone, Franco Fruci, e dal più piccolo dei ragazzi dell’Orchestra. Dopo aver suonato Ross Roy di Jacob de Haan, La leggenda del pianista sull’oceano e The mission illuminano la suggestiva Chiesa di Sant’Antonio: nel primo brano di Morricone si esibisce alla tromba solista Alessio Giordano. I ragazzi regalano al “loro Generale” La Fedelissima, marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri. La stima verso il Comandante abbatte i chilometri; una percussionista dell’Orchestra, a Pavia per motivi di studio, gli invia il suo personale saluto, tramite una lettera letta da un’altra ragazza. Uno dei brani che Lusi ama ascoltare da loro è la Czardas di Vittorio Monti, nell’arrangiamento per Orchestra di Fiati di Jan Ripens: alla marimba si esibisce il giovane talentuoso percussionista Federico Tramontana. Dopo, l’esecuzione della Lorraine di Jacob de Haan. Sulle fiabesche note di Pinocchio, suona al sax solista Cristiana De Luca: soave sentire. Concludono con Pirati dei
All’Accademia della chitarra “Mauro Giuliani” di Laureana di Borrello
chiedere cos’è il jazz, non lo saprai mai!”; se il grande Louis Armstrong parlava così del genere, non proviamo noi ad etichettare la serata, che non è stata altro che pura musica, puro jazz. Una delle tante piacevoli serate organizzate dall’Accademia. Nell’Accademia della Chitarra “Mauro Giuliani”, oltre alla chitarra, si studiano violino, pianoforte, violoncello, canto, flauto e basso elettrico. Le ATTIVITA’ promosse sono: lezioni professionali e amatoriali, preparazione al Conservatorio, corsi annuali d’interpretazione e di perfezionamento, Master Classes, mostre di liuteria, convegni, seminari. Gli EVENTI più importanti: Concorso Canoro Nazionale “Microfono d’Oro”, Festival canoro “Un microfono per Sanremo” (semifinale nazionale), concerti itineranti in tutto il territorio nazionale, stagioni concertistiche in collaborazione con enti umanitari, militari e strutture diplomatiche. L’Ensemble Mauro Giuliani rappresenta un importante complesso nell’ambito delle formazioni cameristiche. Si propone di reinterpretare un’accurata selezione di pagine che, pur appartenenti alla letteratura cameristica non propriamente chitarristica, si adattano ad una rivisitazione non priva di vivo interesse musicale. Nonostante la giovane età dei componenti, l’Ensemble si è distinta in campo nazionale ed internazionale, conseguendo il Primo premio assoluto al Concorso Internazionale di Ischia, al “Luciano Luciani” di Cosenza, al Concorso Nazionale “Gustav Mahler” di Amendolara, al Concorso Nazionale Benintende di Reggio Calabria, al Concorso di Musica Nazionale “Magna Grecia” di Gioiosa Jonica (RC), alla V° edizione del Concorso Musicale Eu-
Concerto di musica jazz di Eleonora Palmieri
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l pianoforte Francesco Silvestri, alle percussioni Gianmaria Nicoletta, al sax Salvatore Chindemi: il trio di musica jazz si è esibito all’ex convento dei Frati Francescani di Laureana di Borrello. I musicisti avevano la compostezza della professionalità e l’estro del genere musicale. Come ogni concerto di musica jazz che si rispetti, si presenta da solo! Non c’è bisogno di parole introduttive per note che da sempre esprimono improvvisazione ed istinto ritmico, poliritmie e progressioni armoniche. “Se hai bisogno di
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Il Maestro Maurizio Managò dirige l'Orchestra di Laureana.
Caraibi. In una serata ricca di parole, semplici e dirette, e di musica che pronuncia discorsi più intensi, viene naturalmente chiesto il bis. Gli applausi del numeroso pubblico accompagnano i sorrisi. Il sipario non è calato; il 4 novembre, giorno delle Forze Armate, al Teatro Politeama di Catanzaro l’Orchestra ha nuovamente salutato il Generale Adelmo Lusi, prima della sua partenza per il nuovo incarico a Roma. Presenti alla serata: l’Arma dei Carabinieri, l’Associazione Nazionale Carabinieri, il Sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, il Prefetto Raffaele Cannizzaro, il Questore Guido Marino, l’Arcivescovo Vincenzo Bertolone, il Generale di Corpo d’Armata Ugo Zottin. Salito sul palco, il Generale Lusi, nel lungo discorso d’affetto e di stima verso l’Orchestra, ha enfatizza-
to una frase: “Questi ragazzi sono un fiore, una pianta rigogliosa. Sono l’esempio che tutta la Calabria dovrebbe seguire”. Non serve aggiungere altro; il messaggio è chiaro e forte. Ancora la nostra Orchestra ha suonato per lui. Quest’amicizia non finirà, perché le regole con le ali si ripassano volentieri nella vita.
«La mafia si combatte anche con la bellezza e con la musica»
ropeo “Paolo Serrao” di Filadelfia. Il Direttore Artistico dell’Accademia è il Maestro di chitarra Paolo Manciameli, promotore di Festival Nazionali ed Internazionali, ideatore del Festival Canoro Nazionale “Il Microfono d’Oro”. Collabora come esperto musicale e selezionatore con la scuola CET MOGOL, con importanti Istituzioni concertistiche, Conservatori ed Accademie musicali, Università. Trio di musica jazz.
Il percussionista del Trio.
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di Francesca Versace
I social media Implicazioni tra social media, imprese e consumatori
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acebook, Twitter, YouTube sono solo alcuni dei più diffusi Social Media. Attraverso questi condividiamo contenuti: video, immagini, testi, Link… Spesso si parla anche di Social Network. Ma qual è la differenza? Diciamo che I Social Network mettono in risalto le dinamiche di relazione, la rete di contatti e gli scambi che vengono effettuati in queste piattaforme tra gli utenti. Mentre l’etichetta “Social Media” comprende non solo i social media, ma anche i blog, i forum, i microblog, vale a dire tutti quei siti che consentono di creare contenuti online. Le due etichette sono diventate ormai sinonimi, perdendo la loro iniziale distinzione e creando ciò che indichiamo con “Web 2.0”. Cosa sono e a cosa servono lo sappiamo tutti: sono piattaforme che consentono di creare relazioni, intessendo una rete di contatti con cui scambiare contenuti. Ciò da cui ormai è impossibile prescindere è il fatto che i Social Media sono strumenti fondamentali per pubblicizzarsi e farsi conoscere, sia nel caso di una grande impresa sia che si parli di una piccola attività. Attraverso i mezzi tradizionali (radio, tv) l’azienda comunicava ad un pubblico di potenziali clienti che “assorbivano” o meno il messaggio in maniera passiva. Eravamo in presenza di un tipo di comunicazione ad una via, da uno (azienda) a molti (clienti). Oggi si passa ad una conversazione a due vie (azienda <--> cliente) ricreando la comunicazione faccia a faccia, in cui il cliente è attivo ed esprime la propria opinione, riguardo un prodotto o servizio attraverso i Social Media. Internet ha definitivamente cambiato la conversazione tra clienti e aziende. Grazie al Web 2.0 si moltiplicano i contenuti generati dagli utenti (User Genereted Contenent), dove i clienti esprimono la loro opinione riguardo un servizio o un prodotto di cui hanno fatto esperienza. Possono così ricavare informazioni su cosa andranno ad acquistare. Il cliente è molto più informato rispetto a prima dell’avvento dei Social Media. Ecco alcuni dati: il 75% della popolazione internet utilizza i Social Media. Per raggiungere i 50.000.000 di utenti la radio ha impiegato 38 anni, la TV 13 anni, internet 4 anni, Facebook ha raggiunto i 100 milioni di utenti in soli 9 mesi! Se Facebook fosse un Paese sarebbe il terzo paese più popolato al mondo, dopo Cina ed India. In Italia l’87% degli utenti usa i Social Media per rafforzare i rapporti di lavoro. Esistono 200 milioni di Blog, il 34%
dei blogger posta opinioni su prodotti e marchi. Il 25% dei risultati di ricerche web sui marchi più celebri riguarda contenuti generati dagli utenti. Il 90% degli utenti si fida delle recensioni dei blogger online e solo il 14% della pubblicità tradizionale. Ma vediamo in dettaglio alcuni dei più diffusi social media. Facebook: è il Social Media per eccellenza, creato da Mark Zuckenberg nel 2004, nel Ottobre 2011 contava circa un miliardo di utenti attivi nel mondo, in Italia nel Marzo 2013 si contavano circa 23.000.000 utenti. Facebook permette di aprire profili personali, pagine ufficiali (attenzione le aziende devono aprire pagine ufficiali e non profili personali) gruppi pubblici o privati. Su Facebook le persone diventano Fan, cliccando su “Mi piace” dalla pagina dell’azienda e cominciando a seguire gli aggiornamenti e ad interagire con i commenti, condivisione dei contenuti pubblicati, partecipazione ai sondaggi e così via… YouTube: è nato nel 2005 ed è di proprietà di Google. Permette di caricare filmati e distribuirli in rete, anche fuori dai confini del canale YouTube stesso. I video possono essere commentati, votati e, volendo, li si può inserire nella propria playlist e seguire alcuni account, sul modello dei social network. È il secondo motore di ricerca più utilizzato su internet al mondo vengono visti su Youtube un miliardo di video al giorno. Sta acquisendo funzionalità che lo porteranno ad avvicinarsi sempre di più al media per eccellenza: la tv! LinkedIn è un servizio di social networking online impiegato principalmente per networking professionale. In parole povere, permette di caricare una versione più evoluta del curriculum vitae e collegarsi con altre persone, di cui abbiamo già fatto conoscenza: ex colleghi, datori di lavoro, persone con professioni affini, in una rete di relazioni professionali. È utile perché permette di aprire pagine aziendali attraverso le quali fare ricerca di personale, condividere contenuti e aggiornamenti di stato. La rete di LinkedIn a Marzo 2008 contava circa 20 milioni di utenti in America del Nord, Asia e Europa e cresce a una velocità di 100.000 iscritti a settimana. Lo scopo principale del sito è consentire agli utenti registrati, il mantenimento di una lista di persone conosciute e ritenute affidabili in ambito lavorativo. Le persone nella lista sono definite “connessioni” e l’utente può incrementare il numero delle sue “amicizie” invitando chi di suo gradimento o chiedendo una presentazione. Twitter è una rete e un servizio di microblogging che permette agli utenti di mandare aggiornamenti (messaggi di testo, lunghi non più di 140 caratteri) via SMS, messaggeria istantanea, e-mail, dal sito di Twitter oppure grazie a varie altre applicazioni. Twitter è stato creato nel marzo 2006 da una società di San Francisco, l’Obvious Corp. I messaggi pubblicati informano sul proprio status ovvero come ci si sente, oppure cosa si sta facendo in un determinato momento. Gli aggiornamenti sono mostrati nella pagina di profilo dell’utente e sono anche mandati istantaneamente agli altri utenti che si sono registrati per riceverli. Oltre a postare gli aggiornamenti è possibile seguire alcuni account/persone (following) e si è a propria volta seguiti da altre persone (follower). Si possono organizzare gli account in liste, citarli aggiungendo una chiocciola (simbolo: @) davanti al nome utente, inviare messaggi privati (solo a chi ci segue) e interagire attraverso reply (risposta) e retweet (ripostando ai propri follower un aggiornamento pubblicato da altri). Nel lessico di Twitter troviamo anche gli hashtag (simbolo: #) per etichettare un contenuto e la stella per marcare un tweet como preferito. Le aziende possono così diffondere in modo veloce le proprie offerte e promozioni, rilanciare contenuti da altre loro pagine (comunicazione integrata), pubblicare link e contenuti da altri siti diventando fonti autorevoli di informazioni nel proprio settore di attività. Del.icio.us è un sito web di social
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bookmarking per la ricerca e la condivisione dei propri “preferiti”, creato nel 2003 da Joshua Schachter ed acquisito nel 2005 da Yahoo! Liquida è una sorta un “aggregatore”. In realtà, Liquida non è tanto un aggregatore ma piuttosto un valorizzatore di contenuti di qualità prodotti dai blogger. Le fonti sono solo blog. Non vengono presi in considerazione tutti i blog segnalati dagli utenti, ma solo i blog “recensiti” dalla redazione di Liquida, che “filtra” i blog di solo contenuto personale, i blog non aggiornati o comunque di qualità non ritenuta idonea. FriendFeed è un servizio gratuito che consente di seguire da un’unica pagina tutto ciò che i propri contatti e i loro amici hanno deciso di condividere nella Rete, dai post del blog, alle foto di Flickr, ai video di YouTube, ai messaggi di Twitter sia dal sito Web sia da un feed RSS e tutto può essere anche commentato. Le piattaforme social sono centinaia e centinaia, specializzati in certe tematiche (musica, viaggi) o raggruppanti nicchie (adolescenti, appassionati di cinema o di letteratura…) Ovviamente non possiamo trattarli tutti, ma vorrei ricordarne qualcun altro: SlideShare per la condivisioni di presentazioni in varie tematiche (www.slideshare.com), Flickr per la condivisione di immagini (www.flickr.com), Oknotizie per la segnalazione di notizie interessanti (http://oknotizie.virgilio.it) e pinterest (www.pinterest.com) per aggregare e condividere gallerie di immagini che ci piacciono mentre navighiamo. Nel gruppo dei social media mobile (sul cellulare) collegati alla geolocalizzazione (vale a dire selezionati in base alla propria posizione geografica) troviamo Foursquare (https://foursquare.com), per trovare locali nelle vicinanze facendosi conoscere attraverso la lo-
calizzazione GPS dei cellulari. E poi tutti i social media mobile come Instagram per le fotografie o Foodspotting (www.foodspotting.com) per condividere foto di piatti che vogliamo recensire. Da questa breve panoramica su i Social media è facile intuire che le aziende devono essere disponibili a mettersi in ascolto e dialogare con i propri utenti/clienti senza fare affidamento alle sole relazioni pubbliche di tipo tradizionale e monodirezionale. I social Media consentono alle nostre piccole e medie aziende/attività di creare una relazione a lungo termine con i clienti, passando dal monologo al dialogo, e generando così un passaparola positivo che si traduce in profitto per le nostre attività commerciali.
«Il mondo è un villaggio ricco di insidie»
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La Calabria sulla tela del Maestro Tigani: Quando l’arte e la natura si fondono in una meravigliosa sinfonia
di Ilenia Marrara
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’uomo di tutti i tempi, ha da sempre serbato nel cuore il desiderio di esprimere la propria interiorità ed il proprio vissuto attraverso le forme ed i modi a lui più congeniali. Chi ama esternare le sue emozioni con la penna, chi con la musica, chi con il canto, chi ancora con il pennello. Luciano Tigani, pittore polistenese, ormai di grande fama sia nel Bel Paese che all’estero, ha scelto l’arte e quindi la tavolozza per realizzare questa irrinunciabile esigenza,colorando di sole e di bellezza la sua amata terra di Calabria, filtrata attraverso il suo occhio di ammiratore estasiato e allo stesso tempo partecipe, che pur rappresentando il reale in ogni suo particolare, tuttavia vivifica e imprime di sé ogni frammento, arricchendo la natura di un “non so che” di personale e originale, sempre nuovo e mai scontato. Artista autodidatta, curioso osservatore del mondo che lo circonda, Tigani, sente nascere abbastanza presto l’amore per l’arte, e giunto alla consapevolezza che fosse la tela il suo veicolo per trasmettere ed emozionare, innamorato pazzo della sua terra di Calabria, da il via, diciotto anni fa, alla sua avventura nel mondo dell’arte, iniziando lo studio della prospettiva, Il molo.
Lo strappo.
del paesaggio e del colore. Si specializza nel vedutismo, nel gioco di luci e di ombre del paesaggio classico e giunge ad una tale maestrìa nell’uso del colore e dell’olio, che la sua arte può essere accostata a certe tele dei macchiaioli e ai capolavori dell’Impressionismo francese. Signora indiscussa delle opere dell’artista pianigiano è essenzialmente la natura nella sua multiforme bellezza, nella sua solarità, nella sua gaiezza, nella sua familiarità e intimità. I suoi dipinti raccontano una Calabria sempre antica e sempre nuova, i suoi scorci campestri, i suoi uliveti secolari, i suoi aranceti profumati di zagara, le sue cascate, i suoi golfi e le sue scogliere consumate dalla salsedine,accompagnano l’osservatore in quell’angolo di mondo, in quell’atmosfera così viva e penetrante, lo inducono ad annu-
sare quegli antichi profumi e a ricordare le proprie radici. La profonda conoscenza e abilità nell’uso del colore rendono il paesaggio fotografia del reale, personalizzata tuttavia e rivissuta dall’anima dell’artista. Lo studio minuzioso del particolare, delle ombre e della luce sulle cose, rendono le tele di Tigani, specchi fedeli della natura nella sua schiettezza, semplicità e dolcezza. Mai un tono cupo, mai un’ atmosfera malinconica emerge dall’arte del pittore di Polistena. La sua è un’arte serena, ottimistica, luminosa, impregnata della solarità, e della genuinità del sud. I cieli limpidi, le distese di mare calmo, che richiamano le calde giornate agostane, le piante di basilico e la delicatezza dei fiori sul davanzale dei casolari, i portici diroccati che raccontano il loro vissuto, evocano nell’animo di chi ammira tanta bellezza, sensazioni di sogno, di incontaminata purezza, di ricordi di vita quotidiana nei luoghi dell’infanzia. L’originalità, il gusto del bello e la sensibilità verso la natura dell’artista Tigani, lo hanno condotto a partecipare a numerose collettive in tutto il mondo, come la prestigiosa “Art Shopping Carouselle du Louvre” nel 2012 a Parigi e la Personale allestita presso la Phoenix Gallery di New York nel 2005. Le positive recensioni da parte di critici d’arte di calibro, tra i quali Paoli Levi, hanno aumentato la fama di Tigani tanto da essere designato a partecipare nel Febbraio 2014 alla Prima bien-
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nale della creatività a Verona. La crescita pittorica del pittore di Polistena, la sua padronanza sulla tela maturata in un’ormai ventennale esperienza, e le amicizie con importanti artisti quali Alberto Lanteri, geniale pittore della Città della Mole, hanno suscitato in Tigani il desiderio di sperimentare e di creare, giocando sul paesaggio e dando vita ad un’innovativa linea artistica di estrema originalità e creatività. Paesaggi marini che escono prepotentemente dalla tela come “Lo Strappo”; Scorci di casolari campestri che si aprono una strada tra le rocce incastonate sulla tela in “Libera la bellezza”; boschi innevati che si immagina di incendiare come in “Incendio boschivo”; tele di arte in itinere, in cui il paesaggio è intrappolato sulla taIncendio boschivo.
Confusione.
volozza ed il lavorìo del colore avviene sulla tela come in “Confusione”; cattura fotografica di un ponticello su un fiume in via di disfacimento a mò di stoffa con tanto di forbici in primo piano come in “Recupero di un fiume”; una barca ormeg-
Libera la bellezza.
giata sul molo inchiodata alla tela come in “Il molo”… Ecco le ultime creature uscite dal pennello dell’artista di Polistena, con cui ci complimentiamo e a cui auguriamo di continuare a emozionarsi e a far emozionare con la sua incantevole arte, sorridente e luminosa, tutti noi che viviamo una realtà attuale che ha più ombre che luci.
Recupero di un fiome.
«Speculare fedeltà intrisa di dolcezza»
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Dal Regno d’Italia all’Impero L’ultima opera storico-letteraria di Bruno Zappone
di Rocco Militano
È
procurandosi così il massimo livello del consenso popolare al regime. La guerra si concluse dopo sette mesi di combattimenti, caratterizzati anche dall’impiego di armi chimiche, con l’ingresso delle truppe del maresciallo Badoglio nella capitale etiopica e quindi con l’assunzione della Corona Imperiale da parte di Vittorio Emanuele III e la proclamazione dell’Impero italiano d’Etiopia. Richiamando questo quadro storico, Zappone racconta con puntuale riscontro, documentando dettagliatamente, l’intera spedizione in Africa Orientale, gli
stata una importante manifestazione culturale ricca di diversi aspetti significativi – con anche la diffusione di talune canzoni d’epoca e di un breve filmato sull’Etiopia – la presentazione, nella sala delle adunanze del Consiglio Comunale di Palmi, del saggio storico di Bruno Zappone “Dal Regno d’Italia all’Impero”, con sottotitoli “Storia illustrata della guerra d’Etiopia (1935-36) Caduti e Decorati della Provincia di Reggio Calabria” - edizione “Digipress”. Serio ed appassionato studioso di fatti storici collegati a Palmi o alla Provincia di Reggio La copertina del libro di Zappone. Calabria, Bruno Zappone ha pubblicato questa sua nuova opera letteraria aspetti militari dell’occupazione, le battaglie e le gesta eroiche dei gloriosi soldati della che, per l’approfondimento storico, la ric- provincia di Reggio, (ricordati tutti per nome, compreso Tito Minniti), la loro ripartenza chezza del vasto corredo di fotografie in verso l’Italia ed anche i nomi di tutti quei soldati della provincia di Reggio Calabria che gran parte inedite e coeve, e la perirono nelle sandocumentazione iconografica guinose battaglie allegata alle 320 pagine, può o durante i numeessere considerata un pregerosi attentati che si volissimo saggio illustrato, susseguirono dopo sintesi storica del colonialismo l’occupazione, italiano dei primi decenni del quando l’Italia era '900 che si protrae, con la narimpegnata, con il razione dettagliata degli avveVicerè Duca Amenimenti successivi alla presa deo d’Aosta, a codi Addis Abeba ed alla fondastruire 6.000 km zione dell’Impero, fino al '41 di strade asfaltate, quando il deposto imperatore centrali elettriHailè Selassiè potè rioccupache, impianti per re il trono, e poi, per accenni, i prodotti dell’afino alla Repubblica federale gricoltura, invasi democratica, di 9 stati con 84 per portare l’acqua milioni di abitanti, dell’Etiopia nelle città, opere di oggi. È però con l’approfonigienico-sanitarie, dita analisi degli accadimenti realizzando così della breve guerra condotta dal – come sostenuto Regno d’Italia contro lo Stato dal Sindaco dott. sovrano dell’Impero d’Etiopia, Barone – un codal 3 Ottobre 1935 al 9 Maglonialismo non di gio del 1936, che il ricercatore sfruttamento ma di Zappone dimostra tutta la sua sostegno alla crecapacità d’indagine ampia ed scita economica, obiettiva con l’esperienza docivile e sociale di cumentaria che condensa in quel popolo. Un ben 170 pagine del volume. l’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie in una stampa popolare d’epoca. libro interessantisEgli infatti ha voluto inquadrasimo quindi per i re questi avvenimenti partendo dall’appro- cultori di quel periodo della storia d’Italia, esposto nei dettagli del merito storico e lettefondimento storico della fase preparatoria rario dai due relatori prof. Carmelo Saltalamacchia e dott. Damiano Tripodi; che si legge della guerra, da quando, cioè, Mussolini, agevolmente per la passione patriottica che emana ed il chiaro stile narrativo avvincente convinto che anche l’Italia avesse diritto che risulta prezioso anche perché mette a raffronto le caratteristiche sociali e politiche ad un Impero – un posto al sole – per ricer- dei due popoli e delle rispettive culture, lasciando un elemento in più per quel giudizio care l’autosufficienza economica contro la complessivo sull’imperialismo coloniale italiano che ancora oggi non può essere complegrave crisi economica ed occupazionale tamente pronunciato. L’elegante testo in carta pregiata è anche corredato, in appendice, mondiale, decise di occupare militarmente con immagini delle medaglie coniate al tempo, delle monete in uso e di tutti i francobolli territori etiopici, nonostante l’Etiopia fos- emessi in occasione della proclamazione dell’Impero, completando così, in ogni aspetto, se membro della Società delle Nazioni, ma la perfetta ricostruzione analitica del periodo storico rappresentato.
«L'epopea
coloniale italiana in Africa»
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Polo sportivo d’eccellenza
Tutti in vasca !!!!
Al Grand Hotel Stella Maris di Palmi
di Carmen Ieracitano
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orse non tutti lo sanno ma abbiamo delle eccellenze anche nel nuoto. Il tutto comincia all’interno del complesso del “Grand Hotel Stella Maris” di Palmi, dove hanno sede l’omonima piscina e la palestra Gymnasium. Da quattro anni nella piscina “Stella Maris” si allena l’ASD Nettuno Palmi, curata con amore dalla presidente Dott.ssa Brunella Crucitti e dagli istruttori Ivo Ottolenghi e Cristiana Costa, che comprende due squadre: una formata da ragazzi tra i 6 e i 17 anni, e una Master con atleti adulti che nel 2011 ha conseguito per la prima volta il primo posto ai Campionati Regionali e che nel luglio del 2013 ha bissato il successo. È con evidente soddisfazione che la dott.ssa Crucitti ci racconta di loro come di: «Un Nella foto: Staff della piscina Stella Maris di Palmi (foto archivio Brunella Crucitti). gruppo formato da atleti che si sono appassionati ad una realtà che, purtroppo, ma che con l’amore che ci mettono sono riusciti da sempre a salire sul podio per essere nella nostra zona non esisteva ancora, ep- premiati in tutti i sensi». La determinazione a quanto pare non fa difetto né agli atleti pure loro, con spirito di squadra, voglia di della squadra né alla loro agguerrita presidentessa, che non manca nei loro confronti di raggiungere un obiettivo, si sono garan- nulla ed è prodiga di coccole e lodi: «devo dire che la mia squadra è formata da atleti titi quasi consecutivamente due titoli di unici che, iniziando a gareggiare per divertimento, oggi si ritrovano campioni regionali, Campioni Regionali. All’apertura di ogni coloro che portano in alto il nome della ASD Nettuno. Così mi preme e mi è soprattutto nuova stagione agonistica nuotano con il doveroso dire: la società sono prima di tutto loro, se non fosse per la loro costanza e il loro stile preferito verso le mete che si pre- loro impegno, ben vani avrebbero potuto essere tutti i miei obiettivi e i miei sforzi per sentano davanti, forti di voler mantenere raggiungere il sogno del podio». i risultati finora raggiunti e Nella foto: allievi e sportivi della piscina Stella Maris. – perché no? – migliorarsi di continuo in prospettiva di realizzare i sogni di ogni atleta. Tutti i componenti della squadra, nata dalla volontà mia e di Rocco Sirio, un tecnico che mi ispirò subito fiducia, gli atleti Giuseppe Varone, Gaetano Cosimo, Antonio Caccamo, Antonio Noto, Massimo Ferraro, Giancarlo Pagliaroli, Massimo Isola, Cesare Pentimalli, Filippo Rizzitano, Giovanni Napolitano, Angelo Conte, Roberta Angalò e Domenico Postorino, dedicano all’allenamento quotidiano almeno due ore. Lo stesso fanno i giovanissimi che si preparano a prendere un giorno il loro posto, ragazzi che sacrificano ogni giorno i loro pomeriggi tra lo studio e l’impegno dell’allenamento, che andrebbero premiati anche solo per la loro costanza,
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Su iniziativa del MC Wild Hogs di Cittanova
Un corso di educazione stradale per i giovanissimi di Carmen Ieracitano
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n’intera giornata completamente dedicata ai giovanissimi che sentono il fascino delle due ruote, è stata offerta dal Motoclub “Wild Hogs” di Cittanova domenica 20 ottobre. Un panorama di offerte, in programma dalla 9.00 alle 19.00, che va dal piccolo corso di educazione stradale al corso di Minicross Hobbysport gratuito per giovani dai 7 ai 14 anni, fino a quello, del costo di dieci euro, dedicato a quelli tra i 15 e i 17, senz’altro già un po’ più esperti. Ne parlano con entusiasmo il presidente del Motoclub, Vincenzo Raso, che ha colto anche l’occasione di promuovere la campagna di tesseramento in corso, e l’istruttore “primi passi” CSAS Francesco Petrilli, soddisfatti anche del fatto che la bella giornata abbia contribuito al successo dell’iniziativa. “Lo scopo della CSAS (Comunicazione e Sviluppo Attività Sportive) –- ci dice Petrilli – è quello di avvicinare i ragazzi alle attività sportive, rilanciando il mondo delle due ruote in un momento in
«Insegnare ai
Un momento della manifestazione.
cui la crisi generale si fa avvertire in tutti i settori e le aziende pensano solo alle vendite. La nostra lotta è quella per ricostruire dalle basi quella che è la passione, di promuoverla gratuitamente. Naturalmente la CSAS si occupa anche di segnalare i nuovi talenti che poi potrebbero divenire i campioni di domani, anche se tuttavia si tratta di eventi piuttosto rari. Le nostre specialità sono le gare di velocità, lo speed-well, ovvero la specialità realizzata sui circuiti costruiti tra le dune di sabbia, e il trial, simile al motocross ma con caratteristiche di spettacolarità che richiedono tecnica ed abilità particolari.” C’è anche un quod sulle piste e chiedo cosa si sia realizzato invece con quello. «Quella che per me è stata la cosa più emozionante della giornata – risponde Petrilli visibilmente emozionato tuttora – e cioè rendere possibile l’avvicinarsi a questo mondo anche a persone Foto ricordo di un gruppo di partecipanti alla manifestazione. con disabilità. È stato bellissimo vederli salire sul quod e provare la sensazione del vento sulla faccia, e poi vederli scendere con l’espressione così completamente felice». «Sì – riprende Vincenzo Raso – è stata un’esperienza molto bella anche per la partecipazione della Uildm e dei giovani da essa seguiti che si sono divertiti molto con il quod». Eppure non ci avrei pensato, non l’avrei creduto possibile. Il mondo delle moto visto da fuori sembra uno spazio riservato quasi a semi-dei, giovani, prestanti e sprezzanti del pericolo. E invece è possibile anche questo. Ed è una fortuna avere un Motoclub come il “Wild Hogs”, gestito con una tale sensibilità da far comprendere che, nel proprio piccolo, tutti, ma proprio tutti, possono per un giorno, provare il brivido della velocità.
bimbi ad andare in moto per responsabilizzarli»
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Motociclismo di Gaetano Mamone
Grande spettacolo alla Tonnara di Palmi
Alto gradimento per lo Speciale Beach del CdP
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rimo novembre, giorno di ognissanti all’insegna del grande motocross. Sulla spiaggia compresa fra l’Ulivarella e l’ex Miami Beach, trasformata in una tecnicissima pista da motocross si è disputata la quarta prova degli Internazionali d’Italia Supermarecross – Trofeo Gaetano Di Stefano – a ricordo del Cavalier Gaetano Di Stefano che ne fu l’ideatore negli ormai lontani anni '80. 60 piloti giunti da ogni regione d’Italia, si sono dati battaglia nelle classi 85cc, 125, MX2 e MX1,
creatosi nei giorni precedenti, e non risolto dalla locale amministrazione, che certo non è stato il migliore biglietto da visita di una località balneare che negli anni avrebbe meritato diverso e più qualificato successo turistico. Le gare, dopo le prove libere e di qualificazione che consentivano a tutti i riders, agli ordini del direttore di gara Vittorio Cordì, di conoscere a fondo il tracciato caratterizzato dai continui cambi di traiettoria creati per esaltare le qualità di guida dei riders vedeva nella 85 fra i piloti juniores la supremazia del campione italiano Emilio Scuteri su KTM che dettava la sua legge su Gaballo; fra i seniores invece era Matteo del Coco fresco vincitore del titolo dell’omologo trofeo Beach Cross a dominare la categoria. In grande evidenza anche il cadetto Francesco Riolo, giovanissimo pilota di casa autorizzato con deroga al regolamento a correre fra i piloti Juniores e che alla sua seconda gara sulla sabbia (l’esordio era avvenuto il 20 ottobre a Soverato) ha stupito tutti per la sua sicurezza di guida. Di fatto i piloti minicross, gareggiano tutti insieme a classifiche separate e lo spettacolo sul giro vede juniores e senirores lottare fra loro sul filo del cronometro. Del Coco e Scuteri davano spettacolo attaccandosi e sorpassandosi a vicenda in entrambe le gare e uscendo salutati fra gli applausi del pubblico. Nella 125 la battaglia infuriava fra Alessandro Lentini del Team Milani e Giuseppe Tropepe del Maida Off Road entrambi su KTM con Aldo Dotti pure su KTM e Il Campione italiano minicross, Emilio Scuteri. Giuseppe Capristo su Yamaha classi queste ultime nelle quali costantemente alle loro spalle. Alla fine per somma di disputavano una loro separata punti vinceva Tropepe, ormai in procinto di spiccare il batteria anche i piloti calabre- salto fra i professionisti con la possibilità di esordio al si con licenza amatoriale. La mondiale Motocross che regolava il coriaceo Lentini linea di partenza aveva alle che aveva dalla sua una moto più performante rispetto spalle il suggestivo panorama a quella di Tropepe che per prevalere ci metteva molto dello scoglio dell’ulivo che è il di suo sfruttando le creste dei cordoli alla ricerca deltarget più importante della Co- la migliore prestazione. In MX1 brillava la stella di sta Viola. A far da cornice un Marco Maddii figlio del celebre Corrado per ben due pubblico di oltre 10.000 spet- volte vicecampione del mondo negli anni 80. Il pilota tatori giunti al Lido di Palmi di Arezzo dettava la sua legge in entrambe le manche nonostante la difficoltà di un e precedeva il fortissimo Manfredi Caruso e il gioiese imprevisto guado di un tratto Lello Carbone. In MX2 Antonio Mancuso precedeva di strada invaso da acque nere sul podio il corregionale Giovanni Bertuccelli con il Lo start della "Superchamp" (le foto del servizio sono di Gianmarco Romano).
Il pilota reggino Vichy Campisi.
quale ha già condiviso l’esperienza di gare del mondiale Motocross. Terzo il giovane Lippi della teatina Pardi Moto Racing. In entrambe le gare i piloti davano spettacolo e il pubblico galvanizzato li incoraggiava ad ogni passaggio con entusiastiche forme di incitamento e applausi. Il finale di giornata vedeva la disputa della manche Super campione con al via i migliori della MX1-MX2 e 125. Marco Maddii partiva benissimo dal cancelletto e conquistava subito alla prima curva il comando di gara che avrebbe detenuto fino alla bandiera a scacchi precedendo ancora una volta Mancuso e Bertuccelli con Carbone e Tropepe in quarta e quinta posizione. Fra gli amatori si segnalano le prestazioni di Vigoroso e Morabito entrambi a podio in MX1 e in MX2. Il CO.RE Calabria FMI nella persona del Presidente ha espresso al motoclub T-REX di Palmi che unitamente al Motoclub Tirreno di Gioia Tauro ha dato vita alla manifestazione il proprio compiacimento per l’ottima manifestazione espressa e al cui successo il CDP ha contribuito con un apprezzato numero speciale di venti pagine a colori.
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La Decorata Cornice della Piana13 di Diego Demaio
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BOVALINO MARINA – SAN LUCA PIETRA LUNGA – PIETRA CASTELLO
opo avere nello scorso numero metaforicamente omaggiato la regalemaestà di Pietra Cappa si avrà stavolta come meta la panoramicissima sommità di Pietra Castello che, con i suoi 943 m., è la più elevata della Vallata delle Grandi Pietre. Ripetendo il precedente itinerario, comprendente la tortuosa discesa dello Zillastro, si raggiungerà prima Platì e, poi, Natile Nuovo. Da qui, procedendo sulla moderna e comoda diramazione della stessa 112, si declinerà in direzione di Bovalino Marina. Arrivati sulla 106 jonica si svolterà a destra per girare poco dopo ancora a destra e, lasciando la nazionale, puntareverso San Luca. Nel costeggiare il larghissimo letto della fiumara Bonamico si noterà, già frontalmente, la gigantesca mole di Pietra Castello, retrostante alla meno alta Pietra di Febo. Giunti, dopo 11 km., ai 238 m. di San Luca si proseguirà dentro l’abitato per arrivare alla casa natale di Corrado Alvaro, autore del capolavoro Gente in Aspromonte. Parcheggiata l’auto nella piazzola attigua alla Chiesa Matrice si visiterà l’abitazione del sommo scrittore calabrese, adibita a piccolo museo, dove nel 1966 venne pure accolto il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Vi è doverosamente da evidenziare che il sovente bistrattato paese aspromontano vanta tra i suoi illustri figli anche il compianto mariologodi fama internazionale Padre Stefano De Fiores, l’altro grande scrittore Domenico Giampaolo ed il carismatico sacerdote don Giuseppe Signati (nel 1956 addirittura eletto sindaco con voto plebiscitario pur dovendo poi rinunziare all’incompatibile carica). Usciti da San Luca si salirà, passando davanti al vecchio cimitero, sino agli 817 m. della singolare Pietra Lunga. Una volta alla base del conico monolito si lascerà l’automobile per aggirare, qualora fosse chiuso, un grande cancello metallico (alla sinistra della strada asfaltata)ed accedere sull’ampio sentiero che porta verso Pietra Castello. Dopo l’iniziale discesa si incontrerà, sempre sullo sterrato, un largo bivio, contraddistinto dal cemento di un acquedotto, dove si andrà a sinistra per proseguire sino ad una successiva diramazione che consentirà, stavolta piegando verso destra e lasciando la pista principale, di affrontare la “scalata” Il geometrico cono di Pietra Lunga alla dominante Pietra Castello. Durante l’abbastanza impegnativa ascesa la visuale che si (Foto Diego Demaio). apre, guardando in basso sulla sinistra, incomincerà ad essere sempre più ampia ed a poco a poco si vedranno “spuntare” i grandi monoliti della già superata Pietra Lunga, di Pietra Cappa(che da questa angolazione appare simile alla Sfinge egiziana) e di Pietra Stranghiolo. Procedendo si giungerà sotto il gigantesco “DITO” di Pietra Castello e l’affascinante arrampicata diventerà quasi “alpinistica”. Intraprendendo ed in breve superando l’erta finale, si arriverà alle spesse mura di sicura età bizantina (forse edificate su una preesistente fortificazione romana) del veramente inespugnabile “Castellion”, da qui il toponimo del monolito, che una volta attraversate offriranno l’emozionante possibilità di percorrere l’esposto camminamento orizzontale scavato nella strapiombante parete rocciosa. Il panorama a questo punto sarà straordinariamente UNICO e da mozzafiato dominando, dai quasi 943 m. di altezza, Pietra di Febo, l’intera Vallata delle Grandi Pietre e l’orrido burrone Bottigliaro (o Buttighierìo). In riferimento a quest’ultimo toLa sommità di Pietra Castello ponimo una leggenda narra che un inviso e malvagio conte, signore di Potamia (l’antica San (Foto Diego Demaio). Luca) prevedendo una eventuale ribellione dei sudditi, si era fatto costruire un inespugnabile castello sulla sommità del monolito. Infatti ben presto, temendo una vendetta da parte dei familiari di un rivale ucciso in duello, si rifugiava in esso portando seco la bella figlia di nome Atì ed un aitante paggio musico e poeta. Inevitabilmente tra i due giovani nasceva l’amore ovviamente all’insaputa del superbo nobile che mai avrebbe accettato la relazione della figlia con l’umile servitore. I nemici venuti a conoscenza di ciò, proponevano furbescamente al paggio di farli entrare di nascosto nel palazzo per poter far sì che, eliminando l’odiato conte, anche lui si liberasse dell’insormontabile impedimento. Il giovane, dapprima restìo, accettava il tradimento concordando che avrebbe intonato una canzone da lui stesso composta, il “Tradimento di Giuda”, durante l’abbassamento del ponte levatoio. I congiurati, una volta entrati nel castello, contravvenendo ai patti, non catturavano però soltanto il conte ma anche il servo corrotto e, non contenti di ciò, cercavano pure l’introvabile Atì. Entrati nella camera della svanita contessina trovavano sul suo letto il Vangelo di San Matteo, aperto nella pagina che trattava proprio il tradimento di Giuda. Ritornati dai due prigionieri, traditore e tradito, li chiudevano in una botte per farli precipitare nel sottostante profondo crepaccio. Per tale episodio, da quel remoto giorno, l’inestricabile forra diventava la Valle Bottigliaro. Tornati ai ruderi iniziali si suggerisce, solo ai non sofferenti di vertigini, “l’affaccio” finale sull’enorme frana che, riversandosi dai 1300 m. del monte Costantino sulla fiumara Bonamico, formò, nella notte tra il 3 ed il 4 gennaio del 1973, l’omonimo sottostante lago purtroppo di recente quasi colmato dai detriti alluvionali. Il policromo bacino, che si sarebbe potuto salvare con opportuni interventi tecnici di prevenzione, era uno tra i pochissimi, creatisi per sbarramento franoso, esistenti sul pianeta. Per tal motivo veniva sovente studiato da gruppi di geologi provenienti anche dall’estero. Dopo l’ennesima “veduta aerea” si scenderà, con iniziale cautela, tra la fitta vegetazione per ripercorrere gli stessi sentieri, in compagnia di agilissime capre e talvolta di qualche elusivo cinghiale, sino a Pietra Lunga. Risaliti in auto si ripasserà da San Luca per giungere a Bovalino Marina. Da qui, svoltando a sinistra sulla 106, si ritornerà nella nostra Piana dalle medesime strade percorse all’andata.