Corriere della piana - n.26

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Periodico d’informazione della Piana del Tauro, nuova serie, n° 26, Novembre 2014 - Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999

solo € 1,5 0

Calabresi,

Buone Feste!

Elezioni regionali Aspettative e speranze Guerra Globale Panorama Magmatico

Joe Petrosino Per non dimenticare

Terranova SM Ricordato Rocco Accardo

Giovani di allora Una Gioia Tauro da vivere


Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663


sommario

Corriere della Piana del 30 Novembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo

Dichiarazione stampa dell’imprenditore Pippo Callipo “Se avessi meno anni e più tempo, oggi sarei a Cosenza insieme a chi protesta contro il Governo. Tenere Renzi al chiuso è come voler fermare il vento con le mani, dove il vento è il disagio sociale che forse fa paura e si vuole tenere a distanza, nella convinzione che i problemi si risolvano lasciandoli incancrenire. E protesterei contro il Governo, non perché Renzi è più assente dei suoi predecessori, ma perché anche questo Governo ha cancellato la Calabria dai suoi programmi e niente ci lascia ritenere che si ravveda. Mi colpisce poi l’entusiasmo con cui molti politici, in questo

Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Masi Hanno collaborato a questo numero: Pippo Callipo, Filomena Scarpati, Carmen Ieracitano, Caterina Sorbara, Gaetano Errigo, Francesco Di Masi, Veronica Iannello, Gen. Angiolo Pellegrini, Adamo de Ducy, F. C., Emma Ugolini, Don Letterio Festa, Filippo Marino, Domenico De Angelis, Isabella Surace, Giovanni Garreffa, Antonio Violi, XXXXXXXXXXXXXXXX Federica Mamone, Diego Demaio. Foto: Free's Tanaka Press, Pasquale Pitti, Diego Demaio. Grafica e impaginazione:

Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 30-11-2014 Visit us on

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particolare periodo, accolgono gli esponenti del Governo che ci degnano di una visita. O si imbrogliano i calabresi, quando si richiamano con preoccupazione le risultanze di Svimez, Mec, Istat e Banca d’Italia, che segnalano le difficoltà della nostra regione, o si imbrogliano quando si accoglie il Governo con applausi scroscianti. Al Governo Renzi ed ai suoi esponenti, la Calabria dovrebbe chiedere impegni seri e maggiore senso di responsabilità. Occorrerebbe un richiamo forte, perché, come segnalano le forze sociali, in queste condizioni la Calabria e parte del Mezzogiorno rischiano il fallimento. Sono stato contro le gestioni della cosa pubblica anche quando il centrodestra era al governo proprio perché dimenticava il Mezzogiorno ed oggi avverto il rischio che se in Calabria non si recupera dignità nei comportamenti, non andremo da nessuna parte”

Riceviamo e pubblichiamo: Calabria cancellata. Editoriale Riflessioni, proposte e speranze Il XIII° Congresso Nazionale della UIL Scuola Guerra Globale L'omicidio del Colonnello Dopo le Elezioni: Cosa cambierà?

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Firenze, Renzi e la Leopolda

Commissari SI Commissari NO

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Parte la Consulta Pastorale

Metti una sera in chat

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E sul PSC vi dico...

Callipo, 100 anni di eccellenza Città educativa. Sfida aperta a Polistena Joe Petrosino Dio è morto! Pestaggio Macrì: E' ora di finirla! Solidarietà ai migranti. Solo una questione economica....? Mons. Perrimezzi e San Nicola Saggio

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Poster Presepe

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La devozione Mariana dell'Abate Marino Il Fulgore della Verità

Rocco Accardo, un attestato di stima

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"Violenza sulle donne"

Padre Stefano De Fiores

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C'era una volta ...l'Asilo Pontalto L'Antistato e la spedizione dei Mille

Giovani di allora. Una Gioia tutta da vivere

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Caldarroste e dintorni

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Slow food: Dieci anni con l'Orto

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Collettiva di pittura Alfaart

Concorso Diocesano di pittura

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Fondazione Pina Alessio La Finale del Trofeo Beach Cross La decorata cornice della Piana

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Editoriale

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di Luigi Mamone

I

Dopo il non voto del 60 per cento dei calabresi

Riflessioni proposte e speranze

l risultato elettorale dello scorso 23 Novembre deve far riflettere. Il roboante dato del 60% di consenso per il nuovo Presidente della Giunta regionale, impropriamente “Governatore” della Calabria, corrisponde a poco meno del 23% degli elettori aventi diritto al voto. Il dato pesantissimo dell’astensionismo, ahimè, anziché far riflettere la classe politica sulle proprie miserie, è stato stemperato fra grida di giubilo e lieti calici per i vincitori e forme di diverso pragmatismo per gli sconfitti. L’unico dato politicamente probante è il disastro pentastellato a conferma della crisi di consenso che il movimento di Grillo sta conoscendo e che appare l’anticamera della sua prossima auto estinzione. L’elettorato del non voto o dell’astensionismo è in massima parte lo stesso che in precedenza aveva dato fiducia a Grillo. Ora ha preso le distanze dall’inconcludente azione politica di un movimento che viene sempre più chiaramente indicato a responsabile della deriva dirigista targata Renzi. Di “se”, di “ma” sono piene le fosse, è vero, ma… ma se i M5S avessero avuto il coraggio di condividere dalla prima ora una esperienza di Governo insieme al PD di Bersani, forse oggi non subirebbero il distacco e il disprezzo di un elettorato che appare, non solo frastornato, ma letteralmente nauseato di come Grillo e Casaleggio pensino di poter continuare a dominare sulla loro compagine parlamentare e sull’intero partito e - di conseguenza - sul Paese. La presa di distanza dell’elettorato - astenutosi dal voto per punire contemporaneamente centro destra, centro sinistra e M5S - è la miglior risposta a chi pensi che possa continuare a praticarsi la becera politica di questi ultimi due anni. Si domanda il prode Renzi, e con lui tutti i renziani d’ogni sorte e risma della regione Calabria (sulla cui fedeltà, per una volta, ben si attaglia il titolo dell’ultimo libro di Vespa: “Italiani Voltagabbana”), del perché anche qui nel profondo Sud della penisola, stia crescendo a dismisura la simpatia per Matteo Salvini? Perché nella sua franchezza longobarda è concreto. Salvini in questo momento dice le cose che gli italiani vogliono sentire. A prescindere dalla radicalità della sua posizione sugli immigrati e sul ruolo dell’Italia in Europa, da

"Mare Nostrum" in avanti, ai calabresi Salvini piace perché dice quelle cose che gli altri non hanno il coraggio di dire. Parla di difendere le produzioni nazionali. Esorta a promuovere il made in Italy al sopra di ogni altra cosa. Fa battaglie soprattutto in sede europea per arginare i soliti accordi “mafiosi” opera di colletti bianchi di insospettabile altissimo livello - troppo spesso forse superficialmente definiti “massoni “ - grazie ai quali le produzioni di altri paesi vengono immesse a prezzo concorrenziale sui nostri mercati, mandando in crisi il nostro sistema produttivo e di commercializzazione, avvantaggiando solo Banche e multinazionali delle Assicurazioni. Per amor di verità - tornando in Calabria - nelle sue prime uscite anche Oliverio è stato apparentemente concreto: “Lavoreremo per recuperare i finanziamenti persi dalla Calabria di Scopelliti e per canalizzare i nuovi finanziamenti legati al nuovo piano”. Ben venga! Però ancora la sua composita maggioranza non ha avuto modo di porre diktat e di imporre le solite scelte da manuale Cencelli. Quello che manca in Calabria, ad ogni livello, è la programmazione. Manca esattamente un piano industriale. Limitandosi alla Piana del Tauro, sono anni che urliamo in un deserto! Urge la creazione delle A O S A (AREE OMOGENEE DI SVILUPPO AGRICOLO), incentrate su logiche rigoristiche di consorzio fra produttori con regole omogenee di coltivazione e condivisione consortile dei piani di sviluppo, finalizzate a conquistare fette di mercato, migliorare la qualità produttiva e la quantità del prodotto di qualità, dotandosi delle risorse per la conservazione del fresco e la immissione programmata sui mercati garantendo un miglior rapporto qualità prezzo attraverso la riduzione dei passaggi di filiera. Occorre studiare e programmare un piano industriale per la qualificazione dell’offerta turistica trasformando iniziative in se scollegate, nella vera industria del turismo che in Calabria, fra approssimazioni e cafonaggini varie, fin’ora ha stentato ad emergere. Occorre cominciare a pensare a soluzioni lungimiranti per la raccolta differenziata, utilizzando le grandi aree del Porto per lo stoccaggio del differenziato che, unisca in un sistema virtuoso, (oltre che obbligatorio) tutti i comuni della provincia, dotando i siti di strutture di trasformazione del rifiuto differenziabile. Occorre riprogrammare, in maniera seria, l’offerta sanitaria e quella del trasporto pubblico. Non ha senso parlare di Ospedale unico se non esiste più una rete di trasporto pubblico degna di questo nome. Meglio riqualificare le strutture esistenti che da sempre - storicamente - hanno garantito l’offerta sanitaria in ambiti territoriali non amplissimi come quelli di un ospedale unico. Semmai andrebbe utilizzata un mannaia affilata contro i baronati della sanità. I medici venissero rimandati tutti nei reparti e nelle corsie a fare quello per cui hanno studiato! Negli uffici amministrativi vadano collocati manager capaci di gestire, aziendalisticamente, la sanità e che non devono essere medici ma esperti di pubblica amministrazione, marketing e aziendalismo. Polistena, Oppido Mamertina, Gioia Tauro, Taurianova, Cittanova, Rosarno. In queste sedi esistono strutture in cui possono essere ospitati reparti e create aree di specializzazione e di eccellenza. In tempi rapidi e con costi minori. Senza necessità di procedere ad espropri, gare d’appalto, sub appalti, inciuci vari che finirebbero per obbligare l’intervento della DDA per una mega struttura, e per quant’altro ne consegue e si riconnette alla costruzione di un nuovo mega ospedale. Una ricognizione del patrimonio esistente e una riflessione s’impongono. Ci piacerebbe - ma non ci speriamo - che il Presidente Oliverio, desse a queste nostre riflessioni un riscontro. Non per noi, s’intende, ma per quei nostri lettori che credono ancora nel cambiamento in meglio della Calabria.

Matteo Salvini, leader della Lega Nord


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di Filomena Scarpati

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Le politiche sulla Scuola che un Governo deve garantire discusse a Torino durante il XIII° Congresso Nazionale della UIL SCUOLA

’impronta che la UIL SCUOLA ha inteso lasciare al XIII° congresso nazionale, tenutosi a Torino dal 20 al 22 Ottobre scorso, è stata sicuramente di un evoluto adeguamento all’era digitale fornendo, in prima giornata ai suoi 700 delegati nazionali presenti nell’ampia platea del Teatro Vittorio Alfieri, informazioni sui tablet e di una fondamentale sinergia tra scuola e mondo della cultura che, nonostante l’applicazione di dinamiche politiche non appropriate, la scuola attraverso le sue professionalità ha sempre saputo creare e mantenere. Della perfetta interazione tra i due mondi, ne è stata prova testimoniale l’attrice Irene Zagrebelsky che ha aperto il congresso leggendo il brano “Leggerezza” da “Lezioni americane” di Italo Calvino. Durante i lavori sono stati proiettati due filmati di cui uno ha tracciato il cammino della UIL Scuola degli ultimi quattro anni, intenso se si considerano i successi riportati in numero di adesioni sindacali che hanno consentito una crescita straordinaria al di fuori di ogni possibile aspettativa, e l’altro riportante il discorso sul Pil di Robert Kennedy, concluso con una lunga ovazione dei delegati. Dalla raccolta di firme presentata successivamente al Governo, nel tentativo di sbloccare i contratti fermi da sei anni e destinati a rimanere bloccati fino al 2019, senza interventi ed iniziative sblocca contratto da parte del sindacato, così come il buco nero da eliminare ripristinando gli scatti, avviando la negoziazione di un contratto innovativo che tenga in considerazione le esigenze culturali e professionali del nostro Paese, all’eliminazione del precariato, all’affermazione del valore dell’esperienza che non è discriminante come la meritocrazia che il Governo Renzi intenderebbe mettere in atto, sono stati i temi salienti del congresso. “La buona scuola” proposta on line dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca, farebbe acqua da tutte le parti, se la UIL SCUOLA ed altri sindacati non l’avessero ridimensionata con pesanti critiche fin dal suo nascere. L’Europa

vuole la scuola come la sede della cultura, pertanto è necessario migliorare il sistema di gestione e interazione tra scuola pubblica e Stato. Fino a quando quella della scuola sarà ritenuta una spesa anziché un investimento, non è possibile riqualificare il sistema scolastico italiano che a dire il vero va solo integrato con le innovazioni tecnologiche e digitalizzato al massimo, ma sui contenuti e le professionalità non c’è molto da fare se non creare un sistema di formazione per il personale all’ingresso e durante il corso della vita professionale, da legare alla ricostruzione di carriera evitando di creare situazioni di merito per pochi che non darebbe buoni frutti. Le scelte sindacali che talune volte sembrano tutelare le masse, non vanno verso questa direzione che porterebbe la scuola alla deriva, mirano invece alla costruzione di un sistema qualificato di cui devono usufruire tutti allo stesso modo e indistintamente. Per un principio di giustizia sociale i cittadini nella loro totalità devono essere affidati a docenti con la stessa preparazione in ogni grado d’istruzione, classe o tipo di scuola. Quindi la qualità dell’insegnamento non può essere determinata da premi dati a pochi, ma bisogna creare dei sistemi d’ingresso all’insegnamento efficaci, che garantiscano l’accesso solo ai meritevoli e pensare ad una compagine di formazione ed aggiornamento continui, che garantiscano di rimanere al passo con i tempi. Altro aspetto fondamentale è l’introduzione di un sistema efficace per la buona conoscenza delle lingue straniere. La descrizione fatta fin’ora dei temi più discussi al XIII° congresso, sono stati affrontati in modo approfondito dal Segretario Nazionale Generale della UIL Scuola Massimo di Menna sia nel discorso di apertura che nel discorso di chiusura, appena rieletto. “Il Ministro Giannini parla dei sindacati e non con i sindacati!”- afferma Di Menna. Serve una scossa all’idea della scuola azienda che è ormai superata ed è offensivo pensare ad un merito a punti per gli insegnanti che li porterebbe a trasferirsi in scuole dove i colleghi hanno punteggi più bassi per prendere un aumento di 60 euro dopo tre anni. Va invece previsto un sistema di progressione di carriera incentrato sul riconoscimento del lavoro in classe con i ragazzi. Di Menna ha detto, inoltre, con molta chiarezza che il Governo deve avere il coraggio di spostare soldi pubblici da sprechi, privilegi e da introiti dell’evasione fiscale verso il lavoro e la scuola per ridare dignità ad un settore su cui poggia ogni società che si rispetti”. La linea che terrà la UIL, assieme alla CGIL e alla CISL continuerà ad essere quella dello sciopero e delle manifestazioni di piazza se non ci saranno risposte positive, apertura al dialogo e il ripristino della piena contrattazione da parte del Governo. Il Congresso che ha visto presenti gli esponenti sindacali di diversi paesi del mondo e i segretari nazionali della CGIL Scuola Domenico Pantaleo, della Cisl Scuola Francesco Scrima oltre a confermare Massimo Di Menna segretario generale della UIL Scuola, ha eletto la segreteria nazionale formata da: Antonello Lacchei, Pasquale Proietti, Noemi Ranieri, Pino Turi che assume anche la funzione vicaria e Piero Bottale tesoriere. Dalla segreteria provinciale di Reggio Calabria condotta da decenni da Francesco Califano, ritenuto guida storica della UIL Scuola calabrese, hanno partecipato i delegati nazionali Filomena Scarpati, Giuseppe Marino, Debora Iacopino e Domenico Califano, assieme alla segretaria della Regione Calabria Melita Zirilli.


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di Luigi Mamone

Guerra Globale (3) Emergenza Magmatica

Troppi i segnali che fanno temere il peggio

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a situazione sullo scacchiere mondiale è dunque divenuta magmatica. I focolai di tensione che si registrano ovunque lasciano ben poche speranze sul fatto che i padroni del mondo vogliano realmente evitare la guerra. Residuano dubbi semmai sul contrario. Sul fatto che stiano pilotando il mondo verso la guerra globale preoccupa l’escalation della povertà diffusa che in ogni angolo del mondo - Europa in primis - a causa del liberismo becero che ha alterato in maniera irreversibile i canoni dell’economia mondiale. L’unione dei popoli, tanto sbandierato, di fatto non c’è. Di unito o di unitario appare solo il vincolo solidaristico delle lobby multinazionali, dell’alta finanza e delle assicurazioni. Dalle loro decisioni può determinarsi il destino - in senso positivo o nefasto - delle Nazioni e del mondo intero. Sembrano svaniti, dimenticati, confusi gli ideali illuministici della libertà, della eguaglianza e della fraternità. Un mondo che ormai ragiona su flussi informatici determinati dalle scelte di un Gotha dirigista e fuori dal controllo di qualsiasi espressione democratica di consenso. da la conferma di come si stia dolosamente costruendo una gleba del terzo millennio. Non più i servi della gleba o i contadini legati alla terra da un rapporto indissolubile di sopravvivenza o perdizione, non più i cafoni meridionali con il somaro nel basso del tugurio. La nuova gleba, è sommariamente acculturata, spesso laureata, comunque schiava del consumismo e non più in condizione di ritornare alla terra come ancora di salvezza e strumento di sopravvivenza. La Gleba metropolitana è stata costruita dai reggitori del mondo sulle aleatorie prospettive di un benessere diffuso. Commonwellstate, valido in economia e filosofia ma che, di fatto si scontra, con il potere becero e cinico di chi in nome del liberismo e del profitto gestisce le risorse degli stati, le globalizza e le trasforma in flussi finanziari. E se una situazione cresce a dismisura vengono operati i tagli, o meglio, i salassi, e talvolta, questi salassi, necessari in medicina per abbassare determinati valori biologici, si traducono in politica nelle guerra. Provate a pensare agli esseri umani come a cellule troppo velocemente moltiplicatesi o infette e che l’organismo vuole a tutti i costi far diminuire di numero, onde tenerli sotto controllo o dominarli. Per i reggitori dei destini del mondo: lobbies oscure, logge di governo sovranazionale e internazionale alle quali vengono a essere chiamati a far parte governanti e aristocrazie di governo di ogni parte del mondo, creare le condizioni per far esplodere guerre e pilotare lo scoppio di guerre, è un sistema per distruggere le cellule che sovrabbondano. Da sempre, per i governanti mandare a morte in nome di concetti come patria, onore e rivoluzione, migliaia o milioni di uomini, è stato esercizio pianificato e sviluppato alla luce di logiche di investimento e profitto. Per far le guerre occorrono

investimenti per costruire ordigni, aerei, armi e mezzi da combattimento. Per riparare i danni che le guerre hanno provocato occorrono altrettanto ingenti sforzi economici e finanziari. Nelle more milioni di uomini muoiono e milioni di altri restano asserviti nell’attesa che le condizioni di crescita e di benessere rinascano e ritornino al livello rosso di attenzione, dal quale deriva poi la necessità di una nuova guerra. Nel novecento tali conflitti, oltre ai due mondiali - ve ne sono stati tantissimi regionali. Ciononostante mai come oggi il concetto di guerra Globale appariva così pregnante, grave e incombente. Il fatto che stiano - uno alla volta - per essere cancellati gli stati del vicino oriente e del medio oriente, apparentemente vittime di conflitti scaturenti dall’affermarsi dei valori dell’integralismo islamico, appare in realtà la strategia necessaria e funzionale alla creazione di una miscela esplosiva di violento potere distruttivo. Non è tanto lo spauracchio della diffusione del socialismo reale ventilato ai tempi della guerra fredda e della affermazione del comunismo nei paesi occidentali, è la percezione di una testa di ponte necessaria a far da innesco ad un conflitto di proporzioni molto più ampie. Non è spiegabile che una Nazione quale la Siria, per decenni rimasta immune da conflitti, sia caduta - nei termini del genocidio che tutti conosciamo - in una spirale nella quale è arduo parlare ancora della stessa esistenza dello Stato. Stessa cosa per l’Irak. Stessa cosa per la Libia. La più vicina fra le Nazioni del Nordafrica ai nostri confini meridionali e a noi legata da pagine di storia immortali. Annibale, Cartagine, le colonia romane, la stessa civiltà romana che sulle coste libiche ha lasciato tracce imponenti quanto e forse più di quelle che gli italiani lasciarono il secolo scorso durante la colonizzazione, costruendo strade, scuole, acquedotti e ospedali, urbanizzando villaggi poi divenuti città. Negli anni in cui - dopo la defenestrazione dell’Imperatore Haile Selassiè - Gheddafi annunciava la fondazione della Repubblica della Jamahiria e si imponeva al mondo come un Dittatore e un terrorista, nulla di concreto venne fatto per defenestrare un potenziale pericolo agli equilibri di quella Europa. Nel momento in cui il Gheddafi della maturità cresceva in considerazione e prestigio, proponendosi come partner europeo scaltro ma affidabile, all’improvviso un rigurgito di contestazione interna, appoggiato da un’azione militare inizialmente francese e in breve multinazionale, porta alla guerra civile e al crollo del suo regime. Anche in questo caso, così come per Saddam Houssein - Gheddafi non doveva essere messo in condizione di parlare. Al momento della sua cattura un omicidio a sangue freddo: pistolate al petto di un uomo che si stava arrendendo. Gheddafi morto non parla più. Con buona pace di americani, francesi, inglesi e altri ancora che Gheddafi avrebbe potuto chiamare in causa. Con grande soddisfazione dei padroni del mondo che ora studieranno il modo di appropriarsi anche delle ingenti ricchezze della Libia. La nostra inchiesta finisce qui. Nulla accade per caso. Purtroppo solo Papa Francesco, continua a parlare di pace, ad invitare a costruire la Pace e a sollecitare la difesa della Pace. I potenti del Governo oscuro del mondo, pensano al profitto e per far soldi serve – hainoi – un nuovo conflitto: quello dentro il quale senza accorgercene scivoliamo ogni giorno sempre più, fra vessazioni, imposizioni, tasse, inquisizioni e smarrimento dei valori della solidarietà. Il resto, la guerra guerreggiata, i morti e le distruzioni - saranno la naturale conseguenza di tanta follia. (FINE)


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L'omicidio del Colonnello

L

a morte di Muhammar El Gheddafi ovvero del colonnello Gheddafi, dittatore per quarantuadue anni sulla Libia, terrorista, protagonista di tante controverse pagine della storia mediorientale e, negli ultimi anni, istrionico interlocutore di partner occidentali ossequiosi e proni al suo volere, in nome di trattati di amicizia e di collaborazione commerciale, al punto da consentirgli folkoristiche apparizioni in territorio europeo, con colorati cortei al seguito, donne soldato come scorta, cavalieri berberi come cornice e tende beduine come hospitality per i grandi della terra nei cortili delle ambasciate, alla fine si è conclusa con un omicidio. Un delitto a sangue freddo e senza giustificazione: e poco importa se Gheddafi per i crimini remoti e soprattutto recenti e recentissimi in odio al suo stesso popolo fosse un criminale, nei cui confronti pendeva un mandato di arresto internazionale emesso dalla procura del Tribunale per i crimini di guerra dell’Aja. La morte di Gheddafi, per come è maturata, lascia l’amaro in bocca. Il rais sarebbe emerso dalla buca dentro cui era nascosto dicendo “non sparate”. Come è possibile che sia poi stato ferito, anzi bellamente ucciso con un colpo di pistola alla testa, in piena fronte, poco sopra l’arcata orbitale sinistrasalvo che non sia stato bellamente ucciso a sangue freddo - L’esecuzione, in nome di una giustizia sommaria che non fa onore ai rivoltosi che l’hanno eseguita, a chi l’ha ordinata e a chi l’ha suggerita, diventerà uno di quei misteri che aleggeranno per sempre - come la soppressione di Mussolini e della Petacci a Dongo, e in tempi più recenti la condanna a morte di Saddam Houssein e, infine, la morte di Bin Laden anch’egli ucciso - forse a sangue freddo e il cui cadavere oltraggiato dai proiettili fu velocemente fatto sparire in mare. Certamente la crisi libica, è stato un evento non previsto nè prevedibile. Diversamente da quanto accaduto in Egitto e in Algeria, il rigurgito di libertà che ha mosso gli insorti non appare espressione di una preventiva pianificazione da parte degli occidentali e degli americani bravissimi in questo, da sempre, a far cambiare nell’immaginario collettivo il ruolo e l’immagine degli ex alleati che in breve, da amici, diventano nemici da

di Luigi Mamone (2011)

combattere: come i talebani, per anni spacciati per studenti di filosofia islamica e, dopo l’undici settembre 2001, invece più realisticamente mostrati nel loro vero volto di fanatici religiosi. La tela dei rapporti commerciali che Gheddafi aveva costruito negli ultimi due decenni, soprattutto con l’italia e la Francia, escludono la preventiva pianificazione della crisi Libica, una Regione Nordafricana realmente partecipe proprio all’esigenza del cambiamento. Anche gli Stati Uniti non avevano interesse a rimuovere un dittatore che - alla pari dell’egiziano Mubarak - un tempo Presidente e oggi esso pure dittatore, era diventato comunque utile nel contenimento e nel contrasto all’estremismo islamico. Per questo la campagna di Libia fin dall’inzio è apparsa segnata da anomalie. Certamente molte fra le potenze europee speravano in una soluzione politica, in una fuga di Gheddafi, in un avvicendamento meno sanguinoso. Così non è stato. Il vecchio spirito di combattente beduino del colonnello è riemerso concretizzandosi in una decisione di resistere fino alla morte. Ma la morte non è giunta in battaglia, come Gheddafi sperava, e come sarebbe stato giusto. La morte è giunta a bocce ferme ed ha ghermito un uomo, che per quanto criminale fosse stato e restasse, aveva detto “non sparate”. Viene spontaneo il parallelismo con la frase urlata da Francesco Ferrucci al suo boia “fermo, tu uccidi un uomo morto!”. Adesso per la Libia si apre una pagina nuova. Ma non è il caso di facili trionfalismi. Se dovesse prevalere una componente politica non moderata o comunque filo islamica, l’Europa e l’Italia non potranno certo gioire. La soluzione potrebbe rivelarsi peggior del male che si è contribuito a estrirpare. La fretta di Sarkozy di iniziare i raid aerei, la necessità delle altre nazioni europee di affiancarsi alla Francia solo per non lasciarle la possibilità di assurgere ad un ruolo egemone nelle vicende libiche, hanno innescato la miccia in una vera polveriera non solo fra le etnie tribali e multiconfessionali indigene che, non certamente, riusciranno a convivere pacificamente e a programmare politicamente un futuro democratico per l’ex colonia italiana, ma hanno dato fuoco alla miccia di una crisi che potrebbe coinvolgere l’intero bacino mediterraneo, ancora con migliai di fuggiaschi sulle barche, ancora con naufragi e morti annegati, ancora con nuove miserie e nuove crudeltà. Ancora con violenze che potrebbero estendersi ai paesi dell’Europa rivierasca. Le immense ricchezze del sottosuolo libico andranno a risvegliare antichi appetiti neocolonialistici e bramosia di ritagliarsi un ruolo guida fra i partner della nuova Libia che non è però detto accetti alcuna forma di partenership con gli occidentali, potendo optare per forme di un mercantilismo filo arabo condizionato da motivazioni religiose che nuoceranno alle attese delle imprese europee, pronte a dedicarsi alla ricostruzione e che anzi potranno creare condizioni favorevoli agli stati di più rigoroso integralismo islamico dall’Iran allo Yemen alla stessa Siria, per creare in Libia la testa di ponte per una offensiva militare concreta e reale contro l’Europa. Con Gheddafi - nel bene e nel male - la Libia appariva una terra unita; Nazione che dopo il bagno di sangue di otto mesi di guerra civile invece è probabile possa essere profondamente divisa con il riemergere di odi tribali e di vecchie bramosie di potere. Per questo Gheddafi doveva restare vivo. Per consentire alla nuova Libia di presenziare da Nazione unita e coesa nel giudizio in odio al Colonnello. Ma forse Gheddafi era depositario di tanti, troppi segreti che lo univano ai potenti della terra con i quali aveva imparato a convivere politicamente dopo aver rinunciato al suo iniziale intento rivoluzionario e terroristico. Per questo Gheddafi è stato ucciso, per mettere a tacere per sempre una voce che avrebbe potuto inchiodare davanti a responsabilità politiche gravissime i governi europei. Ragion di stato? Forse. Ma la morte di Gheddafi - peserà a lungo come un macigno, sui libici, sui francesi, sugli italiani, sull’America. Sui governi europei. Sui futuri equilibri mediterranei e su coloro i quali l’hanno voluta o non l’hanno evitata. Omicidio a sangue freddo che non trova scusanti che non consente di dire che la guerra in Libia sia terminata né che la giustizia abbia trionfato.


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di Luigi Cordova

D

ue elezioni in due Regioni profondamente diverse tra loro per tradizioni, culture e realtà produttive: Emilia Romagna e Calabria. In ambedue prevale il centrosinistra con la vittoria di due candidati Governatori PD, che di fatto diventa il partito guida della nuova fase della politica Italiana, staccando di più di 10 punti percentuali FI che sempre più si avvia al declino assieme al suo leader Silvio Berlusconi, dopo vent’anni di bello e cattivo tempo, in virtù del fascino carismatico del Cavaliere, che nel 1994 riuscì ad inventarsi, in men che non si dica, un movimento che tenne testa all’avanzata delle forze delle sinistre in particolare dell’Ulivo prima, Margherita e Ds dopo, ed infine del PD, coacervo delle aree riformiste e cattoliche. Alla fine delle elezioni, come previsto, vittoria dei candidati PD, Stefano Bonaccini, con il 49,05 (con 29 seggi al PD e 44,52% dei voti e 2 seggi al SEL con il 3,23% dei voti) in Emilia e di Mario Oliverio con il 61,40 in Calabria, ma il dato allarmante è dato dalla non partecipazione dei cittadini, cioè dell’astensionismo quasi il 63% in Emilia e il 57% in Calabria! Ma queste elezioni hanno dato anche altri dati preoccupanti, in Emilia il secondo posto è stato raggiunto dalla Lega di Salvini, nuovo astro nascente del centrodestra che in poco tempo ha fatto dimenticare tutte le “marachelle” degli scandali legati a Bossi e familiari e addirittura ad aumentare i consensi, cavalcando la riforma fiscale e l’uscita dall’Euro come moneta unica, grazie al suo candidato Alan Fabbri che ha avuto, come coalizione di centrodestra, il 29,85% dei voti e 11 seggi così ripartiti Lega (8 seggi), FI (2 Seggi), Fratelli d’Italia-AN (1 seggio) e di fatto ha superato i candidati di M5s (5 seggi e 13,30% dei voti), dell’Altra Emilia Romagna (1 seggio e 4% dei voti), della coalizione NCD (partito di Alfano) – UDC (Partito di Casini e Buttiglione) Emilia Romagna Popolare (seggi 0 e 2,66% dei voti) e della civica Liberi Cittadini (seggi O e 1,12% dei voti). Ma da questi dati si legge a chiare note che possono gioire soltanto il Pd, con il suo 44% e 29 seggi, e la Lega di Salvini con 8 seggi e 19,42% dei voti (primo

Dopo le ultime elezioni regionali

Cosa cambierà?

Si arriverà al bipolarismo stile anglosassone? O si continuerà nel pluralismo delle forze? partito del centro dx, addirittura FI ha preso solo 2 seggi con l’8,36% dei voti) ma di fatto si evidenzia la vittoria dell’ASTENSIONISMO con il 63% dei non votanti! Di contro in Calabria la coalizione di Oliverio ha vinto riportando 19 seggi ed il 61,40% dei votanti, cosi ripartiti PD (seggi 9), Lista Oliverio (seggi 5), Democratici progressisti (seggi 3), Calabria in Rete (Seggi 1) e la Sinistra (seggi 1) superando la coalizione di centrodestra che ha avuto il 23,60% e 8 seggi così ripartiti FI (seggi 5) e Casa della Libertà (Seggi 3) e quella del NCD con l’8,70% e 3 Seggi; le altre due coalizioni non hanno avuto assegnato alcun seggio, tra queste il M5s che ha subito una sonora sconfitta scendendo, dalla percentuale dei votanti del 24,80 delle elezioni politiche del 2013, a quella attuale di poco superiore al 5% e rischiando sempre più l’implosione, perdendo la capacità di catturare il consenso degli scontenti, forse a causa di alcuni errori strategici del duo Grillo - Casaleggio. Peccati di presunzione; erano convinti forse che si sarebbe andati al voto nel 2014 e così hanno rifiutato ogni possibile collaborazione con le forze dei governi Letta e Renzi, che ha vissuto fino ad oggi reggendosi su una stampella interna della coalizione l’NCD, nato da una frattura del Popolo delle Libertà, che ha visto conflittuali il suo segretario, proprio Alfano e il Cav. Berlusconi che prima lo aveva indicato alla guida del nuovo partito, frutto del sogno di Berlusconi - Veltroni - Fini di arrivare ad un bipartitismo “forzato” (come si possano ricondurre a 2 soli partiti più di 220 movimenti e partiti con simboli e storie esistenti in Italia) di tipo anglosassone per garantire la stabilità governativa e la possibile alternanza, come succede negli Stati Uniti, ma proprio uno dei cardini fondamentali del sistema americano, le cosiddette “Primarie” ha portato alla scissione di Alfano e compagni ed alla sparizione di Fini, prima vittima illustre del sogno, mentre Veltroni cerca disperatamente di proseguire

quel progetto con il Renzismo, che lo vede tra i protagonisti di questa nuova fase della politica italiana, assieme a Renzi, sempre più conflittuale con la sinistra del PD (D’Alema, Bersani, Cuperlo, Civati…), gli altri partiti di Sinistra storica (SEL, Rifondazione Comunista, PDCI e …) e i sindacati storici, in particolare con la CGIL. Paradossalmente Renzi sta andando avanti, vivendo alla giornata, barcaminandosi tra gli aiuti forzati del Cav. Berlusconi (frutto di un abnorme stato di reclusione) ed il ricorso ai voti di “fiducia”, facendo fede che l’opposizione interna alla fine darà sempre il voto favorevole, in cambio di qualche accordo che serve a dare un segnale di accoglienza di qualche loro significativa proposta, intanto si va avanti in un percorso sempre più difficile a causa degli scandali di corruzione spuntati in ogni loco della nostra penisola vedi Mose a Venezia, Expo a Milano, non ultimi gli scandali di corruttela del Comune di Reggio Calabria e del Comune di Roma che finiranno per travolgere e coinvolgere personaggi illustri della politica (a ns. memoria l’ex Governatore Scopelliti) e le Cooperative Sociali e Consiglieri regionali del Lazio di ogni colore politico, Consigli regionali già coinvolti nel caso “Rimborsopoli che ha visto indagate quasi tutte le Regioni italiane, tra queste anche l’Emilia-Romagna con gli effetti devastanti sul voto che ha portato un astensionismo così stratosferico, specie nella regione piu radicata al PD. Adesso come riconquistare la fiducia della gente e proseguire nel riformismo queste sono le scommesse legate alla sopravvivenza politica del Governo Renzi, unica alternativa il “VOTO ANTICIPATO” … ma chi si addosserà la responsabilità di una crisi al buio in un momento di crisi economica così profonda e sconvolgente? Allora si va avanti continuando in un procedimento che dovrebbe portare al bipolarismo per adesso, sognando sempre il bipartitismo come scopo finale, il tutto legato al “fenomeno Renzi”….


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Nota del Sindaco di Palmi Dott. Giovanni Barone

E sul PSC vi dico...

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o avuto modo di leggere con attenzione - sul sempre interessante Corriere della Piana - l'articolo a firma di Nicita Natalino dal titolo "Palmi piano strutturale comunale. Occasione persa. Considerazioni e critiche". Una prima riflessione che faccio è relativa alla soddisfazione di verificare che finalmente l'amico di infanzia e collega Nicita decide di prendere parte direttamente ed in prima persona alla vita sociale della città di Palmi con un contributo di idee ed una serie di proposte su un argomento di assoluta attualità anche se di purtroppo datata importanza quale il PSC e più in generale l'assetto urbanistico e le prospettive di sviluppo della città. Benché l'articolato di idee, di proposte e di sottolineature sia di assoluto interesse, devo ammettere di avere avuto qualche difficoltà ad interpretare - almeno ad una prima lettura - indicazioni e critiche nascoste all'ombra di un fraseggio e di terminologia non sempre comprensibile, perché troppo tecnica, ma complessivamente caratterizzata da un giudizio negativo sull'operato amministrativo. Indipendentemente dall'inutilità di aggiungere critiche a critiche e polemiche a polemiche che non porterebbero a null'altro che a sterili verbosità, mi chiedo: Si vuole prendere atto che dopo oltre 100

anni Palmi, tra gli ultimi in provincia e nella piana, si è dotata di uno strumento di gestione del territorio? Possiamo concordare che la presenza di regole - perfettibili e modificabili sempre - è comunque meglio dell'anarchica applicazione di stantii regolamenti che fino ad oggi si sono "applicati" per i comuni cittadini ed "interpretati" per gli amici? Riconosciamo che è stata sottratta ad un piccolo manipolo di “colletti bianchi” la possibilità di fare e disfare del territorio a loro piacimento? Ed allora mi domando ancora: Perché non partecipare direttamente ai ripetuti e pubblici incontri finalizzati alla redazione di uno strumento urbanistico quanto più possibile partecipato? Perché non inviare consigli, suggerimenti e proporre idee nella fase di organizzazione dello studio? Perché limitarsi ad una critica, legittima e costruttiva quanto si vuole, ma in ritardo nei modi e nei tempi senza aver assunto ad esempio - la responsabilità di inviare nei tempi previsti eventuali osservazioni? Ritengo assolutamente ingeneroso accusare "questa classe politica incapace, cieca ed irresponsabile" Ritenendola troppo superficialmente di "intraprendere una strada che porterà alla distruzione del nostro patrimonio paesaggi-

stico, storico e culturale, i cui effetti ricadranno sulle generazioni future". Solo chi non opera non commette errori ed è fin troppo facile limitarsi alla critica - per quanto motivata - dell'operato altrui. Altra cosa è decidere di scendere personalmente in campo e mettersi in discussione anche con i propri limiti e le proprie imperfezioni - nel tentativo di dare risposte ad un territorio per troppo tempo martirizzato da interventi inconcludenti, scellerati e, talvolta, illegittimi ed illegali. E' meglio operare pur con tutti i possibili rischi di errori e, perché no, rischi personali piuttosto che limitarsi ad una verifica dell'operato altrui nella consapevolezza di aver agito sempre con buonsenso, buona volontà ed in perfetta buona fede e non invece fare che altri continuino a deturpare il territorio. Certo non è facile passare dal dire al fare perché si va ad incidere su piccoli e grandi interessi, si assumono responsabilità, si mettono in forse aspettative. Noi, questa classe politica, il nostro impegno, per quanto criticabile, lo abbiamo dispiegato e dopo oltre un secolo abbiamo cercato di dare norme e regole certe per sottrarre le scelte agli "amici" ed agli "amici degli amici". Adesso attendiamo che altri scendano in campo, ed anche con altre squadre, per far vincere la città!


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di Carmen Ieracitano

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Firenze: Renzi e la Leopolda forum di formazione politica

i hanno chiesto di raccontare la Leopolda. Un compito tutt’altro che facile, tutt’altro che da prendere con leggerezza di questi tempi. Per me è stata una tappa fondamentale, nella formazione politica secondo la mia personale scelta così come nella formazione umana. Per me, sono cose che tengo per me o di cui al limite posso parlare con compagni di avventura. Ma raccontarla a tutti attraverso le pagine di un giornale, che mi ha visto essere collaboratrice attiva e sempre obiettiva riguardo ai fatti, senza il timore di essere tacciata come “l’imbonitrice renziana” è un’altra cosa. Così ho deciso, mi cimenterò a fare qualcosa di diverso, proverò a parlarvi della Leopolda senza parlarvi di Renzi, anche perché di lui vi parlano già tutti ogni giorno, di lui sapete già tutto ciò che può sapersi. Non è impossibile, perché se è pur vero che è stato lui a volerla e ad istituirla la Leopolda non è “la cosa di Renzi” e nemmeno una “cosa del PD”. Mettetevi l’anima in pace, non ci sono davvero i loghi e le bandiere del PD alla Leopolda. Anzi, ma questo certamente lo saprete, a una parte del PD la Leopolda proprio non piace, si è arrivati a definirla “imbarazzante”. Beh, forse posso capire che chi è abituato a considerare un partito come una “ditta” si senta in imbarazzo ad aprire il proprio “consiglio di amministrazione” al pubblico, ma è un vero peccato, e un vero imbarazzo, ancora oggi, con la pressante richiesta da parte dei cittadini di trasparenza e partecipazione, ragionare ancora la politica come una cosa “propria degli addetti ai lavori”. Ecco, la Leopolda forse non piace a certi politici proprio per questo, perché, senza altri loghi e bandiere che non siano quelli creati appositamente per la Leopolda stessa, giunta quest’anno alla quinta edizione dal titolo “Il futuro è

solo l’inizio”, apre le porte a chiunque abbia voglia di parlare di politica senza condizionamento alcuno. La Leopolda intanto si chiama così non perché sia piaciuto particolarmente a qualcuno, ma perché questo è il nome che le appartiene da due secoli. E’ infatti una vecchia stazione in disuso a due passi da Santa Maria Novella (una fermata di tram), un luogo affascinante di per sé dove passato e futuro si mescolano dando come risultato esattamente l’essenza del momento presente, e che ha una vita propria al di là della connotazione politica della più famosa tre giorni: viene affittata per meeting, convegni e feste private, ci fanno anche i veglioni di Capodanno. Ma è in virtù dell’evento che l’ha resa famosa in tutta Europa che la Leopolda è divenuta un luogo-simbolo, unico in Italia, e forse anche al mondo, proprio per questo motivo, perché è l’unico luogo al mondo dove la politica, la grande politica nazionale, incontra i cittadini viso a viso, parla, ascolta, risponde, accoglie. Forse molti di voi non sanno che basta fare una semplice pre-registrazione e inviare il proprio intervento per avere a propria disposizione per quattro minuti lo stesso palco da cui Matteo Renzi parla all’Italia intera e dire la vostra, fare una proposta, raccontare un’esperienza, allo stesso modo. O che per sedersi allo stesso tavolo con un ministro della Repubblica, un parlamentare, un esperto del settore e dialogare di un argomento che vi sta a cuore basta semplicemente arrivare alla Leopolda prima che le sedie attorno ai tavoli finiscano. I tavoli tematici, quest’anno 51 al mattino e 51 al pomeriggio, si tengono solitamente nella seconda giornata della kermesse. Non ci sono prenotazioni da fare, non ci sono privilegi e primogeniture. Tu, meccanico di Taurianova, casalinga di Cittanova, disoccupato di Polistena, puoi andare alla Leopolda e sederti a parlare con Maria Elena Boschi, con Dario Fran-

ceschini, con Marianna Madia, con Poletti o la Pinotti. E’ così. Io l’ho visto con i miei occhi. E se hai qualcosa di cui protestare o di cui lamentarti puoi farlo liberamente, tutto ciò che ti è richiesto è di farlo con civiltà, e armato solo delle migliori intenzioni, come hanno fatto i gruppi di esodati e di esuberi Meridiana, presentatisi alla Leopolda con le loro magliette distintive che li identificavano facendo presente un problema, dando visibilità e voce al problema. Poi puoi anche decidere di fermarti a cena il primo giorno o a pranzo il secondo, o anche tutt’e due, e con sole dieci euro a pasto gustare un buffet della migliore cucina toscana. Puoi portarci i tuoi figli, alla Leopolda, e lasciarli a divertirsi in un parco giochi pensato appositamente per loro sotto gli occhi vigili di educatori specializzati, proprio come quando li mandi all’asilo o a scuola, mentre in tutta tranquillità segui i dibattiti o i lavori dei tavoli. Puoi portarci il tuo cane, nessuno storcerà il naso o ti dirà che non è il benvenuto, al contrario, ho visto più di un fiero quattro zampe accanto al padrone. Ecco, io non me la sento di dirvi altro riguardo alla Leopolda, i proclami politici, così come la soluzione dei problemi, li lascio a chi è del mestiere. L’esperienza che io ho voluto fare e che qui vi racconto vuole essere soltanto una testimonianza del fatto che della Leopolda si sa solo ciò che appare in prima fila, la “cosa di Renzi”. No, la Leopolda non è la “cosa di Renzi”, ma quanto di più rappresentativo sia mai stato creato per rendere la politica davvero la “cosa pubblica”, la “cosa della gente”. E se dopo aver letto ciò, l’anno prossimo qualcuno che non l’ha mai fatto deciderà di andarci, lo faccia sapendo cosa aspettarsi, sapendo cosa può portarsi dietro e cosa deve lasciare a casa, di quest’ultimo molto poco in realtà: solo il pregiudizio, la sfiducia e la cultura della rabbia.


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Il tavolo dei lavori

Coordinata da Don Leonardo Manuli

Parte la Consulta per la Pastorale

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i è svolta a Palmi la prima iniziativa della Consulta per la Pastorale Giovanile Diocesana guidata da Don Leonardo Manuli. L’evento, che ha avuto luogo per la vigilia di Ogni Santi e che ha visto la partecipazione di circa duecento ragazzi provenienti da tutto il territorio pianigiano, era denominata “Santità, dai che ti và?” e sottotitolata “E tu che Santo sei?”. Lo scopo è stato quello di riunire gli adolescenti in un momento di preghiera e di riflessione sulla strada tracciata da alcuni Santi e dei quali, in breve, è stata illustrata una breve biografia. La partenza è avvenuta dalla Chiesa di Maria SS. del Rosario. I giovani hanno fatto il giro dell’isolato soffermandosi in quattro stazioni, in ognuna delle quali hanno approfondito la storia di un Santo. Per l’esattezza di beato Pier Giorgio Frassati, di San Giovanni Bosco e di San Francesco d’Assisi,

di Gaetano Errigo

che con le loro opere di straordinaria bontà hanno assistito il prossimo accettandolo come un fratello, e glorificato lo Spirito di Dio sotto il cui nome hanno operato. Ed infine è stata trattata la storia di una diciassettenne, la beata Chiara Luce che, nella sua breve vita, semplice ma carica di grandi virtù, ha dato l’esempio di come vivere una vita cristiana dedicata all’ascolto e all’aiuto del prossimo. Subito dopo si entrati nella Chiesa suddetta dove, ad attendere i partecipanti, vi era il Vescovo che ha salutato i convenuti e posto l’accento del suo discorso sull’importanza rivestita dalla Pastorale Giovanile per evangelizzare e aiutare i giovani ragazzi del nostro territorio ed invitato tutti a seguire le orme dei Santi. Dello stesso avviso è stato Don Leonardo Manuli che, subito dopo, ha celebrato la Santa Messa insieme al Parroco, il Padre francescano Giorgio Tassone, e al sacerdote Don Marco Larosa, vice Parroco della Parrocchia Santa Famiglia in Palmi. Il tutto è terminato con l’Adorazione Eucaristica. Tale iniziativa è stata possibile anche grazie alle attività di animazione dei ragazzi di alcuni movimenti ecclesiali giovanili quali: Rinnovamento nello Spirito, Gioventù Francescana, Scout-Agesci e Giovani Guanegliani. Presenti anche un gruppo di Giovani Carmelitani accompagnati da frate Francesco Ciaccia.

Commissari SI Commissari NO Prorogato per altri 6 mesi il Commissariamento di Taurianova

di Gaetano Errigo Il Municipio di Taurianova

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opo tanta attesa è giunta la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri circa la concessione della proroga per la gestione straordinaria della Commissione Prefettizia nel Comune di Taurianova che, a seguito della relazione fornita dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, ha registrato l’approvazione da parte dell’esecutivo di Renzi e il conseguente slittamento delle prossime consultazioni elettorali amministrative dalla ventura primavera agli ultimi mesi del 2015. La decisione era stata preceduta in città dalla riapertura del dibattito sull’amministrazione commissariale e dall’aggravarsi dello scontro tra alcuni gruppi, politici e non, e i Commissari che da un anno guidano le attività municipali. Una situazione, quella taurianovese, del tutto nuova e piena di contraddizioni. Infatti, se da un lato i problemi che allo stato attuale affliggono la cittadinanza sono molteplici, bisogna anche dire che sono, in sostanza, quelli che in città si soffrono da anni e, quindi, la politica locale, che oggi strilla e innalza barricate di fumo, ha senza dubbio le sue gravi responsabilità. Ma c’è da dire anche che la situazione finanziaria del Palazzo di Via Libertà si trova, da un decennio circa, in una condizione così precaria che costringe all’inerzia chiunque si trovi a governare, fosse egli un sindaco eletto o un prefetto inviato da Roma.

Questioni, queste, che sono state messe in secondo piano da un’efficace propaganda anti-commissario, che ha trovato sponda grazie al dilagare della crisi economica e alle aliquote delle riscossioni tributarie che hanno raggiunto il tetto massimo di imposizione per poter tenere accesa la speranza di ottenere il fondo di rotazione per il riequilibrio finanziario dell’ente e, comunque, per evitare il dissesto economico del Comune che produrrebbe, oltre alla stessa soglia di tassazione per i cittadini, anche sanzioni che renderebbero più precaria la vita economica del Municipio e dei residenti. In questo frangente economico precario, con un tasso di disoccupazione e di emigrazione sempre più crescente e un tessuto socio-culturale ampliamente sfaldato, la Commissione Straordinaria si trova ad operare in un contesto ampliamente ostile e con una società civile sfiduciata e polemica contro chicchessia. E nulla è servito ad essa, per ingraziarsi la simpatia popolare, l’aver risolto i problemi atavici del campo sportivo con soldi propri, o l’aver portato maggior liquidità alle casse di tesoreria con i fondi del Ministero dell’Interno. E intanto la politica non sembra affatto pronta per riprendere le redini dell’amministrazione. I partiti politici non dimostrano di essere in grado di dialogare fra loro per dar vita ad un gruppo coeso che possa rimboccarsi le maniche, e d’altronde appaiono, fino ad oggi, privi di quegli uomini e di quelle donne indispensabili a far voltare pagina alla città e, ancora peggio, privi di idee chiare e di iniziative utili per il cambiamento. Ma il quesito più serio resta invece un altro. Davvero Taurianova è una città invivibile a causa del potere delle cosche mafiose, tanto che si è dovuto sciogliere il suo Consiglio Comunale per ben due volte consecutive? Da quanto traspare dalla cronaca, i problemi di ordine pubblico ci sono, ma sembrano legati, per lo più, ad episodi di microcriminalità, episodi che, con le periodiche bonifiche perpetrate dalle forze dell’ordine, non turbano di molto la tranquillità sociale.


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Metti una sera in chat… Dialogo su un social network tra il direttore di un almanacco e un redattore

Luigi Mamone e Carmen Ieracitano

Caro direttore, Mi lascia perplessa la copertina del nuovo numero...una corona di fiori e un requiem per la democrazia alla vigilia di una democratica competizione elettorale??...sembra qualcosa che appartiene più al movimento degli anarcoinsurrezionalisti che non al sempre vigile ma garbato Corriere della Piana? Perchè? Non capisco il messaggio che si vuol dare...può spiegarmelo per cortesia?

Cara Carmen, con questo sistema elettorale e con questa genìa di formazioni non vi è più alcuna reale possibilità di esprimere democraticamente le scelte. Se a te sta bene un parlamento di nominati che non si sentono vincolati ai territori che li esprimono, se a te sta bene che il cittadino inerme o forse soltanto non ricco abbia oggi grandi difficoltà ad adire la giustizia al punto che molti torneranno dal Padrino o capondrangheta del paese per risolvere i problemi che una magistratura imbelle non è più pronta a dirimere dimmi quale democrazia e quale giustizia esista in Italia. Se Matttwitt Renzi invece di fare il capoccia pensasse seriamente a difendere il lavoro e a tutelare i giovani e a far rispondere i magistrati per i loro errori, forse in Italia si potrebbe ancora sperare in qualcosa di buono. Invece la sua preoccupazione è quella di blindare le liste con l'Italicum che sempre una porcata è. Se poi tu pensi che fra le macerie dello scopellitismo gente come Ferro e Oliverio sappiano e vogliano far rinascere la Calabria, se pensi questo mi complimento per il tuo ottimismo, la tua fede e la speranza che nutri. Io sono pessimista. Per il futuro, per noi, per i ragazzi delle nuove generazioni costretti come i nostri nonni a nuove emigrazioni e diaspore.

Caro Direttore, Non si tratta di ciò che penso io. Io ho avuto modo, a titolo personale, di contestare l'attuale legge elettorale regionale per diversi motivi nei confronti dei quali tutti coloro che si indignano per le "nomine" non hanno fatto una piega anzi ribadendo che è più giusto così (mi riferisco alle quote rosa), e non penso certo che Mario Oliverio sia il profeta del cambiamento, tanto meno gli altri. Non è certamente per ragioni di credo politico che ho espresso le mie perplessità riguardo al titolo, ma di deontologia professionale. Il Corriere è sempre stato un luogo dove, pur mai rinunciando all'acutezza analitica ed anche talvolta a lanciare sfide alle istituzioni, non ci si è mai espressi offrendo all'opinione pubblica toni tanto perentori di aperta contestazione. So che la copertina ha avuto successo e non mi sorprende, in fondo ai calabresi piace sentirsi dire che siamo (scusi il termine) nella merda e non ne usciremo mai. Si sentono più tranquilli se sanno di non poter fare nulla contro un malvagio destino. Le vendite andranno alle stelle ma in quel requiem si commemora anche l'informazione garbata e assolutamente non faziosa che fu, la purezza dell'informazione. Col controsenso poi subito a portata di mano, visto che all'interno vi sono interviste a candidati di tutti gli schieramenti. Come è giusto che sia. Per questo, tutto ciò mi sorprende. Tutto qui davvero. Un sorriso. Carmen


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Le interviste ai candidati sono un atto dovuto. La linea di pensiero più vicina allo spirito della copertina è nella nota, mi pare a pag. 6 a firma di Emma Ugolini che la dice lunga sull'opportunismo dei calabresi che stanno con i piedi in più staffe facendo proselitismo per candidati di diversi schieramenti. Quello che non accetto in Oliverio è che abbia raccattato (essendo utili per la vittoria) i transfughi del centro destra (addirittura un consigliere provinciale in carica). Come fa a non capire Oliverio che chi ha tradito una volta, tradirà una seconda volta e poi ancora, sempre a seconda della convenienza. Quello che mi fa venire la nausea nel centro sinistra di Oliverio è che candidano D'Agostino perchè hanno bisogno dei suoi voti per vincere e al contempo gli stanno già facendo la lotta perchè hanno paura della sua concretezza. Prima Scopelliti con la sua banda di maneggioni reggini, adesso Oliverio con i suoi strateghi cosentini con il manuale Cencelli per liberarsi (da domani sera) degli attuali alleati per la vittoria. Dimmi in questo contesto dov'è la democrazia e dov'è la legalità. Quando ad una semplice analisi delle liste di tutti i partiti leggi nomi e non senti neanche un programma o in qualche convention il candidato esprime concetti elementari che forse mio figlio di 12 anni esprimerebbe meglio comprendi bene che non vi potrà essere legalità. Da domani il Presidente Oliverio comincerà a fare nomine di governo e sottogoverno ai soliti appartenenti al suo cerchio magico mentre gli agricoltori della Piana continueranno a fare la fame perchè anche Oliverio non farà nulla per difendere le produzioni interne e rilanciare l'economia della Regione. La copertina esprime il senso di smarrimento della gente onesta calabrese ed è un monito ad iniziare a riappropriarci del nostro destino, non più adorando vitelli d'oro o presunto oro come tutti i presidenti regionali degli ultimi 20 anni, ma facendo rete fino a far emergere il marcio e il becero che tutti i partiti anche in questa campagna elettorale hanno espresso. Costringendo i partiti a ritornare all'antico modo di essere partito: con gli iscritti e le sezioni dentro le quali l'iscritto deve anche trovare aiuto e sostegno. Altrimenti da qui a poco - per come Renzi e Berlusconi stanno facendo con la riforma del sistema elettorale - non avrà più neanche senso andare a votare. Ed allora - se tanto avverrà - se il mio diritto costituzionale di scelta elettorale sarà definitivamente svilito dal gotha dei ricchi e dei potenti - veramente residuerà per gli italiani - anarchico insurrezionalisti o meno che siano - la via di scendere in Piazza per difendere la Democrazia e la Libertà che oggi sono ristrette, domani asfittiche e poco dopo soffocate e morte.

Tutto vero, senza dubbio. Politicamente la penso allo stesso modo e non mi sono spesa una virgola per questa campagna elettorale che non mi rappresenta, che non sento mia e che so non porterà alcun rinnovamento in Calabria. Condivido pienamente le sue preoccupazioni. Ma sono abituata a scindere perfettamente le opinioni personali dal lavoro, come dimostra anche l'articolo chiestomi da Franco sulla Leopolda. Da renziana avrei potuto trascrivere fedelmente i contenuti espressi da Renzi a mò di osanna, ma per me era impensabile farlo in un luogo che deve essere assolutamente scevro da qualsivoglia politicizzazione, come ho anche precisato nello stesso. Ho così preferito raccontare alla gente cosa può fare, invitandola a scegliere e a venire a vedere con i propri occhi. L'unica cosa che, per quanto mi riguarda, era corretto fare dalle pagine di un giornale.


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Celebrati con un francobollo emesso dalle Poste Italiane di Francesco Di Masi

100 anni di ECCELLENZA

della GIACINTO CALLIPO Conserve Alimentari SpA

I

mportante riconoscimento dedicato, presso l’elegante struttura ricettiva del Popilia Country Resort di Maierato (VV), Sabato 29 Novembre 2014, alla Giacinto Callipo Conserve Alimentari SpA dalle Poste Italiane, con l’emissione filatelica di un francobollo ordinario del valore di 0,80 centesimi di euro, realizzato dal bozzettista Luca Vangelli e stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. con una tiratura di ottocentomila esemplari, della serie “le eccellenze del sistema produttivo ed economico” autorizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico, per elogiare l'operosità di questa azienda che da oltre 100 anni è specializzata nella produzione e conservazione di tonno e di altre specialità ittiche di alta e pregiata qualità, fregiandosi di essere la prima azienda calabrese a ricevere, per quest'aria tematica, un così importante riconoscimento a livello locale e nazionale. Il Francobollo riproduce una foto d’epoca del 1957 che mostra la fase di cottura dei tranci di tonno nel vecchio stabilimento della Giacinto Callipo Conserve Alimentari di Pizzo Marina, in cui si intravedono, a sinistra, rispettivamente il figlio e il nipote del fondatore dell’azienda; in primo piano, in basso a sinistra, si staglia una scatola rappresentativa della produzione artigianale di tonno risalente agli anni ’70. Presenti a questo momento emozionante per l’azienda Callipo, oltre ad un qualificato pubblico, l’amministratore unico e Presidente dell’azienda Cav. del lavoro Filippo Callipo, il Procuratore della “Giacinto

Callipo” Conserve Alimentari S.p.A., Dr. Francesco Franco, il Prof. Andrea Lanza, docente di Strategie d’impresa alla Bocconi di Milano, qualificati esponenti delle Poste Italiane con Angelo Stasi Presidente per lo studio e l’elaborazione delle Carte-Valori Postali del Ministero dello Sviluppo Economico. L'incontro è stato coordinato magistralmente dal Giornalista Ugo Floro, un plauso va indirizzato alla Sig.ra Maria Teresa De Caria, pilastro della Callipo Group, che con signorile abilità ed eleganza ha organizzato con cura e nei minimi dettagli la sala del Resort per un’accoglienza consona al commemorativo incontro. Visibilmente emozionato per l’importante riconoscimento e sviluppando un pensiero sulla storia dell’azienda, frutto della sua collaborazione in seno alla famiglia e ai suoi antenati e all’esperienza maturata a fianco dei suoi collaboratori e dipendenti, con il cuore in mano e con semplici parole così si esprime il Presidente Filippo Callipo: ” E’ un riconoscimento per l'azienda, per tutti i lavoratori che hanno consentito alla Callipo di arrivare a questi livelli. Ma credo sia un riconoscimento verso tutta la Calabria e i calabresi. Anche in Calabria si può fare impresa, un'impresa che crea lavoro, occupazione e che è esposta anche al sociale. Ho toccato argomenti che toccano il cuore, parlando dei miei collaboratori che purtroppo oggi non ci sono più. Loro hanno contribuito alla mia educazione al lavoro, alla mia formazione. Pensando poi ai miei antenati, sono stato vicino a loro, osservavo, assorbivo, vedevo come si comportavano e cercavo, e cerco ancora oggi, di fare riferimento a loro. Mi auguro che adesso questo lo facciano i miei figli Giacinto e Filippo Maria. Nel futuro sarà importante tenere sempre in mente il rispetto del prossimo; oggi si chiama responsabilità sociale d'impresa, avere il massimo rispetto dei collaboratori, degli enti, dei clienti, dei fornitori e di tutto ciò che circonda l'azienda. Questo è il segreto della nostra azienda, che riempie di gioia e di orgoglio i miei collaboratori, me e la mia famiglia, soprattutto perché “qualifica” la nostra realtà tra le eccellenze del sistema produttivo ed economico, ringrazio il Ministero dello Sviluppo Economico e le Poste Italiane che con la commercializzazione e la diffusione di questo francobollo celebrativo ci ha riconosciuto una storia degna di essere raccontata per tutto il territorio Nazionale”. L'intervento del Procuratore Francesco Franco è stato improntato tutto sulla bontà del lavoro dall'azienda e sui risultati raggiunti dal Gruppo Callipo unitamente alle altre società da esso composto. Importante ruolo svolge lo sport con la Volley Tonno Callipo Vibo Valentia, società di pallavolo giallorossa che rappresentata dal Supervisore Generale Michele Ferraro e dal Direttore Sportivo Chico Prestinenzi cosi si esprimono: ”La gioia più immensa per l'ennesimo successo ottenuto dalle conserve Alimentari S.p.A. "Giacinto Callipo", main sponsor della Callipo Sport srl, alla quale ci onoriamo di appartenere. L'emissione di un francobollo commemorativo, dedicato alla società capofila del nostro Gruppo è un successo non soltanto per tutti noi, ma anche per la nostra amata Regione e sono molto contento, prosegue Ferraro, che Pippo Callipo abbia voluto condividerlo con tutti i componenti delle società appartenenti al Gruppo. Nonostante la grave crisi che attanaglia il paese la Conserve Alimentari S.p.A. "Giacinto Callipo", chiuderà l'anno con un fatturato maggiore del 2013 e penso che questa sia la notizia più bella; da parte nostra, cercheremo di contribuire anche quest'anno ai successi del gruppo, veicolando l'immagine di tutte le altre società in giro per l’Italia ”. A questo va aggiunto il mio augurio e della testata “Corriere della Piana” di cui faccio parte, unitamente esprimiamo vive felicitazioni per il traguardo raggiunto, che sia il punto di partenza per future e più importanti affermazioni per Filippo Callipo e per tutti i Gruppi che rappresenta, orgoglio e vanto per la Calabria e per l’Italia.


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POLISTENA: CITTA’ EDUCATIVA

SFIDA APERTA

Il grande bisogno della società è oggi offrire alle mamme e ai papà l’opportunità di riflettere, di fermarsi per interrogarsi…”. Con queste prime parole il 27 Ottobre Don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e presidente di Libera, ha inaugurato gli incontri del progetto “Scuola per Genitori” accolto ed avviato dalla Parrocchia S. Marina Vergine di Polistena, promotore dell’iniziativa il parroco Don Pino De Masi. Don Ciotti da il via all’iniziativa presso il Centro Polifunzionale Padre Pino Puglisi, in Via Catena a Polistena, in un immobile confiscato alla ‘ndrangheta. Con un discorso chiaro e completo, introduce e presenta il progetto, accennando con scorrevolezza ad ogni singolo tema dei successivi incontri che animeranno il percorso. La “Scuola per Genitori” e rivolta particolarmente a genitori con figli pre-adolescenti e adolescenti, età di forte crisi per i ragazzi e la famiglia. Età piena di forti dubbi, ma i dubbi sono più sani delle certezze, dice Don Ciotti, se propendono alla crescita e all’educazione di individui e società. Guai ad una Comunità che non investe in educazione e non si apre quindi al futuro! Educare è relazione, empatia, racconto. Unità di misura dei rapporti umani è la relazione. Il relazionarsi con gli altri, con i giovani, con i figli è principalmente il modo per gli adulti di guardarsi dentro e chiedersi se realmente si è capaci di educare. Ognuno di noi è chiamato ad educarsi, ad assumersi la responsabilità di educarci ed educare. Non esiste educazione neutrale, ognuno porta il suo vissuto e da qui parte una delle affermazioni di base di Don Ciotti: “I problemi si affrontano, le persone si incontrano”. Don Ciotti sottolinea nel suo discorso, l’importanza delle ”5 F”: FIGLI, FRAGILITA’, FORZA, FRUSTRAZIONE, FELICITA’. I figli sono persone, non sono proiezione dei nostri desideri, bisogna accettarli per quello che sono, ma saper distinguere tra ciò che fanno e ciò che sono. La fragilità è insita nell’essere umano, con i suoi pregi ed i suoi limiti; il disagio del “vorrei, ma non posso”, non va vissuto come negatività, ma può rappresentare la spinta al cambiamento. La forza sta nel proporre ai nostri figli

di Veronica Iannello

l’emotività, essa fa parte del nostro percorso per crescere insieme alle nostre emozioni. I no di un genitore vanno accompagnati da una spiegazione, non si deve temere la sofferenza di un figlio di fronte ad un no, è la frustrazione del principio del piacere, ma le frustrazioni hanno anche una loro positività: le REGOLE, attenti alle età e alle situazioni sono parte integrante dell’educazione. La felicità non deve esser considerata come una linea continua, ma uno stato permanente della vita, perché educare è aiutare l’altro a tirare fuori il meglio di sé, le cose belle che ha dentro. A tal riguardo è necessario un PATTO EDUCATIVO, perché ”i genitori possono regalare ai propri figli solo due cose: radici ed ali”, così come recita un famoso proverbio del Quebec. I genitori hanno 4 compiti: educare a pensare; educare a soffrire; educare alle regole, come senso di appartenenza alla famiglia; educare ad amare, perché l’affettività è amore che fa crescere. La disponibilità affettiva, l’ascolto mentale ed emotivo, il tempo da dedicare sono alla base di un buon piano educativo, ma soprattutto il porsi in silenzio di fronte all’altro, cioè far spazio al silenzio nel proprio io per ascoltare l’altro. Padre Pino Puglisi evidenziava l’importanza dell’ascolto e del comportamento più che le parole, per “accompagnare gli altri a scoprire la propria diversità”, senza pressioni o condizionamenti. Ancora meglio se si incarna la dimensione educativa nell’oggi: “ Io in funzione della vita, non il contrario”. Educare è un prezioso sismografo, che evidenzia i cambiamenti sociali. Non si può rispondere come ieri ai cambiamenti di oggi, fermo restando il non cambiare dei Valori, immutati nel tempo. Quindi buone pratiche ed esempi concreti alla base dell’educazione oggi. Il manuale concreto per una vera educazione è la Costituzione, in cui si evince la corresponsabilità di ogni cittadino, base per una crescita educativa della società. Presenti all’incontro numerosi genitori e persone provenienti anche dai paesi vicini a Polistena. Don Pino De Masi ha ricordato la figura del preside Luigi Marafioti, al quale verrà dedicata una sala della struttura, uomo di grande impegno educativo, uno dei primi promotori del “dar vita ad un luogo di non vita”. Presente il Ministro degli Affari Regionali, Maria Carmela Lanzetta, che pur senza invito ha voluto esser presente all’incontro aperto a tutti, anche per dimostrare a Don Ciotti piena collaborazione lavorativa. Al termine dell’incontro si è aperto il dibattito su “rapporto educazione - società”, come formazione continua e forte delle coscienze contro la cultura mafiosa. Il calendario degli incontri mensili è stato consegnato ai presenti, gli incontri ospiteranno esperti nel campo dell’educazione familiare e giovanile. Il centro polifunzionale è una realtà di grande spessore per la città di Polistena, grazie anche all’impegno costante di Don Pino De Masi, e questo nuovo percorso educativo contribuisce alla creazione di una profonda coscienza delle potenzialità formative di questo piccolo/grande centro della Piana di Gioia Tauro, insomma una sfida aperta!


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del Gen. Angiolo Pellegrini

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l 12 Marzo 1909, alcuni colpi di pistola risuonano a Palermo nella zona del giardino Garibaldi. Due proiettili colpiscono a morte il tenente Petrosino che viene subito soccorso da un passante. Quest’ultimo riferirà di aver visto tre uomini fuggire in direzione di palazzo Partanna. L’Ufficiale italoamericano aveva lasciato il suo alloggio all’hotel De France di Palermo verso le ore 20.00 e si era recato a cena al Caffè Oreto. Pagato il conto era uscito, costeggiando il giardino Garibaldi dove viene teso l’agguato. Dopo pochi minuti giungono sul posto vari funzionari di Polizia. La piazza, proprio in quel momento, piomba nel buio più assoluto, per l’interruzione dell’erogazione della luce e del gas. Al lume di candele, si procede al sopralluogo, il Tenente Petrosino ha gli occhi sbarrati, il volto denota un’espressione di rabbia e di impotenza, indossa un soprabito grigio sopra un completo nero, sulla testa una bombetta, al collo una cravatta di seta marrone, scarpe nere e porta il parapioggia. Le carte da visita portano scritto: “Giuseppe Petrosino Luogotenente di Polizia - città di New York U.S.A”. Il distintivo americano porta il numero 285. Si sente urlare «è Petrosino, è proprio Joe Petrosino, il poliziotto che arresta quelli della mano nera». Su un taccuino tanti nomi di pregiudicati, l’ultimo quello di Vito Cascioferro. Petrosino era nato a Padula, in provincia di Salerno, il 30 Agosto 1860, ed era emigrato in America al seguito del padre Prospero, sarto e di altri tre fratelli. A New York la famiglia va a vivere in un quartiere densamente popolato da italiani e Giuseppe inizia ad arrangiarsi facendo il lustrascarpe, lo strillone e il netturbino. Per migliorare la propria situazione, frequenta una scuola serale d’inglese e, così, americanizza il suo nome in “Joe”. Ottenuta la cittadinanza americana nel 1883, approda all’arruolamento in polizia nel XXIII Distretto, trovandosi ben presto a fare i conti con le gang che fanno da padroni a Little Italy. L’agente, di madrelingua italiana, diviene prezioso elemento per contrastare le bande criminali all’interno della comunità. Gli emigranti, in Patria, sono spesso vittime delle cosche e l’espatrio è un traffico molto redditizio per loro, poi, negli Stati Uniti, i clan gestiscono lo smistamento ed il collocamento al lavoro, imponendo il pagamento di tangenti sui guadagni e il pizzo agli esercizi commerciali. Di fronte al dilagare della criminalità, la polizia ingaggia una lotta durissima contro la malavita ed i primi risultati vengono proprio grazie al prezioso lavoro di Petrosino. Joe ha le idee chiare, promuove nuovi metodi investigativi, quali, la schedatura, il travestimento, una rete d’informatori. L’abilità di Petrosino sta soprattutto nel saper evidenziare che i singoli episodi criminali non sono fatti isolati, ma conducono ad un’unica associazione segreta “La mano nera”. Una svolta determinante si ha nel 1903 quando, a seguito di indagini su un omicidio, Petrosino procede all’arresto di

DELITTI FAMOSI JOE PETROSINO Per non dimenticare vari mafiosi. Le successive condanne fanno ritenere che la banda criminale sia stata definitivamente sgominata ma il mafioso più pericoloso Vito Cascioferro, approfittando del rilascio su cauzione, riesce a fuggire in Sicilia. Lo stesso Presidente Theodore Roosevelt, promuove nel 1905 Petrosino al grado di Tenente e gli affida il Dipartimento, Italian Branch, appena costituito. Al comando di questo reparto, Petrosino, conduce una guerra spietata contro la criminalità registrando, in poco tempo, 2.500 arresti e 500 espulsioni, ma si convince sempre di più che sia necessario un intervento in Italia per colpire alla fonte il continuo afflusso di mafiosi a New York. Il capo della Polizia di New York, autorizza allora Petrosino a recarsi segretamente in Italia, soprattutto per stroncare i collegamenti di Vito Cascioferro con la mafia e con certa politica che continua ad assicurargli l’impunità. Il 9 Febbraio Petrosino s’imbarca per l’Italia per acquisire prove sui legami tra la mafia siciliana e quella di New York e, soprattutto, per dimostrare il legame tra mafia e politica; ma la segretezza della missione dura poco, ormai Petrosino opera allo scoperto e Cascioferro, pericolosissimo avversario, ha già ordinato la sua eliminazione a due sicari che si sono già messi in viaggio da New York per raggiungere la Sicilia. Petrosino si mette all’opera, ma mentre presso il Tribunale di Palermo le cartelle dei criminali indagati risultano vuote, a Caltanissetta riesce a trovare preziose informazioni sui pregiudicati di mafia ed i riscontri sul fatto che i mafiosi godono della protezione nei palazzi del potere. Rientrato da Caltanissetta a Palermo quella sera stessa viene ucciso. La polizia compie decine di arresti e individua anche il responsabile materiale dell’omicidio. I magistrati di Palermo spiccarono mandato di cattura, tra gli altri, per Antonino Passananti, Carlo Costantino e Vito Cascioferro. Don Vito chiede ed ottenne una cella a pagamento ed anche l’autorizzazione di farsi inviare i pasti da un vicino ristorante. A breve, su cauzione verrà scarcerato anche perché un deputato suo amico testimonierà d’aver cenato insieme a

lui quel 12 Marzo 1909 a Bivona, a 100 km. da Palermo. La Corte d’Appello del Tribunale di Palermo prosciolse poi, per insufficienza di prove, tutti coloro che erano stati arrestati per l’omicidio dell’investigatore, compreso Paolo Palazzotto, ritenuto l’autore materiale del delitto. Cascioferro verrà di nuovo arrestato dal Prefetto Mori e, ironia della sorte, morirà di fame e di sete in cella, perché “dimenticato” all’interno del carcere, evacuato dopo un bombardamento. Si fecero varie ipotesi sul movente dell’omicidio di Petrosino: il tenente venne ucciso da Paolo Palazzotto che intendeva vendicarsi per il rude trattamento ricevuto in America e per l’espulsione dagli U.S.A., ovvero che a volere la sua morte sia stata la mafia, per impedirgli di portare a termine il suo progetto, sbarrare New York ai mafiosi siciliani ed ancora che Petrosino possa essere stato ucciso su commissione della Mano Nera, per via della documentazione che l’investigatore stava raccogliendo per espellere molti affiliati dagli Stati Uniti. La Corte d’Appello del Tribunale di Palermo, comunque, prosciolse per insufficienza di prove Costantino Passananti e Cascioferro, ed, insieme a loro, anche Paolo Palazzotto e tutti gli altri che erano stati arrestati per l’omicidio dell’investigatore. Dopo oltre cento anni, nel corso di un’intercettazione ambientale è stata registrata una frase di Domenico Palazzotto, pronipote di Paolo Palazzotto, che, vantandosi delle tradizioni mafiose centenarie della sua famiglia, afferma: «Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo, lo ha ammazzato lui a Petrosino, per conto di Vito Cascioferro». Petrosino, il leggendario Joe, il più famoso poliziotto d’America, è stato uno dei primi servitori dello Stato ucciso dalla criminalità organizzata e rappresenta, insieme a tutti loro, il simbolo della lotta alla mafia sino all’estremo sacrificio. Nella casa natale di Petrosino, a Padula, è stato allestito un museo dove, tra i tanti cimeli conservati, c’è anche la divisa del poliziotto italo - americano.


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Dopo l’ennesima tragedia sulla Jonio Tirreno

Dio è mor to !

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a superstrada Jonio Tirreno ancora una volta, in una domenica d’autunno fosca e piovosa ha mietuto vite umane: 6 persone, 4 su una Mini diretta a Rosarno e due su una Peugot che proveniva dal senso opposto di marcia, improvvisamente sono passate dalla vita alla morte, dalla dimensione terrena a quella ultraterrena. L’imprudenza innanzitutto, in considerazione che la Mini certamente aveva superato non tanto il limite di velocità imposto dal tipo di strada, ma quello, di gran lunga superiore imposto dal buon senso. Ciò se è vera la velocità stimata come prossima o superiore ai 200Km orari. Dare la colpa di questa tragedia al solo autista della vettura investitrice è riduttivo. La Jonio Tirreno, arteria ormai datata per epoca di costruzione e concezione del tracciato è un nastro d’asfalto senza corsia d’emergenza e senza muretti spartitraffico New Jersey, che si caratterizza per due lunghissime discese alle due uscite della galleria che attraversa il Monte Limina e nelle quali le vetture aumentano, a causa della pendenza, la loro velocità. Il problema della messa in sicurezza della Jonio Tirreno non è assolutamente facile. Su questa strada non si muore solo di velocità. Basta un colpo di sonno per morire schiacciati a fondo valle dopo essere precipitati da uno dei tanti viadotti. Basta un grandinata o una forte pioggia di nevischio per innescare incidenti per le vetture che ignare di quanto le attende - escono dalle due gallerie talvolta passando dall’asfalto asciutto del tunnel a quello ricoperto di grandine solidificata all’esterno. Quando venne costruita, la strada rispon-

di Adamo de Ducy

deva ad esigenze di un traffico veicolare inferiore e più lento. L’obiettivo era quello di allontanare il transito dei camion dalla strada che, da Cittanova saliva oltre lo Zomaro per raggiungere poi la Locride. Il tracciato inziale della arteria alternativa - che ancora non era l’attuale Jonio Tirreno - avrebbe dovuto essere diverso. Passare da Cittanova verso Terranova e Molochio e quindi raggiungere la Locride da altro lato. Come sempre la politica e i politicanti calabresi - specie in quegli anni legati al campanile - iniziarono a operare “politicamente”, e così il primo e più sensato progetto fu varato nell’opera elefantica che ha portato all’attuale Jonio Tirreno con costi imprevisti ed esorbitanti e prolungamento dei tempi di costruzione legati soprattutto alla realizzazione della galleria. Il tunnel, lungo oltre 4 Km e che alla fine degli anni’80 poteva apparire (ma solo a queste latitudini) avveniristico è oggi un tunnel di obsoleta concezione, anch’esso senza spazi di fuga ad eccezione di qualche piazzola di sosta e con la costante di evidenti infiltrazioni di acque sotterranee. Un vero fiume che venne scoperto in corso d’opera e che costò studi, interventi e soluzioni straordinarie per contenerlo. Fino a quando? La galleria, a secondo voci meritevoli di verifica, alla lunga potrebbe divenire non sicura o crollare per l’azione erosiva delle acque. Ma a parte questa che appare obiettivamente emergenza remota o di lungo periodo, è necessario mettere in sicurezza la Jonio Tirreno non tanto ponendo gli autovelox, che sono del tutto inutili, ma in determinati punti separando le due carreggiate con i muretti New Yersey al fine di canalizzare - riducendone la velocità - i veicoli in transito laddove il tracciato curvi in discesa e rende la stabilità delle vetture incerta. Oltre a ciò in quasi tutti i viadotti andrebbero alzate le battagliole laterali per consentire che in caso di urto laterale il veicolo sia trattenuto e non precipiti ai piedi dei viadotti. L’asfalto, poi dovrebbe essere in toto rifatto utilizzando quello di tipo drenante che filtra l’acqua e non consente che lo stesso diventi improvvisamente viscido e scivoloso. In molte regioni dell’Europa esistono anche sistemi di riscaldamento dell’asfalto ( pensate ai lunotti termici) che favoriscono lo scioglimento del ghiaccio e della neve. Sulla Jonio Tirreno invece l’ANAS è rimasto ancora ai sacchi di sale poggiati a intervalli regolari su guardrails. Inoltre autorevoli voci della più moderna ingegneria suggerisco il prolungamento con strutture leggere e trasparenti delle uscite delle gallerie. Ciò al fine di consentire agli autisti di dover passare d’improvviso e senza preavviso da un fondo asciutto ad uno ghiacciato. Gli interventi sono tanti ma - in questa Italia dove alla fine l’unica figura veramente rappresentativa di una classa di governo potrebbe essere solo Roberto Benigni nelle vesti del celebre Johnny Stecchino - è pretendere troppo. Non ci sono i soldi. Non c’è la voglia. E, in fondo, perché non limitarci a riempire la strada di soli autovelox: costano poco e consentono a questo stato ladrone di far cassetta. Il fatto che si continui a morire per i burocrati e i boiardi di stato è solo una variabile. Monta la rabbia. E riecheggia una vecchia canzone oggi riproposta dalla Nannini: “Dio è morto” Si, Dio è morto. Anche sulla Jonio –Tirreno Dio è morto come anche davanti agli sportelli di Equitalia Dio è Morto,nelle banche calabresi Dio è morto; nei campi d’agrumi calabresi Dio è Morto; nelle tendopoli di Rosarno Dio è Morto e certamente pure – senza tema d’errore - a Palazzo Campanella Dio è Morto....Ovunque c'è mafia, Dio è Morto!


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E’ ora di finirla!!!! di Filomena Scarpati

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e forze sociali ed istituzionali che intervengono assieme ad una popolazione stanca di subire ad un importante appuntamento per manifestare disapprovazione e sdegno, pongono i presupposti affinché le violenze cessino. L’unione costituisce un baluardo di forza contro ogni forma d’illegalità. I tempi in cui individui e istituzioni mantenevano il silenzio su violenze ai danni di onesti cittadini, sono finiti. Il contrasto, poi, ad accadimenti spiacevoli subiti da seri professionisti che svolgono un servizio a beneficio della collettività, è ancora maggiore. Di questo nuovo modo di sentire e manifestare la solidarietà si è fatto portavoce Domenico Solano di Cittadinanza attiva che ha proposto un incontro con la Procura della Repubblica affinché un fatto del genere non rimanga impunito. I malviventi, che hanno perpetrato un atto di pestaggio così vile ai danni dell’architetto Luciano Macrì, mentre rientrava a casa dopo la prestazione del suo servizio in qualità di responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Oppido Mamertina, dovranno essere assicurati alla giustizia. L’intervento incisivo di Solano è avvenuto durante la manifestazione di solidarietà al danneggiato, organizzata dall’Amministrazione Comunale di Oppido Mamertina guidata dal Sindaco Domenico Giannetta. L’assemblea popolare, aperta a tutta la cittadinanza, si è tenuta presso la sala consiliare del locale palazzo municipale. Alla manifestazione hanno preso parte oltre al primo cittadino, il suo Vice Vincenzo Barca, la Presidente del Consiglio Comunale Margherita Mazzeo, gli Assessori Elisabetta Scerra, Eleonora Bellantonio e il Capogruppo dell’opposi-

Una manifestazione di solidarietà dopo il pestaggio subito da Luciano Macrì

zione Bruno Barillaro. Gli interventi carichi di sdegno verso un atto di violenza, hanno espresso indistintamente solidarietà massima e sostegno all’architetto Luciano Macrì, con l’augurio di una pronta guarigione e la ripresa delle sue attività professionali nel più breve tempo possibile. Quasi tutti presenti i Sindaci e gli ex Sindaci del comprensorio e numerosi Amministratori Comunali. Il Sindaco Giannetta nel suo intervento ha tenuto a precisare che appena eletti, hanno lavorato subito all’istituzione di una nuova delega alla legalità affidata all’Assessore Elisa Scerra, affinché Oppido diventi una cittadina che viva solo ed esclusivamente all’insegna del rispetto di regole e norme che stanno alla base di ogni vivere civile e società evoluta o che tende a progredire. Tracciare dei percorsi attraverso i quali ciascuno possa ricevere quegli impulsi necessari a manifestare la propria disapprovazione per ogni gesto di repressione o imposizione della propria volontà sulla libertà altrui, è l’obiettivo naturale di chiunque nella veste di amministratore voglia assicurare la sicurezza ai propri cittadini. Il sostegno che si è voluto dare all’architetto Macrì che ha subito il pestaggio, attraverso l’assemblea popolare, ha registrato un’alta partecipazione oltre che da parte delle autorità intervenute da altri paesi della Piana, dalla cittadinanza e dal Comandante della locale Stazione dei Carabinieri Maresciallo Andrea Marino, al quale, appena qualche settimana fa, era stato assegnato e consegnato a Pescara il premio Borsellino. Dopo gli interventi si è aperto un proficuo dibattito da parte del numeroso pubblico presente in sala, che ha voluto manifestare la propria solidarietà al danneggiato esprimendo disapprovazione per l’accaduto e la disponibilità a continua-

re a manifestare contro gli obbrobriosi atti di violenza, attivando proteste, prendendo coscienza di situazioni che rendono invivibile il nostro territorio e trovare misure atte a contrastarle impegnandosi al massimo delle proprie forze, affinché prevalga la cultura della legalità su quella della violenza perpetrata dalla ‘ndrangheta che impedisce il normale vivere civile e la crescita morale e socio-economica del nostro territorio. Una presa di coscienza generale, nuova, che detesta ogni forma di violenza superando la cultura del silenzio e della paura, taglia i ponti con il vecchio e apre le porte ad una ventata di legalità, oltre che vissuta in modi più appropriati, condivisa, propagandata, fatta penetrare nelle coscienze,che porrà le basi per quel tanto atteso progresso economico che si attende da tempi remoti. La consapevolezza, ormai, che solo opponendosi a tutto ciò che non è sano per il nostro territorio, compresa una mentalità chiusa e legata a vecchi schemi che farebbe proliferare solo il maligno, aiuterà la nostra regione a non essere più fanalino di coda, ma protagonista di uno sviluppo socio economico e culturale che ci consentirà di occupare un posto di riguardo in Europa. Niente può abbattere o fermare la volontà di un popolo stanco che dice basta e, accanto alle Forze dell’ordine e alla Magistratura, combatterà per liberarsi da questo cancro sociale, con la volontà di costruire una società nuova a misura non di animali feroci sbrigliati, ma di gente seria, laboriosa, onesta, colta, che si identifica nella “gente vera di Calabria”. Chi da anni si occupa di tendenze sociali, le osserva e le studia, ha abbastanza elementi per capire che la ‘ndrangheta e il fare o intendere ‘ndranghetista hanno vita breve.


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Stanchezza, disperazione e speranza sul volto dei migranti in fuga dalla guerra e dalla fame su un barcone.

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onostante i tanti e gravi problemi che affliggono la nostra regione, esistono altrettante piccole realtà che quotidianamente s’impegnano per poter dare un aiuto ed una speranza a persone che a causa di guerre, persecuzioni e fame, hanno perso tutto. Ed aiutando loro aiutano noi a ricordarci quelli che comunemente (e anche un pò banalmente) riconosciamo come nostri valori di società civile occidentale e in molta parte anche cristiana. L’associazione Nuvola Rossa, insieme all’ARCI di Villa S.Giovanni, gestisce un piccolo centro di accoglienza per rifugiati politici e richiedenti asilo. Attualmente ne ospita 27, in maggioranza nord-africani in fuga dalle precedenti rivoluzione che hanno interessato quella parte del continente, le così dette “primavere arabe” ma anche somali ed eritrei. Incontro Ruggero Marra, uno dei responsabili del centro, e per prima cosa ci tiene a sfatare quello che ormai sembra essere diventato un mito, cavalcato ad arte ultimamente per fini elettorali: i 35 euro all’immigrato. Ci tiene a precisare che quei soldi non vengono dati a tutti gli immigrati in Italia, come il messaggio di alcuni voleva sembrare far capire, ma solo ed esclusivamente, appunto, ai rifugiati politici. In quei 35 euro, oltre ai costi per la manutenzione del centro, ci sono quelli per i vari corsi di formazione indispensabili per una buona integrazione, e alla fine solamente 1,50 o 2,50 vanno per così dire al rifugiato. Ci tiene a precisarlo anche perché gli echi degli scontri avvenuti a Roma nel quartiere di Tor Sapienza si sono incominciati a sentire anche qui a Villa S. Giovanni, fortunatamente non in quelle forme violente, ma attraverso le solite accuse come quella di rubare posti di lavoro agli italiani o attribuendo determinati comportamenti criminali a intere etnie, quindi colpevoli non per quello che fanno ma per ciò che sono. C’e da chiedersi

E’ solo una questione economica…?

di F. C.

quanto tempo possa passare prima che in una regione come la Calabria, che vive essa stessa le condizioni di quella che potrebbe definirsi quasi come un’immensa periferia, si facciano vive manifestazioni quantomeno simili a quelle viste a Roma. Forse a fare da argine c’è ancora tutta la nostra storia di popolo di migranti che ha vissuto sulla propria pelle vere e proprie discriminazioni. Fanno ancora parte del nostro passato recente le scritte “Non si affitta ai meridionali “, e ancora oggi ogni tanto rispuntano fuori. Ma allo stesso tempo viviamo la condizione del cittadino di periferia, con tutto il degrado, l’abbandono e la violenza che ne derivano. E questo ci aiuta anche a non dare facili patenti di razzismo. I centri di accoglienza inseriti nel contesto calabrese possono assumere caratteristiche peculiari, in quanto conosciamo entrambe quelle condizioni umane, e prendendo sempre come esempio gli scontri di Tor Sapienza noi siamo sia gli aggressori (in quanto cittadini di periferia) ed allo stesso tempo gli aggrediti (in quanto popolo che è stato oggetto di discriminazione). L’unico rischio è che tutto sfoci e si confonda in una guerra tra poveri. E, anziché andare alla ricerca delle cause dei nostri veri e reali disagi, ci limitiamo a scaricare tutto su gli ultimi, anzi, gli ultimi degli ultimi, provenienti da un sud ancora più sud del nostro. Forse la difesa di queste persone e l’attenzione in generale verso gli ultimi, gli emarginati, i discriminati, non può essere subordinata ad una questione economica, né tantomeno confusa col buonismo o con una politica migratoria del tutti dentro, ma riguarda innanzitutto noi come società, riguarda quello che siamo oggi e quello che in futuro vorremmo essere. Non averlo fatto, non aver riconosciuto l’altro come prossimo nostro, non essere stati dalla parte degli ultimi, dei più deboli, degli emarginati, a volte nella storia ci ha fatto ritrovare dalla parte sbagliata.


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Il Vescovo di Oppido Mamertina Mons. Giuseppe Maria Perrimezzi (1670-1740) e San Nicola Saggio da Longobardi (1650-1709) di Don Letterio Festa

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omenica 23 Novembre 2014, Solennità di Cristo Re, Sua Santità Papa Francesco ha canonizzato un figlio di San Francesco di Paola: Nicola Saggio da Longobardi. L’umile portinaio minimo, ora coronato con la dorata aureola della Santità, ebbe come suo primo biografo un antico Vescovo di Oppido Mamertina, Mons. Giuseppe Maria Perrimezzi. Quest’ultimo, anch’egli membro della famiglia religiosa del Santo Paolano, è stato anche lo scrupoloso ed attento autore di un’apprezzata biografia di San Francesco, data alle stampe a Napoli sempre nel 1713. Il Perrimezzi era nato anch’egli a Paola il 17 Dicembre 1670. Dopo aver studiato dai Gesuiti, entrò nell’Ordine dei Minimi, distinguendosi per virtù e applicazione allo studio. Fu Direttore del Convitto della sua Città natale e Correttore

provinciale. Dotato di buon eloquio, predicò nella Basilica Lateranense e nella Cattedrale di Napoli. Nel 1707 fu eletto Vescovo di Ravello e Scala e quindi, nel 1714, fu trasferito alla Sede vescovile di Oppido Mamertina. Nel corso del suo lungo ministero, pubblicò oltre sessanta opere, trattando di varie materie teologiche, storiche e pastorali. Il testo «De la vita di Fra Niccolò di Longobardi», fu pubblicato dal Vescovo minimo a Roma, nel 1713, per i tipi di «Gaetano Zenobi Stampatore e Intagliatore di Sua Santità» e dedicato al «Santissimo Patriarca», Patrono della terra di Calabria e della gente di mare, di cui il Fratello oblato di Longobardi fu «fedelissimo seguace e perfettissimo imitatore». Mons. Perrimezzi conobbe personalmente fra Nicola, poiché condivise con lui la vita religiosa prima nel Convento minimo di Paola e poi in quello di Roma. In questo tempo, gli fu facile «osservarne le operazioni e ammirarne le virtù». Inoltre, per compiere la sua preziosa opera agiografica, il Presule non mancò di interpellare altri Religiosi, ancora viventi al suo tempo, che conobbero il Santo «per ritrarre da essi quelle notizie de la sua vita, che dar non ci poteano le nostre stesse pupille», com’egli scrive nella premessa che apre il testo biografico. Due anni trascorsero insieme Padre Giuseppe Maria e Fra Nicola nel Convento di Paola, ed altri otto li condivisero nel Collegio dei Padri minimi calabresi della Provincia di san Francesco di Paola a Roma. Spinto dall’evangelica testimonianza del frate converso sperimentata in quegli anni e in quei luoghi, animato dalla riconoscenza per il suo Ordine e dall’amore per i buoni Padri conosciuti in quei frangenti, mons. Perrimezzi scrisse il suo testo per tramandare ai posteri la memoria di quei volti e di quelle virtù. Sicuro che «gli esempi domestici e di più anche quei che di molto a noi son vicini, an gran forza ne’ nostri affetti, per far sì che ci risolviam da vero ad imitarli», il Vescovo minimo prese in mano la penna per tratteggiare le virtù di fra Nicola Saggio e offrirle all’ammirazione e imitazione dei buoni. Il testo è diviso in quattro libri. Nel primo, mons. Perrimezzi descrive la terra in cui Nicola visse; i suoi genitori; gli eventi significativi legati alla sua nascita e alla sua infanzia; il suo ingresso nell’Ordine e i primi anni di ministero in vari Conventi calabresi. Quindi passa a descrivere i fatti accaduti a Roma prima e dopo il suo breve ritorno in Calabria e conclude narrando gli episodi legati al suo pio transito. Nel secondo libro, il nostro autore si sofferma sullo spirito di preghiera del novello Santo calabrese, sulle sue estasi e penitenze; sui doni e le grazie; sulle illusioni del demonio e sulle conversioni di peccatori che segnarono la sua esistenza. Il terzo libro, invece, tratta delle virtù che hanno sostenuto la testimonianza evangelica dell’umile frate di Longobardi: l’umiltà; l’obbedienza; la pazienza; la purezza; la povertà; lo spirito di penitenza; la devozione; la perseveranza per poi concludere con una bella descrizione della sua indole, delle sue maniere e delle sue fattezze. L’ultimo libro, il quarto, è dedicato agli «avvenimenti maravagliosi» e alle «soprannaturali cose» che hanno sigillato la santità di Fra Nicola Saggio da Longobardi. Nel ricordo di questi due grandi frati minimi, ci piace concludere questa breve riflessione storica con le stesse parole del Perrimezzi: «Apprendiamo dunque noi tutti, che la Santità non istà legata né a tempi, né a luoghi, né a persone. Anche né giorni nostri vissero nel mondo, ed an convivuto con noi medesimi, negli stessi luoghi, in cui noi vivemmo, Anime sì care a Dio. E di più furono essi uomini, non ricchi di naturali talenti, non provveduti di saper profondo, ma poveri idioti, conversi di professione, ignoranti di dottrina; eppur arrivar poterono a piacer tanto a Dio, quanto ciascun che legge potrà in queste carte ammirarlo. Dunque possiam farlo anche noi, se vorremo; dacchè Iddio la sua grazia non la niega a chichesia, vivendo inoltre nelle medesime case, e ne’ medesimi tempi, in cui quegli visse; e vestendo ancora le stesse sue lane, che è quanto dire portando non diversa obbligazione a farlo, e avendo pari comodità a poterlo fare. Vivete felici».



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La devozione Mariana dell’Abate Marino di Filippo Marino

La Madonna del Rosario

Respice stellam, voca Mariam!” l’insegnamento di Bernardo di Chiaravalle è sempre presente nei moniti di don Valentino perché la presenza della Madre Celeste sempre lo confortò in ogni attimo della sua esistenza. Egli conobbe Maria nella molteplicità dei suoi “titoli” che per ogni cristiano dovrebbero essere fonte di gioia, di discernimento, di vita. Andando a ritroso nel corso di sua vita ne incontreremo quattro la cui esegesi non solo adempie un dovere di riconsiderazione morale ma postula di fatto e di diritto la comprensione della sua spiritualità eminentemente mariana. L’IMMACOLATA è il titolo mariano più squisitamente “singolare” che la Vergine possiede: glie’ha conferito il popolo siglandolo con il pronunciamento di PIO IX l’8 dicembre 1854. E’ titolo lourdiano per eccellenza quello che proprio il dogma ti incita ad amare, ad approfondire e a gioire. E’ il titolo che tu costruisci e che forse tieni per te, è il titolo che l’amato canonico ha voluto per il suo Futuro Celeste, Egli che ha amato tanto l’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Quello del CARMELO, poi, costituisce una prerogativa d’eccellenza per chi ama Maria. Forse per questo una singolare, pietosa provvidenzialità lo fece scendere dallo Spirito Santo fin verso la Chiesa del Carmine a metà Sedicina 1894 non solo per rendere omaggio alle mura trasudate del Tempio o alla prodigiosa Statua che apriva e chiudeva gli occhi ma, anche e soprattutto, al popolo gemente ed attonito ma fedele davanti alle

scosse telluriche che vieppiù si ripetevano, fino al tremendo boato dell’Arangiara la sera del 16 novembre. La gioia dell’esser di Maria si manifestò nel Marino allorquando la comprensione della Sacra Bibbia – egli la studiava dottamente in latino e in italiano e così faceva con i suoi giovani allo Spirito Santo – lo costrinse a svelare l’amore della MADRE DI TUTTE LE GRAZIE per sé, per i suoi, per gli altri. E’ stato un titolo che si trovò largamente impresso nel suo cuore e nella sua mente proprio dall’Origo Omnium Gratiarum: l’Eucaristia data e ricevuta una miriade di volte con l’abbondanza di quei Tesori Celesti ai quali Egli non sapeva rinunciare perché appartenenti a quella morale di uomo, di cristiano e di sacerdote tanto cari al suo essere nel territorio. E per finire non dimentichiamo quello del SANTO ROSARIO, il titolo che Egli amò sin da piccoletto perché la Santa Vergine così onorata e venerata (soprattutto dai Domenicani) è la Protettrice di Soriano Calabro, sua città natale, che Egli ricorderà sempre anche a Palmi dove ebbe assegnata dal Vescovo Mincione proprio quella parrocchia del Rosario in Viale delle Rimembranze. Il Rosario, quella “catena dolce che ci rannoda a Dio” tanto cara a Bartolo Longo non escluderebbe rapporti epistolari tra i due entrambi “amici di penna” proprio nel focoso e indomito ossequio alla Vergine che sia nella “felix Campania” quanto nell’ “optima Palma” è e resta pur sempre CORDIUM REGINA. Solo in questa luce mariana si possono razionalmente spiegare certe trovate del nostro antecessore Canonico, come per esempio quella di “fare un presepio in ciascuna stanza” che gli conferisce non già il premio per la sua bizzarria ma getta luce sulla sua spiritualità cristologica, ecclesiologica e fortemente mariana di tutto il suo essere, fisico e spirituale, votato interamente alla Vergine Madre.

AICol

ENTel

ALS

FEDER.Agri

CAA

Federazione Pensionati M.C.L.

CAF

PATRONATO SIAS

CEFA Ong

SNAP

Centro Europeo di Formazione Agraria

Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati

EFAL

Gioia Tauro Via Roma Palazzo ex UPIM Taurianova Via Benedetto Croce, 2

Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori

Associazione Lavoratori Stranieri

Centro Assistenza Agricola

Centro Assistenza Fiscale

Ente Formazione Addestramento Lavoratori

Ente Nazionale Tempo Libero

Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura

Servizio Italiano Assistenza Sociale


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Convegno diocesano a Rizziconi

di Emma Ugolini

L

’auditorium diocesano “Casa di Nazareth” a Rizziconi , ha ospitato l’8 e il 9 novembre scorsi l’importante convegno “ Il Fulgore della Verità” voluto da Mons. Milito e al quale dopo l’introduzione e il saluto del presule, hanno offerto i loro contributi importanti relatori. Mons. Ignazio Sanna ha dissertato sul tema Cammini di verità. Il dato dal quale dobbiamo partire - ha detto Mons. Sanna è la constatazione che la società nella quale viviamo è pluralista e presenta una molteplicità di convinzioni, di fedi, di progetti economici e sociali, di opzioni etiche. Non esiste più un fronte monolitico di valori e di comportamenti, ossia un monismo etico, religioso, sociale e politico. L’uomo, dotato di intelligenza

e di libertà, è in continua ricerca delle vie più adatte per realizzare il suo progetto di esistenza, per migliorare le sue condizioni di vita, per sentirsi sempre più a casa sua nell’universo creato. San Paolo, nel suo discorso all’Areopago di Atene, ha descritto molto chiaramente

IL FULGORE DELLA VERITA’

questa dimensione umana: “da un solo uomo Dio ha fatto discendere tutti i popoli, e li ha fatti abitare su tutta la terra. Ha stabilito per loro i periodi delle stagioni e i confini dei territori da loro abitati. Dio ha fatto questo, perché gli uomini lo cerchino e si sforzino di trovarlo, anche a tentoni. In realtà, Dio non è lontano da ciascuno di noi. In lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo." (At 17, 26-28). Alla luce di questa premessa emerge il dato che Il Magistero e la ricerca della verità di cui all’encliclica Veritatis Splendor, del 1993, tornano di straordinaria evidenza laddove “nella profondità del cuore umano permane sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza della sua conoscenza". Un grande aiuto per la formazione della coscienza i cristiani l'hanno nella Chiesa e nel suo Magistero. L'autorità della Chiesa, che si pronuncia sulle questioni morali, non intacca in nessun modo la libertà di coscienza dei cristiani: non solo perché la libertà della coscienza non è mai libertà «dalla» verità, ma sempre e solo «nella» verità; tre sono per Mons. Sanna i cammini che possono illuminare la ricerca di verità: S. Agostino, con il suo principio dell’interiorità, Benedetto XVI nel suo volume su Gesù di Nazaret, Papa Francesco nel suo magistero di Santa Marta. Secondo S. Agostino, l'uomo che rientra in se stesso scopre, non senza stupore, la presenza della verità in sé: "la verità abita nell'interno dell'uomo". Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazareth, insegna che la verità deve entrare, come criterio, nel nostro pensare e volere, nella vita sia del singolo che in quella della comunità. «Dare testimonianza alla verità» significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Dio è la misura dell’essere. In questo senso, la verità è il vero «re» che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza. Papa Francesco – ha concluso Mons. Sanna - applica un criterio proposto dal Concilio Vaticano II spesso dimenticato e trascurato: la "gerarchia delle verità". Francesco ci invita a riconoscere che molte volte, i precetti della dottrina morale della Chiesa vengono proposti fuori dal contesto che dà loro significato. Il problema maggiore si ha quando il messaggio che la Chiesa annuncia si identifica soltanto con questi aspetti che tuttavia non manifestano per intero il cuore del messaggio di Gesù Cristo. Una pastorale missionaria non può essere ossessionata dalla trasmissione disorganizzata di un insieme di dottrine da imporre con la forza dell'insistenza. Subito dopo Vittorio Sozzi ha analizzato il tema della Verità. Prendendo le mosse dal discorso tenuto da Papa Francesco all’incontro con il mondo della cultura a Cagliari, il 22 settembre 2013, in cui ha esordito affermando "mi lascio guidare da un brano del Vangelo, facendone una lettura "esistenziale", quello dei discepoli di Emmaus". Ricerca la verità: ricerca di cosa?


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Ricerca di chi? Credo - ha detto Sozzi che si possa riconoscere nell’esperienza del cammino dei discepoli di Emmaus una sintesi del percorso di ricerca a cui uomini e donne di ogni tempo sono chiamati, ma che in questo nostro tempo si caratterizza soprattutto come ricerca individuale, quasi isolata rispetto ad un contesto e ad uno cammino condiviso. Anzi, oggi spesso non c’è la consapevolezza della ricerca : il relativismo più volte denunciato come male oscuro dei nostri giorni è il riconoscimento che non c’è nulla di assoluto per cui valga la pena spendersi e quindi non c’è nulla da cercare. Viviamo sempre di più uno "spaesamento" che ci spiega l’invito rivolto da Papa Francesco alla Chiesa a percorrere le vie delle periferie, a partire dalle periferie, dalle periferie esistenziali. La ricerca di un senso ci costringa a fissare lo sguardo su qualcosa o qualcuno in grado di muoverci, di metterci in cammino, ponendoci davanti una meta rispetto alla quale incamminarci. Infine il Prof. Bruno Mastroianni ha calato l’uditorio dentro la dimensione attuale di una società fortemente condizionata da mezzi di comunicazione. Lo scenario della comunicazione oggi presenta delle caratteristiche completamente diverse dallo schema a cui eravamo abituati fino a

poco tempo fa in cui intendevamo i media come mezzi identificati e identificabili, con le loro organizzazioni, i loro tempi e le loro politiche editoriali. Oggi, principalmente grazie alla diffusione del web e dei social network, la comunicazione assomiglia più a un flusso continuo (non più legato ai cicli che un tempo la scandivano) in

cui coloro che un tempo erano semplici fruitori sono diventati i protagonisti e i principali artefici dei contenuti in costante conversazione tra di loro. Ciò pone una questione fondamentale: la comunicazione

oggi riguarda tutti da vicino, nessuno può sentirsi escluso. Non è più appannaggio di un gruppo di esperti o addetti ai lavori, né è più sufficiente rifugiarsi in ipotetiche isole felici al riparo da distorsioni ed eventuali pericoli a cui la rete espone. Il tema della verità oggi, quindi, interpella ciascuno nel suo modo di porsi in rete e di vivere gli spazi della comunicazione. Sì perché oggi la sfida non è più solo "come usare" i mezzi ma "come stare" in questo ambiente che ormai, volenti o nolenti, richiede di essere abitato. Ed è proprio qui che si affaccia un paradosso, che è anche una grande opportunità: lo sviluppo della tecnologia è oggi tale che gli aspetti tecnici sono passati in secondo piano. Usare oggi gli strumenti della comunicazione è quanto mai facile e immediato, non richiede grandi doti specialistiche. Si potrebbe dire che sta tornando in primo piano l’umano come vero centro della comunicazione globale, con le sue luci e le sue ombre.Per questo, per cogliere veramente la sfida di una comunicazione che abbia la verità come base e come orizzonte, non c’è altra strada che tornare a ciò che è più profondamente umano: quella compenetrazione tra verità, bontà e bellezza che, da sempre, è capace di muovere il cuore e le aspirazioni più profonde di ogni persona.


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di Domenico De Angelis

Il valore del proprio bagaglio culturale. Rocco, giovane della nostra terra”. È stato questo il titolo della tavola rotonda, scelto dall’Amministrazione Comunale di Terranova S.M., per dare concretezza al ricordo di un meritevole concittadino. Rocco Accardo, giovane studente del corso di laurea magistrale in Economia Aziendale, presso l’Università degli studi “Gabriele D’Annunzio” di ChietiPescara. Proprio a Pescara si trovava Rocco, per motivi di studio, quando, dopo aver salutato telefonicamente la propria mamma, augurandogli una serena notte, una crisi epilettica lo colse di sorpresa (probabilmente nel sonno alle prime ore dell’11 gennaio 2014), costringendolo a lasciare questa vita e volare in cielo a soli 27 anni. La notizia, arrivata il giorno dopo a Terranova S.M., ha scosso tutti. In quei momenti solo il silenzio e la preghiera potevano lenire il dolore. Dopo qualche mese, il forte ricordo del giovane, spinse l’Amministrazione Comunale di Terranova S.M. ad istituire una borsa di studio in suo onore. La stessa, è stata assegnata, rispettivamente a Giuseppina Michea (25 anni – Corso di laurea magistrale in traduzione letteraria e saggistica, Università degli studi di Pisa) e Francesco Votano (23 anni – Istituto delle belle Arti, Roma). La consegna delle suddette, è avvenuta in occasione della già citata tavola rotonda svoltasi a Terranova S.M. presso l’aula consiliare il 25 ottobre u.s. Nell’occasione, i lavori sono stati aperti dal Sindaco di Terranova, Arch. Salvatore Foti, che ha voluto sottolineare la forte volontà dell’amministrazione, nell’istituire le borse di studio dal valore di 1.000 € ciascuna. Per dare un concreto contributo a ragazzi che, come Rocco, hanno voluto investire nella cultura attraverso l’università. A seguire, il Parroco di Terranova, P. Pasquale Carnovale (dei Missionari dell’Evangelizzazione) che essendo anche Professore di Rocco al liceo classico “S. Paolo” di Oppido Mamertina (RC), ha voluto soffermarsi sulla docilità e cordialità che il giovane

Rocco Accardo, un attestato di stima

A Terranova S.M., una tavola rotonda per ricordare Rocco Accardo, giovane terranovese prematuramente volato in cielo

usava abitualmente, condividendo anche qualche frase scambiata in vita. Ha continuato la dott.ssa Nancy Accardo - sorella-gemella - che, con la voce segnata dall’emozione, ha voluto sottolineare l’intimo legame che aveva con il fratello e di come sia sempre stato (e lo è tuttora) uno dei pilastri fondamentali della sua vita. La fisicità infatti non impedisce tale legame, capace di oltrepassare l’ostacolo della materialità. Insieme all’altra sorella, Francesca, ed ai genitori, Pina e Carmelo, sentono Rocco sempre presente. Bisogna a tal proposito riscoprire una delle doti che la persona ha (in quanto tale) insita nella sua natura. L’essere trascendente. Capace di esistere al di sopra o al di fuori del corpo sensibile, per poter scoprire l’altra parte che compone la persona e cioè l’anima. Successivamente, è stato il Prof. Salvatore La Rosa (Università Pontificia “Regina Apostolorum”, Roma) a prendere la parola, e fare un intervento capace di scandire e ampliare ogni concetto contenuto nel titolo dell’evento. Specificando in particolare, il concetto di “cultura”, di “bagaglio/corredo”, di “valore”. Lo stesso, rivolgendosi agli assegnatari delle borse di studio, così si è espresso: «abbiate sempre un fresco ricordo della figura di Rocco, che come studente e persona umana, nel suo breve percorso di vita, si è fatto onore portando a maturazione la sua costante attività di studio, senza trascurare le sue origini». Ha concluso la serie di interventi Giuseppe Barbaro, presidente dell’Associazione “Novataranta” di Messignadi (RC), che ha come obiettivo dichiarato, quello di riportare in auge la musica etnica, attraverso l’utilizzo di strumenti tipici locali, quali la lira calabrese, zampogna, chitarra battente, pipita, triangolo, organetto e tamburello a mano. Avendo conosciuto il giovane, ha notato subito il suo talento naturale per la musica, capace di suonare “ad orecchio”. Lo stesso, ha poi raccontato ai presenti com’è germogliata la canzone da lui composta e musicata da Vincenzo Caia (Gralimi amari – in memoria di Rocco Accardo), che del suo gruppo musicale era un vero appassionato e sostenitore. La stessa, capace di emozionare e commuovere tutti, è stata suonata e cantata al termine dell’intervento dai ragazzi dell’Associazione (Tina Scarcella, Vincenzo Caia, Domenico Scullino, Santo Surace). La profondità del testo, è possibile leggerla di seguito, grazie alla disponibilità dell’Associazione “Novataranta” nel concederla, al presente mensile, che, veicolo di cultura, ha voluto metterla a disposizione dei lettori. Il tutto, è stato moderato dalla giornalista dott.ssa Teresa Cosmano, che non ha voluto mancare a tale appuntamento, avendo condiviso parte dell’infanzia del giovane, che spesso incrociava a Molochio (RC) nella stessa via dove Rocco visse i primi anni di vita fino a parte dell’infanzia. Bellissimo, infine, il regalo che Francesco Votano (uno degli assegnatari della borsa di studio) ha voluto fare alla famiglia Accardo. Un dipinto, che ritrae il volto di Rocco. Una “fotografia” si potrebbe dire, considerando la precisione dei particolari, che la maestria del giovane pittore ha saputo cogliere. Un vero capolavoro, che ha suscitato in tutti i presenti, apprezzamenti, ammirazione e applausi. Inoltre, scegliendo tale rappresentazione, e riprendendo le parole dell’artista Leonardo Cremonini (1925-2010, pittore contemporaneo), che disse: “la fotografia rappresenta la morte, la pittura la vita”, ha voluto evidenziare il sentire di familiari e amici tutti, che sentono Rocco ancora vivo da un’altra parte. A noi piace immaginarlo così: libero, come il gabbiano, volare per le vie del cielo. Il presente articolo lo concludo con la frase che Rocco aveva scelto di riportare nello “stato personale”, in una delle applicazioni per smartphone più popolari, “WhatsApp”, tuttora visibile per chi ha il suo contatto in rubrica: “Verrà per tutti il giorno in cui si impara a volare”.


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Da sinistra: Teresa Cosmano, Giuseppe Barbaro, Nancy Accardo, Salvatore La Rosa, il Sindaco di Terranova Salvatore Foti e Padre Pasquale Carnovale.

Gralimi amari. (In memoria di Rocco Accardo) Era nu jornu friddu i jenaru, passaru i pocu li festi i Natali sonava ancora nu ceramedaru na melodia duci e cordiali. Comu lampu tuttu all’intrasattu rrivau notizia chi hjacca lu pettu; a Pescara di nu jiancu lettu volau in cielu un bellu giuvanottu. Rit. O Diu di ll’artu chi cuverni tuttu A sta famigghja dunanci cunortu A idi lu penzeru vola spissu Mu ‘nciuna aiutu u Santu Crucifissu. Sonava l’organettu appassionatu e di la nostra musica nnamuratu, di tanti belli amici circundatu, di chista vita ‘ndegna forti sordatu. Tra campi i hjùri i granu e di gramigna tra strati di chjanura e di muntagna cu na sorti scellerata e maligna chi ‘ndi pigghja da manu e ‘nd’accumpagna. Rit. O Diu di ll’artu chi cuverni tuttu A sta famigghja dunanci cunortu A idi lu penzeru vola spissu Mu ‘nciuna aiutu u Santu Crucifissu.

Dapoi na fridda notti si ‘ndi jiu Amici e genitori bbandunàu. Jiu pemmu sona cu ll’orchestra i Diu Maestru chi la sinphonia criau.

Ciangi so patri e ciangi la so mamma, nto loru pettu ora annu na fiamma. Ciangiunu i soi parenti a tutti l’uri Ciangiunu i cari amici gralimi amari.

Non c’era rota senza a so presenza Sempi l’educazioni a soi crianza Comu n’angialu a soi esistenza Ndavia lu mundu intra a la so stanza.

Rit. O Diu di ll’artu chi cuverni tuttu A sta famigghja dunanci cunortu A idi lu penzeru vola spissu Mu ‘nciuna aiutu u Santu Crucifissu.

Chistu è l’omaggiu chi vozzimu fari A nu giuvani bellu chi volia sonari. Chi ‘nzemi all’angeli ora sona e canta Ciao Rocco a to presenza ‘ndi manca.


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di Isabella Surace

M

artedì 25 Novembre 2014, in occasione della “Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne “ L’Istituto Superiore “ G.F.Gemelli Careri ” di Taurianova, “Auditorium Macrì” - Terranova” in collaborazione con l’ Associazione Culturale “Nuova Aracne “ e con l’associazione culturale Onlus - Centro Antiviolenza Margherita di Reggio Calabria, ha dato inizio all’approfondimento e all’ incontro - dibattito sul tema “ La violenza di Genere: Prevenirla, Riconoscerla, Contrastarla ”. Con il termine “violenza di Genere” si definisce la violenza perpetrata e indirizzata esclusivamente al genere femminile. L’evento è stato coordinato sapientemente dalla Dirigente Scolastica Prof. ssa Maria Domenica Mallamaci. Presenti all’evento una rappresentanza degli studenti delle terze medie dei due Istituti Comprensivi di Taurianova e le classi Terze, Quarte e Quinte del Gemelli Careri accompagnati dai loro docenti. Rilevante la presenza dei Commissari Prefettizi, Dott. Antonino Gaglio e Dott.ssa Giuseppina Supino, che hanno apportato validi contributi al tema. La Dirigente Prof.ssa Maria Domenica Mallamaci, ha introdotto l’argomento prospettando una “Spoon River” di riferimenti concreti di sua conoscenza, per sensibilizzare e far comprendere meglio i vari meccanismi e le diverse dinamiche psicologiche, che sfociano nelle tantissime e purtroppo quotidiane violenze. Istruttivo e formativo è stato l’intervento della

Il saluto del Commissario Prefettizio Dott. A. Gaglio

Nell'Auditorium del Gemelli-Careri a cura dell'Aracne

incontro – Dibattito sul tema :

” Violenza sulle Donne ” Prof.ssa Lucia Ferrara, che ha sottolineato l’importanza della sensibilizzazione al tema, dal momento che la violenza di “Genere” investe gli stessi gangli vitali della società e in particolare la famiglia. Molto costruttivo l’intervento della Dott.ssa Rita Barth, che con la sua grande professionalità, ha prospettato il laborioso lavoro d’equipe che si sta svolgendo grazie, anche, alla collaborazione di diverse figure professionali che la compongono, tra queste, quella dell’assistente sociale nella persona della Dott.ssa Maria Teresa Borinato. Tra gli strumenti messi in atto da questo progetto, al primo posto va introdotta la consulenza psicologica, seguita da quella legale e assistenziale, interventi, questi, indispensabili per poter far fronte a questa terribile “endemia”, divenuta oramai sempre più estesa e più cruenta. La seconda parte dell’evento relativa agli alunni è stata diretta e realizzata dagli stessi studenti con la proiezione di eloquenti video, che mettono in risalto aspetti anco-

di Isabella Surace

V

enerdì 17 Ottobre u. s. L’Associazione Culturale “Nuova Aracne “ ha dato luogo al convegno “Maria una di noi” in ricordo di Padre Stefano De Fiores. Presso l’Aula Magistri I. C. “Monteleone – Pascoli” di Taurianova, alla presenza di un folto stuolo di intervenuti. La serata è stata coordinata dal giornalista Toni Condello e introdotta dall’impeccabile prof. ssa Lucia Ferrara, Presidente dell’Associazione “Nuova Aracne”. Un introduzione ben esposta, un idea generale sulla figura del grande mariologo e i doverosi ringraziamenti alle autorità presenti e a tutti gli intervenuti. Relatore il sociologo prof. Mimmo Petullà, che ha condiviso con Padre Stefano numerose ricerche socio - antropologiche sulla mariologia, ma più di ogni altra cosa li univa un profondo affetto e una totale stima reciproca. Padre Stefano De Fiores:”( San Luca, 2 Ottobre 1933 - Catanzaro, 15 Aprile 2012) è stato un presbitero monfortano italiano, mariologo di fama internazionale, professore ordinario di Mariologia sistematica alla

ra più particolareggiati e più suggestivi. Il tutto supportato dalla bravura degli stessi studenti coinvolti nella gestione della parte tecnica. L’evento si è concluso con la speranza e l’augurio dei relatori e di tutti i presenti per un esito culturale favorevole e produttivo per tutti, ma soprattutto per le nuove generazioni.

Padre Stefano De Fiores Mariologo e uomo di grande Fede Pontificia Università Gregoriana di Roma e presidente dell’Associazione mariologica interdisciplinare italiana. Nel 1990 è stato cofondatore dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana e della rivista di mariologia Theotokos. Nel 1993 gli è stata conferita la Medaglia della Marian Library of Dayton (Ohio – Stai Uniti d’America ). Nel 1990 ha ricevuto il “Premio Laurentin” Pro Ancilla Domini, da parte della Pontificia Facoltà teologica Marianum, per la sua attività didattica e per gli scritti di carattere mariologico, redatti in armonia con lo spirito del Concilio Vaticano II”.


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di Isabella Surace

I

n merito alla questione sull’Asilo Contessa di Pontalto, e per quanto concerne la mia figura di ricercatrice ed autrice del libro “I conti di Pontalto nella Radicena dell’Ottocento”, ritengo opportuno esprimere la mia posizione in merito alla vicenda in occasione del positivo verdetto da poco espugnato. Innanzitutto, come prima cosa porgo i miei complimenti all’avvocato Mileto per la riuscita sentenza, per l'operato professionale che ha sapientemente svolto nella sua funzione giuridica, coadiuvata quasi certamente dalla mia zelante analisi e ricerca storica. Ma sotto il profilo etico e morale per Taurianova e per i taurianovesi questa vittoria si potrebbe definire, usando una celebre metafora, come la “Vittoria di Pirro”. Sono più che certa del triste destino che avrà l’ Asilo Contessa di Pontalto, già per altro, da tempo oramai lasciato nell’incuria totale. Visti i precedenti di altri edifici pubblici come la “Casa della Cultura”, il “Mercato Coperto” ecc. mi viene già da pensare alla triste fine che farà. La sostanziale perdita di un istituzione rivolta alla donazione e al bene del prossimo ha cessato di vivere. L’Asilo Contessa di Pontalto, è stato snaturato della sua vera identità , e soprattutto dal vero intento con cui era stato istituito. Basterebbe leggere qualche trafiletto del testamento olografo di Benilde Rossignani per rendersene conto. La contessa ha voluto beneficiare donando l’intero stabile alle “Suore di Carità Santa Giovanna Antida Thouret”: <<Intendo lasciare nei due paesi di Radicena e Jatrinoli, dove ho trascorso gran parte della mia vita, un ricordo per me e per il Conte mio marito, che sia degno, duraturo e di gran sollievo ed utilità per i bisognosi dei detti due paesi. Lascio alla congregazione di carità suddetta, l’istituzione di un asilo infantile per accogliervi gratuitamente bambini e bambine appartenenti a famiglie bisognose di Radicena e Jatrinoli>>. Intendo precisare che con il testamento olografo della contessa Benilde Rossignani, istituito in Radicena nel 1920, in seguito nel 1933 è eretto in ente morale preposto alla congregazione di carità. Con l’avvento del fascismo soppressa la congregazione di carità la cura dell’asilo passa nella sua interezza statuaria e gestionale all’ente comunale di assistenza (E.C.A). Con l’avvento delle regioni verrà soppresso l’ente comu-

Innamorato di Maria e grande conoscitore della teologia e del culto della Vergine. Con il suo ingegno e la sua considerevole intellettualità e spiritualità, Padre Stefano ha reso più comprensibile e ha portato a conoscenza di molti il dolce mistero di Maria, inscindibile da quello di Cristo. Ha scritto più di trenta libri e centinaia di saggi su riviste cristiane. Si può quindi immaginare, forse alla lontana, la smisurata proporzione di elaborate e proficue ricerche che ha condotto nel corso degli anni. In onore di Padre Stefano a San Luca è bene ricordare che è nato un centro studi per far conoscere la grande personalità di questo studioso e le sue innumerevoli opere. La sua grande versatilità si evince anche in altri campi come: la musica, la pittura e la critica letteraria. Oltre alla conoscenza storica di questa emblematica figura, di questo nostro eccellente conterraneo, illustrata in modo encomiabile sia da parte del sociologo prof. Mimmo Petullà, che dai racconti dello scrittore Fortunato Nocera Presidente del centro studi Stefano De Fiores. Il prof. Mimmo Petullà, come è nel suo stile ha prospettato un interessante ed approfondita relazione, conferendogli non soltanto un taglio esegetico ma anche e soprattutto un’analisi sociale e antropologica, vista dall’alto del suo gran sapere.

I centenari con il sindaco Giannetta

Taurianova, c'era una volta... l’Asilo Contessa di Pontalto nale di assistenza, tutte le istituzioni pubbliche compreso l’asilo Pontalto passano al comune. Pertanto, già dal 1974, era nota questa ingiusta realtà. In tutti questi anni nessuno ha mai cercato di guidare questo oggettivo cambiamento normativo che nel corso degli anni ha subito repentini mutamenti. Le suore hanno sempre cercato di tenere fede solo ed unicamente ad una volontà espressa in punto di morte da una grande benefattrice , una realtà che doveva essere rispettata “nei secoli dei secoli”. Mi verrebbe da urlare “Non Nobis Domine”: “Non a noi Signore, ma al tuo nome la gloria”. Nessuna norma giuridica dovrebbe cancellare una estrema volontà. Un atto nobile non può essere reso vano da un procedimento giuridico volto a calpestare l’intento amorevole e filantropico di un benefattore. Tutto ciò mi indigna fortemente, un’unica ragione e una legittima domanda vorrei porgere ai lettori ed a tutti i taurianovesi che come me sono cresciuti e si sono formati nell’Asilo contessa di Pontalto. Ricordo ancora il profumo, l’accoglienza e il preziosissimo operato delle suore. Non è soltanto un amarcord, ma un vissuto che appartiene in gran parte a tutti i taurianovesi. In modo molto naturale e spontaneo mi viene da chiedermi e da chiedere, quanto conta un ultimo desiderio o un ultima volontà? E poi, perché cancellare l’intento amorevole e filantropico verso il prossimo? L’avidità e l’egoismo umano hanno mutato radicalmente ciò che doveva essere elevato e considerato con priorità assoluta e cioè “L’ Amore per il Prossimo”. Io mi auguro che questo mio attuale pessimismo in merito a questa vicenda, possa tramutarsi in gioia e fiducia, affinché si possa almeno proseguire in un cammino rivolto ai più bisognosi. Questo deve essenzialmente essere il vero, unico e ragionevole fine, per unire e ricongiungere almeno in parte, la reale volontà della defunta contessa di Pontalto, Benilde Rossignani. In conclusione vorrei rammentare una sua frase ricorrente che dovrà farci riflettere: “A far del bene non si sbaglia mai”. Visto il triste epilogo di questa complessa e triste vicenda, lascio “ai posteri l’ardua sentenza”.

Tra gli intervenuti di questa interessantissima serata, don Tito De Fiores, fratello di Padre Stefano, in un esordio davvero emozionante. Dove non solo ha catturato l’attenzione di tutti i presenti, con evidente partecipazione corale con la lettura di una bellissima poesia in vernacolo, scritta in occasione del 50° anniversario di sacerdozio di Padre Stefano. Ma altresì, con trasporto e grande sentimento rivolto alla quasi “devozione” di questo suo illustre fratello. Altri appassionanti interventi sono stati quelli dello scrittore e diacono Cecè Alampi e del prof. Pino D’Agostino entrambi con un unico denominatore “Maria”. Il primo autore della silloge “Regina dei Miracoli” Cecè Alampi, il suo poetico e bellissimo omaggio alla Vergine Maria, la grande devozione e il culto mariano raccontato in versi . Il secondo autore, Pino D’Agostino nel suo libro dal titolo molto esplicativo “Ave o Maria”, un saluto d’amore e di grande venerazione verso la nostra dolce e comune Madre. A creare una bellissima atmosfera in tutta la serata ci hanno pensato i maestri di musica: Maria Francesca Esposito e Andrea Nania che hanno sapientemente creato un clima di grande raffinatezza e di buon gusto musicale. E infine, per nulla trascurabile, la parte video curata con estrema ricercatezza da Roberto Zappone. La serata si è conclusa con i benaccetti complimenti da parte di molti presenti, tra questi: don Giancarlo Musicò, don Leonardo Manuli, i diaconi Nino Martino e Carmelo Vicari, la prof.ssa Graziella Martino, lo scrittore Nicola Orso, un nutrito gruppo di cittadini di San Luca, il prof. Domenico Caruso scrittore e studioso delle nostre tradizioni e tanti altri. In rappresentanza della commissione straordinaria del Comune di Taurianova, Giosuè Delfino. A conclusione di questo “Itinerario culturale e teologico” possiamo affermare che è stata una serata all’insegna della riscoperta di uno dei più grandi intellettuali e mariologi d’Italia, di cui l’intera nazione può vantare.


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L’ANTISTATO: dalla spedizione dei Mille alle odierne Processioni di Giovanni Garreffa

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rmai da decenni, sembra di assistere, nel nostro Paese, alla proiezione di un film in più tempi, anzi alla rappresentazione di una telenovela in infinite puntate, sulle collusioni Stato-Mafia, con delle variabili che si qualificano quali “concorso esterno” o affini. Variabile che ha interessato perfino lo Statista On. Giulio Andreotti, tenendolo sotto pressione per lunghi anni e pregiudicando irrimediabilmente la fine della sua corriera politica. Attualmente, ma già da tanti mesi, è di scena a Palermo, con un cast di tutto rispetto, a cominciare dall’ex Presidente – in passato seconda carica dello Stato – Sen. Nicola Mancino e con testimoni del livello di Giorgio Napolitano e di Ciriaco De Mita. Purtroppo, siamo arrivati ad un punto in cui ciò non scandalizza affatto; permangono, però, in tutta la loro pregnanza anche quando sembrano dileguarsi, non poche perplessità in ordine al fatto che non si è ritenuto da nessuna parte (istituzioni, storici, studiosi di vario genere ) di sottoporre d approfondita e scrupolosa analisi il fenomeno di cui sopra, retoricamente sempre più abusato, nella conclamata strumentalizzazione che se ne fa ad ogni piè sospinto. Occorrerebbe prendere coraggio, come si suole dire, a quattro mani e retrodatando la ricerca addirittura ai tempi in cui lo Stato italiano, quale si configura oggi, cioè coincidente con l’intero stivale insieme alle isole, era ancora in embrione, sin dagli albori, dunque del nostro Risorgimento e fino all’era repubblicana, quantomeno chiarendo alcuni precisi accadimenti, ovviamente non casuiali e comunque storicamente consacrati. La predetta omissione in verità non è certamente la sola e proprio per questo non meraviglia più di tanto; ne è eloquente esempio l’iniziativa di un Presidente della Repubblica di nome Carlo Azelio Ciampi, finalizzata a riesumare, ma circa settanta anni dopo, mirata alla ricerca di una verità che ancora non affiora, il caso degli ultimi giorni di Cefalonia, rispetto alla quale gli illustrissimi storici del nostro tempo hanno fatto eco ed alcuni ammenda, confermando, purtroppo, che, in effetti, ancora l’intera vicenda andava riconsiderata ed ammettendo, intanto, che nel calcolo delle vittime non si era pensato, non si capisce bene perché, di includere anche i mi-

litari caduti (!). Riprendendo alla moviola la nostra retrospettiva, la prima circostanza senza dubbio degna di qualche particolare attenzione, e quindi di essere riesaminata, riguarda la spedizione in Sicilia di Giuseppe Garibaldi e le gesta con i suoi Mille, numero comprensivo anche degli ergastolani dell’Ucciardone, che con un fazzoletto rosso al collo sono, poi, diventati gli Eroi nazionali, le cui imprese ci hanno tanto commosso durante gli studi adolescenziali. Si sa, da parte di tutti, che, per via, tra l’altro, della questione romana, non era certamente improntato a tanta simpatia lo stato d’animo di Cavour, grande regista della politica piemontese, nei confronti dell’Eroe dei due mondi, dall’illustre statista considerato nient’altro che un avventuriero, in perenne e spasmodica ricerca di occasioni di belligeranza che, invece, credeva fermamente nell’Unità d’Italia, e non solo fino al Granducato di Toscana, per realizzare la quale, comunque, gli eventi lo hanno indotto ad avvalersi anche dell’aiuto dei detenuti del noto carcere di Palermo, da lui restituiti alla libertà, detenuti ivi rinchiusi non certo per qualche semplice furto di polli, ma piuttosto per ben altro, a cominciare da più omicidi a carico. Non è solo questa l’evenienza storica per la quale lo Stato, o sue espressioni, hanno dovuto, direttamente o indirettamente, ricorrere alla forza dell’antistato; infatti, è ancora vivo, nella memoria di non pochi, lo sbarco degli alleati in Sicilia, alla fine della seconda guerra mondiale, impresa per la cui preparazione si è sempre sussurrato che gli Americani hanno utilizzato il fior fiore dei vari Gambino e simili, sodalizio, per doveroso ossequio alla memoria storica va detto, che ha egregiamente operato per portare a compimento l’evento, poi, in effetti, concretizzatosi senza resistenza, quindi senza alcuno scontro e quindi ancora senza neppure il deprecabile ed inutile ulteriore spargimento di sangue. La distinta degli esempi del genere non si esaurisce qui. E’ il caso di riconsiderare quanto dichiarato, qualche tempo prima di morire, dal caltagironese ministro degli interni di lungo corso, On. Mario Scelba, a proposito del consentito ruolo di contrasto incarnato dal famoso bandito Salvatore Giuliano, nei confronti di Finocchiaro Aprile, che, come risaputo, era a capo di un movimento autonomista per la Sicilia. In quel periodo, ancora secondo le abbondanti e puntuali rivelazioni dell’On. Scelba, circa le operazioni di polizia che venivano attivate nell’isola, Giuliano veniva puntualmente informato, precisamente non si è mai saputo da chi, con congruo anticipo, al fine, si disse, di poter effettuare gli opportuni e prudenti spostamenti, per non cadere nella rete. Quando, finalmente, è stata approvata la Costituzione Repubblicana, prevedendo per la Sicilia una particolare forma di autonomia a statuto speciale, il pericolo Finocchiaro si andava ormai automaticamente stemperando, sicchè il ruolo del bandito di fatto era venuto meno, anzi la sua presenza sul teatro isolano costituiva un peso per le forze dell’ordine; allora il cugino Gaspare Pisciotta, suo luogotenente, non si sa fino a qual punto di sua iniziativa, si fece carico di risolvere, senza tergiversazioni, il problema, eliminando dalla scena il re di Montelepre, proprio nella capitale del suo regno. Scorrendo, dunque, velocemente la moviola e sfrecciando su precisi fatti relativi a circa settanta anni di storia, a fronte delle puntuali evenienze prima accennate, ritenere, come sembra essersi verificato in questi ultimi mesi, che le processioni siano strumentali al rafforzamento dell’antistato perché nell’immaginario collettivo conferirebbero autorevolezza e consenso agli uomini della mafia, potrebbe apparire, non solo ai più superficiali, una evidente forzatura; ed arriviamo, senza mezzi termini, alla teoria degli “ inchini”, spettacolo semantico, ghiotto pasto, durante l’estate ormai alle spalle, dei mezzi di comunicazione di massa. Ne parliamo adesso, proprio perché il polverone si è abbondantemente sedimentato. L’inchino, nobile, raffinato e squisito atto di cortesia e di devozione sin dalla notte dei tempi, quale vocabolo da dizionario rischia di essere radiato persino dal migliore corredo linguistico, civile e distinto, per via del suo artificioso e vistosamente ibrido legame a vicende certamente non felici, giornalisticamente


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gestite con una particolare carica di scoop. Infatti, sempre secondo i mass-media, si è inchinata, al cospetto dell’isola del Giglio, la “ Costa Concordia”, provocando una immane sciagura, si è inchinato al paesino di Carovilli, in provincia di Isernia, il caccia Amx, schiantandosi in fiamme, si è inchinata la statua della Madonna delle Grazie in Tresilico di Oppido Mamertina, si è sentito dire a fonte della residenza dell’ergastolano “capobastone” del posto, determinando provvedimenti ecclesiali, a livello diocesano, severi e drastici, di una portata senza precedenti. In tutti i casi, comunque siano andate le cose, un gesto di non comune sensibilità è diventato oggetto di indagine fin’anche da parte della magistratura. Dunque, si corre il rischio che per i più nelle fattispecie prime riprese l’uso del termine si configuri come abusato, quantomeno non appropriato o di discutibile gusto, coinvolgendo, tra l’altro, immagini sacre; certamente non presenta i requisiti di una rigorosa valenza semantica, pur mettendo in conto una ipotetica facile risposta, cioè che il linguaggio figurato è precisa caratteristica del giornalismo. In proposito, per fare chiarezza non è inopportuno ricorrere alla fonte più autorevole, propriamente al dizionario della lingua italiana, il quale (MELZI – volume linguistico) alla voce “ inchino” testualmente recita: ”Segno di riverenza che si fa, piegando il capo e la persona”. Non ha bisogno di alcun commento la rigorosa verifica linguistica; è pertanto consequenziale concludere che l’uso del termine, invero non proprio adeguatamente figurativo rispetto alla concretezza delle situazioni di fatto, ed in un caso perfino alla sacralità, delle tre realtà prima rappresentate, è funzionale, in linea di principio, per una massa non sempre rigorosamente attenta e critica a fini, è opportuno ribadire, di scoop mass-mediatico. E’ di tutta evidenza che, sostanzialmente, sotto questo profilo, l’uso di una terminologia del genere ha vistosamente e perfettamente funzionato; basta pensare che Oppido Mamertina ha fatto bella mostra (si fa per dire!) di se sulle prime pagine della stampa italiana e forse anche d’oltre confine, per tanti giorni, anzi molto più del necessario ed opportuno. Non meno hanno prodotto le reti televisive pubbliche e private, dedicandovi spazio indiscutibilmente superiore rispetto al caso di notizie degne di miglior causa; ma non c’è da scandalizzarsi, in quanto tutto (o quasi !) è soggettivo. A ben riflettere, calato da mesi il sipario sui fatti contingenti: l’accaduto è effettivamente degno di tanta attenzione? E’ veramente proporzionata la rilevante impor-

tanza data dalle istituzioni alle processioni come occasioni da utilizzare, da parte di bene individuati soggetti, a rafforzare l’antistato? Se la risposta dovesse malauguratamente essere affermativa, l’esame della questione non può certo essere liquidata così, limitandola semplicemente all’episodio di Tresilico, di San Procopio o di Rizziconi; sarebbe discriminante ed offensivo per le intere comunità, nell’ambito delle quali, senza alcun ombra di dubbio, la stragrande maggioranza è di persone a modo. S’imporrebbe, a questo punto, una indagine a tappeto, almeno relativamente agli ultimi anni, per verificare se, ed eventualmente quante, delle decine, e non è esagerato dire anche delle centinaia, di soste durante tutte le processioni della Diocesi di Oppido – Palmi e non solo , ( salvo che tra tutte le chiese diocesane della Calabria l’unica pecora da considerare nera non sia la nostra !!!), ma della provincia di Reggio Calabria e dell’intera Regione siano state effettuate nelle vicinanze delle abitazioni di malavitosi, ovviamente mettendo sotto i riflettori anche quelle autorizzate dai parroci competenti; di chi l’iniziati-

va, se della Conferenza Episcopale Calabra, della Magistratura o dell’una e dell’altra, non è tema da argomentare in questa sede, anche perché i punti di vista in proposito sono così tanto variegati, da farci correre concretamente il rischio di notevoli divergenze. Vero è che, però, da sempre, nell’ambito di tutta una letteratura specifica, si è andata consolidando la tesi secondo la quale l’antistato si annida bene e trovi il suo “humus” propizio, per proficuamente attecchire e meglio diffondersi agevolmente, nell’assenza, ovvero nella inadeguata presenza, della Stato, quale si esprime nei suoi legali rappresentanti e nelle strutture di contrasto poste o da porre in essere. I soggetti che hanno capacità ed anche obbligo, addirittura a ciò deputati, storicamente su questo terreno sono in debito di non pochi chiarimenti e di

adeguate precisazioni in ordine a determinati accadimenti che hanno impressionato l’opinione pubblica nel tempo, al fine di non limitarsi ad ingigantire, non sempre ingenuamente, unicamente fatti che da una nutrita opinione pubblica potrebbero anche essere considerati o rivelarsi, nel tempo, marginali rispetto a vicende macroscopiche meritevoli di ben altro spazio di approfondimento. La verità, invece, se la si vuole veramente proclamare a voce alta, è una e una sola: l’antistato, si ripete, c’è dove concretamente non c’è lo Stato, ovvero, tanto più forte ed incisiva è la presenza dello Stato, tanto meno sarà lo spazio che effettivamente potrebbe ricadere nel perimetro di gestione dell’antistato. Se ne deduce, quindi, che se le istituzioni, che non possono che essere esclusivamente al servizio della comunità, funzionano nel migliore dei modi, i cittadini non hanno alcun interesse a ricorrere a forze che, nell’immaginario collettivo, si configurano come vicarianti rispetto ad una assenza di potere; va, però, tenuto ben presente, a mò d’esempio elementare, che è oltremodo difficile, specialmente per chiunque abbia subito un furto non sanato dalle locali forze dell’ordine, ma dal capobastone del territorio, convincersi che quest’ultimo è da ripudiare, mentre chi rappresenta lo Stato, che, comunque, non ha avuto la capacità di restituirgli quanto sottrattogli, va sostenuto ed osannato. L’unica alternativa veramente efficace ed insostituibile è, dunque, la fattiva presenza di uno Stato equo, di una equità lapalissiana, che si accorge anche, a titolo puramente indicativo, se presso la Corte Costituzionale, supremo presidio di garanzia in un regime democratico, si usa eleggere il Presidente anche nella persona di chi, per età, è destinato ad essere collocato a riposo a distanza di qualche mese. In un momento in cui la gente per disperazione arriva al suicidio perché non ha e non sa come portare avanti la famiglia, sarebbe molto amaro e perfino devastante essere tentati, da un demone convincente, a credere che è prassi procedere così, perché si possa tutti, o quasi, i componenti del consesso andare in pensione da presidente, con quello che, a livello economico e di appannaggio, la qualifica poi garantisce, vita natural durante. Bisogna assolutamente scongiurare un tal pericolo, pur non essendo tanto facile; lo stesso Giulio Andreotti, uomo di profonda fede, era solito ripetere che a pensar male si commette peccato, ma, talvolta, si rischia anche di indovinare.


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In un bel libro fotografico di Fortunato Costantino

Una Gioia tutta da vivere

Il racconto degli anni ’60 e ’70, di una Gioia Tauro ottimista divisa fra impegni sociali, gite, spettacoli e sport che emerge dall’archivio del Centro Turistico Giovanile “Gruppo Metauro.

di Luigi Mamone

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na marea di ricordi. Foto, annotazioni, cartoline, appunti di viaggio - Un insieme di elementi che ci parlano di una realtà bella e luminosa: quella dei giovani della Gioia Tauro degli anni ’60 e 70. I “Giovani di allora” , appunto come è titolato un bel volume fotografico opera di Fortunato Costantino che con una solerzia archivistica di assoluto valore ripropone foto e documenti che permettono di rivisitare con le attività del Centro Turistico Giovanile “Gruppo Metauro” una pagina bella e intensa della vita che i quegli anni animava il centro del Tirreno. Non casualmente in sottotitolo e tra parentesi Costantitno aggiunge “eravamo dei bravi ragazzi”. E il racconto di una Gioia Tauro che attraverso quei giovani di allora cresceva e soprattutto esprimeva gioia di vivere e voglia di partecipare. Una immagine bella di un paese commerciale e marinaro, con lo snodo ferroviario più importante dell’intera provincia e da lì a qualche anno anche con lo svincolo più importante dell’allora in costruzione Autostrada del Sole. Una città adusa ai traffici commerciali per mare e su binario. Una città per altro verso ancora profondamente legata alla terra, alle origini contadine della Piana degli ulivi e quelle pastorali e contadine della gente della Lamia del non lontano Poro e delle limitante pianura Sanferdinandese bonificata dalle paludi poco meno di un secolo prima dal Marchese Nunziante. Ma la Gioia degli anni 60 e 70 che emerge dal volume di Costantino è una città che sprizza ottimismo, voglia di vivere. Intrisa di uno spirito goliardico e di un orgoglio che ben si sposava con le prospettive di crescita economica di quegli anni in cui la città era caratterizzata da fiorenti attività industriali, commerci all’ingrosso e negozi di ogni genere. Ma

soprattutto, in quegli anni, ancora non si parlava del porto e delle sue beffe. Anzi, prima che del Porto non si era ancora parlato del Pacchetto Colombo, del V Centro Siderurgico e di tutte le altre beffe che la politica a braccetto con i padrini del tempo, ancora legati al controllo localistico del territorio e all’oscuro del potenziale legato al narcotraffico e a quello dello smaltimento dei rifiuti avrebbero poi consumato sula pelle dei gioiesi, e non solo. Era una città di mare, che viveva di pesca, commercio , agricoltura e che avrebbe volentieri legato il suo futuro al turismo. In quegli anni il mare di Gioia era la meta per la villeggiatura di tutti gli abitanti dell’hinterland e anche di “forestieri” - oggi si usa il termine “turisti”. Il top dell’offerta balneare era rappresentato dal Lido Gerace, frequentatissimo e ancora non inciso dalla concorrenza della non lontana Tonnara di Palmi, all’epoca ancora vergine, selvaggia e bellissima prima che palmesi e non ne facessero scempio costruendo seconde case in maniera disordinata e abusiva e in qualche caso - ahimè pare, cancellando - come accadde anche a Rosarno nell’area di Medma - con selvaggia violenza reperti archeologici, tombe e intere necropoli che oggi avrebbero avuto un fortissimo richiamo turistico oltre che un valore culturale immenso. Ma tant’è le immagini di quelle lontane estati al Lido Gerace, con quella “bella gioventù” oltre che essere una documentazione del “come eravamo” sono - consentiteci - da se solo delle vere pagine di poesia. Immagini in un rigoroso bianco-nero, colori con i toni pastello delle stampe da negativo fotografico Technicolor Agfa e Kodak: non solo questo, il libro ci mostra un insieme di iniziative culturali, gite, viaggi, spettacoli, manifestazioni sportive, spettacoli teatrali cittadini che denotavano il forte fermento culturale di quegli anni che precedettero e poi seguirono il ’68 e tutti i suoi cambiamenti. La Gioia, quella Gioia appare veramente un luogo bello, baciato dal sole, bagnato dal mare, aperto su orizzonti di crescita. L’opera nella sua semplicità, nella sua volontà di riproposizione cronachistica di una esperienza di vita e di cultura associativa facendola evolvere in pagine di storia è un bel libro, che si presta ad una lettura immediata e a tanti parallelismi su sein e il sollen: l’essere il dover essere; l’alfa e l’omega: la vita e la morte; la finitezza del passato e l’incertezza del futuro che pur mai menzionata emerge da se nella mente di chi raffronta quella Gioia anni ’60, nella quale poco oltre il Lido Gerace la strada finiva in un viottolo e il verde della macchia mediterranea si stendeva splendido e lussureggiante fino alla foce del Petrace, l’antico Metauro o, volgendo lo sguardo in direzione opposta, verso il Pontile della Lanterna, il panorama appariva dominato dalla ciminiera della “Gaslini” e poi più avanti fra gozzi di legno in secca sulla riva e sulla strada iniziava il borgo dei pescatori con le case basse a pian terreno con le facciate dipinte di bianco, di celeste o di rosa e l’attuale Gioia Tauro: città trasformata nella sua essenza dai poteri forti e occulti delle nazione e ridotta a cloaca massima della Piana, con, a ridosso del porto, il termovalorizzatore e il depuratore che infesta l’aria di miasmi nauseabondi , tossici e cancerogeni. La bella Gioia degli anni ’60, oggi non c’è più. Resta il ricordo - nel cuore di quei bravi ragazzi che vissero quegli anni intriso di dolcezza di nostalgia e di saudade. Ma proprio per questo il libro di Fortunato Costantino, oltre che un documento scritto sulle ali dell’amarcord, diventa un J’accuse: “ Questa era la terra in cui vivevamo. Quasi un paradiso terrestre. La terra, della “gioia di vivere” e di una “ Gioia da vivere”. Di fronte a noi, alzando gli occhi dalle belle pagine in bianco e nero del volume di Costantino la Gioia Tauro attuale: nella quale all’ombra del Porto, le Mafie fanno affari e i cittadini sempre più numerosi muoiono di tumori.


La sagra della castagna

Caldarroste e dintorni di Antonio Violi

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fra storia e tradizione

a castagna era un frutto molto diffuso un tempo ed il contadino ne faceva tesero come accessorio alimentare di stagione e da conservare per l’inverno. Costituiva un alimento primario e di emergenza per le più svariate circostanze. Tralasciando le qualità dell’albero che sono tra le migliori per ogni uso, il frutto è stato sempre stimato oltre che per le sue qualità nutritive, anche per la modesta assistenza che necessita la gestione dell’albero. In prossimità dell’autunno si puliva il sottobosco del castagneto in modo da poter facilitare la raccolta delle castagne cadute per maturazione. Nella rimanente parte dell’anno il castagneto era piuttosto abbandonato a sé stesso. Questo bosco è un ambiente meraviglio, caratteristico dell’autunno. È uno spettacolo vedere quei colori rosa, ruggine, rosso e marrone fatto di fogliame, di ricci chiusi e aperti misti alle nuove vegetazioni. Qua e là qualche fungo, le felci e a volte dei prati di ciclamini a colorare un mondo che sembra da favola. I nostri nonni conservavano gelosamente nella cassapanca (cascia) i frutti di stagione più gustosi e genuini, ripresentati nelle fredde serate d’inverno quando la famiglia era riunita attorno al focolare. Era sempre una gradita sorpresa per i bambini ricevere le delizie della nonna: caldarroste, marroni, fichi secchi, noci, nocciole (poi usate per giocare nel periodo natalizio), giuggiole, sorbe, ecc. Fatte le caldarroste venivano conservate con tutta la buccia o già pulite, mentre per fare i marroni il procedimento era più complesso. Si scartavano quelli più buoni e si mettevano in un recipiente con acqua per almeno 20 giorni. Poi si lavavano e si mettevano ad asciugare in una cesta bassa e larga (tafareja), disponendo le castagne a strati sulle felci per favorire l’asciugamento. Poi si pulivano e si rimettevano ad asciugare ancora. Altro sistema

per asciugarle era sotterrarle nella sabbia. Era così che si facevano i marroni/marruni, “castagni mmarrunati”. Si usava anche farle caldarroste (pastiji, valori), cuocendole al braciere o al focolare con una padella bucherellata detta pastijaru. Molto gustose erano quelle bollite, ma in questo caso veniva usata una qualità di castagna di seconda scelta, la cosiddetta curcia o selvatica che è altrettanto gustosa, ma si sbuccia con più difficoltà ed ha una forma un po’ più piccola ed arrotondata. La bella castagna di qualità nostrana è la Castanea sativa ed è detta ‘nzerta, di forma più bella e affusolata, più grossa, più gustosa. Non era raro vedere in giro persone con le tasche piene di caldarroste mangiarle con sfizio e donare qualcuna all’amico. Qualche imprecazione quando più di una si doveva buttare perché “pigghjata du vermu o mucata” e non si poteva mangiare nemmeno una minima parte. Tutto questo è finito da tempo e molti di questi alberi cominciano ad essere rari, perfino il castagno che oggi non è amato come un tempo e in questi anni è colpito dal cinipide galligeno o vespa del castano (Dryocosmus kuriphilus) che attacca esclusivamente le piante di castagno. Per cui la produzione è molto scarsa, così come la qualità. La zona collinare del circondario di S. Cristina vanta senza dubbio un qualità eccellente di castagno ma la malattia e la forte diminuzione del numero degli alberi, stanno danneggiando l’economia di questo prezioso frutto. La nostalgia degli usi dei nostri nonni e quel’alimentazione sana e paesana, ha smosso le fantasie attrattive degli organizzatori turistici. Infatti, ormai da anni sono in uso delle sagre dei prodotti tipici. Ed è proprio in questo contesto che a S. Cristina d’Aspromonte è stata organizzata il 9 novembre 2014, la 7° Sagra della Castagna. Clementi le condizioni atmosferiche per quella data, è stato

subito messo in bella mostra il pastijaru, un padellone di circa 1.5 metri di diametro fatto apposta e collocato nella caratteristica ed accogliente piazza Vittorio Emanuele II. Ma la cosa più bella è che tantissime donne cristinesi, hanno lavorato per circa 15 giorni per preparare migliaia di pezzi di dolci in cinque specialità: crepes, bignè, castagnaccio, torta e ciambella, tutte di castagna. Molti i visitatori dei paesi limitrofi appassionati di questo frutto, quanto mai raro specie quest’anno. È opportuno dire che si è fatta la Sagra ma, per questa volta, con le castagne comprate altrove per il motivo che abbiamo detto sopra. I visitatori sono stati attratti da quel maestoso pastijaru posto sopra la brace ardente che a sera, dopo le caldarroste, ha accolto la carne di cinghiale offerta dai cacciatori locali, dopo aver mangiato quella bollita. Il binomio castagna-cinghiale funziona a meraviglia e le prospettive turistico-culinarie per questi prodotti locali si prevedono eccezionali se il castagno riprenderà a dare i suoi frutti negli anni successivi. Per coloro che non si sono saziati con le caldarroste ci sono stati panini con salsiccia arrostita su richiesta, non lontano dalla botte di buon vino. Una mostra di 75 foto in bianco e nero di costumi del passato ha dato il tocco suggestivo e, dalle proposte dei paesi limitrofi abbiamo ammirato gli strumenti tradizionali come la lira, il tamburello, l’organetto, la chitarra battente, nonché le crepes alla nutella ed i sopetti per i palati più delicati.


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Dieci anni con l’orto

a Messignadi festeggiato l’orto didattico nel decimo anniversario della sua fondazione

di Francesco Di Masi

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ieci anni ! Un traguardo significativo. Frutto di costanza e di volontà di credere nella promozione di un progetto educativo che si è rivelato importantissimo per la crescita dei ragazzi che, con l’Orto” e attraverso l’orto, hanno acquistato consapevolezza nuova sulla ncessità di difendere l’ambiente che ci offre da sempre sostentamento e risorse. Il diario del decimo anniversario inzia venerdì 30 maggio, con la festa per il decimo anniversario dell’orto scolastico della Scuola media di Messignadi, sezione staccata dell’Istituto comprensivo Oppido – Molochio – Varapodio. Dieci anni con l’orto è appunto lo slogan della ricorrenza, celebrata con un convegno, che ha visto riuniti, nel teatro dell’asilo parrocchiale esperti, rappresentati delle istituzioni locali, docenti, alunni e genitori. Grazie ai proff. Cartisano e Surace, l’evento è diventato un’occasione di incontro, di discussione e approfondimento su tematiche come il valore educativo e la rilevanza didattica degli orti didattici, la corretta educazione alimentare e il riavvicinarsi delle nuove generazioni alla terra. Il Sindaco di Oppido Mamertina, dott. Domenico Giannetta, e il Diri-

Uno dei poster dell' “Orto in Condotta”

gente scolastico, prof. Ferdinando Rotolo, hanno porto i saluti di prammatica dando il via agli interventi. La dott.ssa Arianna Messineo, biologo nutrizionista, ha affrontato il grave problema dell’obesità e del sovrappeso, due “mali” diffusi anche nel nostro Sud e riguardanti soggetti sempre più giovani. All’origine di queste patologie, ha spiegato la dottoressa, vi è lo scarso consumo di frutta e verdura, associato a un eccessivo consumo di calorie e alla mancanza di attività fisica Sull’importanza educativa dell’orto didattico si è soffermata l’arch. Marisa Gigliotti, responsabile del progetto “Terra Madre” di Slow Food Calabria, che ha illustrato


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Il saluto del Vescovo al Convegno per i primi dieci anni dell' “Orto”

il progetto “Orto in Condotta” di Slow Food, nato nel 2004 e oggi comprendente 435 orti diffusi in tutta Italia e che, consentendo ai ragazzi di unire “teoria e pratica”, diventa un valido strumento di educazione ambientale e alimentare. Il prof. Francesco Surace, referente del progetto “Orto in Condotta” per la scuola di Messignadi, ha invece raccontato, con l’aiuto di slide, la storia dell’orto, da lui fondato nel 2004 col sostegno del preside del tempo, prof. Bruno Demasi. Fondamentale si è rivelata la svolta del 2007: dopo la partecipazione del docente al corso di Slow Food sul Progetto Orto In Condotta e la sua adesione alla rete nazionale degli orti didattici, l’orto ha cambiato fisionomia, seguendo i principi dei prodotti “buoni”, “puliti” e “giusti”: niente più monocolture, ma biodiversità, niente più fertilizzanti chimici, ma letame e compost prodotto dalla stessa scuola. Un bilancio più che

positivo per una piccola scuola, che è riuscita, al prezzo di tanto lavoro, disponibilità di tempo e sacrifici, a raggiungere questo importante traguardo. L’orto messignadese è l’unico ancora esistente dei dodici allestiti nel 2009 ma - è stato fatto notare con preoccupazione - il suo futuro è legato inevitabilmente al destino della scuola: la chiusura di quest’ultima ne decreterà inevitabilmente la fine. La prof.ssa Cartisano, ha poi presentato alcuni lavori svolti nell’ultimo biennio: protagonisti gli allievi delle classi 1, 2, e 3A. ai quali sono stati consegnati, inoltre, gli attestati di partecipazione al progetto a conclusione del loro percorso scolastico. Il ritorno dei giovani alla terra, è stato il tema dell’ultima relazione, tenuta dal prof. Domenico Cersosimo, docente di Economia Regionale all’Università della Calabria, che per una felice coincidenza, nel 2009, in qualità di vicepresidente,

aveva approvato i progetti relativi agli orti scolastici suddetti. Il professore ha intrattenuto i presenti con un appassionante discorso sulla situazione agricola italiana, prendendo spunto dall’indagine sui giovani agricoltori italiani, illustrata nel suo recente libro Tracce di futuro, di cui ha letto alcune pagine. Per fortuna negli ultimi tempi si è registrata, complice la crisi, un’inversione di tendenza e i giovani invece di scappare dalla terra, vi ritornano, apportandovi nuove idee, affrontando un mestiere, che, nonostante l’aiuto delle nuove tecnologie, è pur sempre faticoso e richiede molti sacrifici, ma, nello stesso tempo, è bello, dignitoso, gratificante, sano e consente loro di stare a contatto con la natura. Le conclusioni dell’incontro, allietato dai canti degli allievi diretti dal prof. Riganò, sono state affidate a S. E. Francesco Milito, vescovo della Diocesi di Oppido - Palmi che, richiamandosi alla Bibbia, dove è svelata l’azione di Dio creatore di questo giardino meraviglioso che è la terra, di cui Dio ha assegnato all’uomo il ruolo di custode e non di devastatore, ha sottolineato il valore morale del coltivare la terra. Alla fine del suo toccante discorso, l’invito a far sì che l’orto si mantenga anche negli anni a venire. I festeggiamenti si sono chiusi con la benedizione dell’orto, da parte del Vescovo, e un buffet preparato dalle mamme degli allievi.


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di Caterina Sorbara

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omenica 26 Ottobre è stata inaugurata a Rosarno una mostra di arte pittorica e scultorea, unita alla riscoperta degli antichi mestieri. Dopo il successo della prima mostra tenutasi l’estate scorsa, l’artista Francesca Raso, organizzatrice dell’evento, ha fortemente voluto questo secondo evento. Dinamica e tenace, l’artista della cittadina medmea ha riunito altri artisti chev, esporranno le loro opere presso l’Omega Gallery, in via Re Umberto I°, fino al 5 Novembre. Dopo il simbolico “passaggio della chiave” dal primo al secondo gruppo di artisti e la presentazione dell’evento da parte della padrona di casa; il sindaco di Rosarno, Elisabetta Tripodi, nel suo intervento, ha sottolineato l’importanza dell’evento che da lustro alla cittadina medmea e ha ringraziato la prof. Raso per il suo impegno e la sua dedizione all’arte. Presenti per la pittura (insieme alle opere della stessa Raso),Giusy Gaglianò e Anna Guerrisi. Per la scultura Carmelo Zoccali, Cosimo Allera e Vincenzo Zavaglia; mentre per la sezione antichi mestieri, erano presenti Costanza Cunsolo, Felicetta Pugliese e Maria Rosa Varrà con bellissimi manufatti “del tempo che fu”.Il tempo dei nostri nonni. Numeroso il pubblico presente, che ha potuto ammirare le bellissime opere esposte. L’artista gioiese Giusy Gaglianò, da noi intervistata,

Il Sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi e l'artista Francesca Raso

Collettiva di Pittura a Rosarno ha dichiarato di aver accettato con entusiasmo l’invito della prof.ssa Raso che, oltre ad essere una brava artista e una grande amica .Ha continuato dicendo che per lei le opere sono come dei figli che si concepiscono e si mettono al mondo con infinito amore. Le opere esposte della Gaglianò, rivelano una tecnica raffinata con una luce ben dosata. L’opera dal titolo “L’urlo del mare” si tramuta in una vera e propria poesia. Un’altra opera esposta dal titolo “C’era una volta” è densa di ricordi e altrettanta poesia. Guardandolo ci immergiamo in un passato che è nostro che ci appartiene e, sebbene scomparso , vive nei nostri cuori e nella nostra mente. Un macinino da caffè , abilmente dipinto, ci ha fatto ricordare le nostre nonne , quando sedute sull’uscio di casa, macinavano i profumati chicchi del caffè e, l’aria si riempiva del forte profumo. La Madonna incinta, dai contorni morbidi e

di Caterina Sorbara

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abato 15 novembre a Oppido Mamertina, presso il Salone Vescovile della comunità, si è tenuta la premiazione del Primo Concorso Diocesano di Pittura e Arte Sacra: Carità è Bellezza. Dopo i saluti dell’ing. Paolo Martino che, ha ringraziato tutti gli artisti per la loro partecipazione. Continuando nel suo intervento, ha ricordato che, nel corso della storia, gli artisti sono stati vicini alla chiesa. Nella Sacrosantum Concilio , la chiesa ha ribadito la piena autonomia agli artisti e al linguaggio artistico. L’arte nasce per servire la liturgia. Ha ricordato che Mons. Milito è stato sempre vicino agli artisti e questo concorso ne è la prova. Gli artisti sono fiori delicati in una società di pietra. Il sindaco di Oppido Mamertina, Domenico Giannetta si è complimentato con Don Alfonso Franco e con il vescovo per l’iniziativa. Ha precisato che

arrotondati e sul viso la luce dell’amore, ci ha ricordato l’immenso dono della vita, insito in ogni donna. Per Anna Guerrisi, invece, la pittura è una grande emozione che nasce dal profondo del suo cuore ed evoca ricordi ed emozioni. Per lo scultore Vincenzo Zavaglia, la scultura è una grande passione che è insita in lui sin dalla nascita. Bellissima anche l’opera del noto scultore gioiese Cosimo Allera, che ha suscitato tra i presenti non poche emozioni. La sezione dedicata agli antichi mestieri, ha riportato i visitatori indietro nel tempo, quando ogni madre con immenso amore, preparava il corredo alla propria figlia. Coperte e ricami pregiati , frutto di un preciso e abile lavoro delle nostre nonne e bisnonne. Una serata densa di emozioni, quelle autentiche che, toccano l’anima, in fondo l’arte è un dono degli angeli, nasce nelle sfere celesti, per regalare al mondo un pezzettino d’eternità.

Primo Concorso Diocesano di Pittura e Arte Sacra: Carità è Bellezza

San Rocco - Giusy Gaglianò

il nostro territorio è assetato di arte e cultura e questo evento è molto importante. Don Letterio Festa, Rettore della Cattedrale -Santuario, ha sottolineato che nel corso della storia i vescovi hanno sempre protetto l’arte e Mons. Milito si sta impegnando al massimo. Subito dopo, don Alfonso Franco, ha ribadito che la categoria degli artisti è stata sempre quella più coinvolta nella vita della chiesa, in tutti i campi dell’arte. Aristotele, attribuiva all’arte un valore catartico, un’intuizione creativa che riproduce le cose, libera le passioni o li sublima del piacere estetico.


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di Caterina Sorbara

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uando perdiamo una persona cara è difficile, in un momento di profonda sofferenza, pensare agli altri, a chi ammalato e se non avrà un nuovo organo, avrà una prospettiva di vita molto bassa. La donazione degli organi è un atto di grande rispetto per la vita. Un gesto che diventa fondamentale per la vita di un’altra persona: «Donare…un gesto per la vita». E’ stato questo il tema della Prima Edizione del Premio Pina Alessio che si è tenuto a Gioia Tauro, giovedì 30 Ottobre, presso l’antico Palazzo Fallara. L’incontro è stato presentato e moderato dalla dott.ssa Maria Teresa Bagalà, Responsabile del comitato socio-culturale “Pina Alessio”, ed è iniziato con l’intervento del Presidente della Fondazione, Giuseppe Alessio che, si è soffermato sull’importante binomio del donare-ricevere. Dopo i saluti di Tilde Minasi, in rappresentanza della Regione Calabria e di Domenico Giannetta, Assessore della Provincia di Reggio Calabria che, hanno centrato il loro intervento sull’importanza della donazione; ha preso la parola Mons. Francesco Milito, vescovo della Diocesi Oppido-Palmi. Mons. Milito, ha puntualizzato che è necessaria un’educazione permanente alla cultura del donare. Subito dopo il dott. Diego Ponzin,

Un momento della cerimonia di premiazione

Fondazione Pina Alessio «Donare…un gesto per la vita» Direttore della Fondazione Banca degli occhi del Veneto, nel suo intervento, ha spiegato come avviene il trapianto delle cornee e ha illustrato la triplice attività della Fondazione: donazione, clinica e ricerca.Il trapianto delle cornee ha più di 100 anni, infatti il primo è stato fatto nel 1905. In Italia ci sono 7 mila donatori l’anno, 2 mila solo nel Veneto. A seguire il dott. Pellegrino Mancini che ha parlato dell’aspetto clinico e giuridico della donazione degli organi, soffermandosi sulla legge N. 578 del 29 /12/ 1993.Toccanti sono state le testimonianze di 3 persone che hanno subito il trapianto: Michele Ciano, Angelo Brancati e Chicca Vizzari. Alla fine la consegna del Premio al dott. Ponzin, premio consistente in una bellissima scultura del noto scultore gioiese Cosimo Allera. Carmela Alessio, vicepresidente della fondazione, ha consegnato delle pergamene alle autorità presenti. Numeroso il pubblico presente in sala, tra cui: il Consigliere Provinciale Rocco Sciarrone; il Sindaco di Seminara, Giovanni Piccolo; il Sindaco di Sant’Eufemia, Creazzo; Aldo Alessio e Giorgio Dal Torrione, già Sindaci di Gioia Tauro. Nel corso della serata in molti hanno sottoscritto il modello per la donazione degli organi, tra cui la consigliera Tilde Minasi; il vescovo Mons. Milito; il Presidente della Fondazione Giuseppe Alessio e la responsabile del comitato socio-culturale della fondazione Maria Teresa Bagalà. Ricordiamo che Pina Alessio, oltre ad essere una donna meravigliosa, era un ottimo e stimato medico. Nel suo nome, la Fondazione, negli anni a venire si impegnerà a sviluppare tematiche ed eventi culturali di forte valenza sociale.

Il saluto del Vescovo. Alla sua destra Maria Teresa Bagalà e Giuseppe Alessio; a sinistra Tilde Minasi e Diego Ponzin

A seguire gli interventi dei Dirigenti Scolastici: Giuseppe Gelardi, Pietro Paolo Meduri e Timpano Antonella che si sono soffermati sull’importanza dell’evento e sul ruolo che la scuola esercita nel campo artistico. L’artista Angela Pellicanò, ha relazionato sul tema: “Linguaggi contemporanei nell’arte sacra”. Mons. Francesco Milito ha premiato gli artisti che si sono distinti nel concorso. Al terzo posto si è classificata Maria Teresa Borgese; al secondo posto Mauro Caterina con l’opera “Attirami verso di te amore”; al primo posto, Giuseppe Mazzaferro con un’opera sull’importanza della Domenica. Menzione speciale allo scultore Michelangelo Frisina con l’opera “Attraverso gli occhi”. Per la sezione giovani si sono classificati: Antonino Dimondo e Muscarà Francesca. Gli Attestati di partecipazione sono andati a: Papalia Grazia, Gaglianò Giusy; Francesca Muscarà, Maria Rosa Cataldo,Versace Femina, Di Masi Gianfranco, Macrì Petronilla, Antonino Dimondo, Versace Maria Grazia e Latorre Giuseppina.

Nel corso della cerimonia sono stati consegnati attestati di partecipazione a tutti gli artisti che hanno esposto le loro opere a Palmi. Il noto scultore gioiese Cosimo Allera, ha donato la sua opera alla Diocesi. Subito dopo la cerimonia di premiazione, presso il Museo Diocesano, è stata inaugurata la mostra delle opere partecipanti al concorso che, resterà aperta al pubblico fino al mese di Gennaio. Mons. Francesco Milito, ha annunciato che l’anno prossimo si terrà la seconda edizione del Concorso che, avrà come tema: Verità e Bellezza, nella speranza che la bellezza dell’arte possa contaminare tutti. Volto di Donna - Femina Versace


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Finale del Trofeo Nazionale Beach Cross a Gioia Tauro nel segno di Carbone e Zagarella Partenza Gara MX1 Per gentile concessione di Pasquale Pitti riproduzione vietata

Profeti in patria I titoli ad Alex Berenati in MX2 e Massimo Alberto in MX1 di Federica Mamone

Lello Carbone Per gentile concessione di Pasquale Pitti riproduzione vietata

Francesco Giovinazzo Per gentile concessione di Pasquale Pitti riproduzione vietata

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rande giornata di sport sulla spiaggia di Gioia Tauro trasformata in pista da motocross per la finale del Trofeo Nazionale Beach Cross "Mediterranèe" che ha qui concluso una stagione intensa e ricca di momenti agonisticamente di alto livello. Organizzata dal Mc Tirreno, la manifestazione dedicata come memorial a Salvatore Furfaro, un ragazzo di Gioia spentosi poco meno di un anno fa a causa di una grave malattia, ha visto 41 piloti divisi fra minicross, 125, Mx2 e Mx1 darsi battaglia per l’aggiudicazione dei titoli di campione italiano. A parte il titolo della classe amatori MX2 già assegnato con una gara d’anticipo ed appannaggio in Mx2 di Gian Marco Aceto del Maida Off Road di Crotone, di quello del Mini cross 85 cc vinto da Aldo Crea del MC 01 di Messina e dei due titoli Silver, le classi degli ultraquarantenni, appannaggio di Sebastiano Curcuruto del MC Terrenere di Acireale e di Luca Marotta del MC Letojanni, erano in ballo i titoli delle due classi regine la MX2 con Alessandro Berenati (Husquarna del MC 01 di Messina) inseguito da Salvatore Varà e Vichy Campisi sulle Honda del Paolo Rossi Cina di Cinquefrondi e del Motorsport di Reggio Calabria. In MX1 il leader, Alberto Massimo, insidiato da Pier Paolo Pungitore trovava in Claudio Zagarella un avversario di rango. Di fatto in Mx 2 Berenati in gara 1 era costretto a cedere dopo tre giri al comando, la testa e la vittoria al rientrante Lello Carbone che, galvanizzato dal pubblico di casa imprimeva alla gara un ritmo formidabile con Berenati nella sua ruota e dopo un gara in rimonta anche con Varà che concludeva nella scia di Berenati. In Mx 1 Alberto s’involava bene e Zagarella, caduto allo start passava ultimo e poi iniziava un rimonta fantastica che a metà gara lo portava al comando per una vittoria prepotente. Fra i piloti amatoriali Vincenzo Spirli vinceva con merito davanti Corrao e Pisano con le Mx1 mentre Gian Marco Aceto alle sue spalle primeggiava fra gli Mx2. Le seconde manche, aperte come ad ini-


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Alessandro Berenati Per gentile concessione di Pasquale Pitti riproduzione vietata

zio gara, da una batteria minicross che segnava due vittorie del palmese Chicco Riolo davanti a Vincenzo Romano , entrambi su KTM, vedeva nuovamente la replica del duello Berenati Carbone con Campisi e Varà, a far da comprimari. Dopo la metà gara però Berenati cadeva e ripartiva trascinandosi per due giri un lungo pezzo di fettuccia plastica rimasta impigliata nella moto, e transitava in 7 posizione. Nel tentativo di riprendere il ritmo cadeva nuovamente finendo poi per concludere settimo, dietro Carbone, Varà, Campisi, Marafioti, Battaglia e Lombardo. Ma per il campione messinese andava bene così: piazzamento e titolo. La seconda manche della MX1 è destinata a restare nella memoria di chi l’ha vissuta, in sella o da spettatore. Hole Shoot di Matteo Occhino, subito passato da Zagarella e da Massimo Alberto con Luca di Mauro regolare in terza piazza. A posizioni apparentemente standardizzate, dopo la metà gara, colpo di scena con una caduta di Zagarella che perde 6 posizioni e inizia una rimonta travolgente staccando tempi di 2 – 3 secondi inferiori rispetto al secondo miglior crono di gara e nel volgere di poche tornate si ricolloca alle spalle di Alberto attaccandolo e poi passandolo per vincere fra gli applausi dei passi 5 mila spettatori. Fra gli amatori Spirlì e Aceto ripetevano le loro prestazioni vincenti a conferma dei valori di classifica e dei titoli conquistati. Ottimo Domenico Pisano dello Sposato racing che concludeva dietro Antonio Corrao e davanti a Enzo Virduci e Massimino Giugnatico. Infine la Manche

Foto di gruppo durante la premiazione

Giuseppe Marafioti Per gentile concessione di Pasquale Pitti riproduzione vietata

supercampione con i migliori della MX2 e della MX1. Il primo colpo di scena subito dopo lo start con la Honda di Zagarella che si spegne sulla rampa di lancio del salto che porta al traguardo dopo i troppi sforzi che aveva sopportato nell’arrembante 2 manche. Il leader provvisorio, Berenati dopo qualche giro perde la leadership di gara e la lascia a Varà che, con Campisi e Carbone nell’ordine finiranno a podio a conclusione di una giornata di sport da incorniciare. La prova di Gioia Tauro ha concluso una stagione iniziata a fine febbraio a Donnalucata, vicino Scicli, in provincia di Ragusa negli stessi luoghi che i telefilm di Montalbano tante volte hanno mostrato . Subito dopo, ancora in Sicilia, a Letojanni, quindi Paola e Bovalino e dopo la sosta estiva, il circus giungeva in Basilicata, a Policoro, per una gara bella e avversata da pioggia battente. Maltempo che ha caratterizzato anche i giorni prima della gara costringendo i tracciatori della pista a lavorare sotto i temporali della scorsa settimana. Bel tempo e temperature gradevoli premiavano poi gli sforzi, il sabato con la prova di vetture 4×4 che vedevano la vittoria di Domenico Mileto davanti Maurizio Luppino e Michele Reitano, e la domenica con la finale del Beach. Alla fine dopo la premiazione, saluti e ringraziamenti e un arrivederci al 2015.


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La Decorata Cornice della Piana di Diego Demaio

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Reggio Calabria - Monumento al 38° Parallelo Masella - Annà di Melito Porto Salvo Pentidattilo

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imanendo ancora sul versante jonico della nostra provincia si resterà stavolta, a differenza del precedente itinerario che si articolava nel selvaggio quanto affascinante entroterra aspromontano, sull’assolato litorale avendo come meta e giro di boa la pittoresca Pentidattilo (o Pentedattilo). Usufruendo della comoda autostrada si raggiungerà Reggio per immettersi direttamente sulla statale 106. Arrivati poco dopo nella frazione di Bocale si effettuerà la prima brevissima sosta per conoscere l’interessante Monumento al 38° Parallelo, collocato su una evidente piazzola al lato sinistro della strada.

Il Monumento al 38° Parallelo a Bocale foto Diego Demaio

Il significativo blocco marmoreo apuano, proveniente dalla cava Cattani e progettato dall’insigne scultore taurianovese Michele Di Raco, è stato inaugurato il 2 Settembre 1987 per abbracciare idealmente Reggio Calabria ad Atene, Smirne, Seul, San Francisco e Cordova. Risaliti in auto si supererà il panoramico Capo d’Armi (o dell’Armi), dominato dal potente Faro che segnala l’imbocco meridionale dello Stretto di Messina. Attraversata la breve galleria si transiterà sotto l’altissima ciminiera della Liquichimica di Saline Joniche (ennesima inutilizzata cattedrale nel deserto del Mezzogiorno d’Italia) per prendere, lasciando la 106, la strada per Montebello che si snoda lungo il versante destro orografico della fiumara Sant’Elia.

Dopo qualche chilometro di ascesa si giungerà in contrada Masella per fermarsi nel segnalato affaccio, sulla destra dell’asfalto, dove il grande viaggiatore e scrittore inglese Edward Lear (al quale il 24 Giugno 1998 è stata opportunamente dedicata una stele) disegnò il 1° Settembre del 1847 l’incantevole paesaggio di Pentidattilo, mirabilmente descritto nel suo celebre libro intitolato “Diario di un viaggio a piedi - Reggio Calabria e la sua Provincia”. Dalla straordinaria prospettiva si avrà infatti la visuale completa delle dirimpettaie CINQUE DITA rocciose della MANO APERTA del singolare massiccio. Osservando la suggestiva “architettura” si dedurrà che il toponimo greco “Pentadaktyloi” non poteva essere più appropriato per indicarne le peculiarità geomorfologiche del pittoresco luogo. Dopo gli obbligatori scatti di panoramicissime foto si ritornerà sulla 106 per raggiungere la vicina e segnalata uscita per Annà di Melito Porto Salvo e quindi salire verso la dominante Pentidattilo (452 m.). Arrivati dopo pochi chilometri nell’arroccata frazione di Melito si parcheggerà la macchina per visitare, prima di entrare nell’antico borgo, la chiesa della Candelora che si trova all’inizio della diramazione a sinistra che scende nel nuovo abitato. Nel secolare luogo di culto, il litico portale segna la data del 1632, è custodita la pregevole statua in marmo di Carrara della Madonna della Candelora (1564), attribuita secondo alcuni studiosi a Giuseppe Bottone, secondo altri a Giovandomenico Mazzolo.

La Madonna della Candelora in Pentidattilo foto Diego Demaio

Usciti dalla chiesa, dove è stato Parroco anche il venerato Santo Gaetano Catanoso, si procederà a piedi sulla caratteristica stradina di Pentidattilo che conduce all’altra chiesa dei SS. Pietro e Paolo, dall’aguzzo campanile emergente tra tegole di vecchi tetti e rigogliose piante di fichi d’India. Dalla chiesa, tornando indietro di pochi metri, si accederà nel litico portale del Castello, alla sinistra della via, per “arrampicarsi” in mezzo agli antichi ruderi che furono testimoni della tristemente nota “Strage degli Alberti”, signori di Pentidattilo, avvenuta durante la notte della Pasqua del 1686 ad opera dei loro nemici Abenavoli, signori di Montebello.

Pentidattilo foto Diego Demaio




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