Periodico d’informazione della Piana del Tauro, nuova serie, n° 27, Dicembre 2014 Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999
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Je suis Charlie! Regione Calabria: La Giunta che verrà
Beatificazione di Padre Idà
I Care.... A me importa Francesco Mittica: un martire della ferocia nazista
Premio Palmi La strage di Ciaculli Per non dimenticare
Si può fare! Dalla Coop. 101 alla Regione Calabria
Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663
Corriere della Piana del 15 Gennaio 2015
sommario Riceviamo e pubblichiamo
Dichiarazione stampa dell’imprenditore Pippo Callipo sul protocollo di legalità Confindustria-Ministero dell’Interno e sulle White List “Lo Stato fa bene ad attrezzarsi nel migliore dei modi possibili per fronteggiare la criminalità e sconfiggere la cosiddetta zona grigia da me spesso definita ‘la mafia con la penna’ che la sostiene e ne è parte integrante, come svelano inchieste della magistratura in ogni parte del Paese. D’altra parte, per garantire la legalità, gli imprenditori e le loro associazioni di riferimento, hanno sempre offerto la loro collaborazione per contrastare le infiltrazioni criminali nell’economia. Però, lo Stato abbia il coraggio di fare lo Stato fino in fondo. E di colpire le imprese ‘mafiose’ o in ‘odore di mafia’ senza scaricare questa responsabilità sui cittadini e sulle imprese che stanno sul mercato nel rispetto pieno della legalità. Se un’impresa, per una serie di circostanze, è considerata ‘mafiosa’, non la si faccia stare sul mercato col ri-
Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro
Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Pippo Callipo, Giusanna Di Masi, Giovanni Garreffa, Domenico De Angelis, Mina Raso, Girolamo Agostino, Francesca Agostino, Rocco Militano, Gen. Angiolo Pellegrini, S.E. Francesco Milito, Don Letterio Festa, Rocco Liberti, Margherita Mammone, Caterina Sorbara, Filippo Marino, Antonio Roselli, Giuseppe Antonio Martino, Gaetano Mamone, Diego Demaio.
Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 14-01-2015
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La giunta che verrà...
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Si può fare
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I Vescovi Calabresi
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Grafica e impaginazione:
Editoriale Je suis Charlie
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Foto: Free's Tanaka Press, Diego Demaio.
Copertina: Concept by Free's Tanaka Press
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schio, non solo di tenere aperti dei canali di risorse importanti che alimentano le mafie, ma anche di esporre le imprese oneste a compiere passi falsi. Infatti, le imprese oneste, dinanzi ad una situazione equivoca, di imprese sospette presenti sul libero mercato, possono essere tratte in inganno e avere con l’impresa sospetta rapporti commerciali. Non si carichi sulle spalle degli imprenditori sani l’onere di evitare contatti che li esporrebbero ad una serie di rischi, ma si intervenga, con i poteri propri di uno Stato autorevole, per eliminare alla radice le cause di possibili equivoci. Spesso si dimentica che le mafie si contrastano non solo con la repressione, ma anche con il sostegno, che occorre non far mancare mai, a tutte quelle iniziative imprenditoriali sane, che nonostante tutto nascono e sopravvivono. Le imprese, infatti, prima di tutto hanno la necessità di operare in un contesto controllato totalmente dallo Stato al quale spetta il dovere di garantire tutte le necessarie condizioni affinché l’economia sana, le attività sane possano attecchire e progredire creando benessere economico per tutti. Gli imprenditori devono fare il proprio mestiere nella certezza che lo Stato faccia il proprio senza demandare compiti che agli imprenditori non spettano.
Lettera pastorale sugli inchini Avvio beatificazione Padre Idà
Convegno “ComunicAzione e Mondo giovanile”
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Pro Loco Morgetia
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Archivio storico di San Giorgio Morgeto
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Premio Palmi
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Il Presepe di Terranova
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La strage di Ciaculli
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I care... a me importa
18 La giustizia (non) è sempre
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giusta
Chiusura dell'Anno della Verità e apertura dell'Anno della Carità
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Francesco Mittica: è veramente un Santo
Francesco Mittica Martire della ferocia nazista
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Convegno Sikea e Galbatir
29 Liceo Classico Cittanova
70 ma non li dimostra
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Non più schiavi ma fratelli
Premio Mik Bagalà
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Vernissage Giusy Gaglianò
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Riceviamo e pubblichiamo Una postilla a Rocco Liberti Mostra d'arte e Artigianato a Palmi Orto in condotta: seconda parte
Recensione libro Carmela Zivillica
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Sport
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La decorata cornice della Piana
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Editoriale
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di Luigi Mamone
L’
indagine “Guerra Globale” che negli ultimi tre numeri del CdP abbiamo proposto appare, alla luce degli eventi tragici di Parigi, quasi profetica. Eppure crediamo di non aver svolto altro che una analisi appena abbozzata sull’evidenza di una serie di fattori che solo chi non vuole non riesce a vedere. Ancora una volta abbiamo dovuto riscontrare la impreparazione di un apparato di intelligence, in questo caso quello francese, che è stato colto di sorpresa da tre volgari delinquenti - sommariamente addestrati ad uccidere - ma totalmente digiuni di tecniche di combattimento vero. Per fortuna, verrebbe da dire, giacchè, con maggiore preparazione, i tre fanatici avrebbero fatto strage delle falangi dei gendarmi, con il casco al posto del Kepì. E’ stato facile per i terroristi sparare su giornalisti indifesi e sui clienti di un market. Nonostante l’impressionante armamentario non erano - nei fatti - in grado di sostenere un vero combattimento. Grave è che dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo siano potuti scappare quasi indisturbati e che per braccarli alla
fine siano stati mobilitati 88.000 uomini in armi. Con una maggiore intelligenza i tre terroristi avrebbero potuto sparire nel nulla, nascosti dalla tenebra dei loro passamontagna. Ma i volgari assassini - perchè altro non erano - cercavano il martirio. La loro lettura del Corano, certamente distorta, li porta ad uccidere gente indifesa. E’ così che si conquista il diritto di ingresso nel loro paradiso islamico? Abbiamo forti dubbi che Maometto intendesse questo, se è vero che vi sono milioni - forse miliardi di musulmani pacifici e aperti al dialogo interconfessionale. L’ISIS altro non è che il frutto perverso della perversione politica e della distorsione culturale occidentale che, nel tentativo di imporre un cultura diversa nei paesi di maggior rigore integralista, hanno di fatto costruito una realtà terribile di assassini spietati. L’oscurantismo che emerge dalla tragedia francese fa retroagire la prospettiva agli anni bui della Santa inquisizione medievale così magistralmente evocata da Umberto Eco ne “ Il Nome della Rosa”. In quella abbazia che appare oggi la metafora di questa Europa incapace di reagire si consumarono feroci delitti opera di un frate - Jorge da Burgos - severo custode della non fruibilità di un libro di Aristotele sull’ilarità, ovvero lo Humor o la satira o il sarcasmo. Humor, ilarità e sarcasmo che erano il perno della proposta editoriale di Charlie Hebdo. La premessa crediamo sia uguale a quella della situazione in cui versa oggi l’Europa, sotto il costante pericolo degli attacchi terroristici. Pericolo - sia chiaro - di finire come l’Abbazia del Nome della Rosa. Distrutta da un inferno di fuoco scatenato in difesa di presupposti di un integralismo che si sta rivelando sanguinario e non controllabile. La storica passerella dei 40 e forse più capi di stato lungo le vie di Parigi per certi aspetti può sembrare un segnale positivo, per altri è solo un segno di debolezza. Lo spauracchio di tre uomini armati li ha fatti unire, per un giorno, al di sopra delle beghe finanziarie e massoniche di questo gotha di potenti, che, fin’ora ha operato per costruire la gleba del terzo millennio, 40 capi di stato impauriti, perché se tre uomini hanno tenuto in scacco la Francia per tre giorni, cosa sarebbe successo se contemporaneamente, in armi - in tutta Europa migliaia di guerrieri arabi mascherati fossero entrati in azione? L’Europa ha compreso la propria debolezza. I tre scannagatti votati al martirio hanno toccato il nervo scoperto del gigante d’argilla che stenta ancora oggi a capire che bisogna cambiare marcia. Il CdP - da sempre strenuo difensore della libertà di stampa e del diritto di ironizzare, si unisce ai colleghi francesi di Charlie Hebdo e rivendica il diritto di satira. Nessuno dovrà impedire a nessuno di sorridere o di graffiare con un tratto sagace di penna, il diritto di criticare quanto avviene nel mondo.
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A un mese dalle elezioni nulla di nuovo sotto il sole del Sud di Luigi O. Cordova
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La giunta che verrà….
ll’indomani delle votazioni regionali del 23 Novembre, il popolo calabrese è ancora in attesa di conoscere la nuova Giunta che il neo-eletto Presidente non ha ancora formato. Volendo, a tutti i costi, modificare lo Statuto regionale, posto in essere dalla vecchia amministrazione Scopelliti, non solo nella parte “incostituzionale”, quella riguardante la eventuale nomina dei primi non eletti al posto dei Consiglieri nominati in Giunta, dettame palesemente contrario alle nostre norme costituzionali secondo il responso della Corte Costituzionale, chiamata in causa per un suo pronunciamento nel merito dal Governo nazionale, ma anche per l’abrogazione della norma sulla divisione dei componenti della Giunta (allo stato attuale prevede 3 esterni e 3 consiglieri interni) volendo Oliverio avere la possibilità di scegliere liberamente – premesso che i partiti della coalizione glielo consentano - i neo assessori attingendo all’esterno del Consiglio regionale, prevedendo per i neo Consiglieri regionali solo qualche delega ad hoc, come accade per i Consigli comunali e provinciali. Ciò premesso, entrando poi nel merito delle varie attese dei cittadini calabresi vanno subito messe in evidenza i punti focali necessari allo sviluppo del territorio: lavoro primariamente, credito, sanità, dissesto idrogeologico, valorizzazione del turismo, dell’agricoltura, dell’immenso patrimonio culturale e ambientale, di Reggio come Città metropolitana e del porto di Gioia Tauro come zona Zes (Zona Economica Speciale). Prima di ogni cosa per i calabresi è necessario trovare ed incentivare forme di lavoro per i nostri giovani, avendo la Calabria il triste record del maggior indice di disoccupazione giovanile, innescando così un freno alla nuova emigrazione della nostra epoca, che non prevede il trasferimento al Nord e più spesso all’estero di soli operai, come accadeva solitamente negli anni scorsi, ma anche di diplomati e laureati che in gran numero si riversano verso paesi esteri principalmente Germania e Inghilterra, creando in loco nuove forme di lavoro, principalmente che tengono in conto la meritocrazia e non il gretto clientelismo. Bisogna che gli Istituti bancari riaprano il credito - come è stato fatto per il risanamento dei loro debiti dalla BCE europea - alle Aziende locali, Nazionali ed Estere pronte a investire sul territorio, godendo di eventuali incentivi fiscali che lo Stato e la Regione debbono necessariamente porre in essere, incentivando forme di lavoro legate alle vocazioni naturali ed ai bisogni del territorio. In primis bisognerà valorizzare il turismo sotto i suoi profili “Marinaro” avendo più di 760 Km di costa ancora con posti incontaminati e non violentati dalla cementificazione, “Montano” con le immense bellezze naturalistiche e paesaggistiche, racchiuse nella Sila e nell’Aspromonte, “Termale” avendo la fortuna di avere stabilimenti con acque e fanghi
miracolosi, ma purtroppo poco sfruttati a causa delle scarse convenzioni poste in essere dalle Regione, a causa dello smisurato debito derivante dalla Sanità in Calabria, vincolata al piano di rientro posto in essere dal nostro Governo che prevede un controllo commissariale (anche per la nomina del Commissario il nostro Presidente sta lottando per ottenerne la investitura dovendo obbligatoriamente ricorrere a un emendamento al Patto di stabilità Nazionale che prevede l’incompatibilità tra i due incarichi di Presidente e Commissario), “Culturale e Religioso” avendo la nostra Regione in tali settori un patrimonio inestimabile e ancora misconosciuto, “Agricolo” che ci vede ai primi posti nella produzione dell’olio d’oliva e degli agrumi nel settore dei succhi, che però bisognerebbe rendere remunerativi, sia eliminando le speculazioni di coloro che li trasformano danneggiando così produttori e consumatori sia impedendo di immettere sui nostri mercati prodotti provenienti da paesi esteri di qualità sicuramente poco affidabili dal punto di vista sanitario e naturale stante gli scarsi controlli nei paesi di origine al contrario di quanto accade in maniera eccessiva in Italia; “Ambientale” sfruttando tutte le forme di energie alternative (eolico, fotovoltaico, solare, bio massa, bio gas ecc. ecc.) nonché giacimenti minerari ed idrici di cui la nostra Regione ne presenta in gran quantità. Discorso a parte meritano la “Sanità ed il dissesto idrogeologico” fonte innumerevole di sprechi e inefficienze la prima, tranne rare eccellenze – tra l’altro con un piano sanitario che penalizza sempre di più gli anziani che non solo si ritrovano spesso senza assistenza ospedaliera ma anche in sofferenza per l’assistenza domiciliare e residenziale – mentre per un territorio come il nostro sottoposto alle intemperie e alle calamità naturali ci permettiamo addirittura il lusso di rimandare indietro alla Comunità Europea fondi non utilizzati spesso per incapacità progettuale e per le innumerevoli lungaggini burocratiche, che per un intreccio tortuoso di vincoli tecnico-giuridici rendano eterni lavori e cantieri che ritardano nel tempo il completamento di grandi opere infrastrutturali, cito ad esempio l’Autostrada del Sole, la nostra Pedemontana, le varie dighe tra queste quella del Metramo, la Superstrada Jonica, i porti turistici, i 4 nuovi Ospedali di eccellenza tra cui quello della Piana di Gioia Tauro, il Ponte sullo Stretto e il polo marittimo del porto di Gioia Tauro sempre in attesa della multifunzionalità e della ZES, opere queste ultime necessarie per creare sviluppo ed occupazione per la futura Città metropolitana di Reggio, per la nostra Calabria e Sicilia tagliate fuori anche dal miglioramento della rete ferroviaria (ci potremo sognare a vita l’Alta Velocità) e dallo sviluppo della rete dei trasporti aerei e marittimi, che contribuiscono anche a scoraggiare il turismo verso questa terra che Nostro Signore ha dotato invece di bellezze e fonti inestimabili di ricchezze naturali da noi non valorizzate e spesso scientemente danneggiate e distrutte… ma potremmo continuare a parlare di tante altre cose ma di una in particolare non possiamo fare a meno l’integrazione e la solidarietà agli “ultimi”, poveri uomini nella stragrande maggioranza perseguitati, sfruttati e spesso uccisi nei paesi di appartenenza, giunti da noi e in Europa alla ricerca della propria dignità di esseri umani, capaci di offrire il loro lavoro in settori ormai da noi abbandonati, quale l’agricoltura, l’edilizia e il sociale, settore in cui, quasi tutte le badanti vengono dai paesi dell’Est… Buon lavoro Presidente con la speranza che si riesca almeno a fare in modo che la nostra Terra recuperi dignità e lavoro.
Palazzo Regione - Catanzaro
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di Giusanna Di Masi
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I Vescovi calabresi percorrono le vie indicate da Papa Francesco: scomunica per gli ‘ndranghetisti
Un futuro nuovo per la Calabria è possibile; ci crediamo per la fede che abbiamo nell’onnipotenza di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo”. È questa una delle espressioni che colpiscono maggiormente nella nota Pastorale sulla ‘ndrangheta redatta dalla CEC Conferenza Episcopale Calabra e pubblicata nel giorno di Natale. Questa volta l’impegno è stato preso dai Vescovi Calabresi sicuramente ad hoc, nel giorno in cui il Verbo si è fatto carne, per essere vincolante con assoluta certezza e restituire al popolo di Dio quella fiducia e speranza che erano destinate a dissolversi nel nulla, se non avessero avuto un riscontro forte, in una terra sofferente per gli aspetti delinquenziali, dopo la visita Pastorale di Papa Francesco a Cassano allo Jonio, che aveva parlato di “scomunica agli ’ndranghetisti”. Parole forti che trovano riscontro e la volontà di metterle in pratica, solo dopo la pubblicazione di questo importante documento, nel giorno della commemorazione della nascita del Signore. Di fronte all’Onnipotente nessuna promessa o impegno potrebbero mai essere smentiti o perdersi in rivoli demagogici che non incantano più alcuno. Solo i fatti possono ridare fiducia a quanti ormai l’hanno persa da tempo, non trovando nella realtà riscontri positivi. I giovani dovranno crederci più degli altri per rimanere nella loro terra e mettersi in gioco senza paura di fallimenti. Preparare le coscienze è tra i compiti primari della Chiesa ma alle Istituzioni dello Stato tocca colmare quei vuoti di una politica che da decenni non da buoni frutti. Sono i Vescovi calabresi questa volta a scrivere che Chiesa e Istituzioni civili, ciascuna nel
proprio ambito, "devono impegnarsi insieme" per il riscatto di questa terra, nella comune battaglia atta a prevenire stili di vita illeciti, soprattutto a sradicare i tentacoli della mafia, che cerca di infestare ogni ambiente, ogni coscienza, ogni Istituzione. I poteri dello Stato di legiferare e di intervenire attraverso la magistratura e le forze dell’ordine, devono trovare un terreno dissodato: coscienze preparate, ricche di senso civico e morale, acquisito attraverso il cammino formativo delle nuove generazioni. Riconoscere di non essere in comunione con Dio è un appello a intraprendere un cammino di redenzione umana e di reinserimento sociale, ovvero di conversione, non come atto intimistico, ma come proiezione sul piano storico di un’avvenuta trasformazione esistenziale; tale cammino esige, comunque, la riparazione per il male inferto agli altri e al corpo sociale, nonché per le ingiustizie commesse a danno delle persone e della società. Nel caso specifico dello ‘ndranghetista, l’espiazione-riparazione non potrà certo ridare vita agli uccisi, o alle vittime dei reati e degli atteggiamenti mafiosi, ma potrà almeno contribuire alla ricostruzione personale e spirituale e, soprattutto, potrà, con una vita diversa, attaccare il male alla radice, per demolire le fondamenta stesse dell’organizzazione mafiosa. Ancora in maniera forte i Vescovi che operano in Calabria, nella nota asseriscono: «Vogliamo, pertanto, dire in maniera accorata a quanti ancora si trovano e persistono in queste strutture di peccato: “Convertitevi” nel nome di Gesù. “Egli ha fiducia nell’uomo! Comprendete così,
più degli altri, il valore del dolore, del pentimento, della conversione, del ritorno al Padre” disse San Giovanni Paolo II ai detenuti del carcere di Reggio, indicando anche il tempo della detenzione come “medicinale” per tornare nella società rinnovati. “Se crescerà in voi lo spirito di cristiano - proseguì il Papa - potrete con sincerità riconoscere le vostre colpe, cercare il perdono di quanti avete danneggiato...” In questa prospettiva, attraverso la presente Nota pastorale e, soprattutto, con le proposte e le azioni in essa contenute, vogliamo infondere coraggio e, soprattutto, rilanciare la fiducia nelle grandi capacità dei calabresi, credenti e persone di buona volontà, troppo spesso vanificate dalla indifferenza, dalle omissioni, dalla mancanza di impegno e dalla rassegnata indulgenza di molti. L’atavico fatalismo, che si ritrova in alcune nostre realtà, ha finito talvolta per travolgere ogni esperienza, facendo della sterile attesa la cifra essenziale dell’esistenza, il contrario cioè dell’autodeterminazione e della responsabilità, dell’impegno attivo e del rinnovamento. La parola chiave è una sola: Vangelo! Illuminata dal Vangelo, tutta la morale civica riveste e rispecchia il significato e il dinamismo teologale della fede. La certezza, questa volta, è che la Chiesa guidata dall’Onnipotente, porrà le basi per il cambiamento in Calabria. Non c’è nulla da aggiungere a quanto i Vescovi delle diocesi calabresi hanno pubblicato il giorno di Natale, ma solo attendere il loro Direttorio che rappresenterà il modo operativo con cui si dovrà intervenire sul territorio.
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Lettera Pastorale sugli “inchini”
di Giovanni Garreffa
Datata 1916
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l messaggio che un Vescovo indirizza ai fedeli della Diocesi affidata al suo sacro ministero, a mezzo di lettera pastorale, ha una efficacia limitata nel tempo, ovvero costituisce sollecitazione e guida “sine die”? Cerco di rendere meglio il punto nodale del mio dubbio: in sostanza, cambiando Vescovo, si considera contestualmente concluso anche il periodo di vigenza del suo messaggio? Confesso umilmente la mia ignoranza in merito, tuttavia il lume della logica di credente mi induce a ritenere che la Chiesa, quale “ Mater et Magistra ”, nel suo magistero si esprime con indicazioni a valenza, se talvolta non proprio perenne, quantomeno abbastanza duratura. In verità, non ho notizia che nel corso di una storia ormai più che bi-millenaria si sia verificato che una Enciclica, o una Lettera Pastorale, sia stata abrogata o revocata dal successore dell’Autore, Pontefice o Vescovo che fosse. Ecco perché non nascondo la mia meraviglia a fronte della sopravvivenza ancora, se effettivamente posti in essere, dei presunti “inchini”, che tanto polverone hanno sollevato la scorsa Estate e che hanno, senza dubbio, ingenerato notevole confusione e non poche perplessità tra i fedeli. Sono rimasto, però, esterrefatto per l'indecorosa e subdola aggressione, da parte di certa stampa e dei santoni di turno, alla Chiesa Calabrese, accusata di non essersi impegnata adeguatamente nella lotta alla delinquenza organizzata, ignorando, intanto, o facendo finta di ignorare, che la Chiesa non lotta mai contro alcuno, ma sempre per qualcosa. Ovviamente, chi ciò ha detto o scritto ha memoria labile, certamente le sue mani non hanno dimestichezza con la polvere degli archivi, presupposto ineludibile
per documentarsi come si conviene, non brilla per ricerca storica; se, invece, si fosse fatto carico di aggiornarsi, si sarebbe facilmente incontrato con un documento ufficiale che certifica il determinato impegno in merito, da parte dell'Episcopato Calabro, emanato da poco meno di un secolo, molto tempo prima, cioè, che “grida” del genere, di manzoniana memoria, diventassero di moda: intendo riferirmi alla Lettera Pastorale Collettiva per la Santa Quaresima del 1916, solenne esempio di collegialità di cui non si conosce pari. La circostanza sta ad indicare l’importanza che gli Eccellentissimi della nostra Regione, sotto la presidenza di Mons. Rinaldo Camillo Rousset, Arcivescovo di Reggio Calabria, hanno attribuito ad un loro maturato, deciso e responsabile intervento, mirato ad innovare canonicamente, con provvedimenti concreti, sia per quanto attiene alla disciplina delle processioni ( il mio pensiero in questo momento va a posti di esperienza personale come Camini, Careri, Crochi di Caulonia, Polsi…., ma non solo!), sia in ordine alla scelta dei padrini per i Sacramenti del Battesimo e della Cresima; si tratta, dunque, di atto di indirizzo pastorale, ideato, approfondito e dato alla luce molto prima dei proclami oggi abusati da parte dei tantissimi alfieri di crociate del genere, mentre, intanto, non si sa come e perché, l'antistato, comunque, sembra allignare sempre più, con buona pace dei missionari di turno di senso opposto, che non si lasciano sfuggire occasione per fare sfoggio della loro dottrina sociologica in dibattiti, interviste, tavole rotonde e che volentieri si espongono in prima fila, come in vetrina, nei cortei e nelle manifestazioni che, per essere nutriti, nell'impatto con l'opinione pubblica, costringono gli organizzatori a darsi da fare per calamitare scolaresche, in mancanza di folla adulta, ormai disincantata, non risparmiando neppure l'innocenza delle scuole elementari, i cui alunni con un fiore in mano rappresentano il meglio per la ripresa televisiva del giorno. Certo, non è facile capire come, nonostante così autorevole documento, illuminante per pastori e fedeli, nel tempo si siano determinate vistose incrostazioni nei riti processionali, talvolta di non facile rimozione, espressione di una pseudo-religiosità che nulla ha da spartire col Vangelo. La domanda che mi nasce spontanea, invece, riguarda il perché e da chi tale importantissimo documento, disciplinare di rilevante delicatezza e basilare per il cristiano, in particolare per il fedele calabrese, allora, ma non meno oggi, sia stato dimenticato, caduto in disuso, archiviato come qualcosa di nessun conto; eppure, quand'anche fosse andato smarrito in tutte le altre curie, al contrario si trova ben custodito presso l'Archivio Storico Diocesano di Reggio Calabria, molto familiare (almeno così sono propenso a ritenere!) non solo per i suoi Arcivescovi che nel ‘900 fino ai nostri giorni si sono avvicendati, ma anche per i tanti Arcivescovi e Vescovi che quella Chiesa, nel secolo alle nostre spalle, ha dato alla Calabria. Uno di questi è stato il compianto Mons. Giuseppe Agostino, Arcivescovo di lungo corso di Crotone e Santa Severina, il quale ha avuto il coraggio di sciogliere l'associazione dei portatori del quadro della Madonna di Capocolonna, consorella di quella dei portatori del quadro della Madonna della Consolazione di Reggio Calabria, per poi ricostituirla, però secondo criteri da Lui dettati; mi viene da pensare che nei lunghi anni di apostolato nella sua città natale, con responsabilità diverse, non sia sfuggita alla sua attenzione la Lettera Pastorale Collettiva, senza dubbio di portata storica ed esemplare per quanti ancora, in maniera teatrale e con foggia trainante, quasi per professione recitano l'abusata retorica dell'educazione alla legalità, che si concretizza, talvolta, con iniziative strumentalmente coinvolgenti, anche con partite di calcio, maratone, concerti (incoraggiati da finanziamenti pubblici!) e quant'altro. Tutto, insomma, oggi si predica come finalizzato alla lotta all’antistato ed alla formazione di una coscienza legalitaria; sia pure in un tale contesto, rilanciare quella Lettera Pastorale del 1916 certamente non disturberebbe lo spartito di ogni giorno sull'argomento, ma penso che potrebbe rappresentare, nonostante la bella età, un autorevole e pregnante messaggio più che attuale, con l'auspicio di una messa a profitto con efficacia proporzionata alla caratura del pensiero che l'ha ispirata.
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Componenti del Tribunale. Da sinistra il Giudice delegato don Francesco Felice, il Vescovo Mons. Francesco Milito, il Promotore di Giustizia don Giancarlo Musicò e il Notaio Avv. Ettore Tigani.
di Domenico De Angelis
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Il Vescovo Mons. Milito con l'attuale Madre Generale Bernardina Perez e il Superiore Generale P. Rocco Spagnolo
Padre Idà, prospettive di gioia Ufficialmente avviato il 15 Dicembre 2014 il Processo di Beatificazione e Canonizzazione
l 15 Dicembre 2014 è una data da incidere a caratteri cubitali per la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. E non solo. Infatti, per la prima volta nella storia della stessa, è stata avviata ufficialmente una causa di Beatificazione e Canonizzazione. A salire agli onori degli altari, il Servo di Dio, P. Vincenzo Idà (Gerocarne (VV) 1909 – Oaxaca (Messico) 1984 - Fondatore delle Missionarie del Catechismo e dei Missionari dell’Evangelizzazione). Il presente mensile, aveva già evidenziato (n° 23 - Luglio 2014) la bellissima prospettiva annunciata il 17 Marzo 2014 da S.E. Rev. ma Mons. Francesco Milito a conclusione della S. Messa Crismale, tenutasi nella Cattedrale di Oppido Mamertina (RC), di voler aprire ufficialmente la suddetta causa. Il 30 Novembre 2014, il Presule, ha fatto pervenire a tutta la Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, un invito ufficiale a prendere parte alla sessione di apertura dell’inchiesta, fissata per lunedì 15 Dicembre 2014 nella Cattedrale Santuario Maria SS. Annunziata di Oppido Mamertina (RC). L’apertura del Processo è stata preceduta da una iter inteso a promuovere l’apertura della Causa di Canonizzazione. Allo scopo è stato nominato un Postulatore nella persona del Sacerdote P. Aurelio Haxhari (Missionari dell’Evangelizzazione), così come richiesto dalle norme canoniche, ed è iniziata un’indagine previa per stabilire se vi fossero requisiti validi per l’Introduzione della Causa; indagine che ha avuto il suo esito positivo con la concessione del “nihil obstat” della Santa Sede tramite la Congregazione per le Cause dei Santi. Si è così avviata la prima Sessione in cui si sono confermate le nomine dei membri del Tribunale ad hoc costituito con conseguente formula di giuramento. Si è accettato l’elenco di testimoni indicati dal Postulatore e si è indicato il luogo e la data per l’inizio dell’esame dei testimoni stessi al fine di mettere in luce l’eroicità delle virtù e la fama di santità del Servo di Dio. È doveroso segnalare che la Cattedrale di Oppido era stracolma di fedeli, provenienti anche da altre diocesi, per seguire direttamente lo storico evento. Presenti oltre ad autorità civili e militari, anche il Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea Mons. Luigi Renzo e Mons. Cornelio Femia (Vicario generale di Locri-Gerace). È bene e utile, ancora, richiamare qualche cenno biografico del Fondatore: P. Idà, nacque a Gerocarne (VV) il 26-04-1909. Frequentò il Seminario Vescovile di Mileto e successivamente, per gli studi filosofici e teologici, il Seminario regionale San Pio X di Catanzaro.
Ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28-07-1935. Dal 1937 al 1947 fu Parroco ad Anoia Superiore (RC). Sentendosi però, chiamato ad un progetto di vita consacrata, fondò le Suore Missionarie del Catechismo e i Missionari dell’Evangelizzazione. Successivamente, nonostante le precarie condizioni di salute, si trasferì in Messico, dove nel 1975 iniziò le prime fondazioni. Proprio qui, P. Idà ritornò alla casa del Padre il 22-09-1984. Attualmente, le sue spoglie sono conservate ad Anoia (RC), presso la cappella della Casa Madre delle Suore Missionarie del Catechismo. Per approfondire la vita e le opere di P. Idà, si consiglia la lettura del testo scritto dal secondo suo successore, e attuale Superiore Generale, P. Rocco Spagnolo (P. Idà profeta dell’evangelizzazione, San Paolo 2006). Il Fondatore, era consapevole che le possibilità di compiere e operare il bene non sono uguali per tutti e non sono neppure le stesse in tutti i momenti della vita. Ha saputo trasformare l’altezza della vocazione sacerdotale, in profondità d’ascolto dell’animo umano. Proprio per questo, nonostante le precarie condizioni di salute, ha deciso di mettersi a completa disposizione della chiamata Divina, portando, personalmente, l’evangelizzazione e la promozione umana ai poveri più poveri in Messico, negli ultimi anni della sua vita, e affidando ai sacerdoti da lui formati e rimasti in Calabria l’evangelizzazione dallo stesso iniziata nella nostra terra. Prediligeva i diseredati, gli orfani, gli anziani e le fasce più deboli della società. Insomma, un benefattore dell’umanità. I figli di P. Idà (le Missionarie del Catechismo e i Missionari dell’Evangelizzazione) desiderano ancora continuare a coltivare con viva fede, il sogno evangelico del Fondatore. Il cuore del messaggio è gelosamente custodito nella casa generalizia delle Missionarie del Catechismo che si trova ad Anoia (RC) e nella casa generalizia dei Missionari dell’Evangelizzazione sita a Terranova Sappo Minulio (RC). Per continuare a scrivere pagine di una così bella storia, il Vescovo S.E. Rev.ma Mons. Francesco Milito, ha invitato tutti i presenti a pregare il Servo di Dio, P. Idà, affinché si verifichino altri segni della sua presenza. Se di un uomo ancora si parla, è perché ha segnato il passato, e continua ad ispirare il presente. La novità dell’annuncio di P. Idà è ancora attuale. Facendo riscoprire del cristianesimo, la rivoluzionaria novità dell’origine. A noi il dovere della ricerca, dell’approfondimento della Figura e dell’Opera, della preghiera e richiesta di grazie. A Lui (P. Idà) invece, l’intercessione continua presso il Padre celeste. Siamo certi che le grazie non mancheranno a chi con fede si accinge a “chiedere” e “bussare” alla porta del Signore tramite la sua intercessione. Tali grazie, quando verranno, o se sono già in atto, è bello condividerle e certificarne l’autenticità. Sarà poi compito della Chiesa attestarne il valore soprannaturale. Per informazioni e comunicazioni di grazie ricevute scrivere a: “Postulazione della Causa di Beatificazione e di Canonizzazione del Servo di Dio P. Vincenzo Idà” – 89010 Terranova Sappo Minulio (RC), Via Padre Vincenzo Idà, n° 1 Tel. (0039) 0966-619033.
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Convegno “ComunicAzione e Mondo giovanile”
di Mina Raso
“L’Eco del Monteleone – Pascoli” Il giornale tra i banchi di scuola
Giovedì 4 Dicembre si è svolto nell’ aula “Magistris”, dell’ I.C. Monteleone - Pascoli il convegno organizzato dalla dirigente Dott.ssa Maria Aurora Placanica “ComunicAzione e Mondo giovanile” (“L’Eco del Monteleone - Pascoli” Il giornale tra i banchi di scuola) per presentare il giornale alla sua seconda annualità. Con il primo numero, pubblicato l’anno scorso, “L’Eco del Monteleone Pascoli” è stato vincitore di parecchi premi a livello nazionale. La pubblicazione del secondo numero non ha deluso, rinnovando lo stesso successo con un premio vinto e la candidatura “sezione legalità” all’Oscar del Giornalismo scolastico. Ricordiamo che il giornale nasce nell’ambito del progetto P.O.N. modulo “Cronisti a scuola” nell’ ambito del Programma operativo nazionale - “Competenze per lo sviluppo” con l’Europa investiamo nel vostro futuro (annualità 2013/2014-C1-FSE-2013-692); progetto che ha visto i ragazzi, la dirigente e gli insegnanti dell’Istituto comprensivo “Monteleone - Pascoli” di Taurianova (R.C.), tutti coordinati magistralmente dall’esperto esterno Prof. Rocco Lentini, direttore del giornale, supportato dalle tutor Prof.sse Rosanna Nasissi e Simona Leanza (coodirettrici), ricevere il giusto tributo al lavoro che hanno portato avanti con serietà, perseveranza e abnegazione. La manifestazione inizia con i saluti della Dirigente scolastica Dott.ssa Maria Aurora Placanica che, ringraziando tutti i partecipanti al convegno, sottolinea l’impegno con cui tutti hanno partecipato alla riuscita del progetto e il senso d’orgoglio di tutti i ragazzi per il successo ottenuto. L’intervento del Dott. Iamundo, presidente del Consiglio di Istituto e moderatore dei lavori, è stato appassionato nel ribadire l’importanza del lavoro svolto e facendo il suo personale plauso a tutti con particolare riferimento alla Dirigente ed al Prof. Lentini in quanto,
il tema del convegno, si è rivelato affascinante e complesso, conquistando l’attenzione dei presenti. Dopodichè il Dott. Iamundo ha presentato l’intermezzo musicale a cura dei Prof. Andrianò-Barresi-Calderone-Rossin-Ventura. Dopo i convenevoli di rito è proprio il direttore del giornalino Prof. Rocco Lentini a prendere la parola intervenendo sulla differenza tra didattica trasmissiva (per essere precisi quella attuata nelle scuole italiane e decisamente poco attuale) e didattica laboratoriale, di certo più ricettiva e moderna basata sul dialogo tra studenti e docenti e attuata largamente da tempo in paesi europei. Il tema del video che accompagna la presentazione del giornale, è un omaggio a Franco Cassano e al suo “Pensiero Meridiano”, a Terzani ed al suo monologo sulla felicità e conclude citando il filosofo ed economista “Serge Latouche” accusatore più diretto di un' economia catastrofica basata sull’ “Usa e Getta”, titolo di uno dei suoi numerosi saggi. Il secondo intervento vede protagonista Dott.ssa Paola Bottero giornalista, esperta di comunicazione, narratrice e docente presso l’Università di Bari, la quale, oltre che portavoce di diversi Ministeri, è anche tra i fondatori della casa editrice Sabbia Rossa per la quale dirige la collana Tracce. Anche la Bottero basa il suo intervento sul tema della didattica e della comunicazione giovanile ponendo l’accento sulla differenza tra come dovremmo comunicare e come comunichiamo di fatto, le differenze tra il modo di comunicare a cui siamo abituati e i nuovi mezzi di comunicazione usati dai giovani come ad esempio wathsapp ed il suo linguaggio non canonico. All’intervento della Dott.ssa Bottero è seguito dall’intermezzo musicale canoro a cura dei Prof. Avati e Bagalà, che hanno proposto dei brani di famosi autori, tra i quali i calabri Cilea e Florimo, con l’esecuzione dei brani “Tace il labbro”- “Tarantella di Florimo” - “Alla finestra affacciati” - “Serenata di Cilea”. Segue l’intervento del Dott. Mimmo Gangemi scrittore calabrese (vincitore di numerosi premi letterari tra i quali il Bancarella 2010 con il romanzo “Il giudice Meschino” divenuto anche film interpretato da Luca Zingaretti) il quale sposta il discorso sull’etica della comunicazione e sul pregiudizio che si ha nei confronti della Calabria e dei calabresi in genere, di come, quando si parla di cronaca nera o di qualsiasi altro argomento, tutto viene enfatizzato al negativo e di come sono a volte discriminati anche gli stessi autorevoli giornalisti calabresi, come per una sorta di abitudine mentale inculcata negli italiani per cui meridionale equivale a brutto, sporco e cattivo. In chiusura del convegno, l’intervento del Dott. Lamberti Castronuovo il quale sostiene l’importanza dell’essere giornalisti e soprattutto di esserlo giovanissimi, elogiando l’egregio lavoro svolto dall’Istituto nella creazione di questo giornale e di averlo fatto in forma cartacea che resta comunque la forma più gradita al pubblico, nonostante la velocità delle testate on-line. Anche il Dott. Gangemi ha sottolineato quanto sia importante mantenere le nostre intelligenze in Calabria dando modo a loro di potersi esprimere al meglio. La manifestazione si conclude con i saluti ed i ringraziamenti della Prof.ssa Maria Aurora Placanica, con la consegna dei regali ai relatori e con l’esecuzione del brano “Heart - WindFire” medley musicale eseguito egregiamente dai professori di musica, (Fabio Andrianò, Antonio Barresi, Stefano Calderone, Marco Rossin, Mariangela Ventura) ed alcuni allievi della scuola, i quali avevano eseguito il bellissimo brano “Autumn Leaves” anche in apertura. Ricco il buffet che ha accolto relatori e partecipanti in un clima di partecipata allegria, questo convegno conferma ancora una volta il desiderio dei ragazzi della Monteleone - Pascoli di puntare in alto (sorretti dai loro insegnanti e dalla loro dirigente scolastica) e di avere tutti i numeri per farlo.
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San Giorgio Morgeto:
di Girolamo Agostino
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on si parlava ancora di miracolo economico quando a San Giorgio Morgeto fiorivano attività lavorative antiche ed erano vere e proprie forme di sostentamento dell’aspra vita paesana. In quegli anni il nostro paesino era sovrappopolato e nelle famiglie non vi erano giovani che non si dedicavano ad aiutare i genitori nella campagne o nelle botteghe. Si lavorava con sistemi manuali e modi rudimentali non tenendo conto degli orari o dei danni causati al fisico dai pesi eccessivi; vi era un’agricoltura intensa e spesso mista con attività di allevamenti; si producevano ortaggi, cereali, vino, olio, carni e vi erano mulini e frantoi alimentati ad acqua, macellerie, lavorazioni della lana, e un grande numero di maestranze, dedito alla lavorazione del legno, costituiva il fulcro dell’artigianato sangiorgese. Qui, nonostante la buona volontà e laboriosità delle persone, l’intero borgo non riusciva a progredire e si trascinava il peso di un duro passato, cosicché con lo svilupparsi dell’industria nel Nord Italia, si partiva in massa. Visto dalle alture sovrastanti il paesino appare come una cartolina appositamente disegnata, con la strada principale che si snoda fra un verde promiscuo di case sparse e a un certo punto, prima di arrivare all’abitato, costeggia un particolare monticello roccioso. Su questa strada negli anni ’70, di tanto in tanto, si vedevano circolare auto nuove come la famosa Fiat 124, l’Alfa Romeo Giulietta o qualche GT junior. Erano i giovani sangiorgesi emigrati che tornavano in vacanza, orgogliosi di possedere l’auto
“ Il lavoro della Pro Loco Morgetia per promuovere il territorio” nuova ma anche con l’intento di fare colpo sulle belle fanciulle. Tutto questo non è immaginazione ma pura realtà e oggi di queste cose restano solo i ricordi di un passato triste ma bello allo stesso tempo. Visto che la globalizzazione ha distrutto l’arte e i mestieri, la vita di un tempo sta portando a un ripensamento e alla valorizzazione dell’antica economia con mezzi moderni. A San Giorgio Morgeto, il borgo dell’arte antica per eccellenza, a far rivivere negli anni le vecchie tradizioni ci pensa costantemente il gruppo di volontari della «Pro Loco Morgetia» che periodicamente organizza valide iniziative per armonizzare e colorare così le stagioni dell’anno. Durante il periodo estivo di quest’anno, è stata organizzata una magnifica sfilata d’auto d’epoca molto apprezzata dagli amatori, successivamente, nel piazzale sottostante l’antico castello, è andato in scena in quattro serate il «1° Festival delle Tradizioni» dove è stata organizzata una fiera artigianale di notevole pregio artistico, una rassegna di musica etnica con il concerto degli Etnosound, una sfilata di moda con il fine di promuovere la sartoria calabrese ed inoltre, è stato allestito uno stand di gastronomia tipica del territorio. Ma annualmente, come un impegno obbligato della Pro Loco Morgetia è l’organizzazione del «Presepe Vivente dei Bambini» che normalmente si svolge in più serate nei giorni del Natale con la singolare rappresentazione delle antiche usanze ed attività, dove i
protagonisti della manifestazione non sono persone adulte ma bambini, come per significare che la cultura antica della nostra terra sarà viva nelle generazioni future. Come di consueto la manifestazione si svolge ogni anno in zone diverse dell’antico abitato e quest’anno, con il nuovo percorso, abbiamo avuto modo di scoprire le antiche grotte, in parte scavate anche nella roccia che un tempo costituivano i laboratori dei falegnami, dei calzolai, degli spaccalegna, dei fabbri; e poi c’erano la gucceria, il forno, la ricottara, la cantina, la sartoria e tantissime altre attività; naturalmente, alla fine del percorso ci si incontrava nella simbolica natività, sempre opera dei bambini. Come di consueto non mancavano angoli del percorso allestiti per la degustazione dei prodotti tipici e la tradizionale cottura delle zeppole, cosa che invitava i passanti a momenti di sosta molto gradita. Il freddo delle giornate natalizie e la neve che in quei giorni ha imbiancato le montagne vicine, non sono stati di ostacolo alla moltitudine di visitatori che, come una tappa obbligata, sono arrivati per l’occasione da tantissimi paesi e qui a San Giorgio Morgeto sono rimarti soddisfatti per l’accoglienza e la generosità dei cittadini. Il nostro auspicio per la Pro Loco Morgetia è quello che negli anni avvenire possa superare le difficoltà che ostacolano il lavoro per poter ancora regalare al nostro paese importanti iniziative che valorizzano e salvaguardano la nostra identità.
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A San Giorgio Morgeto un importante dono natalizio alla cittadinanza: ripristinato l’archivio storico comunale di Francesca Agostino
A
ncora un evento di grande interesse storico per il Comune di San Giorgio Morgeto. Nella suggestiva e storica sede dell’antico Convento dei domenicani, nel cuore del Borgo, e in piena atmosfera natalizia, ha avuto luogo lo scorso 28 Dicembre 2014, l’inaugurazione e completamento del progetto di ripristino e della nuova collocazione dell’archivio storico comunale. Un complesso documentale vastissimo ed articolato, con volumi e registri della Pubblica Amministrazione Sangiorgese con decorrenza dal 1810 ai giorni nostri. Un patrimonio documentale di estremo interesse storico, finalmente collocato e classificato in una sala appositamente dedicata all’interno dell’antico Convento dei domenicani, fruibile al pubblico e consultabile su richiesta da qualsiasi cittadino interessato. Un progetto “gemello” a quello inaugurato lo scorso anno, relativo al ripristino dell’antica biblioteca comunale “Tommaso Campanella”, che traccia una tendenza in atto, intesa alla tutela della tradizione, e dimostra grande attenzione da parte dell’Amministrazione, guidata dal Sindaco, Carlo Cleri, oltre che sensibilità verso un grande tema: quello dell’importanza del recupero, valorizzazione ed attenta custodia della Storia locale, patrimonio comune, elemento indispensabile di raffronto dell’identità collettiva della cittadinanza, in un’epoca caratterizzata da forte smarrimento e diffuso disorientamento. Un’attenzione e sensibilità verso la valorizzazione e tutela della tradizione,
Il Passetto del re - Vicolo più stretto d'Italia;
Il Sindaco, Carlo Cleri, insieme alle Dottoresse Maria Stella Giovinazzo (a sinistra) e Francesca Agostino (a destra); sullo sfondo: parte dell'Archivio storico.
L’evento è stato inoltre l’occasione per la presentazione al pubblico della tesi di laurea della giovane Dottoressa Maria Stella Giovinazzo su “Il fenomeno dell’incastellamento nel giustizierato di Calabria”. Consegnato altresì il calendario 2015 dell’Associazione “San Giorgio e i Suoi Comuni”. testimoniata anche dalla scelta, fortemente voluta dal Sindaco, di presentare al pubblico la tesi di laurea della Dottoressa Maria Stella Giovinazzo, giovane cittadina sangiorgese laureatasi in Lettere moderne nell’anno accademico 2012/2013, con una tesi afferente al Dipartimento di civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli studi di Messina. Relatore il Prof. Luciano Catalioto. La tesi di laurea è incentrata sul tema del Fenomeno dell’incastellamento nel giustizierato di Calabria (IX – XIV sec.) e propone, in un’interessante ricostruzione storica, le origini, le esigenze, le ragioni, i criteri e le concezioni politiche che sottendono all’organizzazione strutturale del territorio ed all’insediamento di fortificazioni e punti strategici di controllo, protezione e difesa, secondo il binomio di età tardo-antica: “proteggere e dominare”. “I fatti della vita umana, pubblica o privata, sono così intimamente legati all’architettura, che la maggior parte degli osservatori possono ricostruire le nazioni o gli individui in tutta la realtà delle loro abitudini dai resti dei monumenti pubblici o dall’esame delle loro reliquie domestiche”, affermava il celebre scrittore, realista e reazionario francese, Honoré De Balzac nel 1834 nella sua opera “La ricerca dell’assoluto”. Una riflessione che calza pienamente con questo studio e ben descrive lo spirito che anima e orienta il ricercatore. E tra le “reliquie domestiche” ed i “monumenti pubblici” ai quali faceva riferimento Balzac, la Dottoressa Giovinazzo prende in considerazione, come caso-studio specifico, il Castello NormannoSvevo di San Giorgio Morgeto, ricercandone l’origine, esaminandone la struttura architettonica ed i materiali, l’utilizzo delle varie sezioni, le trasformazioni e stratificazioni, funzioni militari ed amministrative dei castellani e la loro successione dal 1053 al 1503. Una raccolta documentale importante e completa che può rappresentare una valida base scientifica per chiunque desideri avvicinarsi o avventurarsi nell’appassionante ricerca delle origini di questa tanto antica, quanto suggestiva struttura, che non ha mai cessato di esercitare fascino e stupore agli occhi dell’osservatore, e suscitare profonde riflessioni e stimolare sete di conoscenza e desiderio di disvelamento delle origini e, in ultima istanza, la ricerca del Senso, che da sempre ossessiona l’essere umano. Una scelta significativa, quella della Dottoressa Giovinazzo, che dà contezza anche di un altro dato: quello del forte legame tra San Giorgio Morgeto ed i propri figli, i quali, pur costretti, per le contingenze economiche e per le profonde criticità che purtroppo attanagliano popoli e territori meridionali, ad abbandonare i propri luoghi d’origine per motivi di studio o lavoro, non dimenticano le proprie origini, ma anzi, le custodiscono nel cuore e tentano comunque di dare un contributo, seppure a distanza, alla valorizzazione della loro terra, all’arricchimento culturale, alla orgogliosa presentazione delle origini anche all’esterno ed alla tradizione dei valori. Il Comune di San Giorgio Morgeto ha conferito alla giovane anche un formale elogio, come forma di riconoscimento ed apprezzamento per l’indagine svolta. Consegnato al pubblico nella medesima occasione, il calendario dell’Associazione “San Giorgio e i suoi Comuni” per il 2015. Il calendario ripropone, per ciascuna mensilità, uno spazio per i Comuni aderenti all’associazione, nel quale gli stessi possono mettere in evidenza siti, luoghi, particolarità, usi e costumi locali, o avvenimenti di interesse. Al Comune di San Giorgio Morgeto è riservato il mese di Novembre 2015, al quale è abbinato un trafiletto teso a mettere in rilievo e diffondere la conoscenza del “Passetto del Re”, un antico passaggio situato a pochi passi dal piazzale antistante l’antico Castello Normanno-Svevo, noto alle cronache per essere al momento, sino a eventuali nuove rivendicazioni, il “vicolo più stretto d’Italia”, con soli 40 cm di larghezza. Un sito suggestivo anche per le leggende popolari che vi gravitano intorno: si dice infatti che Re Morgete, che anticamente dimorava nel Castello, si servisse del ristretto passaggio quale via di fuga e disorientamento del nemico in caso di invasione; la tradizione popolare vuole inoltre che attraversare il vicolo sia un rito di buon auspicio, in specie per le vicende di natura sentimentale. Tutto questo e molto altro a San Giorgio Morgeto, borgo incantato, terra di sorprese e meraviglie.
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PremioPalmi
XX Edizione
Casa della Cultura “Leonida Repaci” - Venerdì 19 e Sabato 20 dicembre 2014
Narrativa “Leonida Repaci” Saggistica “Antonio Altomonte” Premio internazionale “I Sud del Mondo” Città di Palmi
di Rocco Militano
Giuria Walter Pedullà presidente Componenti Pierfrancesco Borgia Corrado Calabrò Rocco Familiari Luigi Lombardi Satriani Michele Mari Raffaele Nigro Santino Salerno
Sponsor
Rotary International Club di Palmi
Premio Palmi per la narrativa e per la sezione internazionale "I Sud del Mondo" Alla Casa della Cultura, nel trentennale della sua inaugurazione, assegnati i premi ai vincitori della XX Edizione
È
stata una edizione difficile da realizzare quella del Premio Palmi 2014, per le ristrettezze finanziarie del momento e per le restrizioni legislative di carattere Nazionale che hanno investito gli Enti pubblici. Il tessuto sociale e culturale palmese però, con le sue elevate espressioni associative, ha saputo ben affiancare il Comune nello sforzo di conservare quelli che sono i patrimoni culturali di eccellenza e distinzione della Città, nella consapevolezza che sono oggi fondamento e condizione di sviluppo sostenibile. Così l’Associazione Amici della Casa della cultura Leonida Répaci ha organizzato, pur alla vigilia delle festività natalizie, l’annuale manifestazione del Premio letterario - peraltro al traguardo della XX Edizione - che non è un premio locale e non serve meno dei più importanti premi nazionali, magari più celebri e televisionati - come ha scritto in uno storico messaggio il Presidente della Giuria, Walter Pedullà, improvvisamente impedito a presenziare per problemi familiari. “Mai però - ha precisato Pedullà - il “Palmi” è stato così provinciale da premiare un corregionale ai danni di un autore di altra regione la cui opera risultava migliore. Forse - ha aggiunto - ci sarà capitato di vedere invece qualche libro sfuggito all’attenzione di osservatori nazionali che in realtà si distraggono troppo dinanzi ai problemi e ai meriti della Calabria.” Per questi valori condivisi, l’Associazione Amici Casa Répaci, ed il Club UNESCO in partenariato, su mandato del Sindaco e della Giunta Comunale, continuando il loro impegno nella valorizzazione della figura letteraria di Leonida Répaci, dopo aver adottato, anche per il 2015, la Villa Pietrosa, hanno as-
sunto l’organizzazione della manifestazione e, nel contesto, hanno celebrato il trentennale dell’inaugurazione della Casa della Cultura con la pubblicazione del discorso - manifesto che il 28 Ottobre 1984 Leonida Répaci pronunciò svelando il bassorilievo di Maurizio Carnevale che a tutt’oggi, con le figure dei Rupe, dà nome e simbolo al magnifico complesso. E proprio sulle valenze culturali del Premio - fino a pochi anni fa completo delle Sezioni Ermelinda Oliva per la poesia, e Domenico Zappone per il giornalismo - creato dal Sindaco Armando Veneto e accompagnato per tutti gli anni, dal Segretario Santino Salerno, hanno puntato le Associazioni organizzatrici innescando un meccanismo di partecipazione popolare attiva, necessariamente ridotto, ma che però ha saputo tener conto delle rappresentanze istituzionali della Città, dei club service, dei prestigiosi intellettuali residenti e, soprattutto, del mondo giovanile e studentesco. Gli autori finalisti della narrativa, infatti, dopo il confronto pubblico di presentazione dei testi alla Casa della Cultura, hanno incontrato docenti e studenti nelle aule magne del Liceo Alvaro, del Liceo Pizi e dell’Istituto Tecnico Einaudi, per discutere dei temi culturali attuali traendo spunto dai personaggi e dalle trame delle rispettive opere selezionate. Questo rapporto l’hanno fortemente voluto gli Amici di Casa Repaci perchè è certamente formativo che gli studenti partecipino al dialogo con gli autori ma è anche necessario che gli autori si aggiornino sul mondo giovanile che galoppa per capire cosa pensano e cosa desiderano i giovani di oggi. E poi, di fronte a un attento e compiaciuto pubblico, seguendo la colta conduzione di Annarosa Macrì, le emo-
zionanti votazioni della Giuria dei lettori e le celebrative premiazioni dei vincitori, omaggiati anche con l’artistica Palma d’argento del maestro Carlo Magazzù. E sono stati a questo punto le motivazioni dei premi, esposte dalla prestigiosa Giuria che, per tutte e tre le sezioni, hanno dimostrato l’alto valore letterario dei testi concorrenti e l’interesse che le Case editrici più importanti collegano alla Città di Palmi attraverso il Premio. Vincitore della sezione narrativa fra i tre finalisti è stato Domenico Dara, con la sua opera prima. "Breve trattato sulle coincidenze", Nutrimenti edizioni; poi, ex aequo, Licia Giaquinto, con "La briganta e lo sparviero", edizioni Marsilio, ed Antonio Pascale, con "Le attenuanti sentimentali", edito da Einaudi. I premi della sezione Saggistica sono stati assegnati a Franco Lo Piparo, per "Il professor Gramsci e Wittgenstein", Donzelli editore, con tre menzioni speciali della Giuria a Maria Teresa Milicia, per il saggio "Lombroso e il brigante". "Storia di un cranio conteso", Salerno Editore, ed a Cosimo Sframeli e Francesca Parisi, per il saggio "A 'Ndrangheta", Falzea Editore. Per la Sezione Internazionale "I Sud del Mondo" invece, il premio è stato assegnato ex aequo a Cosimo Damiano Damato e Giovanna Taviani, figlia e nipote dei due celeberrimi fratelli registi. Sono stati proprio i due giovani registi ad essere premiati dal Sindaco di Palmi dott. Giovanni Barone e dall’avvocato Armando Veneto tra gli applausi del pubblico a chiusura del racconto di Damato della sua ultima esperienza sul set del film "Tu non c’eri" - che è ancora in fase di post-produzione - e della lunga e coinvolgente intervista della estrosa Giovanna Taviani, palesamente figlia e nipote d’arte!
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Il Presepe di Terranova realizzato da Cartellà Maria, Cartellà Rocco, Larosa Teresa, Longo Anna e Mazzacuva Giovanni
Il Presepe di Terranova realizzato da Mastroieni Bruno e Ricevuto Fortunato
Il presepe, segno universale d’umanità e fratellanza
di Domenico De Angelis
A Terranova S.M. due pregevoli rappresentazioni
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l periodo natalizio, si sa, è caratterizzato da atmosfere e simboli di inconfondibile richiamo dell’evento che si va a vivere. Uno di questi simboli, è il presepio o presepe, che rappresenta la scena e i personaggi della natività di Gesù, il “Bambinello”. La tradizione, attribuisce a S. Francesco d’Assisi la prima rappresentazione della natività. In particolare, nel Natale del 1223, il Santo, avrebbe formato, a Greccio (RI) un presepe vivente. Da allora, è stato ricostruito con un gusto popolare, nelle chiese e nelle case durante tutto il periodo natalizio. A dare un vigoroso input alla realizzazione del presepe, è stata l’epoca barocca, dove si eccede in fantasia, e si scorgono esempi di presepio più interessanti. In particolare, per l’arricchirsi dei personaggi intorno al nucleo principale della Sacra Famiglia. Emerge pure la ricca produzione napoletana, genovese e siciliana. Ci si trova di fronte a un vero e proprio squarcio di vita dell’epoca,
di eccezionale naturalismo e di affascinante bellezza, proprio per la cura dei particolari, che rendono ogni realizzazione originale. Già nei primissimi giorni di Dicembre, ad attirare l’attenzione mediatica è stato un presepe, o meglio l’intenzione di costruirne uno nell’istituto “De Amicis” di Bergamo (BG). Dico l’intenzione, perché il preside del citato istituto, ne vietò la realizzazione, col pretesto di non offendere chi appartiene ad un credo diverso da quello cristiano. Ad ognuno le proprie considerazioni. Certo, se a offendere è la riproduzione della natività, siamo proprio messi bene in tema di rispetto e libertà delle tradizioni nostrane, nonché religiose, che caratterizzano l’intera penisola… Comunque, a ben vedere, si constata, in particolare nella piana, che l’attenzione a tale simbolo natalizio, non solo non manca, ma anzi è sempre più viva e appassionante. Il presente mensile, in particolare nel numero precedente, ha già dato spazio alla bellissima realizzazione di presepi
(anche meccanici), realizzati a Cittanova (RC). Anche Terranova S.M. non ha voluto mancare all’appuntamento con la realizzazione di due pregevoli presepi, rispettivamente: nella Chiesa Matrice S. Maria Assunta e nel Santuario del SS. Crocifisso. Il presepe nella Chiesa Matrice è stato curato da Cartellà Maria, Cartellà Rocco, Larosa Teresa, Longo Anna e Mazzacuva Giovanni, mentre il presepe presente nel Santuario, è stato curato da Mastroieni Bruno e Ricevuto Fortunato. A noi il compito di ammirare ed incentivare tali creazioni artistiche che richiamano il divino e sono rispettosi delle nostre migliori tradizioni. Unanime è stato il consenso e l’apprezzamento per gli artisti terranovesi che hanno saputo cogliere i particolari dell’ambiente e dei personaggi raffigurati. Con la speranza che il campanello d’allarme di Bergamo (sopra menzionato) non si trasformi in una pericolosa deriva. Promoviamo quindi il valore della nostra fede e della nostra cultura.
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Nelle foto: Località Ciaculli
La strage di Ciaculli del Gen. Angiolo Pellegrini
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el cuore della notte il 30 Giugno 1963, gli abitanti di Villabate, paese alla periferia di Palermo, vennero svegliati da un tremendo boato. Era esplosa un’autovettura, carica di esplosivo, di fronte all’autorimessa del mafioso Giovanni Di Peri, parente della famiglia Greco, coinvolta, sin dall’anno precedente, nella c.d. prima guerra di mafia con la famiglia La Barbera. L’attentato provocò il crollo dell’intero primo piano dell’edificio, uccidendo due innocenti. Poche ore dopo, una telefonata anonima, segnalava la presenza in Ciaculli di una giulietta Alfa Romeo sospetta. Il tenente Mario Malausa, comandante della tenenza di Roccella, comprese subito l’importanza della notizia, perché proprio dove era stata segnalata l’autovettura, abitava Totò Greco, uno dei capi dell’omonima famiglia mafiosa. Inviò sul posto una pattuglia dell’Arma, per il sopralluogo, con l’ordine di “non toccare assolutamente nulla”. Portatosi sul posto, con il maresciallo Calogero Vaccaro, Malausa trovò i due carabinieri di pattuglia, Mario Fardelli ed Eugenio Altomare, che avevano
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Per non dimenticare provveduto, con il maresciallo PS Silvio Corrao, a isolare la zona. Notato che all’intero della giulietta si trovava una bombola di gas da cui fuoriusciva una miccia, veniva richiesto l’intervento degli artificieri. Gli stessi, Maresciallo Pasquale Nuccio e l’aiuto Giorgio Ciacci, provvidero a disinnescare l’ordigno apparentemente artigianale, dando il cessato pericolo. Malausa e tutti i militari presenti si riavvicinarono all’autovettura. Poco dopo un boato assordante. La bombola di gas aveva rappresentato solo una trappola. Un seconda carica di tritolo, collegata al portabagagli, era stata involontariamente attivata dal tenente Malausa che lo aveva aperto. Si salvò un solo carabiniere, pur rimanendo paralizzato per il resto della vita. L’opinione pubblica e la stampa si resero interpreti dell’orrore per il vile attentato, che costò la vita a sette servitori dello Stato. L’anno successivo venne istituita la commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Sei anni dopo, in pieno centro di Palermo, si verificò uno dei più cruenti regolamenti di conti della storia. Un commando di killer, apparte-
nenti alle famiglie di mafia di Corleone, di Santa Maria di Gesù e di Riesi, fecero irruzione, con indosso divise di agenti di Polizia, negli uffici del costruttore Moncada, ubicati in viale Lazio, covo del boss Michele Cavataio detto “il cobra”, ritenuto responsabile di aver scatenato la prima guerra di mafia. I killer fecero fuoco su tutti i presenti con pistole, mitra e lupare. Rimasero uccisi Michele Cavataio, che riuscì però a colpire uno dei killer, Calogero Bagarella, tre dipendenti dell’impresa, ed altre due persone estranee ai fatti.
vile attentato, che costò la vita
a sette servitori dello Stato
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Ten. Mario Malausa
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"I Care... A me importa! "
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CARE……letteralmente A ME IMPORTA. Questo era lo slogan con cui i giovani americani manifestavano, negli U.S.A, il loro dissenso alla guerra in Vietnam, negli anni 60’. Nello stesso periodo un giovane sacerdote, sospettato di comunismo dalle autorità ecclesiastiche, fu mandato (quasi in esilio) in un piccolissimo comune del Mugello, Sant’Andrea di Barbiana, dove si dedicò all’educazione dei giovani mettendo a punto l’esperienza di scuola popolare. Quel giovane sacerdote si chiamava Don Lorenzo Milani e pensava davvero che TUTTI a questo mondo avessero gli stessi diritti e gli stessi doveri. Don Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti (Firenze, 27 Maggio 1923 – Firenze, 26 Giugno 1967) è stato un parroco, insegnante, scrittore ed educatore italiano oggi considerato una figura di riferimento per il cattolicesimo socialmente attivo per il suo impegno civile nell'istruzione dei poveri, la sua difesa dell'obiezione di coscienza e per il valore pedagogico della sua esperienza di maestro. Opera fondamentale della scuola di Barbiana è Lettera a una professoressa (Maggio 1967), in cui i ragazzi della scuola (insieme a Don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l'istruzione delle classi più ricche (i cosiddetti "Pierini"), lasciando la piaga dell'analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di Don Milani. Pubblicata dopo la sua morte è diventata uno dei moniti del movimento studentesco del '68. Affermazioni forti, quelle di Don Milani come quando disse: «Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto» oppure «Quando avrete buttato un ragazzo nel mondo di oggi senza istruzione avrete buttato in cielo un passerotto senz’ali.» I ragazzi di Barbiana fecero loro lo slogan dei ragazzi americani “ I CARE”. “A ME IMPORTA”. In contrapposizione al fascista “ME NE FREGO!”……“A ME IMPORTA”……La cultura sociale e popolare contro l’arroganza di chi crede che il termine diritto sia stato coniato a suo esclusivo uso e consumo. La sete di libertà e conoscenza contro l’oscurantismo dell’ignoranza. La cultura della dignità dell’uomo nella sua integrità. “I CARE…. A ME IMPORTA!” Fac-
di Mina Raso
ciamo in modo che anche per noi queste parole diventino una base per la vita. Ripetiamolo e mettiamolo in pratica ogni giorno: A ME IMPORTA …. Se il malaffare e il clientelarismo dilagano nella nostra società. Se chi è ricco si arricchisce sempre di più (in modo illecito e non) alle spalle di chi è povero e ricco non lo diventerà mai. Se c’è una madre che oggi non avrà i soldi per fare la spesa e mettere qualcosa nel piatto del figlio, nonostante suo marito si spacchi la schiena ogni giorno, mentre chi lo dovrebbe pagare (il padrone) va a farsi una crociera. Se c’è chi per avere un lavoro decente (e non parliamo del posto fisso!) deve andare a leccare mille scarpe e bussare ad ancora più porte (che rimangono sistematicamente chiuse), mentre arriva l’incapace di turno (ma accompagnato dal santo protettore) a cui la porta e il portone vengono spalancati. Se un ubriaco se ne va in giro guidando come un matto, travolgendo chiunque gli capiti a tiro senza per questo dover pagare per ciò che ha fatto o se un medico invece di far tutto ciò che è in suo potere per salvare una vita, e svolgere la sua professione con umiltà e passione …. pensa solo al guadagno e se sbaglia la passa liscia proprio perché è un medico. Se un politico può rubare impunemente, tanto anche se lo scoprono dopo un po’ il polverone finisce e l’onorevole può tornare a sedersi tranquillamente in Parlamento a prendersi il suo bravo stipendiuccio (si fa per dire) e a godersi un vitalizio d’oro oltre alla pensione (naturalmente d’oro anche quella). Se la diversità di uomo è determinata dal gonfiore del suo portafoglio o da quanti zeri ci sono sul suo conto corrente. Se i giovani (non tutti ovviamente) oggi hanno come unico obiettivo sballarsi in qualunque modo, vivere la bella vita (quale?), gli abiti firmati, le auto veloci ECCHISENEFREGA se c’è chi muore di fame, chi soffre, chi prega senza essere ascoltato. Se la parola politica si scrive oggi (ed ancor più si vive) con una che più minuscola non si può. A ME IMPORTA …. Se si è arrivati al punto che i bambini possano essere usati impunemente come merce di scambio, da spregevoli individui per le loro perversioni, ed assistere poi quasi indifferenti a chi ha il coraggio di chiedere la nascita di un partito dei pedofili. Se davanti ad ogni ingiustizia lo Stato si scandalizza, si impegna, si indigna e poi getta la spugna, con gran dignità, ma la getta e si gira pagina (DE ANDRE’). Se la vita di un uomo o di una donna vale meno di uno sputo, perché tanto chi la umilia, la distrugge, la infanga… difficilmente viene punito. Se dopo venti o trenta anni ci sono ancora stragi che invocano giustizia mentre questo grido rimbalza contro un muro di gomma fatto di silenzio incrollabile. Se diventa vitale sapere quale VIP ha fatto le corna a chi, o se le veline di turno tirano coca e quanta ne tirano, o i gusti sessuali di questo o quel politico. Ieri Don Milani (e tanti altri preti come lui) oggi anche Papa Francesco, ci ripetono la stessa cosa: la nostra società, la nostra vita, il nostro mondo può essere infinitamente migliore se tutti cominceremo a dire (e a mettere in pratica soprattutto). A ME IMPORTA……………… I CARE
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Taurianova Grande partecipazione e qualificati interventi all’ITCG Gemelli Careri
La giustizia (non) è sempre giusta
Indagini errate ed errori giudiziari dopo il caso "Longo" impongono riflessioni e correttivi. Le analisi del Sen. Buemi, del Magistrato Cosentino, dell'Avv. Napoli e del giornalista Albanese. Dott. Rocco Cosentino
di Luigi Mamone
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a giustizia (non) è sempre giusta. Ovvero: Non sempre la giusta è giusta. Questo il tema, delicato e stimolante di un incontro dibattito svoltosi a Taurianova, nell’Auditorium dell’ITCG Gian Francesco Gemelli Careri su iniziativa di Approdo News e con il supporto della Camera Penale “Vincenzo Silipigni “ di Palmi, di Telemia e TeleCapoSud, che irradieranno sul digitale terrestre le immagini di un momento di analisi spassionata intorno alla realtà del Pianeta Giustizia, la possibile fallacità delle sentenze dei Tribunali, composta da magistrati che - sempre e comunque - uomini restano, al termine di un iter che inizialmente potrebbe apparire rapido o incentrato alla celerità e, troppo spesso, si conclude in uno stillicidio di udienze e di attese che frustrano le legittime aspettative delle parti offese di veder riparati i torti subiti e - ove mai l’indagato/imputato alla fine risulti innocente, anche le sue attese di veder affermata la sua estraneità alle accuse. La stura del convegno - moderato dalla Giornalista Giada Fazzalari e al quale hanno preso parte il Sen. Enrico Buemi, capogruppo PSI alla Camera dei deputati, Presidente della Commissione Giustizia e relatore del progetto per la riforma del sistema giudiziario, il Dott. Rocco Cosentino, Sostituto Procuratore della Repubblica, il giornalista Michele Albanese e l’Avv. Antonio Napoli, è stata offerta dalla vicenda giudiziaria, balzata all’onore delle cronache giudiziarie con il roboante titolo di
“Operazione Rilancio” e che vide tratti in arresto e a lungo detenuti 9 fra imprenditori e politici della Piana fra i quali l’editore di Approdo News, Luigi Longo e l’attuale Sindaco di Seminara, Giovanni Piccolo. Le gravissime accuse di essere uomini delle cosche all’interno del porto, referenti delle Cosche Molè - Piromalli e Alvaro, aggravate dall’aver approfittato delle attività svolte dentro il Porto per introdurre merce contraffatta, nel corso delle indagini cominciarono a rivelarsi prive di fondamento ma - è stato sottolineato - anche dagli stessi Longo e Piccolo che hanno porto alla platea il loro contributo d’esperienza - erano tutti figli di “copia e incolla” fatto dai redattori di atti d’indagine e informative in maniera assolutamente disattenta e senza alcuna cautela se è vero che le frasi dialettali nell’antico slang di Seminara, vennero fatte tradurre dall’incaricato alle trascrizioni da un suo collaboratore dell’alto cosentino, il cui dialetto risente della presenza albanofona in maniera assolutamente errata. Un magistrato disattento o eccessivamente fiducioso della bontà del lavoro svolto dai propri collaboratori di PG, poi - pare - anche seguito di questa brillante operazione spiccò il volo verso una nuova fase di carriera, promosso prima a Procuratore Capo presso la Procura di una grande città della Calabria e poi chiamato al Ministero quale Capo di Gabinetto dell’allora Ministro Paola Severino, guardasigilli nell’incredibile Governo di Mario Monti che rappresenta ancor oggi una delle pagine più nere della storia repubblicana: primo
capo di un Governo non eletto e non amato dalle stesse forze politiche costrette a sostenerlo. Alla fine, dopo periodi di detenzione di varia durata e gravità, si arrivò ad un processo durato cinque anni che portò ad una assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”. Come dire? Scusate, signori imputati e presunti colpevoli, abbiamo sbagliato tutto. Abbiamo preso un abbaglio. Tutto quanto vi è stato contestato non è mai esistito. E certamente - è stato rimarcato non poteva esistere. Longo fatto passare come uomo delle Cosche era in realtà nel contesto del Processo Cento Anni di Storia - colui che aveva denunciato le ingerenze delle cosche e - insieme all’ex Sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio, era stato uno dei testimoni più importanti della DDA. Come sia stata possibile una confusione così dozzinale ancor oggi è un mistero che non si riesce a spiegare. Nelle more del processo l’azienda che Longo, Alessio ed altri soci gestivano andò in decozione e centinaia di posti di lavoro andarono in fumo. Cittadini in attesa di giudizio, ignari alla mercè di un meccanismo elefantiaco. Chi risarcirà questi danni? Su questi spunti si sono soffermati i vari relatori. Buemi, in particolare, ha fatto il punto su tutte le esigenze che sono sottese alla necessità di precedere alla rapida riforma della giustizia. Non solo urge dirimere il problema della responsabilità dei giudici per non incorrere nelle sanzioni della Commissione Europea, ma per dare nuovamente fiducia ai cittadini verso una giustizia certa che, senza venir meno al crisma di garanti-
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smo che il legislatore ha imposto, dia ai cittadini in tempi brevi le risposte che attendono. Occorrerà procedere alla riorganizzazione degli uffici garantendone la funzionalità e l’efficienza, bisogna far si che il rapporto fra il cittadino e la magistratura ritorni a essere incentrato sulla fiducia. Buemi ha rimarcato come il legislatore avesse originariamente sancito la non responsabilità dell’ordine giudiziario e di quello politico. Purtroppo - ha detto - una classe politica che è stata obnubilata da emergenza, di momenti di straordinaria tensione ha caducato se stessa abolendo l’immunità parlamentare che invece si sarebbe dovuta preservare per porre il potere politico in condizioni di attuare anche riforme non gradite ad altri poteri dello stesso. Rocco Cosentino - messosi a parlare a titolo assolutamente personale - ha evidenziato le differenze che possono esistere fra una sentenza di assoluzione, che giunge al termine di un iter processuale finalizzato ad accertare la verità, e l’errore giudiziario che è circostanza diversa. La sentenza che ha mandato assolti Longo, Piccolo e gli altri, con loro imputati, è una sentenza ineccepibile che ha cancellato - semmai - gli errori compiuti in fase di indagine. Errori che - sia chiaro - nelle forme riferite - è inaudito che possano esser stati compiuti. L’errore giudiziario invece è la sentenza che afferma una prognosi di colpevolezza che non corrisponde alla verità storica. Una verità processuale che successivamente si accerta non essere tale. E come tale implica un intervento per restituire al condannato ingiustamente, la sua libertà e la sua dignità. Certo, residua - ed è campo di disquisizione - il problema del ristoro dei danni che - evidenziava Buemi - possono talvolta essere quantificati in milioni di Euro: somme che non si recupereranno mai sanzionando economicamente il giudice con trattenute stipendiali fino al terzo dello stipendio. Sono costi che verranno alla fine sostenuti dai contribuenti. Ma quanti sono stati in 40 e più anni i risarcimenti? Per Cosentino appena 426 in totale. Cifra irrisoria che depone per una soglia di errore percentualmente molto bassa. Ma - se tanto è - in tanti fra il pubblico hanno mormorato - una copertura assicurativa molto seria con la quale il Ministero garantisca i magistrati esposti ogni giorno al dovere di emet-
tere sentenze, potrebbe far quadrare il cerchio. Certo è che l’errore del giudice o del PM - che nel caso di Longo e soci - ravviserebbe la culpa in eligendo e quella in vigilando per aver recepito in toto l’operato di collaboratori di PG disattenti o poco seri non tanto dovrebbe incidere su un obbligo di riparare il danno, ma dovrebbe essere elemento ostativo alla progressione di carriera che avviene - pare - non per merito e per risultati - ma solo per anzianità. Ma il mondo giudiziario ormai convive con quello della comunicazione e dell’informazione. Dall’arresto di Enzo Tortora, lasciato in manette in uno stanzino fino quando non giunsero la stampa e le TV, all’annuncio degli avvisi di garanzia di Mani pulite che Di Pietro faceva conoscere prima alla stampa e poi ai veri destinatari degli stessi, il rapporto fra stampa e magistratura è cambiato. Un tempo i cronisti seguivano i processi, oggi danno enfasi agli arresti - ovvero all’esecuzione di misure cautelari nei confronti di persone in quel momento ancora solo indagate - sottoposte a indagine e non ancora imputati a seguito di elementi di reità tali da consentire di sostenere in giudizio nei loro confronti un’accusa. Su questo Michele Albanese del Quotidiano del Sud ha inteso evidenziare la delicatezza del lavoro cui sono chiamati i cronisti di nera e di giudiziaria evidenziando l’impegno deontologico a rispettare e comunque a non ledere, nell’esercizio dell’informazione, la dignità dell’indagato. Dal versante dell’Avvocatura molto seguito l’intervento dell’Avv. Antonino Napoli - che era stato il difensore anche di Longo nel contesto dell’operazione rilancio - che ha ribadito la necessità di far sempre salvi i diritti dell’indagato e l’obbligo, per chi conduce le indagini, non tanto di dimostrare a tutti i costi un teorema accusatorio ma anche di valutare gli elementi che esaltano l’estraneità alle accuse dell’indagato. Luigi Longo e Giovanni Piccolo hanno reso la loro testimonianza - vissuta dall’interno del tunnel dell'accusa di associazionismo mafioso visto dalla dimensione della cattività forzata dell’indagato detenuto, invitando soprattutto i tanti giovani presenti a divenire testimoni della difesa della legalità. Numerosissimo e qualificato il pubblico. Fra i tanti l’On. Saverio Zavettieri, il neo consigliere regionale Francesco D’Agostino, l’ex Sindaco di Taurianova Domenico Romeo ed il giornalista Emanuele Pechet che, ai microfoni di Telemia, sottolineando l’importanza della stampa per sollecitare le riforme e difendere la legalità, ha acutamente osservato come in Italia, purtroppo sia venuto meno il giornalismo giudiziario d’inchiesta. Quanti giornalisti in Italia oggi avrebbero il coraggio e la capacità di fare quel che fecero i cronisti americani che indagando sul sistema di potere di quegli anni fecero emergere lo scandalo Watergate e costrinsero il Presidente yankee Nixon alle dimissioni?
Luigi Longo, editore di Approdo News
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Chiusura anno della carità Apertura anno della verità
I. 1. La Parola del Signore, Parola di vita eterna - perciò vera - di queste tre ultime domeniche dell'Anno liturgico è la lectio continua del cap. 25 del Vangelo di Matteo. Nell’impianto - o struttura redazionale dell’evangelista all’interno del magistero sull’avvento prossimo del regno dei cieli, dopo la sezione narrativa (1a: capp. 19-23), essa si pone nel cosiddetto “discorso escatologico” (2a: capp. 24-25) l’ultimo dei grandi discorsi di Gesù - come concentrato delle parabole esplicative. Così le parabole “delle dieci vergini” o de «lo sposo che viene», figura centrale del racconto (Mt 25,1-13, XXXII Domenica del T. O.) “dei talenti e della fede” (Mt 25,14-30), “del giudizio finale” o de «il Figlio dell’uomo, il giudizio dei pagani e dei piccoli» (Mt 25,31-46), o de «il Re della gloria e giudice» concentrato sugli eventi ultimi, i ta eschata, sono gli insegnamenti che il Maestro da come sintesi quasi il Tesario finale di tutto il Magistero precedente, che avrà nella Passione, Morte e Risurrezione, la conferma di veracità divina della sua persona e del suo operato. 2. All’esame di maturità della sequela nessuno potrà dire o di trovarsi «sorpreso». Il programma da vivere era stato tutto ben spiegato e provato. Consegnato all’assimilazione e all’appropriazione personale, nessuno - se attento alle lezioni del Maestro - dovrà, o dovrebbe presentarsi e trovarsi impreparato. Di fatto il rapporto definitivo si baserà sulla memoria dei passaggi effettuati: • l’avviso a tener conto di un impegno (l’invito a nozze e l’attesa dello sposo per le vergini; la consegna dei talenti e il rendiconto del loro traffico; la premonizione della presenza di Cristo nei piccoli e negli ultimi) e di ricordarsene; • la verifica sull’impegno dato e accettato; • la valutazione - con conseguente giudizio finale - circa l’osservanza delle consegne. Per essere l’ultimo esame si tratta di appello unico, senza possibilità di recupero in altre sessioni. Prospettiva, si direbbe, terribile - trattandosi della vita senza ritorni oltre questa vita - se, non fosse invece, incentivante, se non sapessimo che non per essere esclusi o bocciati il Signore ha impostato la storia della nostra salvezza, per motivare con forza e spingerci con energia all’opera indicata. 3. In queste costanti di procedimento, l’attenzione è concentrata sui personaggi delle parabole: a gruppi, ma da soli hanno da rispondere personalmente e direttamente al Signore e padrone.
Le vergini imprudenti tutte lo sono perché ognuna di loro è stata insipiente e non previgente alla pari delle colleghe più sagge, tutte insieme, perché ognuna saggia per sé; i primi due servi sono intraprendenti per proprio conto, come il terzo lo è infingardo da sé; la separazione dei popoli di quelli che saranno posti alla destra e alla sinistra, è una divisione collettiva, ma perché ognuno, personalmente, appartiene alla categoria dei benedetti o maledetti, e gli uni e gli altri formeranno un insieme, legato dal medesimo comportamento virtuoso o gravemente distratto. C’è dunque un rapporto diretto e personale, che mette insieme quelli che agiscono in sintonia o in dissonanza con il padrone. Ci si riconosce e si viene riconosciuti appartenente all’uno o all’altro gruppo perché ognuno risponde sotto la personale responsabilità. 4. Ma in queste constanti ci sono anche delle verità che, se comprese, ricordate e ravvivate, permettono di condurre su toni alti la nostra esistenza. Anzitutto il rapporto unico che il Signore ha con ciascuno dei suoi servi. Egli chiama, cioè si rivolge in modo diretto a chi conosce e di cui ha fiducia: per questo consegna quanto gli è caro e gli appartiene come sono i propri beni. Potrebbero essere dilapidati, dispersi, rubati, negati senza artifizi tipici di chi sa arricchirsi a proprio vantaggio e altrui danno. Ed invece è solo l’esercizio di una relazione che non chiede condizioni o pone precauzioni di sorta. Dà, e parte. Non consegna poco. «Il talento, che è un’unità di peso di 30-40 Kg, e significa anche “ciò che è pesato” corrisponde a seimila denari e poiché un denaro, secondo quanto Matteo stesso spiega in 20,2 è il corrispettivo della paga per un giorno di lavoro, si intende qua una somma ingente». Con i cinque talenti si poteva così lavorare retribuiti per 82 anni, con i due per 32 anni, con un talento per 18 anni con residui di avanzi non spiacevoli. Raddoppiati i 5 e i 2 avrebbero sottratto alla disoccupazione più di uno. Un beneficio davvero immenso ma capitale di base a vantaggio di altri. Alla fiducia, il padrone unisce l’accortezza: dà infatti a ciascuno secondo «le proprie capacità», cioè le potenzialità di base e dei propri mezzi. Proprio perché conosce i servi distribuisce in modo oculato, cioè con calcolata prudenza per evitare il fallimento della consegna. Breve l’operazione del padrone, molto più impegnativa quella dei primi due servi. La loro intraprendenza e maestria si rivela nell’immediatezza con cui si mettono all’opera e con i frutti. “Subito”, cioè senza perdere tempo, vanno ambedue ad impegnare i talenti ricevuti e li raddoppiano. Il “subito” indica l’immediatezza operativa, ma non la facilità, pur se spesso un attività sollecita per essere coronata da successo anche fortuito, provvidenziale, e talora insperato. Certo è che ogni risultato esige tempo e capacità di tenuta. Il custodire oculatamente quanto guadagnato è altrettanto encomiabile quanto il saper mantenere integro e intatto il nuovo patrimonio e in ciò vi è un altro merito dei due servi attivi nel tempo intercorrente tra la consegna dei talenti e il ritorno del signore: perché egli ritorna a regolare i conti «dopo molto tempo». Quando non siamo pressati dall’imminenza, il rischio di lasciarsi andare è forte ed anche la possibilità se non di erodere o intaccare il patrimonio raggiunto, almeno di ridurlo a piacimento. Che può sapere il padrone di qualche utilizzo improprio? E invece tutta raggiunta resta integra. Non sappiamo quali arti abbiano praticato i due servi, ma serve poco conoscerlo, dando per scontato che abbiano agito onestamente poiché sarebbe stata falsa e fasullo il risultato, a proprio immediato danno e remoto per il padrone. Conta molto di più registrare l’apprezzamento, la lode e il premio che il padrone concede ampliando i poteri e accogliendoli nella propria gioia. Le qualifiche sono dolci e precise insieme: servo buono, capace di interpretare il pensiero del Padrone, di essersi allineato alla sua magnanimità di cuore e di interessi, e servo fedele, cioè capace e maturo di mantenersi lineare con i precedenti comportamenti, coscienzioso e fidato. La fedeltà su poche cose ha fatto scattare l’ampliamento della fiducia e l’estensione a poteri delegati. Continua la collaborazione, si consolidano i legami precedenti sulla base di un affidamento provato. 5. Si stagliano chiare, ora, le grandi ammirevoli verità da ricordare quotidianamente per vivere con autenticità e credibilità, sordi dinanzi a tutte le sirene di un canto ammaliatrice e non rapiti da fuochi fatui. Il Signore si interessa di ciascuno di noi come se fossimo figli unici. Conosce bene le qualità che abbiamo - è lui stesso che le ha date - e ci proporziona le consegne per la causa del Regno. Lascia tutto il tempo necessario perché quanto va compiuto per suo mandato arrivi allo scopo finale. Esalta oltre l’insperato il dovere compiuto, gode nel verificare l’esatta corrispondenza ai disegni riportati su di noi. L’Anno della verità deve significare per la nostra Chiesa proprio questa riscoperta e questo percorso: intercettare la verità di Dio su ciascuno di noi, per vivere nella verità tra di noi. Solo così i nostri occhi possono posarsi sugli altri e fissarsi in quelli degli altri come quelli di Dio. Ma v’è pure una visione critica guardinga verso Dio, che si ritorce su chi la coltiva a lungo e vi resta a suo modo fedele. È figlia della paura ma anche dell’infingardaggine, cioè di una passività che esclude a priori l’intrapresa di una qualsiasi attività che alla fine a differenza dagli altri due colleghi, non si risolva in positivo per il pigro. La paura della perdita del patrimonio di partenza ritorna come boomerang di accusa in contraddittorio nel confronto con il padrone. E il giudizio è pronunziato a partire addirittura dalle stesse scuse portate a discolpa. Si completa così la verità di Dio sulla nostra vita. A nessuno è permesso di sottrarre e rendere improduttivo il talento ricevuto. La paura non può essere una scusa per un’esistenza chiamata ad essere attiva e produttiva. Dio non tollera amorfi, sfaccendati, timorosi solo di sbagliare. Al patrimonio della sua bontà nel mondo tutti sono chiamati a portare il proprio contributo, nessuno escluso.
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La pena è terribile e sembrerebbe oltraggiosa se non fosse in perfetta antitesi con il premio concesso ai buoni: deprivato dell’unico talento a vantaggio di chi già ne aveva dieci, resterà escluso dal regno di Dio.
II. 1. “Apriti alla verità, porterai la vita” così recitava il tema della Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni di quest’anno, concentrando un binomio che nella vita cristiana e per di più della sequela è inscindibile. Se stiamo nella verità, se siamo cioè da essa posseduti, prepotente sarà il bisogno di portarvi anche chi ancora ne è fuori, o distante o lontano. La contemplazione della verità di Dio operante in noi diventa missione. Chi abita la verità, sente forte la necessità che nessuno ne sia profugo, ma ne diventi, invece inquilino. 2. In questa costruzione solida e robusta prende senso e motivazione l’esercizio delle sette opere di misericordia spirituali, sorelle di quelle di misericordia corporale che, in simmetria con esse nell’Anno della carità, vengono oggi consegnate alle nostre comunità perché
Ammonire i peccatori (febbraio) va al di là di una semplice esortazione a non sbagliare, ma a dimostrare, partendo dalla personale esperienza di perdonati e redenti, che la via del peccato, è via sbagliata, cioè non vera, che se permanente il danno e nella vita presente, irreversibile in quella futura. Consolare gli afflitti (marzo) presuppone l’essere passati attraverso grandi tribolazioni e aver sperimentato la vicinanza e la consolazione di Dio per farsi prossimo, delicato e prudente di chi sta attraversando periodi forti di sofferenza ai limiti della sopportabilità fisica ma anche spirituale. Perdonare le offese (aprile) e sopportare pazientemente le persone moleste (maggio) suppone la resa e la convinzione che l’unica logica che l’unica legge che ne motiva l’esercizio è l’esempio supremo, ammirato in Gesù nei confronti dei suoi avversari operanti, nelle forme più raffinate e perverse dell’inizio del ministero pubblico fino alla morte in croce, culminante nella preghiera di perdono per i suoi carnefici. Queste due opere, le più difficili da vivere personalmente, sono anche le più disattese nelle comunità. Come è possibile celebrare l’Eucarestia, assolvere, predicare la misericordia di Dio per noi presbiteri, se poi troviamo difficoltà che sembrano insormontabili e impossibili da risolvere nel confronto con un confratello di cui crediamo - a torto o a ragione - di essere ostacolati e impediti a vivere in pace o unità esemplare? A quale cristianesimo corrisponde nella Comunità la formazione di gruppi o gruppetti, che si beccano a vicenda, schierandosi per l’una o l’altra parte, eccetto che tutti per Gesù Cristo? Come riteniamo di dover esercitare queste opere, se per primi non vi siamo esercitati noi? Pregare Dio per i vivi e per i morti (giugno) è opera di pietà, è la carità più possibile per il ritorno di bene che ne proviene in questa e nella vita di là.
III.
ispirino, alimentino, animino il primo tempo dell’Anno della verità lasciando alla fantasia, all’inventiva, all’adesione piena alle ispirazioni interiori di ognuno e delle comunità, da esercitarle in pienezza. La loro pratica richiederà più attenzione e dedizione perché non si esauriscano in una attenzione che diventa azione caritativa, ma in un’applicazione che privilegi, pazienza, comprensione, preparazione, competenze, coerenza di vita, fede forte e convinta. Consigliare i dubbiosi (dicembre) comporta essere già passati attraverso e incertezze della scelta e saper indicare come decidersi secondo verità. Insegnare agli ignoranti (gennaio) presuppone la capacità di rendersi conto, di quali sono le carenze degli altri perché siano coltivate con competenza e certezza di dottrina o di saperi.
1. «Ogni vocazione, pur nella pluralità delle strade, richiede sempre un esodo da se stessi per concentrare la propria esistenza su Cristo e sul senso del suo Vangelo. Sia nella vita coniugale, sia nelle forme di consacrazione religiosa occorre superare i modi di pensare e di agire non conformi alla volontà di Dio. È un “esodo che ci porta a un cammino di adorazione del Signore del servizio a lui nei fratelli e nelle sorelle”» - ricordava Papa Francesco, che asta facendo della parresia e dei gesti che l’accompagnano la linea ordinaria del servizio petrino - nel Messaggio alla pre ricordata Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni il cui titolo resta un programma: «Le vocazioni, testimonianza della verità». In tale dinamica l’Anno della verità chiamerà tutte le vocazioni ad appropriarsene, non in modo generico, ma specificatamente per il rispettivo stato di vita. Basti in quest’oggi della sua Apertura fissarne le note peculiari e i testi di supporto che riprenderemo nei prossimi mesi.
A noi Presbiteri è richiesto di «porre mano all’impresa di ripensare la formazione permanente fino a farne un capitolo di quella riforma della Chiesa che Papa Francesco richiama con insistenza e che non si può fare senza un nostro rinnovamento», nella persuasione «che il fattore determinante della vita del Clero è l’assunzione dell’appartenenza al presbiterio come determinazione essenziale della nostra identità sacerdotale» (Lettera dei Vescovi italiani ai presbiteri delle Chiese d’Italia, a conclusione della 67a Assemblea Straordinaria della CEI, Assisi 10-13 novembre 2014). Questi passaggi della lettera dei Vescovi Italiani ai presbiteri delle nostre Chiese riassumono il Messaggio inviato da Papa Francesco all’Assemblea Straordinaria della CEI, riunitasi ad Assisi in questi giorni (10-13 novembre 2014). «Rallegratevi» si intitola la lettera circolare ai consacrati e alle consacrate, inviata dalla Congregazione per gli istituti i vita consacrata e le società di vita apostolica per l’Anno della vita consacrata che avrà inizio con la preghiera nella Basilica di Santa Maria Maggiore il 29 novembre prossimo e che si concluderà il 2 febbraio 2016 nella Giornata Mondiale della vita consacrata nella Basilica di San Pietro. «Rallegratevi, esultate, sfavillate di gioia», «Consolate consolate il mio popolo» sono le corsie indicate ai consacrati nella circolare, che diventa così la magna carta per rilanciare la bellezza e il fascino dei «votati tutti al Regno». Il “Vangelo della vita”, come verità sulla famiglia è il Sacramento del Matrimonio nella dimensione dell’amore e nella pratica della misericordia saremo chiamati a riapprofondire per nuovi contributi al Sinodo sulla famiglia, approdo dell’ampia, articolata vivace riflessione già coinvolgente l’intera Comunità cristiana nelle espressioni di pensiero e di prassi che l’attraversano. 2. Tutte queste stimolanti prospettive in felice coincidenza con il nostro Anno della verità possiamo unificarle nella prospettiva della Chiesa italiana verso il Convegno Nazionale, tra giusto un anno, nel novembre 2015, su “In Gesù il nuovo umanesimo”. Alla fine resta e si ripropone la domanda di Pilato, che trova personificazione ogni qual volta la sfiducia ha il sopravvento sulla ricerca paziente e libera da condizionamenti interni ed esterni: “Che cos’è la verità?” Non è vero che Gesù non abbia dato la risposta: bastava guardarlo con occhi diversi: era lui in persona, vicinissimo. Pilato, piuttosto, non l’ha attesa continuando a fare il giusto indaffarato. «Noi crediamo che Dio non ascolti le nostre domande. In realtà siamo spesso noi che non ascoltiamo le sue risposte» scriveva François Mauriac. Di risposte sulla verità, la Piana ne attende ancora molte: ci sarà tutto un anno per ritornarvi su. «All’unico e indivisibile Dio, al Padre della verità, a colui che ci ha inviato il Salvatore, l’autore dell’immortalità e il rivelatore della verità e della vita celeste, sia gloria nei secoli dei secoli». Amen. Francesco Milito Vescovo
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L’Azione Cattolica oppidese con il Vescovo Peruzzo. Alla destra del Presule, Mons. Vito Cina e Don Domenico Polistena ed alla sua sinistra, Don Samuele Pandini e il giovane Francesco Mittica (Foto di proprietà della Famiglia Mittica, restaurata da Giuseppe Daniele).
“E’ veramente un Santo!”
di Don Letterio Festa
F
La for mazione cristiana, la testimonianza evangelica e l’eroico sacrificio del S. T. Medico Francesco Mittica (1912-1945)
rancesco Mittica, nato ad Oppido Mamertina il 14 novembre 1912, fu uno di quei cristiani che presero sul serio il loro Battesimo. Accanto all’efficace educazione ricevuta in Famiglia, si pose la solida istruzione religiosa, mutuata dal vivo ambiente ecclesiale del suo tempo. Parroco di San Nicola extra moenia - la Parrocchia di appartenenza del nostro Eroe - era l’Abate Mons. Brunone Palaia, sacerdote fornito di una vasta erudizione tradotta in una multiforme produzione in poesia e prosa, tanto da essere definito uno dei più illustri maestri del suo tempo; mentre Parroco della Cattedrale era Mons. Vito Cina, Vicario Generale della Diocesi, Rettore del Seminario Vescovile ed efficace collaboratore di diversi Vescovi. Tra gli Assistenti dell’Azione Cattolica ricordiamo don Samuele Pandini, esperto educatore originario di Lodi, chiamato dal Vescovo Peruzzo per avviare le attività di AC e per reggere il Seminario; don Domenico Polistena, uomo do-
tato di particolare carità cristiana, Canonico Cantore della Cattedrale e, successivamente, Parroco di Tresilico e don Raffaele Petullà, anch’egli successivamente Parroco di Tresilico. Ma un apporto significativo è da attribuirsi ai Vescovi della Diocesi aspromontana con i quali il Mittica ebbe intensi e significativi contatti. Primo fra tutti Monsignor Giovanni Battista Peruzzo. Membro dell’Ordine Passionista, già Ausiliare del Vescovo di Mantova, a causa di attriti con il Governo fascista, nel 1928, fu trasferito ad Oppido dove si dedicò ad una intensa attività pastorale ed alla ricostruzione delle chiese. Nel 1932 fu trasferito ad Agrigento. All’epoca del suo arrivo in Calabria, il buon Presule si preoccupò subito di riorganizzare e rinvigorire l’Azione Cattolica. Il 25 febbraio 1930 diede vita, ad Oppido, al Gruppo Associativo degli Studenti. Nell’ottobre successivo nominò il Consiglio provvisorio diocesano per l’AC e il 1° gennaio 1931 inaugurò il Circolo della Gioventù Maschile oppidese. E’ in questo momento che Mons. Peruzzo nominò Presidente Diocesano della Gioventù Maschile, Francesco Mittica, allora giovanissimo studente in Medicina all’Università di Messina. Grazie al contributo di quest’ultimo, la rinata AC potè contare, in brevissimo tempo, 1029 tesserate tra le fila delle Società cattoliche femminili e 358 tesserati nei ranghi delle Società maschili. Ma la giovanissima Associazione dovette affrontare, a partire dal maggio del 1931, uno duro scontro con le autorità fasciste. Facendo eco alle rimostranze del Papa Pio XI seguite ad alcuni provvedimenti presi dal Governo per limitare l’influenza dell’AC nel campo dell’educazione della gioventù italiana, il Vescovo Peruzzo aveva interrotto un Congresso Diocesano Mariano che era stato indetto per celebrare il XV Centenario del Concilio di Efeso dell’anno 431. Infatti, proprio durante il terzo giorno delle celebrazioni oppidesi, Mussolini aveva dato ordine di chiudere i Circoli giovanili di AC con il sequestro dei labari, dei registri e degli elenchi dei soci. Ad Oppido si riuscì a nascondere tempestivamente il tutto e le forze dell’ordine poterono portare via soltanto una sgualcita bandiera, dimenticata in un angolo. I Circoli della Diocesi furono chiusi e si scatenò la rappresaglia fascista: i giovani cattolici venivano additati, fatti oggetto di scherno e offesi nella loro dignità. E’ in questo difficile frangente che Francesco Mittica cominciò a dar prova di indomita Fede e di ardente testimonianza. Le parole che il Vescovo Peruzzo - che fu l’unico Vescovo d’Italia a pubblicare nel Bollettino Diocesano l’Enciclica Non abbiamo bisogno di Papa Ratti - pronunciò in quella circostanza dovettero profondamente restare incise nel cuore del nostro Eroe, rafforzando le sue cristiane virtù e preparando le disposizioni d’animo che resero possibili gli straordinari gesti da lui compiuti durante la terribile prigionia, fino al suo sacrificio finale: «Non capita ogni giorno di essere
Nelle foto: i Vescovi Giovanni Battista Peruzzo, Nicola Colangelo e Nicola Canino. (Ritratti conservati nell’Aula Capitolare della Cattedrale di Oppido Mamertina, foto di Giuseppe Daniele).
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Altra foto dell’Azione Cattolica oppidese sempre con il Vescovo Peruzzo, seduto tra Don Polistena, Don Pandini e il nostro Mittica (Foto di proprietà della Famiglia Mittica, restaurata da Giuseppe Daniele).
disprezzati, derisi, minacciati e diffidati. Oggi voi lo siete? Rallegratevi, perché cominciate a portare sul vostro corpo le stigmate di Gesù e fatti degni di soffrire per il Crocifisso, tacete come taceva Gesù, soffrite come soffriva Gesù, pregate come pregava Gesù e come Gesù fate del bene a chi vi fa del male. Questo è il vero spirito cristiano e questa è la vera virtù: questo è il mezzo sicuro della vittoria e del trionfo. Amare, perdonare, soffrire». Rientrato lo scontro, il Vescovo ricostituì la Giunta Diocesana per l’AC e lo studente Francesco Mittica fu nominato Delegato per la Gioventù Maschile, il cui impegnò continuò anche con i successori del presule passionista che non mancarono di offrire il loro prezioso contributo per la formazione della sua forte coscienza e della sua sempre più evangelica costanza. Insegnava, ad esempio, Mons. Nicola Colangelo, giunto nella Diocesi oppidese nel 1932 e Vescovo della nostra Chiesa fino al 1935: «Chi vive dell’amore di Gesù si sente acceso da un ardentissimo desiderio di conoscerlo; ed essendo Egli l’apice della perfezione, l’anima è presa dalla passione dell’ascensione fino alla vetta luminosa. Allora il fenomeno che tutti sperimentiamo nel mondo fisico che, cioè, man mano che ascendiamo, le cose sottostanti rimpiccioliscono e finiscono col perdere la propria fisionomia, si ripete nel mondo morale, di misura che l’uomo, di perfezione in perfezione, ascende a Dio e i difetti e le inscindibili miserie della umanità si rendono minuscole, poi si fondono e scompaiono addirittura quando il fortunato conquistatore è già alla vetta, dove tutto è luce e calore. Si tratta di potenziare la Fede ricevuta col Battesimo, formando e temprando la coscienza con quella forza di carattere che fa il vero cristiano e l’esemplare cittadino, sempre uguale a se stesso nello scrupoloso ed esatto adempimento dei propri doveri religiosi e civili». Mentre Mons. Nicola Canino, Vescovo di Oppido Mamertina dal 1937 al 1951, nella sua Lettera Pastorale per la Quaresima del 1938, esaltava la particolare dignità cristiana che rende gli uomini Figli di Dio: «Figli di Dio! Bello questo pensiero. E’ tutta la grandezza, tutta la dignità, tutta la
gioia di noi cristiani; è la considerazione che più eleva e conforta, nelle miserie e nelle meschinità della terra, che dilata il nostro
povero cuore, lo fa sentire grande, gli dà le ali, lo trasporta in alto, oltre le tenebre che coprono il mondo ed oltre la morte che agghiaccia lo spirito. Consapevoli di questa singolare vocazione, particolarmente voi, Soci dell’AC, siete chiamati a compiere la missione della lucerna, siete destinati, nella grande famiglia cristiana, ad illuminare i fratelli smarriti per le vie dell’errore e dell’indifferenza religiosa. Per riuscire in questa missione, bisogna vivere un’intensa vita interiore: solo quando avrete accumulata tanta luce potrete diffonderla intorno». Ed è su questi saldi fondamenti che il Sotto Tenente Medico Francesco Mittica elevò lo stabile edificio della sua eroica testimonianza, consumata nei Lager tedeschi a partire dal 1943. Durante la dura prigionia, egli riuscì a diffondere intorno a se il buon profumo di Cristo, che aveva accumulato negli anni della sua formazione attraverso una fede che «era basata - come testimoniò il suo compagno Francesco Cananzi - sullo studio biblico e che si formava sulla lettura della vita dei santi e si inebriava, nel segreto della sua anima e nel silenzio della sua cameretta, dei
Salmi». «Ringrazio la Provvidenza», scriveva alla famiglia, rendendo lode a Dio per il nuovo campo di battaglia sul quale poteva combattere il suo agone e chiedendo preghiere per se e per i suoi compagni di sventura. Mentre nell’ultima missiva, conservata dai familiari e pubblicata dal Prof. Rocco Liberti, ormai certo della sua prossima fine e con il volto già illuminato dalla luce della Resurrezione, chiedeva: «Non piangete per me; perdonatemi, sono troppo contento della mia sorte perché tutto viene dagli imperscrutabili voleri divini … Fate qualche opera di carità per me, specialmente a quegli ammalati che soffrono nella miseria e senza possibilità di cure». Queste estreme parole, questo ultimo testamento, sono la sintesi di quanto compì durante la sua Via Crucis. I compagni di prigionia e i Cappellani militari testimoniarono come egli «in silenzio sopportava la prigionia», distribuendo a tutti soccorsi e parole di conforto con il volto illuminato da «un raggio di luce e di speme», frutto della sua grande Fede «a cui Ciccio era attaccato più di prima». Dopo anni di scrupoloso e costante allenamento, ecco che il nostro Atleta di Cristo è pronto a scendere in campo «dividendo con l’affamato financo quel prezioso tozzo di pane» che ogni giorno veniva distribuito: «non mangiava per dare agli altri». «Era arrivato al campo senza un bagaglio personale, ma carico di medicinali» con i quali soccorse e salvò da morte diversi prigionieri. «Egli era perfettamente calmo in quei giorni di smarrimento generale e trasparivano dalle sue parole di conforto segni chiarissimi di una rassegnazione veramente cristiana». La sua luminosa giornata terrena si consumò all’alba di lunedì 15 gennaio 1945, in quello che venne chiamato il “campo della morte” di Fullen, all’interno del quale egli era riuscito a portare un raggio di vita eterna. «Il suo pagliericcio era pieno perché tutti i soldati gli avevano dato della paglia togliendola dai loro pagliericci», ma ancora più traboccante era il suo cuore, colmo d’amore per Cristo e per i fratelli. «Fu un angelo della terra ed ora è un angelo del cielo … la sua sede più degna, la patria celeste che egli amò sin dai più teneri anni».
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Un martire della ferocia nazista: di Rocco Liberti
Francesco Mittica di Oppido Mamertina
È
trascorso ben un settantennio dalla conclusione del secondo conflitto mondiale e il ricordo di tante tragiche vicende, è naturale, si è a poco a poco affievolito, ma certamente dalla memoria di un popolo non potranno mai essere cancellati atti di pura barbarie. Si sa, la guerra è guerra, ma le prime tre convenzioni di Ginevra emanate nel 1864, 1899 e 1929 volute dalla croce rossa internazionale e gli interventi di altre istituzioni umanitarie presenti su tutti i fronti di tempo in tempo hanno reso meno crudele la vita dietro i reticolati. Purtroppo, una guerra lunga, dispiegata su vasti scacchieri del mondo e l’odio feroce che ha accompagnato gli animi dei belligeranti, hanno portato a una esasperazione dei comportamenti. Ma se da questi non sono stati esenti gli eserciti di tutti gli stati entrati in conflitto, la condotta più riprovevole è stata ca-
parbiamente perseguìta dalla leadership germanica e dal suo capo, i cui ordini non si potevano proprio discutere. Sono stati tanti i lager approntati nelle terre dominate dai tedeschi, i loro nomi ancor oggi sono espressione di orrore e di biasimo. E tanti anche gli infelici che vi sono transitati o che hanno lasciato la vita tra sofferenze indicibili. Di solito, quando si parla di lager la mente ricorre a carnai come Auschvitz o Dachau, che la soluzione finale ha ideato al fine di liquidare migliaia di persone ree soltanto di appartenere a un popolo pacifico e intraprendente. In verità, vi sono stati altri tipi di campi di concentramento, che hanno interessato, dopo la proclamazione dell’armistizio da parte dell’Italia, cittadini italiani catturati nei rastrellamenti, dissidenti, disertori e prigionieri di guerra. Per questi ultimi si pensava di poterli riutilizzare, se non per combattere, almeno per sostituire nelle fabbriche o nei servizi civili i militari tedeschi che agivano sui vari fronti, per cui almeno inizialmente l’approccio non si era rivelato dei peggiori. Dal momento, però, che il 98% dei militari prigionieri non ha voluto saperne di collaborare, le condizioni di vita sono state inasprite di parecchio, per cui in molti ci hanno lasciato la pelle. I lager che accoglievano i soldati italiani erano detti IMI, riguardavano cioè i militari italiani internati e, più che campi lavoro, si qualificavano puri e semplici lazzaretti, dove ufficiali medici italiani si occupavano, per quanto lo consentivano le condizioni veramente disumane, di curare i propri commilitoni. In buona sostanza, si trattava però di un posto in cui ci si preparava più a morire che a vivere. Uno di questi campi si chiamava Fullen ed è stato in esso che ha trovato rassegnato la morte un calabrese di Oppido Mamertina, il sottotenente medico Francesco Mittica. Fullen è una località della Westfalia nei pressi di Meppel, quasi al confine olan-
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Mittica nel lager
dese. Il campo ivi sistemato consisteva in cinque baracche di legno e andava famoso come il Lager della morte. Difatti, si cessava di vivere per tutta una serie di motivi. Così in una testimonianza orale (G. MESA, Da recitare nei giorni di festa, “SUD Rivista Europea”, 2006) si offre uno dei tanti che hanno avuto ospitalità, si fa per dire, in quell’orribile posto: «Eravamo una squadra. / Dovevamo scavare le fosse per i morti. / Le facevamo tutte ben squadrate. / Era diventato / proprio un bel cimitero. // Gli aereoplani scendevano in picchiata / e mitragliavano. / (Alcuni prigionieri / si coprivano la testa con dei giornali, capirai!) // Partivamo la mattina / scavavamo le fosse. / Poi, sopra, ci mettevamo una croce. // Stavamo lì, / sembrava di essere alla fine del mondo». Il dott. Francesco Mittica, nato a Oppido Mamertina il 14 novembre 1912 da Domenico e Giuseppina Morabito, si è laureato in medicina e chirurgìa all’università di Messina nel 1938 e subito dopo ha frequentato la scuola allievi ufficiali medici di complemento a Firenze. Trascorso il servizio di leva, si è dedicato alla sua missione di medico operando prima a Oppido, quindi a Roma. Scoppiata la guerra, è stato richiamato e destinato prima in Jugoslavia indi in Grecia, ma qui, sopravvenuto l’armistizio, è stato catturato e condotto nei campi di concen-
tramento di Polonia e di Germania. In quei tristi luoghi, ricordandosi di aver militato nelle file dell’azione cattolica e pronto ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, è stato a fianco soprattutto professionalmente dei compagni di prigionia come lui sfortunati, arrivando spesso a privarsi della razione giornaliera di viveri per darla ad ammalati in stato di maggiore bisogno. È quanto segnalano in modo chiaro commilitoni e cappellani militari. Una delle più belle testimonianze sull’integerrima personalità del Mittica è indubbiamente quella che ha fornito il sottotenente Vincenzo Bonito da Varapodio, che ha così tra l’altro scritto: «Ricordo il giorno del nostro primo incontro in prigionia, il 10 dicembre 1943, a Deblin, in Polonia. Tutti eravamo abbattuti, ma sul suo volto vidi un raggio di luce e di speme. La Fede. In mezzo a quella grande bufera, alla Fede, Ciccio c’era attaccato più di prima. ….. Egli in silenzio sopportava la prigionia; non un lamento, non un gesto di scoramento. L’unico suo pensiero era quello di alleviare le pene fisiche e morali dei compagni. Egli oprava infaticabile per questo suo ideale e andava ovunque era spinto dalla sua grande Fede, dividendo con l’affama-
to financo quel prezioso tozzo di pane che giornalmente ci veniva distribuito e distribuendo ai bisognosi i medicinali portati seco, a solo scopo di carità e di bene, dalla Grecia ed i pochi indumenti personali. In silenzio obbediva alle leggi di Dio e, per l’erta del sacrificio, gustava la gioia del trionfo della bontà in un campo di affamati dove egli era veramente l’unica, rara eccezione…. “La carità non conosce limiti ed io cerco di portare aiuto a chi più ne ha bisogno” soleva rispondere a quegli amici che la propria necessità spingeva a rimproverarlo per l’aiuto che egli disinteressatamente dava a sconosciuti bisognosi». Altra bella attestazione è quella fornita dal tenente Francesco Como di Scilla, che si è trovato a condividere tante crudeli ambasce. Stralcio le frasi più significative: «Eravamo in condizioni miserevoli, affetti da deperimento organico, alienazione mentale e soprattutto da TBC in conseguenza della scarsa alimentazione. Questo campo sorgeva in una torbiera e veniva lesinata la torba agli ammalati che soffrivano di freddo; progressivo, di conseguenza, il deperimento e la lotta contro la fame. Lotta che arrivava al punto culminante quando di buon mattino gruppi di ammalati venivano sorpresi dalle sentinelle mentre cercavano tra le immondizie di cucina bucce di patate.
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Egli in silenzio sopportava la prigionia; non un lamento, non un gesto di scoramento.
L’abbandono degli ammalati era assoluto. I pacchi di soccorso inviati dal Vaticano venivano dirottati per altri campi… ………. Ho il dovere di ricordare anche il S. Tenente Dott. Francesco Mittica … che si prodigava ad assistere i compagni ammalati dividendo spesse volte con loro la sua razione di pane e non raramente donando il proprio sangue con grande umiltà, affidando a questo suo gesto l’ultimo conforto a chi doveva morire. Veramente fu un mirabile esempio di abnegazione, di altruismo e di dedizione alle sofferenze umane fino all’immolazione di se stesso».
Ma, sicuramente, a far più fede di tutti è la dichiarazione del cappellano militare dell’infermeria del campo di Fullen, don Giuseppe Barbero, che l’ha consegnata a un libro (La croce tra i reticolati (Vicende di prigionia), Società Editrice Torinese, Torino 1946), nel quale ha descritto le tragiche vicende dei prigionieri che hanno condiviso con lui i tanti momenti di sofferenza. Così scrive egli a riguardo di Mittica «Il medico trasferito all’infermeria di Fullen, di cui sopra, morì il giorno 15 gennaio 1945: era il ten. medico Mittiga Francesco. Anima veramente eletta, ogni giorno si cibava del pane eucaristico, e passava tutta la giornata al capezzale degli ammalati. Era per essi un amico, un consolatore. Spesso divideva il suo pane con loro. Assistendo i malati, già deperito, contrasse quel morbo crudele che lo portò alla tomba. Quante volte lo dovetti rassicurare e tranquillizzare, perché la sua anima delicata quasi lo rimordeva di non fare ancora abbastanza. So che di lui si sta preparando una biografia». Nella stessa guisa è parte di una lettera che il cappellano militare del campo di Fullen, d. Giovanni Farfarana, ha fatto tenere in Oppido ai familiari dopo il decesso: «Fu serena la sua morte. Non si lamentò affatto. Più e più volte chiese al buon Dio che lo prendesse con sé … Mi raccomandò di salutare e di portare un bacio alla mamma, ai fratelli, a tutti i suoi cari e, poco dopo, con un sorriso sulle labbra, quasi pregustasse il Paradiso, rese la sua bell’anima a Dio». In verità, dai pochi spezzoni di lettere inviate a casa dal dott. Mittica ricaviamo agevolmente e in diretta quale si qualificava il suo modello umano e religioso di vita. Così scriveva in occasione del Natale 1943 dal campo di Deblin-Irena: «Carissimi, dolente di non trovarmi con voi, ma sempre spiritualmente a voi unito, celebro il mio Natale in Polonia, terra di Santi, invocando dal neonato Signore, per voi, le più elette grazie del cielo, nella fiducia di ritrovarci tutti uniti, quando a Lui piacerà … I conforti spirituali non mancano». E così in data 15 luglio 1944 dal campo di Dortmund in altra lettera, dalla quale traspare tutto il suo amore per il prossimo e particolarmente per quello che si trovava in maggior bisogno: «Non vi prendete ormai pena di me che sto bene …Ma se è volontà di Dio che io muoia, certo ci sono dei pericoli, lo farò contento e da voi non desidererei altro che cristiana rassegnazione. Vi ringrazio del vostro costante ricordo e delle vostre preghiere: pregate sempre per tutti questi poveri soldati, vere anime in pena, che vivono solo di speranza …». L’ultima lettera che il dott. Mittica ha scritto ai familiari in punto di morte è un raro esempio di fede cristiana. Così quegli vergava dietro i reticolati quando sentiva prossima la fine: «Carissimi, scrivo per confortarvi perché quando leggerete questa mia sarò sparito da un pezzo dalla scena di questo lurido mondo.
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Da tempo mi sono ammalato e temo di malattia grave. A ciò contribuì soprattutto il clima umido poco adatto a me, l’animo agitato durante gli allarmi notturni al ricovero e, più di tutto, la mia pessima abitudine, quando stavo bene, a far dello strapazzo per mantenere il mio corpo nei limiti, essendo costretto a vita sedentaria. Iddio punisce la vanità! Il pensiero che mi addolora è dover lasciare voi che riponevate su di me tanto affetto, tante speranze. Io ero per voi il vostro Ciccio, da voi tutti forse il più amato perché vedevate in me un’anima in pena con i suoi scrupoli, col suo nervosismo, con la sua tristezza. Avevate fatto tanto per me primogenito ed ora giungeva il tempo di remunerarvi. Non piangete per me; perdonatemi, sono troppo contento della mia sorte perché tutto viene dagli imperscrutabili voleri divini. Vi conforti il pensiero che non muoio di fame, sia perché in qualità di medico avevo un trattamento in eccesso di viveri, sia perché avevo tanta roba ricevuta con i pacchi. Avevo scritto a Vorluni, a Petrone, a Musicò, ad una signorina conosciuta in casa degli zii e tutti risposero con l’invio di pacchi, sollecitandomi a spedire altri moduli ancora. Vogliate voi ricambiare per me. Vado a ricongiungermi a Papà ed a tutti i nostri cari e, quando a Dio piacerà, alla piccola anima tutta luce di Roberto, da me sempre e tuttora tanto amato. Da voi non chiedo altro, specialmente dalla Mamma che perdono di tutti i miei trasporti e la vostra benedizione. Fate qualche opera di carità per me, specialmente a quegli ammalati che soffrono nella miseria e senza possibilità di cure. Godetevi la parte dei miei beni e ricordatemi sempre suffragando la mia anima. Un particolare pensiero a Lina ed al suo Rocco, con l’augurio che il cielo li renda felici. Saluti ed auguri a tutti i parenti vicini e lontani. Ricevetevi tutto l’affetto di cui sono capace, oggi più che mai aumentato per voi e l’ultimo abbraccio per sempre». A leggere questa ultima lettera sembrerebbe che il dott. Mittica a Fullen se la passasse alquanto discretamente in fatto di viveri anche perché la continua richiesta ad amici lasciati in paese produceva i suoi frutti, ma le sue dichiarazioni cozzano con quanto rivelato unanimemente dai compagni di prigionia. Che pensare, dunque?
Fate qualche opera di carità per me, specialmente a quegli ammalati che soffrono nella miseria e senza possibilità di cure. Sicuramente, ch’egli, quasi a giustificarsi, non desiderasse accusare della di lui morte la sua stessa caritatevole condotta per non lasciare nei familiari un cruccio che avrebbe potuto offrire loro da recriminare per sempre. Anche in tal gesto si rivela, secondo me, la nobiltà di animo di Francesco Mittica, ch’è stata testimoniata univocamente anche da quanti hanno militato con lui nelle file dell’azione cattolica mamertina. Pochi anni dopo la fine della guerra il 4 luglio 1950 l’amministrazione dell’ospedale civile “Maria Pia di Savoia” di Oppido Mamertina ha ricordato il sottotenente medico finito così tragicamente in terra germanica con una significativa lapide, ch’è possibile leggere in tutta la sua evidenza entrando dal portone principale del nosocomio stesso:
Monito alle future generazioni A perenne ricordo Del S. Tenente Dot. Francesco Mittica Fulgido e raro esempio Di patriottismo Che ne animò e diresse la mente Nel diuturno sacrificio Della sua missione In captività Perseguendo nella generosa offerta Al sollievo della altrui infermità Sotto la sferza teutonica Faceva olocausto Di sé stesso In Fullen addì 15 gennaio 1945 Alla figura del dott. Francesco Mittica sono state riservate a Oppido due manifestazioni pubbliche, nel 2009 e nel 2013. In quest’ultima occasione è stato offerto un libro, nel quale sono state tracciate le sue vicissitudini umane.
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di Margherita Mammone
L’
incontro alla poesia di Lorenzo Calogero, tenutosi a Cittanova e promosso dall'associazione Sykea, in partenariato con il GalBatir e patrocinato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, in collaborazione con il Liceo “V. Gerace” di Cittanova, ha chiuso il ciclo di incontri tematici finalizzati alla promozione della cultura calabrese. L'ultimo appuntamento di “Calabria in pillole” è stato presentato da Maria Antonella Timpano, Preside del Liceo “Gerace”, Francesco Cosentino, Sindaco di Cittanova e da Antonio Alvaro, Presidente GalBatir. La proiezione del filmato “Lorenzo Calogero. L’ombra assidua della poesia”, realizzato nel 2010 dal Dipartimento di Filologia dell’Università della Calabria ha invece introdotto le relazioni, moderate dal giornalista Filippo Teramo, e tenute da Vito Teti, Ordinario di Antropologia Culturale presso l’Università della Calabria, da Gianni Carteri, critico letterario e da Sonia Rovito, dottore di ricerca mentre Maria Valarioti, Presidente dell’Associazione Sykea ha concluso il convegno che ha così voluto dare un contributo ulteriore alla valorizzazione della figura di un poeta, la cui considerazione nel panorama culturale italiano è stata caratterizzata da continue intermittenze. Dal “caso Calogero” emerso subito dopo la scomparsa del poeta calabrese e la pubblicazione della collana “Poeti Europei” nel 1962 all’esaurirsi di ogni clamore appena qualche anno più tardi. Occasione del convegno è stata quella di ricordare l’impegno congiunto del Dipartimento di Filologia dell’Università della Calabria, diretto dal prof. Vito Teti, dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione della Regione Calabria e dei collaboratori dello stesso Teti,che grazie al certosino percorso di ricognizione critica ha
Lorenzo Calogero
CALABRIA IN PILLOLE Momenti Informativi Sykea A.T.C. e GalBatir in CONVEGNO a Cittanova su:
“La Poesia di Lorenzo Calogero”
consentito - dall’acquisizione da parte del fondo calogeriano presso l’Archivio Letterario presso Unical, fino ad allora custodito presso la Casa della Cultura “L.Repaci” di Palmi,la digitalizzazione di tutti gli 804 quaderni che costituiscono l’archivio e grazie alla quale oggi è possibile consultarli on line. Tale operazione di recupero e riordino dei quaderni, si è ricordato nel convegno,ha dato vita al “progetto Calogero” che è proseguito,sempre nel 2010 centenario della nascita del poeta,con l’organizzazione di un convegno internaziona-
le e, in continuità con le linee del progetto calogeriano,nel Giugno di quest’anno con l’uscita della raccolta inedita “Avaro nel tuo pensiero” a cura di Mario Sechi e Caterina Verbaro. Ancora una volta l’Associazione Sykea, in partenariato con il GalBatir, ha saputo coinvolgere più attori così da contribuire a valorizzare uno tra i maggiori poeti calabresi del Novecento. Certo molto ancora resta da fare ma la strada è quella giusta per ridare finalmente voce e ascolto alla suggestiva opera di Calogero, calabrese e reggino di Melicuccà.
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di Caterina Sorbara
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l Liceo Classico è il più antico e prestigioso indirizzo di studio e si caratterizza per una marcata impronta umanistica. Le principali materie di studio sono infatti le lingue e le letterature classiche. “Sapere aude”, diceva il grande Kant; non potrebbe esistere espressione più appropriata per spiegare che questa scuola offre allo studente una formazione completa, ricca dei più grandi insegnamenti del mondo greco-romano, del modo di ragionare filosofico, della consapevolezza storica, della scrittura dei più grandi autori. In poco parole una formazione completa, contraddistinta da lealtà e correttezza verso il prossimo. Ebbene, nella Piana del Tauro, una delle scuole più prestigiose è il Liceo Classico “V. Gerace” di Cittanova che, proprio quest’anno festeggia i 70 anni della sua fondazione. Dal Liceo Gerace di Cittanova, nel corso degli anni, sono usciti grandi professionisti che hanno coperto ruoli importanti in diversi campi sociali. Per festeggiare degnamente questa ricorrenza, la dirigente del prestigioso Liceo, Antonella Timpano ha organizzato un convegno che, si è tenuto stamattina a Cittanova presso l’Auditorium della Banca di Credito Cooperativo. Il tema dell’incontro è stato “Il Gerace”, tra futuro e tradizione. L’incontro è stato presentato e moderato dall’avv. Domenico Mesiti, ex alunno del Gerace. L’avv. Mesiti ha puntualizzato che, se lui e i suoi compagni di scuola hanno raggiunto i loro obiettivi, il merito è proprio della formazione classica che hanno ricevuto. La Dirigente, Antonella Timpano, nel ringraziare tutti i presenti, ha sottolineato l’importanza del “Gerace” nella Piana del Tauro, ha parlato degli ex alunni che sono stati e sono affermati professionisti, in ogni parte dell’Italia; ricordando in particolare l’ingegnere Imperiale che oggi vive a Roma. La dirigente ha illustrato tutti i progetti che si svolgono attualmente all’interno della scuola. Per quanto riguarda il futuro, la dirigente, oltre a voler rinnovare la biblioteca e intitolarla a una professoressa recentemente scomparsa, Cettina Abate di Gioia Tauro, e all’avvio della settimana corta, punta a far diventare il “Gerace” un Liceo Coreutico. Subito dopo, Vincenzo Fusco, docente emerito del “Gerace” ha relazionato sul tema:”Il Liceo Gerace tra società e cultura negli anni del dopoguerra”. Nella sua brillante relazione, il prof. Fusco si è soffermato sul ruolo del Liceo nel contesto dei tempi, dal momento della sua fondazione a tutt’oggi. Il prof. Fusco ha precisato che il Liceo fu fondato nel 1944 come sezione staccata del Campanella di Reggio Calabria. Ha ricordato i primi viaggi d’istruzione all’estero e non più solo in Calabria; l’attività teatrale, in particolare “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello.
Liceo Classico di Cittanova
70, ma non li dimostra! L’avv. Antonio Orlando ha trattato il tema: “Il Gerace tra gli anni 60 e 70 - Storia e Documenti”, ricordando come un’intera generazione ha vissuto quegli anni e come ha percepito tutti i cambiamenti che arrivavano dall’Italia e dal mondo. L’avv. Orlando, ha poi ricordato la grande manifestazione che il preside Ugo Arcuri organizzò per la morte di Jan Palach. Infine, la prof. Donatella Arcuri ha tratteggiato la figura del padre Ugo, uno dei presidi più importanti del liceo, nonché filosofo e grande educatore. L’Arcuri ha puntualizzato che per suo padre il Liceo Gerace fu “un centro di gravità permanente”. Era un preside che accoglieva tutti con una predisposizione che non sempre si riscontra. L’ironia e la maieutica di Socrate sono stati i punti di forza di suo padre. La sua convinzione era che nessun cambiamento del mondo non può che venire dall’individuo che deve essere pronto. In questo la scuola gioca un ruolo importante e, in particolare, il Liceo che dà tutti gli strumenti per essere ottimi cittadini e professionisti. Continuando, ha ricordato la passeggiata sullo Zomaro che si svolgeva il primo aprile e tanti ricordi indelebili per lei e i suoi compagni. L’incontro è stato intervallato da un momento musicale curato dagli studenti del Gerace. Molti sono stati anche gli interventi di ex docenti ed ex studenti, tra cui il sindaco di Cittanova, Francesco Cosentino, il Presidente Banca di Credito Cooperativo di Cittanova, Francesco Cosentino e la presidente Commissione Cultura Comune di Cittanova, Karenza Retez.
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di Filippo Marino
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u una felice intuizione di Papa Montini ad istituire, proprio nell’anno che fu poi quello della contestazione globale giovanile, questa giornata che Papa Francesco continua anche quest’anno richiamando l’affrancamento dalle diverse schiavitù tipiche del mondo contemporaneo. Il pensiero va a Don Milani, il prete scomodo di Barbiana che voleva una scuola non solo adatta al passo con i tempi, ma facile, di una facilità che calzasse con i bambini, i ragazzi e i giovani delle classi più umili per proiettarli all’avanscoperta di un mondo migliore, migliore dei suoi tempi e anche migliore del nostro. Da allora Don Milani ebbe intitolate molte scuole, ma quanti - per la verità! - ne seguono l’esempio ? Paolo VI, sulla scia di San Cipriano di Cartagine, disse che è impossibile amare Cristo se non si ama la Chiesa, ma quanti al giorno d’oggi dicono ancora: Cristo sì, la Chiesa no! Ecco le rughe ai Sacramenti, gesti di Grazia, si riproducono sul volto e sul corpo di questa Chiesa, sofferente ma felice. Il primo dell’anno si è levato accorato il monito dell’Uomo dalla “fine del
Non più schiavi ma fratelli L’Universalità dell’Orbe celebra dal 1968 La Giornata della Pace
mondo” per ripresentarci da esperto il senso pedagogico e non ombroso di una Verità prismatica che esige ancora il suo posto nell’alveo delle culture, dei saperi e delle scienze che hanno ancora valore su questa nostra terra. Le scienze umane per primo pongono e rimuovono quello che è “il problema di Dio, della sua immanente presenza…” E’ vero molte volte siamo stati dilaniati dal non amore per ciò che conta, siamo stati divisi da ciò che in primis meritava il nostro rispetto, siamo stati rigurgitati dall’onda del non senso, siamo stati chiamati da quelle rinunce e rilassamenti collettivi insignificanti per
di Caterina Sorbara
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omenica 4 Gennaio a Gioia Tauro presso l’antico Palazzo Fallara, l’On. Giovanni Nucera, in occasione della XXXIV Befana del Ferroviere, è stato insignito del Premio “Mik Bagalà 2015 - Settore Narrativa, Giornalismo e Politica”. L’evento è stato organizzato dall’Associazione del Dopolavoro Ferroviario, presieduta dal Cav. Teodoro Rotolo. Nella motivazione del Premio è scritto: «Eclettico intellettuale, di alte qualità morali, figura di spicco nella realtà dell’informazione. Il Premio tiene conto dell’incessante attività di leader nel campo dell’Associazionismo di ispirazione cattolica e della politica calabrese, operando con rigore, correttezza umana e professionale». L'Avv. Pino Macino, in un coinvolgente discorso, ha tracciato il profilo politico e umano di Giovanni Nucera, soffermandosi su tutte le iniziative promosse come Consigliere Regionale, nell’arco di tre legislature.
ciò che costituisce l’essenza del nostro Essere! Ecco viene a soccorrerci Maria e la nostra vita da turbinosa, irta e varia, trova finalmente uno sbocco verso la Verità!... Con Maria siamo liberi dalle schiavitù del male perché fu Ella ad imperare ai servi pur allora esistenti nelle fatidiche nozze: “Fate quello che Egli vi dirà!” E da quel momento Cana fu la sede di un imponente “m i r u m” che la storia evangelica ci ripropone ad ogni piè sospinto allorquando il dubbio del nostro pensare si tramuta nell’ebbrezza di ciò che da significato alla nostra vita.
XXXIV Befana del Ferroviere
Premio Mik Bagalà
conferito all'On.Giovanni Nucera Ricordiamo che l’On. Nucera ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti, benemerenze e premi importanti, per il suo impegno, sociale, politico e culturale. Impegno contraddistinto dalla passione e l’amore per il sociale, nell’interesse della Calabria e dei calabresi. E’ stato insignito della The Marketing and Media Communication Teaching University per lo speciale contributo all’integrazione e cooperazione fra i popoli del titolo di Professore con il diploma di laurea Honoris Causa della Facoltà di Giurisprudenza. Tiblisi (Georgia) 2012. E’ autore di numerose e importanti pubblicazioni, tra le quali si annoverano: “Don Lillo Altomonte. Profeta degli ultimi e padre dei poveri”, “In memoria di un amico Franco Fortugno” e “ Reggio New York andata ritorno”.
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di Caterina Sorbara
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el panorama culturale della città di Gioia Tauro un posto di rilievo lo occupa la pittrice Giusy Gaglianò. La sua pittura è libera espressione del suo pensiero; ella dona alle sue tele colori forti e pennellata fluide. La sua tecnica è raffinata e i suoi quadri hanno una luce ben dosata. Nella rappresentazione della natura, molte sue opere si trasformano in poesie. Così come in poesia si trasformano le opere dove Giusy descrive borghi antichi e piazze animate da giochi di bambini. Nel corso della sua carriera la pittrice gioiese ha ricevuto numerosi consensi. Lo scorso 30 dicembre è stata premiata dall’Associazione Pensionati di Gioia Tauro, presieduta da Vittorio Savoia e presentata da Totò Castellano, nel corso di una serata densa di allegria ed emozioni, Nella pergamena che l’artista ha ricevuto, è scritto: ”l’artista riesce a fissare sulla tela la bellezza dei nostri luoghi. I suoi quadri sono un palcoscenico zeppo d’arte. Tutte le sue opere sono ispirate da un profondo amore per la natura”. Oltre alla Gaglianò, il sodalizio gioiese ha premiato il pittore Carmelo Raco e il defunto regista Nik Nostro. Il premio conferito a Nik Nostro è stato ritirato dal figlio. Numeroso il pubblico presente, tra cui don Antonio Scordo, parroco della Chiesa di Sant’Ippolito Martire, Giuseppe Pedà e i dirigenti scolastici degli istituti gioiesi.
Vittorio Savoia, Giusy Gaglianò, Totò Castellano
Vernissage di Giusy Gaglianò Borghi, Piazze e Bambini
Ricordiamo che tutti i premiati sono stati omaggiati di due volumi, uno di Fortunato Costantino dal titolo “Giovani di allora” che racconta gli anni ’60 e ’70 di una Gioia Tauro ottimista divisa fra impegni sociali, gite, spettacoli e sport. L’altra opera, invece, è di Totò Castellano dal titolo ”Comu diciva me nonnu” per non dimenticare il nostro passato denso di detti e proverbi sempre attuali. "Mare di Papaveri"
Lara Zucco, Pino Macino, Giovanni Nucera, Teodoro Rotolo
E’ un premio che mi lusinga - ha dichiarato l’on. Nucera - perché rappresenta un riconoscimento al mio lavoro, al mio impegno personale, professionale e politico. E’ un premio che dedico a coloro che con coraggio e dolore hanno accettato le sfide della vita, dimostrando il loro amore ed il loro attaccamento alla Calabria. Oltre all’on. Nucera, hanno ricevuto il Premio "Mik Bagalà": l’orafa Annalisa Muratore, presentata dall’architetto Carmelo Raco; l’artista Michelangelo Alviano, presentato da Gianni Bentivoglio; il dott. Domenico Luppino, presentato dal dott. Pino Ribuffo e la prof. Maria Rosaria Russo, presentata da Pino Laquaniti. Il Premio allo sport è stato conferito al calciatore Ernani Ritrovato, mentre i premi riservati ai ragazzi che si sono distinti nello studio, sono stati conferiti a: Stivala Salvatore, Parrello Enza, Logiacco Martina, Chiodo Giorgia, Mercuri Chiara, Domenico Vita, Macino Andrea, Dirito Daria, Fondacaro Carmela e Cedro Francesca. La serata è stata presentata da Lara Zucco. Numeroso il pubblico presente in sala, tra cui il vescovo della Diocesi OppidoPalmi, Mons. Francesco Milito; il parroco della Chiesa di Sant’Ippolito Martire, i dirigenti scolastici degli Istituti gioiesi e Fortunato Costantino che ha omaggiato i premiati con una copia del suo libro “Giovani di allora”.
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Riceviamo e pubblichiamo
Una postilla a Rocco Liberti
Fascisti e antifascisti di Oppido Mamertina tra Calabria e America (Cromografica Roma S.r.l., per Gruppo Editoriale L’Espresso, 2014)
di Antonio Roselli
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Che si può pretendere! Non sempre si sa quel che si dice”, con questa senteziosa chiusa, lo storico Rocco Liberti, si congedava da don Santo Rullo con un libretto dal titolo: «Postille a SANTO RULLO “Una parrocchia del sud San Biagio di Scido”». Il fascicoletto, edito nel lontano 1991, all’indomani dalla pubblicazione della “incriminata” monografia del Rullo, giungeva dalle rotative tipografiche con il dichiarato intento di controbattere la “leggerezza” di criterio scientifico a cui era incorsa la sua controparte nella stesura dell’opera. Inoltre, nello sdegnato e severo ammonimento, il Liberti, stigmatizzava : “nessuno ha il diritto di annullare quanto proposto dagli altri facendo affermazioni in assoluto senza produrre documenti di sorta e affidandosi solo a quello che dice la gente”. A distanza di poco più di un ventennio dalla “lezione” a Santo Rullo possiamo osservare, stupefatti e attoniti, che il tempo si sia portato via i propositi rigoristici, nel taglio storico-scientifico, del Nostro Liberti! Infatti, nella sua ultima fatica, “Fascisti e antifascisti di Oppido Mamertina tra Calabria e America”, a pagina 11 del suo nuovo libretto, lo storico riporta alla memoria dei più un sacrilego scempio accaduto ad Oppido negli anni venti dello scorso secolo: “... In realtà, la voce popolare ha sempre considerato Zito come uno degli autori di un increscioso episodio, di sicuro una vera bravata, verificatosi intorno a quegli anni. Un certo giorno una comitiva di cacciatori, passando accanto a un’edicola della Madonna Annunziata, l’ha fatta segno a colpi di fucile. Si è ritenuto responsabile del fattaccio l’avvocato Zito, ma anche alcuni fascisti, tra i quali in primo piano lo Scarcella, che si sarebbero trovati al momento ubriachi. Apriti cielo! La popolazione n’è stata scossa e, dopo la riparazione dei danni, si è dato vita a una manifestazione solenne con in testa il vescovo quale atto di espiazione”.
Giudicando in modo poco lusinghiero la complessità del fatto occorso, liquidato con l’espressione “di sicuro una vera bravata”, Rocco Liberti, sembra svilire il forte significato delinquenziale, gravemente colpevole soprattutto sotto il profilo religioso e morale, che si cela dietro la profanazione laddove registra il forte contraccolpo sociale che il fatto ingenerò tra i fedeli e nei rapporti tra la Chiesa locale ed il Fascismo. Al contrario, al tempo della benedizione della cappellina rinnovata, sulla quale un’incisione indicava che “Da mano sacrilega fulminata - Dalla pietà del popolo ricomposta” le cronache dell’epoca registrarono che sul luogo del
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Foto Luigi Morizzi - Tresilico (RC) - Gruppi e manifestazioni (tratte dal sito www.rosariopalumbo.it)
misfatto giungeva un “pellegrinaggio con gran concorso di popolo scalzo e incoronato di spine, pianti e lacrime da parte di tutti i fedeli!”. Continuando, il Nostro, nella nota di pie’ di pagina 12 scrive: “Da una testimonianza resami dall’amico prof. Sebastiano Maisano, noto esponente fascista, a rendersi colpevoli di un tale atto sarebbero stati lo Zito, Ettore Frisina e un tale Trimboli”. La lettura di tali asserzioni, corrive e superficiali, non supportate dal minimo conforto di un riscontro documentale o bibliografico, denota un’assoluta trasgressione al rigoroso taglio scientifico della trattazione storica e quindi all’attendibilità di essa. Di fatto, il Liberti riporta un rumors paesano che chiama in causa non solo i fascisti sotto accusa, da decenni scomparsi e quindi privati della facoltà di replica, ma soprattutto, attribuisce alla voce di un illustre concittadino, il professor Sebastiano Maisano, anche quest’ultimo scomparso un ventennio fa, l’improbabile diceria da piazza . Un’analisi più attenta e prudente avrebbe invece consentito di accertare che il giornalista Ettore Frisina si trasferì a New York dal settembre del 1921 per lì rimanervi stabilmente, tranne che per un soggiorno di pochi mesi in Italia nel
1933, fino al giugno del 1936. Nel libro dei “Vescovi dal 1050 ad oggi”, il Liberti, colloca il fatto di empietà durante l’episcopato di mons. Antonio Galati, vescovo di Oppido dal 1919 al 1927. Partendo da questo dato sarebbe consequenziale figurarsi che la partecipazione del giornalista Frisina, alla cricca degli squadristi, precorrerebbe il settembre del 1921! A tal proposito, però, soccorre anche lo studio di Enzo Verzera “La Calabria dal Fascismo alla guerra” (Gazzetta del Sud, 28 novembre 1969), nel quale si attesta che in Oppido Mamertina si potè parlare di Fascismo solo dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, dal momento in cui, prima di quella data, “era più nazionalismo” che altro. Per di più, nel fascicolo personale di Ettore Frisina (ACS, Polizia Politica, n. busta 534) una relazione del 17 febbraio 1933 recita: “ Dopo la guerra, nel settembre del 1921 Ettore Frisina si traferì a New York per trovarsi un’occupazione e poichè in quell’epoca apparteneva al Partito Socialista Italiano, giunto in America passò nelle file comuniste. Si dichiara fondatore della Sezione italiana del Partito Comunista in America”. Oltre a ciò, il Frisina, fino al I luglio del 1937, fu un sorvegliato speciale del Regime per generici sospetti di natura politica, successivamente “non corroborati”; come si legge nel telegramma del
Questore Rossi della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza alla Divisione di Polizia Politica del 23 novembre 1933: “Deve essere prudentemente vigilato e segnalato, ma non molestato e i suoi spostamenti segnalati anche al Ministero ed a questo ufficio”. Ci domandiamo e, pertanto chiediamo al Liberti, come possa un iscritto al Partito Socialista Italiano già dal settembre 1921, emigrato in America nello stesso anno e lì fondatore del Partito Comunista Italiano, “prudentemente vigilato” dal Regime Fascista fino al luglio 1937, fare lo squadrista in Oppido Mamertina negli anni venti ed unirsi ai fascisti locali per far comunella. Ettore Frisina fu un noto giornalista italo-americano, redattore capo del giornale newyorkese “Il Veltro”, nonchè giornalista del “Quotidiano”, giornale delle organizzazioni operaie, oltre che della “Lotta di classe”, giornale delle sinistre sindacali, de “Il Progresso Italo- Americano” e di tante altre testate. Fu segretario del Soccorso Rosso Americano (sezione italiana) e tenente d’artiglieria durante la guerra in Africa Orientale, dove si arruolò volontario. Una maggiore accortezza avrebbe evitato questa commistione di dati che lede l’immagine del Frisina che - sempre per amor di verità, senza intenti polemici ed a beneficio dei futuri scritti di chiunque - era anche astemio!
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Laura Rutigliano - Don Giancarlo Musicò - Nuccio Gambacorta.
di Luigi Ottavio Cordova
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enchè sia passato del tempo non si è spenta del tutto l’eco lasciata da una bella, interessante mostra tenutasi presso lo Sportello Unico del Turismo, già comitato Varia, in Piazza Primo Maggio a Palmi dall’8 al 18 Dicembre dell’anno appena trascorso. La mostra, dal suggestivo titolo: “E nel cielo brillò una stella, incanto poesia e romanticismo del Natale” vuole essere un tentativo, ben riuscito, di aggregare varie forme d’arte e anche artigianato che tra loro non sembrerebbero avere nulla in comune e che invece possiedono un unico comun denominatore chiamato “bellezza”. Ciò che è bello per gli occhi arriva al cuore e diviene buono per lo spirito, quindi al visitatore accorto che si è avventurato in questa scorribanda di opere artistiche pittoriche, scultoree, fotografiche, artigianali
Mostra d’arte e artigianato a Palmi nel mese di Dicembre 2014 tessili, orafe, di modellaggio e modellismo, non sarà mancata l’occasione di percepire l’intrinseco messaggio racchiuso in esse. Molti tra i lavori presentati si sono ispirati al tema proposto dall’Associazione Culturale “Eliopoli”, organizzatrice insieme alla Pro Loco e al Centro Cattolico “Il Faro” dell’intero evento. All’inaugurazione sono intervenuti il sindaco di Palmi dott. Barone e il vicesindaco avv. Saletta che hanno ribadito, apprezzandole, l’importanza dell’arte quale veicolo di valori cristiani e l’oculata scelta del luogo di esposizione un tempo appartenuto alla compianta poetessa Ermelinda Oliva. Significativi anche gli interventi del presidente di “Eliopoli”, Nuccio Gambacorta e della vice presidente Laura Rutigliano, nonché il commento approfondito di Don Giancarlo Musicò, direttore de “Il Faro” e quello di Rocco Deodato, presi-
dente della Pro Loco, che ha elogiato i responsabili di “Eliopoli”. Gli artisti espositori sono stati per la pittura: Ambra Miglioranzi, Enzo Cicala, Loredana La Capria, M. Teresa Borgese, Giuseppe Fonti, Caterina Mauro, Giusi Marra, Carlo Monteleone, Caterina Forleo, Francesca Raso e Pietro Pochyailo; per la scultura: Fabio Belloni, Nanni Babolati, Domenico Papalia, Peppe Parrello, Aldo Surace, Pasquale Foti; per la fotografia: Enzo Brando (Enbrand); per l’artigianato d’arte: Giampiero Collura, Angela Attisano, Antonio Saffioti, Vincenzo Romeo. A tutti gli artisti è stato alla fine consegnato un elegante attestato di partecipazione, mentre un filmato curato dal giornalista Giuseppe Bova è andato in onda sull’affermata emittente “TV Sud” sita a Gioia Tauro.
AICol
ENTel
ALS
FEDER.Agri
CAA
Federazione Pensionati M.C.L.
CAF
PATRONATO SIAS
CEFA Ong
SNAP
Centro Europeo di Formazione Agraria
Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati
EFAL
Gioia Tauro Via Roma Palazzo ex UPIM Taurianova Via Benedetto Croce, 2
Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori
Associazione Lavoratori Stranieri
Centro Assistenza Agricola
Centro Assistenza Fiscale
Ente Formazione Addestramento Lavoratori
Ente Nazionale Tempo Libero
Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura
Servizio Italiano Assistenza Sociale
Nella Scuola Media di Messignadi celebrata la 7a edizione della
“Festa dell’Orto in Condotta” di Francesco Di Masi
A
nche quest’anno, i ragazzi della Scuola media di Messignadi hanno aderito al tradizionale appuntamento della “Festa dell’Orto in Condotta” che si celebra l’11 Novembre. L’evento, giunto alla settima edizione, è promosso da Slow Food Italia, l’associazione che da anni è impegnata nella difesa del buon cibo e dell’ambiente, cercando di ridare dignità a chi produce nel rispetto e nella valorizzazione del proprio territorio. La festa, che affronta ogni anno una tematica sempre diversa, è stata dedicata ai semi, nella cui conservazione hanno un ruolo importantissimo i piccoli agricoltori. Infatti, è grazie al loro lavoro che si può salvaguardare la biodiversità, oggi minacciata dalle multinazionali che controllano anche questo ramo del mercato, poiché, per aumentare la produttività, utilizzano semi di varietà ibride, spesso geneticamente modificati oppure protetti da brevetto. Argomento quanto mai attuale, dunque, scelto anche in armonia con la proclamazione, da parte della FAO, del 2014 Anno Internazionale dell’’agricoltura Familiare, il cui emblema è appunto il seme, simbolo della natura e del ciclo della vita. Proprio per riflettere e capire fino in fondo l’importanza di un elemento fondamentale del nostro cibo, ai ragazzi sono fatti vedere vari tipi di semi, che
Seconda parte poi essi hanno utilizzato per realizzare dei mandala (parola sanscrita che indica un cerchio con disegni simmetrici), dando sfogo alla loro creatività. Erano presenti, per la Condotta Slow Food di Reggio Calabria Area Grecanica, la segretaria Mariella Crucitti e il responsabile della comunicazione Michelangelo D’ambrosio, che, insieme ai docenti coinvolti nel progetto “Orto in Condotta”, prof. Francesco Surace e Rosa Anna Cartisano, hanno, inoltre, voluto ricordare Davide Ghirardi, uno dei promotori del suddetto Progetto, purtroppo venuto a mancare lo scorso ottobre.
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L'ultima fatica di Vincenzo Spinoso
Carmela Zivillica
Biografia di un'intellettuale autodidatta
di Giuseppe Antonio Martino
L
a casa editrice Disoblio, nello scorso mese di settembre, grazie al contributo dell’Amministrazione Comunale di Bagnara Calabra, con la pubblicazione del romanzo Carmela Zivillica di Vincenzo Spinoso, ha richiamato l’attenzione sulla figura particolarmente significativa di uno scrittore calabrese sconosciuto ai più. Si tratta di una pubblicazione in cui l’attento lavoro di recupero condotto dalla sua curatrice, la pedagogista Masella Cotroneo, pone in primo piano il valore educativo dell’intensa attività letteraria di un intellettuale autodidatta e sui generis, che ha consumato la sua vita sui libri in una lotta impari contro una malattia che, sin da bambino, gli ha impedito di frequentare persino le scuole elementari. Vincenzo Spinoso “da solo, solo con l’anima”, come amava ripetere prendendo in prestito un verso di Giovanni Pascoli, ha combattuto il morbo che lo affliggeva rifugiandosi nello studio, fino a crearsi una cultura che gli ha permesso di guadagnarsi la fiducia di intellettuali del calibro di Corrado Alvaro e Cesare Zavattini, con i quali ha intrattenuto intensi rapporti epistolari. Da quel morbo crudele Vincenzo Spinoso è stato combattuto ma non abbattuto: lo dimostrano la sua attività di insegnante privato, in una Calabria devastata dalla guerra, e le sue opere let-
terarie che testimoniano in modo indiscutibile che anche nel dolore si può essere costruttori e protagonisti della propria esistenza. Illuminante per la comprensione del romanzo è la breve ma intensa “nota della curatrice”: Masella Cotroneo mette in guardia dal facile giudizio di frammentarietà che un improvvido lettore potrebbe esprimere, pericolo del quale lo stesso Spinoso se ne era reso conto, tanto da scrivere in un appunto: «Molti troveranno che questo breve romanzo è frammentario». In effetti ad una prima affrettata lettura si potrebbe avere l’impressione che in alcuni passaggi del romanzo, in particolare tra la prima e le restanti parti, vi sia un cambio di passo, specialmente nel taglio linguistico, ma già nella seconda parte del testo l’impianto narrativo appare nella sua interezza, lasciando al lettore la possibilità di inserirsi con la sua immaginazione. È lo stesso scrittore che, nel suo appunto, indica questa possibilità: «Per me i doni che non si lasciano ricreare possono essere belli ma non utili, utili ai fini artistici, intendiamoci. Ai magnifici vasi io preferisco i cocci di magnifici vasi: per la gioia di rimetterli insieme, rifarne il tutto, livellare, come piace a me, le eventuali scalfitture». Nella famiglia de’ Cei è facilmente riconoscibile, a mio avviso, una famiglia bagnarese di proprietari terrieri i cui possedimenti si estendevano anche in Aspromonte, tanto da poter affermare che l’autore di Carmela Zivillica ha inteso rappresentare la realtà viva e pulsante della società in cui egli ha consumato la sua breve esistenza e qualcuno, forse per le tematiche trattate, ha trovato in quel testo una somiglianza con le opere di Giovanni Verga, ma il sistema narrativo dello scrittore di Bagnara presenta delle peculiarità sue proprie che lo fanno apparire originale per i tempi in cui il suo romanzo è stato scritto: non soltanto la brevità e la frammentarietà, conclamata dall’autore, potrebbero essere considerate delle novità nella metodologia narrativa, ma anche nel linguaggio Spinoso appare un innovatore, un anticipatore di una forma linguistica alla quale, per certi aspetti, sono giunti autori a noi contemporanei. Specialmente nella seconda parte del romanzo dello scrittore bagnarese la costruzione sintattica della lingua nazionale e quella più empirica del dialetto si fondono fino a proporre un idioma familiare della cui novità, però, il lettore non può istintivamente rendersene conto. La pubblicazione, in appendice, del primo atto di una omonima commedia dialettale tratta dal romanzo dimostra come l’autore amasse l’intercambiabilità dei due codici linguistici, quello nazionale e quello materno. E’ un peccato che, forse a causa della morte, Spinoso non sia riuscito a completare quel lavoro teatrale che, a buon diritto, si sarebbe inserito autorevolmente nella nostra letteratura regionale.
PALMESE
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2014 /2015
Il punto della situazione sulle squadre della Piana al primo giro di boa
Palmese e Cittanovese volano alto Stagione difficile per la Taurianovese in attesa di un rilancio societario
di Gaetano Mamone
S
i è da poco concluso il girone di andata dei vari campionati dilettantistici calabresi. Anche in questa stagione le squadre della Piana di Gioia Tauro, si stanno rendendo protagoniste nelle loro categorie. In promozione la Cittanovese di Mister Giovinazzo, sta rispettando le aspettative di inizio stagione dimostrandosi squadra di rango, meritevole di competere in una categoria superiore e che appare la principale candidata alla promozione. La squadra saldamente in testa in classifica ha totalizzato 37 punti, frutto di 12 vittorie 1 pareggio e 3 sconfitte. La squadra oltre a dominare in campionato è stata finalista di Coppa Italia Calabria. L’avventura di coppa, purtroppo non si è conclusa come sperato; la finale contro l’Acri è andata persa per una rete a zero. La Cittanovese è seguita in classifica dal Soriano, con 36 punti, dal Locri 34 punti, e poi San Giuseppe 33 punti e Deliese 31 punti. Situazione più delicata per Rizziconese e Polistena che si trovano in piena zona play-out, rispettivamente al terz’ultimo e quart’ultimo posto in classifica. Altra categoria: Eccellenza. Altra squadra della Piana che domina: la capolista Palmese conduce il campionato con 46 punti in classifica frutto di 15 vittorie 1 pareggio e 1 sconfitta in 17 partite, lasciando il vuoto dietro di se, con 13 punti di vantaggio sulla seconda in classifica. La formazio-
ne neroverde del Presidente Pino Carbone sta rappresentando, a parte i risultati agonistici, un esempio di club virtuoso e lungimirante che alle vicende agonistiche abbina un impegno educazionale e formativo con un ricchissimo vivaio che getta le basi per un futuro che potrebbe concretizzare impegni ancora di più alto livello nell’elite del professionismo. In questo torneo anche la Vibonese che fino a qualche stagione fa militava tra i professionisti, seguita dall’Isola capo Rizzuto, dal Gallico-Catona di Ivan Franceschini e dall’Acri, la Taurianovese dopo un avvio di stagione altalenante, si trova al dodicesimo posto in classifica con 18 punti e lotta per non retrocedere. Stagione difficile, quella dei giallorossi che dopo l’esaltante campionato del 2013 sta conoscendo una fase di profonda rivisitazione societaria. I risultati della formazione comunque devono essere - stante la situazione - letti con un occhio positivo. La formazione oltre a ottime qualità individuali presenta in molti frangenti buoni schemi di gioco e capacità di proiezioni offensive condotte con schemi pratici e veloci. La debolezza in fase difensiva e d’interdizione d’area l’ha spesso penalizzata. Incrociamo le dita sperando che il blasone giallorosso ritrovi lo smalto e l’antico splendore !
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La Decorata Cornice della Piana Reggio Calabria - Paterriti Fortezza di Sant'Aniceto
di Diego Demaio
La fortezza di Sant'Aniceto.
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foto Diego Demaio
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i recente le televisioni nazionali e regionali hanno mandato in onda degli ottimi servizi attinenti alla singolare Fortezza di Sant’Aniceto, pertanto si ritiene opportuno dedicare questo nuovo itinerario allo storico sito che ricade nel comune di Motta San Giovanni, a pochissimi chilometri in linea d’aria dall’Aeroporto dello Stretto. Usufruendo ancora della comoda autostrada si giungerà a Reggio per attraversarlo dalla tangenziale ed uscire allo svincolo di Valanidi. Da qui, superato l’omonimo torrente nei pressi della vicina Oliveto, si lascerà il territorio del Capoluogo per salire sino ai 409 m. di Paterriti. Dalla frazione di Motta San Giovanni si proseguirà verso il dominante e pittoresco CONO (a tal proposito si suggerisce di parcheggiare la macchina all’uscita dell’abitato e di procedere a piedi sulla panoramicissima stradina)
L'interno della fortezza di Sant'Aniceto.
sul quale sorge l’antica Fortezza di Sant’Aniceto. Dopo la facile ascesa si scenderà brevemente per girare a destra, in un bivietto, e raggiungere un piccolo pianoro. Da qui si salirà in breve alla sovrastante porta, protetta da due torri di guardia quadrate, dalla quale si accede nel millenario Castello di Sant’Aniceto (o San Niceto), ricco di notevoli ruderi che ne testimoniano ancora l’architettonica grandiosità. Il “castron” o “castellion” fu costruito infatti dai Bizantini nella prima metà del secolo XI per difendersi dalle frequenti incursioni arabe sulla costa calabrese. Solo dall’interno della cinta muraria lunga ben 648 m., dalla particolare forma che richiama quella di una nave con la prua rivolta verso la montagna e la poppa verso il mare,
foto Diego Demaio
si potrà avere l’idea dell’inespugnabilità del Castello che probabilmente veniva usato come abituale residenza della guarnigione e dello stesso feudatario. Secondo alcuni studiosi per poter ammirare cinte fortificate di questa tipologia e di queste dimensioni bisogna recarsi nelle fortezze montane greche di Kalamata e Bodonitza. I 675 m. di altitudine dello strategico sito “A GUARDIA DELLO STRETTO”, che permettevano di poter avvistare i veloci vascelli dei Saraceni diretti verso i nostri litorali, consentiranno di godere di un paesaggio UNICO, sullo Jonio e sulla città della Fata Morgana, al cospetto del dirimpettaio Etna fumante. Per suffragare tale aggettivo si inserisce, a corredo del testo, la bellissima foto aerea pubblicata addirittura sulla copertina del n° 288 (Aprile 2010) di Bell’Italia, dedicata alla straordinaria meta del nostro itinerario che si concluderà con il ritorno a Reggio e quindi nella Piana, dalle stesse strade percorse all’andata.
Il n° 288 dell'Aprile 2010 di Bell'Italia.
emeroteca Demaio