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Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 34, Anno 2015 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: 518/ATSUD/CZ;
In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)
Cittanova: 60mila persone per J-AX Taurianova L’addio a Rosa Maria
Le Colpe dei Padri
Città Metropolitane Quale Futuro?
Dieta mediterranea contro il Cancro
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Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663
sommario
Corriere della Piana del 31 Agosto 2015 Morire soli in un giorno d'estate
Addio Rosa Maria
M
orire in solitudine alla vigilia del Ferragosto, nel cuore di estate torrida come mai prima. Morire a 46 anni, lasciare tutto e proiettarsi oltre la vetta di un Izoard denso di nebbie, oltre il Ponte dell’Arcobaleno che si percorre solo dopo essersi liberati dal peso del corpo e della sua fisicità. Oltre le parole, la morte. Solo il mistero della morte. Quella di Rosa Maria, una ragazza bella, discreta, affascinante, misteriosa, solitaria e sfortunata che dato origine a Taurianova a un momento di dolore sincero e condiviso e - per molti - quelli che l’avevano conosciuta e che con lei erano stati o erano ancora in confidenza - forse non disgiunto da un senso di colpa. Morte: i “se” i “ma “ e i “ forse” di cui sono piene le tombe non troveranno mai una risposta. Resta il senso di vuoto, di sgomento e di colpa per non aver potuto fare qualcosa per lenire - quella sofferenza che Rosa Maria aveva somatizzato e che nascondeva, dietro la maschera di una bellezza solare su un incarnato bruno e mediterraneo in un fisico snello, flessuo-
Corriere della Piana
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so naturalmente elegante. Bellezza che non lasciava trasparire quel dolore d’esistere che forse ha contribuito a strapparla alla vita. Si può lasciare un segno, forte e indelebile, anche senza parlare. Si può lasciare una traccia, vivida e luminosa, anche se forse si era pensato di nascondersi, di essere o di divenire invisibili. Si può decidere di vivere in un proprio mondo, di sogni, di pensieri, di rovelli, di illusioni. Si può decidere di lottare contro la saudade che pervade lo stillicidio dei giorni. Si può decidere di arrendersi. Ma nessuno nasce e nessuno muore senza che la sua nascita o la sua morte rappresenti una prova. Prova alla quale - con la sua repentina scomparsa - Rosa Maria ha chiamato tutti quanti hanno saputo della sua fine silenziosa. Accomunando nel dolore, nel rimpianto, nel senso di colpa anche chi non l’aveva mai conosciuta: fino a dar vita a un momento di lutto cittadino sincero e condiviso. Addio, Rosa Maria, possa la tua nuova vita donarti quello che in questa non ti è stato concesso. Il Corriere della Piana
Editoriale: Le colpe dei Padri
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Evangelii gaudium: Pietra angolare
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Mai scordare la "Livella"
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Città Metropolitane: Quale Futuro?
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Taurianova: Io, Vittima di un
26 Lubrichi: La cultura in primo piano
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Palmi: Il mausoleo alla grotta
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Il palmese Aurelio Badolati
nominato Delegato Vicario
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Avere o essere: J’ai… ou Je
suis Massimiliano e Salvatore?
Grafica e impaginazione:
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Gioia Tauro: Victoria, un nome
per le cose difficili
Copertina: Concept by Free's Tanaka Press
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Dalla bomba atomica alla bomba
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Taurianova: Fiera espositiva
Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro
Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi Hanno collaborato a questo numero: Don Memè Ascone, Caterina Sorbara, Rocco Militano, Rocco Gatto, Michelangelo Di Stefano, Gianluca Iovine, Prof. Massimo Losito, Federica Mamone, Filomena Scarpati, Gaetano Mamone, Marinella Gioffrè, Sac. Letterio Festa, Giovanni Garreffa, Francesco Di Masi, Domenico De Angelis, Filippo Marino, Deborah Serratore, Paolo Lucio Albanese, Mina Raso, Diego Demaio. Foto: Gianluca Iovine, Free's Tanaka Press, Deborah Serratore, Diego Demaio.
Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999 La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 31-08-2015 Visit us on
della Chiesa di Papa Francesco
di De Curtis
complotto
biologica...
artigianale
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Terranova Sappo Minulio:
A cena con le prugne
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Recitare, che passione!
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Cittanova: Festa Nazionale
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dello Stocco In Canto Delianuova Festival
Oppido M.: Le Raccoglitrici di olive
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I Bruzi in Aspromonte: contributo
di ricerca
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Ricordi a 100 anni dall’inizio della Grande Guerra 1915/18
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Oppido M.: Progetto Arduino
e tecnologia NFC
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Oppido M.: Alimentazione e cancro
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Il Mascolo di un cannone medievale
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Terranova S.M.: Al nocciolo dll'arte
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Ceramisti d’eccezione all’ombra
della Madonna dei Poveri
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Rosarno: La danza delle arti
Palmi: Produzione a tutto tondo
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Apprezzata esibizione del giovane
cantautore Vincenzo Capua
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The Harp
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Taurianova misteriosa
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E nell'Uliveto, una Principessa
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Maria nei sacri marmi
cinquecenteschi della Piana
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Editoriale
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Il caso del piccolo Achille scuote le coscienze
Le colpe dei Padri di Luigi Mamone
L
Ben venga l’adottabilità sancita dal Tribunale di Milano per preservare il neonato da un destino di infelicità e da una crescita condizionata dalla permanenza in strutture carcerarie
a drammatica storia di Achille, il figlio di Martina Levato, condannata, per il momento, a 14 anni di reclusione, per aver sfregiato con l’acido muriatico un uomo e in attesa di altro processo - e altra condanna - per un analogo episodio, ha suscitato emozioni e reazioni contrastanti. La richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Milano di vietare alla madre di vedere il neonato e la successiva collocazione del bimbo in stato di adottabilità, hanno dato vita a valutazioni antitetiche. Alcuni hanno evidenziato il diritto del bimbo di essere affidato alla propria madre biologica; altri, per converso il diritto della madre di poter avere con se, seguire, assistere e veder crescere il proprio bambino. Altri ancora hanno inteso il provvedimento del Tribunale come una sorta di punizione accessoria inflitta alla madre, condannata in espiazione di pena definitiva. Altre tesi - peraltro autorevoli - hanno sottolineato la particolarità e le difficoltà di un percorso di crescita educazionale affidato ad una madre detenuta e che di fatto, provoca una sorta di regime detentivo parallelo anche per il bimbo. Casi come quello di Achille - con dovute diversificazioni - vedono 40 fra neonati e bimbi vivere l’esperienza di un regime detentivo intramurario del genitore ai cui rigori, essi pure, finiscono per essere accomunati nonostante i buoni propositi delle strutture carcerarie a rigore attenuato dove la maggior parte di queste donne e dei bambini viene ospitata. In molti casi si tratta di bimbi già nati al momento della custodia cautelare detentiva o dell’espiazione della pena; in alcuni altri di gestazioni già in corso prima della detenzione e di parti avvenuti in costanza di detenzione per l’espiazione di pene non lunghissime. Il carcere - questo sconosciuto mondo parallelo nel quale
vivono coloro che per la giustizia degli uomini hanno infranto la legge e i loro carcerieri - è realtà particolarissima dalla quale i bambini dovrebbero essere preservati. Nel caso di Martina Levato e del suo compagno - il padre del piccolo Achille - le cautele della Procura poggiavano su una serie di emergenze assai inquietanti: la Levato, presenta un profilo personologico “border line”: ovvero estremizzato e proprio per questo, preoccupante. Prima di iniziare ad aggredire con l’acido, era stata protagonista di un tentativo di evirazione di un proprio partner. L’efferatezza dei delitti commessi con l’acido muriatico, e che hanno provocato alle vittime - persone che la Levato nella sua aberrante visione della vita doveva “punire” - lesioni gravissime e sofferenze inenarrabili, depongono per una aggressività e una mancanza assoluta di remore morali della donna che si è sentita in passato autorizzata a infliggere punizioni atroci a chi l’ha contrastata o offesa. E se tale aggressività e tale animus punitivo venissero in futuro riversati sul bambino per una qualsivoglia marachella? L’interrogativo è calzante e i giudici - memori di tragedie endofamiliari quali quella di Samuele Lorenzi - processualmente ucciso dalla madre Anna Maria Franzoni e di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, carnefici di Sarah Scazzi, se lo sono posto. Oltre a questo deve essere considerata la necessità di proteggere il bambino dalle colpe dei propri genitori. Questo non tanto perché il bimbo debba essere costretto a trascorrere l’infanzia in un carcere, ma perché sarebbe marchiato a vita e per sempre pregiudicato dal fatto di essere il figlio di due pregiudicati. Il sistema italiano è fortemente condizionato dalla prevenzione gentilizia: un tempo si diceva che per essere arruolati nei Carabinieri o in Polizia veniva fatta un'analisi familiare a ritroso fino alla settima generazione. Certamente il figlio di un pregiudicato non sarebbe mai stato arruolato. La situazione - checchè ne dicano certi araldi di un perbenismo di maniera - non è cambiata, e il figlio di un pregiudicato resta sempre e solo una sorta di soggetto potenzialmente pericoloso per fatto di nascita e come tale da escludere da determinate carriere nelle quali - come se l’incensuratezza dei genitori fosse un premio o un titolo di credito - vengono favoriti i figli degli incensurati. Porlo in una condizione di immediata adottabilità - anche se potrà sembrare ai perbenisti e ai codini una atrocità o un accanimento contro i genitori naturali - in realtà porrà il piccolo Achille in condizione di vivere in una famiglia normale, con due genitori che potranno in qualunque momento del giorno e della notte assisterlo, curarlo, tenerlo vicino trasmettergli attraverso il calore e le sensazioni corporali l’imprinting di un affetto materno e paterno non condizionato da sbarre e agenti di custodia, assistenti sociali e percorsi rieducativi. Due genitori che diventeranno i suoi riferimenti, potranno portarlo liberamente ai giardinetti accompagnarlo a scuola e attenderlo all’uscita delle lezioni e giocare con lui o seguirlo mentre farà i suoi primi giri in bicicletta o nelle gite domenicali fuori porta e vivere insieme, nell’intimità familiare rischiarata dalle luce dell’Albero di Natale e del Presepe la Nascita di Gesù Bambino e l’arrivo del Capodanno. Genitori che potranno essere - sempre e congiuntamente - presenti. E inoltre - ci domandiamo - come potrebbe educare - è il caso di Martina Levato - colei che la carcerazione dovrebbe rieducare ? Oltre a questo, il futuro del piccolo che fra qualche anno sarà un adolescente e poi un giovane - non potrà essere condizionato da una vita carceraria dove l’amore materno sarà subordinato all’ora d’aria e anziché le visite della nonna e delle zie quelle di energiche agenti donne della Polizia Penitenziaria che - con tutta la buona volontà del mondo - zie non saranno mai ma sempre e comunque agenti di Polizia Giudiziaria con le manette alla cintura: personale addestrato ad essere guardiano e custode di uomini in espiazione di pene e non baby sitters in divisa. Il caso di Achille è emblematico. Entrambi i genitori detenuti in espiazione di pene lunghe. Non possono - egoisticamente - questi soggetti - rivendicare a sè un diritto, quello di essere - a singhiozzo e separatamente - genitori di un bimbo se tale diritto provocherà la negazione e la cancellazione di una serie di diritti ancora più importanti, formativi e pregnanti per la crescita serena di una creatura che non deve pagare le colpe dei due mammiferi che unendosi sessualmente e forse interessatamente lo hanno generato. Ben venga allora lo stato di adottabilità. Achille non dovrà mai conoscere le colpe dei suoi genitori biologici. Non è giusto che le conosca. E’ giusto che abbia due genitori che lo amino e che gli garantiscano tutto quanto a lui - e ciò che ad ogni bimbo - è sacrosanto assicurare.
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La Missione Evangelizzatrice della Chiesa
Evangelii gaudium
Pietra angolare della Chiesa di Papa Francesco (parte III)
La Chiesa e la Politica N. 187. “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povere e soccorrerlo” N. 203. “La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale……..dà fastidio che si parli di etica, che si parla di distribuzione di beni. Che si parli della dignità dei deboli, che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia” N. 205. “Chiedo a Dio che cresca il numero dei politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde dei mali del nostro mondo…………….prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri”
S
embra proprio che Papa Francesco con la sua vita e i suoi scritti sia uno di quelli che dà fastidio a tanti: nella società e nella Chiesa. Finalmente anche qualche vescovo ha il coraggio di “rivolgersi personalmente ai responsabili della cosa pubblica dei propri Paesi invitandoli a sapere ascoltare, a farsi prossimo, a impegnarsi per il bene comune e non per il proprio interesse”. Lottare contro ogni malgoverno, locale e nazionale, contro ogni distrazione di fondi comuni, lottare contro ogni tipo di illegalità e di ingiustizia……….con uno sguardo particolare ai più deboli, ai più poveri. Anche i vescovi italiani, cominciano a dire che la politica deve ripartire da chi soffre e “va rifondata” e il punto di partenza è l’ascolto delle sofferenze, perché solo così la politica potrà tornare ad essere “alta forma di servizio”, mettendosi a scuola di quelli che soffrono, che stanno peggio, ricordando che l’ascolto delle sofferenze illumina e guida ogni autentica politica. Ancora Papa Francesco scrivendo ai potenti della terra del G 20 afferma “basta parole, la gente soffre”. E questo vale per tutta la Chiesa: basta parole, occorrono fatti. La mia paura è questa: penso che la Chie-
sa italiana ha le mani legate dal potere politico. Troppi sono gli interessi che legano la Chiesa alla politica. Troppi i privilegi e i benefici che la Chiesa ottiene dai politici. Per questo la Chiesa nei suoi pastori, non può alzare la voce a favore dei poveri contro una classe politica che sperpera denaro pubblico contro i politici che rubano “legalmente”. Basti pensare allo scandaloso spreco dei finanziamenti pubblici ai partiti. Mai si è alzata la voce dei pastori a difesa dei poveri condannando questi furti. Per dire che questo denaro pubblico è della povera gente e andrebbe restituito. Purtroppo è una corsa verso l’arricchimento facile quello della classe politica, come quello della mafia. Unico obiettivo: fare soldi con leggi fatte a proprio uso e consumo. La Chiesa dovrebbe avere le mani libere per poter denunziare, non solo a parole, questi misfatti. La voce dei pastori dovrebbe alzarsi a difesa dei poveri. E’ un problema di giustizia continuamente calpestata e la Chiesa nei suoi pastori ha il dovere di raccogliere questo grido dei poveri. Anche se dà fastidio. Noi invece anziché lottare per un mondo più giusto ci accontentiamo di non far morire subito il moribondo, con la nostra elemosina, rimandandogli la morte tra le sofferenze. La Chiesa non può contentarsi
di Don Memè Ascone
più di fare carità ma deve passare a lottare per la giustizia. Politici che amano il popolo e lottano per risolvere i loro problemi sono ben pochi. Ci auguriamo che alle preghiere del Papa si unisca tutto il mondo cattolico perché il Signore ci mandi politici che abbiano a cuore i problemi della giustizia e del bene comune. Sicuro che il Signore i politici non ce li manda dal cielo. Occorre impegnarsi, rimboccarsi le maniche e non rimanere con le mani in mano. Vogliamo ricordare a tutti i credenti che la politica è la più alta espressione di carità ed è dovere sacrosanto della Chiesa impegnarsi a favore dei poveri e dei deboli. Lo sappiamo oggi, come sempre c’è troppo egoismo, forse perché c’è poca fede, c’è poco amore, c’è poco spazio per un Dio che scomoda. Ogni buon pastore dovrebbe impegnarsi perché le amministrazioni cittadine si impegnino realmente a risolvere i problemi dei più deboli. Tutti dobbiamo essere attenti al grido dei poveri e ascoltarlo con amore. Il Signore Dio senza il nostro aiuto non ci può regalare politici capaci di amare il popolo. E’ tutta la Chiesa che deve sentirsi coinvolta in questa nuova missione: l’Italia è una terra di missione e va rievangelizzata, senza farci illusioni.
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di Luigi Mamone
Dopo il discusso funerale di Vittorio Casamonica
Mai scordare la "Livella" di De Curtis
L
a “strana storia” del funerale di Vittorio Casamonica ha riempito le cronache dei giornali, dei talk e del web con commenti sdegnati. Cosa è successo? Casamonica era il capo dell’omonimo clan (dalle nostre parti si direbbe “cosca”; in Lazio e aree circonvicine, soprattutto se si è numerosi e ben muniti di entratures si dice “Clan”) che spadroneggia a Roma con un coacervo di interessi che dall’originaria modalità operativa tipica delle comunità Rom si è poi diversificata in una miriade di settori, diventando egemone e soprattutto - se vogliamo - legittimata dal potere politico - di destra e di sinistra a seconda delle alternanze nella stanza del potere capitolino - sotto l’occhio distratto di Autorità di Pubblica Sicurezza che in una metropoli come Roma appaiono in tutt’altre faccende affaccendate che non
andare appresso alle vicende degli zingari. Clan, quello dei Casamonica, originario dell’Abruzzo e con il quale, tutto sommato, a tanti non dispiaceva avere rapporti di buon vicinato. Certo se fossero stati in Calabria - o se Gratteri e soci - fossero stati destinati a Roma, ai Casamonica avrebbero già confiscato perfino il cesso delle roulottes oltre alle Ferrari, alle Maserati, alle Ville, provento, pare, di traffici illeciti: accattonaggio, spaccio di droga, pizzo, estorsioni, racket della prostituzione e del caro estinto, e quant’altro il malaffare metropolitano capitolino consenta. Senza dimenticare il potere elettorale - ergo voto di scambio e pericolo di condizionamento dell’attività del Consiglio Comunale - che in Calabria tante Amministrazioni ha falcidiato. Ma dell’ineluttabilità dell’esigenza che il Consiglio Comunale di Roma faccia chiarezza o venga commissariato e
che il Sindaco Marino - il Forrest Gump della politica romana - che nulla mai sa e che perennemente è colto di sorpresa per gli scandali, il sistema di connection dell’intelligengija capitolina con il mondo del malaffare, che si dimetta per ora non si parla. Marino non c’è. Nulla vede, nulla di Roma sa, di nulla è responsabile e proprio per questo - Re Travicello post moderno - più che inamovibile, come lui - e il PD - ritengono essere, non si comprende cosa ancora stia a fare. Questo l’humus o il brodo culturale nel quale i Casamonica a Roma prosperano e dettano le loro regole. Venendo al funerale le cose sono due: o il Questore, il Prefetto, il Ministro dell’Interno - dato atto del ruolo criminale e del prestigio criminale del defunto capoclan vietavano il funerale - esattamente come avviene in Calabria e Sicilia - dove i boss vengono portati al cimitero alla prima luce
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dell’alba, senza un tocco di campane, con i soli familiari, un prete, un chierichetto bambino impubere o anziano caracollante - a portare una croce e un bel manipolo di carabinieri dietro - oppure - come avvenuto con Casamonica - lo hanno permesso. In fondo, a Roma, anche i funerali sono routine e se non si sta attenti all’orario, si rischia si sbagliare messa funebre in quanto - specie a San Giovanni Bosco - mentre è in corso un funerale - sul sagrato arriva un altro carro funebre con il manipolo di parenti e amici interessati all’ultimo saluto al caro estinto. E poi un altro ancora e ancora altri: fino alla sera. Routine. Nient’altro che ruotine. Con il rischio per i distratti e i ritardatari di sbagliare funerale. Abitudinarietà che ha travolto il parroco, rimasto spiazzato dalla coreografia Hollywoodiana messa su dal clan per accompagnare al cimitero “zzi Vittorio”. Per qualsiasi Parroco - potenziale fra Cristoforo o Don Abbondio che sia - la celebrazione di un funerale - in se gratuita - implica poi un doveroso obolo pro anima. Non è difficile immaginare - se l’offerta è stata proporzionale allo sfarzo - che il parroco di San Giovanni Bosco possa aver avuto un beneficio per la parrocchia. Pecunia non olet, suol dirsi. E’ vero. Ma se anche obolo non ve ne fosse stato non si riesce a comprendere perché il sacerdote non avrebbe dovuto officiare il rito cristiano del congedo. Cosa diversa fu la vicenda di Piergiorgio Welby - la cui posizione, per carità, umanamente rispettabile nella tragicità della sua condizione - cozzava da tempo con i postulati etici della Chiesa che portarono ad una sorta
di scomunica e - dunque - al rifiuto della Curia Romana di mandarlo nelle Celesti Praterie di Manitou - con tanto di funerale religioso e benedizione della salma e litania dei santi. Il pasticciaccio Casamonica non deve vedere come capro espiatorio il Parroco di San Giovanni Bosco. All’indice andrebbero posti solo i vertici della Polizia Municipale, della Polizia e della DDA romana. Esse - ed esse sole - la prima in previsione dell’afflusso di affiliati al Clan e di esponenti di spicco di clan similari, affratellati o collaboranti che dir si voglia, e i secondi per ribadire un messaggio forte di presenza dello Stato avrebbero dovuto vietare il corteo. Non nel senso di impedire la scenografia Hollywoodiana. Ma di impedire letteralmente il corteo. Se tanto non hanno fatto la colpa è solo loro. Non è certamente reato enfatizzare sulla figura del defunto con la gigantografia attaccata al muro della chiesa o far arrivare la salma su una carrozza funebre trainata da quattro cavalli e far ripartire la salma in Rolls Royce. Non saranno certo queste esternazioni che purificheranno l’anima di Casamonica dai suoi delitti esimendolo dallo spalar carbone alle dipendenze di Messer Satanasso o di altra figura demoniaca di un Inferno che vorremmo umanamente e tragicamente Dantesco. Non sono queste le esternazioni che spaventano. Spaventa l’inefficienza dello Stato. La sua elefantiasi. Spaventa il fatto che un pilota di elicotteri - incosciente ma non intenzionato a far danni - abbia impunemente sorvolato la città senza permesso per buttar giù petali di rose. E se al posto delle rose e di un pilota morto di
fame lautamente pagato da qualcuno del Clan - ove mai non affiliato egli stesso al Clan - e salva l’ipotesi che Casamonica oltre alle Ferrari non possedesse anche elicotteri e aerei - ci fosse stato un terrorista? E se quel volo non autorizzato fosse stato fatto per “bombardare” o sparare dall’alto contro potenziali obiettivi? Roma ha dimostrato di essere vulnerabile e indifesa. Se teste devono cadere - per mettere fine alla vicenda Casamonica, non sono certamente quella del Parroco o del Vicario ma quella del Comandante la Polizia Municipale, del Questore, del Prefetto e dei suoi preposti all’azione di contrasto al crimine organizzato (che non solo n’drangheta è), del Ministro dell’Interno, dei responsabili della protezione dell’utilizzo dei corridoi aerei e dell’interdizione al volo sulla città e, una volta per tutte, del Sindaco. Marino sarà anche un grande sfigato e capitano tutte a lui e a sua insaputa. Ma proprio per questo è meglio che lasci la sua poltrona a qualcuno più scaltro. Parlando di funerale, pietra tombale - della vicenda e del pezzo - resta, per noi e per tantissimi altri - la celeberrima “ Livella” del Principe Antonio de Curtis. Dovunque sia andato dopo la sua morte fisica, Vittorio Casamonica, non sarà diverso dall’ultimo clochard trovato morto - di fame e di freddo - e seppellito alla meno peggio a spese del Comune. Semmai, per gli ideatori dello sfarzoso corteo servirebbe un soggiorno rieducativo, fra poveri, malati e indigenti, per imparare cosa sia l’umiltà e quanto sia più gratificante - rispetto all’ostentazione e al culto della personalità, la capacità di donare e di amare.
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Città Metropolitane
Quale Futuro? Il Sindaco Giuseppe Pedà con l'Assessore Francesco Toscano
di Caterina Sorbara
L
e città metropolitane sono le maggiori aree urbane del Paese nelle quali si concentrano grandi potenzialità di sviluppo insieme a tanti problemi e contraddizioni di natura sociale, economica ed ambientale che la recente crisi ha acuito. Da come si avvierà il percorso non solo istituzionale, ma di effettiva integrazione territoriale e di pianificazione strategica condivisa, dipenderà la possibilità di farne un veicolo fondamentale per la ripresa dell'Italia. Per quanto riguarda l’importanza delle Città Metropolitane, diciamo subito che le funzioni urbane travalicano i confini amministrativi dei singoli Comuni che per le dieci Città Metropolitane italiane sono peraltro di dimensione molto diversa e variabile. Ad esempio, Milano ha un territorio comunale relativamente piccolo mentre Roma è un Comune enorme, se non ricordo male il maggiore in Europa. Questo è un ulteriore elemento di complessità nel legiferare e regolare in modo efficiente flussi, funzioni e servizi pubblici a livello di area vasta: è importante prevedere, nei limiti del possibile, gradi di flessibilità nell’individuazione dell’area delle Città Metropolitane evitando eccessivi automatismi (quale quello che stabiliva, nella norma respinta per altri motivi dalla Corte Costituzionale, l’esatta coincidenza della città metropolitana con il territorio provinciale senza possibili deroghe o flessibilità). D’altronde, una norma serve: le iniziative “spontaneiste” e locali condotte nell’ultimo decennio per rispondere alle esigenze di governo metropolitano con strumenti di pianificazione strategica hanno avuto percorsi e risultati la cui utilità è stata molto variabile. Per quanto riguarda il percorso di pianificazione strategica e le risorse, ci saranno i fondi strutturali 2014-2020 che saranno in parte utilizzati per sostenere investimenti in un”Agenda urbana” in cui le città metropolitane avranno senz’altro un ruolo centrale, ma che non sarà ad esse limitata abbracciando anche il ricco tessuto di città medie che così tanto caratterizza e arricchisce la struttura sociale, economica e territoriale del nostro paese. Al di là dei diversi strumenti o “contenitori” di programmazione, nazionali
Aree conurbate ricche di potenzialità di sviluppo problemi e contraddizioni e/o regionali, che potranno essere definiti per realizzare l’Agenda urbana, l’importante è darsi pochi chiari obiettivi, individuare dei risultati attesi, fare delle scelte, senza volere fare di tutto un po’ come invece è spesso accaduto. Su questi punti il dibattito è aperto e ci sono ipotesi di lavoro. Intanto, il documento Metodi e obiettivi 2014-2020, approvato dal governo a fine 2012, nell’articolare l’Opzione strategica Città, indica alcuni settori di intervento prioritari, mentre, rispetto agli aspetti di governante, la prima versione dell’Accordo di Partenariato, per la futura programmazione, discussa anche con la CE nel passato Marzo, attribuisce massima responsabilità e delega alle Città metropolitane (così come fanno anche i Regolamenti europei che regolano i fondi per le coesione). In ogni caso, sarà importante utilizzare i Fondi comunitari, ad esempio, per realizzare le prime sperimentazioni nel gestire su scala metropolitana alcune delle funzioni previste dal disegno di legge depositato dal Ministro Delrio e oggi in Parlamento. Ebbene proprio in vista della futura città metropolitana che comprenderà tutti i 97 Comuni della provincia di Reggio Calabria, a Gioia Tauro, in un caldo pomeriggio di Luglio, nell’antica Sala Fallara, si è tenuto un incontro proprio tra i sindaci dei 97 Comuni Metropolitani con lo scopo di avviare una riflessione comune alla luce delle recente approvazione del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane 2014-2020 (Pon Metro) da parte della Commissione Europea. I Comuni capoluogo non saranno gli unici beneficiari delle risorse, in quanto assumeranno il semplice ruolo di Organismo Intermedio. In sostanza attraverso i Comuni capoluogo, transiteranno le risorse destinate agli interventi, ma questi ultimi potranno riguardare anche gli altri Comuni delle Città Metropolitane. L’incontro ha registrato la presenza, del sindaco di Gioia Tauro, Giuseppe Pedà; dell’Assessore alla Cultura di Gioia Tauro, Francesco Toscano; di Massimo Ripepi, Consigliere ANCI, delegato alle Città Metropolitane; del Presidente del Consiglio Provinciale
Antonio Eroi; dei Sindaci della futura Città Metropolitana; del Comitato Metropolitano “Società, Economia, Conoscenza” composto dai Sindacati (CGIL,CISL,UIL e UGL); dell’Osservatorio Città Metropolitana “Edoardo Mollica”; della Camera di Commercio di Reggio Calabria, del LaborEst dell’Università Mediterranea e del Forum del Terzo Settore. Francesco Toscano, Assessore alla Cultura del Comune di Gioia Tauro, ha presentato e moderato i lavori, sottolineando che bisogna innanzitutto capire cos’è la Città Metropolitana, quali saranno le sue competenze e il ruolo degli amministratori. Giuseppe Pedà, Sindaco di Gioia Tauro, dopo aver ringraziato tutti i partecipanti, ha sottolineato che, bisogna fare massa critica per il territorio, per il bene della popolazione e per questo è necessario capire quali saranno le competenze e il ruolo degli amministratori. Dopo l’intervento di Giuseppe Pedà, si sono susseguiti tantissimi interventi da parte di tutti i partecipanti. Dagli interventi è emersa la volontà di avviare un dialogo costruttivo tra tutti i Sindaci della futura Città Metropolitana. Due questioni sono di primaria importanza: la questione dello statuto e il Piano Strategico, per questo il punto di forza deve essere l’unione di tutti i Sindaci e il coinvolgimento di tutto il territorio. Bisognerà anche decidere se il Sindaco della Città Metropolitana dovrà essere eletto direttamente o indirettamente. Incisivo, tra tutti, è stato l’intervento del Sindaco di Siderno Pietro Fuda. Secondo Fuda, la Città Metropolitana è l’ultima occasione per rilanciare la questione meridionale, perché parte proprio dalla punta dello stivale. E’ necessario costruire un piano strategico per i trasporti, in quanto il nostro territorio soffre ancora dell’isolamento geografico per la mancanza di infrastrutture. Dello stesso parere, Aldo Alessio, già sindaco di Gioia Tauro. Anche per Alessio, sarà necessario essere uniti e soprattutto contare in campo nazionale, per poter utilizzare al meglio la legge Delrio. Bisognerà suddividere il territorio in aree omogenee, tenendo conto delle loro specificità e ci dovranno essere infrastrutture adeguate per il collegamento terrestre.
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In un affollato comizio in Piazza Italia
Io, Vittima di un complotto
di Luigi Mamone
Le verità alternative di Mimmo Romeo
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Rispetto la sentenza dei Giudici Amministrativi ma non la condivido” Questo uno dei leit motives del comizio di Mimmo Romeo, ultimo Sindaco di Taurianova prima del terzo commissariamento e, ancora prima, all’epoca del secondo, quando però commissione d’accesso e Commissari prefettizi giunsero quando non era più Sindaco a seguito di una defezione di parte della sua maggioranza del tempo. Il comizio, annunciato per le 21,00, inizia, in verità con qualche minuto di ritardo. Romeo, il suo Vice Bellantone, l’ex Presidente del Consiglio Crea, e un nutrito gruppo di suoi consiglieri e assessori salgono sul palco. L’ex primo cittadino - non reintegrato dal TAR nelle funzioni, inizia in maniera in verità pacata e non senza - di tanto in tanto - un filo di emozione nella voce a raccontare le sue verità. Quelli - non pochi - che memori del celeberrimo “Rapporto alla Città” di Ciccio Macrì nel 1986 si attendevano toni oltre le righe e accuse a destra e a manca in un tourbillion di impazzite sciabolate, restano delusi. I toni di Romeo non travalicheranno il limite dell’esposizione e della rielaborazione, sia pur amara, delle vicende che lo hanno visto protagonista. Gli attacchi vengono rivolti alla classe politica di Governo e a quegli esponenti che - egli ritiene - possano aver avuto un ruolo decisivo nel forzare la mano verso l’accesso e il commissariamento. Al contempo contesta in maniera netta il presupposto di “Mafiosità in pectore”, estesa non a singoli consiglieri o alla sola persona del sindaco ma - nei fatti - all’intera cittadinanza. Avverso la sentenza - dice - i miei legali proporranno ricorso al Consiglio di Stato. Secondo il TAR nessuno - per come sono andati i fatti può ritenersi mondo da questo marchio d’infamia- evidenzia - ma - stigmatizza - “Io non sono mafioso! Nessuno fra i miei familiari e i miei consiglieri è mafioso! E Taurianova non è una città di mafiosi come le malevole relazioni dei commissari
dell’accesso avevano descritto”. Contesta a chiare note la valutazione dei redattori del dossier che sarebbero andati a ritroso nel tempo alla ricerca di parentele ed eventi da porre a sostegno del giudizio di mafiosità: fino a ricomprendere nel novero perfino il nonno. Anch’egli un Domenico Romeo, ucciso per errore - per generale sentire e per risultanze processuali acclarate - avendo accettato, tornando a piedi dalla campagna come sempre faceva, un passaggio in auto da colui che era invece il vero bersaglio dei nel lontano 1974 quando - per la cronaca l’ex Sindaco doveva avere non più di 6 o 7 anni. Romeo contesta il metodo utilizzato dalla Commissione d’accesso: “Hanno dato audizione a tutti: alle opposizioni e ai funzionari, ma non al Sindaco e ai consiglieri di maggioranza!” Contesta come fatti sulla cui responsabilità sarebbero stati altri i responsabili - vengano addebitati all’organo politico: ovvero al Sindaco. In particolare evidenzia la contestazione di non aver veri-
ficato in un cantiere la presenza di un veicolo riconducibile a diversa ditta e - dice - “non spettava a me ma al direttore del lavori effettuare questo tipo di verifiche”. I toni di Romeo senza mai divenire sprezzanti, si velano più volte d’ironia quando fa riferimenti alle - da lui ritenute - responsabilità dei funzionari che la dicono lunga su un contrasto forte ed esacerbato fra la classe politica detentrice del potere di indirizzo e i funzionari detentori di un non meno pregnante potere amministrativo e si domanda “come mai i possibili artefici di condizionamento nella mia gestione - tutti collocati dove si trovano dalla precedente triade erano stati pure destinatari di lodi e sperticati elogi?” Il finale del comizio si conclude con un “arrivederci”. Saluto enigmatico quest’ultimo, che pareva lasciare aperta la porta a una ricandidatura. Ipotesi successivamente smentita con un comunicato di assoluto distacco dall’appoggio ai candidati.
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Alla Pietrosa di Répaci, col concerto del tramonto del trio Armonie Mediterranee
Il mausoleo alla grotta
Il progetto, dono del Club UNESCO alla Città
di Rocco Militano
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o qui mi sento impressionato da quella stessa natura che tanto ha ispirato le pagine poetiche di Leonida Repaci quando ha scritto “La Pietrosa racconta”, ed anche le musiche di Francesco Cilea quando, anche lui qui, ha visto e rivisto alcune parti dell’Adriana Lecouvreur. Con queste parole il M° Martino Schipilliti, a conclusione del concerto, ha manifestato tutta la sua emozione d’artista ringraziando per gli applausi a scena aperta il grande pubblico rapito ed estasiato dai virtuosismi del trio Armonie Mediterranee, completo della fantasia jazzistica dei M° Francesco e Giancarlo Mazzù. Ed è naturale per me, in questo luogo - ha aggiunto il M° Schipilliti, ricevendo dalle mani del Sindaco di Palmi Gianni Barone la pergamena offerta dal club UNESCO come riconoscimento alla carriera - riaffermare la mia concezione della musica come verità, purezza dello spirito, mezzo e linguaggio per raggiungere e comunicare bellezza e armonia. Tutto questo era stato ideato dal Club UNESCO di Palmi allorquando, nell’ambito del progetto “Adottiamo villa Pietrosa” e delle celebrazioni per il trentennale della morte di Leonida Repaci, il Direttivo aveva deciso di affidare al famoso trio chitarristico la terza edizione de I concerti del Tramonto, dove nel parco della villa prospiciente la scogliera, proprio le sfumature dei colori sull’orizzonte marino, cangianti dal giallo al rosso fino al viola, sono chiamate ad essere ispiratrici degli artisti e delle loro interpretazioni. Ancor di più questa volta vi sono state anche le personali trascrizioni per chitarra di brani di Brahms, Cilea e Piazzolla ad incantare il pubblico, suggestionandolo di visioni e musica.
Questa atmosfera di paradiso in terra che la Pietrosa ad ogni concerto dona era stata già annunciata dai percorsi pittorici degli artisti Elia Nasso, Lucia Saffioti ed Antonio Valerioti dell’Associazione Amici di Ermelinda Oliva. Fra tele, pizzi e lucerne, sotto il roseto rampicante, la loro creatività aveva richiamato anche le farfalle bianche, sognate di nuovo svolazzanti lungo il sentiero della passeggiata circolare fra le essenze di un tempo, recuperate dalla dedizione di Caterina Marino dell’Istituto Agrario, per esprimere ancora, come aveva voluto Albertina, creazione, rinascita, bellezza, sensualità e purezza. E di fronte a quelle visioni è stato convincimento di tutti che la Pietrosa sia tornata a vivere, anche delle giovani studentesse dell’Einaudi che con Ester Meduri per un anno avevano sofferto studiando i drammi della Villa abbandonata per trent’anni. Anche loro poi si sono sciolte in un accalorato applauso quando, all’arrivo della notte, il Presidente del Club UNESCO Rocco Militano ha comunicato al Sindaco di aver donato alla Città il progetto del Mausoleo alla grotta redatto dallo Studio BBN dell’Architetto Barone e su cui il Direttore Pasquale Anastasi, nei giorni scorsi e nello stesso luogo, aveva dichiarato apprezzamenti e probabilità di finanziamento da parte della Regione Calabria. Allora tutti si son convinti che realmente fra pochi mesi, completati i lavori di recupero della casa del custode e del casello ferroviario, allargata e sistemata la strada, Leonida con la sua Albertina potrà, dopo trent’anni, tornare alla Pietrosa, in quell’aria colonea da uomo trasformato in ricordo e forse in lare domestico per essere finalmente, nei secoli, non morto ma dormiente, in roccia di granito, rupe dentro la rupe.
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L’importante cerimonia celebrata nella Chiesa di San Giorgio al Corso di Reggio Calabria
Il palmese Aurelio Badolati nominato Delegato Vicario della Calabria del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio di Rocco Gatto
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i è svolta a Reggio Calabria, nella Chiesa di San Giorgio al Corso, la cerimonia di insediamento del Delegato Vicario e del Priore della Calabria del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, ordine cavalleresco religioso legato alla casata dei Borbone di Napoli, il cui attuale Gran Maestro è S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro e Capo della Real Casa. L’importante ma-
dell’Ordine, quello dell’azione mirata alla realizzazione delle grandi opere umanitarie, quali l'Assistenza Ospedaliera e la Beneficenza, sposando così appieno il progetto, fortemente voluto da S.A.R. il Principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro, “La fame del nostro vicino”, volto a sostenere concretamente, in un momento particolarmente difficile del nostro tempo, le famiglie più duramente colpite dalla crisi. Secondo la tradizione il Sacro Militare Or-
nifestazione ha fatto seguito alla nomina assegnata in precedenza da S.E. il Gran Prefetto, l’Ambasciatore Augusto Ruffo di Calabria, dei Principi di Scilla, ai cavalieri Dottor Commendatore di Merito con Placca, Aurelio Badolati, originario di Palmi, designato Delegato Vicario, e Monsignor Antonio Morabito, Canonico del Capitolo della Cattedrale di Reggio Calabria, Cavaliere di Grazia Ecclesiastica, nominato Priore. Alla ufficiatura, concelebrata dallo stesso Priore Mons. Morabito e dal Parroco della Chiesa di San Giorgio al Corso, Don Antonio Santoro, erano presenti il Delegato per la Calabria Nobile Gianpietro Sanseverino dei Baroni di Marcellinara e numerosi cavalieri e benemeriti dell’Ordine giunti da tutta la regione e dalle vicine delegazioni di Sicilia e Campania. Dopo la cerimonia il nuovo Delegato Vicario, visibilmente commosso, nel ringraziare i presenti ha voluto sottolineare che la Delegazione Calabria sarà particolarmente attenta, sul territorio, ad uno dei principali scopi
dine Costantiniano di San Giorgio, tra i più eccelsi e antichi Ordini Cavallereschi che la storia abbia mai conosciuto, trae le proprie origini dall’Imperatore Costantino I il Grande (274-337), la cui madre Elena è venerata come santa, il quale si convertì alla fede cristiana in seguito alla battaglia di ponte Milvio (Roma) del 312 d.C., con la grande vittoria sulle forze pagane di Massenzio. Durante la battaglia, l’Imperatore romano avrebbe avuto una visione di una Croce luminosa in cielo ed una voce che gli diceva "In Hoc Signo Vinces" (con questo simbolo vincerai). Dopo tale visione Costantino diede ordine di togliere l'insegna pagana del Sole dagli stendardi e di tracciare delle croci sui Labari delle sue truppe. Il giorno seguente il suo esercito travolse l'armata di Massenzio, che invece combatteva ancora sotto le insegne pagane del Sole. Massenzio morì nella fuga e Costantino entrò trionfante in Roma, padrone incontrastato dell'Occidente e patrono dei Cristiani. L'imperatore scelse poi tra i più valorosi del suo esercito
cinquanta Cavalieri da distaccare a Guardia personale dell'Imperatore ai quali fu affidato il Labaro imperiale, sopra cui risplendeva la Croce con il monogramma di Cristo. Questi 50 sarebbero stati i primi cavalieri dell'Ordine Costantiniano (Cavalleria Aurata Costantiniana). Come stabiliscono gli Statuti l'ordine si propone la glorificazione della Croce, la propaganda della Fede, e la difesa della Santa Romana Chiesa, alla quale è strettamente legato per speciali benemerenze acquisite e molteplici prove di riconoscenza e benevolenza ricevute dai Sommi Pontefici nei secoli. Si propone, inoltre, di dare il suo maggior contributo di azione e attività alle grandi opere eminentemente sociali dell'Assistenza Ospedaliera e della Beneficenza. È pertanto non solamente preminente dovere dei Cavalieri di vivere da perfetti cristiani, ma sarà proprio di essi l’associarsi a tutte quelle manifestazioni che concorrono all’incremento dei princìpi religiosi negli uomini e cooperare con tutti i mezzi a ché si ridesti nella pratica la vita cristiana. L'Ordine, che ha delegazioni in tutte le Regioni italiane e nella maggior parte delle Nazioni Europee e Americane, è formalmente riconosciuto dallo Stato italiano che, dal 1963, autorizza i cittadini italiani a fregiarsi delle decorazioni del medesimo ai sensi dell'art. 7 della Legge 178 del 3 marzo 1951. Ma quale significato può ancora avere, nel III millennio, un ordine cavalleresco? Il principe Ruffo, in un’intervista rilasciata di recente così risponde: «Di sicuro nel tempo sono cambiati obiettivi e modalità di intervento. Se fino a qualche anno fa la povertà sembrava riguardare prevalentemente i popoli lontani, attualmente dobbiamo prendere atto di quanto la crisi abbia indebolito il contesto sociale in cui viviamo. Per questo abbiamo scelto di impegnarci nel progetto “la fame del nostro vicino”. Ciò che però non cambia sono i princìpi e i valori di fondo: fin dalle origini le nostre sono finalità umanitarie. Come gli antichi cavalieri, ci schieriamo a fianco dei più deboli». Il cavaliere d’oggi possiede un patrimonio valoriale che si tramanda da secoli, privo di precisi riferimenti temporali e proprio per questo ancora attuale e vitale in quanto trae sostentamento da una morale naturale e cristiana rimasta integra e che porta alla innata volontà di compiere il bene.
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AVERE O ESSERE: J’ai… ou Je suis Massimiliano e Salvatore? di Michelangelo Di Stefano
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i tempi in cui il “villaggio globale” non conosceva ancora la commutazione a pacchetto che di lì a poco sarebbe stata al centro di un programma militare americano denominato ARPANET (Advanced Research Projects Agency NETwork), per poi evolversi in quella ragnatela del word wide web attorno al globo, Marshall Mc Luhan aveva già affermato che “Il terrorismo è un modo di comunicare. Senza comunicazione non vi sarebbe terrorismo”. Del resto, che la sociologia nelle comunicazioni di massa sia un raffinato e devastante grimaldello psicologico utilizzato nell’ “arte della guerra” sin dai tempi di Sun Tzu, è cosa ben nota, a partire dalle “[…] grida e colori di guerra, abbigliamenti aggressivi, inni, rulli di tamburi (che) hanno sempre fatto da cornice ai conflitti in tutte le civiltà con un unico obiettivo: intimorire il nemico. Una strategia al centro delle best practices nei moderni protocolli militari di comunicazione massiva, nota con l’acronimo psyop (psycological operation), rivolta ad “[…] influenzare opinioni, emozioni e comportamento delle persone per favori-
La strategia dello psyop re il raggiungimento di un obiettivo […]” sostiene Beatrice Guzzardi: “[…] Ma cosa hanno in comune queste tecniche di persuasione con il terrorismo? Come molti hanno potuto constatare, questo ultimo periodo è stato caratterizzato da tutta una serie di fatti che sembrano aver smosso anche il più disinteressato degli animi. Le stragi in Nigeria, le decapitazioni su YouTube, l’attacco a Charlie Hebdo e molte altre tragedie, hanno avuto un fortissimo impatto sull’Europa e sul mondo, forse più di quanto ci si potesse immaginare. Fino ad oggi, in molti sottovalutavano gli effetti della comunicazione mentre i terroristi ne facevano la loro arma migliore. Infatti, se ancora molti credono che gli atti compiuti da Isis, Al Qaida o Boko Haram siano fine a se stessi, che questa “guerra” non ci riguardi poi così da vicino, dovrebbero invece dare un’occhiata agli smartphone, perché è da questi che si evince il loro successo. Sempre di più abbiamo un accesso veloce ed immediato ai mezzi di informazione: se l’11 settembre 2001 sembrava
una novità assistere in diretta ad un attacco terroristico, oggi è un’attività quasi all’ordine del giorno. Dalla nascita del tubo catodico ci si interroga se, nel rispetto del diritto all’informazione, sia opportuno o meno “rilanciare” le rappresaglie terroristiche attraverso gli strumenti di comunicazione di massa, così da far divenire la TV il volano di enfatizzazione mediatica del terrore. Trent’anni fa negli Stati Uniti - documenta Marino D’amore - ci si domandava se i media dovessero o meno fornire una copertura dettagliata degli atti del terrorismo: il 93% dei capi delle polizie locali era convinto che il terrorismo traesse incoraggiamento dalla trasmissione in diretta tv delle sue gesta e dei tremendi risultati del suo operato, accompagnato dalla relativa impreparazione professionale di molti giornalisti televisivi nei confronti di un fenomeno invisibile ma terribilmente letale. Questo spiega con sufficiente chiarezza un dato che oggi ci è familiare, ma che forse negli anni Settanta non lo era ancora abbastanza: la crescente
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“spettacolarizzazione” del terrorismo. Spettacolarizzazione con riferimento alle sue dinamiche, alle sue tecniche e ai suoi obiettivi. Progressivamente il terrorismo diventa, nel tempo, una sorta di format televisivo a disposizione di pubblici sempre più numericamente consistenti […]. L’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono è stato il più grave attentato terroristico della storia, quanto a numero di morti, tuttavia le conseguenze politiche e sociali innescate sono immensamente più vaste, drammatiche e durevoli. Tutto questo è dovuto alla conduzione registica e alla spettacolarizzazione del gesto terroristico, secondo tempi e gestione dettagliata dello spazio che hanno molto a che fare con l’entertainment, turpe, sanguinoso, inumano ma comunque intrattenimento. Secondo Umberto Eco, sin dalla nascita dei grandi circuiti dell’informazione, gesto simbolico e trasmissione delle notizie sono diventati fratelli gemelli: l’industria delle notizie ha bisogno di gesti eccezionali per dar loro visibilità e ricevere in cambio consenso di pubblico, mentre i produttori di “contents terroristici” hanno bisogno dell’industria della notizia, che dà senso alla e la medesima visibilità alla loro azione e alla loro causa. Il terrorismo va al di là dell’uso manipolativo della tv, lo amplifica secondo dinamiche iperboliche e ridondanti. Un attentato, grazie ai mass media, diventa una guerra mondiale, che si consuma in quell’atto; anzi diventa una vittoria schiacciante ripresa dalle
La TV: volano di enfatizzazione mediatica del terrore telecamere e riportata dai titoli dei giornali: attacco all’America, atto di forza, attacco alla Spagna; in questo modo la comunicazione giornalistico-televisiva e oggi internettiana trasforma un attentato terroristico in quello che viene poi definito l’evento assoluto, esacerbandone la tragicità. Tale visibilità è l’enzima catalizzatore che permette la nascita e la percezione di quella sorta di onnipotenza invisibile di cui godono i terroristi. Non importa quanto sforzo economico, quante risorse umane e logistiche richieda un atto del genere, i media daranno comunque visibilità al suo sviluppo e al suo climax di morte distruzione.
(1 Continua)
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di Gianluca Iovine
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olore, dignità, amore, sollievo: cose difficili nascoste dietro nomi semplici, come quello di Igor, ragazzo ucraino di quarantun anni. Da quando, il 9 febbraio, un tumore si è portato via la madre dei suoi sei figli, la vita si è fatta ancora più difficile. La guerra non è poi così lontana dalla città in cui vivono, Vinnycja. Ora che l’esercito vuole arruolarlo, come farà la sua famiglia? Quando la storia di Igor e della sua famiglia incrocia quella di Lyubov FilikBorshch qualcosa cambia. La donna decide di seguire il caso e accoglie, insieme alla figlia Lilya, Igor e i figli. Di persone che soffrono, in Ucraina ce ne sono molte. Si muore di guerra, certo, ma anche di troppa povertà. E ci si ammala, ancora oggi, a quasi trent’anni da quella terribile notte del 26 aprile 1986 a Černobyl’. Una tragedia di tanti, occorsa anche a Victoria, che trascorse gli ultimi tre anni di vita a lottare contro il linfoma che la stava spegnendo. Sua madre Lyubov in patria si divideva tra le cure e l’insegnamento. Oggi aiuta un’anziana signora italiana, come tante sue connazionali, ma è ancora forte il desiderio di ricordare quel giovane fiore a quanti non l’hanno potuto conoscere, alleviando lo strazio dell’assenza, aiutando in suo nome chi soffre. Lyubov e Lilya hanno così dato vita all’Associazione di volontariato Victoria. Un nome semplice, ma carico di significato per chi vive inchiodato a una croce di sofferenza. A Gioia Tauro arrivano continue segnalazioni di persone abbandonate a se stesse, soggetti smarriti, invisibili, condannati a trascinare in dignitosa solitudine la loro vita. In Italia come in Ucraina, ci dice commossa la signora Filik-Borshch, sono in molti ad avere bisogno. Lei, che da sola non potrebbe mai farcela, ha nel tempo imparato a chiedere aiuto alle istituzioni, alla Chiesa e alla generosità dei privati, per dare una mano lì dove serve. Così Igor e i suoi figli, partiti dall’Ucraina dell’Est, hanno potuto raggiungere Gioia Tauro, e vivere un mese diverso, lontani da radiazioni e guerra. La speranza è che nei prossimi mesi si attivi la catena della solidarietà, e si riesca a realizzare l’adozione a distanza per i suoi piccoli. Per ora, alla fine di questa breve esperienza d’estate, sono stati raccolti piccoli aiuti, utili a risolvere le necessità quotidiane. Quando scendiamo dall’auto Lyubov è già nel magazzino della Caritas diocesana. Con lei è il Direttore, Don Cecè Alampi. Da poco ha riaperto, e già il passaparola ha portato qui le prime richieste di conforto e d’aiuto materiale. Un muletto emerge tra i sacchi di farina e zucchero, un furgone sta caricando derrate. Ci sistemiamo nello studio. L’imbarazzo è rotto a fatica da poche parole. Iniziamo a conoscerci, salutia-
Storie di sofferenza, di amore e di generosità
Victoria, un nome per le cose difficili mo il segretario della Caritas, mentre Maria Carmela fotografa la spontaneità e la curiosità di ognuno di noi. I figli di Igor sono già seduti. Manca solo il più piccolo, Marko, di appena un anno e mezzo. Il papà li raggiungerà più tardi. Don Cecè rompe l’imbarazzo e riprende le parole del Vangelo, sulla necessità di pensare ai bisogni materiali, prima ancora che alle parole e agli insegnamenti. «La signora Lyubov sta riuscendo in tempo di guerra a creare rapporti d’amicizia tra popoli, rapporti autentici, e non di mera solidarietà, ma di costruzione. Il Cristianesimo mette insieme i popoli nell’amore e nella pace, è questo il suo aspetto ecumenico», spiega. Lilya tratta i piccoli come fratelli, mentre, più a lato, Ilona, da pochi mesi in Italia, osserva con dolcezza le reazioni dei bambini alle domande, tradotte dall’italiano all’ucraino. La difficoltà della lingua è un problema in più da risolvere. Nel mese trascorso in Calabria sono stati al mare giocando con Andrey, il cugino di Lilya, quando lei non c’era ad accompagnarli, scoprendo Siderno, Palmi con il Sant’Elia, Gioia Tauro, Reggio Calabria e il suo lungomare. Alcuni bambini si sono svegliati da poco, e hanno più voglia di stropicciarsi gli occhi che di rispondere. Luigi Cordova li provoca dolcemente con una domanda. Sì, la Calabria gli piace, ma prima c’è un succo di frutta da bere. Allora proviamo a parlare di sport, e Natasha, che ha undici anni ed è vestita di bianco cede e ammette che le piace nuotare. Suona il violino, è riservata, sensibile. Andrey, il più grande, ha dodici anni, ama il calcio e la boxe. È più diretto dei fratelli,
sente di essere un piccolo uomo. Tifa per la Dynamo Kyiv, ma si allena con la scuola calcio della squadra della sua città, il Dnipro, insieme a due grandi campioni del passato: Oleg Blokhin e Igor Belanov. Il ragazzino ha una buona mira, e alla festa di San Rocco ha stupito tutti, ci raccontano, vincendo un pallone con il tiro ai barattoli. Lo sport di Ian, sei anni, dicono i fratelli, è mangiare. È vero, ma della cucina calabrese ama solo il gusto piccante. Preferisce gli hot dog, dice, sciogliendo per un attimo il broncio. Nadya ha solo otto anni, è vestita di rosso. Ha dovuto crescere più in fretta degli altri. È una bambina ancora scioccata dagli eventi, ma abbastanza responsabile da badare ai suoi fratelli. La sua timidezza non è chiusura, ma solo dolore. I figli di Igor, che è appena arrivato, lo sguardo scosso dall’emozione, stanno imparando le buone abitudini di sempre: rifare un letto e riordinare la stanza aiutano a sentirsi sulla strada giusta. Con sacrifici enormi, papà è riuscito a mandare a scuola tutti e quattro i più grandi. Sorridente e bellissima, Teresa ha tre anni, ma non ama le domande, e si abbraccia a Lilya. Per spezzare la diffidenza, proviamo a chiedere ai bambini se hanno un sogno. Lilya studierà Legge, ma sogna di fare la criminologa. Più di ogni altra cosa, vuole aiutare chi ha bisogno. Teresa non vuole diventare nessuno, ma un piccolo desiderio ce l’ha, e lo rivela mentre gioca con un braccialetto: degli orecchini. A Natasha si illuminano gli occhi mentre si immagina al lavoro come parrucchiera. Nadya si fa pregare, chiede tempo, sbuffa, poi lo dice: vuole dei pattini, per correre. A Ian basterebbe uno
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smartphone per essere felice, ma poi il Sogno, quello vero, viene fuori: quando cresce diventerà un poliziotto, per proteggere zia Lyubov, come la chiama lui. Andrey ha le idee chiare: diventare un bravo calciatore. In Ucraina per un permesso di venti giorni ci vogliono 1.000 Euro, su una paga mensile che a malapena arriva a 70. La leva obbligatoria bracca i riservisti, e se Igor sarà chiamato bisognerà far scattare l’adozione a distanza di tutta la famiglia. Ci si prepara alla partenza, Ian piange, il padre è rosso in viso. Chissà se è solo un capriccio o è già nostalgia. L’idea di Don Cecè diventa un gelato da mangiare al Royal Bar tutti insieme. La normalità attorno a un tavolo è fatta di bambini e adulti che si scambiano speranze, fotografie fatte in un niente, contro il tempo che corre, e il furgone già carico. Doveva succedere, le strade stanno per separarsi. Difficile, anche per chi scrive, non emozionarsi per una stretta di mano o un abbraccio. Siamo tutti commossi, mentre il furgone bianco si allontana. Sul portellone di sinistra il simbolo stilizzato di un pesce d’argento, Ichthýs: Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr, l’acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Per chi ha la fortuna di credere, come per chi non ha fede, la sensazione che Igor e i suoi figli non saranno più soli nel loro viaggio.
L’Associazione Victoria, rappresentata dalla signora Lyubov Filik-Borshch desidera ringraziare per l’aiuto e la solidarietà offerti: Roberto Marcetti dell’Associazione Nadia, la signora Mustafaeva Gulnara di Ferrara, Tamara Kamorgina dal Montenegro, il Direttore Don Cecè Alampi e il personale della Caritas di Gioia Tauro, la signora Susanna del Bowling di Gioia Tauro, Riccardo e tutto il personale del
Royal Bar, la signora Oksana, la Farmacia Galluzzo, Maria Stadnyuk e Rocco Tripodi, Padre Ivan, Lyudmila Radevic, la madre di Stefania, la signora Ilona Oliynuk, Svitlana Korniycuk con la sua famiglia, Gerardo Lopez, Andriy Berezdak, Olga Filik, Concetta Orlando e Ippolito Mazzitelli, l’ex Sindaco Renato Bellofiore, e l’attuale amministrazione insieme al Sindaco di Gioia Tauro Giuseppe Pedà.
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di Prof. Massimo Losito
Il "Peace Memorial Park" di Hiroshima, luogo dove ogni anno si ricordano le vittime della bomba atomica
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iroshima, sono da poco passate le 8 del mattino. Un rumore cupo, profondo proviene dal cielo. Non così forte da far percepire la sua minaccia; non così presto per consentire un accenno di fuga. Il “ragazzino”, Little Boy, viene lasciato cadere, con la sua ingannevole luce, con la sua inaudita violenza mortale: è la mattina del 6 agosto del 1945, settant’anni fa. Decine di migliaia di vite cancellate in un bagliore, o nel tempo che ne è venuto, segnato dai morsi atroci di quel mostro radioattivo che si è liberato dal gigantesco fungo venefico. Proprio da lì, da Hiroshima, nel 1981 San Giovanni Paolo II affermava che “nel passato, era possibile distruggere una città, e anche un paese, mentre nel presente è tutto il pianeta ad essere minacciato”. Infatti, per usare le parole che lo stesso Papa diresse ai giovani a Ravenna nel 1986: “con lo sviluppo tecnologico crescono anche i rischi: rischi perfino dal cielo, che era sempre stato l’espressione delle cose più belle, delle aspirazioni più alte; paradossalmente mai l’uomo si è trovato in mano tanta potenza e insieme tanta fragilità: più ci si avvicina alla cima del progresso tecnico e più i danni raggiungono le radici della vita”. Oggi le parole profetiche di San Giovanni Paolo II sembrano essersi compiute, soprattutto con gli sviluppi delle biotecnologie, che hanno messo a nudo, anzi imprigionato in provette di laboratori, queste radici della vita umana: poter manipolare il nucleo di una cellula umana, così come quello di un atomo, terrorizzò lo stesso biochimico
Dalla bomba atomica alla bomba biologica… A settant'anni dalla bomba atomica su Hiroshima un'altra bomba minaccia l'umanità 6 agosto 1945 sganciata la bomba atomica su Hiroshima… disastro annunciato… Chargaff, che con i suoi esperimenti consentì i lavori successivi di decifrazione del nostro DNA. Oggi gli uomini, mediante l’uso disumano di tecnologie riproduttive e degli sviluppi della genetica, hanno un nuovo tremendo potenziale nelle mani, una bomba biologica, per disinnescare la quale, occorre la positiva deflagrazione di un nuovo umanesimo. Infatti, proprio da Hiroshima - e con quanto coraggio - San Giovanni Paolo II sottolineava che la minaccia non proviene di per sé dalla scienza e dalla tecnologia che “sono un prodotto meraviglioso della creatività umana, che è un dono di Dio”, ma da una tecnica che ha dimenticato l’uomo e, come sottolinea la Laudato si’ (l’Enciclica di Papa Francesco), dal paradigma tecnocratico, che inquina il cuore umano. La fantascienza ci mostra spesso, nel futuro, minacce che arrivano da robot senza sentimenti: la realtà ci ricorda che la minaccia, nel presente, ar-
riva da uomini senza cuore. Dunque, come diceva San Giovanni Paolo II “la nuova tecnologia - o anche una tecnologia di 70 anni fa (aggiungo personalmente) – costringe la nostra generazione a trovare le fondazioni delle grandi norme morali, e a porsi così gli interrogativi decisivi sulla natura dell’uomo”: occorre ritrovare la priorità della bioetica sulla scienza, occorre ritrovare, sotto le macerie di una grave crisi morale, l’umano dell’uomo, ciò che nessuna esplosione potrà mai cancellare del tutto.
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di Caterina Sorbara
La pittrice Maria Fedele
Organizzata dal Comitato spontaneo commercianti di Taurianova
Fiera espositiva artigianale
Grande visibilità alle proposte artistiche pianigiane
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l 17 Agosto a Taurianova si è tenuta in Via Roma e Via XXIV Maggio una Fiera espositiva artigianale, organizzata dal Comitato spontaneo commercianti di Taurianova, rappresentato da Giovanna Plateroti. Il fine della manifestazione è stato quello di dare visibilità ad artisti e artigiani di Taurianova e dei paesi limitrofi. Tanti gli artisti e gli artigiani che hanno esposto le loro opere al giudizio del numeroso pubblico arrivato a Taurianova dai paesi limitrofi. Erano presenti: la pittrice di Amato Maria Fedele, artista dal tocco delicato e raffinato, presidente dell’Associazione Culturale “Culturalmente”. Antonella La Rosa, pittrice taurianovese, dalle sue opere si evince che in lei arde il “sacro fuoco dell’arte”. Infatti la La Rosa, oltre a dipingere scrive anche poesie. Assunta Jeraci, pittrice e scultrice di Gioiosa Jonica. La Jerace nel corso della sua carriera è stata insignita di numerosi riconoscimenti: Pietro Canzio di lei ha detto: “Sebbene l’arte della Jeraci sia intrisa di vita vissuta
di piccole perle, di comune coltivazione, si riscontra nell’avvolto della concretezza una metafisica aspirazione. Specialmente nelle ultime opere che contengono rimandi e richiami d’incontro in cornici di colori e minuziosità di ricamo…”. Cettina Mezzatesta con opere realizzate con diverse tecniche, come la decorazione artistica sul vetro, il decoupage, la tecnica del mosaico e tanto altro. Maria Vaccari e Caterina Mustica con le loro creazioni all’uncinetto e ricami. Marica Popovici che insieme alle sorelle realizza opere con la tecnica del decoupage e l’uncinetto. Rosellina Battista e Giuseppina Ciccone con manufatti in gomma crepla e pasta di mais e Mirella Plateroti con le sue bellissime fate, angioletti e tanto altro. E poi ancora Grazia e Lisa con i loro artistici lavori a maglia che hanno incantato tutti. Molte anche le opere in legno e ferro battuto come quelle di Prochilo Vincenzo e una mostra fotografica. Nel corso della serata il “Domani Onlus” ha attivato una campagna di sensibilizzazione per la donazione alla “La Lega del
Filo d’Oro”. Ha chiuso l’evento un tributo ad Enzo Arbore, curato dall’Orchestra “La Luna Rossa” in Piazza Macrì. Una riflessione è doverosa: la Piana di Gioia Tauro (tutta la Calabria) è ricca di artisti che andrebbero valorizzati e supportati, eventi come quello del 17 Agosto sono importantissimi. L’arte in tutte le sue forme dona luce, speranza e serenità. L’augurio è che le istituzioni in futuro possano impegnarsi per la valorizzazione di questi nostri figli che con i loro lavori ci fanno ricordare il nostro passato magno-greco.
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di Federica Mamone
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otte di San Lorenzo all’insegno della buona cucina e delle Prugne dei Frati la De.Co. di Terranova Sappo Minulio. Le Prugne, in dialetto “ I pruna di Frati” è una qualità di prugne o susine che dir si voglia antica e particolarissima con un sapore unico e tale da averle consentito di diventare una delle credenziali della nuova Terranova Sappo Minulio: oggi piccolo borgo a pochi chilometri da Taurianova e fino a poco più di due secoli città medievale fra le più importanti della Calabria e prima ancora capitale del “Ducato di Terranova”. Il menù, curato dallo Chef Enzo D’Agostino dall’antipasto al gelato ha coniugato in forme diverse le prugne, fornite in grande quantità dall’azienda Prestileo personalmente curata dal Vice sindaco Pietro Spirlì. L’antipasto, i primi e si secondi hanno visto il famoso chef fondere in un unico di rara delicatezza il pesce azzurro e le prugne. Sapori delicatissimi per un cucina semplice e cionondimeno di alta scuola che ha
Terranova: Notte di San Lorenzo all’insegna della cucina d’alta scuola
A cena con le Prugne
Splendida serata nella suggestiva location della piazza antistante il Municipio e la Torre civica
fatto strappare ai commensali - ai quali , è bene sottolinearlo - il pranzo è stato offerto dall’organizzaizone - applausi a scena aperta e - nei limiti del possibile - qualche
richiesta di bis. La mifestazione è stata realizzata dal Comune di Terranova in collaborazione con Il GalBaTir. Nel corso della serata il sindaco Salvatore Foti, ha premiato il cittadino più anziano, Giuseppe Trapani, un arzillo 94enne sempre pronto a ricordare le sue gesta belliche di mitragliere sul fronte albanese durante la seconda grande guerra. Trapani - per il vero - è il secondo nella classifica dei nonnini. Il primo - di ben 101 anni era però già stato premiato lo scorso anno e pertanto la scelta è caduta - giustamentesul secondo in classifica. La più giovane, invece era un neonata, Alice, nata il 17 luglio scorso, cancerina verace e che ha raccolto l’applauso dei presenti che in lei vedono idealmente la prosecuzione della millenaria storia del popolo terranovese i cui discendenti popolano oggi tutti i paesi della piana, un tempo casali della città.
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Il logo “Act Italy” Festival
Cristian con la Mamma Grazia Caruso
E’ nata una nuova stella del cinema
Recitare, che passione!
Christian Borromeo, 12 anni, romano di origini calabresi ha vinto “ACT ITALY” il festival itinerante diretto da Fioretta Mari
C
hristian Borromeo, romano con mamma calabrese, dodici anni appena ed è già una promessa del cinema: a dirlo è Fioretta Mari, attrice, docente di recitazione, talent scout: una che di cinema se ne intende e che è capace di leggere dentro il viso, i gesti, le espressioni di tantissimi giovani che sognano di sfondare nel mondo della celluloide: fino a individuare i migliori. Come fa con “ACT ITALY” FESTIVAL itinerante che offre in tante location diverse una chance a chi ha la grinta e le fisique du rhole giusto per affrontare registi e telecamere del dorato mondo della fiction e che ha visto il talento del giovane Borromeo giustamente premiato. Alla presenza della Mamma e con la sua autorizzazione abbiamo intervistato la giovane star. - Diventare un attore era un tuo sogno nel cassetto? Come nasce la tua passione! Si, era il mio sogno! Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dal mondo del cinema, così i miei genitori decisero di farmi frequentare una scuola di recitazione. Appena si è presentata l’occasione per partecipare al festival itinerante presentato da Fioretta Mari, ho aderito. - Quali sono state le varie fasi del concorso nazionale, tenutosi al teatro Parioli di Roma agli inizi dello scorso Luglio? Eravamo in ottocento selezionati in varie città d’Italia. A Roma il 16 Maggio ho partecipato alla prima selezione, siamo rimasti in centocinquanta e solo in quindici siamo arrivati alle semifinali, io ho partecipato per la categoria teen. Si poteva partecipare anche per altre categorie come musical e canto, ogni categoria doveva comunque
presentare un pezzo recitato anche per gli altri settori. Alla notizia della vittoria la prima reazione è stata di fare salti di gioia. - La premiazione è stata effettuata da Fioretta Mari. Qual è stato il tuo rapporto con l’attrice? Fioretta Mari ha usato nei miei confronti l’affetto di una madre. Un atteggiamento che mi ha dato maggiore sicurezza durante i tre giorni del festival. - Cosa spinge un adolescente ad uscire dalla routine quotidiana e partecipare ad un concorso per aspiranti giovani attori? Ho semplicemente cercato di coltivare una mia passione. Intendo consigliare ai ragazzi della mia età di non stare sempre attaccati ad un computer, ai videogiochi o alla televisione, ma di curare altri interessi come la recitazione, la musica, lo sport per capire anche quali siano le proprie tendenze per il futuro. - Le tue origini sono calabresi. E' tua madre che ti ha seguito in questo percorso? Viviamo a Roma ma mia madre, Grazia Caruso, è di Oppido Mamertina. Mamma prima ha vissuto in Lombardia dove insegnava. Poi, ha seguito mio padre, Luigi, che è Maresciallo dei Carabinieri a Roma. Vengo con piacere spesso in Calabria con mia madre a trovare i miei nonni e mio zio. - Quali sono i tuoi sport preferiti? Sono cintura blu di Karate, gioco a calcio nel ruolo di portiere e seguo un corso di nuoto; come squadre di calcio tifo per il Napoli città di origine di mio padre e per la Roma che è il luogo dove vivo. - A Settembre comincerai a girare un film col regista Max Nardàri, vuoi dire
di Filomena Scarpati
ai lettori quale parte interpreterai e darci qualche anticipazione del film? Il film si intitola “La famiglia a soqquadro”. Io interpreterò la parte di Alessio, antagonista di Martino. È il secondo film di Max Nardàri che è il regista e ha scritto la sceneggiatura con Fausto Petronzio che è anche il mio agente. Sarà un film che tocca tematiche importanti e attuali come la separazione, il bullismo e l’omologazione. - A quale attore vorresti somigliare? A Christian De Sica che più che un attore è un artista perchè sa interpretare qualsiasi ruolo. Ad Majora da parte del “Corriere della Piana” che porge a Cristian l’augurio di una brillante carriera che lo porti a diventare una star di Hollywood.
Il Vincitore Cristian Borromeo con l'Attrice Direttrice artistica della scuola di recitazione Fioretta Mari
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Lino Polimeni e Francesco D’Agostino Foto Free’s Tanaka Press
di Gaetano Mamone
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randissimo successo per la festa dello Stocco di Cittanova, giunta alla XV edizione, organizzata dalla Pro Loco di Cittanova sotto l’egida dell’Azienda Stocco e Stocco il cui patron, l’On. Francesco D’Agostino, imprenditore di successo, la ideò nel lontano 2001. Un successo colossale in termini di affluenza di pubblico - 60mila persone l’11 Agosto per il concerto di J-Ax e circa 35/40.000 per quello dei Dear Jack con la cui esibizione la kermesse si è conclusa il successivo 23 Agosto. Apprezzatissimo per la qualità e la cura con cui viene preparato sotto le direttive dello Chef Enzo Cannatà il merluzzo che - se seccato sulla banchisa - diventa poi lo Stocco, se invece conservato sotto sale, dai coraggiosi marinai norvegesi delle lontane isole Lofoten che lo pescano nel burrascoso Atlantico del Nord - diviene poi Baccalà. La diversa conservazione implicherà poi modi diversi di preparazione: quella che è detta maturazione e che in entrambi i casi avviene in acqua, possibilmente corrente, per reidratare il merluzzo essiccato nel caso dello stocco e per liberarlo dal sale in quello del baccalà. L’On. D’Agostino e il Sindaco di Cittanova hanno espresso la loro
I Dear Jack con la Torta per il compleanno di Lorenzo Foto Free’s Tanaka Press
Festa Nazionale dello Stocco Successo clamoroso per l’evento creato da D’Agostino
soddisfazione per l’organizzazione globale dell’evento che, nonostante l’afflusso di pubblico è stato magnificamente gestito dalla Polizia Municipale, dalla Forze dell’ordine e dalle associazioni di volontariato coinvolte nelle fasi di concentrazione e canalizzazione del traffico veicolare e della successiva fase di sgombero, risoltasi senza problemi già intorno alle 2,30 del mattino. La festa ha dato anche una grossa boccata d’ossigeno a tutti gli operatori economici di Cittanova che nell’arco delle due serate hanno lavorato al
meglio delle loro potenzialità. Fra le migliaia di persone presenti di spicco la presenza del Presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, del Presidente della Provincia Giuseppe Raffa e della neo Miss Cinema Calabria, finalista ancora una volta al concorso Miss Italia, Alessia Siclari. La serata conclusiva dedicata al baccalà - ha visto nel back stage del concerto la festa di compleanno di Lorenzo, uno dei Dear Jack con tanto di torta a forma di basso come le nostre foto esclusive propongono.
Il pubblico del concerto ai piedi del palco - Foto Free’s Tanaka Press
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“In Canto Princi e gemelle Scarpari”
di Marinella Gioffrè
Delianuova: IV Edizione
In Canto Delianuova Festival
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iunto alla IV edizione, lo spettacolo è divenuto un avvenimento socio-culturale di rilancio del territorio su scala regionale, motivo principale di scoperta di giovani talenti ed eccellenze attraverso la musica, con il coinvolgimento di tutte le associazioni locali. La manifestazione è stata patrocinata dall’Amministrazione comunale con la collaborazione diretta della Pro Loco e la Croce Rossa Italiana, il Cif e l’Age, che si sono prodigati per la buona riuscita dello spettacolo e per l’accoglienza del numeroso pubblico. Sono intervenuti il Vescovo della Diocesi Oppido-Palmi S.E. Mons. Francesco Milito, il Consigliere Provinciale Luigi Fede-
le, il Sindaco Franco Rossi, il Maresciallo della locale Stazione CC, alcuni Sindaci dei comuni limitrofi. La kermesse che si è svolta presso la Villa Comunale ha già fatto emergere nel panorama nazionale con la trasmissione “Ti lascio una canzone” di Antonella Clerici, Chiara e Martina Scarpari. Ideatore e produttore della manifestazione è l’imprenditore Natale Princi, mentre la direzione è stata affidata a Giovanna Scarfò che ha riservato un format del tutto originale per quest’anno. Uno spettacolo innovativo, pieno di piacevoli sorprese, composto da una giuria che ha espresso giudizi live, costituita da: Monica Magnani vocal coach del programma “Ti lascio una canzone”, il soprano Maria
Rosaria Bagalà e l’attore, nonché sceneggiatore, Nino Spirlì. La preparazione del gruppo partecipante è stata orientata alla concorrenza all’insegna del fair play. Lo spettacolo è stato condotto da Francesco Capodacqua, concorrente di Amici di Maria De Filippi. Le gemelle di Varapodio vincitrici della II edizione di InCanto sono state come tutti gli altri partecipanti accompagnate dall’Orchestra Mediterranea Orchestr Band. Sono inoltre intervenuti da “Ti lascio una canzone” Veronica Manzo, Antonio Licari e Costanza Fasulo. Dodici i talenti in gara, i quali, hanno avuto l’occasione di esibirsi su un palco artisticamente consolidato e di far tesoro di un’esperienza formativa per il loro vissuto. All’innovativa scenografia proposta per questa IV edizione, ha fatto da cornice naturale la splendida Piazza Marconi. Si è classificata al primo posto la più piccola del gruppo di soli otto anni, Giulia Scarcella di Messignadi di Oppido Mamertina che ha cantato “Dio come ti amo” di Domenico Modugno e “Immobile” di Alessandra Amoroso, al secondo posto Guido Romeo di Scido e al terzo Carol Silvestro di Maropati.
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Le Raccoglitrici di olive e l’azione caritativa di Mons. Maurizio Raspini Vescovo di Oppido Mamertina (1953-1965)
di Sac. Letterio Festa Direttore dell’Archivio Storico Diocesano
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na pagina della storia di questa Calabria “grande e amara” da non dimenticare è quella che accenna al contributo silenzioso e sofferto donato dalle raccoglitrici di olive allo sviluppo della nostra terra. Queste donne, impiegate per la raccolta delle olive dall’antichità fino alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo, lavorarono duramente per secoli, irrigando con il loro sudore gli uliveti, la cui proprietà era concentrata in mano ad altri. Le olive si raccoglievano spontaneamente cadute dall’albero e non bacchiate. La loro molitura avveniva in frantoi, spesso secolari, posti negli stessi campi di raccolta o in prossimità di torrenti viciniori. L’annata olearia, a ritmo biennale, si protraeva da novembre ad aprile. Per tale periodo, i proprietari, che abitualmente risiedevano nel paese, si spostavano verso l’uliveto, conducendovi la manodopera paesana per le diverse necessità della coltura: raccolta, cernitura, trasporto, molitura. Si veniva a creare, così, un vero e proprio fenomeno migratorio temporaneo: intere famiglie lasciavano il paese per il campo lontano, al quale non era possibile avviarsi la mattina per rientrare a casa la sera e per la lontananza in sé (dai 7 ai 25 chilometri) e per l’assoluta mancanza di servizi pubblici di trasporto. Intere famiglie si spostavano, portando con sè lo scarso peso di una scorta di legumi per la parca alimentazione quotidiana, unito al più gravoso carico di una numerosa figliolanza e talvolta anche di vecchi e cadenti genitori, quando questi non rimanevano in paese per fare una vita per certi aspetti peggiore di quella dei campi. Le famiglie delle raccoglitrici, andavano ad abitare in casupole, baracche, pagliaie, vani terreni di costruzioni primitive, raggruppate attorno alle case padronali, chiamate “Torri”. Ad ogni famiglia veniva assegnato generalmente un solo vano da adibire a tutti gli usi: mangiare, cucinare, lavare, dormire, in una malsana promiscuità
curve sulla terra, coi piedi nudi nel fango, nell’acqua, nell’erba nel cuore dell’inverno
tra vecchi e giovani, malati e sani. Ma la fatica sui campi era ancora più estenuante. Dal primissimo mattino fino al tramontare del sole, le raccoglitrici stavano curve sulla terra, coi piedi nudi nel fango, nell’acqua, nell’erba nel cuore dell’inverno. Nella maggior parte dei casi, non esisteva osservanza di un orario legale di lavoro, scarsa era la cura per i fanciulli che restavano negli abituri per tenere il fuoco acceso, quando anch’essi non venivano impiegati per qualche lavoro. Durante il giorno non si mangiava mai caldo: al mattino un po’ di castagne secche, a mezzogiorno un po’ di pane con fichi secchi, peperoni o olive consumati sullo stesso posto di lavoro e a sera, finita la raccolta, le raccoglitrici sciamavano per i campi alla ricerca di verdure selvatiche da cucinare come cena insieme a pochi fagioli o patate. L’insufficiente
alimentazione, le deficienze igienico-sanitarie, la povertà dei vestiti, la natura e il periodo del lavoro causavano il prodursi di casi di deperimento organico, di bronchiti, otiti, polmoniti, pleuriti, affezioni malariche, t.b.c., cattive gestazioni, aborti, rachitismi e altre malattie infantili. La miseria, l’allontanamento dal centro abitato, lo stesso vivere su di una terra che si dimostrava avara, faticosa, per niente ospitale, accumulavano, durante l’annata olearia, una serie di elementi negativi di disagio sociale. I fanciulli, pur soggetti all’obbligo scolastico, per la maggior parte, perdevano il meglio del programma delle scuole, perpetuando un’alta percentuale di analfabetismo. Il rapporto di lavoro, ancora per buona parte, era concepito come un rapporto di servitù ad un padrone per la cui buona grazia si otteneva di lavorare e di lavorare a quel modo: non rispettando le tariffe sindacali, senza alcuna forma di previdenza sociale o di assicurazione e senza alcuna tutela del lavoro delle donne e dei bambini, dell’igiene, della sicurezza e della maternità delle lavoratrici. Queste difficili condizioni, queste povertà morali e materiali, non potevano sfuggire all’attento e paterno occhio dei Vescovi di Oppido. Ad esempio, Mons. Giuseppe Teta, che fu a capo della Diocesi aspromontana dal 1859 al 1875 e che per lascito testamentario volle donare tutti i suoi beni ai poveri, scrisse riferendosi ad una delle più vaste contrade agricole della Città episcopale: “Si vada a Quarantano, a visitare la Chiesa e si investighi se sappiano le cose di Dio”. Ma chi più si distinse per la cura alle persone impiegate nel duro lavoro della raccolta delle olive fu il Vescovo Maurizio Raspini. Non era un calabrese, nacque, infatti, ad Oleggio (Novara), nell’umile famiglia di un calzolaio. Dopo un intenso periodo vissuto come Parroco in un grosso centro del novarese, Bellinzago, il 22 agosto 1953, fece il suo ingresso solenne ad Oppido. Fin dai primi giorni del suo infaticabile ministero pa-
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fece di tutto per non far mancare una significativa assistenza materiale e religiosa
storale, si rese conto che in Calabria la povertà era strutturale al punto da superare ogni immaginazione. Da buon missionario, sapeva che i poveri, prima della Parola di Dio, attendevano un pezzo di pane. Per ottenere aiuti, al fine di impostare un’efficace e duratura attività caritativa, si rivolse a tutti: l’Archivio Storico Diocesano è pieno delle lettere che egli inviò a Ministri, Vescovi, Industriali, ex parrocchiani, potenti personalità nel tentativo, spesso riuscito, di avere un valido sostegno alla sua paterna carità. Poche settimane dopo il suo arrivo ad Oppido, durante la terribile alluvione del 1953 che atterrò case, tuguri, alberi e danneggiò campi e vigneti, il buon presule diede visibile dimostrazione della sua sollecitudine per i più poveri ed afflitti, a vantaggio dei quali, negli anni successivi, aprì Colonie ed Oratori festivi, istituì la Scuola di servizio sociale e il Centro assistenza P.O.A.. Egli ebbe una grande attenzione per le centinaia di operai dei Cantieri scuola, ai quali fece di tutto per non far mancare una significativa assistenza materiale e religiosa. Amorevolmente vicino in modo particolare agli emigrati, sull’esempio di San Carlo Borromeo e dei grandi Vescovi tridentini, non delegava agli altri l’esercizio della beneficenza. Amava distribuire personalmente medicine, indumenti, cibarie e non disdegnò mai di tendere la mano ed entrare nelle povere case degli umili. Pensando anche lui alle 56 povere famiglie di Quarantano scrisse: “Anche questo angolo di malferma terra calabra deve esse-
re sanato, civilizzandolo”. Non poteva, quindi, il cuore di questo padre dei poveri non accorgersi delle difficili condizioni delle raccoglitrici di olive. Sostenuto dai suoi Parroci e Sacerdoti - tra i quali si ricordano Don Domenico Polistena, Don Giuseppe Loria, don Felice Bagnati, Don Giuseppe Annichini - si diede, anche su questo campo, ad una intensa ed efficace attività caritativa. Oltre ad una prioritaria vicinanza materiale, effettuata attraverso gli aiuti della benemerita Pontificia Opera Assistenza, si provvide innanzitutto ad un organizzato servizio religioso, svolto attraverso le Messe festive celebrate in diverse cappelle rurali sparse in prossimità delle “Torri” più popolose. Partendo dalla Cattedrale, con una borsa di cartone contenente il necessario, i diversi Canonici raggiungevano, spesso a piedi o sui camion degli stessi lavoratori, i vari fondi dove la gente li attendeva per ricevere il Pane della Parola e dell’Eucarestia. Alle celebrazioni della Messa festiva, si affiancavano altre pratiche di pietà quali il Rosario nei mesi di Maggio e Ottobre, le lezioni di catechismo e i ritiri mensili. Questa apparentemente semplice azione pastorale si dimostrava quanto mai efficace per la vita cristiana delle raccoglitrici e dei loro familiari. Scriveva, a tal proposito, il Canonico Annichini: “Spesso mi sono trovato di fronte a fior di giovanotti, di uomini, di donne prive di qualsiasi nozione catechistica; è già molto se conoscevano le semplicissime, fondamentali preghiere dell’ Ave e del Padre nostro”. Sulla stessa linea, scriveva don Felice Bagnati: “A
tutti ci sforziamo di portare, oltre al conforto spirituale, anche qualche aiuto materiale. Nella zona più lontana, denominata “Quarantano”, per la prima volta, i bambini di quella contrada, hanno potuto constatare che cosa significa “Albero di Natale”. Infatti, con i doni avuti da Mons. Vescovo, abbiamo avuto la possibilità di allestire un ricco “Albero di Natale”. Dopo la celebrazione della Messa era davvero una festa vedere come grandi e piccoli abbiano circondato l’albero in attesa di averne i doni”. Più volte, spesso a dorso di mulo, Mons. Raspini percorse l’altipiano di Trepitò, visitando gli accampamenti dei pastori, raccogliendoli in un festoso incontro e celebrando per loro la Messa. Lo stesso fece spesso sugli altipiani di Zervò, Carmelia e Pietracuccuma, incontrando i boscaioli e i carbonai. Di tutta questa attività, egli informò puntualmente le Autorità romane che non mancarono mai di sostenerlo ed incoraggiarlo per una sempre più fruttuosa opera caritativa. Scriveva, ad esempio, Mons. Ferdinando Baldelli della Pontificia Opera Assistenza: “Leggendo la sua lettera sembra di ritornare ai tempi apostolici o nei luoghi in cui i Vescovi missionari vanno alla ricerca di chi ha bisogno di Dio e del conforto umano”. Questa opera caritativa e missionaria della nostra Chiesa della Piana continua ancora oggi a servizio delle nuove povertà. Lo spirito evangelico è lo stesso, le strategie e i mezzi sono cambiati. Siamo certi che l’aiuto e la collaborazione di tutti produrranno risultati ancora più grandi e duraturi.
La Redazione del CORRIERE della PIANA porge alla Collaboratrice CHIARA VATICANO e al suo Sposo LEANDRO POLIFRONI cordiali e sinceri auguri di un prospero futuro per la vita coniugale.
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di Giovanni Garreffa
I Bruzi in Aspromonte: contributo di ricerca
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ei Bruzi si sa che, provenienti dal centro della Penisola, si sono insediati in un’area che va dal fiume Lao all’Aspromonte e che il terzo secolo a.c. ha rappresentato il periodo più fulgido della loro potenza. Erano organizzati in dodici città, politicamente strutturate in repubbliche, con il loro senato e con a capo un Lucumone; tutte insieme si sono costituite in una confederazione indipendente. Infodo, apparentemente si tratta di una strutturazione analoga a quella che si erano dati gli Etruschi, però con una differenza sostanziale: tale unione, infatti, era basata esclusivamente su vincoli e rapporti religiosi, senza alcuna interferenza di carattere politico. I dodici Lucumoni formavano il Consiglio Federale, la cui sede era Consentia; il Consiglio trattava gli affari comuni e di maggiore rilevanza. In fondo, una tale organizzazione aveva anticipato di oltre due millenni l’assetto degli stati moderni e della costituzione di realtà sopranazionali mirate proprio ad evitare conflitti, obiettivo che le democrazie dei nostri giorni, fino a questo momento, si può tranquillamente dire che, in linea di massima, fortunatamente hanno conseguito. Non fu così, però, anche per i Bruzi; le guerre tra le repubbliche, in barba al patto federativo, infatti, ha indebolito la confederazione e la ha portata alla rovina, favorendo la colonizzazione magno-greca, le cui repubbliche, a loro volta, nel tempo, per le stesse ragioni hanno fatto identica fine. In merito, nonostante si sia scritto abbondantemente, permangono ancora delle zone d’ombra, del tutto inesplorate. Non ci riferisce, infatti, molto Tito Livio, poco ne parla anche Aulo Gellio, il quale addirittura li individua come crocifissori di Cristo, incorrendo nelle ire di Umberto Eco, che definisce tali notizie
puri…”pettegolezzi dei loro nemici”… Qualche elemento in più ci deriva da Strabone, che se ne occupa quattro/cinque secoli dopo; egli precisa che all’interno delle montagne sovrastanti la città di Locri abitavano i Bruzii. La notizia non è di poco conto, anzi, per certi aspetti, crea nuove piste di studio sull’argomento, mai esplorate per lunghi secoli. Le montagne sovrastanti la città di Locri altro non sono se non l’epigono appenninico che collega le Serre col contrafforte aspromontano, su un pianoro della dorsale che ne attraversa le vette, a 1026 metri sul livello del mare, in località “Palazzo” di Oppido Mamertina, dove sono stati individuati consistenti reperti archeologici del primo insediamento Bruzio, risalente al quinto secolo a.c.. Prova documentale più inconfutabile, a supporto della tesi dell’autorevole storico e geografo greco, non si poteva riscontrare. A questo punto, però, il confronto delle date di cui sopra pone un ulteriore problema per la ricerca successiva sull’argomento; infatti, se i Bruzi già nel quinto secolo a.c. erano presenti nell’estremo lembo della Penisola, cioè sull’Aspromonte, che al tempo avevano altro nome, ma soltanto due secoli dopo raggiungevano l’apice della loro potenza, abbondantemente insediati in un’area corrispondente a quella che successivamente è stata individuata come Calabria Citeriore, è legittimo interrogarsi sulle modalità di una tale espansione, nei vari momenti della loro storia. In fondo, o lo sciame iniziale ha riguardato l’intera punta dello stivale e magari successivamente è cominciata la risalita per una concentrazione più a nord, precisamente nel teatro della Federazione delle dodici Repubbliche, oppure bisogna pensare all’ipotesi di un originario raggiungimento del limite a sud via mare, per poi, durante i secoli successivi concretizzare la risalita, atteso che testimonianze per via dei pregressi e recenti scavi, emergono costantemente, disseminate in varie aree della nostra Regione. Il dilemma apre ad ulteriori prospettive di ricerca e di studio; un augurio a chi eventualmente intende cimentarsi nell’opera!.
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DELIANUOVA :
Ricordi a 100 anni dall’inizio della Grande Guerra 1915/18
L’
Amministrazione Comunale, l’Associazione Culturale “Mesogaia” e “Librarsi in Aspromonte” in collaborazione con l’Associazione Culturale Musicale “Nicola Spadaro” hanno ricordato in Piazza Leuzzi, “per non dimenticare”, i tragici momenti di quello atroce conflitto che ha contato molte perdite di giovani vite umane. Nel territorio di “Mesogaia”, che comprende Delianuova, Scido, Santa Cristina d’Aspromonte, Oppido Mamertina e Cosoleto, i morti sono stati circa 500. Ha condotto la serata il Presidente di “Mesogaia” Fortunato Schiava, che ha spiegato le ragioni che hanno spinto gli organizzatori, alla realizzazione della manifestazione, sottolineando l’importanza di ricordare per non ripetere gli errori che hanno condotto alla
Rappresentanti Mesogaia
belligeranza, causa di sofferenza e morte, auspicando di poter raggiungere obiettivi di pace e libertà. Il Sindaco Franco Rossi ha evidenziato l’importanza di “fare conoscere ai più giovani i tragici momenti vissuti dalle famiglie italiane che hanno dovuto lottare per guadagnarsi la libertà”. Giuseppe Scerra, Presidente della “N.Spadaro”, ha ricordato che “le sofferenze di quel momento storico devono servire da lezione, per non rendere vano il sacrificio di un’ intera generazione”. Il Dott. Antonino Violi ha commemorato gli 83 deliesi morti in quel conflitto. Giuseppe Cricrì ha letto alcune lettere del Capitano Raffaele Idà di Delianuova che al di là del Piave scriveva ai propri cari le cronache dal fronte ed incoraggiava in ogni modo i suoi subordinati. Il Dott. Raffaele Leuzzi ha dettagliatamente illustrato attra-
di Marinella Gioffrè
verso delle slide alcuni monumenti eretti a ricordo dei soldati morti nel territorio di “Mesogaia”, mentre l’Assessore alla Cultura Teresa Carbone ha incentrato l’intervento su un documento storico realizzato dal Prof. Amato Licastro nel 1919 dettagliando il significato di quell’opuscolo che redige un “Resoconto Morale e Finanziario” della gestione del “Comitato di Mobilitazione Civile di Delianuova”, nato per aiutare le famiglie dei militari in guerra, infermi, feriti, convalescenti, del quale Presidente era il Cavaliere Scullino Nicola e Segretario lo stesso Amato Licastro. Una copia dell’opuscolo è stato distribuito dall’Assessore Carbone ai presenti. La serata si è conclusa con l’esecuzione di 4 brani da parte dell’Orchestra giovanile di fiati diretta dal M° Gaetano Pisano, che ha concluso con l’Inno di Mameli.
Un momento della manifestazione
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Lubrichi momento della consegna del premio Roubiklon a Gangemi
Lubrichi di Santa Cristina d’Aspromonte
La cultura in primo piano
di Marinella Gioffrè
Premiato lo scrittore Mimmo Gangemi
S
i è tenuta presso il magnifico scenario della terrazza dell’ Oasi, “Sacra Famiglia di Nazareth in Lubrichi”, la III edizione de “La giornata del libro aperto”, l’appuntamento annuale organizzato dalla locale Associazione Culturale Roubiklon con Presidente Rocco Polistena, patrocinato dal Comune di Santa Cristina d’Aspromonte ed in collaborazione con le Associazioni Culturali Geppo Tedeschi (Oppido Mamertina) e Turistica Pro Loco di Delianuova. Tra i partecipanti all’evento erano presenti l’Associazione “La Compagnia del Drago” di Villa San Giovanni, le Case Editrici “Città del Sole Edizioni” di Franco Arcidiaco e “Nuove Edizioni Barbaro” di Caterina Di Pietro e Raffaele Leuzzi. Dalle ore 17.00 alle ore 20.00, gli stand delle Case Editrici intervenute ed una ricca esposizione di manufatti in legno e pietra verde hanno allietato i visitatori. Alle ore 21.00 ha avuto inizio il “Gala’ Degli Autori”, un “salotto” all'aperto con inizio esilarante sulle note di Mad World, celebre brano eseguito magistralmente dal Duo Simone and Matteo Pietropaolo, accompagnati con la danza da Domenica Frisina. L’evento è stato inoltre preceduto dall'accensione del-
la Fiaccola della Cultura e una cascata di "stelle cadenti". Gli autori intervenuti, Mimmo Gangemi, Vincenzo Filardo, Maria Frisina, Domenico Colella, Don Giancarlo Musicò, hanno disquisito intorno alle loro opere, toccando tematiche di attualità. Lo scrittore Mimmo Gangemi, originario di Santa Cristina d’Aspromonte, che si è soffermato a lungo sul concetto della malavita oggi, ha parlato in particolare dei suoi romanzi “il prezzo della carne” e “un acre odore di aglio”, ha ricevuto il Premio Culturale Roubiklon, anno 2015. Degli scrittori presenti si sono sviscerate le ultime pubblicazioni con lettura di brani eseguiti dalla giovane scrittrice Marzia Matalone e da Don Giuseppe Papalia, trattando al contempo argomenti di politica, attraverso un interessante dibattito culturale. Hanno fatto seguito le interviste face tu face da parte del Socio Onorario, Prof. Saverio Italiano e del Presidente Rocco Polistena. Un galà davvero entusiasmante e ricco di colpi di scena, come tutte le manifestazioni culturali organizzate periodicamente a Lubrichi dall’Associazione Roubiklon, composta da persone che si impegnano per una passione che è divenuta divulgazione di ideali sani per il bene e lo sviluppo del proprio territorio.
AICol
ENTel
ALS
FEDER.Agri
CAA
Federazione Pensionati M.C.L.
CAF
PATRONATO SIAS
CEFA Ong
SNAP
Centro Europeo di Formazione Agraria
Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati
EFAL
Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2
Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori
Associazione Lavoratori Stranieri
Centro Assistenza Agricola
Centro Assistenza Fiscale
Ente Formazione Addestramento Lavoratori
Ente Nazionale Tempo Libero
Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura
Servizio Italiano Assistenza Sociale
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Oppido Mamertina: L’I.T.I.S ha presentato il suo progetto all’ EXPO
Progetto Arduino e tecnologia NFC
di Francesco Di Masi
Per la sicurezza, la tracciabilità e l’anti-contraffazione
L’
espresso Domenico Giannetta, Sindaco di microcontrollore in una filiera alimentare in ITIS di Oppido MamertiOppido Mamertina, mostrando tutto il suo grado di scrivere in un etichetta elettronica na ha rappresentato l’istruorgoglio per il successo ottenuto dall’Istituto un codice di sicurezza da cui ricavare tutte le zione calabrese all’ EXPO oppidese. “ La nostra Scuola, continuando informazioni riguardanti la tracciabilità di un di Milano. E’ stato, infatti, ha detto, ha dimostrato ulteriormente quale certo prodotto, ponendosi come obiettivo fil’unico istituto d’istruzione superiore seconlivello d’eccellenza abbia ormai raggiunto. nale, quello di garantire al 100% l’autenticità daria della Calabria ad essere presente alla Il MIUR, attraverso la sua valutazione, ha dello stesso, evitando contraffazioni e tutemanifestazione di caratura mondiale che si risposto a coloro i quali non riescono ad inlando così il Made im Italy. “Sono veramente sta tenendo nel capoluogo lombardo e che tendere quale sia il reale valore dell’Istruorgoglioso di quanto i nostri ragazzi stanno durerà fino al 31 Ottobre 2015. Il progetto zione oppidese e perchè l’ITIS oppidese è facendo. Con il loro duro lavoro, ben guidaArduino e tecnologia NFC per la sicurezza, considerato dalle Istituzioni un centro polare ti dai loro docenti, hanno dimostrato ancola tracciabilità e l’anti-contraffazione propoper lo sviluppo dell’intera area del versanra una volta come le scuole oppidesi siano sto dall’Istituto Tecnico Industriale del cente tirrenico meridionale della Provincia di istituti ideali per far crescere ottimamente le tro aspromontano, dopo essere entrato nel Reggio Calabria. Faccio i miei complimenti nuove generazioni e stimolare i ragazzi nello “Progetto Scuola EXPO 2015 Io ci sono”, è ai dirigenti scolastici, ai docenti, a tutti cosfruttare a 360 gradi le proprie potenzialità. risultato tra i vincitori del concorso nazionaloro i quali lavorano negli istituti scolastici Questa si è rivelata un’occasione di crescile “ La scuola per EXPO 2015” bandito dal oppidesi, ma sopratutto ai nostri ragazzi che ta, di aggregazione e di confronto unica per Ministero dell’Istruzione, dell’Università e hanno dimostrato, ancora una volta, come il tutti i ragazzi, oltre che di valorizzazione del della Ricerca (MIUR) per l’anno scolastico nostro territorio sia una fucina inesauribile nostro territorio, rappresentato in una ma2014-2015. Il concorso su menzionato, rivoldi talenti”. nifestazione di così alto profilo”. Così si è to alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, invitava docenti e studenti a sviluppare sulle tematiche di EXPO 2015 strumenti conoscitivi e comunicativi basati sull’utilizzo delle tecnologie digitali. Alcuni studenti delle classi V-b e V-c, insieme ai professori Marra e Galea, hanno presentato il proprio progetto nel Padiglione Italia, alla presenza della Responsabile del Progetto Scuola, Patrizia Galeazzo e ad un nutrito ed interessato pubblico che ha affollato lo STAND dedicato alla Scuola oppidese. Nel loro intervento i ragazzi hanno illustrato gli obiettivi che il progetto si pone: prioritariamente mira a valorizzare la tradizione agro-alimentare della produzione dell’olio d’oliva, che rimane il prodotto pìù tipico del Sud Italia e che punta, inoltre, a dimostrare la fattibilità e la semplicità dell’integrazione di un sistema a I Ragazzi dell'Itis all'Expo con al centro i loro docenti Galea e Marra
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Il tavolo dei lavori con Quagliariello, Iaffaioli, Cammareri, Giannetta, Molinaro e Barca
A Oppido Mamertina un convegno sul cibo come benessere e salute di Filomena Scarpati
Alimentazione e Cancro Utilizzo dei prodotti tipici locali e dieta mediterranea
“
Alimentazione e Cancro” è il titolo del convegno tenutosi lo scorso 26 Agosto ad Oppido Mamertina, organizzato dall'Amministrazione Comunale rappresentata dal Sindaco Domenico Giannetta. Al convegno, introdotto e moderato dal Vice Sindaco Vincenzo Barca, hanno partecipato come relatori Francesco Cammareri, originario di Oppido M., Direttore dell'Unità Operativa di Oncologia polo ospedaliero di Frascati Marino, docente della Scuola di Specializzazione in Oncologia dell'Università di Tor Vergata Roma, Rosario Vincenzo Iaffaioli Specialista in Oncologia e Medicina Interna, docente di ruolo in Oncologia Medica, Direttore della S.C. di Oncologia Medica Addominale del dipartimento di Oncologia Addominale dell'Istituto Nazionale Tumori "Fondazione Pascale" di Napoli e della stessa Fondazione ha preso parte Vincenzo Quagliariello, Dirigente Medico e Ricercatore del dipartimento di Oncologia Addominale, infine Pietro Molinaro Presidente della Coldiretti Calabria. I convenuti nei loro interventi hanno spiegato al pubblico presente nella sala vescovile di Oppido Mamertina, luogo in cui si è tenuto il convegno, come una cattiva alimentazione possa incidere negativamente sulla nostra salute ed esporci maggiormente al rischio tumori. Le possibilità di ammalarci con un'alimentazione ricca di grassi saturi, sale, zuccheri e proteine sono elevatissime, oltre al rischio cancro, ci espongono a numerose altre malattie che sono la base di partenza dei tumori. Sono inoltre intervenuti, Giuseppe Zampogna Vice Presidente dell'Ordine dei Medici della provincia di Reggio Calabria che ha auspicato un'indagine su tutto il territorio della Piana che rilevi l'incidenza dei tumori rispetto ad altri luoghi e Giuseppe Saletta Vice Presidente del Consiglio della Provincia, che ha parlato di prevenzione attraverso screening diagnostici agli assistiti. Per Cammareri il cambiamento del tenore di
vita, oggi più agiato, ha fatto si che le morti per malattie cardiovascolari e tumori siano passate dall'ottavo posto di alcuni anni fa, al primo posto delle attuali statistiche, per cui l'importanza di un'alimentazione sana diventa preminente nella prevenzione. Iaffaioli ha introdotto il discorso sull'importanza della dieta Mediterranea scoperta attraverso un'indagine sulla longevità delle popolazioni dell'Italia Meridionale, che portò a capìre che le attività maggiormente praticate in quei luoghi erano quelle di contadino e pescatore basate sul movimento fisico, mentre l'alimentazione era costituita da prodotti della terra come frutta, verdure, legumi, frumento, pesce, olio d'oliva, tutti elementi che contribuivano a mantenere a lungo l'organismo sano, diminuendo la mortalità. Iaffaioli ha anche parlato di costituire una rete tra Calabria e Campania per la prevenzione dei tumori, basata sull'informazione preventiva e la diffusione di un'educazione alimentare ad hoc che diminuisca i rischi di ammalarsi. Vi è sempre un'infiammazione, sostengono i medici, che dà origine ai tumori e a molte altre malattie causate principalmente da una cattiva alimentazione. Un obeso costa al sistema sanitario nazionale il 20% in più rispetto agli altri assistiti, con un aggravio di spese sul bilancio delle Regioni e dello Stato. Quagliariello nella sua relazione ha posto l'accento sulla sindrome metabolica che aumenta del doppio l'incidenza del rischio cancro. Il Presidente della Coldiretti Calabria Molinaro, oltre a sostenere le teorie della buona alimentazione necessaria a vivere meglio e più a lungo, ha
parlato dell'economia per la Calabria basata sull'agricoltura che stenta a decollare per i mercati che presentano delle anomalie. Se riflettiamo sul fatto che il peperoncino rosso piccante calabrese è rinomato in tutto il mondo e la Calabria fornisce solo il 5% della produzione totale, è fuori dubbio che non può essere immesso sul mercato peperoncino prodotto altrove e fatto passare per calabrese. Il rischio per il consumatore di essere frodato è elevato, di conseguenza ne è scaturito l'invito ad una maggiore attenzione. Il Sindaco Giannetta, medico chirurgo, che ha chiuso i lavori del convegno, oltre a porgere il suo saluto e i ringraziamenti ai convenuti, ha parlato della chirurgia del tumore e dell'importanza di un registro che, se tenuto con serietà e in base a criteri miranti a migliorare i livelli qualitativi, può divenire uno strumento in più per aumentare l'efficacia della prevenzione. Il Sindaco ha anche ricordato le proprietà organolettiche e il potere antinfiammatorio del bergamotto che è un prodotto prettamente calabrese. Sono poi state consegnate dall'Assessore Elisa Scerra e dal Presidente del Consiglio Margherita Mazzeo delle targhe ricordo ai relatori. A conclusione della serata Carmelo Caratozzolo ha offerto un assaggio della sua torta Mamertina all'olio d'oliva premiata ad Expo 2015. Il convegno è stato sponsorizzato dall'Autosalone Lipari a cui il Sindaco ha porto i ringraziamenti a nome dell'Amministrazione Comunale. Una diretta streaming ed audio dell'emittente Radio Eco Sud ha ulteriormente pubblicizzato l'importante happening.
Partecipanti nel Salone Vescovile di Oppido Mamertina
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Il nostro Collaboratore Michelangelo Di Stefano con il reperto appena riportato in superficie
Interessante scoperta archeologica
Il Mascolo di un cannone medievale
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l nostro collaboratore Michele Di Stefano, appassionato subacqueo, è stato autore, durante una recente immersione del ritrovamento e del recupero di un reperto risalente al sec. XV-XVI: un "mascolo" di Cannone. Il "mascolo" era la culatta, la parte finale dei cannoni secenteschi nei quali lo scoppio era attivato tramite l'accensione di una miccia. La scoperta conferma quanto importanti possano essere campagne
estive di archeologia sottomarina lungo le coste calabresi, oggi purtroppo al centro dell'attenzione per i misteri delle navi affondate con carichi misteriosi e forse tossici - ma che un tempo furono testimoni, come Sergio Mariottini 40 anni fà dimostrò scoprendo nel mare di Riace i due celeberrimi "Bronzi" - di traffici commerciali e presenze belliche e commerciali di navi che ancora oggi potrebbero contribuire a riscrivere pagine della nostra storia.
Tre immagini della “Culatta” o “Mascolo” del cannone
di Luigi Mamone
Il reperto ancora sul fondale
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Al nocciolo dell’arte di Domenico De Angelis
M
i si consenta una breve considerazione. Si ha da più parti la netta percezione, che gran parte del futuro dell’Italia, va innegabilmente legato alla capacità di conservare quel meccanismo formidabile che è l’eredità culturale. La stessa, però, non deve essere intesa soltanto in senso restrittivo (legata cioè a monumenti e luoghi che hanno segnato la storia), ma inclusivo di quella genialità che ha fatto grande l’Italia. Motivo di apprezzamento, stima e ammirazione da parte di tutti gli altri popoli, che guardano al bel paese con interesse e curiosità. Si segnala, nel presente articolo, uno spaccato tutto italiano, per essere più precisi “terranovese” (di Terranova S.M., la più piccola e graziosa città della Piana del Tauro). Tra i frutti che la città offre, sono le susine (meglio identificate come “prugne dei frati” o “Pruna di frati”) ad emergere nella produzione agricola. Anche perché possono vantare la denominazione De.C.O. La lavorazione del frutto e delle sue parti, deliziano non solo il palato, ma anche gli occhi. E sì! Perché da qualche tempo, ad opera della terranovese Carmela Greco, il nocciolo delle prugne non è più considerato un rifiuto, ma una risorsa indispensabile per la creazione di vari oggetti (si è passato dallo scarto del frutto al frutto dello scarto). Le creazioni artistiche si integrano bene con
La Sig.ra Carmela Greco
I “Fiori di nocciolo” di Carmela Greco
l’arredamento, si propongono come idea regalo, rappresentano quel gadget particolare che ogni turista vorrebbe portare al rientro dalle ferie. La felice intuizione è cominciata nel 2013, quasi casualmente. L’artista, essendo rapita dalla naturale bellezza ed armonia che la terra riesce ad offrire, è riuscita ad osservare il nocciolo delle prugne con occhi diversi. È così che sono nate le prime creazioni! costituite principalmente dal nocciolo delle prugne, da rametti, da corteccia nei vari strati, ecc. La lavorazione porta con
sé un carico di passione, genialità, artigianalità, estro e fantasia che fa di ogni creazione una vera e propria opera d’arte. Già, proprio arte, perché non bisogna dimenticare che la parola “arte” fino a più di un secolo fa, venne usata per significare tutto ciò che veniva “fatto”. I lavoratori erano considera-
ti artigiani. Le cose “artefatte” erano essenzialmente dei “manufatti”. La parola manufatto significa “fatto a mano” (anche se oggi intendiamo con tale termine anche le cose fatte a macchina). Questa piccola parentesi, ha solo l’intenzione di ricordare a tutti che la parola “arte” non venne indicata sempre con la lettera maiuscola “A”. Ma è importante tener presente che tante opere conservate attualmente nei musei, hanno trovato tale collocazione per circostanze accidentali (si pensi ai vari utensili antichi) piuttosto che per intenzione dell’artista (o artigiano). E chissà se anche gli oggetti evidenziati nel presente articolo non diventino pezzi rari, di una originaria idea da trasmettere ai posteri!? L’artigianato naturale che ivi si presenta, non ha l’intenzione di evidenziare il valore economico delle creazioni, ma il valore simbolico, la genialità, l’operatività, la maestranza che porta con sé. In un periodo in cui le lavorazioni a macchina (frutto dell’elettronica pura) sembrano prendere il sopravvento, parentesi artistico-artigianali come queste terranovesi, portano una sana boccata d’ossigeno. Affermare che il lavoro fatto a mano – in tal caso totalmente naturale – sia notevolmente superiore (artisticamente parlando) di quello fatto a macchina, non è una pretesa, ma una realtà. Se a tale concetto, si considera che l’opera posta in essere non è mai stata fatta prima d’ora, che ogni pezzo è unico, che sicuramente sarà imitata, diffusa e valorizzata, costituisce certamente un senso di sano orgoglio e soddisfazione per la Sig.ra Greco. La quale, ha già esposto tali creazioni (la prima volta a Terranova S.M. nel 2014, vedi Mensile CdP n°24) anche in qualche fiera organizzata nella Piana. I suoi “Fiori di nocciolo” sono oggetti artistici, frutto dell’amore verso la natura e l’arte. Nella speranza che anche altri seguano il suo esempio, c’è da considerare che quanto appena evidenziato, non è ancora “noto” ma è sicuramente “notevole”. Un plauso, quindi, alla creatività ed alla genialità dell’artista terranovese.
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Ceramisti d’eccezione all’ombra della Madonna dei Poveri di Filippo Marino
Paolo Condurso nel suo laboratorio seminarese
Andiamo a Seminara e gioiamo con i Condurso artisti d’eccezione
A
ll’ombra del celebre santuario seminarese la Beatissima Vergine dei Poveri offre ausilio, protezione e santità a tutti coloro che vanno da Lei non solo nel mese di Agosto - le date della festa sono due: 14 e 15 - ma anche a tutti coloro che dall’Italia e dall’estero Le sono devoti. Famosi bumbula, cortareddha e fischietti tutti opera dei Seminaresi, anche chi lavora la creta si porta la fama e la conoscenza d’a crita, l’argilla plasmata e plasmabile dall’abile mano dei Condurso: Paolo il padre ora scomparso e Gennaro il figlio che ne segue gli insegnamenti.
La Madonnina e il Bambino Gesù con il mondo in mano, ci accoglie nel suo tronetto un tempo dei Sanchez ora di tutto un popolo che osanna la Pulcherrima destinata ancora e per sempre a passare per le vie della sua Seminara …Di Siminara Reggina Vui siti/ Madonna di povari Vui vi chiamati: così un antico canto che ho ascoltato da bambino in processione sotto la pesante vara dei portatori… Non poteva osare Fede più convinta quella di mio padre che puntualmente mi portava alla festosa processione del mezz’Agosto seminarese. E io ci andavo felice e contento di ricevere dai miei genitori un fischietto a doppio sentire.
Maria è prodiga di Grazie con chi è prodigo, con i derelitti di strada, con chi vuol distribuire sè stesso dopo il fatidico canto mariano e il rispettoso ossequio verso la Vergine che tutti ossequia, tutti ama, tutti soccorre…Spes mariana, Spes christiana! Il massimo del Dono è Cristo stesso che non solo veicola l’arte condursiana, madonnari d’eccezione, ma giova a quanti sull’altare monitorano ubbidienti il Senso della Storia. Andiamo a Seminara e gioiamo con i Condurso artisti d’eccezione e con quanti sanno coniugare per sè stessi e per gli altri il ritmo di Celestiali melodie. Guardai nta mari/ vitti na stella/ eravu Vui Vergine Bella!
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La Prof.ssa Francesca Raso, insieme ad altri ospiti, all'inaugurazione della Collettiva di Arti Figurative
di Caterina Sorbara
È
stata inaugurata Martedì 18 Agosto a Rosarno presso l’Omega Gallery, la Collettiva di Arti Figurative applicate e scultoree, dal tema “La danza delle arti tra colori e musicalità”. Questa manifestazione di forte richiamo artistico culturale, giunta ormai alla quarta edizione, è stata fortemente voluta e organizzata dalla Prof.ssa Francesca Raso, Presidente di Alfart, Movimento Calabrese socio-culturale. Dopo il tradizionale taglio del nastro, la scrittrice Caterina Sorbara ha dato il benvenuto agli artisti presenti, sottolineando l’importanza dell’evento nel panorama culturale pianigiano. Nel suo discorso la Sorbara ha sottolineato che: “Solo la
di Deborah Serratore
N
ell'ambito delle manifestazioni per l'anno culturale 2015 l'amministrazione comunale di Palmi rappresentata dal Sindaco Giovanni Barone e dal Presidente Gaetano Muscari per il consiglio comunale hanno ritenuto di dover dare un giusto riconoscimento alla pluridecennale attività artistica e culturale del Prof. Enzo Ciappina, artista palmese che si è distinto per la multiforme prolificità dell'attività nel campo delle arti. Ciappina, infatti, da alcuni anni rappresenta uno degli artisti più impegnati di Palmi, che ha sviluppato notevoli capacità sia in campo letterario con prosa e poesia, sia nel campo della produzione artistica in senso lato essendo per altro scultore (con opere in legno e ceramica) nonchè fotoamatore. Del nostro artista una bellissima opera in ceramica da lui donata fa bella mostra di sè proprio all'in-
Rosarno, iniziativa Alfa Art tra colori e musicalità
La danza delle arti
Pittura scultura, musica e poesia
cultura può essere volano di sviluppo e riscatto per la Calabria”. A seguire la Prof.ssa Raso, ha nominato socia onoraria di Alfart la Prof.ssa Carmela De Leo per la vicinanza e l’impegno profuso nella manifestazione. Tante le opere esposte dai quattordici artisti, che sono venuti a Rosarno da tutta la Calabria: Adriana Repaci, Anna Badolati, Antonio Oliva, Carlalberto Leonardi, Carmela Mafrica, Carmelo Raco, Carmelo Zoccali, Elena Trimarchi, Elisa Urso, Gianfranco Bulzomì, Maria Frisina, Piera Cutrì, Vincenzo Zavaglia e la stessa Francesca Raso. Nel corso della serata , la Prof.ssa Carmela De Leo ha declamato alcune poesie tratte dalla silloge poetica di Maria Frisina “Canto l’anima del sogno”; due liriche della Raso; due della stessa De Leo e infine due liriche in vernacolo del poeta Agostino Formica. Dopo il simbolico “passaggio delle chiave” tra gli artisti presenti, un conviviale rinfresco con il taglio della torta ha concluso l’inaugurazione dell’artistica manifestazione.
Palmi: premiata la poliedricità artistica
Produzione a tutto tondo
Riconoscimento al Prof. Enzo Ciappina
gresso della Casa della Cultura, impreziosendo coi suoi colori, tipici della nostra terra, un angolo della sala. In campo letterario l'ultima sua opera ha per titolo “Il silenzio dei sussurri” (Arduino Sacco Editore), una silloge di componimenti poetici che per ammissione dell'autore “nata quasi per caso”, ha dischiuso le timide porte del mio quotidiano tra sogno e realtà”. Così come particolarmente di pregio è il cortometraggio in hd di circa dieci minuti - sottoposto al giudizio delle più importanti manifestazioni nazionali per cortometraggi - intitolato “La creatura predi-
letta” che nasce per bocca dell'autore come “ un doveroso omaggio” allo scrittore Leonida Repaci ed occasione per riappropriarsi del ricordo di un grande uomo che con tanto amore ha cantato la generosa “Terra di Calabria”: un filmato che é un vero e proprio inno alla gioia ed alla valorizzazione delle bellezze della Costa Viola viste attraverso gli occhi di un “innamorato”. “Un meritato riconoscimento hanno sottolineato Barone e Muscari - che si inserisce a meraviglia nel proposito amministrativo di valorizzare le migliori espressioni artistiche del territorio”.
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di Paolo Lucio Albanese
Vincenzo Capua durante il concerto
L
a festa de la Varia dei piccoli, una versione della manifestazione in scala ridotta trasportata dai ragazzi, che si è svolta a Palmi Domenica 23 Agosto, si è conclusa con il gradevole concerto di Vincenzo Capua, romano di nascita, ma palmese a tutti gli effetti per via delle origini di nonno Vincenzo, noto penalista e papà Pino (per oltre quattro lustri presidente della commissione antidoping della FEDERCALCIO). Vincenzo Capua vanta già importanti successi nonostante la giovane età (26 anni compiuti il 28 Aprile scorso), come la finale al Festival di Castrocaro nel 2011, per due anni ospite musicale fisso all’Edicola Fiore di Fiorello, nel cast delle ultime due edizioni del Capodanno della rete ammiraglia della Rai, Con il suo live tour FELICE, il giovane cantautore ha ripreso a girare il nostro Bel Paese, iniziando proprio dalla maestosa Piazza I° Maggio a Palmi: due ore circa di musica intensa e emozionante, accompagnato dall’ottima band, composta da Riccardo Anastasi (tastiere), Giulio Viola (chitarra), Crispino Mangano (basso) e Gianni Polimeni (batteria). Tra le numerose “cover” di grandi successi e i brani del suo ultimo lavoro discografico, fatto di melodie soft e ritmi scatenati, il giovane cantautore ha infiammato il numeroso pubblico presente, con un medley dedicato a Lucio Battisti, un omaggio a Pino Daniele (“Dubbi non ho”), “Oggi sono io” di Alex Britti, “Strada Facendo” di Claudio Baglioni, il fortunatissimo brano “Sono solo parole”, interpretato e portato al successo da Noemi, al suo nuovo singolo “Felice”, arrivato alla posizione numero 9 dei top brani ITunes e in rotazione nelle più importanti radio italiane. Il videoclip del brano vede la partecipazione degli attori Vittoria Belvedere e Giorgio Borghetti (il brano è acquistabile in tutti i negozi digitali). E poi come non “Amore Illogico” presentata a SanremoSocial, per tentare l’approdo sul palco del Teatro Ariston, “E ci sei tu”, tormentone edicola
Palmi: Piazza I° Maggio
Apprezzata esibizione del giovane cantautore Vincenzo Capua in occasione della prima tappa del tour “Felice”
Fiorello, inserita nella Hit Mania Estate 2014. La serata ha visto la partecipazione di altri ragazzi che insieme a Vincenzo hanno preso parte per due anni al programma Edicolafiore di Rosario Fiorello, il rapper OthelloMan e il cantattore Giuseppe De Siato. L’unica nota stonata è che la tappa del concerto palmese sia stata fissata nello stesso giorno nel quale nei paesi limitrofi c’erano altri eventi, quali: a Rizziconi (9° edizione del Festival della Birra) il concerto dei Tiromancino, mentre in piazza Campanella a Cittannova c’è stata la brillante performance dei Dear Jack. Al termine della serata il cantautore palmese ci ha confidato: «Felice è la canzone che più mi rappresenta in questo momento, la punta di un iceberg che è il mio nuovo progetto musicale. E’ una canzone che parla di me, ma anche di tanti ragazzi della mia età, che vivono tra la paura di crescere, il desiderio di realizzare i propri sogni, - prosegue Vincenzo - e tanta confusione. L’ancora di salvezza è l’amore, quella spinta che ti dà la forza di crescere e maturare, cercando di diventare migliore e allontanarsi dalle cose futili. In un periodo storico dove regna il pessimismo e ci sono molti problemi, sono contento di cantare ad alta voce la parola FELICE, perchè abbiamo il dovere di essere felici, - la chiosa finale di Vincenzo Capua - o perlomeno il diritto di provarci percorrendo la strada della felicità». Il tour, che è stato patrocinato dalla provincia di Reggio Calabria, è proseguito a Villa S.G. Cannitello (25 Agosto), Oppido Mamertina (26 Agosto), Marina di San Lorenzo (29 Agosto) e si concluderà nelle feste patronali di Reggio Calabria.
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Opere in esposizione (foto Deborah Serratore)
di Deborah Serratore
The Harp
Una piccola rivoluzione in una sala da tè
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n tempo i grandi cambiamenti culturali nascevano nei “caffè”, oggi invece le “mini rivoluzioni” possono partire da una sala da tè. Accoglienza, buon cibo inglese, arte e cultura: tutto questo è “The Harp”, l’originale locale sito in un’elegante palazzina ottocentesca - i cui pregevoli stucchi sono stati opportunamente restaurati prima dell’apertura - sul corso Tenente Aldo Barbaro, nei pressi di Piazza Primo Maggio a Palmi. Nella “tea room” creata dall’eclettica insegnante irlandese Nerissa Lonergan insieme ad altri tre soci, si respira un clima un po’ “calabritish”: il calore calabrese si fonde cioè con l’apertura mentale inglese. Chi entra a The Harp nutre sia il corpo con i preziosi e variegati tipi di tè e gli ottimi dolci inglesi (brownies, cupcakes e altro ancora, il tutto importato direttamente dal Regno Unito) che la mente “divorando” magari un buon libro nella saletta superiore, o partecipando alle innumerevoli iniziative creative promosse dal locale per “cibarsi di arte”: dal 5 Luglio per un tempo non ancora definito sono state aperte le “Settimane dell’Arte”, una rassegna di opere contemporanee di giovani artisti palmesi e non solo che ha trasformato The Harp in una sorta di “pinacoteca libera”. Ed ecco alternarsi le creazioni in scultura e cartapesta di Giuseppe De Domenico, le “pittosculture” (opere a tutto tondo che fuoriescono da un contesto bidimensionale per esprimere le inquietudini insconce dell’umanità) polimateriche realizzate in stucco, ferro, gesso e argilla da Anna Badolati; e poi le illustrazioni brillanti, dissacranti e ironiche di Melo Marturano (di cui parleremo fra poco) e Marco Battaglia; e i disegni di Alessandra de Masi, incentrati su disegni animati e figure femminili, dei veri e propri “gioiellini”. Queste iniziative artistiche sarebbero state di difficile realizzazione senza le inesauribili idee del “Doc” Domenico “Mimmo” Murdaka, uomo assolutamente lontano da ogni cliché, vissuto sempre e solo di arte e per l’arte: per una serie di vicissitudini si è ritrovato dalla sfavillante Milano mondana (lunghissima la sua esperienza al Teatro Lirico La Scala) alla Calabria, dove risiede da due anni e dove ha trovato un ambiente molto meno ottuso di quanto i luoghi comuni legati tristemente alla nostra terra facciano immaginare: è nata infatti fin da subito una bella empatia con tanti giovani dalla mentalità aperta, positiva e anticonformista. “Questi artisti” - sostiene Murdaka“hanno difficoltà ad esporre, devono sempre lottare con le istituzioni che tendono ad incentivare la cultura per così dire “normale” ”. Il “Doc” (reduce peraltro dalla collaborazione con la comunità dei Piani di Zervò), sempre più intenzionato a dare un impulso di novità anche a coloro che hanno una mente chiusa, si è “inventato” pure la prima edizione di “PopFormArt”, una ricerca di artisti e sperimentazioni d’opera. Il 18 e 19 agosto, sempre a The Harp, ogni forma d’arte è stata rappresentata in maniera simultanea: Suono, Colore, Luce. Tutto nello stesso momento. Ed ecco l’artista di “action painting” Attilio Bovi che inizia a dipingere - attirando la curiosità dei passanti - le sue emozioni in libertà con vernice acrilica su un compensato men-
tre Doc Murdaka prepara effetti sonori complessi che accompagneranno la lettura di frammenti del trattato “Punto, linea superficie” di Kandinsky, il quale amava accompagnare musica e immagine n un unico istante. Ad accompagnare Murdaka nella parte elettronica, la lettrice Michela Turri ed il chitarrista jazz Giancarlo Mazzù (componente insieme al fratello Francesco dell’Irish Strings Quartet), che afferma: - “Lo scopo è creare qualcosa di improvvisato. Il risultato non può essere né previsto né ripetuto, con la nostra performance descriviamo il tempo presente”. E’ “l’arte dell’attimo”, basti guardare Bovi e i fratelli Longhi dipingere durante la serata: qualsiasi forma potrebbe essere quella definitiva, è lo stato d’animo dell’artista a decidere quando fermarsi. Al “PopFormArt” è presente anche lo stand di “Jestime”, un gruppo di cinque ragazzi - studenti all’Accademia di Belle Arti a Reggio Calabria - dalla mente libera (4 grafici manuali e uno digitale). Le loro irriverenti illustrazioni denunciano i mali della società e si burlano di tutto ciò che è precostituito. Armato di china e pennarello acrilico Melo Marturano (esibitosi anche in un’improvvisazione musicale con la chitarra assieme ad Axl Teti e a Murdaka) stravolge con la sua arte psichedelica il mondo circostante, tutto è basato sul paradosso e il capovolgimento della normalità: spedisce indiani sulla luna e fa indossare a una gatta un manto sacro. C’è spazio anche per il reading, la lettura di brani d’autore: le parole da asporto di Dario Gallo il 18 Agosto e gli Autori Appesi il 19, giovani scrittori “falliti, dilettanti e professionisti”, che denunciano le “gabbie aperte al pubblico” presenti nell’esistenza umana. Le “vibrazioni” dell’arpa (The Harp, simbolo dell’Irlanda e del locale ne è appunto la traduzione letterale) provenienti dalla sala da tè nei giorni del “PopFormArt” e delle “Settimane dell’Arte” hanno trasmesso un’ondata benefica alla cultura palmese: l’entusiasmo dei giovani collaboratori di questa sala da tè sta compiendo una “piccola rivoluzione” nelle menti di molti. E’ la mentalità che fa l’artista. A furia di nutrirci di queste idee creative ci sentiamo un po’ “artisti” anche noi.
Artisti all'opera (foto Deborah Serratore)
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Gatto di notte
Taurianova misteriosa U’ PATRUNI, A’ CHIESA E U MUREDU
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olto tempo fa, nelle campagne che si estendono intorno a Taurianova, c’era una piccola graziosa chiesetta (a dire il vero c’è ancora, è ancora piccola ma non è più così graziosa, anzi potremmo dire che oggi è un pochino inquietante). Era frequentatissima dagli abitanti della piccola comunità, si svolgevano regolarmente le funzioni ed era molto amata. Si affacciava direttamente sulla strada principale della contrada. La strada era poco più di una mulattiera, ma la chiesetta aveva anche un bello spiazzo, dall’altro lato della strada, un semicircolo di mattoni con un sedile in pietra che seguiva tutto il muretto e dove la gente si sedeva all’uscita della funzione domenicale oppure durante la settimana le donne che tornavano dal lavatoio con le braccia doloranti per i troppi panni lavati, le mani arrossate per l’acqua che scorreva gelida anche in estate, e i figli attaccati alle gonne si fermavano a riprendere fiato, a scambiare qualche pettegolezzo o a recitare il rosario. Quello spazio a forma di C molto chiusa, ma non completamente, era stato ideato solo per questo da chi lo aveva commissionato, dare un momento di riposo e di convivialità agli abitanti della zona. Il muretto non era ancora completamente finito perché lo scalpellino stava ancora incidendo i disegni che lo abbellivano al bordo superiore, rami intrecciati di edera e rose sbocciate dedicate alla Madonna. Tutto intorno al muretto si estendeva la proprietà di un uomo che viveva proprio lì, la sua casetta non ancora finita sorgeva davanti alla chiesetta e a fianco dello spiazzo. Era un uomo avido, invidioso e avaro. Era chiamato “U’ Patruni”, cioè il padrone perché era abbastanza ricco da possedere molti terreni della zona e perché poteva permettersi dei dipendenti. La sua casa la stava costruendo raccogliendo (spesso rubandolo) un mattone qui, una trave lì e chiedendo questo e quello ai suoi vicini. Un giorno decise che se avesse staccato un paio di mattoni dal muretto di fronte alla chiesa non avrebbe fatto male a nessuno, così durante la notte rubò alcuni mattoni, sistemando tutto in modo che nessuno se ne accorgesse e fu davvero così. Incoraggiato l’uomo pensò che se avesse preso atri mattoni nessuno ci avrebbe fatto caso e così continuò, prelevò ancora mattoni, la forma a C si allargò un pochino, nessuno ci fece caso e in un paio di settimane davanti alla casa dell’uomo accanto all’uscio comparve un sedile nuovo fatto di mattoni. Una notte, circa un mese dopo, l’uomo si svegliò di soprassalto e si ritrovò faccia a faccia con un gattino bianco che, ritto sul suo petto, gli conficcava con forza le unghie nella carne. Quando alzò una mano per colpire il micio, questi si fermò e fissò l’uomo dritto negli occhi, nello stesso momento una voce minacciosa gli rimbombò in testa, ripetendo all’infinito: “ Riportami dove mi hai preso….” L’uomo chiuse forte gli occhi, impaurito, e quando li riaprì, il gatto non c’era più ma sul suo petto c’erano i segni rossi ed insanguinati delle unghiate. Egli non sapeva darsi una spiegazione dell’accaduto, alla fine si disse che probabilmente era stato un incubo e si era graffiato da solo mentre dormiva. Per tutto il giorno (e per tutte le notti che seguirono) appena si appisolava veniva svegliato da unghie che gli laceravano le carni e da occhi gialli, impietosi, che lo fissavano; inoltre la voce che sentiva dentro la sua testa, sempre più crudele, ripeteva ossessivamente “Riportami dove mi hai preso….” Nello spazio di qualche settimana l’uomo invecchiò di colpo, i suoi capelli divennero bianchi, tremava ininterrottamente per la paura, ma non riusciva a capire cosa o chi era che lo tormentava e so-
Muretto
di Mina Raso
prattutto perché. Una vicina, mossa a pietà, gli consigliò di recarsi da una donna che abitava nella zona che aveva fama di possedere strani poteri, nessuno sapeva quanti anni avesse, tutti la ricordavano da sempre vecchissima e tutti avevano paura di lei, perciò stavano lontani dalla sua casa a meno che non avessero qualche problema da risolvere. L’uomo, disperato, si recò dalla vecchia e, dopo averle raccontato cosa gli stava accadendo, la pregò di aiutarlo almeno a capire cosa doveva riportare indietro per ritrovare la pace. La vecchia lo ascoltò attentamente, con aria sempre più preoccupata, poi lo mandò via dicendogli di tornare l’indomani. La mattina seguente l’uomo si presentò da lei e la vecchia gli disse: “Sei un uomo ricco…ma non solo non fai del bene a nessuno, ma rubi a chi ha meno di te, sfrutti i tuoi lavoranti anche se non hai nessun bisogno di farlo. Per costruirti un sedile fuori dalla tua casa hai rubato dei mattoni dal muretto della chiesa, invece di acquistarli. Quel muro è stato commissionato per un voto fatto alla Madonna da chi, come te era solo un peccatore, e tu con la tua ingordigia ed avarizia l’hai profanato…..Vai, rimetti tutto a posto ed abbi cura che quel muro sia sempre mantenuto integro e che nessuno più lo deturpi offendendo la memoria e il pentimento di chi lo fece costruire, finchè lo farai prospererai e non sarai mai più tormentato. Fai in modo che nessuno mai più tocchi ciò che appartiene alla chiesa. Quando sarai vecchio e stanco passa il compito a qualcun altro….e la chiesa insieme a tutta la contrada continuerà a vivere nell’abbondanza e nella gioia. U’ Patruni riconobbe la verità nelle parole della vecchia e correndo tornò a casa a fare ciò che gli era stato ordinato, quando ebbe finito si sedette sul muretto asciugandosi la fronte madida di sudore e, scostando il fazzoletto dagli occhi, si accorse che accanto a lui, tra rami d’edera e rose, sedeva il gatto bianco che con noncuranza si leccava una zampa. “Cosa vuoi ancora?” gridò l’uomo, il gatto lo guardò, guardò il muro rimesso a nuovo, quindi abbassò la testa come a dire “Bravo!” e si allontanò lungo il muretto fino all’estremità, saltò giù e….scomparve!!!! La profezia della vecchia si avverò, l’uomo visse molti anni, ebbe fortuna e continuò ad occuparsi del muretto con devozione e amore e non più per paura. Ma, quando morì, nessuno prese su di sé quell’incarico, anzi. Il muretto andò in rovina e così la chiesa che fu depredata dei suoi tesori e, nel tempo, la sagrestia e tutti gli edifici annessi alla chiesa furono acquistati da privati, la contrada conobbe tempi molto tristi con morti improvvise e violente che allontanarono molti dalle loro case, a poco a poco i mattoni furono trafugati…. Ma chi li prendeva non trovava più pace e dove c’era il sedile non crebbe più niente (ed è così tutt’oggi), le porte della Chiesetta furono sbarrate, perché si mormorava che ogni notte un gatto bianco sostasse davanti al pesante portone, miagolando incessantemente e soffiando contro chiunque cercasse di avvicinarsi e si sentissero come dei bisbigli provenire da dentro la chiesa. Ancora oggi c’è chi afferma che, passando al buio, davanti alla chiesa, si senta un miagolio e un bisbiglio che fa accapponare la pelle: “Riportami a casa……” N.d.A - Le fonti utilizzate sono assolutamente riservate e confidenziali, i nomi dei protagonisti sono di fantasia.
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di Gianluca Iovine
È
una calda mattina di fine estate, quando, superata una rotonda in direzione di Cittanova, percorriamo il viale che conduce al Park Hotel Uliveto Principessa. Non possiamo ancora immaginare di aver iniziato un piccolo viaggio nella migliore ospitalità della Piana, che in poco meno di due ore riuscirà a farci vedere con occhi realmente diversi anche realtà che già credevamo di conoscere. Così, con lo sguardo trasferito nell’ottica di una macchina fotografica Canon, raccontiamo a noi stessi, prima che a ogni altro viaggiatore, la successione di luoghi e volti, che incrociamo appena oltre il parcheggio. L’edificio color crema con i gerani su ogni balcone è in realtà solo una parte dell’albergo diffuso che si estende tra parco e piscina. Lo stemma, che ritorna nelle decorazioni sui cristalli e nei pavimenti della hall, è un ulivo che si radica nella terra, sormontato da una corona e quattro stelle. Dietro la grande aiuola circolare che accompagna all’ingresso, riposa il grande passato di questa contrada rurale,
La reception
Suggestioni tra antico e moderno
E nell’Uliveto, una Principessa nell’antica corte un tempo appartenuta a una nobile famiglia di origine inglese, gli Acton. Abeti e oleandri bianchi e rosa in piena fioritura aprono un sentiero punteggiato di ulivi, che degrada sotto l’azzurro cobalto del cielo. Si comprende subito che qui la natura non fa solo da sfondo, ma gioca un ruolo significativo nell’hotel: è, in un certo senso, la sua stessa essenza, la sua anima, e questo ha creato nel tempo una forte identità, tanto da rendere il Park Hotel diverso da ogni altra struttura alberghiera della Calabria. Un frantoio ci riporta al tempo della vecchia raccolta, quando l’olio nasceva solo dalla pietra e dal lavoro duro dei braccianti. Oggi è il simbolo della bellezza autentica della nostra terra, che qui è facile scorgere anche solo restando seduti nel salotto all’aperto, sotto grandi ombrelloni bianchi. Lungo la striscia grigia che fende il prato, grandi lampade di carta, e un vecchio carro ricolmo di fieno, e intorno tavolini e sedie per rilassarsi a inizio soggiorno o lasciarsi andare alla nostalgia, subito prima di andar via dall’Uliveto Principessa. Il grande gazebo, i sottovasi alti di plastica bianca e i fili a decorare e illuminare all’imbrunire gli ulivi, ci fanno immaginare cosa deve essere sposarsi qui, in un mare di verde. Continuiamo il percorso. Per chi tiene alla privacy e vuole i vantaggi dell’hotel e le
comodità di una casa, è possibile dormire in quelle belle case dai tetti spioventi, un tempo così comuni, e oggi così rare, nella Piana. Stanze ampie e luminose, affacciate sul prato, e nomi evocativi. Stupisce in particolare il sipario di piante davanti alla casa intitolata alla Dalia. I bambini hanno il loro parco giochi. A quest’ora della mattina è ancora deserto, e si osserva meglio la panchina dove gli adulti possono aspettare che l’ultimo scivolo,
l’ultima scalata, l’ultima altalena siano fatti. Della piscina colpisce, ancor più delle palme e degli ulivi, una barca che sembra sia stata rubata al mare di Scilla, per quanto è azzurra. La piscina si insinua tra bar e tavolini creando un’isola d’acqua lucente. C’è chi gioca a basket in acqua, chi aspetta il gioco aperitivo, e chi l’istruttrice di fitness. Ragazze e ragazzi dello staff sanno come strappare un sorriso,
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La sala Principi Serra
Aspettando gli sposi
regalando tutta la loro energia, ma restando sempre professionali. Come nei resort dei Caraibi, un gelato, il caffè e persino il cornetto della mattina possono essere consumati immersi pigramente in acqua. Non sembra neanche più di essere in città, c’è tutto il senso dell’evasione dal quotidiano. Accompagnati dalle ragazze dell’animazione, ecco i due
campi da calcetto in sintetico: le reti soprastanti risolvono il solito problema dei palloni da rincorrere, e rendono tutto più serio: una partita qui, anche se fra amici, ha il sapore di una sfida vera, come del resto accade poco più in là, sul campo da tennis. Competenza e gentilezza sono una comune ricchezza del team dell’Uliveto Principessa: alla reception, che rende omaggio al liberty e all’art déco, si può costruire un’escursione, prenotare un ristorante o chiedere di aspettare un amico e con un po’ di fortuna imbattersi in un direttore giovane e preparato che guida la sua squadra con discrezione. Gli ambienti comuni mostrano eleganza e personalità, nell’uso di materiali nobili come pelle rossa e legno, e nell’attenta disposizione di statue e stampe antiche. La luce inonda il banco del bar che si stende verso il ristorante. Un altro carretto, di quelli trainati ancora oggi da venditori di pesce nei paesi, offre quotidiani e riviste. La sala congressi, ben attrezzata e luminosa, ha
La sala congressi
da poco visto un meeting sindacale. Il pannello in fondo ritrae le raccoglitrici di olive. Il claim è giusto: Tutto esclusivo, al Park Hotel Uliveto Principessa, che si tratti di un impegno di lavoro o di un soggiorno benessere, di una cena d’anniversario o di una vacanza in famiglia, la sensazione è quella di un lusso mai ostentato ma reale, e per fortuna davvero alla portata di molti. È bello passeggiare nella hall curiosando tra mobili vetrina, o anche solo guardando un cartoon con i propri bambini. Della suite al numero 200 colpiscono i toni di bianco e crema in contrasto col noce e il wengè. Salottino, zona notte e bagno creeranno un piccolo incanto a chi avrà la fortuna di sceglierla. Un lungo tappeto rosso in corridoio, e scendiamo di un piano a scoprire gli arredi e lo studio della room numero 100, ideale per l’uomo d’affari. L’atmosfera resta familiare anche quando si scende nel cuore segreto dell’hotel: Il Dea Diana Centro Benessere. Con una spesa contenuta si può trascorrere una giornata di totale relax, e poi pranzare o cenare romanticamente. Di lato alla vetrina dei cosmeti-
ci, la suggestione ha la forma di un corallo rosso. In sala si può aspettare comodamente, aiutati da due professioniste dell’estetica. La sala defatigante, con le chaises longues e la tisaniera suggerisce echi orientali. Lettini candidi, luci azzurrine e candele prepareranno al meglio ogni cliente ai trattamenti scelti. Nel ristorante si aspettano i ragazzi dell’ASD Reggio Calabria, come poche settimane prima era stato per gli atleti della pallavolo europea. Tovaglie bianchissime, calici, tovaglioli albicocca: ci si prepara a un ricevimento e si lavora senza sosta. Solo il pianoforte a coda, nell’angolo, oggi riposa. Scendendo ancora, un’altra sala, per ricevimenti più raccolti, con un golfo che poteva essere una piscina coperta e invece è uno spazio per ballare. Mosaici di pietra, sopraelevate e poltroncine rendono questa sala ottima per una festa dei diciott’anni come per un matrimonio. La visita è finita, salutiamo e ringraziamo i nostri ospiti: qui, nascosta nell’Uliveto, ha deciso di abitare una Principessa.
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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna del Pilerio in Sinopoli Superiore a cura di Diego Demaio
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N
el presentare la rubrica d’arte avente come titolo “Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana”, desidero invitare i lettori a porsi alcune profonde domande (che precederanno delle altrettanto intime riflessioni) attinenti al nostro passato ed alla nostra, spesso tormentata, Storia di Chianoti. A quanti devastanti e catastrofici terremoti sono “sopravvissute” per arrivare sino a noi le pregevoli sculture (sovente purtroppo ignorate) che ci apprestiamo ad illustrare e a descrivere nelle loro sacra fattura? Quanti occhi hanno implorato, quante mani hanno accarezzato, quante labbra hanno baciato e quanti cuori di nostri antenati hanno pregato nel corso dei secoli le nostre MADONNE (mi si consenta l’improprio plurale in quanto la MADONNA è ovviamente Una Sola) mirabilmente scolpite da insigni scultori? Animati anche da tali trascendenti presupposti potremo ogni mese conoscere, nel susseguirsi delle schede che tratteranno in ordine cronologico le singole statue, e quindi amare il nostro ricco patrimonio artistico per meglio promuoverlo come ennesima risorsa culturale della Calabria. Nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Sinopoli Superiore si trova la pregevole scultura, a mezzo busto, della Madonna del Pilerio. La denominazione si riallaccia alla Nuestra Senõra del Pilar, apparsa a San Giacomo Maggiore e venerata nel noto Santuario spagnolo di Saragozza. Il culto, introdotto in Calabria dagli Aragonesi, conobbe una particolare diffusione nel XVI secolo. La statua alta poco meno di un metro, in bianco marmo di Carrara, è attribuita all’illustre scultore palermitano Antonello Gagini e risale al 1508. In essa, tra l’altro, si evidenzia la particolare dolcezza dello sguardo che lega intensamente la Madre al Figlio. L’iscrizione in volgare incisa sulla base ai lati dello scudo con lo stemma gentilizio - <<DO IOANNI RUFFU COTI DI SINOPULI ET BURRELLU MI FICHI FARI 1508>> - rivela l’anno di esecuzione e l’identità del committente: Giovanni Ruffo, Conte di Sinopoli e Borrello. L’opera marmorea dal velato influsso michelangiolesco, è stata dichiarata, per la notevole rilevanza artistica, monumento nazionale.