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Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro - Nuova serie, n° 35, Anno 2015 - “Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Aut: ATSUD/CZ/518 val. dal 13/10/15”
In regalo SPORT MAGAZINE (24 pagine)
Italia: Grand Commis e Gabellieri
Mons Milito Una scuola buona è una buona scuola
Melicucco Hospice, quale futuro?
"Europa 2020" Convegno a Gioia Tauro
Vita e morte di Vincenzo Minasi
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Piazza Italia, 15 89029 Taurianova (RC) tel. e fax 0966 643663
Corriere della Piana del 30 Settembre 2015
sommario
Reggio Calabria, il Giudice di Pace bacchetta i “Gabellieri Comunali”
Quel verbale non va pagato
A
ccoglimento del ricorso e condanna del Comune di Reggio Calabria al pagamento delle spese processuali. Il Giudice di Pace ha così deciso il ricorso proposto da un automobilista, Giuseppe Miriello, 38 anni di Taurianova che - dopo aver tempestivamente pagato - il giorno successivo alla contestazione - la multa che un ausiliario del traffico aveva elevato nelle more, fra il parcheggio e la ricerca del grattino o del parking ticket, e che - come si legge chiaramente sul verbale - era stata quantificata in € 28,20, aveva ricevuto dopo qualche mese un nuovo verbale con il quale gli veniva contestato l’omesso versamento di € 0,50. Ciò in quanto la sanzione del precedente non era di € 28,20 ma di € 28,70. Gli veniva così irrogata una nuova sanzione di € 78,00. Smaltita la sorpresa, Giuseppe Miriello, con una lettera al Sindaco Falcomatà chiedeva l’annullamento della sanzione, evidenziando d’aver tempestivamente pagato il primo verbale e che, pertanto, i funzionari avessero avuto tutto il tempo per chiedere l’integrazione del versamento ritenuto insufficiente e non attendere la scadenza dei termini di pagamento per irrogare una nuova sanzione. Il primo cittadino reggino, nè altri per lui, davano risposta. Inevitabile allora il ricorso al Giudice di Pace. All’udienza dello scorso 10 Settembre, il Giudice di Pace (Dott.sa Amato) ha deciso il ricorso accogliendo
Corriere della Piana Periodico di politica, attualità e costume della Piana del Tauro
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Copertina: Concept by Free's Tanaka Press Stampa: Litotipografia Franco Colarco Resp. Marketing: Luigi Cordova cell. 339 7871785 - 389 8072802 cordovaluigi@yahoo.it Editore Circolo MCL “Don Pietro Franco” Sede redazione: Via B. Croce, 1 89029 - Taurianova (RC) corrieredellapiana@libero.it Registrazione Tribunale di Palmi n° 85 del 16.04.1999 La collaborazione al giornale è libera e gratuita. Gli articoli, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Chiuso per l’impaginazione il 31-09-2015 Visit us on
Editoriale: Grand Commis e Gabel Gabellieri
Una scuola buona è una buona scuola
Hanno collaborato a questo numero: Federica Mamone, Don Memè Ascone, Ismaele Ottavio Caruso, Filomena Scarpati, Maria Giovanna Ursida, Gen. Angiolo Pellegrini, Tonino Violi, Anna Rotunda, Francesco Di Masi, Vincenzo Vaticano, Paolo Lucio Albanese, Marinella Gioffrè, Gianluca Iovine, Deborah Serratore, Francesca Agostino, Giosofatto Pangallo, Rocco Carpentieri, Giovanni Garreffa, Diretto Mosè, Diego Demaio.
Grafica e impaginazione:
la tesi di Giuseppe Miriello e condannato il Comune. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza non si può che evidenziare come il Comune di Reggio Calabria - non riscontrando la motivata richiesta di Miriello che evidenziava: “se ho pagato € 28,20 come era scritto sul verbale mi sarei perso mai per 50 cent?” ha perso una grande occasione per dimostrare di essere vicino ai cittadini e non soltanto un’arida macchina burocratica pronta solo a pretendere soldi, soldi e soldi. Denaro che ora, sia pur in piccolissima parte, utilizzerà per pagare le spese di giudizio alle quali è stato condannato. Dice Miriello - non ho proposto il ricorso per i 50 centesimi o per la seconda sanzione di € 78,00, ma contro un’evidente ingiustizia e un palese abuso. L’ho fatto e lo rifarei per una questione di principio in quanto - avevano il tempo per chiedere di integrare il mancante. Aver atteso e omesso una richiesta che avrebbe evitato il secondo verbale per poi poterne elevare uno nuovo e ancora più iniquo è stata una cosa che non potevo accettare né sopportare”. L’irrisorietà dell’importo mancante e l’errore provocato da chi scrisse il verbale avrebbero giustificato maggiore attenzione e sensibilità. Che non ci sono state. Giusta pertanto la decisione del Giudice e la coraggiosa posizione di Miriello in difesa di un principio di legalità. Federica Mamone
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Direttore Responsabile: Luigi Mamone Vice Direttore: Filomena Scarpati Lettering: Francesco Di Masi
Foto: Francesco Del Grande, Free's Tanaka Press, Diego Demaio.
L’errore - appena 50 cent. provocato dal verbalizzante
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Evangelii gaudium: Pietra angolare della Chiesa di Papa Francesco Standing Ovation per Romano De Grazia La “Buona Scuola” solo nei sogni dei proponenti Melicucco: Hospice e Sanità Gioia Tauro: Convegno "Europa 2020"
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Nel talent televisivo “Ti lascio una canzone” vincono le gemelle Scarpari
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Successo dei ragazzi del Maestro Calderone al “Wind Music Festival” Delianuova: Partecipazione all’Expo dell’Orchestra Nicola Spadaro
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Trimotore S 81, l’ultimo volo Gioia Tauro: “ Ozz” di Giuseppe Bagnato Felice Diego Licopoli Felice di scrivere
Avere o essere: J’ai… ou Je suis Massimiliano e Salvatore?
Per non dimenticare: Terranova e Saetta
Illusione e sogno.Tra forma, perfezione e policromie.
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I figli di S. Cristina d’Aspromonte
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Tragedie e orrori del XX secolo
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Ricordo Padre Puglisi
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Restaurata la Statua di San Martino
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Polistena: Inaugurazione centro polifunzionale "Don Puglisi" Taurianova: Occasione di rinnovata spiritualità Palmi: La Terza edizione della Notte Rosa
"Speciale Junior Eurovision Song Contest"
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Ville Romane Tardo-antiche in Calabria
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Le vie della fede
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Inaugurato a San Giorgio Morgeto il percorso turistico - salutare Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana
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Editoriale
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Paradossi italiani: sanzionato per aver vendemmiato con gli amici
di Luigi Mamone
Grand Commis e Gabellieri
Freno per il rilancio di un paese che spende per tenere in cattività i migranti
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a destato scalpore l’episodio del proprietario di un vigneto che, per la vendemmia aveva invitato un gruppo di amici a dargli una mano ed è stato pesantemente multato dai gendarmi della Gabella di Stato con una pesantissima sanzione di molte migliaia di euro per aver utilizzato - sostanzialmente - lavoratori in nero. La vendemmia un tempo era una grande festa campagnola e negli anni ’70 e ’80 era divenuta - per gli studenti - anche occasione di scambio culturale: una sorta di Erasmus vitivinicolo che li vedeva andare per una settimana o per 15 giorni in allegre brigate goliardiche a raccogliere grappoli nelle vigne, soprattutto in Francia e al confine fra Italia e Francia tornando più emancipati e certamente arricchiti da una esperienza vissuta in allegria e con l’animo disneiano delle Giovani Marmotte. La vicenda ha destato scalpore. Sorge la domanda. Ma nel mio terreno posso chiamare parenti ed amici a darmi una mano o no? O viceversa. Posso avere la facoltà di dare spontaneamente una mano a un amico che è in difficoltà? Fino a che punto i Gabellieri del Regime possono incidere, vietare e sanzionare chi sta spontaneamente e per propria scelta effettuando una attività “ad adjuvandum” e chi di tale attività ne sta fruendo? Sono i paradossi di un regime becero che, continuando di questo passo, trasformerà il Parlamento in una pletore di soggetti assai simili a quelli che scaldavano le sedie al Parlamento e al Politburo della disciolta Unione Sovietica. Sovviene il momento della riflessione. Eppure la tanta pubblicizzata Associazione LIBERA di Don Ciotti che in Calabria gestisce estese superfici agrarie confiscate alla criminalità e che non avrebbe la potenzialità per assumere secondo i dettami della Gabella di regime il personale fruisce dell’attività dei volontari. I ragazzi di
Libera, a centinaia, in gruppi più piccoli scaglionati, scendono ogni anno in Calabria a dare una mano nelle attività agricole di raccolta vivendo al contempo una attività formativa, a nostro giudizio, assai importante. Ma - restando sotto il profilo dell’arido modus pensandi e agendi dei Gabellieri di regime - i volontari, quando sono in campagna a raccogliere pomodori e melanzane, sono lavoratori tanto quanto gli amici del proprietario della vigna. Solo che, essendo “volontari”, e per giunta di una associazione benemerita quale “Libera”, vengono lasciati tranquillamente lavorare. Sorge allora una domanda: per poter chiamare un gruppo di amici volontari occorre che prima si costituiscano in una Associazione di volontariato senza fine di lucro che abbia come scopo statutario specifico “interventi in favore di agricoltori vittime della burocrazia e della voracità di un stato arruffone?”, non è possibile proseguire oltre con le ipocrisie e il fariseismo. Il rilancio dell’agricoltura passa, innanzitutto, attraverso lo snellimento della farraginosa macchina burocratica e in secondo luogo attraverso la possibilità per i datori di lavoro di poter utilizzare - come è permesso a Libera - volontari. O, se lavoratori occasionali, di poterli utilizzare senza soverchie formalità e costi. Oggi in Italia ogni migrante costa allo stato e - dunque - a tutti noi, circa € 35,00 al giorno. Somme spese per tenere gente in ozio e in semicattività in attesa di trasferirla o farla emigrare e con la speranza che nel frattempo non si diano alla clandestinità e non commettano delitti. Non sarebbe meglio assegnarli alle aziende agricole quale forza lavoro? Non sarebbe meglio che i famosi € 35,00 al giorno se li guadagnassero lavorando e cominciando a prendere contatto con la nuova terra nella quale, fuggendo sui barconi, hanno chiesto di vivere? I famosi € 35,00 che, sommati per migliaia di persone e moltiplicati per centinaia di giorni, stanno facendo arricchire e gongolare determinati ambiti che speriamo possano essere trasferiti nelle italiche galere, anche se magari fino ad oggi rivestono incarichi istituzionali, potrebbero essere dati ai comuni disposti ad ospitare i migranti alla condizione che svolgano attività lavorative. Oltre a ciò sono anni che proponiamo una soluzione semplice ed elementare per regolarizzare i lavoratori extracomunitari e far venir meno le forme di più becero caporalato: obbligare i datori di lavoro a stipulare con una compagnia di assicurazioni una polizza RC rischi diversi che copra il rischio infortunio e morte per il personale impegnato nell’azienda. Obbligare i lavoratori a sottoscrivere (magari anche tramite l’Inps) un fondo pensione di importo mensile o annuale modico. Unendo questi due fattori il datore di lavoro potrebbe con un procedura semplificata comunicare in Via telematica all’INPS o anche direttamente presso un posto di polizia l’utilizzo per uno o più giorni di uno o più lavoratori da indicare in un apposito elenco da trasmettere preventivamente alla compagnia di Assicurazioni ai fini della validità della copertura in caso di incidente sul lavoro. Tutto questo lo Stato, nelle persone di Grand Commis faccendieri, mafiosi, massoni deviati e Gabellieri di Regime, non lo vuole. Meglio l’emergenza che consente al sottobosco di arricchirsi e agli italiani di sentirsi sempre meno italiani. Tornando al tema iniziale, se il teorema “Libera!” ha efficaci erga omnes, invitiamo i lavoratori, italiani e non, a costituire associazioni che abbiano scopi similari a quelli di Libera per poter pertanto prestare senza rischi la loro attività volontaristica …
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Messaggio per il nuovo anno scolastico 2015-2016
Una scuola buona è una buona scuola
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i Dirigenti, ai Docenti, al Personale ATA, agli Alunni e Studenti di ogni ordine e grado della nostra Diocesi, all’inizio del nuovo Anno Scolastico giunga un affettuoso augurio di felice inizio e sereno proseguimento nei prossimi mesi che, come l’avvicendarsi delle stagioni, conosceranno il tempo faticoso della semina e la gioia pura del raccolto ricco. Una “buona scuola” è stata la prospettiva che, nel corso del passato anno, ha visto coinvolto la base degli italiani interpellati e i vertici governativi per una carta da servire al cambiamento in meglio della Scuola nella nostra Nazione. Siano stati recepiti in tutto o in parte, ci si trovi in accordo o distanti da quanto varato, siano andate accolte o meno le aspettative, i problemi insorti – penso alla distanza tra i nuclei familiari – e altro sono esiti comuni a tutte le riforme dalle fasi di progetto a quelle di attuazione. Tra esperienze e pratiche insorgono nuove esigenze e, così, riparte la mai smessa opera di perfezionamento. Al di là di tutto, resta una volontà e un desiderio migliorativo a fronte di situazioni di disagio. Le norme – che pur devono esserci in uno stato sociale – da sole, tuttavia, non bastano. Una “buona scuola” indica una qualità positiva da tutti desiderata e retta da regole comuni, affinché sia tale occorre, tuttavia, una inversione di marcia per la direzione giusta. È la “scuola buona” a cui bisogna tendere. Ma questo esige impegno personale, quotidiano e costante, volontario e non delegabile. Una “scuola buona” è una palestra dove ci si allena ogni giorno per dare il meglio di sé in un comportamento virtuoso che fa della volontà e della pratica di essere buoni un punto fermo. Nessuno può ritenersene esente: dai do-
centi ai discenti ognuno deve impegnarsi a come essere buono, eliminando in partenza ogni motivo di confronto e di conti da pareggiare perché, in modo presunto o reale, l’altro non lo meriterebbe, come tante volte capita di osservare. Il mio “essere buono” non è sconto o debolezza per chi si presenta prepotente (per cui non dovrei fare la figura dell’arrendevole) o è portatore di limiti (per cui concedo un po’ di altruismo). È, piuttosto, sguardo benevolo e rapporto che sempre cerca la pace in vista di un clima costruttivo di serenità. I nostri ambienti scolastici han bisogno di questo “tirocinio del buono”, sulla base di una cultura che si acquisisce e nasce giorno dopo giorno che, mentre arricchisce la mente, affina il nostro stile di amore e comprensione dell’altro. La violenza a scuola – quale siano le forme che assume (discriminazioni e preferenze, bullismo, cattiverie costruite, desiderio e volontà di veder soffrire l’altro) –, se non assorbita, è una miniera delle più innaturali per la violenza sociale. Così non può, non deve essere. Il “buono” non è figlio di papà “buonismo” e di mamma “scemenza”, ma erede della più potente famiglia che ha come capostipite l’amore e come parenti stretti la pazienza dei forti, che è intelligenza vera. Ogni giorno un esercizio di bontà perché sia un buon giorno e un giorno buono per sé e per gli altri. Un pensiero ora particolare agli studenti. Una “Scuola buona” è sinonimo di “buone prassi” programmate e realizzate per raggiungere quelle “competenze esistenziali” che renderà “discenti” di oggi, i “protagonisti” della storia futura del Nostro Paese. Non solo: dove domani metterete in atto tutto ciò che con il Vostro impegno e attraverso le Vostre “abilità” acquisirete grazie alle “conoscenze” che nei prossimi mesi apprenderete tra quei banchi, in quelle aule e palestre che Vi hanno atteso per tutta l’esta-
te, fiorirà una primavera di eccellenze. I prati della bontà sono sempre più belli delle foreste impenetrabili del male. Il sole che avrete atteso più volte albeggiare in questi mesi estivi – e, forse, poche volte tramontare – dovrà ora splendere dentro di Voi provocandovi quella sete di “sapere i saperi” che Vi rendono sempre più cittadini consapevoli, responsabili e sempre più aperti “all’altro” e “verso gli altri”. Tra le tante novità della “buona scuola” in quest’anno passerete dal POF (Piano dell’Offerta Formativa) al PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa), fate in modo che questo diventi per Voi anche il tempo consapevole del “Prepariamoci Tutti all’Operare Fattivamente”…! Mi son permesso di parteciparvi questi pensieri, forte della bellissima esperienza fatta lo scorso anno in quasi tutti gli Istituti scolastici del nostro territorio. Mi restano indimenticabili le mattinate trascorse insieme, accolto con grande cordialità da tutte le componenti scolastiche frutto evidente di una esplicita volontà di continuare quella collaborazione avviata due anni fa tra Scuola e Chiesa. Ne confermo pubblico ringraziamento ai Dirigenti e ai Docenti che hanno saputo coinvolgere ragazzi e giovani con un entusiasmo contagioso e promettente per il futuro. Se – come già d’intesa a fine dello scorso anno, nell’incontro di verifica – potremo continuare anche in quello che si apre, insieme ci aiuteranno a trovare e sostenere le vie del bene per una buona scuola che, così, può diventare una scuola buona. Un cordiale saluto a tutti e, speriamo, a presto rivederci.
Francesco MILITO Vescovo
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La Missione Evangelizzatrice della Chiesa
Evangelii gaudium
Pietra angolare della Chiesa di Papa Francesco
Le Comunità cristiane e la lotta per la giustizia. “N. 207”. Qualsiasi comunità della Chiesa correrà il rischio della risoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i Governi senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità. “N. 201”. Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale. La conversione spirituale, lo zelo per la giustizia e la pace, sono richiesti a tutti. “N. 187”. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri: questo suppone che siamo docili ed attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo.
di Don Memè Ascone
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ome risponde la Chiesa, a partire dalle comunità Diocesane a quelle Parrocchiali a questi pressanti inviti del Papa? Quali forze, quale attenzione, quale impegno pone la Chiesa nella lotta per la giustizia? La Chiesa oggi andrebbe ristrutturata, riformata in tutte le sue strutture, questo è l’invito del Papa e anche di alcuni Vescovi. Ora come ora la Chiesa non ha la competenza e le forze per rispondere a questo appello del Papa. Oggi la Chiesa si deve misurare con mille altri problemi che spesso la sollecitano e la sfidano: nel-
“N. 198”. Per la Chiesa l’opzione dei poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica………. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.
la lotta contro la mafia si fa appello alla Chiesa e spesso la si accusa ingiustamente di scarso impegno. Nell’educazione ai giovani soprattutto a quella gioventù deviata, alla ricerca di senso, si chiede aiuto alla Chiesa. Di fronte al mal costume dilagante e alla corruzione pubblica si accusa la Chiesa di scarso impegno. La famiglia non funziona e si fa appello alla Chiesa. E potremmo continuare. Il vero problema della Chiesa, delle nostre comunità è questo: che le forze che possiede sono molto limitate e la religiosità del nostro popolo, spesso naturale e consolatoria ci ruba molto tempo.
Il bene da diffondere è tanto, il male da combattere è altrettanto e non può ricadere tutto sulle spalle della Chiesa che non può avere il toccasana per risolvere tutti i problemi e tutti i mali prodotti dalla stessa società. La Chiesa non è un pronto soccorso, né una Croce Rossa. E’ vero che Dio ha messo nelle nostre fragili mani il destino dei nostri fratelli e nonostante il suo aiuto il mondo sembra che vada per la sua strada rifiutando, come spesso accade, la sua voce e il grido dei suoi profeti. Il punto focale per il bene della Chiesa dovrebbero essere i laici, come ancora insiste Papa Francesco riprendendo gli insegna-
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menti del Concilio Vaticano II°. Coloro cioè che devono essere nel mondo sale e luce, coloro che dovrebbero fare della politica l’arte sublime della carità. Dovrebbero scegliere la politica con la “p” maiuscola come una missione per difendere i poveri e lottare per un mondo più giusto e migliore. Ma dove sono questi laici? Quale ruolo svolgono i laici nelle Diocesi e nelle Parrocchie? In un convegno della Diocesi di Ancona alla presenza del Cardinale Menichelli il filosofo Giancarlo Galeazzi descrive così i laici: “Ci piacerebbe rinunziare all’immagine di un laicato minorenne. Mutilato, minoritario e marginale per accogliere pienamente la lezione del Concilio che invita il laico a essere autonomo, aperto, attento e accogliente”. A mezzo secolo dal Concilio tuttavia sembra ancora che il laico viva ai margini delle decisioni della Chiesa e fuori da ogni responsabilità. Ancora il troppo clericalismo mortifica quei laici che vorrebbero seriamente impegnarsi. La Chiesa deve essere meno clericale e più laicale. Ha urgente bisogno di un laicato maturo, attento, aperto e accogliente, evitando che continui a essere mutilato e marginale. Senza falsi pudori, senza falsi moralismi, senza gridare allo scandalo, la Chiesa tutta, dai pastori ai laici è chiamata a lottare quella costruzione di un mondo migliore. Papa Francesco infatti come ha solennemente avvertito le nostre comunità corrono il rischio della dissoluzione se non si occupano a cooperare affinché i poveri vivano con dignità.
Più chiaro Papa Francesco non può essere e continua “facilmente si finirà dall’essere sommerso da pratiche religiose e riunioni infeconde o da discorsi vuoti”. Sembra di ascoltare la voce dei grandi profeti del vecchio Testamento che si facevano portatori del grido del popolo oppresso. Sembra di ascoltare la voce di Dio che ai Sacerdoti grida “non so che farmene dei vostri nuovi lumi……….”. C’è molto da riflettere, molto da studiare. Molto da cambiare nella nostra pastorale. Dovremmo imparare “a dare fastidio purché si parli di difendere i posti di lavoro, a dare fastidio quando si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia”. E purtroppo la nostra Chiesa non vuole dare fastidio a nessuno. Perché………… vuole la pace. Come se la pace si può ottenere senza lottare per la giustizia, come se fosse meglio chiudere gli occhi per non vedere, tapparsi la bocca per non parlare. Il nostro Signore e il nostro Pontefice Papa Francesco non intendono così la pace: la quiete del pantano. Basta con la politica del quieto vivere, dei sorrisini, della pacche sulle spalle, la Chiesa deve essere voce dei poveri che non hanno voce. Forse il guaio peggiore è che pensiamo poco al problema dei poveri. E questo perché come una casta, viviamo lontani dalla gente o perché siamo molti impegnati in tutt’altre cose anziché assecondare questo grido del Papa. Oggi il risveglio della Chiesa grazie al Vaticano II° è dovuto soprattutto ai movimenti religiosi i quali però chiusi in se stessi cercano pace interiore e guarigione ma nessun movimento intende costruire un mondo migliore con
al centro i poveri, questi dimenticati. I Vescovi italiani anni orsono, in un loro documento scrivevano parlando della Parrocchia come la Chiesa che vive tra le case degli uomini. Ancora i Vescovi (sgomberato il campo dall’illusione della fede disincarnata occorre dar vita che renda la Parrocchia capace di rispondere alle realtà odierne). E si parlava di una pastorale integrata per superare ogni tentazione di autosufficienza e per confrontarsi, dialogare soprattutto con i laici, i quali sono i soli capaci di innervare l’intero corpo sociale dell’Italia capaci di una ricchezza incredibile che noi riusciamo a disperdere. E’ vera ancora oggi l’immagine di una Chiesa “gigante dai piedi d’argilla”. Tutto questo qualche decennio fa. Ma tutto è rimasto come prima. Ancora riprendendo il discorso iniziale, le nostre comunità devono essere ripensate e aggiornate. Hanno bisogno di una grande svolta che va sotto il nome di conversione pastorale. C’è da riscoprire l’intimo nesso che intercorre tra la vita cristiana e il territorio. Ancora la nostra gente vive una religiosità naturale: quella di un Dio che ci protegga che ci tolga dai guai e quella dei Santi protettori. Infondo ancora la maggior parte dei cattolici pensa di essere tali perché crede di essere una brava persona, si accontenta di non fare male a nessuno. Vuole un Dio a proprio uso e consumo, non chiede a Dio la forza di compiere la Sua volontà che è quella di costruire un regno di giustizia e un mondo migliore. Ancora possiamo dire con Gandi “il cristianesimo è meraviglioso, ma i cristiani……!”
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Standing Ovation per Romano De Grazia Barone, Molinari, De Grazia, Loprete, Mamone, Iorianni
di Ismaele Ottavio Caruso
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e tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, non c’è stato nessun mare da navigare tra il Centro Studi G. Lazzati e il Dirigente Scolastico dell’Istituto Gemelli Careri, Giuseppe Antonio Loprete, che in poche ore ha organizzato un congegno sulla legalità in collaborazione con il Centro Studi Lazzati: “Normativa del voto di scambio, scioglimento dei consigli comunali e Legge Lazzati”. Dopo i saluti di rito il Dott. Loprete ha aperto il dibattito e i relatori si sono avvicendati ponendo sul tavolo le esperienze a confronto nell’auditorium taurianovese. Contrarietà allo scioglimento dei consigli comunali, manifestata dal Sindaco di Palmi Giovanni Barone: “Si sciolgono i consigli comunali ma puntualmente i dirigenti restano al loro posto”, afferma il Sindaco. Commisurato anche l’intervento dell’ex Sindaco di Taurianova, Dott. Domenico Romeo, la cui amministrazione è stata mandata a casa per pericolo di infiltrazione mafiosa e che condivide appieno il concetto espresso dal primo cittadino di Palmi. Di tutto rispetto è stato l’intervento del Vice Presidente del Consiglio Provinciale di Reggio Calabria, Avv. Giuseppe Saletta, che rivolgendosi al giovane uditorio ha ricordato che egli ha sempre chiuso le porte ai condizionamenti dell’antipolitica. La legge Lazzati, dice Saletta, non è un provvedimento contro la politica ma è un provvedimento a favore della politica e noi, aggiungiamo quanto da tempo va dicendo il Centro Studi Lazzati, al precipuo fine di “togliere la politica ai delinquenti e la delinquenza ai politici”. E’ una legge che tutela il politico onesto ed io mi candido sin da adesso a collaborare ai futuri incontri che il Centro Lazzati organizzerà nel nostro martoriato territorio. Ai giovani conclude, il consiglio di non tenere come punto di riferimento i politici che rubano. L’Avv. Damiano Viteritti, esponente del Centro Studi Lazzati, ha ricordato che lo scioglimento dei Consigli Comunali per infiltrazione mafiosa,
Legalità e Sviluppo, Normativa del voto di scambio, scioglimento dei Consigli Comunali e legge Lazzati.
fino ad oggi non ha prodotto alcun cambiamento. La legalità è un fatto culturale e non restrittivo. Fin quando l’opinione pubblica non voterà con responsabilità e consapevolezza il candidato onesto non cambierà nulla e a nulla servirà sciogliere i consigli comunali. L’Avv. Rocco Iorianni, Consigliere Comunale a Molochio, ha illustrato la legge Lazzati e le successive modifiche a vanificazione del suo originario testo. Secondo Iorianni, l’approvazione e l’applicazione della nuova proposta di legge porterebbe, quasi certamente, ad una drastica riduzione degli scioglimenti dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa. Si potrà avere una crescita del territorio quando maturerà la cultura della legalità e quando le istituzioni verranno bonificate con la Legge Lazzati. Elisabetta Tripodi, ex Sindaco del Comune di Rosarno, ha ricordato che chi fa politica percorre un filo che va dall’essere colluso con la mafia al soggetto da abbattere a tutti i costi quando non ci si lascia corrompere. Generalmente la mafia vota dove si vince perché sa che dopo può andare a chiedere i favori. Nemmeno i commissariamenti dei Consigli Comunali riescono a portare cambiamenti alla politica, dice l’ex Sindaco di Rosarno, perché i commissari non essendo specialisti in campo amministrativo, si affiancano quasi sempre a dipendenti comunali che, in un certo qual modo, hanno contribuito per interesse allo scioglimento del consiglio comunale. Hanno sciolto Reggio Calabria, Taurianova e S. Ferdinando e poi perché non Roma, stigmatizza il Senatore Francesco Molinari componente della Commissione Antimafia. Uno Stato di Diritto non può adottare pesi e misure diverse. Mi sono battuto al Senato per promuovere e approvare il codice di regolamentazione sulle candidature e ciò per impedire ai partiti di candidare soggetti indagati. Il dibattito si è concluso con una standing ovation: tutti in piedi ad applaudire, non appena il Presidente Romano De Grazia, ha pronunciato l’ultima parola del proprio discorso. Un intervento appassionato, quello di De Grazia, capace di travolgere e di commuovere. Un richiamo ai padri costituenti come Piero Calamandrei: “quanto sangue e quanto dolore versato per scrivere la carta Costituzionale, ricorda il giudice. Un testamento di 100.000 vite per riscattare la libertà e la dignità degli Italiani. Anche il maestro Giuseppe Lazzati va ricordato non solo per l’ispirazione normativa della Legge ma soprattutto perché L'Ex Sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi, l'Avv. Giuseppe Saletta, il Dirigente Scolastico Giuseppe Antonio Loprete
Lazzati diceva che “senza legalità non c’è giustizia”. L’anziano Giudice si rivolge alla società civile perché in questo momento c’è bisogno del contributo degli onesti e non di quelle persone che giocano all’antimafia. Durante il discorso era doveroso ricordare Falcone, Borsellino e Livatino, che hanno dato il loro sangue per la democrazia. Sbotta il giudice, durante il suo discorso, tirando le orecchie ai giornalisti che della legge Lazzati non scrivono nulla. Anche la televisione di Stato preferisce lo show dei Casamonica da Bruno Vespa, piuttosto che concedermi cinque minuti per spiegare la “Legge Lazzati”. Stiamo vivendo un periodo della nostra vita in cui i malaffaristi sono privilegiati e premiati. Una battaglia di civiltà, sostiene il Giudice, che per vedere riconosciuto uno strumento di legalità, che non appartiene a nessun colore politico, si devono fare salti mortali. Una normativa antimafia concreta ed efficiente ma che non a tutti piace. Il centro studi Lazzati il 16 Febbraio 1993 ha portato la legge in parlamento bussando a tutte le varie porte politiche, tanto che alla fine la Legge Lazzati l’hanno ridotta ad una leggina contro gli affiggi manifesti. Questo mentre Don Ciotti prende milioni di euro per le parate dell’antimafia facendo castelli di sabbia ovunque, noi scendiamo in trincea con le nostre tasche. Ma quand’è che la mafia entra dentro le istituzioni? Secondo De Grazia entra al momento del voto. Ecco il senso della legge Lazzati che interviene quando il sorvegliato speciale, socialmente pericoloso, dichiarato per il tramite dei tre gradi di giudizio scende in campo a raccogliere voti per il candidato di fiducia. Sull’attuale 416 ter, dico - tuona De Grazia - che hanno avuto ragione a riformulare tale articolo perché era un aborto giuridico. Il 416 ter, si limitava alla prova del danaro. Deve essere trovata la prova dell’impegno e del contenuto dell’accordo. Cosa rara e difficile da trovare. Se si scopre e quando si scopre! L’ “affaire” del consigliere Regionale De Gaetano è un esempio lampante di mala politica. Infatti, venendo meno il provvedimento giurisdizionale, il consigliere può felicemente difendersi dalle accuse. Se ci fosse la legge Lazzati ciò non sarebbe accaduto. Ecco la semplicità della legge Lazzati che supera la prova del contenuto dell’accordo, già a monte. Conoscendo il malavitoso, conoscendo il candidato appoggiato si fa prima a pulire le istituzioni evitando lo scioglimento dei consigli comunali per motivi preventivi e, al contempo, tutelando i politici onesti. Il dibattito è stato moderato dal Direttore del Corriere della Piana, Luigi Mamone.
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La “BUONA SCUOLA” solo nei sogni dei proponenti
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n’assemblea unitaria dei Sindacati Scuola CGIL CISL - UIL - SNALS e GILDA, si è tenuta nell’Auditorium dell’Istituto Superiore Statale “Gemelli Careri” di Taurianova, per discutere le molte parti della legge 107/2015 che entrano in conflitto con principi costituzionali, disposizioni e regolamenti contrattuali che tutto fanno tranne che rendere “La Buona Scuola” che si sarebbe dovuta intravedere con la riforma. Agli alunni e al personale, per il momento, è solo consentito di immaginarla, fino a quando non si risolveranno le farraginose questioni che non migliorano certo le condizioni di una Scuola che di per sè andava già bene, tranne per alcuni aspetti legati alle risorse che lo Stato ha reso di anno in anno sempre più snelle fino al punto da indebolirla, non consentendo più neanche beni di consumo quotidiano che per il buon funzionamento amministrativo e didattico di un’istituzione che si rispetti, sono necessari. Abbattute quindi con la legge 107, tutte le conquiste che lavoratori e genitori avevano ottenuto per garantire condizioni di lavoro adeguate alla funzione specifica dell’insegnamento e al buon apprendimento dei loro figli, con l’ausilio di strumenti tecnologici anche adeguati ai tempi, si sono visti annullare in un batter d’occhi. Un sistema ottenuto con fatica in oltre mezzo secolo di storia. Ma nulla di ciò che si sperava si è realizzato, sostengono i Dirigenti dei sindacati provinciali intervenuti all’assemblea, a partire da Elisa Gambello Segretaria della CGIL che ha aperto i lavori, Giuseppe Marino Dirigente della Uil a seguire, Arcangelo Carbone Segretario della Cisl, Lucia Belsito Segretaria dello Snals e Giuseppe Anamiati della Gilda, in rappresentanza delle Segreterie Provinciali di Reggio Calabria. Le proposizioni accese di ciascun rappresentante, sono confluite tutte sulla conflittualità costituzionale di una legge che sarebbe tutta da rifare, a partire dalla libertà d’insegnamento lesa appieno, la creazione di un’autorità salariale nella figura
di una sola persona, che sa di autoritarismo dittatoriale e l’introduzione di meccanismi per la valutazione individuale a cui conseguono premi in denaro che, in quanto elementi di natura salariale, sono da disciplinare invece in sede contrattuale, secondo quanto espressamente previsto dagli artt. 2 - 42 e 45 del d.L.vo 165/2001. Lì dove la norma non è rispettosa dei principi costituzionali e normativi, i sindacati in un documento redatto in modo unitario, consigliano di adottare tutti quei comportamenti rivolti a salvaguardare un’idea di scuola fondata su partecipazione, collegialità e condivisione. Il Collegio Docenti rappresenta un organo fondamentale nella gestione della vita della scuola e quanto più i docenti sono puntuali nelle attività da programmare e uniti nelle proposte, tanto più sarà limitato il libero arbitrio del Dirigente Scolastico, che attraverso l’attività di discrezionalità sembrerebbe assumere una posizione di potere molto forte che comporta anche grossi rischi per la sua stessa figura. Se si riflette, l’esercizio del potere per non
di Filomena Scarpati
essere attaccato, necessita di personale con specifiche competenze, per cui i Dirigenti che porteranno a termine la carriera, saranno quelli che nell’ambito delle scelte, sia per le forme di collaborazione, che per il merito, andranno verso dipendenti con ottima preparazione e non certo verso chi sa calare solo la testa creando situazioni di comodo temporanee, che nel tempo distruggeranno le carriere delle stesse persone che li hanno preferiti. I Sindacalisti hanno concluso l’assemblea, consigliando alle tante unità di personale presenti nell’auditorium, di far valere fino in fondo le prerogative di cui sono titolari sia loro che gli alunni, fino a quando non si avranno i risultati delle impugnative davanti al Giudice competente delle parti della legge che risultano anticostituzionali. Saranno i Sindacati stessi ad intraprendere le azioni legali, in modo unitario. I solleciti ad esercitare i loro poteri sono andati anche alle RSU. L’assemblea che si è tenuta il 28 Settembre con inizio alle ore 11,00 si è conclusa dopo oltre due ore di discussione e confronto.
Evitiamo gli effetti più deleteri della legge 107/2015
Anamiati Gilda, Marino Uil, Gambello CGIL, Carbone Cisl, Belsito Snals
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Melicucco: Riunione straordinaria del Consiglio Comunale
"Hospice e Sanità"
Un momento del Consiglio Comunale di Melicucco
Il 24 Ottobre mobilitazione indetta dai Sindaci della Piana per difendere l'Ospedale di Luigi Ottavio Cordova Hospice di Melicucco
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l 15 Settembre, in occasione di una riunione del Consiglio Comunale di Melicucco, in seduta aperta e straordinaria, chiesta e ottenuta dalla minoranza, per discutere sull’abolizione dei 12 posti letto dell’Hospice di Melicucco in base alla nuova ripartizione dei posti regionali voluta dal Commissario alla Sanità Ing. Massimo Scura, si è deciso di formulare e inviare un documento unitario, frutto della sintesi delle proposte di maggioranza e minoranza, indirizzato allo stesso Commissario per chiedergli la revoca della sua decisione e il ripristino dei posti letto dell’Hospice di Melicucco. Nello stesso documento si è discusso anche di garantire i posti dell’Hospice di Siderno e dello stato di grave difficoltà in cui versa la sanità calabrese, in particolare della Piana di Gioia Tauro. In base al progetto prepararato dal Comitato dei Sindaci della Piana, relazionato dallo stesso Presidente Giovanni Piccolo, Sindaco di Seminara, dagli altri Sindaci intervenuti nel dibattito: Tripodi, Giannetta e Conia, si è addivenuti alla decisione di indire per il 24 Ottobre una giornata di mobilitazione generale di tutti i cittadini della Piana, coinvolgendo tutti i civici consessi, tutti i Sindacati e le Associazioni di categoria per chiedere una svolta sullo stato della sanità, la salvaguardia dell’Ospedale di Polistena, da più tempo messo in difficoltà per carenza di personale, che comporta il rischio della paralisi del funzionamento di più reparti, con il notevole rischio della chiu-
sura della stessa struttura ospedaliera, unica presenza sanitaria rimasta nella Piana, viste le chiusure di tantissimi reparti degli altri Ospedali, addirittura a Taurianova - già faro chirurgico del territorio fino a qualche anno fa - è rimasto solo un servizio di dialisi e negli altri ospedali vi è stato un notevole taglio di posti letti e chiusure di reparti, senza che si sia dato inizio alla costruzione del nuovo Ospedale Unico da realizzare a Palmi, malgrado l’appalto per la costruzione sia stato vinto da più mesi da una ditta di Catania, alla quale non sono ancora stati consegnati i lavori con il notevole rischio di perdita del finanziamento o del ridimensionamento dello stesso progetto iniziale. Nello stesso documento si è chiesto anche il ripristino dei posti dell’Hospice di Melicucco di cui si è tracciata la Storia. Un progetto iniziato circa 10 anni fa, messo in essere dall’Amministrazione comunale di Melicucco, guidata all’epoca dal Sindaco Scopelliti e dall’Amministrazione regionale che per una modica cifra 370.000,00 euro avrebbe dovuto trasformare il vecchio Ostello della Gioventù (costruito parecchi anni prima e costato svariati milioni di lire, mai entrato in funzione con la propria destinazione d’uso, ulteriore ed ennesima spesa improduttiva tra le tante iniziate e mai messe in funzione nella nostra “ricca” Regione Calabria, che ci hanno sempre portato alla berlina sulla bocca dei nordisti e dei Leghisti, come cattivo esempio e mala gestione dei fondi pubblici) e poi
in corsa d’opera sono stati spesi in totale circa 500.00,00 euro, stante a quanto affermato nel suo intervento introduttivo, all’inizio del Consiglio comunale, dalla dott.ssa Serranò, oncologa e responsabile regionale per le cure palliative, per l’ennesima volta senza alcuna utilità, ma a questi soldi bisognerà aggiungervi altri 200.000,00 euro necessari per la ristrutturazione dello stabile - considerato che la struttura già finita nel 2013, è stata danneggiata ad opera d’ignoti vandali con furti di porte, finestre, sanitari e trafugando il rame dell'impianto elettrico, per poterla restituire al legittimo proprietario, il Comune di Melicucco, nello stato quo ante, tanto che per la stessa relatrice sarebbe conveniente per la Regione creare almeno 8 posti letto che costerebbero la stessa cifra necessaria per il ripristino dello stabile. La relatrice ha spiegato anche che l’Hospice era stato programmato e realizzato seguendo i dettami e i moduli delle strutture analoghe esistenti nei paesi anglo-sassoni. Nel corso del Consiglio comunale sono intervenuti oltre al Sindaco Nicolaci anche i vecchi Sindaci di Melicucco Scopelliti e Amaro, oltre ad altri ex Assessori, nonché il coordinatore del PD per la Piana Michele Galimi, già Sindaco di Cinquefrondi, tutti auspicando l’apertura dell’Hospice visto il notevole incremento dei tumori nel nostro territorio e la salvaguardia dell’Ospedale di Polistena, andando a potenziare l’organico medico e paramedico dei reparti carenti.
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Gioia Tauro:
Convegno "Europa 2020" opportunità per l'agricoltura calabrese
di Maria Giovanna Ursida
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n seminario formativo e divulgativo sui temi strategici e le opportunità dell’approvando Psr (programma di sviluppo rurale) 2014-2020, l’unico strumento finanziario attualmente disponibile per utilizzare i fondi di “Europa 2020” per la Calabria e che, sebbene inerente alla PAC, ovvero, alla Politica Agricola Europea, per la concezione che lo sviluppo rurale nel tempo ha assunto, riguarda aspetti come la salva-
basso” e prevede la costituzione di “Gruppi Operativi” su tematiche di interesse comune tali da coinvolgere agricoltori, imprenditori, professionisti, ricercatori, ONG, ottenendo sinergia tra pubblico e privato. L’evento è stato organizzato dall’Associazione “Un Ponte per l’Europa” di Palmi in collaborazione con l’Associazione “Eurokom” di Gioiosa Jonica, con il Centro Europe Direct, con la Rete Parco Agricolo Calabria e con l’Ordine provinciale dei dottori
guardia del territorio, l’integrazione sociale, finanche, i contesti urbani in forte relazione con la ruralità. Riguarda, oltre che nell’ambito strettamente inteso e chi in esso vi opera, anche tutte le abilità tecniche e competenze professionali che sapranno proporre, progettare e concorrere, e diventa, pertanto, un'occasione per molti operatori del settore. L’innovazione metodologica perseguita dall’Unione Europea per conseguire maggiore efficacia nei suoi provvedimenti è, con questo Psr, la progettazione guidata “dal
Agronomi e dottori Forestali, con il patrocinio del Comune di Gioia Tauro. Il convegno “Europa 2020 – Opportunità per l’agricoltura calabrese”, si è tenuto alle ore 17,00 di Giovedì 24 Settembre 2015 presso la Sala Fallara di Gioia Tauro. La Dott.ssa Adriana Vazzana, assessore all’Ambiente di Gioia Tauro, ha salutato gli intervenuti a nome del Sindaco e della Città. I lavori, invece, moderati dall’Architetto Walter Bonanno di “Un Ponte per l’Europa”, sono stati avviati dalla Dott.ssa Alessan-
dra Tuzza - direttore centro Europe Direct Calabria&Europa. Il Dott. Sergio Caracciolo, consigliere dell’Ordine Professionale dei dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Reggio Calabria, oltre a portare i saluti dell’Ordine, ha illustrato il ruolo importante e l'apporto tecnico che possono dare queste figure specialistiche nella programmazione del Psr 2014-2020. La Dott.ssa Chiara Macrì, della rappresentanza regionale del Parco Agricolo Calabria, ha presentato “Il Parco Agricolo Calabria, una nuova opportunità per la regione”. I ragazzi dell’ITIS di Oppido Mamertina, accompagnati dai loro docenti il Prof. Galea e Prof. Marra, autori del Progetto “Arduino e Tecnologia NFC per la sicurezza, la tracciabilità e l’anti contraffazione”, col quale hanno vinto il primo premio all’Expo di Milano, hanno presentato la loro App., sviluppata per smartphone, in grado di individuare i prodotti contraffatti. Hanno fatto seguito gli interventi della Associazioni di categoria, il Dott. Antonio Inuso, referente per la CIA, Confederazione Italiana Agricoltori, di Reggio Calabria; il Dott. Salvino Moro, presidente regionale Calabria dell’AIAB, Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica; il Dott. Giandomenico Musco, presidente provinciale di Reggio Calabria dell’ANGA, Giovani di Confindustria; la Dott.ssa Carmela Ciappina, preside dell’Istituto Agrario di Palmi. La conclusione e la chiusura dei lavori sono stati a cura dell’Avvocato Antonio Velardo di “Un Ponte per l’Europa” che ha ringraziato le autorità, i relatori e tutto il numeroso pubblico intervenuto.
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AVERE O ESSERE: J’ai… ou Je suis Massimiliano e Salvatore? di Michelangelo Di Stefano
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n questo scenario del terrore, sempre più frequentemente, tra i frames delle tante fictions dedicate sullo schermo alle investigazioni scientifiche ricorre il termine profiling, una raffinata branca investigativa, altamente specializzata, rivolta a tratteggiare il profilo psico-comportamentale di un soggetto attenzionato in contesto investigativo o forense . Una attività di analisi che, gioco forza, all’indomani dell’attentato alle torri gemelle, ha trovato sempre più articolato compendio nell’attività di intelligence, impegnata a monitorare focolai terroristici a macchia di leopardo su tutto il globo, così operando descrizioni psicologico comportamentali finalizzate a tracciare, ad esempio, il profiling del “terrorista fondamentalista tipo” , a partire da una classificazione sulla base della sua
Il profile del terrorista fondamentalista tipo scolarizzazione, età e grado di fede. Nel mondo del fondamentalismo islamico, sostiene Marco Cannavicci, i giovani terroristi evidenziano “[…] un livello medio-basso di cultura, una famiglia molto solida ed unita alle spalle e la pericolosa tendenza al fanatismo religioso. In tutti i terroristi si è sempre osservato che più si chiudevano ed isolavano rispetto alla società più diminuiva il loro senso di realtà, alimentando così dichiarazioni sempre più farneticanti da rendere quindi ogni loro delirio come giusto e possibile. In tutti i terroristi si è anche sempre osservato che la molla che li ha spinti ad agire è sempre l’odio […]” . Secondo la Fondazione I.C.S.A. una più articolata classificazione concerne il rapporto esistente tra ideologia e religione, attraverso cui sarà possibile rilevare diversi modelli terroristici. Quella che segue è una
delle tante sintesi di profilazione rivolte a catalogare il dilagante fenomeno secondo dei modelli tipizzati: “[…] - i seguaci della casa madre (da intendersi gli irriducibili fedeli ad Osama Bin Laden ed Al Zawahiri nel teatro afghano-pakistano); - gli affiliati (organizzazioni regionali che si richiamano ad Al Qaeda seppur con legami variabili); - gli ibridi (simili agli “affiliati” e tra costoro qaedisti yemeniti, separatisti di Lashkar-e-Taiba, hanno obiettivi locali il c.d. “nemico vicino” e obiettivi globali, il c.d. “nemico lontano” o l’Occidente e l’America); - gli ispirati (cellule isolate ma molto determinate, scarsamente organizzate e preparate, che si ispirano ad Osama Bin Laden); - i lupi solitari (si assimilano agli “ispirati”, ma si tratta di cellule assolutamente isolate che agiscono singolarmente, scollegati da qualsiasi altro dise-
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gno terroristico organizzato) ; - gli emiri dagli occhi blu (si tratta di cellule non identificabili, per tratti somatici e/o cittadinanza e documenti di identità a categorie “a rischio”; dette cellule reclutate spesso oltre oceano, alle volte rimangono “dormienti” in attesa di incarico o di semplice supporto informativo e logistico) ; - i nomadi della jihad (sono cellule sprovviste di una vera struttura che vantano del sistema di comunicazione attraverso il web ed i social network); - gli omegrown (solitamente figli di immigrati che vivono stabilmente in Occidente, resi vulnerabili dal fanatismo religioso per via del disagio sociale in cui si trovano); - i convertiti (si identificano, di solito, in cittadini occidentali che hanno lasciato le tradizioni d’origine convertendosi alle fede islamica al contempo assumendo posizioni fanatiste ed estremistiche proprie dei mujaheddin. Il volano di reclutamento è soventemente quello dei predicatori itineranti, come i Tabligh); - lo sparatore solitario (l’esempio tipico è quello del maggiore
Nidal Hasan, autore della strage compiuta nella caserma di Fort Hood in Texas il 5 novembre 2009); - l’attentatore suicida; - le jihadiste (le attentatrici che si ispirano allo jihadismo, sono spesso mosse da ragioni di tipo personale, come un legame affettivo ad un terrorista, una tragedia familiare o la morte di una persona cara legata al contesto conflittuale che ha determinato uno stimolo alla vendetta).
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di Gen. Angiolo Pellegrini
Il magistrato Cesare Terranova ed il maresciallo della P. di S. Lenin Mancuso
25 Settembre 1979 Cesare Terranova e Lenin Mancuso Il 25 Settembre 1979, così come avveniva ogni giorno, giungeva sotto casa di Cesare Terranova l’auto di servizio che lo conduceva al lavoro. Il magistrato si poneva alla guida della vettura ed al suo fianco prendeva posto il maresciallo della P. di S. Lenin Mancuso, da venti anni uomo di fiducia e addetto alla sua scorta. L’auto imboccata una via secondaria, trovata inaspettatamente chiusa per lavori, era costretta a fermarsi. All’improvviso sbucavano da un angolo uomini armati che aprivano il fuoco contro i due occupanti l’autovettura, che venivano raggiunti da numerosi proiettili, sebbene Terranova avesse tentato di fare retromarcia e Lenin Mancuso avesse provato a reagire, estraendo la sua pistola. Il magistrato veniva finito con un colpo alla nuca, mentre Mancuso decedeva dopo poche ore in ospedale. Terranova era stato eletto nel 1972 e nel 1976 deputato alla Camera, dove era rimasto fino al 1979. Era stato membro della Commissione Antimafia, collaborando, con altri deputati P.C.I., alla famosa relazione di minoranza, estremamente critica nei confronti di quella redatta dalla maggioranza, accusata di aver taciuto sui collegamenti tra mafia e politica (con particolare riferimento alla D.C. - Gioia, Ciancimino e Lima). Terminata l’esperienza parlamentare, Terranova era rientrato in magistratura, venendo nominato Giudice Istruttore presso il Tribunale di Palermo. Le indagini sul duplice omicidio sono durate 18 anni, pur se il mandante fosse stato subito indicato in Luciano Liggio, ed il nome del corleonese fosse apparso e ricomparso nelle indagini e nei due processi celebrati avanti ai giudici di Reggio Calabria. Un primo processo si svolse nel 1986 e vide il Liggio assolto per insufficienza di prove, mentre un secondo, a seguito delle indagini della DIA e della DDA, consentì di pervenire all’ accertamento delle responsabilità, quale mandante proprio del Liggio (nel frattempo deceduto) nonché alla condanna degli esecutori materiali ed alla incriminazione dei
PER NON DIMENTICARE
Terranova e Saetta componenti della “cupola” di “cosa nostra”. L’odio ed il rancore di Liggio verso il magistrato e la nota intransigenza dello stesso Terranova che, dopo il ruolo in Commissione Antimafia, dove aveva pubblicamente esternato il suo pensiero sui collegamenti tra mafia e politica, tornava a Palermo per occupare la poltrona di Consigliere Istruttore, stava stretto ai componenti dei vertici di cosa nostra e, di qui, l’accordo a compiere il delitto. 25 Settembre 1988 Antonino e Stefano Saetta
Il 25 Settembre 1988, il Giudice Antonino Saetta, mentre con il figlio Stefano percorreva la strada Agrigento - Caltanissetta di ritorno a Palermo, alla guida dell’auto di famiglia, veniva affiancato da una Bmw dalla quale partirono colpi di arma da fuoco che perforano il vetro dello sportello posteriore sinistro. Mentre la Bmw sorpassava l’auto del magistrato, gli assassini continuavano
ad esplodere altri colpi che uccidevano padre e figlio. Non aveva scorta, né vettura blindata. Era il settimo magistrato siciliano che veniva assassinato da killer mafiosi. Cosa nostra alzava ancora una volta il tiro, come forse nessuno si sarebbe aspettato. Vengono colpiti indifferentemente magistrati che conducono indagini e magistrati che giudicano. Con Saetta, “cosa nostra” colpisce il magistrato che negli ultimi anni aveva presieduto le Corti d’Assise d’Appello, infliggendo pesantissime condanne ai responsabili degli omicidi di Rocco Chinnici e del Comandante della Compagnia CC di Monreale, Emanuele Basile. Proprio nei confronti degli autori dell’assassinio del Capitano Basile, Saetta aveva ribaltato la sentenza di primo grado, condannando i tre killer all’ergastolo, mentre in primo grado erano stati assolti, rendendosi latitanti. Per Chinnici aveva confermato la sentenza di Caltanissetta, inasprendo le pene. Le indagini sul duplice omicidio confermarono il classico movente dei delitti di mafia: la vendetta nei confronti di un magistrato che aveva condotto con fermezza i processi di appello di Chinnici e di Basile; il forte messaggio intimidatorio per i magistrati giudicanti, impegnati nei processi di mafia e, in primo luogo, nei confronti di chi avrebbe presieduto l’appello del maxiprocesso che, per la prima volta, aveva registrato condanne all’ergastolo per i capi di cosa nostra. Nel 1996 sono stati condannati all’ergastolo, dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, per il duplice efferato omicidio, i capimafia Salvatore Riina, Francesco Madonia, ed il killer Pietro Ribisi. La condanna, confermata nei successivi gradi di giudizio, è passata in giudicato.
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Enrico Ioculano sindaco di Ventimiglia
Maria Carmela Ioculano sindaco di Moltrasio (CO)
Mimmo Politanò cantautore
I figli di S. Cristina d’Aspromonte insigniti della Cittadinanza Onoraria e Benemerita
L’
estate scorsa, precisamente il 13 di Agosto, a S. Cristina d’Aspromonte, sono stati insigniti della Cittadinanza Onoraria quattro personaggi e uno insignito della cittadinanza Benemerita. La manifestazione è stata realizzata nel contesto della settimana di festeggiamenti dedicati agli emigrati. S. Cristina “vanta” un tasso di emigrazione tra i più elevati del panorama pianegino. Dopo aver superato abbondantemente le tremila anime intorno alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, si è visto spopolare progressivamente nell’arco dei decenni con puntate annuali di alcune centinaia di partenze. L’emigrazione non si è più fermata fino ad oggi, tempi in cui la gente lascia il paese natio non più in “cerca di fortuna”, come si diceva un tempo, ma per luoghi e occupazioni mirati di altra levatura professionale. Un tempo si partiva con la valigia di cartone e con i grandi bauli e valigioni per i mari del sud dell’Argentina e dell’Australia. La prima nazione non ha dato grandi soddisfazioni ai nostri emigrati, per cui l’Australia, gli Stati Uniti, il Canada, la Francia, il Belgio, la Svizzera, in nord Italia, ecc., sono state le successive mete. Migliaia e miglia di nostri cittadini sono sparsi per il mondo, dove hanno formato famiglia e allargato le prospettive di lavoro, recuperando una vita più che dignitosa. Oggi, invece, si parte con la valigetta e col cellulare, …stop. L’emigrato di oggi è più spesso un uomo professionista che va a prestare servizio a industrie specializzate, agli ospedali, ai grandi magazzini, agli studi legali e ingegneristici, ecc. Ma, in ogni epoca, i nostri migranti, hanno saputo mettersi in evidenza nelle città che li hanno ospitati, ancor di più oggi. A S. Cristina c’è sempre stato gran ri-
spetto per i cittadini “persi”, per coloro che hanno dovuto abbandonare la casa natale per trovare lavoro altrove. Già nel 1972 fu inaugurato in città il Monumento in onore degli Emigrati, con la relativa festa a loro dedicata. Quest’estate, il sindaco Madaffari ha voluto dedicare anche una nuova via alla
folla emigrata, intitolando ex novo la “Via Degli Emigrati”, proprio nel Rione Borgo dove l’emigrazione ha lasciato tutte le case vuote come uno spettro di questo triste fenomeno. Allora, dicevamo, si festeggia l’emigrato a S. Cristina non per orgoglio del loro essere fuori, ma per il loro essere dentro, tra di noi, onorati di averli sempre nel cuore e in qualche modo sempre presenti. Quindi, questi figli di S. Cristina testimoni nel mondo, sono stati festeggiati nell’estate 2015 nel corso della settimana dal 9 al 16 Agosto, nelle serate che hanno visto susseguirsi manifestazioni culinarie tradizionali; recite da parte dei ragazzi che hanno inscenato e ricordato l’arrivo festoso in paese
Saverio Cigliano campione del mondo di Vela d'Altura
di Tonino Violi
dell’emigrato; dibattito pubblico con esperti sull’emigrazione; l’incontro con Mimmo Gangemi che con i suoi libri ha raccontato anche l’emigrazione in America e, poi, la manifestazione ai figli dei nostri emigrati che si sono distinti in vari campi di attività. Per questo primo anno sono stati convocati le seguenti personalità: Giacomo Battaglia (che forma duo con Luigi Misefari), vive a Reggio Calabria, attore e comico di livello nazionale; Saverio Cigliano, ischitano, campione del mondo di Vela d’Altura negli ultimi due anni; Enrico Ioculano, sindaco di Ventimiglia, che ad inizio estate ha gestito con successo la difficile questione dei migranti africani al confine; Maria Carmela Ioculano, sindaco di Motrasio (CO) e Mimmo Politanò, cantautore di fama internazionale, scelto dalla commissione vaticana (unico al mondo) a musicare le poesie del Papa Giovanni Paolo II. Certamente è molto riduttivo stringere a questi pochi titoli le qualità e le attività svolte da Mimmo ai massimi livelli. Ecco chi sono i figli degli emigrati cristinesi! Sono costoro a divulgare nel mondo dignitosamente le tradizioni del paese di origine, per cui i primi quattro sono stati insigniti della Cittadinanza Onoraria, mentre, Mimmo Politanò nato a Lubrichi di S. Cristina d’Aspromonte, è stato insignito della Cittadinanza Benemerita. Tutti emozionati e grati del valoroso riconoscimento, i cinque personaggi sono rimasti soddisfatti delle loro origini, di quello che S. Cristina d’Aspromonte e la frazione Lubrichi rappresentano per loro, oggi più che mai, seppur piccoli centri aspromontani, nel contesto della Piana, producendo ed esportando cultura e uomini, nonché quella giusta emancipazione che è insita alle tradizioni e locali.
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di Anna Rotundo
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Correlazione tra culto e impegno, correlazione che impegna ogni credente e, in particolare, i credenti che esercitano un temporaneo servizio amministrativo e politico”: non possono che essere queste, secondo Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace e postulatore della causa di beatificazione di Don Pino Puglisi, “le antiche e nuove frontiere dell'ordinarietà della vita pastorale, la quale è chiamata a correlare sempre culto ed esistenza ordinaria, messa celebrata e messa da continuare nella vita, annuncio del Vangelo e difesa dei beni comuni, carità annunciata e carità praticata. Priorità di ogni operatore pastorale, di ogni prete, soprattutto di ogni parroco, anche del parroco Puglisi che, in questa prospettiva, mi piace denominare il martire del “cristianesimo ordinario”. In questo senso, Mons. Bertolone ha brillantemente riassunto in “3 C” il messaggio che ci viene dal prete delle “3 P”, come era soprannominato Puglisi: il dovere per noi cristiani di essere cioè Credenti, Coerenti, Credibili. Attuando queste tre “C” nelle nostre vite, costruiremo cittadinanza attiva solidale e responsabile per il bene comune. Mons. Bertolone ha scritto “Padre Pino Puglisi. Profeta e Martire Beato”, biografia ufficiale, edizioni San Paolo. Il testo ricostruisce con amore e impegno gli ultimi anni della vita e del ministero e l’iter della causa di beatificazione di Don Pino Puglisi, sacerdote vittima della mafia per la fede che sottraeva spazi alla criminalità, per le sue opere sacerdotali che sapevano reinventare la speranza. “Puglisi – ha sottolineato Mons. Bertolone - ha operato appassionatamente, edificando, come servitore e tessitore, attimo per attimo, il bene della comunità cristiana, che è anche bene comune, all'interno del quale si danno, dunque, alcuni valori e beni non soggetti alle leggi del mercato, del venire a patti, della trattativa o della collusione con qualunque altro potere che non sia quello divino. La testimonianza di Puglisi è una chiara indicazione circa le prospettive future di un atteggiamento netto da tenere, in nome della connessione tra culto eucaristico e beni non negoziabili, nei confronti di qualunque modo illegale e anticristiano di vivere, a volte endemico in alcuni territori, perché non è tanto la Chiesa di Puglisi che è antimafia, ma è la mafia che è antievan-
Sacerdote educatore e martire
Ricordo di Padre Puglisi Testimone di fede e di legalità
gelica. Il parroco di Brancaccio – ha proseguito il Presule - non può essere definito un prete “contro” piuttosto: un prete “per”, perché con il suo forte spirito evangelico si batte sempre per la gente, per i suo diritti fondamentali, per i suoi valori non negoziabili, per il suo bene comune; gente affidata alle sue cure pastorali paterne e materne, in nome di Colui che è stato sempre dalla parte del popolo, degli ultimi, della società”. Ciascuno di noi, sull’esempio del sacerdote palermitano, può trasformare una giornata “ordinaria” in “straordinaria”, al fine di essere davvero cittadini attivi e responsabili per attuare “la vita buona del vangelo” e il bene comune, come bene spiega Mons. Bertolone: “Questa ordinarietà-straordinaria di vita cristiana viene mostrata molto bene dall'ultima giornata terrena di Don Puglisi, che è un po' la sintesi di ogni sua giornata da prete e da parroco. Due matrimoni e, di pomeriggio, prima gli incontri di preparazione al battesimo; e poi quello al Comune per riuscire ad ottenere, insieme con gli abitanti della borgata, una scuola media. Infine al Centro “Padre Nostro” per festeggiare il 56° compleanno in amicizia e semplicità. L’ultimo suo giorno in terra è, appunto, una giornata-tipo dalla quale ricaviamo il suo modo straordinariamente ordinario di essere prete cristiano. Un prete antico (come mostrano, soprattutto, le celebrazioni sacramentali, significativamente nel momento costitutivo di nuove famiglie, nonché i momenti di preghiera, tanti, e come mostra la predicazione e l’attività di annuncio e catechesi); ma anche un prete nuovo, che traduce in scelte sociali e solidali il suo sacerdozio e correla culto eucaristico con i risvolti sociali di esso: di qui la difesa dei diritti degli studenti, di qui il Centro che affronta e cerca di ri-
solvere i problemi di una situazione sociale disgregata (i cui primi interessi sono, non a caso, rivolti agli ultimi, ai bambini, agli anziani, ai soli, ai sofferenti, cioè ai diritti fondamentali della persona), di qui le relazioni umane intense con chi quotidianamente lo incontra. La personalità del presbitero Puglisi sta tutta qui: riassumere in sé la tradizione (il prete uomo del sacro, che realizza con le sue mani il sacrificio eucaristico, e conciliarla con l’innovazione (oltre alla lettura e predicazione della Scrittura, l’azione solidale e caritativa); la natura e la missione del suo sacerdozio ministeriale, sempre in connessione con il sacerdozio comune battesimale degli altri fedeli, la riproduzione, nel quotidiano, della molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa”. Significativa anche la testimonianza di Suor Carolina Iavazzo, che collaborava con Puglisi: a suor Carolina Don Pino Puglisi ha
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lasciato un’eredità spirituale di promozione evangelica ed umana: lei ha sentito che la lotta al fianco dei giovani contro le lusinghe della criminalità organizzata andava condotta ancora, dopo l’uccisione del sacerdote, dove c'era più bisogno. Nella Locride, a Bosco Sant'Ippolito, un piccolo centro tra Bovalino e San Luca, un’altra zona “di trincea”, suor Carolina ha fondato nel 2005 il centro "Don Pino Puglisi". Un posto pieno di giovani, energie e creatività. Uno dei tanti segni di una terra in fermento che testimonia alla storia come Don Pino Puglisi abbia aiutato tanti
giovani ad uscire dal tunnel della paura e dell’ignoranza, attraverso una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta. Ma autenticamente liberante. Suor Carolina, è autrice di poesie in cui parla di Palermo, dei suoi tanti ragazzi, definendoli con la struggente espressione di “figli del vento”. Strappati alla strada e alla violenza mafiosa con una tenacia, mai vinta, mai sopita, nonostante la morte di Padre Puglisi. Per la suora, il suo insegnamento di vita non si dimentica: “Tutti siamo chiamati a lasciare qualcosa che resti nella storia e nella vita degli uomini, come un testimone che
passa da una mano all’altra, di generazione in generazione perché la vita è un compito che qualcuno ci affida perché altri dopo di noi, possa ritrovare la strada che porta alla meta”. Quando aveva detto: “Non lasciate il mio corpo troppo solo”, Padre Puglisi voleva dire: “Continuate voi la mi attività, la mia speranza, realizzate voi il mio sogno”. Il sogno dell’“uomo di Dio che semina a piene mani, raccogliendo sassi che trasforma in zolle profonde”, zolle che erano soprattutto i cuori dei ragazzi di Brancaccio, in cui Padre Puglisi ha seminato insopprimibili semi di pace e di libertà.
Polistena:
Inaugurazione centro polifunzionale "Don Puglisi" di Luigi Ottavio Cordova
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l 15 Settembre a Polistena è stato inaugurato il centro polifunzionale Don Pino Puglisi, una struttura di 6 piani confiscata ad una delle famiglie mafiose più potenti di Polistena e consegnata per opere sociali alla Parrocchia di Santa Marina in comodato d’uso, che ne ha curato la ristrutturazione grazie ai finanziamenti della Fondazione "Con il Sud", di Unicoop di Firenze, della fondazione “il Cuore si Scioglie” Onlus e di "Enel Cuore" Onlus, su un progetto posto in essere dalla parrocchia di Don Demasi, dove sono stati realizzati un centro di aggregazione giovanile e nei piani superiori un ostello sociale intitolato alla memoria di Gianni Laruffa fondatore dell’Associazione antiracket APICA di Polistena e un poliambulatorio sanitario di Emergency org per garantire assistenza medica e burocratica a favore di
cittadini indigenti e agl'immigrati stranieri presenti nel territorio della Piana di Gioia Tauro. All'evento sono stati presenti Don Luigi Ciotti fondatore di Libera, che ha relazionato sull’iter della legge dei beni confiscati e sull’enorme difficoltà per la sua approvazione, inoltre, a tracciare un ricordo e un profilo di Don Pino Puglisi a cui è stato dedicato il centro, la cantante Fiorella Mannoia che ha voluto esternare con la sua presenza la solidarietà a quanti, da volontari, lottano quotidianamente contro la mafia per ridare alla società quanto era stato tolto con la prepotenza ed il malaffare, concetti analoghi hanno espresso anche il Prefetto di Reggio Calabria Dr. Claudio Sammartino, il Procuratore di Reggio Calabria Dr. Federico Cafiero De Raho, il Procuratore di Palmi Dr. Ottavio Sferlazza, il Presidente della Fondazione "Con il Sud" Dr.
Carlo Borgomeo, dell’Unicoop di Firenze Dott.ssa Daniela Mori e il Vice Presidente di Emergency org Dr. Alessandro Bertani. I lavori sono stati introdotti e coordinati da Don Pino Demasi, che ha relazionato sull'importanza e l'utilità di questa opera e sulla grande e nobile figura di Don Puglisi, infine, il tecnico progettista Arch. Francesco Mammola ha illustrato con l’ausilio di slide la serie di lavori eseguiti e di come sono state realizzate le opere tecniche di ampliamento e ristrutturazione. A conclusione dell'evento, coronato dalla partecipazione di un folto pubblico, sul palco nella piazzetta antistante si è svolta una serata musicale con l’esibizione dei MAKAM Project e del cantautore Alfonso De Pietro, vincitore dei premi Nazionali: Musica contro le Mafie 2012, Agenda Rossa 2013 e Cultura contro le Mafie 2014.
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Feste Mariane Settembrine
di Federica Mamone
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Occasione di rinnovata spiritualità
e solenni celebrazioni mariane di Settembre, iniziate dal 29 Agosto con il falò dei “lupinazzi”, sono state coronate da una grande messe di fedeli che hanno partecipato - nel corso dei tre giorni di festa - all’intenso programma religioso e civile messo a punto dal Parroco e dal Comitato Feste. Il momento più intenso e spiritualmen-
te vissuto è stata per il secondo anno consecutivo, la veglia di adorazione e preghiera e la celebrazione del Solenne rito eucaristico all’aperto, nella piazza antistante la Chiesa. Migliaia di fedeli e la Madonna, Madre protettrice di Taurianova, insieme, all’aperto, per un momento corale di preghiera. A ben vedere, il divieto di effettuazione delle processioni sta producendo frutti co-
piosi in tema di rinnovata spiritualità. La festa - come sempre - è stata l’occasione di numerose iniziative espositive artistiche e culturali, tra cui la collettiva di Rocco Zucco e Francesco Del Grande. In chiave di amarcord, tratta dall’emeroteca del Dott. Diego Demaio Demetrio, proponiamo il programma di una lontana festa del secolo scorso - ancora in grado di suscitare emozioni.
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Da sinistra: Caruso, Deodato, Saletta e Ursida
Si è svolta a Palmi
La Terza edizione della Notte Rosa
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rganizzata dal Presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso, dalla Proloco di Palmi con il patrocinio del Comune e della Provincia si è aperta la "Notte Rosa" con un convegno dal titolo “Non Chiamatelo Amore Malato”. Relatrice e Moderatrice del convegno la Dott.ssa Maria Giovanna Ursida, Presidente della Cooperativa ITACA, impegnata nel sociale da oltre 18 anni, contrastando con “fermezza” ogni forma di violenza fisica, che nei casi peggiori sfocia in tragedia. Senza dubbio piu’ subdola violenza psicologica, che spesso porta la donna ad annullarsi ed a vivere nella paura. Il messaggio forte e univoco dell’AMORE, il rispetto dell’altro e la condivisione, è il contrario dell’egoismo. Facciamoci tutti un favore: non tiriamo in ballo la parola Amore quando non è possibile usarla. Dare un nome alle cose è un buon inizio. Soprattutto non confondiamo l’amore con i reati penali. E la denuncia, a volte, è ancora un passo troppo difficile da compiere. Nei lavori congressuali, è stato illustrato un progetto della Dott. ssa Alessandra Kusterman, Coordinatore del SVSeD dell’Ospedale Mangiagalli di Milano, servizio gestito con specialisti in diverse discipline che trova la collaborazione delle forze dell’ordine. Hanno creato una rete di notevole supporto nell’individuazione e prima accoglienza di casi di violenza dentro e fuori
le mura domestiche. Da studi e ricerche emerge come la violenza non conosce confini geografici, limiti di età, livelli sociali, differenze culturali e razziali. E conseguentemente tali implicazioni si ripercuotono, oltreché sull’uguaglianza di genere, sull’inclusione sociale e sulla salute. L’apertura dei lavori della serata, inizia con i saluti del Presidente Saffioti, che ribadisce il costante impegno della SOMS che, attraverso l’attività di convegnistica e sensibilizzazione, di tematiche sociali, continua Saffioti, per evidenziare come, le conseguenze degli abusi si ripercuotono sulla salute mentale, sulle capacità riproduttive e sul rischio di morte e lesioni. A seguire il Presidente Rocco Deodato della PROLOCO, soffermatosi su di una splendida cornice di Agosto, ha voluto conciliare il tema di prevenzione e sensibilizzazione della Notte Rosa, in uno unico scenario: cultura e spettacolo come eco di un messaggio forte di condivisione sociale. Il vice Sindaco Avv. Giuseppe Saletta, intervenendo, ha portato i saluti a nome di tutta l’Amministrazione augurando un buon proseguo dei lavori Congressuali, rimarcando come il Comune e la Provincia da tempo si costituiscono parte Civile nei processi contro la violenza di genere. Ovviamente, è necessario investire sulla formazione di genitori e insegnanti, ma anche di tutte quelle figure che si occupano delle vittime di violenza, come i medici e le
di Francesco Di Masi
forze dell'ordine. Serve un percorso di rieducazione di tutti, alla Cultura della vita. Il convegno entra nel vivo con il qualificato intervento del Dott. Sergio Caruso, Criminologo clinico-forense, collaboratore della cattedra di neuropsichiatria Uniroma 3, diretta dal Prof. Villanova, docente Master Criminologia Cliniaca e criminal prolifer Miur Promtetes - Catanzaro che affascina il pubblico presente. Quali interventi per le strategie di contrasto alla violenza sulle donne? I segnali di una relazione che potremmo definire disturbata, l’impeto che precede il gesto violento non viene dal nulla. I dati confermano l’ importanza del tema, quali sono i comportamenti che armano la mano dell’uomo in nome di un “AMORE” CHE INVECE NON HA NIENTE IN COMUNE CON ESSO, MA CHE INVECE SI INDENTIFICA CON IL” POSSESSO”. Conclude, quindi, il Dott. Caruso, con tre parole chiave: Prevenzione, progetti educativi, (riaffermare la bellezza dei sentimenti e imparare ad amare) e interventi pedagogici mirati gia in età evolutiva, attraverso l'educazione affettiva e il sostegno genitoriale. Importante anche la formazione degli Operatori Sociali e Forze dell’Ordine. Finito il convegno la serata è proseguita con l’intervista alla Dott.ssa Ursida e al Criminologo Caruso in piazza I°Maggio dall'emittente Studio 54 e con la consegna delle targhe ricordo.
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di Vincenzo Vaticano
Le Gemelle Chiara e Martina Scarpari
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razie ad una marea di consensi ottenuti da tutt’Italia attraverso il televoto, Chiara e Martina Scarpari fanno il bis e vincono per la seconda volta - nello spazio di una settimana - la sfida di “Ti lascio una canzone - Speciale Junior Eurovision Song Contest” programmata per designare il candidato italiano alla prossima finale della storica competizione europea che si terrà a Sofia (Bulgaria) il prossimo 21Novembre. Un “pass”, a dire il vero, che le gemelle calabresi di Varapodio avevano già conquistato imponendosi, alla grande, nella puntata d’esordio (sabato 12 Settembre) del popolare talent - condotto in prima serata su Rai1 da Antonella Clerici - caratterizzata, è il caso di rilevare, da una grossolana svista dei tecnici della grafica, ritenuta, in quel frangente, ininfluente sull’esito della gara. Un diritto che - cancellato (per non dire “scippato”) dalla successiva, improvvisa e discutibile decisione della Rai di annullare la prima finale per motivi non proprio chiari e convincenti - le sorelle Scarpari sono state chiamate a “riguadagnarsi” con una nuova partecipazione, come dire,“estemporanea” nel corso della seconda puntata del programma televisivo andata in onda sabato scorso. Lo hanno fatto, riproponendo con la bravura che le contraddistingue, il brano “Una ragione di più” scritto dal loro illustre e indimenticato corregionale Mino Reitano per Ornella Vanoni. E, a Sòfia guarda caso, ci andranno dopo aver (ri)battuto con una percentuale “bulgara” (67,39% di televoti) il loro coetaneo siciliano Giuseppe Sutera Sardo che, nonostante un’ottima performance, ha potuto nutrire poche chance di vittoria al cospetto delle non comuni e “risapute” qualità canore ed artistiche di Chiara e Martina.
Le Gemelle Chiara e Martina Scarpari concorreranno per l'Italia allo
"Speciale Junior Eurovision Song Contest" «E’ davvero incredibile - hanno commentato a caldo le “gemelline” -, stavolta il risultato è ancora più bello, dobbiamo dire un grazie di cuore a tutti quelli che ci hanno aiutato e sostenuto in questi giorni, dobbiamo ringraziare soprattutto mamma e papà che ci hanno motivato fino all’ultimo secondo prima dell’esibizione». In Bulgaria, le giovani cantanti, nel prestigioso ed impegnativo “Eurofestival Junior, saranno testimonial dell’Italia interpretando una canzone che, per l’occasione, sarà composta dal noto cantautore Gigi D’Alessio. Grande euforia sulla rete tra i supporter che - sparsi dappertutto - hanno inondato il web e i principali social net-work di messaggi e post. Grande entusiasmo, anche, tra i compaesani, lo “staff” e la famiglia che hanno potuto finalmente gioire per l’importante traguardo - “assaporato” per diversi giorni e poi inopinatamente rimesso in discussione - che adesso proietta, in modo definitivo, Chiara e Martina verso una nuova ed esaltante avventura di grande rilievo internazionale Entusiasta e commosso anche il commento del papà Rocco: «Potrei scrivere ore, trova-
re le frasi più forti e più belle che ci siano ma non troverò una frase che sia sufficiente per dirvi o dimostrarvi la mia gratitudine nei confronti di tutti voi . Sto cercando di rispondere a tutti, non so quanti giorni ci metterò, ma lo farò, siete davvero in tanti. Userò una semplice parola che racchiude, però, davvero tutto, quando viene detta con il cuore: Grazie! Questa è stata sicuramente la più bella vittoria della loro carriera - ha aggiunto - e uno dei momenti più belli per la nostra famiglia; la gente vuole veramente bene alle nostre figlie». Chiara e Martina, è il caso infine di rilevare, nonostante la stanchezza accumulata durante le numerose “andate e ritorno” VarapodioRoma per partecipare alle due puntate consecutive di “Ti lascio una canzone”, non hanno voluto rinunciare alla finalissima di una voce per lo Jonio, la manifestazione canora organizzata con la direzione artistica del maestro Christian Cosentino, svoltasi ieri pomeriggio di domenica a Lamezia Terme. Le gemelle Scarpari ospiti attesissime insieme al maestro Vince Tempera, compositore di fama internazionale che ha presieduto la giuria, hanno ritrovato tanti fan ad accoglierle.
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di Paolo Lucio Albanese Le Gemelle Scarpari insieme ad Antonella Clerici e Giuseppe Sutera Sardo
Nel talent televisivo “Ti lascio una canzone” dedicata al Junior Eurovision Son Contest vincono le gemelle Scarpari
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aranno le due gemelle Chiara e Martina Scarpari a rappresentare il Belpaese Junior Eurovision Song Contest 2015, previsto per il 21 Novembre a Sofia, in Bulgaria: nella prima puntata di "Ti lascio una canzone", andata in onda sabato 12 Settembre, infatti, si è verificato un incidente di percorso nella gara dovuto ad un banale errore umano. Nella fase eliminatoria, durante i conteggi, la grafica ha segnalato come finalista un nome sbagliato e con quel nome è stato aperto il televoto per decretare il vincitore. Subito dopo, l’errore è stato accertato e Antonella Clerici, scusandosi con i ragazzi in gara, ha comunicato e riammesso alla finale il concorrente che effettivamente aveva diritto a proseguire. Dopo un’accurata analisi della situazione, i responsabili del programma, di comune accordo con l’ufficio legale della Rai, dopo aver ascoltato anche i diretti interessati, hanno deciso di invalidare la fase finale della gara perché con lo stesso codice di televoto (02) si erano avvicendati due concorrenti diversi e la sessione di televoto finale si era svolta in modo evidentemente non corretto. Conseguentemente, la produzione del programma, nel rispetto delle regole e per tutelare il merito dei singoli, ha deciso di far ripetere il confronto fra i due giovani artisti. Ma la serata di sabato 19 Settembre il verdetto è stato ancora una volta favorevole a
Chiara e Martina, che sono le decime artiste selezionate dopo l’albanese Mishela Rapo, l’armeno Michael Varosyan, il bielorusso Ruslan Aslanov, il quartetto georgiano Lizi, Tako, Elen & Data, la maltese Destiny Chukunyere, la montenegrina Jana Mirkovic, la bulgara Gabriela Jordanova, l’ucraina Anna Trincher e il duo macedone Ivana Petkovska e Magdalena Aleksovska. Ricordiamo inoltre che sono iscritte, ma non hanno ancora scelto l’artista Paesi Bassi, Russia, Serbia, Irlanda e Slovenia. Nella prestigiosa serata sul palco della Aarmec Arena di Sofia il prossimo 21 Novembre, in rappresentanza dell’Italia al prossimo Junior Eurovision Song Contest, Martina e Chiara Scarpari canteranno la canzone inedita “Viva”. In questi giorni le gemelle calabresi si trovano a Roma per registrare il brano. Come è noto, l’autore principale è il cantautore napoletano Gigi D’Alessio, ma come da regolamento del concorso, Chiara e Martina Scarpari parteciperanno alla stesura del medesimo, presumibilmente nel testo. Secondo le prime indiscrezioni, come fu l’anno scorso per Cantiello, il brano sarebbe interamente in italiano con una sola frase in inglese. L’arrangiamento e la direzione artistica sono ancora affidate a Leonardo De Amicis, direttore d’orchestra di "Ti lascio una canzone". «Ci sembra di vivere dentro un sogno - hanno dichiarato Chiara e Martina poco
dopo la loro importantissima vittoria - la prima della gara non ci speravamo minimamente, gli altri ragazzi erano tutti molto preparati. Abbracciare i nostri genitori è stato il momento più bello della serata, solo quando abbiamo incrociato il sorriso della mamma e gli occhi di papà -ha continuato Martina- ci siamo rese conto di aver fatto qualcosa di veramente importante». Le due teenagers Chiara e Martina hanno un pensiero anche per i loro rivali: «Ci dispiace davvero per gli altri ragazzi, tra di loro c’è gente bravissima, meriterebbero tutti di venire con noi a Sofia. Giovanni è un crooner eccezionale, ha tantissimo talento. Dobbiamo dire grazie a tutti gli italiani». Un mix di emozioni e incredulità ha travolto le due gemelle nate a Reggio Calabria ma residenti a Varapodio, centro dell’hinterland reggino, di circa duemila abitanti: «Appena fuori dal teatro non riuscivamo a realizzare quello che ci stava accadendo, ci guardavamo intorno disorientate -prosegue Chiara- c’è voluto un pezzo per riprenderci, è stata una gioia bellissima. È incredibile quanto affetto abbiamo ricevuto in questi giorni, ci hanno invaso di messaggi di auguri e telefonate, non sapevamo di avere così tanti sostenitori. Anche gli altri concorrenti ci hanno riempito di abbracci e complimenti, sono tutti ragazzi meravigliosi». Ancora una volta, dunque, Chiara e Martina hanno brillato di luce propria portando alto il vessillo della nostra meravigliosa Calabria e dell’intero Meridione in un’importante e popolare manifestazione di rilievo nazionale e, nel caso specifico, anche internazionale. «Adesso il sogno diventa ancora più grande - ci confidano Chiara e Martina - il 21 Novembre è una data che abbiamo già cerchiato in rosso sul calendario, in Bulgaria ce la metteremo davvero tutta. Non vogliamo deludere la gente che crede in noi, speriamo di essere davvero all’altezza e rappresentare al meglio l’Italia».
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I ragazzi in Concerto sotto il Colonnato di Karlovy Vary
di Francesco Di Masi
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a Banda Municipale “Francesco Cilea” di Oppido Mamertina, composta da numerosi giovani e diretta dal valente Maestro Stefano Calderone, ha partecipato all’International Wind Music Festival di Karlovy Vary nella Repubblica Ceca. Una vera e propria festa della musica che ha fatto vibrare con le sue armonie le orecchie e gli animi della gente di una delle più belle cittadine della Repubblica Ceca, Karlovy Vary. Il festival si è svolto nelle giornate del 28 e 29 Agosto 2015 e ha visto cimentarsi nell’esecuzione di diversi brani musicali ben sei Orchestre Europee di grande spessore artistico. L’Orchestra di Oppido Mamertina oltre ad aver riscosso tanti applausi dal pubblico presente, ha avuto anche particolari apprezzamenti dagli organizzatori e dal Sindaco della cittadina, ed è stata menzionata tra l’altro per l’alto livello artistico espresso nei due concerti tenuti sotto il famoso Colonnato della città e nel rinomato teatro del Gran Hotel Pupp, dove
Successo dei ragazzi del Maestro Calderone al
“Wind Music Festival” ha suscitato grande emozione ed entusiasmo tra i tanti connazionali incontrati nella cittadina Ceca, nell’ascoltare alcuni brani celebri della canzone italiana e nell’intonare insieme al Complesso Bandistico l’Inno Nazionale “Fratelli d’ Italia”. La manifestazione artistica secondo il Maestro Stefano Calderone: “è stato un altro grande successo di una realtà qual’è la Banda Municipale di Oppido Mamertina che da anni si contraddistingue in tutto il territorio Regionale e Nazionale, un momento anche di confronto e di valorizzazione del nostro paese attraverso il sacrificio e il lavoro di tanti ragazzi che da anni coltivano la passione per la musica, attraverso la banda musicale”. È stata una conclusione splendida e degna, che ha fatto da cornice ad un anno accademico 2014/2015 ricco di importanti avvenimenti artistici organizzati dalla nostra Associazione Musicale. Di seguito, riportiamo alcuni momenti ed incontri importanti che hanno fatto acquisire esperienza e consapevolezza ai nostri giovani orchestrali: - Il Concerto con i Maestri dell’arma F.Cangiamila e A. Macciomei, nel concorso fatto con l’orchestra giovanile G. Rechichi” a Riva del Garda; - I concerti con il trombettista Nello Salza, nella seconda edizione di Calabria Evolutions, a cui hanno preso parte un cospicuo numero di musicisti dell’orchestra G. Rechichi e della Banda Municipale F. Cilea. Al Maestro Stefano Calderone e ai giovani musicisti esprimiamo il nostro plauso e l’augurio di buon lavoro per il futuro anno accademico e concertistico 2015/2016.
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“Delianuova Orchestra, comitato e accompagnatori a Expo” sotto l’albero della vita
DELIANUOVA
Partecipazione all’Expo di Milano dell’Orchestra Nicola Spadaro
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ell’ambito della terza giornata della settimana del protagonismo della Calabria in corso nel padiglione Italia di EXPO Milano 2015, si è svolto il concerto dell’Orchestra giovanile di fiati deliese “Nicola Spadaro”, presenziata dal Dr. Giuseppe Scerra. Il concerto, diretto dal Maestro di sempre Gaetano Pisano, inserito tra gli eventi da non perdere da parte di alcuni quotidiani nazionali, si è svolto alla presenza, tra gli altri, di Giovanni Soda, consulente del Presidente Oliverio, Armando Pagliaro, e Menotti Lucchetta, Dirigenti alla cultura della Regione Calabria, Giacomo Giovinazzo, Dirigente del Dipartimento Agricoltura, Antonio Alvaro, Presidente Galvatir, Giuseppe Priolo, Vicario alla Prefettura di Milano, Teresa Carbone, Assessore alla Cultura di Delianuova, Anna Carbone, Assessore alle Pari Opportunità e Angelo Gioffrè, Vice-Presidente del Consiglio Comunale, Giampaolo Lazzeri, Presidente Nazionale ANBIMA.
Una nutrita delegazione dell’Associazione Culturale Nicola Spadaro, ha accompagnato i giovani musicisti già noti al panorama nazionale ed internazionale, per gli innumerevoli successi e riconoscimenti ottenuti fin dagli esordi, quindici anni fa. Consensi ed affermazioni aumentati per la compagine musicale divenuta risorsa culturale e sociale per il nostro territorio, anche grazie al sostegno costante di persone, tra le quali il grande M° Riccardo Muti, che venuto a conoscenza dell’Orchestra grazie al Presidente Onorario della stessa, Eduardo Lamberti Castronuovo fondatore di Reggio TV, decide di ascoltare i ragazzi, in audizione privata, al teatro Cilea di Reggio Calabria il 22 Dicembre 2006 e, nel 2008, li dirige in occasione dell’evento “Omaggio alle Bande d’Italia”, nell’ambito del Ravenna Festival. Grossa partecipazione di pubblico quella dell’Expo di Milano, in una giornata particolarmente felice per la presenza di circa duecentomila visitatori. Lo spazio dell’ area Palazzo Italia dell’EX-
di Marinella Gioffrè
PO nelle immediate vicinanze dell’Albero della Vita, dove si è esibita, era arricchito da immagini illustrative dell’attività dell’associazione e dell’Orchestra. Il concerto si è articolato in due fasi, intervallato dalla scenografia dello stesso Albero della Vita, con l’ alternanza di brani di musica popolare calabrese, che hanno evocato suoni ed emozioni composti da artisti calabresi, colonne sonore, brani di musica leggera, originali per banda e di intrattenimento. Alto l’apprezzamento da parte dell’intera delegazione regionale della Calabria per il concerto, per le competenze e la professionalità manifestata dai ragazzi di Delianuova. Il numeroso pubblico presente alla fine ha intonato, accompagnato dalle note offerte dai ragazzi, l’Inno di Mameli. I giovani talenti deliesi, attraverso le note musicali hanno trasformato una passione in stile di vita divenendo ambasciatori di positività. Così ha affermato il Presidente Giuseppe Scerra: “siamo fieri del lavoro svolto in questi anni e dei meriti ottenuti, ma principalmente crediamo di essere riusciti a coniugare la passione per la musica con rispetto per le regole, legalità e amore per il prossimo”. I riconoscimenti ad ogni esibizione, sono il frutto di un lavoro serio e costante, che ha contribuito insieme ad altre importanti iniziative, al riscatto del nostro territorio.
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L'attualità di Pier Paolo Pasolini di Gianluca Iovine
Salò, la testimonianza di un abisso
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alò, o i 120 giorni di Sodoma, taglia il traguardo dei quarant’anni. E lo fa con morbosa freschezza, restando il film disturbante ed eversivo che fu, fin dal suo primo giorno di programmazione. Capolavoro nero, mutilato coerentemente dalla censura dell’Italia anni Settanta che trovava pornografiche e violente molte cose, ma non certo i delitti dei Servi-
zi di Stato, le inconfessabili trame dell’alta borghesia nera, la doppia morale di certa Chiesa, la segreta pianificazione di una imminente svolta autoritaria. Erano tempi in cui raccontare il Potere per ciò che era, e ancora è, e cioè sangue e depravazione, era considerato pericoloso, e chi lo faceva, fosse un poeta, un cantautore o un cineasta, andava fermato. L’uccisione di Pier Paolo Pasolini non fu certo un delitto a sfondo sessuale, come si cercò di far credere fin dall’inizio. Fu decisione presa anche per via dell’imminente uscita di Salò e di certe carte che decenni dopo avrebbero costituito il più grave j’accuse letterario dell’intellettuale di Casarsa del Friuli al mondo politico economico italiano: il testo del romanzo incompiuto Petrolio. Il delitto di Ostia, sovrapposto all’elegia funebre delle più grandi menti della nostra poesia, e alle reticenze di Pino Pelosi detto
La Rana, omicida su commissione, con l’aiuto di personaggi mai emersi dal mistero che copre gli ultimi giorni e la stessa scena della morte di Pasolini, si incrociano proprio con la scomparsa di diversi metri di pellicola del film, con i finali aperti e il montaggio delle scene, a metà tra esoterismo e tradimento dello stesso autore. Salò fu girato volontariamente per sconvolgere, disgustare e indignare lo spetta-
AICol
ENTel
ALS
FEDER.Agri
CAA
Federazione Pensionati M.C.L.
CAF
PATRONATO SIAS
CEFA Ong
SNAP
Centro Europeo di Formazione Agraria
Sindacato Nazionale Autonomo Pensionati
EFAL
Gioia Tauro Via Monacelli, 8 Taurianova Via Benedetto Croce, 2
Associazione Intersettoriale Cooperative Lavoratori
Associazione Lavoratori Stranieri
Centro Assistenza Agricola
Centro Assistenza Fiscale
Ente Formazione Addestramento Lavoratori
Ente Nazionale Tempo Libero
Federazione Nazionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura
Servizio Italiano Assistenza Sociale
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tore, non potendo però evitare di diventare a sua volta pietra miliare per tanto cinema di serie B, non sempre avanguardistico o di rivolta, ma semplicemente furbo e commerciale. E se per molti la summa pasoliniana doveva servire solo a creare filoni e sottogeneri legati alla tortura, al culto del nazifascismo, al sesso estremo, per chi ha voluto tenere gli occhi aperti per vedere, senza limitarsi a guardare, quel film dai colori sporchi e dagli ambienti chiusi ha rivelato nel tempo tanti simboli e verità, anche sotto l’aspetto della didattica del cinema: troppo per essere liquidato semplicemente come brutto o morboso. La scelta di drammatizzare cantiche infernali nella Salò nazifascista doveva servire a mostrare connessioni e sporcizia di chi comanda, ma anche, al tempo stesso, ad avvertire che non tutto era metafora, come raccontato tremendamente nell’ultima intervista televisiva, concessa, in francese, dallo stesso Pasolini: cannibalismo rituale ed efferatezza spesso sono il volto più oscuro e autentico della politica, anche se il semplice fatto di dirlo costringe chi ascolta all’incredulità. La scelta dei primissimi piani, la dannazione di un finale che non
può essere riconciliante, si sposa bene con il totale anonimato dei giovani torturati, e lo spettatore, impossibilitato a empatizzare con le vittime, si ritrova, lordato di sangue e fango, nella soggettiva dei quattro carnefici, secondo un codice visivo recuperato, tra gli altri, da Dario Argento. Affascinato dalla verità della campagna che stava
scomparendo, della povertà adulterata dal cemento, dall’indipendenza dello scrittore così come dalla forza folle del calcio, Pier Paolo Pasolini sapeva di sconvolgere avversari ed estimatori per sempre, ma scegliendo di rappresentare l’estremo, volle soltanto sottolineare la dolorosa assenza del Bello e del Buono, la mancanza assoluta di luce, di libertà individuale, e di fede, che avrebbe reso quel mondo di ieri l’esatto scenario che viviamo oggi. L’uccisione del Poeta delle periferie e la scomparsa della sua ultima pellicola, non hanno fatto altro che rendere quella lezione eterna, come straordinario avvertimento all’intera umanità, perché guardi il ciglio del burrone, scansando la propria distruzione. Perché il richiamo dell’abisso è forte, quanto la distruzione che segue all’eclissi della coscienza. Per questo è giusto che Salò resti scomodo come il suo regista: perché il turbamento e il fastidio nel vedere quella ferita così aperta, sanguinante, purulenta, non abbandonandoci mai, possa salvarci, riecheggiando a modo suo, in bilico tra blasfemia e glorificazione, la morte quotidiana di croce di ogni uomo sull’esempio del Cristo fatto Uomo.
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di Deborah Serratore
Vita e morte di Vincenzo Minasi
Trimotore S 81, l’ultimo volo
Ricostruite con rigore in un libro pagine della storia di un uomo e di tutta una generazione figlia della prima grande guerra
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hi ha lottato a mani nude con la vita, indipendentemente dalla sua ideologia politica, non verrà mai dimenticato. Neppure se le “sabbie del tempo” ne offuscano il ricordo addirittura per 80 anni. A rimuovere quella coltre sabbiosa basta la curiosità di un pronipote, Domenico Minasi - medico palmese e Presidente dell’Associazione Italiana Pediatri Ospedalieri - a riportare alla luce l’avvincente storia un suo illustre antenato, il prozio Vincenzo Minasi, anch’egli dottore ed eroico ardito durante il primo conflitto mondiale e fondatore del primo fascio di Palmi. Da questo “scavo archeologico” nella memoria storica palmese ne è nato un libro, “Trimotore S 81, l’ultimo volo di un ardito - Vita di Vincenzo Minasi”: una biografia che inizia dalla fine. La tragica fine dell’esploratore Raimondo Franchetti, del Ministro ai Lavori Pub-
blici Luigi Razza, del suo segretario particolare - Minasi appunto - e dei membri dell’equipaggio in un incidente aereo avvenuto in circostanze oscure il 7 Agosto 1935. Il racconto storico, edito da “Calabria Letteraria Editrice” e presentato esattamente in occasione dell’ottantennale del disastro aereo nella gremita Villa Comunale Mazzini, si snoda nel primo capitolo come un’inchiesta, ne vengono presentati i personaggi, il loro ultimo viaggio finito con un’esplosione tra le dune del deserto a 15 miglia dal Cairo. Quelle dune sono le uniche custodi del mistero del Trimotore Savoia 81, partito da Milano il 6 Agosto 1935 con destinazione finale Asmara, in Eritrea: probabilmente si trattava di una missione al fine di preparare il terreno diplomatico alla conquista della vicina Etiopia. L’autore racconta con spiccata esattezza storica ogni passaggio: il velivolo, dopo la sosta notturna al Cairo, è sparito nei cieli egiziani dopo solo mezz’ora dalla partenza. Molto probabilmente dietro all’incidente si nasconde un attentato. Ma contro chi? E perché? E’ stato organizzato dai servizi segreti britannici per impedire la conquista etiopica o per tendere una “trappola” all’Italia provocandone la reazione? Oppure fu un “delitto di Stato” organizzato dai vertici del PNF che mal sopportavano le intransigenze di Franchetti e l’opposizione di Razza al corporativismo fascista?
In qualunque caso la “sabbia” degli intrighi di potere è stata gettata sull’accaduto fin da subito: anche nel caso di un attentato da parte degli inglesi, Mussolini avrebbe evitato a ogni costo uno scontro con loro. Come “premio di consolazione” alla mancata ricerca della verità, i sette caduti hanno ottenuto un funerale in pompa magna in perfetto stile fascista e una stele eretta in Egitto. “Minasi indaga nella prima parte come un detective mosso dall’esigenza di colmare un vuoto nei confronti del suo illustre parente e per riconoscenza nei suoi confronti” - sostiene la dottoressa Capua, giornalista di “Repubblica”- intervenuta anche lei alla presentazione dell’opera. Nei capitoli successivi di questo dialogo a distanza zio-nipote invece, Mimmo Minasi veste i panni dello “storico” imparziale, che con linguaggio preciso, asciutto e senza fronzoli racconta le imprese di guerra di zio Vincenzo, “l’Ardito di tutti gli Arditi” come amava definirlo l’amico D’Annunzio. Ma chi erano gli Arditi? “Di certo, non vanno confusi con i fascisti”, afferma il Sindaco Barone nel suo lungo intervento: gli Arditi erano gli “sbloccatrincee”, le “guardie del corpo” della fanteria che, muniti di coltello e bombe a mano e armati di coraggio, attaccavano per primi gli avversari per consentire così all’esercito di sbloccare il fronte nemico. Il “casting” per entrare a far parte del nuovo reparto d’assalto, creato nel 1917 per tentare di dare una scossa all’atrofizzato primo conflitto mondiale, sempre più bloccato in un’estenuante guerra di logoramento, consisteva in prove pericolosissime: quella della “collina tipo” (montagnetta bombardata di continuo da cannoni) soprattutto, mieteva molte vittime. Minasi però non temeva la morte. Anzi, da essa traeva un animalesco istinto di sopravvivenza che gli consentiva di non fallire neppure uno degli assalti, narrati dall’autore con grande conoscenza delle tattiche belliche: questo ungarettiano “attaccamento alla vita” gli ha permesso di reagire pure alla morte del capitano Benci nel 1918, scontrandosi col nemico sotto il fuoco delle mitragliatrici per vendicare l’amico. Nel dopoguerra molti Arditi si iscrissero al PNF. Minasi non rinnegò la sua fede fascista ma non perse mai la sua libertà intellettuale: il fatto che fosse segretario particolare di un individuo integerrimo come il vibonese Razza la dice molto lunga. E’ buffo come un uomo abituato da sempre a sfidare faccia a faccia la morte, la mafia (in gioventù rispose a tono a un boss locale), sia dovuto perire in circostanze così subdole e oscure. Il mistero lungo 80 anni non verrà mai svelato, ma quantomeno è stato dissotterrato un pezzo di storia palmese e d’Italia dalle “sabbie del tempo”: “questo libro lo sento anche un po’ mio - sostiene il sindaco Barone - da tempo chiedevo a Mimmo di raccontare questa appassionante storia”. Un’opera fortemente voluta dall’amministrazione comunale, dal Lions Club Palmi (di cui lo stesso Minasi è segretario) e dallo stesso autore, che ci ha permesso di conoscere la figura di un uomo “vittima dell’olocausto collettivo” - come scrive l’Avvocato Veneto in una lettera ai Lions - illudendosi di cambiare il mondo affrontando senza maschere la vita a mani nude, proprio come un Ardito.
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Gioia Tauro: Presentato nella libreria Mondadori Annunziata il Romanzo
di Filomena Scarpati
“ Ozz” di Giuseppe Bagnato
“
Un viaggio nell’adolescenza”. E’ con questa definizione della Prof.ssa Antonella Cutrupi che Venerdì 19 Settembre 2015, presso la libreria Mondadori Annunziata di Gioia Tauro, dopo i saluti di Francesco Di Masi, collaboratore del periodico “Corriere della Piana”, si è aperta la presentazione del romanzo dal titolo “ Ozz” edito da “ Disoblio Edizioni” di Bagnara Calabra (R.C.) dell’autore Giuseppe Bagnato, che ha visto i suoi natali a Varapodio (R.C.) nel 1971 dove vive e opera come agricoltore, ma è anche giovane emergente nel panorama letterario al suo secondo lavoro, mentre il primo era stato “ Moira”pubblicato nel 2014. Al suo attivo si annovera pure la partecipazione al “Premio Anoia Salvatore Gemelli” dove ha ricevuto la “Targa Navi e Naviganti”. Un viaggio nella morte, nel sentiero nero delle droghe leggere e pesanti, nel quale interviene la ragione e si spalanca una possibilità di salvezza. In questo romanzo gli adolescenti non ricorrono alla droga per pura trasgressione ma , purtroppo, per carenza d’amore da parte della famiglia e di scarsa attenzione da parte della scuola, dove a volte operano persone asettiche prive di sensibilità che non hanno nulla da trasmettere, facendo cadere, quindi, quei punti di riferimento attraverso i quali i ragazzi cercano di affrontare i loro problemi e di realizzare i propri desideri. Presi, invece, dal lavoro e dagli interessi personali, spesso si è incapaci di capire, costringendo gli adolescenti a scegliere come gioco la giostra sbagliata per risolvere le difficoltà. Come in Pirandello, ha concluso Antonella Cutrupi, Docente d’Istruzione Superiore e poetessa, questo romanzo presenta la vita come in una commedia teatrale, senza regista, nella quale gli attori indossano tante maschere che mo-
strano soltanto l’apparenza delle cose e non la sostanza, il desiderio d’amore di vivere le emozioni vere, legato alla libera scelta. La cultura è la salvezza, ha affermato Giuseppe Bagnato, autore di “ Ozz”, nella presentazione del suo lavoro, tuttavia la nostra cultura si è fermata al “Grande Fratello” e ad altri talent show, a discapito dei libri, dell’arte e del buon cinema, non consentendo la crescita umana e sociale di cui un territorio si trova ad avere bisogno per evolversi quotidianamente e si dissolve nella mancanza di valori, situazioni che non depongono bene e sopratutto non consentono ai giovani la costruzione di un futuro migliore. Si legge poco perdendo la possibilità di raggiungere i nuovi orizzonti verso i quali i libri ci portano. Dal lavoro di Giuseppe Bagnato, emerge, un palese rifiuto a crescere e migliorarsi, condizioni che scaturiscono normalmente da forti limiti mentali. Questo romanzo nasce dalla
necessità di mettere in evidenza problemi che un’intera generazione ha vissuto, con tematiche che portano al di là di apparenze che visibilmente ci girano attorno. Quello che vediamo non sempre è la verità, specialmente quando osserviamo persone che soffrono e vivono esperienze al limite. Occorrerebbe, piuttosto, chiedersi che cosa abbiamo fatto noi per evitare che gli adolescenti, scelgano sentieri sbagliati, capaci di condizionare la loro vita per sempre o uccidere se stessi in un solo attimo. Ciascuno, ha concluso l’autore, moderato dall’Editore Salvatore Bellantone, possiede dentro di se il burattinaio e il gigante buono, il male e il bene: l’uno che imprechiamo quando tutto va male, l’altro nel quale troviamo l’energia per ripartire. Dovremmo dare maggiore attenzione ai ragazzi, salvaguardando la loro vivacità necessaria alla costruzione di un mondo migliore, se bene indirizzata.
Da sx Salvatore Bellantonio, Antonella Cutrupi, Giuseppe Bagnato
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di Gianluca Iovine
Felice Diego Licopoli
Felice di scrivere
È
difficile raccontare chi scrive. Perché, per quanto possa apparire strutturato, nasconde sempre delle fragilità. E in questa dialettica degli opposti, se a una prima impressione uno scrittore mostra rabbia e ambizione, accade che spesso copra la propria sofferenza di artista e di essere umano, di fronte alla banalità cattiva della vita, e alla paura di non essere accolto, o compreso. Marcello Mastroianni ha detto in un’intervista dei suoi ultimi anni che un attore è un essere fragile, e che non gli importa che un regista sia bravo o meno, perché l’attore ha bisogno solo di essere amato. E questa frase può valere per un giovane scrittore come Felice Diego Licopoli, che nei suoi romanzi, nei racconti brevi e nelle sceneggiature che scrive, si divide tra l’urgenza di arrivare, e la necessità di arrivare a farsi leggere con sguardo sensibile. Apparentemente, questo ragazzo di Rizziconi laureato in Conservazione dei Beni Culturali ha a cuore storia arte e paesaggio. • Tu ami la Calabria e la sua storia. C’è un simbolo del paesaggio, o del patrimonio culturale o architettonico, da cui potrebbe ripartire questa terra? Vero, amo tantissimo la mia terra e le bellezze che ha da offrire. Purtroppo non posso dire altrettanto di certe persone, ancorate a una mentalità retrograda, antiprogressista... Sicuramente esiste una quantità infinita di simboli, essendo la Calabria il territorio che ha per me il patrimonio storico più ricco d’Europa... la Cattolica di Stilo, oppure il Castello Ruffo di Scilla: meravigliosi paesaggi, di montagna e di mare.
• Quanto incide il mondo rurale sul tuo modo di narrare? Il paesaggio rurale ha inciso parecchio: i personaggi sono collocati e agiscono in un preciso contesto ambientale nel quale sono perfettamente integrati; persone semplici che seguono la regola kinghiana per la quale “persone ordinarie si trovano in circostanze straordinarie”, voglio dare un’impronta di verismo. Mi piace affrontare la realtà nella sua crudezza, che spesso si fa tristezza. • E già, Stephen King. Cosa apprezzi di lui come narratore?
In primis la dialettica semplice e al contempo incredibilmente poetica… Poi, le storie: coinvolgenti ed appassionanti, ti trascinano spesso in un mondo intriso di mistero, descritto con una precisione che diviene cesellatura, quasi impossibile da replicare. Infine, lo straordinario modo di descrivere l’infanzia. Per me King rappresenta un esempio supremo di narrativa. • Nel tuo primo romanzo, hai scritto di emigrazione. Cosa accomuna gli emigranti italiani di ieri a quelli di oggi che cercano un futuro altrove? E cosa provi per chi rischia la vita, per oltrepassare il Mediterraneo o i Balcani? Gli emigranti italiani di ieri sicuramente sono profondamente diversi da quelli di oggi: una volta partivano contadini, avventurieri in cerca di fortuna, persone che molto spesso provenivano dalle classi sociali basse, vittime della povertà, dell’analfabetismo o di altre vicende, costrette a viaggiare su piroscafi più simili a carri bestiame, che a navi vere e proprie. Oggi invece partono dall’Italia giovani provenienti da famiglie del ceto medio, con un notevole bagaglio culturale, spesso persino con più di una laurea in tasca. Vivono nella società della globalizzazione, sottomessi a un’utopica quanto falsa libertà, che pure però consente loro di spostarsi comodamente. Ciò che comunque li accomuna agli emigranti di un tempo è la mancanza di lavoro in patria, insieme al desiderio di fuggire da un luogo che non consente loro di sbocciare, sia intellettualmente che socialmente. Per quanto riguarda coloro che rischiano la vita, nel Mediterraneo e nel Canale di Sicilia penso
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Per me King rappresenta un esempio supremo di narrativa
siano spinte dalla disperazione, dalla fame e dalla guerra. In Italia credo sia sbagliato risolvere tutto con trenta euro al giorno, senza dar loro nemmeno modo di lavorare, mentre altri italiani muoiono di fame, e vivono la disoccupazione. I migranti meritano comunque accoglienza e comprensione possibili. • Dai, a chi non l’ha ancora fatto, un motivo per leggere i tuoi romanzi. Sicuramente le tematiche forti, ricche a livello storico e sociale, le tecniche. Certo è che nelle trame cerco di dare tutto me stesso, lavorando su concetti che diano un’impronta significativa al romanzo. • Che sensazioni ti dà incontrare amici ma anche avversari su Facebook?
tempo fa, “Il giavellotto dorato”. Mi auguro di riuscirci! • Ma di letteratura si può vivere? Purtroppo alla maggior parte di noi emergenti vivere di letteratura è praticamente precluso. Le grandi case editrici al momento non intendono puntare sui nuovi scrittori, ne’ tantomeno il pubblico risponde adeguatamente; le chances di sfondare ci sarebbero, nel cinema, se le case di produzione si interessassero a trasporre i nostri libri su pellicola, ma purtroppo anche lì la situazione è parecchio difficile… Restano comunque la passione e la voglia di portare avanti le proprie idee. • C’è qualcosa che ti fa paura?
Su Facebook accetto soltanto contatti che si possano definire “amici”. Quanto agli altri scrittori con cui sono in contatto sul social network sono tutti bravi colleghi che stimo e rispetto molto, sia sul piano personale che come narratori.
La mia paura più grande è arrivare alla fine dei miei giorni con la consapevolezza di aver trascorso un’esistenza vuota, frustrante... E questa paura cerco di combatterla con i viaggi, il desiderio di fare nuove esperienze, la visita a numerosi siti storici… Spero di riuscire a sconfiggerla del tutto, questa mia paura, ed uscirne vincitore.
• Di cosa parlerà il tuo prossimo progetto letterario?
• Hai un romanzo e un film di riferimento per le tue scelte di vita?
Ho deciso di compiere la cosiddetta “follia letteraria”: scrivere due romanzi contemporaneamente, non garantisco che ci riuscirò, ma almeno ci sto provando. Ho in cantiere un romanzo pulp, ambientato negli anni Sessanta, ispirato alla vera storia del bandito Maisano, “la Belva di Drosi”, e poi un romanzo storico, ambientato nella Calabria della Magna Grecia, ispirato a un racconto che ho scritto
Il romanzo che mi guida è sicuramente “Cuori in Atlantide” di Stephen King, un affresco esistenzialista sull’America della guerra in Vietnam… Di film ce ne sono parecchi: ad esempio Forrest Gump, dal punto di vista esistenziale, e la saga di 300, per il suo fascino storico, e per avermi insegnato che valori come il coraggio e l’abnegazione possono sconfiggere un fato avverso, anche quando sembra ormai certo.
Errata corrige: Alcune fotografie pubblicate nel n° 35 a corredo dell'art. del Prof. Filippo Marino e da noi involontariamente attribuite al defunto ceramista Condurso - in realtà - sono opera di altro artista. Scusandoci con l'artista Condurso per tale errore intendiamo precisare, ad onore di verità, che l'errore è stato provocato dalla preesistente errata attribuzione al Maestro Condurso di tali opere - ivi fotografate - da parte dei curatori di un sito web riconducibile al Comune di Seminara. Ci auguriamo pertanto che il Web Master di quel sito e il Comune di Seminara vogliano provvedere al più presto a porre rimedio ad una confusione che ha - purtroppo provocato una situazione incresciosa e delle giuste rimostranze da parte della famiglia Condurso, in merito alle quali il Corriere della Piana ribadisce la propria assoluta buona fede.
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di Francesca Agostino
Illusione e sogno. Tra forma, perfezione e policromie. L’arte figurativa nell’interpretazione di Oreste Cosentino.
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erchi ed intersezioni, colori e sfumature, introspezione ed estetismo. Solo alcune delle chiavi di interpretazione dell’audace opera di Oreste Cosentino, artista calabrese, originario di San Giorgio Morgeto, piccolo borgo medievale in provincia di Reggio Calabria, emigrato in Piemonte negli anni bui della recessione che seguì la crisi petrolifera degli anni ’70 e che coinvolse e travolse migliaia di famiglie italiane. Opere policrome e polisenso, quelle del Cosentino, che nascono da un’innata manualità accostata a grande abilità stilistica, che l’autore declina e trasmuta in vivaci composizioni geometriche bidimensionali dalle forme per lo più circolari e tondeggianti, realizzate, completamente ed incredibilmente, a mano libera e senza alcun ausilio tecnico o strumentale. Proprio questo innato talento rappresenta il valore aggiunto di un’opera al contempo “semplice” ma “complessa”, “ordinata” ma non “schematica”, “geometrica” ma non “matematica”. Costituita da una
L'artista Oreste Cosentino
successione di linee armoniche rappresentate istantaneamente all’atto della trasposizione su cartoncino, senza alcuna intermediazione tra immaginario momentaneo dell’artista ed opera realizzata. L’errore è un’ipotesi non ammessa, nelle creazioni del Cosentino, una eventualità non concepita, né contemplata dall’autore. Anche questa impostazione metodologica motiva la scelta dei materiali utilizzati per le composizioni: la matita (quindi, la possibilità di cancellature) è bandita dall’artista, che disegna direttamente con pennarello semi-consumato e destinato allo scarto, su cartoncino, anche questo di recupero. Economia ed ecologia dei materiali danno alle opere un tratto ancor più univoco e caratterizzante e contribuiscono a conferire alle stesse quei connotati della sostenibilità e del riciclo, sempre più ricercati ed apprezzati nella produzione artistica contemporanea e pienamente rispondenti ai parametri della emergente “Green Art economy”. Armonia, un altro tratto tipico delle opere del Cosentino, insieme alla ricorrenza dei temi, dal gioco di sezioni ed intersezioni, curve ed incroci che danno vita a forme ogivali, che ricordano al contempo le morfologie della “mandorla” (simbolo di Vita e Verità), e quello analogo della “vescica piscis”, entrambi temi ricorrenti nelle arti figurative riproposte sin dalle antiche civiltà asiatiche e diffuse anche nelle arti decorative romanico-gotiche ed alle quali le civiltà di tutti i tempi hanno attribuito i più diversi significati simbolici. L’oculus è l’ulteriore elemento caratterizzante che finalizza, perfeziona e completa le figure del Cosentino. L’occhio è il simbolo universale della percezione intellettuale e conferisce alle forme la configurazione delle stesse quali essenze viventi, attribuisce vitalità e personalità alle figure, aprendo la via alla chimerica interazione con l’osservatore. Una rappresentazione unica, dunque, attinente più alla dimensione onirica e fantastica che non
a quella reale, capace di catturare per qualche istante l’osservatore e trasportarlo in una diversa dimensione, fatta di immagini, forme e colore. Il riempimento cromatico ed il gioco di sfumature, rappresentano una ulteriore caratteristica delle opere del Cosentino. Il risultato dei contrasti ed accostamenti cromatici acuisce la dinamicità di figure, le quali, pur essendo bidimensionali, risultano multiformi e suggeriscono un’idea di varietà e movimento. Sul piano strettamente semantico, infine, si rileva come l’artista, non intendendo condizionare il giudizio e la libertà di interpretazione di chi osserva, e nel rispetto dell’altrui sfera immaginaria, volutamente non attribuisce alcuna specifica denominazione alle immagini. Tutte le opere sono genericamente denominate dallo stesso, affettuosamente e volendo in qualche modo creare un legame quasi paterno con esse, con l’appellativo “Orestiadi”, dal nome dell’autore, ma è l’interprete che, secondo la propria sensibilità e la propria scelta, definisce liberamente il concetto ivi rappresentato e lo riempie del contenuto che più appare conforme all’interno sentire dello stesso, sicché l’opera dell’autore e l’animo dell’interprete, si incontrino nel mezzo, integrandosi e completandosi a vicenda e dando vita ad un’esperienza sensoriale quasi mistica e trascendente, certamente unica ed irripetibile. L’osservatore potrà così apprezzare il momento di creatività e liberazione dell’immaginario, o fuga dalla quotidianità e dalla banalità del reale, che il Cosentino propone, invitando con un sorriso, a regalare alla propria immaginazione qualche istante di svago e creatività, travalicando dai rigidi confini della realtà e di una società civilmente organizzata, evadendo, per qualche breve istante, dal dolore e dall’angoscia del mondo terreno. Un piacevole intermezzo tra illusione e sogno, una gradevole distrazione di luce e colore: una deviazione non programmata dalla grigia autostrada dell’Esistenza.
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Tragedie e orrori del XX secolo in Cesare Augusto Taverna, Lettere da Auschwitz e Basovizza - Opere
S
illoge di sette cartoncini di cm. 50x70 dipinti dall’architetto Cesare Augusto Taverna di Taurianova, da diversi anni residente a Catanzaro, dove insegna Storia dell’arte e disegno nei licei. Egli ha una consolidata esperienza nel mondo dell’arte e predilige definirsi un “manipolatore” di immagini, forme e colori; più volte ha partecipato a mostre e a esposizioni, suscitando ammirazione e interesse e riscuotendo un meritato successo. La sua è una tecnica-mista che mira a “far trasparire la realtà piuttosto che rappresentarla”, con un’intuizione originale, una forza espressiva profonda e un’esecuzione delicata.
Arte essenziale la sua. Pochi elementi; pochi colori; la stella a sei punte; la busta che doveva sigillare una lettera, forse mai scritta o forse mai spedita, posta sopra una superficie nera e profonda, mossa da un pentagramma, che forse raccorda e modula una nenia, triste e senza fine, o che esprime, in un’incessante melodia, un volo di speranza e di certezza, determinate dalla ferma fede del popolo ebraico e, direi, dell’umanità, contro la ferocia. È il bianco che annulla il nero ondeggiante e che sovrasta il filo spinato, ossia ogni costrizione e umiliazione. L’autore rimarca la vergogna di Auschwitz, ma anche di tutti gli altri campi di sterminio, in una maniera nuova, intelligente, personale.
di Giosofatto Pangallo
Anche sull’inghiottitoio di Basovizza delinea la realtà con eleganza e con tanto verismo, per non dire crudezza: la foiba, il pozzo circondato ai lati da spuntoni di roccia, l’immagine della sofferenza degli infoibati, di chi vi era gettato spesso ancora vivo, il sangue ovunque presente e che si deposita nel fondo, come in un sacro ricettacolo che raccoglie spoglie e memorie. Anche qua c’è la lettera piegata-piagata, ma non stracciata, simbolo di qualcosa che non muore e indubbio incentivo a tramandare per non dimenticare e a sperare in una nuova dinamica che anteponga il bene al male. Un sentito complimento, un bravo e un ad maiora all’autore.
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di Rocco Carpentieri
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Restaurata la Statua di San Martino
omenica 23 Agosto 2015 è stata organizzata una giornata di festa per la comunità di San Martino, piccola frazione del comune di Taurianova, perché è stata restituita ai fedeli la statua di San Martino restaurata. Era l’11 Novembre 2014, quando la statua del Santo, sembra per negligenza ed incuria, era caduta dal suo luogo di esposizione finendo a terra e subendo rotture e lesioni. La macchina organizzativa per risistemare la statua lignea dell’800 si era subito messa in opera. In primis era intervenuto l’Ing. Paolo Martino, responsabile dei beni culturali diocesani e in seguito alcuni dirigenti della Soprintendenza ai Beni Culturali per la Calabria che hanno dettato le norme per la sistemazione della statua e ordinato il relativo restauro che è stato affidato allo staff della Dottoressa Rita Guarisco con sede in Ribera. Le varie fasi del restauro sono state curate per la maggior parte in loco a cura del maestro Restauratore Santo Arizzi. Il maestro ha proceduto inizialmente con la messa in sicurezza della statua, ha poi provveduto alla sua pulitura con la contestuale rimozione delle ridipinture; ha poi proceduto al consolidamento mediante stuccature e infine ha effettuato un accurato ritocco pittorico. Dal
Restauro sono venute alla luce informazioni interessanti per lo più ignorate fino ad allora circa la manifattura dell’opera. Contrariamente a quanto si riteneva, i restauratori hanno accertato che la statua è stata realizzata con legno di pioppo e pino cembro e non con legno d’ulivo e si è scoperto che ci sono stati precedenti restauri, oltre a quello dell’anno 1977. Di tali restauri nessuno ricordava nulla né sono stati trovati documenti che lo indicassero. Inoltre si è accertato che la figura del povero che è parte integrante nel corpo dell’opera scolpita è quello originale rimasto danneggiato dal fuoco la notte del 25 Dicembre 1976. La maestosità della statua, tornata agli antichi splendori, è stata sistemata su una vara in legno realizzata e donata dal falegname Martino Ciano. Tutto il restauro ha avuto un costo di circa ottomila euro. Nella stessa giornata di Domenica 23 la cerimonia di inaugurazione della statua è stata preceduta da un convegno sul restauro che ha visto la partecipazione di molte autorità. Il parroco di San Martino ha dato un breve saluto, mentre in rappresentanza del Comune di Taurianova era presente il Dott. Antonino Gaglio della triade Commissariale; Presente il Dott. Faustino Negrelli della Soprintendenza alle Belle Arti della Calabria; l’Ing. Paolo Martino direttore beni culturali diocesani; la Dott.ssa Rita Guarisco, restauratrice dell’opera e il Vescovo della Diocesi di Oppido-Palmi S.E. Mons. Francesco Milito. Durante il convegno tuttavia, nessuno delle autorità e dei tecnici ha fatto cenno agli aspetti storici della statua, suscitando la sorpresa dei molti cittadini di San Martino presenti, ma oggi, grazie a studi effettuati dal nostro concittadino Prof. Domenico Caruso e dallo scomparso sacerdote Don Antonino Di Masi da Varapodio, possiamo dire con certezza che la statua di San Martino fu scolpita a Varapodio nella seconda metà del XIX secolo dallo scultore Francesco De Lorenzo. Egli nacque a Varapodio il 15 Gennaio 1807 da Domenico De Lorenzo e da Nicolina Morabito ed il 24 Settembre del 1831, all’età di 24 anni, fu ordinato sacerdote. In riferimento ad uno studio del Prof. Domenico Caruso l’opera del San Martino fu ordinata allo scultore varapodiese con molta probabilità intorno al 1862 e tale ipotesi riferisce che il De Lorenzo impiegò circa tre anni per scolpirla su legno di pioppo e poi dipingerla. Se tale ricostruzione è esatta allora dobbiamo supporre che il De Lorenzo terminò i lavori di rifinitura tra la fine del 1865 e l’inizio 1866 anno in cui morì, quindi tre anni prima della sua scomparsa. Infatti presso l’archivio del Comune di Varapodio è stato rintracciato l’atto di morte del De Lorenzo datato 13 Febbraio 1866 che riporta la data del decesso: la sera del 12 Febbraio del 1866, alla età di 59 anni. Racconti popolari tramandati per via orale, riferiscono che gli abitanti di San Martino andarono a ritirare la statua direttamente a Varapodio nella bottega del De Lorenzo e si racconta che l’artista varapodiese si era talmente affezionato alla sua opera che rifiutava l’idea di consegnarla ai loro committenti al punto che non voleva staccarsi da quella statua così bella, in conseguenza di ciò s’ammalò e morì.
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La Villa di Casignana
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a villa romana del Casale di Piazza Armerina, in provincia di Enna, struttura veramente maestosa e meravigliosa, rappresenta, senza dubbio, un manufatto di rara bellezza e splendore architettonico, autentico capolavoro d'arte; costruita, quasi certamente, intorno al III°- IV° secolo dopo Cristo dall'Imperatore Massimiano Erculeo, distrutta successivamente da un incendio, rimase sepolta per secoli, fino a quando non rivide la luce negli anni '50 del secolo scorso. In effetti, si tratta di un monumento universalmente ritenuto tra le più importanti scoperte archeologiche dei nostri tempi. A parte la grandiosità, però, nel suo genere non costituisce un caso unico; infatti, recenti campagne di scavi hanno fatto riemergere, nella vicina Calabria, fino al momento almeno tre esemplari, sia pure, allo stato della ricerca, di dimensioni molto più modeste. Di estensione ragguardevole è la villa, ancora appena emersa, di Casignana (Reggio Calabria), che presenta mosaici in ottimo stato di conservazione; si tratta di un'area abbastanza vasta che merita di essere adeguatamente esplorata e che certamente riserverà grandi sorprese, anche sotto l'asfalto della statale 106 Jonica. Poco distante, a circa venti chilometri a nord, in territorio di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria) è affiorato un edificio a cripta e bagni, sicuramente di età romana (Naniglio); appena un saggio di quanto il sito non mancherà di offrire in prosieguo di tempo. La serie continua in provincia di Cosenza e precisamente sulla via per Spezzano Albanese, dove si trovano resti di villa romana ed ancora a Roggiano Gravina ed a Malvito, ultima rivelazione, in ordine di tempo, dello scrigno sotterraneo, che dall'acrocoro delle montagne sicule, attraverso gli epigoni dell'Appennino Aspromontano, spazia fino al Pollino. Tali ragguardevoli insediamenti signorili sorgono sia in zone di altitudine collinare (Piazza Armerina, Spezzano Albanese, Roggiano Gravina e Malvito), sia in zone marine, come Casignana e Gioiosa Jonica. La scelta geografica è senza dubbio rapportata al gusto ed alle abitudini del committente. Per quanto riguarda la villa del Casale, un motivo dominante nella decorazione a mosaico è rappresentato
Immagine di Massimiano Ercule
Ville Romane Tardo-antiche in Calabria
di Giovanni Garreffa
dalle scene di caccia, in particolare al coniglio, ivi molto diffusa in tempi remoti, ma anche ai nostri giorni. Non si possono ricavare, invece, indicazioni del genere dai reperti degli altri ritrovamenti, in quanto ancora i giacimenti archeologici sono stati appena esplorati e vi si incomincia ad intravedere qualcosa. Illuminante in proposito è stato il Convegno Internazionale di Piazza Armerina del 7 - 10 Novembre 2012, relativo ai recenti studi sull'edilizia residenziale tardoantica ed in particolare sugli insediamenti in età imperiale. Si tratta di una sorta di moda del tempo, che ha determinato uno sciame verso le periferie meridionali, tra l'altro confortate dalla mitezza e salubrità del clima, oltre che da una flora e non meno da una fauna, anche questa molto stimolante per gli appassionati di caccia, ovvero la spinta è stata sollecitata dal desiderio di allontanarsi da un centro nell'ambito del quale la perversione la faceva da padrone? Un autorevole contributo in merito, durante i lavori del predetto convegno, è stato offerto, ai fini di ulteriori studi ed approfondimenti, dal Prof. Carmelo G. Melacrino, dell'Università Mediterranea della Calabria, che ha relazionato, appunto su "I nuclei termali nelle ville romane calabresi fra il II° e il IV° secolo d.c.", indicando una precisa pista per la ricerca. Gli approdi degli studiosi in questo campo sono da ritenere sempre provvisorie, essendo strettamente legati alle ricchezze continuamente emergenti dalla terra, che non si stanca mai di riservarci le sue sorprese, specialmente in materia; a noi la pazienza dell'attesa, alle generazioni che verranno dopo di noi l'onere di non abbandonare il campo, a chi di competenza il compito di reperire fondi adeguati, a ciò necessari.
Villa Romana del Casale
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Maria SS. di Polsi
di Diretto Mosè
Santuario di Polsi
Le vie della fede
Itinerari religiosi e spirituali legati ad un turismo sostenibile, naturale e culturale.
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a sempre la fede dell’ uomo ci porta in luoghi diversi e variegati, luoghi in cui la spiritualità ma anche la manualità dell’uomo sono riusciti a plasmare zone impervie e inaccessibili trasformandoli in: monasteri, abbazie, conventi, chiese, e tanto altro lasciando ai fedeli come eredità un patrimonio storico, architettonico e naturalistico. Gli itinerari religiosi stanno crescendo ma allo stesso tempo stanno cambiando, la fede spirituale come viene intesa non è solo andare in un luogo sacro e partecipare alla santa messa ma, fede spirituale significa conoscere, capire e ammirare la natura dei luoghi, le piante selvatiche, conoscere la storia, le tradizioni e il folklore che lega il sacro al cuore del pellegrino turista. Le vie della fede o itinerari religiosi rappresentano un processo virtuoso di sviluppo economico esteso a tutto il territorio calabrese. Maria SS. di Polsi Molti sono gli itinerari Religiosi della Calabria, ma pochissimi luoghi di devozione popolare in Italia come in nessun altro posto portano il pellegrino ad un cammino cosi impervio per essere raggiunto, si tratta del santuario di Polsi (fraz. di San Luca) con la venerata Maria SS. della Montagna. Oggi il santuario mariano è raggiungibile anche in auto percorrendo una ex mulattiera che attraversa boschi, monti bellissimi e selvaggi come l’Aspromonte. Durante il cammino per arrivare al santuario c’è la possibilità di visitare Montalto che è il punto più alto dell’Aspromonte con i suoi 1.996 m s.l.m. da qui è possibile ammirare la statua del cristo redentore una statua bronzea alta 10
metri messa li per festeggiare il giubileo del 1901, distrutta dai fulmini per ben due volte e sempre ricostruita. Da Montalto è possibile guardare il panorama di tutta la costa tirrenica meridionale della Calabria. Sempre nello stesso tragitto si può visitare la diga del menta, le cascate Maisano, la piccola cittadina di Gambarie (la Cortina d’Ampezzo di Calabria) e rifacendoci alla storia, a pochi km da Gambarie, c’è il rinomato Ceppo di Garibaldi luogo dove Garibaldi, l’ eroe dei due mondi, nel 1862 fu ferito dalle truppe nemiche con una fucilata. Pizzo Calabro e la Chiesa di Piedigrotta Antica chiesa scavata nella roccia di tufo, la storia racconta che nel 1632 un veliero con
tutto l’equipaggio proveniente da Torre del Greco, in una giornata tempestosa aveva fatto voto alla Madonna affinché salvasse la nave e l’equipaggio, con la promessa che appena toccano terra avrebbero eretto una chiesa in suo onore, la nave si scaravento contro le rocce di Pizzo e, in tutto quel legname, il quadro della Madonna arrivò dritto e intatto sulla spiaggia. I marinai per tener fede a quello che avevano promesso alla Madonna misero il quadro in una grotta lì vicino ergendo una piccola Chiesa. Ma tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 su questa storia fantastica e misteriosa, un certo Angelo Barone, costruì nel tufo a colpi di martello e piccone una Chiesa scavata nella roccia. Oggi è una delle Chiese più visitate d’Italia
Antica Chiesa di Piedigrotta scavata nella roccia di tufo
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Melicuccà, Grotta di Santo Elia Speleota
grazie anche alla particolarità della costruzione e delle statue, tutte scolpite sul luogo. A questo itinerario e possibile legare anche la gastronomia locale come, degustare in uno dei tanti bar della città il rinomato tartufo di Pizzo, quindi la possibilità di legare la fede alla gastronomia. San Fantino Il Santo piu vecchio della Calabria Fantino il cavallaro, nel II° secolo d. C. risiedeva a
Taureana, Cripta di San Fantino
Taureana e lavorava sotto l’ordine del nobile Balsamio. Fantino un domatore di Cavalli, persona dedita al lavoro, alla preghiera e amico dei poveri con i quali per aiutarli nel lavoro dei campi, di notte Fantino mandava i cavalli del padrone. Gli avvisi della gente malvagia comunque non mancavano e un giorno Balsamio, di origine pagane, va con il suo destriero e con la spada ad uccidere Fantino. Ma, Fantino accorgendosi delle intenzioni del padrone si mise a correre con il suo cavallo e arrivando nel fiume Metaurus (oggi Petrace) al tempo fiume impetuoso, battè il bastone a terra e disse “apriti Metaurus passa Fantino servo di Dio”, e il fiume all’improvviso si aprì, Fantino lo attraversò e dopo qualche minuto, quando arrivò Balsamio, il fiume ritornò impetuoso. Balsamio vedendo da lontano il miracolo che Fantino aveva fatto si mise in ginocchio e gridò “Fantino, Fantino fammi venire con te sarò anche io un umile servo di Dio”. Fantino ripetè il miracolo, Balsamio passò il fiume, poco dopo si convertì al cristianesimo e lasciò tutti i propri averi ai poveri. La Chiesetta visibile è una Chiesa del 1500 ma, guardando sotto le fondamenta, è stata ritrovata una Chiesa Ortodossa relativa al 300 d.C. dove, a 7 metri di profondità, è visibile una cripta con affreschi ortodossi. I festeggiamenti sono il 24 Luglio di ogni anno. La Chiesa e la Cripta di San Fantino si trovano a Taureana di Palmi, vicino al parco Archeologico e alla torre Saracena. San Fantino, un Santo rinomato in tutto il mondo, ma sconosciuto alle persone locali e ai Calabresi. Da ricordare che i fantini, ovvero le persone che fanno le corse a cavallo, prendono il nome proprio dal Santo.
La grotta di Santo Elia Speleota “Melicuccà” Un altro luogo incantevole in mezzo agli uliveti secolari di Melicuccà. Famoso per la sua storia, per il suo culto e per la natura circostante ma, sconosciuto dalla maggior parte delle persone”. Sant’Elia Speleota (così chiamato per distinguerlo dall’omonimo profeta e da S. Elia Juniore) nacque a Reggio Calabria nel 863 da ricchi genitori, Pietro e Leonzia. Rifiutando una promessa di matrimonio, all’ età di 18 anni fuggì a Taormina e poi andò in pellegrinaggio a Roma dove prese i primi voti. Tornato a Reggio di Calabria, Elia accompagnò il monaco Arsenio diretto a Patrasso in Oriente. Nel frattempo i Saraceni irruppero in Calabria facendo stragi e schiavi. Al ritorno da Patrasso, Sant’Elia Speleota (= abitatore di grotte), insieme ai monaci Cosma e Vitale, si ritirò a condurre vita di penitenza nella grotta di Melicuccà. L’11 Settembre del 960, quando aveva già 97 anni, Elia morì. Le sue spoglie si trovano nel sepolcro che lui stesso aveva scavato nella grotta con le mani. Lì, il suo corpo rimase sepolto fino al 2 Agosto 1747, quando furono scoperte le sue ossa. Il Santo viene festeggiato l’11 Settembre. Piccoli e incantevoli itinerari che fanno riscoprire la cristianità dell’uomo come soggetto fragile, il quale ricerca il sacro per confessare le proprie debolezze della vita quotidiana. Dare lustro alla cristianità e alle zone di culto perché possano rappresentare un volano per lo sviluppo socio-economico della Calabria. Un noto economista tedesco Albert Otto Hirschman affermava che “qualsiasi sviluppo dipende dal suscitare e utilizzare risorse e capacità nascoste, disperse o male utilizzate”.
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Inaugurato a San Giorgio Morgeto il percorso turistico - salutare
di Francesca Agostino
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na serata all’insegna del binomio salute-cultura, in risposta alla nuova domanda turistica emergente, sempre più “stufa” dei pacchetti turistici pre-impostati dai mediatori turistici e delle mete più gettonate e, d’altra parte, sempre più “desiderosa” di sperimentare sulla propria pelle il piacere della scoperta e riscoperta delle proprie origini. In reazione e parziale ripudio del turismo globalizzato, il turista del primo ventennio del terzo millennio si riscopre viaggiatore. Alla ricerca di sé stesso, desideroso di saperne di più su usi e costumi locali, origini, tradizioni popolari, attitudini naturali del territorio. E’ l’epoca del ritorno alle origini della civiltà, in un’era in cui prevalgono sentimenti di smarrimento, perdita di identità e globalizzazione anche delle indoli più autentiche e genuine delle antiche civiltà italiche ed europee. Ma il turista del nuovo millennio non è soltanto questo, ma molto di più. Si registra infatti un costante incremento dei livelli di responsabilità sociale, un emergente desiderio di autocontrollo dell’impatto dell’essere umano sull’ambiente, una maggiore preoccupazione rispetto alle proble-
Un invito (aperto a tutti!) ad una sana passeggiata, dalla Piazza al Castello, attraverso l’antico Borgo.
matiche dell’ambiente e dell’inquinamento, del vivere sano, dell’ecologia e, infine, del valore sociale della salute. Ed il Comune di San Giorgio Morgeto, pronto interprete di queste nuove tendenze, rivolgendosi proprio a questo emergente profilo turistico, propone la propria peculiare offerta, all’insegna della semplicità, ma idonea a rispondere contemporaneamente a tutte queste esigenze. Ecco la semplice proposta: una sana passeggiata, dall’antica piazza centrale dei Morgeti, cuore dell’antico Borgo medievale, sino al Castello Normanno-Svevo, epicentro della vita politica, dell’amministrazione territoriale e dell’esercizio della funzione della pubblica difesa negli antichi insediamenti signorili. Il Comune sintetizza e coniuga due caratteristiche tipiche del territorio che ricade sotto la propria amministrazione: da una parte, l’importanza sul piano storico e monumentale, data la storicità del borgo, dall’altra la qualità ambientale del territorio, ancora incontaminato perché in larga misura inaccessibile a veicoli motorizzati, quindi al riparo da agenti inquinanti. Aria pulita, silenziosità del paesaggio e purezza delle acque di sorgente. Queste le carte vincenti di un
territorio collinare la cui conformazione geografica consente di proporre suggestivi itinerari naturalistici tutti in salita e in un contesto silenzioso ed armonico, oltre che stimolante ed interessante sul piano storico. Cosa occorre Abbigliamento comodo, una borraccia da riempire alla prima fonte di acqua di sorgente, presso la Piazza dei Morgeti, scarpe da ginnastica, ed eventualmente, un berretto parasole. Benefici sulla salute E’ a tutti noto che camminare è un’attività sana e salutare e sono numerosi i benefici sulla salute. Se lo si fa in un contesto pulito, al riparo dall’inquinamento, altamente ossigenato, silenzioso ed armonico, e soprattutto, in un contesto paesaggistico spettacolare, come lo è quello di San Giorgio Morgeto, i benefici sulla salute si moltiplicano in misura esponenziale. Ma vediamo più nel dettaglio. Camminare in modo corretto almeno 10 minuti al giorno, è un’attività poco impegnativa che fa bene anzitutto, al cuore ed alla circolazione. Aiuta inoltre a dimagrire e tenere sotto controllo il proprio peso corporeo. Camminare in salita, poi, consente di bruciare il 40% delle calorie in più rispetto ad una camminata in piano. Il percorso proposto prevede una camminata tutta in salita (la salita è calcolata in 67 metri di altitudine, su un percorso di 0,57 km di lunghezza, dalla piazza al Castello). Lungo il percorso, una lunga scalinata di 70 gradini. Attraverso lo strumento “runtastic” abbiamo calcolato che in soli 10 minuti, procedendo ad una velocità media di 3 km/h, la percorrenza consente di bruciare ben 180 calorie. Ma non è tutto. Consigliamo infatti di riempire una borraccia presso una delle 4 fonti di acqua di sorgente, della fontana monumentale sita al centro della “Piazza dei Morgeti”, e di
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Da sx: Francesca Agostino, Maria Stella Giovinazzo, Carlo Cleri, Paola Tripodi, Antonio Laganà
L’Amministrazione comunale ha invitato in una fresca serata di agosto, turisti e visitatori a camminare attraverso il Borgo per beneficiare degli effetti salutari di una passeggiata attraverso un antico paesaggio collinare ancora incontaminato ed apprezzarne le bellezze storico-monumentali.
bere al termine del percorso. L’acqua di San Giorgio è, infatti, nota da sempre per le sue proprietà depurative. Una sola accortezza: sorseggiare lentamente e bagnarsi i polsi ed il viso se si è molto accaldati. E ancora: suggeriamo di respirare a pieni polmoni. La qualità dell’aria di San Giorgio è un patrimonio naturale ormai raro… la strutturazione urbanistica, tipica dei borghi italici, è caratterizzata da stretti vicoli e gradinate, che rendono inaccessibile il percorso ad automobili o veicoli a motore, quindi inattaccabile da agenti inquinanti. La bellezza e silenziosità del paesaggio, inoltre, favoriscono la meditazione interiore. Il panorama con vista sconfinata sulla piana di Gioia Tauro sino all’orizzonte del Mar Tirreno, che è possibile ammirare dal Castello Normanno Svevo, oltre che dalla veranda di Santa Barbara, favorisce l’apertura mentale e liberazione dallo stress emotivo. Siti di interesse storico monumentale lungo il percorso. Diversi i punti di interesse siti lungo il percorso: la Fontana Monumentale edificata nel 1664, e composta da una base di gusto rinascimentale, quattro vasche in gusto barocco e, in cima, un altorilievo in marmo bianco, forse di origine greca, raffigurante Venere; la Chiesa Matrice dell’Assunta, fulcro della vita religiosa della comunità sangiorgese, custodisce le statue lignee, di scuola napoletana, dei compatroni San Giorgio e San Giacomo, un crocifisso ligneo e un altare maggiore in marmi policromi, entrambi del ‘700, e un organo ottocentesco di provenienza napoletana; la Pietra Sacra, ritornata alla luce nel corso degli ultimi lavori di restauro della Chiesa Matrice, la pietra era probabilmente un elemento di culto per i fedeli, come è possibile evincere; su di essa è ancora visibile l’incisione di una croce; il cortile del palazzo nobiliare Fazzari Cortile interno di ingresso, XVIII sec; la via dei 70 scalini Antica scalinata, suggestiva ed affascinante, costruita secondo criteri e canoni di equilibrio ed armoniosità; il Passetto del Re - il vicolo più stretto d’Italia (40 cm) esistente sin
dall’antichità, lo stretto passaggio costituiva una via di fuga per il Re Morgete nel caso di invasioni. Attraversarlo è un rito di buon auspicio; il giardino della Sipaleja - angolo sempreverde; la terrazza di Santa Barbara - vista panoramica, in prossimità della statua dedicata alla Santa e martire della Chiesa cattolica, protettrice dei minatori, fortemente venerata dagli abitanti di San Giorgio. Dal piccolo spiazzo in prossimità della statua è possibile ammirare il suggestivo panorama sulla piana di Gioia Tauro. Dulcis in fundo: il suggestivo ed affascinante Castello Normanno-Svevo e l’incantevole panorama. Punto di destinazione del percorso, la struttura rappresenta certamente la testimonianza storica più importante dell’insediamento di antiche civiltà organizzate e militarizzate. Oggetto di diverse dominazioni, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, e gravemente danneggiato dal terremoto del 1783, seppure attualmente in stato di rudere, la struttura non ha mai cessato di esercitare un forte fascino agli occhi dei visitatori. Dal piazzale antistante al Castello Normanno- Svevo è possibile contemplare lo straordinario scenario panoramico che comprende la Piana di Gioia Tauro estendendosi sino all’orizzonte del Mar Tirreno. L’inaugurazione Il percorso turistico-salutare è stato inaugu-
rato nella serata del 22 di Agosto. La cittadinanza, invitata a passeggiare dalla piazza al Castello insieme al primo cittadino, Carlo Cleri, ha aderito entusiasticamente apprezzando i benefici della passeggiata e scoprendo o ri-scoprendo caratteristiche tipiche del borgo, sostando brevemente dinnanzi ai siti d’interesse mappati. Infine, il pubblico ha potuto apprezzare la dettagliata ed interessante illustrazione storica del Castello NormannoSvevo, curata dalla giovane Dottoressa Maria Stella Giovinazzo, ricercatrice dell’Università di Messina, nativa di San Giorgio ed esperta conoscitrice del fortilizio. Questa parte della serata, intitolata “Una notte al Castello di San Giorgio: secoli di Storia sotto le stelle” è stata corredata dalla gentile partecipazione dei rappresentanti dell’A.I.F.I. Regione Calabria, Dottoressa Paola Tripodi, e del CONI Regione Calabria, Dottor Antonio Laganà, che hanno patrocinato e supportato il progetto per gli aspetti inerenti i benefici che derivano sulla salute dal camminare all’aria aperta in un contesto come quello di San Giorgio Morgeto. Il Comune di San Giorgio Morgeto invita ad “esplorare” anche altri percorsi e non limitarsi al breve tracciato indicato sulla mappa. San Giorgio Morgeto è ricco di storia e bellezza, potete scoprire da soli il resto dello straordinario patrimonio storico e monumentale!
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Maria nei sacri marmi cinquecenteschi della Piana La Madonna degli Angeli in Seminara a cura di Diego Demaio
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ul quinto altare di sinistra della Chiesa di San Marco in Seminara è collocata la raffinata scultura della Madonna degli Angeli (il tempio per le notevoli opere custodite è stato pure dichiarato monumento nazionale). La pregevole statua in bianco marmo di Carrara, alta circa cm. 160 (con lo scannello di cm. 33), è stata scolpita attorno al 1515 ed è unanimemente attribuita all'insigne artista siciliano Antonello Gagini (1478-1536). Il notevole fascino dell'opera è dovuto, oltre allo sguardo profondamente assorto della Madre, alla dinamica posa del Bimbo in braccio che, tenendo nella mano sinistra un uccellino, si rivolge benevolmente vivido verso il riguardante. Sull’iconografico scannello sono perfettamente raffigurati un Ecce Homo, la Maddalena, l’Annunciazione da parte dell’arcangelo Gabriele e la Dormitio Virginis. La Vergine, rivestita dal maforion, giace sul letto attorniata dagli Apostoli affranti mentre Gesù sostiene teneramente l’animula della Madre morente, che ha la forma di una bambina coperta da una candida veste. In basso allo stesso è anche scolpita la figura del profanatore con le mani rattrappite per avere osato toccare la sacra tomba. Al cospetto di tale trascendente e “leggibilissimo” messaggio, mirabilmente scolpito 500 anni addietro sull'indelebile "pagina" di marmo, si rifletterà sulla forte emozione che l’Arte Sacra poteva generare nella semplice Fede dei nostri avi, quasi totalmente, nei secoli afflitti dal diffuso analfabetismo.
19 ottobre 2015 – PRIMOLIO a EXPO 2015 Milano 24 ottobre 2015 – FESTA DELL’OLIO NUOVO San Giorgio Morgeto (Rc) 07 Novembre 2015 – FRANTOI APERTI San Giorgio Morgeto (Rc) 20 novembre 2015 –IGP OLIO DI CALABRIA Tiriolo (Cz) 5 dicembre 2015 – L’OLIO: SALUTE E GASTRONOMIA Taurianova (Rc)
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